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LA BUONA NOVELLA
GIORNALE DELLA EVANGELIZZAZIONE ITALIANA
»»•(jiirndo 1* T.riià n.lU etri
Kkh. IV. li,
Sì distribuisce oyni Venerdi. — Per cadun Numer* ceulesimi 10. — Per caduna linea d’iiu«erzione ceotesinii 20.
Condizioni d*A«iioeiazione i
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per un aono, e lire 5 per sei mesi.
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franto n\ Itirctiore delia Bio'ia N«»v».lla e uou aUrimenU.
All calci-o, ai*eg»€mi»«diriz7.i: Losna*, dai nigu e C. librai, Brmera-Hlre-^t;
Parmìi, dallaHbrerraC. Meyruoi», me Tionclii*, v; Nimk«, dai Még. Pt-yivi-Tinel lil-i-mio; i.iKoe;
Uai MKK. Don»« ©i PelH Pierre libra», riie >finc, itj (»|Nt:vRA, dal i*ig. K. Heniud libiain
LoftAiOA, dai Rìg.'ìMafoniainelibraio.
Soniiiiarlo.
Esame istorico-critico sul viaggio di S. Pietro
a Roma. — Una pastorale non diversa da tante altre. — Due lettere di un capo-tribù affricano. — Notizie: Svezia - Turchia - ScuUri.
ESAME ISTORICO CRITICO
SUL VIAGGIO DI S. PIETRO A ROMA.
V.
(Vedi i i numeri antecedenti).
Per ben opporsi alla nostra argomentazione,
c per stabilire come una verità la presenza di
san Pietro a Roma, con iscopo di fondarvi una
Chiesa, la tradizione dovrebbe essere antichissima, chiarissima, minuta in tutte le sue particolarità, ed unanime.
Quindi investigìiiamo i primi archivii della
Chiesa cristiana per vedere se vi esista una
tale evidenza istorica. Le asserzioni de’ secoli
posteriori e di persone interessate, e che non
sono sosteQule da qualche testimonianza precedente, sono più che inutili, anzi sono nocive
alla causa per la quale s’invocano.
Gli scrittori cattolici romani dicono, ehe se
in tutta la Storia ecclesiastica vi sia un punto
meglio stabilito, 6 principalmente ii fatto che
san Pietro dimorava a Roma, e vi avesse governato la Chiesa per alcuni anni. Dicono pure
di poter provare essere ciò un fatto ¡storico,
mediante una non interrotta catena di pruove
che principia dai giorni degli aposloli medesimi. Gli scrittori su questo argomento sono
troppo numerosi, e perciò non possiamo menzionarli tutti in questo esame; nomineremo il
cardinale Baronio, Natale Alessandro, Foggino,
Dòllinger, il cardinale Cortesie e Gio. Battista
Palma, professore non ha guari di Storia ecclesiastica nel collegio della Propaganda a
Roma; e principiando con le prime autorità
cho adducono, esamineremo la testimonianza
che le loro parole ci forniscono, accordandole
sempre tutta l’importanza che di fatto meriti (l).
11 pih antico testimonio che producono è san
Clsmeittk di Ro.ua (A. D. 65), il cui nome è
(1) Non è che giusto di osservare in questo
luogo che molti eminenti Protestanti sono stati
deiravviso che san Pietro abbia visitato Roma ;
e tra gli altri si può enumerare Care. Hammond,
Ugsher, Grozio, Blondel, Basnage, Isacco Newton ed il vescovo Pearson.
menzionato da .san Paolo [FU., IV, 3), ed il
quale ò considerato generalmente esser stato il
terzo vescovo della Sede romana. Dicono che
egli testimonia chiaramente del fatto chft san
Pietro aveva fondato e governato la Chiesa di
Roma; e se k vero ch’egli abbia fatto una tale
testimonianza, la sua opinione 6 decisiva, e non
bisogna cercare altra prova; poichò Clemente
era uno scrittore contemporanco, e l’epistola
che a lui vien attribuita ò senza dubbio genuina
ed autentica. Ma diiTatti Io sue parole non contengono niente in quel genere; al contrario da
esse si può inferire piuttosto chc san Pietro non
predicò, come san Paolo, neH’Occidente. Clemente parla della persocuiifone subita dal popolo di Üio, e riferi.scc i cail d’AboIe, di Moisè,
di Uaviddoedi altri. Poi prosegue a dire: « Ma
€ per non ampliarci più sògli antichi esempi,
c passiamo a coloro che in questi ultimi giorni
« hanno lottato valorosamente per la fede: pi( gliamo i nobili esempi Mmln Vju
« invidia e gelosia le fedeli e piissime Colonne
«della Chiesa sono.state perseguitate anche
« sino ad una- morte terribile. Pietro per in« giusto zelo soffriva non uno o due, ma più
« travagli; e cosi avendo testimoniato fino alla
« morte, passò al luogo di gloria che gli era
« dovuto. Per invidia Paolo ottenne il premio
« della pazienza. Sette volte egli era in catene;
« fu flagellato, fu lapidato, Egli predicò e nel« l'Oriente e nell'Occidente, lasciando indietro
€ il glorioso racconto della sua fede. E così,
« arendo imegnato la giustizia a tutto il mont (io, e giunto agli ultimi con/ini dell'occidente,
* ei fu martirizzato per comando dei governa« tori, e trapassò da queslo mondo, e se n’andò
« al santo luogo, essendo divenuto sommo
c esempio di pazienza ». Ecco l'originale:
’AXXfva Twv ifyxion {/mSirfixàrun i:ocuav>iu6i,
IX6oiuv iitt toÌk ytvoyJvoui à6Xr,Toi<:. Aoifloijjttv
TÎjç yivtSç ri .ytwaia àmStiyiirra. Ati Ç^Xov
wtì ot xal Sixaiórorroi (miXot ISiió
y6r,aav, xatì Ìio« 9*vó-rou ^Xòov. «pò
iJLWv i.jjiwv tcIh; òyaQoùf ’AitOdróXw«. *0 lUtfOi
Siti ¡l^ov j$(xov oùy {va, oiSl Suo, àXXi TtXtiova^
tnnivtpctv itóvoui, x«'i oùn> |iÆpTufiT,<ia< iiroptuòr, t?ç
TÒv 4^uX(i;/ivov TÓTtov -t^ç Só^r,;. Ali ¡piXov xai 6
ilaüXoç Oimiiovìii ¡tpa^eìov (mtayty, imctxii
fopiacif w^aSaiOtU, Xt9aa9tU. Kìipu? Yivôtuvoç Ìv
Ti ¿vacToX^ xai Siini, tì Y<waìov ■rijî maruoi
otÙTOù xXtot; SiKmoawr,'/ îiSotîaç ?Xov rìiv xóa
(Aov, x«ì èrti -rè ripfia rrji ÌtunoK |X6ò», x«l fjuxpTupiiffac; M TWV f,younivti>v. ¿irriXXapi voìi xóa(iou,
xai e’ti; TÒv ii^ov tÓttov ¿xoprjòr;, uTroixov^ç ytyóntvoi
l^tTTx uTOYpotxjxix. Cle*. Rom., ad Cor., V. Che
prova del viaggio di san Pietro a Roma ci dà
questa citazione di .san Clemente? Assolutamente
niente. Di Roma non vi ft nemmeno un Cenno
Egli dice di non ampliarni sugli esempi
chi, afiln di giungere a quei « di qupsffnlKiAi
gitomi », c fa particolare menzione di Pietro c
Paolo, como avendo ambedue sofferto per invidia e gelosia. Di san Pietro non dico din pochissimo ; menlre di Paolo afTeriiia che kì;i.i
predicò e ni^ìVOriente e nnWOcr.idnìU., ch'egli
insegnò la giustizia a tutto il mondo, e giuftìiiinxino agli ultimi confini deU'OeHd^te. Può
darsi che ciò chè .san Clemente dico in que.oto
passo di san Paolo .sia dagli scritlori cattolici
romani stato riferito per ¡sbaglio a san Pielfo
in vece. Certamento, quando si trova che saii
Clemente parla di due indìvidu¡, e racconta di
uno wi« che ESSO abbia predicato e niAVOrienle.
e Deìì'Ocrùl^te, si può conchiudere cho abbia
voluto altríbu¡re quel fatto a queslo solamentb;
e senza dubbio ne vien «ottintesa l'idea che san
Paolo avesse fatto ciò che wos faceva san Pietro; e per conseguenza, che san Pietro non.
aneva mai riaggiato nell'Oreidente.
Bisogna ora ripetore ciò che abf>iamo già
detto, cioè che san Clemente ò il solo autore
che può esser stato tettimonio oculare della
presenza di san Pietro a Roma.
Queslo noslro pensiero, che veramonUj san
Pieiro non ha mai potuto visitare Roma ci vien
confermalo dalle parole di un discorso attribuito a san Gregorio Nazianzeno, che sembra
di limitare alla Giudea le fatiche di san Pietro.
« E vero, egli dice, io lo sono (forestiere), ma
« non lo erano anche gli apostoli? Non avete
t sentito dire san Paolo, acciocché noi an« doAKimo ni Gentili, ed e.s»i alla Circoncit sione, f Accordalo che la Giudea foxne il
« terreno di Pietro, che rapporto aveva Paolo
c coi Gentili, Luca con l’Acaia, Andrea col^Ep¡c ro, Giovanni con Efeso, Toma con le Indie,
€ e Marco con l’Italia, o, per non pih parti
< colarizzare, gli altri con coloro presso i quali
( hanno viaggialo? > (Giegorio Naziatizo,
33, 8, H;.
Per certo, la testimon¡anza del primo e p¡^^
antico testimonio non ci dà nulla a favore dell’idea che san Pietro avesse visitalo Roma; anzi
può considerarsi piuttosto che impHcatamente
lo’neghi. Passiamo ora a
SArrT’lGKAZio, il quale fu martirizzato circa
l’anno \ \ 6. (Pearsomi , Opuscola Lloyd apud
Pagi ad Baron. an. 109. Grabr ad.ictalgnatH.
Chevalier, p. XXXVll).
Egli dice : « lo scrivo alle Chiese_____io co
c mando a tulli; nou però come l’ietro c Paolo
< vi comando;.essi erano apostoli, io un uomo
2
« condannalo; essi liberi, io finora conservo, ecc.
Ecco l’originale;
’Rfò> fpatpo) t»Ti; EitxXriaiati;, IrcEWvoaat itSfftv....
Oùx wi risTpoi; xal llauXo; Siardamixict btMv. ’ExeTvoi
¿TwrcoXoi, Ifù xaxaxpiTOi;- ¿xeivoi iXeuOspoi, iyò) Sk
•xéypi vuv SouXoi. Ignatii k’pifit. ad limn., IV.
I^a prova in questo caso, come neH’altro, è nulla
in somma. Ignazio scrive allf Chifi.ie, non comandando loro come lo avessero potuto fare
Pietro e Paolo, i quali orano eminenti fra gli
apostoli, od avevano il dirilto di comandare a
tutti. Dico: « lo non son degno di esser para« gonato con loro » , e nullameno aggiunge :
« Io vi esorto in poche parole » (Bar., 8). 11
sanlo martire sceglie i due più rinomati fra gli
aposloli, i capi delle due parti, vale a dire, quello
dfll’apostolalo ai Gentili, e quello di quelli della
Circoncisione; e dice: « Non cerco di coman« darvi, como essi avrebbero saputo fare; ma
« vi prego di non impedirmi nel mio desiderio
« di soffrire martirio per il mio Divin Signore ».
(Jueslo ò il lutto che si può legiltimamente dedurre dalle sue parole, e ineertu noìi incertis
¡ìrobanlur. Ma daH’altra parlo, qnanto 6 significante ii silenzio del sanlo vescovo. Ei scrive
alle Chiese selle epistole, per dir loro addio. In
SEI PI ESSE FA speciale MENZIONE DEL LOR VESCOVO; ma scrivendo alla Chiesa di.Roma, ove,
secondo la teoria de’ cattolici romani, sedeva
in quel tempo il suo superiore ecclesiastico,
capo supremo e sommo reggitore di tutta la
Chiesa, a lui non manda nessun saluto, e nemmeno ne dice una parola, neppure fa il minimo
cenno della sua esistenza ! La differenza è mollo
notevole, e parla chiaramente contro qualunquesiasi supremazia o nM vescovo, o nella Chiesa di Roma. Veramente non si può credere in
nessun modo che alcun successore di san Pietro nell’universale governanza della Chiesa,
sia stato a Roma, e venga poi afTatto obliato in
quesla lettera di sanl’lgnazio. Ed egualmente
impossibile è il credere che san Pietro fosse
stalo messo a morte, e le sue spoglie venerate
in quella ftillà, senza che Ignazio si riferisca in
alcuna maniera a tali fatti. Andiamo al terzo
testimonio.
Papia, vescovo di Jerapoli, che, secondo Eusebio (che cita Ireneo), era stato discepolo di
san Giovanni (A. D. I !0).
Eusebio, (Istoria Eccles., Ili, 39,) fa una lunga descrizione di certe cose che Giovanni l’Anziano aveva delle circa Marco, interprete di
san Pietro; come quesli aveva dalo un racconto
dello parole e delle azioni del Nostro Signore,
a memoria di ciò che Pieiro usava raccontare.
Alla fine della sua narrazione Eusebio aggiunge:
« Questo è ciò che Papia disse di Marco ». Eu.sebio poi prosiegue: « Gli uditori di san Pietro
« con molte istanze pregaròno Marco, che fu
« compagno di Pietro e di cui possediamo un
« Vangelo, che lasciasse loro un memoriale in
« iscritto della dottrina cosi oralmente comuni« eato loro. Nè cessarono di sollecitarlo finché
« prevalsero, ed in quel modo essi divennero.
« i mezzi per cui noi possediamo quella storia
« che si chiama il Vangelo di san Marco ». Dicono pure cho l'apostolo Pietro, essendo perla
rivelazione dello Spirito, stalo accorto di ciò
chi» era stato fatto, egli fu pieno di gioia a ve
dere le zelo di quegli uomini, e che quella storia ottenne da lui autorità aifin di esser letta
nelle Chiese. Queslo racconto vien fatto da Clemente nel VI libro delle sue Istituzioni; eia sua
testimonianza .ò anche corroborata da quella
di Papia, vescovo di Jerapoli. Pietro fa menzione di Marco nella prima sua epistola; la
quale pure si dice ch’ei scrisse nella città di
Roma medesima, e che questo fatto egli stesso
dimostra chiamando la città, con una figura insolita, Babilonia. Dice: « La Chiesa che è in
Babilonia, eletta come voi, e Marco mio figliuolo, vi salutano ». ,(Pietro, V, 13. Eusebio, II, 15, pag. 53).
Eusebio è nello mani di tutti, e perciò non
ò necessario di citare l’intero passo doll’originale. E troppo ben conosciuto, e quindi non
temiamo possa essere contraddetto. Citeremo
quindi quelle parole solamente che mirano al
noslro argomento. Ev tt) Ttporepa tm<no\r^, T)v xai
ouvrajat ^laiiv EitouT»); Pwijitii;, te tout ’auxov,
TYIV TCoXtV Tp<n«XO)T£pOV Bx^uXbtva HpOdtlTtOVTa Sia TOOTov atmanTai &[toc; ev B«puXo)vt auvExXExnq xai Mapxo?6vio?;/.ou. Ilan torto di citare Papia como testimonio. Ei non dice neppur una parola sul
soggetto. E Eusebio che parla di un si dice dei
suoi giorni (¡paniv). « Si dice che in Roma Pie*
« tro scrisse la sua epistola ».
Valesio, il dotto editore di Eusebio, confessa
questa cosa. Le sue parole sono: « RuiTino in« lese questo siccome fosse stalo detto da Papia,
« e Musculo nella sua traduzione ha ripetuto
« lo stesso errore; ma queste parole debbono
« essere tenute distintissime dalle precedenti,
« come trovo è stato accuratamente fatto da
« san Girolamo e Niceforo ». Il padre Dupin
dice: « Alcuni han creduto ohe Papia e Cle« mente erano di queslo parere, ma non è su
« quel punto cbe Eusebio li cita ». II fatto per
cui Papia e Clemente testificarono si fn ohe il
Vangelo di san Marco era scritto a dimanda
degli uditori di san Pieiro. Eu.sebio vi aggiunge un si dice, una mera voce del suo tempo,
che la prima epistola di san Pietro fosse stata
scritta da Roma. Si potrebbe mettere questo
testimonio subito fuori del tribunale, come di
nessun valore ; Ma è utile esaminare il fondamento della toce raccontata da Eusebio. I migliori scritlori cattolici romani trattano la tradizione sopraddetta con supremo disprezzo. Le
parole di Dupin sono queste: La prima epistola
« di san Pieiro era scritta in Babilonia. Alcuni
« hanno avuto l'opinione cho sotto quel nome
« fosse sottintesa Roma; ma questa interpretat ziono è poco naturale. Non si può precisa« mento dire l’epoca nella quale fu scritta, ma
« si può dire per certo cho fu scritta in Babi« Ionia circa l’anno 43 » (Dlpi.n, Prelim. DLfsertal.).
Pietro de Marca, arcivescovo di Parigi, dico:
t San Pietro se n’andò in Antiochia e di là in
* Babilonia, ove dimorava il patriarca eredi« tario della prima dispersione de’Giudei. Sla« bilito che fu in quella cillà, ei scrisse la sua
* prima lettera, com’è evidente dalle paro« le — la Chiesa in Babilonia ri saluta — »
(De Marca, De Concordia Sac. et hnp., lib VI,
cap. 1), Valesio medesimo prova che san Pietro era stato sempre nella Giudea o nella Siria
sino alla morte di Erode Agrippa, che succedette l’anno quarto di Claudio ; e che perciò
era del tutto impossibile che avesse potuto scrivere la sua prima lettera da Roma, nell’anno i5 dell’èra cristiana. San Pietro stesso cì
dice [cap. V, 12) che la sua epistola fu portala
da Silvano ai Santi pe’ quali era scritta. Ora,
se seguiamo la storia di san Luca, negli Atti
degli aposloli, troviamo che Silvano fu compagno di san Paolo nei suoi viaggi molle centinaia di leghe distante da Roma, fino all’anno 5i: cosicché a quell’epoca gli sarebbe stalo
impossibile d’aver preso la lettera di san Pieiro
da Roma a Ponto. Oltracciò, i termini stessi
che l'apostolo adopera nel primo versetto dell’epistola ci fanno credere che le persone alle
quali fu indirizzata dimorassero nelle provincie
adiacenti; perchè ciò può essere, considerata la
significazione della parola icotpa in TtapamSiiiAoti;
vale a dire, ch’es.se stavano contigue al luogo
donde l'apostolo scriveva. « Il fallo che non fa
« mica menzione della capitale stessa, dimo« stra cho san Pieiro stava scrivendo da quella
« città alle provincie circonvicine ».
M. Ellendorf, dotto cattolico romano, giudica dall’ordine dell’indirizzo della prima lettera stessa cbe san Pieiro l’avesse scritta da
qualche sito piti vicino a Ponto che a Bitinia.
[Ist Petrus in ìtom und Bischof der römischen
Kirche gewesen?) Eine historish-kritishe Unter suchuns ron. Ellendorf].
E si può osservare in oltre che quando san
Pietro disse: « La Chiesa che è in Babilonia vi
saluta », voleva informare coloro a cui scriveva
ove egli fosse, secondo l’usanza e stile di corrispondenza epistolare ; cosa impossibile, se
con la parola Babilonia voleva intendere Roma.
A quell’epoca Roma non era conosciuta sotto
il nome di Babilonia, Jieìnmeno lo poteva essere, poich? nessuno scrittore l’areva rosi disegnata. È vero che san Giovanni 50 anni più
tardi parlò di una città mistica »otto quell’appcllarione; ma questi scrisse profeticamente,
ed adoperò figure e simboli aiRne di spiegare
cose future. Tutte quanto le profezie sono piene
di figure e di simboli secondo il Disegno di
,Dio che vi dovessero essere misteri nascosti
siuo ad un certo tempo. Per le letlere, all’opposto, è necessario uno stile semplice e chiaro,
e specialmenle nelle lor date ed indirizzi. Quindi non è verosimile che l’apostolo avesse parlato di Roma sotto la figura di Babilonia. Ciò
safebbe stato incomprensibile per i suoi lettori.
E per qual ragiono avrebb’egli potuto temere
di dire Roma, se da Roma medesima scrivesse
la sua lettera ? San Paolo per certo non era
tanto guardingo ; e pare incredibile che san
Pietro, scrivendo sui precotti o doveri del V’^angelo, avesse adoperato tipi e figure in tal guisa
da poter far uso della parola che ora consideriamo. Invero è una cosa molto pfobabile che
la parola rj auvtx)^-/; si riferisse a sua moglie,
e non alla Chiesa; e che con le parole & mo? uw
volesse significare suo proprio figlio, e che non
pariasse figurativamente; poiché in questo ca.so
pi ù probabilmente l’apostolo avrebbe dello TExvov,
come dice san Paolo in (1* Tm., I, 2). Comunque ciò sia, non vi è qualsiasi prova che sau
Pietro scrivesse questa lettera in Roma. Buse-
3
bio non lo dà come un fatto, ma piuttosto come
nna supposizione. Non cita punto autorità nè
dà mica ragioni. Lo stesso fa san Girolamo,
quando ripete la tradizione riportata da Eusebio. La maniera in cui san Pietro racconta agli
altri apostoli come aveva predicato ai Gentili ;
il suo patto con Paolo e Barnaba; la sua originaria missione alle pecore smarrite della Casa
d’Israel; e la rinnovazione di quella carica dopo
la sua caduta, allorché gli venne comandato di
pascere le pecore e gli agnelli : tutte queste
cose mostrano chiaramente che san Pietro si
credeva esser chiamato di predicare ai Giudei.
Ove dunque si aspetterebbe di trovarlo facendo
quel suo dovere? Ove, se non prima a Gerusalemme, e poi quando ne fu scacciato per le
persecuzioni, o tratto fuori per altri doveri, in
quelle parti dove si trovavano principalmente
i dispersi della sua nazione, cioè in Babilonia?
Senza dubbio si sarebbe recato là, essendo mandato via dalla Giudea ; e xosì lo troviamo che
scrive la sua prima lettera da Babilonia ai Giudei delle provincie circonvicine, e che comincia
l’indirizzo con quella più vicina, cioè Ponto; e
poi aggiunge Galazia, Cappadocia, Asia e Bitinia, Nè si può veramente intendere perchè,
.se san Pietro fosse a Roma, avesse voluto indirizzarsi ad una gente affatto sconosciuta da
lui, ehe abitava a tre mila miglia distante ; e
che ancora si fosse indirizzato ad essa in nn ordine inverso, principiando con quel sito che
era più lontano da lui. Ora però egli è quasi
generalmente ammesso da’ cattolici romani, in
accordo coi protestanti, che san Pietro infalto
scrivesse la sua prima epistola da Babilonia in
Caldea. Ma vi è ancora un'altra epistola del
medesimo apostolo, e pochi negheranno certamente che essa fosse scritta dallo stesso luogo come la prima, e da lui spedila alle stesse
contigue Chiese, non molto avanti rhe fosse
spogliato del suo tabernacolo mortale 2* Piet.,
I, 14). Se dunque la sua prima lettera fu scritta
da Babilonia in Caldea, nessuno può dire che
la seconda, indirizzata pure alle stesse persone,
fosse scritta da Roma! Davvero, nessuno oserebbe metter fuori una tale supposizione se non
per sostenere una causa altrimenti disperata !
Ma se ambedue queste epistole fossero scritte
da Babilonia in Caldea, siccome l’apostolo nella
seconda parla della sua morte come fra breve
da succedere, é moralmente certo che egli fu
crocifisso a Babilonia, e non a Roma ; e che
le favole comunemente credute in un secolo
posteriore circa il suo viaggio a Roma e Ja sua
disputa con Simone Mago, ecc., sono state tutte
quante invenzioni dei tempi posteriori, e di
uomini interessati per .sostenere la pretesa autorità della Sede romana.
Nella prossima settimana continueremo l’esame della tradizione. F.
m PASTOR.\LE m D1VERS.\ D.4 T.IME ALTRE
I vescovi della Chiesa romana sono simili e
coerenti a loro stessi dovunque abbiano influenza
e dominio. Il Dr. Cullen, primate della chiesa
d Trlanda, nella sua pastorale in occasione della
attuale Quaresima, ha fatto un'allusione allim
moralità o irreligiosa condotta della classo dei
lavoranti inglesi, persuaso che siccome, secondo
lui non avvi salvazione che nella Chiesa romana, cosi non vi sia religiosa credenza nemmeno fuori della medesima. Quesla taccia offensiva di una gran parte del popolo d’Inghilterra
ha provocato un’acerrima risposta a nome del
popolo stesso otfeso, che si legge nel ChristianTimes, giornale politico-religioso settimanale. Xoi
non vogliamo riferire le forti e risentite parole
che l’articolo contiene; parole d’altronde ben
meritate ; poiché ognuno conosce come maneggino la lingua coloro che dalla toga e dalla stola
?i appellano. Solo ci piace di riportare la statistica che in prova delle sue asserzioni l'articolo
del Christian-Timcs ci nota'nelle sue stesse parole.
Là popolazione della Gran Bretagna, secondo il
censo del 18.51 era in Inghilterra propria di
16,921,888. Nel Wales (o paese di Galles), era di
1,005,721. In tutto 17,9^,609. La popolazione
della Scozia era di 2,888.742. Sicché tutla la popolazione della Gran Bretagna era di 20,816,,‘351.
La popolazione d’Irlanda per lo stesso censo era
di 6.5.51,970.
Da ciò apparisce che vi erano 16 persone nella
Gran Bretagna per ogni cinque in Irlanda. Ora
se la moral condizione dei due paesi fosse precisamente la stessa, il computo parlamentale dei
delitti dovrebbe mostrare, che per ogni'sodici
rei della Gran Bretagna ve ne dovessero essere
cinque dell'lrlanda. Che cosa mostrano i computi annuali dei delitti e dei delittuosi? Si risponderà riportandoci aU’importante documento
nel Direttorio di Tommaso (Thom’s directory),
per il 18.55 pag. 135. Ivi si riportano i delitti
commessi nell'anno 1853 con i seguenti risultati.
Il numero delle persone arrestate per delitti, furono nella Gran Bretagna 30,813. in Irlanda
15,144, mentre data la proporzione del popolo,
avrebbero dovuto essere solo 9,629. Riguardando
un poco più dappresso queste cifre onde meglio
accertarci del grado del male e del numero dei
delinquenti, troveremo che il numero delle più
gravi offese contro le persone e contro le proprietà con violenza nella Gran Bretagna fu di
5,296, essendo 3,796 in Inghilterra e paese di
Galles, e di 1,500 in Iscozia. Per giusta proporzione in Irlanda dovrebbe essere di 1,656; ma
invece si trova essere stato di 3,826, il che supera il numero di simili delinquenti della Gran
Bretagna e del paese di Galles. Innoltriamoci un
passo ancora di più. Di rado la legge procede
alla sentenza capitale. Tutte le esecuzioni capitali, si in Inghilterra che in Iscozia, non furono
che nove nello stesso anno, come pure nove furono le esecuzioni capitali in Irlanda. Finalmente
lo scrittore dell’articolo in quistione finisce colle
seguenti parole: « Non possiamo ricoprire l'enormità del male sociale che esiste nel nostro
paese ; ma al tempo stesso dobbiamo insistere
nel riguardare la quantità di bene incomparabilmente maggiore di cui siamo ricolmi. E sarebbe
una nera ingratitudine verso di Lui, da cui procede ogni bene di non notare ancor» il fatto, che
malgrado l’emigrazione irlandese in Inghilterra,
la frequenza dei Francesi, l'aggressione (chiamasi
con questo nome la divisione dell’Inghilterra,
fatta in tante diocesi da! Papa) italiana, e il mormonismo americano, lo stato sociale d'Inghilterra è grandemente miglioralo dall ultimo secolo
in poi ».
Sia detto con buona pace dello scrittore di
quest’articolo,Jma egli tralascia di osservare che
i delitti stessi dell’Inghilterra sono in gran
parte commessi dagli -Irlandesi. Le contee
limitrofe allTrlanda sono invase da una molti
tudine di plebaglia di quell'isola, che formano'
poi la classo pii\ bisognosa delle grandi città di
Liverpool, Manchester e Londra. Ivi giungono
uomini , donne , ragazzi e fanciulle semi-nudi,
scarmigliati , senza cappello e senza scarpe, si
rifugiano subito alla casa di lavoro, o souo ricevuti, lavati, puliti e mantenuti per tre giorni. Poi
si spargono per la città n gli uomini robusti si
pongono a fare le opere più faticoso e più triviali, lo donne o ragazze cercano servizio nelle
famiglie de’ piccoli mercanti od artigiani, e se
non deformi riempiono i postriboli più abietti
della contrada. Costoro formano l'infima classe
del popolo inglese, tanto proclive all’ubriachczza
cd al delitto. Poiché dorè non avvi sviluppo di
ragione ivi sono le passioni, ed accanto a loro
stanno ijdelitti. Costoro son pure quelli che popolano le chiese cattoliche deH’Inghilterra, ed affezionatissimi’ai loro vescovi ed al loro papa; sono
acerrimi nemici del nome italiano. Tentarono
nel 18.52 di turbare la quiete de’poveri rifugiali,
provocandoli alle rizze od al sangue. Ma la prova
riuscendo a poco loro vantaggio, i preti s’intromesscro nella faccenda, e tosto da ogni tiltcriore
insulto cessarono. Kd in verità essi sono poveri
cicchi più da compiangersi che da vituperarsi.
Le.loro idee limitate, le loro speranze, le loro
ispirazioni tutte dai proti dipendono ; cd i loro
giornali venduti tutti allo stesso partito pretesco, mentre vituperano le liberali istitu;;ioni dovunque si trovano, magnificano il ceto ecclesiastico, e l'esaltano al maggior grado di perfeziono
e virtù. Nemici naturali degl’inglesi, ne invidiano
le ricchezze e la potenza, e piultoslo che coltivare le loro campagne che sono fecondissime,
vanno in America, ed accrescono il numero di
quegli avventurieri, pronti ad ogni azione improba e perigliosa. Questo è il popolo eletto
(come i vescovi irlande.^i dicono nelle loro pastorali c giornali) della Chiesa cattolica romana,
fedele ai loro pastori ed al loro capo che é il
papa; il quale venerano però solo nei pranzi bevendo per il primo alla sua salute. P.
DIE lEITERE 1)1 l\ C-VPO-TRIBC’ ,\ÌR1C.«0
I clericali col mezzo dei loro periodici, onde
vituperare i cristiani evangelici, fra le menzogne
sfringuellano anche questa ; che i missionari
fanno opera vana, che nelle stazioni dove st recano, cercano il riposo, gli agi e la pace in seno
alle proprie famiglie, senza mai esporsi ai patimenti e pericoli, come si espongono i missionaci
romani, di cui ne esaltano le opere e i frutti. Nonabbiamo ora l’intenzione d’instituire unconfronto
in proposito, tanto più che desso risulta, si può
dire, quotidianamente dagli estratti do’ giornali
delle nostre missioni.
Tuttavia non crediamo superfluo mostrare in
breve ed appoggiati sovra principii fondamentali
come sia invece l’istituzione romana de propaganda fitle un’opera, i di cui effetti nou possonocorrispondere alla grandezza del nome. E perchè
non possono corrispondere? — L'ufficio sacerdotale delle missioni è ad un tempo religioso e civile, perché la luce del vero nel cuore degli individui- suscita la fede e nella comunanza de^i
uomini vi arreca la civiltà. Ora, come soltanto
religioso, l’ufficio non può riuscire proficuo, se
non è praticato secondo l’altezza della materia
su cui versa, o in altro termine la religione noa
è in grado di mostrarsi veneranda e credibile senon è predicata in modo consentaneo alla su»
grandezza; ma il papato l’ha resa meschina, ri-
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dicola e tresca secolare e politica; dunque è impossibile che i missionari di Roma ottengano
buoni e durevoli risultamenti, e che la luce della
verità sfolgori in tutta la sua purezza. Come ufficio civile, il sacerdozio delle missioni deve cogli stessi spiriti evangelici giungere a frenare
l’abuso della forza, ed introdurvi la benivoglienza
e la pace; ma il papato oltre d'àvere ripudiata la
Bibbia per sè e per gli altri, abbracciò il sistema
della frode e della violenza e s’ammogliò col
dispotismo politico ; dunque i propagandisti di
Roma hanno mal garbo a pretendere di essere i
civilizzatori del mondo.
Ciò premesso, i clericali, purché vogliano riconoscere la verità, da quanto siamo per riferire,
troveranno una solenne testimonianza recente
dei frutti riportati da'missionari evangelici presso
popoli feroci.
Ecco in qual modo l’Espérance annunzia le due
letlere che leggonsi più sotto. « Alcuni de’ no«
« stri lettori sanno già che il Comitato della So« cietà delle Missioni evangeliche ha richiamato,
c dal sud dell’Africa a Parigi, il sig. E. Casalis,
< che, dopo 23 anni di ministero a Thaba-Bos« siou, nel paese dei Bassutos, ritorna in patria
« onde cooperare alla direzione della casa delle
a Missioni, che sta per riaprirsi. Cotesto niissio« nario dovette abbandonare le stazioni francesi,
« stabilite nella contrada del capo Mosheh, ver« so la fine del mese di settembre ultimo; è atte« so a Parigi entro il mese corrente di marzo.
« Tale partenza, che gli indigeni erano lontani
« dal prevedere, mostrò il profondo attaccamento
« che portavano al missionario loro, e nel mede« simo tempo l’influenza potente ch’egli aveva
« nel paese. Dacché la notizia della di lui part tenza si diffuse, da tutte parti la moltitudine
« accorse onde prendere congedo ; durante pa« recchi giorni vi furono lagrime, gemiti, lamea« ti. Mio padre, mio padre, tu vuoi dunque lasciar« ci! Era cotesto il grido di dolore ch’usciva da
« ogni labbro. Nelle pubbliche assemblee, sia
« nazionali, sia religiose, dove il missionario
< espresse l’addio, l’emozione è stata al colmo,
« e non sempre si potè chiudere la riunione colla
« preghiera, a motivo de’ singhiozzi degli assidi stonti. In mezzo a questo unanime concerto
« di cordogli, il capo Mosheh non era nè il meno
« commosso, nè il meno afflitto. Per dare al si« gnor Casalis una visibile testimonianza del suo
« attaccamento e della sua riconoscenza, gli con« segnò lo scudo e la lancia di cui si era servito,
« sin dalla giovinezza, nei combattimenti, dicen« dogli che le dette armi gli rammenterebbero
« essere stato egli (Casalis] lo scudo e il difeii€ sore della di lui tribù.
« In oltre, gli scrisse uua lettera particolare,
« ed altra ne diresse al Comitato della Società
« delle Missioni evangeliche di Parigi: entrambe
« mostrano come quel capo africano abbia saputo
« apprezzare il carattere del sig. Casalis, quale
« cristiano; il suo ministero qual missionario; e
• i distinti servigi, quale amico, resi alla tribù
€ in critiche circostanze. Ecco le due lettere; la
« prima porta il sigillo del capo colla seguente
« iscrizione, scolpita in giro e nel mezzo di due
« rami d’olivo \ Io, re dt’ Bassutos, ciò affermo.
« Siam debitori della seconda alla gentilezza del
« sig. T. Arbousset, che l’ha sottratta alla cor« rispondenza del suo amico, mPrimo furto, egli
« 01 scrive, eotnmetso in «ita mia », che ciascuno
€ di noi gli perdonerà di certo.
« Leggendo queste lettere è bene ricordarsi
« che quegli che le scrisse, 25 anni fa, era un
'« capo barbaro, così poco illuminato del cristia« nesimo e della civiltà, che aveva spedito alla
« città del Cap una mandra di buoi, destinata a
« pagare il prezzo d'un missionario che la sua
« gente era incaricata di condurgli ».
Letterale vertiòne delia lettera scritta da un figlio
del capo Mosheh, dettata dot padre e rivestita del
sigillo della tribù.
« Th.iba-Bossiou, 18 seltcìnbre 1855.
« Al PADRI de’ missionari FRANCESI.
« Miei Padroni !
« Io domaMdo il permesso di dirvi, ma senza
esser lungo, ciò che penso, udendo dal mio missionario che lo avete richiamato. Ed ora io piango, insieme a’ figli miei, peroh’è l’institutore dei
miei negri. Sebbene arrivando m’abbia trovato
uomo fatto, i miei figli aggrandiscono sotto le
sue cure. Riguardo alla mia tribù, questo missionario è uu padre, in quanto che le ha annunziato le parole della vita eterna, con molta forza
ed estremo zelo, con voce che noi tutti comprendiamo, nel linguaggio de' nostri padri, còme se
non avesse appartenuto ad un popolo straniero.
Egli non s’è mai lasciato scoraggiare dalle fatiche e dalle difficoltà nell’opera che Iddio lo aveva inviato a fare. Mentre con una mauo la faceva, coll’altra proteggeva la città e l’intero mio
paese. Il sig. Casalis fu d'aiuto in tutte cose tra
i figli di Lessuto. fi un vero Mokuéna: egli ha
presieduto alla fondazione delle nostre città e
fugato le guerre dal seno loro. D’ora in poi io
mi vedrò in preda alle nazioni, me e i miei figli.
Una volta abbandonato dalla madre (*) de’ miei
figli, io vo’ ad esser privo, al pari de’ figli suoi,
di un uomo che ci aiuta negli affari nostri; poich’egli nulla obliava di ciò che potea procurare
la pace di tutti. Nelle prove pur anco vi si è trovato, quando ci siam battuti contro coloro che
volevano toglierci il nostro paese. Sebbene non
abbia pugnato colla zagaglia, ha pugnato colla
mano, cioè con carta ed inchiostro. Ecco l’uomo
che ci lascia per ritornarsene fra voi, uomini onorevoli di Francia, che sapete cosi bene scegliere
un uomo veramente uomo. La mia confidenza è
questa, che avendomi accordato aiuto senza conoscermi, voi me ne accorderete di più ora che
mi conoscete. Padri ! I missionarii sono ancora
assai necessarii fra noi. Molti nella tribù nulla
hanno fin qui udito. Mandateci l'istruzione. Orsù,
io vi prego di procurarmi ciò che voi crederete
proprio a farmi piacere. Avendovi chiesto ciò
che può essermi buono e convenevole, io non
ho più altro a dirvi. Confido che mi procurerete
ciò di cui abbisogno.
€ Credete che sono vostro servitore
« Segnato Mosheh. »
Contrassegnata da Letsiè, Molasso, Mayara, David, suoi figli; Job, Mopili, suoi
fratelli; Mofuka, suo nipote; Lesasana,
suo genero; e Giosuè Makoaniane e Mareka, due da' suoi consiglieri.
Certificata conforme in tutto all’originale.
T. Arbottsset.
Morija, 49 settembre 1855.
(•) Allusione alla morte della regina Mammagalon, per cui
il Casalis è qui rappresentato quale facente le di lei veci presso
i figli ch’ella ha lasciato. T. A.
Versione della lettera particolare di Mosheh al
sig. Casalis.
« Al mio Missionario..
« Ah! mio mis'sionario, io sono Mosheh; delle
nuove dolorose mi sono recate: i Pastori francesi
vi hanno detto di ritornare presso di lorol To
verso molto pianto che mi turba quasi lo spirito; imperciocché, o Casalis, voi siete il mio institutore, il mio padre, la mia madre, lo scudo
mercè il quale ho parato quanto mi sopravenne
di tormentoso. Inoltre voi siete stato la mia lampaua, le mie orecchie e i miei piedi. Ci avete detto
il buono e il vero ; non siete punto in fallo.
Siete un vero Mossouto, uno de’ nostri. Come
ci consoleremo noi? Ah ! le lagrime cessate, potessimo essere incoraggiati vedendo i frutti del
vostro ritorno ! Ho riposta la mia confidenza in
voi; spero che, per riparare alla mia perdita, voi
c’invierete molti clipei fmolti missionari), e che
i vostri superiori acconsentiranno a che il bene
e il vero ci sieno portati e moltiplicati. Andate
in pace; noi restiamo nelle lagrime. Dio vi riconduca e vi guardi ! Regate altresì Iddio per noi.
Ecco ciò che vi dico, io, i miei figli, i miei consiglieri e tutta la tribù.
c Segnato Moshbh.
« Thaba-Bossiou, settenib[e 1855 ». O.
!«• « TT Jt 5K * JE
Svezia. —Un’artista cristiana. — Tutti sanno
che la svedese Jenny Lind (signora Goldschmidt)
è un’artista, un’illustre cantante; ma tutti non
sanno ch’ella è cristiana, ed è bene il dirlo. A
Kissingen (Baviera), dove sonvi delle acque minerali assai rinomate, esiste altresi una piccola
comunità evangelica. Cotesta comunità manca
di scuola. La signora Lind le ha di recente inviato la somma di 1000 fiorini, « per riconoscenza a Dio (ella scrive) di ciò che abbiamo tro vaio pel nostro corpo e per l’anima nostra, il min
caro marito ed io, alle acque di Kissingen ».
[L’Espérance]
Turchia. — Fra le riforme importantissime
dalla Sublime Porta decretate in questi ultimi
tempi hassi da annoverare. 1“ L’uguaglianza dei •
culti. 2“ La soppressione delle pene stabilite contro coloro che cangiano di religione. 3” L'ammessione dei Cristiani alle cariche del governo
ed a tutti i gradi militari. 4” La rappresentanza
dei Cristiani nel Consiglio di Stato. Nelle quali
riforme è facile di scorgere una intiera rivoluzione, ed un primo gran bene che Iddio avrà
fatto risultare dai mali della guerra.
Scutari — Il rev. Blackwood scrive in data
del 3 gennaio; « Scutari tende a diventare sempfe più, di giorno in giorno, colonia inglese.
Non solamente soldati, ma persone di condizione
civile vi si accasano colle loro mogli e figli; ed
è permesso dubitare che la razza anglo-sassone
debba abbandonare cotesta terra, i morti vi presero stanza i primi, ora i viventi vi mettono radice. Abbiamo stabilito una scuola pei soldati, e
le signore che assistono nell’ospedale fondarono
altresì una scuola di fanciulli. Altra scuola, per
la domenica, è pure aperta. Certo numero di Giudei residenti a Kertoh sono stati, dopo la presa
di questa città, trasferiti a Pera sopra vascelli '
inglesi, e i loro figli, in numero di 25, vennero
raccolti in una scuola ».
CiroMMo Domenico Kerente.