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Ayxo Vn — N. 7.
II SERIE
15 Apuile 1858.
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LA BUONA NOVELLA ^
GIOCALE DELLA EVANGELIZZAZIONE ITALLVNA
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Segruendo la verità nella carità. — Efes. VI. 15.
PREZZO DI ASSOCIAZIONE
Per lo Stato [franco a destinazione]____ £. 3 00
Per la Svizzem e Francia, id........... „ 4 25
Per l’Inghilterra, id..................... 5 50
Per la Germania id................... „ fi 50
Non si ricevono associazioni per meno di un anno.
LE ASSOCIAZIONI SI RICEVONO
In Torino all’Ufflzio del Giornale, via del Principe
Tommaso dietro 11 Tempio Valdese.
Nelle Proviscii presso tutti gli Uffizj postali pe]
mezzo di Vacua, che dovranno essere inviai
franco al Direttore della Buona Novella.
All’estero, a’ seguenti indirizzi : Parigi, dalla libreria C. Meyrueis, rue Rivoli ;
Ginevra, dal signor E. Beroud libraio ; Inghilterra per mezzo dì franco-bolli
inglesi spediti franco al Direttore della Buona Novella.
SOMMARIO
NecroloRia, il Barone Q. Van der Duyn. — Il culto e la mediazione dei Santi condannati dall'antica
tradizione I.—Il giusto pecca Bette Tolte il giorno 1 — Ancora l’Evangelo a Courmayeur. — Roma e
Londi-a, opera recente di don Margotti. — Avviso alV'Armonia.
NECROLOGIA
IL BAEONE G. VAN DER DUYN
La chiesa evangelica di Torino lia fatto il dì primo di
questo mese una perdita dolorosissima, nella persona del
signor Barone Guglielmo Van der Duyn, Ciamberlano
di S. M. il re di Olanda, e suo Incaricato di affari presso
la nostra Corte. Un’anno fa, o poco più, avealo il Signore .
chiamato alla prova per lui più dolorosa che gli potesse
venire comp<artita, quella cioè di separarsi per sempre
quaggiù, dopo pochi mesi di matrimonio, di una sposa
non ancora quadrilustre, ma che in tanta giovanezza, potea
dirsi esemplare di quelle più squisite virtù che formano
l’ornamento della doinia cristiana. Tal prova, per quanto
inaspettata ed acerba, non solo trovò il Barone Van der
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Duyn pienamente rassegnato ai voleri divini, ma i suoi
pensieri già proclivi a rivolgersi alle cose celesti, vi si
sentirono vieppiù potentemente attratti ; e sanno tutti
quelli che ebbero il privilegio di avvicinarlo, con qual notevole compiacenza egli desse al discorso, che si era aggirato per qualche tempo sopra argomenti mondani, un giro
religioso e santificante. La domenica poi, sarebbe stato
un eccezione il non vederlo, seduto accanto ad un’ illustre suo amico, nella casa di Dio, ascoltando in contegno
umile e raccolto, i santi ammaestramenti del Libro della
Vita ; e così fu visto ancora l’ultima domenica che passò
su questa terra. La notizia della di lui morte giunse
ai suoi conoscenti ed amici quasi nello stesso tempo che
quella della sua malattia, tanto questa fu breve e violenta.
Gl’infortunati parenti, aihmè ! dovettero, per la troppa lontananza, tranguggiare tutt’ad un tratto il calice amaro, che
apprestava loro la mano del Padre celeste. Ma sappiamo
che, grazie a Dio, vive in essi una fede che li renderà vinci;
tori di questa prova. Inquanto al nobile estinto, se il suo
dipartirsi d’infra noi è al nostro cuore cagione di grave amarezza, questa è però assai mitigata dalla piena confidanza che nutriamo che il Signore Gesù, ch’ei conosceva
ed amava, come speranza e rifugio dei peccatori, gli è stato
vicino nel supremo istante, ha parlato di pace al suo cuore,
e gli ha dato ingresso in quelle beate stanze ove il cordoglio non è più, e dove ogni lagrima vien tersa dagli
occhi di coloro che vi risiedono.
IL CULTO E LA MEDIAZIONE DEI SANTI
CONDANNATI
DALL’ANTICA TRADIZIONE.
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Per trattare questo argomento in modo che si regga sopra una
base incrollabile, ricorderemo sul bel principio un’assioma capitale
egualmente accetto alla Chiesa Romana, che nelle sue Scuole Teoio-
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giclie lo ripete a sazietà, come alle Scuole Protestanti. Tertulliano
scorgendo che il biion seme fu prima sparso nel campo dal padre di
famiglia, e che mano straniera seminò poi la zizzania, scrisse: “ Quello
eh e primitivo, è sol vero, ed è adultero o ñilso quello che fii posteriormente introdotto ”. Il celebre Vincenzo Lirinense procedette da
questo principio, per stabilire quelle tanto famose regole date per
ci-iterio, onde discernere quello ch’è ortodosso da quello ch’è eterodosso. Premesso (piesto che non soffre replica in qualunque chiesa,
ma che Roma, non bisogna obbliarlo gianmiai, pretende tenere inconcusso essa sola, come fondamento delle sue dottrine, noi affermiamo,
ed andremo eli quanto affermiamo adducendo prove nimierose, che
il culto e la mediazione dei Hauti contraddice e sow'erte l’antica
tradizione, che dalle sue origini fin molto innanzi nei secoli susseguenti, protesta in modo energico, condannando come idolatria una
tale mediazione ed invocazione.
Niuna necessità esiste di tale invocazione e mediazione, per questo
solo che la Parola di Dio non le comanda, no2i ne fa cenno, anzi le
respinge assolutamente. Non si riscontrano esse durante i sette primi
secoli in qualunque Liturgia, sia Orientale sia Occidentale. Il primo
ad invocare la Vergine nella chiesa Orientale fu Pietro Grafeo, condannato come eretico, nell’anno 470. Non se ne ha traccia nella
Chiesa Latina sino» alla fine del sesto secolo. Stando così le cose, chi
non vedo che per niun diritto si potè far un articolo di fede del culto
e della mediazione dei Santi, poiché noiw posteì'iori ai primi secoli,
e quindi esclusi da quel deposito che secondo l’Aiwstolo, nella 2. a
Timoteo, era debito della Chiesa di non lasciar menomamente corrompere, nja di custodire: la fede non potendo variarsi col mutar dei
secoli, e S. Giuda avendoci lasciato scritto “ che dobbiamo combattere
per la fede che fu una volta affidata ai Santi”? I cambiamenti sono
stati sì frequenti, e le addizioni sì continue, che Roma, ancorché celebri, a cagion d’esempio, l’Assunzione di Maria, dando tale Assunzione solo per mia pia opinione, riconosce con ciò che Ijen potrebbe
essere una favola da lei eretta in culto, con una speciale solennità !
E tanto è vero che spazia in im campo di chimere che i testimonj
che siamo per ¡jrodurre rovesciano affatto, anzi nou lasciano pur
pietra di questo colossale edifizio di un cult(i alla creatura, grado a
gi-ado da lei introdotto, aggrandito con un corteggio di suixjrstizioni
le più assurde insieme e funeste.
Un punto che gli anticlii hanno ritenuto con quasi unanimità, che
cioè la visione Beatifica rimanea sospesa, per tutti i Santi, fino al
secondo Avvenimento di Cristo, un tal punto, dico, basta da sè solo
a rdidere impossibile l’adozione del culto dei Santi; imperocché quanti
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j'igettaviino questa visione immediata, doveano di necessità respingere ogni intercessione dei Santi, ogni ricorso a loro. Se fosse dunque
vero che la Cliiesa ammetteva questo culto e mediazione secondaria,
i molti Padri che stavano per l’esclusione dalla visione Beatifica, sarebbero stati riputati eretici. Ma noi sappiamo, attestandolo Grirolamo stesso, che incalcolabile era la moltitudine de’ martiri, degli
ecclesiastici, e dei cristiani, che fondati sulle Scritture, non riconoscevano a niun Santo il diritto di entrare nella gloria prima del
gran giorno del Signore. Ecco i principali che così credevano :
Clemente Romano, Giustino Martire, Ireneo, Tertulliano, Origene,
Ambrogio, Agostino, Grisostomo, Lattanzio, Vittorino, Prudenzio,
Teodoreto, Ecumenio, Teofilatto, Eutimio, ed altri molti. Argomento siffatto da sè solo basterebbe a dimostrare che l’antichità doveva ignorare o respingere l’invocazione dei Santi, e perciò il loro
culto, essendo questo culto affatto imcompatibile colla fede generale
che, prima della risurrezione, la gloria rimaneva interdetta a tutti.
Il loro modo consueto di esprimersi era questo, che le anime sciolte
dal corpo si tenevano in aspettativa in un luogo di refrigerio e di
pace. Oltre tanti passi su cui fondavansi, e che è qui superfluo di
citare, avevano sopra tutto in mira quel linguaggio dell’Apocalisse
che esorta i santi “ di darsi pace per un poco di tempo, sino a tanto
che sia compiuto il numero dei conservi e fratelli loro, i quali debbon
essere trucidati com’essi ”, e quest’altro ancora agli Ebrei in cui,
dopo aver passato a rassegna quei marthj in gran numero che “ non
conseguirono la promessa ” egli soggiunge “ avendo disposto Iddio
qualche cosa meglio per noi, affinchè non fossero'perfezionati senza
di noi Apocalisse vi. 11. Ebrei xi. 39. 40.
Una tal dottrina, come ora abbiam detto, dovea escludere il culto
e l’invocazione dei Santi. E non è maraviglia perciò, come stiamo
per vedere, che i Padri si mostrino tanto contrarj ad una simile
idea, quando ne trattano sotto forma d’ipotesi, e ad una tal novità
quando commincia ad apparire. Il primo vestigio che può for
supporre un invocazione, si riscontra tardi assai ; si raccoglie da
un’invettiva di Gregorio di Nazianzo, circa il 364, contro l’imperatore Giuliano, ove così scrive: “ ascolta, o anima del gran Costanzo
se tu hai qualche 'notizia di queste cose. ”. Così pone in dubbio se i
trapassati siano informati delle cose di questa terra. Un altra volta
adopra ima simile forma di linguaggio neU’Orazione per i funerali
della sua sorella Gorgonia : “ se tu hai alcuna cura, dice egli, di
quanto si fa da noi”. Orat. xi in Gorgon. Chi non vede altro non
essere che un modo rettorico d’esprimersi, senza mai abbandonare il
dubbio se vi possa essere comunicazione tra noi £d i defunti, tutta
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questo che dice da oratore S. Gregorio di Nazianzo ? Ma S. Agostino,
più esplicito nega affatto che tale comunicazione esister possa. “ Se
Patriarchi così numerosi hanno, scrive egli, ignorato quanto facevasi
da quel popolo stesso di cui erano progenitori.... come mai s’immischieranuo i morti nelle cose dei vivi per conoscerle, o esser loro di
alcun soccorso ? ” De Cura pi'o mortuis cap. xiii. Lo stesso Padre
esclude da ogni intercessione tutti i santi nel modo il più formale.
Ecco come si esprime : “ Egli è il Sacerdote, (cioè Cristo) che ora
entrato al di là del velo : fra quanti si sono rivestiti di carne mortale ;
Egli solo interpella per noi. Figura di ciò era quello che aveva luogo
in quel poiwlo prima di noi eletto, e nel Tempio suo, allorché solo il
Sacerdote entrava nel Santo dei Santi, mentre tutto il popolo stava
al di fuori In Psalm 64. Dopo tale dichiarazione come aggiungere
a Cristo tanta fJla d’intercessori o mediatori, poiché tanto chiaro è
detto che Cristo solo entrò al di là del velo per intercedere, e chc
chiimque abbia vissuto quaggiù rimane ancora al di fuori ? Commentando lo stesso Dottore questo testo di S. Giovanni : “ Che se
alcuno avi-à peccato, un Avvocato abbiamo presso del Padre, Gusù
Cristo giusto, ed Egli è prppiziazione pei nostri peccati ”, “non ha già
detto ”, spiega egli, “ voi avete, nè ancora disse, voi avete me (per
Avvocato), e nemmen disse voi avrete lo stesso Cristo; ma pose Cristo
e non se stesso, e disse, noi abbiamo e non già voi avete. Amò {jorsi
nel numero dei peccatori, affine di avere Cristo per Avvocato, piuttosto che fare le veci di Cristo Avvocato, e per orgoglio meritare
condanna”. Tract, i. in Epist. i. Joan ii. Laonde devono riputarsi
come spmj ed intrusi altri intercessori, ancorché si volesse che s’intromettano tra noi e Cristo, supponendoci non troppo degni di accostarlo direttamente. Giovanni Grisostomo combatte gli esempi che
presero tanta voga dopo di lui, tratti dalle corti dove i servitori più
intimi aprono l’accesso ai grandi od al monarca. “ Non così, adopra
Iddio con noi, dice quel celebre Padre, imperocché non abbisognano
presso di Lui intercessori per ottenere favori ; anzi non così prontamente esaudisce quando altri lo pregano, come allorché c’mdirizziamo
a Lui noi stessi ” (Grisost. in Matt. citat. da Teodoret.). Con simili
dottrine che può aver mai Grisostomo di comune colla Chiesa romana,
che tiene un linguaggio così opposto per far valere l’intercessione dei
Santi ? Più che altri con ardore combatteva egli i primi germi che
sotto i suoi occhi serpeggiavano dell’idea che ottimo, o molto utile
era il ricorso ai Santi, e rii^tutamente insiste che molto più i jieccatori sarebbero esauditi ove essi stessi pregassero ; ved. in Act. xvi.
Homil. In Psalm. vi. In Genesis xix. Hom. 44. In Matt. xv.
Hoia. 52. ^rm. in Fila. Del/, i. 18. p. 416.418.
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Benché soverchiati dall’h-rompente Paganesimo, che efìiggiava la
Chiesa alla sua imagine per una mal intesa condiscendenza, è vero
però che questi Padri, in quest’epoca, resistono al torrente, e con forza
istruiscono il popolo per premunirlo dall’errore. Si è a tal fine che lo
stesso S. Agostino a nome della Chiesa Cattolica protesta, che niun
culto deve offerirsi ad alcuna creatura (nullam c'reatiiram colendam
esse) ma unicamejìte al solo Creatore di ogni cosa ( sed Ijnsimi
tantmnmodo rerum quce sunt omnium Creatorem). Lib. de quantitat.
animce. xxxiv. E protesta ancora che benché i Santi nella celebrazione eucaristica siano commemorati, non sono mai invocati (non
tamen a Sacerdote qui sacrijicat invocantur). De Civitate Dei Lib.
XXII. cap. 10. Se questo Padre potesse assistere al culto romano,
come sarebbe attonito nel vederlo zeppo di invocazioni di Santi, a
segno tale che si può dire che tal culto altro non sia che un composto di simili invocazioni ! Grrisostomo già citato, è sì forte, a questo
proposito, che Eoma dovrebbe scomunicarlo, tanto egli ripugna alle
sue dottrine. “ I demonj, dice egli, hanno fatto che si invocassero
gli Angeli; è questa una loro magica seduzione ; sia un Angelo, sia
un Arcangelo, sia un Cherubino, uon permettete mai im tal culto ;
poiché queste possanze stesse non lo soffrono, ma da sè lo rigettano,
veggendo in simil modo il Signor loro disonorato In Coloss. iii.
Hom. IX. Ma in un modo che non lascia campo a sotteiiugio od a
pretesto il Concilio di Laodicea non esitò punto di stigmatizzare, come
idolatria, l’invocazione degli Angeli, Canon.xxxv; ed aggiunge: “ se
qualcuno trovasi che si dedichi a questa privata idolatria, sia Anatema, avendo abbandonato il Signor nostro G-esiì Cristo, per darsi
all’idolatria ”. Noi apprendiamo da questo Canone che questo culto
degli Angeli avea luogo come in disparte e privatamente, ed è così
infatti che ogni superstizione ed errore sempre incomincia, come
S. Pietro ce ue avverte, che vi saranno dei buggiardi maestri i quali
introdurranno sette perverse. 2. Piet. ii. 1, o, come porta l’originale,
TrapturàÌ,ov(TLv aipéa-Hc àjrù/Xsiac, insinueranno furtivamente eresie, cioè
proprie invenzioni, distruttive della verità ; ch’è quanto a dire la
zizzania sopra il buon grano per soffocarlo. Il Canone Laodiceno è
di tal forza, che pose in apprensione i Eomani Teologi, che per annullarlo, non arrossirono di aver ricorso al più futile e spregevole
stratagemma. Canisio dando il compendio del Papa Adriano, dichiara in margine “ che forse si debba leggere non Angeli ma Angoli ” Angulos forte legendum, Tom. vi. Antiqua} Lectionis Henr.
Canisj. S. S. Canon, in Academ. Ligolstadt. Il celebre frate Crabbe
afferrò come stupenda scoperta questa incredibile sciuaphezza ! Il
greco e tutte le edizioni orientali dei Canoni, siccome quelle di
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Harmenofülo, eli lonara, e di Balsamone, recano ayycXovt, e l’antica
collezione dei Canoni fatta in Latino contiene Angelos. Teodoreto
fa due Tolte menzione di questo Canone, ed anche Ecumenio lo
riferisce. Ma tanto più questo Canone ha valore, che noi sappiamo
che il Concilio di Laodicea ebbe sanzione da due Concilj Ecumenici
posteriori, di Efeso e di Calcedonia. In feccia a tali autorità, ben
ponderando la forza loro, e tanta essendone la chiarezza, dii non
s’accorge che la Tradizione è tutta armata contro il culto e la mediazione dei Santi; che lo respinge, e lo qualifica d’idolatria; e conseguentemente, stando fermo l’assioma tanto da Roma ripetuto, “ che
solo è ortodosso quello ch’è primordiale, ed è eretico quello che fu
aggiunto dappoi ”, come mai non dovrà dirsi nuova la dottrina
dell’invocazione de’ Santi, e come non sarà essa considerata come
il sovvertimento della dottrina antica, apostolica, e primitiva? Nelle
pagine che seguiranno metteremo più ancora in luce quest’esclusione
del culto de’ Santi nei primi secoli, i>er dhnostrare ch’esso sopravvenne col Paganesimo, a cui la Chiesa schiuse le porte con mille
accomodamenti perniciosi, allorché Costantino fece cessare la persecuzione _ e si volle, con tutti i mezzi di seduzione che parvero i
più ciRcaci, facilitare l’entrata, non a uomini ben preparati e degni,
ma al numero più grande che fosse possibile.
Teofosfilo.
IL GIUSTO PECCA SETTE VOLTE AL GIORNO!
Mio caro signore.
Allorquando, per iscusare un’atto reprensibile, che la vostra dirittura non
vi permetteva di giustificare, allegavate,me presente,questa sentenza bibblica,
0 che almeno tale voi la credete; “ Il giusto pecca sette volte al giorno ”
— aggiungendo che se il giusto, vale a dire l’uomo il più santo sulla terra,
pecca per lo meno sette volte al giorno, non è da maravigliarsi che un’uomo
comune abbia delle debolezze e spesse volte si lasci trascinare al male — allora, dico, presi in me stesso la risoluzione di non lasciarvi, per quanto dipenderebbe da me, in questa funesta sicurezza. Avrei potuto cercare di
avere seco voi un colloquio particolare ; ma ho preferite di scrivervi, e
nutro opinione troppo buona di voi, per non isperare che accoglierete cotesta
lettera quale testimonianza dell’interessamento che prendo per la vostra
vera felicità.
Se, come io penso di provarcelo, la vostra applicazione di un passaggio
della Bibbia risulta completamente falsa, ciò proviene, in parte per colpa
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vostra, per non esservi data la pena di cercarne il vero senso; in parte per
averlo letto in una versione che snatura il pensiero dell’originale.
Il testo bibblico, che voleste citare e che non avete se non indicato, si
trova nel libro dei proverbi, cap. 24. vers. 16. V’ha soltanto che, nè l’originale ebraico, nè la versione dei 70, nè san Girolamo, nè la vulgata corretta da Clemente Vili hanno la parola de die, il giorno, ma semplicemente
così; “ il giusto cade sette volte e si xììe.vs,(septies cadet justm et resurget)”.
Pare fuor di dubbio che la parola il giorno sia stata aggiunta da qualche
copista, che volle ravvicinare a quello il passaggio di san Luca, c. xvii. v. 4.
Voi converrete caro Signore, che l’assenza delle due brevi parole modifica
assai la sentenza rinchiusa nel rimanente del passo. Non è dunque più sette
volte al giorno che il giusto può cadere colla speranza di risorgere, ma probabilmente sette volte nel corso della di lui vita, supponendo che il vocabolo
cadere sia sinonimo di peccare ; il che non è di certo.
Ma -se voi siete scusabile di aver letto un vocabolo che si trova nella
vostra versione, non lo siete d’aver proso questo passo isolatamente e senza
cercare di comprenderlo, sia. pel rimanente della Scrittura sia pel legame
con ciò che lo precede e con quello che seguita. Se volete conoscere il pensiero dello scrittore sacro, leggete non solo una parte del vers. 16, ma i
vers. 15, 16 e 17 : eccovi quanto ci dicono.*“ 0 empio, non insidiar l’abi“ taccio del giusto, non guastare il suo ricetto. Perciocché il giusto cade sette
“ volte e si rileva ; ma gli empi ruinano nel male. Non rallegrarti, quando
“ il tuo nemico sarà caduto : e, quando egli sarà ruinato, il cuor tuo non ne
“ gioisca ”. Or voi avete troppa intelligenza per non vedere che, nel passaggio che ci occupa, non si tratta del cadere nel peccato, e in vece si parla
di mali a cui il giusto si trova esposto e di cui l’empio non deve rallegrarsi,
imperciocchè se il giusto soffre mali in gran numero, “ il Signore lo libererà
da tutti ” (Salmo 34. vers. 19), mentre l’empio è abbandonato neUa sua
aiHizione, senza dubbio perchè non s’è umiliato e non mostrò pentimento.
Che l’empio non dica allorquando vede l’uomo pio gemente sotto le prove;
“ il suo Dio l’abbandonò ”, porche Iddio mai non abbandona coloro che iti
Lui confidano e camminano nella dirittura. Egli nasconderà a loro qualche
volta la di Lui faccia, nello stante della indegnazione, ma ben presto avrà
pietà di essi per eterna benignità (Isaia 54. vers. 8), Ecco la promessa immutabile di Dio, ella si compie senza fallo a prò’ di chiunque non dubita
della fedeltà di Colui che la fece.
Come voi scorgete, caro signore, questa parola per la quale vi credete
autorizzato a non affiigervi dei vostri peccati, non rinchiude che una promessa di grazia fatta all’uomo pio per consolarlo nei giorni delle pene, cd
una terribile sentenza pronunciata contro gli operai d’iniquità per distoglierli, se sia possibile, dalla cattiva strada la di cui uscita è la morte.
Permettete che aggiunga un’argomento assai sempUco contro cui non
troverete, io spero, nulla a ridire. Che cosa vi parrebbe di una legge umana
la quale contenesse la clausula seguente : “ Benché tutti i sudditi dello Stato
sieno obligati d’osservare con perfetto rigore la presente legge, sotto pene
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le più severe, rimane tuttavia inteso che i migliori potranno senza inconvenienti trasgredirla sette volte al giorno, mentre i meno buoni ed i malvaggi non l’osserveranno che nella misura che ciascheduno di loro troverà
conveniente ? E se gli uomini, malvaggi come sono, giammai hanno immaginato simile assurdità, come oseremo noi attribuirla al Santo dei santi?
Senza dubbio, la parola di Dio s’indirizza all’uomo qual e, ossia, all’uomo
peccatore, concepito e nato nel peccato, il di cui cuore è frodolente e senza
speranza, maligno sopra ogni altra cosa (Salmo 51. vers. 5—lerem. 17. v. 9)
Certo, ella dichiara espressamente che , “ se noi diciamo che non v’è pec“cato in noi, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Facciamo Dio
“ bugiardo, e la sua,parola non è in noi ” (1. Giov. i. vera. 8, 10). Ma Iddio
vuole che gli uomini sieno per la di Lui grazia e pel suo Spirito ciò che
non sono per la natura loro : “ E metterò il mio Spirito dentro di voi e farò
“ che caminerete ne’ miei statuti, e ch’osserverete, e metterete ad effetto le
mie leggi ” (Ezech.‘36. vers. 27'. Questo non vuol dire di certo: Io vi permetto di trasgredirle impunemente sette volte al giorno. — “ Siate santi,
perciochè io sono santo ” (Levit. xix. vers. 2 — 1. Pietro i. verso 16), non
siguifìca già, — peccate sette volte al giorno — “ Non regni adunque,
“ sta egli ancora scritto, il peccato nel vostro corpo mortale, per ubbidirgli
“ neUe sue concupiscenze” (Rom. vi. vers. 12); “ ma ora essendo stati
“ francati dal peccato, e fatti servi a Dio, voi àvete il vostro frutto a san“ tificazione, ed alla fine vita eterna ” Rom. vi. vers. 22). Ora, chiunque
commette volontariamente il peccato sette volte al giorno non è francato, e
non per anco servo di Dio, ed i frutti ch’egli porta non sono ancora frutti
di santificazione.
Ma, se io voglio che voi leggiate la mia lettera sino alla fine, è tempo
ohe la finisca. Sono lungi daU’aver esaurito il soggetto che me l’ha dettata,
e soprattutto d’averlo trattato come io stesso avrei avuto desiderio. Oltre
al piacere che provai nell’intrattenermi seco voi, mi reputerei grandemente
felice se fossi riuscito a farvi almeno presentire che la Parola di Dio ci fu
data non già per addormentarvici sopra, anzi per risvegliarci, non per incoraggiar noi a vivere secondo le nostre concupiscenze carnali, ma per camminare, nel presente corrotto secolo, “ temperatamente, e giustamente, e
piamente” (Tito ii. vers. 12). ■
Credetemi, caro signore, il vostro affezion. P. L.
--- . ■ ■■ —
ANCORA L’EVANGELO A COURMAYEUR
Courmayeur 29 marzo 1858
Signore e fratello.
In una precedente mia lettera vi narrai come, mercè l’appoggio dell’autorità, ci fu concessa libera sepoltura di un nostro fratello nel campo
santo comune di Courmayeur. Questo accaduto fece gridar forte i preti
valdostani. L'Indépendant, quel fratello minore doli’Armonia, si sca-
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tenò, in due numeri consecutivi, non solo contro il sindaco e contro me, ma
ancora contro il nostro defunto fratello. Piamente insinuarono i redattori
del ruggiadoso giornale che il sig. D. era uomo da nulla, e che il sindaco
sig. Vuillier si era mostrato in questa circostanza indegno del tutto della
carica che copriva. Inquanto a me sono un’ “ audace harbetto ” “ l’uomo
nemico ecc. Sono di più inconseguente alle mie dottrine poiché, mentre
nego la necessità della preghiera per i morti, prego sovra una tomba. Inutile
di dirvi che anziché per i morti, io pregai per i vivi, e segnatamente per i
preti che ci calunniano. ,
Dal canto loro il curato ed il vicario di Courmayeur si sono aifrettati a
ribenedire il cimiterio stato profanato, facendovi forza fmnigazioni e gran
spreco di acqua santa, a segno di maravigliare gli stessi cattoKci romani
che trovarono tutto ciò assai comico.
Ma basta su questo argomento, che di ben altro mi tocca oggi di ragguagliarvi. I preti hanno tentato nei giorni scorsi, il supremo sfoi’zo aU’effetto
di abbattere la nascente nostra chiesa. Durante una missione accompagnata
da Giubileo, che durò dal 1. al 15 di marzo, otto ecclesiastici, scelti, dice
VImlépendant frai i più zelanti e più eloquenti della Diocesi, compirono, a
Courmayeur, una vera crociata anti-evangelica. Fin dai primi giorni dichiararono dal pulpito la loro persuasione, che prhna che avesse termine la missione, tutti gli Evangelici di Courmayeur, avrebbero fatto ritorno alla madre
chiesa.
Io non intendo di passare qui a rassegna le innumerevoli assm-dità di cui
regalarono i loro uditori: vi bastino, come cenno, le seguenti.
Ripeterono fino alla nausea, cho la religione evangelica non era più antica degli abeti dei loro monti : cosa verissima, qualora venga dimostrato che
quegli alberi annoverano 18 secoli di esistenza, come i divini documenti dai
quali attingiamo la nostra fede. D’altronde se è Yantichità uno dei segni ai
quali si riconosce la vera Chiesa di G. C., può ella giustamente pretendere
ad un tal titolo, quella chiesa che non più tardi del 1855 aggiungeva ufficialmente al suo sistema teologico il domma AeWimmacoìato concepimento ?
Certo, è questo il caso di diro cho gli abeti centinarii che a'^'volgono le falde
maestose del Monte-Bianco sono più vecchi di una siffatta religione !
Voi sapete che fino ad ora i teologi romani si sono limitati a dire che le
nostre bibbio sono monche, ed inesatte le nostre traduzioni... I missionarii Valdostani trovando troppo deboli tali asserzioni, dichiararono ai loro uditori
stupefatti, che il diavolo si trova nelle nostre bibbie, e che perciò conviene
bruciarle. Nei confessionali i preti niegarono l’assoluzione a tutti coloro
che, possedendo la sacra Scrittura, non la diedero loro nelle mani, o non
promisero solennemente di bruciarla, tornati a casa. Un confessore ebbe
su questo proposito, un alterco vivissimo con un giovane che ostinatamente rifiutava di bruciare la sua Bibbia, promettendo soltanto di sotterrarla : il prete poco soddisfatto di questa concessione gli negò l’assoluzione.
Onde convincere i suoi uditori che la Bibbia non era guida sicura per la
salvezza, un missionario narrò loro l’aneddoto seguente : Una donna squa-
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demando a caso il sacro volume, s’imbattè in certi passi che l'autorizzavano
a dominare sopra il marito; e d’aUora in poi pretcndette su di lui ad un’autorità assoluta. Ma ecco che i di lei figli alla lor volta rinvennero di quei
corti passi che li abilitavano a comandare essi in seno alla famiglia.... indi
dispute senza fine tra padre, madre e figliuoli!-^Io lascio a voi di supporre
l’ilarità destata nell’uditorio dal faceto narratore con questa storiella.
Due parole ora della carità di questi zelanti predicatori deU'Evangelo
di pace :
“ Dite male degli Evangelici, esclamava, un di loro nella sua predica; così
facendo, gioverete sempre alla religione cattolica ” — Un’altro, geloso di
superare il suo confratello soggiimgeva: “ Bisogna prendere la bava cd il
veleno che trovansi nella bocca delle vipere e spremerli nella bocca degli
evangelici ”1 Ed ardiscono tali uomini dirsi ministri di Gresù Cristo! E
quando fu che il nostro divin maestro diede simili precetti ai suoi discepoli ?
Sanno essi quei poveri sciagurati di che spirito sono animati?.....
Uno di questi predicatori, il sig. Lucas curato di S. Vincenzo, si distinse
colle sue furibonde declamazioni contro il Protestantesimo. Dotato di alta
statxu'a, di voce stentorea, cattivava più dei suoi colleghi l’attenzione del
suo uditorio, sovratutto colle sue sfide incessanti, ora ai ministri evangelici in genere, or a me specialmente. Per del tempo lasciai che mi
sfidasse a suo comodo. Il mio silenzio pare che accrescesse in lui ardire,
talché un giorno si mise a gridare come un vero frenetico: “ Venga, venga
quel ministro, basterà ima donnicciuola a confonderlo. ” Questa volta io
credetti di dover accettare il combattimento, ed in conseguenza gli mandai
la lettera che qui vi trascrivo :
Counnuyeur 11 marzo 1858.
Signore,
Ho sentito che da qualche giorno a questa p^te, EUa si vanta nelle sue predicazioni di volermi svergognare in pubblico Io accetto, con gioja, la di lei sfida, e mi
dichiaro pronto a raccogliere il guanto dalla S. V. gittatotìii. Se Ella è leale, come
voglio sperarlo, non rifiuterà una discussione che la S. V. stessa ha provocata. Nou
l’orgoglio mi spinge a domandarle una pubblica conferenza; ma sibbenc il desiderio
di far conoscere la verità a quei meschini che, forse senza sospettarlo, Ella caccia
lungi dal buon pastore, Gesù Cristo.
Se accetta la S. V. la mia proposta, come 'V'i si è implicitamente impegnata, provocandomi, sabato, o se Ella preferisce, domenica, all’ora della di Lei seconda funzione, noi discuteremo neUa chiesa di Courmayeur, e coram popuh, l'argomento del\ autorità in materia di fede, e del diritto che ha il popolo di leggere le Sacre Scritture.
Sono della S. V. umilissimo servidore
G. Ribet Min. del S. Ev.
Appena il sig. Lucas ebbe letto il mio scritto, che rivolgendosi all’individuo che glielo aveva recapitato, ed aspettava la risposta, lo afferrò al goletto
con ambe le mani, e fortemente scuotendolo: “ Come voi!., protestante!...
gridava a più non posso, .... voi!.....un padre di famiglia!.... ma avete pure
la faccia di un galant’uomo! ecc. ” In quel mentre giunsero gli altri missionari, ohe unite le loro invettive a (juelle del primo interlocutore, c parlando
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tutti ad un tempo, sbalordirono a tal segno il povero messo, ch’egli tornò
tutto tremante a farmi la risposta, che il sig. Lucas non accettava la discussione.
Tuttavia venne a trovarmi nel dopo pranzo il cui’ato di Courmayeur, per
parteciparmi che il curato TÌi S. Vincenzo non acconsentiva alla pubblica
discussione, ma che i missionarj avrebbero avuto caro di conversare con me
nella casa curiale. Egli per soprappiù mi accertava che, andandovi, non
sarei stato insultato. Io risposi che. sfidato in pubblico, in pubblico altresì
volevo discutere; poi soggiunsi; “ un’uomo che è deciso fin dal principio a
non- accettare discussione coi suoi awersarj, deve astenersi dallo sfidarli
al che mi fu risposto con molta ingenuità che si sarebbe seguitato lo stesso,
essendo ohhìigati di ciò fare. E come mi mostrava poco persuaso della bontà
di un tal procedimento, lo zelante curato passò aS altro argomento, e senza
molti ambagi, mi propose.....sapete che?.... nè più nè meno che di farhi
PRETE, promettendomi se avessi acconsentito, protezione ed ajuto per parte
di monsignore. A questa proposta, non potei trattenermi dal rivolgere a
quel tentatore alcune parole severe; gli dichiarai che se seguitava a disprezzare e bruciare la Parola di Dio, invece di ammaestrare secondo essa
il popolo, egli proverebbe un giorno l’effetto degli anatemi che questa parola che sussiste in eterno, e dietro la quale saremo tutti giudicati all’ultimo
giorno, denunzia ai suoi awersarj. Quel prete allora mi lasciò, non però
senza avermi detto ancora qualche amenità come questa; “ Gli Evangelici
di Courmayeur sono un pugno di canaglia]; converrebbe ammazzare tutti i
missionarj Evangelici. ”
Il termine della missione si avvicinava, ed .i preti non aveano ancora
raggiunto il loro scopo, che era di ricondurre i nostri amici nel grembo
della romana chiesa. Il curato andò allora a cercarli uno per uno, e pose in
opera tutti i mezzi onde guadagparli, adulando questi, abbracciando quelli,
poi quando si accorgeva che erano senza effetto le carezze, ricorrendo alle
invettive, facendo ogiri sforzo ed usando perfino di violenza onde strappar
loro i loro libri.
Le sue fatiche furono alla fin fine coronate di qualche successo. Due poveri braccianti, che frequentavano con sufficiente assiduità le nostre raunanze, si trovavano da qualche tempo in grandi strettezze, essendo loro per
tal motivo niegato ogni lavoro. La miseria più che l’eloquenza del curato
vinse questi meschini. Andarono a confessarsi; il prete diede loro qualche
moneta, e d’allora in poi essi trovano di bel nuovo da lavomre. I preti adunque, acciò questa gran missione non fosse senza risultato di sorta, hanno
comprato due individui; a questi la fantasia del redattore àeWIndépendant
ne aggiunse due altri che non esistono; e tutto gongolante per questo successo
dei suoi, il rugiadoso giornale, in tuono ispirato, così si rivolge agli abitanti di
Courmayeur; “ Rallegratevi, i vostri giorni di prova sono passati; ormai non
“ sarete più lo zimbello di uu pugno d’iUusi ed ignoranti che tentavano di
“ sedurvi o di corrompervi.... Gloria! onore ! ecc. E voi pm-e degno curato di
“ Courmayeui’... gloria! ecc. ” Canti VIndépendant, se così gli piace, i felici
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risultamenti della missione a Courmayeur; salga sul tripodio; mentisca anche secondo la sua consuetudine, asserendo, a modo d’esempio, che io sono
stato ridotto al silenzio in un dialogo (che non ebbe mai luogo), da un contadino ch’ei fa parlar latino, a me poco importa.
Per parte mia, mi dichiaro felice che la suddetta missione siasi compiuta,
poiché le assurdità senza nome che vennero spacciate dai predicatori di essa,
i furori, le millanterie, e sovratutto la codardia di un di loro hanno aperto
gli occhi di molti; e so di alcuni cattolici intelligenti e serj, che posti nel
bivio di decidersi tra l’assoluzione e la Bibbia, hanno scelto questa... Una
bufera ha soffiato sulla nascente nostra Chiesa, ma il Signore l’ha guardata
all'ombra delle sue ali.
Tutto vostro G. R.
ROMA E LONDRA
OPERA RECENTE DI DON MARGOTTI.
Nqp è nostro intento assumerci l'impresa di fare una piena ed esatta
analisi di questo piuttosto libello che libro, regalato, testé ai Cattolici romani dal grand'ierofante dell’A rmottia. Non mancano Inglesi ben fomiti di
cognizioni, esperti nella polemica, capaci di castigar daddovero il baldanzoso Teologo, che senza dubbio non studiò la materia da lui trattata, ma
prese da seconda mano le preziose richezze che cercò sfoggiare in Piemonte;
avrebbe alcuno voluto fargli un giuoco dandogli orpello per oro '¡’ Ove si
voglia consumare il tempo nello scrutinio di sì indigesta materia, il famigerato teologo si troverà in triste imbroglio per cagione di sua troppo infantile fiducia. Quanto a noi divisiamo voler restringerci iu limiti assai modesti, tra i quali però siamo certi di potere offrire tali mostre dell’ingenuità,
buona fede, e imparzialità del Don Margotti, ben sufficienti a far giudicare
del resto del suo lavoro.
Oggetti di sue collere sono la Stampa ed il Parlamento Inglese, dùe
instituzioni le più antipatiche al principal organo dell’A rmonia ; instituzioni antiromane in supremo grado ; il Parlamento se dipendesse da cotestoro dovrebbe esistere in nessun luogo, siccome parto del Protestantismo
come essi dicono; e quanto alla Stampa, non potendo esser distrutta affatto,
dovrebbe avere per legge in ogni tempo e luogo la censura e l’indice di
Roma ! Niuno si meravigli però del dispetto con cui Parlamento e Stampa
sono trattati da questo Deputato Subalpino, che non potè esser eletto se
non che nel più selvaggio e tenebroso angolo della Sardegna. Senza presumere saper a fondo i costumj inglesi, possiamo informare Don Margotti
che sbagUa assai quando intitola Baronetti i signori Layard e Gladstone :
per parlare di una nazione con un po’ di senno bisognerebbe almeno ini-
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ziarsi fi quello che in ispecial modo la coneerne. Trova egli ben temerario
che quei signori membri del Parlamento od altri abbiano attestato che i
ladri sono molti negli Stati Romani. Grida alla vile calunnia, come se per
molto tempo e ad ogni momento i giornali d’ogni colore non oi avessero
ristucchi, col racconto dei continui brigandaggi che fanno così temuti i
viaggi nell interno dei domiuj papali, a tal punto che cospicui viaggiatori
si videro presi come ostaggi e forzati a riscattarsi con vistose somme ?
Questa gi'an piaga è molto antica, e molti scritti esistono comprovanti che
i più gran malfattori vennero anche spesso a patti colle autorità, ed i più
scellerati ottennero dei posti ragguardevoli nella Polizia per vegliare i loro
antichi compagni e farli catturare. Questi fatti non sono solamente noti ma
celebri, ed in sì gran numero che gli annali giudiziarj degli Stati Romani
non hanno pari in simili mostruosità, gli Stati dei Papi potendo veramente
dirsi il Paradiso terrestre dei ladri ! Nardoni, il cui nome suona si celebre,
non è forse passato in virtù dei meriti della sua carriera di masnadiere ad
uno dei più onorifici impieghi neUa polizia Romana, e perfino nobilitato ?
Di questi fatti se ne potrebbero citare non pochi, ma ne prescindiamo, ormai
essendo divenuto volgare, a forza di esser provata, la verità storica che
niun governo anche il Turco è così mal amministrato, iniquo, arbitrario,
vituperato per ogni sorta di ribalderia, quanto il governo dei Papi. Tutte
le occupazioni straniere si sono invano sforzate di purgarlo dal brigandaggio
più sconcio che non lascia sicurezza alcuna e tanto moltiplica gli assasinii ;
i Francesi stessi che ora vi risiedono, non hanno riuscito ad estirpare i
malfattori che tanto vi abbondano e turbano in modo scandaloso la quiete
pubblica. Badi adunque Don Margotti di non toccare questa tesi, perchè
quello che si ritorcerà contro Roma farà arrossire, per intrepidi che siano,
gli adoratori di lei, con maggiore vivezza di colori che non ne abbia la porpora stessa dei suoi Cardinali.
Veniamo ora ad un altr’accusa non meno strana della precedente. L’orecchio del fiscale Teologo è offeso assai per troppo delicatezza dai nomi
che portano in Londra le contrade. Li trova pagani. Come! Roma ha schifo
di ogni qualunque apparenza di usi pagani ! Pur essa spalancò sempre le
porte alle costumanze pagane, a segno che il Cardinal Baronio pretende
aver essa il dii-itto di santificarle ogni qual volta le adotta. Ricordiamo a
Don Margotti la famosa bisaccia di Esopo ; quella che tien di dietro, la rovesci sul davanti, e vi troverà un mondo d’iguomiuie che non potrà facilmente giustificare per quanto sia indulgente. Non .si rammenta la Piazza
della Minerva a Roma, la chiesa di S. Mai-ia scypra Minerva, San Lorenzo
in Lucina, S. Maria di Ara Cceli, il Campo di Marte, e cento altri nomi simili ? Ritenga pure San Bacco, S. Eleuterio, Santa Bibiena, già appartenenti al Calendario Pagano, per i tempi della vendemmia,¿e quanti altri
ancora potremmo citare. Ma quello che dovrebbe fargli mettere le due mani
sul volto, e che si trova sulla gran porta stessa del famoso S. Pietro, perchè
nou lo ì icordò prima di lanciare le sue accuse ? Il mito il più osceno che
il Paganesimo conoscesse, ¡/li amori di Leda, si veggono distinti aH’entratQ
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della prima cattedrale romana del mondo! e dopo un tal fatto che non
aimiiette replica, incredibile se non fosse visibile ad ogni occhio, non resta
a Don Margotto ed a’ suoi pari che di sigillar le labbra nel cobuo della
confusione.
Non discenderemo fino a prender sul serio quel che spaccia sulle statue
di Wellington e di Nelson* il cui numero lo scandalizza, pretendendo che
ricevono una specie di culto! In verità dopo lo idolatrie al nome di Napoleone
cui il clero stesso Ilomano partecipò, havvi da maravigliarsi che l'entusiasmo
nazionale per due personaggi benemeriti, desti tanta gelosia; ma si odia
tutto quello eh e Inglese, mentre mille eccessi sarebbero anche canonizzati, se VInglese volesse una volta curvarsi alla pantofola Papale. Quanti
accommodamenti, se solo un punto fosse accettato, la Supremazia ! Ricordi
Don Margotto che niun più niega che la statua detta di S. Pietro, logora
dai baci di tante generazioiii, fu Giove stesso, già logoro dai baci di Padani
infiniti. E' un sogno ridicolo dello scrittore quello di pretendere che quelle
due statue Inglesi od altre ricevono altro che onori ordinarli a quante
statue di grand’uomini si tributano dai popoli i più moderati. Ma il dispetto
si fa sentire a proposito di queU’aria nazionale, Rule Britannia, che paragona egli alla vanità e boria degl’antichi Romani. Bisogna mordere qualche
cosa, e nulla spiace tanto, noi lo comprendiamo, quanto la potenza Britannica ; questa in verità è d’ostacolo a molte ambizioni di Roma Papale, che
quella inceppa ed umilia. Il cruccio e l’ira non sono senza ragione. Starebbe
in noi citar prove che in pieno Vaticano, Cardinali presenti e Papa, più
di un predicatore inculcò quel verso Virgiliano ; tu regere imjMrio popuìos,
Bomani, memento. Sia recitando il suo Breviario non si sovviene egli di
queste parole miste con astuzia a questa di Gesù “ e ti darò le chiavi del
regno dei cieli ” aggiungendo. “ Ed a te diedi, Pietro, tutti i regni del
mondo",(et tihi dedi, Petro, omnia regna mundi?) Ma non parliam d’orgoglio, troppo essendo indecente che Roma dia lezioni d’umiltìi ; contentiamoci di porre in luce due punti in fatto di morale, affinchè facciasi un
parallello tra gli Stati Cattolici e Protestanti. Il quadro seguente ci è fornito dai dotti, accurati, ed imparziali Bororing e Mittermaier, i quali presentano la statistica sopra le nascite illegitime e gli assassinii, approvata
dagli stessi Governi d’Europa. Le cifre sono più eloquenti che ogni discorso.
ASSASSINII
Inghilterra (Protestante) 4 per ciascun milione
Irlanda ( Romana-Cattolica) 45 idem
Belgio (idem) 18 idem
Francia (idem) 31 idem
Austria (idem) 3G idem
Bavleka (idem) 68 idem
Stati Sardi (idem) 20 idem
Lombardo-Veneto (idem) 45 idem
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La Toscana (idem) 42 idem
Stati Papali (idem) 100 idem
Sicilia (idem) 90 idem
Napoli (idem) 200 idem
Tutti sanno che tra i -Valdesi delle Valli flirti ed omicidj son quasi
nulli.
NASCITE ILLEGITIME
Londra (Protestante) 4 per cento abitanti
Bbusselles (Romana-Cattolica) 36 idem
Vienna (idem) .51 ‘ idem
Parigi (idem) 53 idem
Monaco (idem) 25 idem
Roma (idem) ... ......
I trovatelli in Roma, provengano da non maritati o maritati, e difficilmente
possano calcolarsi ; ciò ch’è certo si è che in ogni anno, neUa sola Roma, nel
periodo di dieci anni, se ne sono riconosciuti 3160 !! H misterio colà, a
questo riguardo, se si volesse scrutare a fondo, condurrebbe a risultati tali
da convincersi che l’immoralità nella Città Santa disorbita talmente tutte
le altre città profane, da poter dh'si senza esagerazione estrema e trascendente. Ma il già detto basti, benché vasta sia la materia. Il tema Londra e
Roma del Don Margotti è di una scelta imprudente, impolitica, e diremo
anche stravagante. Non pensò nella sua scelta a quel grand’assioma evangelico “ tu che cerchi la festuca nell’occhio altrui e non vedi la trave nel
tuo occhio, togli ipocrita dall’occhio tuo prima la trave e poi tu vedrai
chiaro per togliere dall’occhio altrui la festuca ”. L’avviso è savio perchè
Divino, e noi consigliamo di bea metterlo in pratica a chi se ne mostrò
tanto immemore.
AVVISO klAJARMONIA
La mancanza di spazio ci costringo a rimandare al numero venturo l’inserzione di un’ultima risposta del nostro amico, il sig. F., alle.ingiurie che
segue a scagliare contro di lui VArmonia a cagione del dotto di lui opuscolo: Impossibilità storica del viaggio di S. Pietro a Roma ecc. Diciamo
ultima, perchè troppa stima abbiamo per il sig. F., per non indurlo a cessare
da qualunque controversia con gente che si rispetta cosi poco, da sostituire a
sodi argomenti, le ingiurie più grossolane e sconvenienti.
Domenico Grosso gerente.
TOBINO — Tipografia CLAUDIANA, diretta da K. Tromlietta.