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Anno 114 • N. 31
4 agosto 1978 - L> 200
Spedizione in abbonamento postale
1° Gruppo bis/70
BIBLIOTECA VALDESE
10066 TORRE PEIL ICE
Mìe valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
LA PREDICAZIONE DI APERTURA DEL SINODO VALDESE E DELLA CONFERENZA METODISTA SU MARCO 8: 27-33
Né bandiera né soave corona: per tutti
la croce di Cristo resta scandalo e follia
E’ essenziale riconoscere che vi è non continuità bensì rottura non solo tra la rivoluzione del Cristo e la nostra conservazione, ma anche tra la sua rivoluzione e le nostre rivoluzioni
A tutti noi che siamo qui riuniti e alle chiese che rappresentiamo, Gesù rivolge oggi le stesse due grandi domande rivolte
ai seguaci nel momento cruciale
della loro vita comune, in una
terra e in una situazione di frontiera, lassù all’estremo nord dei
territori israeliti, ai piedi dell’Hermon: Chi sono io, per la
gente? E per voi?
Fin dalla nostra catechesi sappiamo che qui il racconto evangelico è alla sua grande svolta.
Finora Gesù ha percorso la Galilea predicando l’Evangelo e guarendo. Nazareth, comprensibilmente scettica, lo ha respinto,
ma la regione è agitata dalla sua
fama, con intensità tanto maggiore in quanto l’attesa messianica vi è più forte e il movimento
di liberazione più vivace. Rapide
puntate oltre confine, in terra
pagana, gli hanno mostrato che
anche là c’è ricettività. Intanto
si ripetono duri i confronti con
scribi e farisei venuti dal centro,
da Gerusalemme a svolgere una
inchiesta su quel che insegna e
fa. Deve decidere: rimanere in
Galilea, dove ha nemici ma an
II seggio
del Sinodo
Il Seggio del Sinodo è
stato eletto subito dopo il
culto inaugurale nelle persone di: Gianni Bogo (Zurigo), presidente; Gianni
Long (Pinerolo), vice presidente; Paolo Ribet (Ferrerò ), segretario capo ; Antonio Adamo (Torre Pellice), Tom Noflke (Livorno), Augusto Comba (Torino) e Violetta Sonelli
( Firenze ), segretari ; Giacomo Quartino (Sampìer
darena) e Aldo Varese
(Catania), assessori.
schizza anche su loro? Comimque la figura di Gesù ha destato
in molti un’impressione .profonda. C’è chi avverte un’affinità fra
lui e il Battista e lo stesso principe di Galilea, Erode Antipa,
roso dalla sua cattiva coscienza
si domanda se non sia Giovanni
redivivo. Per altri in lui è tornato Elia, precursore del giorno
del Signore; per altri ancora è
uno dei profeti, forse Geremia.
In questi pareri trova effettivamente riscontro questo o quel
tratto di Gesù. Karl Barth nota
che siamo in Israele, questa gente non lo descrive servendosi di
concetti e di simboli, ma di ben
determinati nomi dell’A.T., riferimenti concreti a uomini nei
quali Dio è intervenuto con la
sua iniziativa.
Opinioni su Gesù
E oggi, che cosa dice la gente
di Gesù? Ne parla più che in altre epoche; ne è "spia” la pubblicità che s’impadronisce di
quel nome per etichettare jeans
e digestivi, complessi folk e microsolchi; o lo spettacolo: lo sceneggiato-fiume tv di Zeffirelli o
il Gesù giullare di Dario Fo, per
non parlare del progetto di cassetta di un regista danese che
vuol girare un film su pretesi amori di Gesù. Studiosi e
giornalisti come Marcello Craveri in Italia e Rudolf Augstein in
Germania pubblicano presso editori laici ponderose ricostruzioni, discutibili, di una vita di Gesù. L’Ipotesi su Gesù del giornalista cristiano Vittorio Messori è
giunta in un anno e mezzo alla
19“ edizione e a una tiratura di
260.000 copie, da bestseller! Nel
la prefazione il comunista Lucio Lombardo Radice accenna a
ciò ohe Gesù può essere anche
per ohi veda in lui solo un grande uomo. Marxisti più o meno
eterodossi come il tedesco Ernst
Bloch, il francese Roger Garaudy, il cèco Milán Maohovec hanno ricercato che significa Gesù
per gli atei. La suà figura è ovviamente coinvolta, nel dialogo
crescente fra le religioni, soprattutto quello islamo-cristiano e
quello ebraico-cristiano, in sede
ebraica vi sono settori che mostrano un interesse rinnovato
per il Gesù ebreo ed è significativo che Mondadori abbia ristampato negli Oscar popolari
Gli anni oscuri di Gesù, il libro
nel quale Robert Aron sulla base
di fonti rabbiniche ha ricostruito il quadro interessante della
vita ebraica familiare e professionale, nel quale Gesù è cresciuto.
Molta gente s’interessa dunque a Gesù. Come lo vede? I movimenti culturali e spirituali, specie nel quadro della civiltà cristiana, hanno sempre riletto via
via nella loro ottica la figura di
Gesù, e le loro letture si prolungano ben oltre l’epoca che le
ha generate. Non è ancora vivo,
fra la gente, il Cristo illumininistico, esempio etico, maestro
di razionalità morale, apostolo
della nonviolenza? o il Cristo della storia comparata delle religioni, genio religioso fra i grandi Ispirati, fondatore di una religione millenaria atta a entrare
in dialogo fecondo con altre tradizioni religiose per preservare
il comune patrimonio profondo
deU’umanità? Abbiamo avuto il
Gesù socialista umanitario di Renan, quello ariano dei nazisti e
di certi cristiano-tedeschi, quello
criptofascista di Giovanni Rapini,
quello borghese di una certa
American way of life. Abbiamo
avuto e abbiamo il Gesù esistenzialista che vive nella decisione
che io prendo di fronte a lui, il
Gesù ateo-umanista della scuola
sessantottesca della morte di
Dio. C’è stato e c’è un Gesù pacifista e un Gesù femminista, quello dei drogati e quello degli omosessuali. Mentre c’è chi
MESSAGGIO ALLE CHIESE DELLA CEvAA
Vivere insieme la missione
In attesa di informare i lettori sulla sessione del Consiglio
deila CEvAA — a cui ha partecipato per la Chiesa Valdese il pastore Franco Davite — pubblichiamo il messaggio rivolto alle
chiese membro della Comunità Evangelica di Azione Apostolica.
che molti amici, emigrare almeno per un poco in terra pagana,
in più tranquillo incognito, oppure affrontare il cuore d’Israele, e
sa che vuol dire conflitto a morte.
Andrà a Gerusalemme; per questo è venuto. Poiché si gioca il
futuro — il suo e anche quello
dei discepoli ohe hanno impegnato la loro vita con la sua — le
cose, le idee devono essere chiare: perciò rivolge loro le sue due
domande incalzanti. Le rivolge
anche a noi, poiché di fronte alla sua scelta è in gioco anche il
nostro futuro e quello della nostra predicazione.
I discepoli hanno raccolto alcune opinioni e le riportano a
Gesù. Avrebbero potuto citarne
altre, meno lusinghiere: gli stessi familiari di Gesù a un certo
punto l’hanno dato per pazzo,
paranormale; e c’è gente pia tanto scandalizzata dal suo stile di
vita e dalle contpagnie che frequenta, da considerarlo un tipo
dalle dubbie amicizie, un mangiatore e un beone; l’ostilità dei
capi e del clero è poi evidente,
lo considerano un esaltato pericoloso, se non un empio. Ma di
questo i discepoli non parlano; è
strana questa loro selezione: rispetto per il maestro, oppure
vogliono evitare il fango che
I membri del Consiglio della
Comunità Evangelica di Azione
Apostolica, riuniti dal 19 al 30
giugno in Camerún, nell’Ospedale di Bangwa, nella regione
Bamileké vi salutano : « Che la
grazia e la pace vi siano dati da
Dio nostro padre e dal Signor
Gesù Cristo» (Ef. 1: 2).
La riunione di quest’anno ha
avuto luogo dopo sei anni di
esperienza della CEvAA. La base spirituale dell’incontro è stata la meditazione comunitaria
di Efesini 4: 1-16. La riflessione
è stata completata dalle meditazioni del mattino sulle esigenze
dell’Amore e dalle comunicazioni introduttive del Presidente e
del Segretario Generale. Essi
hanno sottolineato come la
CEvAA è soprattutto un «modo di vivere», la compartecipazione di tutti in vista dell’annunzio dell’Evangelo ed il segno della volontà dì « vivere insieme la missione ».
A questo fine abbiamo sottolineato tre dimensioni fondamentali in Ef. 4:
— L’unità della fede pur nella diversità e nella complessità
delle nostre culture e tradizioni
deve essere manifestata con atti
concreti superando tutte le separazioni e difficoltà di comprensione reciproca che possono sorgere.
— Occorre discernere i doni
capaci di edificare il corpo di
Cristo e riconoscere le persone
— uomini e donne — che Dio
dà a questo scopo.
— L’amore fondato in Gesù
Cristo crea rapporti nuovi fra
le nostre chiese e fra di noi nel
campo della collaborazione, della comunicazione ed in quello
politico.
Abbiamo cercato di ascoltare
questi appelli e ne abbiamo
vissuto le implicazioni concrete
nei seguenti modi:
— i contatti che abbiamo avuto con i responsabili delle chiese del Camerun, con le Comunità, con le corali che ci hanno
visitato, con il personale dell’Ospedale di Bangwa sono state
occasioni di contatti autentici
fra credenti impegnati nella testimonianza comune della potenza dell’Evangelo in questo
tempo ;
— le discussioni sul programma per il 1979, gli scambi di collaboratori, il trattamento economico degli « inviati » sono stati l’occasione di scoprire, nonostante il carattere tecnico di
questi argomenti, la dimensione
spirituale di una vera messa in
comune dei mezzi e degli uomini di cui disponiamo;
— le informazioni sulla situazione in Africa Australe ed a
proposito degli interventi militari, politici ed economici di po
tenze straniere in Africa ci hanno fatto condividere l’inquietudine vissuta in questo Continente ed in varie parti del mondo. Invitiamo le nostre chiese a
manifestare la loro solidarietà
con quelli che soffrono.
Vorremmo infine sottolineare
una esigenza fondamentale che
ci spinge a chiedervi di cercare
con noi nuove forme di «azione apostolica comune» in tutte
le nostre chiese. Dobbiamo scoprire insieme il disegno ed i doni di Dio e perseverare in quell’azione di testimonianza che,
d’altronde, il mondo attende da
noi.
Nel corso di quest’anno speriamo di realizzare in modo
completo la partecipazione della
CEvAA al progetto di sviluppo
integrato e di evangelizzazione
fra i pescatori recentemente affluiti sulle rive del lago MweruWantipa a Kaputa in Zambia.
Ecco qualche aspetto dei lavori di questa sessione. Ve ne
facciamo partecipi chiedendovi
di ricevere, con noi, l’esortazione « a camminare in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta... sopportandovi gli
uni gli altri e sforzandovi di conservare l’unità dello Spirito col
vincolo della pace... per il perfezionamento dei santi, per l’opera del ministerio, per l’edificazione del corpo di Cristo »
(Ef. cap. 4).
Bangwa (Camerun)
30 giugno 1978
ha tentato una lettura psicanalitica della sua figura, un docente
dell’Università di Manchester,
John Allegro, sulla base di labile
documentazione ha sostenuto
con pretesa scientificità che all’origine del cristianesimo c’è una
comunità dedita alla droga di
gruppo: « Gesù » non sarebbe il
nome di una persona ma del fungo allucinogeno protagonista dei
convegni di questo gruppo esseno. Da parte sua Morton Smith,
professore di storia antica alla
Columbia University di .New
York, in un saggio ora pubblicato anche in italiano sostiene che
la comunità cristiana primitiva
era costituita di omosessuali e
legge in chiave gay l’unione con
Cristo e l’iniziazione battesimale... Si trova veramente dì
tutto, spigolando in ciò ohe la
gente oggi pensa di Gesù. La sua
figura resta affascinante: ma è
ancora la sua? Quello di cui si
parla e si scrive è ancora quell’uomo oppure una sagoma stilizzata, nuda e vuota, che si può
rivestire di abiti via via aggiornati e coprire e identificare con
maschere via via conformi all’attualità? Che resta del suo
messaggio, filtrato da tutte le
nostre esigenze, caricato e deformato dai nostri gusti e desideri,
dalle nostre ossessioni, dai nostri ideali e programmi?
IL CRISTO
LIBERATORE
Fra ciò che si dice di Gesù in
questi anni una convinzione è
venuta o tornata alla ribalta con
passione particolare: è l’uomo
che si è impegnato per la liberazione storica dell’uomo. Il filone è antico, ma si è irrobustito da un secolo a questa parte,
passando attraverso manifestazioni diverse, dal Gesù socialista
ottocentesco Oa Claudiana ha
documentato in una sua pubblicazione la tradizione italiana tardorisorgimentale centrata su
questa figura) a quello del Social
Gospel anglosassone, a quello
del socialismo cristiano mitteleuropeo di Ragaz e di altri, fino al
Gesù marxista ante litteram di
Fernando Belo e dei suoi ripetitori e ai cristiani per il socialismo europei e latinoamericani.
Ecco il Cristo liberatore della
teologia della liberazione, il Cristo guerrigliero di Camilo Torres, il Cristo rivoluzionario della teologia della rivoluzione; ecco il Cristo nero della Black
Theolo^ e della ricerca d’identità africana; ecco il Cristo contestatore dell’ordine costituito
— borghese s’intende; — e quello fiancheggiatore del nuovo
ordine rivoluzionario. In certi
casi, pur con forzature storiche
e teologiche, il riferimento rimane la persona storica di Gesù,
ma in altri si giunge a parlare
del Cristo-popolo sofferente o lo
si identifica col proletariato, classe messianica redentricé. Questa
lettura ’’materialista” della figura
di Gesù si accoppia alla protesta
contro le chiese e le teologie costituite: Ridateci Gesù nella sua
vera dimensione, quella sociopolitica, della quale ci avete da tanto tempo defraudati! Con cattiva
Gino Conte
(continua a pag. 2)
2
4 agosto 1978
Né bandiera né soave corona
(segue da pag. 1)
coscienza le chiese costituite
hanno avvertito che questa protesta eretica metteva a nudo
I eresia della loro lettura spiritualista, e si son messe volenterosamente a parlare del Cristo
compagno e liberatore dei minimi, degli oppressi, degli emarginati, la santa triade ohe con
rneccanica ripetitività ha cominciato a punteggiare discorsi e do
curnenti ecumenici ed ecclesiastici,articoli e predicazioni. Non
è in discussione la serietà, la
passione sofferta, la giusta rivolta che animano molte di queste
letture di Gesù, affiancate talvolta da un discepolato coerente
fino al sacrificio. Eppure anch’esse, come ogni altra, vanno misurate sulla lettura di Gesù che i
testimoni apostolici ci hanno lasciato e che rimane per noi normativa.
Per voi, chi sono io?
Dopo aver esplorato che cosa
dice la gente, Gesù rivolge ai discepoli di allora e a noi la domanda diretta; « E per voi, chi
sono io? » I discepoli di allora
venivano dallo stesso humus
umano e religioso della gente di
cui riportavano le opinioni, e anche noi condividiamo parecchie
delle idee che su Gesù circolano
oggi nel mondo e soprattutto
fra i cristiani. Tuttavia Gesù
vuole una risposta diretta, da
ciascuno di noi e da tutti noi
raccolti qui per iniziare la nostra sessione sinodale, da voi genitori e monitori e catechisti impegnati a far conoscere Gesù alflettete affinché lo Spirito trovi
anziani responsabili della conduzione di chiese che a Gesù si richiamano, da voi fratelli e sorelle impegnati nelle nostre attività
diaconali in cui vorremmo che
qualcosa deH’amore e del servizio di Gesù si riflettesse, da voi
insegnanti impegnati nelle nostre
scuole dove vorremmo che qualcosa della verità e della sapienza
di Gesù si riflettesse, da voi teologi docenti e studenti che indagate sul mistero di Gesù e riflettete affinché io Spirito trovi
nelle nostre chiese strumenti il
meno impari possibile alla predicazione delTEvangelo di Gesù,
da voi pastori e predicatori e da
me che avete incaricato di predicare qui oggi e di non sapere
fra voi altro se non Gesù crocifisso, da te Antonio Adamo che ti
sei preparato e ti consacri all’annuncio di Gesù: « per voi, chi sono io? ».
Come nel racconto evangelico,
anche noi avvertiamo un attimo
di pausa, carico di aspettativa.
Erano stati con Gesù da molti
mesi, noi lo siamo forse da molti anni (anche se i loro mesi contavano e pesavano probabilmente più dei nostri anni): che cosa
hanno capito? che cosa abbiamo
capito? Pietro dichiara, anche
per gli altri; «Tu sei il Messia! ». Noi leggiamo sempre questo colloquio drammatico alla
luce del racconto di Matteo, secondo il quale Gesù si rallegra
per la professione di fede di Pietro, lo proclama beato perché è
stato il Padre che è nei cieli a rivelarglielo: siamo dunque al culmine del rapporto fra Gesù e i
discepoli, è il momento dell’illuminazione e della comunione,
hanno capito chi è, anche se non
ancora pienamente, come risulterà ben presto. Il racconto di
Marco, però, è assai più sobrio
e se ci atteniamo ad esso, sicuramente più antico, ci rendiamo
conto che le cose sono andate
diversamente. Subito dopo la
confessione messianica, Gesù
« vietò loro severamente di dir
questo di lui ad alcuno ». Perché?
Affiora semplicemente il motivo
del ’’segreto messianico", tipico
dell’ Evangelo secondo Marco?
No, non si tratta di rimandare
al momento giusto, dopo la passione e la risurrezione, un annuncio giusto, ma di evitare un
annuncio fondamentalmente sbagliato o che comunque può essere inteso solo in modo sbagliato e fuorviante.
UNA CATECHESI
INATTESA
Per il giudaismo dell’epoca il
Messia era l’Unto del Signore inviato a restaurare Israele, un capo regale che avrebbe anche potuto incontrare opposizione ma
impersonando il potere divino
avrebbe trionfato di tutti i nemici. Israele attendeva una redenzione storica e questa attesa —
assai diffoSa e tale da accendersi
periodicamente in violente fiammate -— nella Palestina del I secolo si concretava nel program
ma zelota del Messia politico.
Parecchi discepoli di Gesù interpretavano la sua missione in
questa luce, e ancora dopo la
sua crocifissione e risurrezione
gli domandano, al momento del
commiato: « Signore, è in questo tempo che restaurerai il regno a Israele? » (Atti 1,6). Ma
Gesù non si è mai attribuito il
titolo di Messia, non è stato e
non ha voluto essere Messia in
tal senso, e non vuole che i discepoli parlino di lui in questi
termini, rinfocolando aspettative e speranze del tutto infondate; è già capitato ohe la gente
volesse impadronirsi di lui e farlo re a furor di popolo imponendogli il proprio programma, e ripetutamente Gesù ha dovuto sottrarsi a questa ambigua popolarità. No, Messia a questo modo
non lo è; e infatti subito « cominciò a insegnar loro che era
necessario che il Figlio dell’uomo
soffrisse molte cose e fosse reietto dagli anziani e dai capi sacerdoti e dagli scribi, e fosse ucciso
e in capo a tre giorni risuscitasse. E diceva queste cose apertamente ». Gesù dunque non assume il titolo di Messia ma si presenta come il Figlio dell’uomo.
Questa figura dell’A.T. è complessa e anche in bocca a Gesù, che
la usa spesso, significa talvolta
semplicemente « uomo », talvolta
il giudice escatologico che secondo la profezia di Daniele verrà
sulle nuvole, talvolta Gesù sofferente e risorto. Nella nostra
scena il significato è senza dubbio quest’ultimo, Gesù annuncia
apertamente che dovrà patire a
morte, e che questo è necessario.
Lo annuncia ripetutamente: i
termini in cui lo fa possono riflettere in parte, nei racconti
evangelici, l’esperienza della chiesa che ha vissuto i particolari
della sua passione, ma Gesù sapeva di andare, anzi di dover andare verso la sofferenza e la
morte, verso il fallimento storico. Questa non sarebbe stata però la fine del Figlio dell’uomo, né
la sua sconfitta. Anche se non lo
cita espressamente Gesù parla di
sé come il Servo sofferente dell’Eterno, l’Ebed Jahve. Come ha
scritto V. Subilia, « Gesù ha rifiutato l’unilateralità di tutte le
qualifiche messianiche in corso
nel giudaismo del tempo, le quali ignoravano e escludevano la
qualifica dell’Ebed Jahve, e ha
operato una profonda e complessa sintesi fra tutte quelle qualifiche e la nozione di sofferenza
e di sacrificio vicario, implicata
essenzialmente nella nozione di
Ebed Jahve » (Gesù, p. 80). La redenzione che egli porta non è
storicamente dimostrabile e verificabile, è una redenzione per
fede (V. Subilia, La redenzione
storica, « Protestantesimo » 1972,
p. 91).
Questa catechesi inattesa è
rivoltante per i discepoli, vanifica le loro speranze e il loro impegno: un Messia che si fa ammazzare, e proprio a Gerusalemme! Assurdo! — e Pietro, facendosi ancora portavoce degli altri, dà vivacemente sulla voce a
Gesù. Nel testo greco c’è qui lo
stesso verbo di poco prima, come Gesù ha vietato severamente
ai discepoli di dire che è il Messia, così ora Pietro vuol proibire
a Gesù anche solo di dire una
cosa simile. Allora Gesù reagisce
duramente: « Via, dietro a me.
Satana! ». Vede riaffiorare una
volta di più la tentazione satanica che fin dal principio lo ha
tallonato: e stavolta nella bocca
benintenzionata dei discepoli,
proprio nel momento in cui professano di credere in lui! Quel
che Pietro vuole da lui è esattamente quel che fin dal principio
gli ha proposto lo spirito intelligente e consapevole del deserto:
il potere, unico mezzo efficiente
per compiere una redenzione sto
rica. Dev’essere stata la tentazione particolare di Gesù, costante e profonda. Il Cullmann
nota giustamente che si è tentati
solo da ciò che ci attira segretamente e intensamente. Non solo
egoisticamente: quanto bene, infatti, avrebbe potuto fare un capo come Gesù, finalmente un pastore dopo tanti lupi! Gesù ha
dovuto battersi continuamente,
contro tutto e contro tutti, nella
scelta drammatica: il potere e
l’appassionante redenzione storica del popolo eletto oppure il
fallimento vergognoso, la gloria
o la croce. Chiunque vuol seguirlo non può eludere questa battaglia. Perciò rivolto a tutti i discepoli Gesù apostrofa Pietro; «Via,
dietro a me. Satana! ». Questa
parola durissima non è una scomunica ma un richiamo, Gesù
non scaccia il suo discepolo ma
lo rimette al suo posto, che è
dietro, non davanti a Gesù, a lui
spetta imparare, non insegnare,
ubbidire, non ostacolare, seguire
la linea di Gesù, non deciderla o
piegarla alle proprie convinzioni
e ai propri progetti.
E la nostra risposta, qual è?
«Tu sei il Cristo » — questa è
pure la nostra risposta. Ma che
cosa intendiamo? È una risposta
che Gesù accetta o dalla quale si
distanzia, come ha fatto con Pietro? La formula forse è scontata, ma Gesù non è una formula
— tradizionale o novatrice, dei
secoli o del secolo — è un Nome,
una persona; rispondere alla sua
domanda coinvolge il nostro rapporto con lui, la risposta può
dunque soltanto essere personale, anche se non individualistica.
E non sta certo a me rispondere per nessuno di voi, sono già in
difficoltà a rispondere per conto
mio. Ma ciascuno di noi deve rispondere, e forse può essere utile a tutti noi tratteggiare i rischi
cui siamo esposti nel farlo, senza
pretendere di incasellarci a vicenda in classificazioni che, grazie a Dio, non ci colgono mai
fino in fondo.
BANDIERA?
L’entusiastica professione di
Pietro e la replica di Gesù, che si
prolomga e si chiarisce nell’annuncio della passione, hanno oggi un’attualità particolare. Molti
cristiani condividono oggi, naturalmente in forma storicamente
aggiornata, il messianismo giudaico, se non zelota, di Pietro.
Rivoltati daH’atteggiamento farisaico o sadduceo di tanta nostra
cristianità, indignati dall’evasione religiosa di fronte alle responsabilità sociali dell’ora o dal conformismo con il potere e con la
cultura dominanti, avvertono la
carica di rottura che la persona
di Gesù racchiude. Riscoprono
un Gesù di carne e sangue, incarnato non solo fisicamente ma
storicamente, in una condizione
umana intessuta di problemi
economici, sociali, politici, culturali. Ma questa riscoperta avviene nel quadro della diffusa visione del mondo del materialismo
storicistico. Poiché il mondo è
retto da meccanismi socioeconomici che determinano la lotta di
classe, Gesù appare loro come
il militante di questa lotta redentrice, schierato in nome di Dio
con le classi subalterne e oppresse, inviato dal Signore a guidare
la lotta per la liberazione umana
dall’alienazione economica, sociale, politica, culturale, sessuale. La croce non è più in discussione per loro, come per Pietro:
è un fatto storico. Ma è una croce
gloriosa, è il martirio — fra
quanti altri! — che suggella una
causa giusta, è semenza di altri
militanti e martiri, finché la Causa si affermerà, com’è nell’ordine vero, giusto, supremo delle
cose. Gesù è nella grande linea
della Storia, la sua croce può rimanere una forca infamante e
fallimentare per i nemici, i ciechi, i prepotenti, gli oppressori
e gli aguzzini; ma per gli amici
di Gesù, per i suoi partigiani,
per quelli che vedono e capiscono, per quelli che lo seguono e
partecipano alla sua lotta, si identificano con lui e lo sentono
identificato con loro, la crocè è
una bandiera e suo è l’avvenire,
l’avvenire storico. Non è forse
risuscitato? — dicono molti di
loro (altri però sono al riguardo
assai più cauti e riservati). Ma la
risurrezione, evento realissimo,
non è un fatto storico, non convalida, né corona la nostra storia ma la spezza, non ci fa senti
re che dopotutto avevamo ragione, ma ohe avevamo torto. E infatti, dopo la crocifissione e la
risurrezione, Pietro e gli altri,
"plasmati" dall’Evangelo della
croce, non saranno più zeloti, la
croce in cui crederanno e che
predicheranno sarà quel che è
effettivamente stata, scandalo e
follia.
SOAVE CORONA?
Tuttavia questo tipo di risposta alla domanda « Chi sono io,
per voi? » ha un grande merito:
quello di riaffermare in qualche
modo, con passione, che Gesù è
elemento di rottura nella storia,
anche se lo è in modo molto più
radicale di quanto pensi chi risponde così. Dobbiamo infatti
riconoscere che il Cristo spirituale della tradizione ecclesiastica corrente — sia in chiese di
massa sia in chiese minoritarie
— esaurisce la sua sfera d’azione
nell’ambito della sensibilità religiosa e, con frammentaria coerenza, deH’etica individuale. Teoricamente sappiamo che vi è tensione fra le nostre due cittadinanze e attendiamo il ritorno del
Signore, di fatto però la presenza di Gesù nella nostra esistenza
è così spiritualizzata e interiorizzata che la tensione tende a sparire e l’attesa a farsi pigra e dimissionaria. Se il nostro Cristo
spirituale non è certo borghese,
ci lascia però tranquilli in una
situazione imborghesita: non è
forse la situazione normale di
tutti noi, inclusi molti dei cosiddetti "impegnati”? Gesù corona
e trasfigura le nostre vite, dalla
culla alla tomba (è servito a poco il fatto formale di aver tolto,
alcuni anni fa, dalla nostra liturgia matrimoniale la frase impossibile secondo cui con la sua presenza alle nozze di Cana Gesù
avrebbe cinto il matrimonio di
una soave corona...). In concreto
Gesù disturba poco le nostre esistenze, ci aspettiamo che le addolcisca e le aiuti, non che le
turbi. Ci raccogliamo intorno alla sua croce, ma è diventato un
tranquillo ritrovo, non troppo
impegnativo jjer noi piccoli borghesi introversi, assorbiti dai
problemi, dai programmi e dagli
affanni del nostro piccolo vivere
quotidiano, dal nostro egoismo
personale, familiare o di gruppo. Ora, essere così non significa
forse essere nemici della croce
di Cristo (Filippesi 3; 18)? Chi di
noi oserebbe sostenere che la
nostra atmosfera cristiana corrisponda alla temperie del Nuovo
Testamento? E allora benvenuto
chiunque fuori e dentro le nostre mura ci ricorda, magari ruvidamente, magari con sprezzante giudizio, che Gesù non ha consacrato la vita e la storia così
come le ha trovate, ma le ha contestate.
La croce,
segno di rottura
È però essenziale riconoscere
come e in quale prospettiva le
ha contestate, è essenziale rispettare quella particolare rottura
che e^i ha operato allora e opera oggi, è essenziale riconoscere
che vi è non continuità bensì
rottura non solo fra la sua rivoluzione e la nostra conservazione, ma anche fra la sua rivoluzione e le nostre rivoluzioni. Si è
nemici della croce di Cristo non
solo quando si schiva con egoismo piccolo-borghese il duro discepolato della croce, ma anche
quando si pensa di poter rizzare
la croce come una bandiera della causa per cui si lotta, quando
si dice o si fa capire: Gesù è con
noi. I crociati di tutti i tempi
sono un fenomeno tipicamente
satanico e l’apostrofe di Gesù a
Pietro lo dichiara una volta per
tutte. La croce è e resta, per tutti, scandalo e follia, è la via che
nessuno di noi sceglierebbe, qualunque sia la sua passione umana e la sua posizione ideologica;
è la scelta assurda, non convincente e non efficiente della debolezza a fronte del potere e di tutto ciò che esso permette di fare,
della sofferenza a fronte della ricerca del benessere e della gioia
di vivere che fa legge nell’odierna reviviscenza pagana, del servizio a fronte dell’affermazione
di sé che è oggi imperativo sociologico e canone pedagogico.
Si persegua il potere, sforzandosi di conseguire una condizione
umana meno ingiusta; si persegua il benessere e la gioia come
bene supremo e gratificante; si
persegua l’affermazione di sé come vero raggiungimento della
propria identità umana — ma
non si mescoli Gesù a tutto questo, non si istituiscano analogie
fra queste lotte e la sua, non ci
s’impadronisca della croce per
farne la propria bandiera. ÌPiù
chiari e onesti quelli che sulla
piazza di Gerusalemme hanno
gridato che preferivano aver con
loro Gesù detto Barabba piuttosto che Gesù detto Cristo.
IL DILEMMA
Ci troviamo tutti, con le nostre chiese, di fronte a un problema, a un dilemma che la nostra generazione avverte forse
più che in passato, con tensioni
e lacerazioni che ben conosciamo. Da un lato Gesù che va alla
croce mette in questione le nostre esistenze, le nostre chiese,
la nostra società; e sappiamo di
avere il compito di annunciare
questa contestazione radicale —
che investe noi per primi — e di
rizzarne qua e là dei segni, con
realistica aderenza ai problemi
dell’ora, in tutti i settori della
vita, ovunque vive e lavora qualcuno che crede in Gesù crocifisso e risorto. La croce di Gesù
preme su di noi come una spada
affilata a due tagli che attraversa
l’adipe del nostro imborghesimento cristiano. D’altro lato, però, questi segni devono rispondere alla stessa metodologia che
Dio ha applicata nella vita e nella croce di Gesù: segni di una
redenzione che rinnoverà la storia ma che non è storica, non
scaturisce dalla storia, cioè da
noi; segni che non sono soluzioni
politiche, economiche, sociali,
ma rimandano all’unica soluzione, all’intervento del Signore; segni irrecuperabili come copertura per qualunque ideologia e
prassi vecchia o nuova, piuttosto fermenti critici verso ogni
ideologia e prassi vecchia o nuova. Il ravvedimento nostro e
quello del mondo possono scaturire solo da una predicazione e
da segni che ci portino a confronto con la croce di Gesù,
scandaloso fallimento storico
che nell’ottica di Dio, inconciliabile con la nostra, è stato invece il solo fatto radicalmente
nuovo e positivo dalla creazione del mondo. Questo Evangelo
non è dimostrabile, né verificabile, né credibile: per la nostra
vita e la nostra testimonianza
questa è la croce quotidiana, di
cui dobbiamo caricarci nel discepolato di Gesù, fortificati dalla
risurrezione di Gesù che non è
dimostrabile né verificabile né
credibile, ma per fede è.
Gesù, incamminato verso la
croce per necessità teologica, ci
ha rivolto due grandi domande;
esse ci hanno investito, fresche
e robuste, sconvolgenti, e questa
ora non sarà stata un vano rito
liturgico se, per l’opera dello Spirito, ora ce le portiamo dentro,
aperte; se oggi, qui, come allora
dalle parti di Cesarea di Filippo,
abbiamo sentito com’è difficile
rispondere, specie alla seconda
e più diretta di esse, e che quindi
non possiamo né dobbiamo metterci davanti a Gesù a indicargli
la via ma dietro a lui per seguirla e imparare e reimparare l’Evangelo della sua croce; se abbiamo avvertito che siamo qui al
cuore delTEvangelo, al cuore di
Dio che ci rivela il suo amore
onnipotente e redentore, e che
quindi possiamo solo dire con timore e tremore, ma con gioiosa
riconoscenza; « Uomo dalle labbra impure, vivo in un popolo
dalle labbra impure, ed ecco i
miei occhi hanno visto l’Eterno ». In quell’uomo, vinto, storicamente fallito, Gesù.
Gino Conte
3
4 agosto 1978
_________PRIME NOTIZIE DALLA CONFERENZA METODISTA E DAL SINODO VALDESE yjg|0p2a 3(1
Un anno di lavoro al vaglio del Sinodo
Come ogni anno i lavori del Sinodo sono stati introdotti dalla
relazione della Commissione di
Esame (CdE) che vaglia l’operato della Tavola (TV) e delle
altre Commissioni Sinodali Amministrative. Pur essendo ovviamente impossibile riassumere
32 fitte pagine nello spazio lirriitato di un articolo, cerchiamo di dare un’idea delle principali questioni sollevate dalla Commissione di quest’anno
(Giovanni Scuderi, relatore, Ernesto Ayassot, Aldo Garrone, Antonino Pizzo), distinguendo tra
le questioni di fondo e i problemi particolari.
Orientamenti
generali
1. Rapporti Tavola-Chiese. La
CdE, dopo essersi chiesta fino a
che punto l’azione della TV è un
« fatto comunitario » che coinvolge le chiese, osserva che la
TV « rischia talvolta di mandare
avanti il proprio operato secondo le ’’sue” linee e di porre così
minore attenzione alle opinioni
diverse esistenti nella Chiesa » e
di « assumere una fisionomia
che non le compete, quella di
organismo dirigente con prerogative decisionali ». A fronte di
questo rischio, « una maggiore
coscientizzazione e conseguente
responsabile partecipazione delle chiese alla gestione della Chiesa » può essere ottenuta secondo
la CdE con un potenziamento
dell’informazione della TV alle
chiese mediante un uso più esteso degli « Atti ufficiali della TV ».
2. Impostazione del pastorato. Richiamandosi ad un atto sinodale del 1963 che raccomandava ai pastori « di tenere nella necessaria considerazione la predicazione privata» (visite .e catechismi) e « di evitare qualunque
impegno e qualunque spostamento che non sia motivato
dalla predicazione e dalla evangelizzazione », la CdE lamenta
il fatto che invece « inseriti nei
vari impegni, molti pastori hanno talvolta compiuto un servizio
di tipo culturale (ad es. stampa,
giornali, radio, televisione) o di
tipo diaconale (istituti di assistenza) secondo dei principi e
delle scelte operative maturate
in seno a comitati e commissioni
ristrette, di fatto senza contatti
né inserimento alcuno nel tessuto vivo delle comunità locali, per
cui hanno offerto dei prodotti
finiti che alcune chiese non sentono come propri o addirittura
rifiutano ».
Per la CdE questo fatto ha
« favorito quel vuoto che avvertiamo nelle nostre chiese tra la
generazione fedele dei più anziani e la generazione in ricerca dei
più giovani » La CdE suggerisce
perciò che « i pastori si impegnino maggiormente nel ministero specifico che è stato loro
affidato al momento della consacrazione ».
3. Rapvorti col Cattolicesimo. Facendo riferimento « ai numerosi documenti di studio sottoscritti concordemente dalle
Chiese Evangeliche e dalla Chiesa Romana » (relativi ai matrimoni interconfessionali, alla pastorale ecumenica, ai ministeri,
alTeucaristia, ecc.), la CdE osserva che su tali questioni « l’informazione che perviene ai pastori
e alle comunità è più che scarsa,
quasi inesistente ». Di qui la CdE
passa a porre in termini più generali il problema del rapporto
col Cattolicesimo romano affermando che « è mancato sinora
un vero incontro con la realtà
effettiva del cattolicesimo, costituita da milioni di credenti che
vivono una fede tradizionale fuori del cosiddetto dissenso e senza appartenere ad un cosciente
consenso ».
« Crediamo — conclude la
CdE — che non sia lecito né possibile rimandare oltre il problema dei rapporti con il cattolicesimo romano, nella disponibilità
all’apertura senza preclusioni ».
Alcune questioni
particolari
4. L’Intesa con lo Stato. Dopo una esposizione del contenuto dell’Intesa, che viene ora all’esame del Sinodo, la CdE
« esprime il proprio riconoscimento ai fratelli della delegazione evangelica e a quanti li hanno coadiuvati per l’opera compiuta con oculato senso di responsabilità teologica ed ecclesiologica secondo il dettato dell’art. 5 della DV e in ubbidienza
alle esplicite indicazioni sinodali ».
Come suggerimenti concreti la
CdE auspica una modifica nell’Intesa in modo che questa possa essere estesa « ad altre chiese
che eventualmente avessero a
farne richiesta » e, dopo l’approvazione definitiva, una diffusione
a tutti i livelli in modo che essa
possa « improntare quella prassi
che diviene poi costume di vita
ecclesiastica ».
5. Claudiana. Pur non entrando nel merito della gestione
unitaria della Claudiana editrice
e librerie (la TV dovrà riferirne
al Sinodo 1979), la CdE ricorda,
con le parole del Sinodo 1977,
che la Chiesa deve essere disposta ad affrontare i costi di copertura per « una presenza di indubbio valore di testimonianza ». Rileva tuttavia che « la Claudiana
nel suo insieme debba penetrare
intimamente nel tessuto delle comunità » seguendo maggiormente le richieste delle comunità
stesse.
6. Eco - Luce. Dopo diversi
rilievi critici, soprattutto relativi alla rubrica « La settimana internazionale », la mancata rettifica di « affermazioni inesatte » o
il « riconoscimento onesto di un
errore », e la difficoltà del linguaggio, la CdE ha espresso parere favorevole sullo « sdoppiamento del giornale » tra Luce e
Eco delle Valli Valdesi, ravvisando nella situazione delle Valli
« un momento particolarmente
favorevole », per la diffusione di
un giornale locale, che per avere
successo non dovrebbe avere
« altra colorazione che quella
F. G.
(continua a pag. 8)
ULTIMO ANNO PRIMA DELL’INTEGRAZIONE
Inizia una Conferenza storica
...Incontraci, dunque, o Signore, ancora oggi con il tuo giudizio e la tua grazia, è questo
incontro che ci mette in crisi e
ci ricostruisce, ci fa chiesa, gente in tutto e per tutto uguale all’altra, ma gente libera di ricevere il senso e la qualità della vita
dal proprio riferimento all'Evangelo di Cristo, dal Regno, restituendoci alla fede, restituendoci
ad un rapporto di amore e di
giustizia con il prossimo, con il
mondo.
Guidaci, dunque, in questi giorni con il tuo giudizio e con la tua
grazia nelle nostre riflessioni,
nelle nostre decisioni perché in
un tempo così aspro, così violento, così difficile possiamo dare
segni della riconciliazione, della
pace, della giustizia e della verità che sono in Cristo Gesù che
fanno di questo mondo un
mondo aperto al futuro un
futuro che oggi non conosciamo, ma che non potrà non sorprenderci perché esso è ormai
inseparabile da Cristo, il Signore
risorto che ci precede. Donaci di
essere chiesa perché il mondo deve sapere. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.
Con queste parole il pastore
Valdo Benecchi della Chiesa metodista di Milano, che presiedeva
il culto di inaugurazione, ha concluso la preghiera con cui l’assemblea dei rappresentanti vaidesi e metodisti riunita nel tempio di Torre Pellice ha invocato
la guida del Signore sui lavori
del Sinodo e della Conferenza.
Un momento, come ogni anno,
denso di significato, nel quadro
RILEGGENDO GANGALE - 6
Il Dio straniero
Nel 1932, a Milano — dove
la casa editrice Doxa s’è trasferita per motivi economici
— esce l’ultimo libro teologico del Gangale, prima del
suo silenzio : un riepilogo dei
mo'oivi e dei temi gangaliani.
Ancora nel 1970 Gangale, in
un’intervista per "Nuovi Tempi” a cura di Giuseppe Pla^
tone, lo considerava il suo
punto d’arrivo.
Il libro si colloca nella scia
delle « Tesi » e di « Apocalissi della cultura » : in esso l’autore intende « chiarire, esprimere in termini di pensiero
ciò che egli crede su Dio:
perciò ha scritto come se parlasse ad Ateniesi del tipo di
quelli da Paolo arringati in
Atti 18: 18-33, come se parlasse, cioè, a gente di cultura
che non crede in nulla e a
cui non si può citare d’autorità nessuna ’verità rivelata’:
poiché ciò significherebbe dare per dimostrato quel che
si deve dimostrare. Questo libro perciò, se parla ad Ateniesi, non può avere nulla da
dire a cristiani che non si ritengono ateniesi: ciò è ovvio». (Spiegazione, p. 5).
I « discorsi » sono sette, e
ricoprono tutto l’arco delle
preoccupazioni di Gangale :
la necessità e l’impossibilità
di un discorso su Dio, il senso del peccato, il rapporto tra
l’uomo e la natura, il significato della storia e del tempo
umano tra passato, presente
e futuro, il fatto dell’incarnazione, il problema trinitario,
il paradosso di Israele e della Chiesa, la predestinazione.
Ma, oltre e accanto ai « discorsi», in questo che è il
più articolato e « ragionato »
tra gli scritti di Gangale ecco comparire sette «poesie»,
sette testimonianze : ed « è
evidente che ogni ’testimonianza’ è una concessione alle platee » (p. 6). Si apre con
questa « concessione » un discorso diverso: non è possibile parlare di Dio solo pacatamente e discorsivamente:
è necessario che ci sia chi
trova il coraggio di dire « io
credo ».________________
Sarebbe ingiusto non rendere conto di questo contributo, di queste poesie che a
Gangale sembrarono sufficienti « a dimostrare che
(l’autore) non è soltanto un
ciceroniano ma anche un cristiano » (p. 6).
Terminiamo citando alcuni versi di « Vox tumuli », datata Milano, autunno 1931,
incontro con Luca 11: 29.
Sergio Ribet
« 0 Liberatore che tardi
a tornare
l’attesa ci stanca e ci perde.
Coi miopi occhi di professore
frugo i tuoi vangeli assorto.
Ho ben regolato il mio cuore :
tanto, che quasi par morto.
Mi narran senza fremito i fogli
la pia vicenda lontana.
Seguo pei grigi colli
giudei questa storia strana
ma smemorato, o forse straniero
attratto da terra lontana
che, giunto, ne cerchi, deluso il
[mistero.
Ma ecco, chi spinge la voce dei
[narratori nell’ombra?
che cosa di vivo si stacca dal testo
[come squillo di tromba?
Si leva come da un giardino di
[tombe
che esploravamo distratti creden[doci soli
tra le erme di morti dei :
« Generazione stolta,
avrai solo il segno di Giona ».
0 Dio nel cuore sepolto
sei tu? tu esisti dunque? tu « sei »?
Oh, liberaci!
del culto solenne, del raccoglimento nell’ascolto della Parola
di Dio, della consacrazione di un
candidato al ministero pastorale
(Antonio Adamo); ma quest’anno un momento particolarmente
importante per i fratelli metodisti. Si apriva infatti per loro
l’ultima Conferenza prima della
conclusione del processo integrativo che vedrà, l’anno prossimo,
la costituzione di un unico Sinodo per le chiese valdese e metodiste.
L’ultima Conferenza metodista
si è così aperta domenica 30 luglio alle ore 21 — dopo la sessione pastorale che si era svolta la
mattina e nel tardo pomeriggio
per gli adempimenti relativi alla
sistemazione del campo di lavoro — con la verifica dei mandati,
l’elezione del Seggio e i messaggi
del Presidente Sergio Aquilante
e del Vice-presidente Giovanni
Ghelli (di cui riferiremo nel prossimo numero).
I lavori sono proceduti a ritmo
serrato durante la giornata di lunedì nella consueta sede dell’Aula Magna del Collegio, prima del
SEGGIO DELLA
CONFERENZA
Presidente: Sergio Aquilante ( Roma ).
Vice-presidente : Giovanni Ghelli (Savona).
Segretario agli atti :
Gian Maria Grimaldi (Padova). Segretari ai verbali: Enos Mannelli, Franco
Carri, Giovanni Carrari,
Fiorenza Panzera, Stefania
Galiucci, Daniela Santi.
la sessione congiunta valdo-metodista che inizia martedì mattina.
In precedenza, nella giornata
di sabato, il Corpo Pastorale congiunto, oltre alla parte relativa
all’esame di fede e sermone di
prova del candidato Adamo (vedi p. 7), aveva dedicato diverse
ore all’esame della Traduzione
Interconfessionale in Lingua Corrente (TILC) del Nuovo Testamento, al lavoro della Commissione sulla liturgia e ad una discussione preliminare sul problema dell’aborto.
Questo è il comunicato preparato
dalle donne presenti al campo studio
di Adelfia (Sicilia) « Donna e creatività », in seguito ai gravi atti di provocazione nei loro confronti :
« Le donne che si sono riunite al
Centro Adelfia di Scoglitti (RA) per
un incontro femminista nazion^e denunciano un grave attentato alla loro
incolumità fìsica. Stanotte, venerdì 28
luglio, è stata incendiata la prima di
una fila di tende che le occupanti avevano appena abbandonato per dormire
nelle camerate, in seguito sàie intimidazioni subite da parte di un gruppo
di maschi-di Scoglitti. Questo episodio è l’ultimo di una serie di violenze
fisiche e verbali che sono state effettuate dai maschi del paese, seguite con
scetticismo di comodo dai carabinieri.
L’incendio, che ha distrutto tutti gli
effetti personali delle compagne, inelusi denaro e documenti, è soltanto
l’intimidazione più appariscente avvenuta in un paese dove il solo fatto di
riunirsi tra donne legittima i terrorismi fisici e psicologici del masc^hio ».
Le conseguenze di questi fatti non
si limitano alle donne presenti al campo, ma si estendono al centro stesso di
Adelfia che in questi anni è stato un
punto di riferimento per quanti hanno voluto approfondire le tematiche
legate alla questione meridionale e
uno spazio di aggregazione per i compagni e fratelli del sud. Per questo
motivo Adelfia non va lasciata sola.
In un momento politico in cui gli spazi per ritrovarsi e confrontarsi si stringono sempre più, i centri evangelici
possono offrire una occasione di incontro e confronto sia politico che di fede, perché la nostra fede va provata
nelle realtà di tutti i giorni, rischiata
nel quotidiano e i campi studi e gli
incontri sono una possibilità per
farlo.
L’oppressione della donna è un
aspetto della violenza di questa società
e pesa violentemente nei rapporti umani; con le altre donne lottiamo
per rovesciarla concretamente e in
questa lotta la fede c’entra perché ci
siamo noi interamente testa e corpo.
Per ciò che riguarda tutti i credenti,
essi non possono fingere che nelle nostre comunità non esista questo tipo
di violenza, sulla quale crediamo sia
urgente interrogarci più di quanto
fatto fino ad ora.
Letizia Tomassone, Paola Taccia,
Enrica Rochan, Bruna Peyrot.
VALLECROSIA
E’ con particolare sentimento di venerazione e di riconoscenza che il 18
luglio u.s. parenti, amici e conoscenti
si sono riuniti sia al mattino all’ospedale di Torre Pellice, sia al pomeriggio nella Cappella del cimitero di Ventimiglia per tributare Testremo saluto alla salma della nostra diletta sorella Frida Jalla mancata all’affetto
dei suoi cari all’età di 83 anni dopo
lunga e penosa malattia. Era in tutti
presente ciò che essa ha fatto e ciò
che essa è stata per intere generazioni
di alunni sia in scuole pubbliche, sia
soprattutto aU’Islituto Femminile Valdese di Vallecrosia, sia ancora privatamente dopo il suo collocamento a
riposo.
Insegnante per vocazione essa ha
messo al servizio di quella sua attività
i doni che il Signore le aveva affidato
con scrupolosa dedizione. Severa nell’esigere disciplina e profitto, equanime nei giudizi, scrupolosa nell’adempimento del suo lavoro essa non ha mirato soltanto ad istruire ma anche ad
educare moralmente e spiritualmente
aiutata in questo dalla sua ferma fede.
Anche la Comunità la ricorda con
particolare riconoscenza per l’assiduità con la quale ne ha frequentato i
culti, per la viva partecipazione a tutte le attività e segnatamente a quella
dell’Unione femminile di cui è stata
sempre sostegno e animatrice.
Rimasta penultima nel ruolo degli
insegnanti emeriti tenuto dalla Tavola valdese, è con commozione che,
con la sua dipartenza, salutiamo in lei
tutta la schiera eletta di quegli insegnanti che tanta parte della loro vita
hanno consacrato all’ insegnamento
nelle nostre scuole evangeliche le
quali hanno avuto un ruolo di particolare importanza nel passato slancio evangelistico della Chiesa valdese.
VENEZIA
L’il U.S. si è brillantemente laureato in Medicina e Chirurgia pressò la
Università di Padova, Daniele Busetto
della nostra chiesa di Venezia.
La comunità si è rallegrata col neodottore.
4
Amsterdam 1948
AGOSTO 1948 - COSTITUZIONE DEL C
Il culto inaugurale dell’Assemblea di Amsterdam, nel corso della
quale, il 23 agosto 1948, fu deliberata la creazione del Consiglio
T
RA Amsterdam 1948 e oggi,
che cosa soprattutto è cambiato?
— È cambiata anzitutto la composizione del Consiglio Ecumenico
delle Chiese. Nel 1948 esso nacque
come organismo costituito per lo
più da chiese protestanti, direttamente o indirettamente derivate
dalla Riforma del XVI secolo. Oggi
il CEC raccoglie altre due componenti fondamentali del cristianesimo contemporaneo: la cristianità
orientale costituita dall’insieme delle chiese ortodosse e le cosiddette
« giovani chiese », cioè le chiese dei
paesi del Terzo Mondo nate dall’attività missionaria di .questi ultimi
due secoli e resesi nel frattempo
quasi tutte indipendenti. L’unica
« grande assente » nel CEC è la
chiesa cattohca: ma si tratta di
un’assenza relativa, più « ufficiale »
che reale, in quanto la chiesa cattolica partecipa a pieno titolo a
una delle più importanti commissioni del CEC, quella dottrinale
(chiamata « Fede e Costituzione »)
e, in maniera più o meno diretta,
a molti altri programmi e iniziative del CEC.
Cambiando la composizione del
CEC sono cambiati anche, rispetto
al 1948, i rapporti di forza al suo
interno e quindi, entro certi limiti,
i contenuti del suo discorso. Quanto meno si pongono oggi altri accenti rispetto a trent’anni fa: sono
gli accenti propri specialmente delle chiese ortodosse e di quelle del
Terzo Mondo. Gli ortodossi insistono sulla centralità della chiesa
come comunità raccolta nella celebrazione liturgica, per cui promuovono un ecumenismo a lunga
scadenza centrato sull’unità eucaristica. Le chiese del Terzo Mondo
sottolineano l’urgenza di un impegno dei cristiani nelle lotte dei loro popoli, per cui promuovono un
ecumenismo imperniato su un progetto di liberazione da vivere subito. Esse sviluppano ormai un discorso teologico originale, diverso
da quello sin qui predominante in
Occidente. Come s’è parlato di
« giovani chiese », così si può oggi
parlare di « giovani teologie » che
si sta.nno affacciando sulla scena
ecumenica. Tutto ciò ha determinato dei cambiamenti notevoli in
seno al CEC che, in questi 30 anni,
è diventato meno protestante nel
senso classico e occidentale del tèrmine, e più ecumenico, cioè più
rappresentativo dell’insieme della
cristianità contemporanea. Il dialogo è diventato molto più complesso e, se si vuole, meno lineare.
Una terza importante differenza
tra il 1948 e oggi è costituita dai
nuovi significati che i termini « ecumenismo » ed « ecumenico » sono
venuti via via assumendo e che si
sono innestati su quelli preesistenti. « Ecumenismo » ed ecumenico »
descrivono oggi ancora l’originario
progetto di riforma delle chiese in
vista della loro unità ma in questi
trent’anni s’è preso coscienza di
due nuovi aspetti della questione:
in primo luogo ci si è resi conto
della correlazione esistente tra la
riforma della chiesa e il cambiamento delta società e tra l’unità
della chiesa e l’unità dell’umanità,
per cui oggi l’orizzonte del movimento ecumenico non è più strettamente ecclesiastico ma abbraccia
— in prospettiva — la società umana nel suo insieme; in secondo luogo trent’anni fa si prescindeva, per
tutta una serie di motivi, dalla
questione dei rapporti con le « grandi religioni » (o « fedi viventi » come oggi si preferisce chiamarleì,
diverse da quella cristiana, nentre
oggi questa questione non può più
essere ignorata: dopo secoli di ignoranza reciproca e di violente polemiche, è tempo di avviare anche
in questo ambito un dialogo i cui
esiti ultimi non possono essere previsti. Non si tratta naturalmente
di voler unificare tutte le religioni
e fonderle in una specie di religione universale valida per tutti; si
tratta di vedere come Cristo è la
verità e l’unità per tutti gli uomini.
Promesse mantenute
— In questi trent’anni quali sono i maggiori risultati raggiunti?
— Il risultato maggiore è senza
dubbio quello di essere riuscito a
raccogliere e a col legare tra loro
in modo permanente tutte le principali espressioni del cristianesimo
contemporaneo. Che chiese tra loro tanto diverse si siano riconosciute a vicenda come chiese sorelle e
siano riuscite non solo a coesistere
in seno al CEC ma anche a crescere insieme e a esprimere linee comuni di testimonianza e di servizio è un fatto di grande rilievo che
non poteva trent’anni fa, essere dato per scontato. Che le tensioni, anche notevoli, presenti in seno al
CEC non lo abbiano sin qui paralizzato e che il movimento ecumenico sia rimasto un movimento e
non sia stato imbrigliato dagli organismi che Io rappresentano (il
CEC in primo luogo), è anche questo un dato positivo che va sottolineato. Si può dire, complessivamente, che il CEC ha mantenuto le
promesse: non voleva essere altro
che un consiglio di chiese, e lo è
stato; non è diventato una superchiesa; non ha scavalcato le chiese né ha leso la loro autonomia; le
ha servite, non le ha dominate. Ma
al tempo stesso il CEC voleva e.ssere una spina nel fianco delle chiese per spronarle alla riforma e all’unità, e anche questo è accaduto: il CEC non si è mai posto .su
posizioni arretrate rispetto a quelle delle chiese, piuttosto le ha sopravanzate, almeno di un po’; certamente non le ha lasciate tranquille ma le ha poste senza tregua
Il Consiglio esiste per
in ogni luogo di essere
Paolo Ricca, rappresentante valdese in « Fede e costituzione », la cc
Consiglio, fanno il punto sui trent’anni di \
di fronte a tutti i maggiori problemi della testimonianza cristiana
nel nostro tempo, inducendole a
uscire non solo dal loro secolare
isolamento ma anche da una certa
incoscienza e da un notevole grado
di presunzione.
Ma c’è una serie di altri risultati
importanti che meritano di essere
rilevati.
a) Anzitutto il CEC è riuscito a
salvaguardare l’unità del movimento ecumenico. Le singole chiese
hanno rinunciato a promuovere
vari ecumenismi confessionali, riconoscendo che esiste un solo movimento ecumenico, di cui il CEC è
10 strumento e l’interprete privilegiato. Persino la chiesa di Roma
ha rinunciato a varare un movimento ecumenico cattolico, parallelo a quello che si esprime attraverso il CEC. È vero, d'altra parte,
che un certo numero di chiese,
grappi e comunità di orientamento fondamentalista hanno dato vita
a una corrente ecumenica critica
nei confronti del CEC, ritenuto
troppo impegnato o compromesso
politicamente e troppo poco vincolato alla norma scritturale. Ma si
tratta appunto più di una corrente
o di una contro-corrente in seno
all’unico movimento ecumenico
piuttosto che di un movimento ecumenico alternativo. Si può dire, in
conclusione, che il CEC, se non ha
finora realizzato l’unità della chiesa, ha però saputo mantenere l’unità del movimento ecumenico. E non
è poco.
b) In secondo luogo il CEC,
pur essendo diventato un’istituzione di proporzioni più che ragguardevoli, è ancora una struttura « di
movimento-:-) che sa individuare e valorizzare ciò che di nuovo esprimono le chiese, che presta attenzione
all’ecumenismo locale tra comunità e grappi di credenti e alle realtà cristiane di base senza lasciarsi
troppo suggestionare dalle prospettive fallaci di un ecumenismo di
vertice, che dà voce in misura notevole alle minoranze cristiane e
alle clJece minoritarie e che riesce
nelTinsieme a mantenere un equilibrio non statico ma creativo tra le
esigenze di continuità care alle
istituzioni ecclesiastiche e le esigenze di riforma che si manifestano in seno ad esse. Il CEC, con
trent'anni alle spalle, non è diventato conservatore, non si è messo
a rimorchio delle chiese e continua
a svolgere nei loro confronti una
funzione di stimolo e di traino.
c) In terzo luogo il CEC ha
trovato la forza e il coraggio di
lanciare programmi controversi come quelli di lotta al razzismo e,
più recentemente di lotta al militarismo, pur sapendo di mettere in
questo modo a repentaglio la sua
unità interna. Il CEC ha dimostrato di saper correre dei rischi e di
non idolatrare l’unità come bene
supremo cui conviene sacrificare
ogni altra esigenza. Varando questi programmi di azione il CEC ha
dato un esempio alle chiese proponendo loro delle iniziative che esse non avevano saputo o voluto
prendere; e ha dimostrato di non
volere un’unità cristiana qualunque ma un’unità qualificata cui non
si giunge senza confiitti e tensioni.
11 CEC insomma non teme il rischio e la polemica e sa che una
unità senza contrasti e contraddizioni ha poche probabilità di essere la vera unità cristiana.
— Quali i fallimenti, gli insuccessi o le occasioni mancate?
— E presto per parlare di fallimenti o anche solo di insuccessi.
Certo, l’unità non è stata realizzata e la riforma delle chiese procede a rilento. Ma da un lato trent’anni non sono molti e dall’altro
c’è da chiedersi se certi ritardi sono da addebitare al CEC o non
piuttosto alle chiese che ne fanno
parte. Se ci sono voluti decenni
per unire due piccole chiese come
quella valdese e metodista in Italia,
non ci si può stupire se non si sono ancora realizzate unità più vaste e certamente molto più difficili.
Alcuni punti oscuri
Non parleremo quindi di fallimenti o di insuccessi ma segnaleremo un paio di punti oscuri o non
sufficientemente chiari, che possono destare qualche legittima preoccupazione.
Il primo è il rapporto con il cattolicesimo romano. C’è una certa
ambiguità nel comportamento della chiesa romana nei confronti del
CEC che quest’ultimo — di buon
grado o no —• sembra aver accettato. La chiesa cattolica ha rifiutato
di entrare a far parte del CEC. Se
essa, in coerenza con questa decisione, rinunciasse del tutto a partecipare alle attività e agli organismi del CEC, i rapporti sarebbero chiari. Ma le cose stanno diversamente: senza essere membro del
CEC la chiesa cattolica vi è presente in misura cospicua. Non ne
condivide la responsabilità ma vi
porta il peso della sua teologia e
della sua imponente istituzione. E
non si tratta solo di iniziative private di singoli cattolici; vi sono
anche partecipazioni a carattere
ufficiale che coinvolgono la chiesa
in quanto tale. L’ambiguità, certo,
non sta dalla parte del CEC, che
però in qualche modo la subisce.
Questa situazione anomala dovrebbe a nostro avviso essere superata
al più presto. Nessuno — sia ben
chiaro — è per così dire, geloso
del CEC che, per la sua stessa natura, è di tutti e aperto a tutti. Ma
appunto si vorrebbe da parte di
tutte le chiese una partecipazione
piena e leale e una completa assunzione di responsabilità.
Il secondo motivo di preoccupazione è costituito dalla teologia di
alcuni documenti ecumenici (ad
esempio quello di Accra su « Battesimo, eucaristia e ministero »), che
dovrebbero esprimere un consenso
interconfessionale intorno a importanti questioni controverse. Qui si
ha l’impressione che il peso delle
varie tradizioni ecclesiastiche abbia nettamente prevalso sulla testimonianza della Scrittura, la cui
autorità non sembra aver avuto un
ruolo decisivo nella stesura del documento. Pur sapendo che c’è nelle
diverse chiese varietà di interpretazioni della Scrittura, ci chiediamo se il CEC non potrebbe e dovrebbe curare di più e meglio il
fondamento biblico di certi suoi discorsi. Restiamo convinti che l’unità cristiana si potrà creare non intorno alla tradizione più comprensiva ma intorno alla parola più vera, che è quella che sgorga dal
messaggio biblico.
— Quali sono i problemi centrali e le prospettive che stanno oggi
di fronte al CEC?
— Ne indicherei tre: a) riuscire
a promuovere su vasta scala l’ecumenismo locale perché è soltanto a partire dalle comunità locali
che si può lentamente costruire
la «chiesa ecumenica»; b) riuscire
a continuare e, se possibile, moltiplicare programmi come quelli di
lotta al razzismo e al militarismo,
malgrado le critiche che li hanno
accompagnati; c) riuscire a convocare un concilio veramente universale, cui partecipino tutte le chiese
e che possa parlare a nome di tutti
i cristiani.
Questa è secondo me la prospectiva ravvicinata del movimento ecumenico: una prospettiva di tipo
conciliare. L’unità non si configura
più come la creazione di un’unica,
grande chiesa ma come l’insieme
delle chiese che imparano a vivere tra loro in comunione conciliare, cioè in una comunione che si
realizza ed esprime in concili locali, regionali e universali. Così ha
vissuto la chiesa dei primi secoli;
così potrebbe vivere la chiesa dei
secoli futuri.
Le tappe principali del
UNA DOMANDA AL NOSTRO RAPPRESENE
Quali sono le prò
15-31 agosto 1978 — La riunione
della commissione plenaria di Fede e Costituzione avrà luogo
a Bangalore (India) dal 15 al 31
agosto 1978. Dopo Accra (1974), i
delegati rifaranno il punto della
posizione delle chiese su Battesimo, Eucarestia e Ministero dopo
l’ampio dibattito a cui anche la nostra chiesa ha partecipato a vari
livelli.
1-11 gennaio 1979 — Si riunirà a
Kingston (Giamaica) il Comitato
Centrale, che sarà particolarmente importante per collocarsi circa
a metà fra un’Assemblea Mondiale (1975) e l’altra (probabilmente
1983). Nell’estate del 1977 il Comitato Centrale ha nominato una
Commissione d’Esame che dovrà
presentare delle proposte, valutan
do il lavoro svolto finora; se tutti
i programmi devono essere mantenuti, quali cambiamenti sono auspicabili a causa degli eventi, quali nuovi programmi sono necessari e come finanziarli.
Luglio 1979 (12-24) — A Cambridge (Mass. USA) una grande conferenza mondiale organizzata da
Chiesa e Società riunirà oltre trecento teologi e scienziati a discutere sul tema : « Fede, Scienza e il
Futuro ».
La conferenza « cercherà il significato della fede in un mondo in
cui scienza e tecnologia sono forze di trasformazione che liberano
e distruggono le persone e i valori umani ». Studierà la sfida che
una società basata largamente su
scienza e tecnologia rivolge alla
5
^NSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE
permettere alla Chiesa
il movimento ecumenico
immissione teologica del CEC, e Philip Potter, Segretario Generale del
rita del CEC e sulle prospettive future
IL movimento ecumenico ha conosciuto un cambiamento di
mare nel corso dei 30 anni che
stanno finendo. Come si può descrivere questa evoluzione?
— Ecco, proviamo a partire dall’immagine della barca ecumenica.
Sui primi disegni il mare è molto
agitato, ma la barca sembra solida, naviga con calma; poi, nel corso degli anni, molta gente sale sulla barca: questa conta oggi pressapoco il doppio delle chiese che
c’erano nel 1948 ; le nuove chiese
sono venute per la maggior parte
dall’Europa orientale e dalle regioni del sud: Africa, Asia, America
latina, Caraibi, Pacifico.
Inoltre trenta anni fa, il conflitto est-ovest sembrava equilibrarsi.
Oggi, il conflitto est-ovest si raddoppia in un conflitto nord-sud e
si estende anche nel sud. Tutto
questo non può non riflettersi anche sul CEC.
Se aggiungete a questo il fatto
che, dopo il Concilio Vaticano II,
la Chiesa cattolica romana si è impegnata molto fermamente nel movimento ecumenico, potete vedere
come questo cambiamento di mare è stato notevole. Mi ricordo per
esempio l’epoca in cui al Consiglio
ecumenico il problema della libertà religiosa era posto in termini di
rifiuto di questa libertà o dai cattolici nei confronti dei protestanti
in America latina, per es., o dagli
stati musulmani nei confronti dei
cristiani.
— Questi cambiamenti hanno rinlorzato il mare?
— Sii, siamo oggi in acque agitate, Se non burrascose, e la barca
teccheggia. Ma certe cose sono rimaste costanti e tra di esse forse
la più importante è la croce, simboleggiata dalla sbarra trasversale
Che taglia l’albero della barca ecumenica. La croce rimane l’elemento che ci tiene tutti insieme ed è
diventata molto reale nella misura
in cui siamo stati forzati di portarla gli uni per gli altri e gli uni
con gli altri in maniera molto concreta.
— Definendo questo cambiamento di mare in modo più preciso si
potrebbe dire che c’è stato uno spostamento dell’interesse ecumenico
dai problemi globaU ai problemi
più locali (identità razziale, spiritualità, sessualità ecc.)?
— Non si tratta di uno spostamento di interessi. Da trenta anni,
constato che c’è una interazione tra
questi due campi. Affrontando i
problemi globali li abbiamo necessariamente visti in un contesto lo
cale, e abbiamo visto ugualmente
che i problemi locali non potevano essere risolti che in ima prospettiva globale. Ma qualunque sia
il punto di vista scelto per definire i problemi, questi hanno tutti
bisogno di una nuova spiritualità,
dell’uomo nuovo. Come ha detto
Carlo Marx, se vogliamo realizzare il cambiamento, abbiamo bisogno di persone nuove. Egli si esprimeva qui nella prospettiva del suo
contesto giudeo-cristiano.
A mio avviso, la situazione è la
seguente : abbiamo dovuto attraversare la prova estremamente penosa e necessaria che porta a scoprire che le strutture, i problemi,
le domande, le crisi, non sono delle cose in sé. Tutti questi fattori
sono creati dalle persone, devono
essere compresi dalle persone e affrontati dalle persone. Allora la
domanda che ci si pone è: quale
genere di persone? Dobbiamo dunque ricondurre queste strutture e
queste istituzioni, queste autorità
e potenze, a una sfera di responsabilità umana. E per questo, abbiamo bisogno di uomini nuovi.
Così, per me, l’Evangelo è più
vivente che mai e le persone sono
esse stesse coscienti che devono
cambiare stile di vita, stile di riflessione, fare l’esperienza del pentimento (metanoia), ritrovare il senso di un coraggio più unito per far
fronte ai problemi del nostro tempo.
Bisogno di spiritualità
— Qual è la tendenza del movi
mento ecumenico nel 1978?
— La tendenza attuale del movimento ecumenico è di non vedere
le cose su vasta scala, ma di riconoscere che in ogni luogo le persone sono chiamate a dar prova di
questo coraggio unito di cui ho appena parlato. E per questo, hanno
bisogno di una spiritualità.
i cammino ecumenico
tNTE NEL COMITATO CENTRALE DEL CEC
ssime scadenze?
teologia e all’etica tradizionali; e
quali sono le basi etiche e teologiche per una visione della natura,
deH’umanità e di Dio che possano
condurre verso una società più
giusta.
Anno 1979 — Il 1979 è stato proclamato dalle Nazioni Unite l’Anno Internazionale del Bambino. Il
Consiglio Mondiale delle Chiese ha
pubblicato una serie di suggerittienti e proposte per invitare le
chiese a parteciparvi, sottolineanio tra l’altro come possibili temi
di riflessione il punto di vista biblico sul bambino, il posto del
bambino nella chiesa, le necessità
dei bambini sia in società ricche
che in quelle povere.
Il Consiglio Mondiale delle Chiese curerà inoltre la pubblicazione
di un testo di H. R. Weber : « Gesù e i bambini ».
Maggio 1980 — Avrà luogo a Melbourne (Australia) l’Assemblea
mondiale organizzata dalla Commissione per la Missione e l’Evangelizzazione, che segue quella di
Bangkok del 1972. Tema : « Il tuo
Regno venga ». Primo passo verso
l’Assemblea è un documento inviato di recente alle 293 chiese del
Consiglio Ecumenico delle Chiese
e a organizzazioni e federazioni ecclesiastiche in oltre cento paesi
per invitare tutti i cristiani a meditare e a partecipare alla ricerca
di che cosa significhi per il mondo
di oggi la venuta del Regno.
Fernanda Comba
L'organizzazione del CEC
1
Le 3 unità di lavoro sono suddivise in diverse commissioni:
I - Fede e testimonianza: Commissione Fede e Costituzione;
Missione ed Evangelizzazione; Chiesa e Società; Dialogo con le
religioni e le ideologie del nostro tempo; Formazione teologica.
II - Giustizia e servizio: Commissione di aiuto interecclesiastico e assistenza ai rifugiati; Partecipazione delle Chiese allo
Sviluppo; Affari internazionali; Programma di lotta contro il
razzismo; Commissione medica cristiana.
La Commissione SODEPAX (Società, Sviluppo e pace) è
l’organismo congiunto che si occupa di problemi della società
ed è formato da rappresentanti della Commissione “Justitia et
Pax” della Chiesa cattolica e da rappresentanti dell’Unità 2 del
CEC.
Ili - Educazione e rinnovamento: Rinnovamento e vita comunitaria; Donne; Gioventù; Educazione.
Ricordate che il capitolo 12 della prima epistola ai Corinzi comincia con queste parole : « A proposito dei doni dello Spirito... » e parla in seguito del corpo e delle sue
membra, della loro integrità e della loro responsabilità le une verso
e per le altre. E il dono più grande, il dono dello Spirito, è l’amore.
Infatti, la cosa più importante che
sia detta sull’amore al capitolo 13
della stessa epistola riguarda la capacità di aprisi gli uni agli altri, di
mantenersi uniti qualsiasi cosa accada. È questo l’amore che dura.
Vedo accadere questo in numerosi piccoli gruppi, in tutto il mondo. Questi gruppi sono in qualche
modo le sorgenti di una nuova effusione dello Spirito di Dio che deve aiutarci a guardarci reciprocamente in modo nuovo e a incitare
le nostre Chiese a una obbedienza
rinnovata all’appello di Dio in vista dell’unità del suo popolo. E questo include il riconoscimento della
diversità delle varie culture, della
ricchezza che possono apportare.
Ritrovo la stessa sete ardente di
questa ricchezza ovunque vado. (...)
— Da dove pensa che il movimento ecumenico tragga la sua
energia oggi?
— Precisamente da questo impegno crescente dei cristiani, dal fatto che non abbiamo più paura di
impegnarci, di sporcarci le mani.
Non penso che le chiese possano
essere accusate, come trenta anni
fa, di essere dei ghetti. Questo non
significa che abbiano abbandonato
tutti i loro atteggiamenti da ghetto, ma penso che sono molto più
aperte, più disposte a esporsi alle
tempeste del nostro tempo. E questo in sé è fonte di energia perché
è quando noi rischiamo noi stessi
nella fede che conosciamo il potere di Dio all’opera nel mondo.
— Tuttavia, in capo a trenta anni, ci sono ancora ampie frazioni
della Chiesa mondiale che di fatto
non sanno molto del Consiglio ecumenico, se mai ne hanno udito parlare. C’è una curiosa ripugnanza a
riconoscere il significato del Consiglio ecumenico. Quali ostacoli secondo lei impediscono che la mano di Dio nei movimento ecumenico sia riconosciuta per quella che
è?
— Ogni movimento di riforma,
di cambiamento, sarà sempre sostenuto da una minoranza e igno
rato dal resto perché le persone
non vogliono cambiare, non vogliono sapere: questo fa parte della vita. A questo si aggiunge il fatto
che, nel movimento ecumenico, siamo stati costretti a riflettere in
modo molto più chiaro, preciso e
radicale alla natura della fede e alla sua espressione nell’azione. E la
maggior parte delle nostre Chiese
non sono state in grado di far fronte a questo. La fede associata all’azione — eccetto nel caso della
morale individuale che le Chiese
possono trattare in una prospettiva quasi giuridica — ha sempre posto un problema diffìcile, e questo
per ogni genere di ragioni politiche, storiche e di altro genere.
In queste condizioni, come possiamo aiutare i cristiani a fare in
modo che la loro fede si manifesti
non solamente in termini familiari, personali, ma anche nella sfera
pubblica, concreta, nei conflitti che
vivono? È questo un compito importante al quale dobbiamo far
fronte.
Il Consiglio ecumenico deve anche fare i conti con il fatto che
molte delle cose migliori che facciamo non possono — e non devono — essere riferite. In conseguenza, ci sarà sempre un elemento di
agnosticismo intorno al Consiglio.
Ma ciò che a mio avviso è molto
più importante, è l’idea che il ino
vimento ecumenico non deve essere visto soltanto come un organismo chiamato Consiglio ecumenico. Il compito del Consiglio è dì
permettere alla Chiesa in ogni luogo di essere il movimento ecumenico.
Centralità della Bibbia
— Il suo impegno personale nel
Consìglio ecumenico abbraccia tutti questi 30 anni. Considerando
questo perìodo, quali sono i momenti che ricorda con più fierezza
e soddisfazione?
— Penso che l’avvenimento più
importante è che le Chiese che erano separate da secoli, in conflitto
le une con le altre, siano riuscite a
vivere insieme e soprattutto ad approfondire e allargare la loro comunione. Oggi esse fanno fronte
in modo molto più chiaro e risoluto ai conflitti che le dividevano nel
passato. Sono state capaci di fare
questo, e anche di mantenere la
loro comunione e di rinforzarla.
Penso che questo sia un grande
miracolo.
Quando per esempio, io che sono delle Antille (e di famiglia per
metà cattolico-romana e per metà
protestante), ho assistito alla recente Assemblea della Conferenza
delle Chiese dei Caraibi, composta
da cattolici e da protestanti, avrei
fatto molta fatica a distinguere gli
uni e gli altri. La comunione che
abbiamo vissuto là, le lotte che
abbiamo potuto condurre, indipendentemente da ogni divisione confessionale, nel contesto della preghiera e della celebrazione, tutto
questo è stato veramente un grande miracolo di Dio per tutti noi.
Direi anche che durante tutti
questi anni la Bibbia ha preso vita
per noi in maniera straordinaria.
Fin dalla partenza, l’abbiamo
considerata come il cuore e il centro del movimento ecumenico : si
è trattato della riscoperta della
Bibbia, della sua unità, della sua
diversità, di tutta la tradizione pro
fetica, ecc. Trenta anni fa ne avevamo una comprensione intellettuale, ma i modi in cui abbiamo
vissuto tutto questo e le teologie
verso le quali ci siamo volti — teologia della liberazione, teologia nera, teologia della speranza in Europa, teologia della speranza e della sofferenza in Asia — sono tutte
centrate sulla Bibbia, (...)
— In avvenire, quali sono i problemi che secondo lei preoccuperanno probabilmente il movimento
ecumenico?
— Penso che i problemi critici
si situano per noi a due livelli. Prima di tutto la società giusta, con
la partecipazione di tutti, in cui saremmo capaci di conservare le risorse della creazione a vantaggio
di tutti. Questo include il nuovo
ordine economico internazionale, le
società multinazionali, i diritti dell’Uomo, la questione del militarismo, il ruolo della scienza e della
tecnologia e di altre questioni analoghe, tutte estremamente delicate,
che ci impegnano nel più profondo
della nostra esistenza. Esse creeranno molti conflitti e pertanto è
necessario che le affrontiamo risolutamente perché vi siamo immersi e non possiamo scegliere di
uscirne.
Inoltre, per essere effettivamente
impegnati in questi problemi dobbiamo scoprire la realtà e il potere formidabile della comimità cristiana, che è una parte della comunità mondiale dei popoli. (...)
(dall’intervista pubblicata sull’ultimo numero della rivista del
CEC One World).
6
4 agosto 1978
cronaca delle valli
ALLE VALLI OGGI
IL DESTINO DELLE ’’BAITE” DELL’ALTA VALLE: INTERVISTA A PERROT
Vacanze Alpeggi in via d’estinzione?
di
qualità
Molti ricoveri dei margari dell’alpe stanno andando in rovina -1 proprietari degli alpeggi sono
di fronte a costi proibitivi per il restauro dei ricoveri estivi
Rileggendo la lista degli ospriti
stranieri al Sinodo (vedi EcoLuce n. 30) ho la netta impressione che questa lista si allunghi sensibilmente di anno in anno. Stessa impressione l’ho avuta durante quest’ultimo mese
che m’è parso eccezionale come
afflusso di gruppi o singole persone, provenienti dall’estero, in
visita alle Valli. Se dovessi tirare, in quattro e quattr’otto, un
bilancio del movimento turistico
nell’ultimo mese, direi che gli
avventisti (anche spagnoli) sono, tra i visitatori, al primo posto, mentre i battisti all’ultimo.
In mezzo metterei i luterani e i
riformati belgi e francesi. Gli
itinerari spesso sono già precedentemente concordati: Museo
Valdese, Val d’Angrogna, Bobbio, Rorà, Agape... con molte
conversazioni fitte di domande.
E sono proprio queste conversazioni, mi sembra, che costituiscono l’aspetto più interessante in cui veramente si stabilisce un intreccio di curiosità e
di confronto. Ritengo che nei
prossimi anni la nostra chiesa
dovrà dedicare forze maggiori
delle attuali nel campo dell’accoglienza. Proprio perché in questo settore esiste tutta una grande possibilità di contatti e di
arricchimento reciproco. Mentre
scrivo mi viene in mente la bella figura di Giazzi, recentemente scomparso a Torre Pellice,
che aveva dedicato tutte le energie dei suoi ultimi anni ad accompagnare, spiegare e presentare le Valli agli stranieri (tra
l’altro lo sapeva fare molto bene).
Evidentemente questo piccolo
popolo valdese interessa. Mi auguro che quest’ultima affermazione non suoni trionfalista. Interessa la sua storia (non a caso l’ultima guida del Touring
Club Italiano sugli "Itinerari
umani” ha inserito, con buona
documentazione, un capitolo sulle Valli Valdesi) e per chi è protestante all’estero interessa sapere come ce la caviamo in terra cattolica. Ma c’è anche chi
non s’accontenta di fare del semplice turismo (anche se di tipo
storico e quindi turismo qualificato) e vuole fare di più. Mi riferisco a quei giovani evangelici
stranieri che hanno organizzato
campi di lavoro alle Valli per
rendersi utili alla popolazione e
per conoscere più da vicino la
nostra realtà. Di questi campi
ce ne sono stati nel passato ed
anche in questi mesi. Si tratta,
per usare un termine alla moda, di “vacanze alternative", fuori dalle regole consumistiche, in
cui non soltanto si lavora ma si
discute, ci si conosce e si stabiliscono dei contatti più profondi che non quelli delle rapide
visite guidate. Si sa che nelle
Valli Agape ha sempre detenuto
il primato delle "vacanze alternative". È chiaro che non può
essere altrimenti per ovvi motivi legati sia alla sua fama internazionale sia alla sua organizzazione. Ma esistono altre possibilità e altri luoghi, le comunità stesse, per esempio, in cui
realizzare il binomio studio e lavoro, o lavoro e turismo (o qualche altra combinazione). Le richieste dall’estero in questo senso non mancano; come non mancano, da Prarostino a Massello,
luoghi turisticamente validi. Si
tratta di trovare un lavoro che
esprima un minimo di bisogno
collettivo (una strada, un muraglione, danni naturali...) e il
contò torna.
Credo che promuovendo attività di questo tipo si offrirà una
possibilità in più alla nostra
gente di conoscere più da vicino
e meglio mentalità diverse dalla
nostra. Senza contare che un lavoro portato a termine e che risponda ad esigenze della popolazione è il miglior ricordo che
si possa lasciare.
G. Platone
Lo spopolamento delle zone
alpine ha portato come conseguenza anche l’abbandono di attività tradizionali, prima fra tutte l’allevamento del bestiame.
Gli alpeggi che non sono più
sfruttati dalla gente del posto
ritornano allo stato selvaggio
oppure, nei casi più felici, vengono dati in affitto ad allevatori della pianura.
Abbiamo chiesto alcune informazioni a questo riguardo al
dott. Renzo Perrot, veterinario,
che lavora anche per il servizio agricolo della Comunità
Montana Chisone e Germanasca.
— Si è parlato molto, in questi ultimi tempi, della ristrutturazione degli alpeggi. Perché?
— Se ne parla perché in
campo zootecnico è una risorsa
naturale che la montagna ha in
più della pianura ed è una risorsa a poco costo. Il premio di
monticazione dato dalla Regione copre normalmente le spese
di affitto, per cui chi sale ad
un alpeggio si trova ad avere
per quattro mesi il bestiame
alimentato. Queste risorse non
sono però illimitate, perciò è
anche importante non sovraccaricare i pascoli di bestiame per
aumentare il guadagno e provvedere dove è possibile alla fertirrigazione, utilizzando i liquami prodotti dagli animali stessi.
In genere questa operazione si
fa in autunno, prima di scendere a valle.
— A chi vengono affittati normalmente gli alpeggi?
— Il margaro, il « bergìe »,
normalmente viene dalla pianura intorno a Torino e non possiede terreni, ma ha soltanto bestiame. Per l’inverno affitta una
cascina comperando anche il fieno e la paglia e firma il contratto rii novembre, giorno di San
Martino. Poi affitta ancora i
prati per far pascolare le bestie
in autunno e in primavera. In
estate i margari salgono all’alpe: una volta facevano tutto il
viaggio a piedi, ora trasportano
gli animali con i camion.
Queste persone conoscono
molto bene il loro mestiere e sono degli esperti mungitori; pro
ducono burro, ricotta e il solito
formaggio, la « toummo », ma le
loro conoscenze sovente non
vanno più in là. Per esempio,
non si preoccupano di migliorare il foraggio. A differenza del
montanaro, non sanno fabbricarsi gli attrezzi né tanto meno
costruire o riadattare le stalle.
E siccome cambiano spesso ambiente, non hanno nemmeno interesse a spendere tempo e denaro per aggiustarle.
Ora si ha il movimento verso
l’alpeggio anche da parte di proprietari di cascine, i quali a volte sono proprio gli stessi margari che con una vita di strette
economie si sono fatti i soldi e
hanno comperato la terra.
— Questo va bene per chi viene da fuori. Ma ci sono possibilità per gli allevatori locali?
— Gli allevatori della nostra
zona sono per lo più piccoli proprietari che spesso svolgono anche un’altra attività e hanno
quindi poche bestie. Ma da soli
è impossibile cavarsela. Esiste
invece la possibilità di associarsi per portare all’alpeggio un
COMUNITÀ’ MONTANA VALLI CHISONE E GERMANASCA
Piano neve e interventi
nei settore agricoio
Sgombero della neve e programma di interventi nel settore agricoltura per il 1978: due temi importanti"affrontati in un recente Consiglio della Comunità Montana Valli Chisone e Germanasca
Sul primo tema, relazione dell’assessore Bouohard. Ecco i punti essenziali:
— ¡Dopo una prima serie di acquisti di UNIMOG (automezzo
fuori strada con una notevole
gamma di possibilità, dallo
sgombero neve al sommovimento terra, al trasporto) per il servizio nei comuni dell’alta valle,
si sta ora affrontando la seconda
fase per dar modo di rispondere
alle esigenze dei comuni di media valle. Es. Inverso Pinasca,
composta di 25 borgate tutte
abitate.
La Comunità Montana aveva
privilegiato l’acquisto di UNIMOG, date le sue molteplici applicazioni e la facilità di conduzione. L’UNIMOG ha però bisogno di un certo spazio per muoversi e non rende più quando si
affrontano strade piccole e in
terra battuta che solitamente
raggiungono le frazioni. Per cui
ecco affacciarsi la richiesta di
pale gommate e di trattori che
hanno invece bisogno di conduttori con maggiore esperienza.
La proposta totale di spesa è
di 130 milioni.
A questo punto riaffiora il problema che a fianco del parco
macchine vi siano anche gli uomini in grado di condurle e di
curarne la manutenzione. Ed ancora, che le attrezzature assai
costose non rimangano inutilizzate nei mesi estivi. La decisione
presa tempo addietro di lasciare in proprietà ai Comuni dell’alta valle gli UNIMOG attualmente funzionanti, cozzerebbe
con la richiesta fatta da più parti di fare una seria programmazione di utilizzo sia invernale
che estivo; eventualmente studiando programmi da attuarsi
fra zone o comuni contigui. Il
problema è grosso poiché per la
sua attuazione è necessaria non
una visione privatistica (il mezzo è mio e lo uso come mi pare)
ma delle necessità dell’intera
vallata. Solo così si avranno vantaggi tenendo le spese sotto controllo. Alla Giunta della Comunità Montana che ha il compito di
presentare un suo primo programma entro settembre è stato
proposto di affiancare una commissione di persone esperte nella conduzione e nell’utilizzo delle attrezzature.
Agricoltura
Passando al piano di interventi per il 1978 nel settore agricoltura, il Consiglio ha ascoltato le
proposte elaborate dai tecnici
Bounous e Perrot e fatte proprie
dalla Giunta. Il piano è composto di 7 capitoli:
— Acquisto di capi ovini e caprini atti a migliorarne la razza.
— Acquisto di bovine gravide di
razza.
— Contributi per la piccola meccanizzazione (escluso l’acquisto di trattori) per gruppi di
almeno 5 piccole aziende disposte ad associarsi.
— Interventi per la maggior diffusione di colture officinali e
piccoli frutti.
— Contributo nel settore apicoltura per l’acquisto di fogli cerei sterili.
— Analisi della composizione
dei terreni destinati a foraggiere per correggerli e migliorarne le rese.
Interventi in favore degli alpeggi con un loro censimento
e la costituzione di consorzi.
La spesa globale per questi interventi si aggirerà sui 60 milioni.
La discussione seguente è servita a chiarire punto per punto i
problemi incontrati e le motivazioni delle scelte. Il concetto che
ha ispirato il piano è il seguente:
riportare con miglioramenti sulle razze e sulle culture erbacee
il livello di qualità nella produzione della carne e del latte a
valori di resa qualificati, favorendo la cooperazione fra gli interessati.
A complemento del settore primario deH’allevamento, puntare
su produzioni (piante officinali,
piccoli frutti) che utilizzando in
parte terreni già coltivati od al
tri, ora incolti, danno rese superiori alle attuali culture (es. patate).
Ridare fiducia a chi in zona
montana daU’agricoltura ricava
il suo reddito, non è tm problema facile dopo che per decenni
l’agricoltura è rimasta buona ultima nella programmazione italiana. Tuttavia, le sperimentazioni avviate in vallata con la cooperativa del latte e le nuove culture stanno dando risultati soddisfacenti per cui è lecito sperare.
A. L.
certo numero di capi, ovviamente prevedendo dei turni. Oppure un allevatore solo può farsi
affidare altro bestiame da pascolare col suo. Ma questa è la
soluzione meno consigliabile.
— Sono numerosi gli alpeggi
che possono ancora essere utilizzati?
— In vai Chisone se ne trovano parecchi, ma alcuni hanno
dei ricoveri o delle abitazioni
molto deteriorate che bisognerebbe mantenere in buono stato. Molto spesso ci sono problemi per l’acqua potabile e questo
influisce sulle condizioni igieniche della lavorazione del latte.
Anche la strada carrozzabile è
fondamentale per la preferenza
negli affitti, però tracciare una
strada in certe zone è a volte un
grosso errore. Le strade che
servono soltanto agli alpeggi dovrebbero essere sbarrate soprattutto nei giorni festivi, per evitare che i turisti salgano e lascino rifiuti nei prati. Tutti gli
anni qualche mucca muore per
aver ingoiato sacchetti di plastica o scatolette abbandonati nell’erba.
Per la difesa del suolo montano è più utile il proprietario
che il margaro, perché il primo
ha tutto l’interesse a migliorare
l’alpeggio. Anche i proprietari
in corsorzio possono dedicare
un paio di settimane in primavera ai lavori di restauro dello
costruzioni.
— Vi sono state richieste di
contributi aila Regione?
— Per ora hanno fatto domanda i consorzi Muret e Bodà-Col in vai Germanasca. Adesso per costruire ci vuole il parere favorevole della Comunità
Montana perché la Regione vuole sapere se il progetto si inserisce nel piano di sviluppo. Per
gli alpeggi comunali la ristrutturazione dovrebbe essere a carico del Comune. Ma si tratta
di cifre molto elevate che non
sono alla portata di un piccolo
Comune di montagna. Ed è un
vero peccato che un simile patrimonio naturale resti inutilizzato perché è innegabile che il
bestiame ha una resa migliore
se può trascorrere un certo periodo dell’anno pascolando all’aperto e tanto più in alta montagna.
(intervista a cura di
A. Lungo e L. Viglielmo)
FRALI
Edilizia e scuola materna
Edilizia e lavori pubblici sono
sempre argomenti che gli amministratori di Prali si trovano
davanti nelle sedute di Consiglio.
Nell’ultima riunione del 24 luglio sono stati deliberati, in adempimento agli obblighi della
legge urbanistica, i contributi
relativi ai costi di costruzione
per chi vuole edificare o riadattare abitazioni al di fuori dei casi di gratuità (piccoli lavori di
manutenzione e di restauro che
non modifichino la destinazione
della costruzione). L’anno scorso era stata deliberata l’altra
parte del contributo, relativo
alle opere di urbanizzazione.
Sono stati anche approvati i
progetti riguardanti opere danneggiate dall’alluvione dell’anno scorso, per una somma di
86 milioni e mezzo. Con il contributo della Regione verranno
sistemati i torrenti di Malzat e
del Nido dell’Orso, i ponti di
Orgere e di Ribba, il canale del
mulino di Villa e l’acquedotto
di Rodoretto. Inoltre verranno
installate o modificate undici
lampade pubbliche, attrezzato
un parco giochi per la frazione
di Villa e costruito il campo di
tennis al capoluogo.
Una questione del tutto nuova, invece, che il Consiglio ha
dovuto esaminare è stata l’istituzione della scuola materna
statale. Se in questo caso al Comune è stato tolto l’onere del
pagamento del personale che diventa compito dello Stato, in
cambio gli si chiede di provvedere al trasporto e alla refezione dei bambini.
Così; è stato necessario deliberare l’acquisto di im automezzo di cui il Comune di
Prali era finora sprovvisto, per
raccogliere nella sede della scuola materna i bambini sparpagliati su un vasto territorio. I genitori che hanno iscritto i bambini sono stati interpellati anche
riguardo all’orario e al calendario preferiti. È emerso, in modo
abbastanza netto, il desiderio di
poter usufruire di questo servizio anche nei mesi estivi, quando il lavoro delle famiglie è più
intenso. Una scuola aperta nella bella stagione comporta un
minor numero di problemi per
il trasporto, che, a Prali in modo particolare, è reso difficile
per gran parte dell’inverno dalle forti nevicate.
L. V.
7
4 agosto 1978
CRONACA DELLE VALLI
______TORRE PELLICE: ESAME DI FEDE DI ANTONIO ADAMO 'i
Una testimonianza
semplice e franca
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIHIII1ÜI
Incontro del XV agosto
Riferendo lo scorso anno sui
candidati al ministero pastorale
che si presentavano all’esame di
fede, si diceva di un fratello e di
due sorelle che erano giunti a
questo servizio attraverso strade
diverse da quella un tempo consueta. Anche quest’anno, in un
certo senso, il Corpo Pastorale
ha incontrato un fratello la cui
vicenda spirituale non ha nulla
di tradizionale. Antonio Adamo
ha testimoniato infatti, davanti
al Corpo Pastorale riunito sabato 29 luglio, che la sua decisione
trova le sue radici essenzialmente nella sua conversione all’Evangelo.
Il suo entrare a far parte della
Chiesa Valdese di Torino negli
anni non lontani della sua giovinezza, proveniente dal cattolicesimo, e la lettura della Bibbia,
per la prima volta nella sua vita,
che ne è logicamente conseguita,
sono stati per lui un’esperienza
liberante. E da questa esperienza liberante è nata immediatamente un’esigenza di predicazione che lo ha condotto, dopo aver superato con costanza varie
difficoltà anche non trascurabili,
alla scelta del servizio pastorale
a pieno tempo nella nostra chiesa come la via che avrebbe potuto dare una risposta adeguata
a quelTesigenza fortemente avvertita.
Per questo alla tradizionale
domanda sulla vocazione che il
corpo pastorale gli ha posto tra
le altre, Antonio Adamo ha risposto con semplicità, ma anche
senza incertezze, che egli ha
chiesto di essere pastore per predicare TEvangelo e di non sapere
né potere aggiungere a questo
molto di più.
E poiché un’altra domanda riguardava il tema del ravvedimento e della speranza è apparso chiaro dalla risposta che Antonio Adamo intende questa predicazione soprattutto come appello al ravvedimento. Il ravvedimento è possibile, ha detto il
candidato, iperché Dio, in Cristo,
si è avvicinato agli uomini, sicché si può far posto nel mondo
all’amore di Dio. E il ravvedimento ha in sé un dinamismo
eccezionale per cambiare gli uomini e le cose. D’altra parte, predicare TEvangelo vuol dire rendere conto a tutti della nostra
speranza ed è questa speranza
Adamo
ex francescano?
« L’Eco del Chisone » presentando il candidato Antonio Adamo ha scritto: « Antonio Adamo, passato dalTumile sequela
di Francesco al valdismo ». Il redattore è incorso in una svista,
perché Tunico rapporto che Antonio Adamo ha avuto con la
Chiesa Cattolica è stato il battesimo che all’età di 25 giorni
gli fu impartito nel 1949.
Egli è diventato un credente
nella Chiesa Valdese e non è mai
stato seguace di Francesco.
che ci spinge a parlare con franchezza.
Una terza domanda chiedeva
al candidato di precisare la sua
posizione di fronte al problema
dell’ispirazione delle Scritture.
La risposta di Antonio Adamo
ci pare aver mostrato chiaramente che egli non intende questa predicazione del ravvedimento in termini astratti, generici,
disincarnati (il tema scelto per
la sua tesi, « Tatteggiamento della Chiesa Valdese durante la prima guerra mondiale» sembra del
resto confermarlo). Questa risposta potrebbe essere sintetizzata
così: « critica biblica e preghiera ». La critica biblica è nella
linea di uno studio protestante
della Scrittura, per evitare che
essa si trasformi in un codice e
per ricercare in ogni modo in essa la Parola di Dio. C’è dunque il
dovere di usare gli strumenti della critica. Ma in questa ricerca
non siamo soli, c’è con noi lo
Spirito Santo che è il vero interprete della Scrittura. Per questo
la preghiera del credente è altrettanto essenziale per cogliere
nella Bibbia quella Parola di Dio
che siamo chiamati a predicare.
Antonio Adamo, che il corpo
pastorale ha approvato dopo il
sermone di prova nel nomeriggio di sabato nel tempio del
Ciabas di Luserna San Giovanni, predicherà, ne siamo certi,
quella Parola con impegno, con
fedeltà ed anche con convinzione: il che non è poco in tempi di
dubbi e di incertezze.
Franco Becchino
ROR A’
• Lunedì, 24 ha avuto luogo
un’assemblea pubblica promossa dal Comune per discutere alcuni problemi di interesse comunitario.
Innanzitutto la questione della scuola materna. Rorà è l’unico comune della Val Pellice a
non avere una scuola materna:
i bambini sono pochi, oltretutto
mancano i locali e così, l’unica
possibilità è quella di portarli
giù a valle. Sinora ciascuno ha
risolto per sé il problema; ora
si tratta di organizzare il trasporto in accordo con il comune che ha un servizio di scuolabus per i ragazzi delle elementari e delle medie. Il problema
da risolvere è ora quello di una
persona che accompagni i bambini sul pulmino.
Il secondo punto concerneva
la richiesta di un Parco Robinson per Testate per permettere
ai bambini ulteriori momenti di
socializzazione. L’esperienza fatta nel passato è però stata deludente in quanto si è visto che
le famiglie di Rorà non mandavano t loro figli al Parco e così
era un servizio quasi esclusivamente per i bambini dei turisti
che non hanno certo le stesse
necessità di bambini che vivono
tutto Tanno in montagna. Si
tratterà ora di verificare la disponibilità o meno delle famiglie a questa iniziativa.
Infine, il terzo punto, la sistemazione del parco giochi. La
Pro loco ha ampliato e completamente rifatto i giochi da bocce; si tratta ora di completare
la sistemazione della piazza per
permettere ai bambini di avere
un loro spazio per giocare.
Due altri punti sono ancora
stati brevemente discussi: quello della raccolta rifiuti a cui si
dovrà trovare nel futuro una sistemazione diversa (ora vengogono ribaltati lungo una riva) e
quello del costante pericolo nel
paese per la velocità di macchine e moto. Si renderà necessario un maggiore controllo così,
come occorrerà controllare i
dannosi rumori delle motorette
che disturbano continuamente.
• Intanto proseguono i lavori
di ripristino dei danni causati
dall’alluvione dello scorso anno:
è stato terminato Tallargamento della sede stradale in via Gianavello, è stata rifatta la cunetta per lo scolo dell’acqua alla
Rounc e si sta ora ultimando la
riparazione della bialera di Ciò
la Vaccia.
In vista del XV agosto si è
provveduto anche alla sistemazione di nuovi spazi per il parcheggio in zona Bric e sistemata la strada di accesso in più
punti.
• Domenica 6 agosto alle ore
15 riunione all’aperto in località
Rumer (scuola).
TORRE PELLICE
Mostra d'arte
La Mostra d’Arte Contemporanea di Torre Pellice sarà inaugurata sabato 5 agosto 1978 - alle ore
17.30 - nei locali scolastici
di viale Dante.
Si rammenta che la mostra durerà fino al 27 agosto; che l’ingresso è libero; che l’orario delle visite è: tutti i giorni dalle
ore 16 alle ore 19.
Dibattito suH’Eco - Luce
Al fine
— di stabilire un maggiore contatto con i rappresentanti delie chiese valdesi e metodiste e in generale con i
lettori,
— di raccogliere suggerimenti, critiche, idee, proposte,
— di promuovere e migliorare la diffusione del giornale all’interno e all’esterno delle nostre chiese,
LA REDAZIONE DELL’ECO - LUCE
invita chiunque sia interessato
ad un pubblico incontro che si terrà
SABATO 5 AGOSTO
ore 9,30-12
nella biblioteca della Casa valdese di Torre Pellice.
Il tradizionale incontro
del XV agosto si terrà
quest’anno a Rorà (in località Bric).
Il programma prevede:
ore 10: Culto, con predicazione del prof. Valdo
Vinay ;
ore 10.45 : Presentazionedibattito di come varie
generazioni hanno sentito e vissuto il problema
dell’etica ; parteciperanno, tra gli altri, il past.
Alberto Ribet e il prof.
Giovanni Gönnet;
ore 14: Messaggio del moderatore.
— Alcuni cenni su ;Rorà,
nella storia e oggi.
— Presentazione, a cura
delle Comunità Montane Val Pellice e Valli
Chisone - Germanasca,
dei servizi consultoriali. Interverranno anche
alcune voci in rappresentanza degli utenti.
La CED
Per la giornata del XV
la comunità di Rorà assicura i seguenti servizi :
a) servizio di parcheggio
(osservare le indicazioni
dei responsabili); b) servizio ristoro (bibite, caffè, thè); c) minestra di
verdura per chi lo desidera; d) torte e dolci. Tutti
questi servizi inizieranno
dopo il culto.
La comunità allestirà il
bazar annuale con la vendita di quanto è stato preparato durante il corso
dell’anno a cura delTiinione femminile e di altre
sorelle e fratelli. In caso
di cattivo tempo il bazar
sarà preparato nella sala
delle attività e l’incontro
si terrà nel tempio.
L’accesso al Bric è semplice: uscendo dal villaggio si prosegue dritto seguendo le segnalazioni. Si
suggerisce, a chi ha buone gambe, di parcheggiare
nel paese e proseguire a
piedi (20 minuti).
Illllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllilillllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllll<llllllllll»>ll»l
PERSONALIA
Rallegramenti e auguri all’impaginatore del nostro giornale,
Piero Granerò, e a sua moglie
Carla per la nascita del loro
primogenito Damele.
Servizio medico
Dal 5 alTll agosto fa servizio
il dott. Marinaro - tei. 90.036.
SAN SECONDO
• Domenica 30 luglio è stato
battezzato Gino Griglio di Marco e. di Edina Ricca (Rivoira).
La Comunità rinnova il suo augurio e la sua preghiera.
• Ci congratuliamo con Piero
Ribet (erotta) per il conseguimento della maturità classica e
con quanti altri hanno superato
i loro esami con successo.
• Ricordiamo l’Assemblea di
Chiesa, domenica 6 agosto ed il
Bazar annuo della chiesa di San
Secondo, domenica 20 agosto.
POMARETTO
ANGROGNA
Domenica 30 luglio sono state
battezzate : Manuela Ribet di
Dino e Peyronel Estella della
Marotera di Pinasca, e Monica
Ribet di Carlo e Breuza Ornella di Pomaretto. Voglia il Signore accompagnare con la sua
grazia queste bimbe affinché
possano un giorno comprendere
e vivere il senso del loro battesimo, e voglia aiutare i loro genitori a mantenere le loro promesse.
Rifugio Carlo Alberto
Luserna San Giovanni
La tradizionale
Giornata
del Rifugio
avrà luogo nel pomeriggio
di domenica 6 agosto.
Tutti sono cordialmente invitati.
BOBBIO PELLICE
Ringraziamo il nostro fratello
Dino Gardiol che ha presieduto il culto della domenica 23 luglio in assenza del past. Bellion.
Domenica 30 luglio si sono
uniti in matrimonio Gianfranco
Carignano, di Bagnolo Piemonte, e Maria Angela Meyron (Beisilia). Agli sposi che si stabiliranno a Bobbio la chiesa rinnova i suoi auguri.
Doni ricevuti
daila CiOV
nel mese di aprile 1978
PER ASILO DEI VECCHI
DI SAN GERMANO CHISONE
L. 2.000: Roncaglione Giovanni.
l. 5.000: Canale Aldo; Avondet Irene ricordando Ivonne Balmas; Alma
Pons in memoria di Aline Pons.
l. 10.000: Brizzi Malan Giovanna
(Ivrea); Roncaglione Bruno; Roncaglione Carlo; Leuzinger Evelina; Bertarione Bice; N.N. (Ivrea); Rita, Ettore e
Orazio ricordando tanta ivonne; Alma
e Nida Pons in mem. di Emma e Corrado; Romano Alberto In mem. dei Cari Defunti (Luserna S. Giovanni).
L. 14.000: Un gruppo di impiegati
dell'ospedale E. Agnelli in mem. della
mamma di ina Balmas.
L. 15.000: Le compagne di lavoro in
mem. della compianta Corrà Anna Maria. .
L. 20.000: N.N. (Ivrea).
L. 30.000: Ada e Aldo Griot, un fiore per la cara mamma. Mamma Ricca,
Rita e Rico in mem. di Ivonne Balmas;
Comitato Assistenza Chiesa Valdese di
Torino.
L. 40.000: Il marito in mem. di Ivonne Balmas; famiglie Beux (Gaydou) in
ricordo di tanta Ivonne.
L. 50.000: C.C.B. con riconoscenza.
L. 105.500; Uni one Valdese di Parigi.
PER RIFUGIO RE CARLO ALBERTO
L. 2.000: Perette Carolina ved. Roncaglione (Pont Canavese).
L. 3.000: Gianassi ReveI Emilia (Casteilamonte).
L. 5.000: Marangoni Ferdinando e
Lina (Ivrea); Roncaglione Carlo; Durand Virginia vedova Rivoira nelTanniversario morte del marito.
Ricordiamo che domenica 6
agosto, alle ore 15, avremo il
culto all’aperto al Bagnau (tempo permettendo) con un’ampia
informazione sui lavori del Sinodo. Il prossimo culto all’aperto sarà, sempre al Bagnau, alle
ore 15 di domenica 20 agosto.
Raccomandiamo vivamente la
partecipazione a questi momenti comunitari che sinora hanno
registrato una buona presenza.
Ili CIRCUITO
Domenica 6 agosto 1978,
ore 14.30
Riunione al Colle
delle Fontane
La tradizionale riunione
viene quest’anno estesa a
tutte le comunità del Circuito.
Il pastore Sergio Ribet
introdurrà la discussione
sul problema giovanile alle Valli.
Hanno collaborato a questo
numero: Angelo Busetto, Dino Ciesch, Donatella Ciesch,
Franco Davite, Guido Mathieu Mitzi Menusan,
AVVISI ECONOMICI
CONIUGI soli cercano coppia mezza
età senza figli, moglie lavori domestici escluso cucina, marito turnista
o pensionato. Buon stipendio, alloggio indipendente. Telefonare Torino 65.50.90.
ISTITUTO GOULD DI FIRENZE ri
cerca per l’attività del Convitto educatori-educatrici qualificati o tirocinanti disposti esperienza lavori di
gruppo con bambini anche handicappati. Necessaria conoscenza psicopedagogica teorica e possibilmente pratica, disponibilità ed interesse sui temi educativi. Offresi : retribuzione, vitto, alloggio, assicurazioni di legge. Scrivere dettagliatamente indicando anche eventuali esperienze precedenti di lavoro a : Istituto Gould - Via dei Serragli 49 50124 Firenze.
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Nichelino, tei. (Oli) 62.70.463.
RINGRAZIAMENTO
La famiglia del compianto
Ernesto Long
riconoscente per le numerose espre.ssioni di simpatia ricevute ringrazia di
cuore i dottori Ciancio e Grillo, il
pastore Ayassot e tutti coloro che le
sono stati vicini nella triste circostanza.
Pinerolo, 27 luglio 1978
8
8
4 agosto 1978
UN DOCUMENTO CHE CONCERNE ANCHE I NOSTRI FRATELLI - LA TESTIMONIANZA DI UN ESULE_
5 anni di dittatura in Uruguay Un valdese in esilio
Il documento che pubblichiamo, con il pensiero
rivolto ai nostri fratelli uruguayani porta la firma
di tutti i capigruppo del Senato più quelle della
sen. r. Carettoni (vice-pres. del Senato), del sen.
A. Murmura (pres. comm. affari costituzionali), dei
sen. Pasti e Vinay. Esso porta inoltre la firma dei
stndaci di alcune delle principali città italiane (Roma, Firenze, Venezia) e di alcuni artisti di fama.
Il 27 giugno 1973 un colpo di
stato impose in Uruguay una
dittatura fascista, la quale ha
gettato il Paese nella peggiore
crisi economico-sociale, politica
e culturale di tutta la sua storia.
Cinque anni di dittatura possono essere riassunti nei seguenti dati: settemila prigionieri politici (imo su ogni 400 abitanti!), 700.000 emigrati (su due
milioni settecentomila di popolazione totale), il passaggio di
circa 70.000 persone per le carceri. La tortura usata in modo
brutale, massiccio, è costata la
vita a decine di uomini e donne. L’intera vita nazionale è stata travolta e schiacciata sotto
questa valanga repressiva. La
Costituzione Nazionale e tutto
l’ordinamento giuridico sono
scomparsi. I partiti politici sospesi o proscritti, il Parlamentc soppresso, chiusa la stampa
indipendente, il Potere Giudiziario subordinato all’Esecutivo e
in particolare alle Forze Armate, sospesi i diritti politici di 15
mila cittadini. La cultura ha subito in tutte le sue espressioni
la furia della dittatura. L’università e tutti i rami deU’insegnamento messi sotto controllo,
docenti e ricercatori in prigione
o costretti ad emigrare, vietata
la diffusione di decine di autori
e mandati al rogo i loro libri,
teatri chiusi, la letteratura nazionale costretta al silenzio o all’esilio. Le profonde e ricche
tradizioni culturali ed artistiche del popolo uruguaiano, frutto di un limgo processo democratico, sono state devastate dall’opera del regime. Questo capitolo particolarmente drammatico e che mette in pericolo l’entità stessa di un popolo è stato
ampiamente dibattuto e documentato durante le « Giornate
della Cultura Uruguaiana in Lotta» svoltesi recentemente a Venezia.
La repressione si è scatenata
con particolare ferocia contro i
sindacati : proscrizione della
C.N.T. e detenzione di migliaia
di suoi dirigenti e militanti, trasformazione delle sedi in antri
di tortura, violazione sistematica dei trattati internazionali e
delle conquiste sociali dei lavoratori. Tutto questo è stato ampiamente dimostrato e denunciato dall’O.I.L. in diverse occasioni e recentemente anche
dalla delegazione della Federazione sindacale unitaria CGILCISL-UIL che ha visitato il Cile, l’Argentina e, appunto, l’Uruguay.
A questa politica repressiva
fa riscontro contemporaneamenil piano economico che la dittatura viene applicando in tutti
questi anni e che ha provocato
ima vera e propria strage nell’economia nazionale. Un debito
Comitato di Redazione : Bruno Bellion, Giuliana Gandolfo Pascal, Marcella Gay, Ermanno Genre, Giuseppe Platone, Paolo Ricca, Fulvio Rocco, Sergio Rostagno, Roberto SbaffI,
Liliana Viglielmo.
Direttore: FRANCO GIAMPICCOLI
Dirett. Responsabile: GINO CONTE
Redazione e Amministrazione: Via
Pio V, 15 - 10125 Torino - Telefono 011/655.278 - c.c.p. 2/33094
intestato a : « L'Eco delle Valli La Luce ».
Redazione Valli : Via Arnaud, 25 ■
10066 Torre Pellice.
Abbonamenti : Italia annuo 7.000
semestrale 4.000 - estero annuo
10.000 . sostenitore annuo 15.000.
Una copia L. 200, arretrata L. 250.
Cambio di indirizzo L. 100.
Inserzioni : prezzi per mm. di altezza, larghezza 1 colonna : commerciali L. 120 - mortuari 220 - doni 80
- economici 150 per parola.
Fondo di solidarietà: c.c.p. 2/39878
intestato a : Roberto Peyrot - Corso
Menealieri, 70 - 10133 Torino.
Reg. Tribunale di Pinerolo N. 175,
8 luglio 1960.
Cooperativa Tipografica Subalpina
Torre Pellice (Torino)
esterno di un miliardo e settecento milioni di dollari (l’equivalente dell’export di tre anni e
mezzo), deficit cronico del bilancio dello stato, infiazione, crisi
agricola e soprattutto l’impoverimento di settori sempre più
vasti della popolazione. Oltre il
cinquanta per cento del bilancio
viene assorbito dall’apparato repressivo e, di conseguenza, vi è
una totale crisi nel settore dell’assistenza sanitaria, nella scuola, ecc.
I più ampi settori sociali hanno levato la loro voce di protesta per questa autentica opera
di distruzione, nazionale, dai lavoratori ai proprietari agricoli,
dai professionisti agli imprenditori nazionali.
L’Uruguay, paese di profonde
tradizioni democratiche, ha visto le sue Forze Armate diventare forze di occupazione, e anche i militari democratici e antifascisti hanno pagato cara la
loro opposizione : centinaia di
ufficiali sono in prigione e molti tra essi sono stati brutalmente torturati. Nulla di quanto può
rappresentare la convivenza civile e democratica di una nazione è rimasto in piedi. Sul paese
è sceso il lugubre telo del fascismo. Il popolo uruguaiano sta
pagando un altissimo prezzo
nella dura lotta antifascista. Il
permanere di questa situazione
nell’America Latina crea inoltre
una seria minaccia per la coesisteva pacifica. Il governo dittatoriale di Montevideo, ripudiato e isolato da tutta l’opinione
pubblica internazionale, si rifugi dietro le proprie provocazioni flagranti contro la distensione internazionale. Perciò il popolo italiano, le sue organizzazioni democratiche che hanno
dato ripetute dimostrazioni di
profonda solidarietà umana e
politica — di cui le « Giornate »
di Venezia sono state la espressione più alta — riafferma il
proprio appoggio alla lotta del
popolo uruguaiano per la libertà, la democrazia e la cultura. A
cinque anni dal colpo di stato,
RIVENDICA la libertà per tutti i prigionieri politici e l’immediato alt alle torture. ESPRIME la sua ferma convinzione
che soltanto la riconquista della
libertà e della democrazia consentiranno all’Uruguay di intraprendere la grande opera di ricostruzione nazionale, di partecipare attivamente al difficile
processo storico di liberazione
dell’intero continente latino-americano.
Roma, 27 giugno 1978.
In occasione dell’Assemblea
della Conferenza Cristiana della
Pace tenutasi recentemente a
Praga, abbiamo incontrato Victor Bacchetta, membro della
Chiesa valdese di Montevideo
ma attualmente residente a Cuba come esiliato politico. Victor
ha 35 anni, è sposato e ha due
figli di 2 e 4 anni ed è di professione giornalista. Gli abbiamo rivolto alcune domande.
— Come mai risiedi a Cuba?
— Sono uno tra le centinaia
di migliaia di uruguayani costretti ad abbandonare la propria patria dalla sanguinosa dittatura che opprime il paese ;
dittatura che tiene rinchiusi nelle caserme migliaia di detenuti
politici, che ammazza e tortura
gli oppositori e che ha ridotto
l’Uruguay a un gigantesco carcere.
— Quale è stata la tua esperienza passata in Uruguay?
— Come studente, ho partecipato alle lotte studentesche degli anni 60, con la carica di segretario della Federazione degli
Studenti Universitari Uruguayani (FEUU). In seno alla Chiesa
Valdese ho partecipato al movimento giovanile e sono stato
nella redazione del giornale Renacimiento, nel 1963. In seguito,
come giornalista e militante, ho
partecipato alle lotte della classe operaia e del popolo uruguayano contro il governo oligar
r
LA SETTIMANA INTERNAZIONALE
a cura di Tullio
Viola]
Il caso Young
Le gravissime condanne
pronunciate dai tribunali sovietici contro i dissidenti politici
Piatkus, Ginzburg, Sharanski e
Filatov, concludendo con ingiustizie, palesemente mostruose,
altrettanti procedimenti penali
che ricordano quelli del lontano periodo staliniano, hanno
avuto un contraccolpo clamoroso negli Stati Uniti, con la dichiarazione di Andrew Young,
ambasciatore del Presidente Carter presso le Nazioni Unite.
Negro e rappresentante delle
moltitudini negre che, come ben
si ricorderà, contribuirono in
modo decisivo all'elezione di
Carter alla suprema carica dello Stato, Young è stato sempre
visto come persona di massima
fiducia del Presidente stesso,
nonché testimone vivente della
liberalità e delle idee progressiste e largamente popolari del
medesimo. Ma ecco che Young,
proprio nei giorni in cui si sono svolti i sopraddetti processi,
ha fatto alcune dichiarazioni che
« hanno sollevato in USA una
tempesta di critiche ».
1) Martedì 11.7, in un’intervista al quotidiano francese « Le
Matin », ha detto che il triste
destino di Sharanski e di Ginzburg non dovrebbe costituire un
impedimento a regolari relazioni fra URSS e USA, perché « anche in USA vi sono centinaia,
se non migliaia di prigionieri
politici ».
2) Giovedì 13^ in un’altra intervista (concessa alla TV di Parigi), «.ha sostenuto che “l’influenza sovietica e cubana in
Africa è stata ampiamente sopravvalutata", ed ha aggiunto
di ritenere che "quest’influenza
possa paragonarsi a quella della
Francia, della Gran Bretagna o
addirittura degli Stati Uniti”.
Informato della tempesta di
critiche che si sono abbattute
sul suo ambasciatore. Carter ha
ordinato ai suoi consiglieri e assistenti, che lo accompagnano a
Bonn, di astenersi da ogni commento pubblico sulle dichiarazioni di Young. Solo il portavoce del dipartimento di Stato si
è limitato, giovedì 13, ad affermare che “U contenuto delle dichiarazioni rappresenta un’opinione personale del sig. Young’’».
3) Young ha reagito con calma alla bufera che lo stava investendo e, « in una nota fatta
diramare dal suo ufficio alle Na
zioni Unite, ha precisato che
non ha mai inteso porre sullo
stesso piano "lo stato della libertà politica negli USA, con
quello esistente nell’URSS. Non
sono a conoscenza (ha precisato) di alcuna istanza negli Stati Uniti, dove persone siano state condannate per aver contestato la posizione del nostro governo sui diritti civili ed umani".
Com’era prevedibile, l’Unione
Sovietica non ha perso tempo ad
impadronirsi delle dichiarazioni
di Young, strumentandole immediatamente per replicare a
tutti i critici dei processi in corso contro i dissidenti, tn un lungo servizio che riprende i passi
più significativi delle affermazioni di Young (un testimone che
Mosca ritiene assolutamente credibile, in quanto esponente qualificato della stessa amministrazione americana), la “Pravda”
scrive (venerdì 14) che “il silenzio sulla sorte dei detenuti politici americani è la prova più
evidente delle flagranti violazioni dei diritti dell’uomo negli
Stati Uniti. Esso documenta la
ipocrisia di coloro che vanno alla ricerca delle violazioni di questi diritti commesse all’estero,
dimenticandosi di quelle che avvengono nel loro stesso Paese" ».
Noi non siamo in grado di
pronunciare un nostro giudizio
su questa condotta di Young: le
informazioni che possediamo, al
riguardo, sono infatti troppo
scarse, né d’altra parte ci è possibile conoscere alcunché delle
« premesse dietro le quinte ». Dichiarazioni inopportune? Forse.
E tuttavia possiamo e vogliamo
dire che la personalità di questo diplomatico coraggioso, che
fu anche uno dei più stretti collaboratori di Martin Luther
King, ci è molto simpatica.
Young ha detto indubbiamente la verità, ed ha saputo dirla
con equilibrio e senso di misura (v., sopra, la dichiarazione
n. 3). Ciò che più ci soddisfa è
che in USA sia possibile una
contestazione interna al livello
delle alte gerarchie del potere,
rinforzata da una « confessione
di peccato » che fa onore al regime.
È la caratteristica dei regimi
democratici ed è fortuna, per
l’America, avere una minoranza
molto consistente e molto contestatrice, quella della popola
zione negra in relativa condizione di libertà. A questo proposito, vogliamo richiamare qui un
pensiero molto bello che abbiamo colto casualmente, giorni fa,
su un giornale:
« Il male che è in noi, aU’interno della nostra coscienza, io
lo vedo consistere proprio nella
nostra impossibilità di sentirci
colpevoli, qualsiasi cosa facciamo: sta nella nostra presunzione d’innocenza ».
Lo ha detto un illustre scrittore italiano, Alberto Moravia,
che si professa ateo ma che, in
questa occasione, si è espresso
in modo tipicamente protestante.
Mentre scriviamo, ci giunge
notizia di trattative in corso, tra
Washington e Mosca, per la liberazione di Sharanski e di
Ginzburg. Con tutto il cuore,
con tutte le forze speriamo nel
buon esito di tali trattative.
(Le citazioni sono tratte da
« La Repubblica » del 14.7.’78).
Un anno
di lavoro
(segue da pag. 3)
"valdese", ossia evangelica, ed
evitare di trasformarsi in un catechismo ideologico di questa o
quella tendenza ».
7. Federazione. La CdE mette in guardia il Sinodo sul pericolo che la linea di lavoro della
Federazione sia sempre più calata dall’alto « senza coinvolgimento delle comunità che rischiano di non riconoscere più
la loro voce in quella della Federazione » e riferisce questa critica in particolare al servizio radio-televisione « che non sempre
risponde alle aspettative della comunità », ma anzi « non esprime il nostro protestantesimo —afferma la CdE — che in uno dei
suoi aspetti che non è certamente quello che raccoglie il più targo consenso ».
8. Amministrazione. Il principale rilievo della CdE è costituito da un richiamo alla TV per
aver disatteso i regolamenti considerando valido Tanno di prova
del candidato Antonio Adamo
non a partire dal conseguimento
della licenza in teologia ma prima della fine dei suoi studi,
usando tra l’altro una misura diversa rispetto a quella usata in
precedenza con altri candidati.
Su problemi di fondo e su questioni particolari la parola è ora
all’assemblea sinodale.
F. G.
chico di Pacheco Areco e la sua
continuazione, la dittatura militare di stampo fascista, che mira a salvaguardare il potere di
una minoranza di sfruttatori e
del capitale imperialista nel pae
se. I giornali per 1 quali ho lavorato, sono stati sistematicamente chiusi dal governo, nel
quadro della repressione di tutte le manifestazioni in favore
degli interessi popolari e di una
autentica democrazia. Per non
essere imprigionato, nel 1974 sono stato costretto ad emigrare
in Argentina e di lì,, a causa delle complicità fra la dittatura
militare argentina e la nostra,
nel 1977 sono venuto a Cuba.
Attualmente lavoro come giornalista nella redazione di Chile
Informativo, bollettino ufficiale
del Comitato Cileno di Solidarietà con la Resistenza Antifascista.
— Come credente, cosa pensi
della partecipazione di cattolici
e protestanti alla resistenza in
Uruguay?
— Come la maggior parte dei
giovani uruguayani, noi cristiani abbiamo partecipato attivamente alla lotta rivoluzionaria,
inserendoci nei sindacati e nei
partiti politici che lottano per
una radicale trasformazione della società, per l’eliminazione
dello sfruttamento dell’uomo
sull’uomo, per la libertà e la
giustizia sociali. Bisogna tuttavia riconoscere che la partecipazione dei giovani protestanti
alla lotta ha avuto delle carenze, maggiori di quelle osservate fra la gioventù cattolica. In
particolare, nella Chiesa Valdese tale partecipazione è stata limitata dall’esistenza di posizioni conservatrici, soprattutto in
alcune comunità della zona rurale, composte in prevalenza da
piccoli e medi agricoltori. La
mancanza di appoggio e di comprensione nei riguardi delle inquietudini sociali dei giovani ha
fatto sì, che, in molti casi, il loro impegno di militanti nella
lotta rivoluzionaria li portasse
alTestraniamento o al rifiuto
della Chiesa stessa. Ciò non vuol
dire che la Chiesa appoggi l’attuale regime, tanto più che anch’essa è stata fatta oggetto di
repressione (ad esempio, la
chiusura del Mensajero Valden
se, in seguito alla pubblicazione
di una dichiarazione del Consiglio Mondiale delle Chiese); tuttavia è indicativo delle debolezze in essa esistenti.
— Quale ritieni sarà il futuro
del tuo paese?
— Oggi in Uruguay esistono
solo due alternative fondamentali. La prima è quella rappresentata dall’attuale dittatura,
che si configura come un tentativo estremo — ma non Túnico
— di mantenere intatto il potere di un’oligarchia latifondista e
finanziaria, direttamente vincolata agli interessi della potenza
imperialista egemone: gli Stati
Uniti. Alcune posizioni critiche
che si insinuano nelle classi dominanti e nella politica del governo Carter sono esclusivamente dirette a migliorare l’immagine esteriore del sistema, senza
però modificare i suoi aspetti
essenziali. La seconda è l’alternativa popolare e rivoluzionaria,
che vuole la distruzione della
dittatura e delle sue basi d’appoggio, per instaurare una democrazia autentica e dare inizio
alle trasformazioni economiche
essenziali per il riscatto della
sovranità e per lo sfruttamento
delle risorse nazionali a beneficio del popolo. Secondo me, questa alternativa è possibile solo
se si inserisce in un quadro socialista, per la costruzione di
una società senza sfruttati e
senza sfruttatori. La profonda
crisi economico-sociale a cui ha
portato la dittatura, nel quadro
della crisi generale delle economie occidentali, non permette
altre alternative, in special modo nei settori della piccola-media industria e dei produttori
agricoli, completamente rovinati dalla politica economica vigente.
Intervista a cura di
Sergio Ribet