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f I- * ANNO LXXV
Nulla sia più forte delia vostra fedel
(Oianavello) SeTTIHANALE PELLA
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- ABBONAMENTO
ItaUa e Impero . . . Anno L. 20-Semestre L. 10
Estero • ,» » 30— , ,15
Ogni cambiamento d’indirizzo costa una lira— La copia Cent. 40
Rlsruarddte alla roccia onde foste tagliati
(Isaia LI; 1) &
Note Bibliche
{Palnanìi
i la Dftiiafaii
LA CHIAMATA
Il periodo storico della d'iiiina rivelazione éi inizia secomdU) la Bibbia, con
Abramo, il patriarca oapostìpiite del popolo d’Israele^ al quale Iddio ha particolarmente espresso la sua volontà.
ABRAMO
Chiamato da Dio a lasciare la terra
che egli abitava presso VEujrate, ubbidisce abba/ndonando il mondo pagano
adoratore di idoli, per seguire la voce
dello Spirito che lo chiama verso
l’ignoto.
Iddio ja una promessa ad Abramo:
« la tua generazione sarà stermUnata come le stelle del cielo e in te saranno
benedette tutte le genti »^(Gen. 12: 3).
Abramo credette a questa divina promessa e Dio, per questo suo atto di fede,
lo considerò come giusto.
Da vera giustizia^ secondo la rivelazione biblica, non consiste in una semplice obbedienza legalistica ad una norma, ma in un atto di fede. La. fede è il
senso di dipendenza deit’uomo da Dm,
quindi la vera fonte di una reale obbedienza dì pensieri e di atti.
Abrarno pr^jmo patriarca del popolo di
Israele è altresì il patriarca di tutti j
credenti.
ISACCO'
Generate da Àbramo^, Isacco è l’umile trasmettitore della fede e della promessa.
GIACOBBE
Generato da Isacco, conduce urta vita
di frode e di astuzia finché non avviene
in lui una trasformazione (Gen. 3: 2432). Giacobbe lotta con Dio e dui questa
lotta esce un uomo nuovo, un uomo convertito dalla benedizione divina, invocata. Egli non è più Giacobbe, ma Israele, cioè colui che latta con Dio e che
vince. Giacobbe vince perdendo, cioè
sottomettendosi interamente alla potenza di Dio.
Nel campo della verità, Vuomo è veramente vittorioso, quando è totalmente
sottomesso.
LA PREPARAZIONE ALLA LEGGE
Giacobbe ebbe dodici figli che costituiscono i nomi delle dodici tribù di
Israele. Giuseppe, l’uomo di alto ingegno e di fede, è risparrniiato da Dio per
condurre IStrànie in Egitto e preservarlo così dalla distruzione della carestia.
La tribù di Israele emigra da Canaxm
in Egitto. Quivi gli ebrei rimangono circa secoli. Si inizia un pérù>do di
schiavitù che ha evidentemente per scopo di dare alla piccola tribù di Ismele,
ormai divenuto popolo numeroso, il senso della legge che deve governare i rapporti urnami per rendere possibile la
vita sociale. Su questa prepamzione di
ordine sitorico, si innesta la rivelazione
della legge come volontà dell’Eterno.
MOSE’
Il liberatore di Israele salvato dalle
acque, riceve nel deserto la rìvelaZ;k>ne^
di Dio come a Vivente che è e che fa
essere (Es. 3: 13-14).
Jaoè è il nome proprio di Diio, secondo hi rivelazione Ubtiìca. Egli è V«Io
sono », Collii che è e che fa essere.
Mosè, per ordine del Vivente, Pa presso i fratelli israeliti e' lì Ubera dalia
schiavitù, portandoli dall’Egitto, nel deserto del Simai. Quivi egii dà, per ordine di Dio, le tavole della legge* ck $uo
popolo.
Questa legge, vndispensdbke per ogni
vita sooioie, rkonosdiuta cc4ne necessaria ^ chi, come Israele, aveva nella
schiavitù esperimenitata h malvagità
dell’ingiustizia, viene data da Mosè non
come una norma dettata dall’utilità sociale e daWinteresse umano, ma dalla
volontà di Jtsvè, il quale, essendo il
creatore degli uomini, ha il diritto alla
totale ubbidienza della sue creature.
Nei dieci comandamenti noi non abbiamo soltanto una legge umana ma
una legge divina.
La morale secondo la rivetlazvone,
trae la sua ragione dalla realtà religiosa.
Lo spirito di tutta la legae non è ùn
interesse umano e sociale, ma è .h santità, cioè l’intimo rapporto di fede e di
ubbidienza dell’uomo con Dìo, dal quale rapporto soltanto, procede iena salda
e veritiera morale sociale.
Se l’uomo ubbidisce ad una legge, solamente per interesse umano, rmume
chiuso noUa sfera del suo egoismo. Se
riconosce nella legge l’imperativo di
Dìo, ubbidirà per senso di, dovere,
uscendo quindi dal chiuso cerchio dell’interesse per entrare in rapporto col
sommo bène. •
Questa morale religiosa dovrà compiersi più tardi nell’amore, che è la realtà del vero rapporto uomo Dio, l’essenza della santità. C.'Lupb
la
i aasi
neirora presente
II.
Abbiamo visto (1) quale possa esae■■ re Vaiite^iamento-dèi
perare rangosciosa preoccUjpiazìoinie per
il suo inidivlduale domrand, in questo
tempestoso periodo.
^ Resta da dire della sollecitudine per
rincerto domani nelle collettività, 'sull’ansia chic, se. incombe su ogni componente di esse, si fa spiasm,odica in coloro che ne hanno la responsabilità © la
guida, dal ministro di Stato all^economo del più modesto istituto.
E indubbio che in tempi come questi le più sagge provviidenzie, le più prudenti ed illuminate misure di previdenza sono destinate a fallire dinnanzi
airincalaaire di aivvanimenti solo in minima parte prevedibili, che il più elaborato blindo preventivo va incontro
al naufragio nelle fluttuazioni sregolate
dei costi e che tutte le istituzioni umane sono continuamente sull'orlp. del loro
anniientamento.
Tanta ansia incombe partioolarmente sujgli amministratori di Enti morali
doteti di risorse non facilmiente accrescibili e gravati di oneri in continuo mento.
Di conseguenza, il nostro pensiero va
con fraterna simpatia a coloro che sono
pr^osti alla nostra Chiesa ©d ai nostri
istituti.
Comprendiamo che, se può loro riunire rel^vamente facile lo spogliarsi
della sollecitudine riguardante il pro-pno doimni, ^n la forza dela loro
Fede, più difficile riesca il farlo di
qu^a concernente le colettività loro
affidate, Quello eh© da parte dell’india
viduo privato è atto di filiale fiducia,
SI può temere che passi nel’amministrazione per leggerezza e noncuranza
agli occhi di coloro cui bisogna render
oon-to. •
Inoltre ognuno può affrontare con ü
coragggio della fede le privazioni le le
traversie eh© gli toccano personalmente, ma, se dotato di quella delicata coscienza, quale indubbiamente appartiene ai nostri fratelli cui alludo, non ha
I anii^ di accettarle con eguale rassegnazione per quelli il cui benessere^, la
cui teanquillità, il cui sositentamento dipesone dalla sua abilità e rattitu&ie.
E pertanto ritengo sia più scusatóie
II cristiano che, nella particolare veste d’amministratore, si lascia andare
talv^ allo scoraggiamento, alla pau
(1) N. 14 dell’Eco.
Dirallpr« 1 Prol. OINO COSTABIk
AMMINISTRAZIONE e REDAZIONE:
/_____Via Carlo Alberto, 1 bis — TORRE PELLIOX
ra del domani quando questo si presenta if to di terribili incognit© pér quelle istit-azioni che sono oaiie al suo
cuore.
Tuttavia avrebbero torto di dispera^
re. E con loro avremmo torto di abbandonarid a un nero pessimismo' noi tutti
che siamo interessati alla vita
Chiesa Valdies© e dell© sue Istituzioni.
Mi sia permesso ricordare di averlo già
affermato in altro periodo di difficoltà,
non tragico come l’attuale, ma che preoccuipò gravemente i nostri amminis «latori. Allora Dio permise ebe^ per
1 aumentata generosità di alcuni, per
l’abnegazione © la chiaroveggenza di altri, la Chiesa © le sue opere potessero
continuare neH’opera loro senza importanti riduzioni.
Il miracolo del grano sotto la neve
che sostenne i difensori della Balziglia
si è ripetuto più di ima volta per la
Chiesa Valdese. Certo Dio non ha permesso mai che questa avesse ima vita
facile come quella che essa ha potuto
taloia invidiare, se tale basso sientLmento le .fosse lecito:, ad altre Chiese
. affini, ma non ha neanche mai permesso che perisse. E di questo, come delle
avversità .è difficoltà. Egli sia ringraziato. I
Come potremmo noi aspettarci che
Dio oì risparmi le difficoltà, oggi che
es5e sono così generali?
D'Annunzio iponeva', nella sua biblioteca dei cartelli con su scritto: « Per
non dormirle ». Alla Chiesa Valdiese,
Dio ste^o grida un simile, avvertimento.
Non'dormire, non per l’ansia del domani, di quel domani che gii antichi
ponevano in grembo a Giove e eh© noi
sappiamo appartenere al nostro Padre
Celeste, ma per agire oppi, per supierare la difficoltà cii oggi.
« « A
E’ una pericolosa illusione dell’orgoglio umano, e quanto possa costare lo
stiamo amaramente constatando, il voler costruire ravvenire per secoli. E’
fprse una necessaria - reazione al senso
mortificante nella sua precarietà^ Ja tendenza dell’uomo ad affrontare,'’’ specie
come coUettìvita, sacrifici le pericoli affinchè i figU abbiano « un avvenire migliore», dimenticando che" questi figli
iMcmtreranno alla lor volta aweisità e
difficoltà che non .possiamo antivedere
e cadranno alla 'Ibr volta nella stessa
persu^ione e così, di generazione in generazione, fino alla consumazione diri
secoli.
« Basta a ciascun giorno il suo cruccio ».
Pertanto, mentre Sinodo, Tavola,
Concistori e tutta la gente valdese deve
coraggiosamente affrontare la lotta contro le difficoltà del momento, lavorando, pregando e offrendo per mantenere
compatta la Chiesa., effic.Ì6nti le sue
opere, sarebbe stolto e poco cristiano
raocrescerie il .peso non indifferente di
questo dovere con quello di una sollecitudine che Dio ci offre di assumersi
per noi. m. Eynard.
CHRISTI
SAPER DONARE
Molti sono i donatori. Ma la virtù di
saper donare è. una delle più belle calatteristiche del Cristianesimo; .essa è,
grazie a Dio, parecchio praticata, a disp::tto di coloro che gr^ano a tutti i
venti che il Cristianesimo non .esiste
p^ù, è morto.
' Vi sono, invece, dei (^ristiani che moSi-i ant). che il Crisdanesimo vive e pul•:a nei cuori ed accende la benefica fiaccola del donare.
Donare ! Gesto prezioso ed apprezzato, specialmente in momenti come
questi, di grandi necessità e di grande
scarsità.
Ma se i donatori sono molti, non molti sono quelli che sanno donare. Non è
cosa facile « saper donare ». Per saperlo fare bisogna, prima di tutto, amare,
amare molto colui al quale si dona. E’
allora che il sentimento si fa bello di
tutta la meravigliosa gamma di tinte
lievi e delicate che accompagnano il
-dono e lo profumano. AUora il beneficato, assieme al dono, che spesso riscalda e ristora il corpo, avrà anche il
sorriso che riscalda © ristora Tanima.
Ricordate la parola di Giovanni: « Iddio ha tanto amato il mondo ch^ ha
dato il Suo Unigenito Figliuolo...».
Ecco il vero dono ed il vero Donatore:
il dono deir Amore dato per am.ore.
Quando si dànno delle lire ad un
mendicante per toglierselo d’intorno, o
ci si fa capolista di una raccolta di ber
neficenza, tanto per far risaltare accanto al proprio nome una grossa cifra...
quello é donare, si, ma NON è saper
donare.
Bisogna saper donare. E’ allora che
si fanno palesi dei veri miracoli d’amore. Ecco che, a chi ne ha di bisogno,
giunge un pacco di indumenti ,per il
neonato: quel gesto gli dà il benvenuto
alla vita perchè è accom-pagnato da un
sorriso gentile e da nna buona parola;
ecco che arriva im pacco incognito...
portato da un uomo che subito scompare senza che dica la provenienza di
qual pacco, il quale contiene cose preziose, accompagnate da un biglietto su
cui è scritto: « Il Signore ti benedica »,
senza il nome del donatore.
Un gesto simile fa .pensarle alle apparizioni celesti ai tempi di Mosè a di
Giacobbe e fa sgorgare le lacrime di riconoscenza dagli occhi di chi riceve
quel dono e gh fa piegare le ginòcchia
in preghiera.
Ecco giungere la povera donna e il
bimbo scalzo col dono di quattro uova
e una ricchezza di bontà nello sguardo;
ecco l’araic^con un prezioso carico accompagnato da un sorriso che Vale cento volte il dono, perchè si scorge in
esso l’animo buono; ecco la ospitale aperta con tantà Commovente semplicità, così, come la cosa più naturale
di questo mondo; la casa che accoglie
©d offre tutto -ciò che si è perduto, ciò
che si è lasciato nella fuga e che forse
non si ritroverà più. Un dono dato in
questo modo fa sentire meno grave la
propria sventura e, direi quasi, la fa
anche benedire perchè fa vedere che il
« beine » non è ancor morto; fa scorgere la violetta profumata nascosta tra le
ortiche. Non irhportà che il dono sia
grande o sia piccolo: anche un fiore,
anche una stretta di mano possono
scendere nel profondo dell’anima e beneficarla: basta saper donare.
Saper. donare ! per saper donare
bisogna esser stati alla scuola di Gesù;
bisogna essersi assiri ai Suoi piedi ed
aver imparato da Lui che ha dato Sè
stesso sul legno della Croce per ricattarci con la Sua morte. Bisogna aver
imparato da Lui, che è il Supremo Donatare. Non bisogna fare come il giovane ricco che alle parole « va e vendi
ciò che hai e dàllo ai poveri » se ne
andò rattristato... Dobbiamo bere le Sue*
parole, farle nostre, ricevere nel nostro
cuore, come in terra ben preparata, il
Suo insegnamento e andane... e d<mare ! Allora ci accorgeremmo che tutti
abbiamo sempre qualcosa da donare,
qualcosa che dobbiamo sempre donare,
ma donare come il Maestro ci insegna,
con semplicità, con dolcezza e sopratutto con amore.
D o n a r e in preghiera, donare in
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sì proprio degli ospiti, nelle nostre Valli. lò non so come li abbiamo aicjcolti;
^’ma.vtemo che abbiamo mancato mólto
‘ verso’ di loro: mancato nell’aiutò, nella
cpnsolazione, neH’affetto, mancato so|>ratutto nell’esempio e" nella testimonianza. E qualche voltà infatti gli sfollati ci hanno dato un senso di fastSdio !
Proprio cc»ì, perchè essi pi guardavano e noi eravamo Valdesi e dtìvevamo
comportarci per forza come Valdesi, anche quandi) non n ~ avevamo voglia !
Ma non tutti hai?- entìto; la loro responsabilità; pe: . i5';o è necessario
suonare magari sc.p il campanello d’allarme. , ^
5, ^
íífí '■
' t '« Come, esdlamai, non avete mai visto un aratro? ». . ,:
" ■' V i- - • ...
: ...perfetto amore' in una parola, bisogna
- saper donare................
SAPER RICEVERE ^ ■
Se importante è il «saper donarefi';^''
non; meno importante e difficile è il
._ 'saper ricevere. ....,
' Bisogna'che il dono /otto con vmore
con. amore wetuuto. Bisogna, nel ri^ aevere, spoglìarstL completamente di
(piel falso orgogUo o di quel falso sen'
so di superbia o anche... di quella falsa
-ÍÍ' ed esagerata umiltà che metterla peirsoiia del donatore a disagio e raffiedda
l’entusiasmo che viene dal profondo del
cuore nel poiigere il dono.
'' A chi viene da noi con le mani cariche di fiori profumati, si deve saper rispondere con il profumo della riconoscenza. A chi viene a bussare alla*“ porta-del nostro cuore con ài domo prezioso dell’amicizia e della confidenza, bisogna aprire il proprio cuore e dare ad
esso il posto migliòre. Come in tempi
remoti gli angeli discendevano la scala
santa, che oongiunge la terra al cielo,
e venivano verso gli uomini carichi di
doni preziosi, cosi oggi 'ancona il Signore^ permette questi incontri tra ì suoi
angeli e l’umanità... Basta saper riconosoere ed accettare* i suoi angeli e non
perdere, oh ! sì bada bene, non perdere
per cecità i beneflcd di tali incontri ! I
Suoi angeli? I Suoi messaggeri?... Chi
sono? Sono tutté coloro eh© in un momento di difficoltà ci vengono incontro, o con doni materiali o con doni
spirituali, e guai a coloro che non riconoscono o disprezzano gli invitati di
Dio ! Spesso Iddio permette tali incontri, ma troppo spesso non sappiamo accogliere nè riconoscere tali incalcolabili tesori e calpestiamo cosi l’opportunità che Egli ci dà di scorgere cip lembo
di sereno in mezzo alla tempesta. ’
, Anche il dono supremo, il dono che
Gesù ha fatto di Sè steso sul legno della croce, è stato da una parte dell’umanità incompreso e càlpestato. Egli ha
donato la via della luce, ma gli uomini ha.n preferito ...le tenebre alla luce;
Egli ha dato la pace, ma gli uomini
hanno preferito la guerra; Egli dona la
Vita Etetna, e gli uomini preferiscono
la morte eterna.
Ecco la causa vera dei grandi mali
che affliggono questo mondo m pianto.
Impariamo dunque a saper ricevere,
a saper apprez2:are al giusto loro valore
i doni che Iddio permette siano dati
dai Suoi santi, e più ancora i Suoi doni,
quei doni che cì fanno camminare sicuri anche nella Valle deH’ombra della morte e che dobbiamo saper ricevere
in ginocchio e, a nostra volta, prodigare pK>i a coloro che ci stanno d’intorno.
Guai a coloro dei quali sarà detto :
- « Ho lihviato in dono il mio diletto Figliuolo, ma essi non l’hanno riconosciuto, non l’hanno ricevuto ! ».
Elvira Colucci.
La sirena d'alUrme
Vorrei dire soltanto due parole ai
Valdesi delle Valli due parole che mettessero un po’ d’allarme anche negli angoli più romiti e tranquilli, se pure ce
ne sono ancora,, e nei cuori anche più
addormentati e pacifici. Mi direte: perchè mài turbare di più queste nostre
povere Valli, che credevamo rifugio sicuro e lontano dagli orrori della guerra e che invece sono divenute anch’esse
campo dì lotta e terreno bagnato di
sangue e di lagrime? Eppure, cari Vaidesi delle Valli, vogMo proprio mettermi a suonare la sirena d’aUarme, quella tal sirena, che, quando exnette i suoi
sibili fimesti, turba un tantino la nostra normale circolazione del sangue e
scuote i nostri poveri nervi già tanto
tesi. Sono proprio malvagia, perchè turbo i vostri, forse pochi, minuti di quiete; ma voglio nsettervi in guardia contro im pericolo che minaccia tutti
quanti i Valdesi delle VaUi.
Molti di noi, forse, non si sono neanche accorti dell’immane peso di responsabilità che grava sulle nostre spalle,
da quando è scoppiata la 'guerra. Da*
quando è incominciato l’esodo di migliaia di cittadini, terrorizzati dai bombardamenti, verso le nostre tranquille
valli; da quando si è incominciato a
battere lalle nostre porte e a chiedere
ospitalità, magari nel cuore della notte;
da quando gli ultimi treni della sera
hanno rovesciato sul piazzale delle stazioni dei nostri paesini addomventati famiglie intere, cariche di bimbi e di fagotti, seraa una guida, senza ima meta.
£ da allora abbiamo avuto dagli ospiti,
Che cosa abbiamo fatto cam¡e Chiesa, come miembri della Chiesa Valdese,
per tutti questi ospiti che Dio ci ha mandato? Abbiamo loro annuriziató l’Evangelo? Siamo loro andati incontro come
fratelli, pronti -a soecorreirli nelle loro
necessità? Abbiamo taro dato l’esempio
d’una vita cristianamente vissuta ?
Quando, partiranno, che ricordo porteranno con loro di questo piccolo popolo evangelico, appartato in mezzo alle
montagnie? Cosa sapranno del suo Dio?
Quanti' di essi porteranno nelle loro
città, nei loro focolari ricostruiti una
copia del Nuovo Testamento? •
La stessa cosa potrei dire a proposito di quei giovani, che per un motivo
o per l’altro, hanno avuto dei contatti
con noi in questi ultimi anni. Sono venuti ad abitare in mezzo a noi, per molto tempo o per qualche settimana o
solo per pochi giorni. Alcuni ci vedevano magari entrare in chiesa la domenica, perchè abitavano proprio davanti all edificio della Chiesa Valdese. Ebbene, cosa abbiamo fatto per tutti loro?
Non era forse quello il momento più
adatto nella loro vita, per parlare loro
dell’Evai^elo, per far loro conoscere
Gesù Cristo e la isua Parola? A quanti
è stato dato almeno uflo dei quattro
Vangeli?
Ma, cari Valdesi delle Valli, non tutti forse fra voi sono venuti a contatto*
con estranei, perciò non tutti portate
questo peso di responsabilità. Eppure
anche a voi in altro modo si può chiedere qualche cosa. Anche a voi si può
chiedere conto di quello che avete fatto in questa tragica ora per sanare o
lenire almeno qualche angoscia.
Quante occasioni, cari amici delle
Valli, di fare del bene in mezzo ai vostri stessi fratelli ! E Toccasione è alle,
volte più vicina di quello che, credete.
Avete, per esempio, mai ipensato che
nella vostra parrocchia ci sono delle famiglie, che non hanno mezzi per spedire pacchi al loro caro lontano? Chissà quanti moduli per pacchi rimangono inutilizzati ! Se invece molte persone di buona volontà riunissero i toro
sforzi, si polnebero aiutare non poche
di queste famiglie.
Dovunque c’è miseria ed angoscia,
giunga la vostra mano silenziosa ed
oscura. Soltanto che sentiate pesare su
di voi il senso della responsabilità e che
la sirena d’allarmi risuoni fin dentro il
vostro cuore ! , Anna Marnilo,
L'aratro e i buoi
Sogno. ' '
Come sognamo tutti.
Come il Faraone, Nebucadnizar© e
una folla di altri personaggi importanti
della Bibbia...
Così, in sogno, eocconi, in piedi, in
mezzo ad un vasto campo incolto. Due
buoi, che tiravano un Matro, venivano
verso di me. Due buoi (per parlare con
maggior precisione uno dei due buoi era
ima mucca) „.due buoi tiravano a fatica, sudando, sbuffando, un vecchio
aratro. Vidi, nei loro occhi, una indicibile espressione di stanchezza, di abbattimento, di sconforto. La stanchezza, lo
sconforto, rabbaittimento che leggiamo
talvolta negli occhi dei cassieri dèlie nostre parrocchie quando, dopo un anno
di sforzi ininterrotti, non hanno raggiunto la meta, o vedono che la Tavola
richiede loro un nuovo aumento.
Stanchi si fermano davanti a me.
Compassionevole dico loro: « Mi siesnbrate molto stanchi... ». Il più bue dei
due buoi (quello che non era la mucca), rispose: « Siamo condannati a un
terribile supplizio. Avanzare tutto il
giorno, in un terreno incolto e tìrando
inutilmente un pesa morto... ».
« Voi tirate, risposi io, un aratro... ».
« Un aratro, dissero i due buoi...; cos’4 questa rol^i? ».
« Mai ! »., affermano buoi. '
| Eìd avevano ragione.
^ Perchè, generaimentè, sì inettono i
buoi davanti aH’aratro. E così, come voi
non avète mai potuto vedere le vostre
scapole, certi buoi non hanno mai potuto. vedere l’aratro... E d’improvviso
vidi ohiaro, capii il senso profondo di
questo proverbio:' « Bisogna mettere
Faratro davanti ai buoi ». E’ tutto un
programma, un piano d’azione.
Ed ho agito. Ho tolto il giogo ai buoi,
col perm.esso del padrone, e li ho costretti a voltarsi. Avreste dovuto vedere il loro sbalordimento. Chi non ha
mai visto dei buoi in atto di iguardare
un aratro non può farsene un’idea ! !
Il più bue dei due buoi (cioè quello
che non era la mucca) esclamò:
« Come? !■ L’enorme peso che noi trasciniamo è questa piccola màcchina? !».
E mi toccò spiegar loro ógni cosa. Il
- meccanismo dell’aratro... il solco... il seminatore... il grano che germoglia... la
messe... il mugnaio... il fornaio... il
pane quotidiano... I due buoi ascoltavano le mie spiegazioni con un prodigioso interei.se.' Era la prima volta, finalmiente, che si metteva l’aratro davanti ai- buoi, che si spiegava loro il
suo mecoandsmo, la sua utilità, il suo
posto neli’origanizzazioe sociale...
« E' veramente prodigioso ! », esclamò il più bue dei due buoi (quello che
non era la mucca): « Allora il nostro lavoro non è un supplizio inutile... Allora, quando sudo, sbuffo, fatico, io trasformo un suolo sterile in terreno fertile, io preparo il lavoro di centinaia di
uomini, ne faccio vivere delle migliaia ».
«Perfettamente», risposi.
«Allora», esclamò il più bue dei
buoi, « con quale gioia vado ripartire,
..’.ripriendere il mio compito,., la mia
vocazione’». . ,
« Al tempo », risposie il meno bue dei
due buoi, cioè la mucca; « al tempo ».
E’ noto infatti che ^ il sesso maschile ha la tendenza a vedere le cose dall’alto, a lanciarsi in grandi imprese,
come il canale di Suez o quelto di Panama, il aesso femminile vede le cose
nei suoi particolari, perchè rammenda
le calze; la qual cosa è pur utile, innegabilmente !).
« Al tempo, al tempo ! », rispose^ la
mucca. « Al tenjpo ! Mi pare, se ci vedo
bene, che questo arnese non sia privo
di difetti. Il vomere che dovrebbe essere docciaio ben temperato sembra di
ferro scadente. Questo bullon© è arrugginito... quest’altro è rotto... questa
stegola non va. Non vi sembra che il
nostro lavoro sarebbe altrettanto utile,
più facile per tutti, più redditizio per
voi se l’aratro che noi tiriamo fosse di
buona qualità ed in buone condizioni?
Il solco ne risulterebbe più profondo.
Tutto andrebbe meglio. Fare un lavoro utile è cosa buona; farlo con ardine,
con metodo, con degli arnesi bene arrotati, è cosa migUore, ! ».
« Il nieglio, diss’io, è spesso anemico
del bene ».
« Eccellente motto per i pigri », rL
spose il più bue d®i due buoi; « la
mucca ha ragione »,
« La mucèa ha ragione », disse l’agricoltore; «-Faratro ha bisogno di una
revisione; andiamo dal fabbro ! »,
■ Detto fatto; eccoci dal fabbro. Egli
afferra baratro; prende il vomere, lo
arroventa; il vomere urla e grida: « Mi
fate male ! Hou 1 Hou ! Hai ! Hai ! ».
Ma, #èRza riguardi il fabbro tortura il
vomere... lo massella, ...Bim ! Bang !
Boum ! Pan! E il yonaere grida; «Mi
fate male ! Oh ! il mio collo !... 1© mie
Gl ecchie ! », Spietato il fabbro contìnua.
Ed ecco, il vomere, tutto rosso, è tuffato nella fredda acqua. Il vomere lancia un grido tremendo. E’ la morte?
Nc: è leimp^ràto. Il ferro scadente è
diventato acciaio. Il fabbro lavora di
martello sull’incudine, e, un poco alla
volta, il vecchio vomere diventa un bel
vomere tutto nuovo, lucente, ...ohe troneggia .sull’incudine... dimentico ^ tutto le sue sofferenze e che gridà: « "Vedete, come sono bellp, ora !>.
Il fabbro c mbia i bullcmi rotti, pmette
un’altra stegola. Ed è un amtro a pun-to perfettamente che tirano i buoi, ora.
Il contadino non ha neppure bisogno
tei far schioccar la frusta. I due buoi
partono allegramente, a traverso il terreno incolto. Passano davanti a me ehe
leggo nsi loro sguardi una espressione
di gioia, di grand» gioia... Fespressione
che vedremo foilse un giorno, negli occhi dei cassieri dei nostri concistori
quando avranno capito che il lavoro
ingrato che essi compiono oggi, serve a
preparare il solco in cui ì nostri pasto
Si
ri andranno seminare, domani, il buon
seme delle messi del.Regno di Dio...,
quando la commissione eh propaganda
della Chièsa avrà migliorato il suo ara-'teo della pubblicità, sostituendo il vpmere di fiérro, e i bulloni arrugginiti,
fissandoli in. un vomere d’aociaio' ben
bejnpèràto, solidamente fissato ai ceppo.
'J.Brocher.
(Tradotto da La Vi& Protes^xnKte),
iJn giorno di pioggia un muratore e
:»uo tì^.j.0 mui-ivanti ui noia, in casa, li
ragaz«,u txa snervavo e non sapeva
come xaic: per passar© ii tempo. Suo
paure, per uccupano un po', prese una
carte *gcogi',aiica murale, fa strappò ^
vari pezzi, ii gettò contusamente al
suolo .por oxsse ai ragaMo: « Beh ! figlio
mio, viSto cne non sax cosa fare, raccogxj vuiti quetti p¿zzi Ui carta, e ricosLiuisci xa uax la uei mondo. Così ne hai
per aimeno una mezza giornata. E sarà
ttnlo di guadagnato; imparerai la geografia e non tarai ueiie sciocchezze ».
Lieto di essersi cosi poluto finalmente liberare con laciluà delle imiportune
continue r. chieste del ragazzo, ri ipadre
si immerse per suo conto nella contemplazione deixa pioggia che continuava a
cadere monotana, mentre il ragazzo
. metteva- tutto ii suo impegno a risolvere questo pazzie di nuovo genere.
Ma dopo appena dieci minuti, l’opera era comp-uta con grande stupore del
padre che esclamò; « Non sapevo che
tu fossi un campione in geografia. Hai
l'atto veramente presto ! ».
« Sai, ,papà; la geografia non c entra !
Dietro la carta del mondo che tu hai
strappata c’era un disegno che rappresentava un uomo. Io ho ricostruito
1 uomo ed ho pensato; se ricostruisco
l’uomo, nello stesso colpo ricostruirò ii
mondo. E' più sen^ice ! ».
Ammirate la saggezza di questo bartibino e riconosciete ch’egli ci dà una
grande lez.oqe di cui abbiamo bisogno
e di cui dobbiarno compenetrarci; per
cosxruire il m ndo, bisogna ricostruire il
l’uomo.
Il moudo è ammalato,.. C’è multo
tempo-che è àmjhàtetote hon lo è mài
statò come questi ultimi aniii ! Anqhe
le Chiese sono ammalate; tutte, senza
eccezione. Non più. del mondo, sia
pure. Comunque sono ammalate. E
non mno i. discorsi, per quanto eloquenti, nè re oer.monie ponapose che le
salveranno.
Perchè il mondo e le Chiese in distretta siano salvate, non c’è che una
sola via; una sola; iicostruire l’uomo.
Il nostro mondo e le nostre Chiese
scmo come delle piramidi capovolte.
L’uomo ne è la base: la sola che sia solida. Non si può fare una società buona con degii uomini cattivx. Ricostruire l’uomo secondo la « carta » eterna
dell’Evangelo significa salvarlo, © con
esso salvare le Chiese e il mondo...
...Ma un oieco non può condurre uq
altro cieco ! Allora, voi che leggete siete
«ricostruito»?
Pierchè la ricostruzione delFuomo, e
qiiindi quella del mondo e delle nostre
Chiese, comincia dalià qostra ricostruzione personale,
...« Se un uomo non nasce di nuovo
non può vedere U Regno di D o », dice
Gtosn. X. Altermatt.
Cronaca Valdese
ANGROGNA (Serre)
Sabato 22 luglio, abbiamo accompagnato
alla loro ultima dimora terrena le spoglie
mortali di Giovanni Pietro Co’isson, deceduto al Serre alla età di 87 anni, in circostanze
paiiJcolarmente dolorose per la famiglia. Sul
figli, di pui alpuni all’estero, sui parenti tutti
invochiamo le consolazioni di Dio..
— Domenica 30 luglio, nel coirao del nostro culto nel tempio del Serre, abbiamo
avuto la gioia di ammettere quale nuovo
membro della nostra Comunità, in adulto a
sua richiesta, la giovane Angela Simond,
proveniente da altra confessione religiosa.
Domandiamo a pio dì benedire questa no■ stra sorella e di ispirarla onde, essa sia sempre fedele all© promesse fatte davanti a Dip
ed alla Sua Chiesa. e. g. ,
SIGNORINA pratica bambini, occuperébbesì giornata, mezza ^oiqàta. — Rivolgersi ai
giornale. \ .
Prof. Omo OtsTABEt, Direttore responsaHle
Autorizzazione Min. Cultura Popolare N. 10
del 7 gennaio 1944-XXII
ART! GRAFICHE » L’ALPINA „ - Torre Pellicc