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ECO
DELLE VALLI VALDESI
Spett.
BIBLIOTECA VALDESE
TORRE PELLICE
(Torino)
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno XCII — Num. 7 I ABBONAMENTI f Eco: L. 1.300 per rinierno « Eco » e « Presenza Evangelica » Spediz. abb. postale • I Gruppo 1 TORRE PELUCE — IG Febbraio 1962
Una copia Lire 30 1 L. 1.800 per l’estero interno L. 2.0ÍX) ■ ©storo L, 2.800 Cambio d’indirizzo Lire 50 1 Aimnin. Clandiana Torre Pellice • C.CJ*. 2-17557
Il prezzo della libertà
/ Valdesi in Italia e nel mondo ricordano in questi giorni la data del
17 febbraio 1848 ed il suo significato
nella storia di una minoranza religiosa. La celebrazione si svolge nel quadro di una tradizione ormai più che
secolare, in una spirito di gioia e di
riconoscenza a Dio.
Sottolineo queste due ultime parole perchè esse debbono esprimere
ancora oggi i sentimenti dei nostri
cuori. Si celebra con gioia il 17 febbraio, anche se si accentua sempre
più il distacco nel tempo da quella
che fu, per i nostri padri, un'ora di
allegrezza certamente non disgiunta
dalla fede E si rievoca quel giorno
con un senso di profonda riconoscenza a Dio. Scriveva anni or sono Gio' vanni Miegge: "Quante crisi, quante ore di depressione nella lunga strada elle Dio ci ha fatto percorrere!
Quante volte è sembrato che tutto
fosse finito, perduto senza scampo,
ed invece la vita risorgeva nel corpo
esausto della Chiesa Valdese, perchè
la sua vocazione rimaneva sid suo
capo eome un’obbligazione che da
vita! L’espressione della riconoscenza può salire sulle nostre labbra. Fin
qtii ¡'Eterno ci ha soccorsi’’.
Eridentemente mm possiamo parlare del 17 febbraio senza riferirci
alla liberta, di cui godiamo per la
testimonianza della nostra fede. €’•'
stata, in quel momento, una svolta
derisiva nella storia della nostra
Chiesa e nella situazione dei Valdesi per lunghi secoli oppressi. Sul piano giuridico i loro diritti incoitiinriurono ad essere riconosciuti, mentre la Chiesa prendeva coscienza della sua vocazione evangelistica e mandava i suoi predicatori ad annunziare l’Evangelo oltre i confini del
Pellice e :lel Chisone.
A 114 anni di distanza dal primo
17 febbraio, il ricordo è sempre quello, anche se i tempi sono mutati. Non
intendo giudicare un secolo di storia della nostra Chiesa; essa ha sicuramente le sue luci e le sue ombre
che sono quasi sempre il riflesso della nostra ubbidienza ciistiana o delle nostre infedeltà. Voglio semplicemente ricollegare la celebrazione del
17 febbraio al fatto della libertà di
coscienza e di culto concessa ai nostri padri ed a noi: una libertà attesa, invocata, pagata a prezzo di una
lunga resistenza e che ha un significato per noi soltanto se diventa oggi uno strumento di servizio alla gloria di Dio e per il bene degli uomini. Si dirà che quella libertà è un
diritto, ed infatti lo è. Tuttavia Carlo Lupo precisava questo concetto
con estrema chiarezza, dicendo.
’’Non è il diritto di credere o di agire come si vuole (codesta è licenza
dì orgogliosi), ma come Dio ordina
nell’intimo della propria coscienza
mediante la sua Parola in Cristo rivelata. E perciò la libertà di coscienza trae seco un inderogabile dovere
di ubbidienza all’autorità assoluta di
Dio’’. Si pui) parlare di diritto, ma
non si può per questo .sfuggire ad
i na ¡¡recisa responsabilità.
* * *
Al di sopra della nostra libertà,
c’è la libertà di Dio. Dio solo è veramente libero. Egli parla a una generazione e questa ha il diìvere di
ascoltare e di ubbidire. E inutile
che cerchiamo di confinare la presenza dell’Iddio vivente nella storia
dei nostri padri; Egli non si lascia
imprigionare dal passato e la sua Parola ci raggiunge sempre nella realtà della nostra vita quotidiana. Sono
convinto che esistono ancora oggi
molte ragioni per meditare sulle pagine della storia valdese in cui Dio
ha operato; e purtroppo non lo facciamo che raramente. Ma dobbiamo
anche prendere coscienza di questo
fatto fondamentale: Dio vive nei nostri tempi, in mezzo alle sue creature, dove attende che qualcuno compia la sua volontà. Può accadere che
ci attardiamo a cercare i segni dei
tempi nel cielo dei nostri padri; stiamo attenti a non rimanere troppo a
lungo in quella posizione, perchè Dio
è vivente e - può condurci con severità, per quanto sempre con amore
nel motulo di oggi, di fronte ai compiti della Chiesa di oggi.
La libertà, la lutstra libertà in
quanto popolo Valdese, non è garantita prima di tutto dalle leggi o dal
nostro beiwssere. Sembra che sia così, in realtà non lo è. Anche in piena democrazia ci sono delle forme
di schiavitù; la storia ci insegna che
.soltanto l’eterna vigilanza è il prezzo della libertà.
Dirò qualcosa di più e di maggiormente impegnativo oggi: la libertà
vera per tutta la nostra Chiesa sta
nella nostra disponibilità per il servizio di Cristo e degli uomini. Siamo liberi nella misura in cui serviamo l’uno e gli altri con amore, con
l’amore di cui Gesù Cri.sto, per primo, ci ha dato l’esempio. Il prezzo
delta nostra libertà, allora, è veramente il nostro servizio.
E sarà co.sì, anzi dovrà e.ssere co.sì aiwhe nella nostra Chiesa. O essa
sarà maggiormente libera per servire, facendo la volontà di Dio, o a
poco a poco si chiuderà in se stessa,
invecchicuido e lasciando invecchiare
quelli che ancora .si rivolgeranno a
lei. Ovvero essa saprà discernere oggi i segni dei tempi e le vie del Signore per percorrerle, ovvero rimarrà indietro, isolata nel tempo e nello spazio, mentre il Signore cammina e sempre ci precede, chiamando
dietro a sè degli uomini vivi, non
dei morti.
Scrivo queste parole in un tempo
in cui molti, nella nostra Chiesa,
pensano a questo problema. Non tutti possono avere s;li ste.s.si pareri, non
tutti possono operare nello stesso mo
do. Ci sono talvolta dei conflitti di
idee e di generazioni. L’essenziale,
però, è che ci rendiamo conto che
la vera libertà per la nostra Chiesa
sta nella sua capacità di donarsi per
il servizio di Cri.sto e degli uomini
in un impegiuì che riguarda tutti e
ciascuno, nel rispetto reciproco.
Un .servizio gioioso e riconoscente; senza dispute vane, senza amari
giudizi sul passato o sul presente,
anzi con umiltà e con amore. Un servizio compiuto in solidarietà di preghiera e di azione. Un servizio che
ci faccia gustare a nuovo la freschezza dell’Evangelo, che rechi una vampata di aria pura nell’atmosfera delle nostre Chiese e che ci consenta
di accettare un .sacrificio compiuto
nel nome di Gesù. Un servizio che
non sia ostacolato dalle nostre divisioni, dalle uosire discordie interne
o dai nostri ¡muti di vista troppo
unilaterali.
In questo servizio respireremo
un’atmosfera di maggiore libertà
per muoverci e per operare senza
gl’intralci dei nostri egoismi e delle
nostre sicurezze terrene. Soltanto in
quella libertà di amare e di servire
aiuteremo veramente la nostra Chiesa, che ha bisogno di essere amata
così com’è oggi e come sarà domani
se a Dio piacerà di conservarla in
vita. E soltanto così libereremo anche la nostra Chiesa Valdese da quelle preoccupazioni finanziarie che ne
ritardano e ne turbano il quotidiano
cammino, perchè avremo veramente
conosciuto la gioia di poterla amare
anche con i no.stri doni e con il nostro denaro.
Parlare di libertà, quamlo si è
trattenuti da pesanti catene, è un in
ganno. « Cristo ri Ija affrancati per
chè fossimo liberi » : liberi e vera
mente uniti, indipendentemente da
gli uomini e dalle difficoltà della vi
ta, per dare una reale testimonianza cristiana, in attesa ilei Regno che
viene.
Ekmanno Rostan
LA SE¥¥IITIANA
VALDESE
La settimana del XVII febbraio è
stata chiamata nel passato «Settimana di Rinunzia ». ^ .$ontinui a chiamarla così o la si chiami Settimana
Valdese, non importa. L'essenziale è
che nel corso di essa i Valdesi sappiano manifestare la loro riconoscenza a Dio con un'azione di solidarietà
e di generosità verso la loro Chiesa.
La Tavola Valdese addita a tutti i
Valdesi d'Italia e dell'estero l'esigenza di un aiuto concreto e generoso
per sovvenire alle necessità generali
della nostra opera. Essa fa appello
alle comunità e ai singoli, affinchè
l'offerta che verrà fatta in favore della Cassa Centrale sia tale da potere
insieme ringraziare ancora una volta
il Signore per le sue liberazioni.
Esprimo sin d'ora a tutti la riconoscenza della Tavola Valdese per il
sacrifìcio che verrà fatto in uno spirito di serena e fiduciosa collaborazione. Il Moderatore
Ritorno
ai monti
Non le rive fiorite del mare
nè il fragor delle belle città
sanno avvincere l’anima mia
come tu, rude e dolce Rorà!
Nella chiostra severa dei monti
quando .salgo gli arditi sentieri
che a te guidan tra rocce ed anfratti
come limpidi e lieti i pensieri!
come — dopo la folle inquietezza
e del mondo la tragica arsura —
tu apparisci l’asilo di pace
nel tuo nido di fresca verzura!
sotto al Frioland pacato e la Rocca
dal cipiglio e dal nome guerriero!
Un .saluto iiieffabil mi giunge
sulla porta del tuo Cimitero:
accoglienti sorridon le Magne
ed i Barba di mia gioventù,
una piccola folla d’amici,
che quaggiù non vedremo mai più!
Ogni baita, ogni querce, ogni pietra
si. fan vive di calde memorie,
ogni cosa qui vive e ripete
del pa.ssato le fulgide .storie!
E i rorenghi dell’oggi, con sguardo
di fratelli, mi tendon la mano;
qui ritrovo la grarule famiglia
come .sognasi il genere umano!
Perciò t’amo, rupestre borgata;
pel pa.ssato e per l’oggi, che invita
del domani alla grande speranza,
al gran soffio auspicato di VITA!
Passa ovunque qui un fremito ar
{cono
della VITA che fine non ha,
qui il mio cuore si placa e si esalta
ed è qui la mia patria; RORA’!
Ada G. Meille
IL DONO DEI VALDESI ALL' ITALIA
Quale sarebbe oggi in Italia la situazione della libertà di coscienza e
di culto se non fossero esistiti nel
1848 i Valdesi e non fosse stato necessario elargire loro quella parità di
diritti civili e politici che fu poi la
premessa indispensabile per la loro
progressiva emancipazione religiosa?
Domanda legittima ad ogni ricorrenza del XVII febbraio, e che, seppure storicamente non legittima (poiché nella storia non esistono i se!), ci
induce comunque a riflettere sulle vicende della libertà religiosa nella patria nostra attraverso i secoli, e sul
destino che vi ebbero i Valdesi.
Una minoranza
saocanto
Tale evidentemente era considerato
il nucleo eterodosso dei Valdesi nello
stato sabaudo del XVI secolo: se è
vero che nei secoli precedenti essi avevano dato segno di vita e testimoniato ovunque in Europa, fu soltanto
agli inizi della formazione dello stato
sabaudo che la loro presenza propose
il primo crudo dilemma ad Emanuele
Filiberto: o tollerarli o sopprimerli.
Non è qui il luogo di ripetere le ben
note vicende del 1560-61, anni in cui
i Valdesi si presentarono alla ribalta
storica del Piemonte come chiesa organizzata e popolazione dissidente,
nei cui riguardi era più che logico
attuare anche con la violenza il principio del « cuius regio, eius et religio », cioè della religione di stato. Senonchè, dopo le note vicende e dopoché per la prima volta i Valdesi si
organizzarono contro lo stato, questo
dovette cedere, e venire a patti con i
ribelli sudditi.
Così, con l’atto del 5 giugno 1561.
firmato a Cavour tra i delegati vaidesi e il rappresentante del Duca, si
La libertà religiosa
sanciva il principio del grande ghetto
valdese delle Valli, in cui i Valdesi
erano chiusi ma liberi di seguire le
loro pratiche di culto. In tal modo la
loro esistenza, diremmo fisica, veniva
autorizzata, e con essa si dava altresì
riconoscimento al concetto della tolleranza religiosa, ger la prima volta in
Europa. I nostri padri si affacciavano
pertanto anche alla ribalta storica del
Protestantesimo europeo, sempre pronto dipoi ad accorrere ed intervenire
in favore dei fratelli oppressi.
Senza volerlo e senza rendersene
conto, quella minoranza seccante dei
Valdesi e il Duca Emanuele Filiberto
stabilivano la premessa indispensabile che conteneva i germi della futura più ampia tolleranza
Dall' Èmanoìpazione
alla Costituzione
I tempi che seguirono alla pace di
Cavour, almeno per un secolo e mezzo. furono d resistenza, come ognuno ricorda: ìbbarbicati i Valdesi alle
loro rocce e forti del diritto riconosciuto nel 1161, essi ebbero a lottare
con i congiinti poteri dei sovrani e
della Chiesa che avevano dimenticato
l’antico patD, e a cui soltanto stava
a cuore di ridurre tutto lo stato sabaudo all’uiico ovile... Donde le guerre di religione, e le violenti repressioni del 1é55, del 1686-90, del 1730,
durante cui ben sovente parve che la
storia e la testimonianza valdese in
Italia avessiro raggiunto la fine...
Poi venrero i decenni del silenzio,
quelli del lazionalismo, quelli ancora
del risveelb: la Chie.sa delle Valli,
ricca e di peccato e di benedizione,
apparve sulla via delle libertà italiche che il Risorgimento veniva risvegliando.
Così il 17 febbraio 1848 segnava
un passo avanti, poiché dall’integrità
fisica di quella gente per tanto tempo
oppressa, Carlo Alberto passava col
suo editto di emancipazione al riconoscimento delle libertà civili: nè si
parlava allora di libertà religiosa, chè
la sola concessione di quella civile già
era parsa duro sacrificio all’italo
Amleto!
Perciò i Valdesi se la conquistarono passo passo quella libertà di culto
che nessuno aveva ancora loro concesso: costruirono i loro templi fuori
delle valli, si diedero ad evangelizzare, a fondare chiese..., a creare il problema della libertà religiosa fuori dell’antico ghetto. Nè vogliamo qui rilevare una volta di più la simpatia che
il Protestantesimo europeo ed americano dimostrava loro, anche in sede
politica, per la loro coraggiosa lotta
alla Chiesa del Papa, e neppure il
pretesto che essi fornirono aH’illuminato Cavour per ottenere al tol.erante Piemonte l’appoggio di quanti vedevano neU’abbattimento del potere
temporale la salvezza dell’Italia. Questioni suggestive, e storicamente fondate.
Quando poi giunsero in Italia le
missioni di chiese straniere, metodiste e battiste, esse trovarono quel clima di comprensione e quegli elementi
legislativi che i Valdesi, con l’opera
di evangelizzazione, avevano conquistato per sè.
Ma non soltanto per loro. Chè. in
ultima analisi, quello che i Valdesi
chiedevano era di poter liberamente
testimoniare e predicale: e così facendo, facevano all’Italia il grande
dono della libertà religiosa, strappata,
si può dire, poco a poco e faticosamente, ma affermata ad alta voce, richiamata come patrimonio indiscusso
di ogni popolo civile, introdotta nella cultura e nella vita politica della
penisola attraverso i libri, i giornali,
le amicizie, la testimonianza dei modesti e dei maggiorenti...
Così la latina e cattolica Italia si
veniva distinguendo nettamente dalla
latina e cattolica Spagna, proprio nel
campo della tolleranza religiosa, ad
opera di quelli che l’intolleranza per
tanto tempo aveva tentato di eliminare...
Poi venne il 1929: i Valdesi passarono dalla categoria di « tollerati »
a quella di «ammessi »; con loro naturalmente tutti gli altri evangelici italiani, per i quali non la saggezza, credo. ma l’anticlericalismo e il calcolo
del dittatore aveva riservato tale riconoscimento.
Poi la Costituzione: chi non ricorda le grandi discussioni, non più allora su particolari condizioni di tolleranza o su determinati culti, ma sui
grandi principi dei diritti dell’uomo?
Ma qui è forse legittimo domandarci
se queste discussioni avrebbero avuto
luogo, qualora in Italia non fossero
stati presenti gli evangelici, e soprattutto i Valdesi... se nel lontano giugno 1561 a Cavour non si fossero presentati quei pastori e quei laici delle
Valli a firmare il patto con i Savoia...
Vista e interpretata in questo modo, la storia dei montanari valdesi
Augusto Armand Hugon
(continua in 6« pag.)
2
PM- 1
N. 7 — 16 febbraio 1962
’a¿Tiicoltore
cmnrrT"
(or.
Partiré, perchè 7
« Ce n’est pas du cinéma » aveva
detto il Past. Gérard Cadier quando
ha presentato le persone che àvr^bero introdotto il primo argomento allo
stiKlio della «rencontres rurales» di
Bourdeaux. Si trattava, infatti, di due
contadini della regione, padre e figlio,
che qualche tempo fa hanno dovuto
affrontare e discutere questo problema fra di loro e risolverlo in qualche
modo, e che, nonostante l’emozione
che procurava loro ridiscutere questi
argomenti in pubblico, avevano accettato di introdurre così l’argomento per tutti noi.
E veramente tutti ci siamo accorti
che non si trattava di un montaggio
artificioso e se alla fine questi nostri
fratelli erano commossi, tutti coloro
che li hanno ascoltati non lo erano
di meno! Ma, bando al ricordi sentimentali, e vediamo di rispondere alla domanda: partire, perchè?
Non credo sia il caso di soffermarsi
troppo sui dati tecnici di questa vicenda perchè la situazione agricola
della Drôme, zona collinare di campi
e di lande è assai diversa della nostra ed i paragoni sono diffìcili e bisognerebbe conoscere a fondo quelle
zone per poter fare delle valutazioni.
Ma la vicenda è simile a quelle che
succedono, o possono succedere, anche fra di noi, anzi ai migliori di noi.
Ecco: i «vecchi» (ma non poi tanto vecchi!) hanno messo su ima fattoria con la loro fatica. Hanno cercato di comperare i campi vicini per
rettificare i confini, hanno fatto dei
cambi per evitare la dispersione del
terreno in tanti piccoli pezzi, hanno
aumentato la superficie coltivabile e si
sono aggiornati il più possibile con le
tecniche di coltivazione. Un trattore,
il telefono, una casa molto migliorata, più comoda, più spaziosa, più confortevole. Si sono anche preoccupati
di seguire la richiesta del mercato
nazionale per sfruttare nuove coltivazioni o nuove produzioni; infatti
su consiglio di tecnici hanno impiantato una grossa coltivazione di lavanda (3 ha) che permette di aumen
tare la rendita della fattoria, mantenere una automobile ohe, senza avere dellé pretese di lusso permette di
ridurre le distanze che separano la
famiglia dalle fattorie vicine, dal paese, dalla Chiesa.
Tutto questo è riuscito bene, la fattoria ha aumentato la sua rendita
tanto da poter pensare ad un ulteriore ampliamento della casa per permettere al figlio, sposato con un paio
di bambini, di aver un alloggio autonomo, poiché tutto questo i « vecchi »
10 hanno fatto per il loro figlio, perchè potesse rimanere sulla terra dei
genitori in migliori condizioni di loro, perchè potesse sentirsi uomo completo e avere la possibilità di un lavoro dignitoso e abbastanza redditizio.
Ma ecco che quando le cose sembrano risolte, o sulla buona strada
per esserlo, altre difficoltà sorgono e
complicano la faccenda: si crea un
malessere evidente nei giovani e, per
conseguenza, fra giovani e «vecchi».
C’è una questione di scuola: quella
più vicina sta per essere chiusa per
mancanza di alunni proprio quando
11 più alto dei bambini dovrebbe cominciare a frequentarla, e le altre
scuole sono assai più lontane, anche
l’automobile non risolve il problema
perchè o si accompagna il figlio e lo
si va a riprendere o si lavorano i campi! Poi c’è la questione finanziaria:
la fattoria rende molto più di una
volta; ma i salari in città sono aumentati più rapidamente ancora, l’industria promette una ulteriore espansione, mentre i campi sono sempre
alla mercè del bel tempo e della pioggia. C’è la questione dell’isolamento
in una campagna che ha tendenza a
spopolarsi, in cui le famiglie si fanno
sempre più rare; e da soli non si resiste, se non c’è la possibiltà di scambiare non solo quattro chiacchiere,
ma le proprie idee, le speranze ed i
timori, la fede ed i dubbi con degli
amici e dei fratelli; In paese od in
città è tanto più facile incontrare
gente a cui non solo raccontare del
bel tempo e della pioggia, ma anche
testimoniare di Gesù Cristo, in paese
o in città è molto più facile essere in
una comunità che aiuta e sostiene.
Poi c’è tutta la questione del lavoro della moglie, che non solo ha la
casa da tenere a posto (ed in campagna c’è più fango che in città) ed i
bambini a cui badare, ma anche de
ve aiutare il marito a lavorare fuori
a badare al bestiame e tutto il resto
E’ pur vero ohe la campagna offre
diverse cose che si cercheranno inva
no in città : una vita in fondo più equi
librata e naturale, im’aria che i barn
bini cercheranno invano in ima città
un ritmo di lavoro forse più intenso,
ma più sano di quello che richiede
l’industria con i suoi turni etc.
Ma questo non basta: i vantaggi
non bilanciano gli svantaggi ed i giovani partiranno verso la città dove
un altro lavoro li attende ed i genitori rimarranno sulla terra per coltivarla fin che potranno, poi si vedrà!
Triste epilogo di una vita di fatica e di lavoro per migliorare una campagna e renderla più facile e piacevole per il proprio figlio !
Son cose che capitano. Certo, ma
non devono succedere invano; p>er
In margine alle “Rencontres rurales protestantes,,
questo i nostri diie amici francesi
hanno accettato di portare davanti a
tutti la loro discussione e la loro sofferenza e, credo, abbiamo imparato
parecchio.
La prima cosa è che in questioni
del genere l’elemento denaro non è
mai il solo. Nelle nostre montagne è
più importante che in luoghi dove la
terra è meno avara e sfruttata, ma
anche se la sua preminenza può far
dimenticare gli altri, essi ci sono e
vanno esaminati lucidamente e seria^
mente per non rischiare che spuntino poi fuori quando tutto sembra risolto. I pwoblemi venuti alla luce a
Bourdeaux sono veri anche da noi
ed anche da noi hanno il loro peso:
non basta cercare un posto dove si
possa guadagnare di più; ma se ci
sono dei figli in età da andare a scuola bisogna pure pensare a loro, come
anche la possibilità di non essere
troppo isolati in un ambiente diverse e forse ostile: trovare dei fratelli
in fede non è un trucco escogitato
dai pastori per ragioni ecclesiastiche,
ma spesso è la condizione per una vita semplicemente umana e non ridotta al livello di un ingranaggio di un
gran meccanismo. Anche le questioni
che sorgono dalla forzata convivenza
di due diverse generazioni non sono
da trascurare.
Per questi motivi e per la complicazione del problema stesso bisogna
non essere obbligati ad affrontarlo da
soli; ma i»terlo discutere con altri:
con i familiari stessi, senza falsi pucicri, senza idee che ci sono ma non
si vogliono dire chiaramente e che ad
un certo punto complicano e confondono tutte le cose, in modo da cercare di vedere chiaramente le ragioni
e tutte le ragioni che spingono a partire od a rimanere.
In secondo luogo è molto utile il
consiglio di un tecnico, non solo di
uno specialista ohe conosce a fondo
alcuni aspetti del problema, ma non
lo vede nel suo insieme; ma piuttosto uno di quelli che in Francia si
chiamano « consiglieri agricoli » : persone che hanno una sufficiente competenza in diversi campi, e che sono
in condizione di vedere l’insieme della questione : perchè per in un villaggio abbandonato non si deve rimanere più, anche se tecnicamente si
potrebbe far questo o quest’altro per
migliorare il rendimento del suolo ed
aumentare il reddito.
Ed è a questo punto che interviene,
o può intervenire, la Chiesa. Dico
Chiesa e non il Pastore che può anche non intendersi per nulla di problemi agricoli, ma la Chiesa formata
da tutti i fratelli, anche dai « tecnici » credenti, aneffie dai non tecnici
che vedendo la questione dal di fuori, possono dire una parola; non per
mettere però il becco negli affari degli altri, ma per solidarietà e per amore, una parola quindi giusta e chiarificatrice. La Chiesa in cui l’amore è
vero e quindi può e deve aiutare la
gente a trovare e vivere la propria
vocazione di uomo, dovunque e co
munque Dio la formuli ; la Chiesa che
non si lascia trascinare da facili sentimentalismi conservatori o innovatori, ma aiuta ciascuno a riconoscersi
davanti a Dio; che non va alla ricerca di miti e di pretese vocazioni di
fedeltà alla terra o di slancio evangelistico nel settore industriale, ma
ha il coraggio e l’umiltà di riconoscere la libertà di Dio che chiama gli
uni a restare e gli altri a partire e
che ha un consiglio serio ed obbiettivo per i giovani che partono ed una
parola di "vera consolazione per i vecchi che restano o viceversa.
Franco Davite
iDcìdenza di ana prassi
nella ïita
Sono grato al Signor Moderatore per le
« due parole... » pubblicate »u u L’EroLuce » del 26 gennaio in merito alla questione dell’iiso della toga. Il riehìauio alla
prassi riformata può infatti ooncorrere a
risolvere taluni dubbi in questa faccenda,
in sè secondaria, la quale tuttavia, per le
questioni ebe vi sono implicite, si è innestata nella diacnssione di alcuni problemi
di fondo che oggi interessano la Chiesa in
vista di una più precisa loro chiarificazione nell’attuale ricerca di coerenza biblica; stimolo questo inceasante che non
può mai esaurirsi in una Chiesa riformata
e per questo semper reformanda.
Quale semiplice giurista — limitandomi
ad osservare con distacco le cose i-osì come si ipresentano nel quadro vigente, per
cercar di coglierne il senso e chiarirne le
connolaaioni in sede di principio, spinti)
solo da un’esigenza d’ordine e di chiarezza
anche nelle cose ecclesiastiche — non mi
era sembrato, anche per ragioni di competenza, di potermi richiamare alla « tradizione riformala » iper dare una risposta
definitiva in tema di toga. Ciò anche perchè, nel corso della già avviala discussione sull’argomento, avevo rilevato che taluna comunità sembra chieda, anche a coloro elle pastori non sono, di indossare la
toga allorcliè predicano; e pertanto, per
il rispetto dovuto, nelle cose relative alla
pratica del culto, agli usi delle comunità,
mi ero limitato a confermare che, su tale
fondamento, chi, invitato dagli organi di
una Chiesa ad indossare la toga aU’allo
di salire sul pulpito, sente di poterlo fare
e vi si adegua, fa bene. Personalmente invece, come precisavo nel mio precedente
scritto, la toga, per istinto, non l’ho mai
messa per predicare; e desidero aggiungere che, di fronte ad un invilo di una
comunità ad indossarla, mi sentirei in non
lieve disagio e, pur con là coscienza di
spiacere a qualcuno, rifiuterei l’invito ad
indoisisare un « indumento » che non rientra tra quelli che mi sono propri nonostante esso, come « paludamenlo », sia molto
simile alla toga curiale o forense che dire
si voglia.
ââ
DIFFICILE È STARE NEL LUOGO SANTO
Dalla sagrestia al sagrato?
Ero ragazzo quando si era sfollati,
in un paesino dietro la collina torinese. Uno dei ricordi che mi son rimasti impressi, di quel tempo, è lo spettacolo domenicale: sul sagrato, la domenica mattina, mentre le donne già
nella chiesa seguivano il servizio, i
più degli uomini, vestiti a festa, se la
godevano a chiacchierare e fumare;
poi al suono della campanella — e
mi spiegavano che veniva l’elevazione
dell’ostia — entravano anche loro a
prendere, come dicevano, ’n toc d’
Méssa. Chissà, forse è ancora così,
nel paesino nascosto dietro la collina. Ma credo di no; anche là, come
ovunque, questi anni sono passati pesanti e disgregatori, forse chiarificatori. Anche là la scelta si dev’essere
operata, più netta, fra chiesa e sagrato; anche se la chiesa, purtroppo, rimane troppo spesso sagrestia.
Questi pensieri mi son venuti in
mente dopo aver letto una lettera ricevuta in questi giorni in redazione.
Chi l’ha scritta, desidera mantenere
l’anonimato, e si rispetta qui il suo
desiderio; ma non credo di far cosa
scorretta pubblicandone qualche frase, che mi ha particolarmente colpito.
Parlando del problema dei ministeri
— la cui rivalutazione, giustissima in
sè, non ha da essere unilaterale —:
« Che per valorizzare una semplice
cosa si debba proprio far sbilanciare
tutta la barca? Non si può (lire: Siete
responsabili anche voi della speranza
che è in voi — come il protestantesimo ha sempre detto, anche nei momenti della sua maggiore clericalizzazione — senza buttar fango su tutto
il resto? ». E a proposito dello sforzo
d’inserimento nella vita del mondo,
da parte della chiesa ; « La nostra
storia è sempre uguale: il mondo ecclesiastico un po’ ammuffito vuole
rinnovarsi, e sorge l’equivoco, perchè
si rinnova sulla jcdsariga del mondo,
invece che affondando le rondici nella
terra vera, 1 pastori si sono chiusi
nelle sagrestie? buttiamo via le toghe,
e diventino uomini di questo mondo.
Come se l’antitesi dia sagrestia fosse
il mondo, e non l’Evangelo. Almeno,
io ho sempre visto che quando si vuol
riformare la poca evangelicità della
nostra chiesa, l’dtra dternativa è
uscire dalla chiesa. Perchè è difficile
andare oltre la sagrestia, e se la sagrestia sa di chiuso, meglio diora la
libera aria del saéfalo.: ma è dentro,
nel tempio, nel luogo santissimo che
soprattutto è (Ufficile stare: è più facile la sagrestia o il sagrato ».
Sono parole gravi, duramente polemiche proprio nei confronti dello
sforzo che oggi pare schiuderci nuovi
orizzonti e nuove speranze. Parole
polemiche, che non vogliono e non
devono infirmare quanto di giusto e
di irreversibile c’è nella riscoperta
della dimensione comunitaria e del
dovere vocazionale, per la chiesa del
Figlio di Dio fatto uomo, per la comunità costituita dalla vivente Parola
fatta carne, di incarnare nella vita viva degli uomini, qui e ora, il suo
eterno e meraviglioso messaggio : quel
messaggio che, per bocca e per mano
di ognuno dei membri deve diffondersi come sale e come lievito nel
mondo.
Se pubblico queste parole, non è
per un atteggiamento di critica e di
sfiducia nei confronti di chi dibatte
questi problemi, e in particolare della Commissione per i ministeri, che
così giustamente se li è presi particolarmente a cuore. Bensì perchè sono
convinto che ci toccano tutti, cristiani della sagrestia e cristiani del sagrato, e ci ricordano che altra cosa è stare al cospetto deH’Iddio vivente.
C’è chi si trova bene nella « parrocchietta », si è formato così bene
sul suo ritmo di vita che non ne avverte più le deformazioni anguste o
un po’ boriose, e guarda naturalmente con diffidenza e riprovazione chi
più o meno nettamente se ne allontana o se ne tiene in margine. C’è d’altra parte chi si sente soffocare nella
’sagrestia’, e ne esce, magari considerando con bonaria o amira (questione di carattere) commiserazione il
’gregge’, i ’pii’: ma quante e quante
di queste ’uscite’ — per colpa solidale di tutta la chiesa non si limitano al rifiuto di una forma di religiosità ma si trasformano in un rifiuto
della chiesa, più ancora in un eludere — inconscio? —• la presenza di
Dio.
Oggi la sagrestia non ha più buona
stampa davvero, e pochi sono ormai
i suoi aficionados; non sarò io a piangerne, sebbene senta che li muffa di
sagrestia così spesso ce k portiamo
dietro, dovunque crediamo di andare,
lontano dalle sprezzate quattro mura
anguste della « pietà »; chiinque non
è libero della fresca libertà evangelica — in Cristo — rischia di trovarsi
invischiato in sempre nuove sagrestie,
e gente libera in Cristo non se ne incontra ad ogni canto...
Non basta che usciamo sul sagrato, e più oltre. Anzi, non è affatto
detto che questo movimento, in sè,
sia una conquista, un passo avanti:
può essere solo un passo di comodo,
un adattarci aH’ambiente; non risolve
comunque assolutamente nulla, nè all’interno nè aU’esterno della chiesa,
non ha nulla da dare, se trascuriamo
o eludiamo rincontro con il Signore:
se — come continuamente avviene —
la mentalità corrente in fatto di lavoro, di impegno, di idee, di svago ci è
assai più gradita che la ’mente di Cristo’; se siamo assai più ghiotti di altre letture, dall’attualiià alla ricreazione alla cultura, che non della Parola di Dio (o, meglio espresso, se
tutte queste letture sono ’autonome’
e ci danno una cultura e una concezione della vita ’autonoma’, senza che
abbiamo cura di inquadrarle nella visione della vita che la Parola ci offre);
se abbiamo troppo da fare per poter
pregare, o troppo poca fede per farlo
senza ipocrisia.
Forse, con quello sfasamento che
spesso appare ritardo sui tempi, ma
che talvolta è un precorrerli nella sua
predicazione profetica, la chiesa ha
da ricordare oggi — lasciandoselo dire a sè pure — il primo, il grande comandamento : « Ama il Signore Iddio
tuo con tutto te stesso » : la vitale insopprimibile esigenza di una pietà,
personale e comunitaria, di questo vivente incontro con il Signore e Padre
per mezzo del Figliolo e dello Spirito
Santo, che si deforma e banalizza nella sagrestia e che si sprezza e deride
dal sagrato, ma che è la forza gioiosa
ardentemente invocata da chi un giorno l’ha conosciuta, anche a prezzo di
dolore.
E’ facile, posare nella quiete della
sagrestia, o più ancora stare all’aria
libera del sagrato e delle vie popolosi. Difficile è stare nel luogo santo,
alla presenza invisibile, nell’incontro
solitario della fede. Ma solo oltre ad
esso comincia la vera vita con l’altro,
nella chiesa e fuori, la vera testimonianza, il vero ministero: perchè l’amore ha trovato la sua sorgente, e all’amore non c’è da insegnare ad esprimersi. Gino Conte
11 ridiìamo alla prassi riformata però,
se può aiutare a cbiarir qnak'he dubbio,
non è di per sè solo idoneo a cliiuder
la discusaione. Cercherò di spiegarmi soffermandomi su due punti.
1) - Pur essendo fuor di discussione il
valore rispettabile di delta prassi in materia, i fatti siuriferiti denunciano ebe
essa non è oiggi coà validamente sentita
in tutti i nostri ambienti e comunità come
lo era un tempo. Ed è ovvio che le « tradizioni » non si possono imporre nè con
richiami di autorità, nè con disposizioni
eventuali non awerlilamente ponderate, o
prese in sede non competente a decidere
della materia. E’ bene quindi che, oltre
alle maggiori questioni ecclesiastiche, si
discuta e si scriva anche sull’uso della
toga; o al fine di rivalutare una consuetudine nella coscienza della Chiesa attraverso un ripensamento delle ragioni che
l’han fatta sorgere e del suo significato
anche attuale, o per istituire un uso diverso ove lo si ravvisasse opportuno, il
che personalmente non credo. Era su questi punti di fondo che il richiamo alla
prassi riformata, a mio sommesso avviso,
doveva esser centrato, non essendo sufficiente il solo affermarla, ma necessario
ripresentarne i motivi all’attenzione dei
più
2) - Stando a quel che mi si dice ■— retata refero — l’uso della toga venne istituito da Calvino e reso d’obbligo per via
della tenuta troppo dimessa o non confacente con l’annuncio della Parola, con
cui certi pastori si presentavano sul pulpito. Una esigenza quindi di decoro c di
ordine in linea con 1 Cor. 11: 40, che è
legge fondamentale neirordinamento della Chiesa. Dato però che, sembra accertato, l’uso della toga sia stato prescritto
per i pastori e non imposto come elenien
10 ausiliario del pulpito per chiunque vi
salga a predicare, a mio modesto avviso
è assai comprensibile che, nella consuetudine venutasi affermando nelle Chiese della Riloniia, la toga sia venuta successivamente assumendo un suo significalo particnlare; e cioè quello di indicare, tniniile
11 suo carattere di decoro, pur sohrio e
semplice nella foggia, che sul pulpito è
presente una persona la cui vocazione al
minmero della Parola è stala riconosciuta
dalla Chiesa; e non un’altra diversa, chiamata magari ad altro ministero eecli'siaslico, ma solo occasionalmente indotta :i
predicare quando è necessario.
Pertanto se la Chiesa consente in modo
chiaro e cosciente al valore della « tradizione »... diciamo meglio: uso riformalo
della toga pastorale (ad evitare equivoci
per via di un termine allusivo a ben altre
implicazioni), la toga con le facciole sia
dei pastori quando essi predicano, e ioloro che pastori non sono, quando sono
chiamati a salire sul pulpito, riaffermino
i valori riformati nella Chiesa indossando
un abito altrettanto sobrio e decoroso per
la funzione ohe esplicano, atto — come
scrivevo nel precedente articolo — a far
si che sul pulpito « ruomo ed i suoi dettagli personali vengano obliterali » dinanz1 alla maestà della Parola annunziala.
L’uso della toga riservato ai pastori non
si giustifica perchè nella prassi riformata
essa è « pastorale », ma sul fondamento
della dignità dell’esercizio del ministero
della Parola che ,è loro pertinente. Questo,
in fondo, mi pare essere il senso deiruso
della toga; non rimarrebbe che prenderne
atto ed ogni dubbio sarebbe ri.solto.
Chiudendo queste note, mi si consentano due rilievi: uno nel merito e Tal irò
formale.
Sul piano formale credo proprio di
esser stato frainteso, in quanto non ho mai
detto che il Corpo pastorale non possa
discutere sul piano tecnico di toga o di
altre cose eccleBrastiche. Direi all’opposto che è doveroso che ne discuta, come
è legittimo che «e ne scriva sui giornali e
se ne parli nelle aseemblee; e bene farebbe il signor Moderatore — come egli scrive — ove l’argoimento dovesse presentarsi,
« a concedere il dibattito nella riunione
del Corpo dei pastori ». Ma una decisione
esecutiva, una delibera, essendo questa
materia regolamentare, il Corpo pastorale
non può legittimamente prenderla. Il potere di dettar norme alle Chiese, ai pastori
ed agli altri fedeli spetta al Sinodo, perchè esso solo costituisce la Chiesa nella
sua completa e legittima rappresentanza.
E su questo punto, è ovvio che, anche se
a denti stretti, dobbiamo essere tutti d’accordo, altrimenti non avrebbe senso il ritrovarci insieme in una Chiesa ordinata
da secoli secondo un sieletna presbiterianosinodale.
Quanto al merito credo anch’io « fermamente che l’uso della toga da parte dei
pastori non debba ripercuotersi in modo
negativo sulla eguaglianza dei pastori e dei
laici di fronte a Cristo »; ma mi permetto
di aggiungere che questo modesto « indumento » non può neppure differenziare la
loro posizione « nella Chiesa », anche se —
come sottolinea il signor Moderatore — in
essa « v’è diversità di doni e di ministeri ».
D’altra parte non è certamente coll’indossare o meno la toga pastorale (e qui la
qualificazione ci vuole), che si impostano
in modo conveniente i problemi della pluralità dei ministeri, della loro giustapposizione nella vita ecclesiastica, della loro
distribuzione tra pastori e coloro che pastori non sono e dei conseguenti loro reciproci rapporti. Tale complessa questione di
fondo, già sfiorata nel mio precedente scritto e nella replica del pastore Rostan, merita diretta attenzione e diverso discorsoCercherò a parte di recare in proposito un
contributo anzitutto con alcuni preliminari chiarimenti di linguaggio.
Giorgio Peyrot
3
16 f^Araio 1962 — N. 7
W. 3
Una chiesa di opposizione
Per una chiesa migliore, per un popolo migliore
L’inverno ci porta ogni anno il ricordo di due momenti decisivi della
storia valdese: il primo (il più importante, e quello a cui pensiamo meno)
è la campagna invernale del 1560-61,
durante la quale i r^gimenti piemontesi del conte Giorgio Costa della Trinità condussero la prima grande
guerra di annientamento contro i vaidesi. Quella guerra non condusse, è
vero, alla liquidazione fisica dei vaidesi, perchè essi sepi^ro resistere vittoriosamente : tuttavia il trattato di
Cavour, che concludeva le operazioni,
tagliava fuori per tre secoli i valdesi
dalla vita italiana, riducendoli ad un
piccolo ghetto montano isolato, francesizzato, privo d’ogni vera comunicazione con ntalia.
La seconda data, anche troppo nota, ci ricorda invece fi 17-2-1848, cioè
il decreto che ci ha rimessi in circola
zione sulle strade d’Italia. S’era in
pieno Risorgimento, e le Patenti albertine aprivano per i protestanti un
trentennio di speranze: nella luce di
Porta Pia si sognava addirittura il
crollo del Vaticano, e nella rossa barba di Garibaldi sembrava balenare la
luce di un nuovo Jehu, vindice e iconoclasta.
In questo clima hanno operato le
chiese evangeliche italiane durante
decenni: erano i tempi in cui la classe dirigente riscrgimciuale mostrava
simpatie per il protestantesimo, mentre in Francia molti uomini politici e
di cultura aderivano alla Chiesa Riformata — si giunse fino ad im Presidente della Repubblica protestante —.
Questi tempi durarono fino alla prima
guerra mondiale, quando l’Italia entrava in guerra contro l’impero clericale degli Asburgo — ministro degli
esteri Sennino, anglicano d’Italia —
inserita in un’alleanza guidata poi da
uomini come il battista Lloyn i>eorge
o il quacchero Wilson, per qualche
anno guida spirituale del monao occi
dentale, oltre che del suo paese. Era
il culmine deli’wLra proiestanie »;
Ernst Troeltsch diceva : « oggi l’uomo
protestante domina il mondo ». E noi,
protestanti italiani, io sapevamo, e ne
eravamo orgogliosi: allora nacquero
quei ragionamenti sulla superiorità
(indubbia) dei popoli protestanti: ragionamenti con cui ci illudiamo di
rafforzare la nostra testimonianza.
Ma la guerra rappresentò anche la
crisi di tutto questo mondo liberalprotestante: per la prima volta nella
storia due nazioni protestanti (Germania e Inghilterra) si combattevano
a morte; e poi, nella grande crisi del
dopoguerra, la civiltà liberal-protestante veniva quasi dovunque rinnegata : da una parte, in Russia, i lucidi
interpreti della parola materalista
dialettica, intenti a costruire senza
Dio un mondo nuovo e una cultura
nuova. D’altra parte in occidente, ecco levare il capo una folla di dittatori, tutti cattolici, tutti pronti al Concordato, tutti nemici degli ideali che
erano cari a molti di noi. Intanto la
cultura voltava le spalle al protestantesimo, mentre decme di intellettuali
trovavano nel cattolicesimo la pace e
il Medio Evo.
E’ vero che nella seconda guerra
mondiale i dittatori crollarono come
pupazzi, e ohe i popoli protestanti dimostrarono un vigore imprevisto: ma
il dopoguerra apriva in Europa uñera
cattolica: l’era dei De Gasperi e degli Adenauer: in Italia il primo centenario delle libertà Albertino (1948)
segnava la grande vittoria elettorale
cattolica («18 Aprile»). Intanto da
più parti si proclama la fine del protestantesimo, e il nuovo Medioevo,
che sarà ancora romano e cattolico.
Le nostre speranze, le speranze dei
nostri padri, sono cadute come foglie
morte: che stiamo ancora a fare in
Italia, nella capitale della nuova Controriforma? Ormai è chiaro che questa terra non diverrà mai evangelica.
Così ragionano molti di noi e, stanchi, si piegano.
E’ vero però che altrove il protestantesimo rivela una vitalità e una
capacità creativa insospettate : è vero
che esso ha dato i maggiori teologi
della nostra generazione; è vero che
ogni anno attraverso tutto il mondo
alcune centinaia di migliaia di persone aderiscono alle chiese evangeliche.
E vero ohe anche negli ultimi 5o anni diversi milioni di cattolici, dall’Ucraina fino alle Filippine, hanno deI ciso di vivere la loro vita cristiana
fuori del recinto romano. E’ vero: ma
nessuno di questi avvenimenti ha avuto eco in Italia: protetto dalla corti! na di incenso il nostro popolo non
partecipa ai grandi movimenti spirituali del nostro tempo. E noi protestanti ci troviamo di nuovo nel ghetto: solo che questa volta non sono
' più i reggimenti piemontesi del Conte della Trinità a montare all’assalto
delle nostre posizioni, ma il fuoco
tambureggiante della propaganda. La
radio, la televisione, la stampa « indipendente » ci invitano a riconoscere
negli atei (di colore rosso) i nostri
veri avversari, e ad acquetare nel largo sorriso del papa la nostra patologica Protesta. Non ha un ben noto teologo francese, S. J., detto' che noi soffriamo di un « complesso antiromano »
(da cui molti bra,vi medici sono pronti a guarirci)? Non ha il vescovado
di Pinerolo istituito la sua « commis
sione ecumenica» a cui collabora anche il figlio d’un sfrande nome valdese
della scorsa generazione? Non ci di
cono forse molti amici che è giunto ’)
momento di « fare la pace col papa »•
Nra contribuiscono forse a questa mi.stificazione anche i dignitari «prole
stanti» che m crescente processione
fanno la coda davanti al portone di
bronzo? E’ diffìcile resistere a questo
battente assito psicologico, anche sp
sappiamo che questa è solo nmnasanda « ad usum italici delphini », e che
in realtà le strade del movimento ecu
Aienico non conducono a Roma: resta il fatto che viviamo in mezzo a a
on popolo che è dominato da questa
propaganda. Nel sudario cattolico che
avvolge ITtalia noi ci sentiamo anco
ra una volta gelati ed isolati.
Dobbiamo dunque lucidamente ren
derci conto del fatto che qui noi rappresenteremo l’opposizione religiosa
ancora per molto tempo. Non fa piacere stare airoppcsizione : molti di
noi hanno il complesso di minoranza, e sospirano dietro le grandi chiese
nazionali protestanti, organizzate e si
Celebrare il 17 iebbraio sigaitica per ì Valdesi ricerdare
il devere di vivere forieeiente
la loro vocazione italiana
cure. Ma qifesta scomoda condizione
può essere riconosciuta come una vocazione: in Italia c’è bisogno di gente che abbia il coraggio di stare alla
opposizione. Uno scmtore inglese ha
detto ohe un popoio in cui non esista
una tendenza ai protestantesimo non
ha vitalità spirituale: orbene, l’Italia
è proprio un popolo di questo tipo.
Noi dobbiamo creare o stimolare nel
nostro popolo la tendenza al protestantesimo e dobbiamo stare all'opposizione finche questa tendenza non
sarà sorta.
Ma « chiesa di opposizione » non si
gnifica chiesa «anti» (anticattolica,
anticlericale, ecc.) : non dobbiamo fare dell’oppiosizione per roppiosizione,
dobbiamo guardarci dal puro spirito
di critica, uertb, è facile lasciarci trascinare nell’ondata delle lamentele
anti-clericali : ma è cosa sterile: cento anticlericali non fanno un cristiano e cento discorsi anticattolici non
fanno una testimonianza evangelica,
il nostro compito non è di essere contro l’Italia c-attolica, ma di essere per
un’Italia evangelica. La nostra chiesa non deve predicare contro il cattolicesimo, ma per l’Evangeio, per una
vittoria evangelica in questo Paese.
Noi non possiamo essere di quegli op
positori cne sarebbero profondameli
le imbarazzati se dovessero saure ai
potere, e non saprebbero che cosa fare
Noi sapremmo cosa rare: Noi siamt,
convinti che unTtalia evangelica sarebbe un’Italia migliore, piu sena, pm
onesta, più lioera; un’Italia in cui si
costruireobero più scuole e in cui si
lavorerebbe più sul seno ; un’Italia piu
aperta verso l’avvenire e più giusta
verso i suoi cittadini. Siamo persmo
disposti ad ammettere che ancne una
Italia anglicana sarebbe preferibile:
cioè una chiesa che pur conservando
le forme cattoliche vi introducesse
una sostanza evangelica ed uno spirito di libertà. Non facciamo qui delle affermazioni a vuoto : esprimiamo
un giudizio che si fonda sul confron
to tra la vita del popolo italiano e la
vita dei popoli protestanti: giudizio
che è avvalorato dall’opinione di mol
ti uomini di cultura, da Alfieri a Salvemini. Noi abbiamo coscienza di rappresentare in Italia una alternativa
religiosa che altrove si è largamente
realizzata e che ha beneficamente influenaito e stimolato la stessa chiesa romana (chiunque ha visitato
una chiesa cattolica in Germania o in
Svizzera lo sa; e lo sa perfino chi confronta i discorsi di Keimedy con quel. dei nostri uomini politici cattolici).
Ma il nostro problema oggi è di come render nota questa alternativa:
per questo noi dobbiamo diventare una
realtà percepibile al popolo italiano.
Le minoranze evangeliche in Austria,
Cecoslovacchia, Sud America, Unione
Sovietica, partite da posizioni non diverse dalle nostre, sono già riuscite in
questo compito: noi non ancora. Una
volta, quattrocento anni fa, ci eravamo riusciti: nel secolo XVI le chiese
valdesi delle Valli erano il punto di
raccolta di tutti gli oppositori alla
chiesa ufficiale: gravitavano intorno
alla chiesa valdese uomini come Scipione Lentulo, napoletano, uomo che
ci ricollega con l'Italia romana; o come l’ex frate Varalia, ottimo prodotto d’un orarne medioevale, pastore
t martire. In quei tempi duri la chiesa valdese era il punto di raccolta di
tutti gli oppositori, un segnale noto.
Oggi non è cosi: oggi molti fanno
un'opposizione in ordine sparso, e perciò inefficace. Si leggono su riviste
laiche scritti eccezionali di critica aila religione ufficiale italiana: ma a
tne .servono queste elevate paioic ai
uomini pensosi.-- rtisuonano per un
po’ nei salotti o negli aridi crani degli intellettuali e poi si perdono, inefncaci. Se noi sapessimo attrarre questi uomini, dar loro una trincea da cui
combattere, allora le loro parole non
cadrebbero nei vuOtc.
Ferchè non ci riusciamo? Perchè la
chiesa valdese non na una spinta suinciente per attrarre questi elementi,
per mserirli iieua stona ueiia protesta religiosa italiana; perchè la nostra
cniesa non vive loriemente la sua vocazione italiana. A questa vocazione
deve richiamarci la celebrazione di
questo XVli reboraio. Ma questa vocazione esige da noi un impegno prolondo. Forse possiamo ancora lormulare questo impegno con le parole aei
giuramento dei rodio ai Loooio, pronunziato dai valdesi il zi-i-iooi durante la guerra dei conte della Trinità:
« JVou consentiremo mai alla religione del papa, anzi perseverere
mo tutti sino alla nne nella nostra
vera ed antica religione secoriao la
Parola di Dio; e per la tìitesa u.
essa ciascuno di noi farà quanto
gli è possibile, e saremo
pronti a recar soccorso ai nostri
iratelli che ne avessero bisogno por
quella causa».
Questo testo non è un proclama:
non ha belle irasi: son duri lavoratori quelli cne lo hanno pronunciato, levando la mano. E’ l'impegno di un
tempo di lotta, stipulato da uomini
pratici, perciò esso può benissimo riassumere Il nostro impegno moraie per
Il tempo presente: ninpegno cne ci
occorre per lavorare con costanza, come opposizione, in tùsta di una chiesa migliore, di un popolo migliore, in
vista del giorno in cui una cniesa italiana rinnovata, e divenuta più ecumenica e più evangelica, rinunzi a dominare un popolo stanco e riprenda
la sua vera funzione di coscienza della nazione, di ispiratrice di uomini
adulti, di maestra di libertà,
Giorgio Bouchard
Positivisti 0 papalini?
SuU’BCO-LUCE di tre settimane fa
comparve il programma del Corso di
preparazione per Laici, che si sta
svolgendo ad Agape. In esso era previsto un breve corso di storia della
Chiesa, articolato in varie lezioni, di
cui una portava il seguente titolo: La
divisione drila Chiesa (Riforma). Una
tale formulazione ci ha lasciati alquanto pe^lessi. Non vogliamo essere di quei vocabulistae che Lutero
giustamente combatteva (negavano la
Trinità come non biblica perchè la
parola « ’Trinità » non si trova nella
Bibbia), scribi che s’attaccano alla
lettera e soffocano lo spirito. Ma qu.
ci pare che non si tratti di lettera,
bensì proprio di spirito. Si tratta da
un lato del modo di comprendere e
valutare la storia e dall’altro del modo di intendere i rapporti tra Parola
di Dio e Chiesa.
Che la Riforma abbia provocato la
divisione della Chiesa (sia pure senza averla voluta) è vero solo per chi
giudichi la storia sulla base di criteri
positivistici, solo per chi si culla nell’illusione di raggiungere un grado superiore di obbiettività perchè considera la storia dal di fuori, in modo disimpegnato (come si dice oggi), quasi
che la storia fosse una scienza matematica. Ma molto spesso l’obbìettività
positivistica e la verità storica non
coincidono affatto. La constatazione
irrefutabile che la Chiesa d’Occidente
si ritrovò irreparabilmente divisa alTmdomani della Riforma non autorizza a stabilire un rapporto meccanico, quasi di causa ed effetto, tra Riforma e divisione della Chiesa. Se è
fuori discussione che la cronaca del
XVI secolo registrò la divisione della Chiesa d’Occidente in relazione al
fenomeno della Riforma, non è affatto detto che in sede storica si giunga
alla stessa conclusione. Il problema
deve perlomeno restare aperto. Ma
per gli estensori del Corso di preparazione del Laici sembra che il problema sia chiuso. Anche per gli storici papalini il problema è chiuso. Fu
chiuso già nel 1517. E da allora essi
ci ripetono con sconcertante monotonia proprio questo: Divisione della
Chiesa (Riforma). Concederete che è
quanto meno sorprendente (ma si
tratta di un’amara sorpresa) di vedere intitolata una lezione sulla Riforma per degli evangelici italiani allo
stesso modo come l’intitolerebbe l’in
segnante di storia ecclesiastica in un
qualsiasi seminario italiano. Oppure
come Tintitol^rebbe il più disimi^
guato e disinteressato tra gli storici
positivisti (se ancora ne esistono).
Il secondo punto, che è una specificazione del primo, concerne il problema dei rapporti tra Parola e Chiesa. Delle due, una: O la Riforma è
stata effettivamente una Riforma delia Chiesa, un atto irrintmciabile di
fedeltà all’Evangelo cristiano (colto
nella sua verità, anche se attraverso
l’ottica particolare e in un senso limitatrice della problematica religiosa
del XVI secolo), una protesta profetica di tipo veterotestamentario che
ha parlato in nome dell’Iddio di
Abramo, di Isacco e di Giacobbe contro il Dio di Platone e di Aristotele
— e allora non si comprende come si
possa addossare ad esso (sia pure velatamente o indirettamente) ima
qualsiasi responsabilità nella divisione della Chiesa. Con la Riforma non
è cessata l’unità della Chiesa ma è
stato sconfessato im certo tipo di
unità, fondato sull’equivoco teolc^co
Non l’unità della Chiesa è stata distrutta, ma una sintesi eretica tra
Chiesa e mondo, tra Evangelo e cultura, tra la potenza della croce e la
potenza mondana. Non è la Riforma
che ha intaccato Timità anche visibile del Corpo di Cristo, ma semmai
la Controriforma.
Oppure la Riforma non è stata opera della Parola di Dio, non è stata annuncio dell’Evangelo, ma semplicemente una protesta culturale e umana di grande significato, l’edizione religiosa della rivoluzione copernicana
e, in genere, rinascimentale, l’appassionata affermazione della « religión
de Tesprit » contro la « religión d’autori té» (per riprendere un tema caro
a Vinet, se non erro). In questo caso
la Riforma avrebbe evidentemente im
significato di rottura, opposizione, secessione, divisione. Ma nessuno di noi
—- ovviamente ~ valuta così la Riforma.
Insomma, il nostro disagio di fronte al titolo dato a una lezione di pastori protestanti sulla Riforma: La
divisione della Chiesa (Riforma), sfocia in questa domanda: Come può
l’annuncio dell’Evangelo (se pure Lutero e gli altri hanno annunciato l’Evangeio, e l’hanno fatto, fino a prova
contraria) minare o distruggere l’unità della Chiesa, dividendola? La Parola di Dio sarebbe essa '"per riprendere l’Ap. Paolo) ministra dì peccato?
Insomma, ci dicano una volta per
sempre certi «esprits délicats» (Calvino) modèrni: che cosa rimproverano ai Riformatori nel loro atteggiamento verso Roma? Qual’è la loro colpa nei confronti della Chiesa di Cristo? Quale delitto ecumenico hanno
essi comnjesso? Oppure dovremo riformare i .Riformatori? Certo, l’Evangeio divida : ma cosa? La Chiesa?
La divisione della Chiesa (Riforma)... Una cosa è certa: nessuno dei
Riformatori avrebbe accettato un accostamento del genere.
Paolo Ricca
r
I
radio")
Un prete e un pesiere
su misure
Olii la sera di lunedì 5 era in ascolto
sul Programma Nazionale della RAI, ha
potuto deliaiarsi (per la seconda volta in
un periodo non lungo, e la cosa era stata
già rilevala dal nostro L. A. Vaimal, se
non erriamo) nell’ascolto della commedia
di N. Manzari: « Dio salvi la Scozia » —
ossia le imprese di un prete ohe, missionario reduce da Hong-Kong, viene ad assumere la guida deH’unica parrocehia cattolica di una cittadina scozzese, isolato po.
sto avanzato in partibus infidelium protestanti. (Fra i protestanti della Scozia era
peggio che fra i pagani di Hong-Kongt
notava gentilmente la rubrica « Stasera alla radio » di Stampa Sera). La commedie"
la ha qualche spunto azzeccato, ma il tono spregiudicato e il quadro caricaturale
(risaputo c usalo, del resto) non sostengono la pretesa di una comprensione spiri
tuale della vita di un prete e di una parrocchia. Ne risulta inveee un quadro abbaislanza grottesco, e se mai ci fosse stata
un’intenzione apologetica e ’evangelistica’... beh, l’inferno è lastricato di buone
intenzioni! Ma quello che più ci ha rivoltali, è stato il modo sornione di fare
La più smaccata propaganda antiprotestanle, presentando di fronte ad un ’evangelico’ prete una caricatura di pastore borioso e violento e attaccabrighe, un artificioso fantoccio adorno di ogni odiosità.
Forse il Santo Padre ascolta solo la Radio
Vaticana, ma ci sarebbe proprio piaciuto
che lunedì sera ascoltasse il « Nazionale »,
e ripensasse ai suoi patetici aippeUi ai fratelli separali. E teniamo a dire che saremmo stati altrettanto rivoltati e in protesta
Se i termini fos,sero stali invertiti. Se non
si comincia dal più elementare rispetto...
NEL SEGNO DI SIBAUD
1 Settembre 1689; 17 Febbraio 1848.
L'avvicinamento di queste due date
può sembrare fuori luogo; esse segnano episodi storici ben definiti, ciascuno di grande importanza e di significato diverso. Nel 1689 un popolo superstite da lotte e persecuzioni
sanguinose si stringeva a giuramento
intorno alla propria Fede disperatamente deciso a difenderla e conservarla; quasi centcxinquanfanni dopo
a quel popolo di credenti veniva
contessa la libertà di professarla.
Grande conquista, anche se ebbe il
sapore di una magnanima concessione sovrana anziché la veste di legale
riconoscimento dei più sacri diritti.
I Valdesi dimenticarono tutto: odi,
strazi, i.'fec/mdtz/om, secoli di inquisizione; si apriva una nuova fase della
storia nella quale il giuramento del
lontano settembre assurgeva a impegno universale. Tutto divideva i nostri fratelli di allora dalla nazione
italiana: lingua, tradizioni, consuetudini religiose, fede. Ma i Valdesi non
si scoraggiarono; impararono la lingua, si inserirono nella vita dello
Stato apportando nell’incerta e quasi
conventuale politica di allora il prezioso contributo una esperienza
democratica già da lungo esercitata
nell’interna della compagine religiosa
soffocata fno a quel giorno nella costrizione lei ghetto alpino. La mentalità codha e bigotta dei nostri connazionali " della classe dirigente non
sempre cmprese la base sostanzialmente ewopeistica della nostra chiesa, che diena da spirito sciovinista,
pur ritonando italiana, cortcepì la
sua missime universale di evangelizzatrice.
Le vicende storiche sono note, noi
vogliamo esaminare oggi in comunione di spiato il significato immutabile
di una dita, non quello affidato cdi’effimero corso dei giorni. 1 Padri
confidaroto non nelle loro armi ma
in Dio, i Dio li protesse, dette loro
la libertà ne fece un popolo nuovo
di opera per la Sua vigna. Suo è
il merito delle battaglie vinte. Se noi
celebrasshìo il 17 Febbraio con un
sentimenti di orgoglio perchè rievoca le gUrie di un popolo al qucde
siamo fifri di appartenere confideremmo iella carne e ” non i figliuoli
della calne sono figli di Dio”. Il
buon cnnbattimento non conosce
punto diarrivo, soltanto attimi di sosta per .tringere le file e pronunciare
un nuovo patto. 1 popoli che ad un
certo momento della loro storia si
adagiarono sulle tradizioni, confidando nelle caratteristiche positive o
nella propria organizzazione religiosa
non conobbero ulteriori progressi e
cosi le. chiese quando lo slancio della
riforma smorzò l’antico vigore. Paolo ci esorta ” nel Signor Gesù a vie
più progredite” (I Tess. 4: 1): proseguiamo il cammino senza riposarci
su quanto fu conseguito nel passato,
senz.a voltarci indietro per non essere pietrificati come la moglie di Lot,
ridotti alla impossibilità di andare
più innanzi.
’’Giuro per Te, Signor, di vivere
e morir ”. L’ultimo verso dcU'inno
suggella il giuramento. La Crociata
continua, ben lungi dall’aver fine; nel
nome del 17 Febbraio facciamo sì
che la nostra chiesa, non si allontani
dal suo ” primo amore ” come la
chiesa di Efeso. L’obsolescenza del
materialismo storico dimostra come
la civiltà negativa non riesca a saziare l’inquietudine del mondo. Anche
se il paganesimo e la ignoranza religiosa impediscono agli uomini di veder chiaro, la nostra generazione di
credenti può ancora alzare il alto il
candelabro discendendo dalle alture
che nel lontano settembre videro consacrarsi il patto della fede e dell’unità. E di questo, solo a Dio sia gloria;
a Lui confessiamo di non essere migliori degli altri e umilmente festeggiamo questo giorno.
Il corso dei tempi ha spento i roghi accesi sulle piazze, ha destituito
tiranni e cancellato leggi inique; la
guerra difensiva armata per difendere posizioni religiose, almeno qui in
Italia, non ha più ragione di esistere.
Non ci sarà più dato, come ai tempi
di Arnaud di morire per il Signore;
ma qualcosa di più attuale si presenta: vivere per Lui. Lotta più lunga e più faticosa che non si esaurisce
in un’ora di martirio o in un giorno
di battaglia ma richiede per tutta la
esistenza la dedizione totcde, la fedeltà alla Sua legge.
’’Giuro per Te, Signor, di vivere”,
la frase ultima dell’inno non si trasforma, si restringe soltanto per circoscrivere il giuramento a una più
urgente esigenza a una più duratura
missione.
” Non ci lasciar giammai cdtbandonar la Fe’ ”. Questo Ti chiediamo,
o Signore. Marco
4
ptg. 4
N. 7 — 16 febbraio 1962
“ Voce Evangelica „
in nüova veste
Quanti legegono e attrezzano « Voce evangelica» (non fremere, lettore,
non si tratta di un nuovo periodico
evangelico di lingua italiana, di una
nuova faccia del caleidoscopio di voci, echi, luci e presenze...) se la son
vista arrivare, in gennaio, in una forma diversa, in simpatica e moderna
veste tipografica, con vivace impagi
nazione e supplemento giovanile (4
pagine di « Gioventù »).
Il mensile per le chiese riformate
di lingua italiana dello Svizzera ha
23 anni: sorto infatti ventitré anni
or sono a Lugano, è stato poi trasferito a Zurigo, dove in particolare il
Past. Elio Eynard gli ha dato im impulso notevolissimo, ed ha trovato
un’eco via via più larga, man mano
che diventava uno strumento di collegamento e d’informazione sempre
più valido — e non era facile, dato
che si rivolgeva sia ai membri delle
antiche comunità riformate ^gionesi. sia agli evangelici della diaspora,
sia ai lavoratori italiani nella Conte
deraziòne. La collaborazione dei lettciii, operai compresi, ha mostrato come questo periodico fosse «sentito».
Ora, con simpatico gesto disintere.ssato, gli zurighesi harmo accettato che
« Voce evangelica » si stampi a Lugano; accanto al direttore, past. E. Eynard, sono ora quali corredattori i
past. T. Baima di Lugano e J. RMatthey: quest’ultimo, finora pastore
a Vicosoprano, nella Val Bregaglia, è
stato trasferito a Zurigo, perchè il
Consiglio ecclesiastico di quel Cantone ha accettato di assumersi l’onere
eli un ministero particolare in mezzo
agli italiani (che sono la maggioranza dei 90.000 operai stranieri che lavorano nel Cantone di Zurigo) per
potenziare l’opera che da anni svolge
con tanto impegno la Chiesa evangelicadi lingua italiana in quella città.
A « Voce evangelica » auguriamo
un’eco sempre più vasta e profonda;
per parte nostra l’ascolteremo sempre
con vivo piacere.
Il Salterio ugonotto
ha 400 anni
In occasione del 4(X)<> anniversario del
Psautier huguenot, o Psaulier de Genève,
Pierre Pidoux, organista a Montreux e libero docente di innologia alla Facoltà libera di teologia di Lausanne, nel corso del
mese di marzo darà alla cattedrale di Losanna e a quella St. Pierre di Ginevra una
conferenza commemorativa illustrata da
brani musicali presentati da cori di chiesa.
Dopo molti anni di ricerche, Pierre Pidoux sta per pubblicare uno studio sul
Salterio ugonotto nel XVI secolo.
Il Salterio ugonotto si è costituito a poco a poco a cominciare dal 154-2, per ini
ziativa di Calvino che a .Strasburgo aveva
■sperimentato la forza del canto dell’assemblea e voleva ritornare alla cbiesa primitiva, nella quale tutti i fedeli cantavano,
li testo in versi dei salmi contenuti in questa raccolta è dovuto, per una cinquantina
di essi, a Clément Marot, e per gli altri
cento .a Teodoro di Beza. La musica, talvolta ripresa dalla raccolta di Strasburgo,
1 ispirata al canto gregoriano o ancora alla canzone popolare, è opera originale di
Loys Bourgeois, Guillaume Frane e forse
li altri musicisti ancora. Dopo parecchie
edizioni parziali, la prima edizione completa fu pubblicata a Lione nel 1562, sotto
gli auspici della corona. (Questi salmi hanno un successo straordinario, anche al di
fuori deU’ambiente riformato; e questa raccolta è stata l’innario di tutte le Chiese riformate durante tre secoli.
Ci rallegriamo che accanto ai pochissimi
contenuti attualmente dall’« Innario Cristiano », alcuni « salmi » siano inclusi fra
gli « Inni nuovi » che vi verranno aggiunti, nella p'fossima edizione che speriamo
imminente, dato che la precedente è completamente esaurita.
I lettori ci scrivono
Precisazioni
suila Chiesa del Vomero
Ivrea, 9 febbraio 1%2
Sig. Direttore,
se Lei permette, vorrei consigliare all’estensore del trafiletto « un po’ di storia della CSiiesa del Vomero di Napoli », apparso nella quarta pagina del n. 6, 9 corr., del
nostro settimanale, di informarsi meglio e possibilmente erudirsi alquanto prima di accingersi a fare la storia retrospettiva di qualche ' avvenimento, sotto pena di
vedersi contraddetto da qualcuno l'he era
presente a quell’avvenimento; oppure attendere che sia trascorso almeno un paio
di secoli e i registri di Chiesa siano andati
smarriti o bruciati.
Egli per es. ci racconta che il pastore
Gaio Gay sostenne a validamente una scuola elementare privala allestito da una famiglia di insegnanti simpatizzanti, i coniugi
Dì Martino ». Ora i presunti coniugi Di
Martino effettivamente erano fratello e sorella, Giuseppe e Maria, come lo può attestare quest’ullima, essendo ancora vivente, sebbene nota sotto altro cognome essendosi sposata. E non erano dei semplici simpatizzanti, ma veri e regolari membri di
Chiesa, ambedue figli di Ferdinando — ex
seminarista di Pozzuoli, fuggito dal seminario poco prima dell’arrivo di Giuseppe
Garibaldi a Napoli, e cappellano ed infermiere delle schiere garibaldine — e di Giuseppina Colatruglio, convertitasi all’Evangelo in maniera alquanto romantica e per
questa sua conversione praticamente rinnegata dalla propria famiglia; ed ambedue
veri e regolari membri di Chiesa.
Egli identifica la Chiesa del Vomero con
l’angusto locale di piazza Vanvitelli; ma è
di nuovo in errore perchè essa visse per
molti e molti anni in un locale un po’ me
no angusto di via Alessandro Scarlatti, dove il predetto pastore Gaio Gay esercitò il
suo ministerio. E la decadenza della chiesa
del Vomero cominciò non già dopo o a
causa della dipartila del pastore Gaio Gay,
bensì diversi anni prima quando questi, per
ragioni alquanto controverse, diede improvvisamente le dimissioni da pastore della
Chiesa Valdese ed in nrcostanze non troppo belle, con la fatÉe conseguenza che
mentre una parte di essa seguiva il p-aslore
Caio Gay nel nuovo Igeale di piazza Vanvitolli. l’altra e più numerosa continuò a
radunarsi nel vecchio locale di via Alessandro Scarlatti, sotto la guida di giovani pastori alle dirette dipendenze della Chiesa
Valdese.
Egli ci dà rallegranti notizie della risorta Chiesa del Vomero e noi le auguriamo
di vero cuore ohe tutte le pro.spcttive e
speranze si avverino anche al di sopra di
una ragionevole aspettativa. E forse allora
il sig. F. J. sarà in grado di fornirci notizie più precise. Grazie e distinti saluti.
Vinny Arturo
Il senso
di un rinnovamento
Roma, 9 febbraio 1962
Leggo sull’Ecg- Luce del 9-11 la lettera
di Francesco Jervo.ino: «In abito civile o
con la toga a Gesù poco importa ».
Sono certo che anche lo Jervolino è sicuro che Cristo vede quello che avviene
nella Chiesa per cui avrei preferito non
avesse fatto scherzoso riferimento alla sigla S.C.V. Tanto più perchè nella Chiesa,
anche se è lecito pensare che le torrenti
son due (conservatori e progressisti) la vita si svolge non « come in politica ». Anche nella nostra Chiesa la vita si rinnova;
ma « rinnovare » non significa nè può essere inteso come imitazione del mondo,
che segue solo la spinta degli eventi e del
tempo. Per noi cristiani « rinnovare » significa rifarsi sempre e da capo alla Sacra
Scrittura per temprare in essa il nostro impegno nel tempo presente. Nella Scrittura
troviamo un principio dettato da Paolo percliè tutto avvenga con decoro e con ordine (1 Cor. 14: 40). (Questo «decoro» e
questo « ordine » è quello che Cristo tra
l'altro vuole veder nella Chiesa, per cui
anche la toga ha il suo senso, come ho
cercato di dire altrove.
Nella vita della Chiesa Valdese quelli
elle a prima vista sembrano innovatori involvono sovente in posizioni conservatrici
di corta veduta; mentre quelli che possono
apparire come conservatori sono viceversa
spesso (non tutti invero) dei progressisti
perchè ricercano in un tentativo sempre
rinnovato, perchè sempre mancato da parte
degli uomini, una coerenza intima con la
Rivelazione, anche nelle cose di poco conte.
Quanto agli altri « ministeri » il discorso
è più lungo c lo riprenderemo in seguito.
Giorgio Peyrot
Le deficienze delle Lettere Patenti
del 17 Febbraio 1848
Le R. Patenti del 17 febbraio 1848, per
il fatto che, da un lato, concedevano ai
valdesi la stessa parità di diritti civili e
politici riconosciuta agli altri sudditi piemontesi, ma, d’altro canto, dichiaravano
che « nulla era innovato riguardo all’esercizio del loro cullo », dovevano fatalmente, per la contraddizione implicita tra il
concedere ed il negare, suscitare nella loro
applicazione una serie di dubbi e di quesiti, ora di natura strettamente materiale,
ora di carattere squisitamente giuridico,
non sapendosi se certe usanze e disposizioni, che neUe Valli avevano forza di legge, senza essere tuttavia l’emanazione di
un editto regio, dovesisero essere intese
come contrarie ai diritti civili riconosciuti,
e quindi abolite, o se potessero invece essere comprese tra le disposizioni, ohe avevano fino allora regolato e limitato l’esercizio del culto valdese, e, come tali, essere mantenute in virtù della clausola restrittiva.
E’ naturale quindi che neH’applkazione
delle Patenti dovessero nascere attriti e
conflitti giuridici tra lo spirito vecchio e
retrivo, rappresentato dal clero cattolico
impegnato a non lasciarsi strappare gli
antichi privilegi, e lo spirito nuovo, rappresentato dalle autorità regie rispettose
delle libertà concesse dall’editto di emancipazione; e che parecchi di questi conflitti fossero di natura tale da dover essere .sottoposti alla superiore autorità dello
Stato per una più chiara precisazione.
Il quesito dei figli
illegittimi valdesi
Uno dei quesiti, che si presentò fra i primi, fu quello dei figli illegittimi.
Non era legge di Stato, sancita da editti, ma usanza e disposizione delle autorità
ecclesiastiche, rivestita col tempo della
forza e del carattere di legge, ohe le donne valdesi, rimaste incinte, prima o fuori
del matrimonio, anche se l’intimo rappor
10 fosse avvenuto con individuo valdese,
dovessero fare atto di sottomissione, denunciando la gravidanza illegittima al «indaco del paese e presenlando poi al parroco cattolico la prole nata, affinchè fosse
battezzata ed allevata secondo il rito della
chiesa cattolica, senza che nè il padre putativo, nè la madre, quand’anche entrambi
valdesi, potessero allevarla nella propria
religione. Quest’obbligo, che contrastava
alle leggi più elementari della moralità e
della libertà umana, era stato riconosciuto,
sia pure in forma assai blanda, ancora nell’anno 1837 dal Consiglio di Conferenza di
Sua Maestà (28 apr. 1837). Al rifiuto di
una donna valdese di sottomettersi alla
iniqua usanza, il Ministero dell’Interno,
interpellato dal Tribunale di prima cognizione di Pinerolo, aveva risposto in modo
da conciliare il passato col presente, consigliando che « nella sola via di persuasione e senza far uso di alcun mezzo coattivo.,ai ,q?ates»e far sentire alla madre valdese il dovere di presentare al battesimo
11 suo putto in forza dell’obbligazione da
essà"córttÌàt'th ''to'! prestato alto di soltomissUilWs»;'! Se ' questo non fosse stato vizialo dq-aÌèttna violenza.
Ma, non appena furono promulgale le
Patenti, è evidente che i valdesi, facendosi forti della concessa parità di diritti
civili, cercassero di sottrarsi a questa barbara usanza, che rinnegava il più sacro diritto umano e civile, quello cioè che i genitori potessero allevare i figli nella propria religione; e che, per parte loro, i parroci delle Valli, vedendosi sfuggir di mano un mezzo di co.si facili cattolicizzazioni,
persistessero a considerare valida la detta
usanza, in virtù della clausola del « nulla
innovato quanto al culto valdese ».
Il quesito sottoposto
al Ministro dell’loterno
I parroci cattolici delle Valli portaroin,
il quesito davanti al Rev.mo Brignonq
V’icario Generale del Capitolo di Pinerolo,
(Jueisti, combattuto fra i nuovi sentimenti
di libertà e di tolleranza, ai quali si ispirava l’attuale condotta del governo, ed i!
desiderio di conservare i privilegi fino allora goduti dalla chiesa caltolioa nelle
Valli, preferì non impegnare la sua persona in una questione così delicata e passare il quesito al giudizio del Ministro
degb Affari Interni. Nella sua lettera del
26 giugno 1848 il Vicario, pur plandendu
aU’emancipazione valdese, la quale — a
suo giudizio — corrispondeva « alla equità dei tempi presenti » e poteva « preparare la via ad una unione più piena coi
medesimi mediante il loro ritorno alla
fede cattolica », cioè rendere più facile la
conversione dei valdesi con la loro immissione o sommersione nella gran massa
cattolica, si mostrava, in pari tempo, non
meno desideroso di conservare i privilegi
di un tempo, se questi non contrastassero
con le nuove Patenti. « Per non essersi
stabilita nessuna innovazione religiosa —
egli scriveva — sembrerebbe die a questo
riguardo le cose rimangono nel medesimo
stato di prima; ma ciò potrebbe forse can.
giare aspetto, ove la esdusasi liibertà di
culto solo intendere si dovesse di una rappresentanza religiosa pubblica ». Chiedeva
pertanto al Ministro di volergli dettare su
questo punto una norma chiara e precisa.
Il parere
dell’4vvocato Generale
Seguendo la consueta procedura, il Ministero deirinterno trasmetteva immediatamente il quesito all’Avvocato Generale
d’Appello di Torino, pregandolo di esa.-ninare il caso e di dare il suo autorevole
parere (1 luglio 1848). L’Avvocato Generale rispondeva il 10 luglio con argomenti
conformi al nuovo spirilo dei tempi. Pur
osservando die, dalla clausola restrittiva
apposta alle Patenti, non si poteva permettere « una maggiore larghezza nell’eserdzio del culto valdese di quella sino allora
goduta », nè inferire dalle Patenti « una
assoluta libertà nelle cose riguardanti il
culto », tuttavia asseriva che, non avendo
quell’usanza l’appoggio di alcuna legge,
nemmeno di quelle restrittive del culto
valdese, il nodo della questione stava nel
vedere se quell’o-bblìgo del battesimo cattolico della prole illegittima valdese « po
tesse sussistere con la pienezza dei diritti
assicurati ai valdesi in termini così positivi ». Asserendo che sono sacri ed inviolabili i diritti, die le leggi di ogni società
civile riconoscono ai genitori sui propri
figli, affermava che l’autorità dello Stato.
( malgrado il favore della rebgione, che
in esso è professata come dominante, e
malgrado lo zelo nel promuoverne la propagazione, tuttavia si arresta dinanzi all’iimperio paterno ed a tal -segno ne rispetta l’integrità, che all’arbitrio del padre
abbandona il sommo degli interessi de’
figli, lasciando che egli determini la loro
credenza e li educhi nel culto suo proprio ». Ne deduceva pertanto, che lo stesso diritto, che le leggi dello Stalo relative
ai valdesi avevano in ogni temipo (non già
nel 1686!) rispettato nel padre, « quando
fosse riconosciuto per legittimo matrimonio », non ijoteva essere minore riguardo
alla madre in ciò die concerne la religione, « trattandosi di prole, la -cui madre è
certa: essa è quella infatti, in cui, nel caso
di nascita illegittima, incombe prin-ripalmente la cura degli interessi della prole,
a cui deve stare a cuore il più caro tra
questi: il culto cioè nel quale la medesima debba venire educata ». E, dopo aver
affermato che il favore della religione dominante deve essere contenuta in certi limili, « se non si vuole che la religione
privilegiata divenga una domirazione assoluta ed osciusiva c -che si liasfonmi la
religione di Cristo, che è tutta di carità,
in una tirannia delle co-scienze », conchiudeva che « essendo quell’uso del battesimo
cattolico della prole illegittima non prescritto da nessuna legge, ma solo per via
■d’uso o di .speoia-lc ondine di autorità religiose, esso non poteva essere riconoisciuto
«oneiliabile <on i diritti della madre sulla
propria prole, compresi fra quelli espressamente a-ssicurati colle Patenti del 17
febbraio scorso ai valdesi, e eh? pertanto
la regola di -sottoporre la prole illegittima
al battesimo cattolico non poliva continuare a sussistere che nel caso ¿egli esposti, perchè allora, presumendo-si situo nati
-la genitori catlo-lici, ,vlla <-hiesi cattolira
devono essere presentati ».
Ma, perchè si poteva prevedere che le
conclusioni cosi formulate avreMiero potuto riuscire non gradile al dert cattolico
e provocare ulteriori molestie al Dicastero degli Affari Ecclesiastici di Grazia e
Giustizia, l’Awocalo Generale suggeriva
al Ministro dell’Inlerno di interpellare anche quel Dicastero, prima di dare una
definitiva risposta al Ca-pitolo di Pinerolo.
Il parere
del Guardasigilli
Il quesito del Vicario Generale ed il parere dell’Avvocato Generale furino trasmessi il 12 luglio alla Grande Cancelleria,
e, più preci-saimente, a S. E. il etnie Sclopis, per impetrarne il parere. Il 18 1-uglio
la Grande Cancelleria, per mano del primo ufficiale Barbaroux, riconfermava, con
nuove argomentazioni, il parere dell’Avvocato Generale, dichiarando Me, « se
l’obhligo della presentazione al parroco
della prole illegittima non poteta essere
tacciato di esuberanza, finlantoahè gli
acattolici delle Valli erano retti in questi
stali da leggi di semplice tolleranza, ora,
dopo che i valdesi avevano acquistato, con
l’emanciipazione loro accordata dalle RPatenti, un’esistenza molto più larga, non
poteva più legalmente sussistere, come
contrastante al pieno godimento dei diritti civili e politici, poiché la riserva contenuta nell’editto « che nulla fosse innovato nelle leggi e provvedimenti sopra il
cullo valdese », avrebbe valore soltanto .se
quell’atto di sottomissione avesse avuto
orìgine in qualche disposizione legislativa ». Ma poiché es-so « non emanava da
alcuna legge e non aveva altro principio
che di ordini emanati in passato, ad istanza del Vescovo di Pinerolo, dairautorità
amminislraliva », il Guardasigilli conc-hiudeva, sulle orme dell’Avvocato Generale,
che « di fronte al diritto accordato ai vaidesi di professare il pro-prio culto, purché
si uniformasserI alle regole dei regi editti, non poteva più sussistere quella sottomissione, che urtava con l’esercizio dei
più sacri diritti consa-crati ai parenti e,
fuori del matrimonio, alla madre, di allevare la prole .s-econdo la propria co-scienza, sempre che essa, mossa da sentimento
di affezione, fosse disposta di ritenerla
presso di sè, anziché, per sottrarsi dal
peso di prenderne cura, abbandonarla alla
condizione degli e-sposti, aissoggettandola
conseguentemente ad essere educata secondo la religione cattolica e così sotto
di -un culto diverso da quello che essa professava ».
La risposta
al Capitolo di Pinerolo
Come si vede, le con-clu-sioni dei due
interpellali ripudiavano unanimemenle,
come illegale, in virtù dei diritti civili
recentemente concessi ai vai-desi, la pretesa del battesimo cattolico della prole
illegittima valdese, qualora la madre as■sumesse la cura della sua educazione, e
non la ritenevano valida, -se non nel caso
elle la madre, rinunziando ad allevare la
prole, -preferisse affidarla agli Esposti, come nata da genitori ignoti.
Il 12 luglio il Ministero dell’Interno comunicava il parere richiesto al Capitolo
di Pinerolo, trascrivendogli fedelmente la
lun-ga disquisizione fatta dal Guardasigilli
ed invitandolo ad attenersi alle norme
quivi stabilite.
Era un notevole trionfo dello spìrito liberale, che si andava formando nella nuova Italia e -che apertamente -condannava
tutto quel passato di soprusi, di violenze
e di barbarie, che aveva calpestato i più
sacri diritti dei genitori e della persona
umana ed aveva visto cosi spesso ratti di
fanciulli, battesimi clandestini e coatti di
neonati, e conversioni incoKcienti di minorenni strappati alla propria famiglia
con i mezzi -più illeciti di adescamento.
Era una promessa per l’avvenire! Ma forse, ad un secolo e più di distanza, dobbiamo amaramente constatare che non sempre il frutto ha corrisposto alle fatiche di
questi primi seminatori dei principi di
libertà e di tolleranza. Arti ro Pascai.
Lettera aperta
ad un Monsignore
Cremona, U 26 gennaio 1962
Sig. Direttore,
penso sia interessante conoecere quanto
è stato scritto su di un giornale milanese
a proiposito di queUa triste disgrazia accaduta a tre bimbi dì Seveso che sono arsi
vivi in una baracca. Si ha un bel voler tributare solenni funerali quando ormai dei
poveri innocenti son morti, ma citi di dovere non ci pensò quando erano vìvi, cite
avevano bisogno di lutto e che era sempre stato negalo loro anche l’indispensabile. E cosi in Italia tutti i giorni si dimentica quale sia il dovere di ogni cristiano, di ogni cilta-dino, soprattutto di chi
appartiene alla Chiesa dominante, in questa povera Italia creatrice di idoli, che
fanno di certi divi, e dive più propriamente ancora, tante divinità (ci mancava
anche un monumento al fu Rodolfo Valentino, « dio del Cinema »). Non è il caso
dì scrivere ulteriormente, quanto segue è
per se stesso molto più eloquente di ogni
altra cosa :
« Reverendissimo Monsignore, ieri a-scollavamo distrattamente il giornale radio,
quando ci ha colpito una notizia che La
riguarda. La notizia diceva che Lei, Mons.
Mila-ni, parlando aH’UCID ( se non abbiamo udito male), aveva dichiaralo che per
soddisfare le esigeiize religiose della popolazione milanese o-ccorre intensificare la
costruzione di nuove chiese. Secondo i
Suoi calcoli. Monsignore, le chiese da
ediifiicare, corrispondenti ad altrettante par.
rociehie da istituire, sono 54 in Milano
città e 154 in provincia, e Lei, nella Sua
conferenza o rapporto o conversazione alrUCID, ha insistito sulla necessità dì
provvedere affinchè le nuove chiese c le
nuove parrocchie siano al più presto mia
realtà,
« Noi non abbiamo l’onore di lonoscerLa personalmente. Monsignore, ma
speriamo che non Le dispiacerà sapere i ln>
comprendiamo e rispettiamo il sentimenlo
che La muove in questa Sua opera di propaganda e di persuasione; così vorrà perdonarci se ci permettiamo di suggen’rLc
una piccola e modesta iniziativa da inserire, come si dice, in quella, adldiriltnra
imponente, che Le sta tanto a cuore. Si
tratta di questo. Come Lei sa, raltro ieri
a Banruc-ana, in quel di Seveso, una hara-oca in mezzo ad un lioscliello si è incendiata, e due ba-niibini sono bru-cìati vivi; tui-a loro sorellina, che si socrava dì
salvare nonoBlanle le gravi ustimii riportate, è morta ieri. Viveva in quella baracca, nella più squallida miseria, una
famiglia di sei persone, madre e quattro
figli. Adesso sono rimasti in tre, poi che
tre sono morti. I sopravvissuti non hanno
più il loro abituro, che è and-at-o completamente distrutto, neU’in-cendio; ed è certo che ora il sinda-co di Seveso avrà in
qualche modo provveduto a ricoverare
questi tre disgraziati; ma noi sappiamo
che essi hanno sempre voluto, desiderandola fino a sognarla, una casa loro, una
vera caisa: lo abbiamo aip-pre,so dai giornali, e ci è venuto in mente Paolo linceiio, quando rimirando gli u-ccellìni che ha
dipìnto, esce in questa invocazione: «Ma
un rosignolo lo vorrei di buono ». Se lo
ricorda. Monsignore, quello stupendo verso del Pascoli?
« Ora noi vorreinino farLe una proprrsta. Monsignore: Lei distrag-ga un po’ di
soldi dai fondi destinali alla coslruzion.delle nuove chiese, e faccia fabbricare una
piccola casa a quella povera famiglia di
Barrucana. Vedrà che il Cardinale Montini non Le dirà dì no- Ma fatelo ufficiaiiHGnte, pubfoliioaiTienle. A noi pia’ocrt^bhp,
ci scusi questo secondo suggerimcnlo, che
sulla facciata della prima chiesa finirete di ííostruire, si leggesse, in una seiupliee laipide, una notizia che, con aippropnalo liuguaggio, dicesse: Questa chiesa
è lunga (o larga) ire metri in meno del
previsto, perché i denari risparmiali sono
stati spesi per coeiruire una casa alla famiglia di tre bambini bruciati vivi, per
non avere avuto un tetto da cristiani che
li accogliesse.
c( Lei ci dirà, Monsignore, che la Chiesa
ha opere di carità numerose e sollecite,
che soccorrono i poveri. E’ vero. Ma noi
vorremmo che Lei ci credesse, Monsignore: una chiesa come quella die Le proponiamo noi, più piccola, semibrerel>be a
tutti una chiesa più grande, e forse farebbe dimenticare almeno per un giorno, almeno per un’ora, il monito di Bossuet:
che le ricchezze consistono principalmente
nella pazienza dei poveri ».
Athos MandelH
libri
E. Phentiss: Passo passo verso il cielo.
Ediz. Centro Biblico, Napoli 196-1,
I»p. 2%, L. 750. Una nuova edizione
italiana, in piacevole veste li-pografi-ea, di questo rlassico « diario ». « Que-sto libro fortifioherà lutti coiloro ebe
lo leggono. E’ impossibile, dopo la
-lettura d’esso, di non essere più pronto ad affrontare qualsiasi problema,
qualsiasi prova che Dio manda per inse-gnanci la Sua perfetta volontà, per
renderci strumenti utili nelle sue mani, mentre camminiamo passo passo
verso il ciielo ».
C. Tsai; Regina della camera buia. Ediz.
C.L.C., Firenze 1961, pp. 96, L. 250.
La figlia di un viceré dell’ultimo periodo imperiale cinese narra la sua
-conversione a Cristo, gettando al tempo stesso -una luce particolare sul
mondo nascosto dalla « cortina di
bambù ».
5
16 febbraio 1962 — N. 7
m
TACCU/MO
9 febbraio — Ogni qualvolta rivedo il nuovo
tempio di Prati mi rammento la conversazione che
ebbi con un muratore della mia cmnunità in merito al
sigm’fìcato di questo edificio. ”E‘ una costruzìtme
fatta come quelle di un tempo, come tutti i nostri
templi, troppo alto, adatto apperm per l’estate, d'inverno d si deve gelare. I muri in mcatorù nudi, non
so perchè li lasciano così, a me non piace, non sembra finito; il muro in fondo poi non si sa cosa vuol
dire, pieno di buchi che si riempiranno (ti polvere e
faranno spifferi nella schiena del pastore”. Cercai di
spostare la discussione sul terreno artistico, dimostrando che si trattava di un esempio di architettura
moderna, inevitabilmente, come ogni edifido moderno. suscettibile di discussione e (ti nudintesi; ma il
suo parere fu categorico: “Moderne? Non, il y a des
extravagances dans une vieille église, c’est tout, ce
n’est pas être moderne ça”. ”In materia di ’extravagances’ architettoniche e di sbagli di costruzione
Agape è un esempio in materia”, dissi io per stuzzicarlo. ’’Lassù è altra cosa, è un insieme, si sente che
c’è un’idea unica". Se questa non è autentica cultura,
non so cosa significhi cultura.
10 febbraio — Si dimentica spesso il fatto rilevante che Lutero aveva 34 anni quando iniziò la sua
protesta e Calvino appena TI quando scrisse l'Institution, che gli uomini loro amici e compagni avevano tutti meno di 40 anni. Lo si dimentica o non ci si
fa caso.
12 febbraio — Uscendo dal chiuso delle case ed
allontanandomi dal debole chiarore delle lampade,
oltrepassato l’uliimo giardino mi trovai sperduto nella notte piena di vento. Nel cielo spazzato le stelle
sembravano pietre, il dorso dei monti neri di boschi
o grigi di neve chiudeva quel rettangolo di cielo con
di Giorgio Tourn
un tracciato duro, pesante. Sono le notti come queste, pensai, che hanno fcdto nascere nelFuomo la
paura (iella natura; non i cataclismi o i terremoti ma
la presenza indifferente, ottusa, enigmatica di una
realtà diversa dalFuomo. Qualsiasi voce, messaggio,
appello mi poteva essere rivolto dcäTinvisibile presenza del verno, ed ogni forma, ogni presenza, ogni
essere poteva sorgere daH’informe massa di terra e
di sassi che mi stava innanzi; quanto al luccichio
delle stelle poteva mutarsi in ogni possibile luce.
Tenta di rivivere quell’ancestrale paura; invano.
La notte non mi disse nulla, non mi ispirò nulla, rimasi solo, sperduto senza ricavare d<t tutto ciò che
mi circondava la minima impressione. Indifferente
la natura, irtdifferente io. Siamo così fatti, fui tentato
di dire cd vento ed ai monti, voi fate la vostra strada
e noi la nostra; forse, urui volta, ci si diceva qualcosa, oggi non ci possiamo più dire niente.
Pensctt ai romantici, gli ultimi che hanno tentato
quel dicdogo con i boschi ed il cielo, a Pascal ed alla
sua ’’frayeur”: ”le silence éternel de ces espaces infinis m’effraye!”, pensai all’inno che imparano i nostri ragazzi: ”La terra e(i i cieli raccontano ognor...”.
E’ vero che non ci si dice più nulla, noi e la natura? E’ vero che uomini e terra sono ormai due
mondi estranei? Le stelle sembravano trasmettermi
un messaggio come in ’’morse”: punto, linea, punto,
punto; forse lo stesso messaggio era nel lamento or
stanco or rabbioso del vento, nella massa inerte dei
monti; era un messaggio cifrato, dì cui non possiedo più il codice, e nessuno di noi lo possiede. Più
angoscioso della ’’frayeur” dì Pascal e del terrore
amoroso dei romantici, più reale del cantico è per
noi quell’improvvisa ricezione di un messaggio che
rimane incomprensibile.
Personalità ecclesiastiche
in favore
un governo mondiale
ITashington — Noti pastori d’Europa e
d’America ai sono uniti a numerosi dirigenti politici, titolari di premi Nobel,
scienziati e scrittori, rier firatare un manifesto che chiede a tutti i governi di riunire
una conferenza costituente mondiale, in vista di stabilire un progetto di governo mondiale.
Il manifesto rileva che, in assenza di una
legge mtmdiale riconosciuta da tutti, non
si è potuto trovare un mezzo efficace per
regolare pacificamente i conflitti internazionali. Per creare uno strumento legale
capace di instaurare una legge ed un ordine universale, ogni nazione dovrebbe inviare tre delegati e due supplenti ad una
conferenza a Ginevra, al più tardi in set
tembre, per gettare le basi della costituzione di un governo federale mondiale, e sottoporre poi questo documento per la ratificazione a tutti i popoli e governi.
Fra i firmatari, il past. Niemoller, capo
deUa Chiesa presbiteriana unita negli S.U.;
sau recentemente eletto quale uno dei sei
presidenti del C.E.C.; il past. M. L. King
di Atlanta (USA), noto per la sua lotta
antisegregazionista; il can. Collins della
cattedrale di St-Paul a Londra; il past. Me
Leod, ex-moderatore della Chiesa di Scozia; il past. A. L. Miller, ex-mod ratore
della Chiesa presbiteriana unità negli S.U.;
il past. D. Soper, ex-'presidente della Chie.
sa metodista d’Inghilterra.
(soepi)
Hecottnabsancc
Nous apprenons avec plaisir qu’une
Société a été constituée — sur l’initiative de la Commission « Pro ValU » —
avec le nom « Pra del Torno », ayant
pour but de construire une maison
d’accueil dans le haut Vallon d’Angrogne, si riche en souvenirs historiques.
Cette Société a pu être établie grâce à l’intêret de quelques amis de Turin et de La Tour, auxquels s’est unie
une dame hollandaise, M.lle D. C. De
Marez Oyens qui a souscript Fl. 10.000,
correspondant à L. 1.720.000. Cette
Dame a été intéressée à l’initiative en
faveur du Pra du Tour par Mile Mia
van Oostveen, qui est une chère et fidèle amie de notre peuple, bien connue parmi nous.
Nous désirons remercier d’une fa'
çon particulière ces dames hollandaises, qui continuent ainsi une tradition d’aide et d’intêret que la Hollande a de tout temps manifesté à l’égard
des Vaudois.
LA REVUE REFORMEE (4-1961): P.
PETIT: La réordinalion des prêtres catholiques qui deviennent pasteurs réformés
- P. du MOULIN: De lu vocation des pastC’Urs - A. G. MARTIN : Albert Camus et le
chriislianisme - .Nouvelle« de l’A».socialion
internationale - Bibliographie.
CAHIERS DE Î-A RECONCILIATION,
12/1961.
Dag Hammarskjoeld : u Foi et espérance » — G. Bois: «Non-violence contre ségrégation aux Etats-Unis » — Livres —
Nouvelles.
LA COMMUNAUTE DES DiaSEMINES,
n. 12 (die. 1961)
Questo num. del periodico del Dipartimento ecumenico dei laici è tutto dedicato
allo studio della « stewardship », cioè al
movimento di rivalutazione del laicato e
delle responsabilità cristiane dei singoli
membri di chiesa. Presentazione non a senso unico, in quanto vi sono accolte pure
le espressioni di riserva e di opposizione
verso certe attuazioni pratiche di tale movimento (specie nei paesi anglosassoni).
ISRAEL (die. 1961)
.A. Pacifici: «Nè utopia nè conipromes
s.) I), e I’« Amichevole replica » di D. Lat
tea — Colombo-Tedesco: (f II ghetto di Car
magnola » — D. Latles: « 11 pessimismo d
Naimm Goldmann » — L. Moro: «Poe
sia » — Rassegna dei libri — Continuazio
ne dello studio di S. Foa : « La politica
economica di Casa Savoia verso gli Ebrei»
— (gennaio 1962): R. Bonfil: La eris
rabbinica in Italia e fuori. L. Carpi: L’or
ganizzazione sionistica mondiale e i suo
rapporti con lo Stato d’Israele. Giorgio Ro
mano: Piove sul bagnato (qualche rifles
sione sulla politica mediorientale alle so
alie del 1962). D. Lattes: Problemi e po
lemiche. G. L. Luzzatto: L’oipera poe
lica d’Angiolo Orvieto. B. J. Ascoli: Cibo
taref. R. Spiegel: Un quartiere di Gerrnsalemme. Rasisegna delle riviste.
Una opinione cattolica
sul Consiglio Ecumenico
PHILADELPHIA — Il Saturday
Evening Post, uno dei settimanali più
popolari d’America, che tira oltre sei
milioni di copie, ha pubblicato un articolo del P. O’Brien, docente di teologia all’Università di Notre-Dame,
negli S, U., che tratta del Consiglio
ecumenico, del sue sviluppo e dei suoi
importanti studi sulla natura dell’unità cristiana e dei mezzi per pervenirci.
Dopo aver passato in rivista le tendenze attuali verso l’unità della Chiesa nel mondo, il P. O’Brien scrive;
« Bisogna sottolineare i punti d’accordo positivi. Gli ecumenisti cattolici ricordano ai loro correligionari che i
protestanti sono battezzati non in una
denominazione, ma in Cristo, il che
fa di loro alla lettera dei fratelli spirituali. Notano pure che il primo passo sulla via della riunione è la preghiera e il ravvedimento, insieme, ai
piedi della Croce».
A scanso di equivoci, vogliamo precisare di fronte a queste affermazioni
— che si fanno via via più numerose
da parte cattolica, e che sono in sè
certo rallegranti — ohe non vorremmo assistere ad un sia pure inconscio
tentativo di « recupero » delle « forze
cristiane»; e che il vero dialogo ecumenico inizia solo quando due confessioni di fede si -pongono di fronte parlando alla pari. Finché questo non avverrà da parte romana, il «disgelo» avrà un valore psicologico e sentimentale senz’altro simpatico, ma irrilevante sul piano teologico, che è quello essenziale nel confronto fra due « confessioni della fede». E per la Chiesa
di Roma — come per tutte le chiese
— questo implica un ravvedimento
che porta davvero a piedi della Croce, non di un trono pontifìcio. Ma ci
si chiede se Roma non cerca di tagliarsi sempre più i ponti alle spalle,
verso questo grande ritorno, arroccandosi nella sua sicurezza — giudi
cata o derisa dalTestemo — di «Mater
et Magistra ».
Dietro l’apparente grandiosa armonia di facciata — a chi guarda bene
mostra però crepe profondo e contra
sti, di cui la Chiesa romana non è più
esente di ogni altra — la Chiesa del
Signor Gesù Cristo vive nel cattolice
simo non per la forza coesiva e repressiva di un magistero, ma per
l’opera libera e sovrana della Parola e
dello Spirito di Dio, in coloro che nel
cattolicesimo come in ogni confessio
ne cercano con fame vera questa Parola e invocano questo Spirito da cui
ogni cosa viva dipende: sono essi, co
sì spesso osteggiati o guardati con sospetto, la vita della massiccia istituzione.
PROTESTANTESIMO
Num. 4 -*1961
W. ViscHEH: L’Evanjielo secondo il profeta Giona.
V. ViNAV: Tempo di Avvento.
J. A. Socr.iN: L’Antico Testamento nella
Chiesa.
G. Boco: Un trattato protestante di liturfiia.
R. JouvENAL: Possibilità di una pedagogia
cristiana.
C. Gay: La 111 As.«emiblea Ecumeniea:
New Defili 1961.
Recensioni.
Notiziario.
In base alle dispo-sizioni del nuovo contratto di lavoro iter l’aumento deUe tariffe
ai poligrafici e cartai in vigore del 1.1.1962
le quote di abbonamento per il 1962 hanno
dovuto essere modificate come segue: Ordinario L. 1.750; Sostenitore 2.500; Pastori 1.200; Studenti in teologia 1.000;
Estero 2.000; Pastori all’estero 1.700; Un
numero separato 500.
La sera del 17 febbraio mi accadde
una strana avventura. Ritornavo
dall’agape fraterna e risuonavano ancora ai miei orecchi i vari brindisi ed
i canti; avevo ancora davanti agli occhi il via-vai grazioso delle Valdesine
in costume che ci servivano, il luccichio delle posate e dei bicchieri, i
molti visi sorridenti. Ero stanca, e
appena entrata nella vecchia casa paterna nulla mi parve più attraente del
caro antico studio del bisnonno nella
parte più remota deirappartamento;
nulla mi sembrò più invitante della
sua sdruscita poltrona.
Non accesi neanche il lume, perchè
dalla finestrella filtrava un blando
chiarore lunare, che dava alla stanza
una particolare serenità.
Vedevo nella penombra gli umili,
radi mobili: la biblioteca grande nel
fondo, le varie scansie di libri tutt’attorno alle pareti. Sì, dei libri ce n’erano in quella piccola stanza, libri di
ogni genere: di studio, di cultura, di
lettura amena, di pietà.
Da quando, dopo la libertà del
1848 s’era aperta anche ai Valdesi la
strada allo studio in Italia, la famiglia s’era affrettata a mandare alle
scuole superiori i propri figli. Una figlia, poi, era andata aH’estero ad imparare le lingue; infine i numerosi nipoti avevano tutti frequentato il ginnasio, il liceo, l’università. Ed ecco
i libri arrivare a frotte nella vecchia
casa; ecco accanto ai semplici libri
delle passate generazioni, le grammatiche latine e greche, i vocabolari, le
enciclopedie; accanto ai romanzi, gli
astrusi libroni di chimica e fisica sui
quali s’erano laureati i figli più giovani; vicino alle riviste dell’ingegnere
i numerosi classici dello zio professore; i molti libri di teologia del nipote
pastore; ed infine i vistosi « fumetti »,
mania dei bisnipotini. Quanti libri! Il
modesto studio del bisnonno, la cui
più illustre e venerata ospite era sem
Il silenzio della Bibbia
pre stata la Bibbia, sembrava troppo
piccolo per una tale quantità di volumi. Eppure li accoglieva tutti benevolmente. Una mano pia — forse era
stata la nonna — aveva però disposto
le cose in modo che la Bibbia di famiglia rimanesse ai solito posto, lì,
dove soleva riporla il bisnonno dopo
il culto quotidiano, sulla mensola della scrivania. E lì giaceva ancora sotto
lo stemma valdese rozzamente dipinto su pergamena, tra il medaglione di
finto bronzo di Arnaud e quello di
Gianavello.
Guardavo ogni cosa e non m’accorgevo che il tempo passava: c’era tanto silenzio e tanta pace.
Silenzio..., pace?... che cosa dico!
Odo un brusìo di voci, un sordo
frastuono di gente che discute, che litiga perfino. Che cosa accade? sono
sempre nella stessa stanza sola, gli
altri abitanti della casa dormono tranquillamente. Le voci sembrano venire dalla biblioteca là in fondo...
« Sentite, smettetela voi poeti, Goethe, Shakespeare, Schiller, ci fate venire il mal di capo ».
E’ l’enciclopedia che ha parlato, la
grossa enciclopedia, ne sono sicura,
perchè essa è qui accanto a me, con
tutti i suoi 24 volumi rossi bene allineati; è proprio lei, e si è rivolta ai
classici stranieri della biblioteca.
« Ma se noi stiamo zitti, dove sarà
la bellezza? che cosa vi rimarrà che
valga la pena di essere udito? », rispondono i classici, ciascuno nella
propria lingua.
« Questo è alquanto esagerato —
borbottano i libri di testo di greco e
di latino — l’antichità aveva saputo
esprimere cose assai belle prima di
voi ».
« Bellezza, bellezza... a b..., ballo
beffa belare bellezza : ho trovato! —
grida il vocabolario sfogliando rapidamente le sue pagine — bellezza:
l’essere bello, qualità dell’uomo, della donna, del cielo, della natura, del
creato... Ecco, non si parla affatto di
voi, miei cari classici. Sono tante le
cose belle a questo mondo! »
« Ed anche tante le cose interessanti, interviene il libro di storia, e fra
tutte la più interessante sono io ».
★★★★★★★
Un racconto di
E dina Ribet
★★★★★★★
« Ma noi siamo i migliori, i più
piacevoli, esclamano con enfasi i buoni romanzi della fine del secolo scorso, siamo i più appassionanti, i più
ricercati ».
« Peuh! una volta forse, ma ormai...
Tutto passa a questo mondo, sentenzia il trattato di filosofia, in me soltanto si trova la saggezza ».
« In me la sapienza! Io so tutto, di
tutti, di tutto il mondo, di tutti i tempi, dice ancora l’enciclopedia; domandate a me, nulla mi è ignoto ».
« Quanta boria! tu sai tutto ma non
approfondisci niente; noi invece andiamo in fondo alle cose, siamo le
scienze esatte — esclamano i libri di
chimica e di matematica —; noi calcoliamo pesiamo dimostriamo tutto
in modo chiaro e preciso ».
Intanto da un altro scaffale le riviste illustrate chiacchieravano un po’
di tutto in modo slegato e frivolo. 11
vocabolario continuava ad afferrare
una parola a volo e a darne precipitosamente la spiegazione.
Sul ripiano più alto della biblioteca era sorta una discussione dotta e
sostenuta tra i libri di teologia vecchi
e nuovi... Ve n’erano tanti, e la loro
discussione m’avrebbe interessato :
non avevo mai sentito parlare con
tanta competenza delle varie correnti
del pensiero teologico, in un modo
tale che tutte mi parevano ugualmente convincenti... Ma era impossibile
seguirli in mezzo al vociare generale.
Nuovi libri si erano ridestati ed avevano aggiunto la loro voce alle altre;
alcuni giornali dell’ultima ora, lasciati sul tavolino dal nipote studente, lanciarono ai quattro venti notizie
terribili di disastri, di bombe, guerre,
sciagure varie. Poi gli innari della biblioteca intonarono una melodia triste; le grammatiche si misero tutte insieme a coniugare i verbi.
« H20-t-02 » gridava la chimica.
« lo sono il migliore..., io il più importante..., io il più saggio, io quello
che dà più conforto... ».
Fermatevi! volevo dire io, per carità, basta!
Mi ero alzata dalla poltrona per
far tacere in qualche modo quei
libri pazzi, quando il mio sguardo
cadde sulla Bibbia: in mezzo a tutto
quel chiasso, essa sola giaceva in silenzio, sulla mensola della scrivania,
indisturbata.
Ma il suo era un silenzio solenne;
come mi apparve strano, al confronto, tutto il vociare degli altri libri che
nel corso degli anni avevano invaso
lo studio del bisnonno.
Aveva dovuto cedere il posto a
tutti questi invasori lei, la Bibbia, un
tempo l’unica ad essere letta e meditata; lei, l’unico libro dal quale una
volta tutta la casa, giorno dopo giorno, attingeva ogni guida, ogni conforto, ogni sapienza. Ora la Bibbia
taceva: era al solito posto, ma chiusa, ma negletta e trascurata. Eppure
io capivo... Se vi era qualche bellezza, qualche ispirazione nei libri che
tanto parlavano dietro di me nella
stanza, lo dovevano a lei, alla Bibbia. Se vi era un tratto morale, un
personaggio buono, un insegnamento
durevole in essi, lo dovevano in definitiva alla Bibbia.
Le scoperte scientifiche, le scienze
esatte ed i calcoli confermavano ciò
che la Bibbia da sempre aveva detto
intorno alle meraviglie di Dio; e se
vi erano notizie strane, rumori di
guerre, angoscie o distrette, i profeti
della Bibbia nei lontani secoli già le
avevano preannunziate; e se vi era
sapienza e saggezza sotto il sole nulla
era paragonabile ai libri del re Saiomone; nessuna filosofia avrebbe mai
potuto annunziare, come la Bibbia,
la rivelazione dell’amore di Dio; nessuna teologia, da sola, poteva dare un
messaggio più alto della parola del
Cristo : « Io sono la via, la verità, la
vita ».
Ecco qual’era il silenzio della Bibbia. Più significativo, più edificante,
più vivo che non le voci dell’intera
biblioteca, e diceva tante altre cose
ancora che io non so ridirvi.
A poco a poco il silenzio della
Bibbia ingigantì e riempì tutta la
stanza; e i libri, confusi, ammutolirono ad uno ad uno; ingigantì e colmò
tutto l’animo mio, ed io ringraziai
mille volte i miei padri che, a prezzo
d’inenarrabili sacrifici e della vita
stessa, mi avevano conservato nella
sua purezza quel Libro unico al mondo.
6
pa«. 6
N. 7 — Itf feWmio 1%2
Precisazione
In un mio articolo, ’’Complesso cTinleriorità dei cristiani”, sul n. 5 del giornale, scrivevo incidentalmente, citando altri
esempi: ”...in una comunità delle Valli
si discute perchè membri del Concistoro
(orrore!) si sono presentati per le ’amministrative’ quali candidati in una lista di
dichiarato colore politico (ma forse si sa-,
rebbe fatto meno chiasso se il colore politico, altrettanto chiaro, fosse stato diverso...)”. La comunità in questione è Torre
Pellice; e alcuni lettori mi hanno espresso le loro rimostranze per questo modo
’’unilaterale” di presentare le cose: la discussione in corso — purtroppo abbastanza amara — non sarebbe affatto originata
da questioni di colore politico, ma dal modo con cui la campagna è stata condotta.
Per quel che mi è stato dato sapere, lo
svolgersi della campagna elettorale ti Torre Pellice è stato funestato ■— diciamo pure — da personalismi, da ogni parte; personalismi su cui, come si conviene (!)
nel ’gioco’ politico, si trova chi ha interesse di soffiare. Sono quindi ben pronto
a precisare in tal senso quella mia frase,
riconoscendo che in discussione non è unicamente un dato colore politico, e che i
¡tersonalismi possono avere la loro portata nella piccola vita locale: che cioè —
ma da una parte come dall’altra ■— sono
state dette cose che si poteva evitare di
dire e fatte cose che si ¡poteva evitare di
fare. Ma anche così .precisato, quanto avevo scritto continuo a pensarlo (ne è conferma quanto avviene pacificamente in altri Comuni delle Valli); e penso che alla
nuova Amministrazione, liberamente eletta come tutto le precedenti i(malgrado tutti gli imponderabili che gravano su ogni
votazione, anche la più democratica), debba essere lasciato onestamente il modo di
dar prova di sè. E’ questa la regola elementare del ’ gioco’politico democratico:
in cui bisogna anche saper perdere, il futuro dirà se una mano o più d’una.
Ma vorrei aggiungere ancora una parola, circa il problema che veramente m’interessava nel mio articolo e nel cui quadro citavo solo l’esempio discusso: quello
del nostro complesso d’inferiorità di cristiani, o del nostro conformismo all’ambiente, qualunque sia il nostro ambiente.
So di dire qui cose che penso dispiaceranno agli amici, ai fratelli in Cristo che ho
da una parte e dall*altra; so che potrò anche dare Vantipaticissima impressione dello sputasentenze ficcanaso, o dello scriba
farisaico; eppure sono convinto che una
volta ancora ■— nella foga della campagna
elettorale^ e nelle ^appendici* — si è un
po'co ceduto alla * carne* t alla passione:
politica^ in questo caso. Il cristiano, che
ha uti*altra passione in sè, ha da mantenersi freddo e lucido in queste cose, serbare il senso delle proporzioni, il rispetto
dell altro. Chi mi conosce sa che non dico
questo con pretese di arbitro borioso e
* giusto* (chi non fa non sbaglia!) ma con
piena e umile partecipazione.
Ed ora — anche questo esige il nostro
non-conformismo cristiano — sdrammatizziamo la cosa: non ridendoci su (è facile
solo ridere sulla pelle degli altri) ma in
un sincero spirito di riconciliazione. E*
compito di tutti. Gino Conte
La Missione elvetica nel Sud-Africa
ha ricevuto, per la cassa-emeritazione dei
suoi missionari, un dono anonimo di 240
mila franchi (35 milioni di lire).
DALLE NOSTRE COMUNITÀ
ILLAR PELUCE
Il nostro falò centrale verrà acceso, quest’anno^ sul prato retrostante al tempio, alle ore 20,30 circa. Seguirà al falò un ricevimento
nella Miramonti.
— (Sozze. 11 30 dicembre 1961 è stata invocata la benedizione di Dio sul matrimo
nio di Gemma Dema con Bruno Bonnet di
Angrogna, che hanno ,bssato la loro residenza a Pinerolo.
Dipartenze, il Signore ci ha provati,
quest’ultimo mese, con varie dipartenze:
Giovanni Armanti llgon, di anni 61, del
Sabbione, il 13 gennaio. Lutto particolarmente patetico e doloroso. Quando i figli
residenti in Svizzera, giunsero una sera per
vederlo, egli appariva in netta ripresa e in
via di guarigione. L’indomani all’alba era
già tornato a Dio. Poiché era molto amato in famiglia, anche il lutto ne fu doloroso. Lutto di credenti però.
Giovanni Bartolomeo Giraudin, di anni
80, dei Buffa, il 22 gennaio. Egli pure,
tolto ai suoi cari quasi repentinamente. Fu
assistito nelPultima prova dal Pastore Colucci il quale presiedette anche il funerale.
Jenny Cairus ved. Fontana, di anni 83,
del Centro, il 27 gennaio. Disse una sera
ai figliuoli che la assistevano: «Il Signore
mi chiama », li abbracciò, eppoi reclinò il
capo sul guanciale. Si concludeva cosi una
vita di pietà perseverante.
— Visite. Abbiamo goduto il privilegio
di ricevere parecchie visite:
Anzitutto quella degli unionisti di S. Germano che sono venuti numerosi a trascorrere una serata coi nostri giovani guidati
dal loro Pastore, sig. Ben.
Abbiamo pure ricevuto la Filodrammatica di S. Secondo diretta dal Pastore Genre,
che ei lui dato una briosa recita alla quale
seno accorsi molti villaresi.
L’Unione delle Madri ha beneficato della visita del Pastore Colucci che ha rivolto
alle nostre sorelle un edificante messaggio
sulla missione della Madre seguito da una
a causerie ,, della signora Colucci che ci ha
parlato delle sue espreienze pasturali nelle
varie città d’Italia e, ultimamente, a Villa
Olanda.
.Anche l’Unione delle Giovani ha avuto
il piacere di trascorrere un pomeriggio con
la sig.Ila Paola Rostan, figlia del nostro
Moderatore, che in-iegiia in una delle nostre scuole. Essa ha parlalo di ecumenismo
e ci ha mostrato interessanti diapositive.
Menzioniamo ancora la visita del Doti.
Gherardi, -osi favorevolmente noto tra noi,
venuto per udire i canti dei nostri bimbi.
Al culto, abbellito dai nostri trombettieri
é seguita un’agape fraterna alla Miramonti,
alla presenza del nestro ospite, del Sindalo, dei Monitori e dei trombettieri.
Lo spirito è stato ottimo e abbiamo trascorso Insiome dei inomenli veramente piacevoli. I giovani hanno poi trascorso il pomeriggio nei giochi e il nostro Ospite accompagnato dal Sindaco, si è recato a visitare il Castagneto.
La nostra -joinunità ha pure goduto ii
privilegio di una visita del Pastore Pierluigi falla che ha parlato in due Riunioni e
presieduto il culto del 14 gennaio. Lo ringraziamo per la stia visita e con lui ringraziamo pure i Pastori Cipriano Tourn e
Seiffredo Colucci pei le loro apprezzate predicazioni.
— Il nostro campanile. Il drammatico in
cendio di cui è stato vittima il nostro campanile e di cui abbiamo già parlato diffusamente, ha commosso tutti. 11 nostro Concistoro, in una seduta piena di fervore, ha
deciso di iniziare subito i restauri nel modo migliore possibile gettando le 5 solette
in cemento armato e tra queste le scale in
ferro, con una spesa di lire .lOO mila.
Purtroppo, le nostre casse sono vuote ma
abbiamo fatto un atto di fede nella certezza che il Signore ci avrebbe aiutati. In questi giorni, infatti, è stato un susseguirsi di
doni, talvolta modcàii ed umili, tal altra
coepieui, accompagnati da espressioni tanto care ed affettuose.
Davvero il Signore ci ha mandato molti
amici e noi, che non immaginavamo di poter contare su tanta solidarietà, ne siamo
rimasti profondamente commossi.
Naturalmente, la meta è ancora lontana,
ma non ci perdiamo d’animo!
11 nostro fratello Aldo Frache ci ha disegnato un bel termometro con una riga
rossa che sale a misura che le offerte aumentano. Lo abbiamo messo nella bussola
del tempio in modo che tutti possano seguirne l’ascesa!
ANGROGNA ICapoluogo)
— In questi ultimi tempi la nostra Comunità è stata rattristata da due lutti. Il
29 gennaio decedeva Alberto Travers della
Ciauviera, dopo lunga malattia, che negli
ultimi giorni si era fatta particolarmente
dolorosa. 11 2 febbraio mancava improvvisamente l’insegnante Elisa Bertalot dei Gonins, figlia del maestro Bertalot, che per
molli anni aveva insegnato a San Lorenzo.
.Ai familiari colpiti dal lutto esprimiamo
ancora la solidarietà e l’affetto della Comunità nella certa speranza della resurrezione in Cristo.
— Una nuova iniziativa del Concistorj
ha dato positivi risultati: si è trattato cioè
deH’istituzione di due riunioni di famiglia
al Raggio ed ai Malans, con lo scopo di
raccogliere le famiglie di queste due zone
notoriamente prive di riunione quarlierale.
Mentre ringraziamo il Sig. Odin e l’Anziano Firminio Cbiavia di averci ospitalo
nelle loro case, ci auguriamo, la prossima
volta, di allargare ancora la cerchia dei
partecipanti. Nelle altre riunioni di quartiere è stala di particolare interesse la
proiezione di una filmina sulla vita di Lutero che ci ha condotto a meditare sull’origine della Riforma e sulla validità attuale dei suoi principi. NeU’ultima settimana
di gennaio il Past. Taccia ha visitato i
quartieri del Cacet, Odin e Serre della vicina Comunità del Serre nel piano di scambi di visite.
— Col mese di gennaio ha cessato la sua
attività la maestra Anna C'hauvie Charlin,
dopo più di quarant’anni di insegnamento
nelle Scuole di Angrogna. A lei vada la
riconoscenza di tutti i suoi numerosi ex
scolari e della popolazione tutta. Le auguriamo ancora molti anni sereni di ben meritato riposo. Un caldo benvenuto alla Signora Lenuccia Costabel, moglie del Fasi.
POS¥lL IN ARRIVO
È DIFFICILE
ESSERE SEMPLICI
Il Pastore di una comunità delle Valli:
« ...giorni fa, nel corso di una riunione
quarlierale, il mio modesto tentativo di
diffondere della letteratura si è urlato
contro una viva resistenza da parte di
parrocchiani che protestavano contro « lutla questa roba troppo diffìcile da leggere ». Nel corso della discussione è venuto
fuori die bersaglio degli strali è l’Eco delle Valli, di cui alcuni con palese e voluta
esagerazione dicevano che l’unica cosa
comprensibile è la cronaca. Qualcuno si è
fatto eco di questa discussione nell’Unione delle Madri, dove l’argomento è stato
ripreso e raccusa ribadita. lersera, in seduta di Concistoro ho chiesto agli Anziani
quale fosse la loro impressione su tutta la
faccenda; molto bonariamente e gentilmente dicevano che con una certa frequenza capila loro di trovarsi di fronte ad articoli
l'iie superano la loro capacità, e di non
meravigliarsi quindi che altri parrocchiani
avessero avuto le stesse esperienze. Alcuni
dicevano che secondo loro il tono del
giornale è divenuto diffìcile specialmente
negli ultimi tempi.
« Ho voluto riferirli questi episodi non
con uno spirilo di facile critica, perchè
cerco di rendermi conto di quanto somigli alla quadratura del circolo, il tentare
di accontentare un pubblico cosi vario
per interessi e per livelli di cultura qual’è
quello a cui, con la sua doppia testata, il
giornale si rivolge. Ho voluto, invece, da
una parte render giustizia ai membri di
chiesa di..., che ei sentono umiliati o delusi al ricevere un gioniale che in parie
riesce loro illeggibile, e d’allra parte avvertirti di quanto è .successo in modo che
lu possa tenerne conto... Personalmente
posso assicurarti che leggo sempre con vivo interesse il giornale e apprezzo molto
il tuo lavoro; ma qui non si tratta di me,
Iiensi di riferirli obiettivanienle un fatto
che si è verificaio... ».
Sono grato al collega e amico che mi
ha scritto così sinceramente. Pubblichiamo in parte la sua lettera, perchè esprime
una situazione in cui forse anche altri lettori, e non .solo alle Valli, si trovano. Ed
è la volta mia — e un po’ di tutti noi redattori ■— di sentirci umiliati e confusi per
non essere riusciti, spesso, a presentare
con semplicità le questioni d’ogni genere
che via via affrontavamo. Desideriamo solo che quel che ci si richiede sia la semplicità, non la facilità; non è un gioco di
parole, sono due cose molto diverse: un
articolo meditato potrà — dovrà — essere
semplice, sobrio, espresso in termini semplici, 'ma non potrà mai essere letto come
si legge un brano di cronaca: con le dovute proporzioni (!), la Bibbia è esemplare, in questo. Ci sarebbe prezioso sapere con più precisione in che cosa tante
nostre colonne sono difficili: se nel linguaggio, o nell’astrattezza, o nei temi affrontati. Perche è veramente difficile essere semplici.
UNA LETTRICE
AFFEZIONATA
Una lettrice, da Pachino:
« ...Ho molto gradilo questa fusione dei
due periodici nostri... Dò tanta importanza alla stampa nostra e vorrei che avesse
non solo vasta diffusione, ma una vasta
portata, che soddisfacesse tanti nostri problemi spirituali e intellettuali. Sono mollo affezionala a ”La Luce”, che conosco
fin da bambina, e la leggo da cima a fondo tanto volentieri; in questi ultimi anni
si era arricoliila di varie rubriche, ohe davano molto movimento e vita. Vedo che
sono stale soppresse: come mai? Mi sarebbe anche piaciuto che nella testala fosse
stalo incluso Io stemma valdese ch’era già
su ’’L’Eco”... Immagino che la decisione
di conservare le dqe testale sia stata presa
per contentare i -lettori ’’affezionati” ai
due rispettivi periodici... Ma tant’è, dato
che si son dovuti fondere, con apprezzabile beneficio, si poteva fondere anche la
testata... intitolando naturalmente ”La
Luce”, non perchè io vi sia ’’affezionala”,
ma perchè mi sembra più importante. Una
volta ”La Luce” portava il sottotitolo
’’Gesù Cristo è la luce del mondo”, per
spiegarne il significato; per noi evangelici
è superfl^io, ma per quelli che non lo sanno, sarebbe opportuno. Comunque, apprezzo mollo l’ampia stesura del giornale
e invio molte congratulazioni e auguri a
quanti vi collaborano e hanno faticalo e
faticano a renderlo più ricco... ».
M.G.C.
Quanto al sottotitolo, la giusta richiesta
della lettrice è stata accontentata; quanto all’unificazione delle testate... se son
rose, fioriranno! E grazie del cordiale apprezzamento ed augurio!
LA TOGA AL PASTORE
A proposito della controversa questione
della toga, l’Anziano della Chiesa Valdese di Pescolanciano (Campobasso) ci scrive
fra l’altro :
« ...Secondo il mio parere, la toga la
deve indossare solo il Pastore, elle è l’unico responisabile del ministero... solo il
Pastore deve avere tale onore, come solo
¡1 Pastore dovrebbe avere il diritto di salire sul pulpito per la spiegazione dell’EvaUigelo del nostro Signore. Indossare
la toga è per il Pastore il segno dell’onore della sua funzione... ».
Angelo Potete
CIVICO CORDOGLIO
Il Prof. William Araldi, presidente dell’Unione Giovanile Evangelica di Venezia,
ci scrive :
Venezia, 28 gennaio 1962
I giovani evangelici di Venezia, durante
la giornata dell’ll febbraio 1962, attesteranno il proprio dolore e celebreranno
l’anniversario dei Patti Lateranensi, applicando all’abito un bottone da lutto con la
cifra 7 inscritta in color rosso.
Analoga attestazione di civico cordoglio
offrano tulli quei cittadini Italiani che
aspirauo a veder perfezionata la Costituzione Repubblicana, con l’eliminazione di
quell’articolo 7 ohe è tuttora grave remora al libero progresso, civile, democratico
e moderno del nostro popolo.
Un. Giov. Evang. di Venezia
Ci .scusiamo di pubblicare in ritardo
questo comunicato-appello. Ognuno sceglie
il modo di attestare il proprio dolore; ma
questo dolore lo condividiamo tutti.
del Serre, che ha preso il posto della Signora Charlin.
— Mercoledì 31 gennaio la Sig.na Paola
Nisbet, figlia del Past. Roberto Nisbet, si
è sposata a Torre Pellice con il Past. Bruno Tron, missionario in Asinara. Paola è
l’unica figlia del Past. Nisbet nata in Angrogna. La sentiamo dunque un po’ come
una dei nostri e, come tale, le inviamo
l’augurio più vivo di ogni benedizione nella sua nuova vita e neUa sua nuova missione al servizio del Signore, al fianco del
suo consorte.
— Ancora una volta i giovani e i giovanissimi dello Sei Club Angrogna si sono
distinti riportando risultati positivi e lusinghieri nelle recenti gare di sci. Ci rallegriamo vivamente con loro. L’Apostolo
Paolo paragona le competizioni sportive alla lotta e alla perseveranza della fede in
vista della « meta » indicata dal Signore.
Questo paragone possa essere presente anche allo spirito dei nostri giovani ed essere
per loro di ispirazione e di guida per la
ben più importante competizione della vita.
— La prima domenica di febbraio la nostra Unione Femminile ha ricevuto la gradila visita dell’U. F. della Comunità del
Serre, di recenti costituzione. 11 ben riuscito incontro è slato allietato da interessanti proiezioni di fotogrammi su alcuni
aspetti della vita e dell’opera di Albert
Schweitzer, il grande medico missionario
dell’Africa Equatoriale, e concluso da Piminancabile tazza di tè.
— Quest’anno è pei la nostra Valle l’anno delle strade (infatti non si può quasi
più circolare da nessuna parte!). Di particolare interesse è la sistemazione delia
strada fino a San Lorenzo, che tra non
troppi mesi (speriamo) sarà tutta asfaltata.
— Giovedi, 8 febbraio, lià avuto luogo
il servizio funebre di Luigi Rivoira, di
anni 38, deceduto improvvisaimente in seguito ad incidente stradale, Fisprimiamo
ancora ai numerosi parenti e specialmente
alla madre ed ai fratelli la nostra simpatia e ricordiaiino loro che una Irislezza
« secondo Dio » non è mai senza frullo
nella nostra vita spirituale.
— La Sig.ra Paimira Rivoira e la Sig.ra
Durami Canlon (Fonlanelte) hanno dovn10 essere ricoverate all’ospedale, l’una per
un intervento chirurgico, l’altra per alcune cure. .Aiignriamo loro di ri.slabilirsi
proiiilamenle per poter partecipare c^on noi
ai festeggiaiueiili del XVII febbraio.
— Ricordiamo ancora che quanti desiderano partecipare alPagape fraterna devono iscriversi entro giovedì 1,'i febbraio.
versando la caiparra di L. ,500. Il prezzo è
•sialo fissato in L. 1.000.
Ricordiamo ancora la manifestazione alla quale prenderanno parte i bainibini delle scuole, sabato 17 febbraio, alle ore 10,
nel tempio.
— Sono ormai in distribuzione le buste
di febbraio. Ricordatevi che si tratta delle
buste della rinnnzia.
Dal programma del XVII,
— In occasione della Festa della Libertà
i nostri due templi secolari saranno illuminati esternamente, le «ere del 16, 17 e
18 febbraio, a mezzo di sei polenti riflettori
generosamente messi a nostra disposizione
dal Capotecnico della P.C.E. di Pinerolo
Cav. A. Sacchet.
— La sera del XVII sarà inoltre inaugurata la illuminazione interna del tempio
del Ciabas, per la quale son giunte e giungeranno gradite offerte.
— La sera del 17 e 18, ore 21, e il pomeriggio di domenica 25 febbraio, la nostra filodrammatica unionista rappresenterà
il dramma t Nicodemo „ di G. Pidoux.
— Per l’agape del XVII, è rigorosamente
richiesto di... prenotarsi in tempo.
La libertà religiosa
(segue dalla 1« pag.)
delle Alpi assume aspetti e prospettive diverse, si inserisce nella storia
d’Italia come espressione del Protestantesimo e del pensiero civile più
progredito, prende insonima un tono e
un respiro diverso. Potrebbe anzi, in
tal senso, piacere anche a parecchia
gente che non intende bene il senso
del XVII febbraio, e che lo celebra
passivamente, con rassegnazione, perchè lo capisce soltanto come un particolare episodio di una episodica storia, nella quale si vedono poco più
che elementi folkloristici, e di cui si
parla anche in termini di caricatura...
Eppure, io almeno sono convinto
che la storia valdese non è soltanto
storia di uomini, e che meriti di essere conosciuta e meditata, proprio
per cercarvi i segni della volontà del
Signore della storia.
A. Armand-Hugon
UNA OMISSIONE
Per una spiacevole omissione, suil’indirizzario a tergo di « Valli Nostre
1962 » manca Pindicazione relativa alla cemunità di Catania, e della sua
diaspora (Taormina, S. Maria di Licedia). Scusandocene con gli interessati e con i lettori, ricordiamo qui :
CATANIA - Chiesa Valdese, Via
Naumachia 20, tei. 2.15.211. Pastore Enrico Corsani, ivi.
Direttore resp. : Gino Conte
Coppiirl .^orre Peli. - Tel. 947H
Sede e Amministrazione
Editrice Claudiana
Torre Pellice - c.c.p. 2/17557
Reg. al Tribunale di Pinerolo
________n. 175, 8-7-1960 ___
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Giovanni Paoio Fornerone
commossi per la grande manifestazione di simpatia ricevuta in occasione deli’improvvisa morte del loro Caro, ringraziano t’-itte le persone che
con parole e scritti presero parte al
loro dolore. Un grazie particolare al
Past. Genre, ai vicini di casa, ohe furono loro di conforto e di aiuto.
« Beati quei servitori che il
padrone, arrivando, troverà vigilanti ». (S. Luca 12; 37)
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