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BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
Anno III :: Fasc. VII.
LUGLIO 1914
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 31 LUGLIO - 1914
DAL SOMMARIO: Mario Puccini: Un paladino dell’idea cristiana - Raffaele Mariano. — UGO JANNI : Il metodo di ricerca dell’essenza dèlia religiosità. — CALOGERO VlTANZA: 1 precedenti classici del dogma della grazia. — CARLO WAGNER: Tre cose fondamentali. — W. MONOD: Il Cristo spirituale. — W. E. BaRTON : La cappella dell’Ascensione a Londra (con 5 illustrazioni). — A. DELIO: Ciò che bisognerebbe avere il coraggio e la onestà di non insegnare più ai bambini. — B. VaRISCO: Kant e Rosmini. — F. RUBBIANI : Di alcuni libri su G. Giacomo Rousseau. — R. PFE1FFER: Filosofia della Bibbia. — EDUARDO Ta-GLIALATELA: Leone Tolstoi pedagogista. — NOTIZIE.
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo fi fi
Via Crescenzio, 2 - ROMA
D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore peri'Estero
------- Via del Babuino, 107 - ROMA -AMMINISTRAZIONE
Via Crescenzio, 2 - ROM A
ABBONAMENTO ANNUO Per l’Italia L. 5. Per l’Estero L. 8.
Un fascicolo L. 1.
fi Si pubblica il 15 di ogni mese
in fascicoli di almeno 64 pagine, fi
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Illustrazioni del presente fascicolo.
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Ritratto di Federico Shields, pittore inglese (pag. 51).
Pitture di F. Shields: La Fede (pag. 52).
» Pietro affonda (pag. 53).
» L'Annunciazione (Tavola tra le pagine 52 e 53).
» Il Buon Pastore (»»»).
Ritratto di Nathan SSderblom (pag. 57).
Copertina, disegni e fregi di Paolo A. Paschetto.
I VOLUMI DI "BILYCHNIS,, E GL'INDICI
Insieme col prossimo fascicolo di agosto spediremo ai nostri abbonati gl’INDICI del III volume di “Bilychnis» che comprende i sei primi fascicoli del corrente anno.
Con questo fascicolo di luglio (VII dell’anno) s’inizia il IV volume.
Il I volume di “ Bilychnis» comprende l’intera prima annata della Rivista (1912) e il II, la 2a annata (1913). Di ciascuno di questi volumi pubblicammo gl’indici.
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BIDCNNI5
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R.M51A DI S1VDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLA TEOLOGICA BATTISTA
• DI ROMASOMMARIO:
Mario Puccini: Un paladino dell'idea Cristiana: Raffaele Mariano pag. 5
Ugo Janni: Il metodo di ricerca dell’Essenza della Religiosità . . » 17
CALOGERO Vitanza: I precedenti classici del dogma della grazia . » 28
PER LA CULTURA DELL'ANIMA:
Carlo Wagner: Tre cose fondamentali .......... » 38
WlLFRED Monod: Il Cristo spirituale ........... » 45
William E. Barton: La cappella dell’Assunzione ...... » 51
NOTE E COMMENTI :
A. DELIO : Ciò che bisognerebbe aver il coraggio e la onestà di non insegnare più ai bambini ............ » 55
Ritratto di Nathan SÓderblom . . . . ......... » 57
TRA LIBRI E RIVISTE:
B. Varisco: Kant e Rosmini .................. » 59
Ferruccio Rubbiani : Di alcuni libri su G. Giacomo Rousseau ...... » 62
R. Pfeiffer : Filosofia della Bibbia ................ » 65
Eduardo Tagliatatela : Leone Tolstoi pedagogista. . . . ....... » 67
NOTIZIE
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PROSSIMAMENTE:
Roland D. Sawyer: — Gesù e la famiglia — Gesù e la proprietà.
Giovanni Luzzi: Il modernismo nella Chiesa cristiana del primo secolo.
ANGELO Crespi : L'evoluzione della religiosità nell' Individuo e nella Società.
Paolo Orano: Dio nella coscienza.
M., VELATO: L'altare al Dio sconosciuto.
G. E. Mejlle: Intorno all'immortalità dell'anima.
Mario ROSSI : Un'interpretazione religiosa di una leggenda della Grande Sirte in Sallustio: i fratelli Fileni.
Giovanni Costa: L'Impero romano e il Cristianesimo.
Mario Rossi : Il * Tu es Petrus » e la storia delle religioni - Saggio di una nuova interpretazione.
F. Momigliano: Gioberti e i Gesuiti.
Antonino De Stefano : Saggio sull'Eresia Medievale nei secoli xtf e xm.
GlOSUE Salatiello: L'umanesimo di Caterina da Siena.
Giovanni Costa: Mitra e Diocleziano.
Giovanni Pioli: Le tendenze religiose nella filosofia di Bergson e la condanna dell' Indice.
Ernesto Rutili: La soppressane dei Gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi.
Jean Roth: Una conversione al tempo degli Apostoli.
Giovanni Sacchini: Il Vitalismo.
Silvio Pons : Tre fedi (Montaigne, Pascal e Alfred de Vigny).
NB. — Degli articoli firmati sono responsabili i singoli Autori.
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UN PALADINO DELL’IDEA CRISTIANA
RAFFAELE MARIANO
UN’ANALOGIA
EGGENDO qualche anno fa l’ultimo volume di Raffaele Mariano, io pensai, non so per quale fortuita associazione d’idee, ad un altro filosofo non meno profondo e cristiano del nostro : ad Augusto Conti. Me li figuravo, e l’uno e l’altro, attenti alla propria sorte e, quasi ciechi entrambi, meditare l’ultima pagina della propria vita e della propria vicenda psicologica. Stanchi per vecchiezza e forse per duolo, tanto il Mariano che il Conti videro chiudersi i propri giorni in serena vec
chiaia, lontani e ormai morti pel pubblico che acclama e che corona d’alloro. Cristiano, rettamente e rigidamente cristiano, il Mariano subì in vita, contumelie e critiche aspre; in quella che il Conti riceveva, almeno dai dotti, consenso e stima. Ma se ne dolse egli forse?
Implicitamente sapeva che l’Italia non era pronta a ragionare di questioni dottrinarie ed a sopportare verità, troppo lontane dalle sue convinzioni:
«Si può pensare — dice egli stesso nel III volume dei suoi scritti vari — quanto fioca debba essere la speranza che a libri come questi, moventi dalla concezione storica che s’è vista, arrida oggi il favore del pubblico. Con la bufera di scettico fenomenismo e di ruvido sensualismo che imperversa, con la intuizione materialistica della storia che ha incatenate le menti, altri sono i libri nei quali si delizia e cui, acclamando, corre dietro la gente».
IL MATERIALISMO
L’epoca in cui il Mariano scriveva, non era infatti la più propria per esporre ideologie nuove. Il materialismo, nato in Grecia con Protagora, Democrito e infine estesosi come scuola con gli epicurei, passato attraverso la Roma pagana nel poema di Lucrezio Caro, invano parve schiacciarsi contro la muraglia dell’avvento cristiano. Prima in Inghilterra con ITIobbes. epicureo quasi morboso nel suo Leviathan, indi in Francia con il Gassendt che volle demolire addirittura Ari-
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statile, contrapponendogli la filosofia di Epicuro, il materialismo giunse ai tempi moderni con voce assai più robusta che non avesse ai tempi di Paolo di Tarso.
Infatti nel cinque e seicento, il Gassendt e le sue teorie, s’imposero. Le sue polemiche aspre e lunghe con Cartesio, il quale con la sua frase celebre « cogito, ergo sum>, distruggeva a priori ogni principiò di materialismo, sono restate celebri. Sostenendo che tutte le nostre idee nascevano dai sensi, cioè dalla capacità di sentire fisicamente, sia mediatamente che immediatamente, il Gassendt parve per qualche tempo ottenere ascoltatori e seguaci. Il Galileo e il Keplero stessi (alcuni affermano anche il Pascal) che con lui corrisposero e polemizzarono, parvero dargli ragione.
Nel settecento, e in Francia e in Germania (non in Italia, dove gli studi di religione fiorirono molto più tardi) il Gassendt, che pareva dimenticato, trovò un integratore nel La Mettrie, un medico laborioso e brillante di virtuosità giornalistiche che nelle sue opere: «Storia naturale dell’anima», «L'uomo pianta», «L'uomo macchina», gridò che l'universo non è, in termini rigidi e semplicizzati, se non un moto eterno di materia eterna. Il Diderot stesso, che come uomo di rivoluzione non fu un idealista, traccia del La Mettrie un ritratta che non è dei più entusiastici. Era, come ho detto, un medico con qualità brillanti, opalescenti di scrittore: e si valse di queste per fabbricare dei sofismi. I sofismi sono stati sempre il canchero dei buoni studi: e ben si comprende come il nostro Mariano, nel vagliare i precedenti del materialismo, fosse a volte aspro, a volte assolutamente negativo.
Il La Mettrie ha molti punti di contatto con l'italiano Mantegazza. Chi legga il.suo francese liscio e scucito sente subito l’improvvisatore, il negatore per sistema, il creatore di miti fantastici che conoscevamo nell’autore della Fisiologia del matrimonio.
Epigoni del La Mettrie e del Gassendt furono 1' Hobbach, violento e cerebrale, Elvezio Condorcet e Diderot, enciclopedisti di grandissimo ingegno, ma poco o affatto-dimostrativi, i primi due; più potente l’ultimo con la sua « Re-ligieuse » blasfematrice ed anarchica ; il Gali celebre per la sua teoria frenologica, confutata in questi ultimi tempi dal Lelut, e, ultimo, il Compie che, vagliando da Epicuro al Gassendt, tutte le teorie materialistiche, le rioffrì con altre parole, ma con un substrato identico, sotto il nome di positivismo.
Dal Comte a noi, questa teoria ebbe tempo di compire intera la sua evoluzione e di morire. Oggi rinascono altre scienze ed altre dottrine s’impongono. Lo James in America, il Bergson in Francia, l’Eucken in Germania, con il pragmatismo l’uno, con la filosofia dell’ intuizione il secondo, con il naturalismo positivo elevato a religione con la costituzione della lega dei Monisti l’ultimo; ecco le principali teorie di oggi e gli ultimi filosofi che le crearono.
Ma essi non entrano nella nostra orbita.
DAI MATERIALISTI AL MARIANO
Raffaele Mariano scriveva: «i fenomeni empirici e le nozioni prammatiche non fanno sangue nè carne. Per la storia e per la scienza ci vogliono idee e pensieri. Se non sono organismo d’idee e di pensieri, storia e scienza, anche quella della natura, si riducono a conoscenze spezzate e morte. Al suo posto ogni cosa è necessaria, e rende buon servizio: così i fenomeni e i fatti; così
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UN PALADINO DELI?IDEA CRISTIANA: RAFFAELE MARIANO 7
pure il metodo sperimentale e lo storico per raccogliere gli uni e gli altri ; cosi, infine, tutti i sussidi che possono arrecare la filologia, la linguistica, l’erudizione in generale. Questi però sono strumenti: chi è che li fa sonare? dove sta il sonatore? Certo, senza materiali nessun edilìzio scientifico o storico; ma è il pensiero che, spirandovi entro il soffio delle leggi psichiche e ontologiche, li rende un che d’intelligibile e di spirituale. Sino a che il pensiero non ci è, e non li ha elaborati, i materiali restano appunto materia inerte, senza vita e senza frutto, la quale non parla allo spirito, e non lo interessa, e non muove gl’ intelletti, e non spinge in alto la vita».
Le frasi piccano di polemica e sono lanciate con fuoco giusto ed umano. Tutti i giorni, a lui vicino e d’attorno, qualche nuovo pensatóre materialista nasceva. Pur giovane, tu lo vedevi pigliare in mano i libri dei vecchi a sentenziare, disputare, correggere. '
Che più? Rimproverarono al Mariano di trattare argomenti seri e difficili, quali il Giudaismo e il Buddismo, senza aver conoscenza delle lingue ebraiche, delle sanscrite. E il Mariano a loro: «...comunque ignorante del pàli e del sanscrito, non ho io preso, nel voler parlare del Buddismo, le mie precauzioni nel miglior modo che ho potuto, per lo meno, nel modo che s’è tenuto sempre dacché il mondo è mondo? E, d’altronde, si comportarono forse altrimenti pensatori tanto di me più degni e di ben altra levatura, ma identicamente sprovvisti di sanscrito o di pàli, di cui, come me, non sapevano un’acca: Hegel e Schopenhauer e Pfleiderer e Hartmann?».
Il materialismo quasi fosse una fede, quasi avesse saputo infiltrarsi negli animi come un dogma pesava dunque sui pensatori e sugli studiosi di questi ■ultimi tempi.
Il Mariano entrò con i suoi libri nel campo sperimentale, quando imperavano Ardigò e gli obiettivisti e si trovò, quasi fosse un improvvisatore, chiuse le porte della scienza. Taluni polemizzarono con lui; altri finsero di capirlo e non lo lessero; altri non gli badarono.
I suoi libri fondamentali religiosi, essenzialmente dimostrativi, non potevano piacere. Filosofo, egli volle essere sopratutto filosofo della religione. Il contrasto •coi materialisti era tutto qui e non poteva non essere contrasto.
Ma l'amarezza del Mariano fu in fondo la sua fortuna. Se togli intatti i volumi strettamente storici, è in tutta la sua opera un filo animatore che non si spezza mai e che resiste a tutti gli ostacoli. Il Mariano, se altrimenti letto, se altrimenti giudicato, avrebbe forse studiato con minor lena e più difficilmente raggiunto sé stesso.
Sotto l’assillo dell'amor proprio, egli lavorò invece con retta fede e con sicura speranza. E quando il materialismo, lo scetticismo, l'indifferentismo imperavano, egli raccoglie volumi su volumi, condensando la mole dei suoi studi, delle sue ricerche, della sua deduzione in un’opera solida e arditamente complessa.
PERCHÈ LA SUA FILOSOFIA FU RELIGIOSA?
Nato in grembo alla filosofia di Augusto Vera, che con voce fatidica negli •ultimi anni di sua vita rinnegò l'ateismo, facendo aperta professione di fede, Raffaello Mariano ventenne sentì quale molla potesse essere la credenza religiosa
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BILYCHNIS
in una vita di Studio. Mentre prima era andato vagando dal Vico al Kant, dal Corate all’Hegel, ascoltando gli ammonimenti del Vera, rientrò in sé stesso e limitò la corsa al suo pensiero. Chi conosce l’opera del Mariano e i suoi complessi atteggiamenti, intuisce subito lo sforzo che egli dovè sostenere per chiudere il campo della sua esperienza ideologica.
Divenuto professore di Storia della chiesa all’Università di Napoli, il suo pensiero si espande mirabilmente. Dalla cattedra, come già dal libro, egli imprende a considerare i più grandi problemi e a sviscerare e districare i nodi più ardui della filosofia.
Combatte, fin d’allora, il Papato. Cristiano nell'anima e studioso per tendenza dei fenomeni attinenti alla cristianità, egli doveva necessariamente avversare il cattolicismo. Cristo esclude il papato. Chi si rivolge al primo, disconosce o misconosce il secondo, poiché la sovrapposizione del Papato al Cristianesimo è un controsenso al Cristianesimo stesso. Il Mariano non esitò e apertamente si dichiarò antipapista.
Ma fu egli protestante?
Sentiamo quel che egli dice al proposito in una lettera apparsa nella Rivista Cristiana di Firenze in risposta ad una lettera aperta del signor Romolo Piva:
< L'essenziale dev’essere questo: che si creda nel Cristo e, secondo la parola di Paolo, si predichi lui davvero, non importa la forma, un po’ da tutti, da evangelici e cattolici, qual figlio di Dio, qual vero Uomo e vero Dio... Per quello che si riferisce al popolo italiano, ella converrà che ciò che preme, è che esso riassurga alla visione schietta dell’Evangelo. Se a codesto salutare risveglio potrà aiutarlo il suo cattolicismo e, magari, il Papa stesso, io, per mia parte, non ci so vedere niente di male. E che il cattolicismo diventi capace di tanto, questo è ora il mio augurio e la mia speranza...
E’ probabile che nel professare che io faccio una tal fede tra cattolica e protestante ella mi scorga appunto gran peccatore, seminatore di scandalo ed operatore di male ; ... ».
Una fede tra cattolica e protestante, lo dice egli stesso. Ma noi non crediamo ch’egli pensasse strettamente in quello stesso modo in cui si esprime.
Altre volte, nel corso della sua opera, egli induce e deduce con criteri perfettamente evangelici. E le sue antipatie, le sue simpatie s'ispiravano a quelle dei protestanti meglio che a quelle dei cattolici.
Certo, non nacque protestante. Ma la lunga dimora in Germania, le sue amicizie con dottrinari del protestantesimo gli fecero riconoscere non poche volte quanto fossero inferiori e nel pensare e nel credere, i cattolici. Già giovane, trovava superflue certe pratiche religiose, sentendole contrarie alla natura dell’uomo; e, professore, stimava che si « ha il debito di rifarsi dai principi, dai primi elementi, di andar ricostruendo, a dir così, nella coscienza e nell' intelletto religioso-le lor fondamenta più iniziali; e non v'è questione che possa risparmiarsi di esaminare, poiché tutto è qui da creare, e quindi vuol esser detto e chiarito » (i).
Chi così parlava e scriveva, non poteva parlare e scrivere con sentimenti cattolici. E, del resto, se si tolgono i suoi studi sulle antiche religioni, tutta
(i) Dal discorso proemiale al corso sulla Storia ecclesiastica nella Università di Napoli per l'anno scolastico 1886-87.
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UN PALADINO DELL* IDEA CRISTIANA : RAFFAELE MARIANO
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l'opera del Mariano ha l’impronta più rigorosamente e schiettamente semplice. Egli comincia dal principio e, come i confessionisti, il suo principio è V Evangelio. Non solo non s'inchina a dogmi posteriori, ma non li considera non li riconosce. Anima di ragionatore e di ragionatore idealista, vuol avere dietro di sè una sola luce e da quella farsi illuminare il cammino che ancora deve compiere.
Questa onestà d'intenti e di principi deve essergli riconosciuta. E se il Cat-tolicismo lo rinnegò e gli coprì di fango l’opera nobile e rettissima, è dovere degli Evangelici far posto al ribelle, anche se questi non dette alla dottrina protestante tutto sè stesso. Lutero insegnò che a buon diritto è degno di Cristo chi con la ragione e la fede insieme, a Cristo stesso s'avvicina.
Il Mariano fu ribelle sinceramente e castamente, cioè non lo mossero mai ambizioni o interessi. Quando avrebbe potuto ottenere onori dagli Evangelici, chè tutta la sua opera gliene dava diritto, scrisse al Piva la lettera che in parte abbiamo riportata. La quale è un documento, non di incertezza religiosa, ma di rettitudine e di modestia.
QUELLO CHE VIDE IN HEGEL
La filosofia, nel Mariano, ebbe sempre una nemica: la religione. Nemica, s’intende, perchè fece deviare gli studi di lui, che sarebbero stati esclusivamete speculativi, secondo che gl'insegnamenti e i moniti e le speranze del suo maestro Vera volevano. La religione gl’ impedì di divenire un filosofo creatore di sistemi e di teorie; ma gli aiutò, peraltro, l’intelletto a capire ed. approfondire i sistemi e le teorie di quelli che l’avevano preceduto in quella scienza.
Dopo aver in quattro o cinque volumi storicamente e scientificamente importanti, ripresentati ab imis i fondamenti storici e lirici delia idea cristiana, egli approfondì le sue conoscenze filosofiche, facendole scorrere via via sul terreno già rimosso delle sue convinzioni religiose. Studiò rapidamente, ma sicuramente, tutti ¡classici della filosofia da Aristotile a Epicuro, da Lucrezio a Bacone; salì tutta la scala dei valori, elidendo le smussature, le angolosità, gli errori lasciati dagli altri ; e, condensata una materia di secoli, si avviò allo studio di sè stesso.
Uno dei filosofi che necessariamente dovevano più trattenerlo e invaghirlo doveva essere l’Hegel. Erano invero già cominciati gli studi intorno al grande filosofo idealista: e il Vera, lo Spaventa, il Maturi, il D’Èrcole furono, a Napoli, tra i primi. Ma chi lo aveva in realtà compreso? Lo Spaventa, pur avendo ingegno non comune, osò dimostrare con sottilissime argomentazioni che la pena di morte nel sistema dell’Hegel, fosse il « buco della corazza », insomma una vera e propria incongruenza del suo sistema. E dietro di lui, molt’altri gridarono che l’Hegel non era nè moderno, nè capace di intendere certe necessità storiche e ideali ed etiche dei tempi nuovi. Ma il Mariano dimostrò che in quella ragionavano da sofisti : essendo la pena di morte sentita e sancita dai popolo ¡stesso. Infatti quante volte il popolo non tenta di linciare l'assassino e il delinquente? Questo che parrebbe forma di barbarie è moto d'istinto e sentimento di generosità.
Intorno all* Hegel scrisse il Mariano due saggi. L’uno, breve e conciso : « Le fattezze e radici intellettuali dell’ idealismo nuovo » e non tratta propriamente dell’Hegel, sibbene della dottrina che dall’Hegel ebbe sue propaggini: l’idealismo nuovo.
Che cosa è questa scienza? Quale ne è il postulato? Primo ed unico: auto-
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JO BILYCHNIS
nomia della ragione. Non più un Dio, un essere infinito ed assoluto, estramon-dano ed estraumano, indipendente dall’atto e dal fatto creativo. . « Ogni cosa, afferma il Mariano, Dio, assoluto, verità, idea, spirito, tutto è storia e divenire ; tutto si fa momento per momento ; tutto vien dal di dentro e solo dal di dentro di noi ».
Ma questo modo di travisare il pensiero dell’Hegel a che cosa conduce? Esso ha dei riscontri con l’anarchismo ed è, come osserva il Mariano, una scienza socialistica assai più pericolosa dell’antica. Il padre putativo, Hegel, non c’entra più; si è andati fuori della sua orbita e invaso un campo che ha già portato le società presenti a un certo disfacimento. L’idealismo nuovo ha fatto dei passi non comuni e continua nel suo passo evolutivo. Anche la chiesa cattolica papale ha avuto i suoi neo-idealisti e cioè i suoi anarchici in Murri e in Tyrrcl.
Hegel è stato dunque tradito e con risultati non solidi e non certo degni di permanere. Cosicché vai bene riportarsi a lui e intendere ancora il suo pensiero. E’egli morto o per morire? In un saggio anche più profondo e personale del primo: «Ciò che dell’idealismo di Hegel è morto e ciò che non può morire» il Mariano studia con metodo differente da quello usato da Benedetto Croce i lati morituri e quelli immortali del sistema Hegeliano.
E dopo aver esaminati il suo « formalismo e schematismo » il valore metafisico della logica Hegeliana, il sapere filosofico in quanto è sistema, il concetto di Dio nell’idealismo dell’Hegel e in un capitolo originale e profondo: «La tradizione storica del pensiero e della vita dell’umanità », egli conclude:
i° che l'Hegel non è stato superato da alcuno;
2° che il suo idealismo raccoglie in sè ed integra la tradizione storica della verità;
3° impossibilità che questo organismo idealistico si disgreghi e disfaccia.
E dimostra quest’ultimo assioma, dicendo che Hegel ha compiuto lo sforzo sovrumano « di ritrovare nelle loro giuste reciprocazioni la realtà nell’ idea e l’idea nella realtà »Ma, annota, purché s’intenda « Della razionalità e della realtà obiettiva e divina, voluta e posta da Dio, non della subiettiva ed umana, voluta e fatta dagli uomini ; delle quali ultime spesso avviene che siano l'irrazionale ed il contrario di ciò che dovrebbe essere » (i).
LO STORICO DEL CRISTIANESIMO
Sebbene il Mariano si riconoscesse in non pochi dei suoi saggi filosofici, si riconoscesse, dico, con le sue qualità e con i suoi difetti, l’opera di lui che a noi appare più concreta e più solida contro i morsi del tempo, è quella che lo fa esegeta del Cristianesimo.
In quelle pagine noi sentiamo un Mariano rigorosamente severo con gli altri e con le proprie convinzioni; un Mariano assillato dal bisogno della verità, da una disperata necessità di luce, si che la sua figura, pur nascosta, in quelle pagine si staglia e a lettore acuto si rivela.
La materia di questi volumi d’argomentazione strettamente tesistica è vasta in apparenza; ma in ultima analisi verte intorno ad un sol punto. Proviamo, co(i) Dall'idealismo nuovo a quello dì Hegel, Barbera, Firenze.
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UN PALADINO DELL’IDEA CRISTIANA Z RAFFAELE MARIANO
1 I
munque, a scinderla e semplificarla in tre questioni di massima :
Io Qual’è l'origine del Cristianesimo?
2° Com’è il cristianesimo nei primi secoli?
3® E' possibile una sintesi storica del cristianesimo?
Guardiamo a questi tre punti e cerchiamo di sceverare il metodo del Mariano e le sue deduzioni personali.
Trattando delle origini del Cristianesimo, egli si rivolge a quelli che furono gli antecedenti immediati del cristianesimo stesso e ad uno ad uno, con paziente amore e con logica ferrea, li discute. Comincia con l’abbandonarsi, intanto, alb studio del Vecchio Testamento come colui che, volendo trattare ab ovo il suo argomento risale la fonte massima e prima e indispensabile. Che cosa è il Vecchio Testamento? E'veramente in esso il principio dell'azione cristiana? 11 Mariano afferma che si e, secondo noi, la sua affermazione coglie nel segno. Infatti anche il Giudaismo è monoteistico e nelle sue formule, nei suoi dogmi, persino nella sua leggenda è idealistico. Il nesso non potrebbe essere più appariscente.
E poi, come il Mariano dice, non nasce forse Cristo nella Galilea? E la nuova dottrina di cui si fa profeta non si riconnette sotto parecchi aspetti con l’antica? E i discepoli ch’egli sceglie non li cerca forse nel popolo dei Giudei? Tertulliano stesso, non so più in quale capitolo della sua Apologia, non può a meno di convenire che il Cristianesimo togliesse sue propaggini dal Giudaismo: sub umbráculo licitae Judaeorum religioni*. Dunque, conclude il Mariano, che cosa è il Giudaismo rispetto al Cristianesimo, se non una buccia che ricopre il seme e che si apre quando questo è giunto a maturazione?
Non sono precisamente le sue parole; ma egli non si è espresso in forma migliore. A parte l'espressione (io non direi l’immagine) che none felice, coine può il Mariano, dopo aver dimostrato con finezza d’intuito e pienezza di argomento, che l’essenismo e, in certo modo anche il Fariseismo, preannunziavano il Cristianesimo, come può, dico, giungere alla conclusione che il Cristianesimo è un seme e che il Giudaismo è la buccia che lo ricopre o lo ricopri?
Una chiusa frettolosa ha guastato un bel capitolo di filosofia storica. Che a noi pare essere si il Cristianesimo sorto dal Giudaismo, ma non direttamente e immediatamente come un frutto dalla sua scorza, un fiume dall’alveo, una creatura dal seno materno. E’ qualcosa di più complesso e, comunque, di diverso.
L’origine è mediata ed è dovuta ad una lenta azione corroditrice.
Il Cristianesimo esce dal Giudaismo come una via obliqua, come una forza che devia da una forza massima e maggiore che a sua volta sarà dominata e soffocata dalla minore.
Parlando per immagini, il Cristianesimo è il ruscello che si scioglie alla prima china che incontra, dal fiume padre: e che lungo la via attira a sè tutte le acque del primo, aprendosi un letto vasto ed immane. Dissanguato dalla potenza del Cristianesimo, che gli ruba proseliti e fedeli, il Giudaismo, come un fiume disseccato e abbandonato, muore, immiserito.
Più compiutamente, sono condotti dal Mariano gli studi su Le religioni pagane e su L'universalismo dell'impero romano cioè Su le altre due fonti del Cristianesimo. Fonti meno dirette queste e meno immediate, ma non per questo trascurabili.
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12 BILYCHN1S
La cultura pagana e il paganesimo; in quanto fu religione e sentimento, portavano lo spirito necessariamente in braccio alla materia. Ma come la materia è distruggibile, cioè non eterna, doveva venire il giorno in cui i popoli, smarrita la migliore lor virtù, la fantasia, sarebbero entrati o rientrati nelle regioni dello spirito. Quel giorno il Cristianesimo li raggiunse e li trovò pronti a credere in un solo Dio e nell’immanenza divina.
Quanto all’ Impero romano, una conclusione era più difficile. Ma sebbene alquanto paradossale, anche questo terzo presunto padre del Cristianesimo, ha trovato nel Mariano un difensore efficace. Come infatti non poteva l'impero romano che vagheggiava abbracciare il mondo intero e i popoli tutti, non sentire, non ascoltare le prediche di Paolo di Tarso dalle quali traspirava infinito un desiderio di fratellanza universale? Sulle prime poterono forse suonare alle orecchie di ogni buon romano come un'eco dei loro sentimenti e trovare immediato un consenso. Più tardi, con lo sfacelo dell'impero, la boria romana si fiacca e allora surge la ribellione contro le dottrine umanitarie e pietose. Ma l'impero non risorge, non rinasce, non si risolleva: muore. E allora sulle rovine, dove gli animi accasciati s’abbattono, s’impongono divini i moniti di Gesù Cristo.
La persona del Cristo è studiata dal Mariano nei volumi che riguardano l’altra questione 11 Cristianesimo nei primi secoli e, in verità, questa meravigliosa sintesi storica e ideologica e, in parte, esegetica, è il suo capolavoro. L'armonia dei due volumi (i) è perfetta. Legami da un capitolo all’altro; non divagazioni, non sperpero di parole, non note eccessive.
Tutto è piano liscio e calmo, come se la dimostrazione complessa e non comune fosse di già prestabilita da tempo nella mente dello scrittore. Dopo aver considerata storicamente, razionalmente e psicologicamente la persona del Cristo, combattendo le dottrine di Strauss, del Baur e di altri, il Mariano passa ail’esame dell’ Evangelo di Giovanni di cui studia criticamente le basi e il cammino storico. E, dopo un capitolo complesso e arditissimo nei passaggi, sui Partiti nel Cristianesimo nascente e ioriginaria Chiesa di Poma (notevole il suo giudizio sul contrasto tra paganeggianti e giudaizzanti) passa a considerare le basi della primitiva Chiesa cristiana, facendo una larga, una severa, un'acuta e, secondo me, unica disamina della costituzione della Chiesa cattolica.
Il mondan ¡zzarsi della Chiesa cattolica non trova però in Raffaele Mariano un nemico; egli ammette che la Chiesa cattolica si faccia in mezzo al mondo e lo domini come potenza umana e mondana. Il Mariano non vede che l’errore dal quale dovevano poi nascere i grandi spiriti della Riforma, fu tutto li.
Perdonare alla Chiesa un simile passo falso è men che ingenuo, è meno che francescano.
Seguita il Mariano con il riconoscere le apologie dei primi tre secoli ; apologie di martiri e apologie di profeti; e in questa sintesi, come nell’altra sul MonachiSmo nel passato e nel presente si rivelano i lati più solidi e più energici della sua cultura e del suo ingegno. Noi non tratterremo il lettore su questa materia, di per sè immensa, che vorrebbe essere discussa più che in un saggio, in un volume come questo del Mariano complesso c diffuso.
(i) Il Cristianesimo nei primi secoli, 2 voi. Barberà, Firenze.
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UN PALADINO DELL’IDEA CRISTIANA: RAFFAELE MARIANO
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Per giungere ad una conclusione: che cosa desume il Mariano?
Egli afferma che il Papato non è una conseguenza logica del Cristianesimo come va inteso nella sua storia e nella ragione psicologica; che il Papato, così com’è, è una contraddizione alla storia, alla logica, alla psicologia : e che è giusto, dopo ciò, ch’esso oscilli e barcolli, urtando troppo contro le intuizioni fondamentali del mondo moderno.
Uno svolgimento, se non proprio un rivolgimento, è necessario? Modernismo? No, ma svolgimento d’idee e soprattutto di abitudini e di costumi. Solo così facendo, il Cattolicismo potrebbe avere un domani.
La sintesi storica del Cristianesimo è dunque possibile? Sì, purché si prescinda dalle forme sovrapposte e si rifaccia indietro su quelli che furono i primi passi della religione cristiana. Non ci è bisogno, dice il Mariano, del primato del Pontefice romano, come non occorrono riti speciali e fissi per obbedire alla legge del Cristo.
Cristo non pensò mai a fondare « un primato di grazia e autorità spirituale » come non si preoccupò di dare alla sua dottrina una complessità ideologica quale la teologia, da San Tommaso ai più recenti, s’affaticò a costruire.
MORALISTA O UMORISTA?
Non poche volte, leggendo l’opera del Mariano ci vien. fatto di sollevare gli occhi, di soppesare con la mente la materia letta, e di chiederci : E’ costui uno che intende ridare al mondo una via eticamente sana o che non crede ad un domani?
La domanda è leggermente dialettica, è soggettivamente sofistica. Certo negli ultimi scritti di lui, impera un amaro scetticismo, come doveva avere chi, da tanti anni si rivolgeva al pubblico, restando inascoltato. Le sue boutades contro i modernisti, contro il Papato, contro i critici, contro insomma coloro che o lo infastidivano o non gli badavano, non sono poche. Certe volte la sua è vera e propria smorfia, il suo periodo è giuoco di difesa e di offesa. Sembra uno schermitore che assalga, ma Che, assaltando, badi bene di non perdere l’equilibrio e di non ricevere in pieno petto un colpo di punta. Acuto, se pur sereno, spesso la sua frase punge e taglia un avversario che non nomina. Ma in quell'appa-rente scetticismo, sotto quella lastra di rancore, balena adamantinamente la candidezza e la bontà di uno scrittore cristiano
E' umorista in quanto soffre di non avere lettori e seguaci ; di non trovare in quegli uomini che ama, i fratelli che vorrebbe; ma il suo umorismo non è a doppia lama e ferisce solo lui e il suo cuore.
« Quanto ai danni che dalla solitudine mi vengono, li conosco a prova. Cominciai a saggiarli e assai duri, tanto che ancor me ne risento, al tempo in che fui chiamato ad insegnare storia della chiesa a Napoli. Non avendo dietro le spalle la chiesa che mi appoggiasse, nè facendomi coro d’intorno liberi pensatori e frammassoni, mi vidi infine abbandonato da tutti, anche dai giovani, i quali laggiù, per somma ed universale sciagura, accorrono numerosissimi, ma nella maggior parte per acclamarvi sciupacervelli e ciarlatani Che se ne fanno sgabello pel particolare loro, ovvero per attendere alle tesi, spesso litografate,
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e mandarle a memoria, e, ripetendole, passare agli esami. E continuo, del resto, a farne esperienza in tanti e tanti modi, quasi quotidianamente, anch’ora, in sull'estremo di una vita che ho pure spesa tutta in servizio della patria ».
La tristezza di queste parole non è chi non senta. Ma è in fondo ad essa, più che potente, il desiderio di giovare ad altri, di potere con le parole e con l’opera, rendersi atto ad un poco di bene. Tutta la sua opera, del resto, è un invito all'umanità di rivolgersi al meglio, di non imputridire nelle vecchie credenze. Valendosi della sua cultura e del suo senno critico, egli discettra i re che non sono degni di corona ed invoca la parola più pura del Cristo per la felicità e sopratutto per la serenità degli uomini.
Chi questo compie senza fini sottintési e senza, o quasi, desiderio di gloria, è un moralista. Raffaele Mariano, dopo aver lavorato e sofferto, studiato e perduta la vista sui libri, si ripiega su se stesso, senza mandare un'imprecazione.
Ha gridato contro le male abitudini, ha difeso la storia contro le usurpazioni, ha abbracciato con l’occhio della mente tutti i problemi. Non ha risolto nessun nodo gordiano, ma molto terreno dissodato lascia per le future semenze. Quando non ha potuto abbattere, ha indicato dove l'erba malignava e questo ha fatto con spirito di sacrificio, sapendo che nulla gli sarebbe stato perdonato.
Della letteratura falsa, manierata o poco sana ha detto sempre il suo pensiero schiettamente. E se qualcuno gli chiedeva qual poeta convenisse leggere, egli rispondeva: Cristo. Perchè? Era naturale che egli rispondesse «Cristo» prima di ogni altro; ma come mai egli voleva vietare ai giovani la lettura di tutto che non fossero gli Evangeli? Che cosa lo muoveva ad essere così aspro e reciso?
Prima di ogni altra osservazione in merito, importa riflettere.
Pensiamo ai tempi del Mariano ed agli scrittori che nacquero al tempo in cui la sua maturità ed il suo pensiero cercarono un nutrimento. In Francia Zola imperava, anarchicamente e baldanzosamente violando i pudori di quelli che lo leggevano; in Italia, poeta.già famoso, Giosuè Carducci, il quale inneggiava a Satana, cioè al materialismo, al sensismo, alla brutalità, eh'erano state teorie già dal Mariano dimostrate insufficienti e superate.
Più tardi, egli già vecchio, sorge Gabriele D'Annunzio, ed anche contro il D’Annunzio egli si scaglia:
« E così pure altri parlano ora dello psicologismo del D’Annunzio, e credono che l'arte di lui abbia preso e tenga un posto spiccato nella storia della nostra letteratura e della nostra poesia... io, purtroppo, ho il torto di non credere al suo psicologismo nè alla sua arte, e ancor meno alla lor vitalità e durata. L'uno e l'altra a me paiono sostanziarsi in una specie di cattedra di pubblica corruttela, cui per profonda aberrazione morale, per suggestione di una sensualità e scostumatezza senza pudore, diventate una moda, la gente, lungi dal ribellarsi fa buon viso ed accorre. Che valore letterariamente e poeticamente apprezzabile può mai avere un psicologismo che si finge una vita malsana ed immonda e, per giunta, affatto posticcia e spuria, Che con la vita vera, con \'eterno umano non ha niente a che vedere? E che arte può esser quella che calpesta per partito preso ogni rispetto verso i buoni costumi pubblici e privati, ogni dovere verso la realtà etico-sociale ? E' vero, ci è la forma, che fa andare tanti in sollucchero. E infatti
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UN PALADINO DELL’IDEA CRISTIANA: RAFFAELE MARIANO
dicono della forma, e segnatamente della lingua e della elocuzione del D’Annunzio, che siano tutte un effluvio delizioso di suoni e colori. Si lasci stare che sono anch’essi suoni e colori artificiosi e manierati: un torrente di preziosag-gini effeminate».
Queste parole sinteticamente personali rivelano le scrittore e l’uomo. Rivelano il moralista, cui caratterizzano certe frasi (sostanziarsi in una specie di cattedra di pubblica corruttela, ecc.) e locuzioni e parole (aberrazione, effluvio delizioso, ecc.) e rivelano il carattere integro del cittadino che non intende l’arte (chi non ricorda il suo saggio Arte e religione, scritto in confutazione delle teorie del Tolstoi?) ma solo l’arte per il bene e l'arte per la morale.
Forte delle sue idee, egli riandò pellegrino assai volte sul proprio cammino e si sentì soddisfatto di avere dirittamente e santamente seguito le proprie attitudini spirituali senza abbassarle e rinnovarle al flusso del pensiero altrui.
Chi aveva negato e combattuto robiettivismo (« L’obiettività storica non è conseguibile senza che vi s’immischi, ed anche in buona dose, la soggettività, intendendo per questa non le inclinazioni, le tendenze e preferenze personali, ma un pensiero retto e sano, una ragione sincera, serena, scevra di passioni e pregiudizi».) (i) non poteva non vantarsi di una tale dirittura psichica e spirituale. E come era vissuto soggettivamente e, direi, santamente, così tutto chiuso in sè e nella sua famiglia, si spense a Fiesole il 5 dicembre 1912.
Dopo una giornata non tutta di sole, i colli fiesolani salutavano il suo spirito che si elevava verso le purità immacolate a Cercare il suo premio.
Mario Puccini.
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Papa, Clero e Chiesa in Italia. Polemiche e dibattiti, Barbera. L. 5.
Intorno alla storia della Chiesa. Discorsi e investigazioni. Firenze, Barbera. L. 5.
Uomini e idee. Saggi biografico-critici. Barbera. L. 5.
Era libri e cose di storia. Arte, Religione e lilosofla. Studi e saggi. Barbera. L. 5.
Dall’idealismo nuovo a quello di Hegel. Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine hegeliane. Con un'appendice: Università germaniche ed italiane. Firenze, Barbera. L. 5.
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IL METODO DI RICERCA
DELL’ESSENZA DELLA RELIGIOSITÀ
l’essenza della religiosità.
il titolo : La religione nella vita dello spirito (\\ E. P. Lamanna pubblica un poderoso volume, frutto di grande scienza e di lunga riflessione, il quale sarà fecondo di effetti benefici, e darà un forte contributo ai costituirsi di una scuola di studi religiosi schiettamente e profondamente italiana. L’autore si propone di determinare quale sia l’essenza della religiosità come funzione dello spirito. E’ mio intento di esporre in tre articoli le idee maestre del libro, con questo sui metodi relativi alla soluzione del problema circa
1. — IL METODO DEL TEOLOGISMO.
Primo si presenta il metodo della vecchia teologia. Il suo carattere specifico non consiste nell’ idea di rivelazione e nella qualifica di soprannaturale data alla rivelazione. Consiste piuttosto nei criteri alla stregua dei quali crede possibile distinguere ciò che è rivelato e soprannaturale da ciò che non lo è. Accenniamo a siffatti criteri. Le verità rivelate e quelle razionali sono — secondo il vecchio teologismo — verità eterogenee. Si ammette che la ragione serva di propedeutica alla religione mostrando la necessità e possibilità del soprannaturale. Si concede pure che può servire a sistemare ed illustrare le verità religiose determinate con altri mezzi. Ma per determinarle, per distinguere gli elementi di autentica rivelazione, ogni intervento della ragione è vano. Unico criterio accreditante la rivelazione è la miracolosa infallibilità dei documenti di questa, infallibilità incontestata, superiore ad ogni controllo compiuto coi mezzi della critica ordinaria. Nella nozione romana, l’infallibilità aprioristica della Bibbia può essere attenuata in modo da accogliere i risultati della critica sotto la garanzia dell'autorità gerarchica. Ma il vecchio teologismo, sottraendo ad ogni discussione tale autorità come quella che dal di fuori s’ impone ai credenti, ricade anche qui nel più rigido apriorismo. Da ciò derivano tre caratteri di questo metodo, a cagione dei quali esso deve essere rigettato. Sono i seguenti:
(i) E. P. Lamanna, La Religione nella vita dello spirito. Firenze. La Cultura filosofica, editrice (Piazza d’Azeglio, 15), 1914. Voi. di pagg. 496- Prezzo L. 7. (Rivolgersi alla Libreria Bilychnis).
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a) 11 suo antirazionalismo. Certo, il razionalismo non è tutta la verità; ma l’antirazionalismo è il principio dell’errore. La natura dell’uomo è essenzialmente ragione. Che valore possono, quindi, avere per lo spirito conoscenze che restino assolutamente estranee al suo intelletto? Sono conoscenze per cui nulla si conosce...
¿) Il suo eslrinsicismo autoritario. La verità religiosa di checchessia non si può stabilire per via d’autorità esterne. Piuttosto, bisogna ricercarne la sorgente nelle esigenze extra-intellettuali dello spirito umano, seguirne il processo di formazione, e riconoscerne il carattere simbolico data la trascendenza del suo oggetto: indagine psicologica, dunque. E, inoltre, giudizio della ragione per dichiarare, quali tra i simboli religiosi rispondono alle esigenze che l’indagine psico-cologica ha determinate.
¿j La sua mancanza di senso storico. La quale consiste nel disconoscere le contingenze di tempo e di luogo che sono proprie del fondatore di una data religione, nel non far distinzione tra l’essenziale di questa e i suoi elementi transitori, nel non ammettere il principio che anche la rivelazione divina è andata e «w soggetta ad evoluzione storica.
| 2- — IL METODO RAZIONALISTA APRIORISTICO.
Da ciò che precede risulta che nell’ indagine sull’essenza della religiosità si fa sentire una triplice esigenza: razionale, psicologica, storica. Ma ecco un altro metodo — quello razionalista — che si propone di risolvere il problema esclusi-vomente con le sue risorse. Vediamo:
Secondo la concezione dell’ illuminismo, la ragione umana scoprì ab initio, con meri procedimenti logici, poche verità — Dio, immortalità dell’anima...— che poi furono offuscate da turbamenti psicologici e sociali. Ma l'incoercibile natura razionale dell’uomo fé’ sorgere, via via, individui dotati che le rimisero in luce, ma rivestite — secondo i popoli ed i tempi — di forme fantasiose: ed ecco le religioni. Ora, secondo il metodo razionalista ispirato dalla concezione surriferita, si tratta di ricercare quelle poche e determinate verità religiose che la ragione aveva scoperte, e gettar via il resto. Ma che accade? Che, rinunziando al soccorso dell’esperienza storica e al contributo dell'esperienza psicologica, si mutila stranamente la natura spirituale dell’uomo riducendola all’attività di un pensiero che si muove in un vuoto formalismo. E si cade nell'assurdo di voler determinare la religione naturale con un metodo innaturale!...
C’ è però — oltre a quello esposto — un altro concetto della religione naturale, quello introdotto da Lessing ed Herder. Per esso, nell’evoluzione storica della religione v'è uno sviluppo reale, un accrescimento di contenuto. La religione naturale completa e perfetta non è al principio, ma al termine', e le varie religioni sonò mezzi via via meno inadeguati ad un fine, nel quale è contenuta l’essenza della vita religiosa. Ma qual è l’ufficio della « ragione » nel determinare questo fine?
Kant — che allarga il concetto di « ragione » oltre i confini puramente intellettuali — collega l’origine della religione alla morale. L’universalità della legge
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IL METODO DI RICERCA DELL’ESSENZA DELLA RELIGIOSITÀ 19
morale implica razionalità. Se, connessi con la legge morale, vi sieno postulati determinanti le condizioni d'attuazione di essa, quei postulati sono razionali come la legge. E, se essi costituiscano appunto il contenuto della religione, questa sarà razionale, pur avendo sua radice nella morale anziché nella speculazione. Conseguentemente, il metodo di Kant per determinare questa « fede dì ragione > astrae dalla storia e dalla psicologia. Ciò che rende possibile l’esperienza non può, secondo lui, essere fornito dall'esperienza; cioè non può essere d’ordine psicologico, nè aver fondamento storico. I postulati sono il prodotto dei bisogni della sola ragione, sono effetto della presenza in noi della legge morale a priori. Esempio : Al centro della religione razionale di Kant v’ è la redenzione dal peccato. Ma là dove il cristianesimo pone in quel punto un personaggio storico (Gesù) Kant temerebbe — facendo posto a lui — di turbare la purezza e l’universalità della religione razionale. E vi colloca invece, riconoscendole virtù redentrice, Videa di una umanità perfetta e gradita a Dio, idea zampillante dalla nostra ragione morale... C’è del vero in questo. Poiché se l’idea di una umanità perfetta e gradita a Dio non fosse esistita nello spirito umano come qualcosa di essenziale alla natura razionale dell'uomo, questa non avrebbe potuto riconoscere in Gesù una elevazione del suo impulso originario. Ma la « ragione » avrebbe essa potuto estrarre siffatta idea dal suo seno in modo che avesse una reale efficacia sulla vita spirituale umana se non fosse apparso nella storia Gesù che pel primo ne ha fatta una forza propulsiva dello sviluppo religioso dell’umanità? Così pure, sebbene l’essenza del cristianesimo non ci sia data senza il possesso di principi che conferiscono coerenza ai fatti Storici nella sua età eroica e permettono di approfondirne il senso, pure solo i fatti ci additano la via per cui quei principi si attuano. Nè basta. A cogliere i principi ideali è anche necessaria l'osservazione psicologica. Dall'averla trascurata provennero molte deficienze del kantismo. Per esempio : La legge morale (sebbene la validità di essa non dipenda dalla coscienza empirica dell’individuo) non si coglie fuori dell’esperienza individuale. Perciò Kant — quando, preoccupato della sublimità di essa, la stacca dal mondo dell’esperienza lasciandola come sospesa in aria nel mondo dell’ intelligibile — cade nel più vacuo formalismo. Viceversa, in ciò che il suo sistema ha di duraturo, egli ha ricorso, pur suo malgrado, all’esperienza interna. Esempio : La coscienza del male e la possibilità e realtà della liberazione è per Kant la radice dell’esigenza religiosa. Orbene, come si può coglier questa radice col solo metodo trascendentale? Questo non ci mostra altro che la legge morale con la sua incondizionatezza, con la sua capacità a dominar tutto. Ma nulla può dirci del processo per cui si ristabilisce il dominio della legge ; poiché quel processo implica un altro termine — la natura umana — che non cade sotto l’azione di quel metodo, ma ci è fornito dall'esperienza (i).
(i) La necessità in cui Kant si trovò di porre i problemi più essenziali della filosofia etico-religiosa in modo che, suo malgrado, il fondamento empirico risultasse indispensabile, fece si che da lui presero le mosse correnti di pensiero — principalissima quella del Fries — le quali tendevano ad approfondire il fondamento psicologico d’ogni conoscenza, non esclusa quella religiosa. Per J’antropologismo del Fries, lo studio della religione può ben dirsi una analisi psicologica dell’atteggiamento contemplativo delio spirito umano. Vedremo poi come questo risultato sia tutt’altro che soddisfacente.
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Il metodo aprioristico razionalista raggiunge la sua forma più pura in Hegel, nel suo metodo speculativo e dialettico. L’esperienza e l’osservazione non forniscono che il fatto singolo, il quale per quante volte si ripeta non dà che se stesso e non fa, quindi, scienza. Bisogna, dunque, adergersi ai concetti, alle idee delle cose come ad unica fonte di conoscenza: questo è il carattere speculativo del metodo. Ma non basta. Siccome la realtà del mondo e della vita è un intreccio di antitesi che mettono capo a sintesi., e siccome questo processo reale che si svolge nel tempo è identico al processo logico che si svolge fuori del tempo, ne segue che il metodo per arrivare alla conoscenza dev’essere anche dialettico. Cioè : partendo dal concetto più povero di contenuto, l'essere, giungere per via di tesi, antitesi e sintesi alla suprema conoscenza. Afferrata l’idea che è punto di partenza, determinarne i caratteri [tesi). Farne poi uscire, come per una necessità interna, l’idea opposta [antitesi] ed operare su questa come sulla prima; quindi ravvicinarle, e dal loro contatto far sprigionare una terza idea che deve conciliarle e confonderle [sintesi]} mostrare come l’intreccio delle antitesi si va conciliando in sintesi sempre più alte, fino alla massima sintesi : l’unità assoluta e divina. La religione è, per Hegel, uno stadio del processo dialettico dell’idea (cioè dell’Assoluto, di Dio), e perciò non può essere intesa, nella sua genesi, nel suo contenuto e nella sua storia, che per mezzo del metodo dialettico. Tutta l’evoluzione religiosa si può benissimo derivare dialetticamente dal concetto stesso di religione indipendentemente dai motivi psicologici e storici : tutti i passaggi successivi di tesi, antitesi e sintesi, che il pensiero speculativo compie su tale via, rappresentano i vari stadi che la religione ha percorsi storicamente.
Ma — domandiamo ad Hegel — V antitesi è dessa una pura e semplice negazione della tesi, o è invece una opposizione di contrarietà o correlatività o diversità la quale nei due concetti opposti implica non soltanto la nota negativa di opposizione, ma anche qualche nota positiva? Nel primo caso (ed è appunto questo il caso quando si voglia costruire la scienza dell’essere per puro pensiero) la sintesi di due concetti contradittorì non darà un concetto superiore, ma darà il nulla! Nel secondo caso, la mente non giunge a determinare la realtà esclusa dalla negazione se non viene a darle un contenuto \'esperienza. E quanto alla religiosità in particolare, siccome questa — pur nella nozione hegeliana — non si manifesta che con l’apparizione dello spirito finito, ne segue che essa ha un lato soggettivo consistente nella consapevolezza che lo spirito umano ha dei rapporto suo con l’Assoluto. Or questo lato non può esser colto — e lo stesso Hegel, suo malgrado, non ha potuto coglierlo altrimenti — se non mediante l’osservazione psicologica (1).
(i) Appunto per questo, dalla concezione hegeliana si è potuto sviluppare un indirizzo dottrinale che non si limita a considerare l’analisi psicologica come strumento unico per determinare l’essenza della religiosità, ma, capovolgendo la nozione hegeliana, vuol risolvere la religiosità in un fatto puramente soggettivo e perciò illusorio. E’ il passo compiuto dal Feuerbach . . .
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| 3. — IL METODO STORICO.
Ed eccoci a trattare dei metodi empirici (i) primo dei quali il metodo storico. Questo non si appaga di affermare la necessità di un fondamento storico per la scienza della religione, ma ha la pretesa di risolvere il problema dell'essenza della religiosità con le sue esclusive risorse. Siccome sono tre i principali tentativi fatti per fondare una scienza della religione sulla storia comparata delle diverse religioni, accenneremo successivamente a tutti e tre per vedere se rispondano, ovvero no, alle esigennze di un' indagine scientifica :
Il primo tentativo di carattere empirico-storico, è quello della scuola filologica del Max Müller. Egli presuppone, secondo un’antica teoria, che la religione, perfetta alle origini, si sarebbe corrotta poi., e ciò — secondo lui — per effetto dell’azione del linguaggio sui pensiero. Ciò posto, la via filologica e glottologica è la sola via per risalire alle origini. L’identità delle radici dei nomi che le divinità hanno nelle diverse religioni, spiega l’identità di natura e di attribuzioni delle divinità stesse. Inoltre, risalendo alle radici linguistiche più primitive cui ci sia possibile giungere, ed esaminandone il significato, si ha notizia della forma di religione più primitiva possibile, e, quindi, dell’essenza della religione in genere. Infine, per questa via, si può spiegare l’origine e il significato delle mitologie: siccome gli uomini primitivi concretavano nei fenomeni naturali l’oggetto della loro adorazione, e siccome il linguaggio primitivo non conteneva che attributi esprimenti azione. e doveva quindi per necessità rappresentare gli oggetti della natura come esseri personali agenti, accade che, considerando la struttura di quegli antichi nomi, si spiega l’origine degli eroi e degli dei. e si può comprendere in che consistesse il primitivo naturalismo religioso. Senza contestare i servigi resi da questa scuola alla scienza delle religioni, osserviamo: Non si può negare che sotto nomi identici si celano spesse valori diversi e talvolta opposti. Per esempio, l’avere scoperta, per vie linguistiche, l’equazione Di aus pitar — Zeus pater — Jupiter — Dio Padre che è nei cieli non distrugge l’enorme diversità tra l’intuizione di Cristo e le rappresentazioni dell’indiano, greco o romano primitivo, sebbene espresse col medesimo simbolo della paternità di Dio. Utilissime dunque le indicazioni della linguistica, ma da sole a nulla servono se non si tiene conto dello svolgimento generale della cultura umana e delle attività spirituali che in quello svolgimento si esplicano. E poi, se la creazione mitologica è — come vuole il Max Müller — una forma patologica del pensiero prodotta da malintesi linguistici, come spiegare l’universalità e la normalità di un tal fatto che pure avrebbe un'origine anormale? E, supposto che la tesi del Max Müller
(i) Qui si dovrebbe accennare al metodo di Schleiermacher conte intermedio tra l'apriorismo razionalista di cui abbiamo trattato e l’empirismo di cui stiamo per parlare. Ma appunto per questo suo carattere, preferiamo non parlarne qui, scopo del presente articolo essendo quello di giungere ad una soluzione del problema del metodo attraverso la critica e la dimostrata insufficienza dei metodi unilaterali.
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sull’origine delle mitologie fosse dimostrata, noi con ciò non sapremmo ancora nulla sul significato più propriamente religioso di quelle rappresentazioni, nulla specialmente sul valore spirituale di quella facoltà personificatrice cui sarebbero dovute. Donde si vede che i contributi stessi della glottologia non ponno essere fatti valere senza la psicologia...
La scuola antropologica (Lang, Marillier, ecc.) che è la seconda forma di metodo storico, dice che la diffusione di credenze mitiche similari su scala tanto vasta deve attribuirsi a qualche carattere costante della struttura mentale dell'uomo. Essa parte da dati areligiosi (supponendo l'umanità originariamente areligiosa) per giungere a formarne la funzione religiosa. Così riesce a lumeggiare la genesi delle rappresentazioni mitologiche, specie in quel che hanno di assurdo e d'irrazionale, ma non si vede la natura di quel prodotto spirituale, e non si capisce come potesse continuare a svilupparsi cessate le condizioni culturali originarie. Il processo da seguire era precisamente l’opposto : Siccome solo quello è direttamente analizzabile che cade nella nostra coscienza, da questa bisognava partire percorrendo a ritroso la via dell’evoluzione; osservare quali degli elementi da cui eravamo partiti si presentano costanti pur sotto le forme più mutevoli di religioni storiche ; ed infine, giunti alle fórme più elementari di religione, vedere se quegli elementi presentano, in ciò che si dice funzione religiosa, qualcosa di specifico; oppure, nel caso che si risolvano in dati psichici religiosamente indifferenti, ricercare se la colorazione assunta per costituire la religiosità sia dovuta a cause contingenti o pure alla costituzione dello spirito umano. Insomma: analizzare l’anima dell'uomo primitivo non da un punto di vista statico, come un meccanismo rudimentale; ma da un punto di vista dinamico, come un germe la cui differenziazione determinerà lo svolgersi delle religioni superiori ; e perciò tener presente il fine a cui lo sviluppo di quel germe tende; fine indicato dalle direttive delle funzioni determinanti la religiosità, quali appaiono alla nostra osservazione interiore.
La terza forma di metodo storico è data dalla scuola sociologica del Durkheim. Essa si rannoda al Comte della prima maniera di cui sono noti i principi: Le leggi della natura umana non debbono ricercarsi nell’individuo, che è un'astrazione, ma nella società. Non l’uomo spiega l’umanità, ma l’umanità l’uomo. Quindi, niente psicologia : unico metodo applicabile quello obbiettivo storico. I fatti religiosi si spiegano con altri fenomeni sociali. Per Durkheim, però, le cause determinanti i fatti religiosi non s’hanno a ricercare nella natura umana in generale, ma in quella della società a cui vengono riferiti. Il carattere immediatamente appariscente dei fatti religiosi non è — dicono — la nozione del divino, che in alcune religioni manca e non è originaria, ma \'imperatività costringente con cui quelle credenze e quei riti s’impongono all'individuo: «I fenomeni religiosi consistono in credenze obbligatorie connesse con pratiche definite che si riferiscono ad oggetti dati in quelle credenze». Ora, ciò che è obbligatorio ha origine sociale, e perciò questa appunto è l’origine della religione. E se le cose cui la religione ci domanda di credere hanno un aspetto così sconcertante per le ragioni individuali, ciò avviene perchè essa non è l’opera di queste ragioni, ma dello
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11. METODO DI RICERCA DELL’ESSENZA DELLA RELIGIOSITÀ
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spirito collettivo: or le leggi della ideazione collettiva sono diverse da quelle della ideazione individuale. In tal modo si esclude risolutamente tutto ciò che è psicologico dalla soluzione del problema relativo all’essenza della religiosità. Ma la pretesa non è sostenibile. Infatti, la stessa obbligatorietà di cui ragiona il D., oltre un lato obbiettivo, presenta un lato soggettivo, cioè la maniera speciale in cui la coscienza individuale sente la forza del comando. Cogliere questo lato dell’obbligatorietà appartiene all’analisi psicologica, la quale mostra varietà d'atteggiamenti del soggetto di fronte ad un oggetto che vuole imporsi. Se ci si ferina al lato puramente estrinseco dell’obbligatorietà, se non si tiene conto dell’accennata varietà di esperienze, si pregiudica fin dai principio la questione e si corre pericolo di confondere fatti eterogenei. Nè è sostenibile l’abisso che si vuol porre tra anima individuale e coscienza collettiva, tra la legge d’ideazione dell'individuo e quella delia società. Perchè, se si ammette quell'abisso, non si comprende più come mai la rivelazione (di origine sociale) possa avere presa sull’anima individuale. Nella coscienza dell’individuo debbono essere le idee di cosa sacra e di obbligazione sacra perchè queste possano essere riconosciute dall'individuo nei comandi sociali. V’è, insomma, nell’individuo una iniziativa, una tendenza che soltanto la psicologia può cogliere nella sua vera natura.
M - IL METODO PSICOLOGICO.
Ci rimane a parlare del secondo metodo empirico, cioè di quello psicologico, il quale conta pochi anni di vita.
Il primo momento di questo metodo consiste nel raccogliere e descrivere i fatti attingendoli o dalle grandi manifestazioni dell’evoluzione storica della religione {es. Ribot), o dalle autobiografie e confessioni di personalità religiose del passato {es. Delacroix), o da inchieste e questionari rivolti a contemporanei (¿5. Starbuch).. Ma la preoccupazione di raccogliere ciò che del fatto religioso è più intimo e vissuto, ha fatto sì che gli psicologi (salvo eccezioni rarissime) si sono fermati sugli elementi personali, trascurando tutto ciò che vi ha di istituzionale e di storico nell'esperienza. Difetto gravissimo è questo, perchè trascura 1’azione dell’ambiente sull’individuo e la forza della tradizione! Le anime mistiche — anche le più ricche di contenuto personale — hanno sempre sentito il bisogno di ragionare l'esperienza propria attingendo gli elementi di siffatta rielaborazione ai sistemi dottrinali e rituali delle religioni storiche in cui erano vissute; senza contare che la formazione di tali anime s'è fatta con l’influsso di quelle religioni, e che perciò la vita mistica è soggetta a condizioni predeterminate. Quindi la scissione operata dagli psicologi astrae da fattori essenziali alla stessa esperienza individuale, epperciò infirma il valore delle conclusioni che dall’analisi psicologica intendono trarre. Altra deficienza di questo indirizzo — ancor più grave della prima — è aver data la preferenza allo studio delle forme più acute di religiosità, trascurando le altre col pretesto che gl’individui religiosi per imitazione o tradizione non presentano un vero interesse scientifico; ed essere partiti -dal presupposto che per la psicologia la religione si manifesta con fenomeni
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emotivi e volitivi rispetto a cui i fattori intellettuali hanno un valore secondario e derivato: presupposto che è in certi limiti giustificabile solo rispetto a quelle esperienze d’eccezione. Conseguenza di questo difetto del metodo si è che: quelle analisi e induzioni che possono esser giuste per date manifestazioni di religiosità, cessano di esser tali quando si estendono alla religiosità in genere ed alla sua essenza; e, d’altra parte, vi è grande unilateralità nel determinare il punto di vista da cui si guarda il fatto religioso, e quindi una ingiustificata delimitazione del campo d’osservazione la quale non può non influire sulle conclusioni finali intorno all’essenza della religiosità.
Il secondo momento del metodo psicologico consiste nella formulazione di teorie che connettano insieme i fatti osservati e descritti e le leggi di svolgimento che ne sono inferite. Si cercano, insomma, i principi valutativi che permettano un’interpretazione generale dei fenomeni religiosi in quello che hanno di più essenziale. Vi sono, a cotal riguardo, tre scuole : la medico-patologica,, la biologica e quella del subcosciente:
a) La scuola medico patologica pretende che la religione sia una degenerazione che affligge i vecchi, i fanciulli e gli adulti deboli. I seguaci di questa scuola {es. il dott. Binet-Sanglet) dai perturbamenti nervosi, che spesso si riscontrano nei mistici, deducono che il sentimento religioso non è che l'effetto di quel turbamento. Questi pseudo-scienziati non sospettano che il rapporto tra i due fatti può non essere di causa, o che l’intenso sentimento religioso dei mistici può esser causa é non effetto dei turbamenti nervosi che l’accompagnano. Di più, a sostegno della sua tesi, questa scuola invoca statistiche per provare il parallellismo tra il sorgere della pubertà e il primo manifestarsi della funzione religiosa. Ma — nella deduzione che ne trae — colpevolmente dimentica che tutte le funzioni elevate dello spirito cominciano ad esplicarsi in quel tempo. Infine, questa scuola trascura gli elementi intellettuali, volitivi, sentimentali della natura più elevata dello spirito umano i quali appunto formano gli eroi della religiosità. Del resto, questa scuola può dirsi tramontata, perchè non è più seguita da alcuno scienziato serio.
b} La scuola biologica. — Fondandosi sul principio, che Flournoy ha messo in luce, per il quale la religione è una funzione biologica, il Godfernaux ed il Leuba affermano che il rapporto tra sensazioni e tendenze organiche da una parte ed emozioni religiose dall’altra è un rapporto d’identità. All’emozione religiosa si applica la teoria somatica delle emozioni in genere, per la quale esse si risolvono in un complesso di sensazioni organiche. L’esperienza mistica, perciò, si riduce ad una iper-tensione dell'energia vitale che ci fa percepire tutto un ordine d’impressioni inafferrabili dai sensi: poiché i sensi non afferrano che una piccola parte delle impressioni che dalla vita universale, in cui siamo immersi, convergono verso di noi. Osserviamo che questa teoria, invece di risolvere il problema — che cosa è la religiosità? — riesce addirittura a sopprimerlo. Diiatti la tendenza, l'iper-tensione dell’energia vitale non è religiosa per se stessa, ma riempie la vita tutta intera: è una tendenza, una iper-tensione religiosamente mdifferente. Ora, nel mistico, queste tendenze religiosamente indifferenti trovano soddisfazione nell’idea di Dio. Perchè? Qual’è la struttura psicologica di questa.
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idea di Dio che è l’elemento specifico della religione in quanto tale? Questo è il problema. E proprio su questo la scuola biologica scivola. Siffatta scuola dunque — pur avendo il merito di aver sostenuto, contro la scuola medico-patologica, che la religiosità è una funzione normale della vita umana, e quello di aver determinati alcuni fattori secondari dell'esperienza religiosa — non è atta a risolvere il problema dell’essenza della religiosità.
c) La teoria del sub-cosciente. — Secondo questa, l'illuminazione interiore di cui parlano i mistici è effetto di « messaggi subliminali » per i quali la coscienza, a sua insaputa, verrebbe seminata di germi destinati a risolversi in virtù e in pensieri santi. Non si nega da noi, anzi... l’esistenza e l’azione del subcosciente. E riteniamo che quest’azione — come ha dimostrato W. James — è conciliabile con l’azione di una forza soprannaturale. Senonchè, dopo avere stabilito che il « subliminale » è il gran serbatoio da cui si sprigionano tutte le energie che irrompono nel campo della coscienza, sorge la domanda: come si differenzia dalla sfera comune del sub-cosciente la varietà delle funzioni coscienti'! Come si differenzia — per esempio — la vita religiosa dall’attività estetica? Determinare il come di siffatta differenziazione costituisce tutto il problema. Ma è proprio questo che dagli psicologi del sub-cosciente non si tenta neppure...
Breve: Il metodo psicologico empirico ha dato utili risultati per determinare il rapporto tra la vita religiosa e le altre manifestazioni della vita spirituale ed organica. Esso mette in rilievo il meccanismo psicologico per cui la funzione religiosa si esplica, e che può e deve essere identico al meccanismo che regola le altre funzioni spirituali. Il gioco delle rappresentazioni, i rapporti tra queste e i sentimenti, le relazioni tra i sentimenti e gl’impulsi, i concomitanti organici dei fatti psichici, le attinenze tra coscienza e sub coscienza, ecc., sono gli stessi o che si tratti della creazione di un'opera d'arte o del compimento di un atto eroico o d’un delitto, ovvero della scoperta di un’esperienza scientifica 0 d’una esperienza mistica. Ma con ciò (malgrado l’utilità dei risultati a cui si giunge) non Si riesce a determinare che cosa — nel giuoco di leggi identiche — differenti uno dagli altri i processi religioso, etico, scientifico...
| 5. — CONCLUSIONE.
La scienza della'religione e la filosofia della religione.
Chi prenda a trattare il problema dell’essenza della religiosità deve rispondere a questi tre quesiti :
d) Ammesso provvisoriamente che l’esperienza religiosa sia, come appare, una funzione specifica, non riducibile — cioè — ad altra funzione psichica, si domanda: quali sono i fatti psichici che alla luce di tale esperienza possono essere caratterizzati come religiosi, e quali sono le leggi che collegano tra loro questi fatti?
b} La specificità dell’esperienza religiosa, ammessa provvisoriamente nel primo quesito, è reale o illusoria? E, se è reale, si domanda: la nostra psiche
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possiede un senso ed un organo particolare della funzione religiosa; o sono, invece, le attività generali dello spirito che assumono una direzione nuova, e, con la loro nuova sintesi, danno luogo alla religiosità come prodotto differente dagli altri?
c) Se risulti che la religiosità ha una essenza originaria non riducibile ad altra funzione psichica, si domanda: questa originarietà deriva essa dall'esistenza di principi universali e costanti, validi anche se non mai realizzati, di veri valori religiosi, che operano nell'esperienza religiosa; o non è, invece, siffatta originarietà la risultante di un mero determinismo psichico in quanto la religiosità è prodotto dell’azione meccanica di certe cause psichiche?
E’ evidente che se la ricerca dimostri che l'esperienza religiosa è riducibile ad altra funzione psichica, ovvero che essa, pur essendo originaria, è dovuta ad una mera azione meccanica di certe cause psichiche, il problema della religiosità rimane assorbito, e lo studio di esso non formerà che un capitolo di un’altra scienza qualsiasi. Viceversa, nel caso che la ricerca porti ad ammettere che l’esperienza religiosa non è riducibile ad altra funzione psichica, e che essa è dovuta all'esistenza di principi universali e costanti che operano in lei, allora il problema sarà avviato ad una soluzione positiva, ed una scienza autonoma della religione sarà possibile...
Posto così il problema, per quali vie bisogna cercarne la soluzione?
Per stabilire la riducibilità o meno della funzione religiosa ad altra funzione psichica, è evidente che la prima parte qui spetta alla psicologia, che avrà al suo servizio la storia quale strumento per la sua indagine. Infatti, quale altra scienza che non sia la psicologia può affacciar la pretesa di distinguere e caratterizzare le facoltà della psiche, le loro varie direzioni, i loro diversi prodotti?...
Risolto che sia affermativamente il quesito della irriducibilità, si tratta di risolvere la questione della normalità dell’esperienza religiosa, di ricercare — cioè — i principi universali e costanti che operano in lei. Se, nella soluzione del primo quesito, la religiosità è risultata essere attività di una speciale facolta dello spirito è chiaro che la ricerca dei principi che in lei operano non può esser fatta che su basi psicologiche, poiché si tratta di determinare leggi che esprimono la loro natura appunto in quella particolare facoltà dello spirito. Se, invece, nella soluzione del primo quesito la religiosità è risultata essere attività non di una speciale facoltà dello spirito, ma bensì di una speciale sintesi delle ordinarie facoltà dello spirito, anche in tal caso dovremo battere la via della riflessione psicologica nel ricercare i principi che operano nella coscienza religiosa, poiché si tratta di determinare principi che si rivelano nella costituzione intrinseca di quelle funzioni in cui la vita dello spirito si esaurisce.
Ma basta la psicologia per determinare la verità trascendente delle credenze religiose? I mistici, in genere, i seguaci di una certa forma di filosofia dell'immanenza, i sostenitori dello psicologismo religioso che tanto s’è diffuso in questi ultimi tempi, lo affermano. Noi risolutamente lo neghiamo. Con l’osservazione psicologica, sussidiata dalla storia, si colgono bensì le esigenze del soggetto e le reazioni di lui di fronte all oggetto divino quale egli l’ha costruito in base
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a quelle esigenze; ma non si coglie il valore obbiettivo delle affermazioni del credente. Poiché, pur ammessa l’ipotesi più favorevole allo psicologismo religioso (e cioè resistenza nell’anima umana di un senso ed organo particolare della funzione religiosa che percepisca la realtà soprannaturale alla stessa guisa che i sensi percepiscono la realtà empirica) pure in tale ipotesi — diciamo — la verità trascendente dell’esperienza religiosa non può essere di competenza della psicologia. Gli psicologisti, i quali credono di potere, osservando la propria anima, scoprire, con un dato psicologico immediato, Dio stesso, sono vittime di una illusione data loro da tutta una serie di inferenze che essi hanno spontaneamente compiute partendo dai dati reali dell’esperienza. Questi dati sperimentati e vissuti hanno infatti sempre bisogno di essere integrati per mezzo di inferenze. Anche ammesso un organo particolare della funzione religiosa, la credenza nella realtà dell’oggetto rispondente a questa funzione sarebbe frutto di un lavoro d’interpretazione. E il valore di questo lavorio d’interpretazione non può essere saggiato che sul fondamento di una concezione metafisica di tutta la realtà. Quest'opera di controllo metafisico è l'oggetto della filosofia, della religione.
Riassumendo: La scienza della religione ricerca, mediante l'osservazione storica e psicologica e la riflessione critica sui dati di quell’osservazione, ciò che v’è di universale e di essenziale nel fatto religioso, stabilendone così i principi. La metafisica elabora poi questi principi coordinandoli coi principi messi in chiaro dalle indagini sulle altre manifestazioni della realtà tanto fisica che morale. Infine, in base ai risultati di questa elaborazione critica generale si può saggiare il fondamento obbiettivo della religiosità che è il compito particolare della filosofia religiosa.
Sanremo, giugno 1914.
Ugo Janni.
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DEL DOGMA DELLA GRAZIA
L mito orfico della colpa originaria dell'anima (zaXxwv zsv^oc) e il racconto semitico dei peccato di Adamo, incontratisi e fusisi insieme in terreno giudaico, per un processo speciale di storiche vicende non scompagnato da una lunga elaborazione speculativa, riuscirono finalmente a produrre il dogma fondamentale della teologia paolina : Il Cristo morì pei nostri peccati (Xsvjtò; àwsSavsv úxsp ?¿>v zuzotícov -¿jzwv. / Cor., 15, 3), il quale racchiudeva i germi dcl dogma del peccato di ori
gine e di quello della grazia che n’è il corollario.
Della grazia però intesa nel senso teologico, cioè come un aiuto gratuito e interno che Iddio appresta all'uomo decaduto per renderlo capace di fare il bene c di conseguire la vita eterna, nessun accenno nei Padri dei primi secoli, nessun lontano precedente non pure nella religione d’Israele durante il periodo del profetismo, ma nemmeno nel contenuto dottrinale della predicazione di Gesù scevra delle incrostazioni posteriori della gnosi.
Ordinariamente infatti, nella Chiesa latina, prima di Agostino, la grazia veniva intesa come una semplice remissione dei peccati : Quid est grafia? peccati reniissio, id est domini : grafia enini domini est (1); nella Chiesa greca, essa era considerata come un'illustrazione progressiva dell'intelletto, come una graduale rivelazione del Aóvo;, per cui l'anima si solleva sino alle più alte sfere della vita contemplativa senza che per nulla venga menomato il principio della libertà (2).
Per quanto riguarda l’antico Israele, l’idea che esso si era formato di lahwe e la sua primitiva antropologia non potevano in nessun modo dare origine ad un dogma, che presuppone da un canto una concezione teologica, la quale se non assolutamente panteistica assai però si discosta da quella dell’Assoluto puro, e richiede dall'altro una nozione filosofica così complessa intorno alla natura e alle energie dell’uomo che solo può esser frutto dell’indagine speculativa di menti squisite, della quale gli Ebrei, rigidi osservatori della Legge, non furono capaci giammai.
(i) Paciani, Sernio de fiaplis. Vedi Harnack, Storia del dognia. Vers, ital., Men-drisio, 1914, vol. V, pag. 66.
(2) A. Harnack, op. cil., vol. II, pag. 376; I. Turmel, Histoire de la ThSol. fosil., Paris, ediz. 3*, pag. 96.
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Per quanto concerne, infine, l'insegnamento di Gesù, è ormai fuori discussione che esso più che un sistema organico di dogmi da servire come viatico per l’altra vita, fu invece una parola di rigenerazione morale dell'uomo e della società, chè altrimenti il Vangelo non avrebbe avuto la forza di rinnovare il mondo e sarebbe riuscito inefficace come tutti gli altri tentativi contemporanei di rinnovamento religioso.
Invano, pertanto, noi cercheremmo nei detti e nelle facili parabole del Maestro, che parlò ai poveri di spirito e agli umili di cuore, i prolegomeni di una dottrina eminentemente filosofica nelle sue origini e impervia nella sua applicazione etica (i).
E qui è bene osservare che quel sentimento di assoluta soggezione dell’uomo a Dio, quella profonda convinzione della nullità umana, sorgenti dall’anima semitica di fronte all’onnipotenza schiacciante del suo Dio, se ci spiegano il pessimismo di Giobbe e di Cohelet, se ci mostrano il giudaismo come il terreno più adatto alla fioritura dei germi stranieri della dottrina sulla grazia, onde, come acutamente osservò l’Havet, questa, per la sua parte sentimentale, può dirsi sostanzialmente giudaica (2), non ci daranno però giammai gli antecedenti dottrinali del dogma, il quale più che da motivi psicologici ripete le sue origini da speciali e complesse speculazioni di spiriti eminentemente dialettici.
Come per gran parte dei dogmi cristiani, adunque, così anche per quello della grazia, converrà, se vogliamo rintracciarne la genesi, uscire dal mondo giudaico e avviare le nostre indagini tra la multiforme produzione filosofica dell’El-lade; e se la dottrina della grazia è il corollario di speciali concezioni etico-antropologiche, queste sopratutto converrà mettere in luce e alle stesse fermarsi.
* * ♦
Senza occuparci dell' intricata questione delle origini del pessimismo antropologico nel pensiero greco (3), notiamo soltanto che, anche nel periodo eroico, in apparenza così giocondo, e nella religione delle colossali creazioni epiche e delle teogonie, non mancano qua e là spunti ed accenni assai caratteristici, in cui il sentimento di piena dipendenza dagli Dei, il terrore sacro di potenze superiori, la persuasione dell’umana debolezza preludiano chiaramente la concezione orfico-pitagorica della vita.
In Omero, accanto alla suprema necessità impersonale, cieca, imparziale, accanto alla MoTpa Sugówjàoc, òXoz, che governa il mondo dei fenomeni fisici e storici, son collocati, sebbene in una sfera inferiore, gli Dei, sulle ginocchia dei quali consiste l’universo (Sswv sv yovvact xs?rai), e di cui tutti gli uomini hanno bisogno (iravTS? Ss Sswv àv5pcù“0'.).
I personaggi omerici, però, i quali si sentono spesso soggiogati alle divinità
(1) È ben noto come sino ad oggi teologi e filosofi tonsurati continuano a condannarsi da se stessi ad un lavoro di Sisifo, nel ricercare una conciliazione impossibile tra la grazia e il libero arbitrio dell’uomo, tra la giustizia divina e la predestinazione dei reprobi e degli eletti.
(2) N. Havet, Le Chrislianisine et ses origities, Paris, 1878, voi. II, pag. 96.
(3) Vedi : H. Gomperz, Die Lebensauffassung der Gnechischen Philosofen und das Ideal der itinereti l'reìheit, Leipzig, 1904, pag. 31.
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come da una paurosa ed arcana potenza, pur confessando talvolta di essere uno strumento nelle mani della Mo'oa, abitualmente agiscono con piena confidenza nelle risorse di loro stessi e della loro libera elezione; e sarebbe stoltezza, come giustamente osservò il Fonsegrives (i), domandare ad Omero la soluzione di quell’antinomia incipiente (2).
Ma a mano a mano che lo spirito di osservazione, dinanzi a cui l’umanità si è rivelata imperfetta, debole, viziosa, si fa più profondo, più profondo del pari si fa il senso del divino; così che mentre si deprime nell'uomo il sentimento del proprio valore, si rafforza nella coscienza il dominio dei celesti, i quali contraggono più numerosi e più intimi i rapporti con la terra, onde la religione, che è sorta quasi per estocinesi come organo interno di protezione, allarga il campo della sua attività col numero crescente degli Dei e con le funzioni molteplici di essi a discapito di ogni virile energia.
La più gran parte degli attributi di Zeus, i quali ne attestano l’azione multiforme, sono segni evidentissimi della soggezione dell'uomo e della persuasione della sua incapacità di assolvere naturalmente e senza un aiuto celeste tutte le funzioni della vita individuale e sociale.
Son nelle mani di Zeus la casa, il villaggio, la città zoXisùt); implora da lui protezione chiunque esca dalle frontiere del suo paese (Jeùc cév.o;); egli è il salvatore supremo (£sù; il purificatore per eccellenza ; egli
unisce gli sposi da lui dipendono la vita e la morte; da lui proviene
il benessere, la ricchezza (0X^10;, zvr.Gto;); egli insomma presiede e seconda tutte le operazioni della vita.
Notevole intanto come già sin dall'età omerica, in mezzo al ricco Olimpo di tante divinità mobili e leggiadre, hanno preso posto anche le Chariti, il mito delle quali non doveva, nell'evoluzione sua, essere estraneo alla formazione dei precedenti del dogma, che da esse prese il nome.
Infatti, mentre nell’ Iliade, Charis è la sposa di Efesto (II., XIV, v. 267), il dio del fuoco celeste, e conserva ancora il carattere naturalistico delle Harits del Rig- Veda (i brillanti cavalli che il sole attacca al suo carro) (3), carattere che si manifesta pure nella Teogonia (v. 907) di Esiodo e in Antimaco (4), Odissea il mito si umanizza sensibilmente, assume fisonomía alquanto diversa dalla primitiva, e le Chariti sxm fatte dispensatrici di grazia e di beltà {Odiss., VI, v. 23).
Nei poeti posteriori e principalmente in Pindaro \Olinp., IX, 27; XIV, 4) e in Teocrito (XIV, 109) le Grazie si convertiranno in dispensatrici dei più bei doni della natura e dello spirito.
L’influsso e, diremmo quasi, la partecipazione del potere divino nelle umane attività, secondo il pensiero religioso degli EHeni, ci appare in una forma pressoché tangibile nella religione dei demoni.
Il Szìjacov, che, nel suo più antico valore ideologico, si confonde col Ssóc,
(1) Fonsegrives, Essai sur le libre arbitre, 2“ ediz., cap. I, Alcan, Paris, 1890.
(2) O. Habert, La réligion de la Grèce antique, Paris, Lathelleux, pag. 230.
(3) MFiller, Nuove letture ecc., II, pag. 39 e seg, ; Sonne, Zts, f. vergi. Sprach, X, pag. 96-161, ecc.
(4) Pausania, IX, 35.
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acquista a poco a poco un significato ben diverso e finisce con l’essere considerato come l’effetto di un potere divino nell'uomo (i). Tutto ciò, scrive l’Usener, che a prima vista ci sorprende come un messaggio dall'alto; tutto ciò che ci favorisce o ci affligge o ci deprime, appare all’ immaginazione esaltata come una essenza divina, è un Saijjiwv. Egli può esplicare la sua funzione di protettore personale o di spirito maligno; si attacca all’uomo, l’accompagna nella vita, ne dirige i pensieri, le inclinazioni, i desideri (2).
Quando il progredire della riflessione e i più frequenti contatti con genti straniere e soprattutto con gli Egiziani (3) portarono l’anima greca a porre a se stessa nuovi problemi e a sentire nuovi bisogni, a soddisfare i quali non bastò più la religione tradizionale ed ufficiale, la rivoluzione ideale, maturatasi da lunga pezza nella coscienza, si rivelò in due concezioni nuove della vita e del mondo, l’orfismo e il pitagorismo, i quali, integrandosi l’un l’altro, può dirsi che finirono col confondersi.
Con l’orfismo, i valori umani si deprimono sempre più; la terra si trasforma in un torbido purgatorio delle anime; resistenza, in una migrazione indefinita, in un poema fantasticamente ascetico, in una catharsi degli spiriti, che, di mondo in mondo, purificandosi, si conquistano la salute.
In quest’opera di redenzione, intanto, le energie naturali non hanno che una ben minima parte; più che alle sue forze, l’uomo deve la salvezza alla grazia degli Dei liberatori e principalmente ad Orfeo, l'intermediario che rivela il cammino della salute.
Dal secolo sesto avanti C. l’orfismo esercita un' influenza grandissima e durevole nell’ulteriore sviluppo di tutta la vita spirituale dei Greci (4); ond’è che la filosofia orfica, filosofia mobile, collettiva, spesso anonima e sempre in via di trasformazione, finì di corrompere la fresca semplicità dei miti primitivi e concorse grandemente ad innestare e far fiorire nel sano e robusto ceppo dell'epica dei rapsodi la nota triste e melanconica del pessimismo dei lirici e dei tragici.
La poesia di Solone, di Archiloco, di Teognide, di Pindaro è l’immagine fedele dell'anima del secolo agitata da preoccupazioni nuove, che, nel conflitto penoso tra il vizio e la virtù, tra il desiderio di una vita migliore e i dolori della vita presente, inducono la persuasione dell'infinita miseria dell’uomo e la fiducia nella onnipotenza soccorritrice di Dio.
A Teognide che aveva cantato : « Niuno, o Kyrno, deve attribuire a se stesso la perdita o il guadagno, che dagli Dei provengono lima e l'altro... Poveri uomini ignoranti, noi non abbiamo che vani pensieri, mentre gli Dei compiono tutto secondo i loro desideri* (5), Pindaro, con accento più triste, risponde: «L'uomo non è che
(1) I demoni, emissari di Giove, in Esiodo guidano e secondano le umane operazioni, ('lìpya zac 'Haepat, v. 122 e seg.).
(2) Hi E. Usener, GOtlernamen, 1896, pag. 291 e seg.
(3) P. Foucart, Recherches sur l’origine et la nature des mystères d’Eleusis, pag. 148 e seguente. . . .
(4) H. Weil, Le culte des âmes chez les Grecs, in Etudes sur l’antiquité grecque, Paris, Hachette, 1900; A. Difes, Le cycle mystique, Paris, Alcan, 1909; M. DOrsler, Die Eleaten und die Orphiker, Leipzig, 1911.
(5) Vers. 133 e seg., in Poil. lyr. graec., ed. Bergk, pag. 482 e seg.
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il sogno di un'ombra (oziSic fox?), cui talvolta investe uno splendore divino (afyka SiÓGTaTo;, Pyth., Vili, 134-135); egli non può per virtù sua elevarsi al cielo, nè trovare la via che mena a beatitudine, e tutto che ei faccia di bene, non è merito suo, ma della grazia divina che opera in esso (zy. «rooat? àvW wparciSscc’.v... Oí. IX, v. io)».
Il pessimismo dinamico dell'uomo ci appare in tutta la tetraggine opprimente della sua fisonomía sciagurata nell’opera dei tragici.
Nelle grandiose trilogie di Eschilo e di Sofocle, nei drammi di Euripide e perfino nella commedia di Menandro, la forza del valore umano rimane ineluttabilmente schiacciata dall’ impervia onnipotenza del fato.
E qui giova avvertire che, come se fosse edotto delle sottigliezze dialettiche del pensiero maturo della teologia cristiana sul dogma della grazia nei riguardi col libero arbitrio, spesso Eschilo, come notò acutamente il Croiset (1), non fa operare la volontà del fato in contrasto con quella dell'uomo: i tragici eroi han dietro di sé una potenza superiore che misteriosamente li muove, che si accorda con le loro passioni e con le loro idealità, cosicché il loro volere è complice del loro destino: di essi si potrebbe giustamente dire con l’Alighieri: Liberi, soggiacete.
Mentre Eschilo dichiara apertamente che la grazia di Dio ci fa ben operare (sì v-sv yào airea Ssou... Sette a Tebe, \’. 4) e, con Sofocle, proclama tante
volte che la Moira è ineluttabile (rò -r/j; àvàyy.7); Z'ì- ’à^prov «rSévo; ... Prom. 105 — MoipiScarc; &va<7t$ àsivà Antig, 951 — Oedip. Col., 251, ecc.); la onnipotenza del fato nulla, durante l’azione tragica, toglie poi alla libera elezione dei personaggi ; cosicché, quasi senza sembrar di volerlo, il primo con le sue concezioni metafisiche e l’altro con le sue sottili analisi psicologiche si studiano di conciliare le antinomie irriducibili tra la libertà del volere e la forza indeprecabile del destino. Anzi, come altri acutamente osservò, se fosse lecito di fare appello a teorie teologiche ben posteriori, si direbbe quasi che Sofocle si avvicina molto alla predeterminazione fisica dei Tomisti, mentre Eschilo ci fa piuttosto pensare alle sottigliezze átíX agostìnianismo (2).
Ma il problema della libertà nei riguardi con l'azione degli dei, che presso i tragici è affidato soprattutto ai magistero dell'arte, diviene presso i Pitagorici oggetto di meditazione e di Studio profondo.
A noi non è dato seguire passo passo la corrente delle speculazioni orfico-pitagoriche diffusa nei molteplici rivoli del pensiero filosofico dei Greci ; scarso inoltre e assai frammentario è il materiale letterario di cui disponiamo.
Con tutto questo però ci è grato di fermare primamente l’attenzione degli studiosi su taluni frammenti della filosofia pitagorica, poiché essi non solo ci fanno testimonianza di una dottrina sulla grazia, ma ci rivelano ancora l’assiduo sforzo del pensiero tendente a delimitare e a comporre l’efficacia di questa con l'opera delle energie naturali nella soluzione dei più interessanti problemi dell’etica.
Notevole è in proposito un brano dei frammenti del libro : Intorno alla felicità, d'Ippodamo di Turio.,
(1) Croiset, Hisl. de la lìti. grec. Paris, 1S87, voi. IH, pag. 184.
(2) O. Habert, op. Cit., pag. 318.
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Il filosofo, posta la distinzione tra animali capaci e incapaci di beatitudine, secondo che siano o no forniti di ragione, osserva che tra i primi vi ha chi è perfetto in sè, in quanto, per essere ed esser bene, non ha bisogno di alcuna causa esterna, e questo è Dio; vi hanno poi quelli i quali non possiedono per sè la perfezione, ma la conseguiscono mediante un aiuto che lor viene dal di fuori (swrtiJisvzi Ss zzi s*w5sv zìtìz;) ; di essi è l’uomo.
Dopo varie riflessioni sulla perfettibilità umana e sulla felicità, cui si perviene coll'esercizio della virtù, la quale in Dio è in sommo grado perchè per natura perfetto, Ippodamo insegna che per l'uomo la virtù necessaria al conseguimento della beatitudine è dono di Dio (tzv »asv zostzv s/s». Stà rzv 5sìzv aoTpzv); quella necessaria al conseguimento della felicità, diciamo così, naturale, è frutto dell'energia di natura (tzv sùtu^ìzv S-.z tzv 5-vztzv) (i).
Ippodamo non ci dice, o meglio, non si scorge ben chiaro, che cosa sia per lui la virtù, se cioè, come in Platone, consista nella conoscenza, onde l’aiuto divino nei rapporti con la beatitudine potrebbe risolversi in una specie di rivelazione e, per dirla coi teologi, in una illuminalo mentis, oppure, come sembra meno probabile, in un eccitamento della volontà a seguire il bene, o, infine, nell’una e nell’altra cosa insieme. Interessante però è il fatto che il filosofo, pur riconoscendo la soggezione e la dipendenza dell’uomo e delle cose umane da Dio e dalle cose celesti, non ha voluto deprimere il valore delle umane energie oltre la natura, poiché assegna a queste ultime una sfera di azione produttrice entrò i limiti della felicità naturale.
Con siffatte dottrine, le quali, si noti, sono svolte in un libro che ha per oggetto il governo dello Stato, Ippodamo ci fa subito pensare all’Alighieri, che, come crediamo di aver dimostrato in altro nostro lavoro (2), per respingere l’invadenza del potere teocratico nel campo civile, dopo di avere assegnato le due •finalità a cui l’uomo tende, cioè la beatitudine celeste e la felicità terrena, sostiene con tutte le forze del suo spirito che, per raggiungere quest’ultima, non fa mestieri di speciali aiuti celesti e conseguentemente di alcun intervento del potere •ecclesiastico, perchè la natura umana, pur vulnerata dalla colpa originale, non è corrotta ed inferma così come credesi, e trova in sè l’energie sufficienti a far bene, le quali però sciaguratamente sono straniate dal perverso reggimento (la ■mala condotta) di papi e d’imperatori.
Ben puoi veder che la mala condotta E’ la cagion che il mondo ha fatto reo, E non natura che in voi sia corrotta.
Purg. XVI, 97 e seg.
Non meno perspicuo di quello d'Ippodamo ci si rivela, nei rapporti tra grazia e libero arbitrio, il pensiero di Critone pitagorico in un brano interessantissimo dei frammenti del suo libro: Della Prudenza e della Felicità.
« Dio, dice il filosofo, creò l'uomo così che non gli mancasse l’inclinazione
(1) Fragmenla phil. graec. colleg. G. A. Mullach, Paris, Didot, voi. II, pagg. 9-15.
(2) G. Vitanza, // dinamismo umano nel Pensiero di Dante, Caltanisetta, Tipografia Arnone, 1910.
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al bene e il libero volere. Gl'ingenerò pertanto una virtù sì fatta che fosse capace di operare e di eleggere liberamente, cosicché appartenesse all’uomo l'inclinazione al bene e la libera elezione a conseguirlo, risalisse a lui, cioè a Dio stesso, la causa dell'appetito e del giusto desiderio* (i).
Critone, pur confessando la dipendenza da Dio, vuole salvare ad ogni costo la libertà del volere, epperò fa dell’uomo un essere capace non soltanto di conoscere il bene, ma anche di poterlo liberamente abbracciare (... Sway-io; -'•ai zaro^a; tSv a/rò; [l'uomo] àtrio;). L’opera della grazia, pertanto, si limiterebbe a far nascere nell’anima umana il desiderio del bene.
Per chiarire il suo pensiero e determinare il valore della dinamica umana, il filosofo, proseguendo, constata che Dio creò l’uomo eretto al cielo, lo dotò di una intelligenza adatta a conoscere non solo le cose naturali, ma anche la stessa divinità, perchè, osserva, come senza Dio non è possibile conseguire l’ottimo e l’onesto, così senza l’intelligenza non è possibile conoscere Dio (cure vàp avsv ~ò apiorov zac rò zakX'.GTGv r,v eùpsTv, GÙr’avsu vów ìSsTv -tgv ¿sgv aùróv...). E quante volte, conclude Critone, i mortali vogliono seguire la loro ingenita stoltezza, non per causa di Dio ciò avviene, ma per l’essenza della loro natura e per l’accecamento della loro anima (... raùrav wp o ¿so; èvri ó 3opoóy.svo; àkk’à rà; ysvsgco; «oca zac tà; aùrwv òó/a; àrroGaipsc’.;) (2). La dottrina del filosofo pitagorico ci richiama alla memoria il sistema agostiniano della grazia : Non esser questa necessaria nelle opere di ordine naturale e per conseguire un bene naturale (... ouvàjzio; zac zaro/a; rcov àya£ aòro; atrio;); consistere essa in una dilettazione celeste, per mezzo della quale Dio ci fa vincere l'opposta dilettazione dell'umana concupiscenza (ra; ^'¿rrc raùra TiacGojzào’.o; zac zar’ Ó&5ov ÀóyGv ózaSzGio;, g ¿so;) alla quale, in ogni caso, bisogna Jar risalire la causa di ogni peccato (àX).’ à ysvsoio; òsca zac rà; aùrwv àzooaipsoi;) (3).
E vi è ancora di più. La teoria della grazia nei riguardi coll'energie naturali è esposta quasi con la precisione dialettica di un teologo cristiano nei frammenti di un altro filosofo pitagorico, Eurifamo.
Come Ippodamo di Turio, anche Eurifamo comincia col determinare la posizione dell’uomo nell’universo, e stabilisce a tal fine quasi una scala di perfezione, che, partendo da Dio, l'essere perfetto sotto ogni riguardo, digrada via via sino ai bruti. Tra questi ultimi e Dio, tien l’uomo il punto di mezzo, epperò, precorrendo i dati dell’antropojogia cristiana, il filosofo ci fa sapere che, per attingere la perfezione della vita, la Creatura umana, quantunque dotata di ragione, ha bisogno dell’aiuto di Dio, in quanto è lui che opera in noi il bene e ci rende capaci della beatitudine eterna. « La perfetta vita dell’uomo, scrive infatti Eurifamo, in quanto dipende da Dio, non essendo essa completa, è tanto superiore a quella dei bruti da essere partecipe della virtù e della beatitudine. Imperciocché nè Dio ha bisogno di una causa esterna, poiché per sua naturale bontà e felicità è perfetto in sè; nè alcun animale bruto gode di virtù e di felicità perchè, privo di ragione, manca nello stesso tempo della coscienza delle proprie azioni » (4).
(?) Frag. pliil. graec., coll. Mullach, voi. II, pagg. 25-26.
(2) frag. philos. graec., coll. Mullach, pag. 25.
(3) Vedi: Hurter, Theol. dogtn. compendiavi, Oeniponte, 1905, voi. Ili, pag. 84.
(4) Frag. phil. graec., coll- Mullach, voi. II, pag. 15.
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Stabilito questo principio, Eurifamo si preoccupa di comporre il dissidio sorgente tra la libera attività dell’uomo e l'opera della grazia divina, onde prosegue: « La natura dell’uomo ha bisogno di un aiuto; e questo in parte gli proviene dalla sua volontà, in parte da Dio. In quanto l’uomo può pensare, discernere le cose turpi dalle oneste, sollevarsi arditamente dalla terra, riguardare il cielo e comprendere collo spirito i sommi Dei, si serve dell’aiuto divino; in quanto poi trova in sè la volontà, il consiglio e quel principio per cui può seguire la virtù o piegare verso il vizio, si serve della propria energia» (i).
Noi non sappiamo se si potrebbe, meglio che non abbia fatto questo filosofo pitagorico, delimitare il concetto della grazia per salvare l’integrità della natura e nulla sopprimere al libero arbitrio onde non inciampare in quegli scogli, in cui necessariamente è costretta a dar di cozzo la teologia cristiana. Se fosse lecito far dei raffronti, potremmo in certo modo dire che Eurifamo, il quale comprese e volle togliere l'antitesi sorgente tra libero arbitrio e grazia, considerata come determinazione e predeterminazione della volontà, si accosta al sistema dei Molinisti, i quali più di ogni altra scuola teologica si preoccuparono di salvare l’integrità del volere. E’ vero che anche il Molinismo, costretto a riconoscere nella grazia una potenza che dall'alto efficacemente influisca sulla volontà, non salva, nemmeno col ripiego della scienza media, i diritti del libero volere; esso però, fa d’uopo convenirne, rappresenta quanto di più liberale possa consentire la teologia cristiana, la quale, dati i precedenti del dogma del peccato di origine e delle conseguenze di esso, non può giammai permettere che la grazia si riduca, come la ridusse Eurifamo, ad una semplice illustrazione dell’intelletto, ad una rivelazione divina, se vuoisi, che non suoni mai, nello stesso tempo, una coazione della volontà.
Concetti cosi lucidi intorno alla grazia non ci è dato di trovare nemmeno in Platone, il quale, nel suo misticismo intellettuale, non può non riconoscere come l'aiuto divino sia in noi la causa prima della virtù, onde nel Menone, nel Fedone, nel Fedro, torna spesso su questo concetto, quasi senza badare che l’elogio della grazia si traduce in un deprezzamento dei valori umani (2).
La dottrina della grazia, poi, la quale è un corollario del sistema stesso di Platone, che in sostanza richiama la concezione immanentistica di Anassagora e di Senofane, rinasce nella scuola stoica e in quella neopitagorica, che troppo risentirono gl’influssi del pensiero platonico, e specialmente allora quando il mondo greco viene in intimi contatti spirituali col mondo giudaico.
Senza tener conto dell’ inno a Zeus di Cleante (3) e della famosa sentenza di Biante : — orzv ày^Sòv pr, gomtw xìzim — dove l’aiuto divino, cui
si fa cenno, dati i precedenti materialistici dello stoicismo puro, si risolve in un determinismo fisico vero e proprio, leggendo le opere di Seneca, non si può non riconoscere col Boissier come il filosofo romano abbia intravisto la dottrina della grazia, tosi 'estranea, osserva a torto l’eminente storico francese, ai savi dell'antichità (4).
(ì) Frag. phil. graec., coll. Mullach, voi. Il, pag. 15.
(2) V. ¡ passi, citati dall'HAVET in Le chrislianisme et ses origines, Paris 1878, v.
(3) Vedi Frag. philos. graec., coll. Mullach, voi. I, pag. 151.
(4) G. Boissier, La rèligion romaine d’Auguste aux Antonins, Paris, Hachette 1874, voi. II, pag. 89 e seg.
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Per spiegarci come l’atewc di Cleante o di Piante, vera necessità distruggi-trice di ogni libera elezione, si sia, in Seneca, convertita in grazia divina intesa presso a poco nel senso della teologia cristiana, basterà por mente, in genere, alle sostanziali trasformazioni subite dallo stoicismo, in ¡specie poi, all’influenza esercitata in tutta la filosofia romana dalla scuola neopitagorica rappresentata, in principio, da Ennio e da Nigidio Figulo e, in seguito, da Giuba, dai due Sesto e da Sozione di Alessandria, maestro di Seneca stesso.
Il neopitagorismo romano però non è che un rivolo, il quale trova principalmente le sue scaturigini in Alessandria, dove era apparso nel secolo in av. C., e dove appunto troviamo quel primo germoglio della grazia destinato a trapiantarsi dal terreno giudaico nel campo cristiano.
Filone, ebreo per sangue ma greco per la cultura dello spirito, inclinato più specialmente a seguire Platone e Pitagora (1), fondendo insieme dottrine platoniche, pitagoriche, stoiche con le credenze avite, prepara il terreno alla teosofia e all’antropologia dell’apostolo Paolo.
Fedele al rigido monoteismo della sua razza, non sa però rigettare l’apparente dualismo pitagorico-platonico come non gli piace staccarsi dal panteismo degli stoici, onde, senza che esplicitamente lo confessi, ma per logica necessità sorgente dalla fusione di sistemi disparati, finisce col professare dottrine ema-natistiche.
L’azione creatrice di Dio, per lui, non procede da una libera volontà, ma è quasi una necessità della stessa natura divina. « Se Dio non cessa di produrre, egli scrive, ciò avviene perchè allo stesso modo che la proprietà del fuoco è quella di brillare e la proprietà della neve è quella di raffreddare, così la proproprietà di Dio è quella di produrre (2).
Il Aóvo$ di Dio, che, secondo Filone, è la più alta delle potenze, l’immagine e l’ombra di Dio stesso [Alleg. della Legge, III, 31), diviene alla sua volta l’esemplare delle altre immagini meno perfette, {Alleg. della legge, IV, 31), tra cui sono le anime umane, anch’esse particelle nobilissime dell’emanazione divina, alle quali il Aóyo; manda un fiume di saggi pensieri per nutrirle {Della posterità di Caino, 37), il che significa che Dio stesso loro comunica la sua grazia, la quale consiste appunto nel dono della conoscenza di se medesime.
E’ inutile dire che Filone, interpretando troppo allegoricamente V Antico 'Testamento, concepisce la colpa originaria presso a poco cosi come la concepiscono gli or fico-pitagorici, onde, scrive : « L'anima, abbandonando la sua patria celeste, viene nel corpo come peregrina (si; //opav iftSs tò c&ua), e a lei il Padre promette che non permetterà sia trattenuta per sempre nel carcere, ma che, per sua misericordia, ne scioglierà i vincoli e libera la. restituirà all’antica patria (v.zrpo-ózsto;) » (3). Come gli or fico-pitagorici, pur confessando che l’uomo è di origine divina, accusano di debolezza l'umana natura e riferiscono a Dio ogni bene; così fa pure Filone, il quale non esita di scrivere: « L’anima, la
(1) Eusebio, Hist. licci., lib. 11. cap. IV, citato in 1. Martin, Philon, Paris, Alcan. 1907, pag, 42 e seg.
(2) Philonis Opera, Tauchnitz, 1880-1893. Alleg. Leg. 1-3.
. (3) De Somniis, § 42.
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quale genera da per se stessa, abortisce; e tale è la sua impotenza che allora quando confessa la sua nullità ed esalta la grazia divina, questa confessione non è opera sua, ma dono del Signore ». (i)
Ed altrove, precorrendo Paolo, dice che Dio dona il volere e il fare (2), e, anticipando Agostino, insegna che la potenza di Dio procura alla preghiera il suo valore e la sua efficacia (3).
Non ci dilunghiamo nel riportar qui altre testimonianze sulla dottrina della grazia in Filone, poiché chi ne avesse vaghezza, potrebbe consultare il bel libro del Martin, il quale dedica parecchi paragrafi all’argomento.
Dai nostri pochi accenni alle dottrine filoniane, intanto, le quali dipendono da una parte dall'emanatismo stoico e dall’altra dal dualismo dei pitagorici e di Platone, chiaro si scorge come il libero arbitrio, a cui pure il filosofo giudeo fa omaggio {Plani, n. :i; Imm. n. 10; Prof. n. 13, ecc., ecc.,), non si riduce che ad un mero flatus vocis, poiché la grazia divina, che previene ogni merito, che vince ogni forza di volere, lo ha soppresso.
Per questo riguardo, Filone, rispetto ad Ippodamo di Turio, a Cri tone, ad Eurifamo, ha fatto un cammino a ritroso, perchè mentre i filosofi greci avevano cercato una via irenica tra la libertà del volere e l'attività della grazia divina, egli non si preoccupa affatto di risolvere l’antinomia che nel suo sistema è divenuta assai più stridente, e, diremmo quasi, irreconciliabile. Pkilon, scrive giustamente il Martin, ajfirme la liberté, il la considere camme cause de mèrito, et de demèrito, et jamais il n'institue sur la liberté une véritable étilde: les complica-tions et les mystères de la liberté ne Ioni jamais preoccupò (4). Quest'atteggiamento del filosofo giudeo non ci sorprende gran fatto: in lui l'idea tradizionale del Dio semita, dispotico ed assoluto, del Dio di Giobbe e di Cohelet, piglia il sopravvento sulla concezione antropologica dei pensatori della Grecia, che, per quanto s'ispiri al pessimismo mistico degli orfici, non cessa di essere alquanto benigna e liberale. A Filone terrà dietro Paolo di Tarso, che, nella sua teosofia e nella cosmologia, tempererà bensì il panteismo filoniano, eliminerà pure dall’antropologia il mito orfico della preesistenza delle anime, dando maggiore sviluppo al racconto genesiaco del peccato di Adamo; ma la concezione della dinamica umana non si avvantaggerà menomamente con l’Apostolo, che tutto, ragione, coscienza, libertà, vita, immolò all'onnipotenza del suo Dio; dal pessimismo più disperato derivò la sua fede incrollabile; e sulle rovine della natura posò l’edificio soprannaturale della grazia redentrice.
I .conforte, dicembre 191J.
Prof. Calogero Vitanza.
(1) Alleg. Leg., I, 26.
(2) S. Paolo, Òiè; yd? «««4 ivipyw'» iv ìjmvtg Stkstv /.«■. tò ¡•»ipyiìv (Phil. Il, 13); FILONE, Oli; òsòwGf» àuOirEC« 7$ Èpyd^GSa: àpiràc /.ai v.r.3f-«i aùròv à^'GTMSac {Alleg. I, 28).
(3) S. August., Confess., lib. I, cap. I, Filone, Alleg. Ill, 76.
(4) I. Martin, op. cit., pag. 159 e segg.
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PERIAG/LT/RA DELL'ANIMA
TRE COSE FONDAMENTALI
JJMi"sento sempre più membro dell’umanità indivisa, fratello di tutto ciò che vive, soffre, lotta, spera. A mano a mano ch’io imparo a conoscere meglio quest’epoca nobilmente tormentata, l’amo di più. L’amo pel contrasto pungente delle sue miserie e della sua grandezza. La vorrei più sicura della parte migliòre di se stessa, più d’accordo col suo bell’ideale, meno inquieta riguardo il domani, più ferma nella Fede per la quale vivono gli esseri ... Zgg .
Cose abolite e cose che permangono.
Lungo la vita, con nostro piacere o dispiacere, cose amate ci dànno l’addio. Il loro tempo è passato. Il rimpiangerle equivarrebbe ad affliggersi che il giorno segua la notte o la notte il giorno, che i fiori cadano allorché si forma il frutto.
Non solo è bene assumere una propria attitudine dinanzi a questi cambiamenti che si fanno nell’evoluzione normale dell’esistenza, ma occorre adattarvisi con buona volontà, per trarne il bene che recano in se stessi. Rimpiangere al tempo stesso, di non poter essere e di non essere stato, è un esporsi a turbare e la pace dei ricordi ed il possesso delle ore presenti cosi preziose nella lor fuga. Coloro che, adolescenti, rimpiangono l’infanzia, uomini fatti, la giovinezza, vecchi, l’età matura, lasciano che se ne vada il profitto dei giorni per aspirare all’irraggiungibile. Chiuderanno la serie del tempo loro concessa con la constatazione amara di non essere stati nè veramente giovani, nè dei vecchi come è desiderabile d’essere. Ad ogni tappa del viaggio, la provvigione di saviezza che permette di farne buon uso sarà loro mancata.
Questa mancanza di saviezza è un male : un male che s'estende ed acquista proporzioni calamitose se. dalla vita individuale, volgiamo il nostro sguardo alla vita collettiva. L’umanità nel suo andare è paragonabile ad un uomo. La sua evoluzione implica dei cambiamenti essenziali, delle separazioni dolorose ma necessarie. Le generazioni che s’indugiano a rimpiangere il passato dimostrano di non conoscere la loro missione storica ; esse sono infedeli alle tradizioni che debbono continuare con un'intelligente adattamento e all’avvenire che debbono preparare.
Se la chioccia che cova volesse conservare il guscio sui pulcini pronti ad uscire, ripararlo, incollarlo quando è venuto il momento di rompersi, essa compirebbe un atto di follia. Il guscio ha compiuto la sua missione. Da protettore, diverrebbe impedimento e causa di morte, ostinandosi a permanere. Se ne cada, dunque! E cada, circondalo non da rimpianti inutili, ma da quella giusta riconoscenza che deve tributarsi ai servigi resi.
La storia è piena di servitori che, venuto il giorno del congedo normale e ragionevole! non possono rassegnarsi alla dipartenza. Rar, son coloro che dicono nella calma e nella pace del lavoro compiuto: mine diniitlìs.'
Quindi ¡ tentativi per mantenere i gusci sugli uccelli pronti ad uscire; le cinghie per sostenere i bambini che debbono imparare a camminare soli. Istituzioni venerabili, una volta utili, divengono nefaste per non essersi adattale al tempo, ai suoi bisogni, alle sue più legittime conquiste. La loro opera sembra consistere nell’impedire all’erba di crescere, alle sorgenti di zampillare, alla luce d’irradiare.
Ma, pel fatto che ci son cose abolite, de-
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vesi concludere che l’evoluzione si riduce a un distruggere e che la storia è una demolizione? Guardando a certuni, si sarebbe tentati di crederlo. Di tutto l’immenso lavoro d’incubazione che porta i germi alla loro maturità, non hanno imparato se non la lezione di gettare i gusci al vento. E senza distinguere gettano ogni cosa.
Questa tendenza è ai dì nostri abbastanza forte e i suoi procedimenti abbastanza dannosi perchè noi cerchiamo di non subirla. Coloro pei quali il progresso ad ogni età consisterebbe nel distruggere l’opera delle età precedenti hanno preso come loro motto: della tradizione non ce ne vuol più. L'ho udito pronunziare da un professore di filosofia. Certo, ciò dicendo aveva una sua idea, che, giusta in se stessa, equivaleva press’a poco a questo: guardiamoci dall’approvare senza riserva ciò che si è fatto durante lunghi periodi di tempo. Non basta che una cosa sia vecchia per esser buona. L’ingiustizia non si trasforma in giustizia grazie alla sua lunga durata, e perchè una cosa sia sicura, vera, autentica, non è ragione sufficiente eh’essa sia una venerandissima menzogna.
Ma diremo per questo : della tradizione non ce ne vuol più? Sarebbe assurdo. Che cos’è dunque la vita stessa, se non è una tradizione di cui ci trasmettiamo la face gli uni agli altri ? La sola cosa equa da dirsi, è questa: alia tradizione, come a tutto il resto, conviene applicare il nostro esame. Esaminiamo ogni cosa e riteniamo il bene. Perchè ci son cose che il tempo abolisce, non bisogna concludere che basta che il tempo sia passato su delle realtà per farne un nulla. Aver vissuto a lungo è forse una ragione per essere stanco, vecchio, consunto. Ma spesso e anche una prova di solidità.
Certe cose hanno fatto il loro tempo : non ne concludiamo che il tempo disfà tutto. Il tempo abolisce e consacra, cancella e conferma, sopprime e sanziona. Il tempo stesso attraverso le sue distruzioni compie un’opera positiva. I fiori eh’esso fa cadere, cadono a beneficio del fruito eh’esso fa maturare, il progresso umano non è una lenta disgregazione ; ma è una paziente costruzione della città futura in cui noi con le nostre opere prendiamo posto. Certo, perchè la città cresca e prosperi, fa d’uopo che l’individuo si dia; ma questo darsi è un nobilitarsi, non un distruggersi.
Tutto ciò che viene abolito dalla grande opera dei secoli nel suo corso normale non fa che cedere il passo al compimento di destini più alti. L’uovo non perisce quando .scompare per far posto alla vita alata eh’esso
racchiude: mantiene semplicemente la sua promessa ed effettua quel che in lui dormiva. Così, sempre le cose nuove debbono uscire dalle vecchie, e il meglio di ciò che le antiche facevano deve rivivere nelle nuove. Ed è una perpetua lezione di cose in cui ci vien dimostrato che l’eterno si elabora sotto l’effimero.
Questa stabilità delle forze prime in attività sotto le fasi ondeggianti degli avvenimenti, vorrei farla sentire ed afferrare, affinchè noi fossimo meno coipiti dalla caducità delle forme che dall’identità del fondo.
Alla base d’ogni vita materiale v’è qualche cosa, qualche energia, dalla cui feconda semplicità tutti i fenomeni dipendono.
La vita degli uomini e delle società è il risultato dell’azione di realtà essenziali che si ritrovano ovunque attraverso le età.
Quanti individui, collettività, istituzioni la nostra umanità ha visto nascere e morire! Ha visto le fedi e i sistemi filosofici sorgere e tramontare come dei soli ; i costumi, le leggi, le condizioni economiche e sociali modificarsi profondamente ; ma le linee principali del suo destino sono rimaste le stesse. Queste onde del continuo in movimento coprono acque tranquille, un procedere sicuro si compie attraverso queste mutevoli peripezie. Le stesse potenze malvage disgregano e le stesse forze salutari ricostruiscono le città. Il quadro dell’esistenza, l’aspetto del mondo esterno possono invecchiare e cadere, simili a quei manti che la natura si getta sulle spalle e che son di brina l’inverno e di fiori la primavera. Ma il fondo rimane e le sue leggi non passeranno mai nè sopporteranno d’essere violate.
Vorrei, in un’età che ha visto tanti cambiamenti sì da rimanere quasi disorientata, rituffarmi in ciò che è duraturo e non rischierà di diventare • vecchio gioco ».
Sulla riva del mobile fiume dei secoli, voglio pensare a ciò di cui ci sarà sempre bisogno (i). Non si tratta nè di una filosofìa, nè' di una religione e neanche d’una morale, ma dell’essenza intima di quel che trovasi nel fondo di ogni solida filosofia, d’ogni credenza vivente.
(i) Ce qn'H faudra toujours è appunto il titolo del volume dal quale traduciamo queste paginé e nel quale Carlo WaGXRR, il valente predicatore parigino, s'intrattiene, spense con originali, acute osservazioni, sui seguenti soggetti: Dieu — Du génie — L'Idéal — L'héroïsme — La poésie — Le sacrifice — Gouverner — De* esprits-tampons — Le pardon — Des habitudes — De l'initiative — Savoir souffrir — Savoir attendre — Des capitaux — Valeurs marchandes et valeurs d'àme — Bonne humeur — Fidélité — Savoir mourir — Recommencer. — Parie, Colin &• Fieck-tacher, Hjri. t'ai, di fiag. 300, L. 3-75- {.Rivolgerei alla Libreria Ed, • Bilgchnie ■).
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d’ogni sicura regola di condotta. E’ l’eterno umano, tutto pregno d’un divino sapore, quello che piange in tutte le lagrime, canta in tutti i canti, mormora in tutte le sorgenti, fiorisce sui colli, scintilla nelle stelle, dorme nelle tombe e si desta nelle culle.
li dogma fondamentale.
Alla base di tutti i ragionamenti degli uomini, dei loro calcoli e dei loro procedimenti, v’è una certezza latente che designerò coi nome di dogma fondamentale.
Quando dico dogma, m’esprimo forse in maniera insufficiente. Un dogma è una parte d’un insieme di dottrine. E’ una formola la quale esprime il pensiero cosciente e viene dal campo intellettuale. Ora l’intelletto non abbraccia che la minima parte delle realtà che sottacciano al fondo degli esseri. Si rivolge a quel che l’uomo può cogliere, analizzare e comprendere. Non si coglie, non si analizza, non si comprende se non quel che si domina e sorpassa. Perchè l’uomo potesse comprendere se stesso bisognerebbe che il suo intelletto fosse più grande della sua totale umanità. E’ il contrario che si verifica e non può essere altrimenti. L’uomoèpiù vasto del proprio intelletto, e lo sorpassa non in una quantità minima, trascurabile, ma in una quantità prodigiosa e per la quale non possediamo alcuna misura.
Nessuno saprebbe vivere, nessuno ha giammai vissuto di quello che comprende. Contentarsi, per vivere, delle cose sole in cui non ci sia per noi alcuna incognita, sarebbe un condannarsi a perire di miseria e anzitutto a non pensare più. Giacché l'intelletto non comprende neppure se stesso, ma è costretto ad accettarsi cosi coni'è, nei suoi primi elementi, e non può andare più in là, come un uomo non può salire sulla propria testa e servirsene di piedistallo per guardare più lontano.
Se l’uomo religioso non possedesse la sua religione in una forma che oltrepassa il dogma ed il filosofo la sua filosofia in una forma che oltrepassa il ragionamento, entrambi sarebbero privi dell’indispensabile. L’uno e l’altro non fanno che imprimere una effigie differente alla materia prima che s’impone loro. L’effigie certamente ha la sua fisionc mia propria ed il suo valore, ma che cosa sarebbe essa senza il metallo che fornisce la sua sostanza stessa? Questa sostanza può guadagnare ad essere modellata, messa in rilievo,cesellata; ma senza di essa tutte le forme di cui noi la rivestiamo saiebbero caduche e vane.
Parlando del dogma fondamentale, intendo
parlare d’una certezza che va più lungi della moneta corrente dei nostri ragionamenti che circolano in forma d’idee accettate o respinte, vecchie o attuali. Intendo con esso una certezza che precede tutte le altre certezze, fondamento oscuro sul quale tutte le altre sono edificate, e senza la quale quel che possediamo o pensiamo precipiterebbe nel nulla.
E qual’è questa certezza prima, questo dato iniziale? E’ la Fede implicita alla Vita. Dalla Fede nella propria vita individuale, dipende. per ciascuno, la Fede d’insieme alla grande opera nella quale l’individuo è inquadrato. Ecco il centro, il punto di partenza, il nodo essenziale tanto del particolare di ciò che ci riguarda, quanto del mondo totale nel quale siamo posti. Dio stesso non è accessibile che da questo punto. Poiché se logicamente tutto comincia in Dio, praticamente e per conto nostro, è dall’uomo, è da noi che lutto ha principio. Dal suo essere, prèso come punto necessario di partenza, l’uomo va alla scoperta e alla conquista di tutto il resto. E’ chiaro come il giorno che se noi non esistessimo, nulla esisterebbe per noi, non solo-Dio, Anima delle anime, Essere degli esseri, ma l'universo stesso.
E tuttavia questa base di tutto ciò che possediamo non è opera nostra. Impersonale ed incosccnte, la fiducia fondamentale in noi stessi, la fede nella vita precede qualsiasi ragionamento. Si può dire che essa è il legame robusto pel quale gli esseri sono congiunti alla loro sorgente ignorata. Essa è il cordone ombelicale pel quale tutto ciò che esiste è innestato nell’indistruttibile. Abbiamo un bel crederci individualizzati; lo siamo solo in modo relativo. Giammai vien rotto il profondo legame. Senza di esso noi riposeremmo soltanto su noi, costretti a sorvegliare tutto, conservar tutto, e rinnovar incessantemente ciò ch’è in noi, costretti in una parola ad essere creature di noi stessi.
Anche la ricchezza prima d’un essere, la sua salute ed il suo vigore poggiano sulla sua Fede nella Vita. Se questa fede non è esclusivamente intellettuale, essa non è neanche esclusivamente religiosa, religiosa almeno di quella religione intellettualizzata che finisce col riassumersi in formule. Ognuno trova dei simboli per rappresentarla; ma nessuna ima-gine le conviene. Ed è della realtà, non del-l’imagine che noi ci nutriamo.
Se (’Umanità non avesse per alimento che l’insieme de’ suoi concetti filosofici o delle sue dottrine religiose, se essa dovesse in una parola sostentarsi di verità cosi dette dimostrabili. da gran tempo non esisterebbe pili nulla
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nè alcuno. Fortunatamente il nostro sostentamento proviene da più lontano.
Victor Hugo ha rivestito l’idea che cerco di mettere in luce qui, d’una forma poetica che desidero ricordare. Forse sarà più accessibile a coloro che, per una disposizione di spirito analoga alia mia, sarebliero destinati a non comprendermi. Parlando del seminatore, che percorre i solchi a passi misurati, gettandovi il grano con movimento ritmico, il poeta dice :
Si sente quanta fede riponga Nell’utile fuga dei giorni.
Se semina con tanta calma convinzione, non è — lo sentiamo — perchè ha fatto un lungo ragionamento ; forse sarebbe meno sicuro del suo lavoro, se avesse prima riflettuto sui casi del domani sempre incerto. Non è neppure perchè non pensa a niente, altrimenti se ne sarebbe rimasto ozioso e non si sarebbe messo al lavoro. Ma d’accordo con ciò ch’è più sicuro del ragionamento, si sente animato dalla forza misteriosa che fa sorgere i soli, scorrere i torrenti, germogliare gli alberi. La solidità del mondo, la qualità onorevole del lavoro, il valore della vita che questo lavoro sostiene, l’utilità sacra del lavoro e d’ogni lavoro umano in genere, sono come incorporati in lui e tessuti in tutte le sue libre. Questo lo sospinge, lo inspira, è per lui una ragione sufficiente per lavorare, non soltanto nelle condizioni ordinarie delle stagioni favorevoli, ma altresì nei giorni cattivi, pieni d’angoscia, in cui il dubbio lo accompagna.
Esiste in fondo a tutti gli esseri sani qualche cosa che non può essere sostituita da nulla, grazie a cui s’ammette implicitamente che la vita è un bene preziosissimo, un bene da coltivarsi e da mettersi in opera perchè possa servire. Senza quest’oscura fiducia, sicura di se stessa, estendentesi a (pianto essa crea, un vuoto immenso, mortale s’apre sotto i nostri passi, si spalanca in noi stessi, inghiotte tutto quel che noi siamo e che noi facciamo.
E’ bene convincersi della presenza di questa forza prima, di notarne le manifestazioni, e quindi di conoscerci meglio, non per determinare ciò che non può determinarsi, nè analizzare ciò che sfugge ad ogni analisi, ma per provocare quel vasto e profondo presentimento pei quale abbiamo la certezza che con le nostre radici attingiamo alle fonti eterne, la cui ricchezza non si esaurirà mai e dalle quali, se non vogliamo morire, non dobbiamo mai allontanarci.
Il sentimento fondamentale.
Strettamente unito a ciò che abbiamo cercato di rendere palpabile sotto il nome di dogma fondamentale, si trova un sentimento di natura generale, che forma la materia prima di cui tutti gli altri sentimenti non rappresentano che le modificazioni particolari e le manifestazioni. E’ il sentimento del valore delle cose e degli esseri. Emana direttamente dalla Fede nella Vita.
Se la Vita non è che il nulla rivestito d’una apparenza d’essere, nulla vale nulla e niente è niente. Siamo del fumo in mezzo a del fumo. Effimere vanità noi stessi, senza consistenza e senza valore, ci moviamo fra dei non-valori che non meritano nè considerazione, nè rispetto.
Una sola attitudine è logica: burlarsi d’ogni cosa.
Ma se possedete, oscura o coscente, la Fede nella Vita, nel lavoro infinito eh’essa rappresenta, nell’immortale speranza che si elabora nelle sue forme graziose o fragili, tutto ciò che esiste ha per voi un valore grandissimo e merita la vostra considerazione. La grandezza delle cose vi riempie di venerazione.
Questo sentimento fondamentale che chiameremo la Pietà senz’altro, non si confonde con la pietà, quale si osserva nelle differenti religioni. Diremo che la pietà religiosa, se è positiva, e non si riduce ad atti puramente rituali, è in seno a tutte le religioni, per quanto rivali sian le loro dottrine, figlia della stessa Pietà iniziale. Si può concepire una pietà religiosa superficiale, dimentica di doveri d’umanità, gretta, fornita d’odio persino verso coloro che non la condividono: gli esempi pratici sono troppo numerosi perchè ognuno non ne rammenti qualcuno. Una simile pietà non merita questo bel nome ; in fondo essa è empia perchè chiusa al rispetto dovuto ad ogni anima nella sua libertà fondamentale e nel suo inviolabile diritto. La religione stessa ha bisogno per rimaner vera, benefica ed umana, di tuffarsi del continuo nelle sorgenti di questa Pietà essenziale per la quale, senza eccezione nè differenze, gli esseri son sacri. E se da questa pietà sono animati uomini che non fanno professione d'alcuna religione che ha nome nella storia, e che non pronunziano alcuna delle parole, anima, cielo, Dio, in cui gli spiriti religiosi avvolgono le loro credenze, costoro posseggono tuttavia in fondo a loro stessi la radice rigogliosa e nutritiva sulla quale le religioni sono innestate.
Scendendo molto giù, in fondo ai cuori, a mano a mano che si cancellano le differenze
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tra le concezioni religiose o filosofiche, si scorge che tutti quei rami numerosi nei quali si dividono le idee che gli uomini si fanno del mondo, ed i sentimenti che provano gli uni per gli altri, si riassumono in una sola differenza irriducibile, la Pietà o P Empietà. Ogni pensiero, ogni sistema di pensiero, ogni sentimento ed ogni insieme di sentimenti, ogni passione che diminuisce in noi la giusta considerazione dovuta alle cose e agli esseri è empia. 1 loro effetti non potrebbero essere che distruttori e micidiali. Ma all’opposto, ogni idea ed ogni sentimento che accresce ed alimenta in noi la nozione del valore degli esseri, compresavi quella degli oggetti e del mondo, è nella sua essenza stessa pia, e quindi salutare, buona per tutti, creatrice di bene e di vita. Non v’ha eccezione a questa regola.
Le altre classificazioni che si possono tentare peccano di puerilità in quel che riguarda il valore centrale e degli individui e delle collettività. Cosi soltanto si fa la differenziazione di ciò eh’è, nel senso più largo della parola, buono o cattivo, umano o inumano. Ciò che si va ripetendo di bocca in bocca e di generazione in generazione, come quel semplice detto popolare : « C’è della buona gente dappertutto e dappertutto de’ birbaccioni », non è che la moneta spicciola di questa realtà primordiale: ciò che ci distingue gli uni dagli altri, ciò che deve servirci per giudicarci nella nostra coscienza, è la nostra Pietà o la nostra Empietà. Finché vi saranno degli uomini, il primo sentimento li farà vivere, li renderà buoni, probi, fratellevoli, giusti gli uni verso gli'altri; il secondo li spingerà a disprezzarsi, ingannarsi, odiarsi, maltrattarsi, insozzarsi, sterminarsi. Quand’anche nascessero e morissero le filosofie, le politiche e le religioni ; quand’anche mutassero tutte le concezioni ragionate degli uomini e la faccia stessa delle società, e tutte le istituzioni famigliari, economiche, tutte le forme d'adorazione o d’educazione subissero cambiamenti profondi e vere rivoluzioni, nessun cambiamento toccherebbe quel sentimento primordiale, come nessun cambiamento vien recato alle condizioni essenziali dell’equilibrio, della squadra, del piombino sia che si edifichi in stile greco, gotico o arabo, sia che si eriga una guglia di cattedrale o un camino di fabbrica.
Per far toccare col dito gli effetti di questo sentimento fondamentale, cercheremo di osservarne qualche manifestazione. Quella che si nomina e si prova più universalmente è l'amore.
Chi lo conosce e chi non lo conosce?
E’ una vecchia conoscenza e sempre un gio
vane sconosciuto. Felice e infelice, sorridente e terribile, si è fatto sentire a noi tutti. Ma nessuno potrebbe vantarsi d’averlo scandaglialo nè d’averne indovinato il segreto. E’ umano e divino, effimero e signore del tempo, debole come un fanciullo, fragile come un fiore e così forte tuttavia che nulla ha potuto vincerlo. Sorride agli ostacoli, spezza tutti i ceppi, supera tutte le distanze ; lo dicono più forte della morte e i mortali non hanno mai detto nulla di più divinamente vero.
Che avviene quando si ama? Nulla di chiaro è possibile vedere in questo campo in cui regna il mistero. Nè meno certo è che per amare, bisogna attribuire un grande valore a quel che si ama. Amare, equivale ad affermare il valore eccezionale che possiede agli occhi nostri l’oggetto amato. Alla radice dell’amore è il sentimento che amiamo un tesoro. Il fatto che forse noi c'inganniamo circa il valore della persona amata non ha qui importanza. Il giorno in cui l’uomo cessasse d’attribuire un elevato valore al possesso di certi beni, non potrebbe più amare. Basterebbe che l’incapacità d’apprezzare questi beni s’esten desse perchè il genere umano fosse colpito al cuore. Giacché la fine dell'amore sarebbe-la fine del mondo. Anche a supporre che nascessero ancora degli uomini quale sarebbe la loro vita, se non potessero più affezionarsi a nulla ed a nessuno? Sarebbe una vita spenta e moribonda con l’annientamento per ideale.
Soltanto l’amare fa vivere. E questo non è vero unicamente dell'amore che conduce l’una verso l’altra quelle due metà dell’indivisibile umanità che si chiamano l’uomo e la donna, ma è vero altresì di tutti gli amori che ci fanno vibrare nella gioia e nel dolore.
Mi fermo dinanzi a quello che tanto ha dato a noi tutti : l’amore materno. Sollevate i suoi veli e vedrete eh’esso vive del sentimento vivo che i cari piccini sono dei tesori preziosi. lx> scettico può sorridere di questa follia materna ed il pessimista piangerne, ma nulla vale a sconcertarlo. L’accecamento di tante madri sprovviste di buon senso e di misura non altera la sostanza del sentimento materno. Ingenuo o puerile in alcune delle sue manifestazioni. rimane però sempre sicuro di se stesso e sacro. E’ il vincolo vitale che sostiene tutto il peso colossale dell'umanità. Dubita di te stesso, de! tuo valore, dell’universo e di Dio : per tua madre, il tuo valore è certo. Non c’è bisogno che tu le enumeri le ragioni logiche con le quali si giustifica la tua esistenza e quella del mondo: essa ti ama, e questo basta.
Quand'anche tutta la logica brutale dei fatti che sembra burlarsi delle nostre esistenze si
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levasse per dirci eh’è indifferente che noi siamo o non siamo, l’amore materno ci affermerebbe e consacrerebbe il nostro valore con un bacio che dice tinto.
Allorché quest'amore si spegnerà, sarà un cataclisma equivalente all’estinzione dei soli. In esso è ammassato un capitale, la cui ricchezza oltrepassa quella dei giacimenti di carbón fossile nelle viscere della terra. La sua lenta costituzione è fatta di tutto ciò che le madri hanno messo in comune di tenerezza e di devozione, sognato di belio e di lontano nel tempo in cui si elabora nel loro seno il nostro essere e i nostri futuri destini Ora, d’onde vengono i giacimenti di carbón fossile che la terra ricopre? Condensano secoli di carezze del sole.
L’amore materno risale anch’esso ad una sorgente, e questa sorgente zampilla nel fondo del mondo, là dove la vita è congiunta alla sua ragion sufficiente e nascosta. Questa ragione gli uomini l’hanno presentita nei loro pensieri, fissata in simboli, in formule possibili ad intendersi. Ma nessuno l’ha espressa né vuotata, poiché essa è più alta della regione sino alla quale arrivano le nostre idee e che può essere definita dalla nostra parola. Il modo più sicuro di rimanere in contatto con essa, è di lasciar agire in noi e di seguire con docilità la sua feconda ispirazione. Questo hanno sempre fatto tutte le madri senza neppure imaginare di quali disegni prodigiosi esse erano gli strumenti.
E questo fu anche il segreto di tutti coloro che sono stati riscaldati ed infiammati dal grande amore pel quale si diventa capaci, in seno a questa vita crepuscolare, di sopportare ogni cosa, di sperare ogni cosa, di rialzare coloro che cadono, di medicare le ferite, di perdonare gli errori, di tentare l’impossibile e di vivere nonostante tutte le durezze dell’esistenza, non già in un’attitudine di vittima rassegnata al sacrifizio, ina in una pienezza di speranza, con gli occhi dell’anima fissi su orizzonti liberatori.
La forza fondamentale.
l-e forze fisiche risalgono ad un principio unico che si trasforma e le cui maravigliose metamorfosi sono sotto i nostri occhi. Le loro applicazioni diverse nelle scienze e nell’industria riempiono il capitolo di ciò che noi chiamiamo Progresso. A meno che noi medesimi non le volgiamo contro l’umanità adoperandole iniquamente, l’intervento di queste forze contribuisce ad assicurarci maggior libertà, dignità e felicità.
Ma qualunque siano i servigi che potranno renderci le forze naturali utilizzate, v’è un ufficio che non potranno adempiere : esse non potranno mai volere, né fare alcuno sforzo per noi. Nessuna macchina, nessun accumulatore di forza motrice potrà sostituire l'energia umana nè dispensarci dal metterci d’impegno nel nostro lavoro, allorché si tratterà d’ottenere quei risultati che non si possono trarre che dal nostro patrimonio. Tale è e tale rimarrà sempre il problema centrale di tutte le età. Agli antenati preistorici occorse dell'energia ; lungo la storia, il mondo é sempre stato di coloro che meglio seppero applicare e guidare quest’energia. E questo sarà sempre l’elemento principale col quale si farà la storia umana. La maravigliosa diversità ed il bello sviluppo delle nostre invenzioni non servirebbero che a dimostrare meglio le nostre incurabili deficenze, se ci venisse a mancare quella forza delie forze eh’ è l’energia morale. Volere, aver del carattere, della fermezza d’animo, della resistenza e dello slancio, deila passione e della moderazione, del fuoco e del sangue freddo, sarà in eterno la prima condizione vitale. Che si dimori in abitazioni lacustri o sulla terra ferma, che si viva in monarchia o in repubblica, sotto il regime della proprietà individuale o nel collettivismo, non vi sarà artifizio che varrà a togliere quella difficoltà. E se, stanchi dello sforzo, volessimo mettere su altre spalle il nostro carico, noi scenderemmo dal nostro grado.
Nessun atto, nessun fenomeno raffigura così bene la potenza creatrice quanto lo sforzo d’essere, di volere e di affermarsi. E’ una creazione il compiere l’atto primordiale d’energia pel quale tutte le nostre facoltà vengono messe in azione. Vivere è volere. Ben dice Goethe nel Faust: Ani Anfang war die That. Al principio J‘u l'azione.
Non senza timore, gli osservatori che seguono nelle sue manifestazioni di vita la nostra generazione constatano una diminuzione d’energia. Dove n’è la causa? E'difficile scoprirla. Ma l’effetto è di quelli che alla lor volta divengono cause. La diminuzione d’energia è una malattia organica che non perdona. E’ l’abbassamento del calore vitale, un prodromo della morte, Folere o perire, ecco il dilemma che nessuno può evitare.
Come mettere d’accordo questi fatti con quest’altro fatto: che l’ideale d'un gran numero di nostri contemporanei é quello del minimo sforzo? Non è possibile metterli d’accordo. Si distruggono a vicenda. Si generalizzi l'ideale del minimo sforzo ed avremo un'invernata definitiva, un sonno di pome-
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riggio senza fine. E’ la fatica d’essere che precede lo stordimento. L'ideale del minimo sforzo ha per attuazione logica la morte. Ma se l’energia vitale riesce a farsi valere, allora alla malora le comodità, i godimenti a buon mercato, l’esistenza facile ! Abbasso i piaceri dell'assopimento e viva la vita!
Certi difetti ereditari s’attaccano alla radice dell’energia, sono la filossera della vigna umana. Ceppo e tralci sono alla sua mercè. Ma quale scienza e quali consigli varranno a preservarcene, se non siamo noi risoluti a guardarcene? Lo spettacolo di chi cammina verso la degenerazione, non basterà a trattenerci sulla china. Bisogna voler fermarci e fare l'indispensabile sforzo. Nè promessa, nè minaccia, nè autorità umana, ne autorità 'divina possono salvare un uomo o una società che s’abbandonano a loro stessi. Il lasciarsi andare sfida tutti i soccorsi e li rende illusori. Neutralizza le condizioni più favorevoli.
Se l’uomo non si raccoglie e non prende una determinazione (eh’è un atto creatore) il resto è inutile.
In ultima analisi dunque non dobbiamo contare che su noi. Vuol dire che l’influsso dell’ambiente non conta? I teorici dell’ambiente favorevole hanno ragione d’insistervi. Ma che s’intende per ambiente favorevole ?
E' quello più bello, più piacevole e che non ci fa mancar di nulla? Ma non vediamo forse prosperare in questo ambiente la negligenza, la pigrizia, l’apatia, corrosivi terrìbili dell’energia morale? Condizioni di vita ingrate, la necessità di lottare, il morso della fame e del freddo, purché queste durezze non eccedano la nostia capacità di resistenza, sono assai più favorevoli allo sviluppo di energia che non i carezzevoli contatti degli ambienti detti favorevoli. Se noi c’interessiamo di noi stessi non dobbiamo augurarci un’esistenza troppo facile. E se amiamo i nostri figli, non evitiamo loro nè le pene nè le difficoltà. La esagerata preoccupazione d’evitare loro cibi sodi, farebbe loro cadere i denti ; col portarli troppo in braccio atrofizzereste loro le gambe. Molto piacere e poco male : è il peg-gior augurio che possa farsi : la degradazione dell’energia ne sarebbe il risultato. Ci vorrà sempre del sale negli alimenti e della severità nell’educazione.
Non vi colpisce la seguente coincidenza? I mezzi d’esistenza non sono stati mai così abbondanti, nè più raffinati e più completi i mezzi di cultura. Abbiamo moltiplicato gli elementi di sussistenza materiale, arricchiti i nostri mercati di derrate ieri sconosciute e i nostri programmi di vasta scienza. E proprio
oggi in tutti i paesi del mondo corre di bocca in bocca il lamento: manchiamo. d’uomini.
Tante circostanze nuove, combinate appunto per rendere più sicuro e più ricco lo sviluppo dell’essere umano risulterebbero alla fine sfavorevoli? Il regime al quale ci siamo sottoposti non sarebbe esso abbastanza tonico? saremmo noi ridotti a cercarne un altro che ci rimetta del ferro nel sangue?
Manchiamo d’uomini ! Che si può dire di più grave? Non si può fare a meno d’uomini. Ce ne vogliono dal primo all’ultimo gradino della scala sociale. Ce m- vogliono nell’insegnamento e nell’esercito, all'aratro e nei laboratori, all’incudine dove si formano gli utensili, nella famiglia dove si formano i caratteri Se mancano, con chi li sostituirete? Con niente. Si può rimediare alla carestia del grano con delle patate o delle lenticchie; si possono attaccare i buoi all’aratro se mancano i cavalli; se s’interrompe l’elettricità si possono accendere candele ; ma quando mancano gli uomini, manca lutto.
Uomini non sono soltanto le teste in vista, nelle quali si concentrano e personificano le aspirazioni di un’epoca o che sono guidate da qualche ispirazione sovrana, i capi verso i quali s’orienta la moltitudine semplice dei mortali : uomini sono tutti coloro nei quali l’uomo vien prima del funzionario, del membro d’una casta, dell’adepto (¡’una setta, del servitore d’un interesse particolarista. Allorquando attraverso tutta una società le qualità umane vanno indebolendosi presso l’artista, il filosofo, lo scienziato, il sacerdote, il mercante, l’operaio, il contadino, ciascuno pensa per sè, nessuno si cura degli altri. Le mire mediocri prendono il sopravvento. Non ci s’ispira più a pensieri larghi, a sentimenti che oltrepassino la sfera delle pratiche abituali, e soprattutto si disimpara a volere ciò eh'è più allo del bene immediato e dell’ora presente. Ognuno è troglodita nella propria caverna dove fa dimorare le sue vedute strette e sordide. Nessuno può appoggiarsi su qualcuno, nè contare su qualcuno. La Società si sbriciola e si disgrega come il legno tarlalo.
Ma se incontrate un uomo nell’artigiano e nel pensatore, nell’operaio che inserisce le mattonelle nel pavimento del marciapiede e nel soldato che s’inserisce nelle file e procede secondo l'onore e la consegna, allora ciò che ciascuno aggiunge all’altro si fortifica. Al proprio posto ogni cittadino edifica e consolida la città. Le volontà reagiscono le ime sulle altre e si rinforzano collaborando. Con la propria solidità il vicino è pel vicino causa di sicurezza e di plus-valore. E’ la coesione po-
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tente d’una vita in progresso e sulla quale le cause di distruzione non fanno presa.
Nel lavoro dell ’evoluzione sociale, certi agenti che furono al primo posto possono passare al secondo. Secondo l’epoca ed i suoi bisogni si apprezzeranno maggiormente le istituzioni civili. il coraggio militare, l’abilità dei finanzieri o il senso estetico; ma in tutto ciò quel che importerà sempre più di tutto sono le qualità umane propriamente delle. E ira queste qualità esteriori o interne,d’ordine fisico© d’ordine psicologico, quella che domina su tutte
le altre, è quella forza per la quale un essere umano, qualunque sia la sua posizione e la sua coltura, è in ultima analisi qualcuno e non qualche cosa.
I,a forza fondamentale è ciò che rende un essere capace di decidersi a guidare se stesso e ad essere irriducibile alla coercizione esterna. All’infuori di questo, non v'ha che la materia malleabile, servile, friabile e corruttibile a volontà.
Carlo Wagner.
IL CRISTO SPIRITUALI
« Se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora, però, non lo conosciamo più cosi » (2« Corinzi, V, 16). Questa affermazione è di una straordinaria audacia. Punto dagli avversari, che gli contestavano il titolo di apostolo e che andavano blaterando: « Egli non ha seguito Gesù di Nazaret per le vie della Galilea »..., san Paolo coglie l’opportunità e replica: «Ah! mi accusate di non aver visto il Cristo in carne ed ossa? Ebbene, se pur ciò fosse vero, io me ne glorierei, poiché vi son diversi modi di conoscere il Salvatore; e non è il contatto materiale quel che importa, ma la comunione dello spirito ».
In nome di questa luminosa, geniale intuizione, io vorrei percorrer con voi qualcuna delle tappe che menano le anime dal Cristo esteriore al Cristo interiore, dal personaggio storico palestinese, alla Persona immortale e divina.
I.
Aprite il Vangelo. « Nell'anno decimo-quinto dell’impero di Tiberio Cesare, essendo Ponzio Pilato governatore della Giudea, ed Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’I-turea e della Traconitide, e Lisania te
trarca dell’Abilene, sotto Anna e Caiàfa, sonimi sacerdoti, la parola di Dio fu indirizzata a Giovanni, figliuolo di Zaccaria ». Queste righe di Luca ci portano in piena storia. Gesù non è sorto dalla penombra antidiluviana, ma nel cuore stesso delia civiltà greco-romana; lo hanno ascoltato, lo hanno toccato. Se la fotografia fosse esistita a quel tempo, avremmo ora le istantanee del suo ingresso trionfale in Gerusalemme; il fonografo, per ipotesi, avrebbe potuto fissare il sermone sulla montagna. In una parola, Gesù non appartiene al regno della mitologia o della immaginazione letteraria.
Oh! senza dubbio, il Vangelo non perderebbe nulla della sua bellezza estetica se lo si considerasse come un poema, a volte lirico e drammatico, a volte idillio rurale, inquadrato tra i colli porporini del lago di Genezareth, a volte epopea grandiosa in cui il peana della Risurrezione spazza via le nubi e l’incubo del Calvario. Potremmo anzi domandarci, alle volte, se il Vangelo, considerato come una semplice parabola, pari alle antiche leggende delle fatiche di Ercole o del supplizio di Prometeo, non sarebbe letto forse con una freschezza di sentimento, un candore di ammirazione, una serenità di abbandono che provocherebbero una
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esplosione di entusiasmo purissimo, anche fra i non cristiani.
Ora, questo magnifico poema non ci dà solo della poesia: esso è il riflesso d'una realtà vissuta; perchè Gesù è esistito, Gesù appartiene alla storia, ed è con un fremito di emozione che ne ritroviamo il nome, benedetto in eterno, sotto la penna di quei famosi scrittori della Roma pagana, che ebbero nome Plinio il Giovane, Svetonio, Tacito. Gli studiosi dello scorso secolo non hanno forse posto in piena luce questo carattere storico del Cristo? Lo stesso Renan non ha forse contribuito, quant’altri mai, a farlo discendere dalle antiche vetrate in cui restava fisso in posa ieratica, per mostrarcelo sotto il sole di Galilea, vivo, vigoroso, in un rilievo scultoreo?
Eppure, ci si dice, noi non sappiamo quasi nulla intorno a Gesù: qualche documento frammentario, eco di qualche mese di pellegrinazioni fatte con lui, e non altro. E in queste brevi pagine non è neppur facile distinguer sempre tra le parole del maestro ed i commenti dei discepoli!
Questi legittimi rilievi non hanno l’importanza che loro si annette. Innanzi tutto, prima anche che i Vangeli fossero redatti, san Paolo aveva tracciato nelle sue lettere un quadro significativo della missione del Cristo. Egli ce lo mostra come germoglio della stirpe davidica, povero e disprezzato dal mondo, ma possente nello spirito e Messia atteso dai profeti: lo mostra che con i suoi dodici apostoli, evangelizza Israele, predice la sua morte, istituisce la santa cena, spira in croce, ed apparisce, glorificato, ad una serie di testimoni di cui indica il nome. Non è questo forse un Vangelo primitivo, anteriore agli altri, nettamente tracciato?
Ma, quando si giunge ai Vangeli canonici, allora nello stesso quadro ingrandito campeggia la sfolgorante originalità del
Cristo. La scienza dei testi e la critica non han cessato di approfondire i tratti distintivi di questa fisonomía impareggiabile. Che importa l’assenza di una cronologia esatta o qualche disaccordo tra i vari racconti? Senza prendere tutti i particolari alla lettera, si è soggiogati dallo Spirito che anima queste pagine e che ispirava Gesù con una pienezza così assoluta, che le sue menome parole o il suo più semplice gesto rivelavano il fondo ed il substrato della sua anima. Seguendolo, passo a passo, dal Giordano dove è battezzato d’acqua, al Getsemani dove ha il battesimo di sangue, sembra in verità di penetrar nel suo intimo, di percepire i battiti del suo gran cuore, di conoscerlo, in una parola, meglio assai che non quegli esseri complessi, deboli e falsi, che incontriamo ogni giorno nella vita. Un carattere come quello dei Cristo porta un sigillo inimitabile di realtà; non può essere il prodotto d'una fantasia, di modo che possiamo davvero ripetere le parole del Rousseau: « L’inventore del Vangelo sarebbe ancor più mirabile del suo eroe ».
IL
È qui che le parole del testo che abbiamo assunto hanno un’applicazione inattesa. Poiché, malgrado la sua bellezza il Cristo storico, posto nel suolo giudaico, per l’osservatore non è ancora se non un Cristo secondo, la carne; ed è precisamente la contemplazione fervida e continua di questo Cristo che ci distacca da lui e ci eleva, insensibilmente, sino ad un Cristo superiore.
Avete notato mai, nelle mostre di incisioni artistiche, una figura enigmatica dell’uomo dei dolori? È un viso visto di faccia, un Gesù coronato di spine, le palpebre chiuse, inabissato in sè stesso. All’improvviso, nell’ombra tragica di cui son riempite le orbite, si delineano le
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pupille, non scorte prima; gli occhi chiusi sembrano aprirsi e vi guardano fisso. Impressione strana, solenne.
Qualche cosa di analogo avviene dinanzi al Vangelo. Lo leggiamo, lo rileggiamo, lo studiamo, ne compariamo i testi, ricomponiamo a poco a poco la fisonomía lontana del Cristo storico: è un lavoro di mosaico, di cui noi, apparentemente, siamo gli artefici. Ma lentamente, inavvertitamente, un senso di malessere indefinibile ci invade, è l’impressione del turbamento che penetra sino alle midolla come quando uno sguardo ci fissa a lungo a nostra insaputa. E subito l’impressionante fenomeno si spiega: noi pensavamo, ingenui, di esaminare il Cristo, ed è invece lui che ei scruta e ci giudica. Ormai, Egli non è più fuori di noi: da storico, di-votila morale. Un dialogo secreto si inizia fra lui e la nostra coscienza che ha col Cristo rapporti diretti. Come due voci che si rispondono a vicenda a traverso uno schermo, il Cristo parla alla nostra coscienza e la nostra coscienza parla al Cristo, malgrado la nostra opaca sensualità e lo spessore della nostra stupidità. Molto o punto piacevolmente noi ascoltiamo questo dialogo, indicibilmente dolce e terribilmente amaro. S’impadronisce dell'anima nostra il convincimento che in pratica e sul terreno della cultura morale, è impossibile distinguere tra il Cristo e la nostra coscienza. Questa ci apparisce a grado a grado come un Cristo interiore, e questo ci apparisce come la coscienza della coscienza stessa, come una coscienza nettamente superiore che rischiara, affina, trascina una coscienza ancor primitiva, mal dirozzata, ma a cui spuntano le ali, che gode nelle sofferenze purificatrici e che, alle ingiunzioni più severe della Guida misteriosa, risponde sì ed amen!
Questo identificarsi progressivo del Cristo e della coscienza è talmente reale
che i cristiani per dirigere le loro azioni, usano indifferentemente una delle due formule: Che cosa è bene?... Che farebbe Gesù? In altre parole: Che farebbe il Cristo al posto mio?
Una tale questione implica, necessariamente, la conoscenza del Cristo secondo la carne, del Cristo storico, di cui non sapremmo nulla senza i Vangeli; ma essa esige, sopratutto, la conoscenza del Cristo secondo lo spirito; poiché imitare il Cristo non è copiarlo nel senso meccanico e servile della parola. No, no, imitare il Cristo, nel xx secolo dell’era nostra, non è far dell’archeologia: è dar libero corso alle più fresche e più impreviste ispirazioni di un’anima che prega in nome del Cristo, in nome del modello ch’egli ci ha dato, del programma che ci ha tracciato, dell’impulso che ci ha comunicato. Chiedersi: « Che farebbe Gesti al posto mio? » è, in verità, un omaggio reso al suo magistero morale, uno straordinario atto di fede nella sua santità. Poiché, ci sarebbe impossibile trovar la stessa risposta in quest’altra domanda così analoga e pur così differente: -Che farebbe Maometto?... Ciò che egli farebbe, io non so e nessuno lo sa, poiché egli ha avuto molteplici difetti. Ma ciò che farebbe Gesù, io lo so e tutti lo sanno, perchè egli tendeva infallantemente verso la perfezione, come l’ago calamitato verso il polo magnetico.
Io so che lo spirito del Cristo mi interdice nella mia coscienza l’odio o l’orgoglio, il culto del vitello d’oro, di Venere o di Marte, il dilettantismo che si rallegra degli aspetti del mondo, il conservatorismo dormiente, l’ottimismo che inghiotte, la disperazione che bestemmia o distrugge. Io so che lo spirito del Cristo mi interdice certe letture, certi spettacoli, certe compagnie; esso mi allontana, per un istinto sicuro, da quei fetori che non dànno fastidio all’olfatto dei raffinati, degli idolatri della forma e della moda.
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ma che mi avvelenano colla loro putredine. Io so, infine, che lo spirito del Cristo risplende in ogni anima pura, misericordiosa, umile e forte, che possa ripetere col Pascal: « Io amo la povertà, perchè l'ha amata Gesù Cristo. Non ricambio del male a chi me ne fa. Cerco d’esser giusto, veritiero, sincero e fedele con tutti, ed ho una tenerezza particolare per coloro a cui Dio mi ha più strettamente congiunto; e sia che mi trovi solo, o al cospetto degli uomini; in tutti i miei atti ho di mira Dio che deve giudicarli ed a cui li ho tutti dedicati. Questi sono i miei sentimenti, ed io benedico ogni giorno della mia vita il mio Redentore che li ha immessi nell’anima mia ».
Vedete, pertanto, che il discepolo di Cristo non è un fanatico pronto sempre a porre la mano sul fuoco per l’autenticità 0 l’infallibiiità di ogni testo evangelico; il cristiano è un uomo che sente l’invito del Maestro: « Seguimi! », e che, con tutta l’anima, vi aderisce.
Le pecorelle conoscono la voce del pastore al suo timbro, al suo tono; le stesse parole in bocca di un mercenario, suonerebbero diversamente; così pure, quando si tratta d’ispirar confidenza o d’ottener l’obbedienza nel dominio delle realtà morali, è l'accento che trascina, è la personalità che s’impone. Ora è precisamente questo che il Vangelo ci dà nel Cristo: un carattere, un Santo, un Re, una forza irresistibile di irradiamento, d’attrazione e di salute, colui di cui uno storico razionalista ha detto: « Il semplice racconto dei tre brevi anni della sua vita attiva ha fatto più per addolcire e rigenerare il genere umano, che tutte le dissertazioni dei filosofi e tutte le esortazioni dei moralisti » (r).
Da questo punto di vista, voi lo cornil) W. E. H. Lkckv. (Citato da Schaff: The Persoti of Chrìst, p. 294).
prendete bene, Gesù non è soltanto un personaggio storico, fondamento della nostra fede; il senso della sua missione si approfondisce, diventa intimo e, nel tempo stesso, si allarga tanto che il Cristo sembra, a volte, una personificazione della coscienza, una incarnazione dell’umanità condensata tutta nel Figlio dell’uomo e magnificata in Lui. E da questo punto di vista così comprensivo, il Cristo, fondamento esterno della nostra fede, è esaltato sino a divenirne il segnacolo, il simbolo e l’ideale.
IH.
Possiamo procedere ancor più lontano, sul cammino che va dal Cristo secondo la carne, al Cristo secondo lo spirito ? Senza dubbio: e gli stessi documenti storici ci sospingono per questa via.
Leggete il più breve ed il più semplice dei Vangeli, quello di Marco. Non vedete che una fosforescenza meravigliosa vi circonda già, come d’aureola, la fronte del Galileo? Egli vi apparisce già sotto i tratti di un superuomo. Arditamente egli rivendica la dignità di Messia, ed alla domanda: « Sei tu il Cristo, il Figliuolo del Benedetto? », risponde senza esitare: « Sì, lo sono; e vedrete il Figliuol dell’uomo seduto alla destra della Potenza di Dio ». Come tale, egli richiede dai suoi discepoli una intera consacrazione: « Chi avrà voluto salvar la vita sua, la perderà; ma chi avrà perduto la vita sua per amor di me, la salverà... Perchè se uno ha vergogna di me, anche il Figlio! dell’uomo avrà vergogna di lui quando sarà venuto nella gloria del Padre suo». Egli si arroga il diritto di sottoporre a revisione la legge di Mosè; si dichiara signore del sabato; si assume l’autorità di rimettere i peccati. È venuto, afferma, per dar la vita pel riscatto di molti. Chiunque offrirà un bicchier d’acqua, in suo nome, ad uno
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dei suoi discepoli, non rimarrà senza sua ricompensa; e nessuno lascerà per lui e padre, e madre, e figli, e casa, senza riceverne, in cambio, la vita eterna.
Strane parole queste; e se le si confrontano con altre dichiarazioni significative, ad esempio: « Dove due o tre sono riuniti in mio nome, io sono in mezzo ad essi », se ne può arguire che il Cristo sembrava identificarsi, già sulla terra, con una Potenza d’ordine superiore, al-l’infuori del tempo e dello spazio.
D'altronde, questa conclusione è conforme alle esperienze più autentiche e più originali dell’apostolo Paolo: Nessuno poteva parere meno disposto al misticismo di un fariseo cavillatore e fanatico. Grande Inquisitore della sinagoga, deciso a convincer Gesù di impostura e di bestemmia. Eppure, schiacciato dall’evidenza, egli finì per scrivere: « Non sono più io che vivo, ma è il Cristo che vive in me». In altri termini egli non distingue più, praticamente, nel suo foro interno, tra l’influenza del Cristo e la presenza dello Spirito Santo. E del Cristo egli parla quando dice: « Il Signore è lo Spirito stesso ». Per comprender le sue lettere, occorre dunque intendere il suo linguaggio; per lui. Cristo è lo Spirito personificato, lo Spirito divino, sotto la forma dell’individualità umana: «Voi vivete secondo lo Spirito, se lo Spirito di Dio è in voi. Se alcuno non ha lo Spirito del Cristo, egli non gli appartiene. E se Cristo è in voi... ». Ecco tre piccole frasi, messe insieme, in cui le espressioni « Spirito di Dio » « Spirito di Cristo » e « Cristo » stesso, sono usate come sinonimi. Noi sorprendiamo qui, nel suo mirabile mistero, a traverso le canne intelaiate della tradizione, la nascosta sorgente dell’immenso fiume della pietà cristiana.
Ascoltate ancora questo grido dell’Apo-stolo ai Galati: « O miei figliuoli pei quali
sento di nuovo le doglie di una madre, finché il Cristo sia formato in voi ». Cristo è in voi! Questo è il diapason che dà il la dell'esperienza cristiana; è sempre io stesso suono musicale, una invariabile nota prolungata, da allora, attraverso i secoli, senza interruzione'.
Mai, mai, la cristianità si è limitata a considerare il Cristo come il fondatore di una religione, come un esempio da seguire o un modello da imitare; mai ha soltanto voluto vedere in lui, o un personaggio scomparso nel passato, o un ideale astratto nel presente; ma sempre senza esitare, essa ha amato, esaltato adorato in Lui una Forza attuale, una persona vivente, uno Spirito immortale, il Sacramento della Comunione delle anime in Dio. Mai la cristianità ha riguardato il Cristo come un semplice dottore che insegni un sistema, bensì come un rivelatore che comunica sè stesso e trasfonde la sua anima in quella dei suoi discepoli, linfa alimentatrice che dal ceppo si diffonde ai rami. « Cristo in voi: la speranza della gloria, cantava l’apostolo; questa è l'essenza del dogma della Presenza reale, verità che per qualcuno assume una formula imperfetta e materialista, ma che cionondimeno è il cuore palpitante della religione cristiana, comunque essa si appelli, greca o cattolica, luterana o calvinista.
« Se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora, però non lo conosciamo più così ». Questo paradosso di San Paolo è diventato l’A B C della cristianità universale. Ed essa confessa oggi, con voce unanime, che la sua energia motrice « non è lo spirito umano che Gesù aveva, ma lo Spirito divino che Gesù era» (i). Indubbiamente noi non diciamo: il Cri( i ) Tyrrell, Christianity ai the cross-roads. p, 271. Vedere la traduzione italiana: Il Cristianesimo al bivio.
HI
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sto era Dio, ma ripetiamo con la Chiesa primitiva: «Dio era nel Cristo... la Parola ha abitato fra noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria qual’è quella dell’unigenito venuto dal Padre». Sì, tutto il Vangelo di Giovanni ci appare come una parabola trasparente, e noi aderiamo senza difficoltà sul terreno morale e spirituale, a queste dichiarazioni di principio che risplendono di evidenza religiosa: «Io sono la via, la verità e la vita: nessuno arriva al Padre se non peline... Io ed il Padre siano una cosa sola».
Intuizioni alte come il cielo, semplici come la luce, deformate dalla metafisica dei concili greci, ma che in realtà accrescono mirabilmente, pel genere umano, la speranza di salvezza. Poiché se riduciamo Gesù di Nazareth alle tenui proporzioni del Cristo secondo la carne, come si può osare di salutare in lui il Salvatore del mondo? Se occorre, letteralmente, conoscere il suo nome e la sua storia per aver salute, allora dal principio dei tempi il baratro della perdizione ingoia incessantemente le generazioni successive, e continua ad ingoiarle come per inesausta fame. Ma se, per contrario, il Cristo è stato quaggiù e vi resta ancora, invisibilmente, una personificazione dello Spirito, dello Spirito che parla in ciascun uomo, che si identifica con la sua coscienza e cerca d’incarnare in lui l’ideale dell’umanità, allora l’influenza del Cristo spirituale sorpassa le frontiere del cristianesimo, supera i limiti di Chiese si estende quanto il Regno di Dio, ed è al Cristo stesso, allo Spirito redentore che deve applicarsi la memorabile parola: « Il vento soffia ove vuole, e tu non sai nè donde viene nè dove va; così è di ogni uomo nato dallo Spirito », così è del cristianesimo
spirituale, del Cristo ignorato, sconosciuto, che nasce, a volte, nelle anime senza che sappiano pur balbettare il suo nome e rendergli grazie.
Per ciò, fratelli, non deve far meraviglia che la nostra chiesa aspiri alla comunione più frequente, poiché la santa Cena è, senza dubbio, il centro del culto cristiano, un omaggio al Cristo spirituale.
Accostatevi dunque alla santa mensa con una semplicità assoluta; vi troverete il Cristo sotto i diversi aspetti che Siam venuti contemplando. Il pane ed il vino che rappresentano il suo corpo ed il suo sangue, richiamano alla mente nostra la realtà del Cristo storico, fondamento della nostra fede. L’esame di coscienza che accompagna la partecipazione alla santa Cena, che purifica ed unisce i cuori, che raggruppa i fedeli attorno alla stessa croce, è una applicazione dell’antica disciplina, una evocazione del Cristo ispiratore della condotta, simbolo morale della nostra fede. Infine e sovratutto, l’atto stesso della comunione mistica col Glorificato, l’appropriazione del sacramento, è un omaggio al Cristo Spirito, al Cristo in cui Dio si dona, oggetto della nostra fede e che fa circolare nel nostro sangue il fremito della vita eterna.
Felici coloro che hanno orecchie per intendere! Il filosofo Pitagora percepiva l’armonia degli astri nel fondo del cielo stellato, ma il più umile tra i cristiani percepisce una musica ancor più ineffabile: egli intende, alla santa mensa, la preghiera sacerdotale dell’intercessore: « Padre, io voglio che là dove io sono, coloro che tu mi hai dato sieno anch’essi con me! ». Amen.
WlLFRED MONOD.
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5»
LA CAPPELLA DELL’ASCENSIONE
IN LONDRA
UNA CHIESA SENZA PREGHIERE E SENZA CANTO
11 servizio di dedicazione di questa singolare cappella fu presieduto dal Vescovo di Londra, che tenne per l’occasione una predica sul testo della s. Scrittura: «Sta’ in pace e sappi ch’io sono Dio ». Erano parole molto adatte, perchè la chiesa così inaugurata non è destinata a prediche o a cori. La cappella non ha nè pulpito nè organo. Il Vangelo vi è predicato per mezzo delle pitture che coprono interamente le pareti della cappella.
Federico Shields, l’artista che ha eseguito le pitture (i), nacque ad Hartle-pool nel 1833 e morì a Merton Park, Sur-rey, il 26 febbraio 1911. Ricevette la sua educazione in una scuola di beneficenza, e menò un’esistenza di fame mentre si sforzava di giungere ad essere riconosciuto come artista. All’età di quarantanni prese in moglie una giovane sedicenne, senza coltura. Non erano fatti l’un per l’altra e cominciando dalla loro luna di miele vissero per lo più separati. È un luogo di paee, di riposo, di raccoglimento.
Lo Shields rivelò presto una discreta abilità come illustratore nei suoi primi schizzi e disegni umoristici e poi colle sue illustrazioni per « Il Pellegrinaggio Cristiano » del Bunyan, attirando su di sè l'attenzione di parecchi illustri artisti e
(1) Una vita del pittore, scritta da Ernestine Mills è stata recentemente pubblicata con numerose illustrazioni da Longmans, Green and Company.
letterati, tra cui il Ruskin e il Rossetti, di cui divenne amicissimo. Lo Shields fu un insieme di assai strane contradizioni, ma ebbe il suo lato amabile. V’è molto nella storia della sua vita atto a destare simpatia ed ammirazione; ma è nòstro scopo d'intrattenerci piuttosto sull’opera alla quale egli consacrò interamente gli ultimi vent’anni della sua esistenza.
FEDERICO SHIELDS.
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lULVUHNlS
F. shields: La Fede.
* * *
Una chiesa in cui non si predichi e non si canti; una chiesa senza pulpito e senza organo; una chiesa senza prete e senza coro; in cui non si celebrano nè battesimi nè matrimoni nè funerali... - cert.o è un’innovazione! Non è un’eredità d’un passato
dimenticato, ma l’attuazione moderna d’un’idea del tutto nuova...
La cappella, modesta, ma attraente, disegnata da uno dei migliori architetti di Londra, sorge presso il cimitero di S. Giorgio - dove fu seppellito Lorenzo Sterne -, a pochi passi dall' « Arco di Marmo » non lungi dall’Hyde Park e dai Kensington Gardens, un po’ fuori d’uno dei maggiori centri d’affari di Londra: in un luogo protetto dal rumore e dalla ressa, adatto al riposo ed alla meditazione. È circondata d’una cancellata di ferro, alquanto separata dalla strada da una calma distesa di verzura. È aperta tutti i giorni feriali finché v’è la luce del giorno ed è chiusa la domenica. Nel centro del trambusto e del frastuono di Londra è piacevole trovare un angolo di quiete in cui rifugiarsi per un po’ di riposo!
« « «
Al lato sinistro dell’ingresso si legge su una lapide quest’invito:
che attraversale la ressa e il traffico delle vie di Londra
- Entrale in questo santuario per un po’ di riposo, di silenzio e preghiera.
- Lasciate che le pitture delle pareli vi par lino delle passate
- E tuttora ininterrotte relazioni di Dio con l’uomo.
E dall'altro lato:
- Non ci tenete affatto, voi che passate' - Venite e riposate un poco,
- Comunicale un po’ coi vostri cuori e sta tenne in pace.
- Gesù Cristo, lo stesso ieri, oggi ed in eterno.
Le pitture che decorano le pareti del-l’anticappella o vestibolo sono l’ultimo lavoro dello Shields prima della morte. Con esse egli intese comporre, come un'introduzione a quelle interne, e rivolgere un appello al passante indifferente e spensierato che si ferma lì fuori semplicemente
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F. SHIELDS: L’Annunciazione
(19I4-VI1J
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F. SHIELDS: Il Buon Pastore
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per un po’ di riposo e non entra nel santuario del silenzio. Accanto al quadro del Buon Pastore sono altre pitture che formano con esso un tutto armonico. Vi sono due quadri simmetrici: la Preghiera e la Meditazione, due grandi pannelli: la Risurrezione e la Vita a sinistra, e Cristo benedicente i ■piccoli fanciulli a destra; una pittura Simbolica: ignoranza, Scienza e Sapienza. I due quadri che, situati accanto a quello del Buon Pastore, sono destinati ad attrarre l’attenzione del visitatore sono: L'uomo respinge la voce della coscienza e V uomo ascolta la voce della coscienza. Nel primo la Coscienza, inginocchiata, presenta uno specchio all’uomo, il quale sta avventandosi sopra un precipizio. Egli ha gettato via il suo orologio a sabbia, noncurante del tempo, e lusingato da sirene, sembra risoluto alla propria distruzione, rifiutando di guardarsi nello specchio della Coscienza, che vien da lui respinta ruvidamente. Nel secondo quadro, il susurro della Coscienza all’orecchio dell’uomo lo arresta nella sua discesa. Egli si ferma con improvvisa apprensione mista a gratitudine lasciando ch’essa gli metta il dito sul cuore, e guardando la bilancia ch’essa reca e nella quale la farfalla, alato simbolo d’immortalità, sorpassa il peso del mondo. « Che importa all’uomo se guadagna tutto il mondo e perde l’anima sua? ».
Il vestibolo conduce direttamente nell’aula principale della Cappella. Entrando si ha dinanzi sulla parete di fondo il quadro dell’/ls^tóiowg di Gesù. L’effetto prodotto da queste pareti interamente coperte d’affreschi dall’alto al basso è indimenticabile. Le due grandi serie di pitture che fiancheggiano la cappella confondono quasi il visitatore, e sia attraverso la Legge o il Vangelo, o ¡’Antico 0 il Nuovo Testamento, la Storia di Gesù o la Storia della fondazione della Chiesa - qualunquejia la parete ch’egli segue -sia nella compagnia dei Profeti o in quella
degli Apostoli, - alla fine egli si trova dinanzi alla Passione e all’Ascensione. Egli scorge, intravede questi soggetti come quelli dinanzi ai quali alla fine egli dovrà trovarsi. Là è la Croce, con una fiamma rossa in alto, l’ira del peccato umano, e bisogna guardarla. Ma in alto,
f. shields: Pietro affonda.
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sopra la Croce e il Sepolcro, in una nube di gloria, che ricorda ancora qualcosa della Croce, è il risorto, ascendente, trionfante Signore della vita. La Croce non è la figura che domina. Il Cristo morto, non è il Cristo esaltato da quest’opera. In alto, al disopra della morte e a tutto ciò che ha potere di morte, è Colui che regna è vive in eterno, il Cristo di Dio.
Da un lato le pitture narrano la storia della vita di Cristo e dall'altro la storia della diffusione del Vangelo come è narrata dagli Atti degli Apostoli. Queste scene sono accompagnate e in qualche modo interpretate da quattordici pitture rappresentanti da un lato i Profeti dell'Antico Testamento e dall’altro da un egual numero di Apostoli con Giovanni Battista, s. Stefano e s. Paolo. Al disopra ed ai lati della porta d’ingresso è la storia della Creazione, della Caduta e della Promessa di Redenzione, mentre di fronte, al lato opposto, come abbiamo visto, sono le grandi pitture rappresentanti YAscensione, circondata da scene della Passione e Risurrezione, con quattro grazie: Fede, Speranza, Amore e Pazienza e due scene illustranti la parabola delle Vergini savie e delle Vergini pazze.
Tutte queste pitture sono opera d’un sol uomo. È stato detto che esistono soltanto due altre chiese di cui si possa dire altrettanto, una in Siena ed una in Assisi, dove Giotto narrò la storia della vita di s. Francesco. Ma entrambe queste chiese differiscono in parecchi e importanti particolari da questa dello Shields.
Una pittura che desta l’ammirazione d'ogni visitatore è Y Annunciazione. L’angelo trova Maria sulla terrazza della casa in Nazareth, sul far della sera. Ella sta pestando con una pietra la poca spigolatura che rivela la sua povertà. La sua attitudine, all’udire il messaggio dell'angelo, è quella d’una modesta e devota sottomissione. La luna, che vien su dalle colline di Nazareth, è al suo primo quarto; la fioritura del mandorlo ci parla di priinavera e su nel cielo la via lattea della innumerevole progenie spirituale che ne verrà dal Fanciullo annunziato.
Dalle pitture del ministerio di Gesù spira un'atmosfera di profonda spiritualità e di tenera sollecitudine per gli uomini. Ecco Gesù al pozzo di Giacobbe in atto di rivelare ad una donna peccatrice la propria missione e di aiutarla a possedere una fede migliore. Ecco Gesù che sostiene Pietro che affonda, rivelando la Potenza che può sostenere e condurre a salvamento in porto.
In molte delle pitture l’artista fa uso di emblemi e simboli. Nel quadro rappresentante Gesù che guarisce il cieco-nato, si vede il Salvatore che conduce fuori della città un cieco che reca sotto il braccio una vecchia arpa a tre corde per accompagnare i suoi tristi canti. Alla porta della città stanno un vecchio Fariseo ed un suo discepolo, ed anche questi sono ciechi, il cieco che guida l’altro cieco; perchè il giovane Fariseo sarebbe tratto a seguire il Salvatore, ma il vecchio lo trattiene. E presso ai piedi del Salvatore, una cagna, emblema dei falsi dottori si volge ad abbaiargli contro, mentre i suoi ciechi piccini le si serrano addosso poppando. È vicina la sera, e in lontananza si vede un pastore che guida il suo gregge; questo non è cieco nel seguire il pastore, e l’uomo che già comincia a vedere adopera la sua nuova vista per seguire il suo Signore.
Le pitture mostrano abilità nel disegno, e genio artistico nella composizione, come anche delicato sentimento nel colorito. Ma esse debbono giudicarsi non tanto come opera d’arte, quanto come prediche in pitture. Tutto l'edificio è una predica.
L’artista visse per pronunciare l'ultima sua parola del messaggio evangelico mediante i dipinti delle sue pareti e quindi entrò nel suo riposo.
(The Standard, 12 aprile 1913).
William E. Barton.
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CIÒ CHE BISOGNEREBBE AVER IL CORAGGIO E LA ONESTÀ DI NON INSEGNARE PIÙ AI BAMBINI
SAGGIO
Al maestro F.
11 consiglio Che tu mi chiedi è di quelli che non interessano te solo, o interessano te attraverso una categoria, tutta una categoria di persone. Sono legione i maestri Che come te, si trovano al bivio: tutto? niente? o non vogliono nessuna delle due strade. Tutto? tutto ciò Che si è insegnato fin qui e si insegna ancora in materia religiosa? è troppo. Troppo, perchè c’è in quel tutto della roba morta che forse un bambino non avverte, ma della cui morte si accorgerà poi e fin d’ora la fiuta, la intravede; il bambino è più intelligente di certi adulti, ha le sue crisi che sono spesso coscienza di certe falsità propinategli. Dunque tutto no. E niente neanche. E’ il vuoto, è l’abisso. La religione, il Cristianesimo son troppo ricchi di elementi spiritualmente edificanti per congedarli ; tanto più che un sostituto, un surrogato non si vede. Ma se tutto è troppo e niente è troppo poco, che cosa sì e che cosa no ? che cosa bisogna lasciar cadere del tutto che è troppo e che cosa mettere per non cadere nel vuoto del niente?
Ti dirò qualche cosa che certo non si dovrebbe insegnare più neanche ai bambini, se si riflettesse a quello che si dice e alle conseguenze che può e deve avere sull'animo del fanciullo.
Parlerò molto alla buona, chiamando le cose col loro nome vero, anche se possa sembrare nuovo e strano.
i. Vorrei eliminato dall’insegnamento religioso tutto ciò che fa pensare a un Dio vendicativo, cioè cattivo, crudele. Dio, noi lo diamo per modello ai fanciulli ; ogni elemento vendicativo, qualsiasi lineamento vendicativo che appaia nella sua fisonomía morale è perciò stesso uno scandalo, una provocazione. O il ragazzo imiterà questo Dio, e sarà cattivo; o non lo vorrà imitare, e dovrà credersi più buono di Lui. Sarà o un immorale o un empio.
Ora quest’idea di Dio vendicativo è insita nella teoria di un Dio che punisce crudelmente, eccessivamente, come nessuno di noi uomini punirebbe il male, considerato come offesa personale fatta a Lui. Per es., un bestemmiatore punito da Dio con la morte improvvisa: per una ingiuria verbale la morte!!... c’è una sproporzione, quindi una crudeltà. Oppure un bambino, il figlio, che muore
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BILYCHNIS
per la empietà del padre: raffinatezza di crudeltà, degna del tiranno nel dramma di Guglielmo Teli. Dio che brucia i peccatori nell’inferno, cioè adopera ancora una pena orrenda che nessuna società oserebbe infliggere al più perfido degli assassini, al più pericoloso dei delinquenti. Il Dio bruciatore è peggiore del più crudele tiranno; vendicativo, maligno. Queste rappresentazioni dell'Inferno non vanno dunque mai proposte ai ragazzi, o anche, se occorre, risolutamente scartate. E l'inferno eterno? Va scartato se venga presentato come frutto e conseguenza d'una positiva volontà di Dio che o castiga eternamente una volontà cattiva riformabile, o fissa eternamente nel male, una volontà umana.
Questo è l’insegnamento di molti teologi. Dio, secondo loro, fissa dopo la morte nelle disposizioni che essa ha al momento della separazione dal corpo, l'anima dell'uomo cattivo e toglie al dolore la sua virtù purificatrice. Senza questo doppio intervento divino, il peccatore, il cattivo, nella eternità potrebbe ancora, e sotto la pressione del dolore dovrebbe, migliorare, guarire, rendendo la continuazione della pena superflua. È dunque Dio che interviene Lui a rendere perpetuamente cattivo l’uomo per darsi il gusto di perpetuamente punirlo. Ciò è enorme. Quindi o concepire l’inferno eterno come una fatalità, una necessità (ma come si fa a dimostrarla? chi dimostrerà che di sua natura, dopo là morte del corpo, l’anima sia irriformabile in meglio?), o eliminarlo, perchè una volontà divina che decreta una pena eterna a una colpa temporanea, è eccessiva, crudele; una volontà divina che eternizza la colpa per giustificare l’eternità della pena, è mostruosa. Dicendo al bimbo che quanto l'uomo fa di male lo espierà qui o altrove propor
zionatamente, e ciò non perchè ci sia qualcuno che si prende il gusto di farlo soffrire il malvagio, ma perchè la malvagità è essa stessa un germe d’infelicità, dicendo questo al bimbo, il suo istinto di giustizia è soddisfatto. La forinola che propongo sottolineata, pur non raggiungendo la formola della teologia ufficiale di certe chiese, come la cattolica, non la esclude apertamente, non mette il fanciullo in contrasto con essa; un giorno, udendola, potrà interpretarla a dovere.
2. Vorrei eliminato dall'insegnamento religioso tutto ciò che può creare tra gruppi umani diversi dei sentimenti di disprezzo o di rancore.
Questi sentimenti son certo eccitati nell’animo del fanciullo quando i seguaci di una religione diversa dalla nostra, o di nessuna religione, sono rappresentati come reprobi, dannati inesorabilmente all’ inferno. Una qualche mitigazione a questo disprezzo può apportare la teoria della buona fede... l'ebreo in buona fede, il musulmano in buona fede non sono colpevoli. Ma anche il dire così lascia un solco di disprezzo; sarà un disprezzo minore ma è pur sempre un disprezzo, e non va bene. Non hanno colpa gli ebrei singoli di essere ebrei, ma l’essere ebrei resta una brutta cosa. E tuttavia pare difficile l'evitare questa impressione, che l’essere ebrei sia una brutta cosa, se s’insegna che l'essere cristiani è una bella cosa — e questo si può egli fare a meno d'insegnarlo, se s'insegna religione nelle sue forme cristiane? Quindi pare che il maestro sia messo al bivio : o non dire una parola di lode per la religione che insegna, o gettare un’ombra di biasimo sulle altre.
Ad evitare ciò, l'ombra di biasimo, pur serbando le parole di lode, gioverà insistere sulla bontà della religione in genere e sulla provvidenzialità di eia-
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Perchè la Civi/tà Cattolica possa vedere e convincersi che Nathan Svderblom non è semplice-mente un pseudonimo, come essa ha affermato nel suo fascicolo del 16 maggio scorso, p.464; e perchè i nostri lettori possano far la conoscenza personale del noto e stimato cultore di scienze religiose, ora Arcivescovo di Upsala.
(Vedi Bilyehnìi, maggio 1914, p. 349 c giugno 1914, p. 417).
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Itll.VCHNlS
scuna forma religiosa. Nessuna è opera <icl diavolo, tutte sono opere di Dio, proporzionate al tempo e ai luoghi. La nostra religione fa parte della nostra civiltà, e noi l’amiamo e l’amiamo di preferenza ; ma rispettiamo le altre forme c soprattutto ciascuno dei suoi fedeli, purché sinceri} perchè il merito d’un uomo non è l’abito che porta, ma il modo come lo porta. Ciascuno deve applicarsi più a conoscere e praticar bene la sua religione, che a criticare e screditare le altre. A tal proposito gioverà leggere qualche bel passo dei libri sacri, o degli autori celebri delle varie religioni, per far sentire come esse sieno davvero dialetti vari d'una stessa lingua.
3. Escludere dalla rappresentazione di Dio tutto ciò che possa aver l’aria di capriccio, di favoritismo.
Finché Dio fu concepito come un Re, e questo mentre i re erano assoluti e la coscienza accettava il quidquid regi placidi legis habei vigorem, poteva passare senza scandalo un Dio che ha preferenze, fa dei favori, esplica delle volontà libidinose. Ma ora Dio è per noi un padre ; 0 questo 0 niente. E’ il progresso del Cristianesimo. Un padre che ha figli e bastardi, o piuttosto tratta i suoi figli gli uni come figli e gli altri come bastardi, che ha dei beniamini, è un padre immorale. Guai far concepire così Iddio! il bambino oggi capirebbe subito esserci dei padri, anzi la maggior parte dei padri a questo mondo migliori di Dio.
Perciò stesso non bisogna ricondurre ad una volontà immediata e diretta di lui le disuguaglianze umane. Molte di queste sono il fatto dell'uomo stesso
(fenomeno sociale), come la divisione tra ricchezza e miseria; divisione estrema, contraria al piano di Dio e che non ci sarebbe se la volontà di Dio fosse fatta in terra come in cielo. Altre disuguaglianze umane sono il fatto della natura, della necessità delle leggi naturali, necessità che s’impone a Dio come s'impone a Dio la legge dei numeri, la non quadratura d’un circolo.
Non favoritismi, non capricci, non sbalzi nella volontà di Dio. La religiosità inferiore sente Dio, la sua presenza, nella eccezione ; la religiosità supcriore buona deve sentire Dio nella legge. Il Dio vero non è il deus ex machina, che ne fa una grossa di tanto in tanto ; ma è il deus in lege che assiduamente, ragionevolmente opera. Educare dunque il bambino, non a contare sul capriccio di Dio e sul suo favoritismo, ma invece a rispettare la legge e a contare sulla divina giustizia, equivale a educarlo seriamente religioso.
E la preghiera? Non insegnarla ai fanciullo come un tentativo di corrompere a suo favore personale la volontà del Padre Celeste, ma come uno sforzo nostro per metterei all’ unisono colla santa volontà di Lui.
Mi pare ci sia qui un già abbastanza copioso programma negativo di pedagogia religiosa da utilizzare e anche da discutere. La discussione potrà migliorare questo saggio d’idee e farne sorgere delle altre. 1 cristiani di qualsiasi confessione non possono esimersi dal meditar tutto questo molto seriamente.
A. Delio.
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KANT E
Un’idea generale non è un corpo, nè un fatto fisico; non cade sotto i sensi. E nondimeno è qualcosa; perchè l’avella e il non averla non sono tutt’uno. Un uomo ha una certa idea o la pensa in quanto pensa in un certo modo. E pensare significa vivere certi fatti psichici. Sembra perciò, che un’idea sia riducibile a un fatto psichico: p. es. a una rappresentazione. Ma quest'opinione, diffusissima e in apparenza evidente, va incontro a delle gravi difficoltà. L'idea è indeterminata. mentre ogni fatto psichico è determinato. L’idea può esser comune a quanti soggetti si vogliano; mentre ogni fatto psichico è proprio d'un soggetto. L'idea è invariabile (io posso non aver l’idea di triangolo; ma, dato che l’abbia, l’idea è sempre la stessa); mentre ogni fatto psichico è variabile. Dall’invariabilità segue, che le idee, e le relazioni tra le idee, siano fuori del tempo, e necessarie; mentre ogni fatto psichico è temporaneo, e, almeno a quanto pare, implica sempre (benché sottoposto a leggi necessarie, ideali) una qualche accidentalità.
(») G. Galli, Kant e Rosmini. Un volume in 8° gr. di pp. 326; Città di Castello, S. Lapi ed., 1914.
ROSMINI"
L’opposizione tra l’idea e il fatto è recisa; e tale rimane se, invece di un fatto (semplice) si consideri un qualsivoglia complesso di fatti. Perciò Platone credette, che le idee fossero delle realtà. Il mondo psichico si spezza in tanti gruppi, connessi tra loro, quanti sono i soggetti singoli: e ciascun gruppo svanisce con lo svanire del soggetto corrispondente. Il mondo fisico benché non percepibile per intiero da nessun soggetto singolo, è il medesimo per tutti; è unico, e per ciò indipendente, fuorché per alcune accidentalità relativamente trascurabili, da ciascun soggetto. Ebbene: i caratteri, che testé abbiamo riconosciuto alle idee, provano che queste, in ordine all' indipendenza da ciascun soggetto singolo, sono paragonabili al mondo fisico piuttosto che al mondo psichico. L’indipendenza del soggetto singolo è anzi, per idee, assoluta, mentre per ciascuna realtà fisica è soltanto relativa: io posso pensare 0 non pensare un’idea, come posso percepire o non percepire un corpo; ma posso modificare (benché di poco) il mondo fisico, non posso invece modificare il mondo ideale. Questo è dunque reale non meno del mondo fisico, e più: è la realtà per eccellenza.
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E sotto questo aspetto la dottrina platonica è assolutamente inoppugnabile. Ma la questione si può considerare anche sotto un altro aspetto. Il geometra, che vuol dimostrare un teorema, opera su di una figura che sarà disegnata o rappresentata, ma che in ogni caso è determinata: è una realtà fisica o psichica. Oltre alla figura, c’è -poi anche 1'« operare» del geometra: un complesso di atti suoi, cioè insomma di fatti psichici (alcuni dei quali si potranno anche tradurre in fatti fisici). L’osservazione cade su quella certa figura determinata; ma è tale, che alcune particolarità. e dell’osservazione medesima, non hanno importanza in ordine al risultato ultimo, non c’entrano. Così, non altrimenti, l'operazione mette capo alla dimostrazione d’un teorema generale. P. es.: segno l'angolo B A C, e la sua bisettrice A D. Segno su A D un punto E, da cui abbasso E F, E G rispettivamente perpendicolari ad A B, A C. Paragonando i triangoli A E F, A E G, rilevo che E !■ = EG.
L’angolo B A C, e il segmento A E. sono determinati l’uno e l’altro. Ma queste determinazioni, benché imprescindibili, rimangono estranee al processo istituito, possono dunque mutare comunque senza che muti la conclusione. In sostanza: noi possiamo, riflettendo e operando su una realtà R. giungere a delle affermazioni, che restano invariate purché rimanga invariato un certo gruppo I della determinazione di R, comunque mutino tutte le altre determinazioni. E il nostro avere l’idea Lo Tesserci dell’idea I, si riduce per intiero alla detta possibilità- Non è dunque il caso di ammettere, con Platone, oltre alla realtà variabile psico-fisica, una realtà ideale invariabile. Pensare coerentemente significa pensare in un certo modo, compiere certe funzioni. Di qui, non dalle idee platoniche, deriva la necessità riconoscibile in ogni formazione, sia del pensiero astratto, sia della realtà
fenomenica (ossia della realtà pensata, e dell’attuale concreto pensare). Abbiamo così riassunta la dottrina di Kant ne’ suoi principi essenziali.
Ma se le idee sono riducibili a funzioni del pensare soggettivo, bisogna d’altra palle, che questo pensare sia possibile (o che sia possibile il soggetto come tale). Io, purché abbia l’attitudine a giudicare, giudicherò, e collegherò i miei giudizi secondo certe leggi; nel mio pensiero si faranno valere certe idee, che in tal modo esisteranno. Ma io non posso formulare alcun giudizio, se già non ho qualche idea. L’attitudine a giudicare (l’esistenza del soggetto pensante), presuppone dunque una qualche idea; mentre, per quanto s'è visto, l’idea presuppone l’attitudine a giudicare. Siamo in un circolo vizioso: e per uscirne bisogna c basta, secondo Rosmini, ammettere che al soggetto sia innata (che ne sia costitutivo essenziale) un’idea: quella di essere. La quale non essendo una formazione ma una condizione del pensiero, sarebbe idea nel senso platonico. Vediamo, se la gnoseologia Rosminia-na sia, e in che senso, un complemento necessario della Kantiana. Gli elementi costitutivi della cognizione, o della realtà fenomenica, si riducono secondo Kant, ai dati sensibili o di fatto, e alle categorie-funzioni. Spazio e tempo non sono che forme dell’intuizione. Vale a dire: il soggetto non apprende i dati sensibili che in quanto li colloca nel tempo e nello spazio. Queste forme sono soggettive; ma, essendo condizione perchè il soggetto senta, l’assumerle non è ancora che un assumere il dato sensibile, com’è dato al soggetto. L’idea dell’essere non è, secondo Kant, un’idea in senso platonico, una realtà sui generis; ma una categoria-funzione, al pari delle altre. Dimostrando con evidenza, come tutte le altre idee (o le altre categorie) siano costruibili mediante l’idea di essere associata con la
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sensibilità, Rosmini perfezionò di certo notevolmente la dottrina di Kant. Ma questo è un punto per noi secondario; il problema che c’importa è: se l’idea dell’essere sia o non sia un’idea in senso platonico. Quest’idea è un costitutivo essenziale del soggetto singolo: ma svanirebbe con lo svanire di ciascun soggetto singolo? (Siccome l’idea dell’essere non può svanire, chi risponde affermativamente alla domanda ora formulata viene ad ammettere che 1’esistenza dei soggetti singoli sia condizione sine qua non per l’esistenza di qualsiasi realtà).
Dice Rosmini: l'idea dell’essere non può essere una categoria-funzione; perchè senza l’idea dell’essere non è possibile alcuna funzione. Ma Kant aveva già risposto, deducendo le categorie (che possiamo considerar come ridotte a quella di essere) dall’unità dei soggetto. Il soggetto è necessariamente « uno » in se stesso; vale a dire non è una collezione, un semplice aggregato. Ebbene: io penso funzionalmente l’essere in quanto sono soggetto, in quanto sono intrinsecamente uno: io esisto come soggetto, in quanto sviluppo un pensiero concreto, rigorosamente uno. quantunque si attui o si risolva in una moltitudine di pensieri distinti e diversi; l’idea dell’essere non è che la formulazione astratta e verbale, mi si lasci dire la cristallizzazione, di quella legge intrinseca essenziale al mio pensare, che insomma si riduce alla sua unità. L’idea platonica sembra eliminata per sempre. Ma si possono fare in contrario, e a favore di Rosmini, alcune riflessioni molto semplici ma non per ciò meno importanti.
Un’idea, che io avessi dimenticata, o alla quale ancora non fossi arrivato, non si può dire inesistente per me. Io potrò infatti, per mezzo del mio pensare attuale, ricordarla, o arrivarci. L’esistenza dell’idea consiste, in ordine al soggetto singolo.
non già neH’esserne attualmente pensata, bensì nell’esserne pensabile; questo è il fondamento vero e incontestabile del platonismo, e di quella sua forma ultima, ch’è la dottrina di Rosmini. Se non che: il pensiero del singolo è inseparabile dal pensiero d’altri singoli: si connette, almeno indirettamente, coi pensieri di tutti gli altri. Può darsi, che a ricordare un’idea già posseduta, o a scoprire un'idea peline nuova, io riesca senz'aiuti estrinseci, mediante un pensiero che io dico esclusivamente mio. In ogni modo, questo stesso pensiero « esclusivamente » mio implica degli clementi, che gli son comuni col pensiero d’ogni altro pensante: che io pensi da me, senza valermi di qualcosa che mi fu insegnato, è impossibile. Affermando, che Vesserei d'un’idea consiste nel suo esser pensata, che l'idea è una categoria-funzione, si viene a dire che un'idea c’è in quanto c’è attualmente un pensiero collettivo, al quale tutti concorriamo più o meno, e nel quale i pensieri dei singoli sono tutti essenzialmente collegati.
Un uomo non pensa, non esiste, che in quanto pensa l'essere; viceversa nessuno pensa l’essere puro e semplice: l'essere non è pensato, che in quanto si pensa qualcosa di più (qualche determinazione dell'essere). Vale a dire: ciascuno pensa, in quanto compie degli atti, che son pensieri concreti e determinati; che sono pensieri, cioè atti di coscienza, tutti collegati essenzialmente tra loro, e con gli atti analoghi degli altri pensanti. Pensare da parte di ciascuno, è compiere una funzione consapevole. Aver l’idea dell’essere significa, semplicemente, esser consapevoli di questa funzione, ossia compierla; è chiaro che senza i singoli pensieri, la realizzazione dei quali costituisce l’attuar si della funzione, questa svanirebbe, quindi ne svanirebbe la coscienza, e svanirebbe l’idea dell’essere; mentre, viceversa, ogni pensiero singolo è possibile
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soltanto come un compiersi della funzione; implica dunque la funzione, cioè l’idea dell’essere. Per ciascuno il concreto pensare, o l’esserci, consiste nel suo compier la detta funzione; l’idea dell’essere, per conseguenza, è per ciascuno di noi un costitutivo, gli è intrinseca o immanente. Ma la funzione medesima non può da nessuno esser compiuta separatamente; il pensiero del singolo è possibile soltanto come un attuarsi del pensiero collettivo, presuppone il pensiero collettivo. Perciò l'idea dell’essere, quantunque immanente a ciascuno di noi, è d’altra parte, per ciascuno di noi, un elemento che oltrepassa, trascende la sua particolarità individuale.
« La dottrina di Rosmini rappresenta », secondo l’A. «un superamento della dottrina di Kant ». Questo non mi sembra esatto. Rosmini e Kant hanno torto e ragione l’uno e l’altro; ciascuno dei due nega o almeno trascura qualcosa, che logicamente avrebbe dovuto affermare con esplicitezza, e che venne affermato con esplicitezza dall’altro. Le due dottrine possono, e debbono, integrarsi a vicenda. L’A., con un altro intento, pure non ha lavorato che nel senso dell’integrazione. Il risultato non è in tutto soddisfacente; sotto più d’un aspetto è già oltrepassato. Nel rielaborare la sua buona dissertazione di laurea, l’A. si chiuse troppo nel suo pensiero. Per esempio: non volle discutere nemmeno con me, che pure studiai un argomento molto affine. La mia dottrina, di certo, non è definitiva, non sembra tale neanche a me, nelle sue determinazioni; ma non credo che il trascurarla sia stato utile. Comunque, il libro dà prova di non comune ingegno: è una buona promessa.
B. Varisco.
Di alcuni libri su G. Giacomo Rousseau.
Il centenario recentemente conchiuso del grande scrittore francese ha dato occasione a parecchie pubblicazioni che — per avere un valore non soltanto occasionale —- meritano essere segnalate come testimonianza dell’amore e dello studio che da noi si pone alla vita e alle opere di lui. Il quale — con tutte le sue colpabilità di scrittore e di pensatore — resta indubbiamente un mirabile esempio di tenacia, un forte vivificatore della libertà, il primo forse e un superbo assertore d’un metodo pedagogico che tende a creare degli uomini non delle macchine parlanti ed operanti. La dottrina del Rousseau ha avuto la disgrazia d’essere ripercossa in quel terribile e vasto movimento di passioni e di odi assopiti da secoli che formò la Rivoluzione francese ; perciò le opposizioni teoriche e pratiche — che non sono un frutto novissimo di tendenze d’oggi, ma che più o meno vissero latenti negli animi scossi dalle impressioni troppo violente — alle teorie rivoluzionarie, travolsero anche la dottrina che sembrava potenziarle.
Rousseau fu per molli uno scrittore forte, ma un pensatore pericoloso ed indeciso, come fu — quale uomo — un poco di buono e un vagabondo impenitente amorale.
Aurelio Stoppoloni scrivendo il suo saggio su Gian Giacomo Rousseau (i) aveva la precisa coscienza che non avrebbe avuto nulla di nuovo da dire. Dopo i lavori del Desmelles, dell’Asse, del Beaudonin, del Grasset, del Morin, del Bongeault, dell’ Hawkes, del Dous-kerloot, dei De Montet Albert, del Mugnier, del Ritler, ecc., il campo dell’indagine fisio-psicologica sul carattere dello scrittore, su la sua famiglia, su le sue relazioni familiari ed extrafamiliari, su le sue avventure amorose, è stato largamente ed abbondantemente mietuto, tanto che c’è da dubitare se alcun altro scrittore abbia veduto addensarsi tanto impeto di passione ed acuirsi cosi indiscreta curiosità. Lo Stoppoloni non tace i difetti e i vizi dell’uomo sfortunato, ma — seguendo le orme di Lombroso — attribuisce la nevrastenia finale - come del resto aveva già fatto Bernardin de Saint-Pierre - alle persecuzioni, alle calunnie, alla triste sorte, alle malattie e al lavoro eccessivo. Non ha dimenticato l’avvertimento del Brunetière che gli uomini straordinari, i quali hanno compiuto qualcosa di straordinario, hanno diritto a essere giudicati con indulgenza straordinaria e non so se questo
(«) Società editrice ■ Dante Alighieri » di Albrighi, Segati e C. Roma, 1914.
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sia una colpa. Tanto più che difficilmente si riuscirà a stabilire con precisione se avesse torto il Beyot quando scriveva che il Rousseau «contro la corruzione sensuale e la galanteria, che è lo spirito in amore, egli rileva la passione, e contro la passione il dovere » perchè in materia di sentimento difficilmente s’arriva a stabilire fin dove abbia errato il maestro o siansi confusi i discepoli nell'imperare.
Di fronte all’opera del Ginevrino si può essere diffidenti come Jules Lemaitre, ma non si riesce certo a sopprimerla con una frase elegante od una trovata geniale.
E’ necessario per questo staccare l’uomo dal filosofo e dallo scrittore. Lo Stoppoloni dopo avere raccontato dell’uomo in uno stile adatto, semplice, pieghevole, ne espone sommariamente la dottrina, insistendo — come è naturale — su V Emilio. Esposizione che non manca di qualche accenno critico — benché la critica dal suo lavoro pare sia esclusa con intenzione — ma che è nella sua brevità piuttosto incompleta. Difficilmente dopo la lettura di questo volume si riuscirebbe ad essere persuasi di quanto scriveva l’Amiel. «Quanti scrittori e quante opere derivano dal nostro Rousseau ! lo trovo i punti d’attacco di Chateaubriand, Lamennais, l’roudhon... Egli è un avo in tutto... Nulla di Rousseau è perduto ».
Ma forse chi riesce da sé a farsi persuaso della verità dei giudizio dell’Amie! non ha bisogno del libro dello Stoppoloni...
Nutrito di maggior contenuto di dottrina è il volume che al Rousseau ha dedicato l’editore Eormiggini (i). Volume al quale ha premesso una dotta e calda prefazione l’ex ministro Credaro e col quale il solerte editore genovese ha voluto dire vate ai lettori della /¿¡vista Pedagogica, per cui i saggi compresi nel libro furono da prima scritti.
Premesso che non è possibile comprendere l’intimo significato d’una qualunque manifestazione d’una determinata età storica, senza riferirla alle tradizioni che in questa confluiscono, e ai nuovi bisogni sociali che la cara-terizzano Giovanni Marchesini afferma che non potremmo intendere quel movimento pedagogico che nella seconda metà del secolo xvm prese in Germania il nome di filantropismo, senza connetterlo da un lato al movimento
(i) A. F. Eormiggini, Genova. «Biblioteca di Filosofia c di Pedagogia».
psicologico che pervase tutto il secolo diciottesimo e che con termine enfatico ma espressivo fu detto l’Aufklàrunge d’altro lato al pensiero pur luminoso che G. G. Rousseau svolgeva nella sua opera più ardita, l’/iwzZ/o.
Il saggio su Rousseau e it Filantropismo in Germania è volto a provare questa indiretta dipendenza del pensiero tedesco da quello dello scrittore francese. Ho detto indiretta perchè fu quasi identico lo spirito animatore nell’opera dell’uno e dell’altro, il principio della rivolta contro ogni servitù dello spirito. Se pure diverso lo svolgimento per parte del Basedow, del Saizmann, del Campe, ecc.. ed era comune il concetto del valore dell’esperienza e dell’individualità, che l’alfiere della rivoluzione aveva attinto specialmente dal Locke e dalla cosi detta Pedagogia naturale del Ratke e di Comenio.
L’Emi/io — conclude per suo conto il Marchesini — aveva comunicato ai filantropisti (benché fossero anche altre le loro fonti) l’entusiastica fede nella potenza dell’educazione, (il Basendow anzi la esagerò) avvalorata genialmente coi principi razionali. Ne ispirò pure gli intenti pratici, e la fede nell’efficacia della scuola retta da norme liberali.
II parallelo che istituisce il Varisco tra Rousseau e Kant è di quelli che noi vedremmo volentieri condotti a termine in un lavoro sistematico e completo dalla acutezza ben nota del filosofo italiano ; perchè i rapporti ideali tra il rinnovatore della filosofia in Germania e lo strano scrittore francese sfuggono se non sono approfonditi. «Il valore d’insieme dell’opera di Rousseau — scrive il Varisco —-consiste nell’aver egli sentito con forza (non direi nell’aver ben compreso) quale sia la reale importanza dell’educazione. La vita dello spirito è una ; ed è sviluppo, educazione in ciascuna delle sue fasi ; non soltanto nella fase fanciullesca. Questo concetto non era un’assoluta novità e non venne da Rousseau espresso esplicitamente. Ma rappresenta nell’opera di Rousseau un sottinteso ; che senza venire alla luce, la informa e vi predomina. E uno dei principali meriti di Kant è d’avere non ancora compreso pienamente, ma intuito e afferrato, nell’opera di Rousseau quel sottinteso animatore ; d’essersi sforzato, pur senza in tutto riuscirvi, di renderlo esplicito, collocandolo nei posto che gli compete».
Il Varisco — come è solito — ha posto con questo suo scritto un utile ed importante tema di studio ; chè il pensiero pedagogico di Kant — del quale sarà bene non tener conto solamente del breve scritto d’indole pedagogica — è ancora tutto da studiare.
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Di un particolare problema di pedagogia s’occupa invece la Formiggini-Santamaria : ■teW auto-educazione. E ponendolo in relazione con le idee del Rousseau ha campo di rilevarne il valore, i meriti ed i difetti, pur tentando di riportarlo ad una concezione filosofica che secondo me non la giustifica pienamente. Alfredo Piazzi — contro l’opinione di parecchi studiosi anche tedeschi quali il Campe e il Gòsgen, ma secondo i risultati degli studi del Goring, del Gerbach, dell’ Hahn, del Lorenz e del Kirchner — rivendica in Rousseau, Basedow e il Filanlropinismo la |x*rsonalità pedagogica del Basedow di fronte a quella del Rousseau. Senza dubbio dimostrata la fallacia del giudizio che il Basedow sia un semplice divulgatore delle idee del Rousseau, anche il Filantropinismo apparirebbe in una luce diversa, o alquanto diversa da quella in cui s’è usato presentarlo finora, alla quale pare acceda anche il Marchesini ne) primo di questi studi recensiti. Ma la gloria di Rousseau non sarebbe sminuita per questo!
Molto più da vicino ci interessano invece l'esposizione e l’esame che Roberto Benzoni fa delle idee religiose di G. G. Rousseau. Non v’ha dubbio che attraverso ad una natura male sortila ad un vagabondaggio intellettuale il quale dà luci ed ombre nella sua figura morale, Rousseau fu un'anima religiosa. Basterebbe leggere le sue Reveries d’un promeneur solitane per convincersi quanto poche siano state le anime che abbiano sentito la presenza di Dio nella natura quanto la sua. Ciò che non basta certamente a costituire un credo religioso, ma che tuttavia è quell’/w/7/wM sa-pientiae pel quale s’arriva ad essere più religiosi d’un qualsiasi credente. D’altra parte chi legge senza prevenzioni Fopere del Ginevrino non tarda a riconoscere come 1« idee religiose abbiano un posto segnalato e principale in tutto il suo sistema, perchè sono la base e il criterio delle sue più profonde valutazioni della vita e della società umana, sono l’ossatura della sua ricostruzione teorica della famiglia e della società, sono la ragione ultima del suo ottimismo nel considerare le vicende cosmiche e la storia umana, non ostante—giova ripeterlo — le dolorose vicende della sua esistenza e i difetti i vizi che deplorava in se stesso e scorgeva nella società del suo tempo.
La tesi di Benzoni è quindi giusta : il profondo sentimento del divino, la religiosità, sono il punto centrale delle dottrine del Rousseau non solo morali, ma anche pedagogiche e politiche.
Il compito che s’è assegnato a sua volta Giovanni Vidan non è dei più facili. Egli s’è
chiesto col Bourguin « Come conciliare quella specie di panteismo politico del Contratto sociale con l’individualismo morale e religioso della Nuova Eloisa e delle Confessioni, con l’individualismo antisociale del Discorso sulla disuguaglianza ?
Il Bourguin aveva risposto: «L’impresa è difficile. perchè la contraddizione è stridente ; essa non comporta, mi pare, che delle spiegazioni attenuanti » (r). Come il Faguet aveva scritto : « Per me, persisto a credere senz’altro che Rousseau non è stato logico, non è stato coerente, e che vi sono due Rousseau, il Rousseau sociologo, che è stato antisocietario e anarchico, e il Rousseau politico, che è stato ultra-societario e ultra archico sotto forma democratica ».
La conciliazione quindi non s’era trovata. Ma nessuno dei due aveva determinato chiaramente a quale società il Rousseau si riferiva quando contro di essa affermava e rivendicava con appassionata eloquenza il diritto dell’individuo, a quale invece si riferiva quando proclamava la sovranità della volontà generale. Il Vidari s’è rifatto da questo punto e studiando il Contrailo sociale alla luce della filosofia kantiana ha concluso: i°che il Contrailo sociale deve considerarsi come un abbozzo di filosofia sociale e morale, in cui il punto di vista essenzialmente deontologico e razionalistico, e le profonde intuizioni con esso col-legate sono ancora annebbiate e appesantite da tutta quella corteccia di immagini e di riferimenti empirici, che la fantasia e la sentimentalità esuberante del Ginevrino costruivano e che costituiscono la causa prima, cioè la più diretta giustificazione del común modo d’intendere e interpretare il pensiero di Rousseau ; 2° che l’interpretazione idealistica trascendentale del Contratto sociale agevola la eliminazione delle forti contraddizioni rilevate fra quest’opera e le altre del Rousseau.
I saggi del Trabalza su l’Estetica del Rousseau e del D’Angeli su Rousseau musicista trattano della diversa attività dimostrata dal Nostro in ogni campo, lasciando dovunque non inutile traccia di sè.
Giuseppe Tarozzi tratteggia in pagine commosse ma serene la persona e la vita di G. G. Rousseau. Le sue conclusioni non sono diverse da quelle a cui arriva lo Stoppoloni, che sono poi le vere conquistate dalla recente critica biografica.
Ricordando le iscrizioni che stanno sul sarcofago di G. Giacomo a Ermenouville : Vitam
(|) Cfr. Boucuix, Lee deux tendancee de Rouneau in kevue de ntUafk. et de morale, tnuggio, 1913.
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impendere vero — ici. repose l'homme de la nature et de la vérité — qualcuno potrebbe restare nel dubbio se esse rispondono a verità E il 'Faroziti — pur volendolo — non districa il dubbio. Forse più esattamente ha scritto Madame de Staël : « Il n’a rien découvert, niais il a tout enflammé».
Per questa fiamma d’entusiasmo che egli ha comunicato alla sua generazione, che ha trasmesso a quelle che sono succedute, il Rousseau merita ancora d’essere segnalato all’ammirazione di noi moderni. Allo studio della parte importante che egli ha preso nella formazione della coscienza moderna è dedicato l’ultimo dei saggi di questo volume scritto da Rodolfo Mondolfo.
Buona e giusta conclusione d’un utile doveroso lavoro.
* * »
E’ noto dove si basino la maggior parte delle critiche che molti muovono ai nostri sistèmi scolastici. La pedanteria spesso imperante lascia troppo spesso l’alunno nello stato di passivo raccoglitore delle parole del maestro, come se ciò che egli espone dovesse e potesse trascinarsi nella mente di lui rimanendo materia viva, e a cui basti, perchè fermenti nella mente dell’alunno il puro atto della rivelazione orale. Si capisce che in tal modo non è certo possibile la vita dello spirito, quale dovrebbe essere rappresentata dalla vera cultura; vi è invece assopimento del pensiero, inerzia mortifera del sentimento, abbandono della volontà. Il segreto dell’efficacia educativa è invece altrove. E’ nel metodo per cui la potenza del maestro agisce sulla potenza dell’alunno; è nella coscienza razionale del valore dell’allievo; è infine nell’ideale di libertà che vivifica l’opera della educazione quando chi la esercita possiede un senso profondo, alacre, generoso, delle esigenze naturali dell© spirito dell’allievo.
Questi principi fondamentali opportuna; mente ricorda ea afferma Giovanni Marchesini in un volume su L'educazione naturale nella dottrina di G. G. Rousseau e nell'età nostra (i), dove se la discussione del pensiero pedagogico di Roussean è affrettata e piuttosto abbozzata che finita, l’occasione per dire cose lungamente pensate, saggiate all’esperienza viva della scuola, non è mai lasciata sfuggire. Meglio dunque gli ampliamenti che la discussione. Il Marchesini è uno di quei professori
che sa farsi ascoltare. Perciò i giovani insegnanti, specialmente i gióvani maestri pei quali la preparazione fatta nella scuola è così incompleta più per colpa di programmi che di docenti, troveranno nel piccolo volume, onde rendere l’opera loro più efficace e sicura.
Ferruccio Rubbiani.
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FILOSOFIA DELLA BIBBIA
Col suo ultimo volume il Deussen (i), già noto per i suoi studi di filosofia indiana (Veda e Upanishad), ha colmato una lacuna della letteratura teologica e filosofica : lacuna della teologia perchè sulle concezioni scientifiche e metafisiche degli antichi Ebrei e dei primi Cristiani non s’avevan che singole monografie; della filosofia perchè questo campo della storia del pensiero era rimasto assolutamente incolto; (anche nell’ottima bibliografia dell’Herbertz del 1912 troviamo la storia della filosofìa egiziana e giapponese, ma non di quella biblica). E dall’esser prima del genere derivano i pregi e i difetti di quest’opera. Da gran tempo si desiderava un libro su tale argomento e niuno più del Deussen, maestro nello studio delle antiche filosofie religiose dell’Oriente, era degno di inaugurare questo campo di ricerche. Si comprende peraltro come un primo tentativo non possa dare risultati definitivi. Leggendo questo libro si vede quanto resta ancora da fare. La parte propriamente filosofica si riduce a poco più di un quinto, schiacciata com’è da un monte di notizie storico-critiche, letterarie e persino geografiche.
Troviamo riassunti con mirabile chiarezza gli studi di Wellhausen, Baur, Weiss, ecc. fino ai più moderni studi ignoti forse ai filosofi, ma non a chi s’occupa di questioni religiose, onde non mette conto parlarne qui.
Per non oltrepassare i limiti concessi ad una modesta recensione dalla pazienza dei lettori non mi occuperò che della parte riguardante l’antico testamento, di cui riassumerò (v. pagg. 102-128 e 173-186) le concezioni filosofiche.
Prima di giungere al monoteismo, gli Ebrei percorsero una lunga evoluzione, partendo dal politeismo e attraversando gli stadi del «prò-tolalrismo»',f\\ dio nazionale pur essendo ado(i) Albrighl, Segati e €. (Milano, Roma, Napoli).
(») P. Dzvsskh, Die Philosophie der BiM, Leipzig, Brockbaus, 19x3.
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rato in prevalenza resta un primtts inter pares} e del « monolatrismo »; (il primo comanda* mento: l’ordine di non adorar altri dèi non implica che non ve ne. siano).
Dell’antico monoteismo ebraico l’A. mostra acutamente le luci e le ombre:
i. La chiave di volta del sistema è il teismo « la credenza che questo universo, posto nello spazio e nel tempo fu creato ed è conservato'e governato da un essere ogni-sciente e onnipotente, ma del resto assai simile all’uomo» (pag. 117).
2. Conseguenza della creazione è V ottimismo (Gen., 1, 31). Le religioni che, come il bramanesimo, il buddismo, il cristianesimo, affermano la necessità di una redenzione, ammettono che.il mondo è in qualche parte manchevole. Quelle invece che, come il mo-saismo, partono dalla creazione, ne derivano che il mondo è « buono » (tob) e non sentono il bisogno di redenzione e, di vita futura.
3. Nihilismo chiama l’autore in mancanza di un’espressione più propria, la credenza secondo la quale l’uomo,, tratto dal nulla alla nascita, vi ritorna alla morte.: polvere fosti, polvere sarai. La creazione suppone la caducità, non .è immortale che ciò che non nacque mai, come vide il genio di Platone (x). Còlla morte, ridotti allo stato di ombre (refaim), gli uomini vegetano nel tenebroso sceol dove non vi è vita, nè luce, nè presenza divina.
4. Ultima conseguenza del teismo è, secondo il Deussen, Veudaimonismo. Jehoya è potente e giusto : perciò ogni azione buona riceverà il suo premio, ogni malvagia la punizione che le spetta. Peccato e sciagura, pietà e prospera fortuna, sono termini inseparabili come la causa e l’effetto: idea che persiste ai. tempo di Gesù (Giov., 9, 2 e 34; Luca, 13, 2) e che non è interamente scomparsa oggigiorno.
Castigo e ricompensa non sono riservati all’uomo in una vita futura, ma lo raggiungono con precisione fatale, su questa terra.
Basta esporre questo sistema per misurare la distanza che lo separa dal cristianesimo e dalle concezioni.odierne. E’ però assai interessante vedere come anche al tempo del loro massimo fiorire queste idee venissero poste in dubbio da spiriti eletti che ne scorsero le incongruenze.
Siamo nel migliore dei mondi possibili, diceva 1’.ingenuo ottimismo del buon tempo antico. Ed il male, il dolore, il peccato, la morte? obiettano gli innovatori. Basta dire che è la punizione dei malvagi? Ma perchè
allora, si chiedono Geremia (12, x) i salmisti (Salmi, 37 e 73) e l’autore del libro di Giobbe (passim) coi fatti alla mano, perchè i peccatori vivon felici, mentre il giusto è colpito da ogni forma di sciagura? La domanda tormentosa non riceve risposta, ma tale dubbio bastò a rovesciare la vecchia teoria e a preparare la nuova che regnerà nel giudaismo degli ultimi secoli prima di Cristo : il male è l’opera di uno spirito potente,’ nemico di Dio, dolore e peccato provengono da Satana. A nulla valsero le proteste dei profeti (Isaia, 45/6-7): queste idee persiane prevalsero e furono adottate dal cristianesimo. Parallela alla dottrina di Satana si sviluppa quella dell’immortalità : la risurrezione appare la prima volta (Giob., 19, 26 essendo di dubbia interpretazione) in Isaia (26, 19) e Daniele (12).
«
■x- *
Fin qui il Deussen. Che pensare dei capitoli cha abbiamo riassunti?
Dobbiamo anzitutto confessare la nostra delusione per non aver trovato svolte quanto meritano le varie questioni filosofiche. Ci aspettavamo di veder trattate la psicologia, l’etica, la cosmologia, la metafisica degli antichi ebrei, e invece... Cèrto questi nómi indicano scienze che allora non erano ancora note, ma troviamo nell’ Antico Testamento (specialmente in Prov. Giob. Eccles.) idee sparse che, raggruppate pazientemente ci permetterebbero di formarci un’opinione sullo stato dèlia loro speculazione e ricerca scientifica. Ricchissima messe offrono particolarmente la cosmologia (1 ) e la psicologia. L’autore si limita àd un capitolo di metafisica: la filosofia religiosa, o, per essere meno anacronistici, la dottrina de Deo. L’Autore adopera il metodo scientifico e dal punto di vista della scienza e non dèlia fede dobbiamo criticarlo se non vogliamo imitare chi pretendesse misurare a chili la lunghezza di una strada.
Qualche volta l’A. è troppo assòluto in affermazioni tutt’altrò che scientifiche. È forse serio fare di Gesù (pag. 209) « un giovine focoso non ancora maturo, la cui eccentricità gh guadagnava i cuori»?
L’ottimismo cosi assoluto che T illustre A. deduce da un versetto della Genesi trova la sua conferma nei fatti ? Un popolo che fra tante sofferenze ha acquistato una sì profonda intuizione’ del dolore, che tanto peccò pur sapendo chejahve non lascia impunite le tra(x) Gìiohuhoh kai affollumenoH.
(i)Cfr. l’ottimo manuale dello Schiapparelli (Hoepli, X903).
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sgressioni della legge non è ciecamente ottimista. E come chiamarlo entusiasta dello stato attuale del mondo un popolo che sa di un’età dell’oro in cui la terra produceva senza lavoro e l’uomo viveva in pace con le fiere e le belve, che aspetta con ansiosa speranza l’invito del Signore che nell’epoca messianica restaurerà il regno della pace? 11 bisogno di redenzione non manca nella religione d’Israele, anzi ne è alla radice e trova la sua soddisfazione prima nei sacrifizi espiatori, poi nelle speranze messianiche. L’ottimismo è non già elemento sostanziale nella visione religiosa del mondo, ma astratta conseguenza logica dèi dogma della creazione ex nihilo.
E come non ammirare 'c&W'eudaimonismo, pur con tutto ciò che ha per noi di grossolanamente materiale, la soddisfazione di un elevato bisogno di giustizia universale? Privi della speranza di una retribuzione d’oltre tomba come potevano gli Ebrei veder realizzata la divina giustizia se non con una retribuzione terrestre?
Quanto al nihilisnto poi l’evocazione di Platone è, per non dir di peggio, anacronistica. O che ragionavari forse con la dialettica platonica gli antichi Ebrei? E poi anche invocando il gran filosofo greco, o che non bisognerebbe forse concludere tutto l’opposto?
Poiché lo spirito (ruach) è soffio divino, è eo ipso immortale.
In conclusióne, a parte alcune esagerazioni, qualche paradosso, abbiamo qui un libro ricco di materiale ben assimilato, in parte originale, molto suggestivo e raccomandandone la lettura ci auguriamo che possa essere di stimolo a studiosi italiani e stranieri a coltivare questo campo della storia del pensiero umano per correggerne le inesattézze è colmarne le làcunei
Tubinga. R. PFEIFFER.
JO
LEONE TOLSTOI PEDAGOGISTA '”
Giulio Vitali era già ben noto pei' suoi lavori di carattere etico e pedagogico e per gli accurati ed amorosi studi sulle dottrine letterarie, filosofiche e- sociali di Leone Tolstoi ; onde nessuno meglio di lui pareva idoneo a fornir la nostra' letteratura d’una pubblicazione completa ed esauriente Sul ministerio
ix) Lkonk Tolstoi, pedagogista, per Giulio Vitali. '.Remo Sandron, editore, 1014). Pagg. xx-sjS. Prezzo L. 4. — Rivolgersi alla Libreria Bilychnis.
educativo del glorioso Maestro diJasnaiaPo-liana. Abbiamo letto, con interesse eh’è ito crescendo dalla prima all’ultima pagina, questo recentissimo suo volume: Leone Tolstoi pedagogista, e la nostra aspettazione non è stata punto delusa.
Critici e biografi peccano assai spesso d’impertinenza e di pedanteria, interponendo del continuo la propria figura vanerella fra il lettore e l’Uomo insigne che si vuole discutere. Il Vitali no: evita l’inutile sfoggio dèlia sua erudizione, e ci presenta ih modo immediato, vivido e preciso l’imaginedel forte Apostolo, l’intima crisi spirituale, il sogno umanitario, la consacrazione al rilevamento del popolo, la divinazione delle urgenti riforme scolastiche, l’evoluzione delle idee pedagogiche, la pràtica attività educatrice da lui spiegata. E tutto questo processo di pensiero e di azione, di altissima idealità e di lotta feconda, ci si svolge sotto agli occhi, lungo le quattrocento pagine del libro, in un’analisi sottile e non prolissa, e poi in sobria ma limpida sintesi.
Noi non c’indugeremo a sunteggiare i capitoli più significativi, quasi che i lettóri di Bilychnis dovessero dispensarsi dall’acquisto e dallo studio diretto della bell’opera del Vitali; ci limiteremo piuttosto ad una o due citazioni.
La prima mostrerà il candore del Tolstoi nel confessare a quali risultati egli poteva riescire e quali non sapesse raggiungere, e mostrerà pure come lo studio del grande pedagogista russo possa tornar vantaggioso non soltanto agl’insegnanti di professione (ero per dire: di mestiere!), ma a tutti coloro che vogliono apprendere l’arte difficilissima di narrare ai fanciulli.
« Gli alunni del corso serale si erano collocati in diversi punti della stanza; mentre io parlavo di Sviatoslaw. Evidentemente si annoiavano. Nel banco più alto, come al solito, stavano sedute vicine le tre contadinelle, col fazzoletto legato intorno al capo; una si era addormita. Mieska; con ima gomitata, mi diceva :
— Guarda i nostri cuculi ; ve n’ha uno che dorme.
Effettivamente le bambine Sembravano'cuculi.
— Raccontaci qualche cosa incominciando dalla fine ; disse uno ; e tutti accorsero intorno a me.
Io mi misi a sedere, e incominciai a raccontare. Come al solito per qualche minuto ci fu un brusio di piccole grida; di risate; di spintóni : chi si arrampicava sul tàvolo, chi ci si accoccolava sotto; chi prendeva posto nei
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BILYCHN1S
banchi, chi sulle spalle o sulle ginocchia d’un compagno.
Io incominciai a narrare su Alessandro I ; parlai della rivoluzione francese, di Napoleone che s’impadronisce di ogni potere, della guerra terminata con la pace di Tilsitt. Quando giunsi alla Russia, da tutti i volti traspariva il più vivo interesse.
— Che, ci prenderà anche a noi ?
— No, Alessandro gli farà vedere ; disse uno che sapeva qualche cosa su Alessandro.
Ma io ero costretto a disilluderli; il momento non era ancora venuto. Si sentirono molto offesi all’idea che volessero dargli per moglie una sorella dello Tsar, e che Alessandro avesse potuto parlargli sul ponte, come se fosse un suo pari.
— Aspetta ! esclamò Petka con un largo gesto di minaccia.
— Su, racconta, racconta !
Quando Alessandro si rifiutò di obbedire, quando cioè dichiarò la guerra a Napoleone, tutti manifestarono la loro approvazione. Quando Napoleone, conducendosi dietro dodici popoli, ci minacciava, sollevando i Tedeschi e la Polonia, tutti soffocavano dall’emozione.
Un mio collega, un tedesco, era presente. Fetka, il più bravo dei narratori, gli disse:
— Eh ! anche voialtri contro di noi !
—- Taci, taci ! gli gridarono i compagni.
La ritirata delle nostre truppe faceva soffrire il piccolo uditorio; da tutte le parti ne domandavano il permesso, e volavano energiche rimostranze all’ indirizzo di Kutuzof e di Barclay.
— Non è famoso il tuo Kutuzof! esclamava uno.
— Aspetta !... Ma che si è arreso ? chiedeva l’altro.
Quando giunsi a Bordino, e fui costretto a confessare che non eravamo stati vincitori, mi fecero compassione; evidentemente io aveva recato loro un colpo terribile.
— Tuttavia se non siamo rimasti vincitori, soggiunsi, nemmeno essi lo sono stati.
Quando Napoleone, arrivato a Mosca, attende gli omaggi e le chiavi della città, un mormorio si levò sulla necessità della resistenza. L’incendio di Mosca fu naturalmente approvato. Ecco, finalmente, il trionfo, la ritirata !
— Quando usci di Mosca, Kutozof lo inseguì, e incominciò a batterlo.
— A bastonarlo ! corresse Fetka, che, tutto rosso, mi stava di fronte, torcendosi le dita magre e nere: era la sua abitudine.
Immediatamente tutta la classe ebbe uno
scatto di entusiasmo febbrile. Dietro quasi soffocavano, affollandosi, un piccino ; nessuno ci faceva attenzione.
— Oh, ecco il buono! Ecco le tue chiavi!
Io continuavo a raccontare, come noi avevamo scacciato i francesi ; ma riuscì molto penoso ai ragazzi l’udire che alla Beresina qualcuno era arrivato in ritardo, lasciandoli passare. Fetka persino esclamò:
— Io l’avrei fucilato per quel ritardo!
Poi c’impietosimmo per i soldati francesi assiderati; indi varcammo il confine; e i Tedeschi che erano contro di noi, divennero nostri alleati.
Qualcuno si ricordò del tedesco che era presènte— Ah ! voi tedeschi fate così ? Prima venite contro di noi ; poi, quando vedete che le nostre forze non ce la fanno, state con noi.
Ed eccoli, improvvisamente, tutti in piedi a urlare contro il tedesco così forte, che si sentivano fin nella strada.
Calmati che furono, narrai ancora come noi accompagnammo Napoleone sino a Parigi, e colà rimettemmo sul trono il vero Re. Che trionfo, che feste, ci furono fatte! Solo la guerra di Crimea ne guastò il ricordo.
— Aspetta ! quando sarò grande, farò loro vedere,..
Se in quel momento la ridotta di Scevar-dine o l’altura di Malakhof ci fossero state davanti, noi le avremmo conquistate.
Era tardi, quando terminai. Di sòlito, a quell’ora, i ragazzi già dormono; invece quella sera nessuno dormiva; persino i cuculi avevano gli occhi brillanti.
Quando mi alzai, vidi con grande meraviglia uscire di sotto la mia seggiola Taraska, che, animato e serio, mi guardava.
— Come mai sei qui? gli chiesi.
— C’era sin dal principio ; osservò qualcuno. Non era il caso di domandargli, se avesse capito ; gli si leggeva in viso.
— Ebbene, vuoi ripetere? gli chiesi.
— Io ? Pensò. Tutto racconterò.
E un altro:
— In casa, io lo racconterò.
—- Anche io, anche io.
— E, mi chiedevano, non ci sarà dell’altro ?
— No, bastò, risposi.
Tutti allora si precipitarono per la scala, chi ripromettendosi di «far vedere» ai francesi, chi biasimando i tedeschi, chi ripetendo in che modo Kutuzof lo aveva bastonato.
— Voi avete raccontato davvero alla russa ! mi disse più tardi il tedesco che era stato urlato. Sarebbe bene che sentiste come si raccontano da noi questi fatti! Voi non avete
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TRA LIBRI E RIVISTE
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neppure accennato alla lotta dei tedeschi per la libertà...
Convenni con lui che il mio racconto non era una storia, ma una leggenda atta a lusingare il sentimento popolare.
E’ evidente che questo tentativo, come insegnamento della storia, poteva dunque dirsi anche meno riuscito dei precedenti » (pagine 174-178).
E’ risaputo che il Tolstoi considerava lo spirito religioso come massima forza di rinnovamento sociale, e nell’insegnamento della morale e della religione preferiva la Bibbia come l’incomparabile libro di testo.
« Ho scelto, egli dice, l’Antico Testamento, perchè, oltre ad essere la storia sacra richiesta e dagli stessi alunni e dai loro parenti, di tutti i racconti che ho provati durante tre anni, niente si adatta tanto ai concetti e allo spirito dei fanciulli quanto la Bibbia. Ho constatato la stessa cosa in tutte le altre scuole che ho avuto occasione di osservare. Ho provato anche il Nuovo Testamento ; ho provato la storia russa e là geografia ; ho provato le spiegazioni dei fenomeni naturali, che sono cosi in onore ai giorni nostri; ma tutto veniva presto dimenticato, dopo essere stato ascoltato senza molto gusto ; mentre invece l’Antico Testamento si imprime bene nella memoria dei fanciulli : lo ripetono in ¡scuola e a casa con tanto calore ed entusiasmo, che anche due mesi dopo possono scrivere a memoria i fatti della storia sacra con pochissime omissioni.
« Io penso che il libro dell’infanzia del genere umano sia sempre il migliore libro per l’infanzia d’ogni uomo. Penso che sia impossibile di surrogarlo; e mi pare anche noce-vole di modificarlo, abbreviando la Bibbia, come fanno certi manuali. Tutto, ogni parola, ivi è giusto come una rivelazione e veridico
come un’opera d’arte. Leggete nella Bibbia la creazione del mondo, e leggetela poi in una storia sacra abbreviata; questo rifacimento vi sembrerà assurdo. Con le storie sacre abbreviate non c’è altro da fare, che impararle a mente ; mentre nella Bibbia il fanciullo vede un quadro vivente e maestoso, che non dimenticherà mai più... Come tutto gli è chiaro e comprensibile, e come ai tempo stesso tutto è serio e severo ! Io non so imaginarmi quale istruzione sarebbe mai possibile se questo libro non esistesse!... Dopo l’Antico Testamento cominciai a raccontare il Nuovo, ed i fanciulli si misero ad amare sempre più lo studio e me... Lo ripeto, la mia convinzione è che senza la /Ubbia non. sia possibile ai giorni nostri lo sviluppo mentale completo del fanciullo c neppure dell’uomo, come non sarebbe stato possibile senza lo sviluppo della società greca. La Bibbia è il solo primo libro di lettura adatto ai fanciulli, e deve servire di modello a lutti i libri di lettura infantile, tanto per la forma, quanto per il contenuto. Tradotta in lingua popolare, sarebbe il migliore dei libri per il popolo...» (pagg. 165-171, passim).
Sia dunque il benvenuto nella nostra letteratura pedagogica il novissimo libro di Giulio Vitali. Servirà non solo a far meglio conoscere l’anima squisitamente artistica e filantropica e religiosa di Leone Tolstoi ; ma varrà a dileguare non pochi e non lievi pregiudizi, ed a suscitare più coscienti e devoti apostoli nell’arringo nobilissimo e fecondo delia scuola.
Eduardo Taglialatela.
Un ottimo libro di Giulio Vitali su Lkonk Tolstoi (L'uomo - La sua religione - II rinnovamento della società - Il rinnovamento della famiglia - La missione dell’arte) è in vendita presso la Libreria Bilychnis. .Voi. di pag. 050. L. a per L. i.a$.
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Coenobium.
Ecco il sommario del fascicolo 66 :
C. Piepenbring: Un apótre chinois de Z’<r-mour du prochain — Alfredo Poggi : La Massoneria secondo Fichte — M. Charvoz: Les grandes religions: le Chrislianisme — G. B. Pesenti : Le tre Marie — Marcel Hebert : Noie sur le fideisme — Pagine da meditare: E. Dur-keim : Au libre croyant — Guerra alla guerra. Angelo Crespi : Come siamo andati in Libia; Elia Musatti: Il parlilo socialista e le spese militari; Ag. Ca. : L’Inchiesta Carnegie nei Balcani. Per l’idealità della pace — Note d’Arte. Augusto Calabi: In difesa delle chiese e dell’arte religiosa, ecc. — Drammatica. Cesare Lodovici : I teatri del popolo — Rassegna bibliografica: M. Hebert, G. B. Piini, ecc. — Rivista delle riviste : Il poeta di Giobbe; L’arte di pensare; La morie utile; Le chiese istituzionali; La passione del gioco; L’enigma della vita; Una conferenza del rcv. Juge; Il « Conciliatore » — Tribuna del Coenobium : S. Bridge!, G. Lanzalone, J. Alemany, V. Pittoni,ecc., Note a Fascio.
Bollettino di letteratura critico-religiosa.
Un gruppo di cultori di discipline storicoreligiose, che si trovò già unito nella collabo-razione alla « Rivista delle Scienze Teologiche», ha iniziato il i° luglio la pubblicazione di un modesto bollettino mensile di rassegne bibliografiche. Con esso, nell’attuale penuria di studi religiosi in Italia, s’intende offrire un modo rapido e sicuro per tener dietro alla produzione critica internazionale, nel campo della storia delle religioni, dell’esegesi biblica, della storia del cristianesimo.
Il periodico consta di 32 pagine mensili, con copertina.
La quota di abbonamento semestrale decorre rispettivamente dal i° luglio al dicembre, e dal i° gennaio al giugno ed è di lire 4.
Ecco il recapito per la redazione e l’amministrazione del periodico : Bollettino di letteratura critico-religiosa, presso la Tipografia del Senato, Via della Dogana Vecchia, 27 - Roma.
Ecco il sommario del fascicolo di luglio:
K. Sethe, La leggenda egiziana dell’occhio del sole (G. Farina) — A. Omodeo, Gesù e le origini del Cristianesimo (A. C.) — intorno alle « Odi di Salomone » (E. Buonaiuti) — A. Fracassi, Il Corano (G. Farina) — Per il settantesimo genetliaco di Giulio Wellhausen-Storia della filosofia medioevale - In onore di G. Heinrici (E. Buonaiuti).
I massimi problemi.
In questi giorni è uscita la traduzione inglese dei « Massimi Problemi » del professore B. Varisco, fatta da R. C. Lodge, ed edita dà George Alien.
Pel centenario della morte di Dante Alighieri.
Nel 1921 ricorre il sesto centenario della morte di Dante. La Rivista di Filosofia Neoscolastica, la Società italiana per gli studi filosofici e psicologici e il Comitato cattolico per il Centenario Dantesco, su proposta del professore Agostino Gemelli, bandiscono un concorso internazionale per ricordare degnamente, anche nel campo degli studi, la memoranda data.
Tema dei concorso è : « Esporre le dottrine filosofiche e teològiche di Dante Alighieri illustrandole nelle loro fonti *.
I lavori dovranno essere presentati entro il giorno 31 gennaio 1920, alle ore 16. alla se-8reteria della Società italiana per gli studi losofici e psicologici (Milano, via P. Maron-celli 23). Essi dovranno essere inediti e potranno essere redatti in una delle seguenti linr gue: italiana, francese, tedesca, inglese, latina.
Una Commissione, che verrà nominata da-
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NOTIZIE
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gli enti promotori, dopo la scadenza del concorso (e della quale saranno chiamati a far parte studiosi di vari paesi che già ci hanno assicurato del loro appoggio per la riuscita della nobile iniziativa), prenderà in esame i lavori, e, secondo il suo giudizio inappellabile, irreformabile, sarà assegnato al vincitore del concorso il premio di lire italiane cinquemila.
Non può essere premiata che una monografia completa, sia dai punto di vista della esposizione delle dottrine, sia da quello delio studio delle fonti alle quali Dante ha attinto, sia da quello bibliografico. Se nessuno dei concorrenti riuscirà in questo compito, è lasciata facoltà alla Commissione esaminatrice di assegnare la somma totale di lire cinquemila o parte di essa, nelle proporzioni che essa stabilirà, a quei lavori che avranno degnamente studiati particolari lati del problema proposto. Il lavoro premiato, ovvero le memorie onorate con premi parziali, rimarranno di proprietà dei promotori del concorso. Questi cureranno perii 1921, anno delle onoranze centenarie, la pubblicazione o della monografia completa premiata ovvero di una raccolta di lavori onorati con premi parziali. I promotori si riservano facoltà di far tradurre e pubblicare i lavori premiati anche in altre lingue.
I lavori dovranno essere consegnati anonimi ed accompagnati da un motto e da un numero che verranno ripetuti su di una busta suggellata contenente il nome e l’indirizzo del concorrente.
La Commissione esaminatrice seguirà nel proprio lavoro le consuete norme accademiche.
La circolare è firmata: per la Rivista di Filosofia Neo-scolastica e per la Società italiana per gli studi filosòfici e psicologici da Agostino Gemelli, docente della R. Unveri-sità di Torino, e per il Comitato del Centenario Dantesco dal prof. Mesi ni.
Federazione italiana studenti per la cultura religiosa.
IV Convegno nazionale. Napoli: 30 luglio* 5 agosto 1914. Programma:
Giovedì, so lùglio:
Ore 17. Seduta amministrativa. Elezione del Seggio. Verifica dei poteri. Comunicazioni.
Ore 20,30. Inaugurazione dei lavori del IV Convegno. Brevi allocuzioni: Prof. M. Falchi, On. R. Murri, Dr. W. Lowrie, Avv. E. Mi-sitano.
Ricevimento offerto dall'Associazione di Napoli.
Venerdì 3/ luglio:
Ore 8,30. Studio biblico. Dr. Walter Lowrie: Zw cammino verso Gerusalemme.
Ore 9. Problemi di cultura religiosa. 1) Ugo Janni : La crisi del Cristianesimo ; 2) Furio Lenzi : Come si debba studiare la storia delle religioni; 3) Prof. Mario Falchi : Il Profetismo (Parte iB).
Ore 12. Gita Capri e a Sorrento.
Sabato P agosto:
Ore 8,30. Studio biblico. Dr. Walter Lowrie : È così facile entrare nel regno di Dio!
Ore 9. Questioni sociali. 1) Prof. Gennaro Avoli© : Cristianesimo e Socialismo; 2) Dottor Giovanni E. Meille : Vita interiore e disciplina morale.
Ore iS. Visita al Riformatorio Governativo « Gaetano Filangieri ».
Ore 21. Conferenza. On. Edoardo Giretti, deputato al Parlamento: Il contenuto morale della lotta .antiprotezionista.
Domenica, 2 agosto:
Ore 8,30. Studio biblico. Dr. Walter Lowrie : Maestro buono!
Ore io. Visita al Museo Nazionale, Acquario, ecc.
Ore 21. Conferenza. Prof. Mario Falchi : II Pacifismo.
Lunedì, 3 agosto:
Ore 8,30. Studio biblico. Dr. Walter Lowrie : Il gran rifiuto.
Ore 9. Problemi di cultura religiosa. 1) Onorevole Romolo Murri : lai ad tur a religiosa nelle Università e nelle Scuole secondarie. 2) La critica biblica e i suoi limili.
Ore 14,30. Seduta amministrativa. Comunicazioni. Relazioni. Discussione dello Statuto federale.
Ore 17. Gita a Posillipo.
Martedì, 4 agosto:
Ore 8,30. Studio biblico. Dr. Walter Lowrie : Quanto è difficile entrare nel Regno di Dio !
Ore 9. Questioni sociali. 1) Dott. Giovanni E. Meille: La rinascila religiosa della democrazia? 2) Avv. Eugenio Misitano: Gli studenti e le opere di assistenza sociale.
Ore 14,30. Seduta amministrativa. Discussione e approvazione dello Statuto federale. Elezione del Consiglio direttivo.
Ore 2i. Ricevimento offerto dal Consiglio Direttivo. Allocuzione di Ugo Janni : La religione eterna.
Mercoledì, 5 agosto:
Ore 8,30. Studio biblico. Dr. Walter Lovrie : Qual ricompensa ne avremo noi?
Ore 9. Problemi di cultura religiosa. 1) Guglielmo Nesi: L'apologetica migliore pei
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BILYCHNIS
nostri tempi. 2) Prof. Mario Falchi : II Profetismo (Parte 2*).
Ore 14,30. Seduta amministrativa. Comunicazioni. Voti e proposte.
Ore 16,30. Seduta del nuovo Consiglio direttivo. Elezione della Commissione esecutiva e del Segretario nazionale. Programmi di lavoro.
Ore 19,30. Pranzo d’addio.
Congresso cristiano-sociale a Basilea 27-30 settembre 19/4I nostri lettori sono stati ripetutamente informati riguardo a questo Congresso. Si è costituito un Comitato italiano ed abbiamo pubblicate le prime adesioni. Molte altre se ne sono aggiunte di poi, di modo che esse raggiungono ora il centinaio. Naturalmente pochi saranno quegli aderenti che potranno recarsi personalmente a Basilea, tuttavia abbiamo il piacere di annunziare che una buona rappresentanza italiana è sin d’ora assicurata.
Tra gli altri ha mandato la sua adesione l’on. Edoardo Giretti.
Ecco — ora — in riassunto il programma dell’importantissimo Congresso, il quale promette di riuscire davvero grandioso, e che si terrà nei locali dell’Associazione Cristiana dei Giovani di Basilea (Petersgraben).
Domenica, 27 settembre:
Ricevimento dei membri del Congresso. Comunicazioni dei rappresentanti dei vari Paesi sul movimento cristiano-sociale. Musica.
Lunedì, 28 settembre:
Ore 8,30. Culto.
Ore 9. Apertura del Congresso. Nomina del-l’Ufficio di presidenza e della Commissione delle proposte.
Ore 9,30. Questione I : Perchè una trasformazione sociale s'impone come un dovere alla nostra coscienza di cristiani ? Relatori : in tedesco Le Seur di Berlino, in francese Fulliquet di Ginevra, in inglese Dearmer di Londra. Discussione.
Ore 2,30. Escursione e colazione al Castello di Bottmingen.
Ore 20. Assemblea pubblica alla Burgvogtei. Tema generale : Perchè il Cristianésimo e il Socialismo hanno bisogno l’uno dell'altro. Cori.
Martedì, 29 settembre:
Ore 8,30. Culto.
Ore 9. Questione II: Il nostro atteggiamento di fronte al Socialismo organizzato. Rela
tori : in francese Gide di Parigi, in inglese Carlyle di Oxford, in tedesco Ragaz di Zurigo. Discussione.
Ore 14. Seguito della discussione.
Ore 20. Culto alla Cattedrale. Predicatore principale Wilfred Monod.
Mercoledì, 30 settembre:
Ore 8,30. Culto.
Ore 9. Questione III: Il Cristianesimo e la pace universale. Relatori: in inglese Stead di Londra, in tedesco Rade di Marburg, in francese Gonnelle di Parigi. Discussione.
Ore 12,30. Banchetto ufficiale.
Ore 14,30. Questioni amministrative. Prossimo Congresso. Progetto di organizzazione internazionale, ecc.
Ore 16,30. Chiusura del Congresso, preghiera e canto.
Questioni complementari. — Saranno proposti al Congresso ordini del giorno sulle questioni seguenti : e) e b) : La nostra posizione nella lotta contro l’alcoolismo e la tratta delle bianche; c) il salario minimo (Living wage) come principio cristiano.
Informazioni generali per l'Italia.
Condizioni per l’iscrizione:
Le persone che hanno sin qui aderito o che aderiranno all’idea del Congresso, senza però avere l’intenzione di recarsi a Basilea, sono pregate di mandare una piccola contribuzione (minimum L. 1) per concorrere a coprire le spese di propaganda e di organizzazione del Congresso. Queste contribuzioni volontarie devono essere indirizzate alla signora Ada Melile a Luserna per Rorà (Torino).
Coloro invece che intendono recarsi a Basilea, sono pregati di mandare un vaglia postale di L. 6 al dott. G. E. Melile, Furtbach-str., 6, Stuttgart (Germania). Essi riceveranno in cambio — oltre a vari documenti — la tessera del Congresso la quale dà diritto alla passeggiata del lunedì (colazione esclusa), al banchetto ufficiale del mercoledì, a dei posti riservati nella sala delle sedute, nell’assemblea pubblica e nella cattedrale, ad una guida diBa-silea con carta della città e documenti diversi.
Alloggi. — I signori congressisti che desiderano fissare una camera in qualche albergo, oppure ricevere l'ospitalità gratuita, possono rivolgersi direttamente al signor Noak, Eisen-gasse, 13, Basilea (Svizzera).
Per informazioni rivolgersi al Delegato dei Congresso per l’Italia, dott. G. E. Melile.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma. Tipografia dell'Unione Editrice, via Federico Cesi, 45
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/ nostri lettori possono rivolgersi a noi per l’acquisto di libri di qualunque edizione in Italia e all’ Estero. — Servizio sollecito. — Non diamo còrso alle richieste se non sono accompagnate da relativo importo anticipato. — Per libri a prezzi ridotti rimandiamo i nostri lettori, alle pagine verdi del fascicolo di Marzo.
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La vie simple. In-16, 12« édition. L. 3.75.
L’âme des choses. In-12, 40 édition 1913.
t- 3-75A travers les. choses et les hommes. Pour apprendre à vivre. L. 3.75.
A travers lé prisme du temps, In-12, 1912.
L. 3-75Auprès dû foyer. In-12, 6° édition. L. 3.75. Cè qu’il faudra toujours. In-12,1911. L. 3.75. Discours religieux. 2 vol.,in-i 2,1912, ciascuno.
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II
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A PREZZO RIDOTTO
La question biblique àu XX” siècle. 1906. ln-8, p. 337- Prezzo L. 4 per L. 2.50.
La Crise du Clergé. 1908. In-12, pag. 332. Prèzzo L. 3.50 per L. 2.
Evêques et Diocèses. >908-1909. In-12. 2 volumi. Complessivamente L. 3.25 per L. 2.10.
L’Américanisme. 1903. In-12, pag. 497. L. 3.50 per L. 2.
Un dernier Gallican. Henri Bernier, chanoine d’Angers (1795-1S59). >9°4- IfeS, p. 482. L. 6 per L. 3.25.
Un Prêtre marié. Charles Perraud, chanoine honoraire d’Autun (1831-1892). 1908. In-12. pag. 135. L. 1.25.
Autour d’un Prêtre marié. Vol. in-12 di pagi xi.iv-405. Prezzo L. 4 per L. 3.
Histoire du Modernisme catholique. 1913. Pag. 458. L. 5 per L.' 3.25.
OPERE DI MARCEL HÉBERT
■ Le pragmatisme. Étude de ses diverses formes anglo-américaines, françaises, italiennes et de sa valeur religieuse. 2e ed. avec la réponse de W. James. Paris, 1909. Pag. 16S. L. 2.50.
■ La forme idéaliste du Sentiment Reli-S’eux. Deux exemples : St Augustin et St rançois de Salés. Paris, 1909. Pag. 160.
L. 2.50.
■ Jeanne d’Arc a-t-elle abjuré? Étude critique précédée de Jeanne d'Arc cl scs voix et Jeanne d'Arc et les Fées. Paris, 1914. Pag. 154. L. 2.50.
PREDICHE
CHARLES WAGNER, Le bon Samaritain (cinq sermons). In-12, adorno di 5 riproduzioni di quadri del Rembrandt. L. 3.
NUOVO TESTAMENTO
Prof. ENRICO BOSIO, Le prime Epistole di S. Paolo. 1 e .11 ài Tessalonicesi ed Epistola ai Galali. Traduzione e Commento. Firenze, Libreria Claudiana, 1914- Volume in-8° di pagine 170. Prèzzo L. 4, rilegato in tela e oro L. 5.
CHIESA E STATO
A. G1OBB1O, Chiesa e Stato nei primi secoli del Cristianesimo. Milano, 1914. Prezzo L. 5.50.
81
B1LYCHNIS. FASCICOLO DI LUGLIO 1914
Ili
A. C. JEMOLO, Stato e Chiesa negli scrittori italiani dèi Seicento e Settecento. Voi. ih-ifc, pag. 320. L. 10.
ANDRÉ MATER, La Politique Religieuse de la République Française. Paris, 1909. Pag. 42$. L. 4.
Les Textes de la Politique Française en matière ecclésiastique. Paris, 1909. Pagine 184. L. 2.
RIFORMA
GIOVANNI JALLA, Storia della Riforma in Piemonte fino alla morte di Emanuele Filiberto (¡517-1580). Firenze, I.ibr. Claudiana. 1914. Grosso volume di pag. 400, con ¡9 illustrazioni fuori testo. Prezzo L. 5.
OCCASIONE FAVOREVOLE
A. DE STEFANO, La Noble Leçon des Vaudois du Piémont. Edition critique avec introduction et glossaire. Paris, 1909. Prèzzo L. 5 per L. 3.
Sommario: Le poème. - Manuscrits et éditions. - Versification et langue. - La doctrine - La date - Le texte - Glossaire.
PROFILI
BONTEM PELLI, S. Bernardino da Siena. LJ 1.
' ALESS. D’ANCONA, Jacopone da Todi, il giullare di Dio del Secolo XIII. L. 2.
A. OLIVET, L’Amiral Coligny. Pag. 190, con il illustrazioni. L. 2.75.
Biografia popolare d'una delle più nobili figure del Protestantesimo e della Storia di Francia.
DORA MELEGARI, Les victorieuses. (Ames et visages de Femmes: Ste Catherine de Sienne. — Christine de Pisan. — Isabelle d’Este. — Françoise d'Aubigné. — Marie-Thérèse. — Juliette Récainier. — Florence Nightingale. — Helen Keller). In-16 con 8 ritratti. L. 4.50.
MARC BOEGNER, La vie et la pensée de T. Fallo» (La préparation 1844-1872). In-8, con 4 ritratti. L. 8.50.
STORIA DELLE RELIGIONI
IEVONS-PESTALOZZA, L’idea di Dio nelle religioni primitive. Milano, HoepJi, X914. Voi. di pag. 17S. Prezzo L. 2 (rilegato).
Sommario: Prefazioni dell’autore. - Avvertenza del traduttore. - Bibliografia. - I. In
troduzione. - IL L’Idea di Dio nella Mitologia. - III. L’Idea di Dio nel Culto. -IV. L’Idea di Dio nella Preghiera. - V. L’Idea e P Essere di Dio.
FILOSOFIA
G. PAPINI, Sul pragmatismo. L. 2.50.
M. DE UNAMUNO, Del sentimento tragico della Vita, L. 2.50.
G. FERRARI. La mente di G. D. Roma-gnosi. L. 2.50.
A. CARLINI, Avviamento allo studio dèlia filosofia. L. 1.
PAOLO ORANO, La rinascenza dell’anima.
Bari, Casa Ed. « Humanitas », 1914- Volume di pag. 230. Prezzo L. 2,50.
I primi quattro capitoli di questo libro (L’attimo risolutivo — L’illusione scientifica — Monismo e panteismo — Dio nella Scienza) sono ben noti ai lettori della nostra Rivista, ch’ebbe il piacere di pubblicarli parte nel 1912 e parte nello scorso anno. A quelli l’Orano ne ha aggiunti altri quattro che compaiono per la prima volta in questo volume. Di essi diamo qui il sommario particolareggiato. Essi sono:
V. Dio nella coscienza. — VI. L'anima «pazza». — VII. La morte. — Vili. Anima c società.
CAMILLO TRI VERO, Nuova critica della Morale Kantiana in relazione colla teoria dei bisogni. Torino, Bocca, 1914. Pag. 308. Prezzo L. 8.
E. P. LAMANNA, La religione nella vita dello spirito, Firenze, La Cultura filosòfica. Ed., 1914- Voi, di pag. 500- L. 7G. RENSI, La Trascendenza. Studio sul problema morale. L. 5.
F. NIETZSCHE, Conta? Wagner. Prèzzo L. 1.50. ,
MORALE
Morale religieuse et Morale laïque. Leçons faites à l’Ecole des Hautes Etudes sociales. In-8, p. 271, rilegato. L. 7.
LIBERO PENSIERO
L. DUGAS, Penseurs libres et Liberté de Pensée. L. 2.80.
(E’ una rivendicazione dei diritti dèli’ individuo in tutti gli ordini del sentimento e del pensiero).
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IV
BILYCHNIS. FASCICOLO DI LUGLIO 1914
LE RAGIONI DEI NON CREDENTI
PIETRO SACCHI, Perchè abbandonai la Religione. Il legame tra la Morale e la Felicità (spiegazioni filosofiche di un Dilettante a’ suoi Figli)., Pag. 344- L. 3E. BERNARD-LE ROY, Confesslon d’un in-croyant(Documentpsycologique). Pag. ioo. L. 1.40.
TEOSOFIA
C. W. LE.ADBE.ATER, Manuale di Teosofia«
L. 2. .
PEDAGOGIA
Doti. GIOVANNI FRANCESCHINI. Igiene sessuale, ad uso dei giovani e delle scuole. Milano, Hoepli; i9«3- Voi. di pagine 192. Prezzo L. 2 (rilegato).
Sommario: 1. La educazione sessuale. -II. La riproduzione della specie. Fisiologia ed igiene sessuale femminile. - III. La riproduzione della specie. Fisiologia ed igiene sessuale maschile. - IV. L’etica sessuale.-V. La patologia sessuale. - VI. Per sé e perla prole. - VII. Educazione sessuale ed ambiente. -Vili. La igiene del sentimento.
A. HOFFMANN, Il libro de le madri (Versione italiana di Maria Gandolfo). Padova, Società editrice «In cammino», 1913. Elegantissimo volume di pag. 180. Prezzo L. 3.
LETTERATURA
EDUARDO TAGLI ALATELA, La poesia di Rabindranath Tagore. Roma, 1914. Pagine 74. L. 1. .
Interessantissimo saggio sull’opera del poeta idealista indiano cui fu conferito Panno scorso il premio Nobel per la .letteratura.
EDUARDO TAGLIALATELA, Dante Gabriele Rossetti^ Rosa Maria. - La Nave Bianca. - La tragedia del Re. - Dante a Verona. - (Studio e versione). Roma, 1914. Pag. 150. L. 2.50.
VARIA
Prof. E. REPOSSI, L’origine della terra. L. 1.50 (rilegato).
ARNALDO CERVESATO, Formazioni, Bari, Casa Ed. « Humanitas », 1914. Volume di pag. 260. Prezzo L. 3.
P. SAiNTYVES, Les Vierges Mères et les Naissances Miraculeuses. Essai de mythologie comparée. Paris, 1908. Pag. 280. L.3.50J. FRANÇAIS, L’Église et la Sorcellerie. Précis historique suivi des documents officiels, des Textes principaux et d’un Procès inédit. Paris, 1911. Pag. 272. L. 3.50.
V. HENRY, La Magie dans l’Inde Antique. Paris, 1911. Pag. 2S6. L. 3.50.
Les Fiches Pontificales de Monsignor Mon-tagnini. Paris, 1908. Pag. 236. L. 3.50.
K ANSO OUTCHIMOURA
La crise d’âme d’un Japonais
COMMENT JE SUIS DEVENU CHRÉTIEN?
Pagine 220
L. 3 (Aggiungere per il porto 0.25). .
Vedi recensione di questo interessantissimo libro in Bilychnis di febbraio 1914, pag. 153
SALVATORE MINOCCHI
IL PANTEON
ORIGINI DEL CRISTIANESIMO
Grosso volume di pag. 408
L. 6 franco di porto.
Indice: Parte prima: Il Tempio: I Profeti - La legge.— La costituzione teocratica — — Misteri dell’oriente — Ellenismo — Giudaismo — Là pienezza dei tempi.
Parte seconda: Ir. Cristo'. Dalla legge al Vangelo - Dal mito alla storia — L’ammonitore (Giovanni Battista) — Il Profeta — La fine;
LA VOCE
(DI FIRENZE)
Collezione completa:
Cinque annate
a L. 5 l’una
N.B. Ora solo la prima annata si vende a L. 25
LA GUARDIA DEL CUORE ed altre omelie
del Doti. ALFREDO TAGLI ALATELA
Bel volume di 340 pagine contenente 50 omelie e abbozzi di conferenze su soggetti di attualità. Utile ai predicatori.
Prezzo L. 4
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BILYCHN1S. FASCICOLO DI LUGLIO 1914
V
L. SALVATORELLI
Introduzione bibliografica alla Scienza delle Religioni
Roma, 1914. 8° grande pag. 180. L. 5
Indice: O;>ere generali— Storia della Scienza — Metodologia — Fenomenologia : Magia. ■Culto. Rappresentazioni religiose. Cultura e religione — Storia dell? religione : : Scuola fi-Jologica (Il naturalismo). Sistemi astrali. Si sterni Fallici. Maoismo. Scuola antropologia — Teismo preanimistico. Scuola sociologica.
PAUL VALLOTTON
LA GRANDE AURORE
Volume in-S° di pag. 459
L. 3.50 (Aggiungere per il pòrto 0.40).
Vedine recensione In Bilychnls di gennaio 1914 pag. 67
È uscito II Ili volume de
r MODERNI
Medaglioni di PAOLO ORANO Volume di pag. 350. L. 4 (aggiungere L. 0.25 pel porto).
Nel quale il nostro chiaro collaboratore tratteggia magistralmente le figure di Onorato di Mirabeau. — G. Fed. Herbart. — Antonio Rosmini. — Ruggero Bonghi. — Leone Gambetta. — Giovanni Bovio. — Andrea Costa. — Giuseppe Sergi. — Tullio Martello. — Benedetto Croce. — Arturo Labriola. — Ewin Szabò.
Di ciascun autore è dato il ritratto in fototipia
U. LHOTZKY
L’ANIMA DEL FANCIULLO
Pag. 230 L. 3
Vedine alcune pagine nel fascicolo di febbraio 1914 di Bllychnis a pag. 137
Due libri su OSTIA •
l’antico porto di Roma, sul quale i recenti scavi hanno attratto l’attenzione universale. 1. Dante Vagueri: OSTIA, cenni storici e
guida. Voi. di 150 pag. con 5 tavole e 24 figure................................L. 4
2. Lod. Paschetto : Ostia-colonia romana;
cenni storici e guida. Volumetto di 40 pag. con 1 pianta generale e 48 incisioni. L. 1
GASTON RIOU
flux écoutes de la France qui oient
Sixième éd. Paris, 1913. Pag. 330.
L. 3.50 (aggiungere 0,20 per il porto).
Indice: I. L’ennui de Boudda. Deux voyages: Arles. Valenciennes. — IL Les arcs-boutants dh sanctuaire. Quatre livres témoins: Un livre du comte Albert de Mun. Un livre d’André Mater.' Un livre de Paul Sabatier. Un livre de Julien de Narfon. Le bilan du modernisme. — III. Crise ou décadence. Orientation actuelle de la littérature française. Lettres aux «Jeunes de France».
ESPERIENCES SOCIALES
(CONFÉRENCES)
L. 3.50. (Aggiungere 0.30 per porto).
Tables des matières: Le christianisme et Part, par André Michel — L’Évangile et la société antique aux premiers siècles, par Eug. de Paye — L’Evangile et la question sociale, par G. Chamorel — L’Evangile et les divisions de la chrétienté, par Marc Spegner.— L’Evangile et l’immortalité^ par 7?. 'Gonnèlle — L’Evangile et l’Estrème-Orient, par Raoul Allier. — L’Evangile et le monde, païen, par G. Lauga ■— Un peuple sauvé par l’Evangile, par Jean Bianquis.
E. S. GREW
LO SVILUPPO DI UN PIANETA
Torino, 1914- Pag- 450. L. 6
Indice: La formazione di sistemi solari — L’origine dei satelliti — Sfere che si raffreddano — Analogie planetarie — L’interno «iella Terra — La forma della Terra solida — L'azione vulcanica — L’atmosfera — Il mare antico — Gl’inizi della 'vita, ecc. — Età e clima —- L’influenza della vita — Successione geologica — Sviluppo organico — Il regno animale — La durata dell’uomo.
A. MÀNARESI
L’Impero Romano e il Cristianesimo
Bocca, 1913. Pag. 600. L. 12
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VI
BILYCHNIS. FASCICOLO DI LUGLIO 1914
ARTURO PASCAL
La Società e la Chiesa in Piemonte nel Secolo XIII considerate in se stesse e nei rapporti Golia Riforma Pinerolo, 1912. Pag. 60.
L. 1
BENITO MUSSOLINI
GIOVANNI tWSS
IL VERIDICO
Collezione storica dei martiri del libero pensiero
Pag. 120. L. 0.80 estero L. 1
L. SALVATORELLI
Saggi di storia e politica religiosa
Città di Castello, 19,14. 8® grande, pag. 290.
L. 4.50
Indice: L’«Orpheus» di S. Reinach — Religione, civiltà ed arte — Maometto e l’IsIam — Diritto e morale dell’IsIam — La storia della Chiesa Ant. di M. Duchesne — La cattolicità della Chiesa primitiva secondo Pierre Batiffol — Gli apologeti greci del 11 secolo — La politica religiosa degl’imperatori romani e la vittoria del cristianesimo sotto Costantino, ecc. — Il presente e l’avvenire del modernismo in Italia — La Politica di Pio X — La personalità di Pio X — Filosofia e religione nell’Italia contemporanea.
WILFRED MONOD DÉLIVRANCES (SERMÒNS)
L. 3.50 (Aggiungere 0.30 per porto).
Indice : Autels — « Ecce homo ! » — Les pauvres — Suivre — Le monde — «O mes enfants » — L’aiguille et le chameau ■— La guerre — «Beaucoup des justes»— Servir — Soffrir pour la communauté — « Crois-tu aux prophètes? — Le Christ spirituel.
A. DI DOMENICA
for Christian Workers The Italian Helper
Parte I. Conversazioni —- Parte IL Grammatica. — Appendice : Parte liturgica — Rilegato pag. 140. L. 2.50. Brochure 1.75
Il bel volumetto è stato preparato per aiutare i Ministri evangelici di lingua inglese, che s'interessano degli emigranti italiani, a omprendere gl’italiani stessi e la loro lingua.
I FIORETTI
del glorioso messere santo Francesco e de’ suoi frati
a cura di G. L. PASSERINI Seconda edizione riveduta. — G. C. Sansoni, ed., Firenze. Elegante edizione di pagine 200 L. 2
A. CAUSSE
Les prophètes d’Israël
ET LES RELIGIONS DE L’ORIENT
Essai sur les origines du monothéisme universaliste
Pag. 330. L. 8.50
Indice: Le iahvisme populaire — Les premiers prophètes. La lutte contre le syncrétisme et la civilisation — Amos, Osée (lahv, Dieu de Justice) — Esaïe, Michée (lahvèe, le saint d’Israél) — Le iahvisme syncrétique et la réforme deutéronomique — Jérémie (L’individualisme religieux) — Ezéchiel (L'évolution du iahvisme pendant l’exil) — La prophétie deutéro-ésaïaque (lahvé, le Dieu universel) — Le monothéisme des prophètes et le monothéisme oriental.
GIOVANNI COSTA
L’IMPERATORE DALMATA
C. VALERIUS DIOCLET1ANUS
Roma, 1912. Pagine 250.
L. 5
Indice: I. L' avviamento all’ Impero — IL Guerre e repressioni — III. La riforma costituzionale e governativa — IV. La difesa dell’Imperò nelle province — La difesa dell’impero nell’esercito — VI. La restaurazione religiosa — VII. L’impronta dell’epoca — Vili. La « quies Augustorum » — IX. L’uomo e l’opera sua, ecc.
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BILYCHNIS. FASCICOLO DI LUGLIO 1914
VII
PRIMO FASCICOLO D’ARTE DI “BILYCHNIS,,
DEDICATO AL NUOVO TEMPIO VALDESE DI ROMA
Un giudizio sul nostro FASCICOLO D’ARTE.
«Je suis certain que le prof. P. Paschetto compte en France des amis et des admirateurs. C’est non seulement à eux mais à tout le public religieux de langue française que je recommande très chaleureusement le premier cahier d’art de Bilychnis. Ils y trouveront de nombreuses photographies, reproductions et dessins des décorations et des vitraux exécutés par Paolo Paschetto pour la nouvelle grande église vaudoise de Rome. Les décorations de l’abside, des nefs, des galeries sont d’une grande sobriété, d’une parfaite élégance, d’une rare distinction. Le seize vitraux surtout sont remarquables. M. Paschetto semble avoir suivi le conseil de M. Burnand: «S’inspirer des anciennes églises, appliquer à nos conditions actuelles toutes les formes, toutes les combinaisons et toutes les beautés que nous ont léguées les vieilles et poétiques choses d’autrefois».
Ces « vieilles et poétiques choses d’autrefois » Paolo Paschetto a été les chercher plus loin encore que dans les vieilles églises : dans les catacombes de Rome et dans la Bible. Voici la liste des merveilleux vitraux reproII fascicolo costa L.
duits dans le cahier d’art: I. Le buisson ardent: l’affirmation de Dieu. — II. Le monogramme chrétien : l’affirmation du Verbe. — III. La colombe : l’aspiration de l’âme vers Dieu. — IV. Le lvs: la promesse que l’âme verra Dieu. —• V. L’Agneau : la réconcilia tion de l’âme humaine avec Diu. — VI. L’ancre: l''espérance est l’ancré de l’âme. — VIL La lampe: ta foi. — VIII. La palme : la victoire de la foi. — IX. L’arche: le baptême. — X. La coupe et le pain : la Sainte-Cène. — XI et XII. Le bon pasteur et le phare: Vie chrétienne : les fidèles marchent sans crainte dans les pâturages et dans la lumière. — XIII et XIV. La vigne et le chandelier : Pie chrétienne : les fidèles doivent, en demeurant en Christ, marcher dans la. perfection. — XV et XVL L’aigle et le paon : La vie éternelle : le rejeunissement du chrétien se poursuit dans l’éternité. Chaque symbole est commenté par un passage biblique approprié.
Le cahier d'art imprimé sur papier de luxe, avec une belle couverture ornée du chandelier de (’Eglise vaudoise d’Italie, est tout à fait réussi ».
(Dalla Rivisia di Parigi:
Le Christianisme social, Marzo 1914, pag. ato).
2 (Estero L. 2.50).
Rivolgersi al Prof. Lodovico Paschetto. Via Crescenzio, 2 - Roma.
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CLASSICI-DEL-R1ÙERE--83
PROFILI....S"" ■ —-EB
POEIÌ-ÌTABANI-DEL-XX’-SECOIS’ BIBUOTECA-bl-VARÏACOLlVRrt B1B110ÏECA-01-F1Ï9SOFIA-E-DÏ
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RlVI$IÀ-bl-FII9SOFlA:ORGANO-DELLA-SOCIÊIÀ'-FILOSOFICA-ITALIANA • • -B- —E8
PVBBL1CAZIONI -VARIE • • S ffi........ ffi -------S
BOLLETTINO A-RICHIESTA
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Vili
BILYCHNIS. FASCICOLO DI LUGLIO 191:4
“BILYCHNIS” NEL 1914
I 12 fascicoli dell’intera annata comporranno due grossi volumi di oltre 400 pagine ciascuno, riccamente illustrati.
Abbonamento annuo per l'Italia L. 5 per I’ estero L. 8 — Un fascicolo L. 1
L’abbonamento si può pagare anche a quote semestrali di L. 2.50 per l’Italia e L. 4 per l’estero
PREMI Al NOSTRI ABBONATI
1. La Direzione della « Biblioteca di Studi Religiosi » offrirà in dono interamente gratuito ai nostri abbonati libri di sua edizione, ora in preparazione.
22« La stessa Direzione concede agli abbonati/or/wj/w/i ribassi per le pubblicazioni eh’essa ha in deposito e di cui abbiamo dato la lista sulle pagine verdi di BUychnis del mese di marzo 1914.
3, Stiamo organizzando una Biblioteca Circolante per lo studio della Religione (storia, critica, filosofia della religione). Agli abbonati di Bilychnis sarà concesso l’uso gratuito della Biblioteca, di cui pubblicheremo presto il regolamento.
Inviare cartoline vaglia ai
Prof. LODOVICO PACCHETTO
Via Crescenzio, 2 - ROMA
I NOSTRI LETTORI IN AMERICA
sono avvertiti che i seguenti nostri Agenti volontari sono autorizzati a ricevere gli abbonamenti a Bilychnts
Rev. ANGELO DI DOMENICA
301, George St. NEW HAVEN, Conn. U. S. A.
per gli Stati Uniti e il Canadà.
Sig. *JA!ME C. QUARLES
Casilla de! Correo, 136 MONTEVIDEO, Uruguay per l'Uruguay e la Repubblica Argentina.
LE DUE ANNATE di Bilychnis 1912 e 1913, due bei voltimi di 600 pagine ciascuno, riccamente illustrati, sono in vendita ai seguenti prezzi : l'annata 1912 (rara) L. 6 in Italia e L. 8 all’estero ; l’annata 1913 L. 4 in Italia e L. 6 all’estero
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Prezzo del fascicolo Lire 1 —