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LA BUONA NOVELLA
GIORNALE DELLA EVANGELIZZAZIONE ITALIANA
Seguendo la verità nella carità. “ Efe3. VI. 16.
PREZZO DI ASSOCIAZIONE ^ LE ASSOCIAZIONI SI RICEVONO
Per lo Stato [franco a destinazione}____£. 3 00 < In ToRixoairrfBzio del Giornale, via del Priucipe
Per la Svizzera e Fi-aacia, id........... „ 4 25 i Tommaso dietro il Tempio Valdese.
Per l'Inghilterra, id................... „ 5 50 ^ Nelle Provincie per mezzo di franco-bolli po
Per la Germania id................... „ 5 50 ì «ia?/, che dovranno essere inviati franco al Di
Non si ricevono associazioni per meno di un anno. rettore della Buona Novblt>a.
Air estero, a’seguenti indirizzi: Parigi, dalla libreria C. Meyrueis, me Rivoli;
Ginevra, dal signor E. Beroud libraio ; Inghilterra per mezzo di franco-bolli
inglesi spediti franco al Direttore della Buona Novella.
SOMMAKIO
Una Chiesa-Stato, uno Stato-Chiesa. — Una lettera inglese sulla questione italiana. — Origine delle
indulgenze. — La settimana dopo Pasqua. — Cronaca della quindicina.
TTNA CHIESA-STATO, UNO STATO-CHIESA
Gli A rchivj del Cristianesimo ci perdoneranno se facciamo nostro
il seguente articolo, pubblicato neHultiino loro numero, e uel quale
la condizione lagrimevole imposta dal papato alla povera nostra Italia, viene con molta maestrìa e grande v^erità accennata:
“ Se la prendono con il papato; poiché è desso che queste due
parole le ha accozzate assieme, e che deve reputarsi, in sostanza, la
cagione del grande litigio tra la Chiesa-Stato e lo Stato-Cliiesa.
L’Italia, per non parlare che dell’Italia, o meglio il di lei clero,
ha soffocato nel sangue e precipitato nelle i^mme dei roghi gli
uomini di Dio che si facevano presso di lei b;Ì*^itori dell’Evangelo
della salvazione; da secoli essa pur troppo por^la pena di quel delitto. Indarno scrittori eminenti, amici al pacato, hanno dipinto
le miserie inaudite da cui uno fra i piii bei paesi del mondo è travagliato, ed i rimedj, secondo loro, atti a sanarle; indarno furono, da
mani potenti, tentati gli sforzi piii generosi onde sollevare l’Italia al
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rango delle nazioni in via di progresso. Tutto fu inutile. Una rigenerazione per via del puro Cristianesimo sola potrebbe compiere un
tal portento.
“ Se v’ha nel mondo paese che la nozione dello Stato per mezzo
della Chiesa Romana avesse dovuto realizzare, sarebbe quello che
trovasi posto sotto l’influenza immediata e diretta del goveni»
papale. Colà, finanze, armate, coscienze, pubblica istruzione ec. ec.
ogni cosa sta in mano al Governo. Oltre i fili che possiede un governo civile normale, dispone questo, più di qualunque altro, della
grande, immensa leva religiosa; questa leva egli la tiene con mano
ferma, e qualsiasi credenza all’infuori della sua è posta all’indice. È
in. tutta la forza del vocabolo, una Chiesa-Stato, uno Stato-Chiesa.—
Or bene, si è spaventati solo nel lecere ciò che di un tal paese
scrissero uomini meritevoli di ogni credenza. Il quadro che quegli
scrittori, alcuni dei quali romanisti, hanno abbozzato dei costumi,
dell’ignoranza e della condizione in genere di questo popolo sventurato, addolora e stringe il cuore.
“ A Eoma, dice Malte-Brun, la vita abituale può dirsi ima lunga
“ quaresima, tanto i doveri esterni della religione vengono con pun
“ tualità eseguiti...... Ma, all’epoca del Carnovale, tutto cambia
“ d’aspetto. Roma non è più la stessa...... Si veggono, durante quei
“ giorni di pazzìa, giovani abbati, gravi magistrati, perfino dei Mon“ signori, andare, mascherati, in traccia di avventure. Ognuno le
“ ricerca, sì nell’ uno che nell’ altro sesso, persuasi che alcuni mo“ menti d’errore saranno facilmente espiati dalle penitenze e dalle
“ sante privazioni della quaresima. "
— Sentiamo ora l’abbate Lamennais: “-Ovunque, in Italia, offende
“ lo sguardo, uno spettacolo doloroso, una stimate di servitù. La mi“ seria pubblica, che colà si fa palese sotto mille aspetti scMfosi, è
“ un perpetuo contrasto colla ricchezza natia del suolo. Pigrizia, apa“ tìa, infingardaggine, ignoranza, noncuranza, ecco quello che col“ pisce a primo aspetto. La religione essa stessa, di cui le passate
“ magnificenze riempiono di maraviglia, pare non essersi adoperata,
“ da dieci secoli in qua, che a scavarsi un vasto sepolcro. Esalasi da
“ Roma non sò quale atmosfera sepolcrale che ti snerva e ti addor“ menta e l’anima culla nei vaneggiamenti deU’ultimo sonno. Si può
“ venir là per morire, ma non già per vìvere, chè di vita havvene
“ appena un'ombra. Nissun movimento, se non se il movimento la“ tente di un”^ infinità di piccoli interessi che strisciano, incrocic“ chiandosi, in seno alle tenebre, come vermi in seno al sepolcro.
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“ Potenza e popolo ti appajono come ombre del passato. La città
“ regina, seduta in mezzo al deserto, è divenuta la città della morte
“ che vi regna in tutta la sua possanza e maestà formidabile. Il ri“ poso, l’ozio, il sonno, da quando a quando interrotti da spettacoli
“ atti a ridestare i sensi, ecco la felicità quale viene colà concepita
“ da esseri che chiamansi uomini. Nisauna vita pubblica; niente
“ quindi che spinga ad una nobile attività; nulla di sociale. Il re“ girne stabilito è da ogni parte respinto nel sordido interesse. Sorta
“ di derisione della Eoma antica, sul palazzo del governatore, carica
“ sempre affidata ad un Monsignore, leggesi il monogranuna famoso
“ S. P. Q. E. di cui la traduzione più e.satta è quella data da quel
“ tale francese: Si2^eu que rien ” (così poco che è nulla).
De.scrive quindi l’eloquente abl)ate gli efletti di un despotismo
senza limiti; l’oppressione delle menti ricacciate per così dire in se
medesime da una potenza bestiale che incute timore al pensiero, a
qualunque grado si manifesti; la totale assenza di guarentigia, sì riguardo alla proprietà che riguardo alle persone ; la violenza, la
corruzione e l’arbitrario nel governo, e questo sempre diffidente ed
impaurito; nel popolo, condannato a vivere la vita più meschina,
sotto la bajonetta del soldato e l’occhio della spia, una miseria fisica,
morale, intellettuale, ed un’avvilimento così profondo che quasi non
lo sente piii.
Si crede di sognare, leggendo per la prima volta descrizioni come
quella che ancora trascriviamo: “ A Eoma ed in molti altri luoghi,
“ si domanda a Maria di favorire tutto quanto le mali passioni in“ generano di pravi ed insensati desiderj. Non pone forse l’assassino
“ italiano e spagnuolo, sotto l’invocazione della Madonna, l’omicidio
“ od il ladroneccio? Non crede forse l’impudica meretrice Eomana,
“ d’aver fatto abbastanza, tirando la cortina sull’immagine della
“ Madonna appesa nella sua camera? Non pendono forse alla cigna
“ dell’assassino, insieme al pugnale ed allo stile, la corona ed il
“ rosario? Non sono forse attaccate al cappello del bandito le me“ da glie benedette? Non cuopre forse lo scapolare quel medesimo
“ petto nel quale freme il delitto? Appena se si ardirebbe doman“ dare ad un’uomo ciò che i voti del romano, nella loro impudenza
“ e pazzìa, ardiscono impetrare dall’intercessione della madre di Dio!
“ Ora che cosa ha fatto la Chiesa allo scopo di opporsi a queste aber“ razioni? Non ha ella, tutt’all’incontro, colle sue compiacenze auto“ rizzato queste credenze sujrerstiziose che le sottoponevano le menti
“ di una moltitudine in tal guisa infiacchita ed avvilita? ” — Leg-
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gasi ancora l’opera eoa imparziale ed inconfutabile del sig. N. Eouksel : Le nazioni cattoliche e le nazioni evangeliche paragonate tra
di loro sotto il rappoì'to del hen’essere, de' lumi e della moralità, e
non farà piii stupire se, oggidì ancora, offrono gli Stati della Chiesa,
ai diplomatici più sperimentati, un’inestricabile laberinto.
“ Ma, dirassi forse, sono tali quadri esagerati. Il giudicio degli
eretici in siffatte materie non vale. — Abbiamo sentito testimonii
non sospetti, almeno ci sembra, poiché havvene fra di loro i quali, romanisti essi stessi, piangono sxilla misera Italia quale la fece il papato. Eccone un’altro ancora, romanista egli pure, e quindi da non
ricercarsi, il quale nella Gazzetta di Augusta, giornale noto per le
sue simpatìe austriache e papistiche, scriveva quanto segue: “ Eccoci
“ ormai giunti al sommo grado dello sfascellamento e dello scontento
“ impossessatici di tutti quanti i ceti, anche di coloro ch’erano più
“ affezionati al governo papale. Un sistema generale di riforme è
“ div'enuto cosa urgentissima e da non potersi rimandare più, a pena
“ di non aver altra prospettiva che l’anarchìa, il ladroneccio e l’o“ micidio, conseguenze inevitabili di undici anni d’incuria per parte
“ del governo romano, la di cui massima è di non far nulla. La
“ felicità da certi fogli tanto decantata esiste bensì ; ma soltanto pei
“ cardinali, principi romani, dignitarj della chiesa, impiegati civili
“ e mihtari, i quali vivono sidle spalle dei borghesi fortunati abba“ stanza da possedere qualche cosa. Ma posso assicurarvi che la
“ condizione di questi ultimi è tutt’altro che invidiabile. Non solo
“ difettano di buone leggi dalle quali sieno retti, ma non sono sicuri
“ degli averi e nemmeno della vita. Non passa giorno nè notte
senza che vengano costanti assalti a mano armata, rotture, spargi“ mento di sangue. Per tacere di tali altri fatti, vi dirò, che nella sola,
“ provincia di Bologna, nello spazio di otto giorni, furono assalite per
“ tre volte le diligenze di Toscana, Piacenza e Koma; e derubate di
“ alcune migliaja di piastre, e tuttociò perchè nou abbiamo polizia,
“ e quella che ci rimane è del tutto demoralizzata, rimprovero il
“ quale può essere a tutte le autorità competenti indirizzato. — In
“ tutti i ceti, la discordia è giunta al sommo grado; da cinquant’anni
“ non ha saputo il governo del papa aftezionarsi nè popolo, nè soldato,
“ nè basso clero, nè borghese. Nella gita che fece il papa nelle provincie, dalla freddezza colla quale fu ricevuto, egli ha potuto con“ vincersi, coi proprj occhi, del vero stato delle cose ; egli ha potuto
“ constatare che da noi manca tutto quello chc in altri stati costi“ tuisce un governo ”
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Ecco dunque il capo di una chiesa, il clero di una chiesa dando
prova d’impotenza, d’incapacità a tener lo scettro, e ciò per la ragione
semplicissima che questo accozzamento è impossibile, sia al punto
di vista dello Stato come Stato, sia a quello della Chiesa come Chiesa.
Anche prescindendo da ciò che è particolare al romanesimo, e supposto che tutti i suoi dogmi, tutti i suoi riti, la sua gerarchia
fossero dalla Parola di Dio autorizzati, l’incompetenza di un corpo
religioso qualunque a governare civilmente, è dai fatti sovrabbondantemente stabilita. A questi noi vogliamo limitarci. Molte cose
ci potrebbero soggiungere interrogando, su questo grave argomento,
le dicliiarazioni della Sacra Scrittura. Ma ce ne asteniamo per
ora. Bastano i fatti; basta perfino la Storia dei nostri tempi a
dimostrare che uno Stato-Chiesa, una Chiesa-Stato è una vera mostruosità, come sorgente di commozioni, di rovina e di mali iniuimerevoli. Vuole il capo di un tale Stato far uso del suo diritto, che è
la forza ? Vuole egli regnare ? Forzatamente lo ritiene il di lui carattere, la di lui posizione come capo della Chiesa. Ovvero, crede
egli in quest’ultima qualità, suo dovere di far sentire parole di pace?
A stento si potrà dimenticare che tali parole escono dalla bocca di
chi ha il potere nelle mani. Vuole egli agire sia come principe temporale, sia come principe spirituale ? Egli provoca alla resistenza.
Sotto l’un rapporto e l’altro, egli è condannato ad una vera inerzia ;
il che spiega a sufficienza la trista condizione delle provincie sottoposte temporalmente ed ecclesiasticamente al papa.
“ Se è potente una tale antimonìa nel caso che ci occupa, essa
non lo è meno quando un corpo ci\’ile, un principe, un re, si pone in
qualsiasi grado, come capo e regolatore di ima Chiesa o di Chiese
esistenti nei di lui dominj. Questo re, dal piii al meno, si fa papa;
s’egli non porta la tiara del pontefice, egli porta il bastone pastorale;
la spada in una mano, nell’altra il bastone pastorale, ecco la sorgente
di tutti i conflitti, e di tutte le guerre di religione che hanno insanguinato il mondo. Quando vedremo noi i due vocabili posti a capo
di questo articolo non fare piìì una stessa ed unica parola ? Quando
vedremo noi ciascun di loro esprimere solo quello che devono esprimere, lo Stato uno Stato e la Chiesa una Chiesa ? O Dio, affretta
quei tempi ! ” S. D,
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UNA LETTERA INGLESE SULLA QUESTIONE ITALIANA
Se il contegno dell’ attuale gabinetto Inglese a fronte della que.stione italiana è tale da addolorare i veri amanti di libertà, i quali
nou sauuo darsi pace, come il governo della nazione piii libera che
esista, possa farsi sostenitore, anche d’intenzione, della doppia tirannìa Austriaca e Papale, non bisogna far la nazione intiera mallevadrice d’una condotta ch’essa, all’incontro, altamente disapprova.
liC simpatìe della grande maggioranza dei cittadini, a qualunque
ceto appartengano, sono per l’Italia contro l’Austria; ed in mezzo a
molti documenti che tali simpatìe esprimono con forza singolare, ci
piace trascrivere i brani essenziali della lettera che al giornale dì
Londra thè liecord indirizzava, non ha guari, uno dei primi pari
d’Inghilterra, Lord Shaftesbury. Trattando della politica da adottarsi dal suo paese nelle attuali circostanze, egli così si esprime:
“ La Sardegna dopo d’ aver accettate le proposte statele fatte dall’Inghilterra e dalla Prussia come potenze mediatrici, ed avendo dimostrato le
sue buone disposizioni per il mantenimento della pace, è in procinto di
venir crudelmente e bassamente aggredita dalFimperatore d’Austria. Da
qual parte dovranno rivolgersi le speranze e le preghiere del popolo inglese?
Su questo non vi può esser dubbio. La Sardegna si è dichiarata e si è dimostrata il difensore della civile e religiosa libertà in Italia; essa ha sottratto i Valdesi del Piemonte all'obbrobrio ed ai patimenti; essa ha veduto
la loro Chiesa impiantarsi nelle città capitali di Genova e di Torino ; essa
permette la libera predicazione della Parola di Dio sì in pubblico che in
privato; ed in qualaltro luogo sul continente la diffusione delle Sante
Scritture incontra ella minori ostacoli per parte dell’autorità che in quel
paese? La politica della Sardegna è di resistere alle usurpazioni di Roma,
c più di questo, di cercare con tutti i mezzi legittimi la totale abolizione
del dominio temporale del papato. L’Austria, all’incontro, è opposta a qualsiasi buona e grande innovazione ohe miri al bene dell’Italia; e se havvi
cosa ch’essa odii sovra ogni altra, questa è la libertà, sì civUe che religiosa.
Qual’essere umano ovvero, qual sacro principio cerca essa a sottrarre alla
degradazione od alla sofferenza? Essa è U capo, e difatti forse, l’unico sostegno alla papale tirannìa ed al malgoverno dell’Italia centrale. Possono
i protestanti deirUngheria e delle altre parti dell’impero, porgere la prova
del bigottismo del di lei dominio ; mentre il suo divieto rigoroso di lasciar
libera la circolazione delle Sauté Scritture, ed il despotico sequestro che
fece nel 1853, di tutti i depositi “ iu mezzo (così si esprime la relazione
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che ne venne fatta) ai sospiri ed alle lagrime di parecchie migliaja di popoli,
attestano non aver’essa alcun diritto alle simpatie della nazione inglese. ” —
Nell’attuale deplorabile assenza delle Camere del Parlamento, manca all’opinione pubblica il corso regolare; ma tutti, o collettivamente o individualmente, e per quando lo potremo, imploriamo l'Onnipoteute, perchè possa
la causa nascente della giustizia e della verità, della religione e della pietà,
mediante la di lei benedizione, prontamente ed universalmente prevalere in
regioni per tanto tempo oppresse sotto al giogo dell’ignoranza e del despotismo. SnAFTESBURY
ORIGINE DELLE INDULGENZE
Nei primi secoli della Chiesa Cristiana, allorquando gl’imperatori
pagani perseguitavano i discepoli del Vangelo, ve u’erano fra questi
«Itimi di quelli co.sì delx>li iu faccia ai tormenti ed alla morte, che
rinunziavano al Cristianesimo, ed offrivano sacrifìcj agl’idoli. Quando
j)oi la persecuzione era calmata, domandavano ordinariamente di
rientrare nella comunione della Chiesa ; ma i pastori, d’accordo coi
loro greggi che restavano fedeli, non consentivano di riceverli se non
(lofio d’averli lungamente provati, per mezzo di penose umiliazioni.
Ciò ch’erasi fatto da principio, solamente per l’apostasia, si fece in
seguito per altri gravi ijeccati, allorquando erano pubblici. Vi erano
dei peccati pei quali s’imponevano penitenze della durata di dieci,
vent’anni, ed anclie per tutta la vita. Il concilio d’Elvu-a, tenuto
verso l’anno 300, conta un gran numero di peccati che parevano cosi
gravi, che coloro i quali se n’erano resi colpevoli non venivano piii
ricevuti nella comunione della Cliiesa, neppure in punto di morte.
Questo concilio d’Elvira, quello d’Ancira, nell’anno 313, come pure
quello di Nicea, tenuto l’anno 325, contengono istruzioni interessantis.sime sulla disciplina della Chiesa in quell’epoca.
Queste prove, si lunghe e faticose, non tardarono a diventare estremamente insopportabili, e coloro che vi si trovavano sottomessi,
faceano ricorso a tutti i mezzi possibili, a fine di abbreviarne la
durata. Uno di questi mezzi, che non mancava mai di riuscire, consisteva nell’indirizzarsi ai Cristiani prigionieri per la fede, od a quei
che, pe’ gravi patimenti ch’aveano sofferto per il Vangelo, erano divenuti oggetti di venerazione a tutti i membri della Chiesa. I peni-
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tenti ottenevano oi'clinariamente da costoro lettere di raccomandazione, per mezzo delle quali la loro penitenza era diminuita.
Questa disciplina era troppo rigorosa per durare lungo tempo, e
fu d’uopo di farvi considerevoli modificazioni. Non solamente la lunghezza delle penitenze venne diminuita, ma la necessità dei tempi
produsse dei cangiamenti ancor più importanti. Si giunse fino a
commutare le opere che costituivano questa penitenza, ed a permettere di sostituirne altre più facili.
Secondo il penitenziario di Burchard, vescovo di Worms, nell’undecimo secolo, im giorno di digiuno a pane ed acqua era equivalente
alla recita di 50 salmi in ginocchio, o 70 in piedi, ed al cibo di una
giornata dato ad un povero. Se il penitente non sapeva recitale i
salmi, poteva riscattarsi col digiuno, pagando un danaro s’era povei'o
e tre s’era ricco, oppure cibando tre poveri. Recitando 300 salmi iu
ginocchio, ciò era equivalente ad una settimana a pane ed acqua.
Uno potevasi esimere da un mese di digiuno, recitando 1,200 salmi.
Più tardi, si credè di dovere aggiimgere alle elemosine ed alla recita
dei salmi, l’uso di disciplinarsi e di farsi disciplinare; cosicché Baronie dice (an. 1055, n. 11) che nell’undecimo secolo, venti colpi di
verga, applicati sulla mano, equivalevano ad un giorno di digiuno.
L’autore anonimo delle Vite dei Solitarj d’Occidente (tom. iv, p. 131,
132), ci dice che uno poteva redimersi da un’anno di penitenza, recitando tre volte tutto il Salterio, ed applicandosi tre mila colpi di
verga.
Quest’uso di disciplinarsi con verghe, che spesso invece d’esser
fatte di corde erano composte di catenette di ferro, prese sopratutto
voga col moltiplicarsi dei conventi. I monaci, che sid principio aveano
reso dei veri servigi all’agricoltura, coltivando grandissim’estensioni
di terreno, si stancarono bentosto, e trovarono cosa più facile il vivere
a spese altrui. In fatti, i peccatori trovandosi nell’impossibilità d’accompiere le loro penitenze, secondo i canoni dei penitenziarj, amavano
meglio di far doni in denaro o in terre ai monaci, perchè questi promettevano loro di battersi per essi, e oltre a ciò, di dar loro in tutte
le penitenze ed austerità che praticavansi nel convento, una parte
proporzionata all’importanza dei doni che riceveano.
Ecco come andavano le cose, secondo i detti del celebre Muratori
(Antichità Italiane del medio evo, tom, vi, col. 742-44) : “ Quando
un cristiano volea confessare i suoi peccati...... il prete prendea il
suo penitenziario, dell’inchiostro, carta, penna, e segnava, accanto a
ciascun peccato, la pena che, secondo le regole del suo libro, dovea
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essuigli inllitta; quiudi addizionando il tutto, vedea a quanti giorni,
mesi od anni, montavano le penitenze che il colpevole dovea subire...
La pena canonica potea montare a penitenze le quali avrebber potuto
durare cent’anni, due cent’anni, ed anche di più. Che fare?... Vi
erano pronte risorse a seconda dei desiderj dei penitenti. I contadini
e gli artisti erano trattati con molta dolcezza... Si aveano dei riguardi
jier le donne... Qnanto alle persone ricche o benestanti, poteanoesse
riiscattare le loro penitenze. Con 2fi soldi d’argento, uno potea esentiirsi da un’anno di penitenza. Mediante la somma di 7,800 soldi, si
riscattava ima j)enitenza di 3(.X) anni... Coloro che non aveano danaro, davano fondi di terre...”
Il Cardinal Damiano, scrivendo ad im ve.scovo, così dicea: “ Voi
nou ignorate che, quando riceviamo delle terre dai nostri penitenti,
gli esoneriamo da una gran quantità di penitenza, secondo la misura
dei loro doni, (F. Darti, toni. 1 epist. 12, pag. 56).
Allorché la potenza dei papi incominciò a svilupparsi, il potere
d’accordar indulgenze si concentrò insensibilmente nelle loro mani.
Noi vediamo, nel 1084, L. Anseimo, legato di Gregorio VII, promettere a tutti coloro che prenderebbero le armi contro Enrico iv,
imperator d'Alemagna, una plenaria remissione dei loro peccati.
Vittorio III, colle medesime promesse, trovò il mezzo, nel 1087, di
levare un’armata, e spedirla contro i Saraceni. Il papa LTrbano II,
nel concilio di Clermonte, l’anno 1095, mette per così dire il suggello
a quest’uso, facendo predicare le crociate d’oltremare, e promettendo
a tutti coloro che vi prenderebbero parte, sia personalmente, sia colle
loro contribuzione, “ assoluto perdono di tutti i loro peccati ” (Baronio, an. 109, n. 41).
Sul principio del secolo XIII, Innocenzo III accordò le stesse indulgenze ch’erano state concesse all’occasione delle crociate, a tutti
coloro che contribuirebbero all’esterminazione degli Albigcsi, raccomandando di avere nel distruggerli uno zelo maggiore che se si trattasse dei Saraceni (Storia degli Alhig. trad. di Pietro delle Valli
di Serny, di Am. Sorbin, c. 9 Parigi 1569).
Non si deve perder di vista che, in tutte le indulgenze di cui abbiamo parlato, non ve n’ è alcuna la quale abbia rapporto al Purgatorio; ma che non trattasi assolutamente che dell’abbreviazione di
queste penitenze così lunghe che noi troviamo menzionate nei penitenziarj del medio evo.
Nel secolo XIII, le co.se comiuciarouo a cangiare di aspetto. Aless.
Ales, conosciuto fra i frati ¡uinoi-i sotto il nome di “ dottiire irrefra-
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gabìle e dì fontana di vita, ” fu il primo che immaginò il tesoro dei
meriti sovrabbondanti del Salvatore e dei Santi, meriti la di cui
applicazione ai veri penitenti dovea servire di equivalente alle pene
canoniche. Dopo di lui, Alberto il Grande, poi Tommaso dAquinio
suo discepolo, Bonaventura, Guglielmo di Parigi e gli altii teologi
scolastici insegnarono gli elementi della dottrina delle indulgenze a
un di presso com’ella è professata ai nostri giorni; sopratutto il papa
Bonifazio Vili, instituendo il giubileo, l’anno 1300 insegnò formalmente che le indulgenze ottenute per mezzo dei vivi potevano, per
\-ia di suifraggio, essere applicate alle anime dei morti.
Si farebbero grossi volumi, se volessimo riferire tutto ciò che è
stato di abusivo e di ridicolo nell’uso delle indulgenze; se le enumerassimo, da quella di tre anni e tre quarantene accordata a tutti
coloro che, jtarlando dei Carmelitani, li chiamano fratelli della
Santa Vergine, fino a quella di ottanta mila anni concessa da Bonifazio VIII, a tutti coloro che reciteranno devotamente un’orazione
di S. Agostino che sta appesa al sepolcro di nostro Signore in Venezia; dalle indulgenze senm numero che possono guadagnare i Portoghesi, in virtù d’una bolla d’Adriano VI recitando soltanto cinque
Fater e cinque Ave, il venerdì, fino alle indulgenze plenarie predic.ate in Sassonia sul principio del xvi secolo, ed il cui prodotto estremamente lucrativo fu dato in dono dal papa Leone X a sua sorella
Maddalena dei Medici. Alcuni di questi abusi hanno cessato d’esistere,
ma solo per essere sostituiti da altri non meno opposti al Vangelo.
T.
LA SETTIMANA DOPO PASQUA *
Giov. XX, 17-31.
Cristiano, tu hai uelobrato colla Chiesa universale le belle feste di Pasqua ;
tu hai seguito il Salvatore a Getsemani, presso Caifa al Pretorio, poi alla
Croce ; e dopo averlo contemplato morente, appeso al legno maledetto, ma
pur santo, perchè ti procura il perdono e la salute, tu l'hai veduto discendere
nella dimora dei morti; di poi uscii-ne colle chiavi del sepolcro e deirinferno.
Alla moltiplicità delle feste cristiane ora succede la monotonia della vita
* Quest’articolo come lo indica il titolo era destinato al numero antecedente; ma,
giuntoci qaand’era troppo tardi, lo pubblichiamo in (jaesto, non volendo defraudarne
i nostri lettori. Hed.
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pratica, o l'agitazione febbrile delle scosse politiche. La guerra è scoppiata ; uu geueroso pensiero anima la moltitudine de' tuoi fratelli, che
accorrono dagli estremi confini della patria, per sostenere una causa che ti
è cara, per aciiuistare il più nobile dei beni della natura, la libertà e l’onore,
e spargere forse il sangue nei campi di battaglia; e tu, o cristiano, che arrecherai in mezzo a questi combattimenti, a quest’agitazione? e tu giovine
catecumeno, appena ammesso alla comunione più completa del tuo Salvatore,
quale sarà in mezzo alla monotonia dei tuoi doveri giornalieri, in cui ritorni,
il frutto delle tue impres.sioni sì dolci della Pasqua, e delle tue sante risoluzioni? Ti gitterai forse alla cieca in mezzo del turbine degli affari, dimenticando ciò che ti ha dato Iddio, e ciò che gli hai promesso ? ovvero ti
racchiuderai in isolato egoismo, in una quiete infingarda, dicendo come il
solitario della favola « non mi riguardano più gli affari di questo mondo, »
sotto il pretesto che il cristiano non deve mescolarsi delle cose di questo
secolo ? anima mia, che farai tu mai in questo momento, in cui tutto sembra
rimesso in questione, in cui non si conosce ciò che produrrà l’indomani,
ovvero l’ora, che sta per principiare ? che farai in questi giorni d’incertezza,
d’aspettativa, in cui ognuno vorrebbe contribuire al risultato che desidera,
e non finisce che uel parlare, e nel discorrere? — Permetti dunqne che ti
racconti uu'istoria, che accadde la settimana dopo Pasqua, nel mese d’aprile
dell’anno 1521, che dimostra che al disopra ed in mezzo delle guerre e dei
combattimenti dei popoli, evvi una guerra non meno seria e combattimenti non
meno ostinati, per i quali bisogna star sempre armati, e che il rumor delle
armi non deve fartela dimenticare. Sulla strada che guida da Weimar ad
Erfurt cavalcava un araldo seguito dal suo servo, portando l’aquila imperiale; un leggero cocchio coperto, tirato da due rapidi corsieri, lo seguitava,
ed una moltitudine di curiosi si affollava sulla strada, tanto di fanciulli che
di donne, di dotti che d'ignoranti, per vedere entrare nella città d’Erfurt
questo piccolo convoglio sì poco brillante. Chi era dunque colui che commoveva la città ? Avvicinatevi al cocchio, e nulla vi troverete ohe sembri
legittimare l'affluenza degli spettatori. Quattro viaggiatori occupano il
cocchio. Un di loro è uno studente di giovanile a.spetto, e probabilmente
biondo. È un danese nominato Suaven, il secondo uno svizzero del cantone
di S. Gallo, figlio di buona famiglia, avvocato nel suo paese, chiamato il dottor
Scurff; il terzo è un uomo fatto, passionoso, un teologo alquanto rigido,
chiamato AmsdorfF. Ma chi è il quarto personaggio, su cui si fissano tutti
gli sguardi ? La sua magra fisionomia, i suoi occhi incavati, la sua piccola
statura, il suo aspetto dispregevole, sopra tutto il suo abito di monaco, e di
monaco mendicante, vi mostrano che è la vittima morente delle austerità del
convento. Ma questo piccolo monaco val'egli solo un’esercito; il primo dopo
tanti secpli ha osato attaccare con armi vittoriose il gran leone del papismo.
* Leone X ha dovuto tremare sul suo trono infallibile e potentissimo; ed
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ora Martino Lutero se nc va a Worms per testimoniare dinanzi a Carlo V,
il monarca di quasi tutta l’Europa, dinanzi il nunzio Aleandro, dinanzi
i principi i ducM c gli elettori, questa gran verità del Vangelo “ che l’uomo
non è giustificato per le opere, ma per la fede in Gesù Cristo. ” Cammin
facendo si cercò d’intimidirlo coll’esempio di Giovanni Huss; un amico ben
intenzionato gli ha mostrato l’immagine di Girolamo Savonarola, da non
molto tempo bruciato in Firenze; ma nella solitaria celletta d’Erfurt, il
povero fra Martino ha combattuto contro nemici più terribili del Carlo V, e
riportato vittorie più gloriose che quella di Pavia. “ Piccolo monaco, piccolo
monaco, gli disse uno dai vecchi baffi, Giorgio di Frandsbebg che avea in
gran parte decisa la battaglia di Pavia, tu hai dinanzi a te una marciata,
ed aifari tali, che nè io nè molti dei capitani non abbiamo mai incontrati
dei somiglianti nelle nostre sanguinose battaglie. Ma se la causa è giusta e
tu ne sei sicuro, va innanzi nel nome di Dio! non temer nulla! Iddio non
ti abbandonerà. ” Questo piccolo monaco, ch’erasi veduto così spesso mendicare per le strade d’Erfurt, e che ora quasi tutta l’Europa saluta come
l’ardito campione del pensiero e sopra tutto della fede, rientra al fine nella
città testimone delle lotte strazianti della sua coscienza. Il popolo vuole
ad ogni costo sentirlo predicare. Era la domenica dopo Pasqua. L’araldo
imperiale lasciasi piegare, e la folla si addensa nella chiesa per udire fra
Martino. Egli monta con passo tremante per debolezza sul pulpito, perchè
era stato ammalato; apre la sua Bibbia al cap. xx di S. Giov. v. 19 e 20, e
legge: “ quando fu. sera, in quell'istesso gioi'no, cb’era il primo della settimana, Gesù venne e si presentò in mezzo, e disse loro, pace a voi! e detto
questo, mostrò loro le sue mani ed il costato I ”
“ L’Evangelio di questo giorno ci presenta i due punti nei quali, consiste la vita d’un Cristiano: —1° che U Signore gli mostri le sue mani ed i
suoi piedi. — 2° eh’ egli sia mandato come Cristo è stato mandato : ora
questo si riduce ai due oggetti del Vangelio: la fede, e la carità.
“ Il testo ci dice “ quando fu sera... le porto essendo chiuse per timore
dei Giudei...
Che temono dunque gli Apostoli? temono la morte? e perchè? a causa
del peccato, perchè se non avessero peccato, non avrebbero avuto paura,
la morte non avrebbe potuto far loro alcun male; perchè lo stimolo,
col quale essa uccide, è il peccato (i Cor. xv, 56). Ma ciò che loro mancava,
come manca a noi tutti, era la conoscenza del vero Dio. Se avessero riconosciuto Iddio per Iddio, sarebbero stati tranquilli, e sicuri, come dice
David “ io mi coricherò in pace ed in pace dormirò (Sai. iv, 8). È bene il
morire quando si crede in Dio ; allora non si ha paura della morte. Ma chi
non crede in Dio, egli ha motivo di temer la morte, c non può mai avere
una coscienza tranquilla e sicura. A tal fine Iddio ci presenta la legge ; affinchè per essa perveniamo alla conoscenza di noi stessi.
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'• Quando dunque la legge incontra un’anima retta, che si riconosce, alloi'acertamente non comincia coU’ajutar se stessa con opere, ma confessa il suo
peccato e la sua miseria, il suo cordoglio, il suo male ed esclama : “ Signore
Iddio, io sono un malfattore, un peccatore, che ho ofFeso i tuoi divini comandamenti; ajutami, in quanto a me sono spacciato! ” Quando uno trovasi
in siuùle angoscia, e grida a Dio—allora Iddio non può a meno di ajutarlo.
Come tu vedi che qui Gesù Cristo non rimane lungo tempo alla porta degli
Apostoli, ma viene tosto, li consola, e dice—“ la paco a voi! Fatevi coraggio, son io, uon temiate, ” lo stesso è ancora oggi. Quando la legge ci ha
condotti a riconoscerci, e che siamo immersi nel timore, allora Iddio ci raccoglie, e ci rialza, e ci fa predicare il Vangelo, perchè abbiamo una cascienza
allegra e sicura. Ora che cosa è il Vangelo?
Eccolo : Iddio ha mandato il suo figliuolo Gesù Cristo nel mondo, per salvare i peccatori, (Gio. ni, 10) per distruggere l'inferno, vincere la morte,
togliere il peccato, e soddisfare la legge. E tu che devi arrecare a tutto ciò?
Nient’altro fuorché accetti tutto questo, e ctie riguardi al tuo Salvatore, che
tu creda fermamente che tutto questo ha fatto per te,e te ne ha fatto un dono,
che ti appartiene in proprio ; di modo che iu luogo delle angoscio della morte,
spaventato dal peccato e dall'inferno, tu possa diro arditamente : “ quando
anche io abbia paura della morte e dell'inferno, puro so questo che “ Cristo
mi ha dato tutte le sue opere, Ne sono sicuro, Egli uon può mentire, e
manterrà la sua promessa; e per assicurarmene, mi ha dato il sigillo del
battesimo, come ha detto ; “ ehi crede e sarà battezzato sarà salvo ” su questo
mi appoggio. Perchè so pure, che il mio Signore Gesù ha vinto la morte, il
peccato, l'inferno, il diavolo, tutto per mio vantaggio. Perchè come dice S. Pietro II, 22: Egli era innocente, e perciò il peccato, e la morte non hanno potuto soffocarlo ; così è divenuto il vincitore, e dona tutto ciò a chiunque lo ac
cetta e lo crede. Chi non vuole avere una tal fede deve perire, ma chi l'accetta sarà salvato. Perchè dov’è Cristo, ivi è pure il Padre od il S, Spirito.
Ivi non è più (la condanna della) legge, ma per grada, non v'èpiu peccato;
ma per misericordia non v’è più morte, ma vita in abbondanza; non pili
inferno, ma il cielo.
“ Allora io mi confido nelle opere di Cristo, come se le avessi fatte io
stesso, e non chiedo più nè cappuccio, nè tonsura, nè di S, Giacomo, nè di
Roma, nè di rosario, nè del manto di Maria, nè de’ miei <ligiuni e vigilie,
nè di preti, nè di monaci. Di là deriva quella gioja immensa, indicibile, di
cui parla il mio testo, quando dice: “ allora i discepoli furono-ripieni di gioja,
vedendo il Signore ” !......
“ Procuriamo dunque d'essere utili al nostro prossimo e di ragionare
così : Cristo fa per me questo qui, quello là : non lo farei io pure allegramente per amore di Lui? Così avete da questo Vangelo queste due
enfle la fede e la carità. Per la fede saliamo in alto verso Dio, per la ca-
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rità discendiamo verso il prossimo. Ci ajuti Iddio a ben intendere tutto
questo. Amen. ”
La situazione stessa in cui trovavasi Lutero, non è un brillante commentario delle parole che scelse per testo, o piuttosto perchè esse erano
il Vangelo del giorno? Questo tratto non è forse una bella imagine per il
Cristiano? Vedi questo allegro eroe della fede che si avanza pieno di confidenza verso il campo di battaglia; vedi e contempla il Principe della pace, il
quale nel mezzo del tumulto dei combattimenti gli grida; “ pace a voi! ” Vedi
i) martire, che sulla strada che lo condurrà forse a morte, si fa mostrare un’altra volta le piaghe del suo Salvatore, onde attingervi la forza ed il coraggio
per la lotta. Durante il discorso, siccome la folla spingevasi nella gallerìa,
si udì ad un tratto il pulpito scricchiare; una grande agitazione si suscitò
neU’uditorio. Ma Lutero stese la mano e disse; “ Non temiate! Non v’è pericolo. Così cerca il diavolo do^Tinque d’impedirmi di predicare il Vangelo,
ma non l’otterrà! ”—Cristiano che vai per esser forse trascinato nei combattimenti, ed in ogni caso nei tumulti e nell' agitazione della politica, metti
dell’olio nella tua lampada, e va piuttosto a dimandare a Colui che ne dà,
di dartene in abbondanza; va verso Colui che si appella il Principe della
pace e dimandagli come Lutero, quel coraggioso combattente: “Signore metti
nel mio cuore la tua pace, fammi contemplare le piaghe che mostrasti ai
discepoli, fa ch’io mi avvicini a te ed abbracci la tua persona. Dammi quella
pace che vince ogni agitazione, e poiché i miei fratelli sono per ogni parte
esposti all’angoscia ed al turbamento, degnati servirti di me per beneficarli.
Fa che la mia languente carità si rianimi alla tua; che la mia diffidenza sia
confusa dalla tua fedeltà; che il mio zelo e la mia fede crescano in proporzione dei pericoli che minacciano i miei fratelli, e forse quanto prima ancora me ! ” E dopo aver pronunziato l'Amen della fede e della confidenza
in Colui che ha detto: “ Egli m’invocherà, ed io gli risponderò” (Salmo
XII, 15), alzati pieno d’un santo coraggio, coUa pace di Gesù nel cuore, l'anima ripiena d una profonda carità verso i tuoi fratelli soffrenti, con amore
per i tuoi stessi nemici; ritorna dalla mischia, ritorna come il discepolo
d’Emmaus dalla solitaria borgata nella fragorosa città, prendi parte a ciò che
serve di conforto nella tua vocazione, e ricordati ovunque, che sei il sale della
terra. NeU’agitazione dei campi, nelle veglie dei casolari, negl'incontri delle
piazze, nel tuo commercio, nel tuo banco, nei tuoi campi, nella tua scuola,
dovunque ti accompagni la pace, e faccia di te il sale della terra; dovunque
il pensiero del suo amore, del suo perdono, della sua morte, delle sue piaghe
ti diano quel coraggio, che vi attinsero S. Paolo, S. Giovanni, Lutero, Antonio Paleario, e tutto l’esercito di coloro che hanno combattuto il buon
combattimento. Ricordati sopratutto, che i tuoi fratelli non sono tutti così
privilegiati, e mentre tu hai trovato in lui la tua pace, mille altri periscono
e vanno senza Dio e senza speranza nell'altro mondo. G. A.
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CRONACA DELLA QUINDICINA
La guerra minacciata in Itiilia essendo finalmente stata posta in atto,
potrebbcsi usare in questo caso una frase scritturale dicendo, tutte le potenze del Cielo furono scrollate, cioè tutti i piccoli principi d'Italia temerono per se, e pei loro troni. Ma sopratutto temè il principe, che regna su
i colli Vaticani, e fuwi un momento, che volentieri sarebbesi ritirato fra
gli Austriaci, se l’occhio vigile del generale, c del ministro francese in Roma
glielo avesse permesso. Ma poco stante però si riconfortò ! La corte di
Francia protestò del suo attacamento verso il Capo della Chiesa Cattolica,
l'imperatore d’Austria, che non aveva altro di mii-a che l’esaltamento del
Papato, ed il ministero inglese collo sue simpatìe verso l'impero che formò
il celebre concordato, mostrano che non sarebbe mai per approvare lo smembramento del dominio temporale del papa. Anzi il ministro degl’interni in
Francia collo scopo di calmare l'effervescenia di qualche prelato francese,
che tremava per il dominio papale, assicurò il clero, che intatto resterà
quel dominio qualunque fossero gli eventi della guerra. Frattanto in tutte
le cose dei mortali essendovi sempre frammisto il male al bene, e viceversa,
abbiamo potuto os.servare in questa quindicina, che tutte le chiese e raunanze religiose di qualunque denominazione, ricorsero al trono di grazia
dell’ Onnipotente, affinchè si degnasse di concedere alle armi alleate di
Francia e d'Italia prosperità e vittoria. Anche la Chiesa Valdese la scorsa
domenica edificò i suoi uditori con appositi discorsi e preghiere dirette allo
stesso scopo tanto nel servizio della mattina, che in quello pomeridiano,
esortando la gioventù alla difesa del re e della patria, senza però mai dipartirsi dal principio fondamentale del Cristianesimo, che è la carità, Questa esimia virtù non può mai far dimenticare all’uomo, che anche i nostri
nemici sono il nostro prossimo.
Non così però fece l’Austriaco Arcivescovo di Vienna. Egli esortando i
suoi parrochi a volgere a Dio le loro preci per ottenere vittoria allo armi
austriache asserì essere i popoli una proprietà dei sovrani, da disporne a
loro piacere. Tale sentenza antisociale venne a ragione criticata dal giornale
Relgio il Nord, che scoprì pure in quella pastorale altri principj falsi del
romanesimo, sorti nelle tenebre del medio evo, e che ora invano si tenterebbe
di richiamare a vita, ed a novello splendore. Ma speriamo, che ogni fatica a
tale effetto sarà vana. Altra luce rifulse nel mondo, la luce dell'Evangelio,
che pure si fa strada tra gli uomini. Vedemmo già la Toscana, che appena
abbandonata dal suo principe fuggitivo, richiamò in vigore le leggi Leopoldine, e proclamò l'uguaglianza di tutti di rimpetto alla legge, e la libertà di
coscienza.Quello che pochi anni fa commosse tutt'Europa coll’inique sentenze
dei suoi tribunali a danno degli Evangelici, e di chiunque osasse leggere e
ritenere la santa Bibbia, da nessuno compianto o desiderato abbandonò la
mite Toscana, fuori sospinto dal consenso universale del popolo. Gli stessi
Vescovi Toscani già prima inorgogliti nella speranza di ottenere sgherri e
tribunali inquisitorj a danno di chi differisce in materia religiosa dai loro
pensamenti, ritornarono ora a miglior consiglio, e con apposite pastorali
c.sortarono il Clero a tenersi lungi dagli sconvolgimenti politici, e pregare
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soltanto Iddio per la pace e prosperità del popolo. Anzi, sembra che questo
mite sentimento sia tanto invalso in una parte almeno del Clero, che in
Lucca pubblicò una protesta, in eui si proclama voler esso partecipare delle
attualità presenti col popolo stesso, in nulla riguardandosi disgiunto, sì nei
beni che nei mali della società. Anzi, asserì chiaramente esser nuRo il Clericato senza il Laicato, come nuUo era il sacerdozio senza il popolo. Questi
veridici asserti mostrano come i Vescovi influenti congiunti col Governo
tentassero di separare in Toscana il Clericato dal Laicato, facendone come
due caste nemiche per i fini politici di dominio e di tirannide.
Narrasi finalmente, che Ferdinando, rè di Napoli, sul suo letto di morte,
poiché la sua malattia fu dichiarata dai medici incurabile, abbia fatto dimandare per telegrafo al Papa, se potesse rimanersi tranquillo sulle assicu
razioni di S. Santità, che il ritirato giuramento non gli sarà mai per essere
dipeso aU’anima; c che il Papa abbia risposto; “ Iddio ha fatto sempre
più conto delle intenzioni, che delle parole dei principi. ”
A noi sembra, che se questa risposta sibillina e gesuitica fosse vera, darebbe materia di seria riflessione ai ben pensanti dei nostri tempi, anche
fra i cattolici. Se alla reità deUe azioni dovesse contribuire la necessaria
reità dell’intenzione, non vi saJ-ebbe atto umano, che non si potesse scusai’e.
Se dalle miserie d'Italia rivolgiamo lo sguardo ai più lontani paesi, vi
troveremo soggetti più di contento che di cordoglio. In Polonia, secondo
la Gazzetta di A ugsburg, la Chiesa Romana guidata da principj gesuitici, incontra ostacoli da non disprezzarsi. Un mistico scrittore, Towianski, ohe
crede d’aver ricevuto dal Cielo, in visione, l’incarico di riformare la Chiesa
romana cattolica, trova numerosi aderenti, che lo venerano come un nuovo
Messia. I suoi principali Apostoli sono Ronzyzki e Dimski. Benché le opere
loro siano state poste aìTIndice, e la loro scuola aperta in Francia sia stata
soppressa, pure la loro sètta non cessa di far rapidi progressi in Polonia.
Anche il poeta Adamo Gorezki ha pubblicato una collezione di poesìe, che
prendono di mira la gerarchia cattoKca, e però la sua riforma.
Nell’Asia minore e nella Siria,la luce del Vangelo principia a splendere
fra i Musulmani stessi, e fra i Greci, per mezzo delle missioni, tanto inglesi
che americane, ed in Rodosto, in Nicomedia, in Cesarea pubblicasi liberamente il Vangelo di Gesù Cristo, come nei tempi apostolici. Perfino fra i
Curdi, popoli scorridori e ladroni, odesi la parola di Dio, ed alcuni dei loro
capi sono divenuti cristiani. Così scrive, secondo VEvangelica alleanza, il
Rev. Dottor Dunmore da Erzerum, Evangelizzatore di quei luoghi. Ed in
quella città medesima, formossi una raunanza di sopra 50 persone, chc si
riuniscono nella domenica per le comuni preghiere. Segno evidente quanto
sia necessario un certo grado di libertà o di tolleranza, almeno nel governo,
per la propagazione ddl’Evangelio !
Domenico Grosso gerente.
TORINO — TipostvnHa CLAUnlAKA, iliveda d.i lì. Tmmlic-tta.