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ECO
DELLE VALLI VALDESI
Past. TACCIA Alberto
10060 ANOROGNA
Sellimanale
della Chiesa Valdese
1 Anno 99 - iWan, 49 ilVAMTÌNTT f Eco; L, 2.500 per l’iiiterno I Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70 1 TORRE PELLICE - i2 Dicembre 1969
1 Una copia Lire 60 [ L. 3.500 per Testerò | Cambio di indirizzo Lire 50 1 Amm.: Via Cavour 1 - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
Perchè la mia piaga
ricusa di guarire?
(Geremia 15)
Mai visto un caos del genere di
quello che ci capita di vivere; il
dolore e le piaghe della povera
gente si accrescono quotidianamente. Ma queste realtà sono manipolate, utilizzate con spregiudicatezza da chi sul dolore e le piaghe degli,altri ci vive. E qualun-.
que proposta, ogni soluzione sono
demolite: siamo alla mercé di
gente che sa cosa non vuole, ma
non sa cosa vuole.
Ma noi « cristiani » sappiamo
cosa vogliamo e non vogliamo?
non è forse proprio in questo —
nel disimpegno, nel disarmo della
comunità credente — una delle
cause della situazione d’oggi?
È facile dire: la società è mutata profondamente, la fede cristiana è messa in crisi da una nuova
civiltà. È fare del vittimismo giustificativo; è rifiutare alla radice
l’Evangelo, che è richiamo a autocritica, confessione e ravvedimento. Oggi una predicazione profetica dell'Evangelo vuol essere anche riconoscimento di essere la
causa di molli mali, e richiamo deI ISO a ti a Cristo, a separare
I IO eh
.:ì:uì della nostra società
l i lana » o cristianizzata
e) ricusa di guarire perché
mi. gli affamati e assetati
di giustizia. 1 perseguitati)-i paci*
lici nelle nostre chiese trovano
soprattutto diffidenza e indifferenza. Noi cantiamo la grandezza dell'incarnazione di Cristo, ma dimentichiamo che fu uomo di dolore, agitatore di masse che chiedevano giustizia, perseguitato, uomo di pace.
C'è chi teme che « un giorno »
ci proibiranno di festeggiare il
Natale: ci sarà comunque la tredicesima, non preoccupiamoci! Il
Signore se li frigge i nostri Natali
senza fede. Ma « se tu torni a Me,
Io ti condurrò, e tu ti terrai dinanzi a Me; e se tu separerai ciò
ch’è prezioso da ciò ch'è vile... Io
sarò teco per salvarti e per liberarti, dice l'Eterno ».
Luigi Santini
Messaggio alle Chiese riformate, in vista dell’Assemblea di Nairobi
Una famìglia di Chiese
centrate sul "semper reformanda"
Com’è — o dovrebbe essere — ormai noto, la
assemblea che riunirà l’estate prossima a Nairobi,
nel Kenia, i rappresentanti delle Chiese membri dell’Alleanza Riformata Mondiale (ARM ) e del Consiglio Congregazionalista Internazionale (CCI), sarà fra lUiltro- chiamata a sancire la fusione di que
ste due organizzazioni confessionali. In vista di questa decisione, che avrà un’importanza considerevole, le direzioni dell’ARM e del CCI hanno diffuso
congiuntamente il messaggio alle Chiese che riportiamo qui sotto. La Chiesa Valdese sarà rappresentata all’Assemblea di Nairobi dal past. P. Ricca.
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In comunione con le Chiese riformate e congregazionaliste di tutto il
mondo, ci rallegriamo della unione
prossima deH’Alleanza riformata mondiale e del Consiglio congregazionalista internazionale prevista per il
1970, unione che costituirà un avvenimento d’importanza primaria.
Infatti, dopo un lungo periodo di
separazione, abbiamo realizzato in
misura crescente, nel corso degli ultimi decenni, quale anomalia fosse avere tanti elementi in comune, in fatto
dì fede e di costituzione, eppure restare separati. Con quest’unione abbiamo la speranza di aiutarci reciprocamente, per cercare di capire insieme ciò che siamo in Cristo e ciò che
dobbiamo essere nel mondo, ora e in
UNA FEDE COMUNE
L’ABM e il CCI sono entrambi costituiti da Chiese le cui origini storiche risalgono, per la maggioranza di
loro, alla Riforma. Ciò vuol dire che
queste due organizzazioni vivono di
un comune attaccamento alla Parola
di Dio quale si è rivelata nell’Antico
e nel Nuovo Testamento; professano
affermazioni comuni concernenti la
signoria di Cristo e la natura della
Chiesa, intesa in quanto fraternità
delio Spirito mediante la quale Cristo
compie il suo ministero nel mondo e
per il mondo.
Benché tali affermazioni siano state talvolta formulate in dichiarazioni
o in confessioni di fede ufficiali, né
runa né l’altra di queste organizzazioni è stata creata su di una base
confessionale e né l’una né l’altra si
compiace di portare anzitutto l’etichetta di «organizzazione confessionale mondiale». Esse si considerano
piuttosto come famiglie di Chiese
strettamente apparentate nello spirito che le anima e negli obiettivi che
perseguono. Esse desiderano che il
termine « riformata » sia sempre inteso e accettato nel senso del semper
reformanda.
DUE ORDINAMENTI
COMPLEMENTARI
Su questa base comune, i membri
dell’ARM hanno essenzialmente avuto un ordinamento « presbiteriano »,
iiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiKtiii MI
iiiiiiimiiiiiiimnm>
liiimiiimiiiiiiiiiiimiiiimiiiiiiimiii
IIIIIIIIIIIIIIIIIK
La Conferenza straordinaria del 1° Distretto a Torre Pellice
Il problema del 17 Febbraio dà l’occasione
per discutere sulla situazione spirituale alle Valli
Possiamo continuare a celebrare il
17 febbraio come si è sempre fatto,
oppure dobbiamo abolire i falò, i cortei, le bandiere, o magari abolire del
tutto questa festa? Molti valdesi si
sono fatti questa domanda, dopo la
polemica che ha messo a rumore le
valli in occasione dell’ultimo 17 febbraio; e quando si è saputo che una
conferenza distrettuale straordinaria
doveva occuparsi del problema, se ne
sono attesi con ansia i risultati, domandandosi se vi sarebbe ancora stata
una festa dell’emancipazione nel 1970.
La conferenza distrettuale straordinaria, tenutasi a Torre Pellice T8 dicembre, non ha abolito la festa della
emancipazione. Ma dato che non si
tratta soltanto del problema se fare o
non fare i falò, ha discusso a lungo
sul significato della festa e sul modo
di celebrarla, giungendo a una conclusione che, se presa sul serio, esigerà
dai valdesi una partecipazione più
profonda, che soltanto la fede può permettere.
Tuttavia, nonostante le attese, l’argomento centrale della conferenza non
è stato il 17 febbraio: non basta, infatti, esortare i membri di chiesa a celebrare questa giornata in modo non superficiale; bisogna anche riflettere su
come vengono vissuti gli altri giorni
dell’anno, bisogna chiedersi se la nostra vita pratica è coerente con la fede. Già nella conferenza di S. Secondo,
nel giugno scorso, qualcuno aveva lanciato, a questo proposito, un grido di
allarme; in seguito i pastori, in uno
dei loro incontri a Pinerolo, avevano
convenuto che il problema meritava di
essere affrontato: molti valdesi non vivono più secondo la fede; molti valdesi adottano abitudini e usi che sono
contrari alla fede e si avvicinano alla
superstizione.
Alfredo Sonelli, che per questa conferenza ha lavorato sodo, perché era
stato incaricato di tenere sia il sermone di apertura, sia la relazione introduttiva, ha messo in luce alcuni degli
esempi più vistosi di questo cedimento verso forme che si potrebbero chiamare di tipo « cattolico », benché ora
il cattolicesimo sia in movimento, e
certe sue forme tendano a scomparire
per lasciare il posto a un modo di vivere e di pensare evangelico. Sonelli
ha comunque definito in che senso si
debba intendere questo slittamento
verso il cattolicesimo: esso si verifica
quando la chiesa viene lasciata in gestione esclusiva a una gerarchia, e la
massa dei fedeli « non si sente più
chiesa, ma si serve della chiesa » per
{continua a pag. 8)
mentre quelli del CCJ sono stati piuttosto caratterizzati, nella storia, da
un’indipendenza generalmente chiamata « congregazionalista ». Questi
gruppi di Chiese hanno attribuito entrambi grande importanza alla comunità locale quale cellula primaria della Chiesa universale, ma hanno riconosciuto entrambi l’interdipendenza
di queste comunità in seno alla Chiesa universale.
A causa di questa eredità comune e
di questo vincolo di parentela che già
hanno condotto queste due tradizioni a formare delle Chiese unite, alcune delle quali sono già membri dell’una o dell’altra organizzazione, la
ARM e il CCI hanno sempre lavorato in stretta collaborazione e hanno
studiato, nel corso degli ultimi decenni, il senso pratico di queste relazioni.
In tal modo sono giunti entrambi alla conclusione che le loro differenze
ih fatto di costituzione ecclesiastica
(e queste differenze si ritrovano all’interno di ciascuna delle organizzazioni) sono secondarie in rapporto alla loro fede comune e all’esigenza da
loro avvertita di rèndere testimonian.za in modo più efficace alla loro eredità riformata, cfce pure alle esperienze da loro ,f¿pi Jm seno al movimento ecumenico; al quale parìtécipàno pienamente. Perciò hanno deciso
di procedere uniti e di creare la nuova ALLEANZA RIFORMATA MONDIALE (PRESBITERIANA E CONGREGAZIONALISTA).
NO AL CONFESSIONALISMO
ANGUSTO
L’Alleanza non è, però, chiamata a
difendere una « eredità riformata » rigorosamente definita, come se fosse
questo l’unico contributo che essa
può portare alla vita e all’azione di
tutta la Chiesa di Gesù Cristo! Riconosciamo che la tentazione della
rigidità in fatto di credo e di costituzioni ecclesiastiche ci minaccia continuamente, ma il principio teologico
semper reformanda esige da noi che
resistiamo alla tentazione di difendere sistemi confessionali e ecclesiastici angusti. Nello stadio attuale della
nostra storia, vorremmo non cadere
in questa tentazione e porre piuttosto
l’accento su certi elementi teologici
che, nel corso degli anni, hanno plasmato le Chiese riformate.
Le Chiese e la teologìa riformate
rendono testimonianza alla sovranità
del Dio vivente. Il Dio in cui crediamo è il Dio del Patto. È il Signore che
regna sul suo popolo e sulla sua creazione. Sottoscriviamo alla visione profetica dell’Antico Testamento, la quale presenta Dio come Padrone della
storia di tutti i tempi. Proclamiamo
che Gesù Cristo è il Re dei re. Riconosciamo che il suo Regno ha già fatto irruzione nelle nostre strutture
umane e che ci porta ora a compiere
atti di gratitudine e di ubbidienza.
Soli Deo gloria!
LA CONFESSIONE
DELLA NOSTRA FEDE
Riferendosi a questa visione biblica, le Chiese e la teologia riformate
insistono sulla dimensione sociale della fede cristiana. Crediamo che il
trionfo del Cristo risorto è definitivo
e universale. « Nessuna signoria e nessuna potenza di questo mondo » potrebbe vincere; perciò nessun settore
si sottrae alla nostra responsabilità
cristiana. Per il credente la Chiesa e
la Società sono motivi di riconoscenza e occasioni di ubbidienza. Ecclesìa
et societas semper reformandae!
Le Chiese riformate appartenenti
alle famiglie riformata e congregazionalista insistono sul carattere fraterno delle loro costituzioni. Non vi è
che un Capo della Chiesa alla testa
di un popolo di fratelli e sorelle. Crediamo perciò che la Chiesa e le sue
comunità non dovrebbero essere organizzate su di una base paternalista
e che non dovrebbero essere dirette
da un numero relativamente ristretto
di responsabili. Pur riconoscendo ü
valore e la necessità di avere dei di
rigenti impegnati, dichiariamo qui che
tutti i credenti, secondo i doni che
hanno ricevuto, hanno una parte essenziale da svolgere nella struttura
delle Chiese riformate e che l’autorità spetta, in definitiva, unicamente al
Capo della Chiesa. La nozione di « sacerdozio universale » è d’importanza
primaria nella vita e nell’organizzazione della Chiesa, e rappresenta una
communio vìatorum.
Nel momento in cui nasce la nuova
ARM, la situazione ecclesiastica è caratterizzata in tutto il mondo da una
marcia delle Chiese cristiane verso la
unità. Rendiamo grazie a Dio per questa manifestazione dello Spirito. Riaffermiamo il nostro impegno profondo
nel movimento ecumenico. Grazie a
questo, siamo stati fortemente arricchiti potendo esprimere tale impegno
con credenti che rappresentavano altre tradizioni cristiane. Aderendo alTecumenismo ci sforziamo, con la fedeltà della nostra testimonianza, di
lavorare non ai nostri fini di riformati, bensì alla riforma di tutta la
Chiesa di Gesù Cristo.
LE CHIESE MINORITARIE
^ yor^enamo pure menzionare con
gràììtudiné l’óperà e là testimòhiah-'
za delle Chiese minoritarie, in questa
epoca di crescente unità. Queste Chiese non devono essere dimenticate. Esse possono — e la storia del cristianesimo- l’ha- dimostrato — sottolineare delle verità che appartengono alla
Chiesa nella sua pienezza. Crediamo
di avere una responsabilità particolare nei confronti di queste Chiese in
seno alla famiglia riformata. Dobbiamo incoraggiarle vivamente a compiere la loro missione e aiutarle a
fare udire la loro voce affinché possano contribuire anche maggiormente
all’edificazione della Chiesa universale. Ma dobbiamo pure ricordare loro — come del resto a tutte le Chiese
membri — che le glorie del passato
non possono sostituire l’ubbidienza
oggi.
Noi, Chiese appartenenti alla famiglia riformata, in quanto servi del Signore Gesù Cristo, siamo condotti
dallo Spirito a formare una comuni,
tà di servizio per il mondo. Affermiamo che tale servizio è centrato sulla
proclamazione dell’Evangelo ed esige
al tempo stesso dei ministeri di diaconato e dei ministeri di partecipazione impegnata alla vita pubblica del
nostro tempo.
CERCANDO UNO STILE
DI PRESENZA AL MONDO
In questo spirito, siamo alla ricerca di uno stile di presenza al mondo
che sia determinato dalla nostra ubbidienza a Gesù Cristo e dalla nostra
apertura a tutti gli uomini senza distinzione di sesso, di razza o di nazionalità. Convinti che Dio è alTopera nella storia contemporanea, attestiamo che egli ci chiama nella fede
a rivedere i metodi e le istituzioni
che conserviamo con cura gelosa, in
vista di un’ubbidienza più grande e
di un servizio più efficace.
Mentre la nuova Alleanza sta per
venire alla luce, nel mondo intero si
manifestano sconvolgimenti sociali,
economici e politici, a un ritmo senza
precedenti. L’avvenire dell’umanità è
in gioco. Che atteggiamento assumeremo di fronte a tale situazione?
Restiamo saldi nella certezza che il
Dio vivente, il quale ci ha posti egli
stesso in quest’epoca, ci darà i mezzi
per discernere e mettere in pratica le
forme di servizio fedele che egli esige da noi per il rinnovamento della
Chiesa e la guarigione delle nazioni!
In comunione con tutti i nostri fratelli nella Chiesa universale, preghiamo affinché ci sia accordato il dono
dell’ubbidienza, e poniamo le nostre
vite e i nostri lavori sotto il segno
della speranza del Regno!
Studi biblici per le
primavera del
Ginevra (spr) - Gli
Chiese, pubblicati la scorsa
FAlleanza riformata mondiale (ARM) e del
Consiglio congregazionalista internazionale
(CCI) per preparare l’Assemblea generale unita di Nairobi (agosto 1970) saranno prossimamente disponibili in dodici lingue.
Quest’opuscolo, di cui è autore il prof. Donald Mathers di Kingston, Canada, è stato
inizialmente pubblicato in inglese, francese e
tedesco; ma sono pronte o in preparazione
traduzioni in olandese, svedese, ungherese,
spagnolo, tbai, xhosa, tswana, zulu e afrikaans.
Il titolo è il tema centrale dell’Assemblea :
Dio riconcilia e libera; gli studi sono suddivisi in sei capitoli: La libertà - La riconciliazione - Dio - Dio riconcilia e libera i forti
e i deboli - Dio riconcilia e libera i ricchi e
i poveri - Dio riconcilia e libera i giovani e
i vecchi.
iiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiii
■ IIIMIIIIimilllllllllIMMIt
"I Mi Kariiniazin" alla tv
In queste settimane, su un arco di quasi due mesi, la domenica sera va in onda sul programma nazionale la versione
televisiva, per la regia di Sandro
Dolchi, de I fratelli Karamazov,
l’undicesima opera di Fédor Dostoevskij portata sui teleschermi italiani, e quella sinora di
maggiore impegno. La sceneggiatura, con il Dolchi, l’ha curata il
drammaturgo Diego Fabbri, cui
già si doveva una versione teatrale del romanzo. Curiosità interessante: in questo medesimo
periodo la televisione francese
mette anch’essa in onda una sua
versione del grande romanzo.
I lettori di «Radiocorriere-TV»
avranno notato, su quel settimanale, il rilievo che settimana dopo settimana viene dato a questa trasmissione; forse pochi sapranno che alcuni fra gli articoli più interessanti che vi compaiono sono firmati da un giovane slavista evangelico, membro di una comunità valdese di
Roma, Cesare G. De Michelis. In
uno di questi suoi articoli, egli
si rifa all’interpretazione penetrante
che un teologo protestante, Eduard
Thurneysen, ha dato dell’opera di Dostoevskij.
Ci è sembrato opportuno andare a
riprendere il breve, vivido saggio del
Thurneysen, uno degli uomini della
pattuglia di punta che, attorno a Karl
Darth, diede vita a quella teologia della crisi che, negli anni ’20, fu una componente decisiva del rinnovamento biblico e teologico contemporaneo. L’opera, pubblicata in Germania, già nel
1929 era tradotta in italiano e pubblicata dall’editrice DOXA, curata da
G. Gangale; e una volta di più si resta meravigliati e ammirati della sen
llna singolare inquadratura del teleromanzo: Ivàn.
inquieto negatore di Dio, accanto a uno stendardo
sacro, in una processione.
sibilità, dell’ampiezza di orizzonti, della tempestività talvolta perfino anticipatrice di quella breve, stupenda stagione editoriale. Abbiamo dunque riletto queste pagine; e ci è parso utile
condensarle qui, a partire da questo
numero (si veda a pag. 3), per alcune
settimane. Sono pagine in sé valide,
anche per chi non segue queste trasmissioni; per questi ultimi, invece, potranno essere un utile commento, e in
certi casi l’accenno a una interpretazione diversa da quella che pare traspaia da questo teleromanzo, sulla
problematica spirituale e religiosa, assolutamente centrale nel mondo dostoevskiano.
2
pag.
N. 49 —^ 12 dicembre 1969
IERI E OGGI, ALLE VALLI
Matteo 25. 31-46, un passo biblico del quale si è forse abusato
Il problema dei catecumeni e’ da
della
Quell’annata della fine 800, dalle cui
relazioni annue abbiamo estratto alcuni
frammenti pubblicati in precedenza sul
nostro giornale (N. 22 e 26), sembra essere stata l'anno del pessimismo (i testi
che già abbiamo citato lo hanno dimo?
strato); un problema però rirnbalza da
quel lontano fine secolo all’oggi, un problema che ritroviamo attuale nella nostra vita ecclesiastica e che darà vita
ad un nuovo dibattito nei prossimi mesi: quello dei catecumeni.
Ecco due giudizi come li leggiamo
nelle relazioni di due chiese della vai
Pellice.
...Les catéchumènes sont irréguliers
aux leçons, par le faute des parents qui
les retiennent pour les travaux de la
maison. Ils apprennent mal leur catéchisme et y comprennent peu de chose
faute de développement intellectuel. Us
ne paraissent guère animés de l’esprit
de piété; l’on est chaque fois obligé de
les avertir de se recueillir pour la prière, tant ils sont distraits et occupés à
autre chose qu’à prier Dieu. On dirait
qu’ils désirent être admis à la SainteCène non pour se consacrer à Dieu,
mais pour n’être plus catéchumènes...
...Sur 60 catéchumènes qui ont suivi
le cours de religion donné l’année dernière, 7 ont été reçus à la Sainte Cène,
aux communions de Pâques. Aucune
plainte grave sur la conduite de ces
jeunes gens n’est parvenue à notre connaissance. Ce qui leur manque d une
manière générale c’est la science, de
l’éducation et du sérieux^.
di Dio. Hanno torto le relazioni di chiedere loro quello che nessun ragazzo, né
allora né oggi, può dare, assurdo chiedere loro di penetrare nel mondo rarefatto della dogmatica di Osterwald,
assurdo parlare loro di délicatesse e di
excès dans les plaisirs quando il loro
unico problema era quello di togliersi
la fame da dosso.
Eppure, malgrado ogni incongruenza
ed ogni tensione, tutti quegli elementi
formavano una unità inscindibile, erano un tutto. Fondamentale è la coesione che legava il borghese in nero, venuto da lontano, con una moglie colta
ed un pianoforte, l’enigmatico libricino
di uno sconosciuto e la massa dei ragazzi irrequieti. I pastori li volevano diversi, loro non capivano, la lezione svaniva nelle menti assonnate, ma rimaneva una realtà inafferrabile ed inamovibile nella loro coscienza: il senso di
una comunità compatta.
Gli elementi singoli sono oggi molto
diversi: il pastore non è più quello,
loro sono diversi, il catechismo è altro;
ma il problema di fondo è la riscoperta
di quella coesione di uomini e di fede
che esisteva allora, la certezza che come
credenti valdesi abbiamo una responsabilità, un senso, una battaglia da condurre insieme.
Giorgio Tourn
ammainare, la bandiera
teologia contemporanea ?
...I catecumeni sono irregolari alle lezioni,
per colpa dei genitori che li trattengono per
Il passo relativo al giudizio, negli
ultimi discorsi di Gesù riferitici dagli
evangeli (Matteo 25, 31-46), è stato definito da A. Maillot « la bandiera della
teologia contemporanea »; e Roger
Mehl, nel riferire sui lavori della conferenza ecumenica « Chiesa e Società »
(Ginevra 1966), notava che in essi era
apparsa forte la tendenza a considerare questo passo evangèlico come « il
sommario dell’Evangelo, perché Dio,
secondo alcuni, non si rivela se non
nella relazione vivente con il prossimo
sofferente ». Anche Vittorio Subilia, nella sua ultima opera Tempo di confessione e di rivoluzione, poteva scrivere:
«Si direbbe che l’intero Evangelo sia
condensato nel messaggio del Cristo
presente nei minimi, cioè che il Nuovo
Testamento abbia subito uh processo
di contrazione e sia ridotto a Matteo 25, 3146 », ponendo poi la domanda: « Tutto questo non fa pensare all’uomo a ima dimensione di H. Marcuse? ». E anche su queste stesse colonne, forse i lettori ricorderanno che due
dei pochi tentativi, da parte "contestatrice”, di rispondere a certe domande poste da altri a questa impostazione, facevano appunto leva su questo
passo.
* * *
lavori a casa. Imparano male il loro catechismo e ci capiscono poco, per carenza di svi
La diagnosi non potrebbe essere pm
tagliente, ma cosa non si darebbe oggi
per avere una fotografia di quelle classi
di catecumeni valdesi della fine 800, e
poterli guardare in faccia questi ragazzi che non sanno raccogliersi nella
preghiera, che non capiscono il discorso, a cui manca scienza, cultura, serietà, impegno ed educazione; ragazzi dalle teste rapate a zero, con la camicia
senza colletto e il foulard annodato ai
collo, calzati di zoccoli e vestiti di fm
stagno, rozzi, violenti, selvatici, abituati
a caricar letame e trascinar slitte, primitivi nelle loro relazioni e nei loro
sentimenti, gente che dorme nei fienili
o nelle stalle ed a cui fanno contrasto
quelle ragazze dalle lunghe trecce, vestite di scuro con gli occhi sempre un
’^o’ smarriti, acquosi, dai lineamenti or
squadrati ed assolutamente privi di
grazia or stranamente raffinati. E bism
gnerebbe poter rivivere con loro quelle ore di lezione (nel presbiterio, nella
sala grande, nel tempio?) con la stura
arrossata per far morire chi sta pm
vicino. Rivivere la tensione spirituale e
culturale, oltreché umana, di quelle ore
agitate dal ribollire dei sentimenti e
delle sensazioni di una prima adolescenza inespressa e dalla faticosa
eia di una riflessione spirituale che n
doveva condurre alla conversione. Loro
da una parte, opponendo il fronte della
loro totale insensibilità o della loro tesa
attenzione, dall’altra l’uomo m redmgotte nera, che si sforzava di piegare
le loro coscienze e le loro menti aa
una ricerca impossibile: tra loro il catechismo di Ostervald:
luppo intellettuale. Ñon sembrano molto animati da uno spirito di pietà; si e ogni volta
costretti ad ammonirli a raccogliersi per la
preghiera, tanto sono distratti e occupati ad
altro che a pregare Dio. Si direbbe che desiderano essere ammessi alla Santa Sena non
consacrarsi a Dio, ma per non essere
per
piu catecumeni.-^
..Su 60 catecumeni che lo scorso anno han
n‘ seguito il corso di religione, 7 sono stati
ricevuti alla Santa Cena, alle comunioni di
Pasqua. Nessun biasimo grave sulla condotta
di questi giovani è giunto a nostra conoscenza. Ciò che manca loro, in modo generale, è
la conoscenza, educazione e serietà...
2. . ,
Si può peccare contro la sobrietà mangiando e bevendo in modo eccessivo, ovvero ricercando le delicatezze nel mangiare e nel bere... L’ubriachezza è un vizio infame che abbrutisce gli uomini e li conduce a vari peccati... Occorre evitare gli eccessi nel dormire
e nei piaceri permessi, la pigrizia, l ozio, le
delicatezze, la vita molle e voluttuosa e la
troppa preoccupazione di procurarsi le dolcezze e le comodità della vita.
(Sezione XX, « Della temperanza riguardo
ai piaceri », dal Catechismo).
Orbene, mi è capitato ultimamente
di leggere, sull’ ultimo fascicolo di
« Etudes Théologiques et Religieuses »
(3/1969), la rivista della Facoltà teologica protestante di Montpellier, una nota breve quanto interessante di Jean
Rennes, a propos de Matthieu 25, 31-46,
il quale avanza forti e — a mio avviso — giustificate riserve suH’interpretazione corrente di questo passo evangelico.
Il Rennes nota giustamente che « 1 interpretazione riposa in gran parte sul
significato che si attribuisce alla parola "fratelli” (v. 40). Ed è qui che ci
attende una sorpresa ». Infatti, correntemente si dà a questo termine il senso
più ampio: Gesù si identificherebbe con
tutti gli uomini soff erenti, sì che arriarlo significherebbe amare questi “minimi”. Ma, scrive il Rennes, « il vocabolario degli scrittori biblici è, in linea
di principio, troppo preciso e troppo
stabile perché si possano accettare variazioni di senso ti jppo ampie, a proposito di un termine importante. Dunque, nella Bibbia, dal Deuteronomio
aliai Giovanni, passando per gli Evpgeli e per le Lettere ài Paolo, il termine
"fratello” (a parte li passi nei quali
indica semplicemente un rapporto di
parentela), o il suo equivalente "prossimo”, si applica al membro della comunità dei credenti, del popolo di Dio,
posto sotto il regime del Patto, antico
o nuovo ».
La stessa osservazione va fatta a proposito della parola « le genti » (v. 32).
È, questo, il termine che nell’Antico
Testamento viene sempre reso con « le
nazioni » (e da Paolo con « i Gentili »),
e ha il significato molto preciso di « pagani », in contrapposizione al popolo
di Dio. « È vero — continua il Rennes — che l’insieme dei capitoli 24 e
25 di Matteo si rivolge ai discepoli e
tende a fornire loro i fondamenti di
un’etica. Ma questo non implica necessariamente che Matt. 25, 31-46 sia
un avvertimento ai cristiani. Dopo le
situazioni difficili che i capitoli 24-25
lasciano prevedere, la nostra pericope
potrebbe benissimo essere, per i discepoli di Gesù, un incoraggiamento. Il
termine "nazioni” avrebbe qui il suo
significato più preciso e abituale, che
implica una ignoranza, un disconoscimento del vero Dio, e perfino una ostilità dichiarata nei suoi confronti. Le
"nazioni” sarebbero avvertite che il
loro comportamento nei confronti dei
cristiani, dei "fratelli” di Gesù, nel giudizio finale sarà considerato come significativo del loro comportamento
nei confronti del Cristo stesso. « Ci troviamo insomma nella stessa linea di
Marco 9, 41 («Chiunque vi avrà dato
da bere un bicchier d’acqua in nome
mio perché siete di Cristo, in verità vi
dico che non perderà punto il suo premio ») e di Matteo 10, 4042 ( « Chi riceve voi riceve me; e chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato. E chi
avrà dato da bene soltanto un bicchier
d’acqua fresca a uno di questi piccoli,
perché è un mio discepolo... »).
E il Rennes conclude: « Bisognerebbe dunque rinunciare all’uso che oggi
ci si permette di fare di questa pericope. Bisognerebbe lasciarle il suo carattere di avvertimento rivolto alle nazioni. Del resto, con qual diritto lasceremmo che esse ignorino che il modo
in cui trattano i discepoli di Gesù riveste, agli occhi di Dio, una grande importanza? ».
« Ma questa interpretazione non rischia di favorire, fra i cristiani, lo
schiudersi di una sicurezza e di un orgoglio insopportabili? Non li distoglierà dal servizio agli uomini sofferenti di
questo mondo? Non necessariamente.
Colui che sa di essere oggetto di una
iiuiKiiiimiimiiiiiiiiiiiiiiiiiin
DEE EOCt HETOREEOLl DELLft GERARCHIA CATTOLICft
Ancora sul "caso Girardi
«f f
On peut pécher contre la sobriété en
mangeant et en buvant avec excès, ou
en recherchant la délicatesse dans c
manger et dans le boire... L’ivrognerte
est un vice infâme qui abrutit les hommes et qui les porte à divers péchés...
Il faut éviter l’excès dans le dorrntr et
dans les plaisirs qui sont permis, la paresse, l’oisiveté, la délicatesse, la vie
molle et voluptueuse et le trop de soin
de se procurer les Joueurs et les co^
modités de la vie ( Section XX - déjà
tempérance à l’égard des plaisirs dal
Catéchisme).
Roma (Adista). - Il quindicinale «Rocca» di
Assisi, pubblica nel numero del 20 novembre
un’intervista al card. Koenig a smodo finito.
L’intervista tratta; l’efficacia delle istituzioni - Il primato - la riforma della euria oggi L’elezione del papa - Chiese dell’est...
Pubblichiamo dalla lunga intervista questa parte che puntualizza il caso del salesiano
Giulio Girardi e di Ivan Illich.
Da quanto si è saputo sui dibattiti del sinodo. pare che sono ritornati frequenti gli attacchi alla curia e al metodo di lavoro delle
romane. Casi recenti di pro
Bisognerebbe essere stati con loro
per capire che cosa c’era di essenziale,
di véro, di fondamentale in questo incontro settimanale tra l’ignoranza, la
maleducazione, la violenza e 1 insensibilità di ragazzi contadini e la parola
congregazioni _
cessi 0 provvedimenti contro sacerdoti o religiosi quali Schillebeeckx, Illich, Girardi
hanno avuto degli aspetti assai negativi che
si credevano ormai in disuso nella chiesa.
Lei cosa ne pensa?
Per i giornalisti la euria romana è come
un’idea fissa, un qualcosa di terroristico, di
monolitico, e l’impressione certamente è stata
Contro la fame degli altri
Continuano a pervenirci le sottoscrizioni di vari lettori e qui sotto
diamo un nuovo elenco.
Come già abbiamo detto, oltre a
sostenere col nostro modestissimo
appoggio il cc centre familial évangélique » del Gabon, abbiamo proposto, in alternanza (non in alternativa) un’altra fra le seguenti due
iniziative assunte dall’EPER:
I: o il progetto agricolo in India,
a Deenabandupuram, per ridare la
vita a tutta una regione provata dalla siccità, dalla carestia, dalle malattie, con tecniche ed impianti moderni.
II : o il progetto in Congo-Kinshasa e vale a dire il Centro di sviluppo
comunitario che segue ed aiuta i 400
mila profughi dell’Angola con centri di distribuzione di alimenti, di
sementi, scuole e dispensari.
Chiediamo dunque ai lettori la loro opinione ed il loro consiglio onde sapere come orientare la nostra
iniziativa. Se non dovesse venirne
de
una precisa indicazione, provve
remo noi per l’una o l’altra iniziativa, nella certezza che i sottoscrittori
(e ci auguriamo ve ne siano tanti, e
generosi), indipendentemente dalla
destinazione delle loro offerte, intendono anzitutto e soprattutto dare
un responsabile segno della loro solidarietà e fraternità verso chi soffre.
Da Torre Pellice: G. e K. C. L. 25.000;
C. Besozzi, 1.000; L. Frache, 2.000.
Da Venezia: G. Ispodamia L. 2.500;
D. Ispodamia, 2.500; \. Bogo, 1.000.
Da Torino: E. Borione L. 10.000; Famiglia Botta, 2.000; Fam. Caruso, 500;
S. Bensa, 1.000; E. P. 10.000; L. e F. Valerio, 20.000.
Da Parma: T. Rabaglio L. 5.000.
Da Sanremo: L. de Nicola, 10.000.
Da Campobasso: P. Corbo 2.000.
Da Bergamo: un lettore L. 50.000.
Totale L. 146.000; prec. L. 32.786; in
cassa L. 178.786.
Preghiamo indirizzare le sottoscrizioni al conto corrente postale n. 2/39878
intestato a Roberto Peyrot, corso Moncalieri, 70, 10133 Torino. Grazie.
suscitata anche dai fatti a cui lei ha .accennato. Bisogna però riconoscere che nella curia è in atto un vero processo di internazionalizzazione e oggi i eapi dei vari dicasteri
per più della metà non sono italiani. E ciascuno di essi è una personalità con opinioni diverse.
Il papa, lo si può affermare con sicurezza,
vuole continuare ad applicare le decisioni
del concilio per quanto riguarda la riforma e
l'internazionalizzazione della curia. I dicasteri sono solo degli strumenti di lavoro e di
esecuzione per il papa, e se è vero che qualche volta un impiegato ha dato una risposta
a nome del santo padre senza che lui ne
sapesse niente, questo è un abuso che non è
certo sistematico. Ci vuole però pazienza in
questa riforma e non vedere sempre in ogni
ritardo una cattiva intenzione. Se il sinodo
funzionerà e la decentralizzazione progredirà
attraverso le conferenze episcopali, i compiti
della curia avranno un ulteriore ridimensionamento.
Non bisogna infatti dimenticare che anche
la collaborazione tra curia e vescovi dipende
in buona parte dai vescovi stessi. Per queste
riforme non esiste però una ricetta bell e pronta, ma tutto dipende dall’evoluzione pratica
e bisogna, man mano che si va avanti, studiare l’esperienza fatta.
Riguardo il caso Illich, il problema è complesso data anche la personalità stessa di
Illich che io ho conosciuto personalmente.
Quell’interrogatorio è stalo un errore e si
spera che queste procedure scompaiano definitivamente. La riforma della congregazione
della fede che prevede in questi casi la consultazione dei vescovi stessi, va verso un sempre maggiore rispetto della persona.
Ora si scrive al vescovo e si chiedono informazioni esatte, mentre prima di decidevano questi casi senza sentire neppure il parere
del vescovo. È una riforma molto necessaria
che si sta facendo. Ma, come ho detto, anche
qui bisogna saper attendere.
Per la questione di don Giulio Girardi, mi
sono interessato personalmente della cosa anche perché, in merito a questo suo trasferimento a Parigi, molli avevano fatto supposizioni circa il suo stesso lavoro di studioso e
sul dialogo con i non credenti. Nella mia qualità di presidente del segretariato per i non
credenti tengo a confermare che don Girardi è e resta consultore. Mi consta inoltre con
certezza che né il card. Seper cioè il prefetto
dell’ex S. Ufficio, né la segreteria di Stato,
né il segretariato per i non credenti erano a
conoscenza di tale trasferimento.
Quindi il provvedimento è stalo preso dagli
organi della sua congregazione, motivato per
difficoltà sorte nel corpo degli insegnanti e
degli allievi dell’ateneo in cui don Girardi
insegnava. È stata però lasciata a lui la scelta
della città in cui trasferirsi.
So che ora don Girardi è a Parigi e che
terrà un corso di insegnamento all’Institut
Catholique. All’inizio del prossimo anno, lo
inviterò personalmente a venire a Vienna a
tenere alcune conferenze sui suoi studi. Questo per dimostrare che non c’è nessuna censura né contro la sua dottrina né contro la
sua persona.
DONI ECO-LUCE
sollecitudine così grande da parte del
suo Signore, senza meritarla, sa anche
di dover mostrare una sollecitudine
analoga nei confronto degli altri, senza
per questo chiamarli troppo presto
"fratelli”.
« Dobbiamo evitare di rendere le cose troppo facili. Non è vero, purtroppo, che tutti gli uomini siano già "fratelli”, né lo diventeranno facilmente.
Soltanto la fede ci rende fratelli di Gesù, e fratelli gli uni degli altri. (...) Certo, la parola di Gesù si rivolge a tutti
gli uomini. Ma è nella Chiesa e per
mezzo della Chiesa che comincia a realizzarsi il piano di Dio per tutta l’umanità. Non si può proporre agli uomini
soltanto la morale, senza la fede ».
« Ma allora — si chiede il Rennes —
su quale testo ci possiamo basare per
dire quale dev’essere l’atteggiamento
del credente nei confronti di "quelli
di fuori”? In verità, non mancano! Ma
il testo essenziale rimane incontestabilmente la parabola del samaritano
di Luca 10, e ci si domanda perché sono così numerosi coloro che non hanno
potuto considerarla sufficiente e hanno
preferito distoreere il significato di
Matt. 25, 31-46 per farne la propria
"bandiera”. Simili metodi non possono
non portare, prima o poi, in un vicolo
cieco. La nostra ermeneutica (metodo
d’interpretazione), la nostra dogmatica e la nostra etica possono avere una
base solida soltanto se riposano su
un’esegesi rigorosamente scientifica,
che rispetta il senso delle parole.
« Notiamo, anzitutto, che la parabola del samaritano conferma indirettamente ciò che tutto il resto della Bibbia dice a, proposito del “fratello”"prossimo”. Se Gesù avesse detto che
l’uomo ferito era fratello del samaritano, avrebbe contraddetto la definizione
che abbiamo data di questo termine.
Ma non è così. Il ferito è uno sconosciuto, fra lui e il samaritano non esiste ancora alcun legame. L’atto del samaritano non nega la specificità delle
relazioni che esistono fra membri della comunità dei credenti. Significa altro, qualcosa di inatteso, che apre una
via nuova: il samaritano si fa il prossimo di uno sconosciuto, di cui ignora
se diventerà mai un prossimo per lui.
« La parabola del Samaritano è al
tempo stesso parabola del comportamento di Gesù verso gli uomini perduti e parabola del comportamento del
discepolo di Gesù verso r“uomo di
fuori” che ha bisogno di soccorso. Dicendo questa parabola, Gesù non sopprime la nozione di comunità di fratelli, quale la descrivono tanti testi biblici come pure alcune parole di Gesù
stesso. 'Vuole semplicemente che questa comunità sia una comunità "aperta”, che ciascuno dei suoi membri sia
pure volto verso "quelli di fuori". Ma
perché ciò sia possibile, bisogna anzitutto che questa autentica comunità
di fratelli (la Chiesa) esista e sappia
ciò che è e perché esiste ».
Ecco una semplice nota biblica, che
mi è parso interessante e utile riportare qui, esponendoci tutti al doppio
taglio della Parola (Ebrei 4, 12; cfr.
Apocalisse 1, 16; 2, 12).
g. c.
Bologna (Aclista) - In una lettera, pubblicata neirultimo numero del quindicinale
« Regno », l’arcivescovo di Ravenna Salvatore
Baldassarri scrive a proposito dell’allontanamento di don Giulio Girardi ;
« Avevo preparato una nota sul caso Girardi, dove mi domandavo chi aveva dato a
don Girardi l’ordine di lasciare il suo ateneo,
e per quali motivi, quando un comunicato
dei salesiani ha precisato che l’ordine veniva
dagli stessi salesiani e il motivo era la “non
formazione” degli alunni.
« Allora ho cestinato la nota; ma mi sono
subito accorto che il comunicato proponeva
un nuovo caso Girardi, forse più grave del
primo. Dire ad un insegnante, per di più sacerdote e salesiano, che non forma gli .alunni, e per questo condannarlo ad una pena
durissima, quale rallontanamento dalla cattedra, costituisce una misura che non si può
giustificare con un vago non formare . Sotto quel vago "non formare ci può stare qualsiasi interpretazione, anche la più obbrobriosa; per questo mi sembra che il motivo sia
più vicino ai limili della calunnia che al minimo della carità.
c( Certi metodi, dire e non dire — aggiunBaldassarri — furono già
A PISTOIA
deotro di Documeutaziooe
Il Centro di Documentazione di Pistoia inizia un'attività editoriale, con la pubblicazione di una serie di conferenze che affrontano temi di carattere religioso. Ê uscita per
adesso la prima conferenza di Giulio Girardi
su Cristianesimo e lotta di classe. Sono in
preparazione testi di Paul Blanquart, Jiirgen
Moltmann, Giovanni Vannucci ed altri.
Pur ritenendo utile far circolare delle idee
attraverso brevi saggi, scopo fondamentale del
Centro di Documentazione è quello di affrontare con documentazioni alcuni gravi problemi della nostra società (lotte operaie, scuola
e doposcuola, la casa) e delle chiese.
Centro di Documentazione - Casella Postale 53 - 51100 Pistoia.
ge monsignor
uso e fecero tanto male; oggi non lo dovrebbero essere più almeno per un po di rispetto
al Vaticano II. Se poi il « non formare »
tocca lo specifico insegnamento di don Girar
t :i _____Vvv.iiriitii'is pn
di, allora si abbia il coraggio di bruciare, come si faceva in altri tempi, il direttorio per
il dialogo con i non credenti : si ricordi però
che il documento ha il sigillo della gerarchia ».
Da Torino: Margherita Fiori 500; Angela
Caviglione 500; Ida Bandone 500; William
May 2.000; Guglielmo Jalla 500; Giovanna
Barus Benelli 1.000; Guido Bert 300; Eugenia Borione 500; fam. Pretto 1.000; Federico Balmas 500; Enrico Bonnet 500; Fortunato Gagliani 500; Maria Tron Bertoìno 200;
Leopoldo Bertele 1.000; Roberto Jouvenal 500.
Grazie! (continua)
NOVITÀ CLAUDIANA
HELMUT GOLLWITZER
I ricchi cristiani
e il povero Lazzaro
Le conseguenze di Uppsala
pp. 144, L. 1.300
— Noi cristiani siamo il ricco
epulone della parabola dinanzi ai popoli affamati del Terzo Mondo.
EDITRICE CLAUDIANA
Via S. Pio Quinto 18 bis
10125 TORINO
r
3
12 dicembre 1969 — N. 49
pag. 3
Lettere al direttore
Scelte politiche e teologiche
dei Valdesi nella Resistenza
Milano, 4 dicembre 1969
Caro direttore,
ho letto gli interventi sull’Eco-Luce
dell’avvocato Serafino e del pastore
Nisbet sulle questioni sollevate dal mio
libro sulla Resistenza nelle Valli Valdesi e, mentre ringrazio il pastore Nisbet
per la cortesia della sua replica, non
posso non meravigliarmi deH’acredine
della lettera dell’avvocato Serafino. Chi
si interessa di Resistenza dovrebbe sapere con quanta difficoltà si possono
raccogliere ricordi lontani e spesso distorti dalle polemiche; quindi è possibile, anzi certe, che il mio libro contenga molti errori di giudizio e di ricostruzione. Ne chiedo scusa a quanti
si sono sentiti ingiustamente feriti, ma
nel mio racconto (che è innanzi tutto
una testimonianza della nostra riconoscenza per quanti allora affrontarono
la morte per la libertà comune) ho dovuto spesso scegliere la più probabile
tra diverse versioni contrastanti; però
non avevo scelta: la storia della Resistenza si può fare solo raccogliendo le
singole testimonianze, data la scarsezza di documenti. Malgrado questo limite, sono convinta che valga pur sempre la pena di tentare di scriverla.
Ma veniamo all’avvocato Serafino
che scrive di essere stato a lungo intervistato da me. In realtà, egli dovrebbe ben ricordarsi che mi concesse un
solo colloquio nel novembre 1966, in cui
parlò molto della Resistenza in generale, ma poco delle sue vicende personali
nel 1943. Al colloquio era presente Gianni Gay, che non aggiunse parola. Se
avessi avuto allora le informazioni che
ora l’avvocato Serafino pubblica, avrei
forse potuto datare meglio il suo soggiorno agli Ivert (dico « forse », perché
i suoi ricordi non collimano con quelli
di altri protagonisti). Osservo però che
la mia narrazione nella sostanza è esatta, dato che l’avvocàto, nella sua lettera all’Eco-Luce, parla proprio di fedeltà al governo legittimo e di priorità
della lotta militare sulla discussione
politica: appunto le posizioni che allora erano definite monarchiche e badogliane! Le vicende posteriori dell’avvocato non c’entrano.
Mi scuso per essere scesa in questi
particolari, ma vi sonò stata costretta
dalle accuse dell’avvocato Serafino che
giunge a rimproverarmi perfino di non
aver parlato dei valdesi prigionieri in
Germania!!! Evidentemente, l’avvocato
non ha letto il titolo del mio libro, ché
non è « I valdesi nella Resistenza », ma
« La Resistenza nelle Valli Valdesi ».
E le Valli Valdesi furono G.L. al 90%,
quindi ho parlato dei G.L. e non di tutti gli altri valdesi che combatterono
e soffrirono nel 1943-45. Tanto è vero
che la metà almeno dei protagonisti del
mio libro non furono valdesi e alla
chiesa valdese ho dedicato solo una
decina di pagine. Dei valdesi che combatterono in vai Chisone con Marcellin
e Serafino ha già parlato il libro della
Trabucco, con loro piena soddisfazione: perché avrei dovuto ricopiare le
sue pagine?
In realtà, le critiche deH’avvocato Serafino risentono soprattutto delle polemiche e delle gelosie tra le formazioni partigiane. Non è però questa la sede per riaprire tali polemiche, che costituiscono l’aspetto più umano della
Resistenza, né per entrare nel merito
delle differenze tra le varie formazioni
partigiane. L’avvocato Serafino mi consenta, però, di avere un'opinione diversa dalla sua, se realmente ritiene che
si debba fare la storia e non la mitologia della Resistenza. Quanto a me, non
ho ceno nascosto i fimiti dell’azione
dei G.L. nelle Valli Valdesi, che gli stessi protagonisti hanno contribuito a indicarmi.
Sulle scelte teologiche dei Valdesi nel
1943-45 potrebbero assai meglio di me
rispondere coloro che vissero quegli
anni. Vorrei ugualmente osservare che
le parole del pastore Nisbet sulla necessità di rifiutare ogni guerra sono
molto belle, ma parziali: non le avrebbero certo accettate Arnaud e Janavel,
che per difendere la loro fede e la loro
chiesa ammazzarono coscientemente,
né i valdesi di 50 anni fa, che parteciparono con convinzione alla grande
guerra contro l’Austria, confortati dalla
loro chiesa e dai loro cappellani. La
chiesa valdese non ha una tradizione
di pacifismo come quella quacchera:
perché allora prendersela solo contro
chi combattè il nazifascismo? Ci sono
delle circostanze in cui un cristiano può
sentirsi obbligato a testimoniare la sua
fede partecipando a una guerra, accettando il peccato dei suoi atti e il rischio
di scegliere - la parte meno ■ giusta. In
questo — se non altro — mi darà ragione anche l’avvocato Serafino!
Vorrei però sapere da chi rifiuta l’ordine del giorno proposto al Sinodo
1943 dal pastore Subilia, in che cosa
questo ordine del giorno fosse sbagliato. L’ho appena riletto e ci vedo una
confessione di peccato della chiesa; è
la sua base teologica che è sbagliata?
oppure bisogna criticarlo da un punto
di vista politico? — Respingendo l’ordine del giorno Subilia la chiesa valdese non volle rinunciare a nulla del
suo passato; preferì chiudersi nel silenzio e nella neutralità: il risultato fu
che le fiamme della guerra percorsero
lo stesso le Valli Valdesi, che vite umane, case e villaggi vennero distrutti, ma
i nostri templi furono risparmiati. C’è
di che esserne fieri?
Donatella Gay Rochat
Il c«'Dostoevskij )) di E. Thurneysen
Lo sguardo nel caos
L’o. d. g. Subilia
presentato al Sinodo 1943
Poiché non tutti i lettori hanno letto o
hanno sottomano il libro di cui si parla ripetutamente, pensiamo sia interessante riportare qui il lesto delVordine del giorno presentato dal past. V. Subilia al Sinodo sedente in
Torre Pellice ai primi di settembre 1943, e
che il Sinodo dopo discussione non votò:
Il Sinodo, di fronte alle esigenze delibera
presente, cosciente di rappresentare la voce
dì tutte le Comunità della Chiesa Valdese, si
umilia davanti a Dio di non aver saputo proclamare in ogni contingenza e a costo di qualsiasi rischio il messaggio di Cristo il Signore
in tutte le sue implicazioni;
afferma la sua solidarietà di fede, di preghiera, di sofferenza e di combattimento con
le Chiese in distretta per fedeltà a Cristo;
al di sopra di ogni barriera di nazione e di
razza si sente parte viva e attiva della Chiesa
universale, nel comune anelito a superare il
proprio orgoglio confessionale, a lasciarsi riformare e arricchire dalla Parola di Dio, a
incontrarsi in una rinnovata sottomissione e
consacrazione a Cristo, l’unico Capo dell’intero Corpo;
esprime la sua volontà di collaborare alla
riconciliazione dei popoli nel segno del ravvedimento e della comunione di Cristo e all’educazione della coscienza umana di domani, all’unica luce dell’Evangelo;
chiede per questo l’assistenza dello Spirito
Santo, la guida, il consolatore, la vita della
Chiesa oggi e in eterno.
Uapoètolo Paolo
e il 17 febbraio
; Villar Perosa, 2-12-1969
Caro direttore,
ho letto sulTultimo numero delT« Eco-Luce » che ci sarà una riunione
sul 17 febbraio. Vorrei solo dire due
meditazioni che ho fatto e che sono
esclusivamente personali.
Già Tanno scorso, in occasione di
questa festa, dovetti fare delle precisazioni a ciò che venne detto durante
una serata in comune e che secondo
me falsava il contenuto della contestazione come la vedevo io. Si affermava
cioè che i giovani volevano semplicemente distruggere tutte le tradizioni;
e questo, dal mio punto di vista, non
è vero. Si potrebbe dire, come ho letto
in un libro che trattava il problema
dello sviluppo africano, che le tradizioni non si devono rinnegare o distruggere, ma superare.
Questo lo si può capire leggendo le
lettere di Paolo Apostolo, in cui egli
non diceva ai nuovi credenti di rinnegare le proprie tradizioni e di accogliere quelle di altri gruppi di credenti
quali erano per esempio i Giudei; ma
pretendeva solamente una medesima
Fede in Cristo ed un’osservanza spirituale dei Comandamenti di Dio quali
Gesù ci diede. « Ogni cosa è lecita, ma
non ogni cosa è utile; ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa è edificante »,
1“ Corinzi. Cioè, se vi è un cambiamento nelle nostre tradizioni, nel nostro
modo di vivere e di pensare, non deve
esserci perché imposto dalTesterno,
ma perché di fronte alla Parola di Dio
noi riteniamo che ciò che facevamo
prima era contro gli insegnamenti divini o era inutile e quindi ricerchiamo
un modo nuovo di essere più coerenti
alla Parola di Dio.
Il nostro problema, però, non è quello di sostituire o di distruggere le tradizioni, perché esse rappresentano la
testimonianza di ciò che i valdesi furono e degli ideali per i quali molti
nostri avi sacrificarono la loro vita;
ma dobbiamo renderci conto che la
validità di queste tradizioni non sarà
inutile solamente se noi le prenderemo
come giudici di quel che noi siamo in
questo momento e nella misura in cui
sapremo ricevere un insegnamento per
proseguire nel nostro difficile cammino.
Ed il 17 febbraio è un esempio di
come adoperare una tradizione a nostra edificazione personale. I nostri
avi morirono a migliaia per poter leggere la Bibbia e furono giustamente
felici quando il Re diede loro questa
libertà. Quanti sono oggi coloro i quali leggono e meditano ogni sera un
passo delle Sacre Scritture? Quanti
sono coloro che escono dal loro guscio
per testimoniare in questo mondo in
subbuglio la loro Fede, nell’Amore che
il Signore ha avuto per noi? Per dare
l'esempio di come deve comportarsi
un credente in Gesù Cristo?
Solamente nella misura in cui le tradizioni ci aiuteranno a trovare la via
che Dio ha tracciato per noi in questo
mondo, esse saranno valide. Altrimenti noi non potremo dire di esserne
eredi come Paolo Apostolo negò che
fossero figli d’Àbramo i Giudei che non
riconobbero in Gesù la Potenza di Dio.
Ringraziando, saluto fraternamente.
Vostro in Cristo
Rotehto Blbynat
Chi si avvicina a Dostoevskij dai sicuri lidi dell’umanità deve avere la stessa sensazione di colui che, abituato
a vedere intorno a sé gli animali domestici, il cane ad esempio e il gatto, i polli oppure i cavalli, a un tratto si vede
piombato in un luogo deserto e selvaggio, di fronte all’improvviso aspetto di una animalità indomita, giaguaro
e puma, tigre e coccodrillo, di fronte allo strisciar dei serpenti e allo svolazzar di aquile e condor. Si vede circondato da selvatichezza sinistra, dal mistero di una natura
non ancora imprigionata e ricinta, non ancora paralizzata
e incatenata da centuple misure di sicurezza. « Egli ha
messo piede su terra vergine » — dice lo Zweig; lontane
sono da lui le contrade abitate, civili e più miti. Egli è condotto al di là dei confini dell’umanità conosciuta e guarda
con angoscia la faccia sconosciuta e pure conosciuta di
un uomo, il quale ha bensì in comune con lui la denominazione "uomo", ma che sembra tuttavia vivere al di là di
ogni concetto associato con quel nome, al di là del bene
e del male, di ciò che è prudente e stolto, del bello e del
brutto, al di là dello stato e della famiglia. E, come colui
che ritorna dal deserto agli animali domestici, riscopre
ora anche in questi, guardati una volta così amichevolmente, i tratti della loro primordiale selvatichezza, così emana
anche dall’incontro con il mondo e con gli uomini di Dostoevskij un non so che di orrido misterioso e di tremito
segreto.
Le manifestazioni strane di una umanità enigmatica
come ce la fa vedere D. hanno qualcosa di profondamente
emozionante e inquietante. Si pensi che i suoi uomini vivono nella più profonda pace delle città russe degli anni
tra il 1860 e il 1880; non scoppiano granate, non si ammucchiano cadaveri, non luccicano fili spinati, tutto avviene
in mezzo alla grigia banalità quotidiana: ma tanto più
minacciose e tanto più vere sono queste visioni di una
natura incredibilmente differente e scura dell’uomo, di
una natura nascosta dietro e sotto il velo della grigia banalità. Non è forse possibile che anche sotto la superficie
della nostra vita così bene ordinata in apparenza, covi
l’ardore focoso di una vita primitiva piena di una problematicità indomita e di enigmi insolubili — oppure non è
forse possibile che questa vampa stia per risvegliarsi?
UN UOMO IGNOTO E BEN NOTO,
CHE AD AVVICINARLO DA’ UN SENSO
DI VERTIGINE
Tutti conosciajnq la vertigine curiosa che ci prende
quando veniamo à trovarci tròppo vicini a un treno in
moto nella stessa direzione in cui noi ci muoviamo; perdiamo ben presto la traccia sicura della strada sulla quale
andavamo, cominciamo a barcollare, rischiamo persino di
essere travolti dalle ruote che passano rapidamente accanto a noi. Non molto differente è l’effetto che produce
su di noi l’incontro con gli uomini di D. Essi passano dinanzi a noi in visionaria singolarità e grandezza, eppure
ili strana vicinanza, nella stessa direzione, simili a anime
gemelle, di modorche involontariamente siamo turbati e
non possiamo coiftinuare la nostra strada con la medesima sicurezza. Vorremmo liberarci da ogni comunanza con
questi personaggi^reppure non possiamo, perché sentiamo
che nell’enigma della loro vita si rispecchia, e lì soltanto
in modo indicibilmente persuasivo, l’enigma della nostra
propria vita. Sbalorditi, vorremmo domandare: con chi ci
siamo incontrati? Eppure sappiamo, ancor prima di domandare, che abbiamo appunto incontrato noi stessi, perché ci siamo incontrati con l’uomo. Ma che cos’è l’uomo?
Ecco appunto la domanda di D., e la nostra. Non potendo sfuggirle, oggi meno che mai, non possiamo perciò
neppure evitare l’incontro con D. L’essere stato oppresso
da questa domanda in modo inaudito e averla posta con
ampiezza così comprensiva e con profondità così penetrante che tutte le domande con quella connesse convergono nella sua opera come in un immenso serbatoio, ecco
la ventura e la capacità dì Fédor Michailovic Dostoevskij.
Questo conferisce alla sua esistenza umana quella quasi
leggendaria grandezza, unicità e necessità che Stefan Zweig
ha dimostrato meravigliosamente. Questo però fa della sua
opera, involontariamente, quel grande ^ limite critico al
quale vanno incontro, intorno allo scorcio del XIX secolo,
le essenziali correnti di pensiero, per infrangervisi e cimentarsi. Ciò che commuove, inquieta, sconvolge gli spinti e gli animi, i cervelli e i nervi degli uomini di quel tempo in pena e speranza, passione, tormento e nostalgia, in
presentimenti di terrori futuri, tutte queste tempeste infuriarono anche intorno a D., che ne fu pervaso, sconvolto
e tormentato anche lui. Di tutto ciò che è umano, nulla
gli è rimasto estraneo.
HA ASSOMMATO LA SENSIBILITÀ’ SPIRITUALE
DI UN’EPOCA,
HA VISTO AVVICINARSI IL GIORNO DELL’IRA
Egli ha presentito e preparato la scoperta e l’annuncio
del tramonto dell’uomo di Nietzsche-Zarathustra, ma anche
la di lui titanica aspirazione verso il superuomo; egli ha
sferrato l’attacco di Ibsen contro la società con decupla
violenza; egli, pur non conoscendo Kierkegaard, ha nutrito
la più profonda diffidenza di fronte al cristianesimo diventato chiesa e nella sua chiesa russa ha amato proprio
quanto in essa non e chiesa, cioè quel che in essa ricorda, secondo lui, la storia del primo cristianesimo scevra
da’ compromessi. La posizione di D. non era estranea al
travaglio per una conciliazione ultima tra cultura e coscienza che occupava l’anima turbata del suo contemporaneo Tolstoj, ànzi quel travaglio ha espresso con forza.
D. ha anzitutto visto chiaramente quanto erano minate le
basi economiche, quanto corrotta la morale della società
in tutti i paesi europei, ha ascoltato il grido, saliente dal
profondo, dell’umanità calpestata. Egli ha scorto la grandezza dell’ira che si era accumulata ovunque per il Giorno
dell’ira. Ha visto lui stesso l’avvicinarsi di questo giorno e
preannunciato tutta la sua terribilità con parole profetiche. Egli conosceva come pochi la potenza dei demoni scatenati; egli sapeva a quali conseguenze dovesse necessariamente condurre la rivolta dell’uomo che evade dalle sue
carceri con cieco furore. E chi in lui guarda, legge qualcosa dell’irrequietezza indicibile, dello, scetticismo profondo,
del tormento e della ribellione e della nostalgia non appagata di queU’epoca infelice che con spaventevole velocità
andava incontro agli abissi della guerra e della rivoluzio;
ne. D. ha scritto e profetizzato ciò che l’epoca in cui egli
visse, nel profondo preparava; e non per caso quelli tra i
portavoce di rivoluzione che personificano nel modo più
potente l’enigma di quel tempo — nomino ancora una
volta Nietzsche e Tolstoj e potrei aggiungere Lenin —
danno l’impressione di essere personaggi dell’opera di D.
Così bene egli ha visto tutto, saputo tutto e rinchiuso nel
cerchio magico della sua opera tutto ciò che tormentava
interiormente l’intera epoca!
E con tutto ciò egli non era uno storico, tutt’altro!
Una cosa è certa: ebbe il fiuto incomparabile per tutto ciò
che era nell’aria. E possedeva egli stesso in misura altissima Giù che egli nella sua commemorazione di Pushkin
vanta come qualità russa per eccellenza, quella facoltà di
immedesimarsi completamente in altri spiriti. Ma tutto
ciò non spiega la sua meravigliosa capacità d’impadronirsi di ogni e qualsiasi realtà umana, anche della più nascosta.
UNA ANALISI VIGILE, SPIETATA;
CHE COS’È L’UOMO?
Il suo segreto non è veramente altro che quella sua domanda, quella domanda riguardante l’uomo. Sta nel fatto
che egli alimentava nient'altro che quell’unico, grande, infinito ed esasperante desiderio di andare al fondo delle
cose. « Io domando sempre, a ogni pié sospinto », dice il
principe Muishkin, la sua figura prediletta, nell’Idiota, come se volesse svelare con ciò il segreto di D. stesso. Siccome però tutte le cose in terra, appena si chiede la loro
origine e il loro fine, rimandano in forma di raggi all’uomo quale punto dal quale unicamente esse ricevono valore o non valore, luce o ombra, così l’uomo diventa il grande enigma sul quale si dirigono gli occhi penetranti di
questo interrogatore che non conosce presupposti. Ma anche di fronte all’uomo egli non si arresta a qualcosa di reale, dato, penultimo — e fossero pure le più sottili profondità psicologiche che si possano pensare —, anzi è proprio
l’uomo che desta e cimenta tutta la potenza sua consistente nella mancanza di ogni presupposto: « Quel che importa è lo scoprire la vita, lo scoprire ininterrotto, eterno e
non la cosa scoperta », è detto in un altro passo dell’Idiota.
Che cosa è l’uomo? Questa domanda ha fatto, non altro. Potrebbe sembrare poco. Eppure è di una portata incommensurabile. Proprio con lui diventa chiaro come questa domanda, posta sul serio, non è soltanto domanda ma
implica già la risposta. Con acutezza spietata D. affonda il
bisturi della sua analisi nelle pieghe dell’anima dei suoi
personaggi, fin nelle profondità più segrete, fino ai limiti
estremi. Egli ha anticipato i risultati ultimi della indagine
psicoanalitica. Tutta l’ingenua immediatezza della natura
umana, sia di carattere morale, estetico o religioso, crolla
sezionata sotto le sue mani, con tutto l’incanto e lo splendore di cui possa essere circondata. La fine dell’uomo è il
termine di tutte le vie sulle quali D. s’incammina con lui.
Eppure sono proprio le opere di D. quelle che, come se
fossero illuminate dal di dentro, irradiano una luce misteriosa, non più terrena, di una formidabile sintesi ultimissima. Non la sconfitta, non le risate beffarde sull’uomo ingannato dal diavolo, ma la ptuola vittoriosa che è incomprensibile, risurrezione è l’ultima parola dei suoi romanzi: « ...Volevano parlare, ma non potevano. Tutti e due avevano le lagrime agli occhi. Ambedue erano pallidi e smagriti; ma in quei visi gialli e ammalati splendeva già l’aurora di un avvenire nuovo, della completa risurrezione alla vita nuova... ». Queste sono le parole finali di Delitto e
castigo; e dal carcere di Mitja Karamazov, alla fine del
libro, risuona la parola: « ... Alësha, ho scoperto in questi
ultimi mesi un uomo nuovo in me, un uomo nuovo è risorto in me! quest’uomo è stato sempre in me nascosto,
ma non mi sarei accorto di averlo in me se Dio non .avesse
mandato questa tempesta. Misteriosa è questa vita! Ma
che importa se dovrò faticare venti anni là nelle miniere
della Siberia! Questo non mi spaventa più. Temo qualcosa
di ben diverso, e questa è Tunica grande mia paura: temo
che l’uomo in me risorto mi possa abbandonare... ».
SOLO DOVE VI SONO TOMBE
VI SONO RISURREZIONI: MA VI SONO!
Proprio da quelle profondità scurissime nelle quali è
penetrata la sua analisi, si sprigiona la luce miracolosa di
questa sintesi nuova. Parole come quelle di Mitja Karamazov prorompono da carceri, certamente soltanto da carceri e soltanto su « visi pallidi e consunti » si scorge questa aurora di un avvenire nuovo. « Solo dove vi sono tombe vi sono risurrezioni » (Nietzsche). Ciò non è puro caso
né raffinata tecnica letteraria che si compiaccia dei contrasti. Qui si tratta di una visione profonda. Questi trapassi, apparentemente così repentini in superficie, testimoniano di una trasformazione significativa nelle zone latenti
dello spirito. La crisi terribile che D. vede irrompere su
tutto il mondo umano è pregna di salvezza. Dalla morte
alla vita! — essa dice. Innegabile è la vicinanza e la intima
connessione con la verità contenuta nella Bibbia. Questo,
questo anzitutto occorre dire quando si vuole dire qualche
cosa di vero su D. Ciò soltanto conferisce alla sua opera
quel carattere senz’altro definitivo che trascende di molto
Ibsen, Strindberg, Jacobsen, i quali, a loro modo, sono
pure maestri dell’analisi. Questa circostanza soltanto dà, in
definitiva, ai suoi romanzi una compiutezza classica
nonostante qualche enormità formale. Questo è il motivo
per cui li amiamo. Non per il radicalismo delle loro negazioni, bensì per l’affermazione ancora più grande che scaturisce proprio dalle loro negazioni.
L’albeggiare del giorno nuovo che D. lascia intraveder-sorge proprio nella notte più profonda della problematicità umana. Lo attesta la parola di D. stesso: « il mio osanna è passato attraverso il grande purgatorio del dubbio».
Perciò rimane fermo: D. non ci ha dato una qualsiasi risposta e soluzione definitiva. La sua soluzione consiste in
una grande dissoluzione; la sua risposta è ima domanda
la domanda scottante relativa alla natura dell’uomo. Ma
chi affronta questa domanda vedrà che proprio essa contiene la risposta.
{continua)
Anche quest’anno la CLAUDIANA ha
pubblicato il ben noto calendario
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dodici belle quattricromie mensili, con
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4
pag. 4
N. 49 — 12 dicembre 1969
Un detto tibetano: Un giorno, camminando
sulla montagna vidi una bestia... Avvicinandomi mi accorsi che era un uomo e arrivando vicino a lui vidi che era mio fratello...
DOV E’ TUO FRATELLO?
Genesi 4
I
n ogni tempo vengono coniate parole o espressioni
nuove che rispondono alle situazioni, alle esigenze,
ai problemi dell’ora, perché il linguaggio segue di pari passo
il procedere del pensiero umano.
Sono ora entrate a far parte del linguaggio della sociologia le due espressioni a relazioni corte », a relazioni lunghe ».
S’intende per relazione corta quella che va da persona
a persona, la relazione d’amore da padre a figlio, da amico
a amico, da fratello a fratello. Alla relazione corta appartiene l’affettuoso rapporto che produce la parola, la vista, la
conoscenza, la simpatia, la vicinanza, condizioni insostituibili, e ne deriva la mano tesa ad aiutare fraternamente.
S’intende per relazione lunga quella istituzionalizzata,
pianificata, che va da noi aH’uomo che non conosciamo, verso il quale sentiamo l’obbligo di una solidarietà, indipendentemente da una conoscenza diretta; per es. per l’uomo
del terzo mondo, per l’uomo sottosviluppato, per l’uomo
ammalato, affamato, per l’emigrante, per l’uomo che raggiungiamo non direttamente, ma attraverso una istituzione
sociale che si occupa di lui.
Come credenti che cosa pensiamo di questi due diversi
rapporti col nostro prossimo, entrambi così impegnativi?
Abbiamo sempre trovato nell’Evangelo prima di tutto
una dimensione personale : « Va e fa tu il simigliante »
(Luca 10: 37); il che equivarrebbe a dire che il bimbo abbandonato da una madre dovrebbe poter essere accolto, non
da un istituto, ma da un’altra madre, e crescere respirando
il calore di un affetto familiare. Questa relazione corta è certo la più viva, la più genuina, la relazione per eccellenza.
Oggi però i mezzi di massa, le grandi comunicazioni,
le ideologie sviluppatesi nel nostro tempo, hanno contribuito a farci conoscere un prossimo numerosissimo e lontano
Relazioni corte,
relazioni lunghe
che è impossibile raggiungere con un rapporto personale.
Abbiamo scoperto che vi è una dimensione sociale dell’amo■re e della carità.
Anziché quale sia il più valido dei due rapporti, mi
sembra utile preoccuparsi di integrarli. Se il fratello in distretta ha diritto a un aiuto più sicuro di quello che gli
viene da una precaria, anche se calda, generosità spontanea
(per cui la necessità dell’istituto), lo sconosciuto, verso cui
va un rapporto freddo e astratto, ha dal canto suo bisogno
di un rapporto di amore. Gesù ha detto: « se fate accoglienza soltanto ai vostri fratelli, cosa fate di singolare? » (Matteo 5: 47). Non significa che il « singolare », tipico deH’amo
re, deve trasformare il rapporto verso lo sconosciuto, deve
cioè penetrare anche nella relazione lunga?
Per noi italiani, abituati a diffidare di qualsiasi istituto,
dalla Cassa del Mezzogiorno in su, sensibilizzarci al rapporto
lungo è piuttosto complicato. Ma per il credente non dovrebbe essere complicato. Il credente sa che il Regno viene. Il
Regno non è solo una relazione corta. È una relazione infinitamente lunga: abbraccia l’universo. Il credente sa che
qui e ora, nelle questioni dell’amore e della giustizia non
potrà mai dare altro che dei segni di una giustizia e di un
amore che sono solo del Regno. Ma sa di doverli dare e di
dover dare in ogni tempo un segno per il suo tempo.
Hi * *
Vediamo su queste pagine tutta una gamma di opere di
assistenza: le possiamo considerare relazioni lunghe, perché
si tratta di organizzazione e si tratta di un prossimo per i più
sconosciuto e lontano. Ma le possiamo considerare relazioni
corte, perché sono i fratelli nostri a dirigere le organizzazioni e a lavorare in questi istituti, e sono dei fratelli nostri
ad aver bisogno del nostro aiuto. Sono opere che la nostra
Chiesa manda avanti bene o meno bene, a seconda che la
collaborazione di tutti noi le permette di farlo, sia dal lato
finanziario che da quello personale. Molti lettori le conosceranno, molti no. Tutti però, davanti ad esse, siamo messi in
auestione.
Berta Subilia
CASA DI RIPOSO
a San Germano Chisone
A VITTORIA
Da S. Germano per raggiungere
l’Asilo dei Vecchi, ora meglio denominato « Casa di Riposo », si percorre
una bella strada alberata, dove, le rare panchine, sono spesso occupate da
vecchiette e vecchietti. Sono gli «ospiti » dell’Asilo che si spingono fino al
paese.
La Casa di Riposo sorge nella parte
bassa dei Grondini, in luogo ben soleg- .
giato e domina alcuni boschi di abeti
e platani. La costruzione con i suoi
vari padiglioni ci rivela la sua storia.
Una storia che parla di amore e di
fede.
Nel 1889 il pastore C. A. Tron venne eletto nella chiesa di S. Germano
Chisone. Fin dai primi anni del suo
ministero egli fu colpito dal numero
considerevole di vecchi che vivevano
nel più misero abbandono. Si convinse subito della necessità di aprire un
asilo, ma fu osteggiato dai colleghi
delle Valli. Non si scoraggiò e con fede ed entusiasmo, con mezzi propri
e con l’aiuto di molti amici, in pochi
anni riuscii ad erigere il primo padiglione dell’attuale asilo.
In seguito vennero l’infermeria, il
« villino Fede » e il quarto padiglione.
Un passaggio coperto imisce tre immobili.
Col passare degli anni furono apportate parecchie migliorie, in modo
particolare in questi ultimi: le camerate ridotte a camerette a uno o due
letti, la cucina e la lavanderia rimodernate, costruiti nuovi bagni e servizi igienici, il refettorio reso più accogliente. Ora il desiderio del Comitato
sarebbe di trasformare l’attuale passaggio coperto in una veranda chiusa,
molto più confortevole per i ricoverati.
Anche il terreno circostante è stato
ampiamente utilizzato.
La direzione dell’Asilo fino all’autunno 1968 fu affidata a diaconesse e
tutte vi hanno lasciato un segno di
servizio e di amore. Attualmente alla
direzione è stata chiamata la signora Delia Michelin-Salomon. Il personale — non sempre facile da trovare — si compone ora di elementi giovani che adempiono al loro lavoro
con spirito di fedeltà e di consacrazione. E il loro compito non è sempre
facile !
I ricoverati, circa 65 tra uomini e
donne, vengono da varie parti d’Italia, ma la maggior parte sono delle
Valli. Spesso sono ammalati e sofferenti o anche solo stanchi e sfiduciati.
Il compito di assistenza morale e materiale è svolto da due medici del paese e dal pastore. Nonostante la notevole mole di lavoro, il personale riesce a mantenere tutto in ordine, talché gli ospiti e i visitatori possono
respirare un’aria di pace e di serenità.
Nerina Ribet
Missione contro
io iebbra
Segretariato italiano
Si calcola che ci siano oggi nel
mondo più di quindici milioni di
lebbrosi di cui circa solo due milioni ricevono cure.
La « Missione contro la lebbra »
fu fondata nel 1874, con l’intento di
essere al servizio delle Chiese cristiane nella lotta contro questa malattia. Essa possiede lebbrosari in
molti paesi asiatici e, oltre a curare
i lebbrosi, si preoccupa di reinserirli nella vita.
La sede centrale della Missione è
a Londra, il segretariato europeo ha
sede a Morges (Svizzera). Il segretariato italiano è rappresentato dal
Pastore Franco Da vite di Frali. Il
suo lavoro consiste nel raccogliere le
offerte che giungono da varie parti
d’Italia, da membri delle Chiese
Battista, Metodista, Valdese e dei
Fratelli, e nel divulgare, mediante
opuscoli e riunioni, le notizie di
questa vasta opera.
Gesù diede un ordine ai discepoli: « Guarite i malati, purificate i
lebbrosi ».
\ che punto è la nostra fede e la
nostra obbedienza?
Inda Ade
Pastore Franco Davite - Missione contro la lebbra - Segret. Italiano - 10060
Frali (To) - conto corr. post. 2/35862.
La Casa di riposo di Vittoria è
è stata la prima opera sociale della Chiesa Valdese in Sicilia ed è di
data abbastanza recente, appartiene al nostro secolo. La Casa fu
infatti inaugurata nel 1933 e la
sua realizzazione è dovuta a un
gruppo di amici, ma anche a tutte
le chiese della Sicilia e dell’Italia
meridionale.
Attualmente gli ospiti della casa
sono 18, di varie denominazioni e
il personale, non certo sovrabbondante, vi lavora con dedizione.
La casa, la cui costruzione è antecedente all'ap irtura dell'Asilo,
ha continuo bisogno di riparazioni
e di rifacimenti. L’ampliamento
di essa sarebbe assolutamente
indispensabile considerando la
quantità di richieste
respinte per mancanza di posti, che vengono da tutto il meridione.
B. S.
Casa di riposo valdese.
Via Garibaldi, 60
97019 Vittoria (Ragusa),
".c.p. 16/3487.
Biblioteca Evangelica
Sconosciuta ai più, ma al servizio
di un buon numero di ciechi, opera a
Torino la Biblioteca circolante evangelica Braille. Fondata nell’autunno
1958 e diretta per vari anni con passione, capacità e intelligenza dall’Evangelista Carlo Davite, essa è affidata
ora a un’équipe che fa capo ad Anita
TRE UPERE DI SERVIZIO CRISTISIVO A FIRENZE
Gouid - Ferretti - Gignoro
Tre le opere di servizio cristiano a Firenze. Istituti per ragazzi i primi due, casa di riposo la terza
hanno dei punti di contatto nella loro storia pur
diversa. Sorti tutt’e tre, in tempi ormai lontani, per
iniziativa di singoli credenti (i coniugi Gouid, 1871;
Salvatore Ferretti, 1862; Carolina Tobler Corradini,
1927) hanno trovato nella Chiesa Valdese la loro
continuità di testimonianza e di servizio, cercando
di restare strumenti utili nel mutare delle situazioni.
Nel tentativo di darne una breve presentazione,
mi par opportuno considerare insieme il Gouid ed
il Ferretti, come due opere sorelle e complementari nel loro impegno educativo.
* * *
Il Gouid è un istituto maschile, il Ferretti femminile. Ospitano ragazzi dai sei ai diciotto anni
« che sono in difficoltà sul piano degli affetti, della
famiglia, dello studio ». Attualmente diretti entrambi da una giovane coppia (fatto questo quanto mai
positivo) sono le due grandi famiglie della comunità fiorentina. Due gruppi di collaboratori, per lo
più giovani italiani o stranieri che compiono il loro
anno diaconale, portano avanti il lavoro insieme
ai direttori. Molto si deve a queste persone: nel
modo stesso in cui esse lavorano e vivono insieme,
cercano di dare ai ragazzi un primo esempio di vita
comunitaria.
Le finalità che si propongono i due istituti sono
simili. Il Gouid dice: « Il compito più arduo, dove
ogni sacrifìcio e ogni iniziativa vengono rivolti, è
quello di formare dei giovani credenti consapevoli
della loro fede, preparati professionalmente e in
grado un giorno di dare la loro testimonanza nel
paese ». E il Ferretti: « Lo scopo dell’istituto è di
educare le giovani nella fede cristiana evangelica e
e di dar loro quei mezzi per potersi destreggiare senza paura ed impreparazione quando dovranno affrontare la vita al di fuori delle mura protettrici
della casa ».
L’uno e l’altro si propongono quindi di seguire i
giovani nella loro formazione affinchè tutti possano
realizzarsi nella società come uomini o come donne e come credenti. Non è quello che ogni genitore
cosciente cerca di perseguire nel suo compito educativo? Tutti sappiamo quanto oggi questo compito
sia difficile e complesso, anche nell’ambito di una
situazione familiare ed economica normale. Lo è
tanto di più là dove il quadro ambientale da cui
provengono questi ragazzi è spesso tragico o comunque doloroso. Oggi per ottenere quello che il
Gouid ed il Ferretti si propongono, occorre dare
ai ragazzi non solo un tetto, del pane, dei vestiti e
un po’ d'amore (cose certo indispensabili!), ma
anche tutti quei contatti col mondo esterno che contribuiscono allo sviluppo armonico della personalità e tendono a far sì che questi ragazzi non si sentano « diversi » dai loro coetanei « di fuori », sia a
scuola, che nella chiesa o nei movimenti giovanili.
Hanno bisogno anch’essi di tutto quello che noi ci
sforziamo di dare ai nostri figli; letture e spettacoli formativi (libri, dischi, TV, teatro, cinema, concerti); campi e colonie estive; possibilità di studiare
lingue straniere, musica ecc. Tutto questo costa. E
poiché il Goud e il Ferretti « vivono dei doni che il
Signore manda per mezzo dei suoi figli », dobbiamo
avere ben chiaro che questi ragazzi non sono « i parenti poveri » a cui le comunità largiscono la loro
beneficenza, ma sono i nostri figli adottivi verso i
quali abbiamo delle precise responsabilità.
* * *
E responsabilità l’abbiamo anche verso i... « nonni » della chiesa. Firenze pensa al problema degli
anziani con la casa di riposo « Il Gignoro ». Dal 1941
la casa è passata sotto la diretta responsabilità del
consiglio della chiesa valdese di Firenze e dal giugno 1968 ha trovato la sua sistemazione definitiva
nella periferia della città, in una zona tranquilla,
nella villa « Il Gignoro » debitamente adattata. Si
tratta di un lungo edificio su due piani, fra due giardini e consta di una serie di camerette con bagno
e servizi autonomi. Gli ospiti possono scendere agevolmente in giardino e fare brevi passeggiate nei
dintorni.
L’anno scorso, di passaggio a Firenze, sono stata
al Gignoro, per salutare una cara amica di Roma,
e ho trovato la casa molto accogliente e simpatica.
* * *
Chiunque passa per Firenze farà certamente cosa
gradita se farà una visitina
al GOULD - Via dei Serragli, 49 - Tel. 272.5/6 - Dir. M. e M.
jourdan - c. c. p. Ist. Gouid 5/13196.
al FERRETTI - Via S. Pellico, 2 - Tel. 663.735 - Dir. E. e
C. Rostan - c. c. p. Ist. Evang. Femm. Ferretti 5/24933.
al GIG.MOFfO - Via del Gignoro, 40 - Tel. 608.002.
Enrico e Clara Rostan ci rivolgono dal Ferretti
queste parole, che valgono certo anche per il Gouid
ed il Gignoro; « Ciò che a volte pesa di più ai responsabili di queste opere (...) è la solitudine e l’isolamento dalla gran parte della chiesa. Le nostre porte sono sempre aperte e invitiamo caldamente quanti vogliono venire a trovarci ».
Lilia Sommami
Eynard Mathieu; e lo sguardo che si
può dare indietro, a questi undici anni di attività, è pieno di stupore e di
gratitudine.
In attesa di trovare sede opportuna
nel nuovo centro comunitario della
chiesa valdese di Torino, in costruzione in Via Pio V, 15, un ampio e aitoscaffale della Claudiana ospita i 185
tomi, in genere assai voluminosi, nei
quali vari copisti volontari (parecchi
ciechi essi stessi) in questi anni hanno
trascritto non solo l’intera Bibbia (versione Riveduta) e il Nuovo Testamento
(vers. Diodati) e vari libri delle Scritture (alcuni anche in francese), ma una
selezione di culti-radio e tutta una serie
di commentari o di opere d’introduzione alla Bibbia, scritti di argomento
missionario, polemico, ecumenico, narrativa e poesia (per lo più, ma non
esclusivamente evangeliche).
La trascrizione è affidata a vari copisti, che la effettuano con macchine dattilografiche Braille. I lettori si trovano
in quasi tutte le regioni italiane, una
lettrice anche in Jugoslavia. Su segnalazione, si invia il catalogo della Biblioteca, cercando di interessare il cieco
alla lettura. 1 lettori sono cattolici, simpatizzanti, evangelici; uomini e donne
spesso alle prese con problemi personali e spirituali duri, con i quali si cerca di mantenere una corrispondenza.
Ai ciechi che li richiedono i libri sono
spediti per pacco raccomandato esente da tassa postale; lo possono tenere
tre mesi, e poi restituirlo con le medesime modalità. Infine, il dono di un duplicatore ha permesso la diffusione di
un bollettino che serve di collegamento fra i ciechi.
Siccome però non tutti i ciechi hanno imparato il Braille, la Biblioteca è
stata perfezionata con l’istituzione del
« libro parlato »: si vanno registrando
su bobine magnetofoniche letture di libri biblici, di culti-radio, di opere di
edificazione, di inni e di musica; ed è
pure disponibile un certo numero di
dischi microsolco a 45 giri. In questo
modo non di rado si raggiunge, oltre
al cieco, anche il veggente.
Sebbene il lavoro di trascrizione sia
totalmente volontario, le spese sono
ugualmente non indifferenti, tutto il
materiale è costoso; l’attività meriterebbe inoltre di essere fatta conoscere
più largamente e, naturalmente, potenziata. Segnalazioni e offerte in denaro
e collaborazione vanno indirizzate a:
Anita Eynard Mathieu, Piazza Nizza
83 bis, 1Ò126 Torino.
« Le tenebre in cui viviamo — ha
scritto una evangelica cieca — nascondono grandissimi tesori, che dobbiamo
ricercare e scoprire; se riusciamo a trovarli, ci accorgiamo che la vita è ancora bella e interessante, degna di essere
vissuta; ci rendiamo conto di poter
essere riconoscenti al Padre e ci accorgiamo che la luce è tornata a risplendere sul nostro cammino... Quando mi è possibile, richiedo un libro, lo
depongo sul mio tavolo di lavoro: quella lettura è per me sempre fonte di
energia e comprendo come ogni cosa
che sembra perduta viene restituita
sotto un’altra forma, ma in larga misura ».
5
12 dicembre 1969 — N. 49
pag. 5
E’ tempo di comprendere che ogni membro di chiesa che rifiuta
praticamente di assumere una responsabilità nei riguardi dei diseredati, dovunque siano, è colpevole di eresia altrettanto quanto
coloro che rifiutano questo o quell’articolo di fede.
W. A. VISSER T HOOFT
In un “basso” palermitano: basta scostarsi dalle vie principali...
Servizio Cristiano a Palenoo
È una bellissima città, di oltre
mezzo milione di abitanti. Chi le si
avvicina dal mare è impressionato
dal grandioso panorama di una importante città portuale ai piedi del
Monte Pellegrino e delle montagne
che circondano la fertile « Conca
d’oro ». Ma guardando da vic'no, ci
si accorge dei danni provocati dalla
guerra, che dopo un quarto di secolo sono stati riparati solo in parte, e
della miseria nella quale vivono gli
abi tanti in certi quartieri vicino al
porto e al centro, non meno che alla periferia. Accanto ai begli edifici storici ci sono viuzze strette con
case in rov'na che albergano una povertà mal celata che sempre si accompagna con malattia, ignoranza
e vizio.
Non sorprende dunque che già
nel 1865 la chiesa valdese, costituita
alcuni anni prima, abbia aperto una
scuola nei propri locali per strappare i bambini del centro di Palermo all’analfabetismo e per aprire
loro una via verso una vita più umana. Quest’anno 160 bambini sono
iscritti alle 5 classi. Oltre all’insei.oamento ricevono una refezione
calda a mezzogiorno, che devono
però consumare nelle loro aule seduti nei banchi, perché manca lo
spazio necessario per allestire un refettorio e per impiantare una palestra.
Negli uìt'mi 12 anni sono nati altri istituti di assistenza. Il più grande è la « Casa del Fanciullo », nel
quartiere « La Noce », un vecchio
palazzo signorile, con giardino e casette adiacenti. Là 194 bambini frequentano l’asilo o la scuola e ricevono la refezione a mezzogiorno,
mentre 13 alunne, in parte di famiglie terremotate, sono accolte in un
convitto femminile provvisorio. La
domenica viene celebrato un culto
per i genitori dei bambini ed i vicini di casa. Su questo terreno sarà
'■'i:truifa la futura scuola-convitto
culi posto per 100 interni e 50!)
ei-iemi che concentrerà tutti gli istituti valdesi di assistenza ed istruzione (inora esistenti a Palermo, anche
l’attuale convitto maschile che offre
FRA GU EMIGRANTI
ospitalità a una trentina di bambini.
Questi, orfani o abbandonati a sé
stessi, vivono da qualche tempo in
una casa messa a disposizione da un
medico della comunità valdese.
Se ci domandiamo chi organizza e
fa tutto il lavoro connesso con due
scuole e altrettanti convitti, la risposta è: il Servizio Cristiano di Palermo, diretto dal pastore Panasela, assistito da sua moglie, una segretaria,
11 insegnanti e una dozzina di persone che da educatori fino a autisti
(per il trasporto dei bambini alle
scuole) sono impegnati in un lavoro
che è espressione dell’amore per il
prossimo. Per maggiori informazioni raccomandiamo il bollettino Voce
di Palermo che si può richiedere al
Servizio Cristiano, Via Spezio 43,
90139 Palermo. Ivi pure si possono
indirizzare le offerte, da versarsi anche sul c. c. p. 7/7529.
Un’altra bella opera del Servizio
Cristiano di Palermo è il Villaggio
« La Speranza » a Vita, nella provincia di Trapani. Trenta famiglie
colpite dal terremoto hanno trovato
nelle loro nuove casette una possibilità di cominciare una vita nuova
in uno spirito di fiducia reciproca.
Le Bibbie nelle case e l’edificio per
le attività comunitarie mostrano lo
spirito nel quale è sorta quest’opera
e su quale strada continuerà, nella
ferma speranza che se il Signore edifica la casa non in vano si sono affaticati gli edificatori.
Aja Soggin
Orfanotrofio
di Torre Peiiice
La prima opera sociale che i Valdesi
fondarono dopo la « emancipazione »
fu l’Orfanotrofio di Torre Pellice, che
sorse nel 1854 per opera di amici inglesi toccati dalla miseria esistente alle Valli.
Da allora l’Orfanotrofio — che in seguito non ha accolto solo bambine orfane — ha ospitato 800 bambine, la cui
età varia dai 6 ai 15 anni e che provengono in genere dalle Valli, ma anche dal resto d’Italia. Si tratta ogni
anno di 30-35 bambine e ragazze che
frequentano le scuole di Torre Pellice,
la scuola domenicale, i corsi di catechismo e le riunioni giovanili.
Le giornate, come per tutti i ragazzi, passano tra la scuola e lo studio,
ma la sera, dopo cena è il loro momento libero: dopo il brevissimo culto
è bello vederle scegliere il loro svago:
a chi piace cantare, chi lavora a maglia per farsi dei golfini, chi legge, chi
chiacchiera... C’è poi la televisione che
interessa le grandi con i suoi film, i
documentari e le canzoni di Canzonissima!
Parte delle ospiti provvedono alla
retta, ma ve ne sono di completamente a carico dell’Istituto o che contribuiscono con rei tè minime e sono
bambine che necessitano di tutto e
dovrebbero poter essere aiutate.
La signorina Fini, così valida direttrice per tanti anni, ha purtroppo dato le dimissioni per limite di età. « Non
abbiamo — essa dice — in questo momento casi difficili, abbiamo elementi
buoni, che si lasciano guidare, serenamente, verso sentimenti di responsabilità cristiana. Ma il pensiero assillante ora è di poter trovare una persona
adatta ad assumere la direzione di
questo nostro Istituto ». Ci vuole una
persona di almeno, 28-30 anni, che abbia almeno un diploma di scuola media o di infermiera, che abbia molta
pazienza con i barrpini e... sappia fare
un po’ di tutto, coite una Casa di questo genere lo richilde.
Chi andrà a prenffere quel posto di
responsabilità, certo, ma di una responsabilità così bella? Chi udrà la
voce che chiede: chi manderò? e chi
potrà rispondere fiducioso: eccomi,
manda me? Speriamo di sentire presto che una persona o chissà, forse
una coppia, voglia risolvere questo
problema. B. S.
(t
Villa Olanda,, casa di riposo
Una delle opere assistenziali della nostra Chiesa, più confortevole
ed accogliente come casa di riposo, è Villa Olanda a Luserna San
Giovanni. Essa è rallegrata da un
bellissimo giardino pieno di rose
e da un vasto parco con alberi secolari, vera delizia per chi cerca
tranquillità e riposo!
Dopo l'ultimo conflitto, il Consiglio Ecumenico delle Chiese assegnò alla Chiesa Valdese un vitalizio di L. 500.000 per ogni profugo
ricoverato ed assistito nelle nostre
opere. Furono riuniti cinquanta
profughi, in maggioranza russi, e
con i 25.000.000 dei vitalizi e con
altri fondi raccolti, fu acquistata
Villa Olanda e adibita a loro dimora.
Il numero dei profughi russi ivi
ospitati va assottigliandosi sempre
più, a causa dell'età ed attualmente consta di 24 unità. La loro cura
spirituale è svolta dall'anziano della Chiesa Ortodossa, sig. Sergej
Pomaretto: Scuola materna e Convitto
Brulicar di bimbetti intenti ai loro giochi, cinguettio di voci infantili, a volte reco di qualche bisticcio.
Que.sto è quanto possiamo cogliere
nell’accostarci alla scuola materna
di Pomaretto nei giorni di bel temoo, quando i piccoli trascorrono
buona parte della loro giornata all’aperto. E nasce il desiderio di soffermarsi ad osservare questo mondo
dei piccoli, co.sì vivo e interessante
nelle sue varie manifestazioni. Tor
11 sottoproletariato
L’opera per gli emigranti è svolta in Italia a livello federale e incaricato
ne è il pastore di S. Germano Chisone, Pier Luigi Jalla, che sente fortemente
il problema.
Lo sente prima di tutto come pastore, sapendo che è compito della Chiesa
predicare l’Evangelo ai poveri. Lo sente come uomo che vede negli emigranti,
nella loro drammatica situazione di sradicati, i più poveri fra gli uomini.
Che fa la Chiesa Valdese per loro? La Chiesa Valdese ha in Svizzera tre
pastori che curano delle comunità di lingua italiana e hanno l’inoarico degli
emigranti. Inoltre ha due pastori in Germania, dove le necessità deH’emigrazione sono più gravi, col solo incarico degli emigranti. Intorno ad essi collabora
una piccola rete di colportori, evangelisti, responsabili di gruppo, più o meno
volontari.
Le caratteristiche del lavoro nella emigrazione sono quelle di una estrema
dispersione e di una grande necessità di assistenza sociale. Il lavoro pastorale
è naturalmente del tutto diverso dal lavoro nelle comunità e ci vuole molta immaginazione per articolarlo.
A Palermo esiste un Centro di Studi e di Assistenza agli emigranti, finanziato dalla Federazione, dove lavorano una persona retribuita a tempo parziale
e alcuni volontari. Essi hanno già avuto delle iniziative e si spera possano potenziarle in avvenire.
Il Consiglio Ecumenico delle Chiese e il Comitato delle Chiese europee per
i lavoratori migranti si occupano delle migrazioni su scala mondiale. Nelle
Chiese italiane poco ci si è invece occupati del problema della emigrazione.
Forse lo si è considerato piuttosto un problema riguardante i paesi che ospitano i nostri fratelli. « Io personalmente — ci scrive il pastore Jalla nel darci
tutti questi dati — ritengo che l'interesse per il sotto-proletariato sia altrettanto
doveroso ora, quanto avrebbe dovuto essere l’interesse per il proletariato operaio, al tempo in cui quésto non era una potenza ».
Nel mandare il nostro pensiero solidale e fraterno a tutti quelli che degli
emigranti si occupano — da S. Germano, alla Germania, alla Svizzera e alla
Sicilia — non possiamo che sperare una sensibilizzazione al probleina e alla distretta di questi uomini, in modo speciale dei 25.000.0000 di italiani che in un
secolo hanno lasciato il paese.
B. S.
nano infatti alla mente i simpatici
saggi di fine d’anno: le brevi recite,
i canti intramezzati da inattesi e divertenti ’’fuori programma”, da interventi di ’’registi” improvvisati.
Si rinnova il ricordo delle esposizioni di pitture spontanee, così personali ed espressive.
In una visione panoramica dei
nostri impegni sociali vogliamo ancora ricordare questo lavoro, già
presentato ai lettori attraverso scritti e fotografie. La scuola materna
co.stituisce un servizio sempre più
apprezzato e indispensabile in una
zona dove l economia industriale si
è andata sostituendo a quella agricola. È un lavoro vivo, in espansione:
vi si tende allo sviluppo attivo, completo della personalità dei bimbi,
seguendo criteri didattici moderni.
Lo spirito che anima chi più direttamente si occupa dei piccoli e la
équipe che provvede a necessità di
ogni genere, danno alla scuola un
contenuto valido di testimonianza
nell’ambiente in cui svolge la sua
opera.
Amici vicini e lontani possono esser presenti col loro interesse che
sarà sempre d’incoraggiamento a
chi deve affrontare i complessi problemi di carattere educativo ed organizzativo che si presentano giorno
dopo giorno.
LnVA SoMMANI
A Pomaretto nei locali del « Convitto
Valdese » è in piena attività un’opera
che va cercando la sua via di servizio
in un senso più aderente alle necessità
del nostro tempo.
Il nuovo impostamento è andato delineandosi in seguito all’unificazione di
un orfanotrofio maschile e di un convitto che accoglieva, in periodo scolastico, alunni provenienti in prevalenza
dalle Valli Valdesi, che intendevano frequentare la « Scuola Latina ».
Rispondendo a sempre più numerose
richieste di assistenza, questo istituto
accoglie ora specialmente figli di emigrati, ragazzi appartenenti a famiglie
disagiate o in crisi: 70 tra ragazzi e ragazze, dai 6 ai 18 anni. L’impegno è notevole, il lavoro complesso, ma tutto
è affrontato con entusiasmo dal « gruppo formato da direttori e assistenti,
nel quale non esiste nessunissima forma di gerarchia » (così si esprime una
assistente al suo secondo anno di lavoro al Convitto). E ancora, riferendosi
all’anno scorso in cui il lavoro è stato
avviato su nuove basi, osserva: « All’inizio del nuovo anno scolastico abbiamo
raccolto i frutti del passato anno. Noi
più esperti, i ragazzi più coscienti...
« Nelle speranze del gruppo rientra
anche la possibilità d’allargare maggiormente il campo di lavoro verso i figli
dell’emigrazione ». In particolare per
gli emigrati nella Svizzera questo convitto dà la possibilità di avere i figli
relativamente vicini.
Durante la giornata il convitto ospita
anche 20 semi-convittori, alunni di scuola media abitanti nelle Valli e che possono rientrare la sera a casa loro (ciò
non era possibile una volta per la scarsità dei mezzi di comunicazione).
Un altro aspetto interessante, in esperimento da quest’anno, è la stretta collaborazione tra Convitto e Scuola Latina. Ne è espressione un doposcuola
unico (invece dei due distinti prima
esistenti) in cui operano affiancati professori della scuola o assistenti del Convitto; il doposcuola è aperto anche agli
alunni del paese, favorendo l’integrazione Convitto-ambiente. Questa iniziativa dovrebbe essere di notevole vantaggio sul piano didattico ed in vista
delle finalità educative: troppo spesso
difatti si creano fratture tra istituti e
scuole (come tra scuola e famiglia) proprio dovute alla scarsa conoscenza reciproca, alla rara possibilità di comunicazione d'intenti educativi, ad una
spesso diversa valutazione degli alunni.
Auguriamo un anno di buona attività
e di gioia nel realizzarsi delle molte
speranze, al gruppo che si dedica con
impegno a questi servizi, nell’alternarsi
delle esperienze più varie che caratterizzano la vita di questa comunità di
lavoro.
Lina Sommani
Tomsky Popoff, nonché, una volta
ogni 40 giorni, dall'Arciprete Victor Ilijenko che viene espressamente da Roma per due o tre
giorni.
Nei mesi estivi e penso anche
invernali, la casa apre volentieri
le sue porte ad ospiti desiderosi
di passare un periodo di vero riposo. Le camere sono molto confortevoli e il vitto è ottimo; la casa
è ben riscaldata. Data la carenza
di Case di Riposo per gli anziani
evangelici è auspicabile che Villa
Olanda possa riempire le sue camere con pensionanti stabili. L'assistenza medica è espletata dal
dott. Pellizzaro, residente nel comune, con grande competenza e
amore.
Il Direttore di Villa Olanda, sig.
Luigi Peyronel e la signora si occupano con vera dedizione ed affetto
della bellissima opera assistenziale, rendendo un'atmosfera veramente familiare per i loro ospiti,
soli e talvolta forzatamente lontani dalla propria famiglia.
Lia Teresa Taliento
“ULIVETO“
Istituto medico-pedagogico
Nel comune di Luserna S. Giovanni
c’è una vecchia villa, circondata da un
terreno, ben adatta per accogliere confortevolmente 30 bambini psichicamente ritardati: l’Uliveto.
Questo istituto, che risponde a un
problema oggi così sentito, è sorto per
iniziativa della chiesa di Torino, è presieduto da una commissione del suo
Concistoro e praticamente dipende dall’ospedale valdese. I bambini, dai 6 ai
14 anni, che lo abitano sono in parte
evangelici in parte cattolici, perché la
Provincia che provvede alle rette e all’assistenza medica segnala anch’essa
dei ragazzi. Il personale è evangelico.
I ragazzi frequentano la scuola comunale di Luserna S. Giovanni che ha
messo a disposizione delle classi apposta. A casa, sotto la guida delle maestre dell’istituto, oltre che allo studio
si dedicano a ogni genere di lavoro manuale e anche alla coltivazione del giardino, e stampano, in una piccola tipografia, un loro giornalino « La voce dell’Uliveto ». Il pastore di S. Giovanni fa
loro la scuola domenicale.
Ci si preoccupa di dare a questi figliuoli una vita serena e tante cose che
li possano aiutare a prendere contatto
con il mondo e a risvegliare la loro
mente: si cerca di dare loro giochi,
musica, feste... I giocattoli, i libri non
bastano mai! Sono bambini simpatici,
allegri, affettuosi, uguali in questo a
tutti i bambini del mondo. Con le cure adatte, con un’assistenza attenta,
procurando loro un ambiente sereno e
sano e lieto, si spera che il ritardo sugli altri pian piano svanisca e possano
fare in poco tempo grandi progressi e
che, uscenclo a 14 anni dall’istituto, possano affrontare ineglio la vita.
Le necessità del momento sarebbero: una palestra, un impianto di docce
più efficiente, un televisore.
La direttrice, impegnata a fondo in
quest’opera, è sempre felice di accopersone^ che vogliono visitare
1 Uliveto, grata di avere consigli e suggerimento da chi si interessa ai problemi dei minori.
I. A.
6
pag. 6
N. 49 — 12 dicembre 1969’
Servizio cristiano a Riesi
Dopo l’opera di Agape a Frali,
centro ecumenico inteso come testimonianza resa alla agape di Dio incarnata in Cristo, il pastore Tullio
Vinay iniziò la sua seconda opera di
testimonianza cristiana a servizio
della popolazione di Riesi, nel novembre 1961.
Lo spazio concesso non permette
di enumerare le difficoltà e gli sforzi per creare le varie attività iniziate e portate a termine dal pastore
Vinay e dal suo « gruppo ». Ecco
alcune attività di questi primi 7 anni: scuola materna, scuola elementare, scuola meccanica, scuola di ricamo; ufficio assistenza e ambulatorio pediatrico, centro agricolo, cooperativa di ricamo. Un lavoro enorme reso possibile dalla vita comunitaria del « gruppo ».
In una mia brevissima visita, fatta alcuni anni fa, venni a contatto
con questo piccolo numero di volontari che, rinunciando a una vita comoda, umilmente, indefessamente,
coraggiosamente, cooperano insieme
al loro pastore nella testimonianza
che la Chiesa è chiamata a dare nel
mondo.
Il « gruppo » inoltre si è fatto
promotore in Riesi dei primi soccorsi ad una delle città colpite dal terremoto. Per mezzo di enti, di aiuti
di amici e di un appello alla generosità della popolazione di Riesi, è
stato possibile costruire un villaggio
di 40 case per i sinistrati.
Abbiamo accennato ai fatti più
salienti del lavoro compiuto a Riesi
in 7 anni. Ma il messaggio vero che
vi è dato è l’annuncio del « nuovo
mondo » di Cristo, il Regno. Soltanto questo annuncio potrà portare un
mutamento nella mentalità dalla popolazione di Riesi. Il cammino da
percorrere è lungo e difficile e ha
bisogno di essere sostenuto dalle
preghiere e daH’aiuto materiale di
tutti se vogliamo che da questa opera iniziata con spirito di sacrificio e
di coraggio, nasca una « nuova mentalità ». Scrive il pastore Vinay:
’’Cerchiamo di indicare in Cristo,
non solo il Salvatore di ognuno, ma
anche il mondo dell’agape che Egli
ha predicato e incarnato, mondo assolutamente nuovo e diverso da
quello in cui viviamo e che è la sola realtà ultima alla quale ognuno è
chiamato. Il mondo ’’nostro” è un
mondo di lotta, di dominio, di prestigio, di sfruttamento degli altri —
il mondo ’’Suo” è il mondo del dono, del primato del servizio, del grattato, della ricerca dell’ altro”.
Tecla Ade
Servizio Cristiano,
93016 Riesi (Cl), c. c. p. 7/4093.
Mmimiiiiiiiiiimiiiiimiii
ll•■lm1lllllllllmmlllIlml(lllllllllll1l■llmlllllIlllllllllllnllmlll■mlllllllllllllInmllllllllllmlllllllllllll
iiiiiiuiiiiiiiiiiiimiiimiiiiliiiiiniiiiiiiitiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiin
Credo che Fuomo sia forte da poter portare i deboli
che abbia occhi da poter condurre i ciechi
e intelligenza da amare i semplici
..........imi........................... ...min ..min munii................
L’Isfilufo "'Arfigianelli,, a Torino
PESTALOZZI
L’Istituto torinese degli Artigianelli
Valdesi è molto antico ed ha un passato interessante.
Nel 1851/53 sorse il tempio di Corso
Vittorio e si cominciò a pensare alla
utilità di un istituto che offrisse la
possibilità ai giovani delle Valli, di
imparare un mestiere, dando loro un
buon ambiente in cui vivere. Per i
Valdesi delle Valli, subito dopo la
emancipazione, i tempi erano duri, socialmente ed economicamente.
La comrmità di Torino e il suo pastore, G. P. Melile, pensarono allora
di dare il loro contributo alla soluzione del problema creando una casa
per i giovani delle Valli che volessero
impratichirsi di un ihe'stìere per entrare nell’industria.
L’istituto nacque modestamente in
un alloggio di via S. Anseimo, con tre
ospiti, grazie all’aiuto finanziario di
Miss Bradshaw. Dopo una decina di
anni, nel 1865, fu inaugurato un nuo
Casa di riposo a San Giovanni
Come si sa le opere sociali della
Chiesa Valdese hanno potuto cominciare a funzionare a partire dal 1848.
Tutta la seconda parte del secolo scorso ha visto infatti sorgere qua e là, oltre i luoghi di culto, le scuole, gli ospedali, le case per giovani e vecchi. Gli
Asili per i vecchi, a S. Germano e a
Luserna S. Giovanni, datano degli anni 1894-98. Non possiamo non essere
stupiti e ammirati che tante opere così
serie abbiano potuto sorgere in così
breve tempo e in uno spazio così ravvicinato, e non valutare lo sforzo e la
tenacia impiegati.
Nel ’94-’95, quando era pastore Antonio Gay, e per la generosità di alcune signore, sorse ai piedi della collina
di S. Giovanni un Asilo per i Vecchi.
La casa rustica — una costruzione allungata, tipica delle Valli Valdesi — si
presenta ancora oggi nella sua bella
semplicità fra il verde riposante che
la circonda.
Oggi la casa avrebbe bisogno di innovazioni, perché, sebbene siano state
operate modifiche alla cucina, ai bagni
e nella lavanderia, alcuni impianti igienici andrebbero rinnovati, alcune camere rifatte a nuovo, alcuni lettini
cambiati.
L’Asilo dipende direttamente dal
Concistoro di Luserna S. Giovanni che
riceve con molto piacere i doni in danaro e in natura.
I ricoverati sono attualmente 26, fra
i 70 e i 90 anni, provenienti in maggioranza dalle Valli, ma anche dalla
Liguria e da Torino (una vecchietta
perfino dalla Francia). La direttrice è
Suor Ermellina Pons che vigila su tutto e su tutti. Per tre ore al giorno c’è
Dina, una cuoca, mentre Nelly e Alina
fanno le pulizie di giorno. Ma la notte
suor Ermellina dorme con un occhio
solo... Come sarebbe benvenuto un
aiuto per l’assistenza ai malati, specialmente a un uomo paralizzato giacente
nel letto da oltre 5 anni!
« Qualsiasi cosa venga dalla ’mano
che aiuta’ — dice suor Ermellina —
sarà accolta con gioia e riconoscenza
come venisse da Dio stesso ».
B. S.
ASILO PER VECCHI
Via Malan
10062 Luserna S. Giovanni (Torino)
vo edificio, grazie al generoso aiuto di
un russo, il conte di Stackelberg.
Così, grazie a due mani tese, una
dall’occidente e una dall’oriente, l’istituto ebbe la sua vita. Ma la comunità
di Torino è sempre quella che agisce,
anche se gli aiuti materiali vengono
da fuori.
In cento anni di attività, sono passati tra le mura degli Artigianelli 700
giovani, i quali, o presso artigiani o
presso industrie, hanno imparato a
lavorare senza essere abbandonati in
balìa della grande città ma seguiti
quotidianamente con amore, tra gioie
e difficoltà. Attualmente i convittori
sono una ventina e non vanno più a
Torino per imparare, un mestiere ma
per lavorare, e spesso lavorano e studiano contemporaneamente.
L’istituto sta per trasferirsi in una
nuova sede: la Villa De Femex, nella
zona del Valentino, che sarà in grado
di ospitare un maggior numero di ragazzi.
Le preoccupazioni più urgenti sono
quelle finanziarie : la spesa per i lavori di adattamento della villa, l’arredamento, il trasloco.
Secondo un giovane dell’Unione
Giovanile di Torino, vi è anche il problema umano, dei rapporti tra la comunità e i giovani ospiti. E questo
rientra nel « rapporto corto » che non
si sa Se sia più facile o più difficile
di quello lungo.
Ai giovani di Torino questo problema: essi sono i figli di una comunità molto matura. Inda Ade
L'asilo "Betania"
a Orsara di Puglia
Orsara è un grosso paese montano della Puglia, dove 69 anni fa
ebbe inizio l’opera Valdese. Se accanto al locale di culto si sentì la
necessità di aprire un asilo per i
bambini, fu a causa della situazione ambientale, per cui ancora
oggi non vi sono asili di Stato capaci di raccogliere tutti i bambini.
I 34 che frequentano il nostro asilo sarebbero evidentemente sulla
strada.
Un circolo di amici tedeschi, il
Freundeskreis der Waldenser Kirche (Circolo di amici della Chiesa
Valdese) di Colonia, s’interessa da
anni all’opera di Orsara e permei
Centro sociale di Corato
La prima volta che una Bibbia
ha fatto la sua comparsa a Corato
è stato nel 1867 per mezzo di un
colportore. Ne è sorta una comunità evangelica.
Raramente, durante i suoi qu^*
si cento anni, di vita, la comunità
di Corato ha avuto un pastore sul
luogo; quasi sempre, come attualmente, è stata curata dal pastore
della vicina Bari. Un male? Un
bene?
Fatto sta che la comunità di Corato con questa lacuna e pur vivendo in un ambiente economicamente piuttosto depresso, è riuscita a esprimere la sua testimonianza attiva fondando un laboratorio
di lavori femminili che aiuta molte famiglie bisognose e dove molte
ragazze hanno trovato la loro strada; facendo funzionare un doposcuola che da vari anni cura, con
2 insegnanti, due turni di bambini- con una biblioteca circolante
te all’asilo di funzionare regolarmente e di curare i bambini non
solo con r insegnamento, ma anche col nutrimento. L’idea di questi amici è di mettere le opere a
cui provvedono in grado di provvedere da sè, essi vogliono dare
cioè un aiuto iniziale, una spinta
affinchè le opere diventino autonome.
Occorrerebbe ingrandire il locale, occorrerebbe ampliare e potenziare l’opera, favorire nuove
iniziative. Al lavoro della maestra
locale e del pastore, all’aiuto finanziario degli amici lontani e vicini,
è necessario si aggiunga molta fantasia, molta buona volontà e intelligenza e interesse, forse soprattutto da parte di giovani volontari,
che diano a quest’opera nuovo impulso e rinnovato slancio.
B. S.
11 discorso ospedaliero, parlando
* di assistenza diaconale, sarebbe
troppo lungo per lo spazio ora a
nostra disposizione. Ci limitiamo a
menzionare gli Ospedali valdesi di
Torre Pellice, Pomaretto e Torino;
quello inaugurato quest’anno a Na-,
poli è interdenominazionale, come
10 è l’Ospedale evangelico internazionale di Genova.
E vogliamo pure ricordare la Casa delle Diaconesse, che prepara
— o sarebbe più giusto dire: ha
preparato? — le Diaconesse al lavoro nei nostri ospedali e istituti;
e il Centro diaconale, che si spera
possa diventare un efficace mezzo di formazione evangelica —
accanto a quella più direttamente
professionale — per i vari ministeri diaconali.
Anche il Centro evangelico di
solidarietà di Firenze si regge su
un’attività interdenominazionale ;
comprende pure un ambulatorio.
n n altro discorso andrebbe poi
** fatto per le opere scolastiche
(dagli asili d’infanzia alla Facoltà
di teologia!) e per i convitti e gli
ostelli; e un altro per le colonie, i
campi, le foresterie. Qualche altra
Unione vorrà interessarsene?
11 bbiamo parlato, in queste pagi“ ne, delle opere diaconali che la
nostra Chiesa sostiene nel suo insieme, anche se alcune sono particolarmente legate, com’è naturale,
alla vita di questa o quella comunità. Ma non si può dimenticare
l’umile, spesso nascosta, ma non
per questo meno valida e necessaria attività diaconale che tante comunità conducono, spesso tramite
gruppi di assistenza, per lo più
femminili. Né sarebbe protestante
dimenticare il servizio che molti
rendono, con animo di credenti,
nel luogo del loro impegno professionale.
Il Icibotaturio di Oerignola
« Il laboratorio di maglieria di Cerignola — ci scrive un membro di quella
comunità, Emanuella Campanelli — è
sorto per iniziativa di Carmen Ceteroni
Trobia allora assistente di chiesa nella
nostra comunità ». La chiesa evangelica
di Solingen fornì i mezzi per l’acquisto
della prima macchina nel 1960 e aiutò
in seguito per le altre macchine, per il
locale, per il terreno su cui costruire
un nuovo laboratorio. « L'inizio è stato
molto duro — continua Emanuella —
ma poi l’opera pian piano è andata
avanti tanto che ora è in corso la co
(continua a pag. 7, 5" col.)
Il Rifugio "Carlo Alberto”
di 300 volumi di argomento religioso e di cultura varia, che compie un servizio anche verso l’esterno; e organizzando ora una foresteria che le permetterà di avere
dei contatti con amici di fuori.
Non vogliamo fare della retorica su queste colonne, ma vogliamo dire che sentiamo una viva
gioia quando vediamo la Chiesa
operare alacremente il suo servizio, tanto più se lo vive umilmente
e semplicemente, quasi in una diaspora...
Auguriamo alla comunità di Corato di sapersi tenere ancorata su
quella che è stata la sua prima
pietra: la Bibbia del 1867!
Eventuali offerte possono essere inviate al pastore di Bari. I libri sono molto graditi.
B. S.
Pastore Enrico Corsani
Piazza Garibaldi 69
70122 BARI
c.c.p. 13/9965
Sull’altura dei Musset, sopra S. Giovanni, in un posto incantevole dominato dalle Alpi Cozie e sovrastante la
pianura piemontese, sorge il Rifugio
Carlo Alberto. Una delle opere più significative sorte in seno alla Chiesa
Valdese nel secolo scorso.
L’iniziativa per la costruzione di un
Rifugio fu del giovane Guglielmo Melile, venuto pastore a S. Giovanni nel
1896. Egli ne fu l’animatore e la guida
spirituale fino al 1902, quando ormai
sofferente, affidò alla Chiesa la sua responsabilità; nel 1902 l’istituto fu eretto
in Ente Morale pur rimanendo la Chiesa, attraverso alla Commissione Istituti
Ospitalieri, la responsabile della direzione.
Il desiderio di creare un luogo di pace e di cura per ammalati incurabili,
nacque nel pastore Melile il giorno in
cui venne a trovarsi di fronte ad alcuni
casi pietosissimi di persone distrutte
dal male. Questi ammalati venivano respinti da ogni luogo di cura per la loro
inguaribilità e miseria. Spinto da grande pietà per quei poveretti e animato
da una grande fede, il pastore Melile
cominciò col raccogliere quattro ammalati e sistemarli alla meglio, in attesa di una dimora più stabile. (Duesta
fu trovata, in una bella fattoria situata,
appunto, sull’altura dei Musset. In breve (1896-98), nonostante difficoltà di
ogni genere, non ultime quelle finanziarie, la fattoria venne trasformata in
un’accogliente e confortevole casa di riposo. Al momento dell’inaugurazione
sorgeva una « Casa » con 24 posti; in
seguito fu aggiunta una seconda co
struzione e nel 1911 venne inaugurato
il Padiglione Arnaud, donato dagli « Amici del Rifugio ». Questo padiglione
permise di aumentare la capacità del
Rifugio e di ospitare un certo numero
di ammalati di T.B.C.
Grazie alla generosità di amici italiani e stranieri oggi i ricoverati sono una
ottantina, senza distinzione di nazionalità nè di credo. Vi sono ammalati di
cancro, epilettici, paralitici, anormali
psichici. Sono esclusi solo i malati di
mente, perchè non c’è l’attrezzatura nè
il personale sufficiente per quella categoria di infermi.
Malgrado tanta distruzione fisica il
visitatore che vada a trovare un palíente o un amico, si viene a trovare in
un’oasi di pace e dimentica, per un attimo, il motivo che l’ha spinto fin lì. Voglio ricordare le parole che furono rivolte a Suor Alice Beney che vi si prodigò per quasi mezzo secolo: « Se alcuno aveva considerato quell’opera come una anticamera del cimitero, essa
è riuscita a farne l’anticamera del paradiso ».
Anche oggi la Direzione è affidata a
una Diaconessa, Suor Susanna Coisson.
Essa è aiutata nel suo difficile e duro
compito da otto persone; preziosa è l’opera di aiuti volontari. Gli ammalati
sono assistiti dal medico del luogo.
I ricoverati sono liberi e possono godere della natura e del verde che li circonda; nessuna rigorosa disciplina li
costringe, le porte sono sempre aperte
e tra loro e la Direzione regna uno spirito di collaborazione e di aiuto reciproco. Nerina Ribet
oncludiamo questo rapido e imperfetto panorama di opere, scusandoci di tutto quello che ci può essere sfuggito, sia trascurando di dire proprio la cosa essenziale che solo chi è impegnato, vede,
sia tralasciando delle opere.
Questa pagina è stata preparata a cura delle sorelle delle chiese
di Roma e forse c’è una ragione: a Roma non abbiamo nessuna opera
sociale e scntiam.o il peso di questa assenza. La sentiamo come un
rimprovero alla tiepidezza della nostra fede che si esaurisce, comunitariamente, sui banchi delle nostre due chiese.
Ringraziamo tutti quelli che, interpellati, ci hanno inviato dei dati uliii a rendere viva la presentazione di queste note; e comprendiamo che qualcuno non ci ha risposto per mancanza di tempo.
Ci ai.xguriamo di aver fatto cosa grata ai lettori^ presentando la
fatica di tan+i fratelli e sorelle: per noi, che abbiamo l’unico vantaggio
di poterci rallegrare, senza ombra di vanteria, di tanto lavoro che essi
hanno fatto e fanno, è stata una gioia gettarvi lo sguardo e vorremmo
sentissero ia nostra solidarietà e la nostra riconoscenza. Saremo felici se non testeranno solo parole sulla carta, ma se risveglieranno una
nota in ogni cuore.
Le unioni femminili valdesi di Roma
7
12 dicembre 1969 — N. 49
pag. 7
La travagliata comunità pisana
Si permetta al sottoscritto, che non
ha partecipato aH’elaborazione né all’approvazione dell’ordine del giorno
recentemente votato dall’ Assemblea
della Chiesa Valdese di Pisa, pur conoscendone e approvandone in precedenza il contenuto di fondo, ordine del
giorno che è ora oggetto di un grave
attacco da parte del Pastore Luigi Santini, di controbattere certe gravi affermazioni che questi fa nell’ampio articolo in prima pagina di questo giornale, in data 28 Novembre u. s. Deve essere però sottolineato che il sottoscritto aveva dato un contributo fondamentale, in più modi, al concretizzarsi della reazione a quella che qui chiamo,
per pura relativa comodità di catalogazioaie provvisoria, « sinistra teologicopolitica », contributo che ho la pretesa,
speriamo non troppo temeraria, di
chiamare « profetico », visto che quest’articolo del Santini è intitolato « Una
condanna senza profezia ». Contributo,
si badi bene, che in gran parte conosce e che, perciò, rende ancor più grave e inaccettabile il suo articolo.
Siccome la situazione travagliata della Chiesa Valdese di Pisa è diventata
ormai un fatto di pubblico dominio,
non solo nei giornali protestanti, ma
anche in un giornale come « La Stampa » e in vari ambienti pisani, sarà
bene che qui siano raccontati alcuni
fatti che hanno portato a sentire la
necessità di questa presa di posizione
dell’assemblea.
Quando nel 1968 ci fu una grave crisi
cittadina determinata dalla chiusura
dello stabilimento tessile « Marzotto »
e da licenziamenti e blocco di assunzioni dello stabilimento vetrario «SaintGobain », tutte le forze socialmente più
vive della città, senza alcuna distinzione, presero parte a un gigantesco
corteo di solidarietà con i licenziati
dalla « Marzotto ». Tale corteo era formalo da gruppi distinti, ognuno con
propri cartelli, con propri segni, quasi
lutto silenzioso. C’era anche il sigillo
della partecipazione dei rappresentanti
ufficiali degli enti pubblici locali. Ora,
ecco il punto nostro: ci parteciparono
imche alcuni dei giovani più attivi della comunità valdese di Pisa; fatto, intendiamoci bene, che sarebbe stato del
lutto positivo e lodevole se, ahimè, costoro non si fossero intruppati proprio
nel gruppo più agitato e violento: quelli di «Potere Operaio», e in prirna
il I e guidando proprio loro o meglio
i.io di loro, la ritmica dizione di slocorali fra i più violenti come
i : ci lo di «Falce e martello padroni al
I l'Ilo ». L’assorbimento dei giovani
va esi dentro e sotto lo spirito di
« I . -tere operaio » non poteva essere
più netto, totale, globale. E, si pensi,
il. f.icevano come cristiani evangelici
valriesi. Se, invece, avessero partecipalo alla manifestazione da soli come
cristiani evangelici valdesi puramente
c semplicemente, ovviamente con altri
slogan, richiamati all’amore e non all'odio, la cosa sarebbe stata ben diverbi. Beninteso anche richiamando « i
ricchi » ai « guai » che loro spettano,
ma da parte di Dio e non dell’uomo!
■i’, .anche qui voglio controbattere a un
può io importantissimo toccato dal
•San'dai, ma del tutto da lui distorto).
■; era ormai sparsa la voce in molti
..Dienti cittadini che i locali della
Chiesa Valdese di Pisa erano diventati
un « covo di maoisti », perfino a Palaz.:o di Giustizia, da me frequentato come avvocato. E io non ero in grado di
poterlo lealmente smentire! Salvo ricorrendo a sofismi e distinguo tanto
aborriti dai protestanti quando si tratta di fare dell’antigesuitismo!
Mei seti.cmbre-ottobre 1968 fu poi an,;he allis.so nei locali della chiesa, in
vista di tutti, un manifestino ciclostilato firmato « La Federazione dei giovani protestanti toscani », e che poi ho
.imputo essere stato ciclostilato proprio
con la macchina di « Potere Operaio »
f basterebbe confrontarne i caratteri tipografici). Tale manifestino, fra l’altro,
invitava i valdesi « poveri e sfruttati »
della chiesa di Pisa a stare alla larga,
anche nelle panche di chiesa, dai valdesi « ricchi e sfruttatori », contestando
il culto domenicale come un’ora di illusione fraudolenta e ingannatrice.
Non si citava esplicitamente i valdesi
e la chiesa di Pisa, è vero, ma si usava
un « tu che esci dalla chiesa » che domando io a chi altro che ai valdesi
della chiesa di Pisa poteva essere rivolto.
Seguirono poi vicende molto tempestose in assemblee, in riunioni varie, in
incontri, in lettere. Sembrò poi (ma
non a me) che la situazione si fosse
abbastanza chiarita e calmata. Senonché, durante il Sinodo, « La Stampa »
del 26 Agosto 1969 pubblicò^ un servizio in cui una signorina dell ala contestatrice della Chiesa di Pisa, da poco
ammessa fra i membri di chiesa, dichiarò all’intervistatore che lei, insieme
ad altri, ammetteva che nel loro atteggiamento religioso « in realtà sussistono anche motivi politici e che imn potrebbe essere diversamente». E poi:
« Il fatto è che ai nostri propositi si
oppongono elementi di destra, alcuni
addirittura reazionari ».
Ormai tutto era chiaro, anche troppo. Le speranze di una composizione
del dissidio riandavano del tutto in alto mare, dove, del resto, io ce l’av^o
sempre viste, come sempre ce le vedo.
II tentativo, pietoso e ridicolo, di al<mni membri della chiesa di Pisa, anche
anziani e responsabili, di minimizzare
queste dichiarazioni fatte a un giornale come « La Stampa », anzi di esclm
dere che si riferissero alla chiesa di
Pisa (mi stropiccio gli occhi e mi sturo
gli orecchi!) non ha fatto altro che ir
ritare e irrigidire le posizioni, ponendoci di fronte a un fenomeno di chiara
mala fede o di isterica cecità.
Di qui l'ordine del giorno, incriminato dal Past. Santini, che, è bene dirlo, ha avuto un’elaborazione affrettata,
affannosa, inquieta, senza poter trovare la calma intellettuale e spirituale
per un razionale lavoro di lima. E così
si è arrivati al punto 3 di quest’ordine
del giorno, punto particolarmente incriminato dal Past. Santini.
Sta però il fatto che esso va inteso
nel contesto di quel che abbiamo raccontato, in realtà, si badi bene, molto
più complicato; denso e grave. Inoltre
il Past. Santini forza non solo il contenuto ma anche la lettera di questo
punto 3 laddove scambia autorizzimone per ordine. A stare al Santini la
« preventiva autorizzazione » del Consiglio di Chiesa per partecipare a manifestazioni politiche in nome della
Chiesa sarebbe addirittura una pretesa
di voler « dettare le linee politiche della comunità ». Dettare? Ordinare? Niente affatto! Quando si detta una linea
politica l’iniziativa spetta a chi detta.
Invece la Chiesa di Pisa ha voluto prevedere e prevenire una ben diversa situazione: quella di membri di chiesa e
catecumeni che loro, al di fuori del
Consiglio, prendono l’iniziativa di partecipare, in nome della chiesa, a una'
certa manifestazione politica. È chiaro che ciò non solo può ma deve interessare il Consiglio di Chiesa degno di
questo nome (cioè ispirato da Dio, qui
e ora).,Si pensi ai suddetto corteo per
la « Marzotto »: ben altra cosa sarebbe stata avervi partecipato come evangelici puramente e semplicemente, dall’avervi invece partecipato, com’è avvenuto, dentro il gruppo di « Potere
Operaio », facendo svanire e assorbire
la qualifica di evangelici in quella di
maoisti italiani, quella in funzione di
questa. Il Consiglio di Chiesa, se preventivamente interpellato, e se ispirato
da timore di Dio e non dell’uomo,
avrebbe detto di no oppure avrebbe
consigliato un altro stile. È questo
quello che ha voluto dire l’ordine del
giorno del punto 3. Che male c’è? Anzi
c’è del bene. Caso mai solo la forma
non è stata troppo felice. Ma il Pastore Santini, che conosceva il travaglio
della chiesa di Pisa, avrebbe dovuto tenerne conto e non stare a sottilizzare
e a sofisticare sulla posizione di certe
parole, così superate dal. loro evidente
spirito della situazione.
Ma la Chiesa Valdese ha anche una
Costituzione, uno Statuto, dei « Regolamenti organici ». Che ne vogliamo fare? Si buttano tutti a mare preventivamente oppure si accettano con la relatività e umiltà che essi meritano e
come un’ineliminabile necessità per il
fatto stesso che la Chiesa Valdese è
una comunità organizzata che come
•tale-,-scritti o non.scritti,-non può non
avere dei regolamenti?
Che ne fa il Past. Santini dell’art. 144
dei Regolamenti organici? Esso dice:
« Il Pastore non deve mai valersi né
permettere che altri si valga del pulpito, dei locali di culto o delle adunanze religiose per la propaganda di
opinioni politiche o di sue particolari
vedute su argomenti dottrinali ».
Quindi: « non deve ». Anche quest’articolo cade sotto la condanna del Pastore Santini perché vieta, bandisce,
non consente? Qra tutto dovrebbe essere chiaro per chi vuole ascoltare:
siccome nella chiesa di Pisa stava succedendo proprio questo, l’Assemblea,
con i suoi umili mezzi, difettosissimi
mezzi, discutibili mezzi, è riuscita, sia
pure molto a stento, a dare alla luce
un ordine del giorno, pure esso imperfetto, che tenta di predisporre un
argine a questa grave situazione. Dica
pure quel che vuole il Pastore Santini
e « L’Eco-Luce » con i suoi titoloni e
titolini, questi sì davvero negativi, ma
quel giorno a Pisa, quando si sono prese queste decisioni, uno spirito profetico ha aleggiato su quell’Assemblea.
Antoxio Ardito
N. B. - Spero mi sia stato concesso
l’uso del tutto improprio, approssima
tivo e generico della qualifica di
« maoisti ».
Notiziario
Evangelico
Italiano
a cura di Renato Balma
UNA CONFERENZA A S. SECONDO
Si parla di diaconia
Il 30 novembre, alle ore 15.30, nella
chiesa di San Secondo ha avuto luogo
la seconda conferenza del ciclo organizzato dal Comitato del Collegio Valdese. L’oratore, il pastore A. Taccia,
ha intrattenuto l’attento pubblico sul
tema Diaconia, un’antica vocazione in
una nuova responsabilità. Chiarito che
la diaconia, cioè il servizio verso il
prossimo, non deve -essere confusa con
la semplice azione caritativa della
chiesa verso il povero, ha precisato
che deve essere considerata come l’azione di aiuto, conforto, solidarietà che
la Chiesa deve svolgere nelle più svariate forme in servizi dettati dalla fede. Dopo un rapido panorama dell’interesse che la .Chiesa tutta nel mondo
porta a questo aggiornamento del concetto di diaconia, con chiara esemplificazione l’oratore ha precisato il significato attuale, profondamente catalizzato della fede, del servizio verso il
prossimo. Tale servizio — ad esempio
negli ospedali — deve essere testimonianza attraverso la sua stessa qualità. ... ^...
È seguito un interessante dibattito
sull’influenza del pensiero teologico
sulla diaconia, servizio verso il prossimo che soffre.
Un vivo ringraziamento deve essere
rivolto al pastore Taccia per 1 interessante contributo offerto su un argomento fortemente discusso al giorno
d’o&r&ì»
Un membro del comitato ha dato in
seguito alcune notizie sui rapporti con
il corpo insegnante e gli allievi. It\Ene
ha rivolto un vivo appello per 1 aiuto
economico e annunziato cosa non
nuova nelle riunioni della nos^a chiesa — la colletta a favore del Collegio.
Terminiamo questa breve
cronaca ricordando il numero di
intestato al Comitato del Collegio Valdese: N. 2/32709.
canto di sei cori. Ringraziamo vivamente il
pastore Pons, la sua genite signora ed i membri di Chiesa per il corc|iale e gradito ricevimento. I
Nell’assemblea di Chi» del 26 ottobre, il
comitato del Collegio liS' presentato una relazione di cui si è parlato in un articolo a parte. Sono stati eletti tre deputati alla conferenza distrettuale deU’8 dicembre a Torre Pellice : Giovanni Mourglia, Giovanni Ribet e
Franco Sappé, e si è parlato dell’esigenza che
ogni membro impegnato deve sentire di avvicinare coloro che vivono lontano dalla comunità, senza un interesse concreto e sensibilizzarli ai numerosi problemi che ci riguardano.
Il giovane Enrico Ckorbonnier, simpaticamente impegnato nella vita della nostra comunità, ha conseguito il diploma di geometra presso l’Istituto Buniva di Pinerolo; gli
facciamo i nostri fraterni rallegramenti con
l’augurio migliore per la sua attività futura e
per la continuazione del suo servizio volenteroso fra noi. Lina Varese
DALL’ESERCITO
DELLA SALVEZZA
— Lettera di addio del Colonnello e
della Signora Bordas — Dopo aver salutato i nuovi capi ed aver espresso il
loro amore profondo per l’Italia e, soprattutto, per la sua gente, i Colonnelli Bordas ricordano, nella lettera di
addio indirizzata « ai salutisti ed amici italiani », l’azione dell’Esercito della Salvezza in questi ultimi sei anni:
l’intervento in occasione delle catastrofi di Ariano Irpino, Longarone, Firenze e della Sicilia, l’opera di evangelizzazione dei 15 corpi e 24 avamposti, le 30 missioni sviluppate con l’aiuto anche di ufficiali stranieri, i progressi dell’Unione femminile concretizzati sia nel lavoro « La Mano che
aiuta » sia nel pieno successo dei Campi Biblici femminili, lo sviluppo delle
fanfare e corali giovanili, i campi e le
colonie di Bobbio e di Forio, i 6 congressi nazionali. Per quanto riguarda i
rapporti con le altre chiese, nella lettera si ricorda la partecipazione alla
Federazione Protestante Italiana a titolo di Membro aderente e i buoni
rapporti intrattenuti col Segretariato
per l’Unità dei Cristiani.
— Benvenuto al Colonnello Fivaz —
Si è svolta a Roma una riunione di saluto al nuovo capo dell’Esercito della
Salvezza in Italia. Hanno parlato alcuni rappresentanti delle varie sezioni
del Corpo di Roma e dell’Opera in generale. Era presente anche la fanfara
di Napoli di nuova formazione.
— Ricordo della Colonnella Marie
Petitpierre — Nel numero del 16 novembre del « Grido di guerra » viene
commemorata la Colonnella Marie Petitpierre recentemente scomparsa. Nata in Svizzera, dopo aver seguito in
Inghilterra i corsi dell’Esercito della
Salvezza, si trasferisce in Italia dove,
dopo aver soggiornato a Torre Pellice
e a Firenze, si stabilisce a Faeto, un
paesino sperduto nella provincia di
Foggia. Dopo aver seguito a Roma un
corso Montessori, la Colonnella apre
nel paesino un asilo infantile organizzato secondò i metodi più moderni ed
aggiornati. Siamo nel 1914. « Così, dopo l’Asilo, sorge la scuola serale per
analfabeti, la scuola di musica; poi segue l’insegnamento dell’inglese per coloro che lei stessa incoraggia ad emigrare verso terre più prospere dove
avrebbero avuto una vita migliore!
Dunque Marie Petitpierre fu una donna essenzialmente pratica, la sua religione consisteva nel servizio verso il
prossimo; ella non poteva disgiungere
la predicazione della « Salvezza dell’Anima » dall’educazione, il miglioramento del livello sociale ». Dopo il lavoro decennale di Faeto la Colonnella
lavora per il Quartier Generale Internazionale, poi torna in Italia a Firenze. « Ancora un anno nella sua Faeto
e poi la partenza definitiva dall’Italia
ed il trasferimento in Svizzera ».
iitiimiiiiiimimiininiiimiMiii
>1 iiiiiimmimiiiiiiitiiiinimimiiiiiiiiM
Le Scuole domenicali ed i corsi di catechismo hanno inaugurato il nuovo anno di studio il 12 ottobre con un culto in comune presieduto dal pastore Sonelli che ha preso come testo del suo messaggio il primo argomento del programma seguito anche dalle
Scuole Domenicali di Francia e di Svizzera
I Re 17: 8-17, Elia e la vedova di Sarepta.
Siamo veramente riconoscenti di avere la
collaborazione di un folto gruppo di giovani
per le nostre cinque scuole e per i corsi di
catechismo, la cui divisione a gruppi consentirà una preparazione più accurata ed cmcace dei nostri catecumeni.
La Società di cucito ha ripreso la sua attività. Essa ha sostenuto con un cospicuo aiuto finanziario molte opere della nostra Chiesa
e fuori delle Valli.
Nella sua prima seduta la Corale ha rieletto
il seggio all’unanimità ed ha avuto una scambio di idee costruttivo sul nuovo programma
e sull’insegnamento degli inni nuovi, durante
i culto della domenica e durante le riunioni
di quartiere. , _
11 16 novembre ha visitato la comunità di
Pramollo. prendendo parte attiva al culto col
Durante questi ultimi mesi nella nostra comunità sono avvenuti vari mutamenti : molte
famiglie ci hanno lasciati, per trasferirsi altrove. Essendo scaduto il quattordicennio del
Past. Giorgio Tourn, la Tavola ha affidato la
cura della comunità al Cand. Luciano Deodalo, che gli subentra in questo compito dopo
aver già servito per due anni la comunità in
qualità di coadiutore. La nostra comunità è
anche stata colpita da alcuni lutti: dopo una
lunga .sofi'erenza il 28 Settembre è spirato il
nostro fratello Enrico Pietro Gaydou. Alla
vedova, a lutti parenti rinnoviamo le nostre
condoglianze. Anche il nostro fratello Palmari
Tron ci ha lasciati. Dopo esser vissuto tra noi
per ben 98 anni, il 30 Settembre egli è spirato serenamente, circondato dai numerosi
figli e nipotini. Con lui è una figura caratteristica di Massello che scompare, una figura
verso la quale noi tutti avevamo provato simpatia e nutrivamo un profondo affetto. Nel
corso di ([uesto anno si sono formati dei nuoV* focolari: Maresa Tron e Giuliano Tron,
Enrica Tron e Martinat Sergio, Erica Micol e
Alberto Long. A queste nuove coppie, delle
quali purtroppo nessuna si è stabilita a Massello, vogliamo rinnovare i nostri auguri per
una vita matrimoniale serena e benedetta,
lina sola nascita da registrare, quella di Marisa, di Rosina Ghigo e Barai Oscar.
In occasione dell’inaugurazione del tempio
di Villar Perosa, la comunità raccolta in assemplea il 16 Novembre, ha deciso di inviare
alla comunità di Villar Perosa una « lettera
aperta », nella quale essa esprime il proprio
punto di vista sulla costruzione del tempio.
Durante un primo ciclo di riunioni quartierali, sono stati discussi, talora con vivacità,
alcuni problemi inerenti la vita interna della
comunità. Nel prossimo ciclo di riunioni si
prenderanno in esame alcuni punti dell’Ordine sinodale : « Ruolino di marcia ».
Mercoledì 3 Dicembre abbiamo avuto, a
cura del C.A.I. di Perrero, una bella serata di
diapositive e filmine, seguite da uno scambio
di idee su problemi della Valle. Ringraziamo
vivamente gli organizzatori della serata e ci
auguriamo che in avvenire possano seguire
altri simili incontri della comunità.
L’asiemblea di Chiesa del 7-12-’69 ha rinnovato il Concistoro, eleggendo i Sigg. Meytre
Oreste, Tron Emilio, Barai Oscar e la Sig.na
Tron Edda.
Domenica prossima, 14 Dicembre, alle
ore 14,30 avremo un incontro di tutte le signore della comunità, per cercare di impostare un nuovo tipo di attività femminile.
Tutte le signore sono quindi cordialmente
invitate a prendere parte a questa riunione.
PERSONA U A
Il prof. Gino Costabel, per parecchi
anni direttore dell’« Eco delle Valli » e
nostro attuale corredattore, ha avuto
il dolore di perdere la sorella Lisette;
gli siamo fraternamente vicini in quest’ora di prova e di speranza.
La Signorina Marcella Jouve si è
brillantemente laureata in architettura
presso il Politecnico di Torino. I più
vivi rallegramenti ed auguri.
AVVISI ECONOMICI
FAMIGLIA evangelica svizzera con due bambini cerca ragazza « au pair » dì almeno
17 anni per aiuto in casa. Possibilità di
imparare il tedesco. Per ulteriori informazioni scrivere a: Pastore J.-R. Matthey,
Schiitzenstr. 62 - 8400 Winterthur (Svizzera).
GIOVANE coppia Ginevra con bambino quattro anni, cerca giovane valdese seria che
euri casa e bimbo. Rivolgersi Pastore Sonelli - 10066 Torre Pe’lice.
(segue da pag. 6)
sti^ione del nuovo laboratorio. In pochi anni abbiamo visto passare tante
ragazze; alcune hanno solo imparato e
poi hanno lavorato da sé, altre dopo
imparato sono partite per il nord dove
Il lavoro è più apprezzato, altre stanno crescendo col laboratorio. Le ricordo dalla scuola domenicale e ora sono
le responsabili! Serene, sorridenti ogni
giorno leggono un passo della Bibbia e
una di loro fa una meditazione. Mangiano insieme badando a turno alla cucina. Alcune vengono all’Unione Giovanile, alcune al culto. A volte capita, ed
è doloroso, che sposandosi scompaiano... Questo è un fenomeno che si ripete spesso, ma col laboratorio è diventato più penoso, perché si seguono più
da vicino, si vedono sempre 1? e poi ad
un tratto, non ci sono più. Ma il nostro
compito (della comunità) è di amarle,
di aiutarle, di parlare loro di Cristo ».
Ringraziamo Emanuella per la interessante intervista che ci porta un soffio diretto da questa opera di aiuto fraterno che Carmen ha iniziato, che il
pastore Castiglione e la signora portano avanti e che la comunità di Cerignola segue con la sua speranza in Dio,
con la sua comprensione fraterna considera una testimonianza essendo, come ogni opera della Chiesa, dono;
« Per l’aiuto che ci viene attraverso
l’offerta di tanti amici — diée il pastore — la società del benessere restituisce paiate di quel che è dovuto alla
società del malessere ».
B. S.
Past. G. Castiglione
Via Toscana, 49 - 71042 Cerignola (Fg)
L'opera fra i carcerati
« Il tempo passa molto presto
e anche per me si avvicina il giorno della liberazione: è come se
rinascessi e voglio ricominciare
bene, non voglio più fare gli sbagli del passato. E questo lo devo a
Lei che con la sua pazienza mi ha
assistito in questo tempo, e con
l’aiuto del Signore spero che anche
per me inizi una nuova vita ».
Queste sono parole che un detenuto scrive a Selma Longo. Questa
nostra sorella ha cominciato nel
1946 con lo scrivere a un carcerato
che conosceva da ragazzo, poi la
cosa si è estesa ad altri, senza che
lei lo cercasse. Attualmente i suoi
corrispondenti regolari sono una
quarantina, oltre gli occasionali e
i liberati, assistiti anche con l’invio di pacchi e aiuti finanziari. Il
gran problema — nota Selma Longo — è quello dei liberati e il loro
tanto difficile reinserimento nella
società; per questo occorrerebbe
una organizzazione per aiutarli a
trovare lavoro.
L’opera di Selma Longo, umile e
modesta, non ha un posto ufficiale
tra quelle della Chiesa Valdese, è
una attività del tutto personale,
iniziata e condotta da lei e che ha
assunto proporzioni inaspettate e
forse eccessive per una persona
sola. Essa ci chiede di sostenerla
con la nostra solidarietà morale e
materiale. I. A.
Le 26 novembre 1969, à Culoz (Prance), l’Etemel a rappelé près de Lui
Ernesf Jahier
originaire de San Germano Chisone.
Les cousins Musso s’unissent à sa
Famille pour en faire douloureusement part aux cousins, amis et connaissances des Vallées.
Le famiglie Rivoira e Rivoir ringraziano sentitamente tutti coloro che
hanno partecipato con parole, fiori,
presenza al dolore per la perdita del
loro caro
Arfuro Rivoira
In modo particolare, il doti. De
Bettini, il personale dell’Ospedale Valdese di Torre Pellice, i pastori Bogo
e Sonelli e l’Ass. Combattenti.
Luserna S. Giovanni, 3 dicembre 1969
« E la pace di Dio che sopravanza
ogni intelligenza guarderà i vostri cuori e i vostri pensieri in
Cristo Gesù» (Filippesi 4: 7).
Ha terminato la sua travagliata
giornata terrena, in età di 63 anni,
Liselie Cosiabel
Ne danno il doloroso annunzio il
fratello Gino ed i parenti. L’espressione della più profonda riconoscenza a
quanti sono stati vicini nell’ora della
prova, ai pastori Sonelli, Rostagno e
Bogo, al rev. don Bossetto, al dott.
E. Gardiol, alla Direzione ed al personale tutto dell’Ospedale Valdese di
Torre Pellice, alla signora Catalin, alle famiglie Depetris, Bounous e Fontet. Alla signora Manetta Pontet e al
pastore E. Ganz e signora ancor grazie per la sentita fraterna presenza
nel nome del Signore.
Luserna S. Giovanni, 7 dicembre 1969
8
pag. 8
N. 49 — 12 dicembre 1969'
La Chiesa nel mondo
a cura di Roberto Peyrot
Il problema del 17 febbraio dà l’occasione per
discutere sulla situazione spirituale delle Valli
La crisi delia conferenza
cristiana della pace
Com’è noto, dopo le dimissioni del
segretario generale della Conferenza
Cristiana della Pace (CCP) 1. Ondra, e
in seguito ad esse, anche il presidente, prof. J. Hromadka, si è dimesso.
Sostanziali disaccordi in seno alla
Conferenza si erano già verificati ai
primi dell’ottobre 1968, in occasione
di una sessione tenutasi a Parigi, in
cui si era verificata appunto una frattura nell’Assemblea nel giudicare (condanna da una parte e giustificazione
dall’altra) gli avvenimenti cecoslovacchi.
Ora il prof. Casalis, della facoltà
protestante di teologia di Parigi, in un
suo scritto sul n. 326 del Bip (il servizio prot^tante francese d’informazione) datato 25/11 ma pervenutoci solo ora, fa una ulteriore analisi della
crisi.
La riunione del Comitato di lavoro
del 21/24 ottobre 1969 tenutasi a Buchow, nella Rep. dem. tedesca, era
stata preceduta da un incontro dei 6
segretari di stato alle questioni religiose dei 5 paesi del patto di Varsavia, più la Cecoslovacchia, ed era stato
deciso che il segretario generale delle
CCP doveva dare le dimissioni ed essere sostituito da un uomo più « stabile » e vale a dire più « docile » a certe istanze politiche. Egli veniva accusato di essere un « controrivoluzionario » e di essere stato uno degli agenti
dell’infiltrazione dell’ideologia imperialistica nei paesi socialisti e che di conseguenza doveva ritirarsi.
Successivamente, il 5 novembre, Ondra annunciava le sue dimissioni dopo
dieci anni di carica, dichiarando nello
stesso tempo di rimanere membro
della Conferenza e dello stesso comitato di lavoro. Il prof. Hromadka, dopo questo fatto — prosegue il prof.
Casalis, aveva due alternative': o diventare lo « Svoboda » della situazione, rimanendo alla presidenza del CCP,
o dimettersi, dimostrando chiaramente così di rifiutare il colpo montato
contro Ondra. Come è noto, egli ha
scelto la seconda soluzione, motivandola col fatto che i cristiani devono
essere liberi e sovrani nelle loro decisioni, non disposti a cedere a pressioni di chicchessia, se non a quelle che
vengono dalla fraternità e dalla responsabilità cristiana.
« La pagina — conclude Casalis —
non è ancora stata voltata; al contrario, è questa l’ora delle responsabilità
difficili e delle decisioni coraggiose.
Queste righe, scritte solo per la passione dell’esattezza, dovrebbero permettere a tutti gli amici della CCP di
farsi un’opinione e di seguire con una
attenzione acciarata gli ulteriori sviluppi ».
UNA RIUNIONE
DI UOMINI D’AFFARI
IN SVIZZERA
Vevey, Svizzera (soepi). - cc Questo colloquio
non è stato né realista né cristiano perché
non è riuscito a prendere in seria considerazione il fossato che separa i paesi ricchi da
quelli poveri » ha dichiarato il pastore W. A.
Visser't Hooft, Presidente onorario del CEC,
concludendo le due giornate di una riunione
di dirigenti del commercio e dell'industria, a
Vevey.
L’incontro, organizzato daU’Unione internazionale cristiana dei dirigenti d’azienda e
dal CEC. era incentrato sul problema « In che
modo la nostra moderna società industriale
puh nuocere alla persona umana? ».
In un suo intervento, A. Cool, della Confederazione internazionale del lavoro, ha parlato delle promesse e dei pericoli della società
industriale di domani. « Il lavoratore di domani vuole "essere” di più. La lotta per
"Vavere” lo porteria sempre di più verso la
lotta per "Vessere” ». (Lo vediamo anche in
casione delle grandi lotte sindacali in atto da
noi, ed in cui le richieste di miglioramenti salariali vengono giustamente affiancate da precise istanze atte a salvaguardare anche la personalità, l’essere, appunto di chi lavora).
Nel sollecitare i partecipanti affinché concedano la più grande attenzione alla sfida
dello sviluppo economico mondiale, Visser t
Hooft si è felicitato per il loro recente impegno nella lotta per una società più umana.
« Alle prossime riunioni — ha soggiunto dovrebbero partecipare dei rappresentanti
della giovane generazione e degli specialisti
della futurologia ».
L’ESPANSIONE BATTISTA
IN BIRMANIA
Rangoon (soepi). - La Convenzione battista
della Birmania ha testé ricordato il 150 anniversario del battesimo del primo bimano
convertito al cristianesimo, grazie al lavoro
di uno dei pionieri della missione americana, A. Judson. 1 j :
Se si considera la crescita spettacolare dei
membri della Convenzione battista birmana,
.,i può dire che il Signore ha rinnovato questo atto di conversione parecchie volte: questa denominazione, la più grande fra le de
Direttore responsabile: Gino Conte
nominazioni cristiane della Birmania, conta
ora mille chiese e 213 mila fedeli battezzati.
Quando, cinque anni fa, il governo birmano ha espulso tutto il personale delle missioni straniere, la conduzione delle chiese è
andata completamente in mano ai birmani.
D. Gill, membro del CEC delegato ad assistere alle cerimonie inerenti al suddetto anniversario , ai suo rientro a Ginevra, ha dichiarato di essere rimasto profondamente impressionato dalla vitalità della Chiesa birmana.
« Durante quei giorni sono state assai criticate
certe azioni dei missionari, ma quando si vede
la vitalità che essi hanno lasciato dietro di
loro in Birmania, non ci si può impedire di
pensare che hanno dovuto anche fare qualche
cosa di buono! ».
Per una celebrazione più evangelica - Le Comunità invitate a studiare il fenomeno delle
abitudini cattoliche,, nella popolazione valdese - Il 17 febbraio nelle scuole: sarà chiesta la vacanza
{segue da pag. 1)
MARCIA INDIETRO A GINEVRA:
I BAMBINI NON SARANNO PIU’
AMMESSI ALLA S. CENA
Ginevra (epd). - In seguito al parere espresso dalla Facoltà di teologia, il Concistoro della Chiesa di Ginevra ha stabilito che, contrariamente a una decisione dello scorso febbraio (della quale avevamo dato noti.zia), i
bambini non vanno ammessi alla celebrazione
della santa Cena. Invece, all’età della confermazione, qualunque-adulto può pariecipaire. alla santa Cena, anche se non e battezzato. Le
norme ecclesiastiche devono essere ancora mutate in base a questa decisione di fondo.
rendere più belle le feste e più solenni i funerali, insomma per dare una
vernice sacra a una vita sostanzialmente lontana dall’evangelo. Nelle nostre comunità questo si sta verificando: non vi è ufficialmente una « gerarchia », ma di fatto la vita della chiesa
è condotta da un piccolo gruppo di
impegnati, tra i quali il pastore ha
una posizione di rilievo (una specie di
« cristiano di 1« categoria »). In superficie siamo ancora una chiesa riformata; ma sotto la superficie rimasta immutata, si è creata una realtà molto
lontana dalla riforma, a cui si può rispondere soltanto con decisioni nuove, con cambiamenti che obblighino i
membri di chiesa a interrogarsi sul valore della loro fede.
E giusta questa denuncia o vi è dell’esagerazione? La conferenza ha sostanzialmente confermato la diagnosi
fatta da Sonelli; ma mentre una parte
sosteneva che è giunto il momento di
prendere delle decisioni concrete in
senso evangelico, perché lasciar correre significherebbe avviarsi rapidamente
verso lo sfacelo della chiesa, un’altra
parte ha difeso l’atteggiamento che la
chiesa, e in particolare i pastori, hanno
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
SOLZHENITSYN
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N, 175 — 8.7.1960
Tip. Subalpina s.p.a - Torre Pellice (To)
Sull’espulsione di Aleksandr Solzhenitsyn dall’Unione degli scrittori sovietici, seguita dall'invito rivolto all’autore di « Una giornata di Ivan Denisovic », di « Divisione Cancro » e di
altri ben noti libri ed articoli, a lasciare il suo paese, Vittorio Strada ha
pubblicato un interessante articolo
(« Rinascita » del 28.11.’69), dal quale
riportiamo quanto segue.
« L’espulsione pone in modo ineluttabile l’esigenza di definire il concetto
stesso di “sovieticità". Il concetto può
avere, e ha, un significato politicamente neutro, per cui "sovietico” è ogni
cittadino dell’URSS indipendentemente dalle sue convinzioni ideologico-politiche, religiose, ecc. Ma a questo significato neutro si aggiunge, sovrapponendosi ad esso, un secondo significato che si colora di contenuti politici
a volte ambigui, per cui al concetto
di “sovietico" è correlato quello di
“antisoviético". Questa duplicità di significati, se è legittima, è anche assai
pericolosa perché viene a dividere i
cittadini dell'URSS in due categorie,
riconoscendo solo a una parte l’uso
dei diritti civili. Per esempio, i persecutori di Solzhenitsyn sono riconosciuti “sovietici” dal potere statale e quindi possono pubblicare i loro libri e le
loro accuse. Solzhenitsyn, invece, anche se non è dichiarato “antisovietico”,
è un “sovietico” di terza o quarta categoria ed è privato dei suoi diritti di
scrittore (pubblicare libri) e di gran
parte dei suoi diritti di cittadino (difendersi pubblicamente). Tutta questa
macchinazione raggiunge il culmine
dell’ipocrisia quando si imputa a
Solzhenitsyn di non aver riprovato la
pubblicazione dei suoi libri all’estero,
mentre è noto che tutti i tentativi fatti
da Solzhenitsyn per spedire aU’“Unità” la sua lettera di disaccordo circa
tali pubblicazioni furono intercettati
(ne so qualcosa anch’io) e solo per un
fortunato caso alfine la lettera poté
giungere alVUnità” che subito la pubblicò; solo in seguito la “Literaturnaja
gazata” la riprese (...)
Come si vede, ci troviamo di fronte
a problemi che riguardano anche noi
e che non possiamo eludere con formule diplomatiche. Sarebbe una forma d’ipocrisia se, con una parte della
nostra “sinistra”, tranquillizzassimo la
nostra coscienza politica risolvendo il
caso Solzhenitsyn in termini antisovietici, se lo vedessimo cioè come fatto
negativo interno sovietico, passando
poi con disinvoltura ad additare nella
ideologia cosiddetta “cinese” il rimedio universale. Questa forma d’irresponsabilità è talmente diffusa da far
pensare che se Atene piange. Sparta
non ride, che cioè gli strumenti intellettuali e morali del socialismo sono
arrugginiti e incrinati anche da noi.
Di Solzhenitsyn, come di ogni altro
autentico scrittore, non dobbiamo condividere l’intiera concezione del mondo per accettarne la direzione del lavoro creativo e per riconoscere in essa
valori etico-storici socialisti concreti e
attuali. Quando, ad esempio, Solzhenitsyn in una recentissima dichiarazione rifiuta il concetto di ’’lotta di classe", e fa propria una tolstoiana visione di un’umanità unitaria nella sua
aspirazione a un mondo moralmente
degno, prima ancora di dissentire da
lui dobbiamo ricordare che la “lotta
di classe” che Solzhenitsyn respinge è
quella falsa e bugiarda in nome della
quale tanti comunisti e cittadini sovietici furono perseguitati nell’URSS e in
nome della quale ancor oggi un Solzhenitsyn, e con lui vari altri, sono
messi al bando e sottoposti a censura.
I libri di Aleksandr Solzhenitsyn e la
sua vicenda sono una spina nella carne per chiunque riconosca nel socialismo la prospettiva del mondo attuale e consideri con serietà i problemi
ingentissimi che questa prospettiva
pone a una nuova autentica “sinistra”
europea, e quindi non voglia cullarsi
tra la “fase rivoluzionaria” e l’usufrutto della “democrazia borghese” ».
Lo Strada, eminente scrittore marxista e profondo conoscitore della situazione sociale sovietica, commenta
anche (in una nota) lo « Statuto dell’Unione degli scrittori sovietici dell’URSS »:
« L’attività dell’Unione degli scrittori si svolge tra questi due poli: l’organizzazione dei letterati in un organismo che ne favorisca gl’interessi creativi all’interno della “piattaforma sovietica” e il dogma del “realismo socialista" soggetto alle interpretazioni
politico-ideologiche del momento. Questo secondo principio vanifica il primo: l'Unione degli scrittori, che svolge un’attività positiva a favore dei
suoi .affiliaiL (costruzione dL appartamenti, rete di case di riposo, assistenza medica, aiuti finanziari ai letterati
bisognosi, ecc.) non tutela minimamente lo scrittore nell’uso dei suoi diritti politici e civili, anzi, come ha denunciato Solzhenitsyn, è sempre la più
zelante e rigida custode dei dogmi
ideologico-politici anche quando questi si affermano a prezzo della vita e
dell’opera dei suoi membri ».
GENOCIDIO
IN AMAZZONIA
■^ « / dinamitardi del 1968 non sono
che la conseguenza logica d’un processo iniziatosi il giorno in cui l’Occidente sbarcò in America. L’Indiano non
ha un’anima, l'Indiano non è un uomo,
l’Indiano è una bestia. Bisogna convertirlo; in caso contrario: che muoia.
E sono noti i metodi di conversione:
“La spada e la verga di ferro sono t
migliori strumenti per la propaganda
della fede”, dice il gesuita Anchieta.
Un così nobile esempio sarà seguito
con entusiasmo dalle milizie dell’Qccidente. I “bandeirantes” e i “conquistadores” furono dei massacratori, così
come i colportori che li seguirono si
ingrassarono e s’ingrassano a spese
della degenerazione di coloro ai quali
vendono la loro paccottiglia. “Bandeirantes” e missionari ieri, soldati e colportori oggi, ecco definita la scelta offerta ai popoli selvaggi: o la morte fìsica, cioè il compito degli avventurieri
di ieri e degli assassini di oggi; oppure la morte culturale e spirituale che,
nei tempi classici, fu il compito dei
missionari, ed oggi è quello dei colportori e di alcuni altri avamposti della
civiltà umanista.
Il caso degl’indiani non è l’unico.
Non esiste continente che l’Occidente
non abbia attaccato. E tuttavia il martirio degl’indiani ha qualcosa di speciale. La liquidazione si compie ai margini del mondo, nella penombra amazzoniana, e ciò aiuta a non farvi attenzione. Nessun interesse politico vi si
annette, al punto che non se ne interessano né l'ONU, né le grandi potenze. Infine, poiché la faccenda si compie con perseveranza da cinque secoli,
ciò che rimane della cultura indiana è
ormai troppo rovinato per potersi difendere. Gl'indiani non sanno neppure far conoscere la loro miseria. Essi
sono destinati ad un’agonia muta e
rassegnata ».
(Da una recensione del libro: A. M.
Savarin e Jean Meunier, « Le Chant
du Silbaco », edizione speciale, pubblicata su «Le Monde» del 29.11.’69, da
Gilles Lapouge).
adottato r-el passato di fronte al problema: che cosa bisognerebbe fare?
rifiutare di celebrare i battesimi, i matrimoni? abolire le confermazioni o
bocciare un gran numero di catecumeni che non danno una testimonianza
convincente della loro fede? rifiutare
ia Santa Cena ai membri che danno una
cattiva testimonianza? non predicare
più ai funerali? Ma tutte queste decisioni rischierebbero di allontanare definitivamente dalla chiesa un gran numero di famiglie; la chiesa si ridurrebbe a un insieme di conventicole di eletti, e si perderebbero molte occasioni
di predicare l’evangelo al di fuori del
piccolo gruppo che frequenta il culto. E
poi come è possibile giudicare della
fede degli altri? Non vi è forse, anche
nella chiesa, la realtà della « carne »,
che non può essere eliminata ma a cui
non bisogna stancarsi di contrapporre
la realtà dello « spirito »? Le decisioni
drastiche possono guastare quel che di
buono è rimasto nella chiesa; bisogna
andare avanti, avendo fiducia nella predicazione dell’evangelo. Per il Pastore
Geymet a discutere questo problema
s: perde tempo: il cattolicesimo non
rappresenta più un pericolo alle valli;
il pericolo è il laicismo, l’incredulità
crescente, di fronte a cui il cattolicesimo è pur sempre una difesa: meglio
che nelle scuole si insegni la religione
cattolica, piuttosto che un insegnamento improntato ai principi dell’ateismo.
Tutti però eran d’accordo che non
si potevano prendere subito delle decisioni; il problema sarà posto davanti
alla coscienza delle comunità (si veda
l'ordine del giorno relativo); esse dovranno scegliere tra la tolleranza e l’obbedienza della fede.
17 febbraio: Augusto Armand-Hugon
ha introdotto la discussione con una
esposizione storica sul significato che
ha avuto la festa nel secolo scorso; terminando, ha proposto di dare alla celebrazione attuale un contenuto civile,
facendone la festa della libertà religiosa; i valdesi non dovrebbero aver paura
di considerarla non soltanto come la
loro festa, ma come la festa di tutti gli
italiani, perché la libertà religiosa è
un fatto che ha un valore incomparabile per tutti. Al contrario dell’ll feb-,
braio, che celebra una discriminazione,
il 17 ricorda un effettivo avanzamento
nella coscienza civile dell’Italia.
Dopo la relazione, alcuni facevano rilevare come un punto fosse rimasto in
sospeso: celebriamo il 17 febbraio come popolo (o razza, o schiatta) oppure
come chiesa? Per Giorgio Tourn non ci
devono esser dubbi: la razza valdese
non esiste: esiste una chiesa, cioè degli
uomini che hanno ricevuto una vocazione dal Signore e gli devono obbedire non celebrando una festa, ma con.
il dono della vita.
La festa, se festa ha da esserci (e
nessuno ne chiede l’abolizione), deve
esprimere la realtà di una vita che
appartiene al Signore. Ma sia chiaro
che la festa non è essenziale: nella Ginevra di Calvino non si celebrava né
il Natale né l’Ascensione, perché il Signore ogni giorno è presente nella nostra vita.
L’impressione suscitata da questo intervento cresce ancora quando si ascolta il pastore emerito Gustavo Bertin
dichiarare che la chiesa valdese non
avrebbe più dovuto celebrare il 17 febbraio dopo il centenario del 1948; la
conseguenza di questo sbaglio è che la
festa è celebrata in modo sempre meno sentito. Ma, fatta questa dichiarazione sensazionale, Bertin si rivolge ai
giovani pastori e li accusa di mancare
di coraggio, di non portare la loro critica alle logiche conseguenze non osando chiedere l’abolizione della festa:
« Non farete mai la riforma, per quanti articoli scriviate! ». E allora l’unica
soluzione è di raccogliersi in una celebrazione esclusivamente religiosa.
1 « contestatori » mancano di coraggio? Giorgio Tourn risponde a nome
suo e di alcuni colleghi: accettando la
consacrazione, essi hanno accettato di
servire questa chiesa; sarebbe facile,
per loro, prendere posizioni radicali,
e magari uscire dalla chiesa; ma essi
vogliono restarvi, a meno che non ne
siano cacciati, perché ritengono che le
decisioni comunitarie contino di più
che le prese di posizione personali.
I risultati della discussione sono
condensati in tre ordini del giorno,
due sul modo della celebrazione, uno
sulla vacanza nelle scuole, che verrà
richiesta dalla Commissione Distrettuale.
La Conferenza, ben diretta da un
seggio composto da Alberto Taccia pr..
Franco Sappè v. pr., Marcella Gay e
Ferdinando Girardon segr., è stata una
occasione importante: si è iniziata
una revisione della nostra vita ecclesiastica che può portare a un nuovo
ascolto della volontà del Signore; le
discussioni sono state accese, ma senza squalifiche reciproche: ci si è controbattuti, ma si è anche saputo reciprocamente ascoltarsi.
Bruno Rostagno
Gli ordini del giorno
votati dalla Conferenza
XVII Febbraio
rincontro degli insegnanti evangelici
del I Distretto,
esaminati i .riflessi della giornata
celebrativa del XVII febbraio sull’ambiente della scuola alle Valli (insegnanti ed alunni),
incarica la Commissione Distrettuale di prendere contatto con le
Autorità Scolastiche perché sia assicurata la giustificazione dell'assenza agli insegnanti ed alunni evangelici per detta giornata.
La Conferenza Distrettuale, riunita in Torre Pellice l’8 dicembre 1969,
invita le comunità valdesi delle Valli a dare al 17 febbraio un carattere
essenzialmente evangelico e comunitario centrato sul ringraziamento
per la libertà in Cristo.
La Conferenza Distrettuale, riunita a Torre Pellice l’8 dicembre 1969,
propone allo studio delle comunità
l’introduzione di uno schema di
questo tipo per la celebrazione del
XVII febbraio:
a) un culto di ringraziamento;
b) un’agape fraterna aperta ai
membri e familiari delle nostre comunità;
c) limitazione di recite, falò e
qualsiasi altra manifestazione ad
uno stile evangelico di testimonianza.
Per una testimonianza evangelica
nelle varie occasioni della vita.
La Conferenza straordinaria de!
I Distretto della Chiesa Valdese, riunita in Torre Pellice l’8 dicembre
1969,
dopo aver discusso il problema,
del crescente diffondersi nelle comunità valdesi delle valli di abitudini e usi non conformi a una fede
evangelica riformata (in occasione
di battesimi, confermazioni, mat limoni, funerali, e delle varie fes:';vità),
invita le comunità a farne oggetto
di un esame approfondito, con riferimento alle situazioni locali, tenendo presente l’esigenza fondamentale
dell’Evangelo, che le manifestaziori:
esteriori, a tutti i livelli, siano testimonianza della fede e non la contraddicano.
Dà mandato alla Commissione Distrettuale di fornire alle comimità
la documentazione opportuna.
Un Gommentario
Zurigo (epd) - Sul mercato librario-teologico
è apparso recentemente un volume dallo strano
titolo: EKK I. Questa sigla piuttosto enigmatica è l’abbreviazione di Evangelisch-Katholischer Kommentar zum Neuen Testameni
(commentario evangelico - cattolico al Nuovo
Testamento). Il numero I indica che il gruppo
dei collaboratori di questo commentari ha
preparato un primo fascicolo con i lavori preparatori, nel quale uno studioso cattolico e uno
evangelico si occupano di un medesimo problema jtartieolare : cosi, E. Schvreizer e R. Schnackenburg dell’inno a Cristo in Col. 1, 15-20:
U. Wilckens e J. Blanck del problema del significato dell’affermazione di Paolo: nessuno
è giustificato per le opere della Legge L’EKK
appare simultaneamente presso l’evangelico
Neukirchener Verlag e il cattolico Menzinger
Verlag. Ogni volume è scritto da un commentatore che nella preparazione si tiene in costante contatto con il collaboratore dell’altra
confessione.
Il piano di questo commentario mostra
quanto il pensiero ecumenico si sia affermato
fra gli esegeti del Nuovo Testamento. Certo,
l’editore lascia capire se ci troviamo di fronte
a un commento evangelico o cattolico, ma nel
contenuto del libro non si distingue più a
quale Chiesa appartenga l’esegeta. L’esegesi
neotestamentaria è quindi divenuta l’avanguardia del movimento ecumenico, soprattutto per l’imporsi del metodo storico pure fra
i biblisti cattolici. Certo, è innegabile che gli
esegeti cattolici si rifanno ancora occasionalmente ai dogmi ufficialmente dichiarati,
ma essi sanno per lo più benissimo indormare in modo oggettivo il lettore.
CONTINUA L’OFFERTA SPECIALE del vero OLIO D’OLIVA di ONEGLIA a famiglie evangeliche con sconto di L. 50 a litro.
Le spedizioni sono fatte direttamente ai consumatori dai luoghi di produ
zione (trasporto e recipienti compresi
nel prezzo).
La Conferenza del I Distretto della Chiesa 'Valdese,
tenute presenti le risultanze del
Per informazioni con listino completo scrivere a: PAOLO SCEVOLA - Casella Postale 426 - 18100 IMPERIA
ONEGLIA.
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Solo il GENUINO OLIO D’OLIVA
da un condimento nella forma più sar
na, naturale e più adatta al corpo umano, essendo un alimento eccellente che
si raccomanda ad ognuno che si interessi della propria salute.