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BluCnNIS
RIVISTA DI STvDI RELIGIOSI EDITA DALLA FACOLTÀ DELLA 5C\A> LA TEOLOGICA BATTISTA DI ROMA
SETTEMBRE-OTTOBRE 1912
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Boschetto, ¿Redattore Capo jh Via Crescenzio 2, Roma.
D. G. WhittinghilÌ, Th. D., Redattore per l' Estero. Via 'Delfini 16, ¿Rpma.
Si Pubblica alla fine di ogni mese pari
in fascicoli di almeno 64 pagine,
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Illustrazioni del presente fascicolo t
Lutero: Ri batto del pittore Lucas Cranach (tavola fra pag. 4 >8 e p. 419)William Booti«: Ritratto (tav. fra p. 432 e p. 433)Critica del Nuovo Testamento: Pagina del manoscritto sinaitico c pagina del Manoscritto Alessandrino (due tavole fra p. 440 e p. 44i). _ (Jn « oslrakon » del VII. sec. dopo Cr. col passo di Luca 22,70 (p. 445)Islam: A Gerusalemme : luogo di preghiera dove s’ergeva una volta il tempio dì Salomone (p. 457) — Moschea della Roccia (p. 461) — il pergamo d'estate, da cui si predica il venerdì durante il mese del Ramadan (p. 461).
Il culto di Mitra ad Ostia [da pag. 463 » P- 477): Scultura rappresentante il sacrifizio del loro (fig. 1) — Due sculture rappresentanti Kronos (figg. 2 e 3) — Scultura col sacrifizio del toro (fig. 4) — Pianta del Mitreo scoperto dal Visconti nel /S60 (fig. 5) — coletta con l’imagine di Silvano in mosaici colatati (fig. 6) - Statai-ne di lampadofori appartenenti al Mitreo Visconti (fig. 7) — Edicolel-la del Mitreo Visconti (fig. 8) — Pianta del Mitreo scoperto dal Laudani net /S86 (fig. 9) — Mosaici del Mitreo Laudani (fig. io) — Pianta di un Mitreo (?) nei pressi del tempio di Ciòcie (fig. 11) — Disegni in mosaico del pavimento del detto Mitreo (fig. 12).
Un antico battistero scoperto recentemente a Roma: Disegno della pianta c di una sezione (p. 487)Una parabola di Gesù: Le vergini savie (p. 49*)Il battistero di Sidi-Mansur: Pianta della vasca (p. 511).
Copertina, diségni e fregi di Paolo A. Paschetto.
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SOMMARIO :
Paolo Oran'o : La rinascila dell' anima — IL L' illusione scientifica ( Note d'un pensatore « libero ») . . pag. 405
Mario Rosazza: II problema di Lutero e la critica moderna . » 418
Angelo Crespi : Il regno dello spirilo è democrazia ...» 427
Blanche peyron-Roussel : Le Géncrcl Booth, ime notte vie et
ime grande oeuvre..........................................» 432
J. Breitenstein : Lo stalo attuale della critica biblica del Nuovo
Testamento............................................... » 439
Joh. LOVER : A Dio 0 ad uomini ì . . . vZ, , . » 453
Giov. E. Meille : Ordini c confraternite dell' Islam ...» 456
Lodovico Paschetto : // culto di Mitra ad Ostia ...» 463
Arnaldo Cervesato: Il Papa e il modernismo . . . . » 478
Ernesto Rutili: Quanto valga il giuramento antimodernista . » 481
L. P. : Un antico battistero scoperto recentemente a Roma . . » 486
INTERMEZZO:
Una parabola di Gesù: l~e vergini savie....................... . . » 489
NOTE E COMMENTI :
E. R. L II « Caso Lagrange » . . . . . • . . , . . » 493
E. Rutili: rincora siti « Caso Semeria ».................................» 496
G. Adami: Un buon socialista dev’essere ateo?............................» 500
TRA LIBRI E RIVISTE:
Storia delle religioni: Il congresso di Leida (R. Pettazzoni) — Israele (R. Teubel) » 503
Storia del Cristianesimo: Il metodismo (B. Labanca) -- L’evoluzione del
dogma cattolico (E. R.) ................................» 507
Archeologia : Archeologia cristiana (L. P.)................................»511
Psicologia religiosa : Bibliografìa - Psicologia del misticismo » 514
Filosofia e Religione: Scienza e fede (E. R.)............................» 515
Religione e arie: S. Francesco e Savonarola ispiratori dell’arte italiana . » 516
Paria: Mazzini e religione (Er.) — Il prete, il suo passato e il suo avvenire (E.R.) — La Croce (P. Chitninelli) — La letteratura ebraica
e le invenzioni moderne — Pourquoi je suis chrétien . . » 516
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LA 'RINASCITA DELL' cANIMc/L
Note d* «n pensatore “ libero w.
II.
L’ILLUSIONE SCIENTIFICA
L’ILLUSIONE SCIENTIFICA — LA REALTÀ OBIETTIVA NON È FILOSOFICA — L* IO NON SI DISCUTE — LA SCIENZA MOLTIPLICA L’IGNOTO —- L’IO NON PUÒ STUDIARSI — DUALISMO NASCOSTO DEL MATERIALISMO E DEL POSITIVISMO — LA MATERIA È UNA CHIMERA — L* IO É ESSERE, NON È VITA — LA CELLULA E LA MORTE — INVOLUZIONE DELLA PSICOLOGIA — DESCARTES, GALILEO, BACONE — IL TRAMONTO D’EUCLIDE — DISPERANTE PROVVISORIETÀ D’OGNI SCIENZA PER I PROGRESSI DELLE SCIENZE — LA SCIENZA NON À PIÙ FEDE.
na filosofia è un modo
di considerare il rapporto tra l’Io e il
Non-io. Lo studio di questo rapporto deve precedere quello dei due termini singoli o anche di un solo. Questo mio enunciato dovrebbe bastare a mettere in rilievo l’ingenuità rozza dei materialisti e 1’ acrisia ed afilosofia dei positivisti.
Il materialismo fa della coscienza una manifestazione fisica : nulla esiste
oltre il fisico. Noto di volo — ma non sperando che il materialista ci dia dentro col cervello — che oggi la paróla fisica non à nemmen più il significato che aveva solo che dieci anni fa. Radium e joni anno inquietato parecchio la fisicità della fisica e 1’ architettura della fisica è spiritualizzata. Ma lasciamo queste « eccessive » preoccupazioni, questi scrupoli, e ripetiamo pure il motto materialistico : la coscienza è una manifestazione fisica o fisiologica, cerebrale, ecc. ecc. —. Non v’à bisogno di rammentare che coscienza e pensiero e mente e idea e personalità psichica e altro, suonano la stessa cosa per chi abbia il compito assoluto di non mischiarsi a pronunciare la parola « anima ». Il materia-
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lismo esclude, d’ un colpo di coda — come Minosse — che qualsiasi provvidenza presieda alla Vita. Però ammette la Realtà. Incediamoci, ammette che quanto vediamo, tocchiamo, udiamo, gustiamo, in una parola « sentiamo », sia davvero obbiettivamente, esista così nè più nè meno. Anzi, prendendo le mosse da quest' accettazione esplicita della Realtà, dell* Obbiettivo, il materialismo combatte « le Fole delle Filosofie », ammonendo essere dovere delle persone per bene e serie e pulite e coscienti e intelligenti a tenersi soltanto a quello che è, agli oggetti che si toccano, che sono, finalmente, materiali, Materiali, Materiali. Presici per una orecchia, i materialisti ci trascinano davanti alla Realtà che la nostra coscienza vede e tocca e misura e pesa, la nostra coscienza sedente nel Cervello, discesa dalla Corteccia, adibita ai servizi quotidiani moltiplici sulle vie del Cervello e del Midollo allungato, passando — coni’ è noto — sotto il Ponte di Varolio, giù giù nel tramite spinale, a traverso le trentadue formidabili cunicolerie dei nervi del Moto e del Senso e le loro ramificazioni onde non sa restare intrafficata alcuna zona dell’organismo.
Sicché la manifestazione « epifenomenica» — son parole semplicissime e chiarissime, come si vede, del linguaggio sempre scientifico della filosofia della Realtà — si trova bell’ e confezionata dinanzi a questa Realtà, la quale è proprio così come gli occhi la veggono, quando tuttavia — badate bene — siano normali. Sicché la materia che incomincia non si sa perché, e certo senza saperlo essa stessa, la Inconscientissima, arrampicandosi come le scim-miottelle urlalrici rossicce su su per l’albero delle forme — si vede che 1’ albero c’ era, ma era 1' Albero A teleologico — arriva a produrre con processo del tutto sprovvidenziale, è chiaro, uña mente che vede e conosce tal quale la Realtà, mente venuta o prodotta o formata senza finalità, da se, mente epifenomenica, se Dio vuole, ma di garantita materialità senza frodi al puro spirito e tanto meno alla metafisica dell’ anima. Così la filosofia materialistico-positi-vistica è fatta (i), anzi è fatta una più che filosofia; la Scienza, da chiamarsi a volontà anche Filosofia Scientifica. Secondo lei, /' uomo è un organismo vivente animale nervoso cerebrale che allo stalo « normale » — ci occuperemo del normale e del suo contrario in un capitolo apposito —- si piazza in modo d'esalta comprensione dinanzi, alla Realtà, la quale Realtà gli entra per la rètina, la membrana del timpano, i corpuscoli di certi scienziati, le papille di certi, altri — carta bollata della burocrazia inaterialistico-positivistica —-. O buffa e strana combinazione epifenomenica della coscienza sintesi di stratificazioni di stati psichici a tutela dell’ organismo animale e così via ! Essa arriva, per pura combinazione ad essere una capacità telescopistica e microscopistica oltre che intro-riflessiva, tale da affrontare, circondare e possedere la Realtà !
Tutto ciò è, per i materialisti, elementare. Lo capiscono anche i bambini. Si, poverini, soprattutto loro e ciascuno di noi c’ è passato ! Anche la Bambi-nona, la folla, lo beve su a gran sorsi alla fonte pura della scienza da palcoscenico, da bigoncia, quella che svela la verità politico-sociale.
Incredibile, ma vero ! La coscienza è una cosa sola con 1’ organismo da cui
(*) Vedi le mie obbiezioni alla filosofia di Roberto Ardigò nel profilo a lui dedicato nei miei Moderni, voi. II, parte 4., Treves, 1908. Ardigò non à risposto ed à fatto male.
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LA RINASCITA DELI? ANIMA 4<>7
si manifesta. L’ organismo è materia, la Materia è la Realtà, la Realtà è 1’ Obbiettivo, la Verità che si tocca e si vede e che è così come è, il Vero Sublime. Eppure coscienza scientifica e Realtà fanno due. Come mai un tale dualismo ? I? utero monistico s’ è rovesciato. Il potere di far due, noi e 1’ Obbiettivo Realtà, donde esce? I materialisti rispondono da salumieri; i positivisti da gesuiti. Non c' è verso a ottenere da loro che ci concedano la discussione sul terreno di questa obbiezione dell' inevitabile dualismo : 1’ Io che pensa e il Pensato. Gente mia, 1' Anima era solo seppellita. Ma quel che pare morte; è letargo !
Noi siamo nella coscienza, e 1' essere, nella coscienza, è subiettività. Ma se desiderando, pensando, credendo, negando, noi non continuiamo che il movimento di manifestazione della materia, come mai tutto questo insaccamento che s’accumula sul buio dell’ istinto e che è, perchè spinto dall’ istintività, rettilineo e riflesso cioè necessario, a un certo momento si sagoma e personalizza e prende fisionomia e voce e si distacca dalla comune Materia di cui anche la Realtà è fatta ed esclama, tendendo il'dito impastato di fango ateleologico‘. —- Tu sei la Realtà, e io sono l'Io. Adesso ti giudico Io ! — Ma o io non ci veggo, o questo mi parrebbe un miracolo con 1' w maiuscola. Però il Signor Io materialistico mefistofelico e parecchio istrionesco, avrebbe ora come ora, il dovere di dire, poiché proviene dalla comune Materia : anche io sono la Realtà. Dunque l'Io che scientifizza è Realtà. L’ affare è gravissimo.
Sottolineiamo. Anche il materialismo ed il positivismo — in questo c’ è di più ima mascherina accademica e la vestina più corta : 1’ eufemismo delia materia ! — sottostanno alla necessità di metodo della dualità. Necessità di metodo, convenienze di studio, eccetera, frottole e trappole. Io sono io e questa palla di cavolfiore non sono io. Io sono io e il fango,... me lo tolgo dagli stivali. Io e il fuori di me, per esempio — usiamo un riguardo a Spencer — i riti matrimoniali dei selvaggi d’Africa, sono materia monistica. A rigor di linguaggio, io sarei una parte della materia monistica la quale si autorizza a giudicare l’altra parte per concludere poi: — Questa è la verità! — E’ patente l’autonegazione di sè che il materialismo ed il positivismo insieme dichiarano. Il materialista fa appello all’assoluto della propria mente per decidere sulla verità d’una cosa di cui prima non si fosse avveduto. Dice: — i miei sensi, i miei occhi mi assicurano di questa verità. Questo è vero, guardate nel microscopio, guardate nel telescopio-Microscopio e telescopio! Armi difensive e di conquista dell7?tw<? academicus! Ma sono forse più di due moltiplicatrici dei poteri sensori:? E se l’occhio fosse un organo fallace, la moltiplicazione per diecimila del micr scopio o del telescopio, non moltiplicherebbe la fallacia? Microscopio e telescopio sono essi forse più o meno di due ingrossatoli del mistero obbiettivo, se il mistero c’è? E la verità sarebbe garantita dalla retina? Ma e chi ci à dato questa garanzia, o non è vero che un controllo debba venir dal di fuori? Oppure ci accontenteremo di ridomandare all’occhio altrui — che non esiste perchè sempre é rocchio e noi lo riscontriamo simile al nostro e come il nostro, se lo è,
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fallace — la sicurezza, la certezza, l’evidenza? E che cosa sono evidenza, certezza, sicurezza, verità, continuamente cercate, prodotte, corrette, verificate, garantite dagli occhi medesimi erettisi in giudici assoluti? Chi dirà mai a me che non siano i miei sensi, se i miei sensi sono così come a me sembra — o a me non sembra più! —, chi me lo dirà che non siano i mici sensi? Lo dovrò udire con le mie orecchie, lo dovrò vedere con i mici occhi, toccare con le mani. I sensi sono giudici di se stessi. Stupidità manutengo!», complicità criminale del criterio materialista c positivistico! Essi non diranno mai: — Tu sbagli. — Diranno : — L’esperimento è tutto! — E resperimento è appunto il circolo vizioso dei nostri sensi e la grande scienza, e la verità, sono la ruminazione solitaria che l’uomo di scienza fa nel proprio gabinetto. L’esperimento non è un controllo, se ci si colloca dal punto di vista « filosofico » — dico per dire — dei materialisti monisti positivisti. La materia che controlla sè stessa — l'istinto che diventa riflessione — ia monade che diventa dualità: monade obbiettiva e monade subbiettiva! Queste cose non le può dire la « filosofia » materialistica, eccetera, perchè sarebbero un non senso. Altro non sa e non può dire che psiche è tutela di organi che, cioè, ad un cerio momento — 1’ anno un milione avanti Cristo — la materia organizzala, la vita animale diventata superiore — il fango vuol diventar luce ! — capì eh’ era necessario montarsi la guardia, perchè così come era andata vivendo e facendo per un milione d* anni non era più nè sufficiente, nè utile, nè dignitoso, nè estetico.
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li materialismo non è filosofia, e neppure il positivismo. Se filosofate, i due teoremi arroganti c sonori e vuoti cadono. La filosofia regge in quanto l’io che filosofa è arbitro e in quanto ancora quel che dice è vero perchè lo dice lui. Egli è aflermazione e prova e controllo, ragione prima ed ultima, centro e funzione centripeta attorno al centro.
Una filosofia c’è in quanto nessuna discussione è possibile sull’esistenza dell’ Io.Kant, Spinoza, Platone, Tomaso d’Aquino sono filosofi : Ardigò, Spencer, tant’ altra gente, no. Questi ultimi anno voluto sapere se l'olio della Gioconda e del Fondo di Botticelli era di noce o d'olivo o di lino. Questa non è estetica o filosofia dell’ arte : è olcocullura. L’Io che filosofa non à che una certezza : quella con cui comincia, quella con cui va innanzi, quella con cui finisce : Se stesso. L’Io c’è perchè l’io sono lo dice lui. Invece quel eh'è problema per lui è il mondo. Sicché indiscutibilmente l’io à una scienza, una sapienza una conoscenza, una verità, che sono assiomatiche, dogmatiche, universali, intuitive, assolute, che sono una cosa sola nella semplice aflermazione: la dichiarazione di sè. L’Io dunque è fatto di fede. Pensiero puro c fede fanno uno. Dire : io penso, vuol dire ammetterlo e nell’ ammetterlo è il riconoscimento dell’ esistenza. La Scoperta passa sotto il nome di Descartes. Ma 1’ avevano fatta i poeti oltre ducmil’ anni avanti, perchè i poeti sono gli anticipatori e i privilegiali dell' anima disponendo a loro voglia de! potere di plasmare riplasmare annullare creare di nuovo quel eh' è il risultato volubile dell’ anima, il mondo. Se il catlolicismo avesse compreso questo,
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LA RINASCITA DELL'ANIMA 409
sarebbe immortale ; ma il dualismo delle sostanze e delle essenze lo trattiene di là dal limite. 11 cattoiicismo ammette la materia come tale, perchè creala. La crede esistere indipendentemente dell’io. Questo è l’errore; e il .colosso à il piede di creta c si può dire che il cattoiicismo sia materialista — a metà, per chi non comprende —; il suo Io non è onnipossente e l’a-somiglianza divina non lo salva d* essere soltanto socio ai governo.
Dunque filosofia è manifestazione dell’ Io ed è libera perchè tale, libera per il suo subicttivismo, mentre un obbiettivismo la renderebbe una derivazione logica della premessa del mondo esterno, premessa che 1’ Io medesimo inventa crea foggia, s'illude d’esteriorare, per poi subordinarsi e non si sa come, ad essa. Io e assoluto è il pensante, ond’ è che l’idea dei divino e deli’ infinito non possono restare filosofiche cercando forme e formosità naturalistiche. Il panteismo, alla pari del materialismo, è il tentativo fallito d’una transazione tra l’irriducibilità filosofica dell’ Io e la comoda riducibilità e riduzione ad ogni prezzo e misura e peso deila natura, del reale, del positivo, del materiale. L’ Io è assoluto. Il non-lo è il relativo. Materialisti e positivisti notino 1* »filosofia di un símil criterio ! E’ relativo nientemeno, 1' Io che pensa, 1' Io che filosofa, relativo all’epoca, al paese, alle condizioni, all’ età, al grado d’ umidità, all’ ora del giorno, alle cento e una trappola della culinaria fisiopsicologie». Il materialista greco di ducmilacinquecento anni fa non è stato sorpassato nella concezione dal sopravvissuto materialista odierno. E sono materialisti c positivisti i j regressivi ! Ah, sì, la posso gridar ben alto io questa im progressi vita piena, enorme di una tale pretesa dottrinale! il materialismo e il positivismo non anno progredito d’ una linea. Però oggi materialisti e positivisti sono umiliati, stupiti, impauriti, cstcrefalli del non poter più dire : prete, dogmatico, isterico, inatto e sopratulto ignorante a colui che li combatte, del non poter più gridare al ritorno, al tramonto, al rimbccillimento. Ogni' problema posto da loro è stato come il foro tubolare nella montagna. L’anima vi. à cacciato chilogrammi di esplosivo e la montagna è volata in frantumi.
Le intuizioni dell’io! Vi ricordate come ci facevano dire? L’esistenza u-niversale : immagine del mondo esterno, dell’ambiente fisico sui nostri sensi che, gira-gira, raffinano talmente la sostanza nervoso-cerebro-spinale da espettorare la coscienza, quclia tale coscienza che poi — ricordiamoci — vede, capisce, conosce, possiede la Realtà !
Torniamo sulla via maestra. L’esistenza universale è per il nostro pensiero, un assoluto. Di qui, il motivo o formula risolutiva: Dio.
Un dubbio nasce. L’ esistenza individuale, un lo. il mio, quello di quel materialista là o costi, può essere contingente ? Ciascuno di noi potrebbe anche non essere ? Nel caso affermativo, e cioè se l’esistenza individuale, un Io. non è necessaria, una volta apparsa entra nell’universale, diventa l’essere, sbocca nell' universale. Ora l'Universale e 1’ Essere in sè, quel che si dice Dio o ij Tutto o il Nulla o !a Ragione o l’Assurdo o l’infinito o l’inesplicabile o il Vero. Apparendo, 1’ esistenza individuale di ciascuno di noi, diventa 1’ Assoluto e il Necessario. 11 contingente esiste ponendosi nell’ essere come un assoluto e quivi cerca la propria ragion d'essere.
Qual' è in ciascuna esistenza individua 1’ Assoluto ?
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¿.IO Bll.YCHXIS
Più minutamente ancora, delle cose che « vogliamo » fare qual' è quella necessaria? Una volta — e ancora da qualcheduno — si poteva attingere la formula seguente : — Nell' essere (Vita), è (più) necessario 1’ Istinto o la volontà ? — Oppure: — Nell’essere è (più) necessaria la Ragione o la Legge? — La •Legge sarebbe per 1’ essere, impèro di passività come 1’ istinto. Noi non Saremmo noi nell’ Istinto come sotto 1’ azione della Legge (Natura, cpuoig, Destino, Vita, ecc). Si può frattanto dire che se !’ Individuo esiste ed è una parte del-l’Essere (che sarebbe, altrimenti, dal momento che è l’individuo è una parte dell’ Assoluto poiché l’essere è Assoluto. A riga di rag! inamento deriverem -mo questo pensiero: — L’entità (o materialità od organicità o essenza dell'individuo) dell’ Essere Individuo è come quella dell' Essere di per sè stesso, necessaria, assoluta.
Le nostre azioni, sminuzzate dall’analisi etica, guardate alla luce di queste considerazioni, acquisterebbero una tragicità nuova, oltre l’Arbitrio, oltre la Legge. Tutte le nostre azioni, se l’essere individuo è 1’ Essere, anno carattere di necessario. Ma il necessario dell’ Essere non è quello dell’ Essere - Vita — il doverci muovere e lottare e alimentarci per « vivere » — o dell’ Essere Natura. E’ il necessario sopradeterministico e certo più simile all' Assolino Arbitrario. Se 1’Assoluto fosse deterministico, come sarebbe 1’Assoluto?
Tutto ciò che è deterministico è subordinato, discende, deriva, consegue, L' .Assoluto è salvo da questo pericolo.
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I materialisti ed i positivisti ànno enunciato: — L’essere non c’è. C'è l’uomo. L’uomo vive, cioè: è nella vita; non nell’essere. Clinica, gabinetto, museo ànno avuto bisog.no d’una semplificazione la quale à dato luogo ad una formula. Obliato il corso del processo, la formula è divenuta enunciato — così pensavano — di filosofia. E’ quella tale filosofia scientifica cui abbiamo accennato e di cui ci occuperemo ampiamente nel seguirsi di questo scritto.
L’ uomo è nella vita. In altre parole : 1’ uomo è nella materia, nel plasma, nel corpo, nell’ organo, nell’ organismo, nel sistema. La ragione di ciò ? Non la si trova fuori, ma nel circolo vivo e vitale medesimo, il movimento che à forma di sviluppo di versificatore. La Vita, è sospesa in sè e per sè, incomincia da sè e gira e muta e s'altera in sè sino alle ebrezze mentali e sentimentali. La Vita non à principio estraneo alla Vita. Quale sospensione di ragione dinanzi a tale enunciato! Materialisti e positivisti dicono insomma che 1’Essere è tutto e solamente e sempre Vita. Associate subito a questo principio quello così detto d'evoluzione e avrete che tutta la Vita in sè per sè libera, perchè indipendente da un Essere che la preceda, s’ è fatta legge il procedere verso conples-sità e alterazioni che, a lungo andare, diventano sostituzioni e superamenti.
Dunque: eternità dell’Essere come Vita. Questa è la dichiarazione che la coscienza dei materialista e del positivista fa. Li coscienza è il risultato inevitabile della Vita : resta Vita pur essendo Coscienza che giudica la Vita e ne ricerca la legge ; è il risultato d’ un processo meccanico cieco materiale di fatico-
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LA RINASCITA DELL'ANIMA
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sa turbinante vertigine d’atomi o che so io, processo buio che esce da confusione d’elementi e dà per risultato una coscienza che trova la logica d’una legge secondo cui la propria materialità o fenomenità pur restando talé è obbiettiva e certa della Realtà, della Vita. L’Io esce dal Caos e vi s’asside in cima, o meglio sul baratro siede alla sbarra del trapezio appeso alle stelle. Questo Io che fa da spettatore indifferente, impassibile obbiettivo estraneo tutto numeri e misure, definizioni e giudizi; questo Io che cerca e trova le spiegazioni della Realtà, a somiglianza delle quali è fatto; questo Io che finisce per esser certo di una scienza, che, poi, è il pensalo del suo cervello; questo Io avrebbe dovuto essere argomento d’una certa preoccupazione anche per gli intenzionati della materia e del positivo. Ma l’acrisia è un male che non perdona ! E non si cura.
L’Essere è la Vita. Si è detto: — la Vita determina la coscienza, più o meno come un fenomeno di tutela di se stessa. Ma non si è capito che si poteva arrivare a dirsi: — Questo fenomeno di tutela o protezione della Vita, la Coscienza, prodotto terminale, è la tal cosa che la vita c’ è nota per esso. Anzi, noi non possiamo parlare di Realtà che mediante la coscienza. Tra noi e la realtà c’è la coscienza; ma siccome anche noi — l'io —siamo coscienza, questa è la misura unica della Realtà e tutti indistintamente debbono prenderla come fonte sicura di certezza. Ecco I' Assoluto premesso anche dal materialismo c dal positivismo, che non se n’avvedono.
Bisogna penetrare più addentro. La coscienza, la psiche in genere, sarebbe per simile '< filosofìa » scientifica — di provenienza medica, biologistica, clinica — la tutela della vita. Dalla fase dell' Istinto a quella della volontà, dal coniglielo che rizza le orecchie e scappa al rumore, al bimbo che butta le mani avanti quando cade, all’uomo di Stato che da lunga mano prepara una guerra, una legge, una rinnovazione, un evento storico, la psiche è tutela o protezione della vita. L’essere vivo culmina nel desiderio, nel bisogno, nella ricerca, nella necessità, nell' ideale di continuare a vivere. Dire una cosa di questo genere, non pare a materialisti e positivisti schierarsi con i ideologisti o finalisti. Tutto quel che vive, vuoi vivere e per questo voler vivere e dover vivere, la vita ne fa evoluzionisticamente di tutti i colori: — i grossi mangiano i piccini; i piccini cambiano tinta e forma per sfuggire ai mangiatori grossi; i piccolissimi s’ associano nella mala vita delle colonie infettive e quando spunta l’un, l’altro matura ; per non morire, il leone accetta le frustate e salta il cerchio, l’elegante fa l’imbecille e il debole, lo Svizzero fa... lo Svizzero, il positivista fa l’accademico e così via. Benissimo. Non Dio à creato la materia; la materia non fu mai creata. Ella è eterna e seco porta eternamente la « Vita che deve vivere ». Motivo poetico delia « secrezione » — i materialisti dicono così — cerebrale moderna. La morte non esiste. Metabolia, metaforia, pasticceria della Vita. Si cala un morto nella fossa? Incomincia il lavoro chimico delle restituzioni al casellario del gran tutto, Pan, Gran Pan, Dio Pan. Ossigeno quà, idrogeno là, e poi fosfati, ferri, manganesi, e calci a destra, a manca, in alto, in basso. Morte ? Niente affatto! osservino, o Signori! Il cadavere à ingrassato la terra, impinguando il plasma e favorendo lo sviluppo dei germi vegetali ed animali. La morte è il giuoco di prestigio della Vita. Saturno mangia i propri figli, ma ne fa sempre dei nuovi.
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Ci sarebbe da ritirarsi sulle cime de! Gaurisancar, oltre gli ottomila metri sul livello del mare c della filosofia biologistica solo che ad udir pronunciare con ia consueta impassibilità dulcamarcsca un principio simile. La morte non esiste. L’Io che accentra tutto il pensato e tutto il saputo, che è l’immaginatore della superba Chimera Scienza, della rude Chimera Realtà, l’io quando si chiude dietro l’immobilità di quei confini del proprio mondo |>ersonale attraverso ai quali l’abbiamo amato o combattuto o conosciuto, non à più nemmen diritto e dignità ad essere preso in considerazione. E' il cadavere che si separa nella farmacia degli elementi cellula per cellula, plasma per plasma.
Cupa e cinica menzogna a tanto la parola! Gli elementi non esistono. Non esiste la cellula. L’artista sa che i colori non esistono, che non esiste la parte della figura. La Vita vive personalmente. Dove esiste la cellula alfa del mio cervello? Non è « la cellula ». Chi autorizza e che cosa, a quale scopo, con quali risultati, tanti signori a separare la particella minima mona — badate bene: morta — del mìo cervello, per conoscere l'anima del mio cervello? La scienza della Vita non esiste. Gli scienziati non mi possono studiare sperimen-talmente che morto, mi debbono uccidere per «trovare nell’encefalo » i traumi e le altre loro trappole le quali « spieghino » le caratteristiche del mio spirito in vita. Vogliono interrogare quello che non risponde, per capire quello che domandava in vano, quando non c’è più. Ci dicono che il cadavere è una decomposizione, una restituzione integrale di tutto a tutto, e sul cadavere vogliono studiare, corbellati corbellatori, l’intima misteriosa magnifica fusione dell'Io che tutto concentrava in se. La cellula ! Non esiste. Io esisto, c, caso mai, esisterei nella cellula diseccata separata da! separato organo de! mio cadavere? Si dice: — la scienza à cresciuto il mistero! — Non basta! bisogna gridare alto a tutta quella gente, che è smisuratamente cresciuta ia trista impressione che il loro giuoco di bussolotti microscopistico fa. Se tra il processo Vita e il processo Morte — usiamo queste parole basse —, se tra una tale concentrazione e una tale dissociazione la differenza è così grande; se il cadavere non si deve neppure, scientificamente parlando, considerare come individuo, che diavolo andate bucando e pestando e guardando e istrioneggiando sui fosfati e i calci delle sostanze cerebrali? La personalità è scomparsa, l’individuo se n’è andato, siamo nel periodo della decomposizione. La psiche esula dalla Morte. L’anima — non dite così, o signori della materia e dei positivo? — è vera solo nell Essere vivo. Enorme bancarotta della-psicologia e della psicopatologia che attendono la Morte per impadronirsi dei segreti della Vita ! Non s’è aggiunta una scintilla. Di là il buio è pesto. Il cervello morto non è il cervello ; una cellula staccata isolata, attaccata alla lastrina del microscopio, non è la cellula viva; che è viva, voi non sapete nè saprete mai perchè. La Maga, la Misteriosa, l’Anima è più magica e misteriosa che mai. Oggi il suo viso indicibile s’irraggia d’ironia.
Evidentemente la filosofia potrebbe fare a meno di combattere tali pretese, tali orgogli e tante bugie. La scienza con i suoi così detti « progressi » — progressi nella scienza non ce n’è, sibbene nella tecnica e sono la manifestazione
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dell’ardimento eccessivo c del calcolo di una parte degli uomini — à turbato durante alcuni secoli l'armonia serena dell'anima. Bacone, metafìsico debole che s’appoggia ai docks d’ogni robaccia commerciale; Descartes dal gran volo iniziale, ma teme l’Oceano azzurro e s'esaurisce in tormentose corse radenti; Galileo prima vittima grande e sincera dcll’illusicne piccola : Verità, — ma vide sempre nella matematica degli astri l’irriducibile in formule ed equazioni. Da loro il mal vezzo di unire filosofia ed esperimentalismo. I così detti novatori incominciano col dubbio, ma la loro scienza ci rende schiavi d' un' operazione^'d* alta taumaturgia che nasconde a noi stessi il nostro Io. Se sono perchè penso; se debbo riconoscere prima: l'io penso, per poter arrivare all'io sono; come mai quel che io veggo dopo, il Mondo, la Realtà, può contenere le leggi dell' Io medesimo? Eppure Descartes, Bacone e Galileo in fondo avevano questo criterio di cui s’è imbevuta, rimateriata la storia d’una civiltà trisecolare.
Il vizio va sorpreso alle sue fonti e dirò meglio alla scaturigine esperi-mentalistica. Dei tre il meno signore è Bacone: vi sono atteggiamenti di segatore di tavole e scaricatore di barattoli che fanno presentire Spencer e compagnia. Ma tutti sono presi dall’illusione che il rivedere il saputo permetta un annullamento di principi i cui risultati arrivano sino a credere che l’io, la Mens, la Ragione, possa trovare un varo che a differenza di quello annullato non sia il pensato, l’immaginato, l’inventato della Ragione, dell’io, della Mens. L’illusione moderna che à chiuso e soffocato in usi bozzolo greve 1’ attività filosofica, sta qui. Da Bacone, da Descartes, da Galileo l’invenzione scientifica è diventata la verità obbiettiva, io espcrimentale, il positivo, e l’inventore, l’io à 1' obbligo di asservitile. Non c’è voluto molto a rotolare sino al fondo della china. La verità obbiettiva, il Mondo, la Realtà non soltanto esistono veramente, obbiettivamente, realmente, mondanamente, avanti a noi, ma prima di noi e noi ne siamo l’emanazione, il derivato. Come se io potessi sinceramente credere all’esistenza delle cose, d’una qualsiasi Realtà prima dell'individuo pensante!
La luce e il suono sono entità sensorie. Io non potrò mai dire - perchè non saprò mai - se esistano indipendentemente dalla mia rètina c dalla mia membrana timpanica. La scienza moderna è tutta una superstizione. Ella à accettato il criterio di passato e d’avvenire. Considerino con attenzione i nostri fecondi monisti della materia, del positivo e del fenomeno, che « scientificamente » non avrebbe ad ammettersi che la « presenza della Realtà ». Ma questo in-margine della filosofìa non può entrare nel corpo delle scientifiche verità.
1'7 chiaro, mi sembra, di qui constatare quale sia il concetto che anno di Realtà i reggicoda di Mamma Scienza. Ne anno un concetto passivo. 17 lo, invece, è annullato se non prende atteggiamento di creatore. Le ragioni dell’ob-biettivo, dell’esperimento, delle realtà, non sono ragioni sue. II fisiologista meno pretenzioso, ma in fondo psicologo e non filosofo, vi concederà che la Rcaltii è relativa alla costituzione dei sensi, alia ragione dei sensi. Ma e perchè allora l’io à le misure d’una ragione in sè e per sè che trascende la capacità e la portata della ragione dei sensi che l’io stesso genera e 1’ Io stesso controlla e definisce ?
Io ò le visioni mie di tutto questo relativo e ne prescindo benissimo sino a dare un bassissimo prezzo ai risultamenti del microscopio. Io penso, la Vita
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un’apparizione deli’Essere, intuisco Tempo c Spazio come motivi acquisiti nel via vai oscuro da cui'esula ogni intenzionale ricerca, e mi lascio riprendere dall’ingenuo vigore d’essere qualche cosa più che partecipe derivato per combinazione al giuoco degli atomi o degli elementi entro le mutevoli forme. Io allontano da me nelle voragini azzurre, negli Oceani chimerici e nuvolosi, col loro tempo, col loro spazio, con le forme, le dimensioni, le cose, i corpi, le qualità, le quantità del calcolo volgare, e di me coloro e animo f Essere e lo avvaloro coi mio giudizio, col mio valore. Io supero in pura speculazione le frantumazioni delie fasi, dei passaggi, tutta la piccola povera industria delle scienze trampoliere o striscianti, e rifondo nell’interiorità mia l’immortale extratemporalità ed extraspazialità del giudizio, della intuizione deli’Essere e sento di tutto il resto la formalità. Misticità fiera e valente che mi cinge una corazza brunita e mi arma di una saettante lama e tra i garretti mi fa palpitare un demone di rapidità. Io ò filosoficamente l’intuizione deli’Essere, non della Vita. Che cosa ne puoi dunque sapere tu, o raschiatoi di cellule dai vetruzzi, che devi a-spettare il mio cadavere per cercare — istriòncello! — a qual trauma si debba la mia sopravvenuta fumigazione patologica?
Quel che io penso non è risolvibile in pasticceria scientifica. Il pensato non si trasferisce in psichico, in fisiologico, in biologico, in organico, in fisico, in materiale. Realtà e non realtà medesime sono distinzioni che non gli si confanno. Lo scienziato positivo dice con espressione compassionevole; — Sogni! Immaginazioni! Chimere! Illusione! — La scaturigine e l’entità dei sogni, delle immaginazioni, delle chimere e delle illusioni sono le stesse che non dei principi, delle constatazioni, della verità, delle prove. Atti mentali, sono, i primi spontanei e liberi, i secondi derivati e passivi. L’Io è più sincero nelle proprie chimere che negli enunciati della Scienza. Nel sogno, neB’immaginazione mette l’autentico se stesso; nelle formule della verità ne aspetta uno che è un altro. Inoltre è un errore credere che vi siano convinzioni scientifiche, per la semplice ragione che scientificamente controllo e verifica mutano. Quel che non si conosce è il nemico di quel che si conosce: scoprire vuol dire rischiare il mutamento. La scienza ci sottomette a regole, a limiti, a metodi, a queste finzioni, a questi espedienti seri di cui ci piace riconoscere l’implacabile esattezza. Ma è pur sempre il quod finxere timeni. Ad ogni ordine di ricerca scientifica si può e-stendere quello che Henri Poincaré in La Science el l'Hypothèse dice della geometria: — « Les axiomes de la géométrie ne sont que des définitions déguisées... Dès lors, que doit-on penser de cette question: la géométrie euclidienne est-elle vraie? Elle n'a aucun sens.... Une géométrie ne peut pas être plus vraie qu'une autre; elle peut seulement être plus commode. (vedi p. 66-67). E’ un po’ il modo di ragionare di Bergson, di Sorei, di dieci altri ragionatori onesti degl i ultimi dieci anni. Ma, in fondo, anche costoro son rimasti a metà. C’è bisogno d’un coraggio più spedito e più diritto a riguardo delle famose solide basi della Scienza.
Vediamo. Io dico che il nostro spirito è impermeabile alla Scienza. E anzitutto, quali sono le « certezze » scientifiche? Provatevi a ragionare delle prove kopernikane con un astronomo: egli finirà per dirvi: — Queste cose lasciatele dire a me! — L’economista, lo statistico non sono diversi. Ricorderò
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LA RINASCITA DELL’ANIMA 415
d’avere una volta mosso un’ obbiezione a quel luminare della scienza statistica che è Luigi Bodio. Il luminare mi rispose concludendo: — Fumé, fa e) lo meste! — Benissimo. Ma qual’è il mio mestiere, dunque, il mestiere di chi cerca la certezza, perchè gli àn detto che c’è e sta nelle scienze? Che vi sia ciascun io dice, eccetera. Il biologo vi ride sul muso, lo psicopatologo vi fa una smorfia « normale » sul medesimo, il fisico diventa grave e insegna col dito che tiene la materia gli apparecchi, il matematico scompare in sè stesso lasciandovi non so quale brividino freddo e la tacita definizione d’ignorante. Quale sia la diffe renza tra le verità del Dogma cattolico — il quale imponeva: credi e silenzio! Non si deve capire e perchè non si capisce è vero! — e quella della Realtà scientifica, non so. Io non potrò più avere le prove del sistema kopernikano, perchè il mio cervello di matematiche elevate e di astronomia profonda ne sa pochine e non ne saprà molte di più. Il mio quadriarchitrisavolo diceva: Sta scritto nella Stimma l'heologica. Io dico : — Sta scritto in Kopernik, in Kepler, in Gassendi, in Newton, in Laplace, in Secchi. Dico questo e cioè mi rimetto a loro. Sono sempre quell’ignorante che faceva sua certezza il gran fascio d’ombra gittata da un colosso. Però mi manca la fede dei mio quadriarchitrisavolo. La fede è una cosa di cui ci occuperemo in seguito. Intanto io dico che per l’appunto la Scienza e tutto quanto noi diciamo dottrina e scoperte e verità esperimentale, mi anno abituato a considerare lo scientifico come un che variabile. Variano gl’istrumenti: variano i calcoli. Nessun di noi può dire quel che resterà delle scienze e della lor presente verità il giorno in cui tutti i difetti del telescopio siano corretti e i diametri degli obbiettivi cresciuti a milioni di volte, il giorno in cui il microscopio ci permetta di vedere due milioni ancora di volte più grande quel che oggi vediamo.
Nutriamo tutti questa attesa più o meno scettica di un evento turbatore, capovolgitore. Insemina, tanto la scienza à facile via di argomentare e provare e documentare e controllare nei limiti della sua tecnica, tanto è facile, d’ una stupefacente facilità crescente, il tagliarle attorno i filamenti radicali della certezza. Una volta, al tempo mio — pare incredibile: c' è anche « un tempo mio » — quando s’era detto: oqusìov èoriv ov uépog ovSév, il punto non à parte; e Ypappij 8e pqxo? &rZatég, la linea è lunghezza senza largezza ; e ypaupq 8è atépara, <n)|U«z. le due estremità d’una linea sono punti, s’era detto tutto. Era il Padre-Figliuolo-Spirito-Santo della verità geometrica. Oggi — o Kantor, o Poincaré, o Labatchewsky ! — che dico, il punto viene messo -in dubbio. Il punto, il punto! Chi vi autorizza a parlare di linea fermata da punti? La linea è la linea, è continua, la linea è durante. Mio grande e sventurato autore degli « Elementi », è finita per te. Oggi la scienza grida alla tua ombra : Sqpsìov ovx éotiv ! E, s’è morto il punto, ne vedremo di morti, ne vedremo!
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Il materialista è colui che armato d’una lampada accesa vada cercando la luce e dica : —- Non c’è! — Io mi domando, accettando provvisoriamente la Realtà per reale: — Perchè dunque andare cercando fuori di noi le soddisfazioni alle nostre interne esigenze? La felicità intellettuate consiste tutta quanta
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nell’isolamento .dell’io, La ricerca esteriore genera dubbio, perchè I* lo non si accontenta di provvisorio e d’ipotetico. Invece la concentrazione dell’ Io, 1' atto artistico e religioso, rende l'io medesimo despota di sè e delle proprie invenzioni. L’Io si moltiplica nella passione, la quale è veramente una dilatazione dell’io. Ora sta il fatto che la passione impone il suo modo di sentire fuori di sè ed io intendo il « fuori di me » come la propagata ma non nata e vissuta capacità dell’io medesimo. Quando si ama, il nostro amore crea in un modo tutto speciale, le forme, le leggi, il colorito, il sapore, il valore del mondo. Ragione per cui nè pessimismo nè ottimismo possono morire e noi stiamo assistendo ad un effettivo risveglio delle filosofie apprezzatiti. L’uomo è la misura, eccetera. E' una verità filosofica e non teme tramonti.
Bisogna studiare l'ateo innamorate, o l’uomo di scienza, delle scienze grasse e grondanti e macellale. la chirurgia operatoria per esempio. Bisogna avere dinanzi l’esemplare di una donna atea antireligiosa distruttrice, in dottrina, di soprafenomeni ideologici, ma innamorata. L’interesse intimo e spontaneo e singolare dell'io accende nella personalità prima smembrata in cerca di ragioni e di certezze non proprie, il bisogno di affermare la propria certa ragione. Le passioni ci rivelano in piena luce che noi non siamo quei che crediamo di essere — materia, psiche, fisico, due principi o la negazione di tutto questo — ma quel che siamo. In altre parole il nostro potere è tutto nell’essere. L’Io si muove (ed esiste) da sè in là. Ma sapersi non può; ma conoscersi non sa. Giuoco d’ombre è la scienza del mondo esterno; condanna di Sisifo il tentativo d’ una scienza dell'io. L’Io è radioso e i raggi non tornano e la sapienza è in lui — se è — o non è.
La cosiderazione etica non sarà mai troppo sfruttata a questo riguardo. Le nostre azioni in tanto sono più nostre in quanto manifestano l'io in quel carattere interiore d’intimità c di segretezza che i mezzi e i poteri dell'educazione — appunto perchè estranei — non riescono a toccare. L'anima è una forza che la pedagogia non ci dà. In fondo nulla e nessuno c’ insegnano a volere, perchè una volontà figlia della scienza e della tecnica pedagogica, non la si deve chiamare volontà. Es?a è un'acquisizione, un'imposizione ; chi impara a volere cosi, mancava d’una propria precisa personalità, e viene preso e sigillato e plasmato dalla violenza degli automatismi. La grande educazione è quella che ciascuno di noi — ove ne abbia i poteri — dà a sè stesso, perchè il mio convincimento sono io, come la mia legge, come il mio motivo ad agire — quello che i deterministi vogliono sia il prevalente e spinga alla scelta — sono io e per l’io le definizioni, le conclusioni, i principi, le verità della scienza sono come un arsenale dall’ingombro enorme, un aggiunto, un'appendice, tutl’al più un ausilio e alle contradizioni.
Dunque le nostre cognizioni scientifiche non fanno nè mutano l’interpretazione interiore, personale, che ciascuno di noi dà di sè e del resto. La scienza à bisogno di fabbricarsi un uomo-fantoche così che ogni pezzo risponda allo scopo scientifico. Ma 1' uomo-persona, 1’ uomo - Anima resiste a ripla-smazioni, come l'uovo-chimico dal peso, dalle forme, dal contenuto esattamente eguale a quello... non chimico. Messi sotto la gallina, l’uovo chimico c l’uovo vero, il primo resta uovo chimico e il secondo s'apre al piccona-
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mento della creaturina tepida e saltellante con gli occhi aperti per vedere il sole. L’ uovo-chimico è 1’ uomo a cui la scienza impone — c'è di tale umanità passive — il suo verbo. Tu sei un protoplasma inconsciente diventato organismo a sensitività, e sempre salendo, per le scale del dottor Darwin, un animale a- consapevolezza, meno la coda e la diffusione generica del pelo. Or dunque, o individuo figlio del pythecanthropo dell’ altro dottore, il dottor Du-bois, tu ài da sapere che la scienza,... e così via ! — Ma l’uovo-uomo fa balzar fuori il pulcino uomo, mirabile escamotage del mistero. Il pulcino non ne vuol sapere affatto di darwiniane pilosità e di pitecantropesche scodatine. Già dice e erede di non essere mai nato e di non dover morire. Ride l’essere individuo nella forma della sua vita ; riso, canto, lagrime, desiderio, sogno, abbandono e le melanconie della preghiera e le ire dell’ orgoglio e la saggezza dei ricordi, la sola nostra scienza alla quale si possa prestar fede, ma ciascuno per conto nostro.
Le cognizioni scientifiche ci ripugnano quando siamo presi dal brivido della sincerità. Io sempre ò provato questa dolcezza fiera, questa tristezza furente della sincerità — sul mare, sui monti, nella solitudini dei campi, sopra ad una folla vasta, presso una creatura che muore, accanto a un pianoforte che Si lamenta in voce di Beethoven o di Bach. Forme, evoluzioni, Darwin, la chimica, 1’ antropologia, sistema solare galileiano : bubbole ! Non mi sono mai passate per il capo. Invece ò sentito d’essere Io l’universo e questo mi faceva bene e mi faceva male il forzato ricorrere alle formule delle dottrine. L’abbandono a noi quando l’anima è caverna fonda ed aita ove tutte le voci dell’essere anno eco, ci alimenta e ingrandisce. L’essere non ascende che in un cielo eh’ egli stesso abbia animato e di cui vada lentamente ad accendere gli astri. Lo spazio, il tempo, le fasi, le forme, i periodi, le cause, gli effetti sono le antitesi dell’ anima senza tempo tinta fuor di spazio dilatata, occupante universa ed assoluta, irrigata dal senso del Tutto.
Qui 1’ amico monista interrompe il mio a-solo in nome d’ una certa scienza-poesia. Lasciamolo parlare.
( Continua) PAOLO ORANO. t28] lllw
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IL PROBLEMA DI LUTERO
E LA CRITICA MODERNA.
storia della Riforma in Germania, così imponente per i modi ne’ quali fu compiuta, ha unicamente per fulcro la volontà fervida di Martin Lutero, segno d’odio profondo e d'amore indomato.
La storia esterna degli avvenimenti appariscenti, le notizie autobiografiche sparse qua e colà nelle opere del Riformatore, e quelle raccolte dagli amorosi discepoli, lui vivente e dopo che si morì, non bastano ancora a spiegarci come il figlio del povero minatore Hans di Mansfeld, potesse distogliere dalla comune corrente un così gran fiotto d’ umanità, produrre cause d* enormi effetti nella civiltà europea. Le ragioni spirituali e quelle politiche del suo distacco dal papato, sono oggi giorno ben note agli studiosi di lui e dell’ opera sua di scrittore e di Riformatore ; c pure esse non bastano a mostrarci di lui tutto l’uomo; e, quello che più conta, l’uomo religioso.
La depravazione dei costumi ecclesiastici, la simonia, il traffico delle indulgenze, la mondanità e l'avarizia della corte di Roma, divoratrice delle ricci) izze di tutta Europa, non erano certo da lui state combattute la prima volta ; le discussioni e le divergenze teologiche erano pur sempre le medesime per intensità e per accanimento : non Lutero soltanto aveva tentato una Riforma della religione cristiana. Che cosa adunque diede a Lutero tanta potenza di proselitismo, tanta folla di seguaci, amor di principi, e infine la dura sanguinosa vittoria? Sarebbe questo lungo discorso, ma possiamo dire senz’altro ch’egli fu il vero eroe, nel senso di Carlyle, del Rinascimento, quando pur lo si consideri un ribelle dell’ umanesimo, anzi per questo, che come vedremo egli ne trasse tutto il vero bene.
Ma ancora una domanda principale rimane da farci, per rimanere nel campo della coltura : quale fu la preparazione intellettuale di Lutero, quale è stato il suo patrimonio di conoscenze dottrinali? E ancora: trasse.veramente egli dal suo aito intelletto ex novo I’ ossatura della dottrina, atta a dare consistenza alla sua riforma, o non trovò egli già per entro ìa sapienza del Medioevo, quanto gli occorresse a giustificare universalmente la sua coscienza c l’opera sua?
.Questo è il problema di Lutero, considerato indipendentemente dallo svolgersi degli avvenimenti generali della storia; questo è il problema della sua storia. E ad esso, mal formulato sino ad ora, sia nel campo cattolico, sia fra i protestanti, si rispondeva, per diversissime cagioni, c lo si capisce, all’ ¡stessissimo modo : ossia Lutero essere stato un teologo originale ed in questo, appunto, consistere la ragione più intima e più forte della sua Riforma. Ho detto sino ad ora ; perchè in questo anno appunto comparve un importantissimo li-
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LUTERO
[del PITTORE LUCAS CRANACH <1472 - 1553)]
V. - 1912 -
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Il problema di luterò e la critica moderna 419
bro (1) in Germania, che pone, un po’ diversamente, il problema e più ririsolutamente ; e lo risolve in opposta maniera ed in modo, non v’ ha dubbio, definitivo. Del libro di A. V. Múller vogliamo adunque occuparci.
Anzi tutto dobbiamo dire che, come esprime il titolo, esso è in perfetta opposizione al maggior libro, che di parte cattolica, sostenesse la originalità di Lutero, quello (2) del domenicano Denifle. Il quale ha un duplice scopo : prima di infamare in Lutero il monaco, e poi di distruggere in lui il teologo ; il tutto, e lo si co cede, per dirla con Adolfo Harnack con grossolanità vigorosa, sotto i colpi della quale, molti degli stessi studiosi protestanti, non seppero opporre nessuno acconcio scudo a difesa. Secondo il Denifle, Lutero fattosi monaco agostiniano (come egli stesso narrò, dopo una grave malattia, colpito dalla morte di un amico a lui caro, e dallo scoppio di un fulmine), fu dapprima un buon religioso, dedito alle opere di pietà, ossequente alle regole statutarie dell'ordine, fedele osservatore de* doveri monacali; ma in seguito, dedicatosi troppo allo studio, pervaso in maniera sempre crescente da dubbii dottrinali e da scrupoli di coscienza e da terrori religiosi, abbandonò 1’ ordine suo, e per giustificare questa sua ribellione, non trovò altra via più efficace, che di denigrare e di vilipendere in tutti i modi l’istituto monacale e la Chiesa. E evidente che il Denifle sin qui è un pedissequo seguace de’ più stolti comuni della diffamazione cattolica; e per di più novello assertore di quello schema cattolico, che a priori, nega che qualcuno sia o possa essere un buon cristiano, che possa amar Dio, da poi che abbia compiuto l'orribile misfatto di abbandonare 1’ abito monacale. Lo spirito di parte — e i legami disciplinari — hanno quivi certo offuscato in Denifle lo spirito scientifico. Questi poi di Lutero teologo assevera cose che se stabilirono, la fama di lui come critico, non sono per questo meno lontane dalla verità: dice adunque che Lutero non fu un grande teologo, perchè non compì buoni studi e profondi su la sana teologia scolastica; che, solo basandosi su di un eccentrico nominalismo, ha poste le fondamenta di un suo proprio arbitrario sistema teologico. Intorno al quale egli tratta dei seguenti io capi principali: identificazione della concupiscenza col peccato originale; reità della concupiscenza ; invincibilità della concupiscenza: permanenza della concupiscenza e quindi del peccato originale; impossibilità di adempiere la legge; impossibilità della giustizia perfetta; sul merito e le opere; sul servo arbitrio; giustificazione per la soia fede; il matrimonio.
Per Denifle questi sono i capisaldi di tutto il sistema di Lutero, che egli trasse e formò nel suo cuore depravato e che « ci rivelano un miscuglio di esperienza malvagia e di speculazione malaticcia. Pag. 438 op. cit. ». Il gesuita Grisar (3) non è in ciò se non un materiale discepolo di Denifle, meno in due
(1) LUTHERS THEOLOGISCHE QUELLEN sein Verteidigung gegen Denifle und Grisar, von Alphorn Victor Müller. Verlag von Alfred Töpelmann — Gieszen 1912.
(2) Denifle -- Luther und l.uthcrthum. — Magonza, Kirchkeim. II. edizione.
(3) LUTHER von Hartmann Grisar S. J. Freiburg in Breisgau. 3. volumi.
Quest’ opera tanto immensa di mole quanto scarsa di valore scientifico (il venerando economista T. Martello direbbe argutamente « un fruito di buccia grossa e di mandorla esigua »), perchè scritta frettolosamente, senza preparazione anteriore dell’ autore, senza nessuna vera profondità di vedute, quest'opera dico è un insigne documento di
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casi specifici (i) ; non indaga, da quell’ uomo eh’ egli è digiuno di studi filosofici, e puro ¡storicista, anedottico, sulle fonti e sugli svolgimenti della teologia di Lutero, ma segue cecamente le orme e gli schemi del domenicano, forse perchè cosa più facile e più comoda.
Il Müller adunque ha scritto il suo libro prima contro il Denifle c poi in linea secondaria contro il Grisar. Nella prima parte delia sua opera dedicata a Lutero^monaco, egli dimostra come le pretese calunnie, le denigrazioni dal Denifle attribuite a Lutero contro il monacato sieno vere falsificazioni del Denifle stesso; o perchè sono cose che Lutero non ha mai dette e mai si sognò di dire, o perchè le son cose che Lutero disse, non egli solo, e le disse con ragione. Esempi: a pag. 319 op. cit. dice che Lutero inganna il popolo in modo da far drizzare i capelli, inventando una formula di assoluzione, con la quale i monaci vengono assolti «lai loro « peccati » in virtù delle loro opere. Ora Müller dimostra con la massima evidenza, che questa formula esiste ancora al giorno di oggi, che è la celebre formula Passio, dell’assoluzione sacramentale che esiste persino nel breviario che tanto avrà usato il Denifle stesso: e che in esso si trova proprio nel senso usato da Lutero, per l’identico uso che fa della parola remissio pecca-tortini, intesa la parola peccatimi nel secondo senso teologico ortodosso di poena peccati, come S. Tommaso d’Aquino.
Di ciò se ne ha la prova nell'unico commento che Lutero fa a quella sua formula, dove si parla proprio della remissio a poena c non della remissio a culpa, facendo uso testuale della definizione della satisfactio, come la esprimono e Dum Scotus e Gersone.
A pag. 399, il Denifle dice che d’ora in avanti dovrà sparire, in ogni leggenda intorno a Lutero, la presunta osservazione di lui, ch’egli, cioè, compisse le opere di penitenza, per essere assolto da Dio, per placare l’ira di Dio, per ottenere un giudice meno severo, per conseguire Dio e il paradiso. Ora Müller dimostra che questa dottrina è moneta corrente anche nella moderna ed odierna teologia, e che ciò insegna, fra gli altri S. Alfonso de’ Liguori. Questi due esempi sono presi fra innumerevoli altri sparsi in nove capitoli del Müller.
Riguardo al teologo poi il Müller (e qui consiste la parte più importante, anzi definitiva dell’opera) dimostra come nessuno, proprio nessuno de’ capisaldi notati dal Denifle, e che veramente si riscontrano nell’edificio teologico
astuzia gesuitica sopraffina; la qual cosa però nel mondo scientifico non conta, ma solo a' fini confessionali. Infatti il gesuita Grisar, giustificando e salvando Lutero dalle tristi calunnie di perversità e di corruzione morale esterna, lo deprime, con l’autorità di autori protestanti, ricolmati di lodi, nella dottrina; non pensando egli che quegli studiosi protestanti erano giustificabili in parte perchè non conoscitori della scolastica; il quale difetto sarebbe per lui ingiustificabile.
fi) Ne diamo uno solo, ma mirabolante. Il Denifle aveva evitato (e il perchè si vedrà chiaro, quando si consideri la sua qualità di domenicano), di trattare del libro di Lutero De servo arbitrio, al quale l’autore attribuiva', ancor pòco prima di morire, la massima importanza ; ne citò soltanto due o tre frasi insignificanti : e i profani non possono darsi una ragione di questo silenzio. Il M filler invece dimostra che na\ De serra arbitrio, Lutero sostiene le medesime tesi teologiche che i domenicani, ancora a’di nostri, sono obbligati per giuramento di professare, e che sono contrarie a quelle dei gesuiti. Il gesuita Grisar in un lunghissimo capitolo dimostra invece una ignoranza
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II. PROBLEMA DI LUTERO E LA CRITICA MODERNA 421
di Lutero, appartenga esclusivamente a questi, nè questi averli insegnati per il primo, nè tampoco averli tratti dà un cuore nienteaffatto depravato. Ciascuno invece di quei punti massimi della teologia luterana essere stati posti ed insegnati dà una lunga schiera di teologi distinti e cattolici del secolo XII, quali, ad esempio, Ugo di S. Victor (f verso 1141), Pietro Lombardo (f 1164), Roberto Pullo (f verso 1150), Pietro da Poitiers (f 1205), Herveus (■{■ 1x23), Rolando Bandinelli poi papa Alessandro III (f 1181), ecc. E, si noti bene, questi teologi cattolici, non solo insegnavano e scrivevano le dette cose al modo che poi le insegnò Lutero, ma proprio con le identiche parole tecniche; così, a mo’ d’esempio, il Deni ile ed il Grisar fanno le più alte meraviglie e cacciano fuori grandi strida perchè Lutero ha chiamato la concupiscenza invincibile^ nel mentre che Roberto Pullo scrisse tutto un capitolo, intitolato precisamente De concupiscenlia veniali peccalo et invincibili.
Questi teologi precursori e fonti di Lutero, che, come vedremo, costituiscono la così detta scuola agostiniana, sono nel fatto sconosciuti a Denifle ed a Grisar; così costoro accusano Lutero di avere falsificato un testo di S. Agostino; nel quale, essi dicono ch’egli abbia sostituito alla parola concupiscenlia la parola peccatomi; ora, manco a farlo apposta, e il Müller dimostra e al solito documenta esaurientemente, quel medesimo testo di S. Agostino, era dai teologi della scuola agostiniana sempre citato all’identico modo, col quale lo riporta Lutero.
Infine notiamo qui, che non si tratta mai di casuali assonanze p consonanze, ma che invece sicuramente di tutto un sistema compatto ed emogeneo, stretto dai medesimi vincoli logici, nel quale tutti, senza eccezione, i capisaldi da noi e dal Denifle riferiti, si trovano e in Lutero e nei sunnominati teologi.
Taluno per avventura potrebbe forse domandare come il Riformatore abbia potuto conoscere tali autori. Il Müller non ce lo dice ancora il come in questo volume, ina noi sappiamo che ne è già sulle traccie più precise e più evidenti. Ma anche non considerando il nesso storico-erudito, noi possiamo logicamente e ragionevolmente far dipendere Lutero da quegli autori. E’ vero, fra di lui e costoro trascorrono presso che tre secoli, e che in mezzo il fiume del tempo è abbastanza largo; pure, se anche non si conoscesse il posto preciso del ponte, vedendo solcando le traccie numerose ed identiche su le due sponde, noi possiamo con tutta sicurezza affermare il transito avvenuto, anche se non ne conosciamo il modo; In questa Rivista ho già combattuto e cercato di mostrare
tale delle dottrine controverse nelle scuole teologiche cattoliche odierne, da rimproverare a Lutero come immorali ed insensati tutti i capi dottrina che i domenicani ancora oggigiorno sostengono.
Ora viene il bello : il Grisar alla dimostrazione documentata del Müller non trova di meglio (op. cit. voi. III. pag. 1020) che di rispondere che ...;. non risponde, e rimanda la difesa alla sua deficenza di senso... critico ai domenicani stessi (risum tene-ahs}, dei quali egli ha intaccate per ignoranza le dottrine, sia pure indirettamente, attraverso il De servo arbitrio di Lutero ’
Ora nel mondo della cultura, fa una trista figura colui il quale incita altrui ad una dimostrazione critica, m ben determinata questione, quand’ egli si sottrae alla dimostrazione stessa.
E basta di Grisar.
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falso il metodo dell’¡storicismo il quale anche in questo caso particolare risulterebbe una pura enumerazióne di dati storici, di fenomeni, Senza nessun legame logico fra di loro, e per cui il fatto principale risulterebbe incomprensibile. E’ ridicola, per chi abbia famigliarità col raziocinar filosofico, la pretesa degli ¡storicisti, i quali non vedendo come il fatto si produca, non sapendo scorgere le ragioni logiche che collegano gli avvenimenti fra di loro, negano addirittura il fatto e 1’accadimento storico.
Però il Mfiller, non ci toglie ogni soddisfazione, e non ci abbandona senza dirci il dove e il come Lutero abbia potuto prendere le cose di cui dicemmo. L’ ultimo pilastro del ponte e con ciò 1’ ultima direzione di lui ci son dati da Mùller quando ci mostra che Seripando, generale degli agostiniani, e cinque di costoro in rappresentanza ufficiale dell’ordine, dopo avere, nel Concilio di Trento, buttato a mare la persona di Lutero, ne difendono però punto per punto tutte le idee da lui sostenute e che noi esponemmo. Fino ad ora si era creduto falsamente che gii Agostiniani, con la loro condotta al Concilio tridentino avessero voluto tentare un?, con dilazione fra la dottrina ortodossa e le dottrine di Lutero. Se non che una simile ipotesi non può reggersi nè psicologicamente, nè razionalmente, quando si pensi che innegabilmente Lutero aveva con la sua ribellione danneggiato assaissimo tutto l’ordine agostiniano, rendendolo sospetto in tutto il mondo cattolico. Se adunque la dottrina di Lutero fosse stata tutta sua di lui, nata da lui come Minerva dal cervello di Giove, senza relazione con le idee teologiche dell’ordine al quale appartenne, il generale di questo e la rappresentanza di esso al Concilio di Trento non l’avrebbero certamente difesa, a costo di compromettersi di più e forse irrimediabilmente. Se malgrado di questo pericolo, Seripando e gli altri difendono eloquentemente il sistema agostiniano-luterano, pure ingenerosamente (oh! la nomina di Seripando a cardinale nel mentre durava il Concilio’), trattando Lutero d’eresiarca e incolpandolo d’ ogni malvagia azióne, è proprio segno che per tradizione quelle idee costituivano un patrimonio spirituale e teologico dell’ordine agostiniano. E però noi possiamo sicuramente oggi affermare, che Lutero trovò la sua dottrina come una delle correnti teologiche dell’ordine religioso che già fu suo; ed infatti un uomo dottissimo e molto addentro nelle difficoltà della teologia medievale, sebbene colpito dall’alto senno critico de’ consultori dell’indice, l’Abate Tunnel, scrive trattando d’una delle fondamentali idee di quel sistema: « Que devenaint pendat ce temps la dottrine de nuptiis? Elle avait trouyè un asile sous le cloìtre des Augustine et s'y perpétuait jusqu’au jour où, associée à des colères, à des rancunes et à une logique à outrance, elle servii à allumer dans l'Eglise un immense incendie. Ce n’est pas le lieu de dire ce que pensa Luther du péehé originel et de la justification.... (x) ».
Si capisce come il gesuita Grisar e i clericali si ribellino violentemente a queste placide constatazioni compiute nella calma della scienza e della meditazione; ed il perchè si è che il sistema di Lutero non è generato dal suo cuore
(i) In Revue d’histoire et de littérature religieuse. Pag. 527. 1902. Nel Muller vedi Prefazione pag. IX.
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depravato e dalla sua « esperienza malvagia »; esso era per contro una non indifferente dottrina teologica per entro del Cattolicismo,' è derivata da una buona santa ortodossissima compagnia di autorevoli teologi.
Pure taluno potrebbe dire che, se Lutero avesse realmente tolte le sue idee da uno dei sistemi dell’ordine agostiniano, egli se ne sarebbe dovuto servire per difendersi contro gli attacchi e le'offese dei difensori dell'ortodossia cattolica. Ma tutto ciò non sarebbe se non un vano sofisma, ed una ragione messa innanzi dai non intenditori di critica teologica. Se noi prendiamo qualunque teologo medievale come Driedo, S. Tommaso d’Aquino, ed in seguito Lutero, noi non troveremo mai, assolutamente mai, nelle loro trattazioni di questioni dogmatiche altre citazioni d’autori, se non di quelli che formano le fonti dell’autorità ufficiali, quali la S. Scrittura ed i S. Padri. Del resto, pachi proprio insistesse, si potrebbe aggiungere che Lutero ha fatto indirettamente allusione alle sue fonti agostiniane, allorquando ha distinto e divisa l’autorità dottrinale fra quella della S. Scrittura e dei S. Padri e quella dei « venerabiles doclorcs ».
Con ragione adunque il Müller assevera che nessuno fra i protestanti dovrebbe adontarsi nel vedere così andare distrutta una presunta originalità di Lutero; la vera originalità di lui non fu quella di essere un innovatore, ma quella di riformatore; di aver avuto la forza di pensare e di attuare una Riforma, giusta il suo desiderio di rimettere la dottrina nelle sue pure e sicure vie indicate dai più saggi dottori, e di ritornare ad una vita religiosa più prossima alla primitiva purità evangelica. Lutero fu Riformatore perchè ricorrendo al sistema agostiniano medievale, non volle che l’idea religiosa stagnasse in un pauroso egoistico ascetismo. Secondo lui, non nelle opere, sì bene nella misericordia divina è la salute dell’uomo; e però ecco la sua ribellione al formalismo chic-siastico e conventuale, che gli faceva abborrire i scimmiottatoti di un atto esterno di un qualunque uomo in odore di santità, tutte quelle pratiche esterne che vorrebbero fare di Dio il debitore per esse dell’uomo, e non l’uomo l’eterno debitore di Dio. Vivere secondo coscienza e secondo il Vangelo, nella fede di un Dio provvido dolce e misericorde; ecco il suo precetto religioso, sano, e fatto tutto per l’uomo come spirito, e non per i servi della materia e delle pratiche materiali.
Denifle e il gesuita Grisar, che si fa forte, come un povero gatto sperduto, delle unghie del leone domenicano, e i clericali, se pretendono di attribuire il sistema di Lutero alla sua esperienza malvagia, ciò fanno in mala fede, o perchè obbedienti a falsi schemi prestabiliti ed irremovibili nell’ ortodossia, o per uno scopo apologetico dell'istituto papale. Poiché provando (il che è ormai impossibile ed assurdo) la presunta originalità dottrinale di Lutero, verrebbero a staccarlo nettamente dalla grande corrente della religione cristiana. Invece Lutero è dimostrato ancora una volta in tutta la sua piena concorde viva attinenza con l’ imperitura dottrina, che provvidenzialmente regge le sorti della religione di Cristo nel mondo, che oscurata dalle male arti degli insani nel tempo dovrà pure un giorno novamente, come un dì la Riforma luterana, coi bagliori di un immenso e formidabile incendio, riprendere poi la sua necessaria via serena e normale.
Il libro del Müller frutto di una lenta meditazione, di lunghi anni di lavoro,
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di pazienti minuziöse ricerche, piccolo di mole', ma tanto più denso di bene elaborata materia, oltre che dare un indirizzo del tutto nuovo agli studi del Riformatore di Wittemberga, ha un altro effetto più immediato, e riflettentesi tutto sulla figura morale e religiosa di lui. Lutero come monaco, e cioè fino al tempo del compimento della sua vocazione, ne esce intatto e purificato dalle colpe attribuitegli dal Denifle; poiché egli si dimostra essere stato scrupoloso osservatore delle regole dell’Ordine, e dubitoso di sè, angosciato da molti timori, mortificatore dello spirito e della carne, senza mai pace, instancabile ricercatore della verità, sempre oppresso dall’enorme e paurosa e insonne domanda se Dio sarebbe stato contento e soddisfatto delle sue opere, ch’egli credeva dapprima per sè stesse efficaci alla salvezza e alla beatitudine.
Questo ricercare con le opere a seconda i\q\\'occamismo che egli professava, il fine religioso, l’aspettazione ultima del buon cristiano, il perdono d’Iddio, giudice severo, ed il paradiso, finì per atterrirlo dapprima e poi destargli ribrezzo; e intorno a ciò è esauriente il Capitolo sulle opere, del Müller. Con la ribellione all’occamismo, (1) la preparazione psicologica di Lutero è completa; Lutero trova una dottrina contraria alla occamistica, quella che il Müller dimostra essere l’agostiniana, già compiutamente elaborata, che gli rende la pace interiore, che gli fortifica la volontà, che gli rasserena e gli allarga l’orizzonte religioso; non è dunque da stupirsi se egli l’abbia accolta e fatta sua con entusiasmo alto e pugnace, pronto a diffonderla come riconosciuta verità.
In che cosa consiste adunque il nocciolo di questo sistema agostiniano-luterano? Dogmaticamente è una pertinace reazione contro l’eccessiva importanza che si soleva, e si suole tuttora, attribuire alle cose materiali, alle forze naturali (intese le rcs naturae nel senso scolastico, e perciò non spirituali) nella religione. La formula di Lutero potrebbe da lui essere dedotta ed espressa così: molto più di soprannaiuralisma. E se taluno movesse la questione che essa potrebbe segnare al giorno di oggi un regresso e non già un progresso, a costui sarebbe pur facile di rispondere. E si risponderebbe mostrando che cosa precisamente intendesse Lutero per soprannaturalismo, ed in qual senso e a quale scopo egli avesse abbassato (cioè rese al loro giusto valore) le cosi dette forze naturali o materiali.
Se l’uomo con esse, come intendevano gli occamisti — anche fra gli agostiniani eranvi degli occamisti al tempo di Luturo, e noi vedemmo come egli stesso dapprima appartenesse a tale scuola —, fosse capace di procurarsi la fede, di trovare Dio e di conquistarsi il paradiso, allora, come che queste cose sono lo scopo della vita, l’uomo avrebbe lo stretto dovere di conseguirle con le proprie forze, e su di lui solo peserebbe tutta la responsabilità se non le raggiungesse. Ora è evidente che un sistema simile non possa addurre la pace
(1) Sarebbe interessante il mostrare come l’occamismo, eh’è una specie di nominalismo, sia un antecedente necessario a molte dottrine gesuitiche, quale, ad esempio, il nominalismo.
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interiore e la serena comprensione della vita (e noi dicemmo delle ambascie e dei terrori di Lutero di quand’era occamista); l'uomo che lo professasse in tutta la sua logicità interna, sarebbe preso e schiacciato da un continuo moltiplicarsi di scrupoli, poiché ogni sua opera dovrebbe essere da lui reputata affatto, inadeguata al conseguimento di quello scopo infinito, il paradiso, eh’ è il culmine delle aspettazioni cristiane. Quest’uomo non tarderebbe ad essere atterrito dal peso delle supposte sue colpe; Dio gli apparirebbe come « cruciato martire che crucia gli uomini », e come giudice sedente in trono, terribilissimo, rex tre-mendae majestatis, secondo appunto 1’ espressione poetica di quei terrori, che è il Dies irae.
L’occamismo fa dipendere il conseguimento della vita eterna, dell’ eterna contemplazione di Dio, ossia della verace conoscenza, solo ed in tutto dalle contingenti forze esterne dell’uomo, e come già dissi, rende Dio debitore dell’uomo, perchè questi lega con le sue opere la stessa volontà di Dio, e non già fa dell’uomo il debitore di Dio il qual fatto d’inversione è abbastanza irrispettoso per Dio e parecchio terrificante per l'uomo); segna, insomma, il trionfo dell’antropomorfismo.
Invece Lutero, secondo la vecchia scuola agostiniana, la quale possiede in sè tutto il germe del sano spiritualismo moderno, riconosce l'impotenza dell’uomo a conseguire la conoscenza di Dio con le sue forze, con le sue opere esterne; e proclama che la fides e la beaiitudo sono doni completamente gratuiti che Dio porge all'uomo, perch’esso abbia la serena fiducia e la forza di compiere, con pace interiore, il proprio compito nella vita. Il sistèma di Lutero è quello del puro sereno forte ottimismo. Egli vuole inspirare nell’uomo la fiducia nella verità e nella misericordia divina; i meriti dell’uomo, derivanti dalle opere, non sono nulla; chè troppo è enorme la distanza fra l’infinito di Dio e la relatività dell'uomo; sola cosa per colmare questo abisso è la grazia è la fiducia in Dio pater misericordiac. Così secondo Herveus e poi secondo Lutero (Müller, pag. 149) questa rinunzia ai meriti personali (praesumplionem humanorum meritorum), genera la pace con Dio: paccm cum Dco fiacii.
E’ sintomatico il raffronto che il Müller (pag. 159) compie fra l'ideale religioso, a questo proposito dei meriti e delle opere, di S. Anseimo, il grande filosofo, e quello di Lutero; vale la pena di riferirlo. Dice S. Anseimo: « Si dixerit sibi (Deus) quia mentisti damnationem die: Damine, mortem Domini nostri J. C patio inter te et mala merita mea, ipsiusque meritum afferò pro merito quod habere debuissem, nec habeo. (Migne, P. L. CLVIII. 685) ».
E Lutero: « Vid: quam vera, et pia est isla confessio, quae nihil sibi de meritis arrogai. Non cnim ait, — cum inulta fecissem, vel opere, ore aut ali-quo meo membro meruissem —, ut inlelligas, cum nullam jusiiliam allegare, nullum meritum iaclare, nullam dignilatem ostentare, sed nudam et solam mi-sericordiam Dei et benignitatem gratuitam exlollere, quae nihil in eo invenit. (E. W. 3. 42.) ».
C’è ih Lutero il presentimento e, in parte, 1’ attuazione di tutto 1’ uomo religioso moderno; egli pone l’uomo di fronte alla sua propria coscienza, lo distoglie dalle pratiche esterne di uno stolto formalismo materialistico, o dal più cupo ascetismo egoistico; ripone la sua fede e la sua speranza nello spirito di Dio datogli gratuitamente, nell'idealità del bene, nella nobiltà delle volizioni,
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in ciò che di più santo è nel cuore d’ognuno. Non più il tragico Dio inquisitore, ma quello semplice e misericorde, più prossimo a noi, degli Evangeli, soccorritore dell’uomo con la sua grazia, benigno compartitore della fralezza umana, incitatore, con l’esempio del Cristo Salvatore, ad ogni azione di giustizia e di carità. E’ celebre l’ironia di Lutero contro la spaventosa concezione del Cristo, raffigurato troppo crudelmente corrucciato, sì, che fu necessario, egli dice, di porgli accanto la gentile soave figura della Madonna per mitigarne il terrore: e questo è anche un primo attacco alla mariolatria che cominciava.
Se la formula dottrinale di Lutero è « molto più di sopranaturalismo », il nucleo centrale, l’idea madre della sua religione è « religione di misericordia ». Perchè è stata adunque, e lo è tuttavia, così aspramente avversata, sì da ricorrere alle calunnie, dall’ortodossia romana? Ecco: perchè se tutta la vita cristiana è, come dice Roberto Pullo, supplicano potius quam meritum, e se il cielo e la fede sono doni gratuiti di Dio, allora il famoso « tesoro dei meriti* superflui » (che pare meglio fornito della cassa di S. Pietro), sarebbe esaurito, accettando codeste idee ufficialmente. E allora non più mercimonio di indulgenze; i monaci e i conventi non potrebbero più vendere la partecipazione a’ loro meriti, e le devozioni particolari con effetti infallibili degli ordini e delle congregazioni non sarebbero più fonti di lucro, con la vendita, a ino’ d’esempio, di scapolari che garantiscono dal precipitar nell’inferno, o dei sette venerdì che salvaguardano dallo stesso pericolo.
Dio padre misericordioso, questo, ripeto, volle Lutero; e la ribellione sua fu la reazione al materialismo chiesastico, la quale anticipa la reazione idealistica moderna contro tutto il materialismo d’ogni foggia che -sia. Tutta la sua religione e la sua Riforma è qui (Müller, pag. 180-181): « Non enim, ut errai Aristoteles, jusla fadendo justi efficiniur, ssd fosti facti óperamor festa, sicut non fil episcopus opera episcopi faciendo, sed episcopus Jactus, facil opera episcopi. Sic non opera fi dei facilini fidem, sed fides facil opera fldci; sic non opera groliam facilini grattavi, sed gì alia facil opera gratiae. (Resol. Conci. Lutter. Conci. Vili.) ».
Questo è il risultato dell’opera critica del Müller, ed è anche il problema religioso intorno a Lutero, che è proprio lo stesso dell’uomo religioso moderno. Deve o non deve essere la vita cristiana, Se il cristianesimo è necessario, affermare col predecessore di Lutero, Hugo di S. Victor, e con tutta la sua scuola: homines gratiae totani sunitnam et efficaciam salutts suae in sola gratta con-sttluunl, scienfes, quod sicut nemo salvatur ex justttia operurn, sic nemo justtfi-calur ex operibus justtsttae; non enim ex bonis operibus justttia, sed ex justttia opera? (Müller pag. 149) ».
L’egoismo dell’ascetismo imbelle, il gravame pauroso del materialismo sterile ed inefficace, ovvero la chiara serena fiducia nella divina grazia e misericordia, che è verità e conoscenza? Questo il problema, che trascende la stessa persona di Lutero; ai volenterosi di aguzzarvi la mente e di accoglierlo in cuore.
MARIO ROSAZZA.
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Il Regno dello spirito è democrazia
A democrazia non ha mai avuto molta fortuna nè g< -dota di molta stima tra gli intellettuali di professione; nell’antichità Socrate, Aristotele e sopralutto Piatone la guardarci) di mal occhio o disprezzarono; nei tempi moderni s’ebbe gli anatemi di llobbcs e di Spinoza; periino i fondatori della Repubblica Americana fecero di tulio perchè, nonostante l'assenza d’ una aristocrazia e d’una dinastia, essa avesse ad essere democratica il
meno possibile; i liberali della prima metà del secolo XIX in Francia, da De Tocqueville a Benyamin Constant credettero in un’antitesi tra liberalismo e democrazia: Augusto Goni te, il fondatore del positivismo, seguendo la tradizione sansimoniana, lanalemizzò come farina del diavolo e fattura metafisica; Renan sognò l’aristocrazia dei filosofi come rimedio ali'anarchia del democratismo, in ciò seguilo da tanti i «mortali della celebre Accademia, tra cui, da ultimo Emilio Faguet. che vede nella democrazia il culto dell’ incompetenza e nella morale e nella religione illusioni o menzogne socialmente e storicamente necessarie creale dai genio delia specie. In Inghilterra Garlyle eresse contro di essa il cullo dell’Eroe e le scagliò gli anatemi furiosi dei Laller day Pamphlet$',Ìo stesso Stuart Mill nel suo aureo opuscolo sulla Libertà, insistè sulla libertà di discussione come rimedio ai mediocrismo inerente e ineluttabilmente trionfante nelle democrazie e sul fatto che in queste le maggioranze sanno opprimere le minoranze progressive e colte e sul fatto che del maggior numero in un dato momento può essere in antitesi
col vero interesse generale permanente del paese spesso rappresentato da una minoranza illuminata o da uno o pochi individui. Il Suinmer Maine, il, celebre indagatore delle antichità del diritto, andò più oltre e mostrò che le maggioranze sono anguste, misoneista, conservatrici, inette: che il mondo non progredisce che per opera di genii individuali e di minoranze audaci e chiaroveggenti; che i periodi in cui queste non sono opprèsse sono nella storia eccezionali e che la democrazia conduce alia decadenza come alla morte. E potrei continuare nominando Ira gli inglesi il Lecky, tra i Russi l’Ostrogorsky tra gli Italiani il Mosca c il Pareto, come. Ira i più dotti sociologi contemporanei, quelli che più insisterono sulla vanità delie speranze riposte nella democrazia; da ùltimo potremmo aggiungervi il Sorel e gli scrittori sindacalisti al suo seguitoignoranti l'interesse
Quando pertanto R. Michels ci si presenta con l’ultima sua opera * La sociologia dèi parlilo politico nella democrazia moderna » (Torino Società tip. Édil. 1912) per dimostrarci che, inesorabilmente, la democrazia, ossia il Ì'overno popolare, dei più o di tutti, è una utopia, che in realtà, sotto tutte e sue apparenti trasformazioni, la costituzione sociale è sempre oligarchica;
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che i molti e i più sono incapaci, che solo i capaci sono pochi e che perciò, nella lotta per la preminenza tra le nazioni, quelle in cui i capaci e i pochi non governano i molti, sono ineluttabilmente destinate a sfasciarsi e a cader sotto le altre; quando il Michels ci mostra con ricchissima e irrefutabile documentazione tolta alia storia o alla politica contemporanea, che i più e i molli non sono che gli strumenti e gli sgabelli delle ambizioni dei pochi e che le ideologie democratiche ed ugualitarie non sono che specchietti per le allodole con cui i più forti e i più astuti attraggono e aggiogano al carro della propria fortuna coloro che non vogliono essere da essi stritol ti, dobbiamo ammettere che egli è-in buona compagnia.
Vuol ciò dire che egli e tutti i suoi precursori abbiano ragione? Un tempo, allo sfasciarsi della mia ortodossia più o meno socialista, fui tentato a crederlo; per qualche tempo l’utopia reazionaria o almeno conservatrice, mi parve la gran verità. Se questa teoria è vera, infatti, i più, gli incapaci, devono ringraziare il Cielo che, esistano i pochi, che, sia pure obbedendo alle loro ambizioni egoistiche, elevano, con le loro stesse rivalità, lutti i loro fratelli minori, di cui sarebbe giusto dir con Aristotele die dìvìdon con gli sciocchi il privilegio di esser governati dai savi';; e coloro che con utopie democratiche ed ugualitarie cercano di porre i più e i molti, che sono gli incapaci, al livello dei pochi capaci minano le radici stesse del progresso e delia civiltà- Se questa teorici è vera, il progresso sarebbe impossibile senza le illusioni dell'eguaglianza civile e politica, della morale e della religione, con cui l’istinto di conservazione della specie soggioga ai propri lini gli impulsi della coscienza dell'individuo.
Ma presto alcuni fatti vennero a persuadermi che se in questa teoria c’è molto di vero, essa è ben lungi dall’essere tutto il vero e che prima di rassegnarci a credere che la realtà ha nel suo seno incurabili contraddizioni e ci nutre di illusioni necessarie per divorare! come Saturno i suoi figli, bisogna almeno cercare di capirla meglio.
Un fallo innegabile è che esistono storici insigni, che hanno immensa esperienza pratica dell'arte di governo, che sono coscienze intemerate e che, non a dispetto, ma a cagione dei loro studi e della loro esperienza, certo superiore a quella d’ogni mero topo di biblioteca, conservano intatta la loro devozione entusiastica alla causa democratica; basterà che io nomini Lord Morley, il segretario del Gladstone per 1*1 riandò, ratinale Segretario di Stalo per l’impero delle Indie e autore dì monografie ammirabili sui Burke, sul Diderot, sul Rousseau, sul Voltaire, sul Cobden e sul Gladstone; e basterà pure che io nomini James Bryce, già segretario pei- lìrlanda, attuale ambasciatore inglese a Washington, studioso deUTinperialisino britannico e autore dello studio più completo sulla vita politica degli Stali Uniti; e basterà finalmente che io nomini l’Hobhouse, un sociologo e filosofo di cultura straordinaria e che in Democracy and Reaction (190o) e in Liberalistn (1911) badalo, assieme con Lord Morley, alcuni dei colpi più formidabili alla dottrina di cui stiamo discorrendo.
L’Hobhouse mostra che questa teoria critica della democrazia è solo un corollario logico inevitabile di quel trasferì mento di concetti meccanici, biologici e antropologici nel mondò sociale e spirituale, clic conseguì ai trionfi del darvinismo e dello spencerìanismo e che non può a meno di seguire da ogni interpretazione del mondo che crede di poter derivare lo spirito dalla natura e che le leggi di questa governino quello. E basterebbe perciò con l’Hobhouse, col Thomas Hill Gr een, col Bosanquet in Inghilterra, con l’Eucken in Germania, col Bergson e col Croce, rispettivamente in Francia e in Italia,
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mostrare ¡’intrinseca contradditorietà di questa Wcltanshauung per togliere a tale critica della democrazia ogni fondamento.
Ma senza ingolfarci in discussioni metafìsiche basterà mostrare due cose: primo che la detta dottrina è invertibile e unilaterale, e, secondo, che completata coi fatti che essa trascura, essa ci permette di veder nella democrazia assai più che essa ci dice di vederci, e mostrando come io me neson redento spero di riuscire a impedire che altri passi per le stesse angosciose transizioni.
Che la delta teoria sia controvertibile e quindi unilaterale, è ovvio a chiunque pensi che non v’è regime per quanto dispotico ed aristocratico che non riposi su di un necessario fondamento di democrazia: il consenso dei governati. Nessun capo o consiglio di capi o classe o casta può avere un esercito o un corpo ai pretoriani o un seguito di discepoli e partigiani se questi tacitamente non s’attendono da lui qualche vantaggio in cambio della loro obbedienza, devozione, ammirazione, ecc; se non altro questo consenso al loro dominio parrà ad essi l'unica alternativa preferibile ad ogni altra. Il che vuol dire che per essere duci d’uomini non si può esser meramente sè stessi e le proprie ambizioni; occorre ancora saper tare di sè stessi c delle proprie ambizioni uno strumento d’interessi più o meno universali; per poter comandare occorre saper servire non solo sè stessi, ma coloro cui si vuol comandare; occorre che il proprio comando non paia ad essi mero arbitrio, ma mézzo al conseguimento di fini che essi riconoscali propri: occorre pensare e formulare e rappresentare articolatamente quel ch’essi sentono confusamente: occorre esserne, in qualche misura, la coscienza e il cervello, ossia essere non solo sè stesso, ma anche loro: occorre essere servi servo-rum popoli, come il Papa è o dovrebbe essere servus servorum Dei.
E questo fatto della controvertibilità di detta teoria ci porta a vedere che cosa le manca- E’ ben vero che i capaci di governare o di primeggiare in arte, in letteratura, in scienza, in cultura, in industria, sono pochi e che gli incapaci sono i più, che devono rimettersi ai primi. Ma anzitutto ognuno di noi è incompetente più o meno in ogni arte ed è capace almeno in quella che esercita; sicché, poniamo, chi è genio in letteratura può essere asino in politica e viceversa; e, in secondo luògo, sebbene sia vero che, ad es, io non so fare scarpe, è pur vero che so dire quando le scarpe ordinatemi mi vau bene o male; in altri termini gli incapaci a governare sono capacissimi di dire, giudicando dagli effetti che ne provano, se sono bene o mal governati, se hanno dai loro governanti ciò die so ne ri promisero nominandoli o tacitamente lasciandoli al timone; ossia, se sono bene o mal serviti. E ad ogni momento l’intera società può essere riguardata come, impegnata in una elezione generale in cui ogni consumatore di beni eh’ ei non sa produrre sceglie, conferma o boccia, pei’ così dire, i produttori di valori (economici, sociali, culturali, estetici, ecc.) corrispondenti; in questa guisa è alla sbarra del tribunale degli incapaci che i capaci si rivelano e senza di essa le élites da aristocrazie aperte e perennemente selezionate diverrebbero caste chiuse: la circolazione delle aristocrazie cesserebbe.
Inoltre anche se la struttura resta sempre la stessa, cioè una sintesi di aristocrazia e di democrazia, non è indifferente che il sangue che per essa circola, sia buono o guasto, e i nostri critici, hanno il torto grandissimo di prendere la democrazia come fosse anzitutto un congegno e non già, anzitutto. uno spirito; essi concentrano la loro attenzione sui meccanismi e trascurano le energie motrici: analizzano il corpo e, com’è naturale e ci disse perfin Mefislofele nel capolavoro Goethiano, si lasciano sfuggire l’anima. Ora è semplicemente ridicolo pensare che i nostri padri si siano rivoltati contro
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Vancien réaime semplicemente per amore del suffragio universale, di questo 0 quel modo di votare, di questo 0 quel tipo di Parlamento o di scrutinio; il vero si è che essi videro in questi meccanismi qualcosa di meglio atto che non fossero i meccanismi del Vancien régime, a perméttere che la vita sociale si lasciasse plasmare dallo spirito di giustizia: la democrazia fu per essi la negazione di privilegi irragionevoli perchè scompagnati da proporzionali responsabilità. In altre parole ciò che coloro che ramano amano nella democrazia è l’ideale elìco incarnatesi in leggi, istituzioni e costumi e fecondante incessantemente la storia, vero e proprio « sale della terra ». Ed allora se la democrazia è, nella sua essenza, l’ideale morale operante nella storia, noi possiamo facilmente renderci ragione del gambero preso da tanti illustri sociologi.
Ad ogni momento nella storia 1’ ideale germoglia come la negazione d’un’ ingiustizia; in periodi in cui il tutto sociale preme oppressivamente sull’autonomia individuale, esso assume forma individualistica e nella sua espressione estrema diviene atomismo; vede gli alberi singoli e non il bosco; in periodi in cui questo indivualismo minaccia di divenir dissolvente, l’ideale elico opera in senso opposto, socialistico, starei per dire, e contro l’arbitrio individuale afferma le ragioni supreme del lutto sociale e va fino al punto di vedere solo il bosco e non gli alberi.
La democrazia contemporanea ha una ideologia derivata dalle correnti intellettuali del secolo XVIII in reazione contro l’accentramento amministrativo delt’ancten regime e fiduciose che il massimo bene di tutti sarebbe il risultalo automatico della eliminazione di istituzioni interferenti con l’islinlo per cui ogni individuo, lasciato alla propria ragione, cerca il massimo piacere e il minimo doloie; sia che sia liberale 0 socialista, le sue formule fanno appello all’ interesse della maggioranza attuale o almeno all’ interesse di classe. E d’altra parte questa stessa democrazia si trova conilo il fatto che la storia della grande industria, la legislazione operaia, lo sviluppo dei tru-sts, le accresciute esigenze igieniche, sanitarie, culturali, ecc, mostrano che ad ora ad ora l’interesse di questa o quella classe, di questo 0 quell’individuo può trovarsi in antitesi con l’interesse generale e permanente della nazione; questa non è dunque solo la somma de’ suoi membri, nè il suo bene è necessaria nenie in egual misura il bene d’ogni suo singolo individuo, se per bene s’intende somma di piaceri o di vantaggi misurabili: di qui l’antagonismo tra la formula utilitaria e l'individualistica della democrazia e la sostanza della vita nazionale come organica e superindividuale; di qui il problema: come esigere dall’individuo una lealtà assoluta verso la patria, che può esigere anche la sua vita?
Il nazionalismo crede di risolverlo col fare appello al patriottismo, al diritto dello Stato sui singoli, al fasto che agli appelli della patria in momenti decisivi il responso è sempre pronto; ma questa, se è una soluzione de facto non è una soluzione de jure\ questi appelli non son vani perchè la patria si presenta a noi già come qualcosa che non è a noi esterno, che non è mero organismo naturale, ma bensì qualcosa che è noi nel medesimo tempo che in qualche grado noi siamo dessa ; ossia qualcosa che trascende le categorie utilitarie e materialistiche dèi nazionalismo italiano e francese.
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Il solo modo di risolvere il problema è lo stesso che si rivelò vero a Platone e ad Aristotele, a Pielite e ad Hegel, e che in Inghilterra ha avuti ad esponenti il Green, 1’ Hobhouse e il Bosanquet ; pel fatto che tutti gli individui umani non sono meramente individui, ma partecipano in una comune razionalità, che li fa persone, essi sono membri gli uni degli altri e rispettivamente la famiglia, la classe, la città, lo Stato, F Umanità sono organismi spirituali, sintesi di forze, di cui le minori trovano nelle superiori il loro sbocco e la loro perfezione e tali che ogni individualità attua tutta la nobiltà di cui è capace proprio sacrificandosi e lavorando pel lutto a cui appartiene, cosi come in una sinfonia musicale ogni nota vive. cioè compie la sua funzione morendo e servendo il tulio di cui è parte essenziale: come nel lutto musicale cosi nel tulio sociale ogni individuo ha una funzione unica, insostituibile, irripetibile da ogni altra, di cui egli è infinita mente responsabile : in un mondo o regno della ragione, nella misura in cui ognuno si sforza di penetrar di ragione la natura, non vi sono antitesi e contraddizioni di sorta.
Ed allora la crisi della democrazia è virtualmente superata : essa è imperitura ed eterna come l'aspirazione umana verso un mondo della Ragione, verso un Regno dello Spirito ; allora, non imporla sotto qual nome, essa vive dovunque si fanno conati per diffondere il cullo del vero, del bello e del buono, per attuare leggi più giuste, per utilizzare latenti energie della natura, per svegliare anime e ingentilire cuori, per accrescere il numero di coloro che partecipano nella creazione e nel godimento e nella comunicazione ad altri di beni e valori universali e imperituri ; la forma passa, la funzione permane; gli interessi dividono, ma lo spirito unisce ; gli individui passano, ma passando sentono in sè la Patria, nella Patria F Umanità, nell’ Umanità Dio; servendo da buoni militi nell’istante che passa l’ora futura essi si sentono più grandi di quel che si sappiano ; e la breve vita cessa d’ essere solo la favola breve del poeta e l'ombra d? un sogno e diviene un lampo d’eternità. L’intellettualismo sghgnazzi e dissolva; il Regno del'o Spirito, se è aristocrazia è anche elenio servigio e democrazia eterna.
ANGELO CRESPI.
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LE GENERAL BOOTH
Une noble vie et une grande oeuvre
£S ombres du soir commençaient à tomber sur Hadley Wood, ce tranquille faubourg de Londres. Dans une villa modeste, loin de 1’ activité fiévreuse de la métropole, se déroulait le drame, toujours poignant, du combat de la vie et de la mort.
Quelques hommes et quelques femmes se tenaient silencieux autour du lit, où, paisiblement, un viellard aux cheveux blancs achevait de vivre. Le souffle du mourant
devenait de plus en plus court, de plus en plus haletant. Un dernier baiser d’une infinie tendresse, fut déposé sur le front pâle, par le fils aîné — un télégram me d’adieu, câblé de 1’ autre côté de 1’ Océan par une fille absente, fut glissé entre les mains déjà raidies, — et ce fut la fin. A io heures 20 du soir, en ce mardi 20 août 19x2, William Booth, fondateur et général de 1’Armée du Salut, déposa son épée, et entra « dans là joie de son Maître ».
L’émotion éprouvée, à cette nouvelle, par le monde tout entier, les ap prédations élogieuses de la presse, les témoignages de sympathie des chefs d’Etat, et la douleur des multitudes, des riches comme des pauvres, les obsèques grandioses faites,, par la population de Londres, à cet homme, jadis inconnu et calomnié, aujourd’ hui universellement populaire et respecté, sont des faits désormais trop connus pour qu’ il soit nécessaire de nous y arrêter. Mais la vie de William Booth, et 1’ enseignement qui découle d’une telle existence, ne sont - ils pas d’un intérêt suprême pour ceux qui « ne vivent pas pour
eux-mêmes ? »
William Booth naquit le 15 avril 1829 à Nottingham. Rien, en lui, ne révéla, tout d’abord, les qualités qui devaient en faire le conducteur d’hommes, le missionnaire persuasif, et le réformateur social, dont l’oeuvre un jour, allait étonner le monde.
Son père, un entrepreneur énergique, fit une fortune rapide, puis la perdit, et mourut alors que son fils était ancore jeune. William entra, ainsi, de bonne heure, dans les affaires, et devint le soutien d’une mère, pour laquelle il ne cessa jamais d’avoir la vénération la plus profonde. Sa famille appartenait a 1’Eglise anglicane, mais il n’avait aucun sentiment religieux; à 16 ans il entra, un soir, dans une petite salle méthodiste, où il entendit un remarquable prédicateur américain, le Rev. Caughey. Ce fut son chemin de Damas. Sur 1* heure, il sentit le fardeau de ses péchés, cria à Dieu pour en être délivré, et reçut le témoignage de Son pardon.
« Six heures plus tard » disait il dans la suite, « j’ entrais et sortais des collages, des rues pauvres de Nottingham, annonçant V Evangile qui m’avait sauvé ».
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Il Generale BOOTH.
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LE GÉNÉRAL BOOTH 433
L? amour de Dieu, et la compassion pour les âmes avaient enflammé ce coeur ardent ; la flamme ne devait plus s’ éteindre.
Dès lors, chacune des heures de liberté du jeune homme fut consacrée à l’ évangélisation. A 17 ans, nous le voyons, debout sur une chaise, dans la rue, annoncer aux passants la parole de rédemption, et, dès qu’ il put quitter les affaires, il se consacra au ministère, et devint prédicateur méthodiste.
Il avait 24 ans, quand il rencontra Miss Catherine Mumford, celle qui devait réaliser le haut idéal qu’ il s’était fait de la femme. Deux ans après, ces deux êtres d’élite furent unis dans les liens du mariage.
Dès cet instant. Madame Booth fut la compagne, l’inspiratrice, la conseillère de son mari. Douée d’une intelligence remarquable, d’une puissance de logique peu commune, elle avait une conception de la vie religieuse et une connaissance de la Parole de Dieu qui firent d’elle plus tard un prédicateur hors ligne, capable de convaincre les classes influentes et cultivées, alors que son mari était l’apôtre populaire par exellence.
En 1858, Mr. Booth fut consacré ministre de la nouvelle connexion méthodiste, et choisi comme évangéliste itinérant. Les foules se pressaient pour 1’ entendre, les conversions étaient nombreuses. Mais la Conférence méthodiste désira limiter cette activité, et le désigna au « circuit » de Spalding.
La question fut discutée publiquement. William Booth eût désiré arriver à un compromis qui lui permettrait de demeurer dans 1’ Eglise qu’ il aimait profondément, mais Mrs. Booth, du haut de la gallerie où elle assistait à la conférence, fit entendre un « never! » décisif. Quelques instants plus tard, les deux époux se rencontrèrent à la porte de l’Eglise, ayant rompu avec tout un passé.
Ils étaient sans fortune, sans relations mais leur foi en Dieu était immuable. De tous côtés, des appels leur furent adressés, et il conduisirent des « Missions de Réveil », en province, dans les Cornouailles, missions bénies s’il en fut. Ivrognes, pugilistes, voleurs, déclassés de tous genres furent « sauvés », relevés. Mais Londres et ses millions de malheureux attirait William Booth, et c’ est là que nous le retrouvons en 1865, parcourant lès bas-fonds, « cherchant du travail » pour le Maître.
Et l’appel vint, pressant, irrésistible. Il rentrait, un soir, après avoir traversé ces rues sombres, horribles de l'East-End, éclairées seulement par les flamboyantes illuminations des gin-palaces. Marchant droit vers sa femme, il s’écria: « Oh! Katie! Katie! tandis que je passais ce soir, devant les portes de ces débits de boisson, éblouissants de lumière, il m’a semblé entendre une voix résonner à mes oreilles, et dire : « Où trouveras-tu des païens semblables à ceux-ci, et des besoins plus pressants ? »
A partir de ce jour il devait vivre pour ces païens des grandes villes. Comptant uniquement sur Dieu, pour subvenir à ses besoins, il se lança à corps perdu dans cette oeuvre de sauvetage, et, s’établissant a Miles End Waste, il prêcha sous une vieille tente d’abord, puis, comme le vent, un soir abattit cet asile, dans une salle de bal et dans la rue.
L’Armée du Salut était créée, en principe. Les auditoires étaient ceux que la rue donnait à William Booth. Les convertis de la veille étaient les prédicateurs du jour. En vérité, c’ étaient « des’publicains et des gens de mauvaise vie » que ces recrues de la Mission chrétienne, mais quels trophées de la puissance de Dieu !
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Quelques aides d’élite, cependant, secondaient W. Booth, — son fils aîné Bramwell, Mr. Railton, entre autres.
Un jour, William Booth écrivait un rapport sur 1’ oeuvre. « Qu' est-ce que la Mission chrétienne ? » demanda-t-il à Mr. Railton. « Une Armée de volontaires ; » écrivit celui ci. « Non » repartit Mr. Booth, « pas de ‘volontaires. car, ce que nous faisons, nous sommes contraints de le faire, par l'amour de Christ. » Et, prenant la plume, il raya le mot volontaires, et mit... du salut. Le nom demeura, les termes militaires suivirent, d’eux-mêmes, simplement, graduellement. Un évangéliste de la Mission chrétienne fut surnommé « le capitaine » par ses auditeurs, de rudes et bruyants mineurs. Le nom de Surintendant général d’abord donné à Mr. Booth fut simplifié en celui de Général. Mrs. Booth suggéra 1’uniforme ; le drapeau à la devise Sang et l'eu, suivit, tout naturellement, en 1878.
Le mouvement s’étendit bientôt à la province anglaise. Les aides da William Booth, hommes et femmes, — car, dès le début, l’égalité absolue des sexes avait été établie dans l’oeuvre, — animés de zèle et d'amour pour Dieu, bouleversaient des villes entières, par leurs simples prédications, et leurs méthodes populaires. Les persécutions étaient souvent violentes; les captants et les halleluja lasses insultés, bafoués par la populace, étaient, d’ autre part, arrêtés, emprisonnés par les magistrats comme fauteurs de désordre. I,’ Eglise ne comprenait pas cette explosion dè 1' esprit religieux, cette « réaction de la vie contre la forme », mais l’oeuvre, qui était de Dieu, grandissait, et des milliers de brebis perdues étaient retrouvées.
Le général et Mrs. Booth avaient élevé leurs enfants en vue du Royaume de. Dieu , et ceux-ci étaient devenus, les uns après les autres, de puissants auxiliaires, se donnant, complètement, à l’oeuvre. L’Angleterre, puis plus tard, l’Amérique, les pays Scandinaves, la France ; la Suisse, l'Allemagne, furent à tour envahis par ces modestes années d'une demi-douzaine de combattants, qui, tout en suscitant une terrible opposition, cherchaient à triompher par la vérité et l’amour. Et, partout, une armée nationale se recrutait bientôt, parmi toutes les classes de la société.
Le Général était l’inspirateur de toutes ces oeuvres. En véritable Napoléon spirituel, il savait, par sa parole, par ses écrits, surtout par son exemple, soulever l’enthousiasme du bien dans les coeurs de ses officiers, ranimer en eux 1* esprit de sacrifice toujours si prompt à disparaître, retremper la foi en Dieu. Mais une épreuve terrible devait le faire ressortir du creuset de la souffrance, plus fort et plus compatissant encore.
En 1888, Mrs. Booth fut atteinte d’un mal qui ne pardonne pas, et elle eut à annoncer elle-même à son cher mari que ses jours étaient comptés. Il est difficile d’exprimer ce que ceci signifiait pour le Général. Depuis leur mariage, leur vie avait été une association de tous les instants, dans toutes leurs pensées, dans toutes leurs aspirations. Malgré les différences très grandes de leurs caractères, 1’ un était, pour ainsi dire, la contre partie de l’autre, 1’ union du coeur et de F âme, chez eux, était parfaite. Le Général, toujours sur le qui-vive, avait un esprit débordant de projets, une nature demandant l'action immédiate. Mrs. Booth avait une âme calme, pondérée, un esprit critique, à 1’ analyse sûre, qui, toujours, cherchait à appliquer le remède à la souffrance. Elle avait été la com-
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pagne idéale, la mère incomparable, — eL elle lui annonça sa mort prochaine... « Je ne pus lien répondre, » dit-il plus lard, « je ne pus que me jeter à genoux près d'elle, et essayer de prier ».
De longs mois de maladie s’écoulèrent, et, souvent, ce fut au chevet de ce lit de douleurs que le Général écrivit les pages si poignantes de son livre Dans les Ténèbres de l' Angleterre, et comment en sortir.
H avait senti que la prédication ne suffisait pas, qu’il ne fallait pas chercher à changer le coeur seulement, mais aussi les circonstances de ces classes déshéritées, faites des pauvres, des vicieux, des criminels. Les enquêtes menées par scs officiers lui avaient révélé un abîme de misère et de souffrance qui, dépassait toute imagination, et avec son ardente charité, sa foi tenace, il était décidé à soulager cette souffrance, à remédier à cette misère.
Le 20 octobre 1888 Mrs. Booth mourait. Le Général entouré de milliers d’officiers et d’amis, prononça sur son cercueil, un discours tout vibrant d’amour et de reconnaissance pour celle que Dieu lui avait donnée, et qu’il venait de reprendre. Et, devant cette tombe ouverte, il renouvela sa consécration au soulagement de la douleur humaine.
Il devait tenir parole. Huit jours après, son ouvrage Dans les Ténèbres de T Angleterre sortait de presse, accompagné d’une demande de 2.500.000 francs pour lancer son projet de sauvetage. L’Angleterre, généreusement, rapidement, souscrivit la somme demandée, et, en échange, elle-allait voir se créer ces merveilleuses agences sociales qui ont été l’instrument du salut de milliers de malheureux.
Depuis lors, malgré les difficultés inhérentes aux oeuvres de ce genre, malgré les attaques injustes de critiques malveillants, — attaques dont ils devaient, eux-mêmes, finir par reconnaître l’inanité, — 1’ oeuvre sociale du général Booth s’est étendue dans les 51 pays, où flotte la bannière salutiste.
Quelques statistiques montreront, mieux que des mots, ce que cette oeuvre a fait, en Angleterre seulement, depuis ses débuts jusqu’au 30 septembre 1911.
Repas fournis aux .cuisines populaires : 84.322.527
Logements à bon marché pour les sans-foyer: 32.880.644
Réunions tenues dans des asiles: 157-964
Demandes d’emplois enregistrées aux bureaux du travail: 336.209
Sans travail reçus dans les atelier d’assistance par le travail : 79-347
Emplois (temporaires on permanents) trouvés pour : 275.059
Anciens criminels reçus dans des homes : 9-790
Anciens criminels assistés, rendus à des amis, pourvus de situations, etc.: 10.268 Recherches de personnes disparues: 52.493
Personnes disparues retrouvées: 14.464
Femmes et jeunes filles reçues dans des maisons de relèvement: 51.698 Femmes et jeunes filles reçues dans des maisons de relèvement, pourvues ensuite de situations, rendues à leurs familles, etc: 43-781
Familles visitées dans les bas-fonds : 1.235.208
Cafés visités j . $9&TTJ
Malades visités et soignés:; 13&389
A partir de 1890, le Général voyagea continuellement, visitant les cinq
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continents en vue de faire avancer le règne de ia Justice. Les institutions sociales s’ étaient répandues partout, et les chefs d’Etat se plurent à reconnaître l’oeuvre moralisatrice et philanthropique de l’ami des pauvres, en lui accordant des audiences particulières. Le roi Edouard VII, la reine Alexandra, les rois de Norvège, de Suède, de Danemàrck, le Mikado, le président Taft, le reçurent, et conférèrent longuement avec lui.
Le 9 novembre 1905. la ville de Londres lui présenta la Bourgeoisie de la cité de Londres. Sa ville natale, Nottingham, fit de même. En 1907 1’Université d'Oxford lui donna le titre honoraire de D. C. L. (1).
Lord Curzon, dans le discours de réception qu’ il prononça à cette occasion référa à William Booth comme au « vénérable et compatissant Patron des classes déshéritées de l’humanité, et Commandeur en chef de ¡’Armée qui sauve les âmes ».
Mais tous ces honneurs n’ éloignèrent jamais le Général du but unique et suprême de sa vie : le salut de l’âme et des corps. Il disait, un jour, à Cecil Rhodes, dans une entrevue qu’ ils eurent ensemble à la Maison du Parlement de la ville du Cap ; « Je ne puis jamais voir une souffrance quelconque sans « me demander deux choses: Quelle est la cause de celte souffrance, et que « puis-je faire pour la soulager? »
Et la multitude des malhereux, des submerges sentaient cette compassion, et ne ménageaient pas leur affection au cher Général.
Par une froide soirée d’hiver, alors que le Général, quittant Londres pour Saint Pétersbourg, descendait de fiacre, à la gare, un pauvre, sans travail, hâve et maigre, s’approcha de l’officier qui accompagnait le noble vieillard: « Le Général part? » dit-il « eh bien, prenez-en grand soin. C’est rude, pour lui, de voyager par ces nuits glacées, et, vous savez, nous autres malheureux, nous avons besoin de lui, et de ceux qui lui ressemblent ».
Le Général, qui avait entendu ces paroles, disait, par la suite, qu’ aucune marque d’approbation ne l'avait ému comme celle-là.
En 1907, au cours d’une tournée en automobile, le Général reçut dans l’oeil une poussière qui provoqua bientôt une inflammation. Une opération immediate fut reconnue nécessaire, et, finalement, il fallut faire l’ablation de 1’ oeil droit. L’ oeil gauche était déjà atteint de la cataracte. Et le monde vit alors ce spectacle étonnant d’un vieillard de 80 ans, presque aveugle, qui continuait son existence de missionnaire itinérant. « On veut me traiter en vieillard » disait-il souvent, « et je me sms un jeune homme! » La Scandinavie, la Hollande, l’Allemagne, la Suisse, l’Italie, (où il fut reçu au Capitole par le syndic de Rome) furent visitées par lui.
Le 16 mai 1912 il tint une réunion grandiose à l’Albert Hall de Londres devant 12000 auditeurs. L’allocution vibrante qu’il prononça en faveur des malheureux, le témoignage d'amour et de foi en Dieu qu’il y donna, resteront éternellement présents à la mémoire de ceux qui eurent le privilège
(1) Doctor Civil Law.
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de l’entendre. Il termina son discours par un de ces traits d’humour qui lui étaient si habituels : faisant allusion à la seconde opération qu’ on allait tenter pour éviter la cécité absolue: « I am going into docks for repairs. (1) A-dieu, camarades et amis ». Ce furent ses dernières paroles en public. L’opération réussit d’abord, mais une inllammation se produisit bientôt, et l'ablation du dernier oeil dut être faite, à laquelle succédèrent une grande faiblesse, un état pénible d’insomnie. Pendant trois mois ce furent des hauts et des bas, mais le grand vieillard espérait encore, croyait toujours à la guérison possible.
Puis il comprit que la fin approchait: « J’ai terminé ma course; » dit-il à son fils, le 27 juillet.
Il vécut encore trois semaines, donnant ses signatures, malgré sa cécité absolue, s’intéressant aux plans d’extension, en Chine particulièrement. Le mercredi, 14 août, au matin, il dit à son fils Bramwell ses dernières paroles conscientes: « Les promesses de Dieu sont certaines, certaines, certaines! » Puis il s’endormit. Durant six jours encore il demeura, paisible et sans souffrance. Puis le mardi 20 août, son âme, purifiée par le sang de Jésus, et vaillante au combat, entra dans la Paix éternelle.
Quel fut le secret de cette existence prodigieuse? Quelle fut la cause des résultats tangibles, acquis par ce labeur de 65 ans? (2) Quels étaient les traits caractéristiques de cette âme indomptable? Ces questions se poseront, tout naturellement, à l’esprit de nos lecteurs.
Ce secret, cette cause, ces traits, nous les trouvons tout d’abord dans la compassion sans bornes qui animait William Booth.
« Le secret du Général Booth, » a écrit Mr. Harold Begbie, « réside dans « sa sympathie merveilleusement parfaite et passionnée avec la souffrance et la « douleur. Son enthousiasme contagieux fut la cause visible de son extraordi-« naire succès, mais la cause cachée de cet enthousiasme, c’était la réalité vivante, « trépidante de cette sympathie pour la souffrance. Quand il parlait à quelqu'un « par exemple, des souffrances endurées par les enfants d’un ivrogne, il é-« tait manifeste que lui-même éprouvait les tortures et les agonies de ces mal-« heureux enfants, il les sentait, les subissait, sa figure le montrait » (3).
Et cette compassion de William Booth était universelle. U souffrait, pour la femme tombée de Tokio autant que pour les sans-travail de Londres ; pour l’enfant affamé des Indes autant que pour les criminels libérés d’Europe ou d’Amérique. Un jour qu’ il voyageait en Italie, une officière attira son attention sur la beauté du paysage : « Ah ! c’ est là ce que vous voyez ? » lui répondit-il, « ce que je remarque, moi, ce sont ces petites vignes échelonnées le long de ces montagnes. Pensez au labeur que cela implique pour ces pauvres paysans. Voyez ces femmes qui travaillent la terre. Ne peut-on rien faire pour alléger leur sort ? ».
Puis intervenait cet esprit toujours alerte, cette foi extraordinaire, que rien
(1) Presque intraduisible: Les docks sont les ateliers de réparation où l’on amène les navires,à calle sèche. Je vais aux docks, pour être réparé.
, (2) L' Armée du Salut compte, actuellement, 20.000 officiers et des centaines de milliers de soldats,travaillant dans 51 pays et colonies.
(3) Harold Begbie - The Daily Chronicle - du 22 août 1912.
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n’ébranlait, qui se renouvelait sans cesse. Il considérait qu' aucun homme ne pouvait se croire en sécurité, et ne devait atteindre son développement complet, avant d’avoir donné son coeur à Dieu, complètement, entièrement. Dans ce domaine, il était aussi exigeant que Saint-Augustin, cl il ic criait à tous, ce credo qui réclamait un coeur purifié entièrement, et une volonté abandonnée à Dieu.
Aussi cette foi devait voir des milliers et des milliers d’êtres, vils et tombés, transformés en des créatures intelligentes, conscientes de leur immortalité et remplies d’un admirable esprit de dévouement envers I’ humanité.
Enfin, 1’ humilité du Général nous semble couronner son caractère; Il se demandait toujours comment mieux faire, comment mieux dire, comment mieux atteindre les coeurs. Son ag mie d’âme avant ses réunions était toujours profonde et poignante.
Ajoutons à ces qualités spirituelles l’esprit-né du commandement, la sollicitude pour tous, l’indomptable bravoure, — qui le gardait toujours .w le pont alors que des tempêtes de tous genres se déchaînaient autour de lui, — 1’ horreur de la superficialité, l’ardeur au travail et la concentration de toutes les énergies vers un but unique et altruiste, et nous comprendrons mieux le succès de sa carrière, succès tel que ç’ est avec raison qu' on a pu dire qu’ « aucun « nom n’ est gravé aussi profondément dans I’ histoire de son temps, que celui « de William Booth, fondateur et Général de 1’ Armée du Salut » (i). Et il nous semble entendre la voix de ce serviteur de Dieu et de I’ humanité ajouter:
« A celui qui nous aime, qui nous a délivrés de nos péchés par son sang, et qui a fait de nous un Royaume, des sacrificateurs pour Dieu son Père, à Lui, soient la gloire et la puissance, aux siècles des siècles » (2).
Lausanne, septembre 1912.
BLANCHE PEYRON-ROUSSEL.
(1) The Christian World - 22 août 1912.
(2) Apocalypse • 1 - 5-6.
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Lo stato attuale delia critica biblica
DEL NUOVO TESTAMENTO/«)
Che è la critica biblica e quali sono le sue ragioni di essere.
critica biblica non è molto in favore in certi ambienti religiosi; ed è certo che molti eccellenti cristiani aggrottano le ciglia quando in un programma di studi pei giovani vedono inserto anche questo argomento pericoloso. Tuttavia non si deve esitare a parlarne perchè è quistio-ne di primo ordine, e penso che nessun cristiano ha il diritto di disinteressarsene.
D’onde viene la diffidenza che si ha per la critica? In gran parte da pigrizia intellettuale, dalla paura delle idee nuove. Forse anche dal suo nome.
Criticare è dir male della gente ; è cercare dappertutto le minuzie, il pelo nell’uovo. E allora ci si è figurati il critico come un pedante che scruta colla lente le piccole imperfezioni che possono trovarsi nella Bibbia, ansioso di scoprire delle contraddizioni e delle inverosimiglianze ; pervenendo a poco a poco a ridurre tutto in polvere in questa parola che è stata la forza e la vita per tante generazioni.
Che certi dotti abbiano nel loro compito recato questo manco di rispetto, questo bisogno di demolire per demolire; che talvolta, esasperati da criteri di giudicio ultra conservatori, abbiano forzato il pensiero loro ed abbiano cercato lo scandalo, non è da dubitare. Ma tutte le scienze hanno dato luogo a scarti siffatti, senza che però si pensi a condannarle in blocco per questo.
Criticare, propriamente, non significa dire del male; ma, secondo il vocabolo greco da cui deriva, vuol dire esaminare attentamente, giudicare imparzialmente.
La critica biblica è dunque lo studio scientifico della Bibbia.
Questo studio è necessario?
No, se nel mondo ci fossero soltanto dei cristiani molto semplici che volessero fare della Bibbia solo un uso pratico. Essi avrebbero il Libro Sacro coi tesori che rinchiude, vi troverebbero le parole e le istruzioni che sarebbero necessarie ad essi pei bisogni di ogni giorno; che potrebbero desiderare di più ? Disgraziatamente (o fortunatamente) il mondo non è riempito soltanto di tali
(0 Questo notevolissimo studio dell’egregio prof. !. Breitenstein, professore di E-segesi del Nuovo Testamento all’università di Ginevra, fu esposto in un corso dato al « Camp d’Etudes Unioniste » tenutosi a Le Sentier in luglio 1912.
M. FALCHI
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BILYCHNIS
cristiani. Ci sono anzi tutto gli avversari del cristianesimo, o semplicemente, i liberi pensatori.
Questi, vedendo i credenti chini sulla loro Bibbia, si domandano che sia questo libro. E poiché non hanno essi gli stessi motivi di riguardo che hanno i cristiani, lo studiano con inesorabile severità.
E allora, che fare ? Bisogna rifiutarsi di rispondere ? Chiudersi in un prudente silenzio? Dare a credere che la Bibbia non resiste all’esame scientifico? Ma allora, sotto l’apparenza di difenderla, sarebbe uno screditarla. No; bisogna riprendere il lavoro della scienza profana, servirsi degli strumenti di essa, seguirla sul suo terreno, avere il coraggio di darle ragione, quando l'ha. per essere poi forti contro di essa quando essa si inganna.
Questo è la critica biblica; la critica biblica che per proteggere la Bibbia contro i suoi detrattori, si sforza di afferrare nettamente e in verità quello che essa è.
Ma non è tutto. La critica biblica non è solo una reazione contro degli attacchi venuto dal mondo profano, essa è anche il risultato di un bisogno dei credenti stessi.
Infatti non è di tutti di accettare senz’altro, adocchi chiusi, le affermazioni altrui.
Quando mi si dice « Prendi la Bibbia e credi quello che essa ti dice », io sono ben disposto a farlo, ma dopo tutto vorrei ben sapere che cosa è essa e d’onde provengono i libri che la compongono.
Voglio da me stesso rendermi conto di questo; altrimenti che cosa avrei da rispondere al cattolico che crede nel suo catechismo perchè il suo curato gli ha detto « tu devi farlo; è la verità »; o al mussulmano che crede nel suo Corano perchè il suo prete gli ha dato lo stesso ordine?
Se si accetta senz’ altro una base di credenza, semplicemente perchè qualcuno T ha imposta, ogni leale intesa tra gii uomini diventa impossibile e bisogna disperare di ogni progresso.
Quindi molti cristiani desiderano aggiungere la scienza alla fede, desiderano di sapere «pici che sia in realtà questa Bibbia dove essi attingono la loro forza.
E anche tutto ciò è « critica, biblica ».
Con ciò spero di avere fatto sentire che essa non è nè un di più, nè uno spauracchio ; e che vale la pena di occuparsene e di preoccuparsene.
Del resto non è una cosa nuova, anzi è vecchia quanto il cristianesimo. Si può dire che il patrono della critica biblica è lo stesso apostolo Paolo, non certo quanto al metodo, ma quanto all’ardire ed alla indipendenza dei suoi punti di vista.
Raramente è stata emessa un’ idea così originale e nuova come è quella di Paolo relativa alla legge. L’avere un antico ebreo potuto affermare che la legge altro non era se non una specie di accidente nella storia del mondo, che essa non era l'essenziale nella religione giudaica, e che il suo scopo era di produrre la trasgressione, l’avere fatto questo è cosa del lutto straordinaria.
Se i Farisei avessero letto l’epistola ai Galati, Paolo l'avrebbe pagala cara e sarebbe slato certamente lapidato come lo era stato Stefano il quale pure era ben meno radicale di lui.
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UNA PAGINA (ridotta) DEL
MANOSCRITTO ALESSANDRINO
CONSERVATO NEL MUSEO BRITANNICO
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LO STATO ATTUALE DELLA CRITICA BIBLICA 441
Noto di passata die la distinzione fatta da Paolo, in nome del suo istinto religioso, tra fede ed opere della legge, tra promessa e legge è precisamente il fondamento, stabilito con altri mezzi, dell’ alta critica moderna tanto biasimata.
Infatti tutto il lavoro di essa mette capo anche a questo, di distinguere nell'antico testamento due religioni, quella dei preti, o della legge, e quella dei profeti o della fede; ad a mostrare, come lo fa Paolo, la superiorità della seconda sulla prima.
partire dal 30 secolo si ripigliò a fare della critica biblica, ma stavolta a proposito di ciò che era in via di divenire il Nuovo Testamento.
Le opere attribuite agli apostoli, e che ponevano all'ombra dell’autorità di questi ultimi le loro pretese dottrinali, ormai si moltiplicavano ; d’ altra parte apparivano numerose eresie che la chiesa, desiderosa di costituire una forte unità, si credeva in dovere di combattere. Bisognava dunque operare una scelta fra tutti questi libri cosidetti ispirati, ed opporre agli eretici le opere contenenti la sana dottrina. Ed ecco allora i teologi d*allora fare inchieste, riunire il maggior numero di notizie che possono circa la composizione delie opere degli apostoli, sforzarsi di mettere la storia a servizio del dogma; in somma eccoli, a modo loro, fare della critica biblica.
Questa continuò per molto tempo perchè nulla v’è di più falso che immaginarsi che il Nuovo Testamento sia stato riconosciuto da tutti nella sua totalità e senza discussione tale quale noi l'abbiamo oggi. L'Apocalisse, per non citare che un esempio, ha sollevato discussioni appassionate; e non è che al Concilio di Trento, 1’ 8 aprile 1546, che i libri riconosciuti come cononici furono definitivamente catalogati in un decreto ufficiale.
Il protestantesimo, dai momento stesso della sua apparizione, dovette fare della critica biblica. C’era obbligato dal suo stesso principio informatore. Al-l’autorità della Chiesa esso opponeva quella delle Sacre Scritture. Ma i cattolici avevano buon giuoco per attaccarlo. « Voi, dicevano ai protestanti, voi non volete saperne della Chiesa, ma chi dunque ha formato la Bibbia alla quale vi afferrate? E’ la Chiesa ! Chi ha esclusó da questo libro le opere senza valore, chi ha affermato l'ispirazione e l’autorità di quelle che vi si trovano? E' la Chiesa ! ».
Bisognava dunque studiarla direttamente e conoscerla in un modo, per quanto è possibile, esatto e scientifico.
Lutero si mise arditamente a tale lavoro, traendo con vero coraggio le ultime conseguenze dei suoi principi critici. Il suo grande principio, che disgraziatamente non poteva condurlo a risultati molto solidi dal punto di vista storico, era d’ordine dottrinale. Eccolo; tutto quello che nei Nuovo Testamento predica Cristo e la salvezza per mezzo della fede è ispirato e quindi apostolico. Tutto quello che predica la salvezza per le opere non lo è.
Partendo da tale principio egli rigettava 1' epistola di Giacomo, dicendola « epistola di paglia ». Questo era fare della critica bìblica con metodo difettoso, ma infine era deila critica biblica.
Dopo ciò comincia quello che si chiama il regno della scolastica protestante, e l'autorità e l’ispirazione delia Bibbia non entrano più in discussione. Se qualcuno si permeile di emettere dei dubbi su tale o tale punto accettato da tutti, lo si tormenta tanto che gli si impone silenzio.
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BILYCHNIS
Giunge il XVIII secolo; è il tempo del libero pensiero, del razionalismo filosofico, del deismo. Gli avversari del cristianesimo attaccano la Bibbia : essi chiedono maliziosamente ad ogni libro il suo certificato di origine. Questo certificato bisogna fornirlo, bisogna difendere il libro sacro. Naturalmente per ciò bisogna studiare da vicino le questioni ; appariscono dei problemi che non si supponevano e vengono poste delle quistioni che bisogna risolvere. In questo momento la scienza si mette a camminare con passi da gigante ; fa la sua apparizione, in ogni dominio, la storia scientifica ; lo spirito scientifico si sviluppa e si diffida delle conclusioni troppo facili del passato ; si vogliono dei documenti e si sottomettono questi ad un esame severo.
Ed eccoci in piena critica moderna, in questo grande movimento che ha prodotto nel XIX secolo un numero incalcolabile di opere d’ un valore immenso, movimento che non si arresterà finché lutti i problemi non saranno stali risolti, o riconosciuti scientificamente per temporaneamente insolubili.
Del resto non è solamente il bisogno di conoscere, caratteristica dei tempi moderni, e il dovere di difendere la Bibbia, che hanno dato alla critica biblica la prodigiosa estensione che essa ha assunto nei tempi nostri. Essa è nata d' altra parte dai bisogni stessi della coscienza, più illuminata ora che nei secoli precedenti.
Uno dei primi autori che abbiano fatto dell’ alta critica dell’ Antico Testamento è ¡’inglese Colenso, che fu destituito nel 1864 dalla Chiesa Anglicana appunto a cagione delle sue vedute critiche sul Pentateuco. Ora ecco come sorse in lui l’eterodossia. Fino allora molto conservatore, era stato nominato vescovo di Nata! nel 1853. Colà aveva posto inano a tradurre la Bibbia in lingua cafra, per l’uso degli indigeni. Perciò aveva ricorso all’ aiuto di un povero Zulù che gli serviva da traduttóre. Erano arrivati al passo di Esodo XXI. 29.31 «Se il bue colpisce ed uccide un uomo od una donna, sarà lapidato, e il suo padrone sarà messo a morte. Se il bue uccide un figliuolo od una figliuola, gli si applicherà ancora questa legge. Ma se uccide uno schiavo od una schiava, si pagheranno 30 sicli d’argento al padrone dello schiavo e il bue sarà lapidato .... »
Allora il semplice ed umile negro chiese a Colenso : « E’ proprio Dio che dice questo? »
E il grande vescovo, in nome del Dio di Gesù Cristo, gli rispose «No!» Fu questo il suo primo passo sulla strada della critica biblica.
Carattere della critica biblica attuale*
Ho cercato di mostrarvi il buon diritto di questa scienza, e come essa è stata resa necessaria dai bisogni dei tempi, dallo spirito e dalla coscienza degli uomini : prima di esporre quali sono i suoi risultati attuali, mi rimane da dire quale è il carattere della critica biblica contemporanea.
Si può affermare che essa si sforza di essere oggettiva e scientifica il più possibile; cioè essa si sforza di non lasciarsi influenzare da qualche interesse .apologetico o dogmatico. Essa non si occupa delle conseguenze dottrinali che si potranno dedurre dai suoi risultali. Questo è compilo dei teologi. Essa vuol essere storica e letteraria. Essa considera i libri della Bibbia per delle opere let-
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LO STATO ATTUALE DELLA CRITICA BIBLICA
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terarie, e nello studiarli essa mette la stessa cura la stessa minuziosa imparzialità che se studiasse i Dialoghi di Platone o gli scritti dei Padri Apostolici.
Di fronte ad ogni scritto della Bibbia essa cerca anzi tutto in quali autori ed a che epoca si constata che il libro è stato conosciuto. Essa si chiede se la tradizione gli ha sempre attribuito 1’ autore che noi gli attribuiamo ora. In una parola, essa raccoglie tutti gli elementi esteriori; ed essi sono talvolta abbast' n-za numerosi e contradittori.
Quest’ordine di ricerche si chiama la crìtica esterna, alla quale si collega la storia del canone (Reuss, Loisy). Dopociò viene l’esame dell’opera in sé stessa; ci si sforza di trovare, nelle particolarità di essa, nel carattere della sua lingua, nei suoi rapporti con altre opere piu o meno contemporanee, dei dati sul suo vero autore e sull’epoca della sua composizione. Questa è la crìtica interna.
Ma non è tutto, la critica studia attentamente il testo stesso dell’opera e cérca di ricostituirne il tenore primitivo. Questa è la crìtica del testo. Quest’ ultima è la più nota al gran pubblico ; essa è ben interessante ed istruttiva ed alta ad allargare in singolare modo i nostri punti di vista. Sarà perciò opportuno dirne qualche parola.
I risultati della critica del testo.
Lo studio scientifico del testo del Nuovo Testamento è stato intralciato fino alla fine del secolo XVIII da uno spirito di partito preso dannoso di cui è colpevole, non il cattolicismo, ma l’ortodossia protestante. Voglio dire del-l’autorità attribuita dagli ambienti dei credenti a quello che si chiama lexlus receptus (testo ricevuto).
Questo testo ha una storia ben singolare e, quando la si conosce, si vede come sovente le idee più forti e più salde riposano su dei semplici pregiudizi.
Ecco in poche parole la storia del « textus receptus ».
La primissima edizione del testo greco fu un’aldina pubblicata a Venezia. Fu stampato il solo evangelo di Giovanni e ciò per riempire i fogli vuoti di un’ altra pubblicazione, sicché si hanno due fogli di testo biblico per ogni quintèrno del volume.
Il primo teologo che abbia stampato un Nuovo Testamento greco completo è un dotto spagnuolo, il cardinale Ximenes. Egli pubblicò una monumentale edizióne della Bibbia in 6 volumi ed in più lingue, senza però possedere grandi conoscenze scientifiche. Questa edizione è nota sotto il nome di edizione di Alcalà.
L’Antico Testamento occupa i primi 4 volumi in foglio; i quali contengono su tre colonne i testi ebraico, latino e greco, il latino ha il posto d' onore (è detto nella prefazione, che è come il Cristo tra i due ladroni). Il 50 volume contiene il Nuovo Testamento latino e greco; esso fu pubblicato pel primo nel 1514; la Bibbia intera seguì nel 1517; cioè più di 60 anni dopo la invenzione della stampa.
Da questo momento le edizioni del Nuovo Testamento greco divennero abbastanza numerose, sopratutto a cagione dei lavori d’Erasmo che lavorò per lo stampatore Froben di Basilea, e degli Estiennes, famosi editori e stampato-
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ri di Parigi e di Ginevra. A Ginevra ugualmente Teodoro di Bèze pubblicò degli interessantissimi testi greci dei Nuovo Testamento.
L’interesse si destava per questo genere di lavori ; si studiavano più attentamente i manoscritti che si possedevano ; se ne scoprivano altri ; per cui questa scienza avrebbe potuto prendere un grande slancio, quando nel 1633 gli Elzevir pubblicarono un piccolo Nuovo Testamento greco fatto specialmente in base alla 1. edizione di Teodoro di Bèze del 1565 ed alia 4. di Rob. Estienne del 1551 ; e. sia per ingenuità, sia a scopo di ridarne, essi stamparono nella loro prefazione questa stupefacente frase: « textum ergo habes, nane ab omnibus receptum, in quo nihil mutatura aut corrùptum daraus ». Quel che è stupefacente è questo che la Chiesa, che non ha mai molto amato i cangiamenti, abbia accettato senza batter ciglio questa affermazione. Di modo che non vi fu più mezzo durante dei secoli di corregere il testo del Nuovo Testamento e la potente Società Biblica Britannica c Forestiera continuò a pubblicare fino a questi ultimi anni il textus receplus.
Fu Nestle il quale recentemente riuscì a spezzare l’incanto e ad allargare il campo per la costruzione del testo genuino.
Se la frase degli Elzevir era una ridarne, si può dire che mai nella storia di questa industria si vide un tale successo. Ma la verità è più forte di tutti i pregiudizi ed anche della chiesa, ed ha finito per farsi strada. Un grande numero di dotti specialmente Tischendorf. Orth si assoggettarono a enorme fatica per ricostruire il testo primitivo.
Nei primi secoli dell'era cristiana, specialmente in oriente ed in Egitto, si scriveva su papiri, e le scoperte di grandi quantità di scritti di quell’ epoca mostrano che tutto quanto concerneva la vita popolare, conti, lettere, contratti veniva scritto sui preziosi ma fragili fogli. Su fogli di papiro dovettero essere da principio scritti epistole ed evangeli ; e solo in seguito, data la fragilità e la poca durata di documenti che passavano per molte mani, si pensò a ricopiarli su pergamena, scrivendo prima in caratteri maiuscoli (manoscritti unciali) e poi in corsivo.
Si può dire che le fonti di studio per la critica del testo sono ora le seguenti :
1) Manoscritti su pergamena — unciali c corsivi;
a) si hanno 161 manoscritti unciali, con tutto il Nuovo Testamento o con solo parte di esso.
<?) si hanno 2304 manoscritti in minuscolo.
e) si hanno 1547 manoscritti sezionari con brani od estratti, c inoltre 14 papiri sezionari.
Di più si hanno gli oslraka, cioè cocci scritti con brani del Nuovo Testamento, seguendo un’abitudine che nel mondo greco durò per più centinaia di anni e che cominciata parecchi secoli prima di Cristo occupa i primi secoli dell’era cristiana. In tutto circa 4000 manoscritti del Nuovo Testamento.
2) le antiche versioni, condotte su manoscritti più antichi di quelli ora posseduti ; così la siriaca, la copta, l’armena, la slava, l'etiopica, la latina.
La latina, dalla quale deriva la Vulgata, risale al 2. secolo. Solo della Vulgata. si possiedono 8000 manoscritti.
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LO STATO ATTUALE DELLA CRITICA BIBLICA
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siitav Se Havres
av ovv si o v(io)g rov 0(so)v o Se .tqo; avrovg eq/i] $peig Zeyete ori eyco eipt ot Se eutav ri eri yoeiav : 0 e/opev pagrugiav — avroi yag {¡xovoape aito rov arojv'.ro;
Un ostrakon del VII secolo <1. C. col passo: Luca 22,70.
Dal voi. Lichlvom Osten di A. Deissmann ; pag. 31 (Tübingen, 1908).
Con tutto questo materiale si sono trovate numerosissime varianti. Se ne contano circa 200.000 : e siccome le parole del Nuovo Testamento sono circa 150.000 si può dire che per ogni 3 parole ce ne sono 4 altre a scelta. Naturalmente molte sono senza alcuna importanza o sono degli errori che saltano agli occhi.
Hort giudica che le parole del Nuovo Testamento che si riuscì a fissare e che si possono ritenere, per quanto è umanamente possibile, sicure costituiscono i 7/8 del Nuovo Testamento. Di incerto non rimane che 1 8 del N. Testamento. In questo ottavo, che è il campo proprio della critica del testo, tutte le differenze sono ben lungi dall’essere dello stesso ordine d’importanza. In un grande numero di casi il dibattito non cade che sull’ordine scritto delle parole, o su differenze ortografiche. Hort dichiara che le parole veramente dubbie non formano che 1/60 del Nuovo Testamento, e fra queste quelle che sono davvero importanti non formano più di 1/1000 di tutto lo scritto; cioè non sono più di 150 parole.
Ecco dunque un dominio dove la critica non ha male lavorato, dal momento che essa ci rende il testo genuino del Nuovo Testamento coll’approssimazione di sole 150 parole.
Ma la critica del testo è istruttiva anche per questo che ci permette di ricostruire le diverse fasi per le quali è passato il Nuovo Testamento nei primi secoli e ci mostra che cosa esso fu in origine pei primi cristiani. Questo ci permette di vedere come dicono un’ assurdità quelli che protestano : « Io non voglio avere che la Bibbia di Gesù Cristo ». I cristiani dei primi secoli erano molto liberi per quanto riguarda le parole degli scritti evangelici.
Attraverso agli studi della critica del testo apparisce che ci furono dei pe-
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BIT.YC1IN1S
riodi nella storia primitiva di esso. Hort ne distingue cinque, cioè: i) testo primitivo — 2) testo ampliato — 3) lesto curato — 4) revisione siriaca — 5) testo ufficiale del IV. secolo. Il testo primitivo degli scritti raccolti nel Nuovo Testamento, quello che passava da una chiesa all'altra, non si ha. Ma queste primitive copie originali, pei bisogni della nascente chiesa, per rispondere alle richieste che di esse si facevano, furono riprodotte mentre di esse si sentiva la utilità ma non una assoluta necessità, perchè c’era ancora la tradizione orale viva, e potente. In queste riproduzioni si facevano delle aggiunte in margine, aggiunte che sono riprodotte nel manoscritto stampato da Beza. Così si ebbe il testo ampliato della fine del II. secolo.
Verso quest’epoca in Alessandria, centro di coltura intensa, si viene elaborando, nelle successive trascrizioni, un testo più curato linguisticamente, cioè un testo in cui la veste letteraria abbandona certe asperità e certe forme proprie del linguaggio popolare, e si perviene così al testo curato. In seguito, nelle traduzioni, e nelle copie che si ripetono, vengono messe da parte le espressioni crude del linguaggio popolare, della lingua comica, dando la preferenza a espressioni analoghe, più ricercate ma meno vivaci, della lingua letteraria e si viene così poco a poco al testo ufficiale il meno buono di tutti ; attraverso al q lale la critica del testo, valendosi dei materiali indicati, e di quelli Che potranno venire in luce in seguito, cerca come vedemmo, di risalire alla lezione genuina.
X vari libri del Nuovo Testamento di fronte alla critica, biblica.
Ed ora che si sono rapidamente visti i vari rami di attività della critica biblica, i metodi ed i lavori preliminari, ecco quali sono i risultati attuali cui essa è pervenuta per ciascuno dei 27 libri del Nuovo Testamento. La cronologia seguita è quella ora più generalmente ammessa, ma essa può fra non molto cambiare ; così secondo Pierre de Gallion bisognerebbe avanzare ogni data di 3 anni.
1. Epistola ai Tessalonicesi — E’ probabilmente il più antico degli scritti attuali del Nuovo Testamento. Fu scritto nell’anno 53 da Corinto all’epoca del 2. viaggio missionario dell ’ «postolo Paolo. Essa risulta autentica, cioè scritta di Paolo stesso, quantunque in passato fosse stata contestata da qualcuno.
11. Epistola ai Tessalonicesi — Anch’essa è dell’ anno 53, mandata da Corinto, scritta da Paolo all’ epoca del 2. viaggio missionario. Fu più contestata delia precedente a cagione di quel che è detto in essa a proposito della quistio-ne escatologica per la quale la lettera apparisce un po’ in contrasto con quel che è detto nella 1. ai Tessalonicesi. Però la maggior parte dei critici l'ammette come Paolina.
Epistola ai Galalt — Fu scritta da Paolo, mandata da Efeso all’epoca del 3. viaggio missionario, verso l’ anno 56.
La sua autenticità non è affatto contestata.
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/. Epistola ai Corinti — In realtà quella che noi chiamiamo i. ep. Corinti è una 2. ai Corinti. Paolo prima di questa ne scrisse un’ altra che andò perduta (vedi I. Corinti V,y). Si credette di trovare traccia di questa i lettera nella attuale II Corinti da VI, 14 a VII, 1 che ne sarebbe un brano. Qui certo lo svolgimento del pensiero è interrotto: però nulla si può dire di sicuro. Questa nostra 1. Corinti non è affatto contestata ora e non lo fu dalla chiesa primitiva.
Essa fu scritta da Efeso verso l'anno 57.
2. Epistola ai Corinti — E’ questa la quarta lettera di Paolo ai Corinti. Tra la nostra 1. e la nostra 2. Paolo ne ha scritto una con lacrime (II. Corinti II. 4) che dovette essere molto severa. La sua genuinità non è contestata, non così la sua integrità. Alcuni pensano che gli ultimi 4 capitoli appartengano sia alla 3 lettera, sia ad una 5. Però molti critici, ritengono che essa fin da principio sia stata quale noi la possediamo. Fu scritta dalla Macedonia, probabilmente da Filippi verso l'anno 58.
Epistola ai Romani — Non è contestata quanto alla genuinità. Però dal punto di vista critico si discute a riguardo dei capitoli 15. e 16. II cap. 16. sembra essere di una lettera agli Efesini, specialmente mettendo in relazione il saluto ad Aquila e Priscilla con quanto di loro è detto nel Cap. XVIII degli Atti degli Apostoli. Il cap. XV è forse di una seconda lettera ai Romani ; certo che nei migliori manoscritti i saluti della fine del cap. XVI si trovano alla fine del Cap. XIV, oppure sono in entrambi i capitoli.
Per quanto riguarda il passo di Romani IX. 5 si dubita che il punto debba mettersi dopo la parola Messia, omettendo le ultime parole che sarebbero un’ aggiunta.
La lettera fu scritta nel 59, da Corinto o da Cencrea.
Epistola ai Colossesi — Non è contestata dalla maggioranza dei critici. Fu scritta nell’ anno 62, da Roma.
Epistola a Filemone — Neppure questa è contestata dai più, ed aneli’essa fu scritta da Roma nel 62.
Epistola agli Efesini — Quantunque vada sotto il nome di lettera agli Efesini non è diretta a questi. Un vecchio manoscritto la dice diretta ai Laodicesi. Non ci sono i saluti alle persone, così abituali a Paolo che pure, se si trattasse di Efeso, avrebbe avuto là tante e care conoscenze. Vi sono molte ripetizioni delle cose dette nella lettera ai Colossesi. Lo stile è diverso da quello delle altre lettere. La lingua è difficile, e ci sono circa 150 vocaboli che Paolo usa solo in questo scritto. E’ la più contestata delle lettere paoline ; pure molti la ritengono autentica; però la mettono in 2. ordine cioè a dire non si accetterebbe come paolina un’ idea da essa espressa se non fosse appoggiata da altri scritti dell’ apostolo.
Pare scritta da Roma fra il 62 e il 63.
Epistola ai Filippesi — Non è contestata. Fu scritta da Roma fra il 63 e il 64.
Vengono quindi le epistole pastorali, cioè le due a Timoteo e quella a Tito. Le prime due sono molto contestate e ritenute per inautentiche dai più fra i critici. Il carattere è diverso da quello abituale di Paolo. Lo stile è tutt' altro ; è molto più semplice. Queste lettere sembrano portarci ad un'epoca più recente nello sviluppo amministrativo della Chiesa.
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44S B1LYCHNIS
In esse apparisce un’organizzazione chiesastica molto salda. Non si sa a quale epoca della vita di Paolo si possano collocare. Sono difficili a capirsi, come opera Faoiina, sia dal punto di vista storico che da quello psicologico. Però la dottrina in esse è sana.
Un’opinione media è questa, che esse siano dei biglietti di Paolo amplificati in seguito. Nel loro stato attuale esse sarebbero del principio del 2. secolo.
Gli Evangeli sinottici — Gli evangeli sinottici, i quali sono i primi tre, cioè Matteo, Marco e Luca, sono caratterizzati dal loro parallelismo ed è perciò che ordinariamente si studiano insieme. 11 più antico di essi è Marco. Esso non ha tendenza spiccata, se non di glorificare Gesù, il che del resto è comune anche agli altri evangeli. Riassume la predicazione di Pietro, e ciò secondo la dichiarazione di uno dei più antichi padri dell'epoca apostolica, Papia(i). Del resto se si trasportasse alla prima persona il racconto dello scritto sacro, parrebbe di udire Pietro raccontare le'cose come specialmente dovevano essere da lui raccontate. L’ultimo capitolo non è di Marco : e un vecchio manoscritto armeno l’attribuisce al presbitero Aristione. Alcuni critici credettero di riconoscere una parte della fine dell’©vangelo perduta nell’ultimo capitolo di Giovanni, dove si tratta della riabilitazione di Pietro, ma non v’è nulla di meno certo. Può darsi che l’opera primitiva di Marco fosse un po’ più breve del nostro attuale « Marco », e allora si avrebbe un -« proto Marco ». Ad ogni modo l’evangelo di Marco attuale dovette apparire verso l’anno 70.
Matteo e Luca sono all’ incirca contemporanei.
Matteo contiene molte parole antiche di Cristo, così l’esortazione « non andate ai Samaritani ». D’ altra parte esso reca tracce di rimaneggiamenti, così dove parla dell’ ufficio della chiesa, della legislazione. Queste induzioni della critica interna sono avvalorate dalla critica esterna ; infatti Papia afferma Che Matteo raccoglieva in ebraico i « logliia » di Gesù (2). Il « primo Matteo » fu scritto probabilmente verso il 50. L’attuale nostro, che sarebbe una amplificazione di quello, verso il 90.
Ai più dei critici apparisce dubbio in questo Evangelo il passo di Matteo XVI 2-3 riguardante i segni dei tempi, passo che non si trova nei più antichi manoscritti.
Luca, coevo del nostro Matteo, è un vero storico. Scrive dopo gli altri, e il suo evangelo ha una tendenza letteraria ed ascetica come si può dedurre dal suo accentuare quanto riguarda i poveri ed i ricchi, le ricchezze ingiuste, l’odiare padre e madre, ecc.
In Luca è contestato il passo XXII 43,44 riguardante il sudore di sangue, il quale manca in molti antichi manoscritti.
Problema, sinottico — Considerando i tre sinottici 1’ uno rispetto all’altro, sorge naturale una quistione, quella di spiegare le loro somiglianze e le loro differenze. Tale questione è nota sotto il nome di « problema dei sinottici ».
Durante XIX secoli si fecero tutte le supposizioni possibili: esse però si possono restringere a quattro ipotesi principali.
fi) Eusebio — Storia Ecclesiastica Lib. Il Cap. XV e Lib. Ili Cap. XXIX
(2) Eusebio — Storia Ecclesiastica Lib. Ili Cap. XXIX
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1.0 STATO ATTUALE DELLA CRITICA BIBLICA 449
/. ipolesi della tradizione oiale. — Fu sostenuta specialmente da Federico Godet.
Per essa tutto si spiega col caso. I racconti evangelici erano prima riferiti a vece, da persona a per ona, a memoria, solo appresso furono fìssati per iscritto ; c in questa fissazione scritta di racconti modificati col passaggio da persona a persona si spiegano tanto le somiglianze che le differenze, allo stesso modo che avviene oggi per un .acconto qualsiasi, riferito oralmente da molti c fissato nello scritto da alcuni.
Questa ipotesi dall'aspetto seducente fu molta combattuta per questo che, se si pensa al fatto di un evangelo orale trasmesso dall'uno all’altro in ebraico, o in dialetto aramaico, ci si stupisce che degli evangeli nati indipendente mente gli uni dagli altri abbiano per caso trovato le stesse forme di traduzione e le stesse finezze di espressione greca. Questa ipotesi è ora abbandonata dai critici.
2. ipotesi- — della utilizzazione reciproca. — E questa la ipotesi già condivisa da S. Agostino, il quale riteneva che i Vangeli si fossero succeduti in ordine cronologico e che gli autori, conoscendosi, avessero ciascuno utilizzato il lavoro del predecessore. Questa ipotesi è appunto l’opposto di quella precedente. Là tutto risultava a caso, qui tutto, cioè scelta dei vari elementi del racconto evangelico, sarebbe dovuto a proposito deliberato. Con ciò però si spiegano le somiglianze ma non le differenze;. ed inoltre appare strano che conoscendosi i vari autori, e conoscendo quel che ciascuno metteva per iscritto, l’uno abbia omesso quello che altri raccolse e fissò, specialmente per parti notevolissime del racconto. Questa ipotesi della utilizzazione reciproca subì delle variazioni per opera della scuoia di Tubinga che volle vedere nei sinottici tre tendenze del cristianesimo primitivo, cioè, la tendenza del cristianesimo giudeocristiano (evangelo di Matteo) la tendenza del cristianesimo paolino (evangelo di Luca) la tendenza del cristianesimo cattolico senza colore speciale (evangelo di Marco). Questa classificazione che risente l’influenza dello spirito hegheliano, in realtà non sussiste, ed i vangeli volta a volta contraddicono a quella che si vorrebbe che fosse la loro tendenza.
3. ipotesi — del vangelo primitivo. — È questa l'ipotesi cara ad Eichkorn. Egli suppone che ci fosse stato al principio un grande evangelo (evangelo degli Ebrei, oppure evangelo dei Padri?) del quale si sarebbero fatti degli estratti. Tali sarebbero i nostri tre evangeli. Ma, senza contare altre difficoltà, come spiegare le tante omissioni dei tre racconti dal momento che la fonte sarebbe stata la stessa?
4. .ipotesi — dei frammenti. — Schleiermacher principalmente patrocinò questa ipotesi. I tre evangeli attuali sarebbero dei brani rimasti da raccolte di note, dei frammenti ricuciti in seguito. Tale ipotesi, oltre alla poca verosimiglianza, non fa che allontanare la difficoltà senza toglierla.
Ecco allora in merito al difficile problema quale è V ipotesi moderna. I nostri evangeli sarebbero delle opere di seconda mano, dei rimaneggiamenti di opere anteriori. Originariamente dovevano esserci i Loghia (probabilmente un Matteo primitivo e il nostro Marco o un Proto-Marco) di cui parla Papia; ciò verso il 50. Il nostro Matteo conosce ed utilizza i due, ed ha in più una sua
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450 BH.YCHN’IS
tradizione sulla nascita miracolosa, sulla morte e sulla risurrezione di Gesù. Luca, che scrive più tardi, verso la fine del i. secolo, utilizza esso pure i due scritti primitivi; di più ha anch’esso una tradizione sulla nascita di Gesù e sul Battista, un’altra sulla risurrezione, e tutto un gruppo di .parabole.
/ fatti degli apostoli. — Questo scritto è dello stesso autore del 3. eyangelo. Utilizza fonti diverse e di diverso valore. Sull’Ascensione ha una tradizione che si discosta da quella del Vangelo (qui ha luogo la domenica stessa della risurrezione; là ha luogo dopo). I primi capitoli sono di storia un po’ idealizzata, ma hanno una buona tradizione sui discorsi di Pietro, di sapore evangelico antico. I capitoli 6. e 7. sono di valore storico maggiore. Tutta questa prima parte del racconto deve essere attentamente controllata dai dati delle epistole. Una parte di valore storico primario è quella costituita dai frammenti in « noi » del giornale di viaggio, i quali sono sicuramente di Luca. Questo scritto è stato molto studiato, e gli si attribuirono volta a volta molte tendenze, la tendenza storica, la politica, la conciliante. Il meglio è vedervi una tendenza di edificazione. La storicità sua è molto discussa: Harnack ne scrisse una vera a-pologia, sforzandosi di provare che è tutto di Luca. Non tutti però sono del suo avviso. Fu scritto verso l’anno 90.
Epistola agli Ebrei. — E’ antica, ma non è di Paolo. Le si attribuirono molti autori, ma intorno a ciò regna molta oscurità come intorno a Melchisedec di cui ci parla. Può essere di Apollo, e così pensava Lutero. Fu attribuita anche a Priscilla. E’ dovuta ad un intellettuale ed è scritta in un bel greco. Forse fu scritta da Alessandria e per la chiesa di Roma. La sua data probabile è da collocarsi prima del 70, prima cioè della caduta di Gerusalemme.
Scrini Gioannici. — C’ è tutto un gruppo di opere attribuite dalla tradizione all'apostolo Giovanni. Anzi lutto bisogna osservare che sulla persona di Giovanni la tradizione non è chiara. La storia della chiesa primitiva paria di due Giovanni, l’apostolo e il presbitero, non sempre distinti ed identificati. Così Eusebio parla di Giovanni morto molto vecchio ad Efeso; mentre altre tradizioni lo fanno morire martire a Roma.
Osservato questo consideriamo le opere che vanno sotto il nome dell’A-postolo.
Apocalisse. — Questo scritto ebbe un grande successo presso i primi cristiani. Si crede di scorgere in esso 1’ opera di due autori, uno ebreo 1’ altro cristiano ; quest’ ultimo avrebbe rimaneggiato 1’ opera di quello, ma regna in proposito moka incertezza fra i critici. La parte critica dello scritto è ad ogni modo anteriore al 70. La redazione attuale sarebbe da collocarsi verso il 95.
Evangelo di Giovanni. — Questo scritto rappresenta il più grande enigma del Nuovo Testamento. E’ il più bel libro di èsso, ma lui grandi difficoltà storiche. Negli altri evangeli Gesù sembra avere esercitato un ministerio di un anno solo e in Galilea ; qui si ha un ministerio di 3 anni e si ha 1’ azione in Giudea.
L’insieme del Vangelo sembra indicare epoche posteriori nello sviluppo della cristologia, e però si colloca l’epoca della redazione del vangelo tra il 100 e il 125.
Non vi è accordo tra i critici nè sullo scopo del Vangelo,- nè sulla sua tendenza, nè su quello che può avere di valore storico. Il valore storico fu molto,
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LO STATO ATTUALE DELLA CRITICA BIBLICA 451
contestato : ora però c’ è inarcata tendenza a rilevarlo. Non si può parlare di una soluzione del problema perchè si è in piena discussione critica.
In quanto a critica del testo si deve osservare che il fatto della donna a-dultera, di Giovanni Vili i-ii, da molti è escluso dal Vangelo di Giovanni. In un antico manoscritto si trova esposto in Luca al cap. XXI dopo il v. 38. Alcuni ritengono che si tratti di un racconto di un antico evangelo incorporato in quello di Giovanni.
Così si deve notare che il passo del cap. V 3-4 riferentesi all’ angelo che agita I’ acqua non è nei manoscritti antichi.
/. Epistola di Giovanni. — Questo scritto è una lotta contro l’intellettualismo greco, e presenta la reflazione di un certo gnosticismo. E’ del principio del II. secolo. Per quanto riguarda la critica del testo si noti che il passo dei tre testimoni celesti di I. Giov. V 7 8 non è autentico, è dovuto a Pri-scilliano scrittore del IV secolo.
Anche la quistione dell’ autore di questa epistola è poco chiara. Sembra che la I. epistola e il Vangelo possano attribuirsi allo stesso autore.
La 2 e la 3 epistola di Giovanni sono da attribuirsi ad uno stesso autore e sono da collocarsi verso la fine del I secolo.
L’Apocalisse, che ha lingua scorretta, sarebbe di un autore diverso dai precedenti.
epistola di Giacomo. — Per alcuni questo scritto è molto antico ; per-altri più recente. E’ scritto da persona che è nello spirito di Paolo e coll’ intendimento di difendere teorie mal comprese.
/. Epistola di Pietro. E’ contestata come opera di Pietro. Alcuni la credono opera deuteropaolina o dovuta ad un discepolo di Paolo. Ha dei rapporti di contenuto colla Epistola ai Romani, che sembra conoscere. Fu scritta verso l’anno 100, e fu nota a Policarpo ed a Papia.
IL Epistola di Pietro. — E’ ritenuta inautentica perchè parla delle lettere di Paolo collocandole sullo stesso piede dei Vangeli. Fu scritta probabilmente verso il 150.
Epistola di Giuda. — E’ della fine del I. secolo. Ha rapporto di contenuto colla 2. di Pietro, di cui Lutero ha detto che essa non è che un riassunto, mentre è probabilmente 1’ opposto.
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Riassumendo, la critica biblica allarga i quadri del Nuovo Testamento dal 50 al 150 colmando la lacuna che prima si aveva tra il 100 e il 150.
Essa non è d’ ostacolo alla fede, se non nel caso in cui si faccia ispirazione sinonimo di apostolicità. Ma a chi guardi sopra tutto al contenuto, le quistioni d’autore non lo toccano. C’è anche.da considerare il rapporto tra la critica e la fede. La critica allarga la fede, ma non la sostituisce. Non ci sono maggiori ■rapporti tra critica e fede che tra ortodossia e fede. Si può conoscere tutto e non essere mutati di cuore. E però, concludendo, creilo di potere esortare tutti
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455 BÌLYCHNIS
a interessarsi alla critica biblica e a non gettare la pietra contro quelli che ne fanno.
Si ricordi però che non è cosa necessaria, come non è necessaria l’accettazione di determinate idee tradizionali dette ortodossia. La cosa necessaria è di essere a Cristo ; di essere diventati, per mezzo di lui, nuove creature ; e, per mezzo di lui. di amare e servire i fratelli.
Nulla sostituisce questo, e questo può sostituire tutto il resto.
J. BREITENSTEIN.
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A Dio o ad uomini ?
{Fatti 4, /p-5, 2p).
ilone {deprofugis p, 562 v. / ediz. Mangey-Bovoyer 1742} ha una frase certamente enfatica ma che pure esprime sufficientemente il concetto che dell' autorità religiosa si aveva nel giudaismo del suo tempo : « XéYOpev rov dp/iepéa oùz àvflooKtov àÀÀà Oeiov Àóyov elvai »- E’ certo d’ altra parte che la medesima missione profetica pur così spiritualmente indipendente era soggetta ad una specie di giudizio delibatorio da parte della suprema autorità ec
clesiastica, giudizio che doveva pronunciarsi sulle credenziali, a dir così, della missione medesima ( K Gemara Babyl. de Syn. c. 1 in Ugol. Th. ani. v. XX V — Sedenus l. 2 de Syn. c. 15 — los. Ani. lud. I. XIVc. 17 e cfr. Fatti ri, “). E’ quindi interessante vedere il contegno che di fronte all’ autorità medesima assumono i primi divulgatori del pensiero di Gesù e la risposta eh’essi non temono di dare alla proibizione che pone il potere ecclesiastico di fronte alla
loro propaganda. .
Il contegno esteriore intanto non ha nulla di anormale. Pietro e Giovanni compariscono innanzi al sanhedrin convocato in assemblea solennissima {Fatti 4 M) come qualunque buon israelita senza proteste, non declinano il foro a cui sono stati tratti, non rifiutano la loro soggezione al giudizio che si sta intentando. E prendono il posto dei giudicabili (vers. 7).
Il principio dell’autorità non è in giuoco nella dottrina di Gesù. Essa, tutta rivolta com'era ad una migliore intelligenza, ad una più intensa attuazione di principii indiscussi ed inconcussi, non venne a. distruggere ma invece ad integrare. Così come altri uomini mandati da Dio avevano fatta udire la loro voce nei tempi più fervidi del profetismo con sicura franchezza ma senza aspri suoni di ribellione, egualmente i dodici amici di Gesù. Anzi, parlando la prima volta in pubblico di Gesù, Pietro aveva cercato un’attenuante che potesse salvare 1’ autorità di fronte alla responsabilità dell’ uccisione del giusto e del pio insinuando (Fatti 3, n) che essa era stata possibile in un’ ora di passione religiosa, tra l’urtarsi tumultuoso di prrtiti fanatici = ’/.ara àyvoiav ==.
Un, attitudine diversa non sarebbe stata possibile ad uomini che nulla di proprio avrebbero potuto aggiungere alla dottrina ricevuta. La quale, assicurando {Mi. 22, 81 23, 2-3 Le. 20,25 Me. 12, n) all’ autorità religiosa come all’ autorità politica contro ai mutabili istinti del popolo la pacifica possessione del rispettivo potere ed il tranquillo esercizio di tutti i propri i esterni diritti, avrebbe potuto soffrire nel suo primo offrirsi agli uomini dal contegno audace di coloro che la proponevano. E poi non era destinata essa ai connazionali soltanto, ai correligionari? Evidentemente quanto si legge in Mi. 28, ,s « scss- non è che la proiezione nel testo evangelico di un fatto che cominciò ad apparir chiaro dalla
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BILYCHNIS
seconda metà del primo secolo. Ed i principi! timidi e combattuti dell’universalismo non si rilevano nel libro dei Falli che assai più tardi.
Quindi impossibile una posizione fuori della chiesa nazionale. I dodici sono e rimangono israeliti. Ed esclusivamente israelita è la restaurazione puramente morale che essi propongono ai loro fratelli.
Non dimentichiamo che i dodici sono ancora in attesa dell’ avvenimento glorioso del Cristo ebreo e del suo regno messianico in seno alla nazione eletta. Nè che la predicazione loro è diretta a formare entro alla chiesa nazionale un nucleo di rinnovali che non poteva menomaménte essere inquinato da incirconcisi. La prima propaganda dell’ idea nuova tra quei oepóusvoi che aflòllava-no la città santa nella solennità pentccostea ci mostra la traccia della direzione dei dodici entro ai confini del mosaismo. Non rigorosamente proseliti dei giudaismo storico, erano però costoro conquiste per quanto ancora timide e malsicure del giudaismo della diaspora, in seno all’ellenismo. Siamo ancora lungi dall’episodio per molti scandaloso del centurione Cornelio e dall’incremento che le prime origini cristiane ritrassero dall’ accostarsi dell' attività apostolica ad « uomini religiosi » qualunque si fossero le loro idee dogmatiche e morali, qualunque si fosse il loro religioso simbolismo.
Ricordiamo da ultimo una frase di Falli 6. ~ che ci mostra molti sacerdoti tra i simpatizzanti per la idea di Gesù. Essa insieme con 1’ altra del medesimo libro 5, 31 che accenna ad un qualche interessamento per il galileo perfino nel seno della più alta gerarchia (</>. Gio. 52) riduce la posizione dei dodici nel momento in cui la missione e l’autorità del rabbi giustiziato si ridiscutono innanzi al sanhedrin a quella di umili ed ossequenti soggetti, senza un pensiero di sconfinamento dalle linee solenni dell’ ortodossia ufficiale.
In questa posizione considerati, occorre un attento esame della risposta di Pietro e degli altri alla prescrizione loro rivolta dal sanhedrin'. interrompere 2 cessare affatto dalla loro propaganda.
Essa è formulata due volte nel libro dei Falli, al c. 4 v. 19 ed al c. 5 v. 29 ma esprime un unico pensiero.
Sono tenuti i sudditi ad obbedire ai loro superiori. Il aeiOapxsiv del passo dei Falli indica appunto questo genere d’ obbedienza (cfr. juiOeiv con up/wv). Ma non in tutte quante le cose. Se la legge, il precetto dell’autorità dev’ essere la via che segna il cammino all’ umanità, sarebbe un opprimere la coscienza pretendere che nessuna libertà essa abbia nel percorrerla, un chiudere la vita tra due mura strettissime prolungate- all’ infinito e per prevenire gli scarti soffocare lo spontaneità dell’anima. Un’obbedienza sconfinata non potrebbe essere che esteriore e passiva e non potrebbe mai coesistere in nessun caso con quel-l’altra obbedienza che si deve all’ ispirazione del sentimento intimo.
Se guardiamo all'influenze che i profeti esercitarono in seno al mosaismo noi vediamo precisamente questa preoccupazione di sviluppare la legge positiva in un senso spiritualistico conforme a ciò che essa presenta di più ideale. Per converso sappiamo che il suo cadere in mano di litteralisti la trasforma ben presto in regolamentazione rigida della coscienza.
Era insieme a quello del maggiore proselitismo uno dei tradizionali precetti dei più alti maestri del fariseismo ( K Mischna Pirke Abboth c. 1) questo di dare al pio israelita il migliore concetto della più scrupolosa, meticolosa obbe-
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A DIO O AD UOMINI ? 455
dienza. E contro di entrambi Gesù ha combattuto nell' intento di dare al di sopra della forma una più larga importanza allò spirito.
L’obbedienza che si deve all’autorità comunque alta ed augusta ha dunque dei limiti. Si può dire, poiché essa è l’autorità pure divina nell’ origine e umana nel suo esercizio, che non tutto 1’ uomo è all’ uomo soggetto. Che c’ è una pars metter di esso che sfugge, come, secondo il più autentico pensiero scolastico, ci sono parecchie cose escluse dall’ obbedienza che anche una chiesa può chiedere secundum rattoncm super iorilalis.
Ora che cosa chiedeva ai dodici la loro chiesa?
Rinunziare alla spiritualità della fede per ritornare al formulismo della legge.
La vecchia chiesa giudaica può comprendere nel suo seno egualmente ossequiosi verso la autorità pietisti e scettici e gaudenti e coloro che vedono sopratutto nella religione una efficace difesa sociale come s’ appoggia volentieri ai potenti che del suo aiuto hanno bisogno e tollera chi rimanendo entro ai suoi visibili confini e non provocando le sue scomuniche trova possibile accostarsi ai costumi mondani e sa bilanciare certe libertà di sostanza con certe servitù meschine di forma (cfr. Marnarti. Orìg. et Ani. Chr. I. 2 c. 3). Ma quelli tra i suoi figli che hanno un senso più delicato del divino, dimentica, nel divampare del suo zelo, degli alti riguardi che sono divinamente imposti all’ eser- * cizio d’ ogni più alto diritto paterno, provoca con crudeltà esagerata all’ indignazione e s’oppone a tendenze morali più elevate, a forme più pure di vita religiosa e vuol dissimularsi paurosa la realtà che le vive e palpita intorno.
Almeno un discreto silenzio, essa insiste.
Neppure questo possono concedere i dodici. Esso sarebbe colpevole, e quanto ! Luce e sale ogni anima che ha sentito il contatto di Gesù dev’essere per altre anime.
Si sente' nella parola del rifiuto — ov ÒvvdusOa .... pq — *’ ama‘ rezza che sale dal cuore alle labbra. Forse passò ad essi allora nella mente compresa la parola del maestro — nessuno al mondo bisogna amare più che Iddio, non il proprio padre, non la propria madre.
Nè la pròpria Chiesa.
Poiché in essa è in onore la fetida sapienza degli scribi e 1 ostinazione cieca dei pietisti perdura e non è agevolmente contrastabile la prepotenza sconfinata della gerarchia mentre tanti umani meschini interessi ci sono da salvaguardare è facile distinguerla la voce di Dio al di sopra del comando degli «omini.
Anche in mezzo allo strepito della guerra mossa poi alle novità dei gahlei Saulo di Tarso questa voce divina la sente. E ne conclude legittimamente quello che ogni coscienza onesta ne deve concludere quando ad essa è dato identificare l’ideale divino con quello medesimo che essa fino allora aveva perseguitato, il dovere cioè di gettare le armi di cui la sua Chiesa lo ha armato e di cui per 1’ avvenire non potrebbe più servirsi in buona tede.
Gli uomini, e ciò è umano, vorrebbero correre il mare e la terra e cercare il proselito e condurlo attraverso tutti i gradi dell’ iniziazione e circonciderlo nella carne e vestirgli ampie filatterie, Iddio vuole invece che attorno a noi si lavori alla pedcivoìa al rivolgimento sincero della coscienza, che si circoncida nell’ intimo il cuore, che si indossi la veste nuziale della carità.
Ed è a Lui che ci bisogna obbedire.
JOH. LOVER.
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Ordini e confraternite delTIslam»(#)
(Vedi fase. II. p. 139 c IV p. 338)
trovano delle confraternite mussulmane in tutti i paesi dov’ è penetrato l’Islam. Nel Nord Africa ci sono più di quaranta ordini diversi.
In che modo si costituisce una confraternita?
Si possono dare vari casi :
Primo caso: uno sceriffo, o un gruppo di corfa (plur.
di sceriffo) stabilisce il suo domicilio in una data località. Quivi, col prestigio del suo titolo di sceriffo (discendente del Profeta) colle sue virtù personali (guarigioni, insegnamento, scienza) egli attira a sè la popolazione del vicinato ; a poco poco si circonda di discepoli i quali, uniti alla
sua famiglia, formano un nucleo più o meno numeroso di aderenti. La zàuia, originariamente semplice alloggio dello sceriffo, si allarga e col tempo viene a costituire una specie di convento formato di numerosi caseggiati tra i quali una moschea e una scuola. Così una confraternita è non fondata ma in via di for
mazione. Poi lo sceriffo morrà in fama di santo e su questa reputazione, resa sempre più considerevole dal tempo, potrà fondarsi più tardi una vera confraternita, più o meno importante.
Secondo caso : il nucleo religioso in via di formazione rimane un gruppo religioso senza elevarsi al grado d’una vera e propria confraternita. Trattasi semplicemente di un certo numero di famiglie di corfa aventi una origine comune, le quali considerano come patrono un medesimo antenato. La loro funzione consiste principalmente nel mantenere e nello sfruttare là venerazione che le genti del contado professano per questo antenato; ma i singoli membri non ubbidiscono ad una regola e ad una disciplina comuni.
Sono da escludersi dal numero degli ordini religiosi propriamente detti i gruppi sociali che esercitano una industria o praticano un’ arte sottoponendosi a obblighi o a riti religiosi speciali.
(*) Ripeto quello che ho detto iniziando la mia serie di articoli sull’ Islam : Questi studi sono fondati essenzialmente sulle dottissime conferenze tenute nel 1910 al Collegio di Francia (Parigi) dall’illustre orientalista Dr. Montet. Rettore dell’università di Ginevra, riunite poi in volume. Ancora una volta ringrazio l'illustre professore — della cui amicizia altamente mi onoro - per avermi concesso di fare un cosi largo uso della sua Opera geniale e suggestiva.
DOTT. G. E. MEILLE
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GERUSALEMMIUNA VOLTA II. TEMPIO DI SALOMONE
LUOGO DI PREGHIERA, DOVE S’ERGEVA
(Da istantanea del DM. Tony Andre di Firencej
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458 BILYCHNIS
In che modo sono organizzate le confraternite?
La confraternita, che porta il nome di Irika (via) odi lai/a (truppa) ha alla sua testa uno sceicco 1' autorità del quale è assoluta.
Sotto di lui v' è il kalifa o nàib, che è il luogotenente o vicario dello sceicco.
Al disotto sono i mokaddem, capi dei vari gruppi della confraternita, e a-genti propagandisti.
Gli affiliati si chiamano kuan (fratelli) in Algeria e in Tripolitania, fokrà (plur. di fakìr, povero) al Marocco ecc. Dei corrieri a piedi (rakkàb) servono a collegare tra loro i vari capi della medesima confraternita. Il nakìb è una specie di gran cerimoniere. Gli shausc s’-occupano delle cure materiali.
I membri delle confraternite hanno delle adunanze regolari a data fissa. In esse, praticano i loro esercizi religiosi (preghiere, canti, danze, ecc.) e ricevono le istruzioni dei loro mokaddem.
Si può far parte allo stesso tempo di due ordini diversi.
Si è ammessi in una confraternita mediante l’iniziazione detta uird. Essa è conferita al novizio dal mokaddem. L’investitura del mokaddem è fatta dallo sceicco, il quale gli rilascia uno speciale diploma. L’ autorità dello sceicco è legittimata dalle « catene ». Ci sono due specie di catene: la catena dell'iniziazione che risale dal fondatore dell'ordine a Maometto attraverso una serie ininterrotta di personaggi autentici o immaginari ; e la catena della benedizione la quale indica la successione degli sceicchi dal fondatore dell’ordine allo sceicco attuale.
Carattere essenziale delle confraternite.
Le confraternite mussulmane hanno tutte quante un carattere essenzialmente religioso; e tutte quante posseggono la caratteristica del misticismo.
Il misticismo mussulmano si chiama sufismo^ dalla parola araba sufi che designa il mistico.
Più che un riassunto di dottrine vale a spiegare che cosa sia il sufismo la seguente parabola, la quale dipinge l'umanità aspirante a perdersi in Dio e sollecitante la sua ammissione in seno alla divinità:
Qualcuno picchiò alla porta del Diletto (Dio) e una voce dall’ interno chiese: « Chi è? » Egli rispose: « Son io ». E la voce disse: « In questa casa non v’è posto per me e per te, » e la porta rimase chiusa. Allora il fedele se n’ andò nel deserto, digiunò e pregò nella solitudine. Un anno dopo egli tornò e picchiò di nuovo alla porta e la voce chiese ancora: « Chi è?» E il fedele rispose: « Sei tu ». Allora la porta s’aprì. Quei « sei tu » definisce tutto il misticismo.
Il misticismo delle confraternite si manifesta specialmente nelle teorie dei gradi, e nelle descrizioni degli stati d’animo attraverso i quali passa 1’ iniziato per giungere all’estasi e all’identificazione con Dio (laubid).
Questi stati d’animo sono stati descritti specialmente dallo sceicco Si
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ORDINI E CONFRATERNITE DELI? ISLAM
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Mohammed ben Sentissi (i). Dopo vari stati d’animo preparatori l'iniziato vede delle luci: queste luci sono in numero di 70.000 e si dividono in 7 serie di 10.000 luci ciascuna. Le 7 serie di luci rappresentano i 7 gradi attraverso i quali si arriva allo stato d’ animo della perfezione.
Il primo grado è il grado dell' umanità ; vi si giunge per la sete naturale della verità. Le 10.000 luci sono di color grigio.
Per giungere al secondo grado occorre che il cuore sia santificato; questo è il grado dell'estasi appassionala. Il colore delle 10.000 luce è celeste chiaro.
Si passa quindi al terzo grado, quello dell’¿¿Arò* del cuore. Le 10.000 luci sono del rosso più limpido che possa essere prodotto da una fiamma pura e permettono di vedere i geni con tutti i loro attributi.
Ci si eleva inseguito al quarto grado dove si vedono 10.000 nuove luci inerenti alio stato di estasi dell' anima smalerializzaia. Queste luci sono di color rosso acceso. Al loro chiarore si contemplano le anime dei profeti e dei santi.
Il quinto grado è quello dell’¿rfa$¿ misteriosa; vi si contemplano gli angeli e 10.000 luci d’ un biancore abbagliante.
Il sesto grado è quello dell’«ZtWi di ossessione ; il colore delle 10.000 luci è simile a uno specchio. A questo punto si prova un delizioso rapimento dello spirito, detto El kadir, che è il principio della vita spirituale. Allora soltanto si vede il profeta Maometto.
Finalmente si giunge alle >0.000 ultime luci raggiungendo il settimo grado che è la beatitudine. Queste luci sono verdi e bianche, ma poi si trasformano del continuo, assumendo l’aspetto delle pietre preziose, poi una tinta indefinibile che non esiste in alcun luogo ma che è sparsa in tutto l’universo. Allora si rivelano gli attributi di Dio e le cose terrestri scompaiono.
Certi mistici delle confraternite hanno fatto una tabella degli siati d'animo ai quali corrispondono : 7 -marce verso Dio, 7 mondi, 7 stali interni del -mistico, 7 stazioni personali (stazione del petto, del cuore, ecc.) 7 pensieri, 7 nomi della divinità e finalmente 7 luci, ossia 7 intuizioni colorate.
Le sette marce sono:
1. La Marcia ver>o Dio ; il fedele è solo.
2. La Marcia per mezzo di Dìo; Iddio aiuta il fedele e lo sostiene.
3. La Marcia sopra Dio-, Iddio in certo qual modo lo porta verso di Lui.
4. Zxz Marcia con Dio; comincia l’assorbimento in Dio.
5. La Marcia in mezzo a Dio: la fusione de! mistico con Dio aumenta.
6. Lee Marcia senza Dio; il mistico non ha più coscienza della propria personalità distìnta da Dio.
7. La Marcia-Dio-, l’assorbimento in Dio è assoluto; l’anima è giunta allo stato di perfezione; essa possiede in pensiero l’essenza del Tutto.
Il bisogno di giungere artificialmente all’ estasi ha dato origine a numerosi esercizi meccanici i quali producono 1’ annientamento della personalità umana e il suo assorbimento per auto-suggestione nella personalità divina.
Vi sono litanie, ripetizioni multiple (50, 100, 1000, 10,000, 100,000 volte) delle medesime forinole e delle medesime invocazioni. Ogni confraternita ha la
fi) Vedi Rinn — Marabouts et Kouan, p. 297 seg.
70
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suà litania, il suo dhikr particolare. Certe confraternite sono caratterizzate da cerimonie strane e da esercizi eccentrici di cui parleremo più avanti.
Varie specie di confraternite.
Possiamo distinguere le confraternite in :
A. Ordini strettamente religiosi.
B. Ordini mistici e ascetici.
C. Ordini caritatevoli.
D. Ordini propagandisti e politici.
La maggior parte degli ordini hanno pero un carattere misto. Illustriamo con un esempio scelto nel Nord Africa ciascuna di queste quattro categorie.
A. Ordine essenzialmente religioso è quello degli Sìtadeliya fondato in E-gitto da Sìdì ech Shadeli verso il 1230. ¡1 misticismo di quest’ ordine consiste nell' elevazione ideale del pensiero e del sentimento, nella consacrazione completa a Dio, nella purificazione morale, nell’estasi provocata dall’ardente amore per Dio. Questo misticismo è estraneo a qualsiasi intolleranza.
Gli Shadeliya rappresesitano non tanto un ordine organizzalo quanto una dottrina religiosa professala da parecchie confraternite e da numerose z&uie (case religiose o conventi).
B. Fra gli ordini mistici ascetici menzioniamo gli A'issaua e i Derkaua.
Gli Aìssaua, il cui ordine data dal scc. XVI, sono noti pei loro strani e-sercizi consistenti nel mangiare dei serpenti c degli scorpioni vivi, delle foglie spinose di cactus, degli aghi, del vetro. Essi si trafiggono le guance con punte acuminate, si fanno piantare un grosso chiodo sulla testa, fanno schizzare i propri occhi fuori dell’orbita ecc. Lo spettacolo di quegli atti insensati, freddamente compiuti, il più delle volte neppure accompagnati da spargimento di sangue o da saliva sanguinolente, è orribile.
La cosa più strana è forse il processo di allenamento che permette all’ A-issaua d’entrare in quello stato in cui la sensibilità fisica si spegno momentaneamente in lui. La cerimonia incomincia col canto monotono e nasale della forinola Là ilàha ili Allàli fatto da un gruppo di « fratelli » ; queste parole sono salmodiate a sazietà, ma sempre in cadenza, con o senza accompagnamento musicale. Poi 1’ affiliato il quale per il primo eseguirà gli atti bizzarri del-l’ordine si alza e si abbandona alla danza religiosa chiamata ishdeb e che consiste in oscillazioni del busto, prima lente, poi sempre più ràpide e finalmente convulsive.
Allorquando il « fratello » è caduto in una specie di annientamento fisico che produce in lui uno slato di anestesia, lo spirito del fondatore della confraternita ha preso । ieno possesso del discepolo e lo ha reso atto a trangugiare impunemente qualsiasi cosa e a subire senza averne coscienza le operazioni più doli rose e più barbare.
I Derkàua so io una confraternita marocchina fondata verso il 1800.
Essi costituiscono un ordine mendicante notevole per le sue tendenze ascetiche e pel giuramento di obbedienza assoluta che i suoi membri prestano al loro sceicco.
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GERUSALEMME. — Moschea della Roccia. Il bacino tondo sul davanti è alimentato dall'acqua delle vasche di Salomone.
GERUSALEMME. — Haram ech-Chèrif. Il pergamo d’ estate, da cui si PREDICA IL VENERDÌ DURANTE IL MESE DEL RAMADAN.
(Da ittanlanee del Doti. Tony André di Firenze)
72
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È questa la confraternita mussulmana che ha maggiori punti di contatto con certi ordini monastici del cattolicesimo romano.
Fra le raccomandazioni estreme date sul letto di morte dal fondatore del-1’ ordine ci sono le seguenti :
« Essi, i Derkàua, dormiranno poco, passeranno le loro notti in preghiera, faranno elemosine, informeranno il loro Sceicco dei loro piu seri come dei loro più futili pensieri, degli atti loro più importanti come di quelli più insignificanti. Essi avranno pel loro Sceicco un’ obbedienza passiva e, in ogni tempo sa-ranno ira le sue mani come il cadavere nelle mani del lavatore di mòrti ».
Si è ravvicinato con ragione quest’ ultima raccomandazione al perinde ac cadavcr d’Ignazio di Loyola.
C. Fra gli ordini caritatevoli il più noto è quello dei Kadriya.
E’ questa la confraternita più numerosa dell’ Islam ; conta aderenti dal Marocco alla Malesia. li suo fondatore è il celebre Abdelkader morto nel 1166. Abdelkader aveva una grande venerazione per Stdna ATssfi (il Nostro Signor Gesù). Egli praticava una carità inesauribile, e nello stesso tempo era mistico sino all’ estasi ; questo misticismo ha talvolta prodotto in alcuni suoi addetti il fanatismo contro i cristiani.
D. Nell’ultima categoria citiamo : come confraternita propagandista i Senussya; come confraternita politica-propogandista gli Ayniya.
I Scnussiya formano una confraternita fondata da Si Mohammed ben Sentissi morto nel 1859. Questo celebre e dotto sceicco si faceva passare pel Mahdi. Abbiamo citato più sopra un frammento mìstico di lui. Quest’ ordine — che lavora con grande ardore alla propaganda islàmica in Africa — esercita una grande influenza in Tripolitania. Esso si è mostrato — a seconda dei tempi, delle circostanze e della prudenza degli Europei — loro amico o loro avversario (1).
I Taybiya formano una confraternita fondata dagli sceriffi di Uczzàn i quali discendono direttamente da Maometto. Questa illustre origine spiega l’importante funzione politica di quest’ordine specialmente nei sec. XVII e XVIII.
Gli Ayniya costituiscono un ordine marocchino di data recente. Sono più noti col loro soprannome di « uomini azzurri » dato loro a causa di certi loro vestiti di colore azzurro i quali stingono sulla pelle ; e questa gente non si lava mai poiché fa le sue abluzioni colla sabbia. Al tempo dei torbidi che precedettero il bombardamento di Casablanca (5 Agosto 1907) si videro le strade di quella città percorse dagli « uomini azzurri ». Il loro tipo speciale, l’aspetto feroce, i lunghi capelli arruffati e le terribili loro armi spargevano intorno ad essi lo spavento. A motivo delle violenze da loro compiute in vari centri essi sono stati parecchie volte espulsi e disarmati.
Le confraternite musulmane formano dunque un immenso esercito ; ma questo esercito non ha mai avuto un unico capo. Anzi, più che alleati, gli ordini maomettani sono stati rivali gli uni degli altri. V è però un vincolo comune costituito dal loro misticismo. Essi rappresentano una forza religiosa considerevole. Deve dunque essere adoperata di fronte a loro una politica coloniale intelligente e prudente. GIOVANNI E. MEILLE.
(1) Secondo alcuni scrittori i Sentissi, perchè avversari dei Turchi, sarebbero favorevoli all' impresa italiana in Libia. La notizia manca per ora d’ una conferma veramente autorevole.
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II culto di Mitra ad Ostia?
I. Culto e Sacerdoti.
itra il sole invincibile il dio inafferrabile (deus indeprehen-sibilis) — come lo chiama uno de' suoi adoratori ad Ostia 1— era molto venerato nella colonia. Questo culto, che in virtù delle sue associazioni segrete e cerimonie misteriose, esercitava un potere suggestivo sulla pietà delle persone religiose, fu molto in voga specialmente negli ultimi anni dell’impero.- Ad Ostia era uno dei culti più diffusi; dobbiamo riconoscerlo pensando alle abbondanti tracce da esso
lasciate nell’ epigrafia, nella scultura e negli edifìci.
Ci fu un’epoca in cui dovette esser di moda in quell’antica colonia romana; ma quell’epoca non va ricercata prima della metà del II secolo. 2 Mentre il culto della Magna Mater Deum — sebbene anch’esso forestiero — dovette trovarvi buon numero di seguaci molto probabilmente già prima dell’era volg., verso la fine della repubblica, Mitra non cominciò a ricevervi 1’ adorazione di molti e ad essere pubblicamente conosciuto nella colonia se non nel II secolo. La sua entrata a Roma vien posta verso la fine del I secolo, ed è probabile Che già allora anche ad Ostia abbia latto la sua prima apparizione — date le condizioni d’ ambiente ad esso favorevoli per le quotidiane relazioni della colonia coi lontani paesi d’ oriente — portatovi da qualche mercante o padrone di navi. Ma, come abbiamo detto, la diffusione del culto deve ritenersi avvenuta non prima della metà del II secolo, e fors’ anche vèrso la fine di esso.
E’ molto probabile che questa diffusione sia stata favorita dall' appoggio che il nuovo culto sembra aver trovato ne’ seguaci di quello preesistente e protetto e quasi ufficiale di Cibele, la Mater deum, la dea di Pessinunte. Certo non deve passare inosservato il fatto che il più antico fra i Mitrei di Ostia, fra tutti quelli sino ad oggi conosciuti nell’ impero romano, è appunto quello che ad Ostia è in ¡stretta connessione col Tempio e Campo della Magna Mater Deum. « Conciliandosi i preti della Mater magna — osserva il Cumont — i seguaci di Mitra ottennero l’appoggio d’un clero potente, ufficialmente riconosciuto, ed in qualche modo parteciparono alla protezione che gli accordava lo Stato » 3.
* Dalla recente pubblicazione: Ostia, colonia romana - storia e monumenti. Volume premiato ed edito dalla Pontificia Accademia Romana di archeologia : pag. XV - 593, 160 illustrazioni e 3 tavole fuori testo. Roma, Tipografia Poliglotta Vaticana - 1912. Prezzo L. 30. Deposito presso la libreria Loescher di Roma.
(1) Corpus Inscript. Latinorum, voi. XIV, n. 64.
(2) Vedi iscrizioni mitriache con date certe degli anni 162. e 190: CIL., XIV. 58,59,65.
(3) Les mystères de Mìthra, Paris - 1902, pag. 152.
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464 BILYCHNÌS
Figj. I.
D' altronde « questa alleanza era molto vantaggiosa al vecchio culto di Pessi-hunte, naturalizzato romano. La pompa rumorosa delle sue feste mal celava il vuoto della sua dottrina, che non bastava più a soddisfare ie aspirazioni dei devoti. La sua teologia molto grossolana si elevo a maggiore altezza allorché prese ad imprestilo alcune credenze della religione mitriaca ’* ».
Così il culto di Mitra potè più facilmente attecchire e conquistarsi a poco a poco una certa popolarità. Però continuò a rimanere culto privato, anche nel-1’ epoca della sua massima diffusione. Infatti due dei tre mitrei di cui ci sono rimaste le rovine, fanno parte di edifici privati che debbono considerarsi come le abitazioni di ricchi personaggi ostiensi del II o IH secolo.
L’apogeo del culto di Mitra vien posto verso la metà del IH secolo. Da-quell’ epoca succede una rapida decadenza per causa delie invasioni barbariche e dei progressi del cristianesimo. La decadenza durò forse un secolo, giacché nella seconda metà del IV incomincia un periodo di furiosa persecuzione contro Mitra, e di quell’ epoca di distruzione veggonsi tracce anche nei mitrei di Ostia.
Ricco è il materiale d’ architettura e di scultura fornitoci dalle rovine mi-triache nella colonia; ina ciononostante riman fitto il velo che ci nasconde i particolari dell’ organizzazione del sacerdozio e molti punti oscuri continuano a sussistere nella conoscenza del culto che a Mitra si rendeva in Ostia. Ben poco ci dice in proposito 1’ epigrafia ostiense. Essa si limita a darci il nome di qual(i) Op. c., pag. 153-
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il. CULTO DI MITRA AD OSTIA
4*5
che sacerdote locale addetto al culto ed a ricordare qualche dedicazione fatta al dio.
Dei sette gradi d’iniziazione (corax, cryphiùs, rnilcs, leo, perses, heliodrotnus, pater) solo dell’ ultimo troviamo qualche ricordo. Il pater era il direttore della comunità e presiedeva le cerimonie sacre. Sono ricordati poi parecchi sacerdoti (sacerdos o antistes), che facevan parte del clero, il quale era il depositario geloso dell’ occulto cerimoniale. Il sacerdos o anlisles, poteva esser scelto tra gl’ impiegati eh’ eran giunti al grado di pater, ma non era necessario. Egli era l'intermediario tra gli uomini e la divinità : erano a lui affidati i sacramenti, e la celebrazione degli uffici, egli diceva le frequenti preghiere, e compieva sacrifizi e libazioni.
Ecco alcuni personaggi ostiensi, seguaci del culto di Mitra: C. Valerius Heracles, che fu pater e .fcwnAw; egli regalò al mitreo in cui celebrava le varie funzioni, un bel gruppo in marmo rappresentante il sacrifizio del toro (vedi fig. i); inoltre, insieme
con altri due sacerdoti, F,g- 2
C. Valerius Vitalis et Nicomes (sic) donò al medesimo sacrario una scultura rappresentante un misterioso Kronos 1 (vedi fig. 2). Conosciamo il nome di un altro personaggio che fu pater et sacerdos : M. Aemilius Epaphroditus. ' Un altro sacerdote (anlistes) C Caecilius Her-maeros a sue spese adornò un altro mitreo con un’ ara c due statuette rappresentanti due lam-padofori 3 (Vedi fig. 7). Conosciamo poi i nomi di tre persone le quali, se non appartenevano al clero, dovevano però essere degli ardenti cultori di Mitra. Uno di essi, A. De-cimus Decimianus, restaurò a sue spese un tempio mitriaco, col suo pronao, e la stessa imagine del Dio. 4 Un altro, L. Tullius Agaio, al dio dedicò un’ ara 5, ed un terzo, L. A-grius Calendio, fece fare nel sacrario in suo onore il pavimento a mosaico c.
CIL.,
XIV, 64 e 65. (Mitreo-Fagan).
(2 Ibid. 63. (Mitreo-Petrini). (3 Ibid. 57, 58, 59. (Mitreo(4 (5 (6)
Ibid.
Ibid. Vedi
57. 58. 59- (Mitreo-Visconti).
6i . (Mitreo-Petrini).
62 (Mitreo-Petrini).
Mitreo-Visconti (fig. 5).
[3-]
76
4 66
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I Mitre!
i. Mitreo Fagan del 1797-1800.
zione non è molto chiara, ma ci pe: tasse nella sua costruzione qualche d:
Il primo Mitreo scoperto ad Ostia è quello descritto brevemente dallo Zo-ega 1 e che tornò alla luce negli scavi fatti dal Fagan, (1794-1800) *. Non abbiamo che delle indicazioni molto generali per determinare ove si trovasse : di certo possiamo porlo nella parte occidentale della città.
Lo Zoega lo chiama Mitreon e lo descrive come « un adylum in forma di una caverna naturale, situato a lato di un andito lungo c stretto ». La descri-mette di ritenere che quel mitreo presen-versità con i due attualmente visibili 3. Non è detto che sia stato distrutto e che un giorno non abbia a riveder la luce. Il Fagan vi trovò le tre sculture di cui diamo una fedele descrizione prendendola in prestito dal diligente lavoro del CUMONT. La prima era « all’ entrata dela caverna », la seconda « nell’ interno a destra » e la terza « dirimpetto » alla seconda, « circondata da una nicchia ».
a) Gruppo in marmo bianco: lung. m. 1,55, a^t0 nK °’92- Trovasi ora al Museo Vaticano (Galleria lapidaria).
Rappresenta Mitra tauroctono col cane, il serpente e lo scorpione. Sulle spighe con le quali finisce la coda del toro poggia il corvo. Una luna falcata, circondata di
sette stelle, è scolpita sul manto svolazzante del dio. Il cane ha un collare. Lo zoccolo della scultura reca riscrizione seguente (CIL., XIV, n. 64): SIG - IMDEPREHENS1VILIS ■ DEI - G - VALERIUS - HERACLES - SACERDOS S - P - P - L - SEXTÌUS - KARVS - ET
II lavoro è abbastanza accurato e di buona epoca. Qualche piega del mantello ed il naso son rotti. Non vi sono restauri (vedi fig. 1).
b) Statua di marmo bianco : a. m. 1,65; largo alla base m. 0,47. Trovasi attualmente all’ ingresso della Biblioteca Vaticana.
Rappresenta una persona leontocefala nuda interamente, in piedi, il corpo avvolto sei volte da un serpente che giunge per didietro a porre il suo capo sul cranio del dio. Quattro piccole ali spuntano dal suo corpo, due dalle spalle
(1) Abhandlungen, p. 193 e 19S. ' ... .
(2) Per i raffronti bibliografici che valgono ad identificare il mitreo ed a determinare l'anno della scoperta rimandiamo alla nostra Storia degli Scavi di Ostia, cap. XV del nostro volume Ostia, Colonia Romana, pag. 496. anno 1800.
(3) Insistiamo su questa diversità: basta confrontare la parca descrizione del Mi-treo-Èagan, fatta dallo Zoega, col Mitreo-Visconti attualmente visibile per convincersi che non è possibile accarezzare l’ipotesi che si tratti di un unico mitreo, ipotesi eh’è stata recentemente esposta dal Carcopixo in Mèlanges, 19x1, p. 219, n. 3.
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IL CULTO DI MITRA AD OSTIA
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F>g. 5
e due dalle anche. Esse sono decorate coi simboli delle stagioni : in alto a de" sti a, una colomba e un cigno, a sinistra » dell’ uva, a destra due palme e una canna acquatica. Il dio ha le mani aderenti ai petto, e in ciascuna di esse tiene una chiave forata da dodici buchi ; e inoltre, nella destra, uno scettro lungo o
bastone ornato di due palle alle estremità. Tra le mani, sul petto, è scolpita una folgore. Sulla base che si prolunga verticalmente dietro il dio, sino all’ a 1-tezza de’ suoi polpacci, si vede, a destra, il martello e le tenaglie di Vulcan o, a sinistra il caduceo di Mercurio, un gallo, una pigna e l’iscrizione (CIL., XIV, 65) : C. Valerius Heracles paller) et C. Valeri[t<s'] Vifalis et Ni co ni es (sic) sacerdote slua) pieìcltinid) plo^lucplunt). Dlynd) dlederiint') Idilbus) aiigluslis'), Imperatore) Com^modo) [consule] VI et Septimiano coln)s(ulìbiis'). (Anno 190 <1. C.). Sulla barba, sulle ali e sulla folgore si consertano tracce di color rosso. L’ e
secuzione è buona (vedi fig. 2).
c) Bassorilievo di marmo bianco alto circa m. 1, largo 0,40. Trovasi oggi al Museo Chiaramonti in Vaticano.
Rappresenta una persona leontocefala, ritta, nuda davanti un cratere. Ha in ognuna delle mani una chiave, due ali alle spalle e due alle anche. Il corpo è circondato da un serpente che dopo esser passato sotto la spalla destra, viene a bere nel cratere, in cui cade anche la coda del rettile. Il lavoro è eseguito rozzamente. Un tempo fu tutto dorato. Oggi nereggia (vedi fig. 3).
Probabilmente proviene da questo medesimo mitreo l'iscrizione seguente (CIL., XIV. 66): C. Valer ius Heracles pal[er] <?[/] An[iis\ies dei iu[b]enis in-corrupli ì<?[Z]zì invidi Mithra\e c\ryptani palali conces$a[m\ sibi a M. Aurelio...
Dalla quale inscrizione si rileva che il mitreo faceva parte di una casa, come i due mitre! 304.
2. Mitreo-Petrini del 1802-4.
Durante gli scavi pontifìci sotto Pio VII. pare si sia frugato in un mitreo, poiché fra i ritrovati d’ allora sono ricordate una « scultura in alto c basso rilievo..,. rappresentante il dio Mitra... » e quattro iscrizioni riferentesi tutte al culto e ad un tempio di quel dio1. Non vi è alcuna notizia che possa illumi*
(1) Vedi ilfs. Pdrìni (conservato a Roma presso la Commissione Comunale d’Archeologia) Elenco delle sculture, n. 56, ed Elenco delle iscrizioni sacre, nn. 8, 9, io, 11.
78
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BILYCHNIS
narci circa la località in cui sorge quel mitreo, e le sue dimensioni ; ci è permesso solo di accennare all’ipotesi che si tratti del medesimo mitreo che fu sgombrato definitivamente nel 18S6. Che questo sia stato, anche prima del 1886 visibile sarebbe provato da una notizia di C. L. Visconti. Questi infatti, enumerando i mitrei di Ostia, dopo aver ricordato quello del Fagan, e quello che noi descriveremo al numero 3, ne ricordava un terzo il quale poteva allora vedersi — egli scriveva nel 1864 1 2 — « non molto lungi dai ruderi del teatro lungo una via fatta tracciare per recarsi dalla prima piazza dell’antica città verso il così detto tempio di Giove ». Queste indicazioni corrisponderebbero appunto alla posizione del Mitreo del 1886. Va inoltre ricordata un’impressione provata da chi diresse gli scavi del 1886 *: che cioè la zona in cui sorge il Mitreo fosse stata « frugata e devastata forse ai tempi di Pio VI ». E’ notevole inoltre il fatto che nel 1886 il mitreo fu trovato assolutamente spogliato d’ogni suppellettile: non una delle numerose sculture ed iscrizioni che adornavan di solito i mitrei vi si rinvenne; eppure, per quanto riguarda la costruzione, il mitreo del 1886 — come vedremo — è uno dei meglio conservati.
Questi vari indizi sembrerebbero concordi nell’ avvalorare la supposizione che il Mitreo frugato dal Petrini nel 1802 fosse lo stesso messo poi compieta-mente in luce dal Lanciani nel 1886 3; ma v’è un’osservazione in contrario che ci costringe a sospendere una conclusione in quel senso, ed è che nella pianta dettagliata degli scavi-Petrini (1802-1S04) non vi è la minima indicazione di scavi compiuti nella zona in cui trovasi il mitreo del 1886.
Ci limiteremo quindi — dopo aver posto il quesito, che non potrà risolversi se non quando si sarà diseppellita tutta la città — a riferire qui ed illustrare i ritrovati mitriaci del 1802, considerandoli a sè, cioè, come non appartenenti al mitreo del 1886.
a) Rilievo di marmo bianco, venato di nero (pavonazzetto); alto m. 1,90, lungo m. 1,27. Trovasi oggi nel Museo Vaticano, Galleria Lapidaria.
Rappresenta Mitra tauroctono col cane, serpente e scorpione. Sul manto del dio è scolpita una luna falcata e sotto sono raggruppate sette stelle o pianeti. Un corvo probabilmente era posato un tempo sulle spighe ora a metà spezzate, con le quali termina la Coda del toro (vedi fig. 4). Questo lavoro è qualcosa tra il basso e il pieno rilievo. La parte bassa è scolpita in rilievo su di un fondo roccioso, e l’alta è staccata. Probabilmente la pietra era incastrata nel muro del tempio come è ora al Vaticano, e forse il fondo era dipinto in modo da figurare una grotta, di cui l’iscrizione circolare
Fig. 6
(1) ylnn. d. Inst., 1864, p. 412.
(2) Lanciani in Noi. Se., 1SS6, p. 126.
(3) Vedi il voi. Ostia, eoi. rom. tav. I. C, 5.
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IL CULTO DI MITRA AD OSTIA
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trovata nello stesso tempo (vedi appresso: b, 1), ma di un marmo diverso, formava l’orlo. Di sotto, un’altra iscrizione (4, 2) teneva, in qualche modo, luogo del plinto del monumento.
b) Quattro iscrizioni: trovansi tutte al Vaticano, Galleria Lapidaria. Le riproduciamo qui.
1. (CIL., XIV, 60): A. Decimus Afidi) ffilius) Palfatina tribù) Decimianus sfud) pfecunid) restituii.
2. (CIL., XIV, 61): A. Decimus Afidi) Jfilius) Palfatina tribu) Decimianus acdern cum suo pronao ipsumque daini Solevi Mitkra [sic] et niarmoribus et omni cullu sua pfecunia) restituii.
3. (CIL., XIV, 62): L. Tullius Agaio deo inviclo Soli Milhrae ararn d(ono) dfedii) eanque [sic] dedicavil ob honore [sic] dei, M. Aemilio Epaphrodilo paire.
4. (CIL., XIL, 63): M. Aemilio Epaphrodito paire et sacerdote.
3. Mitreo*Visconti del 1860.
Fu scoperto e sterrato completamente da C. L. Visconti, il quale ne diede un’ampia e dettagliata descrizione 1 che noi seguiremo fedelmente limitandoci a fare qualche aggiunta o correzione suggerita dal Cumont s. Il Mitreo è annesso all’imponente gruppo di rovine indicato nella nostra pianta generale 3) con la lettera M. Ne diamo qui una piantina particolareggiata cui ci riferiamo nella descrizione (vedi fig. 5).
Le stanzette O, Q, R, che il Visconti ritenne fossero parte dell'abitazione del sacerdote addetto al culto di Mitra, costituirebbero, secondo il Cumont una specie di pronao di cui generalmente i mitrei sono provvisti, c allora la costruzione che, in una di esse, il Visconti riconobbe per un camino, sarebbe inpjg. ? vece un altare. Osserviamo noi che a dare
carattere sacro ad uno almeno di quegli ambienti sta il fatto che vi si rinvenne, forse nella parete N della camera O, una nicchia curvilinea contenente l’imagine di Silvano in fini musaici a colori. Essa è alta m. 1,57 e larga 0,87; è a fondo, azzurro scuro, è orlata con una striscia rossastra, la quale limita anche la volta della cupoletta. In piedi sul Suolo verde sta ritto Silvano, alto 71 cm., di faccia, con lunghi capelli bruni e barba piena. Ha una tunica bianca orlata in rosso e calzature alte verdastre,
Q) Ann. d. Itisi., 1864, P- 150 e seg. Tav. d’agg. K, L, Mt N. Vedi anche una descrizione di questo mitreo, con veduta prospettica del medesimo, nell’ opera : Le Scienze e le Arti sotto Pio IX.
(2) Op. cit., voi. II, p. 240 e seg.
(3) Tavola I nel nostro volume Ostia col. rom.
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che lascian libere le dita dei piedi; dalle spalle cade una pelle di animale giallastra. Intorno al capo è un nimbo azzurreggiarne. Nel braccio sinistro tiene un ramo frondoso c nella mano destra il coltello dal manico giallo. Alla sua sinistra sta un cane seduto, che lo guarda: è quasi appoggiato ad un alberello. A destra di Silvano è un altare a riquadri, con fuoco ardente, e presso l’altare due altri alberelli, "ja Questa nicchia si conserva ora al Museo Lateranense, XV* stanza, parete sud, n. 551 (vedi fig. 6).
Davanti ad essa, sembra sia stata trovata, al mo-Fig. 8 mento dello scavo, una lucerna bilione *).
L’apertura JZ può considerarsi come il primo ingresso al mitreo, per entrare nel quale occorreva scendere dalla stanza O alla Q per una scaletta (P) e passare quindi nell’ambiente R nel quale si apriva la porta (E) che metteva dirèttamente nel santuario. Esso è tutto in opera laterizia e misura in lunghezza m. 16 e in larghezza m. 5,25. L’interno era diviso in tre parti, «li cui quella di mezzo AA era allo stesso livello coila porta d’ingresso, mentre le due laterali CC formavano come due podía, ai quali si ascendeva per alcuni piccoli gradini DD. La parte media ha il pavimento in mosaico bianco con una dedicazione scritta in nero a grandi lettere e ripetuta in senso oppòsto seguendo la base dei podía: Soli invidio} Mil(hraè) d(onum) d(edit) L. Agrias Calendìo. E’ evidente che il dono fatto al dio consistesse appunto nel pavimento. I muri esistono conservati fin quasi all’altezza dove impostava la vòlta e non vi si scorgeva, all’epoca degli scavi, alcuna traccia di finestra o di apertura qualunque, come non se ne scorge neppure nell’andito R; è probabile quindi che il luogo venisse rischiarato soltanto da lampade di vario genere,, di cui non poche si rinvennero sugli orli dei due podía, tra le quali una assai bella di dodici fiamme, coll’impronta del fabbricatore: serapiodori. jnny, la quale, secondo il Visconti, sarebbe stata depositata al Vaticano. La pallida luce delle lampade ad olio dovea esser resa vivace dal riflesso delle pareti che, pare fossero dipinte in rosso, a tinta unita, a giudicare dai pochi avanzi di intonaco esistenti all’ epoca de¿li scavi. In fondo, dirimpetto alla porta d’ingresso, era l’altare (F) formato d’una serie di sei o sette gradini, al disopra dei quali era certamente collocato il gruppo rappresentante il dio Mitra che compie il sacrificio del toro; del gruppo non è stato trovato altro che il capo del dio e la mano destra che stringe il pugnale, i quali avanzi dicono che la scultura era in marmo, di tutto r’òievo, di grandezza naturale e di ottima esecuzione; sembra inoltre che fosse interamente dipinta. Dinanzi a questo gruppo mitriaco sorgeva, ed è anche oggi al suo posto (/<), un’ara quadrata di marmo Carisio su cui ardeva il fuoco: sulla sua fronte leggesi l’iscrizione seguente (CIL., XIV, 57): C. Caecilius Hermaeros, antistes huius loci fedi sua pecunia'). Intorno all’altare furono trovati alcuni pezzi di tufa ridotti in forma conica a somiglianza di rocce acuminate, ed alcune piccole colonne di finissimi marmi, molto larghe alla base perchè avessero posamento più fermo. Pare ch’esse fossero destinate a sostenere delle lampade.
(1) Giornale di Roma, 8 maggio 1861.
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Nel 1906, eseguendosi una pulizia generale ed accurata dei monumenti di Ostia, si constatò che l’altare dista a sinistra dal muro di cinta m. 1,20 e che in mezzo questo spazio corre un muricciolo costruito con cocci, mattoni, selci, sassi e terra: nel vuoto tra questo muricciolo e l’altare s’ è trovata un’ anfora alta m. 0,47 e frammenti di dolii *.
Addossati ai due podia CC verso la metà, l’ uno dirimpetto all’altro ((7 si trovarono le due statuette dei due ministri lampadofori (vedi fig. 7) che d’ordinario assistevano al sa
crifizio del toro, e pare fossero destinati ad esprimere il sorgere e il tramontare della luce ; sono di buon lavoro, di perfetta conservazione c recano molte tracce di doratura. Sono alte poco meno di mezzo metro. Veggonsi ora al Museo Laterano *. Sono posti entrambe sopra piccole basi quadrate recanti nella parte anteriorie ciascuna un’ iscrizione quasi identica a quella che si legge sull’ ara surricordata 3 *. Uno dei due cippi, e precisamente quello su cui sta il ministro che regge la face levata, porta la data consolare dell’ anno 162 d. C. Che il Mitreo debba
essere anteriore a quell’ anno_______________________________________________
lo prova il fatto che gli in- 1 2 s * ' i 1
cassi eseguiti nei podia per p.
incastrarvi i cippi su cui pog- ,g‘ $
giano i due lampadofori, appariscono come più recenti e fatti alla peggio. Una particolarità degna di nota nel Mitreo, è resistenza di una piccola edicola murata che occupa uno degli angoli del santuario (I). E di struttura sem(1) Noi. Se., 1906, pag. 446.
(2) Stanza XV, n. 502, 504.
(3) CIL., XIV, 58 e 59. Secondo una relazione nel Giornale di Roma, 28 marzo
1860. nello stesso mitreo sarebbesi trovata una terza statuetta di un servo di Mitra. Ma
il Visconti nella sua relaziono degli scavi non ne parla. Il Benndorf la ritrova nel Laterano, numero 5S6 della stanza XVI. La statuetta è alta m. 0,32 e con la base m. 0,36. Rappresenta un ragazzo con capelli lunghi ricciuti, con maniche strette, calzoni, chitone a doppia cintura e clamide annodala sulla spalla destra. Secondo la medesima relazione nel G. d. R. sarebbe altresì venuto alla luce dallo scavo di questo mitreo un quadro in mosaico, per ornamento di parete, rappresentante Ercole che abbatte il toro di Creta. Il musaico era formato sopra una lastra di terracotta. « I colori — si legge in quella relazione — sono tutti industriosamente presi da quelli naturali dei marmi ». Misurava 3 palmi per lato.
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Fig. io
plicissima, in forma quadrata, coperta con tetto a fastigio, ed ha nella parte anteriore un’ apertura pure quadrata, dinanzi alla quale è uno sporto, su cui potcansi posare lampade o altri oggetti : in basso è una predella, che si trovò sfondata; eran stati gettati dentro alla rinfusa dei foculi o pirei. L’edicola era rivestita anch’essa — come le pareti del mitreo — di stucco dipinto in rosso. La parte interna di essa, il cui piano è formato da un gran mattone bipedale, fu trovata del tutto vuota (vedi fig 8).
Presso quest'edicola, accanto all’ingresso, nel 1906 fu notato un vuoto nel muro, chiuso inferiormente da rozzi pezzi di tufo. Dietro si videro delle anfore coricate: aperto un cavo dalla stanza adiacente, il cui pavimento è ni. 1,20 più alto del piano del Mitreo, a un metro sotto a quello, si rinvennero: un’anfora, un vasetto di terra rossa, una lucerna, frammenti di anfore, di vasi aretini, di vasi di terra verniciata in rosso, di altri più grandi di impasto rozzo seuro, di altri ancora di terracotta a vernice invetriata, su uno dei quali sono rappresentate foglie e ghiande; oltre a tutto questo si rinvennero anche molte ossa di animali '). Il buco nel muro e tutto questo materiale colà scaricato doveva servire a facilitare lo scolo dell’acqua.
Oltre la porta principale E ve n'era una seconda poco distante dall’altare (^) per la quale il Mitreo era messo in comunicazione diretta col signorile edi(1) Noi. Se., 1906, p. 447.
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ficio variamente denominato « Terme di Antonino », « Palazzo imperiale » e anche « Palazzo di Gamala ». Questa porta secondaria fu trovata chiusa con una muratura latta alla peggio, in fretta, in tempi di avanzata decadenza : nello stesso modo fu ostruito il recesso (Zf) a sinistra dell’altare, nel punto L. Ricorderemo infine che nel Mitreo si rinvenne una testa di leone, fatta evidentemente per essere inserita nel muro, poiché al luogo del collo proseguiva il marmo in forma quadrata appena dirozzato; si rinvenne inoltre una tiara frigia di marmo, con sette fori destinati a ricevere altrettanti raggi di metallo, esprimenti i pianeti; la parte inferiore essendo piana, è da credere che codesto berretto stesse posato sopra una piccola colonna, o una base qualsiasi.
4. Mitreo-lanciani del 1886.
Fu sterrato completamente durante gli scavi del 1886 diretti dal Lanciani. Ricordiamo appena qui la supposizione che si tratti del medesimo Mitreo frugato dal Petrini nel 1802, e per la quale ipotesi veggasi al numero 2 di onesto paragrafo. Il mitreo è stato studiato con ogni diligenza dal Cumont, il quale ne pubblicò in opposito fascicolo illustrato un’ampia descrizione *) alla quale ci atterremo.
E’ annesso alla così detta Domus !.. Apulei Marcelli (Vedi nostro voi. Tav. I, lettera C, 11. 5 e fig. 88, IT). Ne diamo una piantina speciale, cui ci riferiremo nella descrizione (vedi fig. 9).
Incerta è per questo Mitreo l’esistenza di un qualche pronao: dobbiamo riconoscerlo nello stretto andito O ì E’ probabile ; ma non siamo disposti ad accettare la supposizione del Cumont che la sala M e il piccolo ambiente N facessero parte del pronao ; essi sono invece, ci sembra, delle camere facenti parte delia Domus vicina. Il Mitreo, oltre ad avere una comunicazione diretta con quella, avea un ingresso esterno (Z>). Fer la porta (Z) si entra nel santuario il quale probabilmente non è se non una cantina adattata. Il muro di sinistra è irregolare, e per rimediare a questa irregolarità sono stati rizzati dei pilastri di spessore vario, ma paralleli alla parete opposta. La grotta (spelaeuni) è molto bene conservata. I muri esterni aiti ora da cm. 75 a in. 1,35 servono di base alla costruzione aggiunta per sostenere il tetto, di cui è stato copeito il Tempio. L’interno è diviso — come al solito — in tre: nel mezzo è una specie di corridoio, largo m. 1,70, e ai due Iati si stendono fino in fondo alla sala i podia ; questi sono divisi in due parti: una banchina larga da 25 a 30 cm. circonda per tre lati il corridoio centrale, stendendosi essa anche dinanzi al muro di fondo ; 30 cm. al di sopra di questa banchina stendesi un banco molto più largo —- da m. 1,10 a m. 1,40 — che arriva alla parete della stanza mediante un piano inclinato, di guisa che la sua maggiore altezza è di 75 cm., mentre lungo le pareti non arriva che a 60. Questa disposizione del secondo banco dei podia era necessaria perchè i fedeli vi potessero rimanere inginocchiati, mentre nei corridoio avean luogo le cerimonie del culto. Essendo questi podia lunghi m- 9,5°. richiedendosi per ogni persona cm. 50 di spazio, si può calcolare che
(?) Franz Cumont, Notes sur un tempie Mithriaque d‘ Ostie, Gand, 1891.
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il Mitreo potesse contenere una quarantina di fedeli. Per salire ai podio, erano costruiti dei gradini alle loro estremità verso l’entrata. Ne è rimasto uno solo a destra; ma è certo che un’altro fosse anche a sinistra poiché il mosaico non continua sino al muro, ma si ferma a 45 cm. dal pilastro e la figura del por-tafiaccola che decora questa parete non si trova in mezzo allo spazio divenuto libero per la scomparsa dello scalino, ma in mezzo al mosaico.
Verso l’altezza dei podio, la parete di fondo forma una specie di nicchia di 50 cm. di profondità su m. 2.80 di larghezza. Ivi sicurissimamente dovette trovarsi un tempo il solito bassorilievo di Mitra tauroctono. Non n* è rimasto nulla. All'estremità opposta del Tempio, presso il muro di entrata, nel pavimento è un foro tondo o esagonale di cm. 45 di larghezza, scavato in forma conica sino ad una trentina di cm. di profondità; le pareti interne erano rivestite di cemento. Non possiamo indicarne l’uso con certezza. Il Cumont presenta due ipotesi: ch’osso servisse per raccogliere il sangue delle vittime, oppure all’uso indicato da un curioso passo di Sant’Agostino, il quale racconta che in una delle cerimonie simboliche dell’iniziazione si legavano le mani del neofita mediante intestini di pollo, e che quindi lo si precipitava sopra fosse piene d’acqua; allora un « liberatore » s’avvjc;naVa con una spada e tagliava i legami del paziente *. Notisi che poco lungi ¿alla fossa, sul pavimento, è disegnato in mosaico un largo coltello.
Nella parete verticale dei podio sj nota> verso la metà della loro lunghezza due aperture a sesto, di 32 cm. di altezza su 30 di larghezza: sono le aperture di due piccole nicchie quadrate, di 25 cm. di profondità. Quella di destra, la meglio conservata, scende 30 cm. sotto il livello del pavimento, ed è ancora rivestita di lastre di marmo, che, cominciando a 9 cm. al di sopra del suolo, guarniscono la cavità sino al basso: pare che- fossero destinate a contenere un liquido, forse l’acqua lustrale che aveva gran parte nelle purificazioni mitria-che. A destra dell’ entrata si nota nel muro, al livello del suolo, un buco quadrato di 11 cm. di lato che terminava all’esterno c le cui pareti sono coperte di lastre di terracotta; di qui scolavano le acque che poteano spargersi sul pavimento.
(1) Aug.» CXIV, IH, p. 2343, Mi
gne. F>g- ”
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Il suolo, le pareli verticali dei podia laterali e le banchine che fanno il giro della sala, sono rivestiti di mosaici ancora in discreto stato di conservazione: ne rimangono tracce anche sul muro di fronte.
Sopra un fondo bianco uniforme incorniciato da strisce nere si distaccano, anch’esse in nero, figure eseguite abbastanza rozzamente.
Nel pavimento presso l'entrata si vede il già ricordalo coltello e dopo questo, l’uno dopo l’altro, sette mezzi cerchi che si perdono a sinistra nell’orlo del mosaico, e si prolungano dall’altra parte con una lineetta dritta fin quasi a toccare il cerchio precedente. Sono evidentemente le sette porte che, secondo Celso, costituivano nei misteri mitriaci il simbolo del passaggio delle anime attraverso i sette pianeti *. La prima era consacrata a Saturno, la seconda a Venere, la terza a Giove, la quarta a Mercurio, la quinta a Marte, la sesta alla Luna, la settima al Sole. Si può verosimilmente credere — scrive il Cu-mont — che in ognuna di queste porte si recitassero date preghiere e vi si compissero cerimonie in onore degli astri che esse ricordavano. Sembra quindi certo che tutta la parte mediana del santuario, situata al livello dell'entrata fosse riservata agli officianti.
I pianeti poi sono rappresentali ai due lati del corridoio centrale, sulle pareti verticali dei podia. Ognuna delle divinità è ritta in piedi in un riquadro nero rappresentante una specie di nicchia o di piccolo tempio (vedi fig. io). Si vede successivamente a sinistra Diana (0, dalla fronte ornata della luna falcata, tenente nella mano destra una freccia e nell’ altra un oggetto ovale che potrebb’essere una patera.; poi Mercurio (0 con un bastone corto (il SdpSos di Omero), forma primitiva del caduceo, il quale nei nostro disegno è aggiunto a quello; quindi Giove (Z?) con lo scettro e il fulmine. A destra, di fronte alle suddette figure, troviamo successivamente Marte (<?) col casco e con corazza, appoggiato sulla lancia e sullo scudo : Venere (0 nuda sino alla cinta, che fa svolazzare il velo intorno al capo, ed un sesto personaggio (0 barbuto, col capo coperto del suo mantello ; i suoi attributi mancano pel guasto del mosaico, ma non si può dubitare che sia Saturno. Sulla banchina poi che fa il giro del corridoio sono disegnati i segni dello zodiaco : a destra si succedono le costellazioni che presiedono ai mesi d’estate : la bilancia (fig. 9, lett. a), lo scorpione (¿), il sagittario (¿), il Capricorno (0, l’aquario (c) e i pesci (/) ; a sinistra quelli dell’inverno, molto guasti : l’ariete (g) è irriconoscibile, il toro, i gemelli e il cancro (/z, /, ¿) sono meglio conservati, ma il leone e la vergine (/, w) sono interamente distrutti ed il posto che essi occupavano non è indicato che dalla stella disegnata sullo schienile. della banchina c ch’è sovrapposta tanto a sinistra che a destra al segno di ciascuna di queste costellazioni. Le due figure A, H (fig. io) che adornano le estremità dei podio, dalla parte dell’entrata sono i soliti lampadofori in costume orientale : quello che tiene levata la fiaccola (H) presenta un particolare assai raro: tiene nella sinistra un gallo.
(1) Orig. Conira Cete. VI, 22 (.Vigne, t. 1324-1325/
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5. MlTRÉÓ(?) NEI PRESSI DEL TEMPIO DI ClBELE *.
Poco lungi dal Tempio di Cibele c più a nord si veggono le rovine di un sacrario che presenta subito una grande somiglianza coi Mitrei. E’ un’aula stretta e lunga (vedi fig. 11), in cui si distinguono un corridoio nel mezzo (ì), ai lati (bb) i due soliti rialzamenti o podia, e in fondo l'altare (a). Allo stato attuale dello sterro si entra direttamente in questo sacrario da un’apertura laterale; ma attenendoci alla piantina che ne fu fatta all’epoca degli scavi e che riproduce anche quella parte dello sterro che oggi non è visibile, dobbiamo credere che non si potesse giungere nel sacrario se non dopo aver percorso gli ambienti e corridoi h, e, d, f. Era forse il luogo in tal guisa conformato, si chiede il Visconti, per dare all’ingresso un non so che di misterioso? ovvero non è che una disposizione motivata da circostanze locali, che non permisero di aprire l’ingresso di rincontro all’altare?
Nell’ interno del sacrario, lungo le pareti, si vedono come delle nicchie quadrate. Il Visconti si domanda se in esse non si trovassero dei sedili oppure delle basi sostenenti quelle figure allegoriche dette signa sacrorum, ritraenti i tipi dei differenti gradi di iniziazione. Ma noi crediamo che quelle nicchie non appartengano alla costruzione, ma siano risultate dalla erezione di pilastri, divenuti necessari per sostenere il soffitto o probabilFig. mente la vòlta di questo sacrario, il
quale doveva apparire come un sotterraneo.
Il pavimento del corridoio centrale e interessante per le misteriose figure eli’esso reca nei suoi musaici (vedi fig. 12). Vi si vede al principio la figura
(x) Vedi la località del tempio di Cibele nella nostra pianta generale, tav. I, È, 3; il miirco è indicato in questa pianta col 11. 2.
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di un vecchio dai capelli lunghi e in disordine, nudo, tranne che ai lombi. Ha nella sinistra una ronca e nella destra qualcosa come una pala: sarà Saturno? Seguono le figure di un gallo, di una civetta, di uno scorpione, di un serpente crestato e finalmente la testa di un toro ornato di bende con accanto il coltello del sacrificio e sotto il collo reciso una pioggia di gocce di sangue. In questa cella si trovò una testa del sole con sette fori in cui anticamente erano infissi i raggi, e una testa di Atti, assai bella, specialmente per l’espressione di profonda malinconia.
Questo sacrario, come abbiamo detto, ha molta somiglianza coi Mitrei, ma ciò che fa rimanere in dubbio sono i disegni del pavimento, fra i quali alcuni, come il gallo, la civetta e l’uomo, non trovano riscontro nelle numerose rappresentazioni mitriache a noi pervenute. Il Cumont stesso, nella sua opera capitale pone questo edilìzio fra i « monumenti dubbi » di Mitra.
La presenza di questo sacrario in questa località certo fa pensare eh’ esso fosse destinato piuttosto alla celebrazione dei misteri del culto della Mater Deum, ma anche la supposizione ch’esso fosse consacrato a Mitra non è assurda, giacché Sappiamo delle buone relazióni che si stabilirono fra i due culti. Se è un mitreo, esso è il più antico fra quelli ostiensi.
LODOVICO PASCHETTO.
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IL PAPA E IL MODERNISMO.
(Prefazione al volume * Il Papa e il Modernismo » di G. Tyrrel, d imminente pubblicazione).
E’ opera di Giorgio Tyrrell il movimento « modernista » : in quanto e-spressione irrefrenabile del pensiero moderno che vuole salvi tutti i suoi diritti di libera scelta e di libera obbedienza, è opera di questo grande asceta, di questo sereno eroe entrato, colla morte, nella sicura immortalità.
Già lo dissi, nella prefazione del suo testamento religioso « Il Cristianesimo al bivio » (i) — giova ripeterlo ancora.
E il modernismo è in cammino.
Non più aspirazione fervente quanto incerta, ma movimento determinato e quasi organizzato, il modernismo può essere ora seguito nel suo vario cammino, nelle sue ultime soste.
I saggi che qui si pubblicano sono quasi tutti degli ultimissimi anni della vita del Tyrrell : la « lettera al professore d’ antropologia » nella versione di Piero Giacosa : « da Dio o dagli uomini ? » e « Teologia Aprioristica » e « il Papa e il Modernismo » tradotto da Aiace Alfieri che del « Rinnovamento » fu l’anima più pugnace; menti e quello, bergsoniano anzi leopardiano, su la « Divina fecondità » è inedito e fu recato in italiano da E. Viviani, che del grande fu intimo.
In attesa della biografia che miss Maud Pctre — F erede mistica — sta scrivendo di questo eroe cristiano, giova ora vedere un altro lembo di sua a-nima specchiato in questi suoi ultimi scritti e pensieri e ammonimenti.
Nè in quelli di essi che sono più visibilmente polemici, come quello sul « Papa e il Modernismo » da cui il libro prende titolo, è acre o parziale.
Potrà esserlo qualche suo seguace; lui, no.
Onde, tra lo sforzo delle opposte tendenze e della contesa superficiale, è un centrale equilibrio in rapporto a una dottrina e una fede che qui regna, e con esso la espressione della reale loro vita profonda.
Equilibrio che guidò il Tyrrell nei momenti più aspramente polemici della sua vita e di cui è forse F esponente maggiore nella stessa sua definizione del modernismo.
Ricordiamolo ancora:
« Modernismo » significa insistenza sulla modernità come su un principio, vale a dire di riconoscimento, da parte della religione dei diritti del pensiero moderno, del bisogno di una sintesi non indistintamente fra il vecchio e il nuovo, ma fra quello che mediante l’analisi critica è giudicato buono nel vecchio e nel nuovo. Il suo contrario è il « Medioeval ismo » il quale, come fatto, è semplicemente la sintesi operata tra la fede cristiana e la cultura del tardo medioevo e che solo per errore si crede possegga F antichità apostolica: il quale
(i) Pubblicato dal Voghera: Collezione « Autori celebri stranieri».
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IL PAPA É IL MODERNISMO 479
nega che il lavoro di sintesi sia sempre necessario e debba tanto durare quanto durerà 1’evoluzione intellettuale, morale e sociale dell'uomo: che considera quindi 1’ espressione medioevale del cattolicismo come la sua primitiva e insieme definitiva espressione. Medioevalismo è un termine assoluto, Modernismo un termine relativo, quello significherà sempre le stesse idee e le stesse istituzioni: il significato di questo è destinato a cambiar col tempo ».
Così da un lato il « Medievalismo » e il Papa, dall’altro il « Modernismo ».
Le due tendenze sono alle due opposte rive del fiume della Vita, nè ponte può esser gettato.
Dall’ una riva si combatte contro 1’ altra ; e la lotta si amplia, smisuratamente.
II.
E questo conviene constatare : che proprio uno dei fenomeni più interessanti e significativi dell’attuale lotta fra la Chiesa cattolica e il pensiero modernista, è dato dall’ampiezza dell’eco che il suo rumore ha prodotto — oltre le sfere della gerarchia e della cultura strettamente religiosa — in tutto il mondo dei pensanti.
Persone, in ogni paese, che non avrebbero mai creduto di doversi un giorno occupare dei problemi, abbastanza speciali, pertinenti alla esegesi, si trovano, invece, — pel solo fatto che vogliono aver l’occhio aperto a « tutte » le qui-stioni vitali, — a seguire, come lo scrivente ornai da anni, tutta una serie di complesse questioni religiose e a sentire, anzi, che la conoscenza loro ha valore grande non solo in sè, ma per i rapporti che può stabilire cogli stessi massimi problemi sociali. La coscienza moderna, quella stessa che è maggior segnacolo d’indipendenza, si trova ad avere, così, ravvicinato oggi, un momento, il suo cammino ad una situazione che stimava, forse, superata per sempre.
L’ elemento « religioso » travolto dalla rivoluzione francese, per reazione storica a ogni modo comprensibile, con le forme d'autorità che gli si erano immedesimate, non ha perciò cessato di essere una delle forze e un uno dei bisogni dell’uomo; troppo profonde ne sono le naturali radici.
Non finzione jeratica, come ha supposto una sociologia che confuse l’effetto con la causa, nè esercitazione dialettica, quale il Croce e il Gentile sembrano trattarla, ma anzitutto realtà psicologica, il senso religioso dell'uomo è anteriore a tutte le religioni (poiché le ha determinate) e le loro lotte e il loro succedersi ne mostrano la continua evoluzione.
E, quando si pensi poi che esso oggi, per consenso di un filosofo quale il Boutroux (i), si adentifica, pel pensiero moderno, non con superstizioni e favole di miti, ma col sentimento del dovere, sì che « coscienza religiosa » vuole e può solo dire « coscienza delle finalità altruiste della vita », quando ciò si consideri, si comprenderà il presente interesse di tanta pluralità di pensanti a problemi, dalla cui comprensione è riservata — non pochi oggi lo sentono — copia
(i) — La réligion et la Science dans la philosophie contemporaine. Vedi anche W. James, The variety of religious experience.
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di maggiore armonia e di più nobile vita alla coscienza degli individui e della comunità umana.
L’interesse che il dibattito fra la Chiesa e il pensiero modernista diffonde, sta nell'interpretazione che tale pensiero dà ai valori religiosi.
Poiché è certamente comune ai maggiori interpreti suoi, da Giorgio Tyrrell ad Alfredo Loisy, ad Alberto Houtin, a P. Saintyves, a Romolo Murri, a Salvatore Minocchi (malgrado il divario delle vie della loro attività di fatto) il sentimento espresso dal Newman : « Il grande maestro interiore che ci ammaestra in cose religiose è la nostra coscienza ». Ed è in questa non recente affermazione della coscienza laica che si cardina la porta aperta del Modernismo sulla soglia dell’età nostra.
Affermazione che questo libro conferma una volta ancora : fra i testimoni della nuova fede senza dogmi e miti, di cui parlavo poc’ anzi, fra i « martiri » di essa (nel senso ellenico e nel senso moderno della parola) è, lo ripeto, Giorgio Tyrrell che, perduto il Dio delle immagini, ritrovò quello dell’ amore che dona e non chiede nella sua coscienza luminosa.
ARNALDO CERVESATO.
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Quanto valga il Giuramento Antimodemista.
(A proposito di una fetente difesa l.)
N Italia, la terra degli assenteisti in fatto di questioni religiose, il famoso giuramento antimodernista imposto da Pio X col molli-proprio « Sacrorum Antistitum » del i settembre 1910, dopo aver causato un certo rumore in quei giorni che seguirono la promulgazione del decreto pontificio, ed aver suscitato poche ed anonime proteste nel clero, che si preoccupa molto più delle sue condizioni materiali che dei problemi della Coscienza, venne prestato da quasi
tutti i preti. Poi nessuno ne parlò più. Il clero italiano, ripeto, in massima ama il quieto vivere. Non ha nulla da sperare dall’esterno e tutto da temere nell’interno della Chiesa stessa. Di più con una educazione intellettuale deficientissima, anche in ciò che riguarda le scienze teologiche, servile per temperamento e per necessità, non poteva .contenersi diversamente. I pochi sacerdoti che avevano cultura più profonda furono spaventati dalle conseguenze a cui sarebbero andati incontro se si fossero opposti e preferirono anch'essi fare un compromesso con la propria coscienza. Si sovvennero in tempo degli insegnamenti della morale gesuitica sulle riserve mentali e sulle sofisticazioni. Con esse il giuramento antimodernista diveniva un giocattolo da bambini: quando è venuto a noia si rompe. Peggio ancora: quel giuramento aveva una somiglianza perfetta con gli aulo-da-Jè di inquisitoriale memoria, era un atto coercitivo, un’estorsione, e come tale non aveva valore alcuno, dato che condizione assoluta nella responsabilità degli atti umani sia la libertà piena con cui vennero compiuti. Persino il semplice timore reverenziale può esser causa di nullità. Vero è che con queste sottili distinzioni chi non vi guadagnava era la dignità umana e la sincerità; ma con una Chiesa che di sincerità non è certo il modello è quasi giustificaio l'essere insinceri.
Così non andò in altri paesi, specialmente in Germania. La indignazione contro il motuproprio di Pio X si fece sentire vigorosamente. Le facoltà teologiche universitarie protestarono che i! giuramento non era compatibile con 1*insegnamento, con la serietà scientifica, con la dignità dei maestri. Libri ed opuscoli, dovuti a sacerdoti, dimostrarono la inopportunità, la illegalità, la impudenza delia imposizione pontificia. I governi di v;ri stati, da cui dipendevano le diverse facoltà teologiche universitarie fecero le loro rimostranze energiche presso il Vaticano; vi furono interpellanze davanti ai Parlamenti, ed il ministro di Prussia presso la S. Sede, dietro incarico esplicito avuto dal suo governo, volle dal Vaticano la dichiarazione che il decreto pontificio, per quanto riguar(1) Dr. F. X. KiEi-L, Der Eid gegen den Modernismus. Gutachten im Auftrage des K. B. Staatsministeriums des Inneren für Kirchen - und Schul ■ Angelegenheiten. Kempten und München, los Kösel.sche Buchhandlung. 1912.
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dava i maestri di religione in istituti pubblici ed i professori delle università tedesche, non aveva valore alcuno. Del clero che non aveva incarichi ufficiali e che perciò era obbligato a prestare il giuramento, solo la parte meno colta vi si rassegnò; molti, specialmente nella Germania del Sud (Schwaben, Baviera, ecc.) preferirono dignitosamente lasciare il sacerdozio, piuttosto che diminuire la propria dignità; altri, fra cui moltissimi che occupavano alti uffici e dignità ecclesiastiche, non giurarono che con esplicite radicalissime riserve che i vescovi dovettero accogliere.
Nè con questo ebbe fine la questione. Essa si è venuta trascinando fino ad oggi ed è anzi risorta per un momento più viva per le polemiche suscitate da un volumetto del rev. F. X. Kiefl professore di teologia dogmatica nell’ università di Wurzburg e canonico della cattedrale di Regensburg.
11 governo delia Baviera (ed è tutto dire!) si era preoccupato della questione se. rendendosi vacanti cattedre di insegnamento teologico, potessero venirvi assunti dei sacerdoti che avessero in precedenza prestato il famoso giuramento. Per risolvere questo dubbio il ministro dei Culti bavarese aveva pregato il prof. Kiefl di dare il suo parere, se cioè il giuramento antimodernista dovesse essere ammesso in Baviera. In base a tal parere il governo avrebbe prese le sue deliberazioni. Il responso dell’oracolo è ora apparso in volume. Esso costituisce una difesa del giuramento antimodernista e conclude che questo può essere prestato senza pregiudicare la libertà e la dignità della scienza. Per arrivare a tale conclusione il Kiefl ha intentato.... un processo alle intenzioni che aveva Pio X nel promulgare il motu-proprio « Sacrorum Antistitum ». Con ciò la.’sua difesa è riuscita talmente ridicola da potersi paragonare al monte che partorì il topo, di esopiana memoria.
Un'interpretazione, che collimi col buon senso, dei molù-proprìo del i. settembre 1910 è cosa, tanto ardua come la quadratura del circolo, o giù di lì. Lo ha dichiarato lo stesso Kiefl scrivendo a pag. 5 del suo libro che l’interpretazione del motu-proprio è una difficilissima impresa teologica. Perciò tutti i commentatori che vi si sono accinti hanno dovuto implicitamente o esplicitamente confessare che il giuramento antimodernista così come esso si presenta nel testo proposto da Pio X, non può essere prestato, senza averlo prima sottoposto ad una abile ìnteiprelazione. A questo accomodamento dubbio, che si risolve naturalmente in una castrazione del pensiero del Papa, a meno che le parole abbiano perduto il loro senso, si opponeva già il decreto pontificio stesso in cui si faceva obbligo ai preti, sotto la minaccia di essere deferiti immediatamente al S. Ufficio, di prestare il giuramento, dichiarando con esso che nè intellettualmente nè praticamente, nè nel fondo del proprio pensiero nè nella manifestazione di esso dissentono minimamente dal Papa, ed accettano senza discussione alcuna tutte le attuali posizioni delia Chiesa Romana, ritenendo vero o falso, senza preoccuparsene per proprio conto, quello che parrà all’ autorità di ritener per vero o per falsò.
Il Papa parlava ben chiaro e le sue intenzioni non potevano essere dubbie. Volendo cingere di una fitta siepe spinosa il campo cattolico, otturava con cura tutti i buchi possibili che potessero offrire una scappatoia ai modernisti. Vediamo invece come il canonico Kiefl ha conciato il pensiero di Pio X.
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QUANTO VALGA IL GIURAMENTO ANTIMODERNISTA 483
Il Kiefl distingue nel giuramento la « parte sostanziale » e « le misure pratiche e 'disciplinari ». La << sostanza » del giuramento è tutta in cinque paragrafi del giuramento stesso (Cioè : la dimostrabilità dell'esistenza di Dio, il valore dimostrativo dei miracoli e delle profezie, l’istituzione divina della Gerarchia, il rigetto della teoria dell’evoluzione del dogma, e di quella della formazione delle credenze nel subcosciente) ed in due punti del capitolo « In universum denigue » (cioè i punti che riguardano il carattere soprannaturale della Tradizione e la infallibilità deila Regula Fidel). Questi sette punti ed esclusivamente questi, dice il Kiell, devono ritenersi sempre come veri ed obbligano per tutta la vita.
Tutte le altre tesi del testo dei giuramento (di consequenza anche quelle che riguardano le ricerche storiche sul dogma e la critica biblica) e tutte le imposizioni del Sillabo e del Molu-Proprio sono, secondo il Kiefl solo « disposizioni pratiche e disciplinari » (pag. 18, 19, 24, 36, 42). « Esse non richiedono affatto uh assenso interno ma solo quella obbedienza che qualsiasi governo può e deve esigere dai suoi fedeli sudditi, sebbene il governo stesso sia convinto che moltissimi non approvino o dissentono intimamente dalle disposizioni governative » (pag. 15-16).
Il Kiefl deve essersi singolarmente compiaciuto di questo paragone poiché io ripete e lo illustra a varie riprese. Così, ad esempio a pag. 19, scrive che tutte queste tesi e queste esclusioni obbligano i sacerdoti solo nel senso con cui obbliga il giuramento che presta un cittadino allo stato, cioè « senza dichiarare affatto se tutti gli ordinamenti c tutte le leggi dello stato stesso sieno conformi al suo ideale, e tanto meno che sieno perfette, e senza obbligarsi incondizionatamente contro coscienza e contro la propria convinzione». E altrove: « La formula del giuramento.... non importa alcun consenso interno ma solo quel generico assenso che ogni governo domanda ai suoi sudditi » (pag. 20).
Queste affermazioni del Kiell, che certo sono state approvate dal suo vescovo, sono troppo gravi per non essere rilevate. Innanzi tutto esse fanno addirittura a pugni con le parole del testo del giuramento che suonano così: « Io mi sol-tornello col più profondo rispetto ed aderisco con tatto 1* animo mio (totoque animo adhacreo) a tutte le condanne, le dichiarazioni e le prescrizioni (damna-tionibus, declarationibus, praescriptis omnibus) contenute nell'enciclica « Pascendi » e nel decreto « Lamentabili sane exitu » ecc.
Se è vero che in quel cumulo di macerie della « Pascendi » e del decreto « Lamentabili » vi sono molte dichiarazioni e prescrizioni, non è men vero che tutti i punti del giuramento sono vere c proprie condanne e non disposizioni puramente disciplinari. Con ciò la sottile distinzione che fa il Dr. Kiefl per il salvataggio del giuramento, sarebbe già da respingersi, se pur non si dovesse inoltre far rilevare che Pio X domanda una piena adesione interna (toto animo adhaereo) e non un solo assenso generico, come insegna il Kiefl, anche alle disposizioni ed alle dichiarazioni tutte. E se si considera inoltre che !’ enciclica ed il decreto in parola sono, come è evidente, atti di supremo magisterio per i cattolici, da classificarsi fra i documenti dottrinali e dogmatici, le pretese del Kiefl sono addirittura ereticali. In ogni modo, ripeto, non v’è nel documento accenno alcuno alla distinzione ed al diverso trattamento ideato dal Kiefl, poiché tutte le proposizioni cadono sotto le parole sopra riportate e che sono ben chiare.
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I! Kiefl non si arresta a questo. Egli pensa all’ avvenire, che non vuole ipotecato dal giuramento: « 11 giuramento antimodernista — egli scrive — non importa alcun irrevocabile legame di fronte alle possibili ulteriori cognizioni scientifiche per quanto riflette le disposizioni pratiche e disciplinari dell'enciclica, del Sillabo e del Molv-Proprio » (pag 23) — vale a dire per quanto non si riflette a quelle selle proposizioni del giuramento, sopra indicate. Queste « obbligano sempre assolutamente in coscienza coloro che giurano; tutte le altre impongono l’obbedienza in detto e in fatto ma senza che sia obbligatorio riconoscere la loro assolutezza, la loro immutabilità e neppure la loro opportunità » (pag. 24). E già nella pagina precedente aveva scritto: « Neppure ¡'opportunità e ¡'utilità. tanto meno dunque la assoluta perfezione (di queste proposizioni) può essere oggetto di consenso interno, perchè il carisma dell'infallibilità della Chiesa non si estende sino a questo. » E ancora: « Le numerose tesi del sillabo non devono cadere sotto la prima proposizione dei giuramento che parla delle definite, fissate e promulgate verità di fede, che sono state dichiarate tali dal Magistero della Chiesa » (pag. 36).
Se tali erano le intenzioni di Pio X nel proporre il giuramento, bisogna dire che il Papa proponeva una cosa perfettamente, inutile, visto e considerato che il giuramento si riduce ad un atto esterno e che internamente tutti possono infischiarsene. Più ancora: se tali erano le intenzioni del Papa egli era un ipocrita ed un promotore di ipocrisia, volendo che i suoi preti coi loro atti smentissero il loro intimo pensiero, la loro coscienza. Una volta di più il formalismo si sarebbe imposto allo spirito, per la volontà irragionevole di Pio X. Bel vanto davvero ! Ed era proprio per questo, per autorizzare anzi per imporre al clero di giurare con il fermo proposito di non mantener la promessa, che Pio X voleva instaurare tutte le cose in Cristo ? Se il Kiefl è stato autorizzato, come noi riteniamo certo, dall'autorità ecclesiastica a pubblicare il suo commento, sarebbe molto curioso il sapere qual concetto hanno avuto i revisori, della moralità e della dignità del Papa.
Proseguiamo nel rilevare qualche altra affermazione del Kiefl. Nel testo del giuramento si rigetta formalmente la tesi che lo storico credente possa accedere ad un risultato di ricerche storiche che contraddica o non concordi in tutto con i suoi convincimenti religiosi. La cosa è enorme per chi vuol dimostrare che il giuramento antimodernista è in pieno accordo con la libertà scientifica. Come se la cava il Kiefl? Egli dichiara toni court che il Papa ha inteso con ciò di respingere la supposizione di una verità ambigua, cioè che vi possa essere una tesi vera teologicamente e nello stesso tempo scientificamente o storicamente falsa (pag. 48). 11 Kiefl non s’accorge, 0 non vuole accorgersi, che con questa proposizione del giuramento viene rigettato qualche cosa di più che una mera ipotesi. Quando lo scienziato credente ottiene dai suoi studi un risultato che possa esser contrario ad un dogma, egli potrà forse dirsi: questa contraddizione può esser solo apparente; essa potrà risolversi col decorrer del tempo quando le nostre posizioni o le cognizioni dogmatiche si saranno modificate o perfezionate, ovvero quando nuovi documenti storici saranno venuti alla luce. Ma rontuttociò egli non è tenuto a lasciar cadere il risultato dei suoi studi, seb-ben lo si consideri provvisorio. Il Kiefl vuol confondere qui la impossibilità
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QUANTO VALGA IL GIURAMENTO ANTLMODERNISTA 485
oggettiva di una tesi vera e falsa contemporaneamente, con lo stato d*animo soggettivo dello scienziato o dello storico cattolico. E disgraziatamente il giuramento riguarda solo costui.
Un’altra difficoltà gravissima si presentava al Kiefl nell’ accordare con la necessaria libertà scientifica il rigetto assoluto, contenuto nel giuramento, della critica del testo biblico e de) metodo puramente storico applicato alla storia della teologia. Ma con una disinvoltura singolarissima egli dice che il Papa non vuole altra promessa dallo scienziato cattolico « che le importanti leggi dell’esegesi non sieno per principio preso trascurate » (pag. 50); dai professori e dagli scrittori di storia della teologia è solo richiesta una dichiarazione giurata che non debbano così procedere per metodo « come se i dogmi della tradizione potessero non essere rivelati o potessero non essersi conservati infallibili » (pag. 53) e che i Padri della Chiesa non abbiano ad essere considerati come privi di ogni sacra autorità.
Qui anzi il Kiefl si spinge anche più in là, sino a dichiarare esplicitamente che Pio X riprova soltanto la necessarictà dell’esclusione di ogni sacra autorità ma non la possibilità di qualche esclusione simile ! Del resto, secondo lui, non v’è bisogno di prestare l’assenso interno a quésta proposizione del giuramento, e dice senz’altro: << Quando una verità di fede contiene dei punti Che sono metodicamente scientifici o creduti tali, il giuramento ad essi prestato non può aver lo stesso senso (la stessa obbligatorietà, evidentemente) del giuramento prestato alla pura verità di fede ».
E qui ci fermiamo come sbalorditi e ci domandiamo di nuovo se tali erano le intenzioni di Pio X, o se il Kiefl le ha svisate completamente travolgendo persino il senso delle parole. Perchè o Pio X o il dott. Kiefl son giunti a questo colmo di prender le difese e di giustificare pienamente...... i modernisti. Poiché non sono certo i modernisti (parlo dei modernisti cattolici, s’intende) che negano a priori e per partito preso ogni sacra autorità alle Scritture 0 ai Padri della Chiesa, o in genere alla Tradizione. Solo quando, tenuto conto della loro venerabilità, delle leggi dell’esegesi, con tutte le migliori intenzioni, trovano che le posizioni teologiche ed i risultati della scienza la più seria e della storia la più equanime sono agli antipodi allora naturalmente succede la possibilità, e in questi casi anche la necessarictà, dell’esclusione di ogni sacra autorità. Questo fanno i modernisti.... e Kiefl dà loro ragione. E forse Pio X è dello stesso parere.
In ogni modo come sia possibile giurare senza che il giuramento sia scientemente falso, dichiarando solennemente — Io rigetto questa o quella opinione —-e contuttociò professare internamente l’opinione stessa...., un simile enigma sarà difficile anche al Keifl di risolverlo. Vi riuscirà forse il S. Ufficio?
Proprio vero che « causa patrocinio non bona peior crii »/
ERNESTO RUTILI.
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Un antico battistero scoperto recentemente a Roma.
ella demolizione d’una parte del palazzo Costa sulla piazza di S. Marcello a Roma è venuto alla luce un antico monumento di sómma importanza per là storia del cristianesimo primitivo. La scope; ta, avvenuta nei primi giorni d’ ottobre, ha subito attratto 1’ attenzione non solo di insigni cultori d’ archeologia cristiana, ma anche delle autorità, e specialmente del Comm. Corrado Ricci, il quale ha preso ogni provvedimento perchè l’interessantissima
costruzione sia golosamente conservala.
Si tratta di un battistero cristiano, in ottimo stato di conservazióne. La sua importanza sta in questo che esso si presenta a noi tale e quale era nel V. o nel VI. secolo d. Cr., non avendo subito quelle ricostruzioni e quelle opere di adattamento, cui furono sottoposti altri antichi battisteri nello svolgersi dei secoli, seguendo i cambiamenti avvenuti nella dottrina e nella pratica del battesimo. E' evidente che quando fu abbandonato questo battistero doveva essere ancora in uso il battesimo per immersione.
Ma l’importanza del monumento, viene poi accresciuta da una considerazione d*ordine storico. Infatti sembra che si possa ritenere che < uesto fosse il battistero annesso all’ antico titolo di S. Marcello, se non addirittura il battistero fondato dà S. Marcello stesso e rifatto poi, o semplicemente restaurato, nel V. o VI. secolo.
Marcello fu vescovo di Roma nel principio del IV. secolo e precisamente nel breve periodo 308-309. In relazione con la recentissima scoperta è notevole quanto è ricordato di lui nel Liber Pontificalis. La sua attività nella Chiesa di Roma fu certo molto limitata, dato il brevissimo periodo del suo episcopato: nè possiamo quindi maravigliarci del poco riferitoci dal Liber Pontificalis. Due atti compì Marcello : « fece il cimitero di Novella nella via Salaria e costituì i venticinque titoli o diocesi nella città di Roma, in vista del battesimo e della penitenza dei molti che si convertivano dal paganesimo e per la sepultura dei martiri. » *) Marcello dunque secondo questo antico documento volle provvedere a che la preparazione e là celebrazione dei numerosi battesimi nella città di Róma avvenisse con ordine, e per questo riorganizzò i titoli o parrocchie romane provvedendo probabilmente ciascuna di esse dei locali necessari alla preparazione dei catecumeni e costruendo dei battisteri.
Quello recentemente scoperto trovasi presso l’attuale piazza di S. Marcello,
1) Duchesne, Lib. Pontif. I, p. 164 :... « Hie [Marcellus] fecit cymiteriuni Novellae, via Salaria et XXV titulos in urbe Roma constituit, quasi diócesis, propter baptismum et paenitentiam multorum qui convertebantur ex paganis et propter sepulturas martyrum ».
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UN ANTICO BATTISTERO SCOPERTO RECENTEMENTE A ROMA 48"
sul Corso, non molto lungi dalla Via Lata, ricordata appunto nella Passio Mar-celli *), e molto vicino alla Chiesa di S. Marcello che sorge, rifatta dal San-sovino nel 1519. sulle rovine dell’ antichissima basilica primitiva, cui certamente il monumento oggi tornato in luce era annesso.
Siamo lieti di poter dare una pianta di questo battistero. La vasca è costruita in muratura, rivestila jieH’inte/no in gran'parte’di lastre di marmo. La
(forma esteriore è quella d’un poligono non del tutto regolare a dodici lati. La parte di sinistra, come si vede dalla figura è rinserrata in altre costruzioni posteriori. La forma della vasca è simmettrica e corrispondente a quella dode-ìcagonale esterna. Ha per base un poligono a dodici lati su cinque dei quali
1) Ada SS., tannar., t. Il, pag. 9- Quivi negli atti del martire Marcello, è data questa indicazione topica della casa di Lucina che divenne poi il lilulus Marcelli: « in media ci vi tate, via Lata ».
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sono costruite delle nicchiette a semicerchio. Al posto della sesta nicchietta (B) era invece l’accesso alla vasca, coi gradini pei quali si scendeva nel fondo, come si vede dalla figura della sezione A B. Fondo, gradini e quasi tutte le pareti sono rivestiti di sottili lastre marmoree. Il rivestimento fu di certo compiuto in epoca di decadenza, quando si utilizzavano come materiali di costruzione e ' di ornamento, pezzi tolti a monumenti più antichi. Troviamo qui infatti una prova di quest'uso specialmente nel fondo della vasca dove le lastre di marmo non solo sono di dimensioni e forme diverse, ma anche di qualità e colore diversi. Di più vi si vede adoprata come las ra di rivestimento una lapide sepolcrale con parte di iscrizione cristiana. Vi si legge quanto segue :
HVNC LOCV SVISQ. VIVI FILII. ADEOD ET BONIFATI DEP. XIIII. K
E alla fine dell’iscrizione è incisa la colomba coll’ulivo nel becco. Quest’iscrizione è certamente della fine del IV secolo. Altra traccia d’iscrizione è in una lastra marmorea che riveste una delle nicchiette.
E probabile che queste nicchiette non costituissero un semplice ornamento, ma rispondessero ad una considerazione d’ordine pratico. In caso di battesimi numerosi, per semplificare e abbreviare la cerimonia, sei candidati potevano entrare tutti insieme nella vasca: uno si teneva verso il mezzo col battezzatoio, mentre gli altri cinque attendevano il loro turno nelle nicchiette. Questa è l’ipotesi più credibile per spiegare simili nicchiette visibili anche nei numerosi battisteri della Tunisia.
Non aggiungiamo altro. Volevamo soltanto informare i nostri lettori della importantissima scoperta. Ora aspettiamo i risultati degli scavi che si fanno nelle immediate vicinanze del battistero e le conclusioni degli studi di persone competenti.
L. P.
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Una parabola di Gesù.
* Il festino nu ziale si faceva di notte ; quindi le lampade. Per so lito, la sposa era condotta a casa dello sposo dagli amici; in questo caso, è lo sposo che viene a incontrare la comitiva.
« Allora il regno de’ cieli sarà simile a dieci vergini, le quali, prese le lor lampade, usciron fuori in contro allo sposo (*). Or cinque d’esse erano avvedute, e cinque stolte. Le stolte, prendendo le lor lampade, non avean preso seco dell’ olio ; ma le avvedute aveano insieme con le lor lampade preso seco dell’ olio ne’ vasi. Or tardando lo sposo, tutte divennero sonnacchiose e si addormentarono. E sulla mezzanotte si fece un grido : Ecco Io sposo uscitegli incontro ! Allora tutte quelle vergini si destarono e acconciaron le loro lampade. E le stolte dissero alle avvedute : Dateci dell’ olio vostro, perchè le nostre lampade si spengono. Ma le avvedute risposero : No, che poi non basti nè a noi nè a voi ; andate piuttosto da chi lo vende, e compratene. Ma mentre quelle andavano a comprarne, venne lo sposo ; e quelle eh’ erano pronte, entrarono con lui nella sala delle nozze e la porta fu serrata. All’ ultimo vennero anche le altre vergini, dicendo : Signore, signore aprici. Ma egli rispondendo, disse: Io vi dico in verità che non vi conosco ».
« Vegliate dunque, poiché non sapete nè il giorno nè l’ora che il Figli-uol dell’ uomo
verrà. .»
&
[Evang. dì Matteo, caf». XXV, v. 1-13. Traduzione della Fides et Xiwr.J
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Il “ Caso Lagrange „
« Mentre l'uno scn va l'altro matura »
bisogna esclamare col poeta, nell’assistere a questo succedersi cinematografico di persecuzioni e di condanne nella Chiesa di Roma. Non si è spenta infatti l’eco della condanna del Duchesne e la questione Semeria è tuttora aperta, che già una nuova vittima viene tratta al sacrificio. Un decreto del card. De Lai, come segretario della Concistoriale, ha proibito nei seminari, come pericolosissimi per la... salute pubblica dei fuluii sacerdoti, i libri del p. Lagrange. Forte dell’acquiescenza di Pio X di cui è indubbiamente il favorito, tanto che si è dello persino — e la notizia risponde a verità — che il Papa io abbia indicato agli altri porporati come degno suo successore, questo Cardinale postergando tutte le disposizioni del diritto canonico in fatto di competenza delle varie Congregazioni Romane, ha voluto ripetere Vexploit così bene riuscitogli contro il Duchesne e si è preso il gusto di divorarsi il p. Lagrange.
Il De Lai si è assunta la parte di Giove Ultore. Tull’altro che una cima in fatto di cultura anche di quella più specialmente sacerdotale (e posso ben dirlo per aver avuto la disgrazia di assistere ad alcune sue istruzioni in un collegio di Roma), non può soffrire la gente che ne sa un po’ più ed odia singolarmente chi ne sa tro< po. In ciò egli è l’esponente ed il degno rappresentante fra : Cardinali di quella insufficienza intellettuale che forma l’unica gloria di buona parte degli ecclesiastici d’Italia che si sono modestamente assunto l’ufficio di fari lucenti per rischiarare a Pio X l’ingresso del porto ove porre al sicuro la barca di Pietro. Oggi, infatti, in alto mare i pericoli sono troppo gravi per i venti e le tempeste impetuose e le flotte nemiche che incrociano di continuo. Meglio dunque che Pio X, come un ammiraglio turco qualsiasi, stiasi cheto in porto, protetto da cavi di acciaio, ripetendo a chi l’invita a battaglia non possumus!
Ma veniamo ai fatti. Dicevamo che il card. De Lai venuto a conoscenza che in qualche seminario le opere del famoso domenicano p. Lagrange servivano a pro-
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fessori ed alunni come libri di consulto, si è vivamente allarmato poiché gli era stato riferito, non constandogli purtroppo di scienza propria, che peggio erano per la sana dottrina i libri del Lag ange. che una soluzione satura di sublimalo corrosivo per la sana costituzione fisica, e senza seguire la tortuosa via rivolgendosi ai colleghi dell’indice, ba provveduto con energia direttamente. Non era troppo legale il procedimento, ma in compenso era molto più spicciativo.
Il p. Lagrange, il tenibile avvelenatore degli ecclesiastici*, è il notissimo direttore della scuola biblica di Gerusalemme, e il fondatore della Revue lìiblique. I suoi scritti, tenuti in grande pregio dagli studiosi di tutto il mondo, meritavano veramente la loro fama per la serietà e la profondità della dottrina di cui erano materiati. Uomo equilibratissimo, vero religioso e vero scienziato, era il rappresentante riconosciuto della critica temperata, di quella scuola biblica Cioè che pur non demolendo aprioristicamente le Scritture e non negando affatto la loro divina ispirazione, vuole ancora tener conto delle scoperte storico - scientifiche e possìbilmente armonizzarle coi libri ¡sacri. Non é questo il concordismo assolutista dei teologi di mezzo secolo fa o di quelli che vivono oggi con i concetti di quel tempo beato in cui ogni difficoltà veniva in duo e due quattro risolta coll’ i-pse dixil, cioè coll’affermazione, pura e semplice, quando non v’era un'altra scappatoia qualsiasi, che le cognizioni scientifiche sono relative e soggette a mutamento mentre la verità assoluta è quella insegnataci dal testo biblico rivelalo da Dio stesso. Non si arrestava questa loro sicumera alle verità di ordine puramente religioso e morale della Bibbia, ma comprendevano persino le proposizioni scientifiche ed i fatti storici, poiché la Sacra Scrittura è tuffa vera «divina, «come si
esprime Leone XIII. Ia agiografo « recto metile concepii et fideli ter conscrìber t*o-luit et apie infallibili ventate expressit.» tutte e soie quelle cose che Dio" voi le,‘delle quali perciò abbiamo Vinfallibile'^veri-tà dell’ espressione conveniente.
Ora se questo poteva essere un pio ideale, appoggialo magari alla scusa che {'agiografo slesso abbia potuto poi interpretare erroneamente le proposizioni scientifiche scritturali e che nuove false interpretazioni sono sorte nei secoli (uso lo espressioni di un libercolo uscito in questi ultimi tempi), non costituiva davvero una troppa buona ragione per chi si fosse posto alla considerazione oggettiva dei testi e avesse constatato, per recare un esempio ben noto, che la teoria di Copernico e di Galileo non concordano troppo bene, sono anzi agli antipodi col sistema astronomico della Bibbia. Dato ciò, non era possibile altro per uno scienziato credente che distinguere nella S. Scrittura l’elemento divino e l’elemento umano, cioè come diceva, il p. Semeria. che riassume in ciò il pensiero del Lagrange. « bisogna sempre distinguere nella Scrittura ciò che ha fatto fare da ciò semplicemente che ha lasciato fare all'uomo. La determinazione concreta di questi due elementi è certamente assai delicata e si deve trattare con prudenza, ma non da cieco: essere attento non vuol dire chiudere gii occhi alla 1 ce. non riconoscere la realtà dei fatti ».
Questo, in fin dei conti, il principio da cui si ispirava la scuola di Gerusalemme. Come vedete di..... sovversivismo ce n’era ben poco. Vero è che, ammesso questo, divenivano questioni assolutamente secondarie, bizantine addirittura, molte di quelle in cui si accaniscono gli esegeti (!!!) conservatori; supponiamo, la mo-saicità del Pentateuco o la storicità assoluta del racconto di Giona, o la accettazione di qualche data che discorda dai
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NOTE E COMMENTI
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documenti venuti man mano alla luce, oppure la paternità dei quattro Vangeli.
Ma allora su che cosa avrebbero riversato le loro elaborale elucubrazioni i dilettanti aulici della Sacra Scrittura?
In ogni modo, per chi non è cocciuto sino all’ inverosimile, il principio della critica moderata non può essere contestato. Esso sostituisce alla sintesi apodittica una analisi illuminata; all’empirismo medievale il metodo scientifico. Volendo rimaner lungi dalle conseguenze radica, lissime della- critica ad oltranza ed affermata l’ispirazione divina della Scrittura, non era forse naturale il difendere l’essenza, cioè lo scopo divino dell’ispiratore, (che non poteva esser ¡.erto l’insegnamento scientifico o storico) col confessare a-portamento» occorrendo, che le notizie di storia o d’ordine scientifico contenute nella Bibbia e che ne costituiscono V accidens, non vi sono comprese per affermarne 1* e-sattezza, ma solo per usare il linguaggio e le nozioni allora in uso c per farsi compì endere dal popolo a cui il Signore im mediatamente si dirigeva?
E se qualcuno dei libri chiamati starici, non contenessero che pie leggende che in mezzo al popolo avevano, specialmente allora, valore di storia e che forse' come tutte le leggende, avevano un fondo storico, che male vi sarebbe nel dire che Dio per rivelare le sue verità alle genti si fosse servito anche delle tradizioni leggendarie? Era forse minore il valore morale dell’ insegnamento?
Non intendo fare una esposizione completa delle teorie e dei risultati di questa tendenza/ Ho voluto solo indicarne le linee fondamentali. Ora questa critica temperala o concordismo illuminalo, rappresentava evidentemente la via di mezzo fra la critica radicale e il conservatorismo cieco. È naturale che non godesse le simpatie di questi due estremi. Ma mentre la serietà e la severità scientifica del p. Lagrange gli avevano conciliata venerazione e fama fra i sinceri cultori della scienza, anche che non convenissero con lui, tali doti non eran fatte certo per procurargli le grazie degli idrofobi dominatori nella Chiesa di Roma.
Solo l’influenza personale dì qualcheduno meno irreducibile e più sereno fra i « pezzi grossi » era riuscita finora ad evitare che le bramose canne dei cerberi dell’ortodossia dilaniassero il Lagrange. Poiché la lotta contro di lui non data da ieri. Da gran tempo la muta gli era alle calcagna. Essa voleva dargli il colpo estremo molli anni addietro e gli artifìci i più sottili ciano stati posti in opera anche presso Leone XIII perché sconfessasse il Lagrange ed i suoi seguaci. È noto però come non solo il vecchio papa si rifiutasse assolutamente di prendere una misura qualsiasi contro il Lagrange, ma che non volle neppure sanzionare un decreto e-messo contro il Loisy. malgrado che i gesuiti insistessero strenuamente a tale effetto presso il pontefice.
Anche Pio X non aveva creduto finora arricchire il suo programma di restaurar tutto in Cristo con... la demolizione del Lagrange. Quando il Loisy fu condannato, molli si adoperarono perché quel provvedimento venisse esteso contro altri. Ma non ottennero il loro scopo come non l’ottenne mai la campagna continua di quella certa stampa idiota e volgare. redatta da coloro a cui a buon dritto è stato appioppato il nomignolo di mormoni d’Italia, che da gran tempo latrava anche contro il Lagrange.
Vedendo che le cose andavano in lungo, un uomo si è sostituito al papa ed a 11’autorità competente ed ha con goffa solennità dichiarato che terribili conseguenze incombevano sulla Chiesa per le opere del Lagrange. L’alto del De Lai implica nè più nè meno, per chi vuole ragionarci un poco, che un biasimo aperto
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ed uno schiaffo morale al Papa ed alla Congregazione dell’ Indice. È infatti l’accusa bell’ e buona di non curare a sufficienza gli interessi della fede. o. quanto meno, una patente di asinità che questo intrigante di Cardinale dà a Pio X ed ai consultori dell’indice, i quali non possono a loro discolpa invocare nemmeno la buona fede poiché, come dicevamo sopra, le denunzie contro quei libri da gran tempo erano pervenute al dicastero competente e presentate al papa.
Ma non c'è da dubitarne, i colpiti dalla ferula del De Lai si affretteremo, a cominciare dal papa, a dirgli grazie per la correzione ricevuta, Ed io scommetto che si diranno l’un l’altro : « Eh ! se non ci fosse quel De Lai che vigilasse un po’, povera Chiesa ».
E’ già la seconda volta che il De Lai dà di queste lezioni alle superiori autorità. C’è da scommettere che. alla terza, il buon cardinale veneto prenderà addirittura a calci colleghi, papa e funzionari, rei di irreducibile e colposa inerzia, e si proclamerà dittatore. L’attitudine c’è.
Dicesi che alla condanna del Lagran-ge non sia estranea la rivalità fra gesuiti e domenicani accentuatasi maggiormente dopo che i primi hanno monopolizzalo a loro favore il pontificio istituto biblico di Roma. La scuola biblica di Gerusalemme dava troppo ombra ai reverendi padri della compagnia... di ventura, e l’hanno colpita col col; irne il capo ormai celebre. Il Lagrange si è dimesso dal suo ufficio ed ha mandato a Pio X una umile lettera, ma certo avrà pensato che una vita dedicata per intero alla bontà, alla scienza, alla difesa delia fede, non sono titoli valevoli pei ben meritare della Chiesa di Roma, e che l’unico titolo in valore e che a lui manca è il barabbismo....
Mandateci un gesuita a reggere la scuola di Gerusalemme. Perché no?
E. R.
Ancora sul “Caso Semeria,,
Ci è pervenuto un opuscolo dal titolo « P. Semeria e P. Colletti — A proposilo di una recente vertenza — » l’autore del quale è il ... . direttore deli’ Unità Cattolica di Firenze, don Cavallanti.
Quanto abbiamo pubblicalo nello scorso numero in merito alla guerra vergognosa a cui è fatto segno il p. Semeria, e ciò che scrivemmo in merito ai suoi detrattori, trova una mirabile conferma nelle paginette di questo opuscolo in cui è concentrata la quintessenza della mala fede e dell’ asineria la più fenomenale. Unisco di proposito questi termini. E valga il vero:
Dica ogni anima onesta, specialmente chi sa che cosa vuol dire correttezza giornalistica, e chi ha notizia del can-can fallo da quel prete sunnominato nel suo giornale « papale », se la più disgustosa malafede vi sia in queste parole che egli scrive, destinandole a scusarlo di aver lardalo quindici giorni, nonostante le molteplici sollecitazioni autorevoli, a pubblicare la lettera del Semeria'. Ecco la prosa di Alca:
« Più volle venne al nostro ufficio l'egregio P. Aldorasi insistendo perchè noi pubblicassimo la lettera del Semeria (comunicata al glori ale il 10 maggio) o finalmente oggi abbiamo ricevuto dal P. Montica rettore del Collegio-Con vi Ito alle Querce un’altra lettera, colla data 23 maggio 1912, nella quale torna ad invitarci « a nome del P. Vicario Generale » perchè « la dichiarazione del P. Semeria venga pubblicala nel giornale» Unità Cattolica e così « venga presto appagato » il desiderio suo e del Vicario Generale. Noi di fronte a tali e tante insistenze per non parere sleali e scorretti abbiamo deciso di dar corso alla pubblicazione. »
« Facciamo però notare ai reverendi Padri Barnabiti sopranominali, che noi
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non avevamo nulla in contrario a pubblicare la lettera scappatoia di Semeria q che se fin ad era non l’abbiamo data in pascolo a! pubblico egli è perchè credevamo di evitare un inopportuno rumore che attorno al P. Soneria si sarebbe fatto con la pubblicità della lettera in parola e dei nostri indispensabili commenti. Questo diciamo perchè le conseguenze di questo episodio potrebbero essere gravi c perchè sì sappia che anche questa volta non fu I' « Unità C. » a cercare il chiasso e lo scandalo che anzi fece di tutto per evitarli. »
Commentare queste parole? Eh, no! Faremmo ingiuria ai lettori ed onore ad Alca. Vorremmo solo che l’ultimo periodo che abbiamo riportato, venisse riletto, perchè caratterizza questo scrittore Spara-fucile.
Procediamo nella documentazione della mala fede. A pag. 12 dell’opuscolo, si legge
« Come può P. Semeria dichiarare che tutte quelle proposizioni messe innanzi dal P. Colletti non sono vere, e non rappresentano affatto il suo pensiero?
Allora il Colletti è un calunniatore, un falsificatore, un traditore, e in cose delicatissime, di un illustre religioso. Allora il P. Colletti ha fatto male a domandare Vimpri ma tur all’Autorità Ecclesiastica per il suo opuscolo e questa prese lucciole per lanterne dandoglielo. »
Alca, cosi geloso difensore dei!'Autorità Ecclesiastica, se avesse avuto un senso di pudore si sarebbe domandato prima se la detta autorità abbia preso lucciole per lanterne dando l'imprimatur ai volumi dei Semeria. E allora si sarebbe anche accorto che chi autorizzò il p. Barnabita a pubblicare i suoi volumi, era un’autorità un pochino superiore a quella a cui si rivolse per i suoi libercoli il Colletti. Evidentemente però queste riflessioni avrebbero disturbato il Cavallanti intento a pasteggiarsi un preteso moder
nista. E non solo ne avrebbe disturbato il pasto, ma anche e peggio la digestione, poiché avrebbe compreso che la ragione del Semeria nello sdegnar di rispondere consisteva appunto nell’a ver’troppo bene rilevata la mala fede ad ogni costo degli accusatori. E ciò gli avrebbe mozzalo nella strozza la esclamazione contro il Semeria: « Ma dove andiamo! E5 difesa questa? E’ lealtà, è coraggio di polemica questo modo di procedere? »
Occorrerebbe ripetere: — Ah, canaglia! — come il Ferrer, quando quel tal torso di broccolo lo colpì sul muso, secondo il Manzoni....
Potremmo dispensarci dal fare ulteriori rilievi, perchè quando un tale è convinto di mala fede si passa il più lontano possibile da lui. E ciò sarebbe umano. Ma noi abbiamo parlato anche di asinità e vogliamo cogliere due o tre degli esempi innumerevoli che potremo trarre da! pozzo di S. Patrizio di questo miserevole opuscolo, i quali esempi varranno a dimostrare come il Cavallanti sia nello stesso tempo asino e denigratore.
Ecco due. periodi del Semeria:
« Noi abbiamo riconosciuto a posteriori che Dio non ha voluto correggere ie concezioni scientifiche degli agiografi; le ha lasciate sussistere colle loro conseguenze erronee, ed ha lasciato scrivere gli autori in conformità ad esse, perchè tutto questo non importava al suo scopo.... Il libro divino è serillo con un linguaggio che traduce idee affatto ingenue e. relativamente alla nostra scienza, erronee, e che tuttavia non sono lì un errore ■unicamente perchè non sono un oggetto di affermazione o d’insegnamento; perchè il libro non ha e non tradisce nessuna preoccupazione o pretesa scientifica. La Bibbia è estranea a tutte queste piccole controvèrsie della nostra scienza ».
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Questi periodi sono citati nell'opuscolo i nsieme ad altri tutti consimili. Ed ecco il commento dèi denigratori:
« Intendiamoci: altra cosa è dire, commenta il Colletti, che la Scrittura parla secondo le apparenze sensibili e il Un-guagffio popolare, perché non penetra nelle ragioni intime o scientifiche delle cose, ed altra affermare che insegna l’errore. » (pag. 18).
0 il Colletti e chi gli tien bordone sono illetterati o la fregola di accusare li ha fatti vedere doppio. Il Colletti ed Alca nel loio furor sacro han sognalo e nella chiarezza mirab le, lucida come specchio, delle parole del Semeria. hanno letto quello che neppure il più feroce dei padri inquisitori avrebbe potuto scovarvi attra. verso le più forti lenti d’ingrandimento.
V'è di peggio ancora. Sentite come prosegue il Cavallanti:
Noi diciamo che non ora necessario a Dio con una rivelazione speciale correg. gero l’errore scientifico, il quale per avventura trovavasi in mente all’agiografo. Bastava che questi, sotto l'ispirazione divina, usasse una frase cosi larga da non escludete, ma da includere la verità ». Ebbene chi scrive queste parole aveva due pagine prima imputato come colpa grave al Semeria che avesse distinto nella S. Scrittura l’elemento divino e l’elemento umano, cioè ciò che Dio ha fatto fare da ciò che Dio ha lasciato fare all' uomo. Direte che il Cavallanti giucca di bussolotti? Non sarò io a negarlo, poiché lo conferma questo periodo che segue immediatamente quello or ora citato: « Che poi l’agiografo — cioè lo scrittore sacro sotto l'influsso dell’ispirazione (w. d. r.) — abbia potuto interpretare erroneamente le proposizioni scientifiche scritturali, o che nuoce false interpretazioni sieno sorte nei secoli — cioè quelle delie fam.ose scuole bibliche dell’antichità, quelle dei Padri, quelle accettate e sancite dalla
Chiesa (n. d. r.) -- questo non nuoce alla inerranza scritturale. » Chi scrive questo po' po’ di roba col pretesto di fare il puritano e il defensor fidei è il prete Alessandro Cavallanti direttore della « papale» Unità Cattolica! Chi mi sa indicare, lettori carissimi, dove sta di casa il Sant’Ufficio?
Altre cose non meno ridicole si dicono a proposito della premozione fìsica che il Cavallanti promuove a dogma di fede, che il Semeria a ragione ribatte, e a proposito degli autori dei Vangeli, per il fatto che il Semeria ha affermato avere gli evangelisti raccolto la tradizione orale dalla folla dei discepoli e che la loro autorità storica (non la di vina) non viene ài Vangeli dall’essere ciascuno sotto l’ombra di un nome grande, quanto dall’ essere tutti sotto la garanzia delle primissime generazioni cristiane. In questo senso il Semeria diceva che i veri autori del Vangelo, in quanto Vangelo non è la forma, ma la sostanza delle cose, non sono gli evangelisti ma la folla dei primi cristiani nella cui coscienza e sulle cui labbra la materia evangelica venne elaborata.
Questo, per il Cavallanti, significa negare la divina ispirazione dei Vangeli. E’ così ridicola questa deduzione come sarebbe ridicolo raffermare che gli scrittori dei libri storici — o quasi — del Vecchio Testamento, per il fatto che abbiano trascritto le tradizioni orali del loro popolo, non sono affatto ispirati. Fin qui giunge, l’asineria del Cavallanti! Che razza di esegeta! Perchè non lo fanno preside dell'istituto Biblico Pontificio?
Potremmo attardarci su queste asinità contenute nell’opuscolo e rilevarne altrettante per quanti ne sono i periodi. Ma ci sembra, dopo quanto abbiamo détto, che non ne valga la pena. Non possiamo però esimerei dal rilevare ancora una volta la mala fede del Cavallanti. Egli rimprovera acremente
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al Semeria queste parole di critica sul-l’attuale cerimoniale delia Messa:
« La liturgia, quale si svolge davanti al nostro popolo nello mosse private, che sono quelle a cui più spesso, anzi abitualmente assiste, non è più una scuola per lui come dovrebbe essere, come fu in tempi antichi e primitivi. Il popolo non la intende in nessun modo perchè non sente le parole dette a bassissima voce e perchè se anche sentisse le parole, non capirebbe il senso. La Messa al più diviene una buona e propizia occasione per dire delle altre preghiere. Perciò si parte dal tempio la domenica novanta per cento digiuno e freddo, senza quella luce che la parola di Cristo e della sua Chiesa contiene, senza quel calore che essa, dal canto suo, vorrebbe comunicare ». (Idea-ì»7à buone. 305).
« La liturgia della messa è ridotta così da esercitare sul popolo un’azione assai scarsa. Nei giorni comuni il sacerdote mormora all’altare le sue preghiere; il fedele, anche più attento, riesce a mala pena a coglie.ne il .nono, mai o quasi mai a intendere il senso ». (Idealità buone 200).
« Entrate nelle nostre chiese di città e di villaggio nei giorni di gran festa...... Chi giudicasse di lì gli italiani, direbbe che non pregano più, che il compito della preghiera l’hanno affidato ai sacerdoti, e questi a loro volta l’hanno ceduto ad un pugno di mercenari ».
Il Cavallanti chiama quésti rilievi « esagerazioni ». Io non lo credo cosi ingenuo che non si sia accorto della profonda ed assoluta verità delle parole del Semeria. Che se a tanto fosse giunta la sua stupidità, chieggo a uno qualsiasi dei milioni di fedeli cattolici se queste parole siano vere, o se vicevèrsa essi abbiano prestalo mai una qualunque delle tre attenzioni - così pappagai loggia Alca — ad verbo, ad sensum, ad Deum, durante
una Messa. — Quanto sei scimunito. Cavallanti — si sentirà rispondere. E questa sarà una verità incontestabile.
Un’ultima nota e finisco. Poiché è necessario che io reciti il mea culpa. Perdonami Cavallanti di lutto quel che ho dello sulla tua deficienza mentale. No, tu sei invece eccelso, sublime, inarrivabile. Tu hai un così profondo acume, una tale infinita possanza di percezione che persino Sant’Agostino, l’aquila degi'intelletli come lo dice la tua Chièsa, è un nulla di fronte a le. Ah, che tu sei, com’egli non lo fu, il favorito del Cielo, tu sei stato già divinizzalo in terra, poiché sei riuscito a raggiungere col tuo intelletto la realtà divina....
Questa era una preghiera necessaria, cari lettori, poiché il Cavallanti accusa di relativismo e di scetticismo il Semeria per aver detto: « Dio non lo imprigioneremo mai, mai in una forinola del nostro spirilo o del nostro labbro, non solo ora ma neanche in avvenire; ma perciò stesso dovremo tentar sempre nuove forinole, non contentandoci mai delle raggiunte e tentando sempre forinole nuove, scienza e coscienza ci aiuteranno ognora in questo cammino ascensionale ». (Scienza e fede 122-123).
« Voi mi dite: noi non possiamo a-vere che dei simboli della divinità e ne concludete; non mette conto di provarcisi. Ed io vi dico.- di tulle le cose non possiamo avere che simboli, ogni pensiero è simbolico della realtà. Noi non crederemo mai con nessun concetto di avere raggiunta la realtà divina: non per questo ci condanneremo al silenzio ». (Scienza, e fede. 122).
Avevo ragione io? Don Cavallanti è senza dubbio un semidio se non un Dio addirittura. Laonde — una parola così sonora è qui necessaria — reverenti ammiriamo......
Secondo la vecchia dottrina cattolica.
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Dio solo può comprendere sè stesso. Sarà perciò necessario avanzare una petizione al dicastero competente della Chiesa Romana, perchè questa antica verità venga revocata e venga sostituita da quest’allra — Dio è compreso solo da sè stesso e da direttore deH’.thurò Cattolica « pro lem pore ». — Io firmerò per primo.
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Intanto come primo frutto del bri gantaggio contro p. Semeria. Pio X ce dendo — dicesi — alle pressioni di mons. Carón nuovo arcivescovo di Genova, ha decretato l’esilio dall'Italia del dotto barnabita. confinandolo a Bruxelles. *
A chi lo ha avvicinato in questi giorni tristi, il Semeria ha detto che ha invano pregato che lo mandassero almeno in A-merica ed ha dichiaralo che spera in tempi migliori per la Chiesa Cattolica. Santa illusione!
Ed è così che l'uomo che amò infinitamente la patria sua ne viene cacciato via, come un malfattore, ha dovuto abbandonate la povera vecchia madre, che forse ne morrò di crepacuore, e andrò ramingo per estranea terra assassinato moralmente
* Il Carón ha cercalo scolparsi dall’accusa mossagli. Purtroppo le sue parole non meritavano fede dato il fatto che, eletto appena alla sede di’Genova, aveva voluto accettare la dedica di un volume del solilo prete spoletino, tutto ingiurie e calmine contro il povero . frate, nel qual libro si supplicava per pietà di fede esso Carón, ad espellere « chi da quindici anni bestemmiava pubblicamente Cristo in Genova con scandalo e danno del;pio gregge, a lui ora affidato per l’apostolica¡tosatura ». Il;Carón ha credulo rimostrare di essere in buona fede nell'accogliere la dedica di simile turpitudine, dichiarando... di non aver letto mai neppure una pagina delle opere del Semeria!!! Che intenderò per « buona fede » questo signore?
dai suoi confratelli, dal suo padre..... in
Cristo!
E la teppa del clericalismo e del pa-palinismo si fregherà le mani per la soddisfazione, e quel tale Caron. se è vero che abbia avuto anche una minima parte nella losca faccenda, andrà a Genova a recitarvi la commedia del buon pastore e vi bestemmierò compunto dall’altare: « Pax vobis »....
E. RUTILI.
Un buon socialista
dev'essere ateo?
I socialisti della Sassonia in merito al l'ari. 6 del loro Statuto che dichiara la religione « affare privalo » hanno dopo lunga discussione, deciso:
1. che uno dèi compiti essenziali del parlilo socialista è quello di mostrare che la religione è incompatibile colla scienza
2. che la lotta contro la chiesa cristiana — Strumento di dominazione della classe padronale — è cosa necessaria e doverosa; perchè, per lottare contro coloro che dominano il popolo, bisogna anche lottare contro gli strumenti per mezzo dei quali essi mantengono il loro dominio.
Ecco: la seconda risoluzione io riesco ancora a capirla. Là dove chiesa e capitalismo hanno formalo una stretta alleanza; là dove la chiesa, come compenso al capitalismo che le for-
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nisce i mezzi materiali per vivere,
predica dal pergamo e dall’ aliare la rassegnazione e la sottomissione ai padroni che sono tali pei' diritto divino — in questi casi, dico, io comprendo che « per lottare contro coloro che dominano il popolo bisogna anche lottare contro gli strumenti per mezzo dei quali essi mantengono il loro dominio ».
Ma quello che non capisco più è la risoluzione N. 1. Non capisco perchè, se ci sono dei cattivi cristiani occorra prendersela con Gesù Cristo, non comprendo perchè, se il capitalismo è alleato colla chiesa si debba combattere il sentimento religioso. Il pretesto delia incompatibilità della religione colla scienza è ormai rancido e mille volte superato. Ieri soltanto leggevo sulla nostra Bilychnis (Luglio Agosto) alcune parole dette dal senatore Pompeo Molmenti commemorando al Reale Istituto Veneto di scienze lettere ed arti il senatore Antonio Fogazzaro:
* Le religioni non sono più necessarie alla educazione morale dei popoli; all’avanzare dell’incivilimento basta la scienza vittoriosa, la quale non cura di illuminare co’ suoi splendori le oscurità del domina. Così parla la scienza arrogante ».
Ma cosi non parla la vera scienza, che è umile, perchè conscia delle sue limitazioni; la vera scienza che da un lato constata le oscurità profonde che ancora sonvi anche in quelle sue ipotesi che sembrano confermate dai fatti, e che dall’altro lato rispetta la grande luce morale e spirituale che irradia dalla fede cristiana libera e
vivente, da non confondersi colla rigida e immobile teocrazia romana.
Che si possa essere perfetti socialisti pur rimanendo autentici credenti è dimostrato da un manifesto pubblicato di recente in Inghilterra. Esso è stalo pubblicalo dal Clarion Club di Liverpool come foglio di propaganda N. 3. Un centinaio di ecclesiastici inglesi — seguendo l’esempio dato loro alcuni anni or sono dai loro co!leghi Nord Americani — hanno redatto e formalo questo manifesto il quale dimostra enfaticamente che coloro i quali pretèndono che il Socialismo implica f A teismo (parlino essi dal di dentro o dal di fuori del partito) sono colpevoli 0 d'inescusabile ignoranza o di ancora più inescusabile malafede.
Beco il testo del documento di cui parliamo :
* Noi sotti »seri Ili, ministri di varie chiese cristiane, desideriamo fare la dichiarazione seguente per combattere l’idea largamente sparsa che il Socialismo nel quale noi crediamo differisca fondamentalmente dal Socialismo a-dottato dai parliti ufficiali.
Dichiariamo che il nostro Socialismo (detto Socialismo cristiano) implica il pubblico possesso e la pubblica amministrazione dei mezzi di produzióne, di distribuzione e di scambio, ed è quindi essenzialmente lo stesso Socialismo che quello professato dai socialisti del mondo intero.
11 nostro Socialismo non è meno ardito nè meno completo perchè trae la sua ispirazione dal nostro Gristia-
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nesimo. L’insegna mento centrale del Socialismo è di carattere economico e può quindi essere accollo da tutti gli uomini, siano essi credenti o increduli. Ma noi crediamo, come ministri della fede cristiana, che questa, dottrina economica è in perfetta armonia colle nostre convinzioni religiose ; anzi noi crediamo che l’accettazione della dottrina socialista è sanzionata e richiesta come conseguenza necessaria dalla nostra religione. *
Sin qui il manifesto.
Sono numerosi oggi i cristiani che credono che il Socialismo sia l’espres,-sione economica moderna più adeguata' della dottrina di fraternità umana insegnata dall’Evangelo ; che credono che l’Evangelo tradotto oggi pratica-mente nella realtà della vita sociale produrrebbe una organizzazione umana
di tipo socialista; c perciò sono convinti che il vero cristiano dovrebbe oggi essere socialista.
E un’altra cosa noi crediamo: crediamo Che l'Evangelo è la teoria ideale più perfetta di ogni organismo economico di tipo socialista; crediamo che l'Evangelo solo può produrre gli uomini abbastanza evoluti, abbastanza disinteressati, abbastanza entusiasti per realizzare il Socialismo; crediamo che sólamente l’idea della paternità di Dio dà un senso ragionevole e una sanzione suflicente alle rivendicazioni della fratellanza umana, perchè sono fratelli soltanto quegli uomini che hanno un padre comune, e perciò siamo convinti che il vero socialista dovrebbe oggi essere crisiia-no.
G. ADAMI.
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Il Congresso internazionale di -Leida.
Nella prima metà di settembre, a Leida, ha avuto luogo il IV congresso internazionale di storia delle Religioni Raffaele Pettazzoni che, insieme col Prof. U. Pestalozza di Milano, ebbe l’onore di rappresentare ufficialmente l’Italia al Congresso, ne scrive sul 3/ar-zocco del 29 settembre. In attesa di poter utilizzare per Bilychnis I’ampió resoconto ufficiale che verrà pubblicato, crediamo di far cosa grata ai lettori riproducendo dal citato Marzocco (1) alcune parti dell’articolo del Pettaz-zoni.
(I) Amministrazione: Via Enrico Poggi, 1, Firenze.
Le Religioni dei popoli primitivi.
... « La prima Sezione del Congresso era dedicata, oltre che alle questioni generali, alle religioni dei popoli « selvaggi ». Ma non si ebbero comunicazioni che sulle religioni americane. Miss Owen parlò su « gli dei della pioggia degli Indiani d’America » ; L. C. van Panhuys su « la religione dei negri (Bush-Negroes) della Guiana olandese ». Il noto americanista K. Th. Preuss presentò il primo volume della sua grossa opera sugl’ Indiani del Messico (Die NagaribExpe-(lilion, Textaufnahmen und Beobachtungen unter Mexikanischen Indianern: Bd. I. Die Religion der Cora-Indianer) : e tenne anche una conferenza su « le basi religiose dell’exo-gam'a» sostenendo la teoria delle origini puramente religiose non razionalistiche, non utilitarie, delie istituzioni exoga-miche.
I malesi e Polinesi non fornirono materia sufficiente alla costituzione della Sezione nona che loro era stata
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assegnata.- « non pas par defaut de savants — disse il signor De La Saus-saye — mais par defaut d’orateurs; car — aggiunse — il y a des savants qui parlent, et il y a des savants qui se taisenl ».
In realtà nessuno sarebbe stalo in grado di parlare sulle religioni indigene della Malesia meglio degli etnologi olandesi. Le opere fondamentali in questo campo di studi sono scritte in Olandese. Se il Wilken, autore della classica opera su l’animismo «lei popoli malesi, è venuto a mancare troppo presto alla scienza, non mancano i continuatori delle sue indagini intorno a quei popoli e a quei paesi che sono da secoli sottoposti al dominio coloniale dell'olanda: basti citare Alb. C. Kruyts, Ilei animisme in den Indi-scissa Archipel fs’Gravcnhage 1906)»..
Le Religioni semitiche e V IsIam.
... « Meglio rappresentali furono i Semiti nella Sezione quarta, e l’IsIam nella quinta.
Il celebre assiiiologo di Philadel-phia, Morris Jastrow, fece omaggio al Congresso della sua opera completa: Die Babylonisch - Assyrische lìcliyiou. Egli svolse anche una comunicazione interessantissima « su la divinazione babilonese, etnisca e cinese », sostenendo con efficacia di argomenti la lesi della probabile irradiazione dei principali metodi divinatori dall’antico centro di Babilonia verso occidente lino in Etruria, e verso oriente flnd alla Cina.
11 noto professore di Heidelberg, C. Bezoldj in una comunicazione in titolata « Aus dem Pantheon der astrologischen Keilinschriften » espose un suo tentativo di stabilire l’antichità dei lesti astrologici cuneiformi in base a una statistica dei nomi divini che vi occorrono: uno dei risultati cui e-gli giunge è che Fastrologia caldea dev’essere di origine posteriore all’epoca su (nerica. — S. Langdon pa lò di Bèli! seri, «la sorci la di Tammuz ».
Di indole più propriamente comparativa furono le comunicazioni di D. Nielsen « Gemeinsemitische Götter »; di E. Monseur « Considerai ions sur les rapporls enlre les religione de la Mé-sopolamie et les religions de Finde et de la Perse » ; e specialmente quella di S. A. Cook sul «significalo delle antiche religioni orientali per la Storia delle Religioni ».
Della religione d’Israele parlarono: S. A. Fries, su un tema interessantissimo: « templi di Jahve fuori della Palestina » ; e Foakes Jackson su «l’importanza del regno settentrionale per la religione d’Israele ».
R. Dussaud, direttore della Revue de V Hisloire des Religione, illustrò « un monumento del cullo siriaco di epoca persiana conservato al Museo di Costantinopoli ».
Importanti conferenze furono tenute sulla religione islamitica, sotto la presidenza dell’illustre professore di Budapest, I. Goldziher ; C. Becker portò un nuovo contributo alla « storia del culto islamitico » : R. Nicholson, di Cambridge? parlò « sul misticismo maomettano » ; L. Massignon sopra « l’influenza del sufismo sullo sviluppo della teologia morale dell' Islam avanti il IV secolo dell’egira.». Inoltre, M. Hartmann intrattenne la Sezio-
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ne su’ « le correnti religiose nell’islamismo cinese ».•
Furono aggregate alle sezion1 quarta e quinta alcune poche comunicazioni di soggetto egittologico, le quali non bastarono a costituire una sezione a parte, la terza, che era stata destinata appunto .'.Ile religioni egiziane. A. Moret, del museo Guimel, svolse una sua lesi sulla questione se il ka degli egizi possa essere concepito come totem. B. A. Tourajeff, di Pietroburgo, portò a conoscenza del congresso le notizie riguardanti il Museo e-gizio che è stato aperto quest’anno a Mosca ».
Religioni dei greci e dei romani.
« Una delle sezioni più attive fu la settima, destinata alle religioni dei greci e dei romani. I lavori si svolsero sotto la presidenza successiva di tre noti cultori degli studi religiosi su l’antichità classica : .1. Toutain. dell’Beote des Hautes Et., R. Wttnsch di Kòuigsberg, redattore dell’ fiir Jìeliiiionswissenschafi, c L. Far-ncll, professore ad Oxford.
11 Wtiasph parlò « dei papiri magici egiziani », presentandone alcuni originali che si conservano a Leida. 11 Farne)! diede un saggio degli studi cui egli ora attende sul hi religione dei morti nell’antichità, parlando su «certe questioni relative al culto degli eroi in Grecia». 11 Toutain presentò due comunicazioni: una sul culto dei Tolomei nell’isola di Cipro, e la sua organizzazione »; c un’altra « sulle caverne sacre nell’antichità greca e romana ».
Di argomento remano avemmo una
comunicazione di J. B. Carter, il direttore delia Scuola americana di Roma « sul problema del rcx sacrorum »; una di L. Deubner «sopra la lustra-lio del romani »; e una terza di M. A.Ku-gener su « Costantino e gli aruspici ».
Nella settima Sezione svolsi anch’io la mia comunicazione su « i primordi della religione in Sardegna » dando notizia della recente scoperta di una tomba preistorica di Tonata, la quale permette, a mio avviso, di perseguire fino all’epoca eneolitica gli elementi fondamentali della religione sarda dei morti e delle acque, integrando cosi la, linea di sviluppo della religione in Sardegna, che va dal maoismo verso il teismo (monoteismo?). Questa comunicazione fu la sola svolta in italiano.
La sezione settima ebbe anche alcune conferenze illustrate da proiezioni. Una di esse riunì il Congresso in seduta p’enaria nel teatro di Leida : fu quella di M. E. Guimet, il celebre fondatore del celebre museo, il quale, parlando dei « simboli egizio-romani » espose un vero e proprio saggio di simbolica comparata, cercando di mostrare la presenza e la persistenza di alcuni simboli in ambienti culturali diversissimi. Ricordo accanto a questa, per una certa affinità dell’argomento, la conferenza di W. Weber sulla « religione popolare nell’Egitto greco-romano ».
Intorno alle religioni preelleniche non ci fu che hi comunicazione, interessantissima, di W N. Bates, sopra « alcune sopravvivenze egee nella religione greca, visibili nella pittura vascolare ».
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Un altro discorso che destò vivo i nteresse fu quello di G. Calderon, so‘ pra alcun' «paralleli fra gli elementi traci della religione greca c il folk-lore slavouico moderno ».
Una iniziativa lodevolissima, e de. slinala forse ad avere una attuazione pratica in un tempo non lontano, fu presa dallo svedese M. P. Nilsson,che presente) un suo «disegno di un lexicon della religione greco-romana, con esclusione della mitologia » : un’opera che miia ad integrare il lexicon della mitologia greca e romana di W. Ro-scher ».....
Il Cristianesimo.
... « I lavori di storia del Cristianesimo si svolsero nella Sezione decima.
Nei precedenti congressi il Cristia* nesiino forniva di solilo materia al maggior numero di comunicazioni. Ma ad Oxford già si era notata una diminuzione.
Il Congresso di Leida segna un passo di piò verso il raggiungimento di quell’equilibrio che è indice della perfetta identità dell’interesse scieir tisico portato egualmente su lutti i campi delia storia religiosa.
E’ da notare che quasi tutti gli argomenti trattati riguardarono il Cristianesimo primitivo (critica dei Vangeli, origini cristiane, eco). Un discorso interessantissimo fu tenuto dal professor Clemen di Bonn, su «l’influenza delle religioni dei misteri sul Cristianesimo primitivo » : egli concluse che tale influenza, se può essere ammessa nella Gnosis e nello sviluppo della Chiesa romana-, deve per le fasi
primitive del Cristianesimo essere negata.
Parlarono inoltre: K. Lincke, di Jena, su « Pietro » ; F. C. Burkitl, di Cambridge, «sui dati di Giuseppe intorno a Gesù » ; K. Lake, di Leida, su «Giuseppe e la cronologia dei Vangeli »; e C. W. Einmet, di Oxford, su « l’escatologia in rapporto all’ etica dei Vangeli ». G. Krüger, il dótto professore di Giessen, espose una sua tesi originale e importantissima intorno al passo fa oso di Matt. XVI, 17-19 difendendone con validi argomenti la primitività e l’autenticità.
Il professor von Dobschütz.di Bre-slavia, trattò della « comunione con Dio» esaminandola nelle sue varie forine e nel vario carattere die ebbe presso le diverse religioni : fisico nelle religioni primitive, poi etico e mistico nelle forme superiori dell’evoluzione religiosa. B. W. Bacon svolse una sua comunicazione «intorno alla teoria di Baur sulle origini cristiane dal punto di vista della religione comparata ».
P. Alphandéry, uno dèi direttori della Revue de l’hisloire des religione, parlò del « messianismo nel medioevo latino » ....
Israele
DAVIDE BARON — L’Antico Testamento e L’Ebreo moderno (23 Boscastle Road, London G. W.) Versione tedesca della contessa Elisabetta Groeben. Casa E-ditrice Y.G. Onkens Nachfolger, Kassel Germania.
Il problema ebreo dal punto di vista nazionale c religioso occupa molte menti dì eminenti cristiani dei paesi evangelici
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ed ha pure la sua ripercussione sulla letteratura. Uno degli ultimi prodotti letterari in proposito è l’opera su menzionata. L’autore, un ebreo convertitosi al Cristianesimo, si rivolge nel suo ottimo libro tanto ai suoi connazionali, quanto al mondo cristiano. Agli Ebrei fa vedere nella luce delle profezie il glorioso avvenire del popolo d’ I-sraele quando si sarà convertito a Dio ed al Suo Cristo, dopo aver rilevato che lo stato in cui si trova attualmente questo popolo non può essere che il frutto d’ un peccato nazionale cioè, dell’ avere abbandonato Geova e rigettato il Messia. Al mondo cristiano ufficiale addita le gravi ingiustizie storiche e contemporanee commesse su quel popolo; al mondo cristiano teologico fa rilevare il suo errore di confondere la Chiesa, l’ecclesia (raccolta degli eletti) dei Gentili colla nazione giudaica, errore, il quale, applicando alla Chiesa ciò che è patrimonio inalienabile del popolo d’ Israele, che ritiene non temporaneamente, ma definitivamente rigettato dal Signore, come nazione, ha spiritualizzato e promesse e profezie ed ha fatto dell’A. T., specialmente dei profeti, un libro in-comprensiblle, il quale, appunto perchè reso cosi inintelligibile, per colpa di questo sistema di interpretazione, perde di valore e di interesse. La chiave delle profezie è, dopo Gesù, il popolo d’Israele, che si raccoglie di nuovo nella sua eredità, si ricostituisce nazione, si converte a Dio ed al Suo Cristo, prospera, ereditando tutte le promesse d’indole prevalentemente terrestre, diventa la benedizione dei popoli e la nazione missionaria del mondo gentile, Ter-mina con un forte appello alle missioni cristiane esortandole a non dimenticare il popolo d'Israele e dà buoni e competenti consigli nella preparazione d’operai appositi ed idonei al compito.
Ecco l’indice di quest’opera molto interessante ed istruttiva:
Parte I: L’interregnum ; il periodo di
Ichabod ed il ritorno della gloria di Geova ; il silenzio di Dio e come viene rotto; la fine del « Hallel ».
Parte II: L’ebreo moderno. Il popolo ebreo visto a volo d’uccello; la condizione generale degli Ebrei alla fine del secolo XIX; la condizione religiosa degli Ebrei e le cause d’incredulità di fronte a Cristo; sette religiose e scismi ita il popolo giudaico; la posizione attuale degli Ebrei in rapporto col Cristianesimo ; l’antisemitismo ; il sionismo e congressi sionistici; la missione d’ Israele nel mondo e la missione della Chiesa tra gli Ebrei; l’ango-israelismo e la vera storia delle dieci tribù disperse.
ROB. TEUBEL.
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II Metodismo.
L’ erudito pastore Carlo Fcrreri mi inviò, è circa un mese, questo volumetto: Profili melodisti (Roma. 1912), desiderando che ne scrivessi in qualche rivista. A dir vero, le recensioni, o gli annunzii dei libri devono fare i giovani, per loro esercizio istruttivo. non persone avanzate in età. che devono dare alla stampa qualche cosa di proprio, se la forza ancora le assista, e là loro mente sia ancora in grado di pensare e di studiare. Pure, ho voluto soddisfare .il desiderio del Ecrreri, essendo anche in me il desiderio —- scrivendo del suo libro —-di acquistare notizie più sicure intorno al Metodismo e ai metodisti.
I profili biografici dei metodisti sono dall’A. bene svolti, bene scritti; accompagnati con opportune osservazioni : sono messi in splendida luce, cosi a principio della loro opera, come in seguito della loro missione religiosa. Cominciano i profili biografici con Giovanni Wesley (1703-1791), eh’è il padre del Metodismo, e continuano con gli altri insigni cooperatori di lui, Carlo Wesley, George Whitefield, Thomas Co-
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ke, Francis Asbury, John Fletcher, Freborn Garrettson, Jessc Lee e Adam Clarke. Di G. Wesley avevo letto, da più anni addic-tro, una biografia scritta dal metodista Francesco Sciarelli ; ma questa aveva sapore più retorico, che storico. Invece, il Ferreri ha saputo mettere in evidenza le mirabili virtù cristiane della operosità, della umiltà, della sincerità, della giovialità, della generosità verso i nemici del Wesley. Ancora ne descrive l’affabilità per i fanciulli, a guisa di Gesù, che a sé li avvicinava e li benediceva.
Ha richiamata a preferenza la mia attenzione la biografìa di Adam Clarke (1760-*832). Questi, giovanetto, venne male apprezzato nella scuola dal maestro, che lo dichiarò uno stupido asino, li Wesley ne seppe spiare le vere tendenze ; lo consigliò di darsi allo studio delle lingue orientali, che gli avrebbero non poco giovato alla sua cultura intellettuale, e alla missione religiosa metodistica. Il consiglio wesleiano colse nei segno. Le lingue orientali fecero molto bene al Clarke, al nietodismo e lo indussero a pubblicar opere importanti, special-niente il suo ponderoso Commentano biblico in sei volumi (1S26), tuttora utile a consultarsi.
Avrei desiderato alla fine dei Profili melodisti un pò di bibliografia, per lo meno su Giovanni Wesley. Oggi si ritiene a buon diritto indispensabile da coloro che scrivono di libri storici o scientifici e da coloro che li leggono. Non sarebbe stato difficile all'erudito Carlo Ferreri, eh’è metodista, e studioso del metodismo.
Confesso, per altro, che il principale scopo del mio scritterello, è quello di mettere in rilievo il valore storico del metodismo. Da) secolo XVII che Cartesio dimostrò nel suo discorso sul metodo la grande importanza del dubbio metodico in Filosofia — usato in qualche libro da Agostino contro Evodio — si è spesso ripetuto che il metodo é, se non*tutto, gran parte nella riuscita degli studi filosofici. E veramente il metodo è necessario non solo nella filosofia, ma in tutte le scienze, c in tutte le arti. Senza il metodo che forma il regolare procedere nel ragionare, nello sperimentare e nel maneggiare il pennello e lo scalpello, le scienze e le arti non possono dare buoni e durevoli risultati. Or bene anche nella religione é indispensabile il metodo. Ciò
posto, che cosa è il metodismo? Est me~ thodus vìlae christianae.
Era da prevedere tale bisogno, badando ai precedenti storici delle chiese cristiane. Il luteranismo si era ridotto ad un’arida polemica dogmatica, oltre ad avere occasionati contrasti liturgici non pochi con Zuinglio e cogli Anabattisti, e dato occasione alla guerra dei contadini. Aveva perduto molto valore pratico cristiano. All’ortodossia infeconda luterana sopravvenne il pietismo, per richiamare il cristianesimo alla vita religiosa della pietà, mediante i colicela pietatis. Ma incorse in varie esagerazioni. Proclamò dei tutto falsa la teologia degli ortodossi luterani e assunse un tuono settario e dispotico. Per influssi dei pietisti si cacciò dall’università di Halle il Wolff, che vi insegnava dal 1707 al 1723, mentre era un perfetto filosofo cristiano corrispondente al suo nome di Cristiano Wolíf. I cosi delti Fratelli moravi, conosciuti ed apprezzati dal Wesley, erano in fondo ancor essi pietisti ; ma incorsero in un sentimentalismo eccessivo, esaltato, fanatico. In mezzo a queste deviazioni ed esagerazioni era necessaria una misura, e questa misura nella religione cristiana stabilì il fondatore dei metodismo, Giovanni Wesley.
L'appellazione di metodismo non venne da principio bene accolta. I metodisti si schernivano, quasi non avessero che vedere col cristianesimo ; tanto non giungeva gradita ai cristiani la denominazione di metodismo c di metodisti. Allora si accettavano i luterani, come seguaci di Lutero ; i zuingliani come seguaci di Zuinglio; i calvinisti, come seguaci di Calvino. Si avrebbe potuto accettare i wesleisti, come seguaci di Wesley. Se non che, prevalse il nome di metodisti, essendo il metodo predominante nella innovazione cristiana voluta dal Wesley, come prevalse il nome di pietisti, non di speneristi — essendo stato Giacomo Spener — padre della religione cristiana in cui sopravvaleva la virtù della pietà.
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Veniamo al contenuto religioso del metodismo, che tuttavia si rispetta dai numerosi metodisti, diffusi in Inghilterra, in A-mcrica e in altre nazionalità, non esclusa P Italia.
Il Ferreri. autore dei Profili metodisti è anche autore Del metodismo episcopale "(Roma, 1909). In questo libro egli dimostra
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che il Wesley fece buon viso alle dottrine cristiane della Riforma, considerata nelle sue massime fondamentali. Riconobbe infatti, con la Riforma evangelica, che 1’ autorità suprema della chiesa cristiana è la Bibbia. Ammise con la riforma, che per il Cristo esiste la chiesa cristiana, e che il Cristo è il Verbo eterno di Dio, della medesima sostanza di Dio, che assunse la natura umana in seno d’una Vergine. After-mò con la Riforma, che si è giustificati per la fede nel Cristo, non per le nostre opere nè per i nostri meriti. Infine la Riforma confessò due soli sacramenti, il battesimo e la santa cena.
Se non che, fu risolutamente contrario a Calvino sulla dottrina teologica della predestinazione. in quanto Dio vuole ab eterno alcuni salvati, altri condannati. Il Wesley la proclamò distruggitrice del sentimento religioso, della rivelazione cristiana, del vero amore di Dio. di tutte le opere buone. Da siffatto lato egli precorse il movimento teologico moderno, avverso apertamente al prcdestinazionismo agostiniano, esagerato da Calvino. Anche per la dottrina liturgica sull’ eucarestia si liberò dalla transustanza-zione dei cattolici, e da tutte le incertezze dei riformisti Lutero, Zuinglio e Calvino; giacché da loro si affermava, ora la coesistenza di Dio nei pane e nel vino, ora che il pane ed il vino sparissero, rimanendo Dio, ora che il pane ed il vino partecipassero di Cristo. Il Wesley ricorse all’onnipresenza di Dio e all'assistenza di Cristo promes* sa, per risolvere la questione. Colse il punto della giusta risoluzione, tanto discrepante fra i teologi.
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Giovanni Wesley non dava importanza alle differenze dottrinali tra gli altri riformisti ; perchè a lui importava che la religione cristiana dovesse essere una predicazione ed azione, non già una discussione e speculazione. Egli scriveva : L’idea fondamentale del cristianesimo consiste in un fatto, non in una dottrina (Ferreri p. 52). Il motto suo prediletto era questo : « Vita vai meglio del dogma » (Ibid. 63). Come il metodismo era nato senza discussioni, cosi voleva che vivesse senza sottili deputazioni dogmatiche.
In Oxford il Wesley era studente nella Università. Ivi iniziò il suo movimento cristiano con un piccolo Club di santi (Holy
Club). Nelproposito osserva Gladstone che il metodismo con un inizio si modesto segnalò una nuova èra nella storia del cristianesimo, tanto nell’ Inghilterra, quanto in America. Il Wesley volle dare alla Chiesa metodistica l’ordinamento episcopale, sembrandogli il più vetusto della religione cristiana (Ferreri, p. 30). In Italia vige il metodismo episcopale. William Buit, ora episcopo del metodismo italiano, scrive acconciamente nella Prefazione da lui redatta nel libro del Ferreri : « In Europa il cristianesimo è stato adombrato dal clericalismo, e falsificato dal gesuitismo e dal formalismo ».
Roma, agosto J912
B. LA BANCA.
L’evoluzione del dogma cattolico.
F. GOBLET D’ALVIELLA — L‘ Evoluitoti dii dogrne catholique, voi. 1. Les origines (première partie). Paris 1912, Librairie critique E. Nourry, 62 rue des Ecoles - (L. 6).
Per gli italiani, quasi affatto sprovvisti di libri che volgarizzino i gravi problemi intorno alle origini del cristianesimo, potrà servire questo libro.
È bene nota.'e subito che esso porta a conclusioni radicalissime, più radicali di quelle a cui giunge il Loisy, da cui in gran parte dipende. Anzi 1’ A. considera le conclusioni del Loisy come il minimum che la critica liberale possa accettare. Non è qui il caso di discutere tutte e singole le'opi-nioni e le deduzioni de) Goblet D’Alviella e da esse molti forse discorderanno ; ma ciononostante per una cognizione delle vaste e complesse questioni che si riannodano allo sviluppo dei dogmi e delle forme chiesastiche che ne dipendono, questioni che son cominciate fortunatamente ad uscire dall’ ambito ristretto di una piccola cerchia di studiosi per interessare un pubblico più vasto, il libro di cui parliamo può riuscire utile e prezioso.
Prezioso ripeto anche per chi non ne approverà le conclusioni. Perchè in buona polemica è bene rendersi esatto conto degli argomenti degli avversari onde opporre ragione a.ragione.
il fatto storico dell’ evoluzione dei dogma non può ormai essere più contestato in
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buona fede. La pretesa della Chiesa Cattolica di non aver mai cambiato di un sol punto nei suoi principi e di essere oggi quello che era venti secoli fa è facilmente comprensibile ma non é affatto giustificabile. Se però è facile accorgersi che una profonda evoluzione si è verificata traverso le varie età nelle posizioni fondamentali della Chiesa, non è parimenti facile il conoscere come questa evoluzione sia venuta operandosi. quali ne sieno stati i principi informatori quali ne sieno i fattori, quali le leggi storiche che la determinano. Questo non è accessibile a quanti non han dedicato la loro intelligenza, allo studio particolareggiato deila questione e neppure è facile ad essi il rendersi conto dei differenti aspetti che il problema ha presentato nelle varie epoche succedutesi.
Da ciò è avvenuto che il dilettantismo giornalistico e lo snobismo da salotto impadronitisi dell’ argomento, abbiano spesso in forma anche solenne e cattedratica promulgato un mucchio di corbellerie e di inesattezze .da raccogliersi con le molle, li bigottismo o il volterrianismo hanno naturalmente a volta a volta preso il sopravvento a seconda delie tendenze personali dei vari storici improvvisati.
Il libro del Goblet è fatto per ovviare a questo. Indipendente da qualsiasi confessione, 1’ A. ha considerato il problema al lume del libero esame e della scienza pura, e ne è venuto fuori un volume non di critica negativa, ma uno studio storico della massima importanza.
Questo primo volume comprende il periodo delle origini, dal momento in cui Gesù inizia la sua vita pubblica fino alla redazione definitiva del IV Vangelo.
In questo periodo di un secolo. l’A. distingue cinque successivi sviluppi nettamente caratterizzati il cui insieme costituisce la prima tappa dell’evoluzione del dogma cattolico. Considerata dapprima la Morale Religiosa di Gesù con un esame particolareggiato dei più salienti episodi della sua vita, il Goblet si occupa della Tradizione e dell’attività apostolica. Uno speciale studio è dedicato all’apostolo Paolo ed alla penetrazione del cristianesimo in terra pagana; il sistema paolino viene acutamente analizzato, come viene ben rilevata la lotta fra l’universalismo per cui Paolo si oppose a Pietro contro il particolarismo giudeo-cristiano. Passa poi al problema sinottico, esaminando l'origine dei tre vangcli pervenutici col nome di Marco. Luca e Matteo ; prospetta i risultati dell’ analisi letteraria di questi vangeli e .delie tradizioni in essi raccolte e ne trae 1* occasione per mostrare quale sia la figura di Gesù tramandataci dai Sinottici di fronte al Cristo storico. Si occupa infine delle origini del IV Vangelo e delle prime infiltrazioni elleniche con la creazione di un sistema teologico che stabilisce la sua base filosofica sullo stoicismo, sui platonismo e sul filonismo. E questo sistema viene anch’ esso illustrato rapidamente.
Come conclusione !’ A. stabilisce il carattere nettamente giudaico del cristianesimo primitivo, carattere che viene presto a perdere per il contatto col mondo pagano che mentre viene pervaso dai propagatori delle nuove dottrine, pervade a sua volta le dottrine stesse, vinto e vincitore nel medesimo tempo, imponendo ad una dottrina essenzialmente morale la filosofia raffinata dell’ Eliade. Cosicché il Goblet d’ Alviella crede poter fissare queste due leggi per il primo periodo 'dal 25 al 125 circa dell’e. v.) delle origini del cristianesimo :
« I. Legge esterna. — 11 dogma cattolico sorto dalle ruine del giudaismo, del mondo ellenico e dell’ impero romano, si è sviluppato nutrendosi del cadavere in decomposizione della antica civiltà. Ma questo sviluppo si è manifestalo geograficamente andando da oriente verso occidente. Esso ha seguito il cammino generale della civilizzazione, la cui direzione è conforme a quella del corso quotidiano del sole ».
«IL Legge interna. - Il dogma cattolico apparisce nel suo insieme come un compromesso Ira la fede dei semplici e la Scienza degli intellettuali, tra la tradizione concreta e la speculazione astratta, tra il messianismo nazionale degli ebrèi e la morale razionalista e stoica, tra la teologia e la religione, fra il sentimento e la ragione ».
« Vedremo traverso tutta la vita della Chiesa — così termina il libro, che sarà presto seguito dalla seconda parte che tratterà della elleuizzazione e della romanizzazione del cristianesimo — l'antagonismo di questi due elementi opposti : il sentimento e la ragione. Dal loro sviluppo parallelo e dall’influsso reciproco dell'uno sull’altro dipenderà l’evoluzione dal dogma o della Chiesa stessa fondata per proteggere, difendere e propagare il dogma; e la storia di questa evoluzione è la storia della continua lotta della Chiesa per impedire che 1’ una
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o 1’ altra di queste tendenze, sia 1’ evangelica, sia la razionalista, prenda il sopravvento e distrugga questo compromesso. Eretico sarà colui che disprezzando la lettera e rigettando la materialità dei fatti e delle tradizioni evangeliche, vorrà orientare iltdògma verso un culto puramente razionalista ; eretico parimenti sarà colui che lasciandosi vincere dal misticismo respingerà la metafisica per dare il dominio alla morale del sentimento. A volte 1’ elemento razionalista prenderà il sopravvento ed immediatamente si produrrà una reazione del misticismo, poiché il dogma non basterà più agli umili ed ai semplici; a volte lo sviluppo del misticismo sarà causa di una reazione metafisica per I’ esagerazione stessa del sentimentalismo. Per mantenere la sua uni tà, per impedire il dissolvimento dell’ unione forzata di questi due clementi cosi opposti, la Chiesa ha dovuto adattarsi, trasformarsi, modificare la sua organizzazione i suoi principi, la sua dottrina morale, c dal momento in cui ha cessato di evolversi, in cui si è immobilizzata, essa é per morire ed i suoi giorni sono contali ».
Daquesta breve recensione si rileverà facilmente che il libro del Goblet merita davvero seria attenzione. Ed è da augurarsi che 1’ A. ci dia presto altri volumi che ne completino l’opera.
E. R.
Archeologia cristiana
Il battistero di Sidi-Mansur (Tunisia) e i battisteri a rosone. Articolo di R. M ASSIOLI in Mélanges d’ Archèologie et d’histoire, fase, di Gennaio - Giugno 1912. Con una tavola fuori testo.
A dieci chilometri al nord di Sfax (Tunisia) a qualche metro appena dalla spiaggia e sul territorio di Sidi - Mansur, gli scavi intrapresi da! Sig. Novak, nel mese di marzo dei <910, hanno condotto alla scoperta d’ una vasca ball .•simale, mirabilmente conservata. È scavata in un massiccio, è profonda 94 cm. ed è compresa
in una circonferenza di m. 2,25 di diametro: al centro é la vasca propriamente delta, di forma circolare, profonda cm. 27 e del diametro di cm. 58; e ad essa si discende per ire gradini. Nella parte circolare del primo di questi sono siate scavate otto nicchie, di guisa che la vasca
nel suo insieme ha l’aspetto di un rosone a ‘olio petali. Due di questi però non sono arrotondati, dovendo essere utilizzati per la discesa alla vasca centrale. La vasca era tutta tappezzata di mosaici : sono rimasti quasi intani quelli che decoravano le pareti orizzontali. Sul pavimento del bacino centrale, su fondo bianco ed incorniciato da una doppia linea di cubi neri e rossi, è disegnato abbastanza grossolanamente l’agnello simbolico. 11 disegno dell’ agnello è ripetuto presso uno degli accessi alla vasca, e qui presso sembra di poter discernere anche il disegno della colomba.
Con questa sono ormai sette le vasche battesimali a rosone venute in luce nella Tunisia: due a Sfa.x, una ad Uppcnna, una all’Henchir el Hakaìma, una ad I ¿ammani-Lif, una a Zaghouan e finalmente una a Sidi-Mansur. Sono sette monumenti che riproducono tutti, in ciò ch’è essenziale. un medesimo tipo, di cui non si ritrova, fuori della Tunisia, alcun esempio. Quali speciali condizioni si vollero soddisfare? in quale epoca e sotto quali impulsi si determinò quest’ uso ? Le due gradinale che si corrispondevano, dove-
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vano evidentemente rendere facile la descendió e l’ascensio foniis. Per una gradinata si discendeva e per l’altra di contro, si risaliva fuori. E le sci nicchie a che servivano ? Il Messigli suppone che i candidati al battesimo stessero intorno al bacino, ritti, co’ piedi nelle nicchie, pronti per essere immersi ad uno ad uno.
Questo gruppo di battisteri deve risalire alla fine del VI secolo, all’epoca bizantina.
Ulteriori osservazioni sull' ipogeo di Trebio Giusto in conferma dell’ipotesi sulla natura gnostica del monumento. Articolo di O. MARUCCHI in Nuovo Ballettino di Archeol. Crist., N. x-4, »912; pagg. 83-99.
La scoperta dell’ ipogeo cristiano di Trebio Giusto a Roma sulla Via Latina è recente. 11 Marucchi ne pubblicò 1’ anno scorso nello stesso Ballettino (1911, pagg. 201-226) un’ampia ed accurata illustrazione, che ha destato non poco interesse fra i dotti, specialmente per l’interpretazione da lui data ad alcuni particolari e l’ipotesi da lui emessa che si tratti di un ipogeo che « servi ad una famiglia e forse, più che ad una famiglia, ad un gruppo abbastanza numeroso di persone, le quali pure essendo cristiane, sembra però che avessero delle idee quasi pagane » e che più precisamente appartenessero alla setta gnostica. Il Marucchi ritorna sull’ argomento e con nuove osservazioni illustra meglio la sua ipotesi. Certo questa, fra le altre emesse sino ad oggi, si presenta non solo come la più ingegnosa, ma come la più atta a gettare luce sui misteriosi particolari della decorazione pittorica e forse anche su certe espressioni contenute in avanzi di graffiti greci. L’ elemento cristiano è attestato dalla presenza della rappresentazione in pittura del buon pastore. Ma il resto non trova confronti nelle catacombe cristiane.
L‘epigrafe di un ostiario dell'antica chiesa bolognese. — « Molto scarse sono le notizie che l’antica letteratura cristiana ci ha tramandate sull'esistenza e la missione degli ostiarii nella chiesa primitiva... gli
ostiarii sono nominati per la prima volta nelia notissima lettera a Fabio di Antiochia
scritta nel 251, dove papa [o meglio episcopo] Cornelio, enumerando i membri del clero romano, oltre i 46 preti [o presbiteri], i 7 diaconi, i 7 suddiaconi ed i 42 accoliti, ricorda 52 chierici inferiori, e tra questi anche ixvZtDQOÌ, cioè gli ostiarii (in Eusebio, Stor. eccles., VI, 43-u).... Alla metà del
IH secolo gli ostiari dovevano già essere in un certo numero in molte chiese dell’occidente ed anche in Africa..... Fu probabilmente dopo le pace di Costantino che gli ostiari acquistarono un’ importanza notevole, quando cioè sorsero in ogni diocesi chiese grandiose, nelle quali divenne ben presto necessario un abile servizio di vigilanza.... I canoni cartaginesi della fine del IV secolo vogliono che l’ostiario sia prima istruito del suo utficio dall’ arcidiacono e poscia venga ordinato mediante la cerimonia della consegna delle chiavi, simbolo del suo ufficio. Le costituzioni apostoliche affidano agli ostiarii la custodia delle porte della chiesa, destinate agli uomini, mentre le diaconesse sorvegliavano quelle delle donne. Anche Epifanio attribuisce agli o-stiari l’ufficio di mantenere 1’ ordine nella chiesa. E lo facevano con rigore, come accadde di quell’ ostiario di Milano che avendo ricevuto da S. Ambrogio il comando di non lasciare che alcuno portasse sulle tombe dei martiri delle vivande, respinse anche Monica, 1a madre di Agostino....»
« Scarso è il materiale epigrafico relativo agli ostiarii. A Gerusalemme furono scoperte due iscrizioni funerarie ricordanti i Gvqwqoì di alcune chiese locali... » « Per l’occidente una sola iscrizione era conosciuta finora relativa agli ostiarii » quella che ricorda un tale Ursalius usliarius di Treviri, e che probabilmente deve riferirsi al VI secolo. « Di questi epitaffi di ostiarii, greci e latini, nessuno ha però l’abbondanza e la chiarezza di quello scoperto alcuni anni or sono a Bologna in via S. Isaia » t Martini clerici et ostiarii istius ecc lesila)e corpus hic in pace requiescit sepultum. Quem cla-viger Petrus solvat a criminis nexu. Qui die mensis VI nov(embris) obiil indicatone) IIII. [IPflgo vos sacerdotes ut orelis prò me peccatore.
Basta dare una letta all’iscrizione per convincersi subito che essa non può riferirsi ad un’epoca molto antica...... Non è irragionevole pensare che il Pfartinus oslia-rius sia morto durante il secolo settimo e che in tale tempo sia stata posta sulla sua umile tomba questo ingenuo ¡pitaffio, che il capriccio del tempo ci ha conservato. »
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(Dall’articolo di ALFONSO MANARESI in Nuovo Bullettino di Archeol. Crisi., 1912, p. 101-109).
Di alcune iscrizioni del cimitero di Domitilla poste in relazione con i cristiani di Roma nominali da S. Paolo. Articolo di 0. MARUCCHI in Nuovo Bull, di Arch. Crisi., 1912, p. m-121.
In questo articolo il Marucchi riprende in esame alcune iscrizioni apoartenenti a quella regione del cimitero di Domitilla che dicesi dei Flavii Aurelii, regione antichissima, già pubblicate dal De Rossi (Bull, di arch. crisi. 1875. P- 57 e segg.) — ponendole in relazione con un nuovo e pregevolissimo monumento epigrafico scoperto alcuni anni or sono e che il De Rossi non conobbe, e nel quale si ricordano i nomi di una Julia e di un Narcissus. Il detto esame del nuovo monumento e il confronto di questo con le surricordate iscrizioni, conducono il Marucchi a stabilire che questi due personaggi Julia e Narcissus dovevano essere addetti alla casa della madre di Nerone, l’una probabilmente come liberta e l’altro come scrvus. La conclusione cui giunge il M. è del massimo interesse e non possiamo non comunicarla ai nostri lettori.
Il Narcisso del monumento ricordato fu adunque servo dell’imperatrice Agrippina, madre di Nerone ; « ma siccome A-grippina mori nell’anno 59 dell’era volgare, cosi è certo che Narcisso apparteneva alla corte, cioè era de domo caesaris, [èx nj? Kai-oaQO? oìzìac(Filipp., IV, 22 )] prima del 59. Ora precisamente nell’ anno 58 1’ apostolo Paolo scrisse ai romani la sua lettera; e in essa mandò a salutare parecchi cristiani dimoranti in Roma e da lui conosciuti. Fra costoro vi è un Ampliato (Rom., XVI, 11); ed a questo Ampliato il De Rossi attribuì un nobile cubicolo decorato di pitture rinvenute nel 1881 in una parte assai antica del medesimo cimitero di Domitilla (Bull, d’arch. crisi., 1881, p. 57-74)- Ora è notevole che fra gli altri fedeli di Roma, ai quali l’apostolo invia il suo saluto, si nomina precisamente un Narcisso e la sua casa : « Salutate eos qui sunt ex Narcissi domo, qui sunt in Domino » (Rom., XVI, 11): e nel passo medesimo si nomina ancora una Julia che potè essere una liberta o serva di Agrippina ». (« L’apostolo manda a salutare anche un Rufus. E deve notarsi che in questo gruppo medesimo d’iscrizioni del nostro cimitero vi sono le epigrafi di
un P. Aelius Rufinus e di una Rufina.... nomi tutti derivati da Rufus »). « Da tutte queste osservazioni pertanto, continua il Marucchi, io credo di poter concludere che il NarciSso, il quale ebbe un sepolcro nella Via Ardeatina, presso il cimitero di Domitilla, può assai probabilmente identificarsi con il Narcisso nominato dall’apostolo Paolo; e che nella suacasa vi erano dei cristiani addetti alla corte imperiale e che questi o i loro prossimi discendenti furon sepolti nel cimitero di Domitilla e precisamente nella regione detta dei Flavii Aurelii, dove ebbero sepoltura anche Nereo ed Achilleo ». « E si spiega assai bene perchè tutti questi personaggi fossero sepolti nel cimitero di Domitilla. Questo cimitero infatti venne fondato, come è noto, dai nobili Flavii cristiani stretti congiunti della famiglia imperiale; ed è naturale allora che qui venissero sepolti gli addetti alla casa imperiale i quali furono convertiti fino dai tempi apostolici ma che restarono poi nella corte durante il periodo dei Flavii ed anche in epoca posteriore. Così pure si spiega che vi fossero sepolti anche i loro figli e discendenti ».... E, terminando, il M. osserva giustamente: «Ho voluto esporre questo mio studio perchè esso è di grande importanza non solo per la storia del cimitero di Domitilla, ma anche per quella delle origini stesse del cristianesimo. Ed aggiungerò che questa ulteriore constatazione di altri ’monumenti in Roma, i quali possono mettersi in relazione con i personaggi salutati dall’apostolo nella sua lettera a Romani, è una confutazione della strana opinione di alcuni critici, i quali pretenderebbero che il capitolo XVI della celebre epistola fosse un brano staccato di un’altra lettera scritta agli Efesii... »
Ecco il testo dell’ iscrizione di Julia e Narcissus: Julia*, Augusta* Agrippina* (li-berta* ovvero serva*. — Narcissus, Augusti Troiani (servus), Agrippinianus (fedi o posail).
L’antichissima basilica cristiana di 5. Maria Antigua al Foro Romano è stata maravigliosamente illustrata da W. DE GRUNEISEN in una grande opera da lui pubblicata (613 pag. in folio con 375 figure. So piante iconografiche, ecc. : prezzo L. 3007 col concorso di dotti specialisti quali l’Huelsen, il Giorgis, il Federici e il David. Ora il Gruneisen ha pubblicato, presso il Bretschneider di Roma, un estratto di quel[34]
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l’opera, limitato allo studio delle pitture. Il voi. di 179 pag. in folio e illustrato con >35 fa- (prezzo L. »5) è intitolato: Sainte-Marie - Antique. Le caractère et style des peintures du VII au XIII silcle.
L’unica pittura appartenente al VI se colo è quella che rappresenta una Vergine in trono, con in braccio il bambino Gesù, tra due angeli. È vestita da imperatrice bizantina. — Una serie di pitture deve riferirsi al principio dell'VII! secolo: sono scene della vita di Cristo, come la fuga in Egitto, ta via alla Croce, l'Annunziazionc. — Un’altra serie è del priheipio del IX secolo e i soggetti si riferiscono alla Genesi.
Quest’ opera è di somma importanza per qualsiasi studio d’iconografia cristiana e d’arte pittoresca pel periodo tra il VI e >1 XIII secolo.
Il principe Giovanni-Giorgio, duca di Sassonia, ha pubblicato un volumetto sul Convento di Santa-Caterina al Sinai, il fa-moso convento nel quale il Tischendorf scoprì il prezioso manoscritto (oggi detto sinaitico) del N. T. 11 volumetto (Dos Xa-tharinenkloster avi Sinai, Libreria Teubner, 1912) comprende sei capitoli in cui è fatta la storia del convento, si parla della sua organizzazione, si descrive la basilica giustiniana, la cappella del pruno ardente, il tesoro, la biblioteca, ecc. È arricchito da 43 illustrazioni eseguite su fotografie.
L’architetto C. Mauss nel suo recente lavoro : Églisc du Saint sépulcre à Jèrusalcm (in 8. gr., p. 61 —• Parigi, Leroux. 19x1) ha tentato di distinguere nel gruppo monumentale del S. Sepolcro i diversi elementi che attualmente lo compongono. Gli sembra che la cappella dedicata a Santa Maria sia anteriore al VII sec. Il P. Lagrange osserva che la facciata meridionale è pure opera medievale c che la costruzione del battistero (nel gruppo delle cappelle meridionali) sembra rimontare all’epoca della fondazione del santuario, ed è di li che proviene la vasca battesimale bizantina oggi relegata altrove.
Iscrizione di recente rinvenuta dal prof. E. Bormann nella regione dell’antico cimitero cristiano tra Morlupo e Leprignano
(Roma): (monogramma cristiano) Martini Firmissimus prcsbiter Decimi* (sic) Aprontan e li coiugi (sic) ùnicissime (sic) benemerenti que (sic) vixil tnecum anuos XXXI, men(ses) VII, dies XIII. deposita III. id. aug. in pace.
Il prete Marzio Firmissimo pose questa iscrizione alla sua consorte Decimia Apro-nianete che visse con lui anni 31, mesi 7 e giorni 13. Il Mantechi (Nuovo Bull. d'Arrh. Crisi., 1912, pag. 184) osserva: « devesi naturalmente intendere che avesse vissuto con lui prima del sacerdozio ...... Quel « naturalmente » ci sembra che strida un poco, li vicino al testo così esplicito nella sua eloquenza. La morte e non il ministerio cristiano separò i due coniugi. Questo afferma il presbitero Marzio Firmissimo.
La redazione del Nuovo Ballettino di Archeol. Cristiana sta preparando pel 1913 uno speciale fascicolo in occasione delle feste Centenarie che si celebreranno in tutto il mondo cattolico, ma specialmente in Boma, per commemorare la data dell’editto di Milano (313) e la proclamazione della pace della Chiesa.
l-PBibliografia.
Guido Ferrando pubblica nel fase. IV (luglio-agosto) di « Psiche », Rivista di Studi Psicologici (Via degli Alfani 46, Firenze *) un « breve saggio di bibliografia ragionata » comprendente solo opere di psicologia religiosa. Sono indicate in ordine alfabetico secondo il nome degli autori 85 opere, quasi tutte di questi ultimi dieci anni e parecchie recentissime. Poche righe, dopo le indicazioni bibliografiche dànno un’idea del contenutoe dell’importanza d'ogni opera’
(•) Un fascicolo separato L 2.
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Psicologia del misticismo.
Dello stesso Guido Ferrando e nel medesimo su citato fascicolo di Psiche abbiamo letto con vivo interesse uno studio su la psicologia del misticismo. L’ articolo è così bene ordinato che sarebbe cosa facile darne un riassunto; ma per mancanza di spazio dobbiamo limitarci a riprodurre qui’.la; conclusione. « Noi crediamo — scrive il Ferrando — che le caratteristiche fondamentali del misticismo possano raccogliersi nelle tre seguenti :
j) « Il misticismo è pratico, non teoretico; è una attività trascendentale che mira al raggiungimento dell’Essere eterno ed immutàbile. »
2) « Questa Realtà è per il mistico non un oggetto di conoscenza.' ma un oggetto di amore, è l’Essere, uno e molteplice, che si rivela solo al cuore illuminato dalia sua luce divina ».
3) « L’unione con questo Essere supremo, raggiunto per mezzo di un lungo processo psicologico, è uno stato definitivo che rappresenta una trasformazione e sublimazione del carattere e l’affermazione di una forma nuova e infinitamente più alta di conoscenza e di coscienza, latente in tutti gli uomini ».
« Inteso cosi il misticismo assume un valore universale: e non sarebbe difficile dimostrare che ogni vera religione e ogni filosofia, devono essere mistiche nella loro essenza: perchè 1’una deve insegnare al-l’uomo praticamente il modo di attuare tutto sè stesso, e l’altra deve indicargli le leggi fondamentali della sua attuazione. Ma qui si uscirebbe dai campo delia psicologia, per entrare in quello della metafisica del misticismo — e dobbiamo arrestarci ».
« Ci sia permesso però di chiùdere questo breve studio colle parole che il Boutroux poneva alla fina della sua conferenza sul misticismo: « Se queste .considerazioni hanno qualche fondamento, ci sembra che uno studio ampio e completo del misticismo, non offra solo un interesse di curiosità anche scientifica, ma interessi direttamente la vita e il destino degli individui e dell’umanità ».
FIIPJOFIAE RtUGlONE
Scienza e fede.
ADOLPHE FERRIÈRE — La Science ella fot— Neuchatel, 1912 — Delachaux e Niestlé. (L. 1, —).
Il fatto che questo volumetto ha raggiunto in poche settimane la seconda edizióne, ne testimonia già a sufficienza l’im-portanza non comune. Ma questa apparirà anche maggiore quando si sappia che questo scritto fu premiato (insieme ad un altro dovuto ad Angelo Crespi) su più di So memorie presentate al Concorso indetto dal « Coenobiunt », la ormai famosa rivista di liberi studi che si pubblica in Lugano. Il concorso aveva a tema il problema massimo : « È possibile conciliare, in una sintesi superiore, il bisogno logico che attrae l’anima moderna verso la Scienza ed il bisogno psicologico che la sospinge verso la fede ? »
Per dare un’idea del contenuto di questo volumetto non sappiamo far di meglio che riferire il giudizio datone dal celebre prof. Henri Bergson (che era insieme al Chiappelli. al Fonsegrive, all’ Hòfìding, al Royce, al De Unamuno ecc. uno dei giudici in questo concorso). Ecco come si esprime il Bergson : Lavoro interessantissimo e di serio valore. Opera di uno spirito netto, preciso, che non si contenta di sole parole. L’autore stabilisce che la scienza non è e non può essere una dottrina: essa non è che un metodo ; l’essenza della Scienza è sempre dunque nel suo sviluppo, nel non dar mai una sintesi del tutto. Dal canto suo, la religione, come l’autore la concepisce, neppur essa è una dottrina: è, più che altro, un’aspirazione morale che i dogmi, necessariamente provvisori, non fanno che simboleggiare. Considerate in tal modo, la scienza e la fede non possono stare in conflitto. La religione se riesce a liberarsi, ha dinanzi a se un bell'avvenire.
Se si può fare un appunto a questo lavoro è di essere troppo sommario, d'indicare le idee invece di svilupparle e di approfondirle. Occorrerebbero applicazioni
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ed esempi precisi e soprattutto una discussione celle tesi opposte e delle possibili obbiezioni. Potrebbe dunque questa memoria dare origine ad un libro eccellente ».
In attesa di questo libro, contentiamoci per ora dell’opuscolo. Esso ci dà materia a profonde riflessioni sull'assillante problema dei rapporti ira scienza e religione.
E. R.
San Francesco e Savonnra’a ispiratori dell’arte Italiana.
LAFENESTRE GEORGES — Saint Français d* Assise et Savona rôle, inspirateurs de II art italien — Paris, Hachette, lÿll, in p. 301.
Marcel Aubert cosi parla di quest’opera nella Revue de Part Chrétien di Luglio-Agosto 1912: « Nella sua introduzione 1’ A. mostra come il santuario di Assisi, disprezzato nel XVII e XVIII secolo, ha attratto al principio del XIX i poeti e gli artisti, poi gli archeologi; come taluni abbiano voluto vedere nella basilica la culla dell’arte gotica in Italia, opinione ornai insostenibile dopo i dotti lavori dell’ Enlart; ed è appunto lo studio degli influssi delia basilica di Assisi sullo sviluppo dell’architettura gotica in Italia che forma il primo capitolo <lcl volume. S. Francesco riprendendo e aggravando l’amore di S. Bernardo per la semplicità c la povertà, non ammetteva in principio che chiese di legno; quando poi il numero de’ suoi seguaci fu considerevolmente cresciuto, si dovette costruire delie chiese in pietra e si ricorse allo stile severo, semplice e logico che i cistercensi avevano recato dalla Borgogna in Italia coi principi dell’architettura gotica. Ma frate Elia, alla morte di S. Francesco, spezzò la regola dei Poverello', fu lui « l’iniziatore, l’ispiratore, il sorvegliante attivo e appassionato delle costruzioni francescane ad Assisi », e volle un convento ed una basilica che con la loro ricchezza colpissero gli animi de’ pellegrini. Dopo una discussióne molto strin
gente sulla personalità degli architetti di Assisi, l’A. fa vedere la parte che ha avuto la basilica nell’espansione dell’ arte gotica in Italia. »
« Ma é sopratutto sulla pittura che s’esercitò l’impulso artistico di S. Francesco; lo spirito francescano ridesta la pietà nell’anima delle folle intenerite, canta le gioie pure della vita terrestre, e 1' anima degli artisti ne è commossa, ed è questa commozione, quale fu sentita da Giotto allorché interpretò sui muri della basilica la leggenda francescana, che rinnovò l’arte ».
« Francesco aveva spinto gli artisti all’ amore della natura; essi, cedendo a quest’impulso, si posero allo studio e la studiarono particolarmente in ciò che essa ha di più perfetto, la forma umana. L’idea della bellezza è sempre concepita dall’ima-giunzione dei poeti, prima d’essere espressa dalla mano degli artisti. L’impulso dato dai poeti, gli eruditi, gii archeologi, i collezionisti. determina al XV secolo in Firenze, una rifioritura generale dèlie arti. Ma 1’ a-buso di un naturalismo troppo spinto reca la decadenza, allorché apparisce il Savonarola, innamorato anch’egli della rappresentazione plastica e pittoresca delia bellezza, ma moderata dall’ ideale sano e morale, eh’ era quello di Giotto; gli artisti vanno ad umiliarsi dinanzi al riformatore e dopo il suo martirio, la sua dottrina recherà i suoi frutti con Michelangelo. »
« Queste sono, troppo rapidamente riassunte, le grandi linee del volume del Lafenestre, pieno di riassunti curiosi e di osservazioni interessenti. »
Mazzini o religione.
ANGELO CRESPI — Giuseppe Mazzini e la futura sintesi religiosa. — Firenze, Associazione Italiana di Liberi Credenti, Viale Margherita, 44. (L. 0,75). A differenza degli studiosi esteri dell’opera del grande Genovese, i quali hanno considerato prevalentemente nel Mazzini il profeta etico e religioso, in Italia non si é tenuto cónto che dèlia Sua figura come
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patriota e come agitatore rivoluzionario senza curarsi quasi affatto della concezione religiosa della vita da cui fu ispirata e mossa tutta 1’ azione esterna ed in cui ha origine ogni idealità mazziniana.
Di conseguenza è avvenuto che ben pochi hanno del Mazzini una idea completa e perfetta, anche fra coloro che proclaman-dosi gli eredi.... necessari del grande maestro per una certa loro mania repubblicana ne fanno il tutore anche della loro concezione della vita che è precisamente all’opposto da quella a cui si ispirava il Mazzini.
In questa confortante rinascita di spiritualismo che è caratteristica di questi ultimi tempi è ben doveroso il valutar meglio il carattere religioso del pensiero e dell'opera mazziniana in rapporto special-mente ai problemi delle moderne democrazie.
Questo si è proposto il Crespi, il quale nel volumetto, breve ma densissimo, fa una rapida disamina della formazione filosofica del Mazzini, del suo atteggiamento di fronte al Cristianesimo (di cui rigettò la forma tradizionale per concepirlo più puro e più divinamente umano), e della sua filosofia morale. E 1’ A. fa vedere come una religiosità intensa abbia pervaso tutta l’opera del Mazzini il quale sognava la nuova Italia che non poteva compiere la sua missione storica che inaugurando e capitanando una terza èra religiosa per 1’umanità, e si augurava una nuova Scuola di pensiero per davvero italiano, che, ergendosi a un tempo contro la cristallizzazione e la ossificazione della religione storica ufficiale da un lato e contro la filosofia negativa, areligiosa o peggio dall’altro, educasse l’umanità intera al concetto di una sintesi religiosa che conciliasse in se i princìpi di vita : i princìpi del carattere ugualmente sacro della coscienza individuale e della collettiva, della tradizione e del progresso, della Libertà e dell’Autorità.
Il Crespi rileva poi come anche il concetto della democrazia fosse in Mazzini essenzialmente religioso, per modo che egli deplorava amaramente conte anche _ la democrazia italiana non facesse che scimmiottare i superficiali errori materialistici venuti d’oltr’Alpe, ignorando — egli diceva — la nostra tradizione spirituale.
L’interessantissimo studio termina col rilevare come il vero pensiero del Mazzini abbia un^valore oggi più che mai e come le democrazie di oggi, lasciato una buona Vòlta il lóro carattere di festone, dbbbYmo,
ispirandosi al Maestro curare una vera ricostruzione morale.
Vorremmo che il libriccino del Crespi si diffondesse largamente. Di ciò dovrebbero occuparsi specialmente coloro che curano l'educazione della gioventù.
Er.
11 prete « il suo paa-sato e il suo avvenire.
HORNEFFER AUGUST — Der Priester, scine Fergangenheil und scine Zukunfl (Il prete: il suo passato ed il suo avvenire). Iena 1912, Eugen Dicderichs Verlag. - 2 voi. (Marchi 17).
Riservandoci di occuparci distesamente nei prossimi numeri di questa opera magistrale che merita veramente una relazione dettagliata, accenniamo ora semplice-mente allo scopo prefissosi dall’ Horneffer nello scrivere il suo libro. L’A. ritiene assolutamente necessario un rinnovamento della Chiesa e vuole con l’opera sua appianare il cammino al prete per il grave compito impostogli nei tempi presenti : al prete concepito non come giocattolo in mano d’altri o come mestierante, ma come personalità indipendente e come maestro pienamente responsabile di sé.
Così non si tratta di un’opera di fatua apologia, ovvero di denigrazione volgare e neppure di una mostra di pesante erudizione storica. È invece un’ analisi più che altro patologica e fisiologica del pretee della sua missione e per questo 1’ Horneffer ha saputo bene utilizzare il materiale scientifico di tutti i popoli del mondo in fatto di medicina, di filosofia e di scienza dalle religioni. Gli episodi storici non vengono usati che per confermare le deduzioni scientifiche.
Per dare un’ idea della importanza del libro ai cui ci occupiamo, ne riferiamo sen-z’ altro l’indice avvertendo che oltre il titolo dei singoli Capitoli diamo anche i paragrafi in cui sono suddivisi.
I . Il carattere del prete: 1) Definizione del carattere; 2) Tratti femminili; 3) Disarmonia; 4) Fanatismo ; 5) La maschera divina; 6) Il prete conservatore ed il prete agitatore; 7} Idealismo.
IL 11 prete come sovrano e giudice. — /) La genesi del Sacerdozio; 2) Capo pacifica e capo guerriero; 3) La, teocrazia in-
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ter nazionale \ 4) La vittoria dello spirito ; 3) La le ¡stazione religiosa; 6) La procedura.
III. Le malattie del prete. — 1) Volontà e malattia ; 2) illusione ; 3) Rapina; 4) Isteria ; 5) Eccitazione e depressione ; 6) I veleni santi.
IV. Il prete mago. — 1) Religione e magia; 2) Sacerdozio pubblico c sacerdozio privato ; j) / mezzi magici nella vita privata ; 4) Il culto in comune; 3) Le sorti dei preti.
V. Il prete medico. — 1) Il valore medicinale dalla religione ; 2) Il concetto religioso di malattia : 3) La lotta del Cristo contro la malattia; 4) Le pie frodi.
VI. Il prete come profeta c maestro. — ;) Il profeta e il popolo ; 2) L’inspirazione-, 3) La natura dell’ oracolo ; 4) Preghiera e predica ; 3) /.’ inscgnamanto sacerdotale.
VII. Il prete artista e pensatore. — /) Religione e divertimento ; 2) Il prete ornatista e pittore ; 3) Il prete musicista e poeta ; 4) Il mito e rarte-, 3) La scienza sacerdotale.
Vili. Il prete dell’avvenire.— /) L'elevazione; 2) La rinuncia; 3) La volontà come norma ; 41 Lede ed insegnamento 3) Chiesa e culto ; 6) Guida e cura di anime.
Dato il valore dell’ HornefTer già noto per altre molte opere d’indole filosofico -religiosa, ci sembrerebbe superfluo aggiungere altre parole per dimostrare qua« to valga il suo presente studio. Aggiungeremo solo che ci auguriamo sinceramente che questo libro possa esser presto tradotto nella nostra lingua e reso accessibile cosi agli italiani e specialmente al giovane clero. Vi produrrebbe un salutare risveglio.
ER.
La Croce.
R. SAILLENS — « La Croce, » versione adattata agli italiani da B. Celli, Società Tipografica Cooperativa 1912, Ascoli Piceno, pagg. 88 - prezzo L. 0,30. In vendita presso l'amm.ne di « La Luce » - Via Magenta 18, Roma.
È un caro libriccino di edificante lettura che si legge lutto di un fiato. Esso mette in bella vista un punto fondamentale dell’apologetica cristiana che non passerà mai di attualità perchè sta alle basi stesse del « fatto cristiano. » cioè l’opera di Cristo che 1’ autore sintetizza bellamente nella « Croce *. Il trattato dimostra assai esaurientemcnte che tutto il Vangelo culmina nella croce, e cosi pure dimostra che ad essa mette capo tutta l’ispirata letteratura apostolica e subapostolica: lutto il mistico ardor di amore che divampa in tutto il medievo con la sua duplice infiorescenza ortodossa od eretica; come pure l’impeto rinnovatore della Riforma.
Questa consolante dottrina è come il filo d’oro che intesse quel capolavoro che si chiamano le missioni moderne ; il moderno cristianesimo sociale, dal nostro Raikes al colosso che si chiama Lincoln; il genio oratorio che la poesia della « Croce » eleva fino ai vertici dell’apostolato redentore che nell’elevazione ideale poi s’intreccia col genio artistico che dette al Cristianesimo la sua fonografia ed all’arte cristiana quei giganti che vanno da Haendel a Bach.
Tutti questi ravvicinamenti ideali, compiuti dalla contemplazione della croce, sono colli senza nessuno sforzo, ma con una fluidità cristallina d’ispirazione che dona a questa prosa il carezzevole ritmo d’una musica sommessa. Letto questo libriccino. la nostra fede à trovato una nuova base granitica, il nostro misticismo una nuova ala, la nostra esperienza religiosa un approfondimento.
O._ CHIMI NELLI.
Pourquoi je suis chrétien.
Quelques réflexions sur le christianisme, les objections qu’on lui opposé el la science moderne des religions, par Alexandre Westphal, docteur en théologie. Paris (48, rue de Lille). Editions de « Eoi et Vie », 1912. Une br. in-8. de 56 p.
Ce travail a été lu le 2 mai 1911 aux conférences pastorales de Paris, qui en ont voté l'impression. D’une forme soignée, il repose sur un fond solide. On y trouve de l’imprévu, de l’érudition, de la pensée. On y sent une conviction fermement arrêtée et, à un haut degré, personnelle. M. Westphal expose les raisons qui lui ont permis de garder, étape après étape, jusqu’à l’âge où l’on grisonne, la foi de son enfance. Il montre que seul le christianisme, avec sa parole vivante, présente dans tous les siècles, dans toutes les races, dans tous les milieux, à tous les degrés de culture et de civilisation, ce phénomène universel et constant de la régénération morale avec sa triple conséquence: paix de la conscience, rayonnement de Pamour, certitude de la
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vie éternelle. Et l’auteur conclut par ce conseil adressé à la chrétienté contemporaine: « Voulons-nous-donner à no§ contemporains la preuve de la vérité du christianisme. leur donner du même coup la raison sans réplique pour laquelle nous sommes chrétiens? Donnons-leur dans nos personnes le spectacle d’une humanité renouvelée. » (Da La Semaine religieuse).
Al. G.
La letteratura ebraica
e le invenzioni moderne.
Per giustificare questo pensiero dell’Ecclesiaste « che non vi è nulla di nuovo sotto il sole » alcuni dotti del Giudaismo si divertono — scrive il rabbino Haguc-nauer negli Archives Israilites a trovare indicazioni delle invenzioni scientifiche moderne più grandiose nella Bibbia c nella letteratura rabbinica. Eccone qualcuna :
LI leiegra io : « Non vi sono discorsi, non vi sono parole ; non s’ ode la loro voce. Su tutta la terra, tuttavia, si distende la loro armonia ed i loro •accenti giungono sino ai confini del mondo ». (Salmi 19, 5).
Za ferrovia o 1‘ automobile : « I carri turbinano nelle sii ade, rimbalzano a traverso le piazze. A vederli si direbbero torcie, si precipitano come fulmini ». (Nahum. 2. 5).
La terra gira : « La lerra rotola come una palla nello spazio. Essa porla delle assi nelle sue parli superiore ed inferiore. Queste assi sembrano doppie e si mantengono nell’ atmosfera come oggetti sostenuti.
Quando la parte superiore é illuminata, la parie inferiore è oscura, e viceversa. Quando fa giorno da una parie, fa notte dal-l’altra. In una certa parie del globo fa sempre giorno, in un' altra none ». (Zo-har: Parasha Vaikrà).
LI sistema planetario di Copernico : « Simon par Yohai ha detto : Noi non sappiamo se le costellazioni volano nel firmamento o camminano come noi. I-a questione è difficile a risolversi. Ci perverremo mai ? » (Midrash Bereshit, Rabbà, Parasha 6).
Prima di Galileo: Perchè Dio chiamò la terra Eresi Perchè la radice di questa parola esprime l’idea d: correre. I-a terra, secondo 1’ ordine che aveva ricevuto, corse ad adempiere la volontà di Dio. Dunque la terra si muove.
Anestesia : « Si fa bere al malato il liquido fatto con un certo aroma. Egli s’ addormenta e lo si può operare ». (Baba Mezia).
Il parafulmine : « Porre un pezzo di ferro in un nido d’ uccello è agire da pagano .... ma è permesso di metterlo per allontanare gli éfletti pericolosi del fulmine ». (Tosestà Shabat).
Il paragrandine : L’ esegeta Bahia ben Asher (1291) pretende che, secondo il Midrash. i successori di Noè, ancora sotto l’impressione dei disastri causati dal diluvio, costruirono la Torre di Babele per armarsi contro il cielo ed aggiunge:
« Questo modo di lottare contro le forze superiori somiglia alla lotta intrap-presa ai giorni nostri per stornar la grandine da questo o quel torrilorio ».
(Da La settimana Israelitica-16. Vili.
*9'*-)
Errata corrige: nel fascicolo IV a pag. 361, riga 28-29 leggi ferinità invece di serenità, e a riga 8 leggi ma invece di mo.
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Prezzo del fascicolo Cent. 75.