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ECO
DELLE mu VALDESI
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Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno HO - Num. 38
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TORRE PELLICE - 28 Settembre 1973
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VERSO LA TERZA ASSEMBLEA DELLA FEDERAZIONE DELLE CHIESE
EVANGELICHE IN ITALIA, BOLOGNA, 1-4 NOVEMBRE
Viaggio a Flossenbiirg (Germania)
Evangelo e comunicazione di massa Per iiiiii GhiiiSB conlessantG
Proseguendo la pubblicazione di una parte del rapporto che il Consiglio della FCEI presenta alla prossima Assemblea della Federazione,
proponiamo questa settimana ai nostri lettori quanto viene detto a
proposito del Servizio Stampa Radio Televisione, dei rapporti con
altre denominazioni non federate e con la FGEI.
La predicazione evangelica (quando
se ne sia definito il contenuto e il quadro) pone tra i primi problemi pratici
qtkdlo dei mezzi di comunicazione. Lo
«aieopago» e la «scuola di Tiranno»
(di CUI parla il libro degli Atti degli
Apostoli) favorivano e in pari tempo
condizionavano in qualche misura al
tc npo dell apostolo Paolo l’incontro
cori gli uomini e le possibilità di predi razione. Il periodico, la radio e la
televisione, ma anche il libro e il cinema e in genere tutti i mezzi di conamicazione di massa sono occasioni
e strumenti che oggi si offrono per la
proclamazione dell'Evangelo. L’inizio
d.rlla trasmissione televisiva « Proteslantesimo » è, da questo punto di vista, un fatto importante e significativo, pur nelle limitazioni che hanno
circondato la presenza protestante alla televisione.
La funzione che la stampa ebbe al1 epoca della Riforma è oggi ricoperta
dall insieme dei mezzi di comunicazione di massa a noi accessibili. Allora
come oggi si tratta di strumenti che
non sostituiscono le comunità (parrocchiali o di diaspora) dove i credenti
vivono la loro fede e rendono la loro
testimonianza, ma di strumenti che
diffondono e ripropongono a una piu
vasta, e talora vastissima cerchia di
persone i contenuti di quella testimonianza stessa.
Si pongono a questo proposito tre
ordini di problemi cui accenniamo
brevemente e che andranno ripresi
nella discussione sull’operato del Servizio Stampa Radio Televisione. Si
: rat ta in primo luogo della migliore
utilizzazione dei singoli mezzi di comunicazione in base alle esigenze, alle
1 imitazioni e alle possibilità specifiche
di ciascuno di essi. In secondo luogo
occorre verificare se i messaggi diffusi sono utilizzabili ed effettivamente
ulilizzati dalle comunità per la loro
testimonianza o solo fruiti per proprio beneficio, ed eventualmente studi .'ire i rimedi a una situazione che
fosse carente sotto questi aspetti. Infine va esaminato il contenuto effettivamente recato dai messaggi stessi
per vedere se risponde, e come potrebbe meglio rispondere, alle esigenze
della predicazione del Regno di Dio.
Non c'è dubbio che i mezzi di comunicazione di massa possono rivelarsi
uno strumento benedetto per l’opera
del Signore, e vanno pertanto sostenuti con tutto il necessario impegno
di uomini e di mezzi. Il recente inizio
della rubrica « Protestantesimo » può
essere l’occasione per una migliore
presa di coscienza, da parte delle chiese, delle straordinarie possibilità, ma
anche delle serie responsabilità che i
moderni mezzi di comunicazione pongono davanti a noi.
RAPPORTI
CON LE DENOMINAZIONI
NON FEDERATE
L’inizio della trasmissione televisiva può essere anche l’occasione per riproporre la questione dei rapporti della Federazione con le denominazioni
non federate. Per quanto riguarda il
culto-radio e la televisione si tratta ovviamente di adoperarsi affinché per
quanto sta nelle effettive possibilità
della Federazione, le diverse trasmissioni presentino un messaggio che,
senza diventare la media aritmetica
di posizioni talora diverse, possa essere riconosciuto come fondamentalmente evangelico da parte di tutti o
del maggior numero possibile di gruppi evangelici italiani, federati o no.
Le relative decisioni rimangono di
cornpetenza degli organi della Federazione, dove peraltro vengono ascoltate le istanze provenienti da tutte le
comunità che sono membri o aderenti
alla Federazione stessa, e che portano la responsabilità effettiva e anche
il peso del lavoro realizzato in comune.
Va ricordato a questo proposito che
lo Statuto della Federazione prevede
per ogni chiesa od opera evangelica la
possibilità di aderire anche a uno solo dei Servizi; a questa disposizione
potrebbero richiamarsi quelle deno
rninazioni che non sentendosi di aderire in loto alla Federazione desiderassero collaborare alla specifica attività dei mezzi di comunicazione di
massa.
11 problema dei rapporti con le chiese non federate non può tuttavia esser
visto soltanto sotto il profilo della
partecipazione a un determinato Servizio, ma va visto come problema generale. La Federazione non può accontentarsi dello statu quo, non può
cioè accettare serenamente quella che
risulta essere di fatto una divisione
del protestantesimo italiano fra « federati » e « non-federati »; divisione
questa che non risponde a nessuna
realtà fondamentale perché sulle più
discusse questioni: quella del modo di
leggere la Bibbia (fondamentalismomodernismo), quella dell’ecumenisrao,
e quella del ranporto tra fede e politica, le divisioni non corrono lungo i
confini denominazionali, bensì all’interno di ciascuna chiesa o denominazione e, specialmente, perché tali divisioni non separano la vera dalla falsa
fede ma distinguono soltanto diversi
modi di comprendere la realtà, ossia
diversi àmbiti culturali.
Esistono dunque le basi per una
reciproca comprensione fondata sull’Evangelo e riteniamo che vadano in
futuro più largamente sfruttate per
accrescere i contatti reciproci e addivenire a tutte quelle forme di collaborazione mediante le quali ci si av
vicini di fatto sempre più all’unità di
tutto il protestantesimo italiano nella
comune vocazione di predicare l’Evangelo al nostro paese.
RAPPORTI CON I CATTOLICI
La predicazione i vangelica in Italia
si svolge, ovviamente, in un ambiente
nel quale non si può fare astrazione
dalla presenza del cattolicesimo e dei
movimenti ed articolazioni che esso
presenta. Sono emersi in questi ultimi anni tipi divc-isi di rapporti tra
protestanti e catt' lici.
Permane da ui lato un rapporto
fondamentalmente polemico, anche se
non sempre così ; . astico e sicuro di
se come in passai e Accanto ad esso
si colloca un rapp rto che molti amano definire « ecum riico » ma che, più
esattamente, è ut; rapporto fatto di
incontri e di stut > biblico in comune, realizzato non iù soltanto tra pastori e preti, con è stato per qualche tempo, ma a ivello parrocchiale
o di gruppi. I ra, porti tra dirigenze
ecclesiastiche som invece scarsi e poco promettenti no solo per la disparità delle forze n i specialmente perché in campo pr. ¡.istante non esiste
— e con ragione! nulla che assomigli alla gerarchia ùtolica e che possa costituire per i sa un interlocutore
del suo stesso tip V’è infine un rapporto di compre). >one, di scambio e
di collaborazione ' ra quei gruppi che,
tanto da parte cattolica quanto da
parte protestante, si collocano in posizione critica ri: netto all’istituzione
ecclesiastica.
Non si può quindi parlare in termini generici di un i i-lfìporto con, il cattolicesimo, ma occorre valutare la rilevanza e il significato dei diversi tipi
di rapporto nella loro loro specificità.
La polemica contro gl errori romani
(coni riua a pag. 6)
A Bayreuth — la cittadina della Baviera del Nord nota per l’annuale festival di musiche e opere di Richard
Wagner — ha avuto luogo dal 21 al 24
settembre l'assemblea annuale della
« Lega Evangelica » (Evangelischer
Bund), organismo della Chiesa evangelica di Germania, fondato nel 1886,
che si propone di trattare — muovendo dalle posizioni fondamentali della
fede evangelica — la questione dei
rapporti tra protestantesimo e cattolicesimo nel quadro del problema più
ampio e decisivo, che è quello di una
testimonianza cristiana significativa
nel tempo presente. Il tema dell’assemblea era: « A che scopo le confessioni? », cioè: Hanno ancora un senso? Quale?
Ci sono stati, naturalmente, vari incontri, dibattiti, studi, persino una
pubblica controversia tra un cattolico,
un protestante e un umanista laico
(non credente in Dio ma fortemente
impegnato nella battaglia per i diritti
civili); c’è anche stata una serata,
quella conclusiva, dedicata al tema:
« I cristiani — una minoranza nella
società pluralista », con contributi dalla Polonia, dall’Olanda e dall’Italia —
tre situazioni molto differenziate tra
loro, e ciascuna, per un verso, particolarmente significativa. Di tutto questo parlerò in un prossimo articolo.
Quello che ora desidero menzionare
è la visita che abbiamo fatto al campo di concentramento di Flossenbùrg,
dove il 9 aprile 1945 mori, insieme all’ammiraglio Canaris e ad altri uomini della resistenza accusati di aver
partecipato al complotto contro Hitler del 20 luglio 1944, il pastore e teologo Dietrich Bonoeffer.
Questa visita, vorrei dire questo pellegrinaggio, ha segnato senza dubbio
il momento spirituale più vivo dell'intera assemblea ed ha fornito, in fondo, la risposta più pertinente, benché
silenziosa, al tema dell’incontro: « A
A BOLOGNA, dal 21 al 23 SETTEMBRE SI Í ’ SVOLTO L’ATTESO CONVEGNO
“Cristiani ner
soGiaiismo”
Sin daH’inizio il salone dell’autostazione Montagnola si è rivelato inadatto
per accogliere le oltre 1500 persone venute da ogni parte d’Italia e dai più
differenti gruppi cristiani impegnati in
una prospettiva socialista. Il comitato
organizzatore aveva previsto l’adesione
di 500 persone ed il fatto che la partecipazione sia stata triplicata è indice
di un grosso successo, almeno sotto
questo punto di vista. I limiti organizzativi imposti da questa inattesa massiccia .presenza si sono fatti sentire durante i lavori, anche nelle tre commissioni, fin verso la fine, quando il convegno si è spostato nel palazzetto dello
sport che ha permesso finalmente un
po’ di respiro.
Un convegno di questo genere è il
primo in Italia. Se i partecipanti possono essere fiduciosi in vista dei futuri
sviluppi di questa ricerca e di questa
lotta, tuttavia ha pesato fortemente e
tristemente sulla coscienza di ognuno
il bagno di sangue causato dal colpo di
stato fascista in Cile ove i cristiani di
questo paese tennero nel 1972 un simile
convegno. La solidarietà con i fratelli
cileni è stato un motivo costante nei lavori, resa tanto più viva dalla partecipazione di un delegato cileno che ha
denunciato il massacro del suo popolo
ancora in atto (50.000 persone secondo
le sue informazioni). Per questo il convegno ha approvato un documento di
sdegnata condanna contro il riconoscimento vaticano della giunta fascista cilena.
Già l’intervento introduttivo di Roberto De Vita aveva messo il dito su
alcuni temi che poi sono continuamente riaffiorati negli interventi successivi:
il rifiuto dell’interclassismo, la decisa
condanna della politica DC e del "Vaticano, la lotta contro l’istituzione ecclesiastica, il non volere una nuova
chiesa ma una chiesa nuova, la necessità di un’analisi scientifica della realtà
storica vista neH’analisi marxista, il socialismo come unica alternativa per
una chiesa più vicina alla rivelazione
dell’Evangelo.
Ma la relazione di fondo che ha dato
l’avvio agli interventi ( che spesso hanno ripetuto le stesse cose talvolta anche con un po’ di nausea), provocato
consensi e anche dissensi, è stata quel
la di Giulio Girardi. P.r chi già ha letto scritti di Girardi, va detto che la sua
relazione era un adattamento fedele,
del suo pensiero su questo tema, estremamente chiara anche se molto generale, si da poter essere comprensibile a
tutti. E una constatazione, ha detto,
che i gruppi cristiani impegnati in senso socialista sono oggi presenti là ove è
presente il cristianesimo, anche se questa scelta socialista non può in nessun
modo essere confusa con una determinata forza politica. Questo fatto non
può non produrre una « svolta » sia
in Italia che nel mondo intero.
Una presenza reale
La nresenza il tutto il mondo di
gruppi cristiani impegnati in una prospettiva socialista è oggi un dato di
fatto di cui si deve prendere atto: e
sono i cristiani a doverlo fare, innanzitutto. Girardi ha cercato di dare una
risposta agli interrogativi che ha posto: se non si tratta di proporre un
nuovo partito né una nuova chiesa, di
che cosa si tratta allora? Se si parla di
socialismo, quale socialismo si intende?
Si tratta evidentemente di una scelta contraddittoria che comporta delle
alternative ben precise. Il carattere
contraddittorio di questa scelta sta innanzitutto nel fatto che la scelta dei
cristiani per il socialismo è una scelta
contro il cristianesimo storico. L’era
costantiniana ha prodotto il primo
concordato della storia spezzando la
storia del cristianesimo in un periodo
pre e post costantiniano. Da un cristianesimo minacciato e perseguitato
si è passati alla chiesa di stato. La croce stessa invece che un segno di contraddizione è divenuta un segno di integrazione. Chiesa di stato significa una
precisa scelta di classe, quella della
classe che detiene il potere. Questo ha
comportato inevitabilmente una reinterpretazione del messaggio cristiano:
l’ortodossia è prevalsa sulla verità, la
carica sul ministero, ecc. La dimensione politica della chiesa di stato si è
mascherata di un linguaggio religioso
che oggi ancora si presenta con tutto
il suo inganno ai cristiani. La presenza
di gruppi cristiani per il socialismo
non è mai mancata nella storia, ma è
sempre stata spietatamente combattuta dalle forze controrivoluzionarie clericali le quali, un domani, potranno anche essere ool socialismo ,avide come
sono del potere. E questo deve essere
un avvertimento.
Diversi socialismi
È chiaro che i gruppi presenti al
convegno rappresentano diversi socialismi; è però anche chiaro che non hanno cittadinanza quelle interpretazioni
del -socialismo che non si pongono come alternativa alla società capitalista,
che cercano una via interclassista.
Nel documento finale si dice:
« Le divergenze tattiche e strategiche
che ancora qui ed oggi ci distinguono,
pur nella comune volontà di essere partecipi del progetto rivoluzionario, riflettono quindi quelle esistenti nella classe operaia italiana ed internazionale ed
è nelle sue sedi storiche ed emergenti
che vanno affrontate e risolte. Non c’è,
tra noi, la volontà di metterle tra parentesi, magari per sostituire un vago
unitarismo di sinistra al tradizionale
interclassismo cattolico, anche se questa nostra ci sembra una sede dalla
quale, in quanto compagni militanti,
possiamo esprimere la nostra volontà
di contribuire al processo di ricomposizione del proletariato ».
La scelta di fondo è una scelta che si
pone sul piano antropologico, politico
e teologico. E a questo punto Girardi
ha capovolto lo schema tradizionale
proponendo l’autonomia e il primato
del materiale sullo spirituale. Non più
la verità religiosa giudice della realtà
umana, quella stessa che permette alla
gerarchia di scomunicare, condannare, ma al contrario la verità religiosa
deve essere giudicata dalla realtà umana. Ciò che si propone è una nuova ermeneutica che tende a rivalutare biblicamente Tumanità dell’uomo in una
prospettiva cristologica, strappando
alla verità religiosa (in contrasto con
la verità delTEvangelo) il potere che
non le spetta. Mentre è risultato chiaro lo sforzo teologico teso a restituire
al mondo il suo carattere di laicità
(continua a pag. 4)
che scopo le confessioni? ». La risposta è questa: le confessioni servono a
confessare Cristo tra gli uomini; se
non servono a questo, non servono a
nulla. Bonhoeffer è stato fino alla fine
testimone di Cristo « tra i suoi fratelli » — come sta scritto nella lapide
che lo ricorda nella chiesa evangelica
di Flossenbiirg — fratelli in fede naturalmente ma anche fratelli di prigionia, fratelli uomini.
È conosciuta, ma conviene ricordarla, la testimonianza resa dal medico
del campo di concentramento sugli ultimi momenti di Bonhoeffer: «La mattina di quel giorno, tra le cinque e le
sei, i prigionieri furono fatti uscire
dalla cella e fu letto l’atto di accusa.
Dalla porta socchiusa di una cella della baracca, poco prima della consegna
della casacca da prigioniero, vidi il
pastore Bonhoeffer inginocchiato, immerso in un’intensa preghiera col suo
Dio. Il modo di pregare di quell’uomo
cosi simpatico, pieno di abbandono e
di fiducia, mi fece profonda impressione. Ai piedi della forca si fermò ancora un breve istante in preghiera, inf
di salì silenzioso e risoluto la scala.
La morte segui dopo pochi secondi.
Mai nella mia carriera medica, vidi
un uorno morire cosi sottomesso alla
volontà divina ». Di quest’uomo disse
dopo la guerra un compagno di prigionia, l’inglese Payne Best: « Bonhoeffer è stato uno dei pochissimi uomini che io abbia incontrato per i
quali Dio era reale e sempre vicino ».
Del campo di Flossenbùrg oggi resta poco. Come è noto i nazisti hanno
cercato di cancellare, prima della fine,
le tracce della loro barbarie. Si vedono ancora alcune celle, i resti del forno crematorio, il piazzale delle esecuzioni, una documentazione fotografica
( tra l’altro la riproduzione di una lettera della direzione del campo che assicura l’avvenuto « trattamento speciale » effettuato su un gruppo di italiani i cui nomi sono poi elencati: molti .italiani sono morti a Flossenbùrg).
Il nome di Bonhoeffer compare, insieme a quello degli altri giustiziati insieme a lui all’alba del 9 aprile 1945,
su una lapide collocata accanto alla
baracca principale del campo. E una
lapide molto sobria e molto eloquente. In. alto, una citazione biblica: 2 Timoteo 1: 7. Se cercate nella Bibbia
troverete queste parole: « Iddio ci ha
dato uno spirito non di timidità, ma
di forza e d’amore e di correzione ».
Segue una breve epigrafe che purtroppo, sul momento, non ho pensato di
trascrivere integralmente. Ricordo solo le parole iniziali e quelle finali: «Contro il terrore... e per i diritti dell’uomo ». E un’epigrafe laica, senza parole
religiose. Seguono i nomi delle vittime, in ordine alfabetico. Accando al
nome di Bonhoeffer c’è scritto « pastore ».
« Contro il terrore e per i diritti
dell’uomo »; troppo poco per un pastore? Bonhoeffer non è forse vissuto,
non ha forse lottato e testimoniato in
primo luogo « per i diritti di Dio », se
cosi si può dire, cioè per far valere
la realtà di Dio nel cuore della realtà
umana? Si, proprio per questo è vissuto ed è morto Bonhoeffer. Ma appunto, il valore e il significato profondo della testimonianza del pastore
Bonhoeffer stanno in questo, che la
sua determinazione ad annunciare e
far valere i « diritti di Dio » nel cuore
della realtà umana lo ha portato a
cadere per i diritti dell’uomo, vittima
di gente che calpestava indifferentemente e implacabilmente sia i diritti
di Dio che quelli dell’uomo.
Paolo Ricca
Con un servizio sul Sinodo Valdese
Riprendono
le trasmissioni della
rubrica televisiva
<c Protestantesimo »
Dopo la pausa estiva, riprendono
le trasmissioni della rubrica televisiva
« Protestantesimo ». Ricordiamo che
esse sono diffuse sul secondo canale,
il giovedì alle ore 18,30. La prima trasmissione di questa ripresa autunnale
avverrà
GIOVEDÌ' 4 OTTOBRE
e avrà come tema la recente sessione
europea del Sinodo Valdese. Ai curatori della rubrica l'augurio cordiale di
un buon anno dì lavoro.
2
pag. 2
N. 38 — 28 settembre 1973
e nonvìolenza: spunti di riflessione e di azione
Violenza, nonviolenza: realtà da definire, da precisare. Da un lato si va chiarendo che non c’è solo la violenza eversiva, rivoluzionaria, ma anche quella istituzionale, e che anzi spesso questa precede e determina
quella; d’altro lato, anche la nonviolenza va precisandosi e, pur lentamente, diffondendosi come militanza
attiva. Anche le Chiese sono coinvolte in questa complessa discussione e, in certi casi, in una azione cosciente che si vuole coerente con il chiarirsi della riflessione.
Come contributo a questo processo di ripensamento, anche nelle nostre chiese, pubblichiamo oggi tre testi : il
primo è costituito da larghi stralci del rapporto su « Violenza e nonviolenza » presentato alla recente sessione
ginevrina del Comitato centrale del Consiglio ecumenico delle Chiese; il Gomitata del CEC che da due anni
ha lavorato su questo tema, ha riferito tramite uno dei
suoi membri, un pastore nero statunitense, James LawSON: una sfida appasionante a valersi delle possibilità
ancora quasi inesplorate di una nonviolenza lucida e
attiva. Il secondo scritto è un articolo del prof. Jacques
Ellul, che abbiamo letto su uno degli ultimi numeri
del settimanale protestante francese « Réforme » : il
giurista e sociologo riformato vi dimostra una volta ancora il suo realismo e, controluce, il suo fondamento
teologico. Infine il pastore Luigi Santini riferisce, con
acutezza di notazioni, su di un seminario sulla nonviolenza tenutosi recentemente a Firenze.
LA SPADA CHE GUARISCE
Posto a confronto con un mondo ossessionato dalia violenza e dalla crudeltà e attento alla tristezza deH’umanità
in cerca di giustizia e di liberazione, il
Comitato centrale del CEC, nella sua
sessione del 1971 ad Addis Abeba, aveva
chiesto al Comitato di lavoro di "Chiesa e Società” di svolgere uno studio
biennale sul tema: « La violenza, la
non-violenza e la lotta per la giustizia
sociale ». Il compito di tale programma era duplice: 1) far progredire il
pensiero ecumenico sui problemi morali sollevati dalla violenza e dalla nonviolenza e 2) scoprire modi di trasformazione sociale capaci di attenuare gli
effetti deplorevoli della violenza e dei
conflitti.
LE TAPPE DI UNA
RIFLESSIONE APPROFONDITA
Il lavoro di "Chiesa e Società” cominciò con un colloquio organizzato a Nemi, presso Roma nel giugno 1971. Vi
abbiamo tracciato la storia della lotta
ecumenica in favore della giustizia e
inventariato i vari modi in cui l’idea di
violenza era stata compresa in passato.
Nella lotta per la giustizia l’ecumenismo si è sempre identificato con gli oppressi. Da quest’ottica siamo partiti
per avviare una nuova serie di colloqui
con le Chiese storiche della pace, i centri di ricerca sulla pace, membri di movimenti di liberazione di diverse parti
del mondo, militanti dell’azione nonviolenta, specialisti di etica e teologi.
Nel 1972, a Cardiff, abbiamo riunito
cinquanta partecipanti dei cinque continenti, rappresentanti queste diverse
categorie. Il nostro intento non era di
giungere a un’intesa completa nelle definizioni e valutazioni, ma piuttosto di
delimitare il campo del nostro studio e
chiarire i concetti di « violenza » e
« nonviolenza ». Speriamo così di alleggerire le tensioni alle quali molte persone sono sottoposte nel momento in
cui s’impegnano al servizio della giustizia oggi. Il raporto di Cardiff è stato
diffuso a scala mondiale per incoraggiare i dibattiti {n.d.r.: ne abbiamo a
suo tempo riferito ai nostri lettori).
Cardiff pone chiaramente l’accento
sul fatto che la violenza, nel nostro
mondo attuale, è in primo luogo strutturale e proviene dai poteri costituiti.
Fra queste forme di violenza citiamo il
razismo, il militarismo, la fame, lo
sfruttamento umano, la disuguaglianza
economica, le azioni poliziesche, la malattia e la povertà; la violenza rivoluzionaria non rappresenta, di fatto, che
una percentuale minima e non è che
la risposta alla violenza sistematizzata:
è questa un’idea di cui le Chiese e noi
stessi dobbiamo prendere coscienza.
Troppo numerosi sono i membri di
chiesa, sopratutto in Europa e negli
Stati Uniti, che danno il loro appoggio
a uno stato di cose che è una violazione
flagrante dei diritti della famiglia umana.
Anche la Bibbia attribuisce la violenza ai poteri costituiti, ai ricchi e ai potenti (Salmo 73: 3-6), mentre i poveri
non sono mai accusati. La violenza si
oppone alla giustizia (Isaia 58-59).
Nel maggio 1973 un gruppo di teologi ha studiato un tema sviluppatosi dalle nostre discussioni precedenti: « Gesù e il potere ». Dal loro colloquio risulta chiaramente che Gesù è dalla parte
degli oppressi; non è zelota ma non è
neppure « salvatore d’anime ». È dalla
sua crocifissione che gli viene il suo
potere liberatore.
Nel luglio scorso, "Chiesa e Società”
ha tentato di riassumere le sue conclusioni e le sue raccomandazioni; risulta
che abbiamo il sentimento di essere veramente all’inizio di un processo ecumenico che ci permetterà di approfondire le nostre concezioni morali e di
rafforzare l’impegno delle Chiese nella
lotta per la giustizia.
Il nostro rapporto non pretende unanimità di consensi, e sono molti coloro
che si troveranno in disaccordo violento sull’uno o l’altro dei punti esposti. Il nostro intento deliberato è stato di descrivere le tensioni e i problemi a cui molti cristiani sono confrontati ouando vogliono lottare contro un
mondo ingiusto e peccatore. La ricerca
della giustizia implica problemi e rapporti di forza assai complessi, di cui
un’analisi semplicistica non può render
conto, e non è raro che coloro che hanno oosizioni opposte, conoscano le medesime angoscie e le medesime frustrazioni.
SCELTE TRASCURATE
Lr Chiese possono scoprire nuove
possibilità di azione nonviolenta, ma
sappiamo che la nonviolenza (che molti fra noi, negli Stati Uniti, membri del
movimento M.L. King,chiamano anche
« soul force », energia spirituale) deve
anch’essa essere demitizzata. Alcune
chiese infatti parlano di nonviolenza in
termini che non hanno più molto a che
fare: con ciò che Kaunda, King, Gandhi,
Dolci o Camara possono o poterono
intendere con questa parola.
Ma ciò che le Chiese dicono deve di
fatto corrispondere a ciò che fanno.
Non possiamo più continuare a dare il
nostro appoggio a uno statu quo del
tutto ingiusto, per non dire diabolico.
Dobbiamo formare una nuova comunità di giustizia e d’amore. Dobbiamo essere i soldati di Dio, l’armata de « la
spada che guarisce », per riprendere le
parole con cui Martin Luther King ha
descritto la .« soul force ».
Tuttavia mi si è spesso ribattuto:
« Abbiamo tentato la nonviolenza, ma
senza successo ». Mi si è pure domandato: « Come potete dire che la nonviolenza è una possibilità trascurata o
ignorata? Oggi, in America latina e in
Africa, movimenti di liberazione un
tempo nonviolenti ingaggiano la lotta
violenta. Che intendete per ’’scelta trascurata”? ».
A prima vista questa tesi, come la
espone il nostro rapporto, può sembrare infondata. Sappiamo tutti benissimo che la nonviolenza è stata tentata. Nel corso degli ultimi anni due uomini di chiesa notevoli, Albert Luthuli
e M. L. King, hanno ricevuto il Premio
Nobel per la pace per la loro attività
di capi di lotte nonviolente; sappiamo
pure che sia il FRELIMO (Fronte di liberazione del Mobambico) sia il Congresso nazionale africano (partito nero
sudafricano) sono stati al principio
esclusivamente nonviolenti e si sono
volti alla violenza rivoluzionaria solo
in seguito alle repressioni di cui sono
stati vittime. Oggi ancora il vescovo
Abel Muzorewa, dello Zimbabwe (Rhodesia), sostiene con le parole e con gli
atti il principio della lotta nonviolenta
contro il colonialismo razzista.
Insisto tuttavia che la « soul force »
è per le Chiese una soluzione trascurata. Quante Chiese propongono ai loro
rnembri una formazione ai metodi nonviolenti come scelte valide di fronte
alla violenza?
Quali facoltà di teologia cercano di
formare i loro studenti per farne .agenti nonviolenti di trasformazione sociale?
Le Chiese sostengono e finanziano
centri di formazione alla « soul force »?
L’educazione cristiana insiste sulla
necessità, per i cristiani, di mettere la
loro influenza sociale a servizio della
giustizia?
Se il CEC ricevesse l’appello al soccorso da parte di un popolo oppresso
che chiedesse l’aiuto di esperti in nonviolenza, potremmo rispondere?
Da 25 anni ho cercato di studiare e
conoscere molti avvenimenti sociali
violenti nel mondo. Rari sono i movimenti nonviolenti che si sono già serviti. dell’« artiglieria pesante » della
nonviolenza, perché questa, proprio come la lotta violenta, esige truppe disciplinate e allenate, professionali o semi-professionali.
Sono spesso gli stessi cristiani, che
sanno benissimo che la violenza ha bisogno di uomini allenati e di strategie
messe accuratamente a punto, i quali
continuano a immaginarsi che la nonviolenza può essere un fatto d’amatore,
spontanea e utilizzata alFavventura.
Questa è la causa principale delle frusitrazioni generate dalla nonviolenza e
il motivo per cui posso qualificarla come scelta trascurata.
J. Lawson ha poi parlato del
FRELIMO e sostenuto che questo
movimento si sforza di controllare
la violenza. Ha fatto notare che lottando contro il Portogallo esso lottava pure contro le Chiese che contribuiscono a conservare un sistema
di sfruttan-iento occidentale e una
violenza di cui il popolo del Mozambico è vittima.
Nei nostri paesi dobbiamo smantellare le alleanze fra le forze armate e
l’industria ed esercitare un controllo
sulle società multinazionali. Se non lo
facciamo, corriamo il serio rischio di
trovarci, fra alcuni anni, di fronte a un
Vietnam africano. Non escludo neppure la possibilità di vedere un giorno
— Dio non lo voglia! — unità di mercenari neri africani in lotta contro il
FRELIMO.
IL C.E.C. DEVE FARE DI PIU’
Penso che avete fatto fare al dialogo
ecumenico un grande passo avanti; ma
è solo il primo passo. Siete pronti a
continuare sulla stessa via, coinvolgendovi concretamente le Chiese nella lotta per la giustizia?
Abbiamo fatto alcune raccomandazioni che presentano alcune possibilità
di stimolare la riflessione e la missione
ecumenica e di incoraggiare le Chiese
al l’azione nonviolenta per la giustizia e
la pace. Ne sottolineo qui tre:
1) Il CEC dovrebbe assicurare la
collaborazione di una persona competente per la formazione e l’educazione
ai metodi della « soul force » e per la
Iqro diffusione. Molte sono le situazioni d’ingiustizia nel mondo, nelle quali
essi potrebbero essere efficaci.
2) Dopo Cardiff e il nostro rapporto, molti problemi restano insoluti.
Si può parlare di « rivoluzione giusta »? Mentre gli obiettori di coscienza
alle guerre d’Africa e d’Asia sono così numerosi, quali ragioni possono
avanzare i cristiani, oggi, per opporsi
a una guerra? In molti paesi i cristiani
detengono posizioni ufficiali importanti. Come possono servirsi delle leggi
per determinare trasformazioni sociali? Quale ruolo avranno le leggi nella
lotta per la giustizia e la pace?
3) Riteniamo pure che il CEC potrebbe sviluppare, nel quadro della sua
missione, ministeri d’intervento in casi di crisi. Di fatto le Chiese non mancano di esperienza in questo campo,
anche se i loro interventi sono stati
abbastanza dispersi e spesso poco noti. Potremmo mostrare agli uomini le
varie vie che sono aperte loro, se disponessimo di un ministero che fosse
meglio in grado di intervenire in situazioni di conflitto, un ministero che ricercasse attivamente la giustizia e la
riconciliazione.
Diciamo infine che il nostro studio è
diventato ai nostri occhi l’appello che
Dio ha lanciato per incoraggiare noi e
le Chiese ad assumere maggiori rischi
e a partecipare alla lotta per un mondo nel quale ogni uomo potrà rimaner
seduto sotto il suo fico, nel quale nessuno avrà più paura. Le Chiese non
hanno il diritto di non impegnarsi, perché non impegnandosi votano per il
male già esistente contro Dio e contro
gli uomini.
UN GESTO DI GESÙ’
Gesù ha denunciato i ’’praticanti”
che osservano tutti i doveri ordinari
della religione come il pagamento
della decima e il culto — trascurando
« ciò che è importante nella Legge, la
giustizia, la misericordia e la fedeltà ».
Ricordate che Gesù diceva pure: « Questo è il mio corpo». Che voleva dire,
in relazione all’evangelizzazione e alla
missione? Un giorno ce l’ha mostrato
in modo straordinario. Si trovava a
Gerusalemme, dove si occupava delle
questioni del Regno. Entrò nel tempio
Forse l’aspetto deciso del suo volto
avvertì qualcuno dei suoi amici che
stava per accadere qualcosa d’importante. Forse alcuni pensarono: «Ecco
giunto il mornento in cui annuncerà le
sue intenzioni ». Non possiamo saperlo, perché i racconti evangelici sono
troppo imprecisi, come se gli autori
fossero imbarazzati dal suo comportamento o temessero, dando troppa attenzione ai dettagli, di distoglierla dai
loro obiettivi. Giovanni dice che Gesù
vide ciò che accadeva nel tempio: non
gli affari di Dio, ma quelli dei mercanti
di bestiame e di colombi, degli agenti
di cambio e di altri mercanti. Si fece
una frusta con delle corde. Forse rovesciò con un calcio le gabbie degli animali. Li cacciò dal tempio, pecore, buoi
e tutto il resto. Rovesciò le tavole di
cambio. E parlò così: « La mia casa
sarà chiamata casa di preghiera da
':iiie le nazioni. Ma voi ne avete fatto
una spelonca di ladroni! ». « E disse ai
venditori di colombi: ’’Togliete tutto
questo, non fate della casa di mio Padre una casa di traffici” ».
Mi rendo conto che toccò un terreno
sensibile e pericoloso, perché l’interpretazione può essere soltanto imposta alla Scrittura. In Marco non si par
la della frusta di corde né di altra arnia di qualsiasi genere (12: 15-19), non
di potenza fisica, ma di potenza d’anima. In Matteo pare che la sua presenza e la sua parola siano la potenza di
Dio che affronta la violenza e l’ingiustizia delle strutture. Nella versione di
Giovanni distinguiamo facilmente la
violenza, se vogliamo, ma aprire una
gabbia con un calcio non è un atto di
violenza. Cacciare una mucca dal tempio non è un atto di violenza.
Si fa violenza alla vita e all’essere di
una persona. Si fa violenza al suo diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca
della gioia.
Inoltre, perché in un luogo così importante Gesù contradirebbe le sue
stesse parole: « Rimetti la tua spada
al suo posto; poiché tutti coloro che
prendono la spada periscono di spada ». Volete forse dire che accettiamo
un salvatore la cui azione non è conforme con la parola e la cui parola non
è azione? No, mai! E assai più verosimile che Gesù viva e agisca grazie
alla potenza della sua anima.
Noi che facciamo parte del CEC siamo chiamati alla stessa forma d’azioneMartin Luther King ha detto: « Stia Chiesa non partecipa attivamente
alla lotta per la pace e per la giustizia
oconornica e razziale, tradirà la fiducia
di milioni di uomini e inciterà ciascuno di loro a dire che la sua volontà
si è atrofizzata. Ma se essa sa liberarsi
dalle catene di uno statu quo soffocante e, ritrovando la sua grande missione
storica, parla e agisce senza paura e
con fermezza nella prospettiva della
giustizia e della pace, infiammerà l’immaginazione dell’umanità e accenderà
le anime degli uomini, impregnandoli
di un amore luminoso e ardente per la
verità, la giustizia e la pace.
James Lawson
pastore a Memphis, US^'
Spesso spiegabile,
talvolta necessaria, mai giusta
La violenza, essendo un fenomeno
sociologico, implica caratteri specifici
che si posson evidenziare, analizzare e
dirnostrare sul piano storico e sociologico, senza fare appello alla morale ^
Il primo di questi caratteri è che
la violenza si riproduce da sé indefinitamente, creata da situazioni di violenza e da null’altro. Una guerra produce forzatamente una situazione di
violenza contro il vinto, e tende a produrre in seguito un’altra guerra a compensazione della prima. Mai nessuna
guerra è giunta a una situazione soddisfacente per tutti. Lo stesso vale per
la rivoluzione: ogni rivoluzione ha
sempre prodotto o una dittatura o una
controrivoluzione. Usare la violenza
vuol dire sapere che si è inseriti in un
processo infinito e che si crea una situazione che non è altro che violenza.
Ora, questo non è chiaro per tutti, ad
esempio per coloro che, essendo dalla parte della violenza trionfante, pensano che sia stata stabilita la giustizia. Ad esempio: gli alleati nel 1914, o
ancora i partigiani del FLN dopo la
liberazione d’Algeria: semplicemente,
non vogliono vedere che l’Algeria, liberata dei Francesi, è sottoposta a
una dittatura di una violenza altrettanto estrema quanto le dittature di
destra del Brasile e della Grecia.
Il secondo carattere sociologico è
che la violenza è sempre intrinsecamente uguale a se stessa. Non ci sono
due violenze, diverse a seconda delle
situazioni e degli obiettivi. La violenza che libera crea nuove situazioni di
violenza, punto e basta. Non sono più
gli stessi che esercitano la violenza, e
questi possono d’ora in poi avere la
nostra simpatia, ma non basta!
IL FINE E I MEZZI
Ritroviamo il vecchio problema del
fine e dei mezzi, riguardo al quale bisogna ripetere senza stancarsi che
mezzi cattivi corrompono necessariamente, inevitabilmente i fini perseguiti. Né la giustizia, né la libertà, né
la verità, né l’uguaglianza saranno mai
e in alcun luogo stabilite con mezzi
violenti. Vi è dunque autoriproduzione della violenza, secondo il processo
di reciprocità e d’identità.
Ma bisogna anche ricordare la terza
^ Rinvio i lettori, per sviluppi più ampi su
questo tema, a due mie opere : Fausse présence. au monde moderne (Les Bergers et íe.s Mages) e Contre les violents (Edition du Centurion).
Jacque.s Ellul. nato a Bordeaux nel 1912,
laureato in diritto, incaricato di corsi a Montpellier e Strasburgo, la sua nomina è revocata nel 1940 dal governo di Vischy; partecipa
alla Resistenza, nel 1944 è vicesindaco di
Bordeaux, nella Francia libera; dopo un periodo di militanza di sinistra, nel 1947 lascia
la vita politica. Insegna alla Facoltà di diritto
e di scienze economiche di Bordeaux e al1 Istituto di studi politici. ’’Laico impegnato*’
nella sua Chiesa, è stato ripetutamente membro del Sinodo nazionale e del Consiglio sinodale della Chiesa riformata di Francia; dirige
attualmente la rivista « Foi et Vie » e ha
al suo attivo una nutrita serie di pubblica
legge sociologica della violenza, quella della continuità: non si può mai
fermare la violenza a un dato momenlo o a un dato livello. In tutta evidenza essa è tanto più semplice ed efficace di qualsiasi altro mezzo, semplifica talmente tutte le relazioni con
gli altri, che s’impone da sé nella sua
continuità. In nessun momento colui
che ha cominciato a usare la violenza
può dire: «Adesso basta». Quando si
si c cominciato a negare sostanzialmente VAltro, non si può mai più impegnare con lui il dialogo ragionevole
della pace.
Se si vuol difendere l’uso della violenza, si deve ammettere che la storia
non è altro che un concatenamento di
violenze e di controviolenze, che la politica dev’essere condotta con qualsiasi mezzo, e che i mezzi violenti sono
in fondo i più redditizi. Sarebbe urgente che i cristiani favorevoli alla
violenza, anziché eludere la questione,
facessero finalmente una dichiarazione
di principio in proposito. Ma conosco
benis.s'mo l’argomento: « Ci sono casi
nei quali non si può fare altro che
usare la ’’’olenza ».
Ed eccoci di fronte al secondo pun
to essenziale da ricordare: la violenza
può essere riconosciuta come una ne
ccssità, ma questo non mula il suo
carattere né può renderla legittima.
Vi sono casi, evidentemente, nei
quali non si può fare altro che usare
la violenza. Tutti i sistemi giuridici
hanno riconosciuto il caso di legittima
difesa, quando si è attaccati da un assassino. Attualmente si legittima la
violenza politica, quando i più deboli
e oppressi non hanno altro mezzo per
affermarsi: Neri statunitensi, Palestinesi, contadini sfruttati dell’America
latina... Nessuno li ascolta, nessuno li
sostiene: è dunque legittimo che utilizzino la violenza: attentati, rapimenti, colpi di mano, guerriglia etc. Ho
accostato volutamente i due casi: oggi, infatti, la legittima difesa non è
poi accettata così volentieri; sappiamo che l’assassino ha sempre avuto
eccellenti ragioni: infanzia traumatizzala, società matrigna, ingiustizia di
cui è stato vittima per primo... Allora,
si dice correntemente, questi atti sono
aggressioni politiche contro una società malvagia: il vero assassino è l’orrido borghese che ha l’audacia di difendersi dallo sventurato che cerca di
assassinarlo. E sappiamo bene che oggi nei processi criminali il personaggio degno d’interesse è l’assassino, non
la vittima.
GUERRA GIUSTA,
RIVOLUZIONE GIUSTA?
Ritroviamo il problema insolubile
sul quale hanno penato generazioni di
teologi cristiani, quello della « guerra
giusta ». Oggi è quello della « rivoluzione giusta »: questione uguale, ugualmente Insolubile. Insolubile perché ci
si estenua a voler provare che talvolta, in certe situazioni, l’uomo è giusto, è buono e ha ragione. Non entrerò qui nella discussione sullo stato di
peccato o la situazione d’innocenza
mantenuta ma sfigurata da peccati,
ma farò notare che, curiosamente, questa situazione nella quale l’uomo è autorizzalo a fare ciò che fa, è sempre
caratterizzata dalla necessità: se non
posso fare altrimenti, vuol dire che
quel che faccio è giusto.
Ecco il miscuglio assolutamente impensabile che bisogna denunciare. La
guerra è giusta se sono attaccato.
Guerra difensiva: non posso fare altrimenti che difendermi. La rivoluzione è giusta se, essendo oppresso da
{continua a pag. 3)
3
28 settembre 1973 — N. 38
LA CHIESA R LA SUA MISSIONE NEL MONDO
pag. 3
Credere e vivere insieme
una Chiesa missionaria
UNA NOTA SU
Come esprimere in poche parole
quanto sia stato bello di seguire i lavori del Consiglio annuale della CEVAA, svoltisi a Torre Pellice dalli 1 al
19 settembre u. s.?
A dire il vero non mi aspettavo di
avere questo privilegio in così larga
misura sia perché non avevo per questo ricevuto nessun mandato ufficiale
della Chiesa Valdese sia perché si è
trattato di una riunione del Consiglio
della Comunità che, per non essere
certamente segreta, era pur sempre riservata normalmente ai soli membri
responsabili. Tanto più riconoscente
sono stato per il modo con cui mi si
è permesso di riprendere contatto con
lutti i problemi vivi del lavoro missionario a largo raggio.
Proprio questa mi è parsa una delle caratteristiche più evidenti dello
sforzo missionario svolto dalla Comunità; la volontà di rompere decisamente con un passato missionario troppo
spesso legato a pochi interessati « ufficiali » per far sentire ad ogni comunità di ogni chiesa che « o è missionaria o non è affatto ». Certo, le Società missionarie di un tempo si preoccupavano largamente di informare le
chiese che sostenevano il loro lavoro,
ma erano in qualche modo continuamente condannate a farlo « dal di fuori ». Ora che ogni chiesa è chiamata
a prendere su di sé la responsabilità
che le è propria in campo locale e
mondiale si è fatto un passo avanti
verso una più larga presa di coscienza del fatto che ogni credente è missionario ed è come caduta una certa
riserva anche di fronte al problema
dell’informazione. Si può così parlare
assai più liberamente di ogni cosa, anche dei problemi, delle ansie, dei dubbi delle battute d’arresto, dell’avventura missionaria.
Ho potuto constatare continuamente, durante le sedute del Consiglio,
quanto le preoccupazioni e le speran
ze fossero veramente portate in comune da tutti e quanto siamo chiamati a portarle con tutti i membri della Comunità. Il continuo interscambio
tra situazioni culturali, economiche,
sociali, tra espressioni della fede comune in un certo senso così diverse si è
rivelato verameinte possibile. Le varie
chiese, non più « campi di lavoro » se
non per il Signore, diventano così varie facce, molto personali certo, di
una stessa Chiesa che ricerca una fedeltà nuova al Signore della messe.
Il francese forbito di un Jacques
Maury si mescola armoniosamente con
quello dall’accento speciale di africani
ed altri francofoni e con quello... intermedio di italiani e tedeschi. Le
preoccupazioni locali di un membro
della chiesa dello Zambia o del Dahomey assumono un’importanza ed una
portata diverse, viste con lo « sguardo della Cevaa », così come quelle delle chiese europee. I vari bilanci locali in « Kwacha », « Rand », « Franchi
CFA », franchi svizzeri o francesi, in
lire, trovano come un denominatore
comune nello sforzo reciproco non soltanto di trasformarli in un bilancio
CEVAA in franchi francesi ma di tradurli in un’opera che si sente e si vuole veramente comune. La riflessione
teologica sembra come sfuggire ai soli
specialisti per ridivenire quello che
deve essere, compito di tutti.
Le traduzioni simultanee dall’inglese e dal francese, realizzate con sistemi semplicissimi, si sono rivelate assai efficaci ed hanno permesso, ad
esempio, al pastore Musunsa — un anglofono — di presiedere una seduta
del Consiglio senza la minima difficoltà od impaccio e con perfetta « chairmanship » anglosassone. Il lavoro, spedito, compiuto in modo molto serio
ed approfondito anche grazie ad un
perfetto segretariato ed all’aiuto volenteroso di alcuni « locali » avrebbe
Giovanni Conte
Interrogando i partecipanti alla riunione del Consiglio della CEVAA
Fasi Franco Davite
MEMBRO DEL CONSIGLIO DELLA
CEVAA PER LA CHIESA VALDESE
^ Cos'è stato fatto dalla nostra chiesa da quando si è “legata” alla
CHVAA'
— La risposta potrebbe essere abbastanza sbrigativa: « abbastanza poco ». Ma SI può dire tuttavia qualcosa
cu più.
Fama di tutto nei confronti delle
altre cniese della CEVAA in Europa,
Arrica, Madagascar e Oceania. La OEVAA non e una società missionaria rivenuta e corretta, ma un'autentica comunità di cniese cfie si aiutano a vicenda per rendere testimonianza alrt-vangelo dovunque si trovano, Europa ed Italia comprese. Fer questo rapporto più importante dei Valdesi non
e il contributo alla cassa comune (poco piu di tre milioni su di di un bilancio di Oltre 6UU), ma la sua esperienza
di cniesa che si trova in posizione intermedia fra le grandi chiese europee
e quelle del Ili mondo; in realtà più
vicina alle seconde che alle prime. E
intatti quasi incredibile quanto i nostri proDlemi, pur essendo fondamentairneiue europei, sono simili a quelli delie chiese africane e del Maaagasccir.
All'interno, il problema numero 1 è
quello di renderci conto di cosa signincni essere memori di questa Comunità e non più benetattori di una
missione a titolo più o meno personale.
Fer questo si è cercato di informare
le comunità con i pochi mezzi a nostra disposizione come i giornali, la
radio, il volantino per la domenica
delle Missioni e, limitatamente al I Distretto e dintorni, visite di membri di
altre chiese della CEVAA. Nel 1973 abDiamo ricevuto il Segretario della Comunità, il malgascio Victor Rakotoarimanana.
Ci sembra che ci sia ancora molto di più da fare, per esempio?
— Certamente, non basta dare notizie sui giornali che non tutti leggono
e meno ancora stampare un volantino, che diverse chiese si sono anche
dimenticate di distribuire (o non hanno ricevuto in tempo a causa dei disguidi postali, n.d.r.). Durante le sedute di questi giorni è stato giustamente detto che è meglio avere dieci
incontri personali che scrivere 10 articoli su di un giornale. E vero anche
se per noi è difficile da realizzare a
causa della dispersione in cui vivono
molti gruppi e della difficoltà di traduzione dal momento che le altre chiese CEVAA sono francofone, salvo quelle dello Zambia e del Lesotho che sono anglofone.
Per questo, pur aumentando 1 informazione per mezzo della stampa ecc.,
occorre trovare degli « animatori » un
po’ dappertutto. E stato chiesto ai
distretti di nominare un responsabile
ciascuno, ma è stato possibile riunire
solo quelli del Nord, pur avendo fatto
molti tentativi, ed anche al Nord non
si può dire che si sia fatto un gran
lavoro in questo senso.
D’altra parte la Chiesa Valdese non
può chieUere ad uno dei suoi uomini
di mettere da parte due o tre mesi per
visitare tutte le chiese. Occorre assolutamente trovare il maggior numero
possibile di persone che prendano a
cuore la cosa nelle varie comunità.
L’appello è formale ed urgente, con
pregniera di mettersi direttamente in
contatto col responsabile della Chiesa
Valdese nella CEVAA: Franco Davite,
1UU6U Frali (TO).
Fast. Harry Henry
PRESIDENTE DELLA CHIESA
METODISTA DEL DAHOMEY-TOGO
lH Pastore Henry, la sua chiesa è
stata associala alla prima mani!esiazione concreta del lavoro missionario suscitato dalla CEVAA,
ci può dire in che senso questo
na avuto un’influenza benefica per
voi?
— Effettivamente, la Chiesa Metodista del Danomey è la prima cniesa delia comunità Evangelica di Azione
Aposioaca ad aver ospitato un'equipe
aen Azione Apostolica Comune. In tal
mono siamo stati sin dal principio
sireuamente legati alla riflessione missionaria aeiia comunità ed alla dimensione spirituale dell'opera di evangelizzazione svolta aallequipe dell’AAC.
ce airo suono, però, cne abbiamo ricevuto ben piu di quanto non abbiamo nato, intatti, se e vero che abbiamo accolto con gioia i membri del1 equipe ui evangelizzazione in parola
e cne aooiamo cercato di creare per
loro conaiziom tali da favorire il loro
lavoro, e altresì vero che le prospettive nuove aperte da questo lavoro ed
1 problemi ai ogni genere affrontati e
ua arirontare, specie di natura teologica e Dionea, hanno influito grandemeiue sulla riflessione di tutta la nostra chiesa, in modo speciale ci semDra di aver cominciato a riflettere
concretamente su ciò che la Chiesa
può rare quand’è missionaria.
Sappiamo che le popolazioni che
sono venute a contatto con l'Evangelo grazie alla presenza in
mezzo a loro dell’équipe dell’AAC
hanno risposto in modo assai rallegrante e che sono sorti dei gruppi consistenti di fedeli. In quale
rapporto si trovano o verranno a
trovarsi con la vostra chiesa?
— Effettivamente vi è qui un problema che non abbiamo ancora risolto ma che stiamo studiando attentamente. Infatti stiamo entrando nella
seconda fase dell’opera di evangelizzazione. Si tratta di rendersi conto da
un lato che le nuove comunità createsi non possono essere semplicemente
« aggregate » alla Chiesa Metodista e
dall’altro che le stesse nostre comunità metodiste devono essere condotte
ad esprimere chiaramente il rinnova
raento spirituale al quale sono state
chiamate grazie a questa nuova esperienza evangelislica. Si tratta dunque
di riuscire ad ai ticolare 1’esistenza di
tutti questi credenti in modo tale che
essi possano esprimere chiaramente
resistenza di una chiesa evangelica
rinnovata e pienamente unita nel Dahomey, una chiesa che sia veramente
di Cristo. Confidiamo di poter trovare
una soluzione pratica in questo senso.
Fast. Elias Awume
SEGRETARIO GENERALE DELLA
CHIESA EVANGELICA DEL TOGO
lH Ha seguito su; dall’inizio la vita
della CEVAA?
— Sì, ho fatto parte della CEVAA
sin dai principio, rio partecipato alla
Assemblea cne avevamo battezzato del
« funerale » della Società delle Missioni Evangeliche di Parigi e della « nascita » della CEVaA e del DEFAP (Dipartimento Missionario delle Chiese
protestanti francesi).
• Ha l’impressione che questo fatto l'abbia aiutato nel suo lavoro
specifico di responsabile della
Chiesa Evangelica del Togo?
— Ciò mi ha aiutato enormemente
nel mio lavoro. Infatti va detto che
tutti questi cambiamenti nella politica missionaria delia nostra e delle altre chiese hanno coinciso con la mia
entrata in funzione quale Segretario
Generale della mia chiesa.
Ho dunque immediatamente assunto le mie funzioni non con la visione
di chi deve sempre attendere che gli
altri decidano al suo posto, come avveniva spesso prima. Mi sono sentito
subito veramente responsabile. Ho
presto compreso che non è affatto facile di pensare insieme ad altri colleghi al miglior modo di trovare gli uomini ed i fondi necessari al lavoro della Chiesa, parlo qui della Chiesa universale.
Sul piano personale tutto ciò mi aiuta a vedere i problemi in modo diverso ed a collegarli meglio con il compito missionario della Chiesa.
Non si tratta più di aspettare una
specie di aiuto « dall’alto », ma, in collaborazione con altri colleghi, di porsi insieme dinanzi al Signore perché ci
mostri le linee ed i mezzi per l’azione
apostolica, nutriti dalle esperienze gli
uni degli altri, cosa che non si realizzava facilmente prima. Sono convinto
che le chiese faranno così un lavoro
missionario molto più significativo e
più riuscito.
^ Questo per quanto la concerne direttamente: cosa ne è dell’insieme della Chiesa Evangelica del
Togo? Come ha accolto e seguito
gli sviluppi della CEVAA?
— La Chiesa Evangelica del Togo
non ha fatto alcuna difficoltà prima di
decidere la sua adesione alla CEVAA.
Nonviolenza e obiezione di coscienza
di che fare impallidire di gelosia il nostro venerabile Sinodo.
L’autorità non disgiunta da profonda umiltà e senso dell’umorismo del
Segretario Generale pastore Victor
Rakotoarimanana e del presidente, pastore Hotz, erano veramente confortanti. Eppure era chiaro per tutti che
non si stavano ancora facendo che i
primi passi.
Fra i partecipanti che ho potuto intervistare per i nostri lettori vi è stato anche il pastore Davite. Quanto egli
ci dice dovrebbe far riflettere ognuno
di noi. Oso dire che non potremo affrontare veramente il nostro impegno
missionario finché non ci saremo tutti accorti che, in quanto valdesi siamo veramente ai primi passi nel nostro impegno reale nei confronti della CEVAA. La votazione sinodale di
affiliazione alla CEVAA, le poche cortesi parole scritte dalla Commissione
d’esame in occasione deU’ultimo Sinodo a proposito della riunione di cui
stiamo parlando, non hanno corrisposto e non corrispondono ancora ad una
vera presa di posizione di tutti.
Ci si permetta un’ultima osservazione: avremmo \ oluto vedere una nutrita équipe televisiva di Protestantesimo assistere alla riunione di Torre
Pellice. Era un'occasione da non mancare per proporre agli italiani, protestanti e non, una problematica missionaria « dal vivo ». Questa non vuol essere un’acida critica a chicchessia ma
una constatazione che l’insieme della
nostra chiesa rimane alquanto insensibile a quello i he non esito a definire
uno dei più veri sforzi di riflessione
missionaria dr! nostro tempo. Basti
ricordare che, in occasione della Conferenza di Bangkok, la strada seguita
dalla CEVAA stata considerata come pienamente valida, dai numerosi
intervenuti.
Il 16 u. s. nel Centro Comunitario
di Firenze è stato ospitato per caso il
conve^o naz. della LOC (=Lega obiettori di coscienza). «Per caso», perché all’ultimo momento è stata negata ospitalità nei locali della Provincia,
già concessi, e siamo stati ben contenti di accogliere il centinaio di giovani che ha partecipato al convegno.
Seguendo i lavori, si sono chiarite
alcune posizioni che noi evangelici dobbiamo tenere ormai presenti:
— Il movimento per Tobiezione di
coscienza è ormai scivolato su posizioni socio-politiche di un laicismo che
apertamente è indifferente al messaggio cristiano. Questo non significa affatto « una condanna », ma una chiarificazione: Tobiezione di coscienza (e
la nonviolenza) dei credenti non può
avere che motivazioni diverse da quelle portate avanti da questi giovani, i
quali hanno un dono che non di rado
difetta fra noi: la coerenza.
— Coerentemente, quando essi accettano un servizio civile sostitutivo del
servizio militare, chiedono « garanzie »: un lavoro che non sia ’sfruttamento’, libertà assoluta di organizzare il loro lavoro secondo le loro convinzioni (socio-politiche, non religiose),
libertà di creare un nucleo che risponda ai loro ideali e di fare propaganda
nell’ambiente di servizio nel quale sono immessi.
— Al Convegno s’è parlato di due
casi tipici: da Casa Cares (Reggello,
Firenze) e dal nostro Convitto di Pomaretto gli obiettori in servizio civile volontario sono stati allontanati,
sembra, e non sono mancate proteste
clamorose. Il fatto è che questi obbiettori della Loc intendevano vivere
fino in fondo le « garanzie » sopraccennate; non intendevano di essere immessi in comunità di ragazzi che ave
vano un loro quadro (non solo organizzativo, ma di fede, di etica), ma al
contrario volevano che le comunità
istituite si piegassero alle loro esigenze. Qra, un atteggiamento di questo
genere non può essere accettato, e testimonia clamorosamente il risultato
d'una carenza cristiana nella motivazione delTobiezione.
Dopo le lezioni « subite », non è assolutamente il caso di mollare un problema così importante per la coscienza cristiana, ma di riflettere sui limiti di una collaborazione (o almeno di
vederli!). Ma questo è anche il risultato d’uno sfaldamento teologico del
protestantesimo nostrano, che ha ceduto in pieno a istanze sociologiche e
politiche: ha fatto tutto a tutti senza
salvarne alcuno. La responsabilità
maggiore è nostra, cioè di chi ha lasciato che il Movimento int. della Riconciliazione (MIR) perdesse ogni connotato della sua origine evangelica.
Guardate il programma del convegno dei movimenti nonviolenti che
avrà luogo a S. Severa; c’è di tutto:
« canti di protesta, incontri biblici, sedute yoga, sociodrammi, falò, danze
popolari o qualunque altra cosa desiderata ». S’ha l’impressione d’un caos
intellettuale provocato da una sottile
sfiducia nel messaggio cristiano e dal
bisogno di far gente, di richiamarla a
una sorta di fiera d’umpappiruli.
Il .nostro Sinodo da diversi anni s’è
impegnato sul problema delTobiezione di coscienza e della nonviolenza;
forse è tempo di piantarla con gli
Q.d.g. e di darsi daffare per creare
nelle comunità un movimento qualificato e qualificante, che non accetti intimidazioni e contesti nel nome del
Signore. Altrimenti, meglio l’ammasso
dei generali.
Luigi Santini
Spesso spiegabile, talvolta necessaria,
mai giusta
(segue da pag. 2)
un altra violenza, non posso distruggere la dittatura con altro mezzo etc.
co stato di necessità rende il mio atto giusto e legittimo. Qra (e so bene
cne, di tutto ciò che ho scritto sulla
violenza, questo è ciò che è più difficile ammettere!) affermo che lo -Stato
di necessità può rendere Tatto spiegaDile, comprensibile, ma tutto ciò non
Ha, rigorosamente parlando, nulla a
cne fare con la giustizia. Ciò che faccio per costrizione non per questo è
giusto. Se, essendo torturato, denuncio i miei compagni, il mio atto è spiegabile, ma non è assolutamente diventato giusto e legittimo, non è purtuttavia Duono.
Frendendo un altro esempio di necessità: obbedisco forzatamente alle
leggi delia Natura. Se m’inciampo e
cado, obbedisco semplicemente alla
necessità della legge di gravità: ma
CIÒ non vuoi dire cne sia buono e giusto cne io sia caduto. Si può capire
benissimo che un popolo oppresso si
impadronisca del suo tiranno e lo torturi; la cosa è perfettamente spiegabile, ma per nulla buona. Non c’è nessuna guerra giusta: ci sono guerre di
CUI si possono capire i motivi, sociologicamente e psicologicamente del tutto spiegabili. Ma non per questo diventano guerre giuste, l'anto più che
non ci sono praticamente mai state
guerre senza ragioni valide.
Spesso si è attaccato Luigi XIV per
le sue guerre di prestigio e di gloria,
di fatto però vi erano ogni volta ragioni più profonde che, per un uomo
di Stato, erano inevitabili. E si sa che
Napoleone non è stato una tigre assetata di sangue; voleva veramente stabilire la pace in Europa (avendo egli
stesso ereditato una situazione di guerra generale). Purtroppo rimaneva sempre davanti a lui un guastafeste che
pretendeva di non accettare questa
pace; e ogni volta bisognava assolutamente distruggere quest’MZfimo ostacolo prima della pace. E si sa qual è
la storia di tutti i governi rivoluzionari; vi è sempre giusto un ultimo complotto, un ultimo gruppo di oppositori, un ultimo quadrato di antirivoluzionari che bisogna riuscire a eliminare, e poi sarà finalmente la libertà, la
giustizia etc. Purtroppo quest’« ultimo » si riproduce miracolosamente!
Tommaso d’Aquino d’altronde ha
concluso definitivamente tutto questo
tentativo di legittimare la violenza con
la necessità in cui ci si trova di usarla. Quando si vedono le sei condizioni
che egli pone perché una guerra sia
riconosciuta giusta, ci si domanda se
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllilllllllllllllllllllllllllllll
Essa aveva seguito il movimento che
è sfociato nella creazione della Comunità dalTinterno, infatti era rappresentata alle Assemblee della Società
delle Missioni di Parigi che, come sa,
hanno visto nascere l’idea della creazione di una Azione Apostolica Comune.
Ci siamo interamente impegnati nella Comunità perché essa risponde ad
una preoccupazione già espressa dalla nostra chiesa quando ha deciso di
intraprendere un’azione di evangelizzazione in comune con la Chiesa Metodista del Dahomey-Togo nella vallata
del Mono (nel paese Watchi). Le due
chiese studiano del resto attualmente
la possibilità di una fusione organica.
non è stato un grande umorista. Ne ricordo una soltanto: essere sicuri che
i mali creati dalla guerra che si vuole
intraprendere non sarebbero più grandi di quelli che si vuole evitare... Chi
dunque, se non Dio solo, può misurarlo?
NECESSITA’ NON FA GIUSTIZIA
La necessità, da sola, non soltanto
non trasforma Tatto ingiusto in giustizia, ma anzi, a mio avviso, attesta
un male maggiore. Infatti prendere
come scusa il fatto che si obbedisce
alla necessità o che non si può fare
altrimenti, vuol semplicemente dire
che si accetta di non essere liberi. Non
si è mai liberi quando si segue la necessità, quando si ubbidisce alla linea
di maggiore pendenza, accettando la
« forza delle cose ».. Essere violento
perché la necessità mi vi spinge, vuol
dire da un lato entrare nella situazione di violenza di cui ho ricordato i caratteri, e dall’altro dichiarare che non
sono libero. Essere libero vuol dire dominare le costrizioni e le necessità, rifiutarle, e ciò non può naturalmente
avvenire che a prezzo di grandi sforzi e di grandi sacrifici.
La violenza fa parte del mondo della necessità, delle necessità, di nulTaltro; non possiede né produce alcun valore. E qui che s’infrangono tutti i
realismi, è questo che i realisti non
capiscono mai. « Bisogna essere realisti, vi sono pur dei casi nei quali non
si può evitare di usare la violenza... ».
Certo, certo, sono i casi nei quali vi
rivelate degli automi, negazione delT« essere umano ». A parte questo, si
usino pure tutte le violenze, ma a condizione di sapere che cosa si fa sociologicamente e che ci s’impegna comunque in un male senza fine. E anche a
condizione, per dei cristiani, di sapere che biblicamente mai nessuna violenza è giusta - (malgrado le guerre di
Israele, ad esempio)) ma è soltanto
accettata da Dio come un fatto, facente parte delTuniverso di schiavitù,
di alienazione, di riproduzione del male, di oppressione, di furore, di delirio che l’uomo ha scatenato decidendo di rompere con Dio e prendendosi
quella che ha creduto fosse la sua libertà, ma che era soltanto la sua autonomia.
Jacques Ellul
^ Tralascio lo sfruttamento a favore della
violenza che si fa dell’episodio di Gesù che
caccia i mercanti dal Tempio: nulla nei testi
permette di vedervi un’esplosione di violenza
rivoluzionaria, sono i fantasiosi che han voluto drammatizzare la scena!
Rifiutato
il visto d’ingresso
a un teoiogo riformato
Leida (spr) — Il prof. Hendrikus
Berkhof, dell’Università di Leida, uno
dei principali oratori alla recente Assemblea regionale europea delTAlleanza riformata mondiale, si è visto rifiutare il visto d’ingresso nell’Africa
del Sud, dove doveva dare una serie
di conferenze all’Università di Stellenbosch. Il rifiuto al prof. Berkhof ha
suscitato vive critiche nell’Africa del
Sud, anche su giornali afrikaans che
solitamente sostengono la politica governativa.
4
f
pag. 4
N. 38 — 28 settembre 1973
L’Alleanza Riformata Mondiale, fondata nel 1875, è composta dal 1970 da
due gruppi di chiese: le presbiteriane
e le congregazionaliste con 127 chiese e
circa 55.000.000 aderenti. Queste chiese
vivono in 75 diverse nazioni, in tutti i
continenti. Esse traggono la loro origine dalla Riforma del XV“ secolo e ne
continuano la linea sul piano teologico
e sul piano organizzativo: sul piano
teologico J’arminiamesimo e il Risveglio hanno portato « variazioni » notevoli. Basta pensare alla importanza della predestinazione nel vecchio mondo
calvinista; gradualmente questo « decreto divino » e stato considerato come un’espressione accessoria della generica dipendenza dell’uomo da Dio.
Le vene illuministiche hanno man mano smantellata la concezione pessimistica dell’uomo, che caratterizzava il
puritanesimo.
Le cose si sono svolte diversamente
nel campo organizzativo per la fedeltà
alle antiche norme delle comunità riformate. i.e concezioni democratiche,
insite nella costituzione dei sinodi e
delle assemblee di chiesa, hanno palesato una resistenza favorevole alle autonomie e contraria alla formazione di
centri di potere. Le nostre chiese restano sfavorevoli ad una rigida gerarchia
fondata sulla « validità » o sulla « successione storica » delle persone e delle
cariche. Permane in questo campo una
valida diffidenza verso il « governo dell’uomo » compresa la specie « uomo
ecclesiastico ». L’etica protestante, che
sottolinea il valore del lavoro come
collaborazione con Dio, e nella quale è
valutata positivamente la fatica dell’uomo nel campo del lavoro e della costruzione della società, continua ad essere avvertita come portatrice di fermenti di civiltà. Appare peraltro necessaria un’analisi attenta ai fenomeni
non teologici, ma sociologici, che si sono inseriti a difesa di una società orientata in senso borghese.
Il termine « presbiteriano » {= sinodale) è usato nei paesi anglosassoni e
quello « riformato » negli altri paesi,
soprattutto europei. Nella Federazione
prevale il termine « riformato ».
Questa famiglia di chiese ha attualmente come presidente il Dr. Vm. P.
Thompson (nordamericano), come vicepresidenti i Pastori J. Huxtable (inglese), V. Rakotoarimanana (Madagascar),
Signora S. Solomon (India). Ormai la
stragrande maggioranza delle chiese,
derivate dalTopera missionaria riformata, ha diritto di piena cittadinanza
nella Federazione.
/ RIFORMATI
E UECUMENISMO
La linea ecumenica vi è fortemente
accentuata, in modo che il « gruppo
confessionale » non esprime un confessionalismo contrario al Consiglio Ecumenico delle chiese; non è un « blocco ». Uno spirito di blocco sarebbe dannoso ed inutile: dannoso se diventasse
esclusivo, inutile perché dimenticherebbe che la linea « riformata » è stata
sempre fortemente rappresentata nel
Movimento e nel Consiglio Ecumenico
delle Chiese. Un irrigidimento in senso
confessionale, che si ritroverebbe immediatamente negli altri « settori evangelici » delTecumenismo, potrebbe soltanto essere provocato da nuovi fattori, estranei all’attuale situazione. Si
può dire che si avverte che la Federazione è sorta anteriormente al Movimento Ecumenico, comprende varie
chiese, che non aderiscono al Consiglio
Ecumenico perché lo ritengono troppo
aperto in senso teologico o sul piano
della testimonianza di fronte alle nazioni ed alle società. La concardia di
Leuenberg ha aperto una nuova « apertura » verso il luteranesimo, che potrà
modificare notevolmente l’attuale situazione della Federazione. Sul piano
affettivo la Federazione rapresenta una
serie di vincoli di fraternità storica fra
chiese, che si conoscono, si amano, si
dividono e si frammentano e si ricompongono ormai in un cammino secolare comune.
Esiste un settore europeo delTAlleanza Riformata: lo costituiscono vecchissime chiese come la nostra e quella dei
Fratelli Boemi, come quelle ungheresi
(divise in tante nazioni) quelle Qlandesi. Scozzesi, Nordirlandesi, Francesi,
Svizzere e giovani come quelle spagnola e portoghese. La Germania vi è rappresentata da alcune piccole chiese
« territoriali » da alcune comunità delle
« Chiese Unite ». Situazione spesso min.o'itaria con tutti i classici contrasti
con lo Stato. Pesante situazione secolarizzata soprattutto in Occidente.
Per tutti i paesi il Segretariato è oggi
diretto dal Pastore E. Perret, che con
il suo piccolo « staff » fa un meraviglioso lavoro di collegamento con visite e
contatti a tutti i livelli. Il Segretariato
e sostenuto finanziariamente dalle chiese membri con la solita « austerità »
detta riformata spesso avaramente bilanciata fra la generosità e l’impegno
dei nostri uomini e la durezza amministrativa delle vigilanti amministrazioni
ecclesiastiche settoriali.
Il Presidente della Sezione Europea
è stato il Pastore Neri Giampiccoli, il
nuovo (dopo Amsterdam) è il Prof.
Meulemann della Università Libera di
Amsterdam.
La struttura organizzativa della Federazione è molto semplice. Alcuni piccoli uffici del complesso edificio del
Consiglio Ecumenico in Rue Ferney
150, Ginevra, costituiscono la sede ufficiale, da non paragonare in nessun modo alla situazione della Federazione Luterana Mondiale. Ad Amsterdam questa
struttura è stata ulteriormente semplificata con la cessazione della Commissione Teologica e con la costituzione di
un nuovo comitato unico, nel quale il
contributo teologico sarà affidato a cinque professori di teologia.
Assemblea Riformata ad Amsterdam
il rifiuto di definizioni omnicomprensive, che si rivelano astratte e verbali,
e Tinteresse per un rapporto fattivo
fra Cristo e noi. « Questo rapporto fattivo fra Cristo e noi: anche il nome di
Situazione attuale delle chiese riformate - « Chi dite voi che io sia? » - Conclusioni provvisorie sul piano individuale, ecclesiale, sociale e della controcultura
IL TEMA DI AMSTERDAM
L’assemblea europea, che si riunisce
ogni 7 anni, ha avuto per tema: « Chi
dite voi che io sia? ». Parliamo di « tema », in verità si trattava di una verifica della nostra fede e delle varie reazioni che questa ha davanti alla figura
di Gesù di Nazareth. Si può essere turbati dal fatto che un’assemblea cristiana abbia ancora da riflettere su un problema così antico, senza averlo risolto
una volta p>er sempre con delle definizioni « definite ». Troppe volte le questioni periferiche prevalgono suU’essenziale. Abbiamo quindi salutato con
gioia e spirito di ricerca la questione
centrale, che ci è stata riproposta.
La ricerca è stata impostata su tre
piani:
— sul piano biblico con tre studi di
Hans-Rudi Weber;
— sul piano Storico dal Rabbino
Olandese Jacob Soetendorp;
— sul piano teologico dal Prof. Hendrikus Berkhof.
In più la trasmissione di un film « Gesù figlio dell’uomo » di Dennis Potter
doveva stimolare Tattualità della problematica sulla identità di Gesù di Nazareth. Inoltre una tavola rotonda, alla quale fra gli altri ha partecipato il
nostro deputato Claudio Tron.
Alcune parole sul metodo: le varie
angolature del problema sono emerse
dalla esegesi dei brani evangelici. Weber ha seguito la testimonianza delTEvangelo di Marco, sottolineando la
contemporaneità e Tattualità della confessione di fede: con la confessione del
« Figlio di Dio » Marco risponde alTattesa intensa d’Israele e alle sue speranze messianiche. Già Giuseppe Flavio
parla di quelTattesa delusa, ma le Apocalissi giudaiche confermano il mistero dei cieli chiusi e della voce profetica fioca, ma costante, che preannunzia
la fine del silenzio di Dio e la manifestazione della Sua Parala. I cristiani
sorgono e si moltiplicano neU’annunzio di quel Gesù, che porta lo Spirito,
la liberazione, la verità. È Figlio di
Dio non chiuso entro categorie intellettuali, ma che si manifesta nel riflesso della fede dei suoi discepoli. Il battesimo diventa il luogo di quella comunione con la morte e la risurrezione di
Gesù. E qui Weber ricorderà come segno più convincente, aldilà delle immagini del Cristo vincitore di un mosaico di Ravenna, un battistero della
chiesa antica a Jalisson a Rodi: il credente si immergeva in quel battistero
di pietra a forma di croce, perché il suo
rapporto con il Cristo non fosse solo
confessione orale, ma comunione di risurrezione.
Una seconda analisi parte dalTesame
di Gesù e della politica del suo tempo:
in contrasto con la dura condizione di
un Israele, che non rinunzia alla confessione del regno messianico e che
continuamente si rivolta contro Toppressione, la testimonianza evangelica
attribuisce a Gesù il servizio verso gli
uomini in contrasto con lo spirito dominatore dei « grandi di questo mondo ». L’analisi procede verso il Re crocifisso, come è avvertito ed annunziato
partendo dalla risurrezione. Dalla lettura dei passi principali di Marco
emerge la preoccupazione di riportare
il fedele annunzio del Cristo rivelato.
PARLANO UN RABBINO E UN
PROFESSORE PROTESTANTE
di Gesù, che non ha dato una cristologia, ma ha dato sé stesso.
Storicamente la definizione cristologica di Calcedonia resta la risposta ufficiale delle chiese, anche se fortemente immersa nelle categorie del pensiero
greco. Non si può definire la persona di
Cristo, lasciandone fuori la sua opera
per noi. Berkhof tenta una sua « confessione »: « Tu sei il vero Uomo, come
Dio lo aveva voluto fin dal principio:
il Figlio obbediente, l’uomo pieno di
amore, pronto a dare la sua vita per
gli altri, e che inaugura con la sua vita
eccezionale, da controcorrente della risurrezione nel nostro mondo. E, come
vero uomo, tu sei l’Uomo delTavvenire.
Non sei soltanto una strana eccezione
accusatrice della nostra disobbedienza. Dio ti ha costituito il Pioniere, il
Precursore, il Garante, che con il suo
sacrifizio, la sua risurrezione e il suo
spirito, ci assicura che Tavvenire è
aperto per la nostra razza ribelle e
schiava ». Le vaste prospettive di una
umanità liberata non possono essere
valide per noi se non passeremo per
la porta stretta della confessione esolusiva: « tu sei l’Uomo escatologico voluto da Dio »! Non esiste per i discepoli altra autentica confessione di fede
alTinfuori di quella verificata nel discepolato, capace di mutarsi in martirio.
Esiste sempre e a anche per la nostra
generazione la tentazione di adattare
la nostra fede alle mode del tempo, ma
non possiamo dimenticare che quell’unico Figlio dell’uomo è sempre la
parte sofferente e debole in questo
mondo e che la sua verifica consiste
unicamente nella sua vittoria futura.
CONCLUSIONI PROVVISORIE
Questi studi sono poi passati attraverso l’esame e la ricerca di alcuni
gruppi. Nesisuno ha avuto la pretesa di
fare una nuova confessione di fede,
che del resto cessa di essere tale appena si fabbrica, se non è vissuta nella
realtà della storia. Fermandwi alle
conclusioni del solo gruppo di lingua
francese, che qui riportiamo, notiamo
venta il segno di una relazione reciproca fra Lui e noi. « Questo rapporto si
deve esprimere a vari livelli: a) sul
piano individuale Gesù, Figlio di Dio
mi libera dal peccato mentre, come Figlio del Padre, mi si rivela in una comunione con la potenza divina, che risplenderà nella mia vita; b) su un piano ecclesiale Gesù, Figlio delTuomo, uomo, fratello, trasforma i nostri rapporti con noi stessi, con gli altri, col mondo; c) sul piano sociale Gesù, Cristo,
Messia, Liberatore, Rivoluzionario mette in questione le situazioni di alienazione, distrugge le morali ipocrite per
instaurare la giustizia del Regno o il
regno della giustizia in una solidarietà
di sofferenza, lotta e fatica vissute in
un impegno con gli altri; d) forse ancora, sul piano della controcultura Gesù il solitario, l’unico, il crocifisso, marginale irrecuperabile manifesta la follia e lo scandalo di Dio nella ricerca
infinita del senso della vita, che attira
al suo seguito i disperati e i rifiutati ».
La Federazione continua il suo cammino con nuovi membri di comitato;
fra di loro Claudio Tron. Al suo presidente Neri Giampiccoli, che chiude il
suo mandato, la gratitudine dell’assemblea.
Carlo Gay
ài
Cristiani per il socialismo
(segue da pag. 1)
scrostando la storia umana dalle scorie
sacralizzanti della dogmatica cattolica,
questo capovolgimento è rimasto un
po’ troppo schematico e non privo di
equivoci.
Le linee di azione quindi, se questo
non vuole e non deve portare alla creazione né di un nuovo partito né di una
nuova chiesa, non possono che essere
tese nello sforzo comune, organizzato e
non più a livello spontaneistico, per
spezzare questo connubio fra chiesa e
potere.
I problemi politici e religiosi non
vanno più compresi come due sfere separate ma devono essere legati gli uni
agli altri dalla loro oggettiva interpenetrazione. Il problema di fondo che si
pone è questo: che cosa autorizza a definire cristiana una scelta che è comur
ne ad altri non cristiani e che nello
stesso tempo ci divide da altri cristiani? Una cosa è chiara: va abbandonata
la pretesa di poter proporre in quanto
cristiani una via cristiana al socialis
mo.
Il fatto che dei cristiani abbiano fatto una scelta socialista non significa in
alcun caso che essi abbiano tagliato il
cordone ombelicale dalTEvangelo. Significa invece il voler mantenere ad
ogni costo questo legame essenziale di
vita.
Lo sforzo che impegna tutti i gruppi cristiani, le comunità di base convenute, è quindi quello di dimostrare nei
fatti che è possibile e fruttuosa la coesistenza fra cristianesimo e socialismo;
dimostrare falsa nei fatti la contraddizione di cui la chiesa istituzionale si è
sempre servita per le sue campagne antisocialiste tese a conservare il potere.
Balducci e l’istituzione
Parallelamente lo studio si compie
con le conferenze del rabbino Soetendorp. Egli si rallegra per la ricerca della definizione della persona di Gesù di
Nazareth nel quadro del giudaismo.
Per lui è caratteristica la domanda di
Giovanni Battista: « È egli colui che deve venire o ne aspetteremo noi un altro ». È una domanda che va compresa
nel grande quadro della speranza
ebraica, che non è soltanto nazionale,
ma cosmica: si attende una « nuova
creazione » nella quale tutto è immerso
in un « processo di redenzione ». Gesù è figlio d’Israele nella densità di
questa attesa vissuta e preannunziata
da Mosè e da Geremia. La liturgia
d’Israele è centrata sulTavvenimento
della liberazione, che è un segno nelTuscita dalTEgitto e nella divisione deldelle acque del Mar Rosso. La obbedienza d’Israele è discussa fra le varie
scuole rabbiniche, ma è il centro delTatteggiamento di tutto Israele, che attende che la Torah sia adempiuta. In
questa prospettiva Soetendorp vede i
tratti giudaici di Gesù «nella sua fede
nell’unità di Dio, nella Sua vittoria su
tutti gli dei delle nazioni, nel significato
permanente dell’uscita dalla terra di
Egitto per tutte le generazioni e nelTab
tesa che il nuovo esodo degli oppressi
e degli schiavi si compia nel cammino
verso il veniente regno della giustizia ».
In questa attesa Soetendorp vede in
Gesù il « suo fratello ».
Berkhof riprende la testimonianza
evangelica dei Sinottici, che si muove
verso un Gesù, che non trova un’analogia. Non esiste un titolo, che lo possa
definire in modo assoluto: Cristo, Signore, Figlio di Dio, la Parola, sono tutti titoli, che acquistano nuovi significati diversi da quelli generalmente accettati ». « Ma nessun titolo potrebbe
bastare: quell’uomo porta « il nome
che è aldisopra di ogni nome ». Gesù
si è servito del termine di « Figlio delTuomo » che conteneva ad un tempo
un accenno alla umiliazione ed all elevazione: esso esprime così il sacrifizio
Dopo la prima giornata di lavoro i
partecipanti hanno scelto una delle tre
oommissioni: 1) « messaggio cristiano
e lotta di classe »; 2) « mondo cattolico,
istituzione ecclesiastica e sistema di potere in Italia »; 3) « la maturazione di
classe dei cristiani tra lotte ecclesiali e
lotte sociali e politiche ».
Nella prima commissione è intervenuto fra gli altri padre Balducci il quale ha evidenziato il pericolo di considerare « oggettiva » una scelta che nasconde una buona dose di soggettività.
La scelta di classe obbliga ad una nuova ermeneutica delTEvangelo che si pone come messaggio da fare e non da
tradurre in una dottrina o in una ideologia. Il Vangelo, come parola scritta,
predicata, rimane pur sempre ideologia; è soltanto la scelta operativa, concreta, che esprime l’autenticità del messaggio. Soltanto così TEvangelo si pone
come messaggio totale di liberazione.
E proprio perché si tratta di un messaggio che libera « tutto » l’uomo, occorre guardarsi dal servirsi del Vangelo come sostegno della propria scelta
politica. Un possibile integrismo di sinistra deve essere denunciato proprio
perché Cristo si pone su un piano transrivoluzionario non strumentalizzabile.
Ciò dovrebbe anche « mettere in guardia molti preti di sinistra che brandr
scono TEvangelo come il libretto di
Mao ». Anche la rivoluzione può essere
falsata. E non si deve dimenticare che
proprio la rivoluzione è nata come segno anticristiano che oggi proprio i
cristiani tentano di recuperare. Questo
pericolo, fatto presente da molti altri
interventi ha poi trovato ampio spazio
nel documento finale:
«Proclamandoci cristiani per il socialismo, non intendiamo quindi in nessun modo cercare una giustificazione
religiosa delle nostre scelte politiche,
né una nostra collocazione autonoma
nello schieramento di classe, cui apparteniamo. Non intendiamo trasformare
il cristianesimo da strurnento di legittimazione dell'ordine costituito a giustificazione della rivoluzione. Vogliamo anzi respingere definitivamente la pretesa, ancora largamente presente nel
mondo cristiano, di essere portatori di
uno specifico progetto di società.
espresso nella cosiddetta “dottrina sociale cristiana”. La pretesa di volere
infatti in nome del primato dello spirituale, dedurre dal Vangelo un comportamento politico ci appare illusoria ogni volta che la dottrina cristiana si pronuncia su qualche problema temporale, sia esso morale o
politico, economico o pedagogico, essa
non lo fa effettivamente in nome di esigenze specifiche, ma assumendo quella
soluzione umana che in quel momento
storico le appare più coerente con la
ispirazione evangelica. Ora, la lettura
del Vangelo non è mai indipendente
dalla posizione di classe del lettore.
Condotta alla luce della cultura dominante, la lettura del Vangelo ha così
ispirato una dottrina sociale che è stata ed è in forte misura una sacralizzazione dell’ordine costituito ».
Balducci ha criticato la posizione di
Mattioli (Manifesto di Roma) che aveva sostenuto la necessità di sbarazzarsi
con decisione delTdstituziione della chiesa affermando che Tistituzione non nasce da sé ma nasce da noi. Per liberarci dal peso delTistituzione occorre saperci ricostruire come comunità di fede che gestisce in proprio il problenia
della salvezza. Qccorre assumersi in
maniera diretta la responsabilità profetica di fronte alla storia. Non si tratta quindi di chiedere alla chiesa di fare
delle alleanze a sinistra anziché a destra. La possibilità ed il luogo in cui
questo problema si risolve è nella comunità cristiana in cui lo Spirito è potente. Il pretendere di sbarazzarsi subito dell’ istituzione significherebbe
« trasformare la lotta politica in un
dramma psicoanalitico ».
Su questo punto Balducci è stato poi
attaccato duramente in quanto è stato
visto un tentativo di ridimensionamento del potere oppressivo della chiesa
istituzionale; Agostino Zerbinati della
comunità di Oregina, Gentiioni e un
rappresentante la comunità delTIsolotto di Firenze hanno denunciato l’equivocità del discorso di Balducci e riaffermato la necessità della lotta contro
Tistituzione.
Gli interventi di molti preti si sono
imposti per la loro chiarezza e volontà
di denunciare Tistituzione ecclesiastica
che opprime il popolo, in alcuni casi si
è notato la tensione spirituale che li
travaglia; il caso di quel prete che ha
pregato perché lo si aiutasse a ritrovare la sua identità di prete, perché lo si
aiutasse ad incontrare il Cristo nel lavoro della sua parrocchia. Oppure Tintervento di un giovane abruzzese il quale si domandava « come » fosse ancora
possibile mangiare Teucarestia quando
non ha più alcun significato per la comunità; come si possa ancora essere
cristiani in mezzo a comunità che di
cristiano non hanno più nulla.
Critica all’opportunismo
scista di trasformare questa occasione, in un momento di forte frattura
detta classe operaia ».
L'analisi politica della DC non è evidentemente Stata limitata alla situazione italiana ma sempre vista nel suo
contesto internazionale, in modo particolare con la DC cilena di cui è sorella,
Ben pochi sono stati gli interventi in
cui non vi fosse una aperta denuncia,
politica e teologica, della DC. Il docuimento finale lascia ampio spazio a questo tema, ben giustificato a causa del
ruolo che la DC gioca nella politica nazionale. Si tratta di un impegno unitario che deve coinvolgere tutto il proletariato nella lotta « data la specifica
situazione italiana, fortemente influenzata dal ruolo svolto dalla Chiesa. Un
ruolo fondamentalmente volto a fornire una copertura culturale ed ideologica. alla DC, a mantenere in una condizione di sottosviluppo religioso il mondo cattolico, ad assicurare quanto più
possibile che la presa di coscienza dei
lavoratori della loro condizione non si
traducesse in ribellione ed antagonismo ma rimanesse allo stadio di semplice sensazione di disagio.
Operando in questa direzione, la
Chiesa si è allontanata dai bisogni della classe operaia e contadina; né poteva essere diversamente nei limiti in cui
essa è anche parte integrante del sistema capitalistico, per gli interessi finanziari e di potere che deve difendere.
Proprio la presenza del Vaticano nel
nostro Paese fanno assumere un significato ancora più rilevante ed internazionale alle lotte contro la funzione antirivoluzionaria delle strutture ecclesiali; questo è un ulteriore motivo che giustifica l’esigenza di un impegno di lotta
complessivo per modificare profondamente i rapporti di potere nel nostro
Paese ».
Un momento vissuto con particolare
intensità dai partecipanti è stato quando il padre sud-vietnamita Cian Thi ha
parlato della situazione dei prigionieri
politici nel Sud-Vietnam ed in cui Tullio Vinay, di ritorno dal Sud-Vietnam
ha « raccontato » gli episodi di crudeltà
del regime di Thieu che ha superato
ogni limite, invitando ciascuno a far
conoscere ovunque questa barbarie
perché le pressioni comuni costringano
questo regime fascista sostenuto dagli
USA a cessare il genocidio. Stranamente la stampa di questo non ha parlato.
Soltanto fremiti?
Un altro punto emerso è la critica
che da più parti è stata mossa al PCI
per la sua politica della mano tesa con
il Vaticano; per non voler affrontare a
viso aperto i problemi che sono oggi
alcuni fra i punti caldi della politica
italiana: il concordato e quindi il matrimonio concordatario, la religione
nella scuola, ecc. Soprattutto Tinteryento di Marco Boato, ha denunciato Topportunismo del PCI nel dialogo con
la DC.
Il documento finale ha, almeno in
parte, ridimensionato questa critica:
« In questo contesto, il Convegno assume con particolare interesse l’irnpegno per la battaglia intorno alla laicità
dello Stato; il nodo storico, in questo
senso, è rappresentato dal complesso di
privilegi che la Chiesa cattolica ha ricevuto con il concordato, una formula
di regolamentazione dei rapporti tra
Stato e Chiesa che come cristiani riteniamo che debba essere superata. Il
Convegno sottolinea inoltre, che la
eventuale scadenza del referendum per
il divorzio, troverà tutti quelli che si
riconoscono in queste conclusioni, impegnati contro la manovra clerico-fa
Difficile trarre a tavolino qualsiasi
conclusione di questo congresso. Assolutamente fuori luogo mi sono sembrate le osservazioni critiche fatte dal quotidiano radicale « Liberazione » il quale
sostiene che a Bologna vi sono stati
« molti fremiti per niente »; né, mi sembra, che si possa definire « neoconcordataria » la posizione ufficiale del Con\'nH;no, nonostante l'ambiguità del documento finale. Certo, su questo punto,
il Convegno era chiaramente diviso,
ma mi è parso che la posizione dominante sia stata proprio l’altra, quella
radicalmente anticoncordataria.
Si tratta del primo congresso: i gruppi cattolici convenuti hanno potuto
prendere nota della loro consistenza,
delle loro difficoltà ma anche della realtà del loro impegno che va estendendosi. Si potrà verificare la consistenza di
questo impegno nella realtà politica e
di chiesa che sapranno portare avanti
nei prossimi anni.
Marco Rostan ha giustamente fatto
notare, riferendosi al tema del Congresso, che gli interventi si erano concentrati troppo sul « per il », mentre era
mancata un'analisi approfondita sia sul
significato di « cristiani » che di « socialismo ». Cioè Tanalisi politica era stata
troppo generalizzata e ben poco si era
detto su ciò che vuol dire essere cristiani e socialismo. Questo, mi pare, essere stato il limite di fondo del Convegno; forse inevitabile a causa della
massa dei partecipanti che ha fortemente limitato la possibilità degli interventi.
Ermanno Genre
5
28 settembre 1973 — N. 38
CENTO ANNI FA NELLE VALLI VALDESI
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
pag. 5
Torre Pellice
VITA SPIRITUALE
È un’espressione che nel 1873 ricorV negli articoli dell’Echo
des Vallées, feuille hebdomadaire spécuüement consacrée aux intérêts mateiieis et spirituels de la Famille Vaudois6;^ anche quando non è formulata
esplicitamente, è soggiacente in tutti
gli articoli, in tutti i dibattiti. Non sono sufficientemente aggiornato nella
stoiia^ della evoluzione del pensiero
teologico per riuscire a tradurre in
modo adeguato questa ricorrente
espressione: « Vie spirituelle »; la trascrivo quindi letteralmente: « Vita
spirituale ». Né penso con ciò di compiere un atto troppo riprovevole, perché anche questa espressione nel testo
del nostro settimanale valdese, e nel
suo contesto, rimane pure, se non
sempre, molto spesso alquanto vaga.
Questa « vita spirituale », il suo manifestarsi, il suo fiorire, le sue illusioni, le sue delusioni, le sue vittorie ed
i suoi tradimenti, costituiscono, cento
anni fa, il problema cruciale che viene trattato sul nostro settimanale, nelle parrocchie, [è ancora sconosciuto il
\ocabolo «comunità»]. Una serie di
ai'ticoli ci permette di gettare uno
seuaido non superficiale nel travaglio
« .spiriluale » della Chiesa Valdese nelle \alli Valdesi, nell’anno 1873.
Alla base una constatazione amara,
che non è approfondita, né illustrata,
ma affermata come un dato di fatto,
un assioma.
« Molti protestanti vivono troppo del
loro passato. È cosa buona parlare
delle sofferenze e del trionfo dei martiri. Ma nulla può sostituire Gesù crocifisso, vivente nel cuore dell'uomo
mediante lo Spirito Santo. È doloroso
vedere che un cristianesimo formalista è riuscito a fare ciò che né l’esilio
ìté i roghi avevano potuto compiere ».
« Mon vi conformate al presente secoli » è la parola d’ordine che si traduce, nel 1873, in una richiesta di impegno di fedeltà assoluta agli ideali
della morale puritana. Ma fuggire non
basta, bisogna ridestare questa « vita
spirituale », perché nei templi « on ria
qii'à compter, si on le peut, le nombre
immense des dormeurs qui en occupent tous les bancs indistinctement ».
[Oggi il conteggio sarebbe più facile,
ma non sono convinto che ciò sia un
in'ogresso!].
Ih SINODO SI PRONUNZIA
Tutta una seduta è consacrata alla
analisi di questo tema che viene sviscerato sul piano dell’indagine e della
rillcssione teologica, nonché su quello
della ricerca dei mezzi più idonei per.
pi or ocare un « Risveglio ». fi « Ré\ eil » è la meta, l’ideale sempre presente (horresco referens!?), perché in
esso l’amore per la Parola di Dio si
traduce in azione pratica: l’amore per
l’anima del prossimo.
.< Nous sommes trop spiritualistes »
.aíTcnria un oratore sinodale, consenzienti l’assemblea e L’Echo; « le réveil de la piété » esige un’azione concreta per ridare alla « preghiera » il
posto centrale che le compete nella vita della Chiesa. Occorre che la gente
delle Valli riscopra questa sorgente
insostituibile della «vita spirituale»:
insostituibile ed inesauribile, come dimostra J. David Turin nei suoi scritti.
Ma non è forse un circolo vizioso pregare per il Risveglio, se non si è « ris\ egliati »?
Vengono quindi formulate varie proposte: diffondere la Bibbia e la liturgia della Chiesa, preparare un « Manuel pour le chrétien ou la Journée
chrétienne », un « Manuel pour le culte domestique ». Si invitino pastori e
anziani a « presiedere nei limiti delle
loro possibilità, il culto domestico nelle famiglie »; i « fedeli portino la Bibbia al Culto domenicale »; si celebrino
« culti regolari presieduti dagli anziani nelle scuolette dei quartieri »; infine « riunioni di preghiera nelle singole
famiglie ».
La Tour-Pélis segnala: nove « riunioni religiose » sono state istituite a metà novembre con la collaborazione di
« anziani, maestri, studenti del Collegio » [ben tornata cara e vecchia Pradeltorno degli studenti del Collegio, rinata nel 1973]; «cibiamo la gioia di
vederle seguite con interesse da un numero assai notevole di uditori (cinquecento circa) ». Il pastore è ammalato,
un buon numero di « fedeli » si riunisce in preghiera.
MAGGIORANZA SILENZIOSA
Questa locuzione, a torto o a ragione da tanti sfruttata oggi nel campo
religioso e politico — e religiosamente
politico o politicamente religioso che
dir si voglia — è ignota 100 anni fa.
Il fenomeno che essa definisce è per
altro già in atto, anche se non gli si
dà ancora un significato così pregnante come oggi, e viene spesso inteso in
chiave moraleggiante.
Comunque L’Echo consacra parecchi articoli ed un tentativo di analisi
psicologica a questo « silenzio » ecclesiastico, « lors qu’on presse » i fedeli
a parlare, ad esprimere un parere, ad
intervenire discussione, « cilovs
siìpticp cofYiiyl^^ * tutto táce, nel tem*
¿0 ma fuori..., oh fuori le bocche si
aprono le lingue « vont leur tram »;
i Verbali delle « Visite di Chiesa » (allora si chiamavano «Visites pastora
di ieri e forse di oggi («cordando oiga sibuie
les ») sono redatti e firmati; ma come
formulare il « silenzio »?
IL SILENZIO È D’ORO?
Perché la gente tace? Il direttore
delTEcho (1873 - E. Malan) riconosce
la difficoltà di esprimersi « en français ou en italien »; ci sarebbe il « patois », ma non sembra degno del
« temple » [il movimento occitanico
deve ancora esser scoperto]; c’è poi
la timidità, la mancanza di coraggio
e, perché no, la « défiance » che sarebbe, secondo il nostro direttore (sempre E. Malan - 1873) una conseguenza
dell’oppressione « du régime séculaire
du silence imposé à notre peuple ».
Uno spunto che, cento anni dopo, potrebbe forse essere non inutilmente ripreso ed approfondito, anche, ancora
forse, con riferimento alla influenza
del « silenzio » fascista — [« qui non
si parla di... »] — sulla deformazione
('ella psiche o mentalità che dir si voglia [«Taci, il nemico ascolta»].
Ha perfettamente ragione il direttore dell’Eco, quando scrive che « ces
raisons n’expUquent pas tout », anzi
che esse non spiegano niente, perché
cento anni fa (come cento anni dopo)
la libertà c’è; ma il silenzio è sempre
d’oro per i membri di Chiesa, ivi compresi quegli strani esseri più spirituali che sono i membri elettori, i quali
si agitano e parlano solo quando è in
gioco quello strano privilegio che è
la nomina, o elezione che dir si voglia,
del pastore. Allora si formano « partiti », si scopre che le liste elettorali
non esistono o sono manipolate, che
« les mobiles sont tout autre que sérieux », che l’interesse personale, « les
intérêts mondains sont en feu bien
plus que la piété et la satisfaction des
besoins religieux ». [Poiché « dans une
paroisse voisine » tutto ciò è venuto a
galla, ci si astiene dallo specificare se
questi « interessi mondani » siano da
attribuirsi al pastore, ai candidati, al
concistoro, o ai membri elettori].
.A La Tour Pélis queste cose non succedono, per fortuna; il signor Weitzecker è stato eletto con 102 voti su
124. Ma i membri elettori sono 300!
Non soltanto tace, ma dorme la maggioranza silenziosa.
L. A. Vaimal
£ con grande tristezza per il crudele
distacco che desidero qui ricordare Olga Sibille come l’ho conosciuta nei
quattro anni in cui siamo state colleghe nella scuola media statale di Torre
Pellice, condividendo esperienze delusioni, speranze.
Bisognava infatti esserle vicini — riservata e modesta com’era — per scoprire tutto il valore della sua personalità. Come se fosse ancora con noi voglio esprimerle la mia riconoscenza per
la collaborazione intelligente e preziosa
che sempre ebbi da lei, nella sua qualità di vice-preside, con il suo dono di
capire le persone e di valutare con
equilibrio — e anche con fine umorismo — le varie situazioni.
Non si lasciava minimamente assorbire dalla preoccupazione per le sue
condizioni di salute: era aperta e sensibile a ogni problema del mondo che
ci circonda e la sua dedizione alla scuola e agli allievi era autentica, in una
visione moderna, attenta ad ogni rinnovamento.
Non dimenticheremo Olga Sibille,
una credente che viveva la sua fede nel
concreto dell’attività di ogni giorno.
Mirella Bein Argentieri
Collegio Valdese
L’inaugurazione dell’anno scolastico
1973-74 avrà luogo il 3 ottobre alle
ore 15 nell’Aula Sinodale della Casa
Valdese a Torre Pellice.
La prolusione sarà tenuta dal prof.
Ermanno Armand Ugon sul seguente
tema: « Ricordi di un resistente italiano in Jugoslavia ».
Pomeretto
Domenica 7 ott.
avrà luogo il cullo
la domenicale.
Catechismi: sai?
14: primo anno; ;
no; ore 16: terzo
to anno.
Nell’atrio della
gli elenchi delle e
Scuola Latina nei
anno.
jbre alle ore 10,30
di inizio della scuo
alo 13 ottobre ore
ile 15: secondo anaimo; ore 17: quar
c diesa sono esposti
Rerte raccolte prò
arimi mesi del corr.
!:ili
SAN GERMANO CHISONE
Due visite significative
Siamo stati assai riconoscenti per la presenza di due membri della CEVAA in occasione
del culto di domenica 16 settembre. Il pastore Samuel Raapoto ha tenuto la predicazione,
mentre il pastore Maurice Pont ha illustrato
il significato della CEVAA a partire dalle varie Chiese che ne fanno parte. Nel pomeriggio
i nostri ospiti hanno fatto una breve « incursione » ai Martinat, dove sono stati accolti
dall’anziano Guido Robert e dalla Signora,
che ringraziamo. Ci siamo rallegrati di vedere
che le condizioni della strada che mena a quel
quartiere sono notevolmente migliorate, grazie al lavoro degli abitanti ed alla comprensione delle autorità comunali.
Rinnoviamo i nostri auguri più fraterni ad
Aldo Maurin ed Anna Giaveno il cui matrimonio è stalo celebrato nel nostro tempio, sabato 22 settembre.
Lunedì 24 i parenti degli alunni che frequentano la Scuola Latina da San Germano si
sono riuniti con due rappresentanti del Comitato del Collegio e tre del Corpo insegnante
per mettere a punto alcune questioni pratiche
in vista della ripresa delle lezioni. Ricordiamo
che Vinaugurazione delVanno scolastico avrà
luogo domenica 30 settembre, alle ore 15, a
Pomaretto.
Martedì 25 i monitori (che sono quest'anno
e per ora « soltanto » delle monitrici) si sono
riuniti per fissare la ripresa dell’attività. Il
culto di apertura della Scuola Domenicale
avrà luogo domenica 14 ottobre, in comune
con gli adulti, alle ore 10,30. Domandiamo
però ai bambini di giungere al tempio non
più tardi delle ore 10 per le iscrizioni e le
istruzioni del caso. Alla fio- del culto i bambini si fermeranno ancora alcuni istanti per
prendere contatto con le Lua monitrici rispettive. Ci rallegriamo perchi Rosanna Pireddu
inizia il suo lavoro di n!-M;'(irice ma diciamo
sin d’ora che è assolutaiaunte necessario di
trovare almeno due moniiori o monitrici.
Le iscrizioni per la Scuola Materna vanno
fatte entro e non oltre i! 10 ottobre, versando L. 1.000 e presentandi ii certificato di nascita e di vaccinazione. TS'ui aspetta^ all’ultimo momento!
Le prossime riunioni '| iiartierali avranno
luogo, salvo difficoltà impreviste, mart^ì 2
ottobre ai Chìabrandi, mei -oledì 3 ai Gianassoni, venerdì 5 ai Gondiiii. Nel corso di questo riunioni le monitrici parleranno del lavoro
della Scuola Domenicale u desiderano avere
un incontro coi genitori interessati. Una riunione specialmente intesu per i genitori dei
quartieri del centro avrà luogo nella saletta
delle attività martedì 16 ottobre alle ore 20,30.
iiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitmiiiiiiiiiinHiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiitiiMiiii
Doni prò Eco-Luce
Giordano Bensì, Latina L. 3.000; Virginia
Castagneri, Prarostino 1.000; Ada Bertalot,
Luserna S. Giovanni 500; Graziella Jalla, Torre Pellice 2.000; G. e D. Quara, Torino 1.000;
N.N., Torino 2.000; M. Ganìère-Gay, Svizzera
250; Linette.Cesare, Torre Pellice 1.000: Marcella Gay, Pinerolo 10.000: Luigi Falbo, Mestre 1.000; Renata Jalla, Luserna S. Giovanni
5.000; Anna Bonjour, Sanremo 500.
/ lettori ci scrivono
Uno pseudoecumenismo
da respingere
Caro Gino,
nella tua risposta a Franco Falchi mi sembra non ti saresti dovuto limitare a non condividere il suo afflato mistico. Forse ti è sfuggito il fatto che il Falchi torna a presentarsi
in modo intollerabile come valdese (sia pure
tra virgolette) per insinuare in un suo scritto
che fa passare per « nostro », quale atteggiamento dovremmo « noi » avere verso la chiesa cattolica. Cito : « la fondamentale differenza con tutto il nostro atteggiamento verso la
Chiesa Cattolica »; « Credo che forse ero l’unico italiano, certo l’unico "Valdese” a portare
nel cuore in quei momenti la nostra cara
Chiesa Valdese » (sottolineature mie). Dico
che il Falchi torna a presentarsi come valdese, perché già fece questo discorso circa 10
anni fa. Poiché il Falchi era valdese ma "si
fece cattolico per una concezione tutta sua. o
tutta cattolica, dell’ecumenismo. A quel tempo scrissi una risposta ad un suo articolo in
cui lasciava intendere di essere valdese (con
o senza virgolette poco importa) dal titolo
« Chi è il Signor Franco Falchi? ». Non ricordo se rispose o meno; comunque non smenti di essere un membro di santa romana chiesa. Ora siamo da capo. 0 forse il Falchi è ritornato ad essere membro di una delle nostre
chiese? Ma in questo caso penso, e spero, che
si sarebbe saputo. Lasciando quindi da parte
questa lontana ipotesi, vorrei precisare che
ritengo ognuno sia libero di confessare la sua
fede come meglio ritiene, ma che la prima
regola di ogni vero ecumenismo (o più semplicemente di una minima correttezza) è che
ognuno si presenti con sincerità per quello
che è. se valdese, valdese; se cattolico, cattolico. Se poi qualcuno si sente al di sopra dei
muri che dividono tuttora le chiese (come se
ben ricordo affermava dieci anni fa il Falchi),
si presenti pure come tale, ma eviti di presentarsi subdolamente come valdese per introdurre « dall’interno » il discorso che gli sta a
cuore. Di questi sistemi pseudo-ecumenici facciamo volentieri a meno.
Torino. 22 settembre 1973.
Fbanco Giampiccoli
Il museo di Rorà
Sistemare una vecchia casa a museo non è gran cosa ma può significare qualcosa se, come già avvenuto a Frali, si tratta di avere una occasione per interessare i turisti alla vita ed alla testimonianza dei
credenti che hanno abitato la zona nel passato.
Dopo il museo di Frali è ora agibile
anche quello, più modesto, di Rorà;
sembra che pastori e comunità delle
Valli si siano impegnati quest’estate
nella organizzazione di musei! A dire
11 vero quello di Rorà è il più antico
museo delle Valli ed ha già una lunga
storia; si deve infatti all’iniziativa ed
alla volenterosa collaborazione del
past. Gustavo Bouchard e del dott.
Dario Varese, rorengo d’adozione fra
i più affezionati. È passato dalle scuole in una casa privata, ha trovato ora
la sua sistemazione nella casa del camoscio di proprietà del Concistoro.
Avevamo dato ai nostri lettori una notizia lo scorso autunno circa questo
progetto e la costituzione di una Società di amici per tutelare il patrimonio rorengo: questi progetti si sono
puntualmente attuati nel mese di agosto.
Un gruppo di giovani provenienti
da Pinerolo, Torino e Gallarate hanno, in una settimana, ripulito l’interno della vecchia casa, parte degli infissi e soprattutto, con opera coraggiosa e forte dose di pazienza, riportato a nudo il soffitto di legno della
vecchia cucina malamente imbiancato.
E stata una settimana ricca di esperienze comuni e di emozioni e le giornate sono trascorse più rapidamente
del previsto. Nel complesso una esperienza nettamente positiva sia per lo
affiatamento dei partecipanti die per
la collaborazione da parte di molti. La
sistemazione degli oggetti e dei documenti è provvisoria ma tale da permettere una prima visita, ulteriori lavori nel corso delle estati che verranno ci permetteranno di migliorare ed
arricchire questa prima opera.
Sistemare una vecchia casa a museo
non è gran cosa ma può significare
qualcosa se, come già avvenuto a Frali, si tratta di avere una occasione per
interessare i turisti alla vita ed alla
testimonianza dei credenti che hanno
abitato la zona nel passato.
Uno strumento da utilizzare insomma come possibilità di evangelizzazione nel presente.
Il giorno dell’apertura del museo, il
12 agosto, ha avuto luogo nella sala
valdese delle attività la riunione preannunziata per la costituzione di un
gruppo di amici di Rorà, rorenghi e
villeggianti, in vista non solo di procedere nella sistemazione del Museo
ma per suscitare tutte le iniziative atte a promuovere l’interessamento per
la nostra valle. Questa associazione ha
assunto il nome di « Società di Studi
Rorenghi », titolo un po’ troppo importante per la sua modestia, dirà
qualcuno, ma poco importa l’essenziale è che qualcosa si sia fatto e soprattutto che in questo giro di iniziative
siano coinvolti i rorenghi stessi, affin
Villar Penosa
I cadetti di Agape
rispondono a G. Gönnet
Vogliamo rispondere alla lettera di
Giovanni Gönnet apparsa su « Nuovi
Tempi » (26 agosto ’73) ed « Eco-Luce »
(agosto ’73) in quanto desideriamo
chiarire alcuni punti.
Il campo su Valdo a cui abbiamo
partecipato non presupponeva necessariamente uno sbocco teatrale, men
che mai in occasione dell’ottavo centenario, anche se lo si poteva pensare
data la nostra recente esperienza teatrale sulla rivolta dei contadini del
1525.
Fare del teatro è stato per noi un
modo di inserirci nella realtà, proponendo al pubblico le conclusioni maturate durante i campi di studio su
Lutero e Muntzer: interpretare la storia in un modo diverso dalla storiografia ufficiale.
Sicché il nostro teatro non può essere definito « finzione », tanto più che
parte fondamentale dello spettacolo è
stato sempre il dibattito con il pubblico; momento di reciproca maturazione e apertura alTesterno.
Il lavoro che ci proponiamo di portare avanti è la nostra pratica politicosociale, è il continuo dibattito interno
sul lavoro che svolgiamo nelle nostre
città, è un insieme di esperienze umane, di gruppo, di collettivizzazione di
problemi, e di ricerca teorica su alcuni temi (ad esempio la riforma).
Al solito, appena succede qualcosa
nel mortorio generale valdese, tutti
gridano all’evangelizzazione, tutti vogliono pianificare o indirizzare il lavoro altrui, delegando agli altri, magari ai « giovani » i loro pruriti di povertà evangelica o di predicazione sulle aie...
Noi cerchiamo di impostare dei rapporti chiari fra di noi di autonomia
e di egualitarismo nel nostro gruppo,
in cui si trovano atei e credenti, proponendoci finalità materiali, concrete,
visibili nel rispetto di chi confessa la
sua fede in Cristo.
ché tutto quanto si è fatto e si farà
sia non decisione presa da estranei
ma qualcosa che si sente come proprio. Il seggio regolarmente eletto in
quella seduta ha come membri il sig.
Gian Carlo Longo (per il Comune), Ermanno Tourn (per il Concistoro),
Giorgio Tourn (per la Società di Studi Valdesi), Roberto Morel e la sig.na
Laura Coucourde. Si provvederà quanto prima ad aprire un Conto Corrente
Postale, come ogni associazione che
si rispetti, invitando amici e rorenghi
emigrati ad intervenire con contributi ed aiuti.
Giorgio Tourn
Rorà
Ringraziamo i Pastori sig.ri D. Curtet del
Cantone di Vaud e Frédéric Randriamamonjy
dell’isola di Madagascar, del Consiglio della
CEVAA i quali hanno presieduto il Culto domenicale come annunziato.
— Nel Tempio il Pastore sig. Giorgio Tourn
ha unito in matrimonio il sig. Roberto Charbonnier con la sig.na Doris Bonjour entrambi
di Torre Pellice e ha invocato la benedizione
divina su loro e sulla loro unione. Fervidi auguri nel Signore.
— Nella sala della attività ci sono state
date due Serate con belle ed interessanti filmine e proiezioni luminose dal Prof. G. Gönnet e dai sig.ri Cassanallo qui in villeggiatura : rinnoviamo loro i nostri vivi ringraziamenti.
Collettivo Bonhoeffer
Torino, 18 settembre 1973
Cari fratelli,
come concordato nell’ultima riunione di
giugno, il collettivo riprenderà le sue attività
DOMENICA 30 SETTEMBRE - ORE 15
in via Pia V 15, Torino (I p.)
(e non come comunicato erroneamente ad alcuni da Paolo Ricca a Torre Pellice), con una
ASSEMBLEA
in cui sarà definito il programma di quest’anno, la sede, l’organizzazione logistica, ecc. È
quindi particolarmente importante la partecipazione a questo incontro che, per non terminare troppo tardi, dovrà iniziare puntuale
alle ore 15.
Questa circolare-invito è mandata a tutti ì
partecipanti dell’anno scorso, e ad altri, in
doppia copia, in modo che ciascuno possa passarne una copia ad altre persone eventualmente interessate.
Con un cordiale e fraterno saluto.
Franco Giampiccoli
RINGRAZIAMENTO
La sorella ed i nipoti del compianto
Federico Marauda
riconoscenti per le prove di simpatia
ricevute per la dipartita del loro caro, ringraziano tutti coloro che con
fiori, scritti e di presenza, hanno preso parte al loro dolore. In modo particolare ringraziano il Dott. Gardiol,
il personale dell’Ospedale Valdese di
Torre Pellice, il sig. Cesare Spialtini
ed i Pastori Bertinat e Jahier.
Luserna S. Giovanni, 20 sett. 1973.
« Il nostro Dio è nei cieli ; Egli ha
fatto tutto ciò che gli è piaciuto» (Salmo 115: 3).
Il Signore ha richiamato a Sé
Olga Sibille
A funerali avvenuti, ne danno il doloroso annuncio: mamma, sorella, cognato, nipoti, padrino e madrina, parenti tutti.
La famiglia ringrazia il Dott. Gardiol, il personale dell’Ospedale Valdese di Torre Pellice, il Pastore Taccia
e tutti coloro che hanno preso parte
al suo dolore.
Torre Pellice, 25 settembre 1973.
Gli amici cari di Olga La ricordano
con grande affetto.
Preside, colleghi, personale non insegnante e alunni della Scuola Media « Leonardo da Vinci » di Torre
Pellice annunciano con profondo dolore la scomparsa della vice-preside
Prof. Olga Sibille
e ne ricordano a tutti le doti di intelligente bontà.
6
pag. 6
I NOSTRI GIORNI
N. 38 — 28 settembre 1973
Un calo preoccupante e colpevole, secondo il direttore deH’UNESCO
Il "perchè" e il "conie" dell'iiuto interniizionale
Evangelo e comunicazione di massa
Alcuni cronisti non esitano a parlare di « crisi dell’aiuto ». L’espressione
è certamente esagerata. Considerando
— come si deve — la situazione nel
suo insieme, non si impone tanto una
constatazione d’insuccesso o una rinuncia, ma la lucida ammissione che
certe idee e certe prassi devono essere riviste e modificate più o meno profondamente, per impegnare l’aiuto internazionale a favore dei paesi in via
di sviluppo, in una nuova fase più realistica.
La prima revisione riguarda la valutazione delle possibilità dell’« aiuto »
e dei risultati che si possono attendere. Nel 1971 l’aiuto pubblico non rappresentava che lo 0,35% del prodotto
nazionale lordo (pnl) dei paesi industrializzati, cioè esattamente la metà
dell’obiettivo fissato per il Secondo
decennio di sviluppo; l’ultimo rapporto del Comitato d’aiuto allo sviluppo,
dell’OCDE, segnala che nel 1972 quest’aiuto, anziché progredire, è calato
allo 0,34%: il valore in denaro di versamenU e interventi di vario genere
qualificabili come assistenza, è in regresso relativo, cioè occupa nell’insieme dell’economia dei paesi sviluppati,
a Ovest come a Est, un posto meno
importante che nel decennio scorso.
Poiché questa economia è in espansione costante, il calo non può avere
spiegazioni economiche: comunque si
cerchi di giustificarlo, rappresenta una
volontà politica. E proprio questo è
grave.
CORREGGERE LE CAUSE
DEL MALE
Nella situazione attuale, l’aiuto non
è ancora in grado di avere un ruolo
immediato di primaria importanza nel
riassorbimento dello scarto fra paesi
sviluppati e sottosviluppati. In particolare l’aiuto internazionale può costituire, nell’insieme dello sforzo per lo
sviluppo, solo un elemento forse qualitativamente importante, ma quantitativamente secondario.
Per dare alla progressiva riduzione
del sottosviluppo e della disuguaglianza nella condizione umana fra i popoli un contributo conforme alle dimensioni del problema, l’azione internazionale deve impegnare maggiormente i
suoi sforzi in una direzione che gli
permetta di toccare e correggere le
cause stesse del male. Valorizzazione,
e non più deterioramento com’è stato
finora, dei termini di scambio a favore dei paesi sottosviluppati, riorganizzando metodicamente il commercio
mondiale, a cominciare dai prodotti
base; abbassamento massiccio, con un
nuovo regime di brevetti, del costo generalmente assai alto, se non proibitivo, del trasferimento della tecnologia
di cui questi- paesi hanno un bisogno
vitale; e revisione delle condizioni di
sfruttamento della tecnologia straniera, nel senso di rafforzare l’economia
nazionale e non, com’è spesso il caso,
nell’interesse prevalente delle società
multinazionali senza patria. Tali misure, che rientrano in una riforma in
profondità del sistema generale dei
rapporti economici internazionali,
avrebbero efficacia più immediata e
più radicale che l’aiuto.
RIVEDERE IDEE E PRASSI
Vuol questo dire che l’aiuto ha solo
più un ruolo accessorio nella strategia d’insieme dell’azione internazionale? Niente affatto. Credo invece che,
istruiti da un’esperienza già abbastanza lunga, siamo attualmente in grado
di concepire per l’aiuto un ruolo di
grande importanza e nuovo, sotto molti aspetti. Ma per questo ci vuole una
revisione profonda delle concezioni e
delle prassi finora in vigore.
Anzitutto, capiamo meglio che l’aiuto, finanziario o tecnico, è tanto più
utile quanto più si prefigge lo scopo
di facilitare la creazione o il rafforzamento, nei paesi beneficiari, di strutture e di quadri che servano allo sviluppo endogeno di questi paesi. Tendendo ad accrescere il loro potenziale
più. che il loro reddito attuale, questa
azione ha necessariamente una prospettiva a medio e lungo termine, e
non immediata.
In secondo luogo, risulta sempre più
chiaro che l’aiuto internazionale, anche se non può naturalmente intervenire se non nel quadro di una coopelllllllllllllllllillllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllll
Il Partito
socialdemocratico
tedesco
contro gli scioperi
a « gatto seivaggio »
Il Comitato direttivo del partito socialdemocratico della Germania federale si è pronunciato nella sua quasi totalità contro gli
scioperi a « gatto selvaggio » : 25 su 30 dei
membri del comitato direttivo hanno infatti
approvato le dichiarazioni del Cancelliere
Brandt (presidente del partito) il quale aveva giudicato che le prese di posizione degli
« Jusos » (giovani socialisti) in favore degli
scioperi a « gatto selvaggio » sono « dannose
al partito e compromettono la necessaria solidarietà del partito con i sindacati ».
Il segretario generale federale del partito,
Boerner, ha dichiarato che questo volo del
comitato direttivo è imperativo e tutti i membri deirSPD debbono accettare questa decisione che pone fine alla discussione apertasi
all’interno del parlilo.
razione leale con i governi interessati
e su loro espressa richiesta, deve evitare di contribuire, volutamente o involontariamente, al consolidamento sistematico dello statu quo economico
e sociale. Poggiando interamente sulla
nozione di giustizia in fatto di distribuzione fra gli uomini dei mezzi per
avere e per essere, l’aiuto internazionale non può impegnarsi per correggere le ingiustizie che caratterizzano
questa distribuzione a livello internazionale, senza preoccuparsi anche di
quelle esistenti a livello nazionale. Da
questo punto di vista, il modo in cui
il prodotto nazionale lordo è ripartito
fra i cittadini di un dato paese merita di essere preso in considerazione
quanto le condizioni da cui derivano
le disuguaglianze fra i pnl dei vari
paesi del mondo. La causa dello sviluppo è quindi oggettivamente legata
a quella del mutamento; e l’aiuto internazionale deve sostenere iniziative
innovatrici.
In terzo luogo, il contributo delle
organizzazioni internazionali dev’essere concepito e praticato sempre meno come un apporto di risorse aggiuntive alle risorse nazionali, ma anzi
presentarsi e attuarsi sempre più come un mezzo per favorire la mobilitazione più vasta e la migliore utilizzazione di queste risorse. Infatti, non
dimentichiamolo, lo sforzo nazionale
rappresenta in media T80% del processo di sviluppo e il maggiore servizio che ci si può attendere dal 2%
rappresentato dall’aiuto internazionale non sta tanto in ciò che esso può
aggiungere quantitativamente a mezzi
impegnati da questo sforzo nazionale,
quanto nel valorizzare quest’ultimo.
Bisogna quindi che l’elemento di origine internazionale si integri sempre
più nel sistema nazionale.
LO SVILUPPO È AFFARE DI TUTTI
Infine, più la cooperazione s’inserisce nel processo nazionale di sviluppo, più naturalmente è portata a dare ampio spazio ai fattori culturali. Lo
sviluppo culturale appare non come
un lusso che si aggiunge al necessario
dello sviluppo propriamente detto, ma
come una dimensione essenziale, un
elemento decisivo dell’insieme del progresso. Solo a questa condizione si
potrà evitare il temibile interrogativo:
sviluppo, a che scopo?, analogo all’altro: sviluppo, per chi? — o, meglio, vi
si potrà rispondere. E al tempo stesso avremo pure risposto all’interrogativo: sviluppo, per mezzo di chi? No,
lo sviluppo non è affare dei tecnocrati.
Tecnica: scienza dei mezzi; politica:
arte delle scelte d’azione; cultura: coscienza intuitiva o riflessiva dei valori che definiscono i fini — questi tre
fattori sono indissolubilmente uniti.
Perciò lo sviluppo, impresa umana totale, è affare di tutti.
René Maheu
{Informations UNESCO)
CONTRO IL RAZZISMO E PER L’INDOCINA
Il nostro fondo di solidariotà
Pubblichiamo qui appresso un nuovo
elenco delle sottoscrizioni pervenuteci.
Come già abbiamo avuto occasione di
ricordare ai lettori, attualmente il
« fondo di solidarietà » del settirnanale
è rivolto verso due obbiettivi: il programma di lotta antirazzista e quello
di ricostruzione in Indocina, ambedue
realizzati dal Consiglio ecumenico delle
Chiese.
Attendiamo di raggiungere una cifra
di almeno mezzo milione per iniziativa,
dopo di che provvederemo ad un pronto reinoltro delle somme. Ricordiamo
che le sottoscrizioni vanno inviate al
conto corr. postale n. 2/39878 intestato
a Roberto Peyrot, corso Moncalieri 70,
Torino, indicando la causale del versamento. In mancanza di indicazioni,
provvederemo noi stessi a destinare le
cifre ali’una o alTaltra iniziativa.
Gigi e Nadia (due vers.) L. 40.000; Inno
135 2.000; N.N. con simpatia (due vers.);
10.000; S. Longo 5.000; E.G. 10.000; P. Corbo (due vers.) 6.000; R. Grillo 2.000; E.V.
5.000; G. Laetsch 5.000; S.C. 10.000; A. Longo 10.000; G. Conti 10.000; Scuola domenicale Pinerolo, 6° gruppo 10.000; G. Comba
50.000.
Totale L. 175.000; prec. L. 642.455; in
cassa L. 817.455.
/segue da pag. 1 )
è una predicazione necessaria, ma è
anche sempre esposta al rischio di
aver di mira lo stereotipo anziché la
realtà effettiva dell’altro, e di non saper sempre accettare per sé il giudizio della Parola di Dio con la stessa
docilità che vorrebbe vedere in altri.
Gli studi biblici tra gruppi parrocchiali o altri sono ottimi nella misura in
cui effettivamente portano a un confronto con la Parola di Dio che riforma tutti coloro che Tascoltano veramente, ma possono anche diventare
un cedimento alla moda del tempo e
un alibi per giustificare carenze di impegno in altre direzioni. La critica all'istituzione ecclesiastica ed alle sue
compromissioni è senza alcun dubbio
giusta e salutare, ed è oltre a tutto
corretto inserirsi in un rapporto di
collaborazione reciproca con chi parte da un orizzonte diverso dal nostro,
affinché la critica alla nostra istituzione possa avere quelle sfumature che
una semplice autocritica forse non
avrebbe; e tuttavia anche in questo
caso si può correre il rischio di rimanere a livello di gruppi intellettuali
senza potere (o senza veramente volere) coinvolgere il « semplice, laico » in
un movimento che, criticando l’istituzione, non scardini ma rinnovi e approfondisca la comunione fraterna fra
i credenti.
Questa molteplicità di rapporti con
i cattolici ci sembra pienamente legittima perché, oltre tutto, risponde alla
varietà delle persone e delle situazioni che si presentano nel cattolicesimo;
si tratta pur tuttavia di non mai assumere uno di questi tipi di rapporto
come buono di per sé, ma di commisurarlo invece costantemente alla Parola di Dio e alla realtà dell’altro.
RAPPORTI CON LA FEDERAZIONE
GIOVANILE (EGEI)
Due problemi sembrano presentarsi
sotto un aspetto prevalentemente organizzativo, ma costituiscono in realtà problemi di fondo. Il primo è il rapporto tra la Federazione e la FGEI.
Dal punto di vista organizzativo si è
rilevato che, per imperfezione dello
Statuto della Federazione, la rappresentanza della FGEI in seno al Consiglio della Federazione è molto meno
effettiva di quanto non solo sarebbe
desiderabile ma pure era nelle intenzioni dell’Assemblea costituente. (Si
tratta del fatto che il membro del
Consiglio della Federazione, eletto co"
me rappresentante della FGEI, mantiene il suo incarico nel Consiglio anche quando abbia cessato di far parte
della FGEI. Una proposta di modifica
UN UOMO
CHE HA
DELLE IDEE
« ...Le opere
di Solgenizin, ha
dichiarato lo scrittore Sourkov, sono
più pericolose, per noi, di quelle di
Pasternak. Pasternak era un uomo disgustato della vita, mentre Solgenizin
ha un temperamento vivo, battagliero,
ideologicamente determinato.
È un uomo che ha delle idee ».
(Citato dal mensile svizzero « Guilde
du Livre », Losanna settembre 1973).
Il Sourkov ha ragione. Già nelle opere di Pasternak le autorità sovietiche
avevano chiaramente intuito il pericolo: quello d’un grande scrittore che
diffondeva antipatia verso il regime,
disgusto, sfiducia nell’avvenire L Ma
Solgenizin è dieci volte più pericoloso, perché è un cristiano di fede profonda e ardente, di speranza indomabile.
Da Solgenizin a Sakharov corre un
solo filo d’oro. Le loro voci armonizzano, la coerenza fra i due non potrebbe essere più stretta^. Ma Sakharov è un politico, o almeno un pensatore che parla un linguaggio politico
(discutibile quanto si vuole, ma certo
politico). Solgenizin è un filosofo, un
antropologo, un moralista, con accenti
universali e profondamente umani che
mancano a Sakharov. Citiamo ad es.
due passi dell’intervista concessa da
Solgenizin (nella settimana 20-26 agosto u. s.) ai corrispondenti di « Le
Monde » e dell’« Associated Press » (v.
« Le Monde » del 29.8).
« C’è una particolarità psicologica
nell'essere umano, che stupisce sempre: nella fortuna e nell’assenza di
preoccupazioni, l’uomo teme i minimi
disturbi persino alla periferia della
propria esistenza, egli si sforza di non
saper nulla delle sofferenze altrui (né
di quelle che l’attendono nell’avveni
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
cristiani a tale proposito (v. n. 35 del
7.9.’73 p. 2, art.
“Parole e silenzi’’)
IL CAVALLO
DI TROIA
' Nel romanzo « Il dottor Zivago » di Pasternak si nota, in modo evidenlis.simo, il distacco dei due piani di vita : quello soeiale da
quello individuale. Sono due tragedie, Luna
dentro l’altra. Il piano sociale serve da sfondo,
ma è estraneo ai veri interessi dell’autore : è
una tragedia che corre, per forza propria e per
vie proprie, verso un epilogo ignoto con la fatalità tipica del genio russo. Ma c veramente
ignoto l’epilogo? Soltanto un cenno fugace
sembra adombrarlo : il suicidio di Strèl’nikov
il marito della protagonista (v. cap. XIV, n.
18. Ediz. Feltrinelli).
^ Riconosciamo tale coerenza al dilà di divergenze su un pos.sibile piano d’azione (« Sakharov è un amico, ha detto Solgenizin, benché io non sia d’accordo con gran parte di ciò
ch'egli propone concretamente per il nostro
paese »).
re), cede su molte cose, ivi compreso
ciò ch’è importante, morale, essenziale, al solo scopo di prolungare la propria felicità.
Ma all’improvviso, giunto agli estremi limiti, quando l’uomo è già miserabile, nudo e privo di tutto ciò che
sembra abbellire la vita, ecco che egli
trova in sé stesso la fermezza d’ostinarsi fino all’ultimo passo e di non
cedere, pur di non rinunciare ai propri principi. Costasse anche la vita!
(...) A causa del primo di questi due
atteggiamenti, l’umanità non può mantenersi su nessuna delle alte cime da
lei raggiunte. Ma grazie al secondo atteggiamento, essa è riuscita a risalire tutti gli abissi. Evidentemente sarebbe meglio che, quando l’umanità si
trova ancora sulle cime, essa prevedesse la caduta che l’attende e il prezzo che dovrà pagare, che essa facesse
prova di fermezza e di coraggio un
po’ prima del momento critico, che
essa sacrificasse meno ma più presto ».
Ed ancora (conclusione dell’intervista):
« Non sembra possibile accettare
l’idea che il corso mortale della Storia sia irrimediabile, e che lo spirito
fiducioso in sé stesso non possa aver
influenza sulle forze di questo mondo, anche sulle più potenti. L’esperienza delle ultime generazioni mi convince pienamente che solo l’inflessibilità
dello spirito umano, saldo sul fronte
mobile delle violenze che lo minacciano, e pronto al .sacrifìcio e alla morte
proclamando: "Non un passo di più!’,
solo questa inflessibilità dello spirito
assicura la vera difesa della pace dell’individuo, la pace di tutti e di tutta
l’umanità ».
Per queste e per innumerevoli altre
idee elevate c profonde, sparse a piene mani nelle sue opere e particolarmente nei suoi scritti di protesta contro l’oppressione soffocante dell’attuale regime della sua patria, Solgenizin
è particolarmente vicino al nostro cut>
re e alla nostra sensibilità di credenti.
Con lui, con Sakharov, con tanti e tanti altri intellettuali e non intellettuali,
credenti e non credenti perseguitati,
ci sentiamo intimamente solidali, né
mai più potremo dimenticare le loro
voci angosciate.
Siamo lieti che, su questo stesso
settimanale, Gino Conte già abbia indicato, in modo semplice e chiaro,
quale sia il più elementare dovere dei
« Oggi è chiaro che, non ostante
la sua elezione (che non poteva essere
più regolare) da parte del Parlamento cileno. Allende fu soltanto tollerato,
e molto provvisoriamente anzi, da una
gran parte degli effettivi detentori del
potere: Régis Debray rivela in un articolo del "Nouvel Observateur’’, che
già nel giugno scorso Allende non poteva più fare assegnamento che su 4
generali di carriera contro 18, e su un
quinto del totale degli ufficiali subalterni; la democrazia cristiana, la cui
adesione gli aveva permesso d’accedere alla suprema carica della magistratura, ben presto gli aveva ritirata, in
maggioranza, la propria fiducia; le
classi possidenti non avevano alcuna
simpatia per un regime che non nascondeva la propria volontà di voler
ridurre i loro privilegi. Conseguentemente la fuga dei capitali e dei cervelli non era stata ad aspettare l’insediamento di Allende al palazzo della
Moneda; le grandi compagnie americane, spodestate della proprietà delle
miniere di rame, erano decise ad abbatterlo. Né era evidentemente il caso di contare sul governo USA, per
aiutare una “testa di ponte del marxismo" a mantenersi nell’emisfero occidentale » (Da « Le Monde » del 21.9.
1973).
Allende fu una figura luminosa, d’altezza morale e d’integrità di coscienza estremamente rare fra gli uomini
politici. Lo abbiamo ammirato nella
intervista concessa a Roberto Rossellini e ritrasmessa alla TV la sera del
15.9. A una domanda rivoltagli da Enzo Biagi, il Rossellini ha risposto;
« Per Allende non esistevano due morali: quella politica e quella personale
privata. Era un uomo che credeva in
un’unica morale ».
Fu così che egli credette nei generali che poi lo tradirono con la massima infamia, e li accolse a condividere il potere. E fu così che si allevò la
serpe in seno o, se si preferisce, lasciò
entrare nella sua cittadella il cavallo
di Troja appositamente fabbricato dai
suoi nemici.
Tale essendo stata l’integrità del carattere di Allende, non meraviglia affatto ch’egli sia stato vinto ed ucciso.
Ma la sua idea non è morta con lui:
il mondo intero guarda all’opera che
egli tentò e cerca di trarne ammaestramento e consiglio.
dello Statuto sarà presentata opportunamente).
Il problema di un più intenso rapporto con la gioventù si pone però
non solo a livello di regolamenti e statuti, ma soprattutto a livello delle cose effettive da fare insieme, e dall’importanza di un apporto giovanile al
lavoro complessivo della Federazione.
Non vogliamo con questo idealizzare
la gioventù in quanto tale. Nella chiesa del Signore tutti sono ugualmente
membra del suo corpo, indipendentemente dall’età. Sta di fatto però che
secondo le caratteristiche proprie di
ciascuna epoca storica l’età ha differenti implicazioni. In una civiltà stabile sono gli anziani i depositari della
saggezza perché sono quelli che per
più lungo tempo hanno conosciuto e
vissuto i caratteri propri di quella loro civiltà; in una civiltà in rapido mutamento sono invece i giovani che
meglio conoscono il loro tempo perché sono stati formati in esso, mentre 1 più anziani hanno avuto le loro
esperienze determinanti e formative
in un’epoca ormai del tutto tramontata.
Non dunque per una idealizzazione
di principio della gioventù, ma per
una considerazione di carattere storico, e come tale soggetta a mutare, riteniamo che sia oggi importante dare particolare attenzione alla voce dei
giovani. In questo senso la FGEI, che
vive i problemi e i conflitti dell’oggi
con la precisa volontà di recarvi una
predicazione evangelica, potrebbe dare alla Federazione un contributo ancora più largo di quanto non sia avvenuto fino ad ora. Analogamente andrebbero trovate le vie per rendere
più profondi e funzionali i rapporti
tra il movimento giovanile e le Federazioni regionali.
I SERVIZI
Il secondo problema di tipo organizzativo ma con implicazioni di fondo riguarda i vari Servizi in cui si articola il lavoro della Federazione. L’operato di ciascuno sarà analizzato in
particolare sulla base di singole specifiche relazioni, per cui in questa sede ci limitiamo a considerazioni gene
rali. Il problema che i Servizi pongo
no si connette con il tipo di impegneche abbiamo in vista quando parliamo della nostra vocazione comune d'
predicare l’Evangelo. Come abbiamo
detto iniziando, tale vocazione si espii
merà organizzativamente mediante
quei Servizi che realizzino e favorisca
no la predicazione comune. Nell’esa
minare quindi l’operato di ciascurn
di essi e nell’indicare per il futuro le
loro linee di azione vanno tenuti particolarmente presenti i nessi molto di
retti che ciascun Servizio dovrà ave
re con una predicazione che vogli.i
consapevolmente essere evangelica c;
unitaria, ed andranno quindi opportu
namente potenziati quei Servizi che
più specificamente operano nella di
rezione indicata.
In particolare andrà esaminata in
questa luce l’ipotesi di organizzare
corsi biblici per corrispondenza e an
drà naturalmente rafforzato il Servi
zio cui vengono affidati.
Andrà inoltre discusse la questione
se la Federazione debba sostenere o
promuovere direttamente delle speci
fiche iniziative di lavoro sociale o se
il rispettivo Servizio debba limitarsi
a offrire uno strumento di collegamento fra le iniziative che già esistono
sotto la responsabilità di singole chic
se od opere; nella prima ipotesi andrebbe precisata l’eventuale strategia
di una tale linea di testimonianza.
LE FEDERAZIONI REGIONALI
A stretto rigore di termini l’Assemblea della Federazione non ha competenza per discutere e deliberare sull’operato delle due Federazioni regionali esistenti, quella apulo-lucana e
quella lombarda. Esse infatti, pur
operando in unità di intenti con la
Federazione delle Chiese, non hanno
con quest’ultima un rapporto di dipendenza organica. È tuttavia evidente che la Assemblea non può disinteressarsi di un aspetto così importante del lavoro complessivo nel quale essa stessa è impegnata. Se infatti il
funzionamento di determinati Servizi
avviene necessariamente a livello nazionale, è chiaro che il lavoro di base,
il contatto effettivo*tra diverse comunità, la scoperta della realtà della vocazione comune, avvengono principalmente a livello locale; il che, nella situazione di diaspora del protestantesimo italiano, significa in pratica a livello regionale. Ciò implica, da paite
dell’Assemblea, non solo il riconoscimento dell’importanza del lavoro regionale, ma la ricerca dei modi pei
favorirlo e consolidarlo lì dove esiste,
nonché l’individuazione delle zone in
cui potrebbe essere utilmente promossa la costituzione di nuove Federazioni regionali.
H Camera e Senato statunitensi hanno approvato il progetto di costruzione di un
grande oleodotto attraverso l’Alaska, destinato
a portare il petrolio dai giacimenti del Norlh
Slope al porto situato sulla costa alaskiana
meridionale, Valdez, facilitando l’imbarco e il
trasporto su petroliere.
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Coop. Tip. Subalpinn - Torre Pellice (Torino)