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BILÌCHNIS
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Anno IX. - Fasc. I.
ROMA - GENNAIO 1920
Volume XV. i
SOMMARIO
G. RENSI : Ucronta...... pag. 1
S. MlNOCCHI : Un disinganno della scienza
biblica ? (/ papiri aramaici di Elefantina) » 8 G. FERRETTI : Le fedi, le idee e la condotta » 17 G. E. MEILLE : Psicologia di combattenti
cristiani........................»33
Per là cultura dell’anima :
C. Wagner: Dio ... ' ....... >49
> Del Genio ........ » 51
Note e commenti:
V. MORELLI : 11 rogo postumo di Arnaldo da Brescia > 55
Cronache:
QUINTO TOSATO : Politica vaticana e azione cattolica.............. pag. 57
Tra libri e riviste:
M. PUGLISI: Storia e psicologia religiosa ...» 62
G. COSTA : Religioni del mondo classico . . . -70
Recensioni : Storia del cristianesimo - Religione c questioni sociali - Varia ........ »71
Letture ed appunti ......... »74
Nuove pubblicazioni .......... »78
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BILYCHNIS rivista mensile di studi religiosi
a V/M1A J1W 4 4 4 FONDATA NEL 1912 * > > >
CRITICA BIBLICA STORIA DEL CRISTIANESIMO B DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA PEDAGOGIA -FILOSOFIA RELIGIOSA MORALE - QUESTIONI VIVE - LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL' ESTERO
REDAZIONE: Prof. LODOVICO PASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WwiTTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 10; Per l’Estero, L. 15; Un fascicolo, L. 1,50
[Per gli Stali Uniti e per il Canada è autorizzato ad esigere gli abbonamenti il Rev. A. Di Domenica, B. D. Pastor, 1414 Castle Ave, Phtladdphla, Pa. (U. S. A.)).
Abbonamento annuo cumulativo con la Rivista di Milano, rassegna quindicinale di letteratura^ poesia, critica, arte e politica, L. 30.
Id. col Testimonio, rivista mensile delle chiese battiste italiane, L. 13,50.
Id. col Coenobium, rivista intemazionale di liberi studi, L. 20.
Id. con Fede e Vita, rivista della federazione studenti per la cultura religiosa, L. 12,50
Corrispondenti è collaboratori sono pregati d’indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “ BILYCHNIS ” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gli articoli firmati vincolano unicamente l'opinione dei loro autori.
I manoscritti non Si restituiscono.
I collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conóscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d’opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
Nel 1920 pubblicheremo, tra gli altri, i seguenti articoli:
P. E. PaVOLINI, La religione degli antichi Firmi.
F. De Sarlo, L'opera filosofica e scientifica di E . Haeckel .
E. Troilo, La filosofia di Giorgio Politeo (con ritratto).
G. Lesca, Filosofia e religione nella poesia di
G. Pascoli.
M. Rossi, Lutero.
A. De Stefano, La riforma religiosa di Arnaldo da Brescia.
Fr. Giulio, La filosofia di Benedetto Croce.
F. Momigliano, / momenti del pensiero italiano.
G. TUCCI, A proposito dei rapporti fra cristianesimo e buddismo.
A. Renda, Incompetenza della psicologia nello Studio dèi valori.
A. Renda. Le riduzioni dei valori.
A. Chi appelli, La critica del Nuovo Testamento nel XX sècolo.
C. Formichi, Paul Deussen nella vita e nelle opere.
Li Salvatorelli, Lo Stato nel pensiero cristiano del II e III secolo.
R. Corso, La rinascita della superstizione
G. Pioli, Uomini e cose d'Inghilterra (note).
— L’unità nelle scienze, in filosofia morale e religione.
P. Arcari, La pittura religiosa di Eugenio Bur-nard (con illustrazioni).
P. Orano, I cattolici in Parlamento.
— Il problema della scuola.
G. Costa, Il valore storico della « passio S. Fe-liciani ».
C. Pascal, Superstizioni, magie e venefici alla Corte neroniana.
G. Rensi, Il Lavoro,
— La Storia.
M. PuGLlSl. Franz Brentano (con ritratto).
U. Della Seta, Un riformatore: Senofane di Colofone.
A. Vasconi, Una lettera inedita di Tancredi Canonico.
?' àH”° pur assìcurato !l toro contributo i proti R. Pettazzoni, A. Calderini, Adriano Tilgher, Dino Provenzal, A. Tagliatatela. Per la cattura dell’anima ci ànno promesso il loro concorso Fra Masseo da Pratoverde, G. Luzzi, A. Tagliatatela ed altri. Umberto Nani, partito recentemente per la Jugoslavia e la Czecoslovacchia, ci trasmetterà delle interessanti corrispondenze sul movimento religioso ih quei paesi.
L’Amministrazione ricerca copie del fascicolo del febbraio 1919 che contraccambierà con pubblicazioni di sua edizione del valore di L. 2.
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Anno IX - Fasc. I.
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rivista di sTvdi religiosi
EDITA DALL A-FACOLTÀ-DELLA SCVOLAJsèS SS^RkTEOLOGICA- BATTISTA-DI-ROMA
ROMA - GENNAIO 1920
Vol. XV. i
UCRONIA(,)
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i colloco nella situazione d’uno stòrico del secolo xxi il quale si proponga di scrivere la narrazione dei fatti che saranno seguiti in questi mesi ed anni prossimi, e che raccolga delle note per il suo capitolo introduttivo; il capitolo in cui egli vorrà esporre a larghi tratti la genesi profonda degli avvenimenti che sta, per raccontare. Mi pare che quello storico stenderebbe, affrettatamente e sommariamente (salvo a darvi un’elaborazione più completa) i suoi pensieri al riguardo, così:
Dopoché una guerra lunga ed estenuante aveva sollevato, come sempre accade, nel popolo fermenti rivoluzionari e dopoché il trionfo della tirannide bolscevica in Russia aveva offerto a questi fermenti un punto d’orientazione, un modello, una
potentissima forza di concentrazione e d'attrattiva, quel singolare abbacinamento che sempre colpisce ogni maggioranza ed ogni classe dominante quando la sua ora ultima è suonata, aveva colto in misura eccezionale coloro che costituivano e sostenevano le istituzioni sociali esistenti nei primi decenni del secolo.xx. Uno strano potere d’illusione s'era impadronito di essi. Poiché il mondo sociale oggi non crollava, essi vivevano sicuri che non sarebbe crollato neanche domani. Non riuscivano a capire che quel che domani fatalmente sarà, sebbene oggi non sia, è come se già
(i) Non ci dispiace cominciare il nuovo anno con questa pagina forse volutamente un po’ troppo pessimistica sulla situazione politica e morale del presente momento storico. Valga anch essa come tante altre sferzate che la colpiscono in faccia, a svegliare la società nostra onde dimostri la sua energia, se ancor me à, e la imponga; o confessi la sua debolézza e lasci ad altri il posto che sì male occupa (N. d. Dir.).
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Josse. Vivevano nella sicurezza che tutto sarebbe proceduto domani come procedeva ieri e che i fattori di sovvertimento totale che pullulavano sempre più spessi e violenti si sarebbero, dopo qualche attrito, incamminati sui consueti binari, si sarebbero adagiati nei quadri dell’ordine esistente, sarebbero entrati nella pratica della vita politica fino allora costante. Specialmente gli uomini dalle opinioni avanzate, ma sempre fedeli alle grandi linee dell’aspetto sociale allora dominante, nutrivano profondamente questa illusione. Essi non riuscivano a persuaderei che veramente gli elementi più estremi fossero ostinatamente decisi alla distruzione integrale, e che potessero persistere a rifiutar di collaborare con essi al semplice ritocco delle istituzioni in vigore. Pareva ad essi possibile, ovvio, naturale che l’attitudine dei fattori di sovvertimento fosse più che altro appariscente ed esteriore, e che questi avrebbero invece finito coll’adeguarsi alla realtà di fatto e indursi a cooperare ai suo miglioramento, a lasciarsi « prender dentro », ad entrare nell’ « orbita ». Oggi ciò non accade ancora —- pensavano essi ogni giorno —; oggi sono ancora « selvaggi ». Ma son questi gli ultimi guizzi del loro impeto di assoluta negazione. Domani si mitigheranno; domani vedremo le cose accomodarsi. In tale imbelle e sorridente ottimismo coloro si cullavano, non avvertendo che ciò che l’individuo sente come dovere morale rispetto alla costituzione sociale esistente, presenta un carattere opposto a seconda che si è in un momento di intensa vitalità dell’organismo sociale, o in quello della sua dissoluzione. Nel primo caso, ciò che socialmente esiste, il costume, le leggi, la tradizione, la patria, forma anche il contenuto della coscienza morale d’ogni individuo; questi è profondamente immedesimato con ciò che è attorno a lui; sente il suo dovere come fornitogli da ciò che è; e più ancora che un dovere, l’osservanza, il rispetto, il mantenimento di ciò che è, risulta per lui ovvia religione. Ma nel secondo caso, è invece ciò che non esiste attorno all’individuo, e che questi sente come tale che deve esistere, quel che forma' il contenuto della coscienza morale del singolo; questi allora avverte come suo dovere morale combattere ciò che è per realizzare ciò che non è e che, secondo lui. deve essere; e tale sua avversione contro lo stato di fatto a vantaggio d’uno stato da realizzarsi, questo suo amore preferenziale pei' ciò che deve essere in confronto di ciò che è, questo suo distacco dalla realtà sociale" esistente che più non lo penetra, in unione con la quale non vive spiritualmente più, e questo suo opporre ad essa la realtà futura che deve essere, finisce infallantemente per fargli apparire malvagio e tale da dover essere combattuto tutto ciò che è per il semplice fatto che è.
L'intera classe dirigente, insomma,, chiudendo come lo struzzo gli .occhi per non vedere, e sperando in tal guisa d’aver soppressi i fatti, procedeva ciecamente da sè verso la propria rovina. Si avverava una nuova volta la parola di Nietzsche: « Tutte le grand cose cadono a terra per opera propria, mediante un atto d’autocancella-zio::e: così vuole la legge della vita, là legge del necessario superamento di sè nell’essenza della vita — sempre viene dà ultimo emanato pel legislatore stesso il decreto: -patere legem quam ipse tulisti » (i). Essa classe dirigente veniva così proro(i) Zur Genealogie der Moral, III, 27.
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gando dall’oggi al domani l’inevitabile decisione tra le due alternative di quel dilemma implacabile e ferreo che stava indelebilmente scritto dinanzi ad essa, come le tre parole bibliche davanti a Aelsasar.
L’implacabile dilemma era chiaramente visto solo dai sovvertitori, i quali lo scagliavano con piglio di scherno e di sfida (i), e cavandone solo essi la conclusione conforme ai loro intenti, in faccia alle classi dirigenti. Ed era questo: o reazione, o rivoluzione.
Ma la classe dirigente non sapeva decidersi nè per l'una nè per l’altra.
Essa avrebbe potuto decidersi per la seconda. E allora conveniva cedere immediatamente, evitare urti, conflitti, stragi, e la protervia, l’ira, la crudeltà dei vincitori che giungono al potere ansanti e violenti dopo una guerra civile. Conveniva trasmettere immediatamente il governo ai capi ufficiali e quasi a dire regolari del movimento di sovversione perchè solo così si poteva evitare che, nell’impeto dell’assalto, le folle, sfuggendo di mano ai loro capi, precipitassero tutto nel disordine e nel caos, e che gli elementi criminali e sfrenatamente anarchici, che venivano gorgogliando sempre più numerosi ed audaci in ogni occasione di tumulti, finissero per sopravanzare quei capi regolari e per prender essi, senza più possibilità di resistenza, il sopravvento e la direttiva verso l’integrale disfacimento. Conveniva, insomma, scegliendo la seconda alternativa, ad ovviare il periodo catastroficamente tumultuario e sanguinoso, operare un siffatto regolare trapasso di poteri ai dirigenti del moto rivoluzionario, dar loro pacificamente in mano lo Stato, permettere che essi ne afferrassero saldamente le redini, per modo che queste, nella baraonda dell’assalto violento delle folle, non scivolassero in mani ancor più disastrosamente pericolose e pazzesche, e lasciarli fare 1’« esperimento » di trasformare lo Stato a loro posta.
Ovvero si poteva scegliere la prima alternativa, quella della reazione.
Ma in tal caso la reazione doveva essere fatta in tempo ed essere fatta risolutamente.
In tempo, anzitutto. E quindi non si doveva aspettare ad iniziarla che le forze rivoluzionarie fossero riuscite a sgretolare a poco a poco i due mezzi su cui la resistenza poteva basarsi,’l’esercito da un lato, i corpi e le autorità della pubblica sicurezza, dall’altro. Invece, sempre sedotto dall’ingannevole speranza di poter disarmare o mitigare i rivoluzionari, il governo dava loro in preda l’esercito permettendo che essi gli conducessero contro una larga e violentissima campagna di denigrazione e di odio, non osando scopare dalle vie con l’unica possibile scopa, quella della mitragliatrice, la marmaglia patibolare che aggrediva e massacrava gli ufficiali, e allontanando dall’esercito stesso i capi che più davano ombra ai bolscevichi. Quanto alla pubblica sicurezza, i corpi e le autorità appartenenti a questa, costantemente puniti (sempre nella speranza di placare gli energumeni che guidavano il moto rivoluzionario) ogni volta che accennavano a resistere seriamente ai tumultuanti, dovevano finire necessariamente per concludere che non era più il caso di tener testa,
(i) Avanti, 5 dicembre 1919.
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esponendo in ciò la propria vita, unicamente per essere colpiti dal governo di oggi e incorrere nell'odio di quelli che ormai era evidente dovevano diventare i padroni di domani, e che invece di puntare, ma senza sparare, i fucili contro questi padroni di domani, era più saggio passar-fin d’ora dalla loro parte.
In secondo luogo, la reazione, se veniva scelta questa via, doveva esser fatta risolutamente. Quindi, mentre ognuno scorgeva che la predicazione dei giornali e degli oratori socialisti incitava direttamente alla demolizione sociale, infiammava ai tumulti e alla sommosse, era (secondo un paragone allora in voga) petrolio gettato sul fuoco, sarebbe bisognato non fare la sciocchezza di censurare qualche riga qua e là nei giornali, lasciando passare il grosso — il che non riusciva che ad irritare senza impedire il male — ma decidersi a sopprimere totalmente la stampa sovversiva ed a proibire ogni riunione e ogni discorso Incendiario. Bisognava capire che era insensato pretendere di ammettere e rispettare la libertà di parola e voler nello stesso tempo impedire i fatti che la parola vuol creare, cioè il tumulto, l’insurrezione, la rivoluzione, prima di tutto perchè la libertà di parola è vana senza la libertà dei fatti, enunciare e significare i quali è unico scopo della parola, poi perchè la parola è necessariamente, e quand'anche non lo si voglia, la precorritrice e la produttrice dei fatti. E questa vana libertà della parola incitatrice era continuamente pagata con le morti che bisognava cagionare per impedire i fatti cui si lasciava che essa incitasse; e quindi con una crescente irritazione prodotta appunto da ciò, che lasciandosi libera la parola di eccitare i fatti, avvenivano poi fatti che bisognava impedire con la forza: prodotta, cioè, dalla resistenza a metà, dalla mancanza di coraggio di una reazione decisa. Si scorgeva bensì, insomma, che la parola era già fatto, era petrolio gettato sul fuoco. Pure, col medesimo senno con cui in nome della libertà si fosse ¡asciato effettivamente gettare petrolio su di una casa che brucia o si fosse respinta ogni cautela igienica sostenendo che bisogna solo applicare la cura medica dopo che la malattia s’è prodotta, si continuava a lasciar libertà di attiva e violenta incitazione a quella demolizione che pur non si voleva. Non volere una cosa e lasciarla predicare e preparare! In tutti i campi questo è un assurdo, ma in politica sembrava allora là massima saggézza. Così lasciando libera carriera a ogni dimostrazione più forsennata, a ogni discorso o articolo di giornale più follemente infiammatorio, pareva che si volesse divertirsi a far giungere le cose sull’orlo di quell'abisso, che pur si deprecava, anziché, come il senso comune avrebbe comandato, attenersi, se non si voleva scegliere la via di trasmettere pacificamente il potere alla rivoluzione, a quella risoluta reazione che solo poteva impedirla.
Ma la borghesia non poteva da un lato battere la via della reazione, perchè ne la impediva, legandole mani e piedi, qu.el principio di libertà che, costituendo l'essenza e l'anima della sua vita politica, esigeva ora da essa il rispetto e, veramente, le intimava: «patere legem quam ipsa tulisti». Non poteva dall’altro acconsentire a battere la via del proprio spossessamelo pacifico, poiché scorgeva troppo bene che la società quale s’era formata non poteva reggersi che con un assetto (per quanto migliorato e ritoccato) di tipo borghese e che la demolizione anche pacifica, ma
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improvvisa, di questo avrebbe prodotto scosse dolorosissime. Perciò rimaneva indecisa, viveva giorno per giorno, cercava di dare ai problemi, giorno per giorno, non una soluzione, ma un’apparènza purché fosse di soluzione. Trepidante ed imbelle così che mentre da un lato si chiamava apertamente e a gran voce a raccolta tutto il proletariato contro di essa, e questo nella sua totalità rispondeva alla chiamata, essa non aveva nemmeno il coraggio di chiamare apertamente a raccolta contro il proletariato, ma anzi si atteggiava a profondo rispetto verso di questo, dichiarava di combattere non questo, ma alcuni politicanti che (diceva) «presumono » di rappresentarlo; si rifiutava di riconoscere, sebbene i giornali socialisti gliela urlassero nelle orecchie ogni giorno, la verità evidente che il proletariato in massa (e tranne poche e personali eccezioni che riguardavano, si, gli uomini piò intimamente e veramente migliori di quella classe, ma però rari nanles, che nulla contavano), tutto il proletariato, come massa e come classe, era risolutamente e inflessibilmente irreggimentato dietro i capi del movimento rivoluzionario, era una cosa sola con essi; e si sforzava illusoria mente invece di considerar separati dalla «classe» proletaria i capi del movimento medesimo. E mentre da un lato veniva nettamente dichiarata la lotta di classe contro la borghesia, questa, pur avendo in mano il potere e la forza, non aveva il coraggio di raccogliere la sfida, e all'appressarsi minaccioso della classe che si proclamava essa stessa sua implacabile nemica, si prosternava con la cenere sul capo a professare che quanto a sè essa ramava, la rispettava, la venerava, riconosceva il suo altissimo valore e la sua possanza; anche per tal via contribuendo a fissare l’opinione (e con ciò a preparare la realtà) che contro l’avanzarsi del proletariato la resistenza fosse impossibile, che esso dovesse indubbiamente essere il trionfatore di domami
Nè solo essa era imbelle e tremebonda. Ma così mancante d’una salda e chiara coscienza di classe che la sua gioventù, che si affollava negli istituti scolastici, quella stessa gioventù che caldamente avversava l’antipatriottismo bolscevico, che scendeva talvolta in piazza per opporsi alle dimostrazioni antinazionalistiche dei rivoluzionari, che alle idealità nazionali voleva tener fermo, quella stessa sua gioventù, con una singolare inconsapevolezza, senza rèndersene conto, praticava, con gli scioperi scolastici, quel medesimo sistema di imposizioni sopra lo Stato da.parte dei singoli corpi interessati che era l’essenza del metodo bolscevico e soviettistico, contribuendo così anche per opera sua a sgretolare progressivamente l’autorità dello Stato stesso e il senso di disciplina politica, ossia a dar forza allo spirito di quel bolscevismo che pure abboniva e che- a parole e ne’le dimostrazioni per le strade combatteva. E accanto a ciò un buon numero di quelli che/ avendo combattuta con senso di patria la guerra, erano avversissimi al bolscevismo che la denigrava e rinnegava, pure anch'essi raccolti in « fasci di combattimento » volevano la rivoluzione, una rivoluzione (essi dicevano) di tipo differente dal tipo di rivoluzione bolscevico, non accorgendosi che ogni motivo rivoluzionario non poteva allora essere se non un rivolo che doveva necessariamente finir per mettere capo alla grande marea, quella bolscevica, e contribuire soltanto ad ingrossare le acque di essa.
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Accanto a ciò, il governo, di fronte agli immensi bisogni del momento (disavanzo del bilancio, caro-viveri, mancanza di case, ecc.) o non prendeva alcun provvedimento, o ne prendeva di assurdi, e si decideva a fare nel primo caso e a disfare nel secondo, solo in seguito alle agitazioni e alle minacce degli interessati; confermando così la convinzione che solo coll’imporsi violentemente al governo si poteva ottenere qualcosa di sensato, e quindi lasciando sempre più disfarsi l’unità e l’autorità statale a beneficio dell'autorità di associazioni, leghe, sindacati, gruppi di interessi, che allo Stato riuscivano ad ogni momento a sovrapporsi, e — ciò che accresceva la confusione —■ a sovrapponisi in direzioni differentissime. La sua burocrazia, impassibile nel seguire gli antichi metodi, pur in mezzo a tanta novità, stancheggiava ed esasperava i cittadini e ne paralizzava l'attività, con enormi complicazioni, e lungaggini, che facevano talvolta desiderare anche ai più conservatori una bufera che la spazzasse via radicalmente. Per di più, èra ormai palese che il governo non riusciva a tener più fermamente e completamente in pugno la direzione della pubblica cosa. Scoppiavano ad ogni momento scioperi, e poiché questi scioperi, colpendo gli organi più vitali della società (ferrovie, comunicazioni postali e telegrafiche, grandi industrie, ecc.) ponevano la società stessa all’intiera mercè degli scioperanti, la libertà ad essi concessa voleva dire semplicemente che chi ha un interesse di cui domandare il riconoscimento — ossia chi è parte in causa — non deve aver sopra di sé un giudice che sentenzi se e fino a che punto il suo inte resse sia legittimo, se e fino a che punto la sua causa sia giusta; ma deve, ad essa parte in causa, ad esso interesse che chiede il riconoscimento, esser lasciata in mano la forza per decidere da sè sovranamente la contestazione. Eppure non • solo a tali scioperi si lasciava piena libertà; ma si permetteva altresì che, sotto gli occhi di tutti, squadre di sorveglianza, organizzate quasi a dire legalmente, provvedessero a che lo sciopero «uscisse completo, impedendo con la violenza la libertà di lavoro degli operai che non avrebbero voluto aderirvi. Come il sangue si ritira dalle estremità d’un organismo che sta morendo, così l’azione e l’efficacia del governo diventava saltuaria e veniva ritirandosi dai luoghi lontani dai grandi centri, dalle campagne, dove avvenivano frequentissime jacqueries, violenze da parte dei contadini sui proprietari dei terreni per imporre a questi i patti di lavoro che a quelli piacevano, e, per di più, jacqueries legalmente concertate e promosse dalle autorità comunali campagnuole, oramai interamente bolsceviche. Cominciava, insomma, a manifestarsi nello Stato un margine completamente sottratto all’azione del governo, intaccato ampiamente dall'anarchia. E infine il brigantaggio, che dopo le guerre precedenti, era apparso, sì, ma limitato ad alcune regioni, si estendeva ora spaventosamente a tutto il paese, invadendo senza riparo città e campagne. La fama del Passatore di Forlimpopoli pressoché impallidiva di fronte agli assalti che i nuovi briganti davano alle ferrovie, assalti ormai consueti e quasi sempre coronati da successo. Passare ad ora tarda per le vie anche centràli delle grandi città voleva dire mettere in pericolo la vita; metterla in pericolo voleva dire avventurarsi a qualunque ora del giorno nelle vie periferiche. Chi, come i proprietari di fondi o i mercanti
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di campagna avevano bisogno di fare, usciva di città in carrozza e percorreva strade provinciali solitarie, andava incontro all'imminente rischio di essere aggredito, depredato, ucciso. Si era arrivati al punto che i bassifondi della delinquenza cittadina, quando un loro compagno veniva trascinato davanti al tribunale, intervenivano in massa alle udienze cercando di imporre con applausi e grida l'assoluzione (i). La delinquenza minorile si estendeva terribilmente e si faceva sempre più raccapricciante. E questa delinquenza minorile che particolarmente infuriava nelle classi operaie si congiungeva sempre più evidentemente col rivoluzionarismo. Tumulti promossi e incominciati con inneggiamento alla rivoluzione, finivano con saccheggi, ruberie, assalto alle carceri e liberazione dei detenuti per reati comuni, assalto e liberazione che i giornali bolscevici apertamente difendevano scrivendo che i detenuti stessi erano « privati della libertà per colpe insufficienti e insignificanti, più che altro colpe del criminoso regime borghese e del non men criminoso suo codice » (2). E un deputato bolscevico confessava che alla stessa costruzione dell’edificio carcerario la massa che lo seguiva si era violentemente opposta e che egli aveva dovuto una volta acquetarla rinfacciando personalmente a parecchi degli oppositori i reati comuni che avevano commessi; mostrando così quale sorta di marmaglia brulicasse nei quadri del movimento rivoluzionario. I peggiori fermenti morbosi, che allignano nel sottosuolo sociale, venivano, insomma, a galla, con una novissima audacia di affermazione di sè e quasi del proprio diritto.
Tutti quelli che in ogni epoca storica sono stati sempre i sicuri sintomi dell’immancabile disfacimento sociale apparivano dunque chiarissimi nei primi decenni del xx secolo. E così si apparecchiava una rivoluzione, analoga per gravità alla cristiana» benché dissimile da questa in un punto essenziale: e cioè che la cristiana era stata una rivoluzione che aveva preso le mosse dall’idea della vittoria sulle passioni (quand’anche questa idea non abbia sempre e durevolmente saputo attuare); mentre quella che allora si affacciava era la rivoluzione che prendeva le mosse dall’idea del più sfrenato appagamento di tutte le cupidigie.
Così mi pare che potrà scrivere press’a poco lo storico del secolo venturo... Giuseppe Pensi.
(1) V. Cronaca giudiziaria dell'Orione di Genova del 12 dicembre 1919.
(2) Avanti! 9 dicembre 1919, sui fatti di Mantova di pochi giorni prima. Nel numero del 23 successivo (2a pag. 2» col.) lo stesso giornale paragonava l'assalto alle prigioni di Mantova, alla presa della Bastiglia, e un anarchico liberamente a Bologna (Resto del Carlino, 4 gennaio 1920) poteva liberamente gridare al pubblico che « coloro i quali assalirono i negozi e liberarono i ladri non peccarono che di troppa frettolosità ; che fu il peccato di tutti ¡precursori e di tutti 1 martiri». La solidarietà della rivoluzione con la delinquenza non poteva manifestarsi in modo più evidente.
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UN DISINGANNO DELLA SCIENZA BIBLICA?
I PAPIRI ARAMAICI DI ELEFANTINA *
ei o sett’anni fa, ebbi l’onore di aver presente alla mia lezione di Ebraico un dotto studioso di filologia biblica e talmudica, eh? di ritorno da Roma s’era fermato a Pisa per vedermi. Era il signor Belleli, israelita italiano dimorante in Inghilterra e addetto al Bri li sii Musami, il quale voleva interessarmi alla questione dei papiri aramaici scoperti in Egitto, intorno a cui facevasi un gran dire tra i cultori di critica biblica. Egli
aveva pubblicato anni prima, e cioè nel 1909, un libro per dimostrare eh© tutti i papiri, trovati in Egitto ai nostri tempi, altro non erano che il prodotto di abili falsari, pratici della materia e de' metodi da seguire per sodisfare i desideri dei dotti europei; che perciò quei documenti, fabbricati magari su pezzi di papiro antico, non solo non recavano contributi di sorta alla scienza della bibbia, ma servivano invece ad accrescere le incertezze e le difficoltà in un campo già per sè tanto oscuro. Infatti il Belleli, stabilito un esame attentissimo e, com’egli diceva, affatto libero da pregiudizi dogmatici e professorali, dei caratteri e del contenuto dei papiri in questione, spesso così frammentari e di senso così vago e indefinibile, era riuscito a scoprire in flagrante, come affermava, l'opera del falsario nelle date doppie, egizie ed ebraiche, contenute in alcuni di essi, e che invece di essere sincroniche, come è naturale, non combinavano con la positiva realtà della cronografia. E certo, un documento, per esempio, ufficiale o quasi, degli anni della rivoluzione francese, recante in calce ambedue le date, cristiana e rivoluzionaria, che non combinassero fra loro con lo stesso giorno, potrebt’essere solo perciò tacciato 0 sospettato di essere falso.
* Riflessioni sul corso di Lingua e letteratura ebraica, tenuto nella R. Università di Pisa durante l’anno accademico 1918-1919.
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UN DISINGANNO DELLA SCIENZA BIBLICA?
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Gli argomenti del signor Belleli, il quale lamentavasi con me della congiura del silenzio fatta intorno al Suo libro (i), specialmente in Germania, mi parvero degni di attenzione, anche in vista del gran plauso che allora facevasi al nuovo gruppo di papiri pubblicato dal Sachau, con un’esaltazione, in cui era magari possibile che si fossero infiltrati, di là dalla scienza, gli interessi di gualche clientela archeologica o professorale. Gli promisi perciò che volentieri me ne sarei occupato; ma poi non ho potuto sodisfare il mio desiderio che alcuni anni appresso, arrivando alle conclusioni che cercherò di riassumere in queste brevi pagine.
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L' « esame indipendente » del Belleli non estendevasi a tutti i papiri su cui qui discorriamo, ma solo a quelli noti e pubblicati innanzi il 1909. Essi provengono, come gli altri, dal territorio ove trovasi la prima cateratta del Nilo, ai confini dell’Egitto con la Nubia o l’Etiopia, là dove, nei pressi della città di Assuan, emerge l’isoletta di Elefantina; vennero in luce tutti fra gli anni 1904 e 1908. Alcuni furono acquistati di seconda mano da certi Inglesi, c depositati uno in Oxford, gli altri nel Museo del Cairo; e furono pubblicati dai dotti inglesi Sayce e Cowley, nel 1906. Gli altri, invece, furono direttamente esumati da una missione archeologica tedesca, con a capo il prof; Sachau, che nel 1907 pubblicò i tre più importanti del gruppo, riservandosi di farne l’edizione integrale. E ciò avvenne nel 1911, in duplice forma, maggiore 0 princeps con versione spesso arrischiata del Sachau medesimo, e minore, senza versione, ma buona e forse migliore dell’altra, del prof. Ungnad.
Quando il Belleli pubblicava il suo giudizio, che i papiri fossero una falsificazione di individui più o meno egiziani, e a cui magari non fosse estranea la connivenza di qualche archeologo d’oltre Reno, non aveva davanti a sè la larga messe offerta nel 1911; la cui pubblicazione deve averlo profondamente scosso.se a perseverare nella sua opinione chiedeva ansiosamente il giudizio di ebraisti stranieri e impregiudicati. E per quanto spetta a me, dico subito che sono persuaso dell’autenticità dei papiri. Perchè sono convinto che si possono inventare frammenti di letterature sulla falsariga di pensieri, ipotesi, opinioni in corso; ma non già documenti che non vi si accordano, che vi si oppongono anzi, ed offrono problemi nuovi, o rinnovano inaspettatamente quelli che già parevano eliminati. La ristretta conoscenza che abbiamo dell’antico linguaggio arameico spiega a sufficienza il perchè i papiri, spesso miseramente frammentari, si presentino, come suol accadere anche fra le iscrizioni semitiche, di dubbia 0 disperata interpretazione. E un profondo conoscitore dei sistemi cronografici in uso nell’antichità, l’avv. Enrico Masini di Firenze, mi avverte. Che la lieve eventuale discordanza delle date doppie contenute nei papiri può dipender benissimo dal nostro errato od imperfetto modo di computare. Per cui, l’autenticità dei papiri, questione gravissima e da tenere nel massimo conto quando siamo innanzi a ritrovamenti archeologici di sapore biblico, è per me fuori di dubbio.
(1) An indipendcnt Examination of thè Assuan and Elephantine aramaic Papyri. London, Luzac, 1909.
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Che cosa contengono questi papiri ara inaici? Essi provengono di tra le rovine dell'antica città di Jeb, nell'isola di Elefantina, e testimoniano intorno alla vita di una colonia giudaico-aramea, quivi fiorente nel secolo quinto, al tempo della dominazione persiana. Gli Aramei, popoli semitici dell'Arabia più settentrionale, si eran fatti , notare in Mesopotamia fin dal secondo millennio, e vi si erano confermati, giovandosi, per rinforzare la loro potenza etnica, della decadenza del vecchio impero babilonese, e delle necessità nazionali del nuovo impero assiro. Popolazioni di scarso valore spirituale, ma di grande pazienza e tenacia, non eran fatte per creare imperi o civiltà loro proprie, ma per affiliarsi alle civiltà confacenti e rinvigorirle, nella duplice loro qualità di mercanti e di soldati. L'Assiria, nazione aristocratica e militare, non riuscendo a distruggerli, nè a sottometterli compiutamente, ne fece, dopo l’abbattimento del regno arameo di Damasco nel secolo ottavo, un popolo di clienti. Si diffusero così dalle valli di Mesopotamia, e poco a poco penetrarono, col commercio e con le armi, per i paesi del Mediterraneo. Talché quando, sotto i colpi di Medi e Persiani, ruinò l’impero assiro e poi quello caldeo di Babilonia, gli Aramei formavano un popolo disperso un po’ dovunque ma capace di riaffermare e diffondere quella gloriosa civiltà semitica, già così antica e che pure non aveva peranco terminata la sua missione nel mondo. Questa civiltà ora trovava una nuova espressione nel giudaismo, intorno al quale andava accentrandosi la potenza creatrice del genio semitico. I Giudei, nazione aristocratica, e cioè di antiche memorie, ma tuttavia poco numerosa, cominciarono prestissimo a imprimere nell'anima degli Aramei quella fede religiosa, che poi doveva sempre più assumere forme aramee, sino a trasformarsi dall’ebraico della bibbia nell’aramaico del Talmud. In uno di questi antichi nuclei nazionali giudeo-aramei ci incontriamo, con i papiri di Jeb.
Quando sarebbe avvenuta questa penetrazione di elementi palestinesi in Egitto, anzi così lontano nell’alto Egitto ? Una tarda tradizione giudaica riferisce (i), che già il faraone Psammetico II, nella prima metà del secolo sesto, si era servito di soldati giudei per condurre spedizioni contro il re d’Etiopia, sui medesimi confini dell’Egitto dove si soh trovati i nostri papiri. Nulla ci vieta di credere che la notizia sia vera, o per lo meno verosimile; tanto più che, come vedremo, i Giudei stessi di Jeb si vantano che la loro colonia rimonti ai tempi innanzi la conquista persiana dell’Egitto, nel 525. A ogni modo, contentiamoci di sapere che in Jeb, sui confini dell'Egitto con l'Etiopia, nella seconda metà del quinto secolo, fioriva una importante colonia giu-dajco-aramea. Colonia militare, oltre che commerciale? Questi giudeo-aramei erano colà stabiliti agli ordini e sotto la protezione del governo persiano, per difèndere eventualmente, come popolo armato, i confini egiziani della prima cateratta dalle facili e pur assai dannose incursioni degli Etiopi? Quello che noi sappiamo delle disastrose invasioni dell’antica Etiopia in Egitto, e dello scarso spirito militare inditi) Lettera d’Aristea, 13.
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geno degli Egiziani, lo rende, aggiuntovi il contenuto generico dei papiri, più che probabile. La fondazione della colonia risaliva senza dubbio al tempo del predominio assiro in Egitto.
La situazione e le vicende della colonia giudaico-aramea di Jeb non ci son note naturalmente che attraverso i papiri, e a questi occorre subito riferirsi. I papiri dell’edizione inglese, assai ben conservati, non hanno gran valore per noi. Si tratta di una diecina di documenti giuridici, relativi alla famiglia di un. Mahseià figlio di Jodanià, e doveronoxfar parte di un archivio privato. Sono invece i papiri tedeschi quelli sui quali è da fermare la nostra attenzione.
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1 papiri tedeschi si distinguono in tre parti. Una è costituita da lacunosi frammenti di versione aramaica della grande iscrizione storica in tre lingue, fatta incidere da Dario-1 nelle pareti superiori del monte Behistan in Persia; la quale permise a Giorgio Rawlinson di scoprire e sistemare la interpretazione così difficile dei cuneiformi babilonesi e assiri. La spiegazione dei frammenti, in assai cattivo stato, è incerta ed oscura, ma tradisce una speciale dipendenza dal testo babilonese-assiro della iscrizione. Un'altra parte è formata da una quindicina di frammenti, di oscurissima interpretazione, relativi alla leggenda e alle sentenze del celebre savio Achi-kar, l'ESopo assiro, vissuto, dicesi, alla corte di Senacherib tra i secoli ottavo e settimo e i cui detti morali pare venissero conosciuti e tradotti in greco da Democrito. La terza parte finalmente è costituita da una discreta quantità di scritti d’indole varia, archivistica, giuridica, epistolare, censuaria e simili, rappresentativi deile circostanze e vicende fra cui toccò di vivere alla colonia giudaica di Jeb, nella seconda metà del secolo quinto. Son questi i documenti che più ci interessano. Esaminiamoli dunque a nostro miglior agio.
I papiri n. i e 2 — cito l’edizione dell’Ungnad (1) — sono due poco dissimili prove di una lettera che la comunità di Jeb indirizza, a nome di Jodanià e degli altri sacerdoti suoi confratelli, l’anno decimosettimo del re Dario II, cioè nel 408-407, a Bagohi governatore dei Giudei di Palestina. Vi si narra, che un tre anni innanzi, avvenuta la partenza dall'Egitto di Arsam, governatore persiano, i fanatici egizi del dio Chnub in Jeb aizzarono, d’accordo con Vaidrang comandante locale di milizie governative, la plebaglia del circondario contro i Giudei e il loro tempio di Jahu; per guisa che il quartiere giudaico fu invaso, e il tempio saccheggiato e messo a ferro e fuoco. La descrizione che vi si fa del saccheggio e della rovina persuade che si trattava di un tempio monumentale e assai riccamente arredato. Esso era stato costruito innanzi Cambise, e Cambise — che certo vi passò d'accanto, durante la sua campagna contro gli Etiopi — lo aveva rispettato, mentre aveva abbattuto tanti altri templi egiziani. Sin da quel tempo, Jodanià e i suoi confratelli avevano scritto lettere in proposito a Bagohi, al gran sacerdote Jochanan e alla comunità di Geru(1) Aramäische Papyrus aus Elephanlinc. Leipzig. 1911.
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salemme, nonché alla nobiltà dei Giudei, ma senza ricevere alcuna risposta. Ora essi tornano a chiedere che, per ordine del governo centrale, sia loro concesso di ricostruire il tempio, di ristabilirvi il culto di sacrifici incruenti, d’incenso, ed olocausti come per l’innanzi; pronti, per parte loro, ad offrire perciò al governatore un congruo donativo. E in questo senso hanno scrìtto pure a Delaià e Scelemià, figli di Sanballat, governatore di Samaria. .
Il n. 3 è una registrazione sommaria della risposta inviata da. Bagohi, in questi brevi termini:
« Memoria di ciò che Bagohi e Delaià mi dissero. Memòria; cioè: Tu avrai a dire in Egitto, davanti ad Arsam, a proposito del tempio con altare al dio del cielo, nella città forte di Jeb, quale fu costruito innanzi Cambise, e che quél malvagio Vaidrang distrusse nell’anno XIV del re Dario; che sia ricostruito al suo luogo, com’era per l’innanzi, e che vi si offriranno sacrifizi incruenti e d'incenso sopra l’altare, come per l’innanzi crasi usato di fare » (i).
Il n. 4 è una richiesta di alcuni membri della comunità di Jeb ad Arsam, per ottenere che nel nuovo tempio si possano offrire anche sacrifizi cruenti ed olocausti.
N. 5: lettera da parte di un’associazione giudaica in Egitto, anno 427, regnando Artaserse.
Il n. 6, disgraziatamente assai lacunoso, è una lettera mandata alla comunità di Jeb nel 419, da un certo Hananià, uomo indubbiamente di grande autorità nel giudaismo:
«1 2 Al signor nostro... 3 Jodanià e compagni suoi, colonia de’ Giudei, il vostro fratello Hananià. La salute del fratello mio gli dei (domandino)? Ed ora : in quest’anno, anno V del re Dario; dal re fu decretato per Arsam... 4 (Giu) dei, Ora voi così computate: quatt(ro)... s (fa)te ; e dal giorno V fino al giorno XXI di (Nisan)...6... puri siate e purificatevi ; lavoro no(n)7......non bevete; ed ogni cosa
fermentata...8... dal tramonto del sole fino al giorno XXI di Nisa(n)...9... salite nelle vostre stanze e chiudetevi, fra i giorni...’®... " Al fratello mio Jodanià e compagni suoi, colonia de’ Giudei, il vostro fratello Hananià » (2).
La memoria corre subito a un versetto, fra gli altri, dell'Esodo: (2 XII, 18): « Nel primo mese (di Nisan) nel quartodecimo giorno del mese, al tramonto, mangerete gli azzimi, fino ai giorno ventunesimo del mese, al tramonto ». Si tratta, pertanto, della celebrazione della pasqua.
il h. io è’un reclamo della colonia giudaica di Tebe a quella di Jeb, contro un alto funzionario convertitosi al mazdeismo e divenuto aspro avversario dei Giudei.
(1) La frase «dio del cielo» non ha un caratteristico sapore giudaico, ma piuttosto semiticO-iranico. Questi primi tre papiri son noti, per la pubblicazione fattane dal Sachau, fino dal 1907.
(2) I critici pensano che, in armonia coi testi biblici, la parola guattire)... debba
leggersi per intero guattordici o guartodecimo', e che, invece di giorno E, lo scriba avrebbe
dovuto dire: giorno XV. Notiamo poi là frase finale della linea a, che è di origine e
provenienza babilonese (sulmu... saalu, domandare delia salute di alcuno) ma di valore
irrimediabilmente politeistico. Era una frase fatta della letteratura epistolare? Ciò attenua, non risolve la difficoltà.
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N. li: un Giudeo di Abido avverte la comunità di Jeb chela presenza in Egitto del su nominato Hananià ha grandemente eccitato il malanimo dei sacerdoti egiziani contro i Giudei.
N. 19: elenco dei Giudei che pagano la tassa capitale al tempio di Jeb. Il denaro raccolto ha da essere diviso così: 12 parti per Jahu; 7 parti per Esembetel; 12 parti per Anatbetel.
N. 28: giuridico; l’arameo Malkià in jeb giura per il dio Harambetel.
N. 30: giuridico. In Jeb si presta denaro ad un tasso superiore a quello determinato dalle leggi mosaiche.
N. 33: giuridico; un tale ha giurato per il santuario e per la dea Anatiah.
N. 34: giuridico; un tale ha nome Betelnatan.
Di altri documenti giuridici, lettere private, elenchi di nomi, che fanno parte del gruppo, non ci occorre tener conto.
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Così ho messo dinanzi al lettore, con un certo generico rilievo a riscontro della bibbia, la materia contenuta nei papiri. Ora. vorrei domandargli: che ne dobbiamo fare? Com’era da figurarsi, essi hanno interessato molto, specialmente in Germania, gli studiosi di critica biblica, e si è durato per anni, si può dire fino allo scoppio della guerra, a farne oggetto di accurate indagini. Ma queste hanno avuto, mi pare, uno scopo un po’ troppo di preferènza filologico. Si è cercato di definire il significato preciso di molte parole nuove, oscure od incerte; si sono studiati a parte i nomi propri; si è tentato di chiarire il senso già per sè difficile e il testo lacunoso delle sentenze dell'Esopo assiro; si son prese di mira le parole e le frasi di origine e sapore persiano e babilonese; si è studiato il carattere, anche a prima vista così curioso, di questa religione giudaico-aramea; infine, si è armonizzato coscienziosamente il tutto con i risultati «certi» della critica biblica moderna e cioè con la «scienza» della bibbia.
Ebbene, noi non neghiamo che tutto questo lavoro abbia i suoi pregi. L’accanirsi degli studiosi insodisfatti intorno a persistenti difficoltà filologiche, può giovare a chiarirle; ma non potrebbe anche aggravarle, se l’oscurità è troppo densa? E soprattutto, per venire a quél che ei preme: lo sforzo in sè lodevole di conciliare la lettera dei papiri con i risultati oggi ammessi della critica biblica, non può forse riuscire a consolidare nelle menti opinioni di origine ipotetica e intrinsecamente bisognose esse medesime di conferma storica? Mi pare insomma, che nello studio dei papiri siasi adoperato lo stesso difettoso metodo che troppo sovente rende vane o incèrtissime le ricerche di critica biblica: eccedere nella valutazione analistica, atomica dei documenti, a danno della loro considerazione storica e sintetica; che è poi il difetto generale della odierna filologia semitica.
Intanto, per restare entro i limiti del presente lavoro, noi sosteniamo, che i papiri, una volta chiariti sufficientemente dal lato filologico, dovevano essere invece storicamente considerati con spirito critico affatto diverso da quello messo ih opera. La scienza moderna della bibbia — quella rappresentata soprattutto
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dall’opera e dal nome di Giulio Wellhausen — è mero prodotto di crìtica interna. /Abbandonata per intero la tradizione storica intorno alla bibbia, si è cercato di ricostruirla scientificamente sui risultati dell’analisi filologica e contestuale; ricostruzione ben riuscita, plausibile quanto si voglia, ma ipotetica sempre. E perciò lo studioso deve pur sempre domandarsi: questa scienza della bibbia, come si presta ad essere inquadrata nella universale realtà della storia? E le singole realtà della storia, per esempio i nostri papiri, come si comportano con la « scienza » biblica? I papiri debbono essere una pietra di paragone, a norma di cui saggiare la verità delle ipotetiche conclusioni della critica. Io non mi domando, con evidente preoccupazione apologetica, in qual modo i papiri siano conciliabili con la bibbia, così come da noi si suole intendere. Mi domando invece: che cosa dicono i papiri? E quando l’avrò determinato, potrò chiedermi: i papiri sono indifferenti verso la scienza della bibbia? Oppure: la confermano, l’abbattono, la mettono in dubbio? Vediamo.
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Innanzi tutto, -là lingua dei papiri di Elefantina ci si presenta in una forma che non è contemporanea a quella delle pagine aramaiche del libro di «Ezra», ma anzi, dal lato fonetico e grammaticale, si palesa discretamente anteriore. La lingua dei papiri ha sapore più antico, specialmente in quanto è più ebraica delle pagine aramaiche di Ezra. E dicendo ebraica, non intendo alludere all'ebraico della bibbia. Anzi, i papiri, meno casi straordinari, non manifestano affatto quegli intimi’ rapporti di pensiero e di parola con le pàgine della bibbia, che sarebbe ovvio di attendersi da documenti religiosi giudaici, redatti dopo Ezra. No; la lingua aramaica dei papiri è ebraica nel senso in cui sono ancora più ebraiche le iscrizioni fenicie, le iscrizioni aramaiche del secolo ottavo, la iscrizione moabitica di Mesa: nel senso cioè, in cui, piuttosto che di lingua ebraica, si parlerebbe di lingua cananea, del più antico dialetto semitico palestinese, succeduto al linguaggio delle Lettere di El-Amarna, e che fu poi fenicio, ebraico, aramaico. Questo carattere non biblico dello aramaico dei ^papiri è confermato dal loro contenuto: non è la bibbia che predomina nella mentalità letteraria dei Giudeo-aramei di Jeb, ma il pensiero assiro (sapienza di Achikar) il pensiero persiano (iscrizione di Dario).’ Parole e frasi di sapore assiro babilonese si avvicendano ad altre di valore persiano e perfino mazdeo. In genere, leggendo i papiri par di essere nel campo delle iscrizioni semitiche, non in quello della bibbia.
La religione della comunità di Jeb è indubbiamente ebraica: ma ebraica nel senso biblico? Serbiamo l’interrogativo. Accanto al dio Jahu troviamo un dio Esem-betel, che ha tutto l’aspetto di una divinità separata, magari filiale, e che perciò non può essere facilmente identificato con lo spirito o con Vangelo di Jahvé della bibbia. E una divina persona è inoltre la Anat- Betel o Anat-Yah, la sposa paredra di Jahu, come la Astar-Kemos della iscrizione di Mesa (i). E poi perchè, nei papiri,
(i) Alla parola esem è stato dato il senso di nome (ravvicinato all’arabo) o di fuoco (ravvicinato al babilonese). Quel betel ha un sapore idolatrico così vivo, che vien la tentazione di tradurlo, senz’altro, belilo.
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quella forma del nome divino Jahu (YHW), che nella bibbia, tranne nei nomi propri, è quasi sempre Jahvé (Y H W H )? La comunità di Jeb non conobbe o non adottò questa forma del nome divino? Era un nucleo religioso dissidente?
Eppure, il papiro della pasqua sembra testimoniare della ortodossia giudaica della nostra comunità. Ma nello stesso tempo questo papiro dà adito a nuove difficoltà: perchè fa l'impressione, che quella sia la prima pasqua celebrata dai Giudei di Elefantina, o in ogni modo che si tratti di un rito fra loro inusitato, non di un culto solenne ed antico nel giudaismo, stabilito o rinnovato l’anno diciottesimo del re Giosia di Giuda, un due secoli prima.
E che pensare della legge, fondamentale nei libri mosaici, dell'assoluta unità del culto monoteistico di Jahvé nel solo tempio di Gerusalemme? Il tempio di Elefantina, con i suoi sacrifici, ne è la violazione flagrante. Si è detto bensì che appunto perciò i sacerdoti di Gerusalemme non risposero alle lettere dei Giudei di Jeb, scritte prima, nel 410. Ma il silenzio, in quella circostanza, dei sacerdoti e della nobiltà giudaica e di Bagohi soprattutto, ammette qualsivoglia spiegazione, e perciò non ha valore. Invece, la lettera dei Giudei di Jeb per la ricostruzione del tempio offre ancora una difficoltà: quella dei loro pacifici rapporti e col giudaismo «officiale» (per noi) di Gerusalemme e col giudaismo «officiale » (per il governo persiano) dèi figli di Sanballat governatore di Samaria; di quel Sanballat, a cui la bibbia fa rimontare appunto l'origine della chiesa samaritana. Così, male intervengono i papiri, non a pacificare, ma a contradire vie più i due litiganti, la bibbia e Giuseppe Flavio, intorno alle origini dei Samaritani.
Per ultimo, non è da trascurare il dissenso che pare esistere tra il governo persiano e la comunità di Jeb circa la continuazione, o meno, dei sacrifici cruenti nel tempio giudaico da ricostruire.
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Che ne dobbiamo concludere? Che i papiri son là a confermare i resultati della critica biblica moderna? In coscienza, non lo possiamo. Ci limiteremo dunque ad affermare che, fra i papiri e la bibbia della critica, se non vi è conciliazione, non vi è neppure discordia, perchè tra loro non vi sono punti di contatto? Lo dica chi vuole. Per me, dirò franco il mio parere. I papiri vengono ad aggiungersi alle molte altre testimonianze di fatto, le quali da più anni mi persuadono che la ricostruzione scientifica della bibbia, sistemata nella seconda metà del secolo scorso dai critici tedeschi, è un lavoro ipotetico, fantastico e profondamente sbagliato. Intorno a tale ricostruzione, dopo averla, come devesi, accettata con rispetto, ebbi a concepire i primi dubbi, quando, nel l’indagare le origini del cristianesimo, tentai di comporre nel Panteon una sintesi storica della bibbia, che fosse il più possibilmente mia. Poi che l’ebbi terminata mi accorsi — e in ciò sta il valore del libro, misconosciuto da quelli che si degnarono di giudicarlo — che quel lavoro era in pari tempo, come suole nella vita dello spirito, e il punto d’arrivo di un sistema scientifico invecchiato e il punto di partenza di una nuova concezione. Sei anni di ulteriore lavoro
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e di continuata riflessione mi hanno fondato viepiù nella necessità di cercare con altro metodo e per altre vie la soluzione della questione biblica.
Lungi da me il sospetto, che io voglia comunque menomare il gran merito della scienza tedésca, nello studio dei tanti problemi che offriva la bibbia al senso critico moderno. Essa ha scoperto in molti casi il vero, e ha percorso vittoriosa un cammino che sarebbe follia ricominciare, arretrandosi di nuovo inutilmente. Ma, come già s’è accennato, la critica biblica del secolo scorso, giustamente abbandonata la tradizione medioevale circa le origini e la formazione della bibbia, ha poi ecceduto, mi sembra, nel presumere di poter ricostruire l’arcano edificio, affidandosi esclusiva-mente o quasi ai nostri odierni criterii di analisi filologica e contestuale. E i risultati ottenuti, dal punto di vista sintetico, cioè più veramente storico, sono stati perciò così poveri e incerti, da poter noi dire che, malgrado la luce fatta su tanti particolari delle sacre scritture, l’origine e la formazione della bibbia, che è quanto dire della letteratura e della religione israelitico-giudaica, è anc’oggi un profóndo mistero. Tutto è da rifare. Noi dobbiamo certamente tener conto di tante indagini definitive, compiute dai critici protestanti tedeschi sulla bibbia; ma come di rottami, direbbe il Vico, che attendono una mente ordinatrice. Quello che tutti i giorni vo ripetendo a me stesso, lo dico pure ai giovani studiosi ed impregiudicati: Lasciamo di studiare la bibbia col semplice metodo della critica interna: cerchiamo la soluzione della questione biblica fuori della bibbia, non in una tradizione ingannevole, che non può essere più ripresa in esame, ma là dove solo è possibile raggiungere qualche certezza di fatto, nell'archeologia orientale, nelle tradizioni e letterature semitiche e nella storia comparata delle religioni. Solo così potremo riuscire, se mai, a costruire la scienza della bibbia e a disvelare la Sfinge ancora ignota alio spirito umano.
i dicembre 1919. Salvatore Minocchi.
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1. - LA SCUOLA IN CERCA D’UN'ANIMA
5TCHE da noi, per parecchie diecine d'anni, la pedagogia, come tecnica educativa, ha lasciato in ombra ne le coscienze il problema fondamentale de l'educazione: del senso, del fine de la vita.
Il fine è sempre, in realtà, non semplice termine di arrivo, anzi cammino, via, metodo. Ma il pedagogismo empirico — scientifista e psicologista — finiva per contentarsi
di astratte possibilità metodiche e di forme di educazione parziali e molteplici: dei sensi, dell'intelletto.. del sentimento della volontà, della moralità... E al suo
spirito si veniva informando sin qui la maggior parte delle nostre scuole, specie di quelle per il « popolo ».
Ora una reazione filosòfico idealistica e religioso-confessionale è in via, da qualche tempo, nel nostro paese. E ora, come nel primo terzo del secolo scorso, al tempo de la restaurazione, (pensate, non foss’altro, il saggio del Rosmini su l’Unità de l’Educazionel) si risolleva, da parte specialmente dei cattolici, e nell'interesse d'una scuola confessionale, contro l’azione e direzione de lo Stato, il problema della «scuola libera». E coi cattolici rendono sempre più dégno di attenzione il movimento alcuni idealisti.
In verità, oggi come or è circa un secolo, il problema da risolvere è delia scienza o della religione come scuola alla conquista d’un sempre meglio consapevole senso della vita.
La scienza che contrastava alla religione, in Francia e da noi, era allora, soprattutto, il naturalismo. Oggi lo scientismo naturalistico ha vissuto tutta di-
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spiegata la sua critica, e la vera rappresentante della esigenza sua — di pensiero — si dichiara la filosofia.
Dopo il fallimento de la scuola di spirito essenzialmente estetico, letterario, è la volta di quella di spirito scientista. Alla scuola par non rimanga dunque, per vivere, che o rifarsi religiosa, o svilupparsi da letterario-scientifìca a filosofica.
Anzi, in realtà, anche la scuola estetizzante e la scientista erano di spirito filosofico: l'una e l'altra tendevano ad essere emancipazione dal confessionalismo. E con più precisione all'alternativa può oggi darsi questa forma: non rimane alla scuola, se essa deve educare, come nel suo sviluppo sempre più invadente ne mostra il proposito, che, o rifarsi confessionale, o farsi più intimamente, più consapevolmente filosofica...
Non forse di una siffatta alternativa si sono animati sin qui i due grandi ritmi di sviluppo de la storia europea? La religione naturalistica diè luogo alla filosofia, che tendeva a sostituirla, in Grecia e in Roma. E poi daccapo dalla insufficienza dì quell.’, filosofia gli animi si rivolgevano a una religione, al cristianesimo. E dal seno della nuova religione risorgeva l’esigenza filosofica, che come letteratura e scienza tendeva e tende a sostituirlesi nella vita, ne la cultura e ne la scuola.
Oggi, poi, ne l’inadeguatezza sempre più dichiaratasi, di quella forma di scienza, di filosofia, ch’è statò, nelle sue più diverse manifestazioni, il pensiero positivista prevalente da la seconda metà del secolo scorso, la religione vivacemente si riadopera a far trovare dimostrata la necessità del proprio intervento. La religione, cioè, da noi, di fatto, una chiesa che, contro le diffidenze de la classe colta, cerca di farsi forte de la gran massa del popolo. La chiesa si sostiene indispensabile alla educazione morale, di cui la scienza si sarebbe dimostrata incapace.
E come può oggi, proprio oggi che i più diversi Moloch pare abbiano scatenato gli uni contro, gli altri i popoli e le classi sociali, disinteressarsi del problema chi si interessi, in volontà di reale autonomia per il suo popolo, a la scuola nazionale ?
La chiesa, riaffermandosi vocata a fondare .la moralità, pone non l’individuo, non la nazione, non l'umanità, ma Dio, e un suo Dio trascendente, quale suprema, unificatrice aspirazione e regola. E nello spirito razionalistico, filosofico, ne la mancanza di fede che gli attribuisce, mostra l’origine del difetto di assolute e purificatrici idealità, di amore, accordo ed elevatezza morale tra gli uomini... E chiede libertà, nella fiducia di potere, per il bene degli uomini, trionfare de l’ideale umanistico, de ('Autoeducazione, de l'Autonomia. Gli idealisti intanto, pare le dieno la mano, in parte disposti come sono, a vedere in un risveglio religioso un principio effettivo, spirituale, di moralità quale manca
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a lo scientismo, c' la preparazione a una più vera ed intima educazione filosofica. In parte mentre stimano che degli sforzi della chièsa per una .< sua > libertà nel campo scolastico, s’avvaritaggerà non essa, bensì appunto lo spirito di libertà.
Ma in una società come la nostra, dalla sviluppata riflessione personale e scientifica, assai persone colte-devono persistere nel trovare i credi, i dogmi, i riti, la morale di cui vive la religione, semplicemente repugnanti: contraddittori con quei fatti e significati che il lavorio del pensiero è venuto conquistando, e contraddittori in sè stessi, inconcepibili, nient’altro Che sopravvivenze.
2. - PER IL CONCETTO DE LA RELIGIONE
Religione, Filosofia, Moralità, ed esigenza d’un vivo spirito etico ne la vita e ne la scuola e quindi di quel metodo o religioso o filosofico che esso implichi: questi, comunque, oggi, i termini fondamentali nei quali si presenta alle più vigili cosciènze il problema scolastico.
La religione. Cioè?... E che peso dare alla sua pretesa d’essere insostituibile per ogni uomo, o sia pure per i meno colti tra gli uomini, ai fini della vita morale? Problemi vecchi e oggi daccapo nuovi.
Ai quali da un lato continua a rispondere il teologismo chiesastico: che l’insostituibilità de la religione afferma nel fondarla coinè credo, parola rivelata^ sovrarazionale, sovrumana. E dall’altro la riflessione filosofica, essenzialmente umanistica, e in due direzioni : empirica e speculativa.
Ma se e quanto valgano le tesi e gli argomenti teologici non possiamo decidere che ragionando : muovendo cioè il nostro pensiero ne la direzione empirica o ne la speculativa. E non è facile si orienti fra le molteplici possibili ramificazioni di quelle, chi si chieda quale funzione potrebbe o dovrebbe eventualmente assumere la religione ne la attività educativa nazionale e sua propria.
Diverse opinioni son note ai più. Ma facile è averne molte, difficile poterne mantenere, nonostante e sopra le molte, una. Così, di quei nostri educatori che tuttavia riflettono, i più sono, per questo rispetto, in una paralizzante perplessità.
Tentare di porgere a qualcuno, per questo laberinto, 1x1 qualche filo arianneo, sarà volontà d’amore tutt'altro che fuor di proposito.
Ma di quale materia filar questo filo? Ne domanderemo all’empirismo? In verità! Se proprio l’empirismo e ne la scuola e ne la scienza, è in questione! E poi che definire in un modo piuttosto che in un altro la religione è far proprio con più o meno consapevolezza un punto di vista filosofico, permettetemi qui, non parlando io solo per quelli che si muovono già con storica consape-
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volezza nel piano oggi più elevato de la riflessione filosofica, m? soprattutto nella speranza d’incitare degli oscillanti a trasportarsi a quel piano, permettetemi una breve parentesi su lo sviluppo del metodo filosofico che vi faccia almeno intravedere la ideale necessità del puntò di vista non empirico, che vi consiglio.
Che se la parentesi vi parrà a prima vista ingombro faticoso, abbiate per poco pazienza e il corso del mio dire ve ne chiarirà meglio il senso e la portata.
3. - PARENTESI: IL TRASCENDENTALE E IL DIALETTICO
«Il divino è bello». Ma... — già si accorgeva Platone — «ma, se non abbiamo il bello, come lo desideriamo, come mai noi, uomini, ci vogliamo innalzare al disopra della natura nostra?» Come cercheremmo ciò di cui del tutto noi si mancasse? (Nè la verità, la bellezza, Dio — queste Idee, —si può pensare ci vengano da la sensazione!).
Solo una dotta ignoranza, era dunque la risposta, può consentire la ricerca. E questa, prima riflessione sulla forma del movimento intrinseco al pensiero suggeriva a Platone —- nel presupposto volgare, non alla sua volta da lui criticamente esaminato, che l’essenza della realtà fosse di essere, indipendentemente dal pensiero — la famosa teoria de la esperienza prenatale dell’anima e de la « reminiscenza » mediatrice per l’anima tra l’esperienza sensibile e le in sè consistenti, per sè stanti, reali Idee.
Un rivivere il medesimo tema di riflessione faceva uscire Agostino dal dubbio scettico. Se dubito ho in me il criterio I Ed anche egli, trovando in sè norme ' logiche, etiche, estetiche, superanti la relatività della sua coscienza individuale, platonicamente assumeva X essere extramentale di quelle «principales formae vel rationes rerum stabiles...» pensandole comprese nell’Essere supremo, in Dio, e da Dio comunicate all’anima.
Tali categorie superiori alle proprie de la conoscenza de la natura ed essenziali a la vita spirituale, «Unum, verum, bonum...», splendevano appunto, più tardi, agli scolastici come le «Trascendentali...». Finché Cartesio scopriva l’Essere come contenuto immediatamente nel pensiero, scopriva cioè che mai dì quel che fosse fuori de la mente potremmo dire che è vero, ma che solo ciò che è evidente, certo, vero, per noi è.
Ma, arrestandosi all’evidenza immediata, la filosofia ricadeva in un innatismo platonico, cui non poteva far critico contrasto se non un empirismo che non potendo alla sua volta giustificare l’idea, l’universale e il necessario, il categorico ne la conoscenza e ne l’azione, doveva divenire scettico. Finché Kant meditava che quella teoria dei trascendentali « che s’era mantenuta così a lungo >
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(e, sotto forme diverse, infatti, dai primordi del filosofare sino al Wolff ed a lui) « per vuota che potesse sembrare meritasse pur sempre una ricerca de la sua origine, e anzi autorizzasse a supporre di avere il suo principio in una qualche, sia pure misinterpretata, regola de l’intelletto... ».
Ed egli scopriva, per conto proprio, che quei pretesi predicati trascendentali « di cui si eran fatte delle proprietà de le cose in sè » si dimostravano, con la loro necessità e universalità, inderivabili dall’esperienza, anzi esigenze e criteri <a priori» condizionanti essi ogni conoscenza empirica de le cose, dei «fatti».
Già con Kant, pertanto, mentre le pretese a unico metodo valido del»w-pirìsmo — falso soggettivismo della mera sensazione — erano dimostrate inattuabili, il Trascendentale come soggettivo insieme e fondamento dell’oggettività, come immanenza a noi delia unificatrice attività sintetica, costruttiva dell’esperienza, si contrapponeva al semplice trascendente, come fuori e oltre il soggetto. Ed anzi il mero trascendente, l’essere indipendente dal pensiero, della coscienza volgare, dell'empirismo e dell’antico platonizzante idealismo, era dimostrato impensabile.
Ma già, ancora, Platone, nel suo instancabile dialogare con gli altri e con sè medesimo, su le idee che sono « une » per i molti dell’esperienza sensibile, e di cui non vedeva come i molti potessero partecipare, aveva finito per accorgersi che proprio nella difficoltà di pensare un rapporto tra l’universale concepito come a sè stante e il particolare, tra l’uno come soltanto uno e i molti come semplicemente molti, tra l’essere come puro essere e il non essere come puro non essere — che cioè ne l’arrestarsi del pensiero a le astratte scissioni, contrapposizioni,'* dualizzazioni da esso operate nel processo del conoscere — era la causa d’ogni filosofica difficoltà.
La difficoltà cui doveva soccombere il pensiero greco, e che, per poco, misticamente superata nel mito cristiano dell'Uomo-Dio (del finito insieme infinito!) doveva ridissolvere il pensiero medievale.
Ma il mistico filosofo che sul principio dell’età nova riviveva in sè, nel fallimento del dualismo, il problema de la «dotta ignoranza», postulava come nuovo principio del filosofare quella coincidenza dei contrari che alla lor volta Bruno e Bòhme poetavano.
E Kant si era ostinato a persistere —- in contraddizione con sè stesso — come non c’ è oggi chi non sappia — nel residuale realismo e dualismo della cosa in sè — ma egli aveva mostrato di fatto la coincidenza de Soggettivo col soggetivo, soggettivando anche lo spazio, l’ultima ancora irridotta tra le « qualità primarie » questa eredità atomistica e scolastica trascendente, cui aveva dovuto mantenere fede l’empirismo per non naufragare nel relativismo. E ora dopo Kant i suoi discepoli — Hegel tra essi con la maggiore efficacia — perfezionavano
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decisamente, nel senso de la esigenza affacciatasi ai suoi platonici inizii, e riaffacciatasi nel Rinascimento, il metodo del pensiero, della Filosofia.
. Le più, tuttavia, tra le persone colte sanno del valore de la consapevolezza metodica che il pensiero acquistava in Bacone, in Galileo, in Cartesio, ma pensano e anche filosofano senza ancora la coscienza di questa consapevolezza maggiore.
Hegel, dunque, rivivendo in tutta la urgenza sua, dopo tanta esperienza filosofica, il motivo della mancanza che non potrebbe avvertirsi, se fosse assoluta mancanza, dell’essere che sarebbe un puro niente come semplice essere, discopriva ai vogliosi di pensare, che il pensiero che avverte il difetto, il limite, si palesa perciò appunto l’unità di sè e del suo contrario: al soggetto dover essere immanente ciò che lo sorpassa è gli si oppone. La vita, l’essere si rivelava ora, insomma, pensiero e come tale movimento, divenire, contraddizione e conciliazione, una aspirazione continua ed efficace del soggetto quale attività trascendentale a limitarsi positivamente e a superare il proprio limite, e così ad esprimere la propria infinità.
Da questo punto di vista Hegel inverava Kant e insieme i voti del nostro Bruno, ed anche del nostro Vico: dichiarandoglisi astratte, conouella dell’essere e del pensiero, dell’essere e del non essere, dell’uno e dei molti, tutte le opposizioni vissute da la coscienza — finito e infinito, bene e male, necessità e libertà, uomo e Dio — e reale la loro compenetrazione nel movimento, ne lo sviluppo, ne la produzione de la vita de lo spirito.'
E tutti i vecchi problemi venivano sollevati, dalla nuova riflessione sul pensiero, dalla nuova consapevolezza metodica, a un superiore piano di risoluzione.
Nella compenetrazione, infatti, del cercato col posseduto, anzi co) prodotto, si giustificava quella stessa possibilità del conoscere e del l'amare e del volere, del rapporto dell'anima individua con l'Assoluto, con Dio, che^a Platone era stato il problema, e che anche dopo Cartesio e dopo Kant, né le direzioni empiriche del pensièro europeo, tratte a collocare la verità ne l’immediatezza del senso o nelle astratte leggi semplicemente « oggettive >, rimaneva inconcepibile.
Intanto, così, il metodo della filosofia da trascendentale si sviluppava a dialettico: e trovava Autocoscienza come unità degli opposti la meno inadeguata" via a penetrare il segreto dell'anima, il segreto del mondo... anche se indeducibili rimanevano nel movimento dialettico le qualità, le specificazioni concrete del divenire: della natura e della storia(i).
Il metodo dialettico s’è ancora Sviluppato. Ha rinunziato a parecchie sue pretese e formalismi. Ma gli ancora impigliati ne l’empirismo, se di vivo spirito
(x) Vedi in proposito il mio volume: Il numero c i fanciulli (Libreria della Vose,. Roma), in cui è anche chiarito il rapporto fra cultura scientifica e cultura filosofica e morale.
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filosofico o mistico hanno alla lor volta cercato e cercano nel « sentimento », in una intuizione, identificata con la pura ragione (Jàcobi) o ritenuta essa sola capace di far superare l’intelletto astratto della coscienza volgare ed empirica (Bergson), degli equivalenti inadeguati, perchè empirici anch’ essi, al trascendentale e al dialèttico...
4. - VARIAZIONE MENO ESOTERICA
SUL TEMA DELLA PARENTESI
La mia parentesi storica vi avrà incitato essa a riflettere che nessuna risposta ai fondamentali problemi de lo spirito può oggi — da chi non voglia riprenderli oziosamente — essere chiesta senz’ altro ai « fatti » ? Hic punctum saliens.
Ma, ancora una volta, e tanto più per chi la parentesi l’abbia saltata, se allo spirito quei problemi non sono accidentali, se in essi, anzi, come pare, si articola il problema de la sua stessa esplicazione, de la sua stessa intima vita» come ne troveremmo la risposta fuori de le sue interiori, direttive, categoriche, condizionanti esigenze ideali, e del loro intrinsecamente necessario — dialettico — Sviluppo?
Posso io chiedere alla esperienza intesa come insieme di fatti che mai sia «verità»? Anzi, quando ragiono non «formo» io i fatti secondo il mio pensiero per renderli veri? (E non ristò dall’opera mia sinché mi paia d’esserci giunto).
Come i fatti mi sarebbero singole verità, se non avessi dentro me, sia pure non esplicito, il criterio di quel che cerco, quando cerco la verità? La quale è dunque una Categoria ; un Dover essere intimo a me, e perchè tale, al mio mondo.
Ma allo stesso modo i vari «fatti» morali come e.dove li scoprirò, se i fatti non mi ridiranno la mia esigenza di moralità? (Solò se sarà viva e vigile la mia esigenza non mi saranno inutile lezione i fatti e la loro storia...).
Se, allo stesso modo, là religiosità è un'esigenza essenziale al mio spirito, o per decidere se lo sia, se- non possa ridursi ad altra categoria o se quello che pare sia dato dalla religione valga a meglio fornirmelo altra forma della mia attività, vano è cercare fuor che ne l'analisi trascendentale e nello sviluppo dialettico dell'io. Dell’Io come forma condizionante d’ogni esperienza e valutazione e come producente nel suo movimento essenziale, nel suo organico dispiega* mento ideale le forme de la propria attività.
Con più fiducia, tuttavia, si istrada per un cammino chi abbia, almeno alto alto, intraveduto che gli altri non spuntino, o di traverso sbocchino in quello.
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Se vi siete tormentati per le vie del semplice empirismo, io cercherò, di avviarvi a scorgere come tutte le ricerche empiriche nel campo de la religione, che già implicano nelle loro provvisorie, euristiche, assunzioni delle petizioni di principio, siano, in quello per cui dicon qualcosa di trasparente allo spirito in cerca, siano, più o meno velatamente e sofisticamente trascendentali e dialettiche.
5. - LA RELIGIONE DEGLI EMPIRISTI
La ricerca empirica sul significato, 1’ « origine ? e lo sviluppo de la vita religiosa ha modernamente assunto forme diverse — psicologica, filologica, etnologica, sociologica... — già tutte in germe in quel movimento illuministico da cui si sviluppava il positivismo. E tutte queste vie han comune il proposito di ricercare in temporali inizi di fatto l’origine e l’essenza.
Ma badate, l’indagine psicologica, che abbia trovato alla radice la paura o la fantasia, o esperienze di estatico monoideismo... ha poi dovuto ricorrere, a complemento de le sue esplicazioni, alla esigenza dell’uomo a superare assolutamente la paura, e ritrovarsi come, soggetto nell'oggetto (Feuerbach... Clifford) o ad una esigenza di pensare oggettivamente valide le intime aspirazioni fantasticate (lo stesso Feuerbach), o nel bisogno di unità essenziale allo spirito... (Parecchi recenti psicologi francesi).
E se ha fatto ricorso al sentimento del valore come contrapposto al pensiero e fonte esso della libera costruzion religiosa (Siebeck... Hoeffding...) e se ha contrapposto alla esigenza conoscitiva la volontà — nel sentimento e ne la volontà ha insinuato l’assoluta esigenza — di porre adeguata relazione tra l’io che sente, valuta, vuole, e il suo mondo (Bender, Pfleiderer, Leuba...). E se se ha invocato il concorso di tutte le funzioni psichiche nella originale sintesi religiosa (una via, questa, che anche di recente è stata battuta da noi) lo ha fatto daccapo in servizio di quella siffatta esigenza...
O anche ha scoperto una « speciale » emozione religiosa, uno speciale sentimento, che era poi... di relazione con l’infinito; o ha assunto una qualche speciale operazione del subcosciente che metterebbe essa l’io individuo in rapporto con un più ampio sè, ed ha escogitato un « senso di presenza... > dell’assoluto ... (James... Segond...).
In verità la psicologia di questi ricercatori conserva sempre uno strano e contraddittorio aspetto trascendentale e dialettico!
Alla sua volta, la scuola naturalistico-fìlologica, che ha chiesto al linguaggio il mezzo per giungere alle più elementari, primitive creazioni religiose, ha dovuto ricorrere anch'essa al complemento del « senso de l’infinito » (Max Miiller).
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E la scuola che ha chiesto a lo studio antropologico, alla considerazione di tutto il meccanismo della mentalità primitiva, e a le comparazioni etnologiche, il segreto de la religione, metteva da un lato in rilievo la tendenza animistica (Tylor) e poi una più elementare ancora tendenza « magica » ; poneva, cioè, sostanzialmente, la religione in rapporto con una speciale primitiva ed ingenua forma di appercezione conoscitiva. Ma nel suo più filosofico rappresentante si ritrovava a dovere riammettere un senso dell’assoluto vissuto dalla coscienza pur nella sua incapacità di... conoscerlo, di sottrarsi, come coscienza definita, a la prigione del relativo.
E la scuola sociologica, contrappostasi, come più positiva, alla psicologica, al luogo della feuerbachiana adorazione della proiezione de l'individualità propria, da parte dell’uomo, ha infine ritenuto di scoprire operosa una adorazione di se stessa della coscienza sociale ponentesi essa a se medesima come oggetto assoluto (Durkheinn).
6. - LA RELIGIONE DEGLI SPECULATIVI
Ora io vi prego di sospendere per un momento il vostro giudizio su queste ricerche empiriche, e su i loro complementi di odore metafisico, e su le tante altre ricostruzioni composite del fenomeno religioso (come quelle del Wundt, dello Jevons, e simili...). E di riaffacciarvi per poco con me alla considerazione trascendentale e dialettica. E mi direte di poi dove, di fatto, più vi parrà venga meno sotto i piedi il tei reno, o per i «solidi» sentieri de l'empirismo, o per la via in apparenza più .aerea per la quale vi invito a .trasvolare.
Kant : — Non l’esperienza nè la storia, non ciò che è accidentale e ciò che muta, non l’astrazione da fatti e serie di fatti che dovremmo pur scegliere secondo un concetto, una essenza, ma l’esame trascendentale; l’analisi non della coscienza psicologica o sociale, anzi della coscienza nella sua universalità assolutamente condizionante — potrà solo rivelarci che sia, come si origini e che valga la religione, riportandoci a la fonte de la possibilità — o de la necessità — dell’esperienza religiosa...
Ebbene: Non forse nè l’esigenza, vissuta da chi agisce, di razionale universalità anche a proprio danno, ne l’agire; non forse nel piegarsi al dovere anche con la rinunzia a la propria felicità, l’anima è tratta a postulare uno spirito assoluto legislatore e giudice e, per sè stessa, un'altra vita? E la religione non ha allora la sua radice nella ragione in quanto praticamente operosa?
Ma ne la conoscenza dei doveri come comandi divini — esterni — è, ecco, la peculiarità ed anche la inferiorità de la. forma religiosa de la coscienza, rispetto a la filosofia...
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La religione si dimostrava dunque per Kant derivare la sua verità ed efficacia dalla vita morale, e non vieeversa. Ad ogni modo e il concetto che contrapponeva la religione alla scienza, e la svalutava derivandola da aberranti interpretazioni conoscitive, e gli altri concetti empirici de la sua origine da più o meno accidentali e temporanee peculiarità psicologiche e sociali, qui già trovavano un loro fermo correttivo: — L’esigenza che anima la religione è reale di tutta la realtà dello spirito, per quanto inadeguata, e psicologicamente spiegabile e criticabile possa essere la sua trascendente espressiore religiosa.
E qui trovavano anche la lor critica anticipata quelle forme di psicologismo che ricercavano e ricercano nel senso soggettivo del valore, senza riuscirvi, una qualche legittimazione all'esigenza religiosa, di contro al positivo conoscere, : — Il sentimento, il valore qui si dichiarava come la stessa ragione informante, della sua assolutezza, e allo stesso titolo, il conoscere e l'agire.
Col metodo dialettico (da Hegel ai due Caird, ai nostri idealisti) più adeguatamente si dimostra la validità della esigenza essenziale a la religione e insieme la « impossibilità > della forma che le è propria. Kant essendosi limitato a constatare criticamente le condizioni a priori de l'esperienza, senza penetrare la radicale identità del soggetto e dell'oggetto, le realtà della coscienza religiosa gli rimanevano dei postulati, così come le realtà del conoscere gli erano fenomeni che potevano non dire la cosa in sè.
Ma ora facendosi chiaro che soggetto e oggetto non possono sussistere fuori della assoluta relazione ch’è la loro unità, l'assoluto si dimostra vivere realmente e rivelarsi nell’uomo, ne la sua autocoscienza.
La religione viene a dimostrare così una realtà di tanto più ampia de la morale, di quanto l’identificazione del finito con l'infinito supera l’identificazione deH'individualità finita con quella oggettivazione particolare e finita anch’essa dell'infinito ch'è la vita sociale.
Che l’anima viva e in sè attui l’assoluto perchè in quanto soggetto è identica cor l’oggetto, e a traverso il finito è identica con l'infinito, perché essa è il pensiero fuori di cui non può porsi essere, è l'universale fuori di cui non può porsi il particolare, non è la dimostrazione dell'unione intima dell'uomo e di Dio? Non è qui il radicale argomento della eternale assolutezza dell'anima — per quanto inappagante possa apparire la sua affermazione solo in questi termini ? — Ma appunto in questa dimostrazione si dichiara anche l’insufficienza de la « forma » religiosa in quanto tenda a contrapporre fantasticamente l'infinito al finito, l'assoluto come esternità, oggettività, eteronomia, alla coscienza dell’uomo, la rivelazione divina, storicizzata, puntualizzata nel tempo, alla rivelazione interiore...
Una là fonte de la conoscenza de la moralità, de la religiosità: il pensiero che ha in sè l’essere. Ma nel pensiero in forma fantastica, che non può dare al
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suo oggetto se non la validità de l'ispirazione irrazionale, de la rivelazione estrinseca, mentre è la caratteristica differenziale della religione, è anche la ragione della sua «impossibilità», la rivelazione esterna del valore, come la conoscenza d’un oggetto in sé, non potendosi dare. E adeguata realtà de la religione si dichiara la filosofia.
Così il dialettismo s'incontra col teologismo nel caratterizzare ciò che differenzia la religione. Ed anzi, oggi, anche il teologismo tende a farsi dialettico (ripensate Blondel!). Ma dove il teologismo fa eteronoma, schiava l'anima, il metodo speculativo, inverandone l’ispirazione religiosa a vivere nell'assoluto, la libera: Chè esso legittima ugualmente le diverse sincere e personali varietà religiose, e ne fonda gli essenziali motivi. Ma, della lettera di tutte rilevando l’insufficienza, scalza quel formalismo religioso in che tende a estenuarsi la religiosità e il fanatismo che semina discordie e la rende disumana.
7. - L’EMPIRISMO CHE SBOCCA NE LA SPECULAZIONE
Ma ora, se per la via trascendentale e dialettica avete potuto, un po' più che nel pensare comune non si faccia, avvicinarvi a voi stessit alzarvi riflessivamente per un momento a queU’Autocosciènza che è essa l’essenza, V origine degli sviluppi fondamentali de la, nostra vita, potrete anche senza più dubbi intendere donde sieno provenuti tutti i complementi, e tutte le ipotesi integrative psicologicamente inconsistenti dèlie teorie empiriche: L’esigenza del soggetto di ritrovarsi ne l’oggetto, il bisogno di unità, il sentimento del valore, la volontà dell’ io di pensare a sé adeguato il suo mondo, il senso di presenza dell’assoluto, il sentimento dell’infinito...
E intenderete la plausibilità con la quale a prima vista, e con quei complementi, quelle teorie a volta a volta han potuto forse sedurre la vostra volontà d’assenso. E come esse debbano, per ciò che corrispondono all'ordinario, empirico, ingenuamente realistico pensiero comune, strappare e dividersi l’assenso dei più;
Come la veduta, ad es., del Feuerbach ed anche quella del Pfleiderer sono l’una una deformazione, l’altra una trascrizione empirizzante di quella di Hegel, così, ad es., la veduta ctel Durkheim trae la sua parte di fascino da un sentore di quella kantiana obbligatorietà- e universalità tanto cattivante per la profondità sua.
Anche i ricercatori empirici che l'essenza o l’origine vogliono rintracciare in esperienze particolari e accidentali e agli inizi temporali de l'esperienza e de la vitaT son tratti dunque di continuo a sconfinare nel piano de la genesi
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eterna, de Io spirito che condiziona le esperienze e la vita: considerare le quali (fare descrizione, interpretazione psicologica, e storia, percorrere e comparare le forme), in tanto può illuminare, in verità, in quanto il ricercatore non perda di vista sè stesso, la sua autocoscienza, e cerchi e sappia di ricercare e di volere per quelle forme a sè riflettere la sua propria forma.
8. - DIALETTICA E MISTICA
Ma qui, infine, ho da farvi notare un altro gruppo di definitori del senso de le religioni. I mistici di tutti i tempi hanno anch'essi trovato che ciò per cui la vita poteva avere un senso e le religioni potevano esserle/ metodo era la comunione, l’identificazione, l’identità dell’anima con l'assoluto.
Avendo in sè sperimentato con tutta l’anima, in tutta la vita, in ogni suo atto, più che per specializzato sviluppo e progresso di sistematico pensiero, in una meditativa sensibilità, la lacerazione di quel continuo dissidio ch’è il vivere, e non potendo, per la loro angoscia, che rinascere a una superiore pacificazione, o morire, essi sono pervenuti a coglierla ne la sua essenza, la suprema conciliazione.
I mistici han sempre vissuto ed espresso il senso che nel caos è l'ordine, che nei molti è l’uno, che il grande Alter è nell'Ego. Essi han sempre rivendicato la divinità della coscienza, il Dio in lei, mentre sentivano Dio nel mondo, e l'ineffabile superiore unità de la coscienza e del mondo.
Anche quando pareva che, mutuando il loro linguaggio dall’empirico e dualista senso comune, essi rimanessero impigliati in quello, e l’Assoluto rimanesse pura negatività — F inconoscibile — al loro spirito, essi lo nomavano, lo qualificavano nei supremi valori de la vita, e insieme in esso affermavano l’esigenza a superare ogni relativo valore. E a tutte le distanze essi hanno sempre opposto la continuità, la unità; cosi al dovere l’amore... I mistici sono stati e sono i poeti del metodo dialettico, i poeti del piano filosofico dell’esistenza. In veste, talora, di filosofi.
E, come poeti vivendo in intima soggettiva immediatezza la verità filosofica, essi sono stati i più alti realizzatori del metodo religioso, ed anche del filosofico.
Come i filosofi essi han fatto sempre la critica della lettera e dei limiti — dei formalismi — d’ogni religione positiva, e spesso meglio dei filosofi han saputo la relatività dei piani di riflessione che via via il filosofare conquista. Non si sono mai, per affermare un sistema, un momento, dimenticati di non vivere che de le nozze dell’io con Dio. Essi han voluto e vogliono (pensate ad esempio, con tutti i suoi difetti, quel loro teorico che fu lo Schleiermacher I) la vita immediatamente vissuta nel sentimento dell’ infinito, nell’unità dell’ indivi-
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dualità propria con l’eterno. Ma questa immediatezza che parrebbe la negazione de la dialettica, non ne è forse, come aspirazione e lotta — notte oscura — l'iniziale movimento, e come fattiva e già resa spontanea e fluida consapevolezza d’un’autocoscienza, la perfezione? O sarebbe mistica [’anima che si perde ne la rinunzia, non quella che si ritrova nel cantico de le creature?
Anteriormente a ogni formale dimostrazione dialettica, i mistici han vissuto ne la dinamica de la lor vita spirituale, riflettuta a specchio da la loro ansiosa coscienza, che l’unità del pensiero e dell’essere è la condizione di ogni scienza. (E fuori de le accidentali sue determinazioni, non anche in ciò è da ricercare il significato dell’estasi e de l’infinita mistica simpatia?) E han saputo che l’unità del volere e dell’essere è la condizione d’ogni attività. Che l’attività sarebbe impossibile se fosse straniera e isolata nel mondo, se la coscienza e l’essere non fossero uno. (Non forse questo diceva lo stesso quietismo? Ma il quietismo, la remissione non era che un aspetto e un momento de l’ardore di riforma e superazione). Così i mistici dell’accademia platonica preparavano la speculazione di Vico ; Eckart, il Cusano ; Bòhme... Spencer, Kant e gli idealisti post-kantiani. Uno stesso movimento spirituale anima la grande mistica e la più alta filosofia.
E perchè appunto i mistici erano la vita autocosciente che vede intera sè stessa, la trascendentale e dialettica intimità propria, oltre il volgare dualista empirismo e al di sopra d’ogni tecnicismo e paziente sviluppo di sistemi, i mistici sono stati i guidatori supremi della umanità, quelli che han detto la parola, che han rivelato, gli « uni > con Dio, gli ispirati, i figli di Dio, resi a volta a volta eccezionali unici figli dai fedeli...
E la mistica è la verità eterna de la religione : poesia la più intima di essa, come de la filosofia.
9. - IL RAPPORTO DI FEDE
Ora che sappiamo ciò, senza perder di vista l’essenziale verità de l’oggetto della fede, possiamo considerare psicologicamente un po' più davvicino il rapporto religioso di fede: la forma caratteristica de la religione, come rivelazione.
Io non ne metterò in luce tutte le facce, mi basterà avvicinarne una al vostro cuore che ne senta il calore, in simpatia. Conviene simpatizzare per intendere. Prima di definire la vostra attitudine di piena adesione o di critica dovete simpatizzare.
E poi che- si tratta di renderci consapevoli di quanto la fede possa dare, specie come via alla umana educazione, e in relazione all’esigenza dell’autoeducazione, dell’autonomia, lo stato di fede io ve lo suggerirò quale esso può farsi ne la sua più elevata e spontanea, libera forma.
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Non lo guarderemo dove lo abbia reso opaco l’abitudine, o dove su di esso predomini, o stia alla sua origine, il pauroso spirito di soggezione al più forte.
Anche il timore, per la via de la reverenza suscitata da una imposizione che assuma, per l’anima bisognosa d’universale, la sacra necessità de la legge, arriva a provocare l’intima stima, la remissiva fiducia, il volenteroso abbandono, in cui l’anima si esalti. Ed anzi già in questo senso l’eteronomia religiosa ha trovato le sue più antiche difese come via al dominio di sè, a la saggezza. E sotto questa forma è forse vissuta dai più tra i fedeli la dialettica coincidenza, scoperta dai filosofi, di legge e libertà.
Ma appunto a menomare l’importanza del rapporto di positiva religiosa fede può sollevarsi, in. questo caso, la pregiudiziale kantiana: che qui, cioè, l’anima del trapasso è di fatto l’ideal processo di sviluppo della coscienza morale, il rapporto dell’io autocosciente che vuol farsi universalità della legge, al me empirico.
Consideriamo più tosto il rapporto di fede dove esso appaia riposare su una primitiva, libera adesione; e sin dove sia capace esso di alzare l’ànima.
E se abbiamo corso velocemente sin qui, volendovi io semplicemente spingere ne la direzione per cui più avvedutamente potreste sistemare le vostre riflessioni, permettetemi qui di indugiarmi un poco con voi, più ancora che in tecnica filosofia, in pensiero quasi come poesia.
Vi proporrò, dunque sopratutto alcune immagini, che potranno trasportarvi alla ricostruzione personale di questo rapporto e di quelli che si riconnettono ad esso. Intanto comincio col proporvi di rivolgere ne la mente pensieri di questo genere : « Ogni uomo, come essere che deve agire, e faticosamente agire in una esistenza piena di ostacoli, di rischi e di disillusioni, ha sopratutto bisogno di amare, di trovare qualcosa nel cui amore l’anima sua possa aver il modo di affermare sè stessa perseverando, senza smarrirsi; ha- bisogno d’una salda fiducia. Agire implica fiducia nell’agire... ».
All’uomo insomma, che nella lotta ha bisogno di trovare un senso alla sua attività, quello che più preme non è conoscere empiricamente e astrattamente ciò che è, ma è trovare qualche cosa che alimenti il suo bisogno di azione, qualche certo valore da assolutamente amare, cui abbandonarsi con piena fiducia, e nel cui abbandono possa, per dir così, passar sopra a tutte le traversie della vita, viverla apprezzando.
Riconosciuta questa disposizione, questa esigenza dell’ànima che vuole amare, alla fiducia incondizionata, possono forse intendersi con simpatia anche gli atteggiamenti che parrebbero più repugnanti dell'attitudine religiosa.
Intuiamo infatti qualche caso in cui si manifesti questo stato d’animo. Il rapporto, ad es., della madre e del suo figliolo, o meglio, del figliolo e della madre.
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Il bambino che ama là mamma trova in lei, nella sua vita, in ogni suo atto, l’espressione di ciò che vale e che rassicura. Guai a chi fa una critica alla mamma: il suo naso è il migliore dei nasi, la sua pronuncia l’ideale delle pronunce, nel suo modo di sorridere è l'ideale dei sorrisi. Domandavo ad un bambino di 4 anni e mezzo: «Perchè ti portarono alla mamma e non alla zia?» «Perchè la mamma è più brava», mi rispose. La mamma è il non plus ultra. Un altro esempio: Dante che ama Beatrice. Pensate il sonetto: «Quanto gentile, ecc. ». Tutti i fiorentini devono inchinarsi rispettosamente davanti a Beatrice. Dante cresce, diviene a suo modo teologo, e Beatrice diviene la teologia. E poi che i poeti in genere parlano d’amore, avrete potuto constatare che ogni poeta scopri che la sua donna era veramente la più perfetta : Non la donna, ma quella donna. E di fronte alle critiche alla donna del suo sogno, ogni poeta ed ogni essere che veramente ami, si comporta in un modo recisamente negativo. « La tua donna, va bene, ha quéste e queste virtù, ma... » dice il criticò. « Ma che ma, l’amo con quel ma, e per quel ma. Così com'è nella sua unità vivente, essa è la mia donna. «Ha un leggero strabismo...». «Ebbene, sarebbe meno amabile sé non fosse così». «È sgarbata». «Ma no, che sarebbe mai senza la sua fierezza ? » « Ma è strana, non è come le altre ». «E così bisogna che sia 1 » C’è dunque in questo caso, come in quello del bambino con la mamma, un rapporto di questo genere: l’anima che si trovò, in uno o più momenti decisivi, una, adeguata con sè stessa, in un’altra anima ; che in quella e con quella trovò un senso alla sua vita, dice a sè stessa : « Quella io accetto tutta : se essa potè per un momento essere tutt’una cosa con me, in lei che è una vivente unità, in tutti i suoi modi di comportarsi, di estrinsecarsi, dev’esserci il segreto che può dare un senso alla mia vita ».
E questo per me il punto importante. L’analisi qui non trova posto, l’attitudine di abbandono, di amore, là esclude.
Passiamo a contemplare un rapporto simile a questi due: del Maestro col discepolo. Maestro che sia degno di essere, discepolo che abbia scoperto in lui colui che può rèndere significativo il suo lavorio spirituale.
Quale rapporto tende a stabilirsi anche in questo caso?
Un rapporto non più semplicemente ed astrattamente da intelligenza a intelligenza, ma da vita a vita.
Tutta la personalità del Maestro finisce per diventare una lezione, tutti gli atti del Maestro finiscono per diventare parte indispensabile dell’ideale. Ognuno di voi può ricordare nella sua esperienza fatti simili a questo: la Maestra ha i capelli corti, per assomigliare a la Maestra la alunna si taglia i capelli.
L’amóre appunto è sintesi, è disposizione a identificarsi vitalmente con una unità vitale, e quindi individuale anch’essa. E l’amore è posizione d’assolutezza,
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quanto più è tale. Sinché io posso dire : Ti voglio bene, ma se fossi un po’ più così, ti vorrei più bene. «Allora non mi vuoi bene. Vattene», dice l'amata.
E per questo l'amore non può durare, tra uomo e donna, se non si trasforma in religione, cioè, ad esempio, in culto religioso dei figli o in un culto religioso d’un ideale comune. È questa la sostanza ideale dell’amore platonico. Pare impossibile, questo amore è Stato sempre deriso dagli uomini e gli uomini sono stati infelici in tutti quei casi in cui in amore non sono stati platonici. L’amore è in fondo ricerca dell’assoluto io, in cui 1'io possa celebrare la sua assolutezza, il suo assoluto valore, e noi crediamo di amare là creatura particolare soltanto/ mentre amiamo in essa l'infinito valore dell'io.
Ora la vita religiosa, nei suoi climaci, è questa vita d’amore, ed è così un rapporto d'intelligenza; non è un bisogno di sapere per sapere, è rapporto di vita a vita, di vita che cerca il suo senso a vita che esprima un senso dei sensi, di una vita che ha bisogno d’essere sedotta a vita che seduce (l'etimologia di sedurre è pura, per quanto la parola sia profanata!).
Gino Ferretti.
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NOTE E DOCUMENTI
(Continuazione, vedi Bilvcknis
di Nov.-Die. X919, pag. a8o)
IL PROBLEMA TRAGICO E LE SUE SOLUZIONI
Continuando nella nostra analisi dello stato «d’animo dei combattenti cristiani, non solo nella loro vita militare, ma specialmente in pièna mischia, nel folto della battaglia, — dopo aver passato in rassegna i più vari loro sentimenti e pensieri — occorre che ci fermiamo a considerare ciò che, dal punto di vista speciale di questo nostro studio, costituisce il centro psicologico vitale, l’elemento più particolarmente meritevole della nostra maggiore attenzione.
Quei soldati e quegli ufficiali che sono diventati nostri amici, che ci pare di avere personalmente conosciuti tanta è ormai la dimestichezza nostra coi loro sentimenti e coi loro pensieri, quei giovani non solo si professano cristiani, ma fanno ogni sforzo per vivere davvero il loro Cristia:.esimo. Sono giovani religiosi non solo « pro forma », per abitudine, per tradizione, ma, non dimentichiamolo, sono giovani cristiani militanti, giovani i quali, direttamente o indirettamente, erano, prima della guerra, impegnati in un’opera- di propaganda intensiva e di penetrazione pratica dei principi evangelici «in questa generazione», cioè tra i loro coetanei.
E’ dunque naturale, anzi è inevitabile, che a questi giovani credenti, professanti e praticanti, s’imponga con una serietà, con una gravità e talvolta con una tragicità eccezionale il problema dei problemi, che non è nato dalla guerra, che anc.ie prima della guerra più o meno accademicamente e saltuariamente si discuteva, ma al quale la guerra ha dato tutto il suo risalto e di cui la guerra ha rimesso in luce il carattere peculiare d’inevita-bilità: il problema della forza adoperata in difesa di una causa buona, il problema della violenza messa al servizio della libertà e della giustizia, il problema di ciò che è contrario al-l’Evangelo posto a salvaguardia dell'Evangelo.
Questo problema tutti i nostri giovani se lo pongono, taluni con calma che stupisce, altri con ansietà che commuove ; e quasi tutti arrivano ad una qualche conclusióne. Le mentalità sono varie, i ragionamenti sono divèrsi e l’argomentazione è più o meno logica, più o meno stringente, più o meno convincente ; ma tutte le giustificazioni non della guerra — chè la guerra, in sè stessa, dopo venti secoli di civiltà «cristiana» non sì può giustificare — ma della /oro guerra, messa avanti dai nostri « giovani, si possono riassumere in queste paróle d’uno di loro:
Bisogna guardare al di là dei mezzi impiegati e contemplare arditamente l’avvenire, l'umanità che viene dietro a noi. Solo chi mira un vasto orizzonte, può vedere tutto ciò che questa guerra ha di grande. Combattere per preparare un mondo dove non si combatterà più : questo è il pensiero che mi riempie d’entusiasmo e di gioia. La guerra sta per fallire una volta per sempre! Merita il cónto di dare la vita, in senso proprio o figurato, per una simile idea.
« « «
Il soldato A. A. è forse quello che, più di tutti gli altri, valuta le disastrose conseguenze della guerra nel campo degli affetti familiari. Egli è come esterrefatto ed invoca la fine dell’atroce calamità:
31 Gennaio 1915.
Valuto ogni giorno meglio quale spaventevol cosa sia la guerra attuale. Che i giovani di tutti i paesi si massacrino in quest’atroce carneficina, quando
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dovrebbero lavorare, amare, cantare, è orrendo. E, come soldato, tutti i servizi che potrò rendere alla nostra Francia saranno segnati dalla morte d’un figlio, d'uno sposo, d’un padre forse, cioè da dolori eterni nelle famiglie. Oh! quando saremo noi liberati da questo flagello? Quando potremo noi finalmente lavorare a ravvicinare nella pace gli uomini di buona volontà?
Anche Giovanni KHngebiel, una certa notte, ha, in una sensazione profondamente realistica, la rivelazione della mostruosità contenuta nel vocabolo « guerra »:
29 Aprile 1916.
... Dovunque, nella notte, i cannoni sparano con improvvisi bagliori. I segnali rossi 0 verdi s’innalzano tratto tratto al disopra delle trincee. Poiché non siamo più distratti, come di giorno, dal gioco delle luci e dei colori, noi afferriamo meglio la realtà brutale della guerra.
Due popoli si stringono per la gola nella notte...
♦ * *
La stessa sensazione viene espressa, quasi colle medesime parete, da Gustavo Escande : Courtemont, 21 Marzo 1915, ore 23.
Siamo arrivati in questo momento. Dormiamo all’aria aperta. Mi rotolo nella mia coperta e nel mio telo da tenda, ma il freddo ai piedi m’impedisce di dormire. Siamo addossati ad una collina di recente conquistata, a tre chilometri da Massiges. Calma tragica. Migliaia d'esseri umani stanno spiandosi in silenzio.
Anzi, nella corrispondenza di Escande, troviamo le ripercussioni, quasi direi le vibrazioni — e sono vibrazioni doloranti — dell'animo suo cristiano posto con violenza di fronte al grande, al tragico problema. S’indovinano, tra le righe, i sussulti d’una coscienza, domata forse, ma non placata:
Novembre 1914.
... Ho sparato a pallottola ieri per la seconda volta. Sono in grado di uccidere dei tedéschi. E’ orrendo per un cristiano, ma bisogna farlo (il le faut}. Sono triste talvolta, ma devo essere valoroso. La Francia ha bisógno dei suoi figli ed io sarei l’ultimo dei vili se non potesse fare assegnamento su di me e se io non accettassi questo sacrificio il più lietamente possibile. Farò il mio dovere sino all'ultimo per quanto ciò possa costarmi...
Quanto ciò gli costa? Il soldatino non lo dice ; anzi si sforza di non più scrivere, direi quasi di non più pensare sull’argomento scottante... Questo però torna a far capolino ogni tanto :
Virginy, 9 Gennaio 1915.
... In questo momento, i miei compagni partiti prima di me dalla caserma ritornano, coperti di mota, dalla trincea di prima linea. Tra di essi ho visto il mio amico D. che ha passato due ore a trenta metri dal piccolo posto tedesco ed ha sentito discorrere tra loro degli ufficiali nemici. E’ orrenda la parola nemici, dovrei dire avversari.
Qualche giorno dopo, il problema dei problemi s’impone di nuovo alla sua coscienza in tutta la tragicità di un’ora di lotta cruenta :
... E' stato per me un momento tremendo quando il capitano gridò: « Baionetta in canna! ». Ma una volta fuori, Ciò non mi fece più impressione. Era buio pesto. Le pallottole fischiavano al disopra delle teste, vicine vicine... zim, zimy zim... non bisognava alzare il capo. Di tempo in tempo, tacy un corpo rimaneva immobile e noi s’avanzava sempre. A 30 metri dalla trincea tedesca ci siamo fermati ; 1 nostri 75 sputavano nella trincea, poi tacquero. Udii: «Avanti alla baionetta!». Ci slanciamo mentre i tedeschi urlano e fucili, cannoni
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e mitragliatrici vomitano la morte. Ho ferito un tedesco al braccio. ... quella . carica resta nella mia mente come un incubo. E’ tremendo di far del male al prossimo, specialmente quando si è cristiani. Ma infine, non è la Frància che ha fatto la guerra e non facciamo altro che difenderci.
La coscienza dunque si placa :
... Come cristiano, mi è durissimo di far del male ai nostri avversari ; ma non faccio altro che difendere il mio paese, e anche il tuo...
Ma, pur sentendosi la coscienza tranquilla, gli resta — impresso nella carne e nell’anima— il disgusto pel macello al quale assiste e partecipa :
Grazie di scrivermi ; ciò mi fa uscire un po’ dalla realtà che mi circonda, ciò mi ricorda la vera vita, quella che cerca di fare il bene intorno a sè, mentre io debbo uccidere il più possibile: è orrendo.
Finalmente, dopo diversi mesi di angoscioso travaglio interiore, sembra che — se Escande non ha trovata una soluzione del problema immediata e diretta — almeno abbia fatta sua una particolare filosofia della storia che, se non tutti, risolve alcuni aspetti della complessa questione. Se non altro, questa filosofia implica un atteggiamento pratico di azione cristiana, durante e dopo la guerra, che la rende, fino ad un certo punto, accettabile — la filosofìa — anche se lascia insolute molte e fra le più gravi delle incognite morali e intellettuali sollevate dalla guerra.
Beauséjour, 22 Marzo 1915, ore 13.
... Nessun soldato è completamente insensibile davanti alia prospettiva della sofferenza e della morte. La coscienza si desta e gli uomini incominciano a capire che l’ideale in .cui avevano, riposto la loro fiducia è crollato e che un essere superiore dirige ogni cosa. Mólti si sono allontanati da Dio, scandalizzati da questa orribile guerra. Oh se soltanto potessero capire che Dio
non l’ha voluta, ma ch'egli ha lasciato l’uomo libero; che quest’uomo s’è allontanato da Lui, meritando il castigo; ch'Egli vuole servirsi di questa guerra per ricondurlo a sè! Quale còmpito, per noi cristiani, da adempiere intorno a noi !
• * »
Se il giovane Escande ci si presenta come il tipo del soldato cristiano la cui coscienza è travagliata dai gravi problèmi religiosi sollevati dalla guerra, abbiamo in un altro giovane di cui non ci è stato possibile conoscere il nome, il tipo del soldato, teoricamente almeno cristiano, al quale la guerra non turba la coscienza pel fatto semplicissimo ch’egli, senza esitazione alcuna e, a quanto sembra, in perfetta buona fede, è profondamente convinto che Dio stesso lotta contro il «suo» nemico. Postosi a suo modo il problema, egli a suo modo lo risolve e la soluzione è «per lui » del tutto soddisfacente.
Però; a leggere la sua lettera, par di sentire l’eco degli energici e blasfematorì « Got mit uns» pronunziati, dall’«altra parte» e torna alla memoria la famosa cartolina del Gesù nella trincea, del Gesù ritto accanto ai soldati che sparano, quasi in atteggiamento di dirigere il fuoco, cartolina « tedesca »..sì, di fabbrica tedesca, ma che è davvero l’esponente più tipico d’una certa mentalità pseudo-cristiana la quale, con intensità varia, si è manifestata presso tutti gli eserciti combattenti.
Ma lasciamo la parola al soldato.
Dopo aver descritto gli effetti di un bombardamento e l’esaltazione fisica e mentale che procura la lotta, egli prosegue :
Finché ero nel pericolo, stretto dalle circostanze, non ebbi il tempo di riconoscere dov’ero ; ma dopo... Non posso capire che gli uomini siano così pazzi dà fare, sopra un campo di battaglia, un simile carname... La mia coscienza si ribellava contro una simil cosa e contro simili atti, inammissibili agli occhi d’un cristiano.
La prima questióne che si presentò al mio spirito fu di chiedermi quale dovesse essere la mia condotta dopo quel battesimo di fuoco. Ero lì, che approfittavo d’un momento di sosta e riflet-
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tevo alla mia sorte, allorquando ebbi una grande visione... Erano tutti i nostri morti gloriosi che hanno dato la vita per la Patria, i nostri feriti, i nostri scomparsi: tutti coloro che hanno versato il loro sangue, i quali mi dicevano : « Sii forte »... Gli afflitti che piangono un loro caro assente si univano ai nostri gloriosi soldati e m’ordinavano il coraggio : « Il sacrifìcio di coloro che amiamo non dev’essere inutile». E pensavo altresì ai miei parenti, ai miei amici i quali, sebbene angosciati a mio riguardo, non avrebbero tollerato ch’io m’allontanassi per un solo istante dalla via gloriosa in cui ero avviato. Ma là mia debolezza era grande.
Udii allora, nell’intimo del mio essere, una voce dolcissima, quella di Colui che mi ha -sempre sostenuto, e la voce mi diceva: «Sono io».
Dio era lì e non potevo crederlo, tanto era sconvolto; era qualcosa di straordinario e d’inspiegabile...
Ma come? Iddio/era lì! Era lì, in mezzo a quell’inferno scatenato sugli uomini dal Principe di questo mondo di tenebre?... Sì il mio Dio era lì e faceva udire la sua dolce voce nel cuore del suo umile figliolo...
Una luce è brillata nei mio cuore al momento in cui ho compreso che il mio Dio era sempre con me. S’egli è col suo figliolo sul campo di battaglia, Egli è altresì coi nostri cari soldati che combattono per l’ideale della Patria, pel Diritto e la Giustizia. Egli è dunque colla nostra cara Francia. Il soffio suo onnipotente agita le pieghe delle bandiere alleate... Questo soffio, che vive sotto la mitraglia per sostenere i nostri cari soldati, estende la sua forza nei cieli, vola al disopra dell’impero del male che incatena la povera umanità nostra e infonde nei cuori nostri uno slancio di Fede e di Speranza.
Una mentalità religiosa che, nella forma» assomiglia alla precedente ma che, nella sostanza, è affatto diversa, appare in una lettera di Paolo Laffay. Egli non pretende che Dio difenda la sua causa, ma vorrebbe che la sua causa fosse talmente buona e talmente giusta che, servendola, 'egli serva Dio, che, ubbidendo agii uomini, egli si trovi sulla linea del pensiero e del volere di Dio.
13 Ottobre 1915.
Non si crederebbe che la mia è la giornata d’un pastore. Stamane tiro, poi ispezione, ed ora scrivo male dopo aver letto male la Bibbia in mezzo alle grida e agli scoppi di voce.
Ho promesso di consacrare la mia vita all’opera di Dio. Oggi invece sono sotto una tenda e mi preparo a partire...
Ma questa convinzione va radicandosi sempre più in fondo a me: credo fermamente che sono lì dove devo essere e che, dopo la tempesta, potrò riprendere con piena coscienza l’opera mia di pace, se non avrò dovuto sacrificare ogni cosa per la nostra Francia.
Domando a Dio di concedermi d’essere sino alla fine uno dei suoi fedeli servitori, e — per tutto il tempo che ciò sarà necessario — un buon soldato.
• **
Un’anima che, pur essendo travagliata dal dubbio giunge alla medesima conclusione, è quella di Pietro Maupcou, sergente nel genio, ucciso a 25 anni il 28 maggio 1915. Confidandosi con un amico, egli scrive :
Il mio cuore di cittadino non è angosciato, ma il mio cuore di cristiano lo è spesso. Non mi vergogno di confessarlo: due sentimenti incompatibili si agitano in me: la morale degli uomini non è quella di Dio.
L’8 febbraio 1915 si era svolta un’azione così ricordata nel comunicato ufficiale: «... una trincea tedesca sconvolta da una mina, i cui
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difensori sono stati presi od uccisi». Avendo partecipato a tale cruenta azione, Pietro di Maupeou ci medita sopra :
E’ una dura morte — come dicono i minatori — quella che procuriamo! L’Evangelo ha detto : « Chi colpisce colla spada perirà di spada »... Per non venir meno, in certi momenti, occorre ch’io sia certo di difendere la più giusta e la più bella delle cause.
***
E tale concetto — di lasciar giudice Iddio — concetto davvero nobile, elevato, cristiano — è riassunto in una forinola, mirabile di precisióne e dì profondità Spirituale, da Oliviero Amphoux, dottore in legge e studente in teologia, caduto a Vassincourt il 5 settembre 1914 :
L’ora della grande battaglia si avvicina. Il generale comandante la divisione Ce l’ha annunziato stamane, e sarà la battaglia decisiva. Si può pregar Dio non per questo o per quell’esercito - ciò sarebbe tedesco —- ma per la salvaguardia della giustizia.
* ♦ *
A parecchie riprese — talvolta di passata, talvolta di proposito — torna sull’argomento Andrea Cornet Auquier.
Sono talvolta gridi dolorosi dell’anima :
22 Settembre 1914.
Si vive alla giornata, non si pensa più al domani. Ci sarà un domani? Addio propositi per l’avvenire; tutto è fermo, finito per ora. Quale strana vita ! Sembra che si desidererebbe sapere ciò che succederà. E pensare che Dio sa, e che tutto ciò egli lo aveva preveduto !...
27 Settembre 1914.
... Oggi è domenica; sono le io.Fra poco andrete in chiesa e il babbo pregherà « pei nostri soldati e marinai ». Oh ! pregate molto per loro. Com’è doloroso sentire, di domenica, il rombo del cannone, invece di canti di lode...
Altre volte sono scatti ironici al cospetto della mentalità religiosa dei nemici che somiglia tanto... alla mentalità religiosa degli ansici :
26 Ottobre 1914.
... Tutti i soldati tedeschi hanno dei libri di preghiere; ce ne sono per i Protestanti e ce ne sono per i Cattolici. Vi sono preghiere del mattino c della sera nelle quali è chiesta protezione contro il «böse Feind». 11 «böse Feind » (1), dal loro punto di vista, sono io...
Altre volte ancora sono malinconiche considerazioni che il cristiano fa sul cristianesimo, il giorno prima e il giorno dopo Natale:
24 Dicembre 1914.
Pensare che domani è Natale! Non mi fido dei tedeschi e m’aspetto per mezzanotte un finto attacco; così usavano fare nel 1870. Sì, pace in terra! ma quando i Teutoni saranno abbattuti.
26 Dicembre 1914.
Natale è passato. Farjat ed io abbiamo cercato di fare un po’ di festa, ma' mi aspettavo che i vicini di faccia ci facessero qualche brutto scherzo e che, invece del « Minuit, Chrétiens » (2) quei bruti, per far piacere al loro « Alter Gott > ci mandassero una raffica di granate. Perciò ho fatto una ronda e gli uomini hanno vegliato coll’orecchio teso e il fucile in mano. Era quello un anniversario della notte di Betleem?
E, nella vigilia del successivo Natale:
24 Dicembre 1915.
... Mentre vi scrivo, rombano i nostri pezzi di artiglieria pesante; faranno lo stesso domani, senza dubbio e questo genere di musica non è quello che ci si potrebbe augurare per là fèsta' di
(x) Malvagio nemico.
(2) Canto di Natale in uso presso le chiese evangeliche [e cattoliche di Francia. N. d. D.].
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Natale. Eppure, stimo che, nonostante tutto, è un inno di pace quello che scaturisce dalla bocca dei nostri cannoni. Essi cantano la liberazione prossima, l'èra nuova per la quale lavoriamo, perchè anche noi siamo gli operai della pace sulla terra. Sfortunatamente Si è fatto fare all’umanità un' balzo indietro di parecchie migliaia d’anni. Ma la pace verrà, per quanto sia dolorosa la sua gestazione. ..
• • •
È forse nella corrispondenza di .Eugenio Casalis che — più che in quella di qualsiasi altro dei nostri amici — può scorgersi la lenta e sicura evoluzione di un pensiero e di una esperienza religiosa che, nel crogiuolo della prova, giungono ad una straordinaria maturità nella sostanza e ad una mirabile bellezza nell’espressione.
Sin dai primissimi giorni della sua vita militare, Casalis sente il contrasto violento fra l’ideale e la realtà, fra la teoria eia pratica:
Montauban, 7 Gennaio 1915.
Voi sapete se il combattere è contràrio alla mia natura, al mio ideale, alla mia vocazione: di me che vorrei farmi un'anima di « soccorritore > ed ho un’ambizione soltanto: recare a quelli che soffrono un cuore pieno di parole di speranza e d’amore, come faceva il Maestro che amo e voglio servire.
Eppure eccomi alla caserma...
Si, egli è alla caserma, e vi è di sua spontanea volontà, come volontario di guerra! Come mai il mite giovane è stato così sollecito ad afferrare il fucile per combattere, per uccidere?
A tale atto è stato spinto, anzitutto,, da un impulso d’indignazione. Nella medesima lettera del 7 gennaio egli esclama con bella irruenza : K
Che volete? S’ha un bel essere pacifisti; vi sono circostanze in cui nulla può trattenervi. Quando si vedono quali atrocità commettono i nostri nemici, si comprende che bisogna finirla con loro
al più presto e che, se è possibile partecipare alla lotta, occorre prendervi parte.
Ma questo sentimento di giusta reazione non è quello dominante nell'animo di Casalis. S’egli combatte, non è solo per metter fine alla prepotenza e alla violenza ; ma è altresì, e sopratutto, per contribuire ad un’opera buona, allo stabilimento della giustizia. Ed è in questo pensiero che le ansie sue di cristiano si placano :
Montauban, 5 Novembre 1914.
Ci si sente lontani, lontani dalla guerra qui. Ma bisogna reagire. Bisogna sentire che, se essi combattono e soffrono e muoiono per noi, ciò crea dei doveri...
E poi l’ora nostra verrà forse. E per essa, aspettando che suoni, bisogna raccogliersi, bisogna aprire gli occhi dinnanzi alla morte, prepararsi a riceverla come l’ospite insigne che ci condurrà verso la vita...
E poi ancora, bisogna cercar di zr-dere se si può combattere^ se si ha l'anima abbastanza libera dall’odio per combattere senz’animosità, se si ha il cuore abbastanza vibrante d’amore per combattere « per gli altri » e non per «salvare la pelle », se si è sufficientemente risoluti a essere un campione del Diritto, della Giustizia e della Libertà, se la giustizia che si farà dopo si ama abbastanza per combattere colla certezza che la nostra vittoria darà, all'opera di rigenerazione universale, un buon operaio di più..?
Con tali sentimenti riesce a combattere coi cuore libero e la coscienza tranquilla anche il più fervente pacifista :
io Novembre 1914.
Dall’inizio della guerra, ho pensato con una riconoscenza infinita a tutti coloro che sono andati a combattere perchè noi potessimo rimanere nella sicurezza e nella pace. Pensavo special-
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mente a Paolo (i) e a coloro che a lui erano uniti dal sogno comune- di giustizia sociale e dalla comune volontà di liberare il mondo dal flagello della guerra.,Pensavo con ammirazione a tutti quei pacifisti i quali, in uno sforzo doloroso, erano riusciti a saldare insieme il loro ideale di pace e la necessità di combattere.
Egli non vedrà il trionfo. Avrà conosciuto il sacrificio soltanto. Ma noi •che restiamo, facciamo giuramento sulle loro tombe di riprendere l’opera dei nostri fratelli maggiori. Riposino in pace! La nostra vita è ormai consacrata al loro Ideale che è diventato il nostro. E, coll’aiuto di Dio, noi faremo vittorioso quell’ideale.
Perchè, 10-si noti bene, Casalis idealizza tanto la guerra perchè ha prima idealizzato là patria. Egli combatte per la patria perchè è fermamente convinto 'che la patria sarà rinnovata dalla guerra.
Domenica 18 Aprile 1915.
Questo lungo riposo, incomincia a stancarmi e vorrei fare qualcosa. Tanto più che di nuovo si odono i cannoni di Verdun, ed è orribile pensare che, mentre si è lì a far nulla, altri ve ne sonò, vicino a noi, che si fanno ammazzare...
Sempre maggiormente, .di fronte a coloro che hanno lottato e che sono morti, di fronte allo sforzo immenso che si sta compiendo, io penso alla Francia che viene, alla Francia divina, che deve essere. Io non potrei combat-battere se non sperassi nella nascita di quella Francia, la quale, essa, avrà meritato che per lei si uccida e che per lei si muoia...
E quando la patria è idealizzala in tal modo, quando combattere per la patria significa combattere per la giustizia, allora cornei) Suo cugino Paolo Rcuss, caduto il 26 setiembre ’1914.
battere per la patria significa anche combattere per l'umanità. Non è più possibile arrecare un beneficio alla patria senza arrecare nello stesso tempo il medesimo beneficio a tutto il mondo.
26 Aprile 1915.
La mia preoccupazione essenziale è quella della legittimità di questa guerra. Ho la fiducia che la nostra causa è giusta e buona, e che abbiamo il diritto dalla parte nostra. Ma è necessario che questa guerra sia feconda, che da tutte queste morti scaturisca una vita nuova per l’umanità.
♦ ♦ •
Se il lettore vorrà riflettere Sugli squarci di lettere di Eugenio Casalis da noi riportati e che .abbiamo cercato di legare insieme con un filo conduttore, si persuaderà che non abbiamo errato parlando di maturità nella sostanza e di bellezza nell’espressione. Ecco un giovane che ha molto riflettuto e che ha finito col veder ben chiaro.
Egli, pacifista, diventa volontario di guerra. Ed egli combatte la guerra non per là Frància di oggi ma per la Francia di domani. Combatte perchè è convinto che la Francia di domani — come l’Italia di domani — come, diciamolo alto e forte, come tulle le nazioni di domani, saranno delle personalità, distinte bensì'Tuna dall’altra, ma concorrenti tutte, consacrate tutte — ciascuna col suo particolare Genio — ad avviare l’umanità verso il progresso, verso le conquiste della vera civiltà e del vero Cristianesimo.
E, se questo si avvererà — pur mantenendo la dovuta prudenza nel far intervenire nelle faccende umane iì pensièro ed il volere di Dio, e senza pronunciarsi troppo categoricamente sul « Dio ha voluto » o sul « Dio ha permesso » — i cristiani — ancora turbati dall’immane cataclisma, ancora ossessionati dalla visione del sangue e della strage — potranno esclamare : « Ancora una volta. Iddio ha tratto il bène dal male. Dio è amore! ».
PATRIOTTISMO
Le considerazioni colle quali terminiamo il precedente paragrafo ci conducono naturalmente all’argomento del paragrafo seguente; anzi già ci hanno fatto entrare nell’esame di una questione indissolubilmente connessa col
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problema da nói óra considerato. Il problema tragico delia guerra s’impone al cristiano perchè alla guerra il cristiano è chiamato in nome della Patria. Egli, il cristiano, diventa «guerriero» in quanto è «cittadino». E noi abbiamo visto cóme i migliori dei nostri giovani amici risolvono il divario tra il cristiano — figlio di Dio, fratello di tutti, e la cui patria, di conseguènza, è il Mondo — e il cittadino, membro di una particolare-nazione e suddito di un particolare paese — non col rimpicciolire il loro cristianesimo per farlo entrare nel quadro ristretto della patria qual’è al presente; ma coll’idealizzare, collo spiritualizzare la patria a tal punto ch’essa, loro madre, si trovi ad essere diventata la madre dei popoli. Quando le patrie, infatti, diventassero nelle mani di Dio strumenti d’azione per realizzare la Pace e la Giustizia, queste patrie non sarebbero più patrie particolari ; ma diventerebbero patrie universali. E — allo stesso modo che ogni uomo, pur conservando l’amore alla propria famiglia, si sente membro della famiglia più grande rappresentata dalla sua nazione — cosi ogni uomo, pur conservando Famore alla propria patria, si sentirebbe cittadino della Patria comune formata dalla federazione delle singole patrie.
In altre parole: se i nostri giovani risolvono come lo risolvono quel problema tragico che chiamasi : « il cristiano di fronte e dentro alla guerra », è perchè, sin d'ora, essi amano la patria «cristianamente», cioè non d’un amore egoistico ed esclusivo, ma d’un amore che s’armonizza coi supremi ideali sociali e coi più puri principi religiósi : essi amano insomma la patria in funzione dell’umanità.
Ma non si giunge ad armonizzare in tal modo, nella teoria e nella pratica, i supremi doveri se non si è compiuto nel cuore e nella coscienza di ogni singolo cristiano-patriota un lento processo evolutivo che ha per effetto un graduale rinnovamento ed un progressivo perfezionaménto dell’essere interiore ; anzi l’armonia si realizza soltanto allorquando il rinnovamento è giunto agli strati profondi della persona e allorquando il perfezionamento dell’individuo ha oltrepassato lo stadio diremo cosi preparatorio e s’avvia libero e franco e sicuro nelia luce di Dio.
Perchè — ed è appunto il fenomeno che vogliamo illustrare in questo paragrafo — non è possibile amare la patria in funzione dell’umanità se non si vince, prima, non solo il proprio esclusivismo nazionale, ma altresì il proprio egoismo personale; non è possibile piantare solidamente nel cuore i principi eterni ed universali del Diritto, non è possibile fare
atto di consacrazione ai supremi ideali civili se non si rinunzia prima a sè stessi, se nonsi vince prima sè stessi.
Tale vittoria con quali mezzi si ottiene? Si facciano avanti filosofi e psicologi, ed espongano le loro teorie, e specialmente illustrino — con casi pratici di vite vissute e trasformate e trasfigurate —- gli effetti provati e constatati della lóro disciplina intellettuale o morale.
Noi nè condanniamo nè critichiamo nessuno: diciamo soltanto che i nostri giovani ottengono splendidi risultati servendosi della disciplina religiosa. Essi giungono al patriottismo purissimo perchè lo alimentano alle sorgenti più alte dello spirito ; compiono sereni il loro dovere, verso la patria perchè tale dovere armonizza perfettamente con quanto di più sublime s’agita nell’intimo delle anime loro. Hanno la coscienza tranquilla perchè vedono chiaro ; e vedono chiaro perchè sono devoti e consacrati; e sono devoti e consacrati perchè hanno rinunziato a loro stessi; ed hanno rinunziato a loro stessi perchè hanno fede in Dio al quale sono stati condotti da Colui appunto che, in qualunque modo lo si consideri, rimarrà nei secoli il prototipo del perfetto rinunziamento e dell’assoluta consacrazione: Gesù Cristo.
Volendo conservare una certa unità nelle citazioni non è possibile documentare successivamente le varie proposizioni che abbiamo ora formulate ; per illustrare' le singole fasi d’un simil processo di cause e di effetti occorrerebbe sminuzzare eccessivamente ogni lèttera, riducendone la bellezza e diminuendone il vigore. Sarà facile tuttavia pel lettore ritrovare, sparsi nei brani che ora riprodurremo, i vari elementi psicologici da noi enumerati. Cercheremo dal canto nostro, di raccogliere i documenti in due o tre gruppi, in ciascuno dei quali predomini uno degli elementi essenziali :
nel primo gruppo : lo spirilo di rinunziamento e di consacrazione ;
nel secondo gruppo: la devozione alla patria messa in rapporto cogl'ideali civili;
nel terzo gruppo: la fede nell'umanità che scaturisce dalle convinzioni cristiane e di esse si mitre.
* * * * *
RINUNZIAMENTO E CONSACRAZIONE
È veramente un rinunziamento completo quello che si manifesta nella corrispondenza di Adolfo Cuche, e l’atto suo di consacra-
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PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI 41
zione è reso più commovente ancora dalla semplicità delle parole:
Un cappellano deve sè stesso ai propri uomini; occorre Ch’essi lo sentano vicino; egli deve condividere i loro pericoli e le loro sofferenze, essere con loro nelle ore diffìcili e non solo quando sono a riposo; dev’essere il fratello maggiore al quale ci s’affida e al quale si può guardare.
E per essere più vicino ai suoi uomini egli non aveva voluto portare i segni dèi suo grado di capitano.
In un’altra lettera, diretta a sua sorella, egli scrive:
Sono pronto ad accettare ogni cosa; non è sempre facile, e dobbiamo sormontare molte sofferenze. Ma sento che potrò accettare ogni cosa, facendo il mio dovere, per il bene di coloro che mi sono affidati.
• « « 11 giovane Escande è pronto a sopportare qualunque disagio, qualsiasi sofferenza, tanto egli è convinto che la patria ha bisogno di lui.
Spigoliamo nella sua corrispondenza:
... La mia patria si è vista bruscamente invasa ed io vado a difenderla...
... Ho incominciato il mio dovere; mi rimane da continuarlo sino alla fine..'.
... Sopportiamo terribili sofferenze a motivo del freddo, delle fatiche, della umidità. Sono felice di soffrire per là Francia...
... Soffriamo molto della pioggia e del freddo; abbiamo i piedi gelati restando nella mota sino ai ginocchi, immobili perchè non ci sentano i Tedeschi. Non mi riconosceresti: sporco, lacero, coperto di fango, imbacuccato dai piedi alla testa... e ho ancora freddo! Che vuoi? La patria ha bisogno di me; devo sopportare ogni cosa senza mormorare...
• • •
I medesimi sentimenti esprime il suo coetaneo A. A. :
13 Dicembre 1914.
È una grande fortuna di combattere per una causa Che non è solamente quella della patria, ma quella del diritto, e di diventare una pietra anonima della grande muraglia che chiude ai Prussiani l’entrata della « tant doulce France!».
Ma, per combattere con coscienza pura, bisogna essere interamente consacrati ; il giovane A. A. se ne rende conto e si prepara:
14 Febbraio 1915.
... Mi preparo allo sforzo di volontà che, tra sei settimane all’incirca, dovrò compiere. Considero le peggiori eventualità. Bisogna che, al momento della partenza, il sacrificio sìa compiuto dentro al mio cuore!...
Ed egli ha la gioia di poter scrivere, quattro mesi dopo :
x 12 Giugno 1915.
... Il sacrifìcio delia mia vita è compiuto. Esso può avere un valore dal punto di vista morale e personale; sarebbe ridicolo d’esagerare la sua importanza militare. In quegl’innumerevoli assembramenti d'uomini, ci si sente l’in-finitamente piccolo. Che una pallottola mi paralizzi, la battaglia continuerà a svolgere i suoi giganteschi movimenti. Quale lezione d’umiltà e di sana filosofìa! Solo l’istinto del dovere preserva dal disperare e rende questa vita stessa appassionante e degna d’essere vissuta.
Anche Andrea Cornei Auquier ha compiuto nel suo cuore l’atto di consacrazione. Ma la sua famiglia è preoccupata, il padre ansioso, la madre angosciata a suo riguardo.. Egli, serenamente, conforta e rassicura:
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«2
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io Settembre 1914.
... Sono prontissimo a dar la mia vita s’io so che ne avete fatto il sacrificio per la Francia...
21 Aprile 1915.
Su via, madre dilettai tra tutte quelle mirabili madri francesi, io vorrei che tu fossi la più francese di tutte. Persuaditi bene che qualunque vita, anche quella di tuo figlio, non conta nulla di fronte alla salvezza del paese... Non moriamo per delle indeterminate astrazioni o per delle parole vuote; moriamo •per dei sentimenti, moriamo per amore, per affezione, per tenerezza.
E la sua famiglia sembra persuadersi e tranquillizzarsi ; perciò i sudi accenti non mutano anche dopo accaniti combattimenti ai quali egli ha partecipato con indomito coraggio :
26 Giugno 1915.
Riprenderemo l'offensiva certamente tra breve. Non ritorno su quanto vi ho scritto alla vigilia degli ultimi combattimenti ai quali ho partecipato. Vi so pronti e fiduciosi, determinati, risoluti, fermi davanti al pericolo. A parer mio, se dovessi lasciarvi la vita, la vostra maggiore consolazione dovrebbe consistere nel fatto che sarei morto pel mio paese, al mio posto, facendo il mio dovere...
E. alla vigilia di una nuova offensiva:
6 Luglio 1915.
Vi posso dire una cosa soltanto: se fossi padre e che mio figlio rimanesse ucciso, non avrei maggiore consolazione che quella di ripetermi: egli ha dato la vita pel paese, non l’ho perso, l'ho dato al paese... Insomma, ho visto la vittoria; benedico Iddio di avermelo concesso. Se dovessi pagare colla mia vita la prossima vittoria, avrei la consolazione, morendo, d'esser caduto per
respingere la sozzura tedesca fuori dalla terra di Francia.
• • ♦
La pagina forse più bella su questo argomento, pagina in cui la nobiltà di sentimento si unisce alia forza del raziocinio in un mirabile gesto di completa donazione, è quella scritta dal missionario Paolo Laffay:
24 Agosto 1915.
Siamo impegnati in un’opera per la quale dobbiamo accettare di morire, e di veder morire i nostri cari. La vit. toria è a tal prezzo. Una vera vittoria non si ottiene senza sacrificio. In quanto a noi, che vogliamo la vittoria, la vogliamo ad ogni costo ed il sacrificio della vita nostra non ci pare troppo grande per pagare la vittoria. Non staremo a contrattare, non cercheremo di sottrarci, non chiederemo che ci sia fatta grazia della vita. Nelle preghiere che rivolgeremo a Dio chiederemo la vittoria, e non la vita salva.
Perchè, del resto, domanderemmo a Dio una vita alla quale abbiamo imparato a non attaccarci? No, non una volta sola, dall’inizio della guerra, io ho chiesto a Dio di conservarmi la vita. Ho chiesto la vittoria, ho chiesto forza per consentire a tutti i sacrifici; ma, poiché voglio vincere, non credo avere il diritto di pregare per la mia vita.
Certo, ciò può sembrar duro, special-mente quando si tratta non di sè stessi, ma d'un essere amato. Ma poiché la vittoria è a tal prezzo, e poiché la vogliamo, bisogna altresì che accettiamo la morte dei nostri, anche quando ci sono cari.
• * •
E ugualmente bella è la pagina che segue, scritta dal giovanissimo Maurizio Dieterlen, ucciso il 6 ottobre 1915, durante l’offensiva: di Champagne. Si sente in quella pagina tutto, l’entusiasmo, tutta la letizia, tutta l'ebbrezza
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che animano un uomo il quale piti non s’appartiene perchè ha fatto coscientemente il pieno dono di sé stesso alla Causa ch’egli serve e che l’Oltrepassa :
Vivo il più bel giorno della mia vita. Non rimpiango nulla e sono felice come un re. Sono felice di farmi spaccare la testa perchè il paese sia liberato. Dite agli amici che vado verso la vittoria col sorriso sulle labbra, più allegro di tutti gli Stoici e di tutti i martiri di ogni tempo. Noi siamo un momento delia Francia eterna. La Francia deve vivere, la Francia vivrà.
Preparate i vestiti di festa. Serbate i vostri sorrisi per festeggiare i vincitori della grande guerra. Forse non ci saremo: altri saranno presenti per noi. Non piangete. Non porterete il lutto per noi, perchè saremo morti col sorriso sulle labbra e con una gioia sovrumana nel cuore. Viva la Francia! Viva la Francia! ... Quale ebbrezza! Ho vissuto sta sera l’ora meravigliosa della mia vita. Stimo che ho avuto tutte le gioie della terra, tutta la felicità umana, e che posso andarmene tranquillo. Non appartengo più a mio padre, alla mia fidanzata, ai miei studi, ai miei gusti. Sono la cosa del mio colonnello. Può fare di me ciò ch’egli crede. Può tenermi nella sua mano e lanciarmi dove vorrà... Quanto il sacrificio è facile è quanto i vostri entusiasmi, rapidi come i vostri scoraggiamenti, sono da noi lontani, incommensuràbilmente lontani, così lontani come le più lontane stelle sono lungi dal nostro pianeta.
* t * * *
DEVOZIONE ALLA PATRIA E IDEALI CIVILI
Già nelle citazioni che precedono è apparso chiaramente come l’atto di rinunziamento della propria persona immolata sull’altare della patria sia motivato da ragioni superiori : sull’altare .dove compiesi la consacrazione brillano
le fiaccole delie più alte idealità civili. Ascoltiamo ancora i nostri giovani. Ecco come parla Gustavo Escande:
... Spero tornare; ma, se devo morire sul campo di battaglia, morrò contento perchè la causa nostra è quella dell’umanità intera. Che bella cosa se da questa guerra atroce scaturirà una pace durevole ! Per questo noi combatteremo sino all'ultima goccia del nostro sangue. Noi soldati non vedremo forse quel periodo beato che scenderà sulla nostra povera Europa, ma ci rallegriamo pel fatto che, grazie a noi, milioni di uomini vìvranno d’or’innanzi in pace.
«»9
Ad Escande fa eco un giovane compagno, Francis Monod, S. Tenente nel. 33* Reggimento di fanteria, anche lui caduto' su! campo dell’onore :
La guerra! a ine pare che più che inai lavoriamo per la pace. Quando la unità fittizia, formatasi accanto a noi quarantaquattr'anni or sono, sarà sciolta... la Francia, alla testa del progresso e della libertà, come sempre, lavorerà efficacemente per la pace del mondo... Da questa guerra risulteranno grandi cose per la nostra patria, per l’opera che deve compiersi in essa e per mezzo di essa. La guerra presente, o mira--colo! servirà la causa dell’« evangelizzazione del mondo in questa generazione » (1). Essa contribuirà a risvegliare la Chiesa, a unire i suoi membri.
* * *
La medesima nota ritroviamo in una pagina di Corset Auquier:
6 Gennaio' 1915.
... Insemina, che cosa valgono le nostre esistenze quando si pensa agli anni di felicità e di pace che vivranno coloro i quali verranno dopo di noi o che soli) Sintesi del programma della ■ Federazione Studenti cristiani ».
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prawiveranno. Lavoriamo per domani, perchè non ci siano più guerre, non più sangue versato, non più uccisi, non più feriti, non più vittime mutilate; lavoriamo noi, le cui madri avranno tanto pianto, perchè altre mamme non conoscano giammai simili scottanti lacrime ; e davvero, quando si pensa ai secoli di pace che verranno, ci si vergogna dei moti di ribellione che può aver la carne, in certe ore, al pensiero di morire...
» * *
L’idealismo di cui è saturo l’amor di patria di Fontaine Vive traspare vivissimo da una lettera ch’egli scrive alla nonna:
Estate 1915.
Ditelo bene intorno a voi, nonna cara: noi vinceremo; perchè ogni soldato ha il chiaro senso della giustizia della sua causa; perchè ogni soldato riconosce che, salvando la Francia egli salva l’umanità, che, facendo la Francia vittoriosa, trionferà la pace di Gesù Cristo. Per questo, malgrado le defi-cenze passeggere e gli errori d’un giorno, la Francia rimane la Francia, fedele alla sua missione universale di pace e di giustizia; per questo i Francesi d’oggi sono i degni figli dei va-nu-pieds magnifici del '93, i quali portavano nel mondo la « charta > dei mondi nuovi ; e per questo ancora il sangue d’oggi feconda il suolo di ieri, per quanto impuro sembrasse.
• • •
Il nostro amico A. A-, oppresso dagli orrori della guerra, trova la forza di perseverare nella lotta invocando gl’ideali che trascendono la lotta stessa:
il Maggio 1915.
Il lutto e la miseria s'accumulano intorno a noi. Diventerebbero intollerabili se non sentissimo la grandezza del
nostro còmpito, se non comprendessimo che la felicità è poca cosa di fronte alla giustizia e alla realizzazione del nostro magnifico ideale...
«
Questa sua fede trovasi più ampiamente formulata in una lettera, indirizzata ai parenti e agli amici, che, dopo la morte, venne trovata tra le sue carte personali. Questa pagina fa vedere con quali sentimenti la prova suprema è stata affrontata, in quale stato di animo il sacrificio è stato compiuto:
Miei cari parenti, miei cari amici. Il momento della partenza pel fronte s’avvicina. Ignoro tutto ciò che mi serba l’avvenire. Per il caso in cui la morte venisse a trovarmi sulla via della vittoriosa offensiva, io traccio queste righe...
Il sentimento che, nell’ora presente, riempie tutto il mio essere, non è l'oppressione nelle circostanze che m’avvolgono, non è il dolore per un sacrificio che dev’essere totale, se non di fatto almeno in principio e nel mio cuore; è invece un sentimento profondo di gioia e di libertà! L’anima mia trabocca di riconoscenza, il mio spirito è ricolmo del ricordo delle benedizioni di cui Dio, per mezzo vostro, ha cosparso il mio cammino. La mia volontà accetta liberamente il destino che m’è fatto, e il mio essere tutto intero si esalta al pensiero di servire, anche oscuramente, anonimamente, la causa della libertà, del progresso della nostra razza umana.
Dunque non mi compiangete; no, non mi compiangete! La vita mi lascia un così dolce ricordo!...
» « »
L’atto di fede nell’ideale, il dono, libero, volontario, spontàneo dei proprio io alla Causa santa; dono fatto coscientemente e coscienziosamente è contenuto in queste poche righe di Enrico Gonnelle, caro mio giovane amico, figlio del pastore Elia Gonnelle, apostolo del Cristianesimo sociale in Francia e mio vene-
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rato Maestro. Anche Enrico Gonnelle diede la vita pel suo ideale ; egli cadde il 21 giugno 1915 nella trincea di Calonne davanti a Verdun; e basterebbero queste sue parole — insieme ad altre che riprodurremo più innanzi — per renderlo degno della nostra commossa gratitudine:
8 Giugno 1915.
Parto domani per le trincee. Credetelo pure: ho l'intenzione di ritornare. Se però fosse necessario rimanere laggiù, faccio sin d’ora il dono della mia fragile esistenza alla causa che scuote la nostra patria in uno spasimo eroico e divino.
• 4 «
Accanto a parole simili non possono stare che parole più grandi ancora : e queste parole le ha scritte il caporale Giorgio Groll, segretario dell’Associazione cristiana dei giovani di Parigi, caduto presso Souchez il 9 giugno 1915:
Non mi si manda a farmi uccidere; vado a combattere, offro la mia vita per le generazioni future. Non muoio, cambio assegnazione. Dopo di me verranno parecchi che continueranno. Come un cursore, percorro la mia tappa, lunga o breve, facile o accidentata; vi consacro le mie forze, il meglio di me stesso. Colui che cammina davanti a noi è abbastanza grande perchè non lo perdiamo di vista.
«Non muoio, cambio assegnazione». Io domando s’è possibile trovare una forinola più bella, un grido più sublime per andarsene a ventanni, con un sorriso vittorioso sulle labbra, incontro alla mitraglia, di cui si sa eh’essa è impotente a falciare la vera vita: — « Colui che cammina davanti a noi è abbastanza grande perchè non lo perdiamo di vista ! ».
*****
FEDE NELL’UMANITÀ’ E CONVINZIONI CRISTIANE
Ci rimane da illustrare l’ultima nostra prò-posizione: ci rimane cioè da mostrare come lo spirito di rinunziamento e di consacrazione
dei nostri giovani — il quale spirito è intimamente legato colle loro idealità sociali e civili — abbia la Sua origine nelle loro convinzioni cristiane, dalie quali riceve del continuo nuovo alimento e vigore.
Incominciamo con Giovanni Fontaine-Vive.
La morte successiva di parecchi compagni d’ideale lo* affliggono profondamente. Egli soffre di non aver presso di sè nessuno al quale confidare il suo dolore:
Estate 1915.
Il solo intellettuale della compagnia, il tenente R. è disgraziatamente ateo e materialista, nel senso più elevato di questo termine. Egli m’offre per consolazione non so quale evoluzione cellulare, negazione di qualsiasi concetto dell'anima. Ma no! Per quanto bella sia già l'idea che il sacrificio stesso è lo scopo, essa non può bastare; non posso credere che tutto si limiti alla esaltazione infinitamente breve di morire nella coscienza dei valore della propria morte. Qualunque sia l'ignoto che ci domina, qualunque sia la forma sotto la quale si presenta Iddio, sento in me delle forze imperiture, di cui altro non sono che il depositario temporaneo e che Dio non lascierà perdersi.
• • »
Anche Laffay si duole dell’ateismo che Io circonda; ma se ne duole perchè si rende conto come delle forti convinzioni religiose sarebbero pei suoi soldati elemento prezioso di resistenza e d’entusiasmo:
Sul fronte, 30 Agosto 1916.
I miei poveri soldati! Il loro peg-gior nemico, che non so da che parte attaccare, è lo scetticismo. Quegli eroi non hanno altro, per sostenersi, che questo ragionamento che a me farebbe un effetto profondamente scoraggiante : « Oh ! non bisogna prendersela. Chi deve passarci, ci passerà, qualunque cosa faccia. L’ora è segnata. E’’ destino ».
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Vecchio concetto pagano questo destino. S'essi potessero accettare il sacrifìcio, non perchè è destino, ma perchè è bello di dare la propria vita per una grande causa ! Se potessero capire che tutto quanto diamo è nulla, anche quando diamo la nostra vita. Se potessero rendersi conto che, dando liberamente la propria vita (liberamente, e non perchè è destino), si cammina sulle orme del Cristo e si fa la volontà di Dio. Allora sarebbe facile condurre gli uomini e la vittoria sarebbe di certo più rapida e più bella.
Bravi poilus. Essi non sanno. Non si è loro parlato del Cristo, oppure lo si è fatto vedere attraverso una tal massa di superstizioni ch’egli a nulla può loro servire...
... Perchè la vita religiosa della nostra Francia è così povera? V’è in ciò qualcosa che m’urta e mi scandalizza. L’Evangelo non ha. compenetrato le masse. Esse sono pagane.
Gl’intimi rapporti che, nella mentalità dei nostri giovani, corrono tra patriottismo, idealismo e fede cristiana si manifestano in chiara sintesi nella corrispondenza di Giovanni Klin-gebiel. C’è, nelle sue lettere, un crescendo di fervore ch'è interessantissimo d’esaminare da vicino. E’ notevole l’elevazione progressiva compiuta dal suo sentimento patriottico e che rivelasi negli appunti da lui buttati sulla carta a pochi giorni di distanza, il 5, il 7 e l’n agosto, 1’8 e l’n settembre 1914.
11 5 agosto è la pura e semplice constatazione di fatto:
La patria è in pericolo e tutti corrono alle armi per difènderla. L’amor di patria è rimasto un istinto vivace nel cuore degli uomini d’oggi...
Io ammetto là guerra pel mio paese nel solo caso in cui venga attaccato e che debba difendersi. Ma allóra, gli sottopongo ogni cosa, è, se gli occorre la mia vita, glie la dono.
Il 7 agosto egli formula i suoi «scopi di guerra» (scopi, diciamolo tra parentesi, assai più modesti, e quindi più equi, di quelli accampati più tardi, e fatti trionfare, dal Governo francese):
Non è la caratteristica della Francia di odiare e di farsi odiare; il genio suo è di amare e di farsi amare. Il patriot tismo del Francese non è più una questione di razza; è un patriottismo di civiltà.
— I nostri eserciti si battono alla frontiera per la civiltà francese;
—- Perchè nessuna parte del nostro territorio sia sottratta a quella civiltà.
— Perchè l’Alsazia Lorena le sia resa.
— Perchè la forza del paese rimanga intatta e permetta resistenza di quella civiltà.
L’xi agosto, egli sintetizza lucidamente, in poche righe, l’atto della sua consacrazione àlla patria, innestando questo atto di devozione direttamente sul tronco della sua fede cristiana :
Servire Dio e servire gli uomini: ecco l'unico dovere; tutti gli altri non Sono altro che forme particolàri di quel dovere; così è del dovere nazionale.
Sopra ¡1 suolo francese, in seno alla civiltà francese, io mi sento a mio agio per servire, e quivi il mio servizio sarà maggiormente efficace.
E finalmente, l.’S settembre, egli scrive parole che mostrano il suo pensiero giunto, su quel punto, a completa maturazione:
Il mio patriottismo è di tal fatta, ch’esso deve forzare al rispetto gli stessi nemici del mio paese.
Se sono fiero del. mio paese, gli è perchè è il paese delle cause giuste e che le sue intenzioni sono pure.
Se, per avventura, il mio paese db monticasse la sua tradizione — che è di servire da causa umana — e si facesse egoista e brutale, forse rimarrei patriota; ma il mio patriottismo, vergognoso di sè stesso, si nasconderebbe.
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Benedetto sia il mio paese, che mi permette di gridare « Viva la Francia» senza restrizioni e alla fàccia di tutti.
Come si vede, non si tratta di un patriottismo nè esaltato nè cièco ; si tratta invece di un rinunziamento perfettamente consapevole e ragionevole.
Cosi Klingebiel scrive Pii settembre 1914:
Il nord della Francia è invaso. Parigi è minacciata ; ma serbiamo fiducia e continuiamo a sperare nella vittoria.
La fiducia e la speranza sono due virtù che meritano d’essere coltivate.
La speranza non viene a noi bell’e fatta, perchè la riceviamo passivamente. Dobbiamo meritarla, e lavorare poi a radicarla nel nostro cuore, incrollabile e immortale.
Coltivare la speranza vuol dire guardare in faccia la verità ; ma con calma. — Sentire dolorosamente i nostri motivi di mestizia e impadronirci risolutamente dei nostri motivi di fiducia. — Vivere nell’intimità dei nostri morti e dei nostri feriti; soffrire coi nostri fratelli che gemono sotto il tallone dell’invasore; bruciare d’ardore coi nostri soldati ; adempiere fedelmente con loro il còmpito che a noi è affidato per la salvezza della patria.
La speranza non è fatta di cecità, nè d’incoscienza — neppure di ottimismo. — E’ fatta di chiaroveggenza e di volontà.
« • *
Parlando di patriottismo nutrito di religiosità dobbiamo ricordare ancora Gustavo Escande. Quél Dìo nel nome del quale egli amava la patria lo aveva armato d’una grande tèrza. « La sua espressione serena faceva pensare a quella d’un vincitore; discorreva con una calma sorprendènte delle battaglie che ¡’aspettavano-; la sua causa era ideale». Chi scriveva queste parole, un marinaio, aveva incontrato Escande una volta sola ; eppure aveva riportato da quell’incontro un’impressione cosi profonda che se ne senti sostenuto molte volte in seguito.
Non c’è da meravigliarsene. Non poteva fare a meno di esercitare intorno a sè una be
nefica influenza un giovane che, come Escande, riassumeva con queste parole lo scopo della sua vita:
M'è dolce pensare che centinaia di migliaia di giovani nel mondo lottano come lotto io per realizzare l’ideale che ci siamo proposti: «Far Cristo Re»(l).
• • *
Alla stessa scuola appartiene Casalis.
Anche lui riassume in poche parole il suo «credo», che s’impernia su quest’oidine di idee: combatto pel mio paese perchè credo nella missione buona del mio paese ; è credo a questa missione buona perchè io stesso sono deciso a collaborarvi. Ma lasciamo che ce lo dica egli stesso :
12 Marzo 1915.
L’ora della partenza s’avvicina. Fra una quindicina di giorni, saremo probabilmente al fronte.
Partirò tranquillamente, con fiducia. Combatterò con una buona coscienza; senza timore, lo spero; senz’odio, certamente, perchè credo la nostra causa giusta, perchè la Francia vittoriosa avrà da compiere una missione, missione civilizzatrice ed educatrice di solidarietà. Ciò io credo, perchè ho accettato, per parte mia, una tale vocazione e perchè conosco molti che l’hanno accettata.
Mi sento ripieno d’una illimitata speranza che, al di là della morte, mi fa vedere gl’inizi d’una vita rinnovata, magnifica.
Cosi dicasi di Andrea Cornet Auquicr: s’egli è pronto a morire per la patria, è per dei motivi ideali, tanto è vero ch’egli non dà alcuna importanza ai beni della terra; s’egli si mette a disposizione del paese, è perchè si è messo, prima, nelle mani di Dio:
18 Giugno 1915.
Partecipiamo domani a una nuova operazione... Sappiate che il giorno in cui ci faremo massacrare, è perchè ciò sarà indispensabile per la salvezza del
(x) Motto della « Federazione Studenti Cristiani ».
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paese. Ora noi siamo a disposizione del paese. Abbiate sempre maggiore fiducia in Dio. Oh! che bella cosa il distaccamento cristiano dalle cose di questo mondo!
E ancora:
7 Luglio 1915.
... L’ora dell’offensiva è prossima... Bisogna considerare le cose con calma e con fiducia. Faccio assegnamento su di voi; rimettete la vostra sorte e la mia nelle mani di Dio. Per parte mia, non gli chiedo di risparmiarmi, sono nelle sue mani e a disposizione del paese; gli chiedo soltanto la sua forza per la lotta e il suo perdono per i miei peccati...
L’intima e profonda religiosità personale che ispira il patriottismo idealista dei nostri giovani combattenti appare ancora una volta nella seguente lettera di condoglianze che A. A. scrive ad un amico:
20 Febbraio 1915.
La grande, la magnifica consolazione che proviamo nel nostro dolore comune, è che tuo fratello e il mio hanno dato la loro vita per una causa assolutamente pura, per una patria... no, per molto più, pel Diritto e per lo Spirito.
Essi hanno preso la loro parte delle sofferenze del Crocifisso; hanno, come lui, trovato cosa semplice di dare il loro sangue per la salvezza degli altri. Non ti pare che, coi tempi che corrono, le vecchie parole di « espiazione », di « sacrificio », di « redenzione», oscurati dalla dialettica dei teologi, assumono un significato mirabilmente semplice, concreto, vivente?
Ti lascio, nell’intimità del grande ideale che rimane, qualunque cosa succeda delle nostre persone, lo stesso ieri, oggi, eternamente.
* » *
Bisogna essere davvero posseduti da questo grande, eterno Ideale -- l’ideale cristiano — per non essere contenti di compiere soltanto
il sacrifìcio, ma per considerare tale sacrificio come un privilegio, quasi come una benedizione.
È’ questo lo stato d’animo di Enrico Gonnelle — stato d’animo che ben a ragione può dirsi sublime — quand’egli scrive :
15 Giugno 1915.
L’anima si esalta in questa lotta e s’arricchisce. A proposito dei nostri soldati, si è parlato assai di sacrifìcio; quest’idea .non mi piace molto, a meno che non s'intenda quel termine assolutamente nel senso antico : sacro, consacrato a. Ma nel significato moderno di quella parola v’è un’idea di perdita; e questo non è il caso : abbiamo tutto da guadagnare, qui, nulla da perdere, se l’anima nòstra s’ingrandisce e si purifica. La bellezza della vita vai più che la vita stessa.
Parola raggiante! ispirata dallo Spirito Santo, scaturita dalla stessa fonte d’onde sprigionatasi il .grido sublime del vecchio salmista : « O Eterno ! la tua grazia vai più della vita •.
* * *
Ed ecco — per finire — un’altra paróla raggiante. L’ha scritta Gastone Vcrpillot, di 22 anni, orologiaio del « Pays de Montbé-liard ■>, ferito nella giornata di Marcheville è morto nel maggio 19x5 all’ambulanza della stazione ferroviaria di Ambérieu :
Signore, la tua volontà sia fatta e non la mia. Tu sai che non avrei voluto la guerra; ma ho combattuto per fare la Tua volontà; offro la mia vita per la pace. ' .
Ecco un gióvane cristiano che, se partecipa alla guerra da lui non voluta, combatte per fare là volontà di Dio ; ma, appunto perchè vuol fare la volontà di Dio, combatte per la pace e per questa pace offre la vita. Di fronte a tali altezze dello spirito non resta che inchinarsi riverenti davanti alla creatura e prosternarsi, smarriti, al cospetto del Creatore! (1).
{Continua).
Giovanni E. Meille.
(1) Cì rimane da analizzare la mentalità icli-giosa dei nostri giovani eroi, ci resta cioè da esaminare nei particolari il loro «cretto« cristiano. Questo farà l'oggetto del quarto ed ultimo capitolo di questo nostro studio. G. E. M.
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PERIAG/L1VRA
DELL'ÀNIMA
DIO
re mila anni or so no un anonimo salmista cantava: « Eterno, tu mi scandagli e ini conosci... Dove andrei, lungi dal tuo spirito?... Se salgo verso i cieli, tu ci sei; se scendo nel sepolcro, eccotici... » (Salmo 139). Nulla, hanno tolto i secoli alla verità di queste parole e nulla vi muteranno. L’uomo non può sfuggire a Dio più di quanto possa emanciparsi dalla coesione delle leggi universali.
L'ateismo è la più prodigiosa di tutte le illusioni. Può forse
chiamarsi ateismo il negare gli dei che esistono 0 che sono esistiti nel pensiero dei popoli? In quella stessa negazione v'è sempre una parte di realtà positiva. Insorgete contro un'espressione definita della realtà suprema, ma ciò fate appunto in nome di ciò che, per voi, è la realtà. Voi l’interpretate in modo diverso, ecco tutto.
Ogni uomo che pensa, pensa Dio; ogni uomo che guarda lo vede,.ogni uomo che ha un cuòre lo sente. Apri gli occhi, tu lo scorgerai nella luce; chiudi gli occhi,, tu lo intuirai nel buio. Nessuno può dire: io, senza dire tu. Pel fatto stesso ch’io sono io, addito con tutta la mia potenza quell'altro che è il mio inseparabile compagno. Giammài uno è solo- tutte le nòstre solitudini sono abitate da un Testimònio invisibile; oggi egli è la nostra ombra; domani noi siamo la sua; ma lui e noi siamo inseparabili. Concepitelo come volete: egli ¿; e se non lo pensate, ciò non gli impedisce di essere. Da lui voi prèndete ogni cosa ad imprestito, anche ciò che occorre per negarlo. Esistere significa costituire una prova delFEssere smisurato dal quale Irradiano tutti gli esseri; e questa prova niuno può distruggerla, anche s’ei tentasse di distruggere sè stesso. Non è in facoltà di ciò che è di trasformarsi in mente. Al centro di ciò che siamo di meglio, Dio è il meglio del meglio. L’uomo che nega Dio è la goccia che nega l’oceano, è il fiore che nega il sole, è il bimbo che nega la madre. In questo non c’è nè metafisica, nè mistero; c’è la pura e semplice realtà.
Un criterio puerile, per ostilità contro la religione, ha fatto pensare che, per terminare d’un colpo questa grossa faccenda, bastasse cassare una parola dal vocabolario e cancellare dai cervelli un’idea. Ammettiamo che ciò sia possibile, per quanto non sia nato ancora colui il quale troverà il modo d'impedire alle parole
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di circolare e di non permettere di germogliare alle idee. Supponiamo il vocabolo-Dio scomparso anche dal ricordo degli uomini, e abolito il concetto della divinità. Finche non avrete mutato la natura dèlio spirito umano e quindi rifuso l'Universo di cui tale spirito è lo specchio, nasceranno nuove divinità. Il divino scaturisce dalle anime come l'acqua zampilla dalle fonti. L'umanità è in continua gestazione d'immagini e d’idee per esprimere l’eterno Prodigio. Noi ci solleviamo verso Dio come il germoglio del grano spunta verso la luce. Vi sono delle figurazioni di Dio che svaniscono e scompaiono; ve ne sono altre fresche e limpide che salgono sull’ orizzonte* L’essenziale è di possedere, sotto il velo trasparente di quei simboli sempre imperfetti, il Dio che ci occorre. Poiché v'è per ciascuno un bene supremo, una realtà suprema, una bellezza che oltrepassa tutte le bellezze, un amore di cui tutti gli altri sono i precursori, una giustizia verso la quale si orienta ogni giustizia; poiché ognuno si prosterna davanti ad una grandezza e che, per qualsiasi essere, ciò ch'egli maggiormente ammira, ciò che per lui è più prezioso è il suo Dio; poiché, nonostante tutto, se n’ha sempre uno, tanto vale purificare l’imagine. La vita nostra è un’argilla, e noi siamo dei modellatori; cogli occhi fìssi ciascuno sulla propria divinità,, noi modelliamo la nostra argilla alla sua immagine: vai la pena di scegliere il modello.
Qual Dio ti occorre, pellegrino effimero, sulle vie mutevoli dove insegni il tuo sogno, fatto d’ombra e di luce, attraverso il quale appaiono i lineamenti lontani delle realtà inaudite? Ti occorre un Dio molto umano, un Dio in cui ciò che concepisci di' più puro, di più clemente, di più ardito, di più luminoso di più forte si sia fatto uomo.
Per vivere in noi, l’Universo intero si umanizza; i fiori che ammiri sulla collina, le stelle che ti salutano all’orizzonte sono fiori e sono stelle umanizzati: solo ciò che si umanizza t’appartiene. Ti occorre un Dio umano, un Dio che sia una stella sulla tua fronte, non un'ombra sul tuo cuore: gli dei inumani sono omicidi.
Bisogna pensare che quelli son gli dei che l’anima umana odia e ch’essa vuole abolire. Ma perchè si allontanerebbe dessa dalla divinità che fa vivere? Tutto il suo dolore grida verso di lei, tutta la sua gioia sboccia per lei, tutta la sua sete desidèri lèi.
Ti occorre un Dio vivo, più vivo di te. Altrimenti saresti il solo essere desto nell’universo morto e il tuo destino sarebbe quello d’un vivo sepolto nella sua bara; quello d’un veggente murato nella notte cieca, quello d’una voce che chiama in seno allo spazio sordo. Quel Dio, tu lo cerchi, tu lo pretendi: ei nasce dai tuoi dolori come il fanciullo della donna. Certo, egli è più grande di tutto, e ciò non lo devi giammai dimenticare, ma bisogna ch’egli-sia a tal punto vicino a te che tu ti senta in lui e lui ih te e che nulla di umano gli sia estraneo. Ti occorre quel Dio per sentire, che, sotto la tua fràgile struttura, s'elabora qualcosa d’immortale; per non disprezzare nè te stesso nè gli altri; per avere il coraggio di sperare attraverso le tue lotte, le tue oscure fatiche, le tue sconfitte. Ti occorre per essere meno altezzoso davanti ai piccoli, meno remissivo di fronte ai grandi. Ti occorre per aver qualcuno che tu possa adorare in uno slancio immenso e luminoso e che tu possa cantare come l'allodola canta il sole, affinchè egli ti attragga a sè, ti purifichi e ti renda migliore..
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Ti occorre qualcuno che tu possa amare in tutto ciò che ami, affinchè tu non ami nulla bassamente, ma che invece tu ami ogni cosa nobilmente, con un rispetto pio; affinchè à tutti i tuoi amori non sia mescolata la grande malinconia dèi nulla, ma la gioia intensa dell’eterno. Ti occorre qualcuno per dirti quello che la roccia dice al mare: fermati! per scuoterti come la bufera scuote il giunco allorquando il tuo crudele e stupido orgoglio ti ha fatto scordare il diritto, del tuo simile; per .sollevarti quando cadi, per consolarti quando piangi quelle lacrime di dolore 0 d- pentimento ch’egli solo comprende. Ti occorre per sedei si con te presso alle culle, perchè tu non abbia paura di vivere e sulle tombe perchè tu non abbia paura di morire.
Quello, chiunque ha vissuto la vita vera, l’ha avuto per guida e per appoggio, quand’anche non gli avesse dato alcun nome e lo avesse respirato come si respira l’aria invisibile. Ma chiunque non ne ha provato il soffio creatore è rimasto confinato nel dominio delle ombre. Bisogna compiangere la gioventù che deve’, andare verso la vita senza, averlo a compagno; bisogna aver pietà degli adulti, uomini e donne, che camminano per la loro strada senza di Lui, bisogna compatire i vecchi che scendon la china senza dargli la mano: quelli non hanno mai conosciuto altro che i crepuscoli. Ma tale è la spinta verso di Lui ch’essa infrange tutti gli ostacoli, ch’essa perfora tutte le montagne. Se una generazione è privata del divino, la generazione successiva ne ha la nostalgia. La sete delle anime s’accumula, simile alle acque trattenute da dighe; essa infrange i muraglioni e va verso Dio come il torrente verso il mare.
D’altronde — nonostante il mio rispetto per le forme religiose esterne — ho io bisogno di dichiarare che trattasi qui d'una questione d’anima e non di sacrestia, di devozione convenzionale o di chiesa organizzata? Quel Dio di cui parlo non ha incaricato nessuno di tradurlo in forinole, nè di costruirgli una casa e di escluderne o di ammettervi gli ospiti; ma tutti coloro ch’egli visita, ei li conduce verso gli uomini,- loro fratelli. Perch’egli dimori con noi, occorre amare le anime e là libertà.
Spirito, ei soffia dove vuole. Riassumi ogni tua preghiera nel desiderio ch'ei soffi in te, anche debolissimamente... e sentirai circolare nelle tue vene e battere dentro al tuo cuore la potenza dagl'incanti infiniti, il fuoco sacro che vivifica, abbellisce, ringiovanisce il mondo e fa sprizzare le stelle anche dal crogiolo della morte.
DEL GENIO
Una buona media generale vai meglio che alcune sommità emergenti dalla bassezza universale. Giammai una testa, per quanto vasta essa sia, potrebbe supplire alla folla delle intelligenze d'ordine più modesto, distribuite ovunque e operanti nei particolari. Giammai una sola grande anima potrà effettuare quanto compiono migliaia d’anime umili, ma fedelmente applicate al loro dovere e al loro amore. Ciò che devesi dunque desiderare per se stessi e pel proprio paese è che il livello generale s’innalzi e che la massa aumenti in qualità. Quivi è la sapienza, ed anche la
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giustizia. Perchè l'eccezione costituisce il privilegio ed il gran privilegio degli uni si paga colla privazione degli altri.
Ma guardiamoci dal confondere la buona media col regno delle mediocrità: triste sistema ove domina l’incapacità di riconoscere e di onorare ciò che oltrepassa la comune misura. Una delle piaghe della democrazia è questa confusione dell’uguaglianza col livellamento. Ogni grandezza è il punto di mira delle ambizioni meschine e dello spirito di denigrazione. La folla s’applica a demolire quanto la sovrasta e si abbassa essa medesima sempre più. Là dove la media è davvero buona, state certi che esiste il sentimento delle superiorità; perchè è appunto nel sapere onorare e ammirare coloro che ci oltrepassano che sta il potere, mediante il quale lo spirito pubblico si fortifica. Il sentimento delle superiorità permette a tutti di ricavare un beneficio dai beni acquistati per opera dei migliori. L'ammirazione è l’atmosfera in cui meglio si sviluppa la pianta umana, la quale ha bisogno di penetrare nel profondo colle radici e d’emeigere nella luce colle vette;
Confusamente, si sente che il genio consiste nel possedere, per una grazia naturale, per una intuizione che ha qualcosa del prodigio, ciò che gli alto riescono ad imparare soltanto a forza di pazienza, ed anche... non raggiungono mai. L’ingegno differisce dal genio in quanto esso deve quasi tutto alla scuola ed è di creazione umana. Il genio ha qual cosa di sovrumano. L’ingegno può suscitare invidie meschine negli ambienti ove fiorisce l’odio delle superiorità; ma di solito corre assai meno del genio il pericolo d'essere misconosciuto. L'ingegno consiste nel portare ad un estremo grado di perfezionamento ciò che già è noto; esso sorprende per la sua abilità, non per la sua novità; non sconcerta e non turba nessuno, non sconvolge gl'interessi acquisiti e non scrolla le condizioni di quanto è stabilito dall'uso o dalla consuetudine. L’ingegno non è mai rivoluzionario, perch’esso contiene un troppo potente elemento tradizionale. È come una specie di delicata e superiore distillazione delle migliori-traduzioni d’arte e di lavoro. L’ingegno è al suo apogeo quando le civiltà toccano a quel punto preciso di maturità perfetta in cui la discesa incomincia. Il genio è per essenza creatore; ecso non chiude la marcia, ma, per definizione, è precursore; esso stupisce, sconcerta, spaventa persino. Esso turba i calcoli, sposta i limiti, oltrepassa le barriere, distrugge e costruisce, unisce in un sol tutto degli elementi contrari, scava delle fonti, apre nuove vie.
Ma soprattutto il genio è un pioniere che dà in dote all’umanità dei continenti nuovi, degli orizzonti sino allora sconosciuti, delle realtà non ancora entrate in contatto coi nostri cuori, col nostro spirito. È iniziatore, trasformatore della sostanza bruta in sostanza assimilabile e pei questo il genio non è una derrata di lusso, ma una derrata di prima necessità. Un paragone mi permetterà di chiarire su questo punto il mio pensiero e di fare, nello stesso tempo, intendere perche il genio si trova in prima fila tra ciò che occorrerà sempre.
La realtà — qualunque sia il nome materiale o spirituale con cui la si chiama (e tutte le denominazioni altro non sono se non tentativi lontani per indicare ciò di cui nessuno potrà mai fare il giro), — la realtà è paragonabile alla sostanza
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inorganica, quale si presenta nella Terra. Tutti viviamo della Terra, eppure non possiamo direttamente consumarla. Attraverso diversi gradi di trasformazione organica, essa giunge a presentarsi a noi sotto forma di alimenti. Gli alimenti sono della sostanza trasformata dalle piante o, dopo di esse, dagli animali. Senza questi organismi intermediari, la Terra non potrebbe nutrire l’uomo. .
Ciò che il mondo vegetale fa per la vita materiale dell’umanità, il Genio compie per la vita generale. L’immensa maggioranza degli uomini altro non fa se non nutrirsi della sostanza creata e offerta dai genii trasformatori. Secoli interi hanno vissuto su quanto ha creato un solo essere geniale. Secoli hanno sofferto della fame e della sete spirituale, inconsciamente tesi verso qualche fonte di vita non ancora scoperta. Chi sa se parecchie delle nostre principali miserie non vengono dal fatto che certe verità, che avremmo bisogno di conoscere, restano per ora inaccessibili? Esse ci circondano come vette giganti e noi moriamo di fame ai loro piedi. Verranno uomini che con quelle roccie faranno del pane. Così, nel corso dei secoli, il lichene, il muschio, l’erba, alla quale succede la foresta, la foresta alla quale succede il campo coltivato, trasformano in cibo di vita l’arida sostanza dei graniti.
Ancora un'altra funzione ha il genio, dèlia quale non potremmo fare a meno: quella di trasformare i valori del passato in valori del presente e in valori dell'avvenire.
Tra i più critici momenti dell'umanità, vi sono quelli in cui le antiche forme dell’idea e del sentimento essendo, in certo qual modo, sopravissute a sè stesse — hanno perso il dono di rifocillare le anime. Esse non nutrono più il loro uomo. Eppure l'umanità non può eternamente mettersi in cammino incominciando dall’inizio. A ciò sarebbe ridotta se, perdendo gli antichi involucri dei beni del cuore e del pensiero, si perdessero, nello stesso tempo, quei beni medesimi. Tutto il frutto delle antiche fatiche sarebbe in tal modo periodicamente annientato.
Gli spiriti di calibro ordinario sono incapaci d’altro che non sia raffazzonatura. Nel sentimento vivissimo che qualcosa di essenziale andrebbe perso insieme a certe pratiche, a certe consuetudini o in alcune antichissime impronte del pensiero, essi cercano di mantenere in vita pratiche invecchiate, di galvanizzare dei cadaveri, di eternizzare dei clichés. Ma nessuno più di coloro che li méttono in opera si rende conto delle vanità disperata di questi sforzi conservatori. Ciò ch'essi riescono a produrre assomiglia a quei musei dove si espongono, sopra corpi di cera, dei costumi dei tempi passati. Vi regna un’atmosfera di tomba; tutte quelle fronti sono segnate col marchio della morte.
Tentativi compassionevoli nei quali si assapora l’amarezza delle pene perdute. Eppure v'era qualcosa in quanto faceva vivere le generazioni antiche. Sarebbe un’illusione ad un tempo puerile e mortale il supporre che tutto ciò che l'umanità ha amato, coltivato, adorato, sotto quelle forme caduche, se n'è andato con esse: ciò che una volta è stato veramente umano, lo sarà sempre.
Ma ciò non si può dimostrare mediante tentativi reazionari. Occorrono risurrezioni viventi. Al genio è concesso il dono di provocarle. Appunto perchè vede
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oltre la superficie, il genio vive nelle profondità. Esso assorbe le forze vitali delle epoche lontane, le elabora in se stesso come in un potente crogiolo nel quale cadessero metalli vecchi, frantumi di bronzo, bricciole d'oro. Tutto ciò entra in fusione ed esce dal braciere purificato, lucido, e rinasce in forme nuove e fresche, in cui si fondono il tesoro del passato e la calda v«ta del presente.
Senza quel meraviglioso potere di evocazione e di rinnovamento ch’è insito nel genio, siamo tutti colpiti d'impotenza in faccia agli splendori del passato. Sia che lo calpestiamo cóme i Vandali, o che piangiamo su quelle belle rovine, non ne caveremo nulla. La danza folle su quei gloriosi frantumi e il lutto delle anime pie intorno alle catacombe, si perdono nello stesso vuoto.
Certo, questi due modi di constatare il decesso di ciò che non tornerà più non possono paragonarsi tra di loro perchè l’una gioisce, mentre l’altra singhiozza; ma, in ambedue i casi, gl’interessi dell’umanità sono in cattive mani. Bisogna che vi passi sopra il soffio del genio per salvarci dal nulla.
Il sole fa sbocciare i fiori, il genio fa sbocciare le anime, le sue carezze covano i germi: dov'egli passa rinasce la vita. Quale demenza se altro non avessimo da offrirgli se non la nostra invidia! Egli è grande, noi siamo piccoli. Ma per noi appunto egli è forte: per supplire appunto alle nostre assenti, egli possiede grandi ali. I nostri pensieri gretti si esaurivano nelle tenebre: ei ci versa il suo chiarore in un raggio di fiamma. Camminiamo sotto il suo sguardo; è la sola cosa umana e ragionevole;
Non onorare il genio sarebbe un escludersi dal banchetto, sotto il pretesto insensato che noi non saremmo mai capaci di offrirne uno simile.
In verità, i sentimenti coi quali troppo gente s’accanisce a svalorizzare i valori incontestabili, sono sintomi di rachitismo morale. Noi viviamo per la capacità nostra di riconoscere e di onorare ciò ch’è grande e noi moriamo di blague, di scetticismo e di mania di denigrazione.
Carlo Wagner.
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MMENTI
IL ROGO POSTUMO DI ARNALDO DA BRESCIA
(UN DOCUMENTO INEDITO DI POLIZIA)
... lasciai di libcrtade in ira le genti l'alto desir conteso...
Carducci.
La critica letteraria non ò discorde, a proposito dcW Arnaldo da Brescia di Gio-van Battista Niccolini, nel rilevarne alcune mende fondamentali: che il filo dell’azione, date le troppo vaste proporzioni del dramma, quasi si perde, scapitandone l'effetto tragico, sminuito dalle numerose scene « non troppo strettamente legate fra loro, che sono altrettanti quadri, intesi a rappresentare la fuga degli italiani davanti alle milizie feroci del Barbarossa; il disordine di Roma, malgovernata dai papi e dilaniata dalle lotte dei baroni, gli effetti della predicazione del frate da Brescia e quelli della conciliazióne del pastorale con la spada... » (i).
Ma la celebrità del lavoro esula dai criteri estetici e letterari. L’enorme voga che esso ebbe fra noi è piuttosto connessa al significato particolare che la pubblicazione assunse nel periodo storico in cui comparve, come ai fini cui l’Autore, acceso di patriottici sensi, volle ispirarsi nello scrivere.
Di qui, essenzialmente, la gloria; di qui le persecuzioni; a rendere la gloria più fulgida; di qui i rigori della sospettosa ed occhiuta, ma non chiaro veggente, censura dei governi reazionari e stranieri.
(i) Bellori e Broonoligo: Sommario della Storia .della letteratura italiana, Padova, Draghi, 1906.
IL documento (1) che offriamo ai lettori è di j un’eloquenza che non richiederebbe commenti. Il direttore generale di Polizia di Venezia, tralasciando una volta tanto di occuparsi delle barbe cittadine, delle coccarde tricolori e dei salvacondotti speciali, con una versalità che deve costargli sudore, ma che gli varrà certo l’imperiale benevolenza. discetta di... letteratura drammatica!
Sentite:
Circulandum - n. 3232 P. R.
Agli IL RR. Signori Commissari Superiori dirigenti i Sestieri di San Marco. Castello. Canalregio. S. Polo e Dorsoduro - Venezia.
Sulla tragedia di Giov. Battista Niccolini • Arnaldo da Brescia »• intorno alla rigorosa proibizione di cui versò già il Decreto della scrivente n. 6498 dell’ anno scorso, il prete veneto Giuseppe Cappelletti pubblicò un opuscolo di osservazioni critiche, storiche e teologiche.
Tale opuscolo, impresso dalla Tipografia Emiliana, già licenziata dal R. Ufficio di Revisione, non senza però le osservazioni dell'Autorità Superiore, per la sua irregolare ammissione, venne altresì annunciato dall'Edittore. (sic) con un cartellone od avvisò a grandi caratteri, che venne esposto nel solito modo degli affissi pubblici.
A mente pertanto di venerato Decreto del-l'Eccellentissimo Supremo Aulico Dicastero
(1) R. .Archivio di Stato in Napoli: Fondo Crispí, Carte Venete.
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di Polizia c censura, comunicato alla dire-itone Generale col Riveritissimo Preside D° 27 maggio pp. n. 2348, non dev'essere ulteriormente permesso l’esposizione di tali relativi Avvisi, 0 la inserzione nelli Giornali, c quindi ne restano di conformità prevenuti i sigg. Commissari Superiori per loro norma e pelle (sic) relative pratiche di sorveglianza onde riportino esecuzione gli ordini superiori in tale proposito.
Venezia 2 giugno 1844.
Cananei (autograio).
A noi non fu dato, malgrado diligenti ricerche bibliografiche, di metter mano, sull'opuscolo incriminato: ne avremmo con viva curiosità appreso i motivi per cui le a osservazioni critiche storiche e teologiche > di don Cappelletti poterono guastare il sonno degli i. r. consiglieri aulici ed ispirare la prosa burocratica surriprodotta.
Poco monta. La storia ci dice che quattro anni dopo gli austriaci partivano
da Venezia: c che furono, nella dipartita, sì lesti da lasciare con le armi anche i bagagli archivistici di cui faceva parte il documento, il possesso del quale, come la sua pubblicazione odierna, dobbiamo appunto a quella fuga ignominiosa.
Quattro anni soltanto, pel maturare dei fati italici: e già, come nello squillante inno eroico del Mercantini, i martiri nostri son tutti risorti!
E Daniele Manin può scrivere ai governi di Milano e di Modena, partecipando loro lo sventolio festoso del tricolore accantonai Leone di S. Marco: « quanto abbiamo qui fatto e facciamo non pregiudica l’avvenire: la nostra causa è la causa di tutta Italia... Furono comuni i dolori; sono le speranze comuni: non solo saremo italiani, non solo concordi, ma se a Dìo piace, uniti; la nazione deciderà le sue sorti ».
...Il rogo lontano di Arnaldo «splendeva come un faro 0.
Napoli, nov. 1919.. Vl!{CEN20 Morblll
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POLITICA VATICANA E AZIONE CATTOLICA
RIPRESA DELLE RELAZIONI TRA FRANCIA E VATICANO
Dopo l’ultima campagna elettorale francese, e l'esito delle elezioni, il ristabilimento della rappresentanza diplomatica della Repubblica presso la S. Sede non era più dubbio. Oggi sembra non sia ormai più questione che di giorni e di formalità, perchè la Francia ha già un suo rappresentante ufficiosa presso il Vaticano*, il signor Loiseau, che non attende ormai se non che le sue lettere patenti ufficiose siano trasformate in credenziali ufficiali.
La Francia però ritornerà a Roma senza passare per Canossa. Infatti le leggi di separazione non verrebbero abrogate; la nomina di rappresentanti presso la Santa Sede non implica rinuncia alla separazione e ritorno al Concordato, tuttavia molte leggi che la Chiesa ritiene abbiano carattere di persecuzione dovranno necessariamente esser lasciate cadere o modificate espressamente.
La Francia avrebbe voluto che la sua, rappresentanza presso la S. Sede, a somiglianza di quella inglese, avesse carattere straordinario, e che perciò nessun Nunzio venisse nominato a Parigi. Benedetto XV però ha tenuto fermo nel ripristino dei normali rapporti diplomatici, è pare che a far svanire le ultime esitazioni francesi abbia servito il timore che l’istituzione già decisa di una rappresentanza britannica permanente presso la S. Sede, portasse un danno definitivo e irrimediabile alle aspirazioni francesi in Oriente.
Nunzio a Parigi andrà monsignor Cerreti segretario degli affari ecclesiastici straordinari.
NELLA DIPLOMAZIA PONTIFICIA
Sono in corso trattative tra il Giappone e la S. Sede per stabilire una rappresentanza diplomatica. Cosi pure si annunzia che tra breve la Delegazione. apostolica di Washington sarà presto trasformata in nunziatura.
Nel prossimo mese di marzo il Papa terrà un nuovo concistoro -nel quale saranno anche creati alcuni nuovi cardinali, tra i quali sarà monsignor Ragonesi attualmente nunzio a Madrid. Nell’ultimo concistoro del passato dicembre il Papa ha tenuto una allocuzione sulla quale è stato mantenuto il più geloso segreto. Nel prossimo concistoro invece il Papa esporrà, secondo informazioni attendibili, per sommi capi tutta la sua opera durante la guerra. Nello stesso tempo verrà pubblicato il più volte annunziato Libro bianco con numerosi documenti diplomatici inediti.
A sostituire il Ragonesi a Madrid sarebbe inviato l’attuale sostituto della Segreteria di stato, monsignor Tedcschini.
VATICANO E GERMANIA
In questi giorni sono ritornati a Roma prima ancora che si ristabiliscano rapporti diplomatici regolari tra il governo italiano e l'impero tedesco, von Bcrger e von Ritter ministri prussiano c bavarese presso la S. Sede.
Le rappresentanze degli ex Imperi Centrali presso la S. Sede dopo la proclamazione della guerra da parte dell’Italia, si erano ritirate in Svizzera, di dove ogni settimana un corriere diplomatico le manteneva in relazione diretta col Vaticano
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Mentre i rappresentanti presso il Vaticano si pongono così a più diretto contatto con la S. Sede, il Nunzio apostolico a Monaco di Baviera, mons. Pacelli, si è recentemente recato a Berlino. Secondo la Vossische Zeitung, nei colloqui che il Nunzio ha avuto con i membri del governo dell’impero, questi hanno espresso al rappresentante ael Papa l'intenzione della Germania di avere un ambasciatore presso la Santa Sede. Finora, come è noto, solo la Prussia e la Baviera avevano il rappresentante diplomatico presso il Vaticano.
In massima si sarebbe deciso di accreditare un Nunzio presso il governo tedesco nello stesso tempo che presso il governo di Vienna.
Ma lo scopo immediato della visita del Nunzio a Berlino è stata la questione sorta dopo la morte del Cardinale Hartmann arcivescovo di Colonia.
Come è noto fra la Santa Sede ed il Governo prussiano esiste un trattato, sanzionato da parte del Vaticano con le bolle pontificie « De salute animarum » dell’anno 1821 e quelle del 1S24 e 1827; trattato il quale garantisce allo stato una certa influenza nella designazione dei vescovi che viene fatta dai capitoli delle sedi vescovili. Altrettanto per la Baviera, Ì pesta collaborazione è regolata a mezzo i un formale concordato. Però a Weimar, la «Nationalvcrsammlung», quando espresse la sua volontà di separare nettamente lo stato dalla chiesa, non tenne affatto conto dell'esistenza di questi trattati internazionali.
Ora i periti hanno fatto osservare al Governo, come una simile procedura fosse di vantaggio unicamente per la Chiesa, la quale, visto che i detti trattati furono dichiarati nulli, crede fin d’oggi di non avere più l’obbligo di concedere allo stato una qualsiasi influenza sopra la nomina dei vescovi in Germania. La Santa Sede avrebbe infatti l’intenzione di valersi di questo fatto nella nomina del vescovo di Colonia.
Ed ecco che il Governo tedesco correrebbe al riparo dell’errore commésso. Il viaggio del sottosegretario di Stato Wilder-mann c del consigliere segreto Niermann, appartenenti ambedue al ministero dei culti, insieme col Nunzio apostolico Pacelli a Colonia, viene messo in rapporto al desiderio del governo tedesco di riaffermarsi nell'antico diritto di essere sentito, quando si tratta di nominare dei vescovi nel proprio territorio.
A nessuno potrà infatti sfuggire la grande importanza che assume per il governo tedesco la nomina alla sede di Colonia. Il trattato di pace stabilisce l’occupazione della .regione da parte delle truppe dell'Intesa, é, intanto, fin dai primi giorni di armistizio, un vasto movimento separatista dalla Prussia si è delineato in tutta la regione’dèi Reno. Al movimento ha aderito sopratutto il Centro cattolico renano, e cattolico è quel dottor Dorten che a Wiesbaden, a Magonza, a Spira ed in altre città renane c del Palatinato fece proclamare la Repubblica renana nel giugno passato. Il movimento, sopratutto per i dissidi franco-inglesi in proposito, e per l’energica sconfessione del governo imperiale, non ha avuto finora gran se-Suito, ma è tutt’altro che spento, e può a un momento all’altro riprendere sotto nuova forma. Il giornale cattolico Kölnische Volkszeitung e il Padre Froberger sono gli ispiratori principali del movimento. Si deve anzi in parte al timore che là proclamata repubblica renana si trasformasse in uno stato clericale, o Pfaf-fenstaat come scrive la Frankfurter Zeitung, se i sindacati socialisti hanno reagito con grande energia contro il movimento, facendolo pel momento abortire. Il pericolo per la grande Prussia è però ancora tutt’altro che scomparso, tanto più che se l’Intesa ha accettato l'erezione di un Commissariato civile dell’impero che rappresenterà il governo di Berlino nei territori occupati, che saranno sotto il controllo dell A Ita commissione alleala, che siederà a Coblenza, non si è però voluta impegnare ad ammettere sui territori della riva sinistra del Reno oltre quella dell’impero, anche la sovranità degli stati confederati, come aveva proposto il governo tedesco. Così l’Intesa non ha voluto impegnarsi per l’avvenire, e precludere nuove autodecisioni più o meno spontanee delle popolazioni renane. Ecco perchè il governo tedesco annette tanta importanza alla nomina del vescovo di Colonia.
Data la simpatia con cui il comando francese ha fomentato il movimento separatista renano, e date le intelligenze che corrono ormai tra la Francia e il Vaticano, non è inopportuno per il governo tedesco assicurarsi la buona amicizia della S. Sede.
Infine vi è da regolare tutta la questione dell’ordinamento scolastico che interessa sommamente il governo tedesco èd i suoi rapporti con la Chiesa. Bilychnis ha pub-
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blicato nel passato numero gli articoli della nuova costituzione tedesca, in questa materia, che sanciscono il principio della libertà della scuola. Il centro cattolico ne è stato l’ispiratore perchè si tratta di togliere alla Chiesa luterana i privilegi di cui godeva in Prussia, dove l’insegnamento era su base confessionale. Ma dietro la libertà dell’insegnamento è noto che cosa cerchino i battolici: in molti stati della Germania essi sperano attuare in tal modo gli articoli della costituzione, da avere praticamente il monopolio delia scuola.
PER L’INDIPENDENZA IRLANDESE
I vescovi irlandesi nella loro ultima riunione hanno emanato una dichiarazione in cui affermano che « l’attuale governo in Irlanda non può durare essendo il governo della violenza con tutti i suoi mali... Noi abbiamo in Irlanda lo spettacolo dei mali che produce il regime militare; è il regime della sciabola, vano in una nazione civile, ma assai atto a provocare il disordine e la violenza croniche. Per atti senza importanza considerati legittimi in ogni altro paese, gli Irlandesi in virtù di leggi barbare sono gettati nelle prigioni, ed enormi imposte sono levate ogni anno in Irlanda, senza che si accordi per il suo sviluppo che delle vane parole... L’Irlanda ha diritto di avere un governo eletto liberamente e di essere padrona dei suoi destini ». I,a dichiarazione termina rendendo grazie ài Congresso e al popolo degli Stati Uniti per il loro interessamento alla causa irlandese.
JUGOSLAVIA E PAPATO
Nel numero precedente ho già dato notizia del riconoscimento da parte della Santa Sede del regno S. H. S. In conseguenza di ciò era tolto un ostacolo anche alla eliminazione del vescovo sloveno di Trieste mons. Karlin, che è stato sostituito dall'ex vescovo castrense Bartolo-masi.
Tra la S. Sede e la Serbia nel 1915 nonostante gli intrighi e le opposizioni della diplomazia austro-ungarica fu già conclùso un concordato. Ora fervono le trattative per un concordato che deve valere per tutto il territorio del nuovo regno. Per quanto il clero cattolico, specialmente in Croazia, sia stato prima della guerra in gran parte fautore del trialismo, e ancora oggi sembri favorire il movimento auto
hanno sopratutto dal '¡oso, una grande mis-: col lega re l'Oriente e io attenuarne leantinonomista croato c sloveno, tuttavia la S. Sede, almeno ufficialmente, mantiene rapporti di amicizia con lo stato S. H. S. e presto saranno nominate le rappresentanze diplomatiche stabili.
Sopra un totale di circa tredici milioni i cattolici sono in Jugoslavia circa quattro milioni con diciassette diocesi.
A questo’ proposito è interessante ricordare che nel Correspondant del 25 novembre il conte Luigi Voinovich, del quale sono noti i rapporti di buona amicizia con gli ambienti della Segreteria di Stato, ha pubblicato un importante articolo su Gli Jugoslavi c il Papato, del quale diamo un riassunto.
Gli Slavi del Sud punto di vista reli' sione da compiere l’Occidente, o almen
mie secolari. Ma non più coi procedimenti brutali del Drang nach Oslen, nè coi metodi asiatici del cesaropapismo russo.
Consultando una carta etnografica della penisola balcanica, ci si accorge di un fatto assai semplice, che cioè tra gli Slavi del Sud i cattolici si trovano alla periferia, gli ortodossi al centro dello stato jugoslavo. Il centro si prolunga poi verso la periferia orientale, e si confonde, dal punto di vista religioso, con l’ortodossia bulgara.
Tutta la Slovenia, marca di frontiera’ jugoslava verso i tedeschi, la maggior parte della Croazia e Slavonia, la quasi totalità della Dalmazia, e tutta la zona periferica della Bosnia Erzegovina, attigua ai tre paesi suddetti, sono cattoliche. La Serbia con i suoi nuovi acquisti (Vecchia Serbia, Macedonia, Novi Bazar), il Montenegro, e la parte centrale della Bosnia Erzegovina, sono ortodosse. Storicamente ciò significa: il cristianesimo bizantino' si è impadronito di tutte le regioni jugoslave dipendenti geograficamente da Bisanzio, il cristianesimo romano ha attirato a sè tutte le regioni limitrofe alle vecchie civiltà latine (nel senso religióso della parola) alla Germania ed all’Italia.
Nella Jugoslavia si sono incontrate le due chiese rivali, ma senza confondersi. Più tardi soltanto, a causa delle migrazioni ortodosse verso il Nord ed il Sud-Est, le due confessioni si sono mescolate in alcune regioni jugoslave; per esempio in Slavonia e Dalmazia. Ma questa divisione religiosa, che a Bisanzio ha fatto scorrere tanto inchiostro e tanto sangue, non è mólto accentuata tra gli Slavi del Sud:
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»1 conflitto tra Roma e Bisanzio, che a Bisanzio fu sopratutto dogmatico, presso gli Jugoslavi non ha avuto che una forma superficiale, sopratutto rituale.
Il Voinovich afferma che gli Jugoslavi non furono mai evangelizzati completamente, cosichè l’anima jugoslava più facilmente abbandonata a sè stessa ed ai suoi istinti, adottò il formalismo religioso bizantino, senza compenetrarsi della essenza moralizzatrice, positiva, sociale del cristianesimo nel senso vero c proprio. Un culto eccessivo e superstizioso della lettera, ed un panteismo più o meno incosciente, sono due caratteristiche ataviche che mille anni di cristianesimo non hanno potuto interamente cancellare dal cuore della razza: questo insuccesso relativo dell’opera degli apostoli di Salonicco Cirillo e Metodio, si manifestò storicamente, con una oscillazione costante di quel popolo fra Roma c Bisanzio. Il papato fu considerato più come un legame politico e sociale fra la religiqpe e le classi superiori della nazione, che come uno strumento di perfezionamento morale c di autorità dogmatica. 11 rito restò bizantino fra gli slavi dei Balcani; il rito romano si impiantò fra la Brava e l’Adriatico.
Nel medio evo tutti gli Slavi del Sud riconoscevano il primato della S. Sede. La rivalità con l’impero bizantino, il disinteressamento dalle lotte dogmatiche, avevano avvicinato gli Jugoslavi al papato, senza tuttavia condurli a. un completo ralliement con l’insieme delle dottrine e delle forme rappresentate dalla Chiesa di Roma.
I papi ebbero in Jugoslavia, per un momento, una situazione assolutamente unica: gli Jugoslavi, da parte loro, non domandavano che una cosa sola: la lingua nazionale nella liturgia. Le lotte che durarono 3nasi due secoli nei concili provinciali di palato fra alto e basso clero, fra principi serbi c croati, non furono che lotte per la lingua liturgica, conflitti fra la nazionalizzazione e la latinizzazione esteriori. Se il papato si fosse messo dalla parte dei nazionalisti forse Roma avrebbe conservato le regioni centrali jugoslave, Tuttavia nonostante la sua attitudine latina, Roma esercitò una funzione di primo ordine nella politica degli stati jugoslavi che cercavano di uscire dalla nebulosa sociale nella quale il mondo slavo ha sempre fluttuato. Infatti è il Papato che riconobbe l’indipendenza dei primi stati serbo-croati.
Nel 1217 Onorio III riconobbe la monarchia serba, mandando la corona reale al grande Jupan Stefano Nemagnla. E due secoli prima Gregorio VII riconobbe il regno dei Croati, facendo rimettere da un suo legato lo stendardo reale a .Demetrio Zvonimir, eletto re dai Croati. Così, in funzione di dispensatore di autorità legittime, il papato dava l’investitura alle monarchie jugoslave c il popolo reclamava il papa, mentre già da secoli era avvenuto lo scisma d’Oriente. Ciò significa che, indifferenti alle dispute dogmatiche, gli Jugoslavi concentrarono la loro attenzione sopra una sola cosa: l’intensa coltura della loro individualità nazionale, senza tuttavia essere capaci di innalzare su questi fondamenti una solida ed euritmica costruzione politico-sociale.
Dopo la caduta della monarchia serba si accentuò questo stato d’animo. Le cause lontane dello scisma erano sconosciute ai serbi: la Chiesa era semplicemente una congregazione, nominalmente religiosa; che serrava le file della tribù, poi dello stato, e poi nuovamente della tribù sotto la dominazione ottomana, in una unione'che aveva per segno.la lingua nazionale. Nessun legame gerarchico o sociale tra i popoli ortodossi. Ciascuno chiuso in sè, ciascuno per sè: ecco l’origine e il senso delle chiese autocefale. Il popolo conservò il rito greco come fattore puramente nazionale, con la condizione che fosse impiegato con l'uso esclusivo dal vecchio idioma slavo.
Fra cattolici c ortodossi jugoslavi non vi sono state mai guerre religiose o conflitti sul genere di quelli della guerra dei Trenta anni in Germania, o deir Inghilterra sotto gli Stuarts. Una grande tolleranza, accompagnata da molta indifferenza, è stata sempre il fondamento dei rapporti fra le due religioni; e sul terreno nazionale si trovarono sempre unite le due confessioni. Così nel 1848 fu il patriarca serbo-ortodosso di Karlovtsi, Raiatchich, c non il vescovo cattolico di Zagabria, a intronizzare solennemente sulla piazza di Zagabria il bano croato e cattolico Jellacich.
Il Voinovich porta molti esempi a sostegno di questa tesi, anzi della collaborazione dei due cleri, cattolico e ortodosso, specialmente in Dalmazia e Bosnia, sul terreno della lotta nazionale. L’Austria invece cercò sempre di attraversare la via ad ogni tentativo di concordia. Essa combattè il progetto di concordato con la
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Serbia, che non potè essere concluso se non nel 1915, e ostacolò l’opera dell’episcopato croato per l'estensione dell’uso delia liturgia paleoslava. Infine essa attrasse una parte del clero cattolico col miraggio del trialismo.
Le lotte fra Croati e Serbi non furono mai lotte nazionali, bensì lotte per un programma politico: federalismo austriaco oppure stato nazionale indipendente dall’Austria: invece'molti in Europa ne fraintesero il significato, come se si trattasse di una irriducibile antinomia fra due mondi, due confessioni, due civiltà diverse. Il Voinovich fa la storia delle lotte fra Serbi e Croati, negli ultimi anni della dinastia Obrenovich, e poi del movimento di unificazione- e ne conclude che l'elemento religioso non ha avuto che una influenza trascurabile in questa lotta.
Ora che la Monarchia è caduta, gli Jugoslavi padroni del loro destino tro-vansi liberi di regolare i loro rapporti con la Santa Sede come credono. Ne l’Au-stria-Ungheria nè la Russia czarista si mescolano più alle loro querele.
Nel 1901 sotto la pressione della diplomazia austro-ungarica Leone XIII aderendo alle richieste, dell’episcopato croato e dalmata emanò un breve col quale l’ospizio e il capitolo di S. Girolamo a Roma (S. Hieronymi Illiricorum de urbe) erano trasformati in collegio prò croalica gente chiamandosi cori tal nome croate tutte le diocesi di Croazia, Slavonia, Dalmazia. Istria, Bosnia-Erzegovina e Antivari; l’antico nome illirico, che comprendeva serbi e croati era annullato. Era questo un riconoscimento implicito della grande Croazia; almeno confessionalmente, conforme alla idea di Lueger, leader cristiano sociale, e del capo dei ..Croati radicali austrofili Frank dj Zagabria. I Serbi protestarono e le loro proteste furono sostenute dalla Francia e dalla Russia. Il breve pontificio fu revocato nelle sue parti più specialmente politiche, e l’anno dòpo in una convenzione firmata dal Cardinal Rampolla e dal rappresentante del Montenegro, la S. Sède riconobbe il fondamento delle proteste scrbo-moiitenegrine, e rimise l’antico nome illirico, specificando che sotto questo nome sono compresi • i cattolici slavi del Sud, di tutte le diòcesi di cui si parla nella lettera apostolica «. Per la prima volta il nome Slavi del Sud (Jugoslavi) fu inserito in un documento ufficiale. La stampa austro-ungarica menò
grande scalpore, e questa attitudine del cardinal Rampolla fu non ultima causa del veto che gli costò la -tiara, nel conclave da cui usci eletto Pio X.
Il Voinovich invoca questo precedente per mostrare come i rapporti tra Jugoslavi e Santa Sede devono essere regolati da un buon concordato, e sulla base della amicizia c confidenza reciproca. La Santa Sede può esercitare una influenza considerevole nel consolidamento del giovane stato. Da parte sua la S. Sede ha tutto l’interesse ad estendere il privilegio della lingua liturgica paleoslava a tutte le diocesi serbo-croate-slovcnc. Poiché il cristianesimo presso gli Slavi è intimamente legato ai segni esteriori della nazionalità, e poiché dal punto di vista dogmatico nulla si oppone all’uso di lingue diverse dal latino e dal greco, il Papa si assicurerebbe una grande influenza presso gli Jugoslavi riprendendo le tradizioni dei papi del medioevo. 11 Vaticano può essere compensato della caduta della Monarchia austro-ungarica stabilendo una politica di cordialità e rispetto nazionale versola Jugoslavia, e, ricorda il Voinovich, Benedette XV si è già reso benemerito di quel popolo attenuando di mólto la triste sorte del popolo serbo nel suo esodo durante la guerra, e rifiutandosi, nonostante le pressioni austro-ungariche, di provvedere alla sede vescovile vacante di Diakovo, se non dopo finita la guerra. Questa diocesi, di oltre un milione di anime, che fu già presieduta dal vescovo Strossmayer, apostolo dell’idea jugoslava, è stata così salvata al popolo croato, mentre gli era aspramente contesa dai Magiari, che nel 1915 avevano decretato l’annessione della Slavonia alla Corona di S. Stefano.
Per conto nostro aggiungeremo che nel tempo in cui alla Consulta c'era Sonnino, l'Italia sembrò volere sostituirsi alla diplomazia austro-ungarica nel l’ostacolare i buoni rapporti tra Jugoslavia, e S. Sede, e la Consulta, che non volle mai riconoscere il regno S. H. S., per vie e pressioni indirette tentò di coinvolgere anche la S. Sede nella sua politica che tendeva ad accentuare e fomentaré le correnti ncn solò federaliste, ma separatiste, nella Jugoslavia. Ora sembra che tanto la Consulta quanto là S. Sede abbiano rinunciato definitivamente a questi piani di un ingenuo e anacronistico machiavellismo.
Quinto Tosatti
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STORIA E PSICOLOGIA RELIGIOSA
V.
Ancora del IV Centenario della Riforma. — La Revue de Métaphisique et de morale à dedicato un numero speciale intieramente alla commemorazione del IV Centenario: tredici articoli che trattano, in cinque sezioni, della Riforma tedesca, della francese, della inglese, delle origini protestanti della democrazia moderna e dei rapporti che passano tra Riforma e mondo moderno.
Della Riforma tedesca si occupano C. A. Bemouilli, Imbart de la Tour ed E. Ehrhardt esaminando, ciascuno separatamente, tre dei più poderosi problemi della storia della Riforma: i rapporti che passano tra Riforma luterana e cultura presente, quelli tra Lutero e luteranesimo tedesco, e qual è il senso della rivoluzione religiosa e morale compiuta da questo grande riformatore.
I problemi di cultura moderna esaminati m confronto col luteranesimo da C. A. Bemouilli, sono teologici e politici. In che senso può dirsi Martino Lutero l’iniziatore dei moderni studi religiosi? Quando il fiero monaco agostiniano, alla dieta imperiale di Worms, fu richiesto dall’elettore Gioacchino se non accettava altra autorità fuorché la Bibbia « Si, rispose, e anche qu< L’autorità che poss ggono le chiare ragioni ». E fu così che, pur avendo egli stesso chiamato la ragione una folle, aperse le vie del protestantesimo, e anzitutto dei protestantesimo te
desco, a quei prodigi di critica biblica che ci permettono oggi di parlare di una scienza metodica, della storia delle religioni, e di annoverarla fra le glorie più incontestabili del secolo xix. Senza diminuire il merito che in questo senso bisogna ascrivere alla collaborazione di valenti studiosi di altre nazioni (e bisogna convenire che il protestantesimo è uno sforzo internazionale di tutta l'Europa del xvi e xvn secolo) noi dobbiamo con C. A. Bemouilli, rendere omaggio alla verità. Lo spirito tedesco si è messo alla testa di una indagine profonda dei fatti religiosi, e per tre generazioni con una lunga serie di studiosi, à esplorato, secondo le regole della scienza, tutto il campo religioso della civiltà umana.
Senza entrare in particolari discussioni, possiamo anche convenire con C. A. Ber-nouilli, su la benefica influenza esercitata da Lutero sia nella scienza biblica, che nelle indagini storiche, e non possiamo dire che nulla rimane di vivo per la teologia moderna di quanto fu espresso nelle novanta-cinque tesi, della cui pubblicazione si è celebrato l’anno scorso il IV centenario.
Nei rapporti tra politica e luteranesimo non lamenterei, con Bemouilli, che sia mancato a Lutero, come a Zuinglio e a Calvino, di trasportare la lotta rivoluzionaria dal dominio religioso a quello politico. La storia associa i grandi movimenti religiosi a quelli della politica, ma quest’ultima rimane sempre una condizione esteriore di sviluppo per i fatti religiosi. Nella prima-
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vera del 1522 Lutero diceva ai profeti di Zwickau, di non poterli più seguire; Calvino nel 1546 ripeteva una simile frase alla sètta fantastica e furiosa che si chiamava spirituale, procedendo essa verso una anarchia sociale con l’abolizione di ogni autorità; nè Zuingiio fu meno inesorabile verso i rivoluzionari, quantunque da vero democratico si pronunciasse decisamente contro ogni servaggio; perchè, egli diceva; siamo tutti figli di Dio e dobbiamo vivere fraternamente gli uni accanto agli altri.
Quale l'influenza dal luteranesimo esercitata sui rivolgimenti politici che l’anno seguito? Giovi qui rammentare un fatto poco noto. Il 15 germinale, anno X, l’istituto di Francia offriva un premio al miglior lavoro intorno alla « Influenza esercitata dalla Riforma Luterana su la situazione politica dei diversi Stati d’Europa e sul progresso dei lumi». Il premio fu accordato a Charles de Vilièrs, amico di Benjamin Constant e della signora de Staèl. Questo scritto fu una trionfale risposta al famoso Genio del Cristianesimo di Chateaubriand, ma non lasciò nessuna traccia in Francia, dove Napoleone introduceva il cattolicismo come religione di Stato. De Vilièrs, che era cattolico, tre va va allora una affinità tra lo spirito del cristianesimo riformato e quello che animava la rivoluzione francese. Oggi simile affinità riscontra C. A. Bernouilli, fra questi due fatti storici, quantunque egli ritenga che le idee assegnate all’umanità e alla rivoluzione francese siano perente, e che la nostra generazione debba creare una moderna ideologia per trovare il suo cammino.
Lo scisma ecclesiastico di Lutero e dei suoi adepti, è stato, in fondo, una lotta per l’unità dell'esistenza spirituale dell’Europa; e, contro il parere del più iraccndo nemico del cristianesimo, Nietzsche, che giudicava la Riforma avere rigettato l'umanità indietro di secoli, noi dobbiamo dire che essa à validamente contribuito a schiudere le vie verso il progresso della scienza e della libertà religiosa.
Lutero e la Germania. — Rimane a vedere se la Riforma luterana schiuse le vie a uno spirito nazionale o ad uno universale; ed è questo che si propone di chiarire Im-bart de la Tour nel suo studio: Pourquoi Lulhir n’a-t-il crée qu’un Christianisme allemanda Il luteranesimo, egli dice, si trasformò in un cristianesimo tedesco; la patria, la famiglia, l’educazione, gli
studi di Lutero lo conducevano ad operare anzitutto nell’interesse del suo paese. Ma bastava ciò, qualcuno si domanderà, per trasformare il luteranesimo in un cristianesimo tedesco? Certo la Riforma luterana voleva anche liberare la Germania dal sistema amministrativo e fiscale della curia che metteva nelle mani di prelati italiani tanta parte delle rendite del clero tedesco. Ma I.utero voleva anzitutto riformare la Chiesa senza uscirne, liberare la Germania da Roma senza separarla dalla grande famiglia cristiana e senza intenzione di fondare una chiesa nazionale. Imbart de la Tour sostiene che al particolarismo di Lutero, fa contrasto l’universalismo religioso di Calvino. Ma se osserviamo gli elementi costitutivi del cristianesimo luterano: l’agnosticismo intellettuale, il meccanicismo psicologico, il quietismo morale, il concetto di Stato che Lutero oppone a quello di Chiesa, come il regno del diritto e della forza in contrasto col regno dello spirito, e se anche osserviamo l’autorità che Lutero ascrive al Principe, come quella di difender l’ordine e la religione, non troviamo ancora alcun fondamento per una religione nazionale. Come giustamente avverte F. Palmer, in un saggio assai interessante sugli anabattisti, contenuto anche nel fascicolo speciale che qui esaminiamo, Lutero non fu dapprima- partigiano di una Chiesa di Stato; ma quando vide divampare l’incendio della guerra dei contadini, venne ne lla persuasione che non se ne poteva uscire senza ricorrere alla forza dello Stato; e fu solo allora che reputò necessario alla vita del movimento religioso ch’egli aveva organizzato, stabilirla per mezzo dello Stato.
Lutero fu certo un patriotta che à saputo affermare c difendere le esigenze spirituali del popolo tedesco. Egli à voluto anche difenderne gli interessi materiali separandosi da Roma, ed à compreso e seguito senza esitazioni ciò che a lui parve occorrere per il trionfo delle sue aspirazioni. Il popolo tedesco ne à fatto un eroe nazionale e come tale lo onora e lo commemora. Ma la istituzione di una Chiesa propriamente nazionale, o meglio di una Chiesa che divenisse strumento della potènza dello Stato, non si à prima della pubblicazione del decreto del 1817, che annunciava l’unione delle Chiese luterane riformate in una sola Chiesa evangelica, trasformando i rapporti tra Chiesa e Statò, facendo del re prussiano il Summus Epi-
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scopus della Chiesa evangelica. Fu allora che con la creazione d’un Ministero dei Culti, divenuto l’organo dell’autorità del Sotere politico su quello religioso, si tentò i fare della Chiesa uno strumento della potenza dello Stato.
Rivoluzione religiosa e morale compiuta da Lutero. — Non bisogna dimenticare che Lutero non fu un politicò, un umanista o un filosofo; egli, come dice giustamente F. Ehrhardt (Le sene de la revolution reli-gieuse et inorale accampile par Lulhèr) si è trovato riformatore religioso senza prevederlo e cercando la sua via a tentoni, preoccupato da esperienze personali di ordine specificamente religioso; onde le conseguenze dell’opera sua superarono le sue previsioni. Egli fu il primo che chiaramente riconobbe esser fondato il cattoli-cismo sopra un sistema dualistico: la magia sacramentale e il moralismo orientato verso l'idea di merito. In questo studio, che chiude la serie dei tre lavori pubblicati dalla Revue de Méthaphisiaue et de Morale su la Riforma tedesca, È. Ehrhardt avverte che Lutero non fu soltanto un riformatore ma anche un iniziatore del movimento di riforma religiosa del secolo xvi. Va a suo merito l’aver riconosciuto i difetti fondamentali del cattolicismo, l’aver B>sta la morale nel cuore pieno d’amor di io e del prossimo; l’aver dato il primo posto, fra ¡ doveri, a quelli professionali e della famiglia, e voluta libera la coscienza religiosa da ogni umana ‘autorità; l’aver fatto infine della religione l’ispirazione unica della vita, anzi, il puro principio di vita e di rinnovazione interiore. Che se oggi la sua opera subisce una difficile prova — scrive Ehrhardt, traendo conclusioni opposte a quelle di Imbart de la Tour — essa non è legata al destino del popolo tedesco, come quella di Cristo non fu legata al destino del popolo ebreo. Lutero non à mai favorito la confusione che oggi si fa tra nazionalismo e religione, e per lui nessuna fortuna sorpassa, od eguaglia, quella che l’anima possiede quando è unita a Dio, libera dal peso dei suoi peccati.
La Riforma in Francia e in Inghilterra. — In questo numero speciale, la Revue de M éthaphisique et de Morale ci offre intorno alla Riforma francese tre saggi: uno di carattere stoi ico, dovuto a N. Weiss sul famoso precursore francese della Riforma
luterana, Lefèvre d’Etaples e 1 suoi tempi; due di carattere teologico di cui uno su la predestinazione secondo Calvino, dovuto a H. Bois, l'altro su la tolleranza religiosa avanti e dopo Calvino in Francia dovuto a F. Buisson. La predestinazione, come si sa, non è un dogma esclusivamente calvinista, esso appartiene a tutta la Riforma, ad eccezione di Melandone. L’A. fa giustamente osservare la differenza che passa tra prescienza divina e predestinazione, di; mostrando che Calvino fu un supralapsario, fra coloro cioè che preordinano la predestinazione alla caduta, e non fra coloro che ia subordinano come gli infralapsari. Egli avverte che Calvino fu condotto alla predestinazione dal concètto che aveva di Dio, essendo in questo concetto la giustizia e l’amore subordinati alla potenza. Le più astruse speculazioni della teologia calvinista, in relazione col dogma della predestinazione, vengono qui maestrevolmente esaminate e discusse, e sempre più chiaramente risulta, dà questo lavoro di H. Bois. che le deviazioni della teologia calvinista sono appunto dovute alla concezione della infinità di Dio, intesa in modo da togliere all'uomo ogni iniziativa personale.
5 Eppure — sembra uno dei più grandi aradossi della storia — come avverte . Baisson nella nota addizionale su gli apostoli della tolleranza religiosa, che segue al lavoro di H. Bois, da quei gruppi, che sembrano a prima vista così intolleranti, dovevano uscire tutte le libertà religiose, politiche, sociali del mondo moderno. Da secoli le anime religióse rimanevano turbate dinanzi al mistero imperscrutabile della salvezza degli uni e della perdizione degli altri e non avevano trovata altra risposta fuor che quella che invitava all’omaggio della creatura inabissata nella adorazione di un decreto impenetrabile del Creatore.
Questa nota addizionale su la tolleranza che chiude la serie dei saggi su la Riforma francese, rileva giustamente che il carattere distintivo di essa non fu, in principio, avverso alle chiese e ai conventi, ma lo divenne poi. E fu allora che Sebastiano Ca-stillion ebbe motivo a pubblicare un trattato per rispondere alla domanda se si dovevano perseguitare gli eretici. La risposta che egli diede fu luminosa e suonò rivendicazione ardente della piena libertà di coscienza in materia religiosa. Agli argomenti di Calvino che esortava il re e i principi a difendere la vera religione — an-
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che Calvino come Lutero si appellava alla Sotenza dello Stato — Castilhon rispon-eva: « uccidere un uomo non è difendere una dottrina, ma uccidere un uomo ». Più tardi, in un libro di consigli alla Francia desolata, lo stesso autore esortava la sua patria a permettere a ciascuno di credere e servire Dio secondo la propria fede e non secondo quella di altri. Al tempo di Calvino la questione della tolleranza viene dopo molti secoli posta di nuovo e riesaminata, finché Fausto Socino ed Arminio riprendono le idee di Castillion e vengono seguiti da Coornert, Elia Saurin, Locke, Bayle. Si era alla fine trovata la frase che doveva annientare tutti i sofismi da secoli ripetuti, frase che là Rivoluzione farà sua: i diritti delia coscienza.
Della Riforma in Inghilterra trattano in questo fascicolo solo due autori, e meno diffusamente di quanto altri ànno trattato della Riforma in Germania cd in Francia. E. W. Watson dà un rapido sguar-* do sui fatti più importanti dalle origini della Riforma inglese ai nostri giorni e conclude che mentre i non conformisti aspirano all’unità, un nuovo orientamento mostra la Chiesa anglicana, un orientamento verso un cristianesimo nazionale forte ed unito, dove nessuno sarà costretto a ripudiare il passato, e dove tutti i credenti saranno d’accordo sul punto che nessun principio d’associazione dev’essere accettato come articolo di fede.
. P. Fargues si occupa invece delle correnti calviniste. La parte più interessante di questo lavoro è l’esame che l’A. fa del progresso della critica biblica in Inghilterra, introdotta dapprima per mezzo delle traduzioni di opere tedesche, e progredita Sai con una certa indipendenza per opera
i gran numero di teologi inglesi. Nell'insieme, come si vede, questi due lavori su la Rifórma in Inghilterra» prendono sopratutto in esame il movimento religioso dei nostri tempi.
Le origini protestanti della democrazia a il mondo moderno. — Ciò che desta maggior interesse, a una più larga cerchia di studiosi e di lettori, è certo il rapporto che passa tra protestantesimo e mondo moderno per apprezzare la vitalità del cristianesimo riformato nelle nuove condizioni di vita economica e sociale, nei nuòvi ideal: civili, che la Società si propone di realizzare. Si comprende bene dùnque, perchè il maggior numero degli scritti contenuti nel fasci
colo della Revue de Mithaphisique et de Morate è stato dedicato allo studio dei rapporti che passano tra protestantesimo e democrazia — rapporti causali e d’incremento reciproco — allo studio del carattere della Riforma luterana e della Riforma calvinista —- per aiutarci a conoscere quello delle nazioni in guerra — allo studio degli aspetti religiosi della guerra a quello dello spirito del luteranesimo.
Lo spazio ci vieta di esaminare dettagliatamente questi lavori, pur tanto importanti. Dirò in breve che in questo fascicolo commemorativo del IV Centenario della Riforma si tenta un riesame storico e filosofico del protestantesimo, principalmente dei suoi aspetti più generali, per vedere ciò che esso fu nella sua origine, ciò che è nella sua essenza, quali sono le tendenze diverse ed a volte contrarie, qual parte ànno preso nella sua formazione le diverse nazionalità; come esso à reagito sotto lo sviluppò di queste nazionalità, per quali tratti il protestantesimo si oppone al cattolicismo, se rimangono possibili conciliazioni c alleanze, quale è stata prima della Rinascenza e della Rivoluzione francese la missione storica della Riforma, e come essa à contribuito, con tanti altri elementi, alla formazione della coscienza moderna. Anche se a poche soltanto di queste domande si è data oggi una risposta che. appaghi le nostre esigenze, il porle e il discuterle è già un valido contributo allo studio della Riforma.
Devo aggiungere che se dell'esame delle due Riforme, la luterana e la calvinista, si è abusato durante la guerra, da alcuni per giungere alla svalutazione del luteranesimo, da altri per svalutare il carattere del protestantesimo in generale, pure da tutte le indàgini contenute nel fascicolo qui esaminato (indagini dovute a cattolici, a protestanti, a liberi credenti) risulta che il prussianismo non esaurisce la Riforma luterana e che se dal luteranesimo deriva l’oscuro misticismo di un’aristocrazia guerriera, della quale il Kaiser Guglielmo II era il maggiore rappresentante, la medesima Riforma, che nelle diverse nazionalità assume aspetti diversi, è stata una delle potenti scaturigini da cui la moderna democrazia à attinto i suoi dogmi Solitici, la sua fede nella libertà degli indivi-ui, dei popoli, e nella giustizia universale.
Un nuovo manuale di storia del cristianesimo. — Un nuovo manuale di storia
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<ìcl cristianesimo scritto con intenti scientifici, con accurata conoscenza dell'argomento vastissimo, e che può riuscire assai utile non solo agli studenti ma anche alle persone colte che vogliono-avere sotto manò un prontuario per date e notizie, è The Cotirse of Christian History (New-York, The Macmillan Co., 1918, un voi. di pp. 323) di W. J. Me Glothlin. Il volume finisce con un questionario riferentesi agli argomenti già trattati con suggerimenti per un ulteriore sviluppo dei problemi di storia ecclesiastica, qui brevemente accennati, e con la proposta di nuovi problemi.
L’A. ritiene, e non possiamo disconvenirne, che il mondo non fu mai così profondamente interessato agli studi religiosi come lo è presentemente, e che mai, come ora, è stata riconosciuta l'importanza dei problemi religiosi, anche, quando ciò avvenga solo da un punto di vista pratico chiuso nei confini della vita umana. E ciò perchè si è constatato che il cristianesimo a accresciuta la sua potenza nel móndo, determinando credenze ideali e speranze negli individui e nelle nazioni: che esso sta al centro della vita civile e morale, che è la leva più potente di progresso e di benessere sociale. Ed è perciò deplorevole, anche da tal punto di vista pratico, che la storia del cristianesimo, indissolubilmente legata alla storia della nostra civiltà, sia poco studiata, e, in Italia ancor meno che altrove. E il peggio si è che spesso la storia del cristianesimo la si studia, da un punto di vista che ne falsa la natura, mettendo in rilievo le sue fasi oscure, i suoi aspetti politici e polemici; trascurando, ciò che invece più importa mettere in evidenza, che il cristianesimo rimane puro e saldo anche in mezzo alle debolezze ed incertezze dell'ambiente in cui vive. Ogni persona colta dovrebbe in qualche modo interessarsi della sua storia e domandare la ragione delle sue origini e della sua funzione nella vita moderna per conoscere la potenza operativa del cristianesimo e gli effetti che l’applicazióne di questa potenza produce negli individui e nelle nazioni. il cristianesimo, esclusa ogni ingerenza di politica e di governo, penetra sempre più nella vita sociale e morale del popolo da dove le grandi caratteristiche nazionali e i motivi prendono origine, e Ìuindi la sua storia deve divenire oggetto i studio più intenso e di alto interesse.
W. J. Me Glothlin ritiene che pochi paesi soffrano, come l’Italia, di decadenza
spirituale e di indifferentismo religioso ed ascrive ciò all'azione deleteria della Chiesa cattolica. Egli à ragione di lamentare che 3uella Chiesa à mancato di mostrare,quanto cristianesimo può fare per il benessere umano. Ma l’A. non doveva trascurare altre cause che ànno determinato nel popolo e in certi ambienti universitari, il disconoscimento del valore del cristianesimo e in generale di ogni religióne. Lo studio della storia del cristianesimo, studio integrale e obiettivo, può servire in questo caso forse meglio di qualsiasi lavoro apologetico, e il volume di W. J. Me Glothlin è, per questo riguardo, particolarmente pregevole, mostrando nel corso dello sviluppo del cristianesimo l'influenza da esso esercitata su la vita sociale e morale.
Questo volume vuol contribuire a po-polarizzare la Storia del cristianesimo come sorgente d’ispirazione religiosa e culturale, e vi è riuscito, anche se qui e là si può avvertire qualche inesattezza (p. es. a pagina 100 si dice che Firenze è la-capitale dell’Umbria). E anche se, in qualche parte è deficiente (p. es. del movimento contemporanco religioso in Italia. l’A. si mostra ignaro) e anche se una notevole sproporzione vi è nella trattazione storica delle varie Chiese.
Le dottrine esoteriche. — La scoperta di antiche società segrete e delle loro occulte dottrine e la comparazione che si è fatta tra Sste, à condotto parecchi a concludere antichissime dottrine venissero adombrate da popolari .forme religiose, e quindi che tutte le religioni avessero una storia, diremo così, esteriore, e una interiore; una apparente e popolare, l’altra nascosta e solo nota a pochi iniziati. Parecchi studiosi da alcuni decenni si sono messi alacremente alla ricerca di questa nascosa storia delle religioni. Due pubblicazioni, una di Ed. Schuré, Sancluaires D'Orient, e un'altra di Rud. Steiner che Schuré à tradotto in francese. Le My stire Chrelien et les Mystires antiques, ànno dato occasione a Daniel Jackson di ritornare recentemente su questo argomento (Notions élémentaires sur les religione ‘anciennes et actuelles au-tres que le Christianisme. Paris, Fischbacher, 1919). Alcuni mistici e teosofi moderni, sono venuti alla conclusione che la storia interna delle religioni Sia costituita da una antichissima tradizione esoterica, da una dottrina dei misteri; la religione sotto varie forme storiche, accessibili ài popolo, non
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consisterebbe che in un’unica fede, tramandata da tempi remotissimi per via di tradizioni, di iniziati e di libri cabalistici. La storia delle dottrine esoteriche non sarebbe altro, dunque, che la storia della religione eterna e universale, quella del-l’ambito più riposto della coscienza umana, la storia della sapienza antica che è il Sunto generatore della religione e della losofia, e nello stesso tempo il punto che l’una e l’altra qongiunge, la scienza integrale, che implica la causa, l’origine e il fine del lavoro prodigioso dei secoli, la provvidènza e i suoi agenti terreni.
zi quei lettori però che volessero sapere più precisamente in che consista questa antica sapienza, non sarebbe facile rispondere, perchè diverse sono le esposizioni che S'? ne dànro. I principi essenziali della dottrina esoterica, secondo Schuré, sono i seguenti:
i® 1 .o spirito è una sola realtà; la materia non è che la sua espressione inferiore, mutevole, efímera, il suo dinamismo nello spazio e nel tempo.
2° La creazione , è eterna e continua come la vita.
3° Il microcosmo uomo è, pei sua costituzione, di triplice natura: spirito, anima e corpo. L’uomo è l’imagine e lo specchio del macrocosmo universo, anch'esso di triplice natura: mondo divino, umano e naturale. 1 'universo stesso è l’organo del Dio incitabile, dello spirito assoluto che è anche di triplice natura: padre, madre e figlio, essenza, sostanza ** vita.
4° L’uomo, imagine di Dio, può divenire il suo verbo vivente. La gnosi, o la mistica razionale di tutti i tempi, è l’arte di trovar Dio in sè, sviluppando le occulte profondità, le facoltà latenti della propria coscienza.
5° L'anima umana, l’individualità, è immortale per essenza. Il suo sviluppo à luogo secondo un piano ora ascendente e ora discendente, e per mezzo di esistenze alternativamente, spirituali e temporali.
6« La reincarnazione è la legge della sua evoluzione. Pervenuta alla perfezione essa vi sfugge e ritorna allo spirito puro, a Dio, nella pienezza della sua coscienza. E come l’anima si eleva al di sopra della legge della lotta per la vita, quando acquista coscienza della sua umanità, cosi essa si eleva al di sopra della legge della reincarnazione quando prende coscienza della sua divinità.
L'applicazione dell'esoterismo compa
rato alla storia delle religioni dovrebbe, secondo Schuré e. Steiner, portare a concludere che questa sia una dottrina unica e antichissima, riscontrantesi ininterrottamente nell’india, nell’Egitto, nella Caldea, in Asia, in Grecia. Pitagora avrebbe formulato scientificamente questa dottrina, Platone e gli Alessandrini ne sarebbero stati i volgarizzatori. Rama mostrerebbe l’esterno del tempio; Krischna e Hermes ne darebbero la chiave; Mos-ì, Orfeo, Pitagora. ne mostrerebbero l’i .tèrno; Gesù Cristo ne sarebbe il santuari.,...
Daniel Jackson nelle sue Notions élé-tneniaires sur Ics religons anciennes et actuelles autres que le Christianisme, avverte che Mosè, e sopratutto Gesù, non posson esser assimilati a Rama; e volendo egli evitare ogni questione di psicologia e di metafisica, si limita a esporre brevemente i dogmi e i caratteri essenziali delie religioni dei popoli civili, antichi e moderni, eccettuando i cristiani, per mostrare che in queste religioni, se vi‘sono idee confuse di Dio, e spesso erronee, non mancano tuttavia delle bellezze che si trovano nell’insegnamento di Gesù e dei suoi apostoli. I ’A. si rifiuta di accettare le conclusioni di Schuré (che ritiene i fondatori delle religioni quali grandi iniziati, attingenti tutti alle medesime dottrine segrete), e pensa, con Abelardo, trattarsi qui di uomini privilegiati (illuminati dallo Spirito Santo, diceva Abelardo) che ànno avuto l’intuizione di Dio, della creazione, del peccato, della redenzione, della resurrezione.
Polemiche francescane. — Gli studiosi della letteratura francescana ànno dovuto lamentare la perdita di uno dei più valenti suoi cultori, il Padre Francesco Van Ortroy, avvenuta a Bruxelles il 20 settembre 1917. Questo valente agiografo era venuto nella persuasione che l’opera del minorità Fra Tommaso da Celano, scritta tra il 1218 e il 1230. dovesse avere un’assoluta autorità, e che conscguentemente si dovesse respingere tutto quanto non faceva parte, nella vita del poverello d’Assisi, della tradizione celaniana. Quando fra i nostri studiosi di cose francescane Giulio Salvadori, or son più di venti anni, tentò uno schizzo biografico di Francesco ¿'Assisi, fondandosi specialmente su gli scritti di Fra Leone, il Padre Van Ortroy ne prese occasione per affermare (ciò che doveva in seguito servirgli come norma per i suoi su cess:vi stuoli francescani) che
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»tutta la letteratura del secolo xiv, in quanto si allontana dalle più antiche vite del santo, è una pozza inquinata ed infida ».
Un contrario atteggiamento à assunto, rispetto alia tradizione leoniana, un altro dei più valenti studiosi di cose fracescane, P. Sabatier. La sua vita di S. Francesco è ben nota e stimata in Italia (Cfr. Pesante che delle critiche mosse in Italia a quest’opera fece B. Labanca nel Pensiero Italiano, Milano, 1896, fase. 70 e 71). I lettori degli Opuscules de critique historique e dei Documents sur V Histoire religieuse et littéraire du Moyen-âge avevano ragione di domandarsi il perchè di un così lungo silenzio conservato da P. Sabatier dopo la perentoria condanna in blocco che van Ortroy aveva fatto della tradizione leonina. Questo storico aveva anche denunciato la falsità di alcuni frammenti da Sabatier segnalati come resti della Legenda Velus. Van Ortroy li riteneva conseguentemente non più come datanti dal 1246, ma come estratti d’un’opeja ancora inedita di Angelo Clareno.
Ora P. Sabatier, che aveva invano atteso una ulteriore pubblicazione già promessagli da Van Ortroy, si decide a pubblicare un opuscolo (Conclusion au Tome 1I {ui peut servire de préface au Tome. III.
’aris Fischbacher 1914-19) che composto sin dal 1914 non poteva uscire, per la chiusura della tipografia, prima del Marzo 1919. In questo opuscolo, quasi tutto dedicato alla polemica con Van Ortroy, egli dimostra che lungi dall’indeboìire la sua tesi, le critiche del suo contraddittore la rendono più salda, e ciò in seguito ad un-accurato esame che lo storico francese à fatto in Roma del documento scoperto da Van Ortroy. Le nuove critiche che questo dotto bollandista aveva fatte contro la leggenda dei Tre Compagni, non sembrano decisive e l’altra accusa contro la tradizione leonina, a proposito di una citazione del testamento di S. Francesco, non è più consistente.
Pur lasciando impregiudicata la questione storica, sembra realmente che il Padre Van Ortroy, volendo opporsi ad ogni costo contro la tradizione leonina, non sia andato tanto per il sottile nel porre argomenti talvolta in verosimili, come quelli della ingiustificata impostura, del silenzio. In verità poche vite di santi offrono documenti così sicuri come quelli che riguardano il poverello d’Assisi; e poi, autentica o no. come giustamente dice P. Sabatier,
la tradizione leonina esiste, pssa à creato l’imagine incomparabilmente viva di San Francesco e si è imposta tanto alla imagi-nazione popolare, quanto alla ispirazione degli artisti, ed agli storici. Il secolo xiv à avuto meno falsari di quel che credeva Van Ortroy, meno cospiratori capaci di fare delle loro menzogne un insieme coerente, <* di quest’insieme un’apparizione storica d’incomparabile bellezza e realtà.
Gli studiosi della letteratura francescana saranno molto grati a- P. Sabatier per le numerose e interessanti pubblicazioni che egli annuncia: x® un’edizione critica dello Speculum Perfectionis; 2® uno studio critico di questo documento; 3® un testo deila leggenda tradizionale dei Tre Compagni: 4® un volume su la Legenda Vetus; 5® un indice alfabetico generale; 6® uno studio critico delle fonti della vita di S. Francesco, e 7® finalmente una vita di S. Francesco completamente rifusa e accresciuta.
Psicologia della volontà. — Rivolgere l’attenzione alla conoscenza del mondo interiore, allo spirito umano è principalmente giovevole agli studi religiosi. E ciò non solo perchè questi non illuminati da conoscenze filosofiche rappresentano ciò che Kant diceva un sapere ciclopico, ma anche e sopratutto perchè la vita religiosa è essenzialmente vita interiore e dove le relazioni affettive, che includono il volere, ànno un ufficio predominante.
In una recente pubblicazione il prof. Rinaldo Nazzari (Psicologia della Volontà. G. B. Paravia & C. Torino 1919) dopo aver esaminate varie dottrine della volontà proposte dai filosofi, da Socrate ai nostri giorni, tenta, su le traccio di Wundt, di analizzare il volere dividendolo in semplice e composto, e, dopo aver criticato l’esperienza interna della libertà, conclude facendo rilevare l’importanza dei risultati ottenuti dà una interpretazione filosofica del problema della volontà. La filosofia, come osserva L’A., non nega il valore della volontà umana, lo afferma anzi innalzandolo al vertice della spiritualità, adeguandolo all’essenza della personalità, di cui esprime, per così dire, l'estrinsecazione in atto, la realtà sotto il velo della contingenza empirica. Ma non molti consentiranno con l’A. nel dire che in questo senso soltanto appare comprensibile e contesta di profonde verità l’affermazione di Secretan: io sono ciò che voglio.
L’anàlisi della volontà conduce, secondo
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noi, a riconoscere ir, ogni relazione affettiva un volere o un non volere. Ma FA., più che dell’analisi del fatto psichico in sè, si mostra preoccupato di determinare il rapporto tra volere ed agire; e a questo proposito non si può certo disconvenire che la buona intenzione venga talvolta sopraffatta da altri motivi, abitudini, sentimenti dominanti ece. quantunque questo non dice che l’azione non sia determinata da un certo volere che poteva anché non esser quello che si nasconde, sotto la buona intenzione (pag. 55 e segg). Nell'analisi dei rapporti tra volére e agire, ciò- che più importa è mettere in chiaro se vi è un agire cosciente che non sia fondato su qualche rappresentazione di ciò che si ama raggiungere o fuggire, amare od odiare. Ed a questa domanda si deve rispondere negativamente.
Ciò avrebbe potuto FA. chiaramente vedere in un volumetto di Franz Brentano su la classificazione delle attività psichiche da lui citato. Sia detto qui incidentalmente che F. Brentano non à, come invece ritiene •FA.» recentemente ripreso e compendiato in un volumetto (Classificazione delle attività-psichiche, Carabba, Lanciano. 1913) gli argomenti da lui già da lungo tempo svolti in varii scritti, ben noti ai cultori della psicologia; ma, come è detto nella prefazione, quel volumetto contiene tradotti in italiano alcuni capitoli dèi i° volume della Sua Psychologie votn empirischen Standpùnkte, e precisa-mente quei capitoli che trattano per esteso della classificazione delle attività psichiche. E di più, anziché compendiare ciò che in altre pubblicazioni Brentano aveva trattato, in questa traduzione italiana è contenuta Un’Appendice che appare per la prima volta alla luce. F. Brentano considera come irriducibile la rappresentazione al giudizio cd entrambi alla volontà; riconosce cioè come diverse attività fondamentali della vita psichica Fattività rappresentativa, quella giudicativa e quella affettiva o volitiva, mà non nega il fattore conoscitivo al volere chè, anzi, lo pone, nella presentazione, come necessario fondamento di ogni volere. È per questo, e per il rapporto tra volere ed agire sembra, a chi scrive queste righe, che non sia stato ancora confutato ciò che Brentano à scritto nella sua classificazióne e nel para
grafo Vili dell’Appendice aggiunta al volumetto sopra rammentato.
Il male nell’immanenza e nella trascendenza.— In uno ilei problemi fondamentali che ì sistemi religiosi affrontano e risolvono, quello del male, s'incardina la psicologia della volontà .volontà divina ed umana che ogni teistica concezione deve méttere in rapporto con la realtà del male. I dialoghi filosofici di G. Parazzoli {Il male nell’immanenza e nella trascendenza. Macerata, A. Bisson Ed. 1919) presentano, oltreché per varie questioni ivi trattate, anche un interesse particolare per le circostanze in cui furono scritti. Alcuni giovani ufficiali, nei momenti di angosciosa attesa durante la guerra, nella solitudine dei loro posti di osservazione, interrogano il mistero dell’universo e vogliono rendersi conto dei più gravi problemi che turbano le coscienze di fronte al sacrifìcio supremo al quale il loro dovere li chiama. I cari compagni che prendon parte ai dialoghi, in questo libro trascritti, venivano man mano a mancare, colpiti da piómbo nemico; ma non veniva a mancare nei superstiti la luce fidente nella conservazione dei valori e nella realizzazione di una giustizia suprema. Quelle verità che balenarono allora nella mente di quei giovani, al cospetto della morte, acquistano, per questo solo fatto, una particolare importanza per la psicologia religiosa.
La conclusione alla quale pervengono i due supèrstiti, che in sei vigilie avevano trovato conforto interrogando i più alti problemi dello spirito, sono le seguenti : il male attuale trova la sua compensazione con la permanenza dei valori in' una sfera trascendente, ove non può non regnare sovrana giustizia. Solo fidando in essa, è fossibile attuare una morale fondata su amore, solo questa fede permette di cambiare in valore, con la serena sopportazione del male, ogni sofferenza per la malvagità altrui e per cattiva fortuna.
L’atteggiamento più ragionevole e più ricco di consolazioni, suggerito in questi dialoghi, coincide in gran parte con quello del cristianesimo, e la soluzione riguardante gli ultimi destini della vita appare perciò esser raggiunta non dal solo pensiero astratto e dal solo valore pratico, ma dalla vivente e illuminata condotta dei giusti.
Mario Puglisi
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RELIGIONI DEL MONDO CLASSICO
IX^
1. Nelle Milanges d’Arch. et d'Art (27,33) Fr. Cumont dà alcune interessanti notizie su alcuni astrologi romani e bizantini : Bellino probabilmente siro d’origine, vissuto nel 1 sec. d. Cr. e della cui attività si ànno notizie sotto Nerone e Vespasiano e un sunto dell’opera da lui scritta in greco; Antioco vissuto intorno al 200 d. Cr., la cui opera in 7 libri fu usata da un Rhetorino in modo però da non potere stabilire le parti che dovrebbero essergli riconosciute. Questo Rhetorino poi sarebbe un astrologo del 500 dell’E. V. che avrebbe utilizzato in parte l’opera del suo predecessore. Il sub lavoro dopo che l’astrologia risorse sarebbe stato largamente adoperato e cosi si sarebbe salvato.
2. Il nostro chiaro collaboratore, on. Alessandro Chiappali, ritorna nell’ultimo fascicolo di Atene e Roma sulla sua tesi della riproduzione negli Atti degli Apostoli delle vicende meravigliose dell’Eneide con l’intento di mettere in evidenza che all’eroe dei primi come a quello del secondo furono amici i fati per renderne feconda l’opera. Io mi permetto ancora di dissentire dall’illustre uomo. Cionondimeno credo che non sarebbe male riesaminare la questióne proposta con spirito antitetico a quello del Ch. ed esorto qualcuno a cimentarvisi.
3. Di un nuovo documento attestante la diffusione del culto della madre degli dei Clbele, in Egitto, e precisamente a Canopo, rende conto E. Breccia nel Bull, de la Soc. Arch. d’Alex. (1919, 17), accertandone l’introduzione fin dalla metà del 11 sec. a. Cr. evidentemente attratta dal luogo in cui altre divinità, come Serapide, facevano i loro miracoli, tanto più che è certo che a Canopo era pur venerato Attis di cui è nota la comunione col culto della madre degli dei.
4. Nella Riv. archeol. di Conio (fase. 76-78, pag. 47) Giovanni Basbrga dà alcune interessanti notizie riassuntive sai culto mitrlaco in Angera, dal qual luogo venne alla luce la
nota iscrizione del tempo di Diocleziano relativa alla ricostruzione di un tempio al Sole, oltre ad altri monumenti attestanti un vero culto di Mitra, primo tra essi il noto antro di cui trattarono il Cumont ed il Patroni. La relazione sintetica del B. può perciò servire ad orientare sul problema del culto del Sole e di Mitra in Angera. [Per me naturalmente non vi è dubbio che il culto solare autoctono passò per il culto del Sole aurelianeo e per quello di Mitra, successivamente col noto fenomeno di sovrapposizione dei culti affini].
5. In Religio (I, 2) P. Vannucci a proposito del significato primitivo dei Lari cerca di provare, con l'aiuto della tavola arvalica scoperta nel 1914 sotto il pavimento dell’antica basilica di S. Grisogono in Trastevere, la tesi del carattere funerario di tali divinità nella loro forma primitiva. Discutendo la contrària tesi del Wissowa, e appoggiandosi sui lavori del De Marchi e del De Sanctis, il V. confronta la cerimonia che gli Arvali compivano in onore della water Lanini con quella della Lemurie e nell’analogia dei due riti uova l’analogia tra i concetti che guidavano i due gesti rituali. [Veramente nel primo si scaglian per clivum la cena alla water Lanim e nel secondo si gettan dietro le spalle le fave che le ombre dei morti raccolgono, il che non dimostra affatto in ambedue i culti un’identità di cerimonia che significhi una redempHo o propiziazione che dir si voglia]. Successivamente per le note affinità tra divinità mortuarie e telluriche i Lari divengono divinità agresti. [Il che è perfettamente possibile, sebbene la tesi de! significato funerario primitivo dei Lari manchi ancora, bisogna confessarlo, della prova palmare].
6. A proposito di un Oslris-Apls in abito militare romano E. Breccia nel Bull, de la Soc. Archi. d‘Alex. (1919. n. 17) a complemento delle ricerche von Bissing e Par ¡beni osserva che molto probabilmente si tratta di un fenomeno religioso di carattere generale per cui ai fedeli di una data divinità non romana sembrava ben fatto rappresentarle nel
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costume in cui appariva la divinità reale che reggeva il mondo, l’imperatore; e forse può pensarsi ad un fatto più esteso comprendendovi cioè divinità di ogni paese e ritenendole abbigliate, del costume che avevano tutti i re di altre regioni che avevano culto divino.
7. Nella Biblica! Review E. G. Sihler studia i rapporti tra neoplatonismo e Cristianesimo ne’ principali filosofi a cominciare da Celso, i cui principi platonici egli segue attraverso l’opera, quale ci rimane dall’Anti-celso di Origene, mettendone in luce gli elementi fondamentali e dimostrandone la forma anticristiana e il giudizio erroneo, per concludere che se tale doveva essere l’attitudine verso i Cristiani di un uomo colto e per giunta filosofo platonico, ben spiegabile doveva essere quella delle masse. Segue poi l’esame del neoplatonismo in Plotino, Porfirio — della cui filosofia è messa in luce la concezione fondamentalmente pitagorica —e in fine Giambi ico, che è già disceso terra terra e si trova perciò ad una notevole distanza di pensiero e di principi dai suoi maestri. In complesso la chiara nota dello Sihler porta un buon contributo agli studi delle relazioni tra neoplatonismo e cristianesimo, facendoci conoscere quale influsso fu esercitato dal primo non con la concezione generale del pensiero cosi informato, ma dal concetto individuale di scrittori che col cristianesimo ebbero contatti spirituali e materiali.
8. Emory B. Lease nella Classica! Philo-logy del gennaio 1919 (14, 56) si occupa del numero tre, misterioso, mitico, magico, .raccogliendo un notevole numero di dati ed elementi e concludendo che l’uso generale che del numero 3 si fa presso tutti i popoli è dovuto a tre-cause principali': una, le concezioni primitive, l’altra, le speculazioni filosofiche di Pitagora, Aristotele e dei loro seguaci e la terza, in sfere differenti di più largo sviluppo, alla concezione della santa trinità. Il mondo moderno è infatti un prodotto del passato, onde non possiamo concludere meglio che con le parole del Woelfflin : « Se nói diciamo oggi “ tutte le cose buone son tre ” ci mettiamo in rapporto così col paganesimo come col cristianesimo».
9. E. Calleó ari nella Rassegna nazionale del i° ottobre 19x9 ponendo a confronto i dati della tradizione storica su Severo Alessandro (non Alessandro Severo com’egli lo chiama), sopratutto per. quel che riguarda l’atteggiamento di questo imperatore verso i Cristiani, con i dati della tradizione agiografica che gli sono completamente sfavorevoli, osserva come questa tradizione in parte debba
esser effetto d’un confusionismo di singolari fatti ed episodi, in-parte debba esser dovuta alla tardiva opera in cui furono redatti i vari asta. I redattori dei quali avrebbero con la facile tendenza degli entusiasti per la propria causa dimenticata se non ignorata addirittura la tradizione storica su Severo Alessandro, la'' quale a buon diritto deve essergli giudicata' favorevole.
Giovanni Costa.
E. Buonaiuti, San Girolamo. A. F. Formig-gini, Roma, 1919 (n. 49 dei Profili). L. 1.50.
La collezione dei profili del Formiggini continua con il consueto successo e cori la iniziale fortuna la sua serie, ormai giunta alla cinquantina di volumi. Questo che ci giunge ora. del Buonaiuti, è veramente degno degli altri per la sua snellézza e per l’interesse che desta. Indubbiamente vi sarebbe molto da Osservare se si- volesse entrare nel «fondo» della figura di quel grande pensatore e propagandista che fu Girolamo : forse non tutti ne ricaverebbero il profilo che ne à ricavato il B. Cionondimeno, poiché egli ci avverte che à creduto bene far risaltare il profilo del grande uomo dall'epistolario suo per la massima parte e dalle sue opere polemiche, accettando una tal tesi nel suo senso subiettivo profondo — che è del resto l’unico che in un’esposizione storica di carattere divulgativo debba prevalere — non possiamo non ammirarne là bellezza e la sicurezza dell’impostazione. In qualche particolare di lotte teologiche o in qualche accenno di momenti storici molto speciali, forse, il B. avrebbe potuto esser meno avaro di lumi. La figura del Santo, del lottatore, del pensatore appare forse perciò un po’ troppo evanescente nel buio di uno sfondo che non si delinea abbastanza, onde qualche lettore meno colto può chiedere una luce più diffusa o, se è presuntuoso, falsare i contorni delle figure.
Ma questi sono difetti minimi : la vivacità delio schizzo vi sopperisce ed il santo appare vivo con le sue idee e le sue lotte, con il suo ardore ed il suo sentimento di dalmata impetuoso e combattivo. Non è poi necessario che un profilo metta sempre tutta in piena luce una figura: quando essa non può apparirvi
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intera per la sua grandezza e la sua complessità ci basta vederne anche a grandissimi tratti il disegno luminoso e incisivo. E non possiamo negare che con siffatte forme ci appaia S. Girolamo nel profilo del B.
Giovanni Costa.
Antonietta Giacomelli. Vigilie. Firenze, Bemporad, 1919.
Pubblicare queste Vigilie, diario di una infermiera di guerra, è stata un’opera buona e bella.
E’ vero che di simili pubblicazioni ce ne sono oggi per il mondo più di millanta, ma è pur vero che di Antoniette Giacomelli ce n’è, se non sbaglio, una sola, in carne ed ossa, e ce ne son poche, diverse di nome, ma della stessa finezza, penetrazione e delicatezza di sentire e di pensare, e della stessa sincerità. Di Antonietta Giacomelli, non si può dire, come di tanti altri scrittori e scrittrici, a un certo punto della loro operosità e a proposito di una loro più sincera pubblicazione : ecco un libro vissuto,— maniera d’esprimersi diventata d’uso, e che vuol dire: libro in cui tutta l’anima, tutta la vita dello scrittore o della scrittrice, si sente pulsare; meglio, libro che rappresenta - un periodo palpitante della vita dello scrittore, o della scrittrice — no, non si può dir cosi. Io ho letto lutti i libri pubblicati dalla Giacomelli; ebbene, affermo con piena cognizione di causa, esser tutti libri vissuti. Si direbbe che la Giacomelli ha fatto in essi carne un suo verbo interiore, ha reso opera scritta una parte della sua vita. La qual vita, passando nell‘opera, non ha mai perduto nulla della sua intensità ; cosicché tutta cotesta opera è pulsante di vita, e così interamente e possentemente, da indurre chi la percorra a vivere con lo stesso ritmo dell’autrice.
Della Giacomelli si può ripetere: non conobbe mai letteratura — nescivii litletaturam.
E’ la massima lode che si può tributare. Si, perchè equivale a quest’altra: non ha mai scritto cosa che poteva non scrivere; non ha mai scritto per scrivere.,
Se i casi della Giacomelli l’avessero messa in istato da aver dei figliuoli, non li avrebbe
concepiti e generati còsi necessariamente; come . ha concepito e generato le opere scritte da lei.
Ricordo che io — con altri — mi lasciai scappare, al pubblicarsi di «A raccolta», uno sproposito: basta con questa forma (che era simile a quella di « Lungo la via » e « Sulla breccia'»)-, sproposito, perchè era cóme dire a una madre: basta con. figliuoli di questo stampo, quasi che ciò fosse lecito nell’órdine della natura generante.
Vigilie è — se si può dire — più che mai quello che sono tutti i libri della Giacomelli. In esso impressioni di luoghi e di cose, giudizi di lode e di biasimo, previsioni, entusiasmi, sconforti, rimpianti, terrori, dolori, pianti, gioie, gridi, son li nelle pagine perchè furono nella realtà, e fermati nella parola come momento per momento furono nella realtà.
Avete voglia a dissentire di teoria e di principi dall’autrice! essa vi trascina con sè, e voi dolorate, rabbrividite, gioite, vi sconfortate, sperate, credete, pensate con lei : vi sorprendete a entusiasmarvi con lei, e con le lagrime agli occhi che ebbe lei nel momento do! fatto,, divenuto all’ istante medesimo parola. Vivete della trepida vigilia della guerra, della rotta, della vittoria, nell’ambiente degli ospedali di campo e di qua e di là per l’Italia, negli anni tragici delle sue ultime battaglie, con l’autrice, .come - non essa volle sentir tutto questo — ma eome lo sentì, ripeto, momento per momento.
E perchè la Giacomelli, è sangue d’eroi veri d’Italia, e cioè di parenti che senza secondi fini, superiori a tutta la politica d’opportunismo e di malvagità, ignari anzi, per purezza di sentimenti, di tutte le putrescenti ripiegature di questa politica e di tutte le mene oscene dei piccoli e grossi egoisti, di tutte le loro bugie, istrionerie, bassezze, cortigianerie, piacenterie. piccinerie, molli condiscendenze, larvate viltà officiali, sacrificarono tutto, ricchezze, agi, onoranze, sicurezza personale, le cose più caramente dilette, a un ideale di patria purissimo e altissimo, perchè, dicevo, la Giacomelli è sangue di questa gente, non seppe, non vide, nella guerra altro che là-santa gesta d’Italia per la libertà e per l’umanità ; e perchè la Giacomelli non seppe e non vide altro che questo, essa può; scrivendo, investirvi del suo sentimento e farvi dimenticare tutto lo scetticismo, che in voi ha insinuato e iniettato la triste e trista realtà delle cose di prima, di durante, di dopo la guerra.
Benedetto dunque il suo libro nuovo: «Vigilie! ».
Perchè, smentito in tante parti ottimistiche, anzi in quel confidente ottimismo che tutto.
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lo pervade come linfa da capo a piede, vi confonde o vi altera l’apprensione di quella tal triste e trista realtà delle cose? No, ma perchè vi costringe ad essere anche voi nelle disposizioni di spirito di quei sinceri, schietti, puri Italiani d’Italia, che soli c’impediscono di ripudiare una patria in cui tanti ciarlatani e tanti cialtroni possono vivere e vivono stimati, onorati, a loro bell’agio, tradendo, a proprio comodo e utile, quanto di più sacro c’è e ci può essere in una patria, che ancora meriti rispetto e abbia un presente grande e un più grande e santo avvenire.
Il libro della Giacomelli, per questo riguardo, è simile a tutti i libri, a tutte le opere che esaltano virtù ed eroismo, e più semplice-mente e più praticamente, onestà e bene, che vi inducono un senso profondo, una. salutare nostalgia di cose nobili e alte, e temperando il vostro realistico pessimismo, vi dànno o vi restituiscono una calma speranza, se non altro perchè vi dicono che ci sono ancora delle persone perbene a questo bruttò mondo.
Perciò dicevo cominciando che la pubblicazione del librodella Giacomelli è un’opera bella e buona.
La modestia della edizione — non ostante il nome del Bemporad sulla copertina — a me riesce persino a diventar simpatica, massime fra lo spampanamento lussuoso editoriale d’altri libri. Tale modestia s’accorda con la serietà pensosa del contenuto, e mi fa l’effetto d’un abbigliamento onestamente dimesso di una donna, di mezzo allo sgargiare provocante e disonesto di un nuvolo di non donne... alla moda.
Qui quondam.
IW.IA’TWìFT
Knut Hamsun, Pan, romanzo, versione di F. Verdinois. Napoli, G. Giannini editore. L. 5.
Indubbiamente quest’unico lavoro di Knut Hamsun, del quale parlammo nel numero scorso perchè designato ad ottenere il premio Nòbel della letteratura, non ci fa vedere al completo lo spirito suo. Il romanzo che abbiamo letto non ci mette in luce quelle doti di spiritualità e di realismo ad un tempo che altri pare abbia riconosciuto in lui.
La novella (più che romanzo) à evidèntemente e non per il solo titolo un carattere panico, ma l’armonia tra il senso delle cose e quello dell’animo non ci pare messa sufficientemente in luce, tanto da farci dubitare perfino della nostra... classificazione. Lo studio degli animi dei protagonisti, che ànno vicissitudini psichiche molto... sibilline appare quasi più lo studio di casi, patologici che di casi naturali. L’appendice poi che è una visione di scorcio, dal punto di vista di un osservatore che odia, del protagonista è un’altra strana forma di un esame psicologico molto insoluto.
Per concludere, bisogna attendere qualche altro lavoro per comprendere meglio l’H. Per ora limitiamoci a dire di lui che è semplicemente interessante. , q £
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Nel fascicolo di decembre dell’Z/aZfiz che scrive, E. Buonaiuti si occupa dei periodici Italiani di cultura critico religiosa facendone la storia dal proprio esclusivo punto di vista, il che gli permette di nascondere sotto la sua personalità tutta-la tristezza e la miseria che cela una tal serie di vicende. Noi abbiamo un’assoluta stima ed un’ illimitata fidùcia dell’opera e della scienza del Buonaiuti e le abbiamo espresse anche pubblicamente ; siamo dolenti quindi di non poter esser d’accordo con lui sui tratti, pur magistrali, con cui egli abbozza questa storia. Poiché se invece di sacrificare se stésso come novella vittima agli dei infernali egli avesse messo innanzi con un senso più spinoziano la vera ragione e l’unica causa delle maravigliose avventure corse dai periodici italiani di cultura critico-religiosa, avrebbe lumeggiato non molto favorevolmente chi a questa cultura critico-religiosa unicamente e costantemente si oppose: avrebbe cioè stabilito che l’ostilità incessante e spietata delia Curia romana fu la sola diga che ne ostacolò lo sviluppo. Esempio luminoso di intolleranza, contro cui cozzano i Minocchi o sotto cui debbono passare i Buonaiuti ed i Turchi, tanto che il tentativo ripetuto più volte di quello va in fallimento e il tentativo di questo se non è già fallito sta per dare il suo tracollo completo.
Ma noi siamo anche dolenti di dover contrariare il Buonaiuti in un’altra asserzione, staremmo per dire personale. Egli non ritiene che possano soddisfare la cultura critico-religiosa «i rari articoli veramente critici della Civiltà Cattolica, il vecchio e battagliero organo romano della temuta compagnia di Gesù » od i rugiadosi articoli della Scuola cattolica o «le indagini di storia religiosa redatte con buon metodo, che si affogano nelle pagine di BUychnis in un mare di contemplazioni mistiche e di polemiche confessionali ».
Ora su ciò noi siamo d'accordo con lui : i rari articoli di questi tre periodici non bastano, occorre dell’altro e forse dell’altro verrà, ma non dalla parte da cui egli l’attende; quello su cui non siamo d’accordo è l’ingiustizia della differente fraseologia usata dal B. per i ¿re periodici : che egli per quello della temuta Compagnia di Gesù usi il « veramente critici » si capisce ; che egli sorrida scetticamente per le « biliose composizioni dei prelatini » della Scuola Cattolica, che forse l’ànno colpito qualche volta, passi; ma che poi voglia, con una quasi paterna benevolenza, gettare dall’alto suie Elaboratori di BUychnis, tra cui vi è pur quel Salvatore Minocchi di cui poche righe avanti à detto tanto bene, l’approvazione del « buon metodo », aggiungendovi quel lepido « affogamento» nel mare delle contemplazioni mistiche che a lui, sacerdote cattolico, dovrebbero essere care, e quel falso accenno a « polemiche confessionali » cui la nostra rivista si è ben raramente abbandonata — è cosa che veramente dispiace, perchè non è degna di Ernesto Buonaiuti. Il quale sarebbe in ben serio imbarazzo se venisse da noi invitato a contrapporre la serie delle - polemiche confessionali » di BUychnis a quelle delle « polemiche confessionali» del * battagliero organo romano della temuta Compagnia di Gesù » e a dimostrare che il battagliare non va ascritto a colpa solamente quando si è temuti!
La Direzione.
C. A. Nallino negli Atti della R. Accademia delle sciènze di Torino (54, 1x55) studiando la legenda della « tomba di Davide» sottostante al santuario del cenacolo in Gerusalemme giunge a queste conclusioni :
x° Che l’attribuzione a Davide della camera sepolcrale nei sotterranei del cenacolo sulla collina S.O. di Gerusalemme è errata.
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perchè il palazzo ed il sepolcro di Davide furono sulla collina S.E.;
2° Che la leggenda sorse per opera degli ebrei dopo la metà de) sec. xn e venne poi accolta dai cristiani;
3° Che i musulmani non ebbero tradizione antica largamente accettata sul sito ove Davide fu sepolto;
4° Che la notizia dell'esistenza della presunta tomba viene loro nella prima metà del sec. xv in seguito ai litigi ebraico-cristiani, che essi sfruttano per avocare a sè con la violenza il luogo e cosi fare dispetto alla «gente dèlia Scrittura»;
5° Che nei secoli successivi al xv dagli stessi musulmani colti la notizia è accolta come leggenda dubbia e senza importanza, che non impedisce il pellegrinaggio ad altre tombe davidiche;
Nella Nuova Antologìa del 16 dicembre leggiamo un'interessante nota su «laguerra, la coscienza della nostra cultura e delle capacità della donna » di F. Scaduto in cui, accennando al benefìcio apportato dalla guerra allo sviluppo della capienza della potenzialità del lavoro manuale ed intellettuale della donna, si riconosce nella cultura superiore lo sviluppo del senso della dignità e della responsabilità, senza togliere la freschezza della gioventù e la grazia del sesso, onde le fanciulle dell'Ateneo divengono donne.
<* * *
Per cura della nostra Casa editrice è stata pubbblicata un'interessante serie di lettere al vescovo di Cremona dirette da A. Carletti, già cappellano militare, fregiato di medaglia d’oro al valore, ed uscito recentemente dalla Chiesa cattolica. Esse portano per titolo Con quali sentimenti sono tornalo dalla guerra e riproducono uno stato spirituale comune a molti sacerdoti e laici che ritornati dalla guerra trovarono acuito il conflitto, latente prima, tra essi e la Chiesa.
Raccomandiamo l’opuscolo ai nostri lettori perchè si tratta di una coscienza superiore che esprime il suo « caso » cori il sentimento che le proviene da un alto senso della libertà e dèlia verità.
* • *
Sull’importante problema della scuola; il Nuovo Patto di Giulio Provenzal dedica il fascicolo di novembre-dicembre con la collaborazione dei professori Guido Castelnuovo, Tullio Tentori, Ettore Romagnoli, G. D. Bel
letti, O. O. Rebuffat, Angelo Funaro, Valentino Piccoli e Alberto Alberti L’importante contributo al dibattito d’interesse nazionale è preceduto dal primo dei Dialoghi de! Nuovo Patto, che fermeranno l’attenzione degli studiosi per la novità dell’impostazione e per la altezza del pensiero.
< * *
Sullo stesso argomento, cui aveva dedicato già il numero del 31 ottobre (numero speciale sulla scuola classica), la nuova rivista Energie nuove pubblica nel numero del 30 novembre un articolo di A. Colombo, La scuola deimaestri e nel numero del 20 dicembre un articolo di V. Costanzi, Pedagogia e pseudo-pedagogia nelle Università.
La Coltura popolare del settembre 1919 è poi interamente dedicata alla pubblicazione degli- Atti del Convegno di Napoli del maggio scorso consacrato interamente ai problemi della scuola del lavoro, discussi non solamente dai tecnici dell’insegnamento, ma pur dagli industriali e dai lavoratori.
La University of Chicago Press ci annunzia le seguenti sue nuove, pubblicazioni per la massima parte del dominio dei nostri studi : J. Calvin Fergusson, Oulliness of Chinese Art - Irving King, The Psychology of Child Development - George A. Coe, The Psychology of Religion - Gerald Birney Smith, A Guide to. the Study of the Christian Religion - Theodore Gerald Soares, University of Chicago Sermons - Edward S. Ames, The New Orthodoxy - Shirley Jackson Case, The Evolution of Early Christianity - Id., The Millennial Hope - Edgar J. Goodspeed, The Story of the New Testament - George Cross, What fs Christianity?
La stessa Casa pubblica anche V American Journal of Sociology, il Biblical World, VA-merican Journal of Theology, V American Journal of Semitic Languages of Literatures, senza dire di altri che non entrano nel campo dei nostri, studi.
* # *
Abbiamo già fatto cenno in queste pagine dell’istituto per la propaganda della cultura italiana, sorto di recente sotto gli auspicii del Ministro della P. I., di Ferdinando Martini e di Ubaldo Comandini, istituto che ha una degna sede in Roma in via del Campidoglio, n, 5 e si propone di intensificare in Italia e
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di far nota all’estero la vita intellettuale italiana, di favorire il sorgere e lo svilupparsi di librerie, di biblioteche, di scuole librarie e di arti grafiche, di promuovere traduzióni delle opere più rappresentative del pensiero italiano, di istituire premi e borse di studio a favore di scrittori, librai, artieri del libro e di diffondere largamente nel mondo con metodi ingegnosi e finora intentati, ma che già stanno per essere imitati all’estero, le proprie pubblicazioni tradotte in più lingue.
Organo ufficiale dell’istituto è il vivace periodico bibliograficoy ICS (L’Italia che scrive) e sarà iniziata prossimamente la pubblicazione di una serie di Guide bibliografiche divise per materie, che costituiranno uh vasto e compiuto bilancio del contributo portato dagli Italiani alla civiltà universale negli ultimi decenni.
L’Istituto sarà una specie di Touring della cultura: i soci, con una piccola quota annuale di L. io, riceveranno gratis le pubblicazioni dell’istituto. Ora il consigliere delegato dell’istituto stesso prof. A. F. Formig-gini espone nella Nuova Antologia del i° gennaio con chiarezza e precisione di argomenti e di dati le finalità ed i propositi della nuova iniziativa.
Stralciamo dall’interessante lettera al direttore di quella rivista i punti che più ci sembrano meritevoli di attenzione:
« L’Istituto è appena sorto e pochissimi lo conoscono, ma già esso ha raccolto un buon numero di significative adesioni, non certo per merito dell’ideatore dell’istituto, ma per la grande autorità degli uomini eminenti che ne hanno accettato la presidenza c per il fascino che la buona causa ispira in tutti.
«Taluno obietta che è inutile diffondere il libro italiano all’estero, quando anche la lingua nostra non sia diffusa. In parte è vero. Per la diffusione della lingua una benemerita istituzione nazionale, la c Dante », per lunghi anni ha fatto pertinaci e non inutili sforzi, c riconosciamo la necessità assoluta che una azione anche più attiva e più decisiva sia svolta in avvenire. Ma il nostro Istituto che ha avuto cordiali aiuti nei suoi esordi dalla « Dante », da cui ne attende ancora altri e maggiori, sicuro ormai di potere rendere focaccia per pare, ha un programma suo proprio che nettamente lo distingue dalla nobile istituzione consorella, e ne giustifica la ragion d’essere. La ■■ Dante », per diffondere il pensiero italiano si sforza di propagare la lingua, noi, per diffondere la lingua svolgiamo, con mezzi finora intentati, la nostra propaganda di pensiero.
> Facendo sapere agli stranieri che c’è una Italia
che pensa e che serive"(specie se il nostro periodico e sopratutto le nostre Guide ICS potranno uscire almeno in francese, tedesco ed inglese) verrà voglia agli stranieri di porsi in grado di leggere direttamente i nostri libri, come dobbiamo fare noi per la produzione inglese e tedesca.
« Noi ci siamo messi per una via nuova, avremmo perciò torto se ci meravigliassimo e ci dolessimo di avere stentato un poco a farci capire, se abbiamo trovato e se troveremo ancora resistenze. Il concepimento che a prima vista sembra un po’ pazzesco e sbalorditivo, si riduce dopo tutto a qualche cosa di molto pratico, di molto facile, di molto semplice, e noi abbiamo fede di riuscire in pochi anni a far pervenire a tutte le biblioteche del mondo, a tutte le scuole, a tutti i circoli di lettura le nostre Guide bibliografiche, tradotte nelle lingue dei singoli paesi...
■ Noi abbiamo riconosciuto inóltre che l’iniziativa nostra potrà avere non soltanto una importanza ideale, ma anche una- grande importanza pratica, perciò abbiamo fatto appello non solò alle forze ideali del paese, ma anche a quelle economiche cd industriali perchè il far sapere agli stranièri che vi è una cultura italiana, sarà la più efficace premessa per far loro ammettere che vi è uh lavoro italiano di cui tener conto.
* Sebbene le adesioni finora ottenute dagli industriali siano ancora inadeguate rispetto alla vastità dei nostri propositi, pure quanto si è raccolto fin qui dimostra che abbiamo non invano sperato in un cordiale appoggio delle forze economiche del paese.
«Sarebbe ingenuo credere che i problemi della propaganda culturale possano avere nel largo pubblico quella simpatia che fece trovare al Touring ben 200.000 aderenti, ma se si tien conto che oltre ai metodi del Touring noi ne abbiamo escogitati altri pratici ed efficaci per assicurarci l’aiuto degli industriali, non credo che ci si possa imputare di essere troppo facili sognatori nel prevedere che si arriverà senza dubbio ad un altissimo numero di adesioni, il che ci consentirà di disporre di un bilancio adeguato alla vastità della impresa ».
* » «
Giovanni Papini à scritto un meraviglioso articolo sul Resto del Carlino sul disagio morale di questo momento storico, sulla menzogna che a regnato e regna sopratutto dal 1914 in poi, sulla falsità del tanto predicato rinnovamento che cela sotto putrida scorza la vecchia sostanza rancida e marcia. Esso si chiude con queste magnifiche constatazioni che lasciamo a meditare ai lettori :
e ! valori oggi ammessi da tutti, da servi e da padroni, da bolsccvichi c da imperialisti, dai seguaci di Calibano e dai settari di Mammone, sono
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sèmpre gli .stessi, quelli di prima, i valori creati negli ultimi secoli, i valori della- Rinascenza, della Riforma, della Rivoluzione industriale e della Rivoluzione politica — i valori della modernità, i valori ormai rispettati e venerati da tutti, anche da quelli che bruciano incensi ogni mattina ad altre divinità sopravvissute nei simulacri. Questi valori universali, questi valori moderni, riconosciuti dal mendicante e dai miliardario, dal prete c dall’ateo, da Lenin e da Morgan, sono i valori ch’esistevano prima della guerra, quelli che ci hanno portato alla guerra, quelli che fanno seguitare le guerre, quelli che ci conducono a tutte le catastrofi, a tutte le distruzioni, le rivoluzioni. Sono i valori che in questi ultimi secoli abbiamo messi nel posto degli antichi. La Quantità nel posto della Qualità, la Materia sopra lo Spirito, l'Esterno sopra F Interno, V Egoismo nel posto dell’Amore, la mania del Primato nel posto dell’ Umiltà, la mania della Ricchezza invece dcll'acceitazione contenta della Povertà, la boria della Cultura (somma di nozioni e di simboli) invece del perfezionamento morale c della Santità. L'Utile, la Concorrenza, l’invidia, la bramosia del Comando, della Produzione, dei Comodi, del Superfluo, hanno fatto il resto. Abbiamo vissuto fino ad ora per far vincere questi valori e oggi moriamo di loro c per loro.
« Per vivere dobbiamo avere il coraggio di rinnegarli. Riconoscere d'avere sbagliato. Abbiamo seguito la natura c abbiamo sbagliato. Abbiamo seguito la ragione, la scienza, la cultura, e abbiamo sbagliato. La prova del nostro sbaglio è il massacro, il dolore di ieri, è il dolore la disperazione di oggi. Una civiltà che porta cosi spaventevoli effetti è una civiltà che vive nell’errore.
« Non basta cambiare i regimi e gli statuti. /.«• anime degli uomini devoti essere cambiate, e sema ritardi. Tutti i mali di cui soffriamo non vengono dall’esterno ina dall’interno, non dagli altri soltanto ma da ciascuno di noi, non dalla materia ostile, ma dallo spirito nostro ch'è fatto più inerte della materia. Ai valori moderni, ai valori omicidi che ci hanno insanguinato fino ad oggi le mani e ci hanno avvelenato il cuore e tutta la vita, dobbiamo sostituire i valori eterni: i contrari precisi dei valori regnanti. Cambiare tutta la fàccia della terra c tutte le costituzioni non sarà nulla, non gioverà a nulla, finché l’anima dì tutti noi non sarà rinnovata, rifatta e purificata. La salvezza i in noi, il regno dei cieli è in noi. Chi lo cerca al di fuori, è un cieco, guida di ciechi.
« P”? bensì una guida dove potremmo anche oggi trovare alcuni dei principi a cui dovremo per forza tornare, se non vogliamo morire nelle torture delle ultime disperazioni. È un piccolo volume, diviso in quattro libretti, che fu scritto diciotto o diciannove secoli fa. Tutti lo conoscono, molti lo leggono, nessuno lo «egue. Si chiama l’Evangelo di Gesù Cristo.
Mentre la nòstra rivista va in macchina si tiene il Convegno della Federazione italiana degli studenti per la cultura religiosa, annunciato nell'ultimo fascicolo. Ci riserviamo di parlare nel prossimo numero degl'importanti lavori del Convegno e dei suoi risultati. Nel programma erano temi del più grande interesse che vennero svolti da veri competenti e studiosi della materia, quali i proti. Tagliatatela,. Murri, Paschetto, Macchierò, Ferrando. Puglisi, Bariilari e via dicendo. Notevoli anche le relazioni di carattere amministrativo presentate ai Convegno c le istruttive divagazioni offerte ai congressisti con le illustrazioni della .passeggiata archeologica e di Ostia fatte dal nostro Paschetto.
Dalla segreteria della World Conference riceviamo al momento di andare in macchina il rapporto deila delegazione mandata in Europa e nell’oriente, e ci riserviamo di parlarne più estesamente nel prossimo numero, e così pure della lettera che la accompagna.
* • •
Il prof. Dante Lattes ci comunica, a rettifica della statistica pubblicata dal nostro Mario Rossi nell’ultimo fascicolo, i seguenti dati statistici sn gli Ebrei In Russia:
Ultimo censimento del 1897 : Ebrei 5.215.805 distribuiti cosi:
Asia Centrale ....... 13.682
Rùssia Europea ...... 3-789-448 Caucaso ......... 56-7$3
Polònia russa ...... 1.321.100 Siberia . . . . . , ... . 34-7'92
Totale . . . 5.215.805
(fonti ufficiali del censimento)
Cifre attuali:
Russia dei Soviet e Siberia 900.000
Lituania ......... 350.000
Polonia indipendente (russa, tedesca, austriaca) . . . . 3.300.000
Ucraina ....... ... 3.300.000
Totale . . . 7.850.000 (secondo le statistiche di Davis Trietsch).
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NUOVE PUBBLICAZIONI*1*
E. Michel, Der Weg zum Mylhos. Jena, Diederichs, 1919, p. 139.
E. Breccia, Osiris - A pis in abito militare romano. La stwv a Canopo. Alessandria d’E., 1919 [cfr.p. 70].
V. Delbos, La Philosophie française, Paris, Plon-Nourrit e C., 1919, p. 364, frs. 4,50.
R. Hugh-Benson, Paradoxes du Catholicisme, trad. par Cl. Grolleau. Paris, G. Crés et C., p. 248, frs. 4,50.
M. Corday, Les mains propres, Essai d'éducation sans dogme, Paris, E. Flammarion, 1919, p. 261, frs. 5.
Col. Godchot, La Fontaine et Saint-Augustin. Paris, Albin Michel, 1919, P- 334» frs. 4,50.
Z. Giacometti, Die Genesis von Cavours formel « Libera Chiesa in libero Stato ». Aarau, H. R. Sauerlànder e C.,1919, frs.3,60
Dott. Binet-Sanglé, L’ari de mourir• Paris, Albin Michel, 1919, p. 154, frs. 3*
Si tratta di un libercolo suW Eulha.tasta sopra" tutto nei casi di malattia cronica e disperata. L’A. propone per troncar la vita senza dolore la morfina e il protossido d’azoto. Precede un’introduzione filosofico-sociologica sul suicidio, sulla sua liceità e sull'inutilità della sofferenza in dati casi. Il lavoro à carattere scientifico, ma con tendenza popolare e divulgativa e più che l’esponente d’un dato stato di animo è quello d’un determinarsi sociale verso l* Eugenia (cfr. America) e quindi 1 ' Euthanasia.
(1) Delle opere meno importanti o non attinenti ai nostri studi, pervenute alla redazione, faremo cenno in questa rubrica dopo l’annuncio; delle altre, cifre l’indicazione in queste pagine, sarà dato ragguaglio nelle rassegne relative o in recensioni speciali.
G. Pioli, Educhiamo i nostri padroni. Milano, Istituto Italo-Britannico, 1919, p. 116. Lire 2,50.
Magnifico volumetto questo del nostro egregio collaboratore. In poche pagine chiare ed elegantemente illustrate egli ci informa di tutto il movimento educativo ed istruttivo inglese sopratutto operaio e ne segnala tutta la vitalità e la vivacità spirituale e religiosa. I.o raccomandiamo caldamente ai nostri lettori perchè studiarlo vuol dire desiderar di applicarne i dati in Italia; e sene avrebbe tanto bisogno!
S. Czarnowski, Le culte des héros et ses conditions sociales. Saint Patrick, héros national de l’Islande. Préf. de M. H. Hubert Paris, Félix Alcan, 1919, p. 369. Frs. 10.
E. Buonaiuti, San Girolamo. Roma, A. F. Formiggini (Profili, n. 49), p. 72. !.. 1,50 [cfr. p. 71].
Une voix de Prêtre dans la Mêlée. Paris, Librairie Olléndorff, 1919, p. 252. Frs. 5.
È un volume che potrebbe essere riassunto con le parole con le quali termina la sua prefazione: Haine à la guerre! Si divide ih cinque capitoli. Nel primo de' quali l’A. ricorda che l'Evangelo condanna la guerra, in quanto esorta all’amore del prossimo ed anche dei nemici. Nel secondo ammette la legittima difesa solo di fronte all’aggressione ingiusta e non provocata in nessuna maniera. Nel terzo sostiene che, attraverso i secoli, la Chiesa è stata sempre contraria alla guerra e cita in proposito il pensiero di vari Padri. Nel quarto dimostra che l’uso dèlia violenza è contrario al diritto ed alla ragione e distrugge ogni senso di giustizia. Riguardo alla Patria — capitolo quinto — l’A. afferma cne là guerra l’à danneggiata non solo materialmente, ma anche moralmente, poiché ha sviluppato le peggiori tendenze in ogni paese. Nell’ultimo capitolo profetizza che presto verrà il giorno in cui i popoli abbandoneranno il culto della forza e si orienteranno o verso il socialismo o verso-la Chiesa cattolica ma poiché il socialismo ricondurrebbe di nuovo a
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regno della forza e della barbarie, non resta che darsi ih braccio al cattolicismo l’unique espirarne des peuples.
Se invece di indicare il cattolicismo come àncora di salvezza spirituale FA. indicasse il Cristianesimo, firmeremmo a due mani la sua affermazione. Ma questo volume vuole essere una apologia della Chiesa cattolica e risulta un'opera- piena di buona volontà, ma poco persuasiva; sarebbe facile smontarla da capo a fondo. [Aristarco Posalo}.
P. Dörfler, Die Verderber n, Roman aus der römischen Campagna, München, Verlag d. J. Köselschcn BuchhandL, 1919, p. 279.
I. W. Poynter, Rome, Christendcm and « A League of Churches ». London, R. e T. Washbourne Ltd. 1919, p. 110.
K. Weinnam, Das Konzil von Trient u. die Kirchenmusik. Leipzig, Breiskopf u. Hartei, 1919, p. 155.
A. Piazzi, L’educazione filantropica nette dottrine e nell’opera di Giov. Bernardo Basedcw. Milano, U. Hoepli, 1919, p. 543. L. 18. .
Dott. Toulouse, Comment utiliser la Îuerre pour faire le monde nouveau. Paris, lenaissanee du Livre, 1919. p. 395. Frs. 5.
G. Seibel, The Motmon Saints. Pittsburgh, The Lessing Company, 1919, P- 103.
D. Alcock, El-Dorado (Un récit du XVI siècle), trad. av<c l’autorisation de l’A. far E. de F. Gci.ève, J. H. Jeheber, 1918. rs. 2,50.
Revue trimestrielle ' franco-italienne de l’Athénée Français de Milan. Juin-septembre 1919 (VI année).
Pubblicazione di propaganda culturale cd economica franco-italiana, contiene oltre una notevole parte economica sull'industria italiana e sulle principali case italiane, due capitoli dedicati alla civiltà delle due nazioni con indicazioni sommarie, letterarie, stòriche e scientifiche. I.a parte che credo possa valere, unicamente, è l’economica: dell’altra non vedo, anche se sia fatta bene, l’utilità!
Nel quarto centenario della morte di Leonardo da Vinci, fascicolo X della Raccolta Vinciana presso l’Archivio storico del comune di Milano, maggio 1919. Milano, P- 38.3.
C. Mòllica, Faville. Roma, Tipografia Aureliana, 1919, p. 55. L. 3.
È una raccolta di poesie di una giovine poetessa che forse potrà darci in avvenire della poesia, poiché afferma un sincero senso di forza spirituale: per ora l’opera sua non è che una promessa e come tale noi la salutiamo, esortandola a fare meglio, chè altrimenti sarebbe inutile ricominciare.
J. Odelin, Du Théâtre à l'Evangile, Les étapes d’une conversion (1850-1917). Paris, G. Beauchesne, 1919, p. 274. Frs. 3,50.
A. A. Pons, L'Holocauste, quadryptique du renouveau de l’Italie. Paris, Lib. Fisch-bacher, 1918, p. 294, Frs. 3,50.
Buon lavoro che potrà anche recare buoni frutti... se i Francesi lo leggeranno. Si tratta di una storia del nostro risorgimento, scritta in buon francese — tutt’al più un- po’ pretenziosetto e... vestito a festa — da un’italiana che ama il suo paese c vorrebbe fosse amato, e redatta con intenti .divulgativi c propagandistici molto vivi. Il quadrittico è formato, secondo FA., dai precursori, dagl’indomati, dai martiri e dai prodi: il che forse è un po’... forzato.
E. Cozzani, Poemetti notturni, n. 12 dei «Gioielli del l’Eroica », Milano, 1920, p. 56. L. 2,50.
Come dobbiamo intendere questi «poemetti notturni » che E. Cozzani pubblica in uno dei suoi be’ « gioielli » dcll'E» 0 cal Come il preludio spiri- -tu al e di un nuovo canto? • Il canto nuovo già s’incarna in me » dice il congedo, per il quale « sul mare è Falba» mentre nel petto del poeta «è Dio». Indubbiamente essi mostrano un profondo senso di spiritualità e dì energia morale, un vive sentimento di elevazione che ci commuove; e anche nelle forme che sembrerebbero più peccaminose, come . nel bel poemetto « L’angelo peccatore ». La castità di una poesia che dal punto di vista della forma può dirsi perfetta, ci appare già ne « l’ispirazione», ci accompagna ne »le Statue», ci tormenta, per dir cosi, ne «la chioma incantata». Bella e buona poesia dunque che i lettori faran bene a leggere e meditare.
G. Amendola, li patto di Roma e la « polemica ». Sarno, Tip. bischetti, 1919, p. 35. I.. 1.
ft il discorso tenuto da G. Amendola il x8 maggio 1919 agli elettori del collegio di Mercato S. Severino: non occórre accennare all’argomento, che è messo in evidenza da! titolo, c del quale perciò è carità di patria ormai non pailar più.
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G. Marino, Il pensiero c Varie, dialogo. Palermo, Tip. G. Luminaria, 1919, p. 8. L. x.
Dialogo tra l'Artc ed il Pensiero: ma l’uno e l’altro effettivamente vi sono assenti e.d io non capisco veramente a che cosa tenda questa chiacchierata di due ombre!
G. Marino, Leone Tolstoi, dramma religioso. Roma, Ausonia, 1919. P- 40. L. 1,80
Dramma religioso’. difatti i personaggi sono: Satana, San Pietro, Leone Tolstoi vivo e morto ammazzato e cori, tanti cori: di diavoli, di angeli, di socialisti, di monarchici, di anarchici, ecc. ecc. Vulgo, insalata russa che porta fortunatamente per epigrafe: «intendami chi può, ch’io m’intend’io»; il che ci .lascia completamente soddisfatti e tranquilli...
H. Bergson, L’Energie spirituelle, essais et conférences. HI Ed. Paris, Libr. Félix Alcali, 1919, p. 227. Frs. 7,20.
La loro offerta, 24 maggio 1915-4 novembre 1918. Federazione italiana degli studenti per la cultura religiosa. Napoli, 1919. P- 280.
fi un modesto ricordo che la P. I. S. per la cultura religiosa ha dedicato ai suoi membri caduti nella guerra testò compiuta. Ad ognuno dei commemorati sono destinate varie pagine che ne mettono in luce le doti e la vita e ne additano l'esempio. Il ritratto degli estinti abbellisce questo volumetto in cui i fratelli rendono ai fratelli il tributo di onore che loro è dovuto in un legame spirituale che commuove 0 fa fremere. La prefazione fc dettata da V. Macchierò e la chiusa da Mario Falchi.
A. Rossotti, Fra i Beduini, vite e riflessioni di prigionia araba. Roma, Ausonia, p. 309. L. 6.
Il Lettore.
ROCCO POLESE, gerente responsabile.
Roma — Tipografia dell'Unione Editrice — Via Federico Celi, 45.
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Libreria Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - ROMA, 33
PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
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Questo catalogo delle pubblicazioni in deposito presso la nostra Libreria verrà tenuto al corrente delle novità, a mano a mano che gli editori ce le trasmetteranno.
Delle nuove, appartenenti al ciclo degli studi di cui si occupa la rivista, faremo un brevissimo cenno nel darne l’annuncio, qualora gli editori alle copie dà tenere in deposito aggiungano una in omaggio. Solo pubbicando questo cenno bibliografico assumiamo la responsabilità dell'indicazione dell’opera.
I prezzi segnati non subiscono aumenti e le spedizioni sono franche di porto. Per gl’invìi sotto fascia, raccomandati, aggiungere cent. 30.
La libreria si incarica di qualsiasi ordinazione di libri in Italia ed all’estero. Essa è l’unica rappresentante in Italia della University oj Chicago Press, il cui catàlogo viene spedito gratis a richiesta.
Delle opere segnate con asterisco esistono ancora pochissimi esemplari.
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CULTURA DELL’ANIMA
GRATRY A.: Le sorgenti, con prefazione di Ç. Semeria 4,50
Monod W. : Silence et prière
6 —
— Il vit ...... . 6 — — Il régnera . . . . . 6 — — Délivrances . . . . 5 — — L’Evangile du roj au me 5-r-Vienot J. : Paroles françaises prononcées a 1’ oratoire du ¡.ouvre ...... 2,50
Wagner C.: L’ami . . . 7 —
- Le vie simple . . . 5 — — A travers le prisme du temps ....... 4,50
— Justice ...... 6 — 1 — Discours religieux . 4 — I
FILOSOFIA
♦Angeli N.: La grande illusione, versione di A. Cerve* sato ........ 2,50
Della Seta U.: G. Mazzini pensatore ...... io —
♦Flammarion C.: Lumen. 2,50
Von Hiigel F.: Religione ed illusione ...... 1 —
Losacco M.: Razionalismo e Intuizionismo . . . 1 —
•Myers F. H.: La personalità umana e la sua sopravvivenza. Voi. 2 . . . . 5 —
Panini G.: Il tragico quotidiano ....... 5,50
— Crepuscolo dei filosofi 3,50 — Un uomo finito . . . 5 — Rensi G.: Sic et non (metafisica e poesia) . . . 3.50
GUERRA E ATTUALITÀ
Andreief L.: Sotto il giogo della guerra . . . . 3,50
E un libro di guerra che ha sopralutto il carattere della sincerità. È un documento dell'epoca terribile che abbiamo attraversato, in cui ogni eroismo, ogni ferocia, ogni dolore ha trovato il suo esempio „
(A. Faggi nel Marzocco).
Bois H.: La guerre et la bonne conscience . . . . . 0,70
Ciarlantini: Problemi dell’Alto Adige ....... 3,50 Glieli i S.: La maschera dell’Austria . . . . . 6 —
Mara nel! i e Salvemini: La questione dell’Adriatico. 6 —
Murri R. : L’anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pratici) . . . . 1,25
MURRI R. : Guerra e religione, Voi. I. Il sangue e l'altare
2 —
MURRI R. : Guerra e religione. Vol. II. L’imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa ........ 2 —
Puccini M.: Come ho visto il
Friuli............... . 5 —
Senizza G.: Storia e diritti di Fiume italiana . . . 1 —
Soffici A.: Kobilek (giornale di battaglia)...............3,50
Stapfer: Les leçons de la guerre
Wilson: La nuova libertà. 4 —
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Libreria Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
Wilson : Un soldat sanspeur et sans reproche (en mémoire de André Cornet-Auquier).
i,3<>
La Chiesa e 1 nuovi tempi 3,50 Raccolta di scritti originali di Giovanni Pioli - Romolo Murri -Giovanni E. Mei Ile - Ugo • Ianni - Mario Falchi - Mario Rossi -“ Qui Quondam - Antonino De Stefano - Alfredo Tagliatatela.
LETTERATURA
Andreief L.: Lazzaro e altre novelle....... 3,50
Della Seta U.: Morale, Diritto e Politica internazionale nella mente di G. Mazzini.
1,50
Dell’Isola M.: Etudes sur Montaigne ....... 2,50
Lanzillo A.: Giorgio Sorel. 1 —
Papini G.: Parole e sangue.
3.50
Sheldon C.: Crocifisso! romanzo religioso sociale tradotto da E.Taglialatela. 2 —
Soffici A.: Scoperte e massacri ....... 5 —
Vitanza C.: Spiriti e forme del divino nella poesia di M. Ra-pisardi (conferenze). 1,50
RELIGIONE E STORIA
•Hflgel e Briggs : La Commissione biblica e il Pentateuco (estratto da « Il Rinnovamento ») ... 0,50
Janni U.: Ildogmadell’Eucari-s'tia e la ragione cristiana 1,25
Lea H. Ch.: Storia della confessione auricolare e delle indulgenze nella chiesa latina (versione di Pia Cre-monini), 2 volumi . 36 — — Le origini del potere temporale dei papi . . . 5 —
Loisy A. : La Religion. 5 — — Mors et vita . . . . 2,25 — Epitre aux Galates. 3,60 — La paix des nations . 1,50 Ottolenghi R.: I farisei antichi e moderni.... 4 —
Paladino G.: Opuscoli e lettere di Riformatori italiani del Cinquecento . . . 5,50
Salvatorelli L.: Introduzione bibliografica alla scienza delle Religioni..... 5 — — Il significato di « Nazareno « ....... 1,50
TYRREL G.: Autobiografia e Biografìa (per cura di M.
D. Petre). . ". . . . 15 —
A i nostri abbonati non morosi L. 10,50 franco di porto. — Lettera confidenziale ad un professore d’antropologia 0.50
Vitanza C.: La leggenda del «Descensus Christi ad inferos » ....... 1,50 Wenck F.: Spirito e spiriti . nel Nuovo Testamento. 0,75 X. La'Bibbia e la Critica. 2 — X. Lettere di un prete modernista ...... 3,50
Nuovo Testamento, tradotto e corredato di note e di prefazioni dal prof. G. Luzzi 1,80
Nuovo Testamento e Salmi (e-dizionc Fides et Amor) 3 I Vangeli e gli Atti degli Apostoli (edizione Fides et A-mor) ........ 1,80
I Salmi (Edizione Fides et Amor) ...... 1,80
VARIA
Martinelli: Per la vittoria morale ........ 3,50 Papini G.: Chiudiamo le scuole 1 —
Scarpa A.: La scuola delle mummie ...... 1 —
A. M. D. G.: Poemi Francescani ....... 4,25 Pioli G.: Educhiamo i nostri padroni ....... 2.50
(•*•) Mancanza di garanzie nello schema e nel nuovo Codice di diritto canonico e saggio su le fonti. . . 3 —
CHIMINELLI P.: Gesù di Nazareth . . . . (in ristampa) — Il Padrenostro e il mondo moderno ...............3 —
S. Caterina da Siena: Libro della Divina Dottrina, vol-5armento detto « Dialogo ella Divina Provvidenza » a cura di Matilde Fiorini 5.50 Comba E.: La religione cristiana ....... 0,75
Cu mont F.: Le religioni orientali nel paganesimo romano ....................4 —
Di Soiagna A.: Profezie di Isaia, figlio di Amos. 5 —-Gautier L.: Introduction a l’Ancien Testament. 2 volumi ........ 26 —-— La Loi dans l'ancienne alliance ....... 2,25
Prezzo del fascicolo Lire 1,50