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ECO
DELLE muí VALDESI
Sis. FEYROT Arturo
Via C. Cabella 22/5
16122 GENOVA
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 108 - Nnm. 11
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TOKKE PELLICE - Marzo 1971
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RAZZA DI CONTESTATORI
I cristiani sono una razza di contestatori. Guardando alle chiese non si direbbe. Ma leggendo il Nuovo Testamento lo si deve dire. « Razza di contestatori, di perenni anticonformisti, che si
rendono sgraditi e sospetti a quelli della destra e a quelli della sinistra... »:
così il prof. Vittorio Subilia, della Facoltà Valdese di Teologia, descrive i
cristiani in un volumetto dal titolo attraente e promettente: L’Evàngelo della contestazione, uscito di recente da
« Paideia », editore a Brescia. Il libro lo
si legge con piacere per le numerose,
belle pagine che contiene, con profitto
per diversi spunti nuovi e originali che
introduce in una tematica assai dibattuta e controversa, ma anche con crescente disappunto per non trovarvi le
risposte alle domande che il titolo suscita o suggerisce e che comunque albergano nelTanimo dei cristiani di oggi. L’opera costituisce un utile richiamo a non cedere o indulgere a nessun
genere di conformismo, a non confondere la contestazione cristiana con nessuna forma di contestazione umana anche radicale, a non vendere la perla « di
gran prezzo » per acquistare le « belle
perle » che il mercato offre, facendo il
contrario di quel che fece il mercante
della parabola. Ma l'utilità del volumetto è tutta qui, in questa messa in
guardia. Chi, avendo a cuore TEvangelo
e vivendo nel nostro tempo cosi ricco
di fenomeni di contestazione. Si interroga circa i rapporti, positivi o negativi, esistenti tra TEvangelo della contestazione e la contestazione odierna
nelle sue molteplici espressioni, e cerca in questo volumetto una risposta ai
suoi interrogativi, non la troverà. Chi
vorrebbe sapere, insomma, che cosa
deve fare oggi un cristiano col suo
Evangelo della contestazione in mezzo
alle contestazioni del nostro tempo,
non riceve, ci sembra, indicazioni sufficientemente concrete. In questo senso l’opera, malgrado Tispirazione che
l’anima, è un po’ come un appuntamento mancato.
Le tesi fondamentali dell’Autore sono due.
La prima è che Gesù Cristo crocifisso e risorto è il fondamento unico e
permanente della contestazione cristiana, che è la più radicale di tutte le contestazioni. Gesù Cristo come secondo
Adamo, come uomo nuovo, contesta
l’uomo vecchio in tutto ciò che è e fa,
e introduce in questo mondo la potenza della risurrezione « che mette in crisi la staticità di tutte le sistemazioni
raggiunte, scoperchia le tombe delle
varie realizzazioni umane ». La contestazione cristiana, proprio perché fondata sulla risurrezione — l’unico fatto
veramente nuovo accaduto in questo
mondo, da quando fu creato — è inconfondibilmente diversa da qualunque altra contestazione, di qualunque genere
e ispirazione. La diversità è questa,
che mentre tutte le altre contestazioni
introducono modifiche soltanto parziali in quanto l'uomo non è messo in
questione in tutto il suo essere e il suo
fare perché non è messo davanti a Dio,
la contestazione cristiana produce un
cambiamento radicale, un vero capovolgimento della vita, una fine e un
nuovo principio, una morte e una nuova vita. La contestazione cristiana è incomparabilmente più radicale di qualunque altra perché manifesta non il
giudizio dell’uomo sull'uomo ma il giudizio di Dio sull’uomo. La contestazione
cristiana non esprime un giudizio storico mp. il giudizio finale. Essa non procede dall'uomo naturale, che è e resta
« vecchio » anche quando cambia il
mondo o la società in cui vive, ma da
Cristo, l’uomo nuovo, la cui novità non
è temporanea ma definitiva essendo
fondata sulla risurrezione, quindi su
una vita che non tramonta perché è già
oltre la linea della morte. Per questo la
contestazione cristiana non può essere
addomesticata o strumentalizzata da
nessuna ideologia umana, conservatrice o rivoluzionaria che sia. L’Evangelo
è irriducibile; non può essere accaparrato da nessuna causa terrena, né può
venire a patti, tanto meno a concordati, con le potenze che via via si affermano nel corso della storia. Fino alla
fine, TEvangelo contesta tutto e tutti.
La seconda tesi è che il cristiano cammina tra due mondi, quello presente e
quello futuro, e vive in una tensione costante tra Tadempimento e l’attesa, tra
il vecchio mondo già condannato e superato in Cristo ma ancora attivo sul
piano della storia, e il nuovo mondo già
apparso e attestato in Cristo ma non
ancora realizzato sul piano della storia.
Il cristiano deve vivere come se il mondo nuovo avesse già preso il posto di
quello vecchio, pur sapendo che il peccato, la corruzione e la morte sono ancora e più che mai attive e che la situazione finale — il Regno — non può
essere anticipata e trasferita nel presente ma può essere, nel presente, solo
accennata e testimoniata in maniera
approssimativa e frammentaria. La
scelta dei cristiani nel mondo non sarà
quindi né l’utopia né la conservazione:
non l’utopia, perché sorvola sulla perdurante presenza e azione del mondo
vecchio; non la conservazione, perché
ignora o sottovaluta la realtà incombente del mondo nuovo. I cristiani si terranno lontani dai « messianismi utopistici, che hanno creduto di poter realizzare sul piano storico il mito di una società giusta », non coltiveranno l’illusione di un perfezionamento istituzionale dell’uomo e sapranno che « l'uomo
liberato non è l'uomo nuovo, ma una
variante del vecchio ». D’altra parte essi non permetteranno che il loro realismo si muti in scetticismo e che lo scetticismo faccia perire la speranza; essi
non si considereranno esonerati dal
compito di dare dei segni del mondo
nuovo di Dio che avanza in questo mondo vecchio che passa; essi ripudieranno la tendenza a un inerte conservatorismo così marcata negli ambienti ecclesiastici che spesso e volentieri intendono il messaggio cristiano « come una
tranquillante copertura, come un oppio
conservatore della situazione, tesa ad
addormentare e bloccare tutte le tendenze alla protesta e al cambiamento ».
I cristiani, stranieri e pellegrini in questo mondo, con una paradossale doppia
cittadinanza, terrena e celeste, sono
chiamati a essere in questo mondo con
tutta la loro vita testimoni del Regno,
« i rappresentanti della umanità nuova
in mezzo alla umanità vecchia ».
Nulla si può obiettare a queste tesi,
senza dubbio conformi alla testimonianza del Nuovo Testamento. Eppure
si può restare interdetti. L’impostazione del discorso sembra corretta ma la
conclusione suona evasiva. Come mai?
Dove sta il difetto? A noi pare di poterlo ravvisare nell’eccessiva genericità
dell’assunto, nella sua mancanza di concretezza e quindi di incisività. Eccone
qualche esempio.
L’Autore sostiene, con piena ragione,
che TEvangelo contesta tutti, senza eccezioni: conservatori, riformisti, rivoluzionari, destra, centro e sinistra, tutti i piani, i progetti, le imprese dell’uomo. La contestazione cristiana è la
vera contestazione globale che mette
radicalmente in questione tutto e tutti:
« tutto ciò che esiste e la sua maniera
di esistere risulta incrinato... tutto è
scosso, tutto ha perso di solidità, tutto
è entrato in crisi, più niente ha ancora
fondamenta sicure né inevitabilità indiscutibili ». D’accordo. Ma cosa nasce
da questo terremoto? L’Evangelo contesta tutti, è vero. Ma non contesta tutti allo stesso modo, non contesta a tutti le stesse cose. Tutti hanno peccato e
peccano, ma non commettono tutti gli
stessi peccati. Tanto per fare un esempio, il peccato del rivoluzionario non è
lo stesso del peccato del conservatore.
Che TEvangelo contesti tutti, è pacifico.
Ma dicendo questo, non si dice molto.
Si dice di più indicando quali peccati
TEvangelo contesta e a chi. Qui il discorso deve diventare concreto perché
se resta generico diventa controproducente; una contestazione globale ma generica finisce per essere sterile in quanto ciascuno vedrà nella contestazione
degli altri un buon motivo per rimanere com’è.
Un altro punto in cui il discorso resta troppo generico è quello del rapporto tra la contestazione cristiana e le
altre. L’Autore dichiara, anche qui con
piena ragione, che TEvangelo è la contestazione più radicale. Ma che ne è
delle altre contestazioni, con cui pure,
direttamente o indirettamente, abbiam
tutti a che fare? Sono contestazioni meno radicali, d’accordo. Ma, nei loro limiti, sono valide oppure no? L’Evangelo, per il fatto di essere più radicale di
tutte le altre contestazioni, le annulla
prendendo il loro posto nella vita dei
credenti oppure lascia loro un ruolo,
secondario ma reale? I cristiani devono
tener conto delle altre contestazioni,
pur subordinandole a quella delTEvangelo , oppure devono attenersi solo a
quest’ultima ignorando le altre? Le altre contestazioni possono svolgere una
funzione positiva, anche se relativa, in
rapporto a quella delTEvangelo? Oppure la contrastano e cercano di toglierle
spazio? Le varie contestazioni odierne
contengono elementi evangelici oppure
no? Sarebbe stato bene parlare delTEvangelo della contestazione tenendo
presenti queste domande. La contestazione cristiana si precisa nella sua portata e nei suoi contenuti anche proprio
nel confronto critico con le altre contestazioni. Altrimenti si resta nel vago, pur essendo nel vero.
Un terzo esempio di eccessiva genericità di discorso si ha quando l’Autore
afferma ripetutamente, e di nuovo con
piena ragione, che di fronte alla novità
delTEvangelo anche la novità di una
rivoluzione è « vecchia », come lo è la
conservazione. Questo è giusto e può
essere utile ripeterlo nel nostro tempo,
anche se almeno da noi il pericolo di
confondere TEvangelo con la rivoluzione sembra scongiurato: ancora recentemente Giorgio Bouchard ha ricordato
che nei gruppi giovanili evangelici politicamente impegnati a sinistra la cosiddetta teologia della rivoluzione non
gode molto credito e per quanto concerne i rapporti tra fede cristiana e
posizione marxista « non è probabile
che il chiarimento di questi rapporti
sbocchi in un tentativo di sintesi » (Gioventù Evangelica », n. 8). Comunque
può non essere superfluo ribadire l’infinita differenza qualitativa tra la novità
delTEvangelo e la « novità » della rivoluzione. Ma detto questo, siamo al punto di prima riguardo al problema ■— dibattuto in molte coscienze cristiane —
se la rivoluzione va fatta o no. Limitarsi a dire che essa è una impresa « vecchia » perché mondana, come lo è la
reazione, avrebbe un peso se la si stesse facendo; dire però questo mentre
non la si sta facendo suona inevitabilmente come un invito a non farla. Non
sembra sia questo che l’Autore vuole,
ma è questo che ottiene. La genericità
del discorso produce equidistanza,
l’equidistanza produce neutralità, la
neutralità produce immobilismo.
Un ultimo esempio di discorso troppo generico è costituito dalla proposta
conclusiva fatta alla Chiesa di imboccare la via del deserto. Nel corso dell’opera l’Autore insiste soprattutto sulla funzione critica delTEvangelo nei
confronti di tutte le soluzioni, realizzazioni, sistemazi(,*ni umane. L’Autore sa
però che TEvangelo esplica anche una
funzione creativa, anzi in tanto è Evangelo — buona notizia — in quanto crea
cose nuove sostitutive delle vecchie. Né
utopia né consei vaidone possono valere
come posizioni ev: ngeliche. Ma allora
qual è, positivame ite, la via cristiana
nel nostro tempo pel nostro mondo?
L’Autore, richiamandosi a un documento votato dal Sinodo valdese del 1967,
indica « la via del deserto ». L’indicazione in sé è ineccepibile. Ma mentre
per Israele il deserto fu tra l’altro qualcosa di molto concreto, per noi non
può essere altro che un simbolo. Ma
simbolo di che cosa? Per essere fecondo questo simbolo va spiegato, illustrato, esemplificato. Altrimenti, anziché diventare realtà, diventa miraggio. E tutto rischia di restare come prima.
Il CEC denuncia le ripetute violazioni dei diritti dell’uomo
nella guerra d’Indocina
L’invasione del Laos
Il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha denunciato ancora una volta
la flagrante violazione dei diritti dell’uomo dimostrata dall’estensione della guerra in Indocina. In una lettera indirizzata ai governi dei
paesi direttamente o indirettamente coinvolti nella guerra, e ai paesi
scandinavi, tradizionalmente neutrali, la Commissione delle Chiese per
affari internazionali, organo del C.E.C., afferma la necessità di un
deciso sforzo per mettere termine al conflitto e « a questa sfrenata
distruzione della vita e della dignità umane ». Pubblichiamo il testo
di questa lettera.
Davanti alla tragica notizia dell’invasione del Laos da parte delle truppe
sud-vietnamite con l’appoggio delle forze americane, ci vediamo costretti, una
volta ancora, ad attirare l'attenzione
delle Chiese, dei governi in causa e dell’opinione pubblica mondiale sulla violazione e l’estensione della guerra in Indocina. Non possiamo permetterci di
restare insensibili a questo conflitto apparentemente interminabile e a questa
sfrenata distruzione della vita e della
dignità umane.
Fin dal 1954, il Consiglio Ecumenico
delle Chiese, in una serie di dichiarazio
iiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiii
Vivaio di delinquenti
Lo scandalo degli orfanotrofi si allarga sempre più. Tutti noi ne abbiamo
letto con orrore sui giornali. Ci limitiamo qui a ricordare alcune dichiarazioni rese dal procuratore Mario Romano,
soprannominato il « pretore dei bambini », il quale è. deciso a fare giustizia
malgrado tutti gli ostacoli e le omertà
che si frappongono alla sua missione.
« I carceri minorili, per quanto poveri e disorganizzati, sono trenta volte
meglio di certi orfanotrofi: se avessero
commesso dei reati, questi ragazzi vivrebbero ,neguu. Ma sono innocenti e
quindi vivono da subumani, abbandonati da tutti, non difesi da nessuno:
già votati, a otto, dieci, dodici anni, al
destino spietato dei banditi dalla società. A spese dello Stato si coltivano
vivai di delinquenza e di corruzione:
gli occhi di certi ragazzi sono già quelli
feroci di chi aspetta soltanto l’occasione di una vendetta. L’irresponsabilità
di chi ha il compito di proteggerli è
scandalosa; il cinismo e il tristo affarismo di coloro che dovrebbero allevarli ed educarli è infame ».
Paolo Ricca
..............................................................................
Il Comitato Googiunto cattolico romaoo e luterano
è pervenuto a un nunvn, pio ampin accnrdn
San Anton, Malta (Iwf) — Un Comitato congiunto di teologi luterani e
cattolico-romani, costituito a livello
dei due corpi confessionali mondiali,
ha concluso una serie di sessioni iniziate nel 1967, con un consenso generale sul fatto che si è raggiunta una
comprensione nuova in molti settori
che per vari secoli hanno costituito
una fonte di divisione.
Questo quinto incontro del Comitato — costituito congiuntamente dalla
Federazione Luterana Mondiale e dal
Segretariato Vaticano per l’Unità Cristiana — aveva all’ordine del giorno
dei propri lavori la stesura di una dichiarazione conclusiva che condensasse i risultati delle riunioni precedenti.
Tale dichiarazione, che dovrà essere
riveduta nei prossimi mesi, sarà sottoposta alle rispettive autorità ecclesiastiche quale documento conclusivo
del Comitato. Tuttavia è fin d’ora in
programma una prosecuzione del dialogo cattolico-luterano.
In una breve dichiarazione alla stampa, nella sessione conclusiva, il gruppo congiunto ha notato che si era
espresso « un notevole grado di consenso riguardo la concezione del ministero nella Chiesa ». È stato pure dichiarato che vi era « accordo generale
sul fatto che la secolare controversia
sulla giustificazione non costituisce
più una ragione di divisione fra le nostre Chiese... ».
Riguardo alla relazione fra il messaggio cristiano e il mondo, il Comitato ha affermato di « aver scoperto
che i Luterani e i Cattolici-romani si
trovano di fronte problemi simili, che
è necesario affrontare in collaborazione ».
Si è pure notato un progresso « verso una visione comune del ruolo del
papato », pur dichiarando, tuttavia, che
« in questo campo persistono le divergenze ». « È stata pure presa in considerazione la problematica dell'intercomunione fra Luterani e Cattolici-romani, e stanno per essere rivolte alle au
torità ecclesiastiche delle raccomandazioni in proposito ».
Gli incontri precedenti del Comitato
congiunto si sono tenuti a Zurigo nel
novembre 1967, su problemi biblici
concernenti il rapporto fra « Evangelo
e Chiesa »; a Bastad (Svezia) nel settembre 1968, esaminando « Mondo e
Chiesa sotto TEvangelo ; a Nemi (Italia) nel maggio 1969, sul tema « Le
strutture della Chiesa »; a Cartigny,
presso Ginevra, nel febbraio 1970, sul
tema « Evangelo e legislazione ecclesiastica ».
La stesura della dichiarazione riassuntiva è stata compiuta in un incontro preparatorio, tenutosi lo scorso ottobre ad Amburgo, da sei membri del
gruppo congiunto; il documento era
poi circolato fra tutti gli altri membri
del Comitato.
Nell’annuncio alla stampa il Comitato ha detto che la dichiarazione
« .sintetizza i risultati e le tendenze
emersi negli meontri precedenti, e su
di essi riflette. Partendo dal problema
generale 'Evangelo e Chiesa’, essa tratta in primo luogo della Chiesa quale
serva dell’Evangelo e passa quindi alla relazione fra la tradizione della
Chiesa e le Scritture ».
La delegazione luterana era così costituita: proff. George Lindbcck (Yale
Divinity School), Wenzel Lohff (Univ.
di Amburgo), Binar Molland (Univ. di
Oslo), Per Eric Persson (Univ. di
Lund), Krister Stendahl (Harvard Divinity School); consulente il prof.
Georg Strecker (Univ. di Gottinga);
giunta: past. André Appel, segretario
generale della FLM, past. Harding
Meyer, segretario della FLM per le
questioni ecumeniche e prof. Vilmos
Vajta, decano dell’Istituto di ricerca
ecumenica di Strasburgo.
I membri cattolici erano: i proff.
J. A. Fitmyer (Chicago), Walter Kasper
(Univ. di Tubinga), Anton Vogtle (Univ.
di Friburgo/B.), Johannes Witte (Univ.
Gregoriana di Roma), vescovo H. L.
ni, di appelli e di proteste indirizzati a
tutte le parti in causa, non ha cessato
di esprimere la propria preoccupazione
per Tistaurazione della pace nel VietNam. Una pace giusta non potrà nascere dalla ricerca di nuovi successi
militari. Perciò l’estensione della guerra in Indocina non può essere giustificata.
L’invasione sud-vietnamita del Laos,
con l’appoggio delle forze aeree e dell’artiglieria americane, porta con sé la
umana vuol sopravvivere, deve mettere
della distruzione del sistema di giustizia internazionale sul quale è fondata
la nostra speranza di pace.
Alcuni mesi fa, nel maggio 1970,
U Thant ha dichiarato: « Se la razza
umana suol sopravvivere, deve mettere
l’interesse umano al di sopra dell’interesse nazionale. In tutto il corso della
storia, i governi nazionali hanno svolto il ruolo di giudici supremi in tutte
le questioni in cui erano implicati fuori
delle loro frontiere. Questa situazione
non è più possibile né ammissibile.
« Qggi la sovranità umana deve prevalere sulla sovranità nazionale. La
vulnerabilità pressoché totale di tutti
i popoli nell’eventualità di un attacco
improvviso e schiacciante, il fatto che
le ripercussioni di un olocausto nucleare si estenderebbero molto al di là della nazione direttamente toccata, la crescente tendenza che hanno le grandi
nazioni, a considerare regioni situate
lontano dalle loro frontiere come essenziali alla loro sicurezza, tutti questi
fattori sono elementi di una situazione
nuova nella quale il mondo è diventato
una sola unità, priva di un sistema
efficace per stabilire una pace duratura ».
Secondo i termini del mandato che
essa ha ricevuto dal Comitato Centrale
del Consiglio Ecumenico delle Chiese in
occasione della riunione di questo ad
Addis-Abeba dal 10 al 21 gennaio 1971,
la Commissione delle Chiese per ali
affari internazionali deve attirare l’attenzione delle Chiese membro del Consiglio Ecumenico delle Chiese sulla minaccia che pesa attualmente sugli strumenti internazionali di pace, perché
esse « incoraggino i loro governi — o
sostengano interamente la loro azione
— a creare dei sistemi giuridici efficaci al livello internazionale e regionale
al fine di rimediare alle lacune che possono presentare i sistemi giuridici nazionali nella protezione efficace dei diritti dell’uomo ».
Infine, siamo moralmente obbligati
a fare appello ai governi dei paesi impegnati direttamente nel conflitto e di
quelli che hanno preso parte all’elaborazione delle convenzioni internazionali
sull' Indocina, perché prendano delle
misure adatte ad applicare questi accordi per ristabilire la pace in questa
sventurata regione e per preparare la
via a una protezione veramente efficace
dei dirifti universali delTuomo.
Commissione delle Chiese
per gli affari internazionali
Qlle Dahlén (M.P.)
presidente
Dr. Leopold J. Niilus
direttore
La lettera è stata indirizzata ai governi dei
seguenti paesi: Vietnam del Nord, Vietnam
del Sud, Governo provvisorio rivoluzionario
del Vietnam, Cambogia, U.S.A., Laos. U.R.S.S.,
Repubbica popolare cinese, Thailandia, Francia, Gran Bretagna, Polonia, Canada, Birmania, India, Danimarca, Svezia, Norveglia. Finlandia.
llimillllllllllllllllllllllllllllllMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
Martensen di Copenhagen; giunta:
card. Jan Willebrands, presidente del
Segretariato Vaticano per l’Unità Cristiana, e il dott. August Hasler, membro del Segretariato con particolari
responsabilità circa le relazioni con i
Luterani.
Partecipava all’incontro, quale osservatore, anche il prof. Rudolf Ehrlich,
del New College di Edinburgh.
N.d.r.: È difficile, dalla genericità di questi
accenni, farsi un’idea esatta del contenuto e
delia portata della dichiarazione in questione
e del consenso che afferma; non possiamo
però tacere perplessità assai vive : tutto questo consenso noi proprio non lo vediamo.
2
pag. ¿
N. 11
12 marzo 1971
Cattolici e laici contro il Concordato Storia valdese "ecuoieniea"?
Il titolo non è nostro, ma di un volume di 240 pagine (ediz. Dall’Oglio L, 1.500) a cura di Luigi Rodelli. Sono
quattro saggi di studiosi « cattolici » (o
che tali si deftniscono) e cinque di
« laici ».
Nella prima parte riservata ai « cattolici », Albino Michelin esamina le
« ragioni pastorali » che militano in
favore deH’abrogazione del Concordato; abrogazione che è il tema centrale
sul quale concordano questi « cattolici » e laici. Giuliano Colliva e Giacomo Antonellis esaminano in un saggio i rapporti tra « Chiesa Cattolica e
militarismo »; Filippo Gentiloni e Marcello Vigli; « Il Vangelo si testimonia,
non s'insegna », trattano il problema
dell’insegnamento religioso nella Scuola statale. Pietro Ichino analizza i rapporti tra « Chiesa e società civile ».
Di questa prima parte, « cattolica »,
del volume si deve sottolineare la coraggiosa presa di posizione, l'onestà
deirimpostazione dei problemi, del Michelin, per esempio, un « prete cattolico..., che tiene a parlare dal di dentro del sistema, e non a contestare globalmente dal di fuori ». Un prete che
prende sul serio la teologia pastorale.
mente risposto all’appello della fede? »
Mentre i saggi finora segnalati affrontano aspetti che potremmo definire tecnici, sia pure avendo sempre
presente il problema di fondo, Piero
Ichino presenta la nuova « contestazione ecclesiale », la punta più radicale e
coerente della contestazione cattolica;
« conduce la battaglia per la statalizzazione dell’Università Cattolica [a Milano]..., per l’abolizione della scuola
privata confessionale », e rifiuta « la
creazione di strutture civili (ospedali,
asili, enti di pubblica assistenza, centri culturali, ecc.), munite del titolo di
"cattoliche” e contrapposte alle analoghe strutture profane ».
E così ridiventa viva ed attuale la
tentazione che Gesù ha respinto con
sdegno, e alla quale la Chiesa è soggiaciuta: « la Chiesa si fa Stato »; l'antitesi tragica; « Chiesa - Popolo di
Dio » « Chiesa - Stato »: il Concordato
è con la Chiesa-Stato, e non con la
Chiesa-Popolo di Dio. La conclusione è
radicale: « Per un cristiano oggi la lotta per l’abolizione del Concordato deve
implicare anche la lotta contro qualsiasi “prassi concordataria", di destra
o di sinistra che sia ».
« Religione non è raccomodarsi col
Papa per l’averne o sperarne licenza
o assistenza alle sbirrerie o alle ladrerie, non è il battezzare le navi da guerra coti l’asperges, non è il berciare dal
balcone "la santità della famiglia" per
poi sparapanzarsi adultero ai tardi indugi di un sonnolento tramonto... ».
Queste ed altre parole di C. E. Gadda
poste a premessa della premessa, questo tono letterario di Eros e Priapo
che ricorda quello plebeo delle didascalie di L’Asino, lasciano perplessi. Il
combattimento contro il Concordato
non può esser condotto con le armi
dcìVArsenale antipapale.
Un combattimento che non si presenta facile, perché lo stesso fronte laico è diviso. La posizione di Mauro
Mellini non ci sembra conciliarsi facilmente con quella di Lamberto Borghi che, dopo aver acutamente analizzati i presupposti filosofici della riforma Gentile che ci ha dato l’educazione religiosa e l’istruzione confessionane nella scuola di stato, auspica per
questa scuola un insegnamento religioso senza «carattere confessionale».
Sembra quasi di poter cogliere una
eco dell’elogio erasmiano di quella rc
Un libro coraggioso e onesto, che presenta i più vivi Fermenti cattolici e non
nasconde le divergenze presenti paté all’interno dello schieramento «laico»
la quale non è « una tecnica nel battezzare i bambini, confessare i peccatori,
seppellire i morti: una specie di tattica insomma per aggregare l’individuo
al corpo cattolico... La teologia pastorale è la traduzione della parola di
Cristo sul nostro piano esistenziale di
oggi. E sottolineo che "traduzione della" non va intesa secondo un concetto
intellettuale ma come testimonianza
di vita... Soggetto dell’azione pastorale
è tutto il popolo di Dio. L’oggetto dell’azione pastorale è la parola di Dio;
e questo è l’aspetto fondamentale ».
Tutti i concordati sono da respingere; in particolar modo il Concordato
che blocca soggetto ed oggetto: « Con
il Concordato la Chiesa si è costruita
una bella casa (struttura di privilegi)
in cui l’inquilino vero (la parola di
Dio) ha potuto troppo poco e troppo
male abitare ». Un’analisi coraggiosa
di questa « struttura di privilegi », condotta sugli articoli del Concordato,
porta alla logica conclusione che « se
è vero che la Chiesa angelista è un
controsenso (come ogni organismo
umano essa ha bisogno di strutture
portanti, per quanto semplici) non è
meno vero che il Concordato è per la
Chiesa una struttura antitetica e bloccante — quindi da abolire ».
Come si « traduce » questa parola di
Dio? Non certo con gli articoli 13, 14,
15 del Concordato « che trattano del
servizio di assistenza spirituale presso
le forze armate dello Stato »; non certo coll’istituto dei cappellani militari,
colossare imbroglio al quale Giuliano
Collii A e Giacomo De Antonellis consacrano pagine severe. « In quanto cattolici e professanti » denunziano con
amarezza e dolore una sentenza della
Cassazione, la quale ha affermato che
« il cittadino-soldato deve ricevere, assieme agli strumenti bellici che l’organizzazione militare gli fornisce, un “potere propiziatorio” che il magistero
della Chiesa ha facoltà di indirizzare
a determinate situazioni umane e terrene ». Sempre « in quanto cattolici e
professanti » prendono inequivocabilmente posizione in favore dell’obiezione di coscienza, convinti « che il Concordato, oggi — nella disciplina dei
rapporti con l’apparato militare come
altrove — itoti corrisponda allo spirito
dei nostri tempi ».
L’insegnamento della religione nelle
scuole italiane è oggetto di indagine
da pai te di Filippo Gentii.oni e Marcello Vigli. L’argomento è già stato
ampiamente dibattuto anche su queste colonne. Osserviamo soltanto che
spesso da parte valdese non si è avuto
quel coraggio di denunziare le deficienze nel nostro campo che i due « cattolici » dimostrano nella loro analisi.
Partendo da « quella strana convinzione — tipica del mondo cattolico italiano — per cui il sacerdote con la preparazione che ha avuto è pronto a “fare tutto” influiva nell’assegnare l’insegnamento a qualsiasi sacerdote e a
portare in primo piano motivi di scelta che sarebbero dovuti restare secondari », i Nostri traggono le conseguenze.
L’annuncio della parola di Dio, del
quale si « può parlare quasi (...) come
di un sacramento » può diventare « oggetto di insegnamento scolastico »? Il
rapporto « testimone - insegnante » sarebbe degno di un ulteriore approfondimento. « Chi oserà dire che la classe
a cui si rivolge la lezione di religione
sia una comunità di fede, una “ecclesia” che ha liberamente e dinamica
Novi tà
VITTORIO SUBILIA
L’Evangelo
della contestazione
pp. 94, L. 600
Ediz. Paideia - Brescia 1971
Nella seconda parte de! volume prendono la parola i « laici ». Leopoldo PrcCARDI: Revisione o abrogazione: un falso dilemma. Mauro Mellini: I meccanismi del potere. Lamberto Borghi:
Educazione religiosa e istruzione confessionale. Mario Berutti: Matrimonio
civile e pubblici peccatori. Luigi Rodelli: Le strutture clericali.
Le tesi « laiche » sugli argomenti tecnici: scuola confessionale, educazione
religiosa, matrimonio civile e religioso, strutture clericali (Ospedali, assistenza sociale) sono ben note ai lettori del nostro giornale; non ci soffermeremo quindi su di esse, se non per
segnalarne il rigore logico dell’indagine, la chiarezza dell’esposizione, e l’attualità di un dibattito che, proprio oggi, l’inchiesta della magistratura nel
campo assistenziale (Onmi - scandali
degli Asili-Nido e dell’infanzia abbandonata ecc.) rende più doloroso ed improrogabile.
Ma anche qui il problema di fondo
è quello indubbiamente più interessante.
Mentre per i « cattolici » che si muovevano sul piano della fedeltà all’anl'annunzio della Parola, la conclusione
era univoca: abrogazione del Concordato, per i « laici » la risposta non è
così concorde. La posizione è prevaletemente giuridica e politica; non si
parla più di « fedeltà alla Parola », ma
di « religione » e « religiosità ».
Così il PicCARDi ribadisce la necessità di abrogare il Concordato, perché
sottoporlo a « revisione significa, per
l’Italia democratica, sottoscriverlo una
seconda volta, dopo avervi apposto
una prima volta, con l’art. 7, la propria
firma ». Ma, una « abrogazione del regime concordatario » non gfi sembra
di facile attuazione, sia che si pensi ad
una denunzia unilaterale da parte dell’Italia, sia che si ipotizzi un accordo
tra Santa Sede e Italia. Rimane, secondo il Piccardi, un’altra via, più facile: « Maggiore intransigenza e fermezza nel far prevalere la nostra Costituzione sulle norme concordatarie »;
si verrebbe così « con una certa gradualità attuando una vera e propria
abrogazione del Concordato » perché
in questo modo' crollerebbero i « pochi
pilastri » su cui poggia il regime concordatario e che sono in contrasto con
la Costituzione. Esempio classico: la
introduzione del divorzio. Questa impostazione tattica di alcuni laici spiega la violenza della reazione del Papa,
quando, a proposito del divorzio, ha
parlato di «vulnus» (ferita) al Concordato. Non si deve dimenticare che
la stessa Corte Costituzionale « ha ritenuto non costituzionalmente illegittime le disposizioni che concedono alla religione cattolica una speciale tutela » pur evitando « di trarre dall’art. I
del Trattato del Laterano la conseguenza, che pure inevitabilmente ne
deriverebbe, di considerare lo Stato
italiano uno stato confessionale ».
La stessa posizione sostanzialmente
pessimistiea ritroviamo nel saggio di
Mauro Mellini. La sua analisi del « così detto giuridismo » che « è appunto
una concezione che fa della norma giuridica e della potestà normativa e giurisdizionale un momento essenziale
della vita della Chiesa » lo porta ad
una conclusione seriamente motivata,
ma che non può non destare qualche
perplessità. « ...Ora che gli equivoci e
la sterilità del “dialogo” tra la sinistra
e il partito cattolico tradizionale, cioè
clericale, non possono più esser dissimulati, bisogna riconoscere che Túnico
incontro possibile tra i cittadini di sinistra, cattolici o laici, è proprio nelV anticlericali sino ».
Siamo perplessi sulla opportunità e
sul significalo di un appello ai « cattolici più aperti», alle « minoranze estranee alla gestione clericale del potere »
prospettando un incontro sul terreno
dell’anticlericalismo.
Siamo disposti a riconoscere che indubbiamente esso non si deve intendere in senso puramente negativo c deteriore, ma pensiamo che sia facile
scivolare sul terreno sdrucciolevole di
un volgare e gros.solano anticlericalismo non meno tradizionale del clericalismo.
ligione naturale, che eliminando « Tiiisegnamento religioso in forma confessionale dalla scuola pubblica » la preserverebbe dal pericolo di « assumere
la caratteristica della scuola neutra».
Tutti sono d’accordo nel definire anticostituzionale l’insegnamento religioso eonfessionale così come viene oggi
impartito nella scuola statale; ma come alla « ricca eredità di principi che
sono stati elaborati col contributo di
religioni, culture e civiltà diverse, antiche e moderne, orientali e occidentali » possa fare « appello l’insegnamento per assuiii re un carattere religioso », non riusciamo a comprendere.
Siamo sempre nell’equivoco laico di
« religiosità », di religione » che deve
essere confrontato con la fedeltà al
messaggio della Parola.
Del matriinonio civile e religioso
tratta eon la ben nota competenza Mario Berutti, mentre Luigi Rodelli dedica pagine severe ed amare, ma non
troppo severe ne troppo amare proprio
oggi, alle strutture clericali (vedi per
es. quanto viene alla luce nel campo
dell’Omni).
Un libro onesto, che chiarisce le perplessità ed i contrasti che possono sorgere, ed in parte già sono sorti, anche
in campo laico in merito alla eventualità di lanciare una campagna nazionale per l’abroga'zione del Concordato.
Significativa la pre a di posizione di
Loris Fortuna, il cani lione della battaglia per il divorzio: ...« Intendiamoci:
siamo per una netti separazione tra
Stato e Chiesa, siami- per una società
non imbrigliata dall: pastoie concordatarie »... Ma « non '• utile scatenarci
anzitempo. Per que o motivo siamo
perplessi di fronte a -niz.iative intempestive, da parte laica, che possono provocare l’unità del nv'ndo cattolico nell’arcaica lotta clericale... Un’azione
prudente e graduale... La fuga in avanti può trasformarsi in una battuta d’arresto assolutamente gratuita ». (A. B.
C. 26 febbraio 1971 .
L. A. Vaimal.
Leggiamo sulla ’Rivista Diocesana
Pinerolese, Ufficiale per gli Atti Vescovili’, del novembre 1970, un interessante documento del ’Direttorio ecumenico della Diocesi di Pinerolo’ che tratta
diversi argomenti centrati sul problema dell’ecumenismo in relazione alla
particolare situazione del Pinerolese.
L’ultimo punto è dedicato ai ’Fratelli
Valdesi’, e vi si legge: « Un particolare pensiero desideriamo qui rivolgere
ai fratelli valdesi, i quali per ragioni
storiche e per numero rappresentano
il più importante nucleo di fratelli separati che vivono con noi. Superato il
periodo delle lotte e dopo aver chiesto
perdono per quanto di ingiusto i nostri padri hanno fatto nei loro confronti, ci sentiamo di essere vicino a
loro con spirito nuovo.
« Noi riconosciamo nei Valdesi dei
fratelli in Cristo... e chiediamo loro
per il futuro che ci sta davanti di attuare assieme dei momenti pratici di
unione. Ad esempio, vorremmo un impegno comune di studiosi di entrambe le confessioni nella ricerca storica
del passato di queste valli, perché il
riflettere agli errori del passato ci aiuti a costruire nella pace e nella giustizia un avvenire migliore; e a tal fine
dichiariamo di mettere volentieri a disposizione degli storici valdesi i documenti conservati negli archivi cattolici. Superando il metodo di parte di
scrivere la storia, proprio di storici
aderenti ad una singola confessione
nella prospettiva esclusiva della confessione medesima, vorremmo che cattolici e valdesi in unione di sforzi arrivas.sero a scrivere una storia, scientificamente valida, obbiettivamente fedele, ed ecumenicamente serena, del
succedersi nel tempo delle forme di vita cristiana in questa nostra terra ».
È con soddisfazione che si leggono
queste proposte, e ci dichiariamo de!
tutto disposti e disponibili, per quanto
ci concerne, a qtiesta collaborazione.
Siamo peraltro consapevoli che la
storia si presta facilmente ad interpretazioni e sottolineature che inevitabilmente mettono in risalto o nascondono certi aspetti della realtà; né
è sempre facile liberarsi da posizioni
preconcette o da deformazioni tendenziose. Ne sono prova le storie scritte
da cattolici o valdesi nei secoli scorsi,
allorché apologia, polemica ed agiografia si mescolavano tranquillamente con
l’assenza di qualsiasi criterio storiografico; sicché lo storico di oggi è obbligato a ripescare le vere fonti, a ricorrere a diligenti confronti, ad opere
di critica e di analisi per poter risalire il meglio possibile alla verità.
E ci duole dover dire che in questo
senso ha ben poco risentito la storia
che Don Bessone, parroco di Ferrerò,
ha voluto consacrare alla "Val Germanasca (Severino Bessone, Val San Martino. Storia. Panorama economico sociale. Guida turistica, Pinerolo, Alzani, 1970 o 1971, pp. 354): né ci possiamo pertanto esimere dal rilevarne alcuni aspetti, proprio in relazione a
quanto auspicato dal Diretiorio Ecumenico Diocesano, e che forse era
ignoto a Don Bessone al momento della stesura del suo libro.
Una buona metà di esso è dedicata
alle vicende della Valle, cd ovviamente la presenza dei Valdesi ne costituisce la spina dorsale, perché è attorno
ad essa che si sviluppa la grossa e la
piccola storia della Val S. Martino. Il
lettore noterà intanto che l’Autore si
è preoccupato più della piccola storia,
iimiiiiiiiiii'iiiniiBimiiiiiiiiDiiiiiiMiiiiiiiiMMiiiiimiiiiimiiiiiiiiiMiiiiiimiiiiniiiMimiiiiimiimmiiiniimimiiimini
Le sanguinose barzellette
dei teologi della Chiesa Valdese
E uscita di recente la traduzione italiana di un’opera di Ernst Bloch; Ateismo nel cristianesimo, (Feltrinelli ed.,
Milano 1971). Il traduttore — certo
Francesco Cappellotti — ha redatto anche una prefazione nella quale trova
modo di strapazzare i valdesi e la loro
chiesa. Dice: « Una versione umoristica
della teologia moltmanniana, che poteva apparire soltanto nella profonda
provincia italiana, è rappresentata da
alcuni tentativi messi in atto dai teologi della chiesa valdese: ad esempio nel
n. 5, aprile-giugno 1970 di "Gioventù
Evangelica” intitolato Thomas .Münzer:
teologo e rivoluzionario, si può leggere
la frase seguente, che ha il sapore di
una sanguinosa barzelletta: "Il problema — se è lecito concludere con una
battuta dell’autore di questo numero —
è di avere ’la testa di Lutero e il cuore
di Münzer”’... Sulla chiesa valdese, la
quale sta facendo goffe manovre per mistificare il pensiero rivoluzionario delrutopista Ernest Bloch tentando così
di integrare c superare con una sintesi
impossibile Lutero-Munzer la nuova sinistra, ritengo a tutt’oggi esaustivo il
giudizio di Frcdcrich Engels in La guerra dei contadini in Germania (Ed. Riuniti Roma 1949, pp. 49-50): "L’eresia patriarcale dei Valdesi, analogamente alla
insurrezione degli Svizzeri, possiamo
lasciarla da parte, perché per forma e
contenuto rappresenta un tentativo reazionario di opporsi al corso della storia ed ebbe solamente valore locale” »
(p. 16, n. 27).
Come si vede, il sig. Cappellotti ha
la mano generosa, c scaraventa giudizi sommari senza risparmio; ha un’unica attenuante; non sa di chi e di cosa
scrive; cd ha anche una scusante: si
affida all’autorità di un sacro testo di
Engels.
Non risulta che la Chiesa Valdese
stia facendo "goffe manovre per mistificare il pensiero rivoluzionario dell’utopista Ernst Bloch”, o almeno non
ce ne siamo accorti, e sarebbe davvero
penoso che si mettesse ora a raffazzonare il già abbastanza confuso pensiero del Bloch. Del resto, per un piano
di lavoro indicativo — che suggerisca
indicazioni "rivoluzionarie" nel valdismo — sono sullicienti le risultanze di
ricerche storiche recenti, mentre sul
terreno teologico abbiamo una messe
di indicazioni. Quanto al Moltmann, si
segnala al sig. Cappellotti La teologia
della speranza (Brescia 1970), nella traduzione di un teologo valdese che, forse perché della "profonda provincia italiana", ha anche il dono di tradurre in
uno splendido italiano. Nella sua foga
polemica — che vogliamo sperare molto giovanile — il sig. Cappellotti non
s’accorge di fare una risibile identificazione di alcune persone, valdesi e no,
con «i teologi della chiesa valdese », e
questo è uno scrivere di ciò che non si
sa, è fare davvero dell’umorismo;
quanto alla profonda provincia italiana,
lasciamola in pace: questa sua polemica è veramente provinciale, di uno che
intravvede una cultura divei sa e non
.sa che da einqtienit’anni è .seguita dai
patriarchi valdesi.
Quanto al giudizio del sacro Engels,
si lasci dire che non è attendibile. Se
avesse citato solo un rigo di più, avrebbe visto che Engels parla « della reazione dei pastori patriarcali alpini contro
l’avanzarsi del feudalesimo», e lei ci
insegna che il valdismo fu fenomeno
essenzialmente urbano e su scala europea, altro che isolamento! Il fatto è
che Engels non conosceva ciò di cui
parlava. Come il sig. Cappellotti.
e cioè dell’aneddotica e dell’episodio
staccato, per cui è talvolta difficile
orientarsi, e si perde di vista il problema di fondo, e cioè quello del confronto delle due religioni attraverso i secoli, in un contesto di intolleranza religiosa e di assolutismo politico ed ecclesiastico che condizionava ogni cosa.
La fonte a cui il Bessone ricorre per
molte pagine è la storia delle missioni
dei Cappuccini del Ferrerio, pubblicata a metà del ’600; ognuno peraltro sa
che essa è una narrazione faziosa, prevenuta ed agiografica, nella quale non
SI può pescare a larghe mani, ma solo
con molta cautela. Giustamente qualcuno potrebbe obbiettare che lo storico valdese Leger, più o meno contemporaneo, è altrettanto passionale, e
quindi da prendersi con le pinze: salvo a riconoscere però che la narrazione del Leger, nella sua parte più importante (e cioè le cosidette Pasque
Piemontesi), è stata successivamente
messa a confronto e sostanzialmente
convalidata da una ricca fonte di ineccepibili documenti d’archivio, quali la
corrispondenza dello stesso marchese
di Pianezza, principale personaggio di
quelle giornate; laddove il racconto del
Ferrerio rimane affidato in buona parte alla sua sola testimonianza.
Quando poi viene meno l’ausilio del
Ferrerio, il nostro autore si rifà alla
peggiore storiografia cattolica del passato, dal Botta al Crivelli, dal Rorengo al Caffaro; mentre l’imponente massa di documenti pubblicati in questi
ultimi anni, specie sul Bollettino della
Società di Studi Valdesi, viene adoperata con estrema parsimonia, e magari con i dovuti rilievi al fatto che i Vaidesi avevano assalito una missione, distrutto una chiesa, o simili.
Perché poi il sugo di tutta la storia,
come verrà intesa da qualsiasi sprovveduto lettore ,è proprio questa: che
i cattolici in Val Germanasca sono stati continuamente perseguitati dai cattivi valdesi, responsabili di continue
aggressioni, omicidi e rapine. A questo
punto qualcuno potrebbe chiederci di
documentare il contrario; ciò che faremmo ben volentieri se questo fosse
il luogo, e senza tener conto del fatto
che il libro di don Bessone si presta
a un simile lavoro quasi ad ogni pagina, a parte grossi errori di date e
persone. Quello che invece vorremmo
sottolineare è il tipo di linguaggio adoperato: a forza di stare a contatto con
gli scrittori della contrmiforma, l’Autore ne ha inavvertitamente assorbito
le caratteristiche; e così i.fii sono sfuggite espressioni che non v eo né punto
né poco ecumeniche, coinè non sono
adatte a un libro di sioria.
Non vediamo ,ad esempio, perché la
venuta dei Valdesi in Val Germanasca
debba essere definita « infausta » (pag.
54); forse perché essi erano responsabili di « sorda ribellione e violenta reazione » « insieme a somma ignoranza,
tanta semplicità» (p. 73)? Né basta:
perché scopriamo pure i « furori protestanti » (p. 82), «il furore e l’odio
dei valdesi » (p. 86), e naturalmente è
chiaro che i Valdesi sono sempre dei
« ribelli » giustamente puniti, degli
« insorti armati » contro cui bisogna
difendersi; mentre gli editti pacificatori dei Savoia consentono loro di « abbandonarsi al loro fanatismo, di soddisfare il loro desiderio di vendetta e
di rapina » p. 149), perché essi erano
«avidi di lotte e di rapine» (p. 141),
ed avevano un « carattere selvaggio »
(p. 149). Il tutto naturalmente confortato da citazioni bibliche, perché
« mentre i servi dormivano, il nemico
seminò la zizzania » (p. 69).
E se i Valdesi erano « zizzania », è
chiaro d’altra parte che le disposizioni del Concilio di Trento erano « provvide » (p. 71), che i missionari cattolici erano degli « intrepidi apostoli »
(p. 73), che contro le violenze valdesi
si opponeva « eroica resistenza », ecc.
ecc.; ed « è inutile dire che i valdesi
approfittarono della peste per cercare
di bandire il cattolicesimo dalla valle » (p. 86), e che quindi la «promettente aurora» (p. 75) fu gravemente
minacciata; e die l’atteggiamento dei
Duchi di Savoia era « paterno », anche
quando mandava alla galera intere popolazioni, e che la bontà dei frati era
« ineffabile », e via dicendo.
Non possono mancare in una visione del genere anche le amenità: come
quella della «bellissima ragazza di
ricca famiglia » valdese offei ta in sposa a un « giovane chierico di brillantissime doti »: manco a dire che egli
preferì « abbracciare il partito di sorella povertà » (pp. 81-82); o come quella deH’erctico « adultero che mandò
ripetutamente la sua concubina alla
casa della missione per gettare fango
sull’austera virtù» di fra Bartolomeo,
e naturalmente senza risultato!
Tali raccontini edificanti sono tratti
dal Ferrerio: ma lo storico dovrebbe
pure avvedersi che sono diventati part
di una storia solo perché passati attra
verso immaginazioni alterate o malate
La realtà dei fatti, come è noto,
da vedersi in modo ben diverso; s
tratta della vicenda di una minoranza
oppressa per molto tempo e concor
demente da stato e chiesa, in temp
in cui la religione era ragion di stalo
di gente in genere pacifica, ma capace
talvolta di reagire alle sopraffazioni
alle ingiustizie e all’infamia degli edit
ti limitatori della libertà di culto; e co
me tale anche responsabile di rappre
saghe contro Taima della minaccia,
della perfidia c del denaro. Se infatti
andiamo a fondo di tutta la storia valdese, si vedrà che tutta la colossale
Augusto Armand Hugon
(contiiiiia a 6)
3
12 marzo 1971 — N. 11
pag. 3
LA CHIESA E LA SUA MISSIONE NEL MONDO
II
Un’intervista di B. Ch. Sjollema, responsabile del CEC contro il razzismo
Mettere io questa il razzismo istituzionale
Prosegue, nelle Chiese, il dibattito sul programma di lotta contro il razzismo, lanciato dal
C.E.C. Di tale programma è particolarmente responsabile V olandese B. Ch. Sjolleme,
del quale pubblichiamo un’intervista rilasciata ultimamente a « La vie protestante »
Razzismo e droga nel Sud-Vietnam
II
Il parere di alcune personalità ecclesiastiche statunitensi dopo una visita in Indocina
Il Comitato centrale del Consiglio
ecumenico delle Chiese, a Addis
Abeba, ha dunque approvato le decisioni prese dal Comitato esecutivo,
a Arnoldshain presso Francoforte,
nei 1979, in merito al programma di
:, .. a contro il razzismo. Come inii i'preta tale decisione?
Devo in primo luogo sottolineare la
nostra sorpresa nel constatare che vi
era unanimità in merito a questo programma. Ora la prima fase è terminata e ne affrontiamo una seconda,
che dev’essere contraddistinta da una
azione concreta.
E chiaro che un comitato come quello riunitosi a Addis Abeba è costituito
da persone che sono in contatto, a livello internazionale, con molteplici forme di discriminazione razziale; a liveli<j locale questa presa di coscienza è
spesso impossibile. Essi si sono resi
conto che ora il CEC deve ascoltare
questi oppressi che sono al limite della loro pazienza e che hanno, per lo
più, dovuto ammettere che il loro atteggiamento nonviolento non aveva
portato ad alcun risultato ma che cozzavano contro un sistema razzista
sempre più oppressivo.
La creazione di questo fondo speciale di lotta contro il razzismo aveva, insomma, due scopi: 1) aiutare le organizzazioni degli oppressi, senza discriminazione religiosa, e 2) aiutare le organizzazioni (che possono anche essere bianche) le quali sostengono le vittime del razzismo. La grossa novità di
questo programma sta nel fatto che
prendiamo sul serio le organizzazioni
degli oppressi. Alcune Chiese hanno
reagito dicendo che non sono organizzazioni ecclesiastiche; ma dimenticano
che i leaders di questi movimenti sono
in maggioranza cristiani formati dalla
Missione, si pensi anzitutto a Mondlane, il leader del Frelimo (Fronte di liberazione del Mozambico). Nel suo caso, come in altri, l’Evangelo ha dato
a questi uomini al tempo stesso una
coscienza chiara della loro situazione
c la forza di mettersi a disposizione
dei loro fratelli oppressi.
Alcune delle organizzazioni di cui parla hannno rinunciato alla nonviolenza. È un problema aperto.
Indubbiamente. Dirò per cominciare
che il problema della violenza non può
essere risolto unicamente nel contesto
della lotta contro il razzismo. Perciò
il Comitato centrale del CEC ha chiesto che sia intrapreso uno studio sui
metodi violenti e nonviolenti di trasformazione sociale.
In questa discussione si sono viste
cose strane: cristiani che non avevano mai messo in questione la violenza
nella loro nazione e che ora levano la
voce come se tutte le Chiese si fossero sempre pronunciate contro qualsiasi violenza.
Bisogna riconoscerlo: non c’è, nel
CEC, nessun consenso, nessun accordo generale su tale problema. Persino
le Chiese tradizionalmente nonviolente — 1 mennoniti, i quaccheri — non
respingono ogni forma di violenza:
ammettono la polizia e pagano la loro
tassa militare.
Al Umite, la sola obiezione cbe accettereste sarebbe quella dei pacifisti?
Si può ammettere o no la loro posizione, ma almeno essi sono coerenti.
Si, pei- quanto i movimenti pacifisti
abbi,ino dato il loro appoggio al noair-.j -..iaivia; esso solleva invece
probi 'iìii presso coloro per i quali non
'•'•inbra costituire un problema la vio'onza istituzionalizzata, e la cosa è singolare.
E chiaro che il CEC, con questo non
ha preso posizione in favore della violenza. Esso continua a dire che occorre superare i conflitti con la discussio
ne, con il confronto intorno a un tavolo di negoziati. Ma non si può parlare di riconciliazione se non c’è giustizia. Orbene c’è una carenza di potere, da parte degli oppressi; perciò —
c una delle dichiarazioni di Addis Abeba lo dice espressamente — « la lotta
contro il razzismo deve portare a un.a
ridistribuzione del potere sociale, economico, politico e culturale fra i dedentori del potere e coloro che non
hanno potere ».
Tocchiamo così il problema dello
sviluppo. Una delle ragioni principali
per cui una politica di sviluppo solidale non riesce a elaborarsi realmente
fra le nazioni industrializzate e il Terzo Mondo, deriva dal fatto che molti
Europei credono ancora fermamente
alla superiorità della razza bianca in
tutti i campi, il che, secondo loro, conferisce loro il diritto di sfruttare gli
uomini di altro co'ore, in particolare
quelli di razza africana.
Vi è una cattiva distribuzione del potere anche in paesi e sotto regimi
cbe non sono stati messi in discussione dal programma contro il razzismo: e questo è stato rimproverato al C.E.C. Si pensa, ad esempio,
alla situazione dei paesi dell’Est europeo.
Molti dimenticano che il CEC ha prc
so netta posizione al momento dell’invasione della Cecoslovacchia da parte
delle truppe del Patto di Varsavia e,
più recentemente, in occasione del
processo di Leningrado, espressione di
una nuova ondata di antisemitismo. E
tuttavia innegabile che vi sono, nei
paesi dell'Est, problemi che il CEC
non ha forse analizzati abbastanza. Il
problema dell’antisemitismo è uno dei
temi sui quali lavora il nostro dipartimento delle relazioni con Israele.
Occorre inoltre dire due cose. Il razzismo bianco è attualmente la più grave causa di conflitti, nel mondo. D’altra parte, se il CEC non ha un’azione
visibile su un dato problema, non vuol
dire che non stia agendo per nulla. Abbiamo parlato di « strategia multipla »,
a proposito del razzismo. Vi sono casi
nei quali bisogna mettere le carte in
tavola; in altri bisogna procedere diversamente.
Quali sono gli obiettivi della seconda
fase alla quale accennava?
Il Comitato centrale ha lanciato un
nuovo, appello alle Chiese membro, affinché esse sostengano con le loro offerte il fondo speciale, la cui méta minima è stata fissata in 500.000 dollari
(oltre 300 milioni di lire). Stiamo inoltre per sottoporre loro dei progetti
precisi che, se vorranno, potranno appoggiare. Le invitiamo a sottolineare
l’Anno internazionale di lotta contro il
razzismo e la discriminazione r :zz.iale
(1971), organizzato sotto gli auspici
delTONU, interpellando i loro governi,
lanciando un programma ecumenico
cui interessare movimenti cristiani e
non cristiani, eliminando ogni traccia
di razzismo nei documenti ecclesiastici e nei programmi educativi (manuali di catechismo etc.) e contribuendo,
grazie ai mezzi d’informazione cui la
Chiesa può accedere, alla « coscientizzazione » dei bambini, dei giovani c
degli adulti.
Nell’agosto 1969 si èra insistito, a
Canterbury, su due punti in particolare: non basta trattare il problema razziale a livello delle relazioni personali.
Occorre mettere in discussione il razzismo istituzionalizzato, quale si riflette nelle strutture sociali, economiche
e politiche di potere. Bisogna mettere
in discussione le strutture di potere
che si servono del razzisnw per accrescere la propria potenza. Bisogna poi
analizzare la complicità della Chiesa,
la quale trae vantaggio dal razzismo
bianco, perpetuandolo.
Sono chiare le conseguenze che derivano da questi due punti, per i nostri paesi: analisi della loro politica
internazionale, dei loro melodi d’inve
stimento, della formazione dei missionari etc. E molto importante che l.j
Chiese cessino di prendersela con questioni teoriche.
In questa prospettiva abbiamo convocato alla Barbuda, nei Caraibi, un
colloquio sulla situazione degli indios
nelle Americhe, colloquio al quale hanno partecipato etnologi e sociologi. Esso ha redatto una dichiaraz’one che,
in particolare, chiama in causa seriamente l’attività delle Chiese. Abbiamo
in programma un simposio dello stesso tipo sulla situazione degli aborigeni australiani.
Stiamo pure raccogliendo informazioni su di un progetto di diga sul fiume Cunene, sulla frontiera fra l'Angola e il Sud-Ovest africano (Namibia),
diga che sembra avere le medesime
caratteristiche di quella di Cabor.i
Bassa, nel Mozambico: essere cioè uno
strumento che serva a perpetuare e a
radicare la dominazione bianca.
Si è spesso accostato l’udienza (o
« l’appuntamento »_), accordata dal
papa a responsabiU dei movimenti
di liberazione africani, al programma di lotta contro il razzismo de!
C.E.C. Come hanno accolto, i cattolici, le vostre iniziative?
Che il papa abbia accordato una
« udienza » o un « appuntamento », il
fatto c’è comunque stato. Segnaliamo
che i vescovi olandesi hanno dato il loro appoggio a questo programma e
l’hanno manifestato con un dono di
10.000 fiorini (oltre 17 milioni di lire).
Siamo in contatto permanente con la
Commissione pontificia « lustitia et
Pax ». Ci si aspetta che i cattolici a.ssumano prossimamente posizioni sempre più nette.
Altri appoggi significativi da segnalare?
Alcuni cristiani tedeschi hanno promesso di versare una percentuale del
loro salario men.sile fino a che le Chiese non avranno preso posizione, il che
vuol dire una volta di più che le Chiese non devono essere considerate soltanto guardando ai loro leaders. Segnaliamo pure l'appoggio di un gruppo di Bangaloi e, in India.
E il dono fatto al vostro programma
dalla regina GiuUana d’Olanda, come lo interpretate? È esattamente
nella Unea di Guglielmo il Taciturno...
Ha fatto questo dono attraverso il
movimento « Risposta pagata », in
quanto membro della sua Chiesa e nella speranza — ha detto — che il suo
esempio sarà .seguito.
Washington (soepi) - Al ritorno da
una visita nel Sud-Vietnam, durata una
settimana, il presidente della Chiesa
unita di Cristo negli Stati Uniti, il pastore Ross, ha parlato dei problemi ai
quali sono sottoposti quotidianamente
i cappellani militari, problemi concernenti il livello particolarmente basso
dello stato morale delle truppe, causato dall’abuso delle medicine, dal consumo di droghe e dal razzismo.
Alla fine della sessione del Comitato
centrale del CEC ad Addis-Abeba, egli
si è recato nel Vietnam in compagnia
del Presidente della Chiesa luterana negli Stati Uniti e del segretario generale
della Chiesa presbiteriana unita negli
Stati Uniti.
Come egli ha riferito al suo ritorno
a New York, 11 gruppo ha avuto modo
di incontrarsi con 250 cappellani mili
tari, fra i 390 che risiedono attualmente in Indocina.
Dal pastore Moss non si conosce il
numero esatto dei militari americani
nel Vietnam che abusano di medicine o
si drogano. Nella maggior parte delle
conversazioni con gli ufficiali e cappellani, il problema è risultato « gravissimo ». Il prezzo eccessivamente basso
degli stupefacenti è una delle cause di
questi abusi: « in verità, per un dollaro, ciascuno può procurarsi quotidianamente una razione di droga che negli
Siati Uniti gli costerebbe 150 dollari ».
I dirigenti della Chiesa americana
pensano che nelle truppe americane nel
Vietnam il razzismo non sia diffuso né
più né meno di quanto lo sia negli Stati Uniti. Esso si manifesta spesso con
una ostilità verso le popolazioni vietnamite.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiMim iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiii
Un finlandese a capo di un programma di sviluppo
agricolo curato in Etiopia dai luterani
Addis Abeba (Iwf) - Un laico luterano finlandese ventinovenne, Esa Uitto, è stato nominato alla direzione di un programma di
sviluppo agricolo che il Dipartimento di servizio mondiale della Federazione Luterana
Mondiale (FLM) sta per lanciare nella provincia etiopica del Goggiam (a nord-ovest di
Addis Abeba), comprendente una popolazione
di 1.600.000 abitanti. Un primo stanziamento di fondi fornirà 1.000 bovini ad agricoltori il cui bestiame è morto, sementi per la
prossima stagione delle semine e servizi veterinari. Dal 1967 il Goggiam ha patito per
precipitazioni piovose irregolari, che hanno
ridotto o arrestato la crescita del foraggio, causando la morte di circa il 75% del bestiame nelle zone più colpite e riducendo al minimo la produzione di sementi.
Esa Uitto è stato, dal 1967 ad oggi, membro delTéquipe incaricala di un programma
assistenziale in Giordania, con quartier generale in Amman. Il direttore del Dipartimento
luterano di servizio, B. Muetzelfeldt, annunciando la nomina di E, Uitto, ne ha sottolineato la giovinezza e ha ricordato che gli otto
direttori di programmi sociali sostenuti dal
Dipartimento altri cinque sono al di sotto dei
quarant'anni.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiinmmiuiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiitimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiii) miiiimiiiiiiiiiiii iiiiìiìiiiiiiiiiiiiiii
TERZO MONDO
Gli sforzi svizzeri per lo sviluppo
Che cosa fa la nostra Chiesa in coerenza con l’ordine del giorno sinodale?
Come abbiamo già comunicato nello
scorso numero, è siala inviata all'Eper
.svizzero la somma di settemila franchi
svizzeri (oltre un milione di lire) quale
contributo al Centro di sviluppo comunitario del Congo Kinshasa, il cui lavoro è particolarmente rivolto verso i
profughi dall’Angola portoghese che
hanno abbandonato il loro paese d’origine a causa delle persecuzioni religioso-razziali.
La suddetta offerta si inserisce nella
decisione votata all’unanimità dall’ultimo sinodo valdese di creare un « fondo di solidarietà » vólto a sostenere
progetti di elevamento sociale nel Terzo Mondo e l’opera dei nostri missionari valdesi.
Questo impegno e questo senso di responsabilità da parte dei cristiani e
delle Chiese nei riguardi delle popolazioni del Terzo Mondo che, pur costituendo la maggioranza degli abitanti
della terra, sono vittime degli arretrati sistemi politici e sociali dei loro governanti da una parte e dello sfruttamente e dello spirito razzista di minoranze bianche dall’altra, si va sempre
più aflermando e diventa sempre più
l’oggetto di dibattiti e discussioni presso varie comunità. Ci auguriamo che
la cosa stia avvenendo anche pres.so le
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiimiMiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Irlanda Inquieta; una guerra di religinne?
Un rapporto di assoluta obiettività del « Comitato quacchero
per la pace » che risale alle cause dell'attuale conflitto,
correggendo le false interpretazioni dei « mass - media »
Una « guerra santa » in Europa sembra inconcepibile nel secolo delTecumenismo! Ma quanti conoscono i termini esatti di un conflitto che stampa
e televisione presentano come un’anacronistica riedizione delle « guerre di
religione » in cui — a somiglianza di
molti libri scolastici — gli uni sono i
« buoni » e gli altri i « cattivi »? Quanti sanno, ad esempio, che il rcv. Jan
Paisley non è un esponente — e tanto meno un portavoce — delle chiese
protestanti maggioritarie (presbiteriana, anglicana, metodista ecc.) né è
mai stato un pastore presbiteriano,
ma è il fondatore di una setta estremista che nel 1961 (data delTultimo censimento) contava 1093 membri?
Il presente volume è il risultato di
un’accurata inchiesta effettuata dal
Northern Friends Peace Board («Comitato quacchero per la pace ») con
uno spirito di assoluta obiettività, in
armonia con il tradizionale pacifi.smo
e indipendentismo quacchero.
Esaminali i precedenti storici, indispensabili per comprendere le ragioni
pi-ofonde dell’attuale conflitto, l’inchiesta passa in rassegna le forze in campo ed i vari « pomi della discordia »,
su cui fornisce una documentazione di
prima mano, particolarmente interessante.
Un capitolo finale traccia una valutazione dei più recenti avvenimenti c
dei tentativi di riforma, indicando le
nuove vie da battere per spezzare Tattuale cerchio di paura, d’odio, di sfiducia e di risentimento: un caso esemplare di tessuto sociale lacerato da secoli di egoismo individuale e sociale, c
di cieco settarismo, che solo un radicale capovolgimento di mentalità potrà permettere di risanare.
Dhnis P. Barriti e Arthur Booth, Irlanda inquieta: una guerra di religione? Prefaz. di T. Vinay. Coll. « Nostro tempo», Claudiana, Torino 1971,
p. 128, 1 cartina, L. 1.400.
nostre. Da parte nostra, quale commissione nominata dal Sinodo (Tullio Vinay, Gino Conte e il sottoscritto) per
chiarire il più possibile a noi stessi e
alle Chiese le cause e i problemi del sotto sviluppo, continueremo la nostra
azione sia scrivendone regolarmente su
queste colonne, sia contattando le comunità con dei comunicati, sia invitando gli altri periodici ad affiancarsi a noi
nel fornire tutte quelle notizie e quegli
studi, naturalmente anche di collabora
I Continua la sottoscrizione di |
fondi da inviare al « Centre familial » del Gabon. Preghiamo
inviare le offerte al conto corr.
postale n. 2/39878 intestato a:
, Roberto Peyrot, corso MoncaI fieri 70, 10133 Torino. |
tori esterni, che valgano a creare e ad
alimentare sempre più quel senso di
corresponsabilità, di compartecipazione che deve avere il credente nei riguardi del suo prossimo anche meno vicino.
* * *
Qggi daremo qualche notizia (ricavata dal soepi mensile di febbraio/marzo)
relativa ad una importante Conferenza
tenutasi recentemente in Svizzera fra
la Federazione delle Chiese protestanti,
la Conferenza dei vescovi cattolici romani e la Chiesa cattolica cristiana
(vecchio-cattolica). Esaminando il concetto di « sviluppo » essa ha intanto respinto certe concezioni che le sono
parse errate e cioè:
« Lo sviluppo mondiale non sarebbe
che una estensione a livello mondiale
di una società dei prodotti e dei consumi che accentua la crescita unilaterale
della vita materiale degli uomini ».
« Lo .sviluppo consisterebbe in una
estensione ed in una applicazione incontrollate della tecnologia ».
Per contro, la Conferenza ha sostenuto che un vero sviluppo deve:
— « liberare le masse dal fardello della
fame, della miseria, dell’oppressione »;
— « dare agli uomini la possibilità di
assumere le proprie responsabilità
sia nella loro vita per.sonale che nella vita della società alla quale appartengono »;
— « dar loro la possibilità di esprimere i propri valori culturali »;
— « dar loro la possibilità di partecipare totalmente alla vita della famiglia umana universale ».
Nello studiare poi le diverse motivazioni che riguardano lo sviluppo, la
Conferenza ha respinto quelle che sono basate sull’interesse unico dei paesi
ricchi. La comunità mondiale deve
prendere coscienza che essa deve basarsi sul principio della solidarietà. A
questo scopo è necessaria la creazione
di nuovi istituti, all’interno e al di so
pra delle nazioni. L’opposizione ideologica radicale fra i sistemi politici dell’Est e dell’Ovest crea la paura che prepara la guerra e favorisce quegli interventi stranieri nel Terzo Mondo che
frenano il suo sviluppo e lo mobilitano
a fini militari.
Le Chiese in sostanza hanno una missione politica. Non si tratta evidentemente di una « politicizzazione » delle
Chiese, ma al contrario di una « depoliticizzazione », perché sono proprio le
Chiese che si pretendono apolitiche ad
annoverarsi fra i complici della situazione odierna. La prima prassi politica
delle Chiese è un’azione concreta in favore dei poveri, degli oppressi, degli
sfruttati, di tutti coloro i cui diritti essenziali non sono riconosciuti. Nel
prendere partito per costoro, le Chiese
non possono evitare di porre in causa
i sistemi economici e sociali che determinano tali situazioni, e di provocare
quindi dei cambiamenti nella società.
Èsse devono dimostrare la loro indipendenza ponendo in modo particolare
quei problemi che, a causa dei più svariati interessi, sono diventati dei tabù
politici. Come pratica conseguenza di
quanto sopra, la Conferenza ha proposto la creazione di un organo interconfessionale permanente che segua
sia la politica nazionale che i problemi dello sviluppo. ■
E’ stato chiesto alle Chiese svizzere
di approvare la lotta condotta dal CEC
contro il razzismo, di effettuare un
pressante controllo sulle industrie delle armi, di interdire la loro esportazione e di chiedere al governo di estendere l'embargo della vendita di armi al
Sudafrica anche a quegli altri Stati in
cui una minoranza privilegiata sfrutta
la maggioranza della popolazione.
Per quanto riguarda l'importante
questione dell’ informazione, è stato
constatato che, tolte le notizie sul Terzo Mondo che riguardano i conflitti, la
loro percentuale oscilla fra il 5 e il 10
per cento (con le guerre arriva al 25/29
per cento). E’ stata quindi raccomandata la creazione di un centro di informazioni che supplisea a questo grave squilibrio.
Circa la cooperazione tecnica è stato affermato che le Chiese hanno il dovere di esigere dalle autorità, dalle
banche e dall’industria che esse riconsiderino la loro politica sotto quelTaspetto.
Infine, si è insistito in modo particolare sulla necessità di una maggiare
partecipazione svizzera sotto il profilo
degli aiuti: a breve scadenza esso dovrebbe raggiungere la media degli altri
paesi industrializzati e cioè lo 0,37%
del prodotto nazionale lordo; questa
percentuale, a scadenza più lunga, dovrebbe raggiungere Tl%.
Roberto Peyrot
4
pag. 4
N. 11
12 marzo 1971
Chiesa e Stato nelle Valli Valdesi
Nel progetto di Statuto r
mente eì/itato di parlare
egionale si è deliberatadi «minoranze» : perchè?
Il principio della separazione della Chiesa e
dello Stato risale per i Valdesi al Risorgimento
0 al « Rendete dunque a Cesare quel ch’è di
Cesare, e a Dio quel eli’è di Dio »? La
domanda può parere ingenua, e rispondano storici e teologi. Sta di fatto che alle
Valli le manifestazioni della società civile e della società religiosa hanno spesso
coinciso, e che si è parlato di popolo-Chiesa.
Una conseguenza, surroga o no, di questa
contaminatio o di una naturale o inevitabile
unità di ispirazione è la pubblicazione sulVEco-L uce (li una pagina dedicata alla « cronaca delle Valli », che non si limita alla cronaca. Quando molti Valdesi, originari o no di
queste valli, ad esse guardano per iniziative
culturali o altro, saltano fuori le difficoltà provocate dairinconlro tra un prestigioso movimento di cui si sta per celebrare Ì1 dubbio
ottavo centenario e (( un minuscolo gruppo
umano, confinato in località eccentrica in poche Valli delle Alpi Cozie », per usare le
parole della presentazione della Collana « Storici Valdesi » suirultimo numero deir^coLuce. Che fare, giacché le Valli non sono
abitate e frequentate, fruite soltanto da Vaidesi (nel senso più stretto, religioso), né questi. che pur ci sono, eccome, intendono generalmente esprimersi solo attraverso la Chiesa e attività para-ecclesiastiche? Né il patrimonio storico e di civiltà — sia pure largamente un sottoprodotto di quel che fecero i
Valdesi o si dica della Storia Valdese — è
oggi un patrimonio esclusivo della Chiesa Valdese e dei Valdesi. Il pericolo del trionfalismo,
del mini-vaticano, della vanteria scroccata, delle reciproche strumentalizzazioni, è lì. Non
vedo altra ricetta pratica che un reciproco
rispetto fra gli uomini prima che, anziché
verso le organizzazioni, i gruppi.
h gran tempo, permettete il francesismo,
che la società civile si dia un’organizzazione.
Il riassetto territoriale messo in discussione
dalla Resistenza, dall’evoluzione italiana e non
italiana di un quarto di secolo, e adesso dalla
istituzione della Regione ne dà l’occasione. Un
patrimonio culturale da non assorbire acriticamente ma da utilizzare per costruire con
responsabilità, una coscienza o volontà di far
parte di una comunità o vasto gruppo, una
realtà geografica economica sociale politica di
montagna e di frontiera danno indicazioni per
1 limiti territoriali e per i contenuti. Non è
purtroppo superfluo richiamare l’attenzione
sulla necessità di una forma rigorosamente
democratica, che si deve pretendere, quindi si
evitino le elezioni indirette e sì usi la massima pubblicità. Il pericolo viene dal dormire sugli allori, che è poi sovente scoraggiamento e autosufficienza, di gran parte della
componente di origine valdese, e dal non sentirsi sufficientemente centrati in loco che è
poi sovente un complesso dì inferiorità, della
componente dì origine non valdese. Può darsi
che io esageri, e che sìa anche indelicato, ma
è meglio cercare di essere chiari. Uno sforzo
comune può portarci fuori da queste secche.
Ma uno sforzo ci vuole, che è innanzitutto
uno sforzo dì comprensione. Non mi pare invece che siano reali i pericoli, che qui non
posso analizzare con i pro e i contro, e che
si possono evocare con queste parole : miniStato di Israele, Irlanda del Nord, problemi
dei pendolari, problemi deirimmigrazione dal
Sud, libertà di missione della Chiesa Valdese
— e non solo di essa — già nella pianura piemontese e reciproca di influsso cattolico — e
non solo dì esso — nelle Valli. Preciso o correggo: non nego l’esistenza di rischi.
Allora? Dal Consiglio Regionale del Piemonte è già arrivala una doccia fredda. Lo
Statuto regionale è largo di possibilità : circondario, comprensorio, iniziativa dal basso.
C'era anche un articolo 7, contorto e che pur
poteva servire: «La Regione tutela le comunità locali, portatrici di un originale patrimonio linguistico, di cultura e di costume,
e ne favorisce la valorizzazione ». Benché
l'articolo 6 della Costituzione dica : « La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche ». si era voluto a tutti i
costi evitare la parola tabù « minoranze ».
Spettri di Reggio Calabria e del Tirolo meridionale! Paura di Roma, accentramento piemontese. In questa opposizione sì erano distinti, beninteso oltre ai missini, il consigliere psiuppino Giovano e la sinistra democristiana. Fu un equìvoco? Si chiarisca. In
una precedente redazione, pur di non mettere « minoranze linguistiche » o « minoranze »
tout court, si parlava dì tutela delle « minoranze religiose ». Per fortuna si riuscì a convincere i consiglieri che facevano un salto
indietro di piìù di un secolo e che andavano
lllllMlllllllllimimilMIIIIMIIMIIIMIIIIIIIIIilItlllllllll'llllll
Colonia Marina
di Borgio Verezzi
Sono aperte le iscrizioni per la Colonia Valdese di Borgio Verezzi, per bambini e bambine
di età compresa tra i 6 anni (compiuti) e i 12
(non oltrepassati).
Le domande devono pervenire entro il mese di aprile alla Commissione Colonie Valdesi
- via Madama Cristina. 11 - 10125 Torino.
Per la loro compilazione richiedere il modulo apposito allo stesso indirizzo.
Alla domanda deve essere allegato (per i
nuovi iscritti) il certificalo di nascita in carta semplice e la presentazione del proprio pastore (salvo che per i membri della chiesa valdese di Torino).
Se la domanda sarà accettata, le famiglie
dovranno far pervenire alla Commissione Colonie. entro il 10 giugno, gli altri documenti
che verranno richiesti. Esse riceveranno inoltre istruzioni circa il corredo, il viaggio, le visite. ecc.
l turni sono i seguenti:
Primo iurno (femm.): dal 21 giugno al
9 luglio.
Secondo Iurno (masch.): dal 12 luglio al
2 agosto.
Terzo turno (femm.): <lal 3 agosto al 24
agosto.
Quarto turno (masch.): dal 25 agosto al
14 settembre.
contro la Costituzione della Repubblica. Neppure queH'articolo poco coraggioso, che non
risolveva i problemi dell’autogoverno, deH’autonomia, che pure è contemplata dalla Costituzione e propugnata dallo Statuto, ma pure
apriva uno spiraglio concreto, neppure quell'articolo piacque alla Prima Commissione del
Senato, in particolare al presidente Tesauro e
al relatore Pennacchio, quindi, nella speranza
di vedere presto lo Statuto approvato dal Parlamento il Consiglio Regionale ha modificalo
l'articolo 7, o piuttosto l'ha sostituito con il seguente : « La Regione difende l’originale patrimonio linguistico, di cultura e dì costume
delle comunità locali e ne favorisce la valorizzazione ». Da soggetto si passa ad oggetto.
Siamo alle riserve indiane? Corrispondono
queste parole allo spìrito deH'intervista al sindaco dì Ferrerò pubblicata suWEco-Luce del
26 febbraio? Bella mortificazione per tutti coloro, consigli comunali e altri, che avevano
dato il più vivo esempio di « partecipazione »
quando la Regione aveva diramato il suo
questionario per lo Statuto. 11 presidente del
Consiglio Regionale, il socialista Vittorellì. e
il vice-presidente democristiano Oberto, che
avevano simpatizzato con le richieste di base,
pur puntualizzando che il nuovo articolo riguarda innanzitutto il piemontese — a cui si
riferiva già l'articolo 5, e allora dov’è finito lo
specifico appiglio per il francese, il francoprovenzale, l’occitano o provenzale come i nostri patois, e il tedesco? — e pretendendo che
è migliore del precedente, han sostenuto che
in realtà i due articoli si equivalgono. La dimostrazione di questa affermazione incomberà
al Consiglio Regionale quando, approvato lo
Statuto dal Parlamento, sì dovrà applicarlo.
E si vedrà anche il comportamento dei comunisti che questa volta è stato prima entusiasta, poi ambìguo, poi conformista. Così
in Consiglio Regionale c'è stala runanimità,
tranne i missini beninteso.
A noi, alla base spelta di chiedere, di preparare l'applicazione dello Statuto, le leggi che
ci servono, cominciando dall’organizzazione
del controllo sugli Enti locali perché prima
di « partecipare » occorre avere riconosciuto
il diritto dì occuparsi dei propri affari senza
tanti impedimenti, ed esercitarlo.
Gustavo Malan
Consiglio della Val Pellice
Servizio sociaie
Programma del Corso di Educazione Sessuale per genitori ed educatori Torre Pellice, marzo-aprile 1971 • Direttore del Corso: Prof. Igino Terzi.
17 marzo '71: « Basi anatomo funzionali della sessualità ». Relatore: Prof.
Dott. Igino Terzi - Libero Docente di
Ostetricia e Ginecologia dell’Università di Torino - Primario dell’Ospedale Maria Vittoria e Direttore Sanitario dell’AIEMP.
23 marzo ’71: « Igiene ed Educazione
sessuale - Malattie veneree ». Relatore: Prof. Filippo Franchi - Libero
Docente in Dermosifilopatia - Primario dell’Ospedale Mauriziano di Torino.
31 marzo ’71: «L’educazione sessuale
nell’età evolutiva ». Relatriee: Prof.sa
Tilde Giani Gallino - Psicopedagogista.
6 aprile ’71: «Aspetto clinico-funzionale della sessualità ». Relatore: Prof.
Igino Terzi - Predetto.
15 aprile ’71: « L’educazione sessuale
nella scuola ». Relatrice: Prof .ssa
Tilde Giani Gallino - Predetta.
21 aprile ’71: « Problemi sessuali nella
età adulta ». Relatore: Dott. Enrico
Pascal - Psichiatra - Operatore del
Settore Psichiatrico, Torino - Est.
* * *
Il Corso sarà inaugurato il 17 marzo
1971 alle ore 21 dal Presidente del Consiglio di Valle e dall’Assessore all’Igiene e Sanità del Comune di Torino,
Prof.ssa Frida Malan del Consiglio Direttivo dell’AIEMP, alla presenza del
Presidente dell’AIEMP, Prof. Dott. Sergio Pettinati e dell’Assessore all’Igiene e Sanità della Provincia Dott. Maurizio Pensa.
Le lezioni si svolgeranno nei giorni
indicati alle ore 21 presso la sede del
Consiglio di Valle - Palazzo Comunale - Piazza Muston, 3 - Torre Pellice telef. 91.514.
Il Corso è gratuito; chi desidera avere le dispense, del Corso stesso, può
prenotarsi versando la somma di lire
1.000 presso la sede del Consiglio di
Valle.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMimmiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiMiiiiii
A proposito di un saggio di Ilia Griset
La parlata provenzaleggiante di Inversa Rinasca
Il patois di Inverso Pinasca (comune sito sulla destra orografica del Chisone, in provincia di Torino) è stato
oggetto di una tesi di laurea discussa
nel 1963, aH’università di Torino, dalla
dott.ssa Ilia Griset, e pubblicata, in seguito, dall’editore Giappicchelli.
Lo studio, volto a dimostrare l’origine provenzale della parlata e ad analizzare le cause della penetrazione piemontese in Val Perosa ed in Val San
Martino, inizia con alcuni cen:ii geografici, con brevi notizie di storia valdese, e con un capitolo introduttivo
sulla situazione linguistica delle Valli,
dove si parla ancora il dialetto di origine provenzale conservatosi per vari
motivi, primo tra tutti « la coscienza,
radicata nella popolazione locale, di
A VILLAR PEROSA
Invilo alle Corali
e agli Amici del Canio
Martedì sera 30 marzo alle ore 20,30
una valente corale Germanica saluterà
le Valli offrendo un concerto nel tempio di Villar Perosa. Tutte le corali clic
ne hanno la possibilità sono cordialmente invitate ad intervenire e ad ofIrire un proprio canto. Tutti gli amici
del canto sono pure cordialmente invitali.
una tradizione linguistica legata al fattore religioso» e «l’attaccamento ai
costumi tramandati dagli avi ». Accanto al provenzale si affermò il piemontese, già presente nei poemetti valdesi
del sec. XIV e XV (Nobla Lcyczon: venta, deriv. da coventa, lat. volg.), e portato alle Valli da riformati provenienti da tutto il Piemonte a seguito di
persecuzioni religiose. Ancora adesso
le borgate di « Vuvians » e « Rastella »
recano il nome di quei profughi. 1 Vaidesi, inoltre, ebbero sempre bisogno
di scambiare prodotti della terra contro manufatti e strumenti agricoli:
questo spiega perché la terminologia
riferentesi a questi ultimi s’a prevalentemente piemontese (kavan = cesta;
driigio = letame; syas = setaccio). A
partire del XVII sec. l’italiano venne
ad affiancarsi ai due dialetti sopra
menzionati (penetrò in modo decisivo
solo dopo il 1848) ed al francese, diffusosi dopo l’adesione dei Valdesi alla
Riforma c divenuto, ben presto, lingua di cultura, insegnata nelle scuole,
usata nella predicazione e nella letteratura, a carattere per lo più rclig oso.
Delincato il quadro della situazione
linguistica attuale delle Valli, che contempla un regresso notevole del francese di fronte all’italiano ed al piemontese, l’autrice passa ad esaminare la
fonetica, la morfologia c la sintassi
del « patois inversino », fedeli, in linea
di ma.ssima, alla matrice provenzale;
segue il lessico, che appare più esposto alle influenze esterne, specialmente quello relativo ad oggetti di scambio commerciale, a strumenti di lavo
ro artigianale (che i Valdesi non conoscevano, avendo un’economia prevalentemente agricola), a coltivazioni
non locali (poys=pisello; kuso=zucca). In altri campi, per esempio in
quello della scuola, l’influenza maggiore è stata invece esercitata dal francese (ardwaso - tabló lavagna; ankrié = calamaio).
Attualmente il les.sico della parlata
ò insidiato da vari piomontesismi, penetrati « perché mancavano i corrispondenti di origine provenzale » (meglia = granoturco) o « sovrappostisi
ad altri corrispondenti di origine provenzale, accanto ai quali a volte coesistono con significalo leggermente diverso (’ntrà=cerimonia religiosa della
sepoltura; sawtrà = azione materiale)
o con nessuna sfumatura differenziatrice (moàre - mulina = macinare).
Molto ottimistiche, a parer nostro,
te conclusioni delTaulrice, secondo la
quale « il dialetto valdese non sarebbe sottoposto ad un regresso interno
perché non sentito come volgare dalla
popolazione ». Sta di fatto che attualmente, anche nelle località in questione (e ciò a soli 8 anni dallo svolgimento delle inchieste), molte famiglie prer
feriscono insegnare ai loro figli l’italiano, scaduto, negli ambienti meno
colti, a livello di un plurilinguismo ibrido, composto da parole italiane adattate alla fonetica locale, farcito di svarioni grammaticali c sintattici (chi non
ricorda il famoso « te » ustao come soggetto e come complemento?),
per non parlare della cadenza del periodo, molto lunga e ben lontana dalla melodicità dell’idioma toscano. La
ricerca condotta dalla dott.ssa Griset
è interessante soprattutto dal punto
di vista lessicale ma, proprio in questo campo, ci è dato riconoscere l’errore di fondo, che consiste nel non
aver sottolineato con suftìciente insistenza che Tabbondare di termini per
indicare un determinato oggetto in
una parlata ne denota la debolezza, l’agonia, Testremo tentativo di ribellione agli influssi di altri linguaggi che
in essa si incontrano e scontrano, secondo leggi precise ricavate a posteriori dagli studiosi di geografia linguistica e di dialettologia.
Annalisa Coucourde
I lettori ci scrivono
E I CRISTIANI DOV’ERANO?
Un lettore, da Torre Pellice;
Passata la buriana, ci sia concesso di
proporre alcune riflessioni sugli avvenimenti svoltisi a Pinerolo a metà febbraio :
essi sono noti, anche perché sono stati presentali su questo giornale nel numero 9
del 26 febbraio.
Né ci interessa qui ripetere come si siano
svolti o non svolti i fatti, ma constatare intanto che in piazza a Pinerolo per la giornata dì sciopero del 17 febbraio (ricalcata
sulla ricorrenza della festa valdese, in cui
vari stabilimenti e le scuole della zona
erano chiusi) molti valdesi c'erano : quelli
curiosi e quelli « impegnali » nella vita
delle comunità.
Quello che allora mi domando, e che
non riesco a vedere chiaro, è a quale titolo
essi partecipavano alla manifestazione:
come cittadini amalgamali nella massa o
come « cristiani » spinti là da (gualche
specifica istanza?
A sentire le relazioni, essi c’erano come
« Valdesi », e cioè come cristiani che non
possono non solidarizzare con l'anima e le
esigenze del popolo.
Benìssimo. Ma è qui che viene il punto,
e a proposito del quale io mi domando se
i « cristiani » :
— erano tra quelli che scandivano coscienziosamente gli slogans (preparati, ciclostilati e distribuiti dagli organizzatori:
efficienza!...) come: Pinerolo rossa, fascisti nella fossa; Fascisti c ufficiali, gli stessi
maiali; Colombo coglione, rimangia il decrelone; ed altri, che la decenza non ci
consente dì ripetere su questo giornale;
— o se erano tra quelli che semplicemente subivano la pressione della massa,
facendo numero, e che come tali si erano
adattati in i)ìeno alla mentalità piazzaiola
e conformista del popolo italiano;
— o peggio, se erano tra quelli che avevano travestito degli « avversari » in « nemici » e contro i quali quindi non si ricorreva all'arma della discussione o del ridicolo o del silenzio, ma si era pronti alla
violenza, e magari aH’eliminazìone fisica
(si sa da dove sì comincia, ma è difficile
dire dove vada a finire la piazza).
Qualcuno che non mi conosce, a questo
punto, mi accuserà di filofascismo : un altro degli slogans oggi di facile consumo.
Invece il mio discorso è un altro : ed anche se degli esperti (così li chiama L. Santini nel suo ottimo articolo, Eco-Luce del 5
marzo, n. 10). mi dimostreranno che nel
Vangelo si possono trovare tutte le giustificazioni per la partecipazione ad una «protesta » (seppure politicizzata e di violenza inibitoria su chi vi interviene), dopo
tutto penso che se il cristiano scende in
piazza, lo farà per predicare il Vangelo
della non violenza, per insegnare la tolleranza, per sottolineare che Feconomia di
questo mondo non ha nulla da spartire con
la fede, la grazia e la salvezza, per indicare
che ogni giustìzia di questo mondo è ingiustizia agli occhi di Dio.
Nulla di questo mi risulta sia stato fatto a Pinerolo, né dopo, né sui giornali, né
altrove...
La responsabilità è grossa, e troppo già si
è finora scherzato, sostenendo uno pseudocristianesimo o un cristomarxismo, a tutto
vantaggio non certo del messaggio cristiano. La confusione delle idee è grande ed è
norma comune, salvo forse p(*r pochi privilegiati che hanno già tutto decìso; impegno polìtico e impegno cristiano si confondono tranquillamente; intolleranza, razzismo intellettuale, reciproche scomuniche,
e secolarizzazione sono il frullo o 1 eredità
di qualche decennio di « vita concreta ».
E‘ questo che i cristiani vogliono? E'
così che la chiesa testimonia nel mondo?
Augusto Armand-Hucon
SOTTO QUALE BANDIERA?
Un lettore, da Firenze:
Caro direttore,
permette qualche considerazione sulle
considerazioni fatte dal Signor Aldo Ferrerò (n, 9 del 27-2-71) su quanto scritto a
suo tempo dalla lettrice E. C. circa la ricorrenza del 17 febbraio?
Leggendo le considerazioni del Sig. Ferrerò debbo constatare che a lui proprio
non va già che i Valdesi dell’800 si fossero permessi di amare fra le altre cose anche la nostra Italia.
Il predetto Signore inorridisce quando
E. C. dice « il nostro corteo con le bandiere è molto significativo e il nostro cuore
palpita alla presenza della bella bandiera ».
11 ripetuto Signore diventa addirittura
paonazzo quando E. C. sì permette dì dire,
fra l’altro, che dobbiamo pregare per le
Autorità che ci governano.
Vorrei inoltre dire al Signor A. F. che
nel corso della mia vita ho avuto la ventura di visitare mezzo mondo, navigando
lutti gli oceani e quasi tutti i mari, venendo a contatto, è ovvio, con gente dì tutti i
colori e costumi, ma quando a prua della
mia nave apjiarivano ancora indistinti i
contorni delle colline delle coste della mia
Patria, il mio ed il cuore dei miei compagni palpitavano precisamente come quello di E. C.
Inoltre nel mio via vai, nel corso degli
anni ruggenti, mi si è data la ventura ed
il piacere di partecipare ai Culti nelle nostre Chiese dì Palermo, Fiume, Taranto,
Genova, Trieste. Messina, Napoli, Venezia, Bari, La Spezia, Livorno, Firenze e mai
ho visto che i fratelli di queste Chiese entravano al Cullo (( con il braccio destro alzato al cielo ». Devo dedurne, pertanto, Signor Ferrerò, stando a quanto Lei ha detto dei membri d(dla Chiesa di Pomarelto.
che questi Signori erano proprio tutti degli
antemarcia! Poveretti! A proposito, poiché
Lei non può ricordare quello che avveniva 30 anni fa si faccia spiegare dagli anziani della sua Comunità che cosa significava essere un antemarcia...
Lei infine. Signor Ferrerò, dice « non
ditro la bandiera tricolore dobbiamo correre ma dietro la bandiera deH’amore dì
Cristo ecc. ».
Bella maniera di correre dietro la bandiera dell'amore quando dal Suo scritto
sprizza livore da tutte le parli, contro FAulorità che ci governa, del resto liberamente eletta da tutti gli italiani (qui grazie a Dio non sono ammesse le liste prefabbricate), contro il suo simbolo il bel
tricolore, bello anche se a lei non piace!
Dalle considerazioni allo scritto di E. C.
balza evidente il fatto che il Sig. Ferrerò
preferisce correre dietro altra bandiera,
preferibilmente di un solo colore, quella
con sopra riprodotti alcuni arnesi campestri e, magari, con Faggiunta di una stella;
e dietro quella bandiera correrebbe, o lo
farebbero correre, al riparo di un nugolo
di carri armati in marcia su territori ad
esempio: Lituano, Lettone, Estone, Ungherese, Cecoslovacco, Polacco... Solo allora.
Signor Ferrerò, potrebbe dire tutto felice,
ed alzando il braccio sinistro con pugno
chiuso al cielo (per compensare quello che
fecero a suo tempo con il braccio destro
i suoi parrocchiani) (( tutto va ben Signora la Marchesa », purché (per Lei) la bandiera sia di colore rosso completa degli
ammennicoli dì cui sopra.
Non pensi Sig. Ferrerò che chi scrìve
sia un nostalgico, io ricordo bene ciò che
avveniva 30 anni orsono ed ho anche sofferto e non poco; ina sono un italiano a
cui piace la storia ValdcvSe ed il Tricolore
iVItalia.
Cordialmente
Francesco Paolo Massa
Doni Eco-Luce
Da Bergamo: Carla Rostain ZavaritI 2.000:
Alma Rivoir 500; Elena Eynard 500: Giorgio
Steiner 1.000.
Da Luserna S. Giovanni: Emilia Peyrot 300:
ElLaJalla 500: Ada Gaydou 500: Umberto
Rovara 400.
Da Milano: Margherita Gay 1.000; Alìna
Barzaghi 500; Elvina Manzoni Cougn 1.000;
Ih Guldbrand.sen 1.000: M. e A. Palmery 500;
G. Stein 2.000; Albertina Corsani 2.000;
Ester De Filippis 2.000.
Da Borna: Anna Tilli 500; Ottavio Proche
2.000: Alfredo Giocoli 2.000: Francesco Mendola 500; Franco Michelangeli 2.000: N.N.
450: Enzo Lumachi 500.
Da Torino: Clotilde Brache! Contili 1.000;
Dina Rossetti Reynaud 500; L. C. 3.000; Felice Crespi 500; Alice Hoslan 500.
Da Torre Pellice: Ce.sare Malanol 200: Graziella Jalla 1.000; Carlo Tomasini 1.000.
Santina Albano Lena. La Maddalena 500;
Ada Lucchini, Ravenna 1.000; Alessandro
Massabò, Imperia 300; Paolo Madrigali, GeSestri 500; SusetIa Artus, Crema 7.000: Alice
Luechini, Napoli 500; Remigio Raldoni, Bo
logna 7.000; Elisa Griglio Paschetto, S. Secondo 100; Mimy Long, Pinerolo 500; Luigi
Rosali. La Spezia 500; H.U. Gaydou, Francia
3.000; Francesco Peyrot, Ferrerò 1.000; Giovanni Gönnet, Belgrado 1.000; Lina La Rocca, Napoli 1.000: Anita Bounous, S. Antonino
500; (felina Paslre, Bordighera 500; Corrado
Barel. Messina 7.000.
Grazie!
( continua )
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Direzione italiana
Prenotazioni presso
Prezzi miti
la Direzione della « Casa »
Il 20 febbraio, a Viareggio, il Signore ha richiamato a Sé il
Prof. Edwin Rostan
Il fratello Emilio e la sorella Nora,
profondamente addolorati per la separazione dal loro caro, ne danno notizia a parenti ed amici.
Torre Pellice, 8 marzo 1971.
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bambini, per un lavoro domestico in una
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5
12 marzo 1971 — N. 11
pag. 5
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
Qui Genova
Qui Genova! 11 Consiglio di chiesa mi ha
affibbiato, più che affidato, rincarico di mandare ogni tanto ai nostri settimanali qualche
notizia sulla Comunità nella quale, in forma
castigata, svolgo il mio modesto ruolo di anziano; dopo aver nicchiato per il timore di
shamlare. mi sono deciso a farlo con senso di
ubbidienza.
Questa mia premessa è doverosa per poter
invocare la clemenza dei lettori che potessero
trovare nella mia prosa accentuate disparità
con i loro punti di vista.
La vita di una Chiesa come la nostra, ha
due :i<pelti‘: quello statistico-amministrativo e
,,..;tuale che, sebbene distinti, si in
w , ;:,o c si condizionano.
Il primo aspetto, quello amministrativo, per
il fatto di configurarsi in cifre è più facilmente determinato. Genova, intendo la Comunità,
ha circa 330 membri, dei quali in media una
•ottantina sono presenti al culto settimanale,
compatibilmente, s'intende, con le condizioni
climateriche; seguono poi quelli che appariscono ad intervalli per cui la citata media
viene talvolta .«operata.
Sulla base di questa frequenza si ha, facendo la staii.aica col metodo « Trilussa », una
colletta pro capite di L. 200-250 ogni domenica. Continuando sulla linea delle statistiche risulta inoppugnabilmente che la quota
a lesta delia contribuzione annua si aggira
sulle 20.000 lire, quota superata, e qui i confrotiii sono simpatici, da poche altre comunità. non certo, fra queste, quelle che van
per la maggiore. C‘è poi il « bazar » che ogni
anno si paventa disastroso e che invece dà
sempre risultati eccezionali, grazie sopratutto
a un gruppo, anzi, a un gruppetto di signore
che in fatto di organizzazione e di attività persecutoria mettono k.o. — lo dico a malincuore — noialtri uomini. Questa annuale manifestazione ha la forza prodigiosa di farcì incontrare queiroUantina di tc anime morte » ì
cui nominati\ i corrispondono a coloro che i^er
la chiesa non danno un baiocco, salvo a valersi
delle sue istituzioni quando il dolore batte alla loro porta. Noi, per un malinteso riguardo,
che io giudico... ipocrita, non inseriamo i loro
nomi neirelenco annuo di coloro che per la
loro Chiesa danno, o molto, o troppo poco, ma
danno.
Come avviene nelle altre, anche la nostra
•comunità ha avuto matrimoni; nascite e morti; è Tarco della vita! Augurando ai vivi la
presenza, nelle loro case, del Signore, dirò
brevemente dei morti; molti se ne sono andati sazi dì giorni, ma uno ci ha lasciato prematuramente, s’intende a giudizio d’uomo;
parlo del doti. Osvaldo Simeoni, la cui dipartila non ci sembra ancora vera.
Alla signora Anita Simeoni e alla sua famiglia, ora come allora, tutta la nostra cristiana
.simpatia.
La morte è la porta della vita, vivere su
questa terra è morire un po’ tutti i giorni;
ma lode ne sia data a Dio che ci affranca
dalla nostra disperazione.
.-Vtiche .se le cifre contengono una connotazione spirituale, desidero accennare ad alcune
attività che riguardano,in tutto o in parte, la
ragion d’essere della Chiesa e che una volta
erano prerogativa del pastore.
Dì pari consentimento fra il pastore e i
membri , del Consiglio, dopo aver saggiata
l'Assetnldea dei fedeli, la nostra attività sta
diventando sempre più comunitaria. Abbiamo
forili natamente dei fratelli che sostituiscono
il pastore, ove occorra, nella predicazione; abbiamo scambi di pulpito fra le chiese consorelle: e infine abbiamo avuto la celebrazione
della festa deU’xMbero dì Natale, affidata totalmente ai ragazzi, grandi e piccoli, della
Scuola Domenicale, i quali, volontariamente
Iranno rinunciato ai tradizionali regali, per
regalarci a loro volta una festa di gioia spiriluale inconsueta, che Ira commosso e entusia.smato i numerosi presenti. Dobbiamo al nostro infalicaiiilc pastore questa iniziativa così
ben riuscita e che avrà certamente sèguito
per manifestazioni consimili. Ci auguriamo che
altre comunità ne facciano resperienza. Ho
accennato alle fatiche del nostro pastore, il
quale oltre a largirci .sermoni che ci dicono
quello che noi tacciamo dentro, ha una competenza eccezioiirilc nel campo della mu.sica
cma!''. F' 'i .> i una coralina che spanderà nostro tempio i concenti
“ ' . . : I di qualche coro di tipo vil
¡i ' ’ ■ ' iin fine intuito psicologico, il
liorc ha inframezzato alle musiche
¡hurgiclie.
Parlare di corale senza tentare una puntala ncM'amhito del Nuovo Innario sarebbe imperdonabile. Bella la sua veste tipo-bihliografìca sapientemente curata: indovinala, simpatica. signorilmente severa, sì che può ben figurare sia sui logori e duri banchi del glorio.«o (Í Cialias » che su (juelli, confortevoli e
tirati a lucido, di templi del costo di 83 milioni e rotti..
Confes.so die di musica mentendo per quanto mi giunge airoreccliio e al cuore, per quello che ne costituisce le leggi sono del lutto
ignorante epperciò non oserei inoltrarmi in
un ambilo dove il cc cast » dei competenti della
Commissione elenca nomi illustri nel campo
musicale. Ma una mia modesta impressione,
non totalmente isolala, mi sia consentito esprimere. Si fa cenno, nella prefazione, a « una
leologia pietista ed a un gusto mu.sicale talvolta poco elevato», ma si è dimenticato, anche
se può dispiacere, che il 90% dei membri attivi delle nostre comunità han superato di più
di dicci anni la cinquantina e. a quelle età,
rinunciare a certi cantici che ci vivono dentro e rievocano cari ricordi della giovinezza
— un po’ meno agitata deiraltuale •— immalinconisce, mentre c stato conservalo il 292
che se non è una marcia funebre è pur semj)re una marcia, per tacer delle parole di un
pietismo alquanto .scadente e ampolloso. Che
dire del modo in cui fu manipolalo il « Forte rocca », che tanti cuori ha scossi e inebriati? Aspettiamo di sa])cre che ne sarà dei
cantici dei bambini, cantici anche essi, per
ora, affossali.
Non posso sottrarmi allohldigo di allargare
anche alla parte liturgica inserita nel testo
alcune mie personali considerazioni; in esso
figura il cosìdetto Simbolo degli Apostoli. Se
è per indulgere presso i a fratelli separati »,
trovo la cosa opinabile; se invece, come sembra, vuol essere una confessione di fede, allora le affermazioni che io compongono sono di
un antropomorfismo e di dimensioni spaziali
geocentriche tali che meriterebbero, per il bene
di una religiosità sempre più scadente e aggredita, una revisione che i progressi in tutti
i campi, primo fra tutti quello della teologia,
impongono. Non addoloriamoci se i nostri giovani, davanti a certi problemi che mancano di
una soluzione per quanto addomesticata e anche certi anziani che si tengono al corrente
con i migliori teologi del nostro tempo, si distaccano, quasi senza accorgersene, dalle chiese. Non sarebbe l’ora di finirla di trattare Dio
(( comme s’ils venaient de boire le café en sa
compagnie », come disse una volta Albert
Schweitzer, e dì dare all’Evangelo di Gesù Cristo una dimensione cosmica che porti ad adorare per davvero Dio in Spirito e Verità, liberandolo da tutti gli attributi umani per quanto elevati essi siano? Forse queste mie idee
— non ideologie — mi attireranno una nuova scomunica, come mi avvenne in passato
per aver trovato... sconveniente e cattivella la
reazione di un profeta, irritatissimo per la
beffa alla sua calvizie da parte di una quarantina dì scostumati mascalzoncelli.
E per finire voglio spendere un ritocchino
sul tanto discusso problema deirecumenismo,
parola di instabile significato e di incerto valore costruttivo. Intanto sarebbe decoroso che
esso si attuasse fra le varie denominazioni
protestanti; riguardo a quello col cattolicesimo
esso mi richiama alla mente, per una maligna associazione d’idee, una formula che
il nostro professore di matematica di aveva
insegnato per meglio farei capire i rapporti
fra i numeri negativi e quelli positivi; eccola :
(( nemico del nemico = amico! » Senza cattiveria!
« Signor, da questo mondo rio l’alma sollevo a Te! ».
Federico Schenone
anziano e protestante che protesta
Rievocazione storica a lorre Pollice
Una conversazione del prof. A. Armand Hugon sulle opere e
missioni cattoliche nelle Valli Valdesi attraverso i secoli,
a cura dell’Associazione «E. Arnaud » di Torre Pellice
N.d.r. • Ci rallegriamo con il vivace anziano neo-corrispondente per la giocosa verve giovanile (che molti giovani possono invidiargli)
e per la partecipazione di fede con le quali osserva e vive la vita della sua comunità e della chiesa. Quanto all'ortodossia di tutte le sue
posizioni teologiche... non ribadiremo le riserve che egli per primo avanza, pur riconoscendo che pone dei problemi seri.
A conclusione delle celebrazioni del 17 Febbraio, Tassociazione Enrico Arnaud ha tenuto
Domenica 21 u. s. una seduta pubblica nella
locale sala delle attività. Alla presenza di un
folto ed attento uditorio il prof. Augusto Armand Hugon ha parlato delle opere e delle
missioni cattoliche nelle Valli Valdesi attraverso i secoli, dalla metà del ’500 alla metà
dell’800. Dette missioni, iniziate nel giugno
1560 nel Tempio del Ciabas con una pubblica
discussione fra il gesuita Possevino e Scipione
Lentolo, trovarono la loro epoca d’oro nel
’600, quando più viva sì fece sentire la Controriforma e godettero dì appoggi finanziari
fino al 1848. A Torre Pellice il priore Marco
Aurelio Rorengo donò ai missionari l’edificio
che prese il nome di Convento di San Martino; il pio Istituto S. Paolo ricevette molte donazioni destinate ad alimentare un fondo per
soccorrere Ebrei ed eretici convertiti; i beni
sequestrati ai Valdesi sulla riva sinistra del
Chisone prima da Luigi XIV e poi da Vitto
.....................min........nini...inninn
ECHI DEL 17 FEBBRAIO
Luserna S. Giovanni
— Un clima eccezionalmente primaverile
ha favorito il ritrovo dei membri della nostra
comunità per la celebrazione del XVII Febbraio.
Il vasto programma, preparato dal comitato
e curato con competenza dall’Anziano dottor
Peyrot, si è svolto con entusiasmo e con vero
spirito di comunione fraterna.
Accanto ai (c falò », un’altra luce, la luce
del messaggio cristiano portato da un gruppo di giovani e dai membri della Corale, ha illuminato le nostre alture e la riunione, attorno alle tradizionali fiamme che risplendevano nel buio della notte, è stata anche una
chiara testimonianza evangelica nell’ascolto
della Parola di Dio.
Al Culto, presieduto dal Pastore Jahier che
ha parlato con vigore e convinzione sul testo
di Calati V, hanno partecipato i bambini delle
scuole con letture bibliche, canti e recitazioni
varie di circostanza, mentre la Corale, diretta
dall’infaticabile prof. Rivoir, ha dato il suo
prezioso contributo musicale con il canto degli
inni e con la meravigliosa esecuzione del
« Giuro di Sihaud » che ha veramente commosso i presenti che gremivano il Tempio.
Il pranzo in comune nella Sala Albarin, preparato con la solita perizia dai coniugi Gobelin e servito ottimamente dai giovani la cui
collaborazione è stata assai apprezzata, è stato
particolarmente affollato ed i vari messaggi
portati, al levar delle mense, dal Sindaco, dal
Pastore Ayassot. dal dott. Peyrot, dal dott.
Bounous, hanno detto a tutti la gioia di ritrovarsi insieme in una così solidale atmosfera di concordia.
Particolarmente applauditi i Pastori Jahier
e Rivoira che per tanti anni sono stati conduttori spirituali della nostra comunità ed ora
sono di nuovo in mezzo a noi. l’uno come Pastore interinale e 1 altro in emeritazione. circondati dalla stima e daU'affelto di tutti.
Molto apprezzato è stato pure il messaggio
inviato dal Pastore Taccia e l’applau.so col
quale è stato accolto è una chiara dimostrazione della simpatia che egli gode nella comunità che lo ha eletto e lo attende per dare a
lui ed alla sua famiglia il più cordiale benvenuto quale Pastore titolare.
Anche il Collegio di Torre Pellice ed il nostro Asilo dei Vecchi hanno avuto una parte
importante nei vari messaggi ed un segno
tangibile delPaffetto verso il nostro Istituto
di Sau Giovanni è stato dimostrato dall'esito
soddisfacente della lotteria organizzata a suo
favore dalla Società di Cucito.
La colletta al Tempio è stata interamente
devoluta a favore dell’Ospedale Valdese di
Torre Pellice e numerose firme sono state raccolte per chiedere che questo importante nostro Istituto possa continuare la sua funzione
nel quadro della legge Mariotti.
La giornata si è conclusa con la serata ricreativa organizzala dalla filodrammatica in
collaborazione con la Corale alla presenza di
un folto pubblico che ha seguito con vivo interesse le dizioni di poesie e prose alternate a
cori valdesi ed ha applaudito i bravi attori che
si sono esibiti in un radiogramma di V. Calvino. La serata c stata improntata al particolare
soggetto di jede, liberlà, testimonianza, ricordi ed ha avuto un successo lusinghiero.
Siamo grati al Signore della bella giornata
che ci ha conces,so e ringraziamo tutte le numerose per.sone che hanno consacrato tempo e
fatica alla riuscita della festa il cui ricordo
rimarrà per ognuna di noi in benedizione.
__ J] Gruppo Filodrammatico Valdese di
Angrogna, sotto la regia di V. Bertin, ha pre.sentato in gennaio, nella Sala Albarin, la commedia di H. Ibsen :«[/;! nemico del popolo y>.
l bravi e coraggiosi attori sono stati ap[>lauditissimi per l’ottima recitazione e per 1 impegno dimostrato nell’interpretare i non facili
personaggi di questa commedia.
Rinnoviamo la nostra gratitudine ai nostri
fratelli di Angrogna per la bella serata che ci
hanno fatto trascorrere.
__ Ringraziamo di cuore la comunità di
San Germano che. in occasione del Concerto
tenuto dalla nostra Corale nel suo Tempio,
ci ha ospitati con un ottimo e fraterno ricevimento.
Siamo inoltre riconoscenti al Pastore Bertinat ed ai suoi collahoralori per averci voluto
consegnare al completo la somma raccolta in
queU’occasione alla porta del Tempio e che
andrà devoluta a favore della nostra costrnenda Cantoria.
— II nostro Tempio è stato completamente
restaurato e rimesso a nuovo con la relativa
tinteggiatura delle pareti interne, riverniciatura delle porte, delle parti in legno e di tutti
i banchi.
Un plauso sincero alla nuova Commissione
Stabili che ha lavoralo con serietà e competenza ed un riagrai lamento particolare a
quei generosi membri ed amici della nostra
Chiesa che hanno contribuito a fare in modo
che questi lavori, noce--ari ed urgenti, potessero essere espletai' ]Non è stata una spesa
indifferente e la ( .onmiissione Stabili conta
ancora sulla generosità di altri parrocchiaiii
vicini e ‘lontani per colmare il deficit che rimane, specialmente d<'po le riparazioni al
Tempio del Ciabas -d alla Scuola dei Gonin.
_____ Un gruppo di giovani della nostra comunità si è organizzato per un servizio di
colportaggio nella zona e nella diaspora affinché tutti possano M-nire a contatto di quel
prezioso libro che i- la Bibbia e che ancora
oggi, e più che mai nel nostro tempo, parla
aU’uomo, lo illumina e lo aiuta a scegliere di
fronte alle sue difficoltà in ogni campo.
Questi giovani sono ben preparati ed hanno
accettato con grande entusiasmo la possibilità
loro data di recare ne'le case il messaggio
della Parola di Dio g
Prainollo
Favorite da un tempo magnifico, le celebrazioni del 17 Febbraio si sono svolte secondo lo schema tradizionale e con larga partecipazione di mernbri di chiesa. La sera della
vigilia sono stati accesi i c falò » che hanno
illuminato il vallone. La mattina del 17 il
corteo, quindi il culto di ringraziamento al
Signore con la predicazione centrata sulle parole dell’Apostolo Paolo: e Gesù Cristo ci ha
affrancati, perché fossimo liberi; state dunque
saldi e non vi lasciate di nuovo porre sotto il
giogo della schiavitù » (Calati 5 : 1). La Corale ed i bambini della Scuola Domenicale
portarono il loro rispettivo contributo col canto di due inni. All’uscita dal tempio colletta
in favore dell’Ospedale di Torre Pellice. Poi
un numero rilevante di commensali, circa 130,
fratelli e sorelle della comunità ma anche provenienti da altre chiese, s è ritrovato al Ristorante « Gran Trac » per il consueto pranzo,
ottimamente preparato e servito dai Sigg. Rostagno-Sappè, a cui va la nostra gratitudine.
Al levar delle mense hanno rivolto messaggi : il sindaco Dott. E. Maccari, i giovani
Paolo Gardiol di San Secondo e Fabrizio Malan di Luserna San Giovanni, studenti presso
il Collegio di Torre Pellice, che ci parlarono di quell’istituto e del problema dell’istruzione alle Valli, per cui li ringraziamo vivamente, ed il Pastore.
La giornata è terminata con la rappresentazione del dramma storico valdese : « La figlia
dell’anziano ». preparata con impegno dai giovani. La recita, ripetuta il pomeriggio di domenica 21 febbraio, è stata apprezzata dal numeroso pubblico che, con la sua presenza ed t
suoi applausi, ha voluto ricompensare gli allori e chi li ha seguili nel loro non lieve
lavoro. .
Ringraziamo ancora sentitamente i
Blanc, Panetteria Rue, per la « brioche »
offerta ai bambini e soprattutto tutte le persone che in vario modo hanno collahorato alla
commemorazione di questa giornata che, oltre ad invitarci a ricordare il passato, ci richiama a tenere fermamente quanto abbiamo,
facendolo rivivere nella costante testimonianza
della libertà che in Gesù Cristo Iddio vuole
accordare a tutti gli uomini.
Villar Pellice
La giornata del 17 febbraio è stala da noi
vissuta nel solito clima di fraternità, di gmia
e di riconoscenza. Il tempo piuttosto grigio
della mattinata del 16 febbraio induceva a
previsioni piuttosto pessimistiche circa la riuscita delle varie manifestazioni, ed invece tutto si è svolto nel migliore dei modi ed e
pienamente riuscito. Verso sera ®
nava quasi sereno ed ima grande fol a si riu
niva sul piazzale antistante il ponte te e
« Ruine » per assistere al « falò »e per u ire
il messaggio portatoci dall amico Dr. L. em*
di Torre Pellice. Il 17 hanno avuto luogo il
culto, le reeite preparate dalle scolaresche delle scuole elementari, il pranzo fraterno prò
parato e servito da un gruppo di volenterosi
fratelli e sorelle ■— ed al quale hanno partecipato molto numerosi i villaresi e parecchi
amici venuti da fuori, ed infine la serata ri
creativa preparata dai giovani con la presentazione del dramma a il ritratto senza fiori ».
Al termine del pranzo, dopo il saluto rivolto
dal Pastore ai numerosi commensali, sono stati
ascoltati due messaggi molto interessanti portatici il primo dal nostro fratello insegnante
Sig Paolo Frache che ha rievocato alcuni episodi sconosciuti di storia villarese ed il secondo da un altro fratello il Prof. E. Armand
Hugon, che ci ha parlato del Collegio Valdese.
Una giornata intensa, che ci ha procurato
gioia e ci ha permesso di sentirci vicini gli uni
agli altri in un sentimento di amore fraterno
e che ha lasciato in tutti un vivo ricordo.
Diverse famiglie della Chiesa sono state
ultimamente colpite dal lutto. Abbiamo infatti nel corso del mese di febbraio accompagnato al campo dell’ultimo riposo terreno le
spoglie mortali di: Susanna Charbonnier nata
Pontet, di anni 83 (Subiasco-Garin); Laura
Morglia, di giorni 23 (Centro); Lina Michelin
Salomon nata Grand, di anni 55 (Inverso);
Daniele Bertin, originario dell’Inverso e da
diversi anni stabilito con la sua famìglia a
Candido; Marcello Carlo Geymonat, dì anni
75 (Ciarmis).
Ai familiari tutti di questi scomparsi la
Chiesa esprìme la sua simpatia ed invoca su
di loro la consolazione e la pace di Dio.
Tutta la nostra riconoscenza anche ai Pastori Sigg.ri R. Jahier e G. Tourn, che hanno presieduto i due ultimi funerali.
Abbiamo ricevuto la visita del Pastore Sig.
R. Bertalot, Direttore della Società Biblica, di
Roma. Egli ha presieduto il nostro culto di
domenica 28 febbraio ed ha tenuto in seguito
una « causerie » ai nostri catecumeni confermandi di 4“ anno. Gli diciamo tutta la nostra gratitudine e formuliamo per lui e per
l’opera che egli compie tutti i nostri migliori
voti.
La nostra gratitudine va pure al nostro
Diacono Sig. Umberto Allio ed alla Corale che
hanno rispettivamente presieduto una riunione al Centro e al Serre.
Vogliamo pure ringraziare i giovani della filodrammatica di Bobbio Pellice per la bella serata offertaci ultimamente con la presentazione della commedia a Mamma », dovuta alla
rio Amedeo II, vennero venduti al conte Piccon della Perosa e dal figlio di questi, alla sua
morte avvenuta verso la metà del ’700, furono
legati ai Gesuiti perché ogni anno facessero
una missione tra i Valdesi. Quando nel 1763
i Gesuiti furono soppressi, sorsero delle liti
fra la Compagnia di S. Paolo, depositaria deUe
somme ricavate dai beni confiscati e il Vescovo di Pinerolo, finché nel 1914 si arrivò ad
una transazione in seguito alla quale l’Istituto San Paolo destinò 30.000 lire alla costruzione della Chiesa del Sacro Cuore degli Airali. A Torino venne creato il Rifugio per i
cattolicizzati che poi, per opera di Carlo Emanuele HI. si trasformò nell’Ospizio dei Catecumeni , da erigersi in Pinerolo. L’ultima opera sorta nelle Valli fu quella dei Prestiti, fondata nel 1739 con un capitale di 50.000 lire
di allora e destinata ad aiutare i cattolici che
intendessero acquistare i beni dei valdesi. Nel
1779 ne approfittarono 200 persone e qualche
anno più tardi 310. Nel 1844 venne inaugurata la Chiesa Mauriziana di Torre Pellice,
sorta per un’intesa fra Carlo Alberto e Mons.
Charvaz, vescovo di Pinerolo, e vi sì installarono 8 missionari, con lo scopo dì convertire
i valdesi, ma nonostante la loro opera, non ci
fu neppure una conversione, come del resto
furono molto scarse quelle ottenute dalle precedenti missioni.
E. A. U.
Domenica 14 marzo alle ore 17 avrà
luogo nella Foresteria Valdese di Torre Pellice una
TAVOLA ROTONDA
promossa dalla Lega Femminile Valdese e dalla Unione Cristiana delle Giovani sul tema:
Prospettive e problemi circa un
possibile ingresso della Chiesa Cattolica nel Consiglio Ecumenico
delle Chiese.
L'argomento sarà presentato dal pastore Paolo Ricca di Torino e dal sac.
don Mario Polastro di Pinerolo.
Tutti sono cordialmente invitati.
Pomaretto
Domenica 7 marzo è stato trattato il problema del cattolicesimo in riferimento al suo
ingresso eventuale nel Consiglio ecumenico
delle Chiese: la comunità è stata invitata a
riflettere sul problema in vista d’una prossima
discussione.
Al culto è stata battezzata Monica Ghiglione
di Carlo e Gloria Ribet, con invito fraterno
alla istruzione familiare della Bibbia per i
bambini e un invito alla preghiera.
Ringraziamo il Pastore Aime per le riunioni
quartierali ch’egli ha presieduto per interessare la comunità sull'opera degli Istituti.
Prossimamente avremo le riunioni seguenti :
Sabato 13 riunione biblica a Perosa presieduta dal Pastore Tourn.
Domenica 14: ore 14,30, Paola Ribet Revel
parlerà ai genitori della comunità sul problema dell’età evolutiva dell’adolescenza. Nello stesso pomeriggio un gruppo di mamme
prenderà parte alla riunione di preghiera a
Prali.
Mercoledì 17, ore 20,30: riunione alla
Paiola.
Giovedì 17 : riunione ai Masselli.
Venerdì 19, ore 20 : riunione del Concistoro
e responsabili alla Sala delle attività.
penna del Pastore E. Corsani,
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii tiiitiiiitiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimitiiiitiniiiiiiiiMiii
B4MBINA RACCONTA
UNA
Sono andata a vedere i falò ieri sera;
c’era tanta gente attorno a quel fuoco;
le fiamme salivano in alto, in alto e tutti guardavano quelle fiamme carne attratti da una forza magica; anch’io sono restata a lungo a guardare e non me
ne volevo andare; nel villaggio sembrava un mondo di fate, di luci, di gente che si muoveva a gruppi, con l’aria
festosa.
Il giorno dopo mi sono alzata molto
presto; nelle strade nessuno; poi d’improvviso fanciulli con le coccarde e una
gran folla: bambini festanti, una banda, dei costumi, tanti costumi e poi
sono tutti partiti, in ordine, dietro la
musica, lungo le strade del mio villaggio. Poi, sono scomparsi; dopo un po'
IIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
Zurigo
Come di consueto, anche la Chiesa evangelica (li lìngua italiana dì Zurigo ha ricordato
raniiivcrsario del 17 febbraio. Al mattino, la
domenica 21. il cullo con santa cena è stato
celebralo neU’antica chiesetta di Wiedìkon, che
ospita la comunità per le sue assemblee cultuali. Il culto è stato presieduto dai pastori G.
Rogo, Puglisi c J. R. Mattbey; quest’ultimo
ha predicato il testo : « La verità vi farà liberi » (Giovanni 8; 32); toccante il canto dei
vecchi inni valdesi, con la partecipazione della
corale svizzera.
La riunione pomeridiana ha raccolto nella
nuova e bella Casa comunitaria sulla Uetlibergstrasse molti membri di chiesa e ospiti venuti anche dì fuori città, da Basilea, Wintertlìur. Frauenfeld e Dietikon; oltre a rivolgere
loro il saluto, il past. Bogo ha tenuto una conversazione sul tema: «Vivere nella libertà».
Ai brevi messaggi di saluto di vari ospiti si
sono alternate recite e canti: conclusione, in
familiare cordialità, di una bella giornata d'incontro fraterno. W.
Un sogno
sono andata a vedere verso il tempio:
la folla era raddoppiata ed è entrata in
chiesa. Le mosche non ci stavano più.
Un uomo vestito di nero ha parlato e
tutti erano attenti come se fosse la
voce del buon Dio; le parole calavano
taglienti su quei volti raccolti. Ho sentito dei cori: erano belli e mi pareva di
essere in un altro mondo. Poi, la gente
è uscita dietro la banda, sono andati
all’ospedale; anch’io sono andata a vedere: ai balconi grappoli di donne, di
vecchi malati che guardavano incuriositi verso quella gente in festa; poi le
bande hanno suonato e tutti quei malati sembravano cambiati, per un momento, lontani dai loro guai, dai loro
pensieri tristi. La mamma mi ha portato ai pranzo; anche lì c’era tanta gente e tutti sembravano contenti, con
tante vivande sotto gli occhi. La sera
sono andata al teatro; anche lì la stessa folla, rideva, scherzava; non pensavano a nulla; erano felici perché non
dovevano pensare.
La domenica dopo, la mamma mi ha
portata ancora in chiesa. Ho domandato alla mamma: dov’è andata tutta
la gente che ahbiam visto qualche giorno fa? La mamma mi ha guardata a
tutta seria m’ha risposto: "È in viaggio, ma ritornerà ancora, forse fra un
anno, non lo so". L’uomo vestito di nero guardava nel vuoto... nei banchi;
parlava di tante cose: diceva che le
cose vanno male, mancano i soldi per
gli asili, per le opere per i vecchi; mancano tanti soldi per la chiesa perché
manca la fede, manca l’amore, manca
la gioia di servire il Signore, manca la
gioia di udire la Parola di Dio.
Sono uscita dalla chiesa; ero triste.
Ho guardato la mamma e le ho detto:
« Mamma, sai, qualche giorno fa ho
fatto un sogno, un bellissimo sogno;
ma ormai è svanito ». Valdesina
6
pag. 6
N. II
12 marzo 1971
I NOSTRI GIORNI
UOMINI, FATTI, SITUAZIONI
L’obiezione di coscienza
alla televisione
Abbiamo assistito sere fa al dibattito in televisione sull’obiezione di coscienza. Vorremmo subito precisare
che se per accidente dovessimo incorrere nelle maglie del codice non ci affideremmo certamente all'avvocato difensore dell’o.d.c., che ne è uscita piuttosto malconcia. Basti dire che la trasmissione è finita in un « embrassons
nous » generale e con l’idea in comune
che, certo, non è possibile che quei
quattro gatti dei Testimoni di Geova
e pochi altri individui isolati continuino a passare anni e anni in galera e
che bisogna far qualcosa per loro.
Il vero problema è stato appena accennato, e lasciato cadere. Alludiamo
al concetto di « guerra difensiva » di
cui parleremo più avanti. Praticamente, salvo un intervento in extremis dell’obiettore cattolico Fabbrini, dopo una sua precedente dichiarazione, chiaramente ■« amputata », il tema è stato
limitato al fatto che si deve riconoscere (d’accordo anche l’accusa) al cittadino cattolico o di altra confessione il
diritto al rifiuto delle armi mediante
un servizio civile sostitutivo se le sue
convinzioni religiose glie lo impongono.
La conclusione è fin troppo ovvia;
se la cosa dovesse essere incanalata in
questo senso e se si dovese varare una
legge che consideri solo l’obiezione religiosa si verrebbero automaticamente
a creare — una volta di più — cittadini di prima e di seconda categoria, con
un inammissibile « privilegio » per i
credenti. Oltre tutto, sarebbe anche una legge illogica in quanto essa non
ammetterebbe che una persona possa
rifiutare di impugnare le armi non per
motivi religiosi, ma per convinzioni di
indole morale, sociale, politica (politica, non partitica). Per convinzioni politiche intendiamo quelle che riguardano la « polis » e cioè la comunità, nazionale o internazionale.
Se la difesa dell’o.d.c. non è stata
molto brillante, anche l’accusa, secondo noi, non ha ottenuto risultati molto
apprezzabili. Un testimone d’accusa e
cioè il deputato liberale De La Penne,
medaglia d’oro dell’ultima guerra e
considerato eroe nazionale, doveva dimostrare che il servire la patria in
guerra, oltre che essere un sacro
dovere, è anche una cosa che dà molta
soddisfazione e fierezza: il fatto è che
si sono dimenticati, nel caso specifico,
che il succitato signore i suoi atti di
eroismo li ha compiuti non nell’intento
di difendere la patria, ma in occasione
della guerra fascista di aggressione.
Il deputalo si è poi detto favorevole
all’abolizione della coscrizione obbligatoria dei militari: questa soluzione
sarebbe ancora peggiore dell’attuale sistema in quanto la creazione di un
esercito di mestiere o mercenario che
dir si voglia evidentemente sarebbe la
garanzia della fedele esecuzione di qualunque ordine provenisse dall’alto, legittimo o illegittimo.
Per quanto riguarda il dibattito vero
e proprio, si può dire che sia stata sufficientemente presentata l’idea di guerra giusta: si tratta — è stato affermato
da uno psicologo — di una parola di
comodo; sarebbe assai meglio parlare
di « giustificazione » della guerra. Hitler ha giustificato la sua aggressione
alla Polonia dicendo di essere stato
lui stes.so aggredito!
Ma un punto che è mancato totalmente alla discussione è stato quello
relativo alla guerra di difesa. È stato
cioè « moralizzato » al massimo dai
contrari all’o.d.c. il concetto del dovere sociale e morale di difesa della patria aggredita. A questo proposito i
difensori ufficiali dell’o.d.c. hanno mancato al loro compito: non hanno confutato (o non hanno potuto farlo?) il
fatto che oggi non è più assolutamente
possibile parlare di guerra di difesa.
Tutte le bombe — atomiche e non —
che si stipano negli arsenali militari
del mondo sono « difensive » e pronte
a causare milioni e milioni di morti,
quando non addirittura a cancellare la
vita dalla faccia della terra. Qual’è, oggi, la nazione aggredita che non si difenderebbe seminando il terrore e la
morte con bombardamenti in territorio nemico? Gli esempi non mancano.
Si pensi alla guerra del Vietnam che,
di fase in fase, si è estesa in tutta l’Indocina, trasformata in un immenso
braciere (in una nuova superficie lunare, dicono i testimoni) con centinaia di
migliaia di morti. Si pensi alla guerra
del Medio Oriente: gli israeliani hanno sempre asserito che la loro era una
guerra di difesa, ma i bombardamenti
che hanno fatto uccidendo scolari e
operai civili, da che cosa li difendevano? E i territori che ora pretendono
di non restituire, .solo per il diritto del
più forte?
Ritornando all’o.d.c., secondo noi è
chiaro che essa deve essere riconosciuta in quanto si manifesti come totale
opposizione alla guerra ed agli eserciti
che ne sono la componente essenziale.
Opposizione totale, dicevamo, e cioè
contro tutti gli eserciti di questo mon
Direttore responsabile: Gino Conte
do. Solo in questo modo, secondo noi,
e nella sofferta speranza che l’o.d.c.
venga riconosciuta a livello mondiale,
si potranno creare dei vastissimi e liberi movimenti, anche unilaterali, ma
per questo tanto più « profetici » che
dal basso impongano a chi li governa
una politica di disarmo e di pacificazione internazionale.
L’emigrazione nel 1970
Sono 191 mila i cittadini italiani che
nel corso del 1970 sono stati costretti
ad emigrare fuori patria per trovare
del lavoro: di questi, 156 mila si sono
recati in paesi europei e gli altri 35
mila in quelli extraeuropei.
In Svizzera il flusso migratorio dello
scorso anno è diminuito del 20 per cento, probabilmente a seguito della iniziative xenofobe che si sono avute in
quel paese. I connazionali emigrati nella vicina Confederazione, che erano
stati 80 mila nel 1969 sono stati 65
mila nel 1970.
Per quanto riguarda le tendenze .generali più recenti nella distribuzione
geografica dei flussi migratori, esse sono rimaste inalterate. La Comunità economica europea, con 85 mila immigrati,
ha assorbito il 55 per cento del movimento europeo e il 45 per cento del movimento complessivo.
Il paese di maggior assorbimento
della manodopera italiana è rappresentato dalla Germania federale con 70
mila persone. Al secondo posto è la
Francia con circa 10 mila. Seguono nell’ordine il Belgio con 3 mila unità, il
Lussemburgo con 1.600 e i Paesi Bassi
con mille.
Verso la Gran Bretagna, al di fuori
dell’area comunitaria, gli emigrati sono
stati 4 mila.
Per quanto riguarda i paesi extra
europei, il primato tocca al Canada e
agli Stati Uniti: nel primo sono emigrati ca. 5 mila italiani, mentre nel
secondo ne sono andati ca. 20 mila.
In Oceania vi sono stati ca. 8 mila
emigrati, mentre in Afiica gli espatrii
sono stati di mille persone.
Sempre a proposito di emigrazione, è
stata presentata a Neuchâtel — al parlamento cantonale — una proposta di
legge tendente a introdurre il diritto di
voto e di eleggibilità per gli stranieri,
a livello cantonale. La proposta è di
un deputato socialista che tende a reintrodurre per gli stranieri domiciliati
nel cantone gli stessi diritti politici che
erano già stati stabiliti con la legge del
1874, e poi limitati, nel 1944, a livello
comunale.
Anche in Belgio qualcosa si muove
allo scopo di poter dare giustamente
ascolto e udienza alle istanze delle numerose forze immigrate; il 21 marzo
— e questo è il terzo esperimento che
si attua in Belgio — nella citta di
Cuesmes, nella regione di Mons, gli
stranieri andranno alle urne per eleggere il Consiglio consultivo comunale
e vale a dire un organismo rappresentativo dei lavoratori immigrati che affianchi, sia pure solo a livello consultivo, il consiglio comunale nell’affrontare
le questioni di carattere generale.
Ci paiono questi dei segni significativi della costante azione delle organizzazioni sindacali degli emigranti, vólti ad
ottenere la loro piena partecipazione a
tutti gli aspetti della vita dei comuni
dove essi abitano, lavorano e producono.
Roberto Peyrot
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
Rcf;. al Tribunale ili Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (Torino)
STATO E CHIESA IN POLONIA
Mercoledì 3 c. il cardinale Wyszynski, primate di Polonia, ha fatto visita al primo ministro Piotr Jaroszewicz. La « Gazette de Lausanne » del
5 c. non esita a chiamare « storico »
quest’avvenimento.
« È la prima volta, in 25 anni di regime comunista in Polonia, che il capo
della Chiesa e il capo del Governo si
incontrano ufficialmente. Prima avevano luogo soltanto dei contatti a livello
di Commissione Stato-Chiesa, e per di
più molto raramente.
L’incontro di mercoledì è interpretato dagli osservatori come atto d’evidente volontà, da entrambe le parti, di
superare gli ostacoli accumulatisi da
anni e d’arrivare a un modus vivendi
durevole, fra Stato comunista e Chiesa cattolica in Polonia. Gli stessi osservatori non escludono che il viaggio
a Mosca (la settimana scorsa) di
Mons. Casaroli, capo della diplomazia
vaticana, viaggio ugualmente senza
precedenti negli annali del dopo-guerra, abbia facilitato il colloquio fra il
cardinale Wyszynski e il ministro Jaroszewicz. (...)
Pertanto i due interlocutori, in un
incontro durato un po’ più di tre ore,
devono aver passato in rivista l’insieme dei problemi posti dalla vita della
Chiesa in un paese rimasto profondamente cattolico, ma il cui regime è comunista. I rapporti Chiesa-Stato, in
Polonia, erano divenuti, ai tempi dell’antica direzione Gomulka, sempre
più difficili. Il punto culmina le della
tensione era stato raggiunto nel 1967,
in occasione della celebrazione del millenario della Polonia. Le due potenze,
civile e religiosa, s’erano affrontate
con violenza e, dopo quell’epoca, la
tensione dei loro rapporti non s’era
più attenuata.
La visita del generale de Gaulle, nello stesso 1967, aveva messo in evidenza quelle difficoltà. Infatti, malgrado
il suo grande prestigio, il generale non
aveva potuto incontrare il cardinale
Wyszynski, e ciò a causa dell’opposizione personale di Gomulka.
Subito dopo essere entrato in funzione, il 20.12.’70, il sig. Gierek, nuovo
primo segretario del partito, preoccupato del futuro dell’unione nazionale,
lanciò un vibrante appello alla collaborazione di tutti, "credenti e non-credenti". Alcuni giorni più tardi, il primo ministro Jaroszewicz dichiarava al
Parlamento che il suo governo intendeva avviare la normalizzazione dei
rapporti fra la Chiesa e lo Stato polacco ».
« Le Monde » del 6.3.’71 comunica poi
che il cardinale Wyszynski ha riferito,
in un’intervista con l’episcopato, sull’esito del suo incontro col .laroszewicz.
Tale intervista è durata ben sette ore.
« Secondo un comunicato, pubblicato
il 5.3 dall’episcopato, “si delineano le
prospettive d’urta normalizz.az'one graduale fra Chiesa e Stato" (...) ».
Fra i problemi trattati, quello della
« restituzione dei beni religiosi, e quello dello statuto delle diocesi nei territori tolti alla Germania. La promessa
d’una restituzione era stata fatta il
25.1 u. s. dal governo, ma le modalità
dell’operazione saranno precisate in
una legge che sarà presentata al Parlamento nel corrente mese di marzo.
Informazioni di parte ecclesiastica
dicono che tutti i beni già requisiti al
la Chiesa e messi poi a disposizione d:
questa, beni attualmente soggetti a tasse e ad imposte, che sollevano innumerevoli contestazioni, verranno restituiti. Si tratta, in particolare, di chiese, di cappelle e di presbiteri, insieme
ai terreni che li circondano.
Rimane da risolvere il problema dei
beni della Chiesa lasciati in abbandono fin da 25 anni fa, beni che non sono
stati citati nel progetto governativo.
È il caso della magnifica cattedrale di
Szezecin, le cui mura calcinate si ergono nel centro della città. Lo Stato,
al contrario di C’ò che ha fatto un po’
dappertutto altrove, non ne ha neppure ricominciata la ricostruzione. E la
Chiesa, che non ne ha la proprietà, è
rimasta impotente.
V’è pure il problema della delimitazione delle diocesi nei vecchi territori
tedeschi, problema la cui soluzione dipende dal Vaticano. Esso implica il riconoscimento della linea Oder-Neisse.
Si dice a Varsavia, in proposito, che
la Chiesa polacca s’astiene, per il momento, dal sollevare apertamente questo problema, e ciò per non fornire un
argomento supplementare a coloro
che, nella Germania Occidentale, sono
contrari alla ratifica del trattato con
la Polonia. Tale punto di vista sarebbe condiviso dalle autorità civili, secondo le quali la ratifica del trattato
dovrebbe permettere al Vaticano di
normalizzare finalmente l’amministrazione religiosa nei territori annessi.
Negli ambienti cattolici di Varsavia
si ritiene che la distensione, iniziatasi
nei rapporti fra le autorità comuniste
e la Chiesa polacca, non può mancare
d’essere incoraggiata dal Vaticano. I
prossimi viaggi a Roma di Mons. Kominek, arcivescovo di Wroclaw, del
cardinale Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, e di Mons. Dambrowski, segretario dell’episcopato polacco, dovrebbero portare elementi nuovi ».
TIRANNIA NEL PARAGUAY
« Secondo informazioni provenienti dal Paraguay, alcuni membri de'
partito governativo "Colorado" avrebbero chiesto, durante una riunione col
capo della polizia del dipartimento di
Misiones, l’eliminazione della “Lega
Agraria Cristiana" (istituita per il rniglioramento delle condizioni di vita
dei contadini).
Sarebbe stata decisa la “liquidazione fisica" dei dirigetiti della Lega, preti o laici. Sarebbe stalo anche compilato un elenco, comprendente i nomi
dei RR. Padri Ranulfo Portillo, Noberto Bellini, Ramon Cradozo, Vicente Bárrelo, e quelli dei dirigenti laici
Corano Coronel, Guiermo Arguello,
Giulio Paiva e Costantino Coronel.
La Lega Agraria Cristiana, più precisamente, intende lottare contro le ingiustizie sorte da una suddivisione della proprietà agricola, suddivisione che
mette nelle mani dei latifondisti il 76
per cento del territorio paraguayano.
Nella sua ultima dichiarazione (dicembre 1970), la conferenza episcopale
paraguayana aveva denunciato l’accaparramento di “grandi distese di terre, da parte di alcuni potenti", accaparramento che provoca: 1) l’esodo di
numerosi contadini dal paese; 2) le
lotte del potere contro preti e vescovi;
3) gli “attentati all’integrità fisica dei
prigionieri", in certi comnvssariati di
polizia ».
(Da «Le Monde» del 1.3.1971).
Tra il martello e la falce
Esperienza personale di un incontro con gli ebrei dell’URSS
In questi giorni l’attenzione dell’opinione pubblica dell’Europa occidentale
è particolarmente rivolta agli ebrei residenti nell’U.R.S.S.: vi è stato un congresso ebraico internazionale a Bruxelles, un corteo di 2.000 ebrei a Londra a
favore dei correligionari in Russia, una
conferenza a Torino e altrove su questo tema. Per essere informati sulla situazione attuale degli ebrei in Russia
abbiamo un libro tradotto in italiano
(ed. Barulli, Roma 1971) Tra il martello e la falce, scritto da un ebreo. Arie
Eliav, nato in Russia ed emigrato in
tenera età con la famiglia in Israele.
Arié Eliav è stato amico e collaboratore di Levi Eshkol, ha avuto ruoli importanti neH’amministrazione del governo israeliano, fu primo segretario
dell’ambasciata d’Israele a Mosca dal
1958 al 1960, e come tale conosce da
vicino i problemi di cui parla nel suo
libro; infatti il sotto-titolo che egli dà
al volume è: « esperienza personale di
un incontro con gli ebrei dell’U.R.S.S. ».
Dopo la guerra dei sei giorni l’Unione
sovietica ha rotto i rapporti diplomatici con Israele ed ha iniziato un’intensa
campagna anti-israeliana; migliaia di
ebrei dell’U.R.S.S. hanno chiesto negli
ultimi anni il permesso di andare in
Israele, ma questo è loro stato costantemente negato nella stragrande maggioranza dei casi. Tuttavia gli ebrei
sono riusciti a fare udire la loro voce
attraverso organi internazionali come
l’O.N.U., la Commissione per i diritti
dell’uomo ecc., non senza pericolo personale, denunciando un modo di procedere che viola apertamente i diritti
dell’uomo, garantiti peraltro dalla stessa costituzione sovietica. Non sono più
soltanto gli anziani ad avere nostalgia
della patria ebraica, ma anche le nuove
generazioni, che si esprimono attraverso documenti di notevole importanza
intellettuale e morale: « Sono ebreo e
voglio vivere in Israele — scrive un
ingegnere elettronico a Breznev nel
1968 — è un mio diritto, è il mio sogno,
è lo scopo di tutta la mia vita... Desidero che i miei figli studino a scuola in
ebraico, desidero leggere giornali ebraici, assistere a spettacoli in un teatro
ebraico. Che c’è di male? qual è la mia
colpa? lasciatemi partire, la mia richiesta non è contraria alla legge sovietica ». Un altro scrive: « Non vedo alcuna possibilità di riconoscere un governo che non riflette i miei diritti, e mostra con la sua politica ostilità al mio
paese. Vi prego, riprendetevi le onorificenze che mi avete assegnato, e vi
dico: lasciate partire il mio popolo ».
Naturalmente in seguito a centinaia
di lettere di questo genere, le cui copie sono giunte all’estero, le autorità
sovietiche hanno ripreso in maniera più
vivace le ostilità contro gli ebrei, e l’autore esclama: « l’Unione sovietica deve
arrestarsi al limite della persecuzione
anti-ebraica, non solo nell’interesse degli ebrei, ma nel suo stesso interesse,
perché la storia moderna dell’Europa
insegna che tale persecuzione è solo il
primo atto di più ampie tragedie ».
* * *
Mentre in Russia- sono riconosciute
le varie nazionalità che compongono il
grande Stato: russi, ucraini, lettoni, lituani, bielorussi, moldavi, georgiani
kirghisi ecc., e anzi vengono incoraggiate a mantenere i loro costumi, il linguaggio, il folklore, la tradizione — se
pur sempre sotto la vigile sorveglianza
degli organi centrali —, agli ebrei non
è riconosciuta né la nazionalità né la
religione. Dovunque l’Unione sovietica
ha eretto monumenti alla memoria dei
suoi figli caduti in guerra, ma non agli
ebrei; è assolutamente proibito commemorare gli ebrei caduti al fronte, e
molte volte, se un ebreo sfoggia medaglie al valore meritate in guerra, viene
belTardamente richiesto su quale mercato dell’Asia centrale le abbia comprate, volendo significare che gli ebrei sono tutti fuggiti lontano dai pericoli della battaglia, e lì hanno poi acquistato
le medaglie che impudentemente si appuntano al petto. Dopo i sette anni neri dei massacri degli ebrei compiuti da
Stalin, era venuto il cosidetto disgelo
sotto Kruscev, ma anche allora, come
adesso, la chiusura di molte sinagoghe,
il divieto di fare pani azzimi per la Pasqua, il lavaggio del cervello per quei
genitori e rabbini che praticano la circoncisione, la rinuncia al rito ebraico
dell’entrata del ragazzo nella maggiore età e al matrimonio religioso ebraico sotto pena di rimanere tagliati fuori dalla società e dalla vita sovietica, e
perfino la difficoltà di ottenere cimiteri stabili, o nuovi cimiteri quando i vecchi sono colmi, dimostrano abbastanza come l’ebraismo non sia neppure riconosciuto in Russia come religione. A
proposito di cimiteri 1 autore desciive
10 spettacolo inconsueto e ti agico dei
raduni degli ebrei nei campi del riposo- questi infatti sono rimasti i pochi luoghi ove essi si possono incontrare: «a migliaia gli ebrei si recano
ogni settimana a visitare i cimiteri di
Riga, Vilna, Kishinev, Minsk, Mo.sca,
Leningrado, per incontrarsi. Chi non
ha visto — esclama Ariè Eliav — questi spettacoli, non ha visto la tragedia
di una società umana atomizzata e dispersa, che cerca un modo per ritrovarsi e fa dei suoi morti uno .scopo che
11 riunisce, un’occasione per vedere altre famiglie ebraiche, per parlare, per
non sentirsi tra estranei ». Mentre altri
grandi gruppi relitriosi esistenti in Ru.s
sia, come l’Islam o gli Armeni, ed anche gli Ortodossi che fanno bella mostra di sé nelle parate ufficiali delloStato, sono tenuti in qualche considerazione, anche se lo Stato se ne serve per i suoi fini particolari, per gli
ebrei vi è un regime di continue vessazioni, che possono rapidamente degenei-are in aperta persecuzione. Un po’
migliore appare la situazione degli
ebrei della fascia orientale deH’URSS:
per es. gli ebrei del Caucaso, viventi
ancora in grandi famiglie patriarcali.
* * ★
Il gruppo ebreo sovietico è per numero il secondo dei grandi grupni
ebraici nel mondo: sono più di tre milioni sparsi su tutto il territorio delrU.R.S.S., e costituiscono un tipico
elemento urbano, dato che nelle grandi
città è più facile mimetizzarsi per ogni
evenienza. Nella società sovietica essi
fanno parte in genere della classe media, sono numerosi in tutti i gradi della
scala scientifica, per quanto sistematicamente e subdolamente il loro accesso all’università venga ostacolato a favore dei russi, anche se i loro voti sono
migliori; occupano posti di responsabilità nel settore economico. La riuscita in questi rami presenta però il
grave inconveniente che nei reati economici le autorità tendono a dare sempre la colpa agli ebrei: « la pubblicazione dei nomi degli ebrei accusati di
essere capi banditi acquista una tinta
anti-semitica che le masse fanno subita
propria — scrive Eliav ■—; gli ispiratori di questa politica cercano il modo di
mettere insieme elementi ebraici diversi e colpire più bersagli in una volta: se si dice al pubblico che il mercato
nero della valuta estera in una data città si concentra nella sinagoga locale, se
si racconta che nel manto di velluto
che avvolge il rotolo della Torà sono
stati trovati dollari rubati e che il vecchio rabbino è un complice della banda di ladri, se a tutte queste storie si
collega un turista israeliano, il gioco è
fatto: la parola ebreo prende il significato di ladro potenziale, legato ad una
religione reazionaria, con compari nell’ostile mondo capitalista ».
* W *
Nella conclusione del libro l’autore
cerca di rispondere a questi tre interrogativi: che cosa vuole il governo
sovietico dagli ebrei? che cosa vogliono
gli ebrei sovietici e che cosa vogliono
gli ebrei del resto del mondo riguardo
a questo problema? E’ assai interessante ed istruttivo seguire questa disanima della situazione, da cui risulta
che circa un milione di ebrei sarebbe
immediatamente disposto a lasciare
l’Unione sovietica. « Una cosa è certa
— scrive ancora Eliav —, la questione
degli ebrei, soprattutto a causa della
lotta condotta dagli ebrei del mondo,
ha cessato in Russia di essere una questione puramente interna; è chiaro che
i capi sono ora costretti a discutere e
a decidere la linea da seguire ». Lo Stato sovietico non lascia partire gli ebrei
innanzi tutto perché è uno Stato chiuso, da cui non è permessa l’emigrazione, e perché « com’è possibile intrattenere anche soltanto il pensiero
che nella società comunista — la migliore, la più umana, la più perfetta
società — vi siano masse di cittadini
insoddisfatti? ». Secondo Eliav l’URSS
dovrebbe invece agire come la Polonia
che ha lasciato ai suoi sudditi ebrei la
scelta di rimanere o di partire.
Intanto, non appena qualche turista
da Israele giunge in una qualsiasi città dell’Unione sovietica, ed è facilmente riconosciuto dagli indumenti che
porta, dalle borse del viaggio aereo con
la scritta « Israel », viene rapidamente
accostato da ebrei con passo furtivo i
quali come per domandargli l’ora, gli
sussurrano con angoscia soffocata:
« perché, perché ci avete dimenticati? ».
Essi che vivono là, continuamente sospe.si tra il martello che percuote e la
falce che distrugge. Edina Ribet
Ariè Eliav - Tra il martello e la falce
Editore Barulli. Roma 1970.
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIillll
Storia valdese «ecumenica»?
(segue, da pag. 2)
opera delle missioni, gli interventi armati, le vere e proprie crociate, l’esca
del guadagno, l’intolleranza delle leggi. hanno dato sì e no qualche decina,
forse qualche centinaio di conversioni
valdesi attraverso i secoli; dall’altra
parte stanno a migliaia i perseguitati,
esiliati, imprigionati, torturati, ecc...
È troppo chiedere che non si adoperino i termini degli editti secenteschi
nei quali i Valdesi apparivano gli eterni ribelli c sediziosi, incorsi nell’ira di
Dio e nella lesa maestà, ecc. e che si
veda nella loro lunga vicenda una nobile lotta per la libertà di coscienza,
un disperato amore per la piccola
patria, una continua sfida nella difesa
della sopravvivenza fisica, una costante voce di condanna per le violenze
operate nel nome di Dio?
La storia del passato ci insegni almeno questo: che le idee si combattono con idee migliori, ché tanto, come
si sa, non si possono fucilare; e la
tolleranza, o la pace confessionale, o
l’istanza ecumenica, ci aiutino almeno
a trovare un linguaggio che non suoni
inutile offesa o antica nostalgia...