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Anno 118 - n. 39
24 settembre 1982
L. 400
Sped. abbonamento postale
I gruppo bis/70
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delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
INTERVISTA A PRIMO LEVI, VINCITORE DEL « CAMPIELLO »
La notizia del massacro di Sabra e Citatila giunge mentre impaginiamo un numero del giornale in cui trova largo spazio la
voce di ebrei che si sono dissociati con estrema chiarezza dalla
politica di Begin e dalla disastrosa avventura libanese in cui
Israele si è cacciato negli ultimi
mesi. Questo contesto per l’orrore e il dolore che esprimiamo
di fronte alla strage perpetrata
a Beirut, ci consente così di andare al di là di massicce condanne e di distinguere tra quanti
in Israele e nella Diaspora coprono e giustificano la follia di
chi pensa di poter risolvere i
problemi con gli stermini, e
quanti nella Diaspora e sempre
più in Israele, manifestano la
propria dissociazione.
La speranza che esprimiamo
oggi è che il numero di questi
cresca fino ad imporre un totale
cambiamento di rotta per Israele. Pur non potendo giustificare
la politica che ha calpestato i
diritti dei palestinesi dal ’48 in
poi provocando reazioni a catena, possiamo comprendere che
il popolo israeliano, assediato
dalla paura continua, abbia sostenuto una politica di guerra a
volte difensiva a volte istericamente preventiva. Ma col massacro dì Sabra e Chatila siamo al
di là della guerra, al di là dei
bombardamenti di Beirut, pur
già tremendi. Qui siamo nel puro e semplice assassinio indiscri
minato, compresi vecchi, malati,
donne, bambini, al di fuori di
quella violenza organizzata che è
la guerra. In Israele non si è certo disposti a far molto posto al
pacifismo, la g^uerra è in genere
ritenuta necessaria e legittima.
Ma un conto è combattere a viso
aperto contro chi si difende, un
conto è assassinare dì nascosto
gli indifesi.
È la tradizione ebraica stessa
a dar corpo a questa differenza.
Il verbo che nei 10 comandamenti vieta di togliere la vita all uomo non è mai usato per indicare
l’uccisione in guerra o l’esecuzione di una condanna capitale, bensì per mettere al bando l’assassinio singolo o collettivo. Ma seppur si sia finora coperto con altri termini la realtà della guerra
in Libano, di fronte alla carneficina che il governo di Begin ha
organizzato o per lo meno chiaramente consentito, che verbo
useranno gli israeliani? Non dovranno usare la parola alta e
perentoria delle Tavole della Legge, il « non uccidere » che hanno
ricevuto per primi tramite Mose? Non saranno costretti a riconoscere di essere andati contro
la loro più pura tradizione che
è diventata patrimonio inestimabile di tutta l’umanità? Non saranno perciò mossi sempre più»
sempre in maggior numero, a esigere la fine di un regime profondamente sbagliato che gronda
sangue e non fa che seminare altro sangue per il futuro?
Nahum Goldmann prima di
morire ha espresso la convinzione che nella lunga storia di Israe.
le il regime di Begin sarà solo
un episodio. Voglia Iddio affrettare il giorno che lo concluderà.
Franco Giampiccoli
Un itinerario di speranza
In una prosa affascinante» ricca di riferimenti biblici, l’autore di « Se non ora quando? » ci fa ripercorrere attraverso un’Europa ormai lontana un viaggio angoscioso ma ricco i speranza
Nel 1963 vinse il premio Campiello con « La Tregua ». Oggi il
Campiello compie vent’anni e il
primo premio, aggiudicato da
una giuria di 300 lettori, torna a
Primo Levi con il suo ultimo libro « Se non ora quando? ». E’ il
suo primo romanzo. Tutte le sue
precedenti opere erano libri-memoriali in cui il superstite di
Auschwitz testimoniava di quello che aveva visto e vissuto. Ora,
con questo libro destinato verosimilmente a diventare un classico nella nostra letteratura, i ri;
cordi autobiografici sono riletti
nella più vasta e fàntastica dimensione del romanzo.
Ma anch’esso è una storia vera. Se non nei personaggi, nel
fatto in sé. Perché l’odissea della banda partigiana ebrea che
attraversa l’Europa orientale e
arriva a Milano è un capitolo
reale della resistenza al nazifascismo, anche se poco conosciuto.
Generalmente quando si parla
di resistenza ebraica durante il
nazismo si pensa sùbito alla resistenza del ghetto di Varsavia.
Ma quello, benché glorioso, non
fu l’unico episodio. Altri ghetti
si ribellarono o furono annientati. Vi furono bande partigiane,
come quella di Cedale descritta
in « Se non ora quando? » che
attraversarono realmente l’Europa e finirono in Italia. Nella bibliografia consultata da Levi risulta per esempio un titolo di
un certo Kaganovic, scritto in
yiddish, che è un minuzioso diario depositato a Roma da una
banda partigiana ebrea che aveva attraversato mezza Europa.
Le bande partigiane ebraiche,
specie in Russia, ebbero vita difficile; da un lato l’Armata rossa
che avanzava non voleva formazioni autonome e dall’altra, si
capisce, c’erano i nazisti.
Bibbia e cultura
Il libro che abbiamo sotto gli
occhi è una complessa, affascinante avventura attraverso le
steppe, i villaggi., le foreste di
un’Europa ormai lontana. Anche
geograficamente distante. Eppure lo stile di Levi ti trascina a
ripercorrere questo viaggio angoscioso ma ricco di speranza.
Chi poi conosce la Bibbia ritroverà in queste righe molti richiami scritturali. In fóndo la cultura di Levi è anche una cultura
yiddish.
Ho cercato di verificare diret
tamente con l’Autore alcune inie
impressioni. Una prima questione è questa: fino a che punto la
Bibbia influenza questo romanzo, diciamo, storico? « La cultura ebraica, anzi le culture ebraiche — precisa Levi nella sua semplice ma accogliente casa torinese — sono bibliche per definizione. Io sono un laico ma ciò non
toglie che la Bibbia la conosca fin
da piccolo e ritengo che certe situazioni che la Bibbia descrive si
ripetano anche oggi. Fino a che
punto la Bibbia m'influenzi^ non
lo so, quello che posso dire è che
tra i libri che ho tenuto presente
nello scrivere "Se non ora quando?" c'è anche la Bibbia ».
Se lei potesse riscrivere oggi
— chiedo a Levi — il suo romanzo dopo l’aggressione di Begin
fuori dai confini di Israele, descriverebbe allo stesso modo le
vicende e i pensieri della banda
protagonista del libro?
« Considero un po’ un infortunio il fatto che questo libro sia
uscito poco prima che si scatenasse la guerra nel Libano e, consapevolmente o no, avrei spostato degli accenti per non mettere
in evidenza certi aspetti di vio
DAI CULTI MATTUTINI DEL SINODO
Sappiamo rivolger vocazione
Poi Gesù, partitosi di là, passando, vide un uomo, chiamato
Matteo, che sedeva al banco della gabella; e gli disse: Seguimi. Ed
egli levatosi, lo seguì. j.
Ed avvenne che, essendo Gesù a tavola in casa di Matteo, ecco,
molti pubblicani e peccatori vennero e si misero a tavola con Gesù
e co’ suoi discepoli. E i Farisei, veduto ciò, dicevano ai suoi discepoli’ Perché il vostro maestro mangia coi pubblicani e coi pecc^
tori“' Ma Gesù, avendoli uditi disse: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Or andate e imparate che cosa significhi: Voglio misericordia, e non sacrifizio; poiché io non son venuto a chiamar de’ giusti, ma dei peccatori. (Matteo 9: 9-13)
Il testo della vocazione di. Matteo ha una sequenza, assai schematica ch'e si svolge in pochi qua- .
dri ciascuno ben distinto dagli
altri. Innanzitutto Gesù, lasciando Capernaum, quasi casualmente scorge un uomo che siede « al
banco della gabella », che esercita cioè la discussa funzione di
esattore per conto del re Erode.
A quest’uomo, funzionario probabilmente corrotto di un sistema
sociale sicuramente iniquo, Gesù
rivolge una sola parola estremamente decisa: « seguimi ». E Matteo lo segue. ^ ,
Il primo « riquadro » è quindi
quello di un incontro ca.suale nel
quale una vocazione perentoria
riceve una risposta immediata;
ma il racconto scorre veloce quasi non siano questi gli elementi
che l’Evangelista intende sottolineare.
La scena cambia e Gesù si trova in ca.sa di Matteo, in compagnia di altri esplicitamente definiti peccatori; la convivenza, la
intimità che Gesù costruisce con
costoro scandalizza i benpensanti di turno che si rivolgono ai discepoli per chiedere loro conto
del comportamento del Maestro.
Ma ancora una volta l’inquadratura cambia repentinamente e
Gesù stesso impone la sua risposta, spiegando il senso del suo
comportamento e dando co.st ad
esso un significato ben preciso.
Questo secondo riquadro sembra
essere allora quello della « rivendicazione » e della spiegazione di
un comportamento che desta
scandalo: « non i sani hanno bisogno del medico bensì i malati ».
Gesù va ancora più a fondo e
polemizzando con i suoi pii denigratori li invita a ricomprendere le parole, a loro ben note, riportate da Osea: « voglio misericordia e non sacrifìcio ».
In questo testo schematico e
di poche righe emergono allora
una serie di problemi relativi alla vocazione: questa sembra essere immediata, per certi aspetti
casuale a tal punto che qitalcu
no conclude che « rivolgere vocazioni » è addirittura facile; eccolo allora impegnarsi a lanciare
messaggi secchi e perentori, spesso dogmatici e fortemente segnati da un’alta considerazione
del proprio ruolo di evangelizzatore.
Ma noi sappiamo di non essere altro che strumenti nelle mani del Signore, il solo che chiama; sappiamo di essere «servi
inutili » ai quali è certo affidato
un compito, ma ben consapevoli
di essere noi stessi oggetto della
grazia di Dio. Questa corretta
consapevolezza teologica non deve indurci, però, a tranquillizzare le nostre coscienze, liberandoci da una faticosa ricerca .sul nostro modo di essere, di vivere e
« comunicare » la fede: il nostro
immobilismo, del resto, la nostra ricorrente indifferenza, il disagio che proviamo neìl’accostarci a chi è più diverso da noi
non esprimono la nostra stessa
incertezza nel rispondere alla vocazione rivoltaci?
Un secondo elemento che emerge con forza dal testo è che la
dinamica della vocazione non si
esaurisce in una chiamata ed in
una risposta: Gesù non si limita
a lanciare un appello perentorio
ma subito « familiarizz.a » con colui che ha chiamato siedendo alla mensa corrotta dei pubblicani e dei peccatori; egli si spenPaolo Naso
(continua a pag. 8)
lenza. D’altra parte ritengo^ di
aver, rappresentato la realtà di
allora com’era quando questa
violenza era giustificata ».
Altra domanda; in « Se non
ora quando? » (questo titolo curioso è preso a prestito da una
massima di Rabbi Hillel, contemporaneo di Cristo, che dice:
« Se non sono io per me, chi sarà per me? Se non così, come?
E se non ora quando? », affermazione che riassume la tensione
di tutto il libro) ricorrono molte
frasi in yiddish. E’ la lingua dei
ghetti ebraici ma è anche un lessico affascinante; rappresenta
però la. cultura dell’autore?
« Prima di scrivere queste pa-,
gine — ammette Levi — mi sono
immerso per alcuni mesi nello
studio della lingua yiddish, una
lingua che in Italia è quasi morta ».
Letteratura ebraica
Come spiega il successo della
letteratura ebraica in questi anni?
« Domanda difficile. Ma forse
la risposta sta nel vantaggio che
la cultura dei gruppi che parlano un'altra lingua rispetto al paese in cui vivono, dei transfughi,
come per esempio la letteratura
dei negri d'America ha in generale sulle masse. Non dimentichiamo poi — aggiunge Levi —
che nella tradizione ebraica di
tutti i tempi e di tutti i luoghi
la cultura ha un’importanza grandissima. Non è mai esistito analfabetismo tra gli ebrei, si insegna a leggere la Torah ai bambini della nostra comunità a tre
anni... forse questa cultura che
impone di studiare a memoria
centinaia di pagine in ebraico
sembra spaventosa, ma non è
escluso che dia dei frutti. Non è
un caso che scrittori come Singer, Bellow o Roth .siano figli o
nipoti di rabbini ».
La banda partigiana ebraica
del suo libro, guidata da Cedale,
cammina verso la Terra Promessa, verso la libertà? « Sì, è un libro per la libertà, per l’autonomia, per il protagonismo. Per nOn\
essere più un popolo di reietti,
di emarginati ma un popolo capace di decidere il proprio destino... ». Il suo libro finisce con
l’arrivo della banda a Milano.
A due combattenti nasce un
figlio proprio il giorno in cui in
Giappone esplode la prima bomba atomica: proviamo ad immaginare il dopo. ■« Quel bambino —
dice Levi — oggi potrebbe essere
un terrorista o qualcosa di meglio. La banda partigiana potrebbe essere finita in Palestina perché questi ebrei partigiani davano fastidio a tutti, anche a certi
ebrei borghesi italiani. La gente
armata non piace a nessuno specie dopo che la guerra è finita.
a cura di
Giuseppe Platone
(continua a pag. 8)
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2 vita delle chiese
24 settembre 1982
UN UOMO CHE HA AMATO IL SIGNORE E LA SUA CHIESA
ALLE VALLI VALDESI
Enrico Geymet
Nell’attestato che i professori
della Facoltà di teologia rilasciarono al termine degli studi di Enrico Geymet si legge che « ha dimostrato sempre forte e tenace
volontà nel senso migliore ». È
un giudizio che esprime quello
che è stato il ministero di questo
servo del Signore.
Nato il 31 agosto 1904 a Vittoria, in Sicilia, rimase orfano di
padre in tenera età. Sua madre,
Luigia Bertalot, venne allora assunta come insegnante nelle
scuole valdesi di Carema in Valle d'Aosta. Qui per molti anni
esercitò il suo ministero ben al
di là del semplice insegnamento
scolastico. Enrico ne subì profondamente rinfluenza, tanto che
ancor giovanetto si sentì chiamato al ministero pastorale. Subito ebbe da affrontare la difficoltà di una fragile costituzione.
Inoltre aveva fatto degli studi
tecnici per cui dovette seguire dei
corsi integrativi di latino e di greco. Consegui il diploma di licenza
teologica con ottimi risultati.
Prestò servizio a Pachino
(1928-29) e ad Aosta (1929-30), poi
venne consacrato al ministero pastorale nel 1930. Eravamo allora
in cinque: Alfonso Alessio, Alberto Ricca, Lorenzo Rivoira ed Enrico Geymet. Sono tutti partiti e
chi scrive è l’ultimo rimasto e
li ricorda con affetto, in attesa
di essere chiamato.
Geymet fu inviato a Polonica
dove rimase per quattro anni. Gli
altri 41 anni vennero spesi al servizio delle Valli, alle quali era
profondamente attaccato.
Ricordiamo il periodo di Rorà dal 1934 al 1948. Nel 1936 sposava Eugenia Gabella che durante tutto il suo ministero gli fu
d’incalcolabile aiuto. La famiglia
venne presto allietata dalla nascita di Amalia. A quel tempo si
facevano sentire dei discorsi di
guerra, ma nessuno avrebbe potuto pensare che quest’angolo
remoto del Paese ne sarebbe stato coinvolto. In 18 mesi Rorà subì 11 rastrellamenti; vennero bru.
ciate 66 case e baite, uccisi 5
civili e diversi partigiani; 40 giovani vennero deportati e altrettanti si dettero alla macchia.
Dopo i 14 anni di Rorà i Geymet si trasferirono a Villar Penice e quindi a Villar Perosa per
altri 13 anni. Quest’ultima parrocchia ancora non- esisteva, e
toccò a lui di organizzarne la vi'ta ecclesiastica oltre che dotarla
di un tempio e di una casa per le
attività. Chi transita sullo stradone per il Sestriere può leggere a
grandi caratteri sulla facciata
« Per Cristo e per la Chiesa »,
che fu il motto della Federazione
delle Unioni Valdesi e di grandi
battaglie per un risveglio spirituale.
Entrato, suo malgrado, in emeritazione nel 1974, continuò ancora per un anno il suo ministero in quella parrocchia. Erano
allora trascorsi 46 anni di attività
al servizio della Chiesa.
L’attività di Geymet non si limitò alle chiese a cui dava tanta parte di se stesso. Dovremmo
parlare del suo lavoro nella « Pro
Valli ». Questa era una associazione creata dal Pastore di Prarostino Guido Rivoir e di cui Geymet fu attivo collaboratore e poi
presidente. Si interessava di varie attività paraecclesiastiche,
dal mantenimento del francese
alla creazione di colonie montane
per bambini, dalla fondazione di
borse di studio al collegamento
degli insegnanti evangelici. La
Pro Valli si dimostrò un organo
tanto utile da ottenere il riconoscimento ufficiale da parte della
Conferenza distrettuale. Venne
poi lasciata cadere, non sappiamo perché.
Enrico Geymet è ricordato per
aver saputo organizzare la « villeggiatura evangelica ». Con l’appoggio delle organizzazioni tedesche di trombettieri riuscì a fon
dare una simile attività che tuttora esiste e che meriterebbe un
più grande sviluppo. Nell’imme
diato dopoguerra si adoperò per
riannodare le relazioni con le
Chiese Protestanti tedesche, in
ciò aiutato da due grandi amici,
il pastore Zeller prima e il vescovo luterano Bender poi. Più
d’una volta si recò in Germania
e in Svizzera per illustrare il lavoro di ricostruzione della nostra
Chiesa. Come tutto questo! non
bastasse, si improvvisò autore ed
editore di libri per bambini e
per famiglie. Fece tradurre e ristampare diversi libri ormai esauriti, ma ancora richiesti. Per
diversi anni pubblicò un utile calendario biblico con brevi meditazioni bibliche per ogni giorno dell’anno.
La sua visione ecumenica comprendeva anche più stretti rapporti con la Chiesa Romana, fra
i cui sacerdoti ha contato non
pochi amici.
Dopo lunghi mesi di malattia,
circondato dalle affettuose cure
della moglie e della figlia, si è
addormentato serenamente verso
la sera del 15 settembre.
La Chiesa e il Signore della
Chiesa furono la passione della
sua vita.
Se egli avesse letto queste note
probabilmente ci avrebbe rimproverato per aver troppo parlato di lui e ci avrebbe esortato
a scrivere una sola parola: « Non
a noi, o Eterno, non a noi, ma
al tuo nome da’ gloria, per la
tua benignità e per la tua fedeltà » (Salmo 115).
Certo, ma almeno ci sia concesso di pregare il Signore perché altri giovani, animati dalla
stessa passione, prendano il suo
posto.
Roberto Nisbet
CORRISPONDENZE
Inaugurata Radio
Trieste Evangelica
TRIESTE — Nel corso di una
giornata comunitaria, è stata
inaugurata, domenica 5 settembre, nei locali della Chiesa Metodista, Radio Trieste Evangelica,
remittente radiofonica realizzata
congiuntamente dalle Chiese Battista, Metodista e Valdese di
Trieste.
Il culto di inaugurazione è stato trasmesso in diretta dalla radio che ha così iniziato ufficialmente la sua attività.
La predicazione è stata tenuta
dal past. Giorgio Bouchard, Moderatore della Tavola Valdese, il
quale ha proposto alcuni punti di
riflessione avendo come riferimento la predicazione dell’apostolo Paolo ad Atene (Atti 17:
16-34).
Il cristiano, ha detto il past.
Bouchard, non deve rinchiudersi
in una fortezza chiusa chiamata
chiesa; il suo compito è andare
a predicare, come ha fatto Paolo, per le strade, esponendosi e
rischiando anche in prima persona. In proposito sono state ricordate tre persone che con la
loro testimonianza hanno caratterizzato la vita della Chiesa: tre
uomini di profonda fede che hanno saputo vivere, lottare e morire: Bonhoeffer, Hammarskjòld e
Martin Luther King. Il credente
tenga presente che la fede agisce in tre dimensioni: dà forza
spirituale, forza morale e, come
ricerca, è un tonico per l’intelletto. Egli sappia pertanto pregare,
operare e ricercare rendendo fedele testimonianza al messaggio
dell’Evangelo di Gesù.
Durante il culto la comunità
ha avuto anche la gioia di assistere alla presentazione del piccolo Samuele Carrari da parte
dei genitori Patrizia e Giovanni.
Erano presenti membri delle
comunità della Chiesa Battista,
Metodista, Valdese ed Elvetica
i quali hanno partecipato all’agape tenutasi dopo il culto.
Nel pomeriggio Radio Trieste
Evangelica ha trasmesso, sempre in diretta, un’intervista con il
past. Bouchard che ha risposto
a domande riguardanti alcuni fra
i principali temi trattati dall’ultimo Sinodo: la pace nel mondo,
i diritti dei malati e dei morenti
e il rapporto tra donne e uomini
nella Chiesa.
Domande sul Papa
PADOVA — Il 12 settembre,
come tutto il mondo sa, il Papa
ha compiuto una .visita « pastorale » nella nostra città. La città
ufficiale è impazzita. Lavori stradali inutili per abbellire il percorso del corteo, mentre altri indispensabili da anni attendono;
genuflessioni della politica e della cultura; etc. etc. Si è ripetuto il solito spreco faraonico di
denaro ed idolatria. Alla comunità metodista è stato chiesto un
comunicato stampa dal « Gazzettino » di Venezia, facendo capire
che non interessava un commento teologico, ma di costume. Gli
ambienti «ecumenici» della città
si sono risentiti per la durezza (?) teologica della dichiarazione.
Alle porte e vetrate della chiesa sono stati affissi alcuni cartelli, in gran parte citazioni bibliche, miranti (nella nostra ingenuità) a porre in evidenza la
totale incompatibilità tra Cristo
ed il « vicario ». Questi cartelli
sono stati prontamente staccati
dal servizio d’ordine ed altrettanto prontamente rimessi. Molti hanno fatto domande, commenti, alcuni hanno chiesto spiegazioni.
Tragedia e speranza
SAN GERMANO — La giornata del 12 settembre è stata
molto dura per tutti i sangermanesi e per la nostra comunità in
particolare. Infatti all’uscita del
culto abbiamo avuto la triste
notizia che Ilda Ribet ved. Baimas era stata uccisa, mentre stava venendo al culto, dal cognato
Endrl Peyronel, che si era a sua
volta tolto la vita.
La fulminea brutalità di quanto è accaduto ci lascia ancora
attoniti. Questo tanto più che il
fatto non ha altra spiegazione
parziale che uno stato di profondo sconforto del fratello Peyronel, dovuto alla salute da lungo tempo non buona. Pensiamo
con affetto in preghiera alle famiglie Ribet, Balmas e Peyronel, che sono così state piombate in un lutto particolarmente
duro da accettare.
Abbiamo cercato di riflettere
insieme, con tutta la fede che
ci è data, a quanto il Signore voleva dirci attraverso questa prova. Fermo restando che non
sta a noi giudicare e che solo il
Signore conosce il segreto dei
cuori e fa grazia a chi fa grazia,
vi erano cose che era importante ricordare, a partire dàl
messaggio biblico. Soltanto il Signore può lavare dal peso del
sangue e la sua infinita compassione per chi rimane deve e può
ispirarci la nostra vera partecipazione cristiana al dolore di
quanti piangono, fugando qualsiasi risentimento o tentazione
di voler spiegare ciò che rimane
per noi inspiegabile. Tutto questo nella certezza che anche nei
brevi istanti in cui la tragedia
si è svolta il Signore non era assente, anche se questo ci può
sembrare diffìcile da accettare.
Infine vai la pena che riflettiamo tutti al fatto che l’Evangelo,
tante volte annunziato deve essere per noi anche nella prova
un possente baluardo contro la
disperazione ed il desiderio di
autodistruzione. Nella certezza
che il Signore risorto non ci vuole abbandonare, proseguiamo il
cammino, certi che ci darà la
forza per i compiti che vuole ancora affidarci. Anche se sentiremo una volta di più la mancanza di quanti ci hanno lasciati,
anche se l’Unione femminile non
potrà più valersi del valido aiuto
di Ilda e se il quartiere dei Balmas sentirà la sua mancanza
per tutte le attività.
• Ricordiamo che i culti domenicali inizieranno alle ore
10.30 a partire da domenica 3 ottobre.
• Sabato 9 ottobre, ore 14, per
tutti i catecumeni, incontro d’inizio dei corsi di catechismo. Siamo riconoscenti di poterci valere anche quest’anno dell’opera
di due catechisti.
• Domenica 10 ottobre, ore
10.30, culto di inizio delle attività, compresa la Scuola domenicale. I bimbi sono convocati alle
ore 9.45.
Il funerale dei
pastore Geymet
TORRE PELLICE — Venerdì
17 ha avuto luogo nel tempio il
servizio funebre del pastore Enrico Geymet deceduto dopo un
lungo periodo di infermità, curato con premura esemplare dai
familiari e circondato dalla simpatia di amici e conoscenti. Gli
stessi che hanno voluto esprimere alla signora Geymet ed alla
figlia la partecipazione sentita
nella giornata del funerale.
Dopo la meditazione hanno ricordato la figura e l’opera del
pastore Geymet, nel tempio il
vice moderatore della Tavola, pastore Alberto Taccia e don Giuseppe Trombetto, al cimitero il
sindaco di Rinasca ed il pastore
emerito Roberto Nisbet.
Testimonianze sobrie ma sentite che hanno sottolineato l’atti
vità disinteressata e piena di entusiasmo del pastore Geymet nei
diversi luoghi dove ha esercitato il suo ministerio, la sua battaglia ideale per una riconciliazione ed una relazione fraterna
fra italiani e tedeschi, quando
era a Villar Pellice e fra valdesi
e cattolici a Villar Perosa.
Domenica mattina un gruppo
di amici del Deutsche Waldenser
Verein, guidati dal pastore Eiss,
in visita alle Valli, si sono recati al cimitero di Torre a deporre una corona sulla tomba dell’amico defunto a testimoniare
i profondi legami che uniscono
i Valdesi di Germania alla famiglia Geymet e per mezzo di essa alla chiesa valdese in Italia.
• Sabato 25 settembre alle
ore 15 sono convocati tutti i
monitori delle scuole domenicali di Torre Pellice, che poi alle
16 si riuniranno a qqelli del circuito per il convegno di preparazione.
Le lezioni riprenderanno sabato 2 ottobre nelle tre sedi.
Ancora sabato 2 ottobre sono
convocati i catecumeni dei primi
tre corsi per concordare con i
catechisti l’orario delle lezioni.
Il concistoro
sotto esame
LUSERNA SAN GIOVANNI
— Interessante e positiva è stata la relazione che la commissione d’esame sull’operato del concistoro ha presentato sabato sera all’assemblea di chiesa, riunita nella ex scuola materna.
Una critica costruttiva che ha
portato ad attente considerazioni sui vari argomenti riguardanti le future attività di chiesa ed
ha stimolato un dibattito pacato
nella reciproca comprensione
delle vedute talvolta discordanti.
Sedute di concistoro, catechismo, scuole domenicali, attività
e commissioni varie, evangelizzazione, sono stati gli argomenti
esaminati dalla commissione
che ad ogni dato critico e negativo ha cercato di suggerire una
alternativa positiva per migliorare l’efficienza delle varie attività.
Abbastanza numerosi i giovani
e molti i presenti che hanno preso la parola: un segno concreto
dell’interesse che parecchi membri della comunità hanno ancora per la loro chiesa.
• Il culto di apertura delle
Scuole Domenicali e dei catechismi avrà luogo domenica 26 c.m.
I catecumeni dei quattro anni
sono convocati nella Sala Albarin alle ore 9.30 per concordare
gli orari. Poi parteciperanno al
culto.
I genitori dei bambini della
Scuola Dom. sono vivamente
pregati di essere presenti. E’ previsto, subito dopo il culto, un
momento di incontro dei genitori con 1 monitori.
2** e Circuito
CONVEGNO
MONITORI
L'incontro dei monitori, in vista della preparazione dei temi della Scuola
Do.menicale, si terrà a Pramollo il 26
settembre, dalle ore 14 alle ore 22, col
seguente programma:
ore 14: Introduzione biblica (P. Ribet): Introduzione pedagogica (F. Calvetti).
Ore 14.30: Lavoro nei gruppi.
Ore 19.30: Cena (il primo piatto viene
offerto dalla comunità di Pramollo).
Ore 20.30: Relazioni dei gruppi e problemi comuni.
Hanno collaborato a questo
numero: Pino Arcangelo - Giovanni Conte - Maria Luisa Davate - Dino Gardiol - Giovanni
Grimaldi - 'Vera Long - Claudio Martelli - Giorgio Tourn.
3
vita delle chiese 3
24 settembre 1982
VERSO L’ASSEMBLEA DELLA FEDERAZIONE CHIESE EVANGELICHE - 1 r
Lavoro difficile al Servizio studi
li Servizio studi della FCEl è una attività importantissinna, ma spesso non viene sufficientemente
valutata dalle chiese. Può essere uno stimolo per la riflessione teologica, etica ed ecumenica
Dal 29 ottobre al 1° novembre si terrà a Vico Equense (NA)
la VI Assemblea della Federazione delle Chiese Evangeliche
in Italia. Il nostro giornale inizia, con questa intervista a
Paolo Spanu, segretario del Servizio Studi della fCEI una
serie di articoli di presentazione delle varie tematiche che saranno discusse dall’assemblea.
— Fra i vari settori di lavoro
della Federazione il Servizio studi appare talvolta come Pultima
ruota del carro. E’ giustificata
questa impressione?
— Non credo per ciò che riguarda il valore di alcune iniziative intraprese negli ultimi anni.
Il Servizio studi ha organizzato
alcuni incontri significativi; il
convegno sulla predicazione dell’Evangelo e mass media, tenutosi due anni fa a Ecumene ; quello sulla responsabilità dei credenti di fronte all’aborto volontario tenutosi l’anno scorso a Firenze e tradotto poi in un « dossier » della Claudiana. Per l’inizio di ottobre è inoltre organizzato un convegno sulla lettura
della Bibbia che speriamo concretizzi m una comune partecipazione quei contatti che da tempo si sono stabiliti tra rappresentanti di chiese e movimenti
diversi evangelici che hanno collaborato alla preparazione di
questo convegno. Lo scopo di
questa iniziativa è soprattutto
quello di realizzare un momento
di comunione fraterna davanti
alla Parola del Signore.
Oltre a questo il Servizio studi ha curato in questi anni la
rivista Diakonia che meriterebbe di essere ulteriormente conosciuta e valorizzata.
Tuttavia, ruote a parte, rico
nosco che il settore studi del lavoro della Federazione è molto
delicato e che qui è diffìcile far
le cose bene.
— Cosa intendi dire?
— Vedi, l’attività teologica di
studio e di approfondimento della fede, come anche la preparazione dei ministeri locali, sono
compiti specifici e inalienabili
delle chiese. Come può una chiesa delegare ad altri organismi,
che non sono soggetti al suo controllo diretto, l’espletamento di
un’attività che costituisce la ragione o una delle ragioni per cui
la chiesa esiste? Il Servizio studi rischia troppo spesso di calpestare il suolo altrui. Se non lo fa,
deve camminare su un sentiero
veramente angusto. L’unico spazio che potrebbe ricoprire potrebbe essere quello di stimolo
alle chiese della Federazione. Ma
come può stimolare se i mezzi
sono tanto esigui, se persone
che vi lavorano sono pienamente impegnate nelle loro chiese, se
esse stesse già all’interno delle
chiese operano in organismi denominazionali ordinati alla funzione di stimolo alla riflessione,
allo studio e all’approfondimento?
Secondo me, la difficile esistenza del Servizio studi evi
denzia la necessità che, dopo un
periodo di consolidamento, la Federazione si rideflnisca meglio iii
rapporto alle chiese e si apra di
più alle chiese che ad essa non
aderiscono. Infatti le difficoltà
che noi del Servizio studi abbiamo trovato non sono mai state
di natura personale o di rapporto, ma sempre e soltanto imputabili alla non chiarezza dei ruoli dei singoli e del Servizio stesso.
— In che senso vorresti una
Federazione ridefinita?
— Nel senso che la vorrei molto più ampia, tale da raccogliere
gran parte dell’evangelismo italiano e tutte le comunità di base che inclinano ad una vita
evangelica.
La vorrei più come un organismo che approntasse strumenti perché le chiese potessero lavorare insieme nei seguenti àrnbiti : Radio-televisione, agenzia
stampa (a doppio senso, cioè per
informare le chiese tempestivamente e per far conoscere le chiese al pubblico), servizio sociale
e intervento in circostanze di diy
sastri, servizio per i problemi
giuridici e consulenza legale, e
un Servizio studi che avesse la
forza e le dotazioni sufficienti
per fungere da stimolo in ordine a tematiche etiche, teologiche, ecumeniche, sociali e politiche.
Lo vorrei come organo propulsore del lavoro insieme, lasciando alle chiese di fare il lavoro
comune. Solo cosi è possibile
promuovere la fraternità ecumenica.
— Lavoro comune e lavoro insieme. Ma non è la stessa cosa?
— Il lavoro insieme è quello
che si è fatto e si fa per esempio
intervenendo nelle zone terremotate là abbiamo di fatto le forze delle varie chiese federate,
unite assieme, coordinate e sostenute dalla Federazione. Tutti
assieme, secondo le possibilità di
ciascuno, si collabora agli stessi
progetti. Tutti assieme si è responsabili e quindi tutti assieme
si controlla e si contribuisce. Non
c’è uno che conta più dell’altro, ,
né uno che sostituisce l’altro.
Il lavoro comune si realizza,
invece, quando le chiese si incontrano, si riconoscono reciprocamente e stabiliscono accordi
tali per cui il lavoro di ciascuna
è riconosciuto dall’altra come
proprio, e viceversa. Infatti il lavoro e le realizzazioni dell’altro
mi appartengono, come il mio
lavoro e le mie realizzazioni appartengono agli altri. Il lavoro
comune non esclude il lavoro
fatto assieme: sono due cose
diverse che possono coesistere
in un intreccio diversificato e
variegato di rapporti ecclesiastici.
La Federazione, secondo me,
dovrebbe promuovere il lavoro
da farsi insieme. Le chiese sono
le sole responsabili possibili della realizzazione del lavoro comune, perché sta a loro incontrarsi
e sta a loro decidere quale deve
essere l’esito del loro reciproco
incontro.
Intervista a cura di
Giorgio Gardiol
INCONTRO A ROMA
Letture
diverse
di Genesi 3
Convegno sulla lettura della Bibbia organizzato per i
giorni 1-3 ottobre con sede al
centro Betania, via Antelao
14, 00141 Roma.
Venerdì 1 ottobre
ore 20 Inizio del convegno
con la cena.
21.15 Introduzione e breve relazione del fratello Pierre Winandy.
Sabato 2 ottobre
8.30 Lettura biblica e preghiera.
9.00 Studio biblico del fratello Barbanotti su Genesi 3.
10.30 Intervallo.
11.00 Studio biblico del fra
fello M. Sinigaglia su
Genesi 3.
13.00 Pranzo.
15.00 Ripresa e inizio di una
discussione generale.
16.00 Intervallo.
16.30 Discussione o a gruppi
o generale.
20.00 Cena.
— Eventuale prosecuzione
serale.
Domenica 3 ottobre
9.30 « Alla scoperta del messaggio biblico ».
10.30 Intervallo.
11.00 Culto comune e chiusu
ra del convegno.
13.00 Pranzo.
Il costo è di lire 16.TO0 a
persona al giorno. Per informazioni logistiche e per le
iscrizioni rivolgersi al past.
Bruno Colombu - Via Antelao 14 - 00141 Roma - tei. 06/
89.09.41.
ECHI DALL’ASSEMBLEA SINODALE
Aspetti concreti del Patto di integrazione
Il problema finanziario
I problemi finanziari legati alla vita della Chiesa sono stati
affrontati, dalle relazioni presentate e dal Sinodo, mettendone m
luce alcuni punti fondamentali.
Quello più grave, comune a
tutti i bilanci presentati (Invola, OPCEMI, Facoltà di Teologia,
Claudiana, Eco-Luce) è la aumentata dipendenza dai contributi
esteri che, in alcuni casi, arrivano all’80% del bilancio totale.
La Chiesa non può che essere
grata a chi così sostanzialmente
ci aiuta a vivere la nostra vita,
senza farci assolutamente pesare, neppure in minima misura,
qualsiasi condizionamento. Ma e
parso necessario, alle relazioni
prima, al Sinodo poi, indicale
chiaramente la situazione affinché le comunità se ne rendano
conto e si pongano almeno dei
traguardi minimi da raggiungere.
Il primo di essi, e ne siamo
ancora sensibilmente lontani, e
quello di arrivare a coprire, con
le contribuzioni all’amministrazione centrale, il costo diretto
dei pastori, non solo come stipendi a quelli in attività, ma anche come pensioni agli emeriti
o ai sopravvissuti. Secondo valutazioni basate su dati disponibili
nelle statistiche ufficiali sui reoditi medi delle singole zone e
delle singole fasce di reddito, dovrebbe essere largamente bastevole a questo scopo una contribuzione pari al tre per c^uto c.a
del reddito di ciascuno. Nella
realtà le contribuzioni accusano
un aumento nominale di gran
lunga inferiore al tasso di inflazione e quindi una diminuzione
sostanziale. Sarebbe consigliabile che la situazione venisse prospettata con maggiore chiarezza
alle comunità, che, almeno in
parte, non sanno bene come stiano le cose e sono quindi pronte
a rispondere generosamente a
quello che è loro chiaro (guardare per es. alle collette speciali
o alle spese locali la cui Utilità
è più facilmente percepibile), ma
non afferrano ancora la sostanza
della situazione della Chiesa.
Quando le contribuzioni avranno raggiunto il livello su indicato, sarà anche possibile utilizzare più razionalmente a fini specifici (culturali, editoriali, sociali) gli aiuti esteri, che saranno
probabilmente ancora disponibili, almeno fino a quando chiese
in paesi più poveri del nostro
non ne assorbiranno, a buon diritto, maggiori aliquote.
Altro problema affrontato è
quello della amministrazione degli stabili. Sia la Tavola che
l'Opcemi gestiscono un cospicuo
patrimonio immobiliare, in parte
privo di possibilità di reddito
perché destinato al culto e attività complementari, in parte utilizzabile come produttore di redditi. Sembra migliore in questo
settore la situazione dell’OPCEMI che ricava dai suoi stabili un
netto di circa 126 milioni annui,
da cui vanno dedotti c.a 32 mi
lioni di rate e interessi sui mutui a suo tempo accesi per realizzare una politica immobiliare.
Situazione forse ancora migliorabile. Più deludente il risultato
della amministrazione degli stabili affidati alla Tavola, che danno un reddito totale di circa 60
milioni sufficienti solo a coprire
i circa 50 milioni spesi per spese di gestione (riscaldamento) e
fitti passivi. Non è possibile analizzare, sui dati comunicati al Sinodo, le ragioni di questa situazione, su cui pesano certamente
forti spese di manutenzione. Significativa ad ogni modo, e degna di approvazione, l’intenzione della Tavola (e dell’QPCEMI)
di assicurare in primo luogo manutenzione e restauro dei locali
destinati al culto, alle abitazioni
dei pastori, alle vane opere; ed
iniziare nel contempo una politica di alienazione degli imrnobili che non assicurano un ragionevole reddito, investendone, ovviamente, i ricavi in altre forme,
oggi ampiamente disponibili, che
assicurano redditi accettabili.
Molti altri problemi amministrativi (costruzione di una chiesa necessaria in Abruzzo per la
quale vi sono già parziali finanziamenti — ristrutturazione degli archivi — unificazione delle
contabilità e controllo di quelle
affidate ad organismi periferici
— compilazione dei preventivi —
ecc.) sono anche stati discussi
ed avviati a soluzione. Ma il problema di fondo rimane la responsabilizzazione delle comunità, e
di tutti i fratelli, per una sostanziale partecipazione alla vita finanziaria della Chiesa.
Opera perle Chiese Metodiste
La componente metodista ha
assunto, col Patto di Integrazione la forma di Opera per le Chiese Evangeliche Metodiste in Italia (OPCE.MI) vedendosi esplicitamente riconosciuta una sua autonomia nel campo amministrativo e nel campo dei rapporti
ecumenici, intesi « lato sensu »
sia verso le organizzazioni italiane di tal tipo (la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia ad
es.), sia verso quelle estere (il
Consiglio Ecumenico delle Chiese ad es.). Su queste due direttive si è svolta quindi, in modo
quasi esclusivo, l’opera del Comitato Permanente, che ha ottenu
to buoni e concreti risultati, approvati dal Sinodo, in campo ecm
menico, sviluppando rapporti
preesistenti ed avviandone di
nuovi. Così si è potuto dar vita
ad un comitato, emanazione del
CEC, che studia il modo di aiutare l’QPCEMI a sistemare la
sua situazione debitoria che ha
ancora bisogno di alleggerimenti
per situazioni legate ad operazioni pregresse.
E’ parso ad alcuni opportuno
chiedere che, per maggiore chiarezza operativa, si definissero meglio modalità e fini di questa attività ecumenica. L’assemblea
delia FCEl è prossima, sono
previsti mutamenti statutari, ed
è quindi ragionevole presumere
che un contributo metodista possa avvenire come « integrazione »
di quello eventualmente deciso
dalla Tavola.
Sul piano amministrativo, inteso in senso ampio, particolare
attenzione è stata data a due
opere metodiste (Ecumene e Casa Materna), che danno importanti segni di vitalità e di operc>
sità, ampiamente elogiati dal Sinodo.
Parlando di integrazione si è
sentita da più parti la necessità
che il Comitato Permanente trovi il modo di dedicare parte del
suo tempo a mantenere tra le
comunità metodiste un minimo
di coesione e di rapporti, tale da
assicurare alla Chiesa Integrata
l’apporto di quei valori, più specificamente metodisti, come contributo positivo alla Chiesa stessa. In questa luce va visto ^nche
l’interrogativo posto alla C.d.E.
sulla opportunità che la componente metodista abbia in Sinodo
« un momento specifico di incontro ». La C.d.E. preferisce rispondere lasciando al Sinodo nel suo
complesso ogni discussione, ma
la risposta non sembra esauriente. Almeno per chi crede che dovere della componente metodista
sia anche quello di apportare alla Chiesa Integrata un suo prc>
prio contributo, e non solo quello individuale dei suoi rappresentanti. E’, sembra, un problema
ancora aperto che merita, rnagari su queste colonne, un discorso più approfondito.
Niso De Michelìs
4
4 fede e cultura
PREOCCUPAZIONE PER LA NOSTRA ORTODOSSIA
Calvinisti e barthiani?
A colloquio con I lettori
Tra le numerose formule ricorrenti nel mondo religioso attuale v’è quella che associa 11 nome di Calvino a quello di Barth.
Alcuni, pur avendo assunto per
la loro teologia rimpianto fornito negli anni venti e trenta del
nostro secolo da Karl Barth, afferrnano di essere comunque eredi di Calvino.
E' chiaro che un discorso del
genere va ben al di là di una
semplice disputa sui nomi. Il nome di Calvino come quello di
Barth evocano tutta una struttura di pensiero, tutto un modo di
avvicinarsi alla Parola di Dio e
di fare teologia, che va molto al
di là dei loro singoli nomi. Calvino sta al posto di Riforma. Sta
cioè ad indicare quel movimento di rinnovamento che opponendosi alla Chiesa Romana voleva
ridare a Dio la gloria che gli è
dovuta. Le idee della Riforma
hanno avuto in un modo o in un
altro una certa influenza su tutti
coloro che si collocano nell 'area
protestante. E’ quindi normale
che invocando Calvino e quindi
la Riforma ci si senta in qualche modo interpellati.
Calvino e Barth
Calvino, che tra i Riformatori
e uomo- della seconda generazione, raccoglie e precisa l’eredità
della Riforma fondandola in modo adeguato, Calvino è il teologo dell'assoluta autorità della
Bibbia. A quest’ultima spetta il
diritto di dire la parola deflnitiva e di esigere obbedienza in
ogni rnateria di fede e condotta.
Essa è la rivelazione diretta di
Dio all’uomo! Volendo essere
sottomesso al suo unico Autore
Calvino parla dell’unità della
Scrittura e ne trae indicazioni
concrete per mostrarne la sua
armonia. Quest’autorità viene resa efficace per mezzo dello Spirito di Dio che agisce attraverso
di essa nel cuore del credente.
L autorità viene così a trovarsi
nell’equilibrio tra la Parola di
Dio e lo Spirito del Padre.
Questa fiducia ncU’autorità della Parola ha condotto Calvino
a redigere Commentari su quasi
tutti i libri biblici che costituiscono ancora oggi, forse al di là
della più conosciuta Istituzione,
uno dei contributi più significativi e rispettosi della Scrittura
che la storia conosca.
Barth appartiene invece al XX
secolo. La sua protesta è rivolta
contro il liberalismo in perdita
di credibilità dopo le disillusioni
dell’inizio del secolo. La sua voce fa risuonare con audacia l'importanza della Parola di Dio, ma
questa Parola non è più la Parola nel senso in cui la intendeva Calvino. Essa s’afferma nella
trascendenza e nella discontinuità per l’infinita differenza
qualitativa tra tempo ed eternità. Essa non è più una rivelazione diretta, ma indiretta. Essa
non è più una realtà presente, ma
un avvenimento. Non ha affatto
caratteristiche divine, ma caratteristiche pienamente confondibili con fenomeni umani. Ñon
offre più un’autentica testimonianza d’unità, ma una testimonianza umana e fallibile. Non è
più teocentrica in .sen.so riformato, ma antropocentrica nel senso che il teologo viene ad assumere una responsabilità critica
radicale ne: suoi confronti. Non
si può insomma più parlare di
Sola Scriptura, ma di Soliis Christus, come se esistesse un Cristo
diverso da quello testimoniato
dalla Scrittura’.
quindi illecito associare i due
dicendoci calvinisti e barthiani. Non si può pensare in
termini d’integrazione, ma d’esclusione.
Per dimostrarlo in modo più
rigoroso si potrebbe forse precisare in modo più adeguato, ma
ciò che s’è affermato costituisce
una convinzione che va ben al
di là d’una opinione personale.
Si dovrebbe probabilmente ricordare il giudizio di storici dei
dogmi quali Finlayson che a proposito di Barth parla di « nient’altro che un modernismo di nuovo
tipo » Q di studiosi di Calvino
che non possono essere certamente definiti « conservatori »
come Stauffer che in un’importante opera sulla predicazione
di Calvino mostra l’incompatibihtà di quest’ultimo con gli usi
barthiani tradizionali s.
Ma ciò che dovrebbe far riflettere è un’affermazione dello stesso Barth. « Infine credo di non
tradire un segreto attirando l'attenzione sull'incompatibilità (reciproca!) che esiste tra il calvinismo 'storico' al seguito d’A.
Kuyper e la teologia riformata
quale noi cerchiamo d'insegnarla qui » *. Un’affermazione del genere lascia aperto il discorso se
ci sia o meno un calvinismo diverso da quello ’storico’ che sarebbe il vero erede di Calvino,
ma al di là delle questioni di dettaglio si dovrebbe riflettere se
sia possibile integrare Calvino e
Barth. Essi appaiono totalmente inconciliabili.
Il richiamo a Calvino da parte
della corrente neo-ortodossa è
comprensibile solo per settori
estremamente parziali e non può
essere in-\'ocato senza tradire o
l’uno o l’altro. Alla luce delle
considerazioni fatte una teologia
« calvo-barthiana » appare del
tutto improponibile. Q si è eredi di Calvino o si è eredi di Barth.
Di fronte ai tentativi d’integrarli non possiamo non evitare il
sospetto che o l’uno o l’altro non
sia stato sufficientemente assimilato. Alcuni indizi ci lasciano credere che a non essere ancora
stato ben capito sia il primo.
Nei confronti di Calvino rimangono presenti un insieme di prepudizi che la cultura superficiale del nostro tempo sembra non
voler allontanare.
Personalmente credo che nei
confronti dell’ecclesiologia riformata di Calvino si debbano avanzare forti riserve e che non la si
possa accettare. E’ però chiaro
che la strultura teologica di base costituisce per noi un elemento importante del nostro pensiero. Il senso della sovranità del
Padre e dell’amore del Figlio, del1 autorità della Parola e del ruolo dello Spirito, del peccato e
della grazia, ancora confessati
nel suo testamento rimangono
elementi difficilmente sostituibili
per quel che del messaggio evangelico pongono in luce. Al di là
degli equivoci del vocabolario
contemporaneo e nella riflessione intrapresa circa l’identità delle nostre chiese sarebbe opportuno si tenesse conto anche di
questo aspetto della questione.
Pietro Bolognesi
’ Cfr. M. Blocher, I grandi sistemi
teologici. Studi di teologia III (1980)
n. 6, pp. 38t44.
’’R. A. Finlatson, Le vicende della
teologia, Roma-Torino, GBU/Claudiana, 1980, p. 74.
^ R. Stauffer, Dieu, la création et
la Providence dans la prédication de
Calvin (Basler und Berner Studien zur
historischen und systematischen Theologie 33), Berna. 1978.
* R- Barth, Die Kirchliche Dög ma~
tik 1/2, Zurigo, 1932 s. (tr. fr.: 5,
p. 380).
= O. C. XX, p. 299.
IL DISCORSO SU DIO
Nel numero dell'n giugno, a pag. 10,
Francesca Spano giustamente deplora
l'occasione mancata di testimoniare la
nostra fede nel confronto proposto da
un gruppo la’ico — il Circolotto — sul
piano della ricerca culturale. Purtroppo,
non è questa la sola occasione che noi
manchiamo. Non abbiamo tempo, abbiamo altro da fare, la vita è dura, dobbiamo provvedere a tante necessità, la
nostra famiglia anzitutto. Per la maggior parte di noi, quando abbiamo assolto, di tanto in tanto, al precetto domenicale, ed abbiamo versato la nostra
più 0 meno adeguata contribuzione, abbiamo la convinzione di essere a posto, di aver « dato a Dio quel eh'è di
■Dio », e di poter quindi disporre del
resto dei nostro tempo come più ci
piace, 0 come purtroppo dobbiamo.
Tutto questo perché non conosciamo
più la Parola di Dio. Crediamo di conoscerla, teniamo presenti alcuni testi fra i più simpatici, fra quelli che ci
sembrano affermare più degli altri i
« diritti dell’uomo », ma non possiamo
dire di conoscere appieno le Scritture.
Ciò è dovuto a tante cause, che più o
meno sono conosciute. Una di queste
può essere l'inadeguatezza del discorso
su Dio nei tempi moderni. Dobbiamo
confessare che non sappiamo pensare
su Dio, e parlare di Dio, col linguaggio che adoperiamo per trattare gli argomenti del tempo presente. La Bibbia è stata scritta nella lingua dei tempi in cui questo fatto prod'igioso è avvenuto. Quando la leggiamo oggi, dobbiamo tradurla non solo grammaticalmente, ma, direi, concettualmente — e
scusate I brutti avverbi —. Dobbiamo
cioè tradurre la verità fondamentale ed
Immutabile che leggiamo negli aspetti
delia vita di tutti i giorni, della nostra
vita singola e, più, della vita universale in tutte le sue forme. Penso che
in questo lavoro le scienze ci potrebbero essere di grande aiuto; per esempio,
la fisica nucleare, la ps'icoiogia, e persino la matematica. Dobbiamo dunque
riservare l’esegesi agli scienziati?
Tutt altro. L’esegesi devono farla i
teologi; ma i teologi devono avere almeno qualche idea delle altre scienze. (...)
e che ha a cuore di risolverli al più
presto: i problemi della comunità sono i suoi problemi. Il paesaggio è di
una bellezza dolce e struggente ma severa. Il silenzio domina anche nel centro abitato: il verde e l’acqua che scrosc’.a tra i monti, o scorre nei fiumi, o
si raccoglie in piccoli verdi laghi; i pascoli e gli orti non recintati: l’ordine,
la compostezza, la fierezza, testimoniano l'orgoglio di una antica cultura montana non trad’ita. E le lucciole! Quante
lucciole! Le avevo dimenticate. Pasolini
aveva ragione. Persino la brava cuoca
si inquadra in questo luogo felice!
I partecipanti al campo non costituivano certo una folla: nessun pastore
presente, tranne s'intende il relatore;
ma tutti 'interessati perché monitori o
predicatori laici, o cultori di storia: in
maggioranza metodisti. Siamo usciti da
questo campo teologico non solo arricchiti di cultura storico-teologica, ma
fermamente certi che questo dono deve
essere condiviso con le nostre comunità. Gli interventi, numerosi e sempre
appropriati, obbligavano il relatore a
penetrare sempre più nel vivo del tema che diventava oltremodo interessante. E tutti s’i sono sforzati di essere all’altezza del compito.
Tramonti non è lontana: non più di
Agape o di Ecumene: è un centro ospitale e aperto, immerso in luoghi di intatta bellezza.
Indimenticabile il culto domenicale,
nella chiesetta piena di vecchi, di meno vecchi e di giovani, il cui canto è
stato una vera « certezza » o ricerca di
fede, e in cui è stato inteso il messaggio del pastore: « diventiamo noi stessi
facitori di pace e di giustizia ».
È una esperienza che non deve essere
perduta e che tutti —■ almeno una volta — dovrebbero fare.
Anna Maria Grimaldi, Milano
LA FAME
NEL MONDO
TRA I LIBRI
Per Igor Stravinski]
La loro
incompatibilità
Tutto questo lascia intendere
quanto Cahfino sia distante dalle posizioni di Barth. Appare
Il giovane musicista e pianista Sergio Pozzanghera ha dato
recentemente alle stampe un lucido ed esauriente profilo di
I^r Stravinskij, il celebre musicista russo, di cui ricorre quest’anno il primo centenario della nascita, e verso il quale il giovane pianista reggino ha sempre
avuto particolare predilezione.
Leggendo, questo suo « Omaggio » ’ infatti si ha subito l’impressióne di questo suo amore
per l’autore di Le Sacre e di Petruska, e ci pare sia proprio questo amore a spingere il Pozzanghera ad interessarsi del musicista russo, di cui traccia il
profilo inquadrandolo nel clima
storico a cavallo della Rivoluzione d’Ottobre, evidenziandone le
varie peregrinazioni in Europa
con definitiva dimora a Parigi,
data l’ostilità del regime comunista nei suoi confronti.
Pozzanghera definisce Stravinskij come « grande poeta della musica moderna e d’avanguardia », e tale definizione ci sembra rispecchiare efficacemente
non solo la musica stravinskiana come tale, ma anche la vita
del grande e geniale compositore, ricca di avventure e di sensi
romantici che ci ricordano il Byron.
Ma il Pozzanghera fa rilevare
anche la ricca messe di giudizi
critici, formulati da Stravinskij,
nei confronti di musicisti, letterati e .scrittori del suo tempo,
sovente graffianti e corrosivi,
com’era del resto nella sua natura di artista estroso, antitra
dizionale e quindi controcorrente.
Una lettura piacevole e interessante, dunque, sotto tutti gli
aspetti, questo saggio del nostro
giovane artista, che ci pone in
attesa di sempre nuovi traguardi.
Francesco Fiumara
1 Sergio Pozzanghera, Omaggio a
Stravinskij, Ed. La Procellaria, lire
2.000.
Lino De Nicola, San Remo
INVITO A TRAMONTI
Sono stata a Tramonti per il campo
teologico sui tema « la predicazione problema delle chiese » e non « della pace » come riportato dal NEV.
Tramonti, tra le Prealpi Gamiche, riflette ancora oggi la chiusa e severa
natura di queste comunità montane, che
ancora lavorano per risollevarsi dal terremoto. Il Sindaco di Tramonti di Sopra,
che era ospite del nostro centro, è un
uomo che conosce i problemi del luogo
La scuola
domenicale
È uscito il N. 1 per l’anno '82-83
della Rivista « La scuola domenicale ». Il voluminoso fascicolo
di 160 pagine (più alcune schede
per le attività pratiche e il canto) contien'te: le note bibliche e
didattiche su di un argomento
molto importante (il « Padre nostro » e alcune parabole), e alcuni articoli di argomento biblico
ed educativo (« Il Padre nostro»
di Sergio Rostagno, « La dislessia
nella scuola » di Miriam Bein ed
« Educare al sentimento religioso o alla scelta di fede? » di Piero Luchini e Andrea Mannucci).
Seguono le consuete recensioni
di libri per adulti e ragazzi.
Per maggiori dettagli o abbonarsi rivolgersi a una delle Librerie Claudiana di Milano, Torino e Torre Pellice ò direttamente presso il Servizio Istruzione Educazione, Via della Signora 6, 20122 Milano.
CONVEGNO A SCIGLI
Lucio Schirò
Promosso dal centro Studi Feliciano Rossitto di Ragusa, dalla Chiesa metodista e dal Giornale di Scicli, si terrà domenica
26 settembre un importante convegno sul pensiero e l’opera di
Lucio Schirò. Il convegno è sotto il patrocinio del Comune di
Scicli di cui Schirò fu Sindaco
negli anni difficili del dopoguerra, e sarà tenuto nell’aula consiliare dello stesso Comune. Lu' ciò Schirò è figura di primo piano nella tradizione evangelica e
socialista del Ragusano. Per l’occasione sarà a Scicli il moderatore della Tavola Valdese Giorgio Bouchard. La relazione principale sarà tenuta dal professore Giuseppe Miccichè, apprezzato storico del movimento operaio siciliano e presidente del
centro studi Feliciano Rossitto.
Vi saranno altri interventi del
Dott. Portelli, del Prof. Giovanni Rossino, della Pxof.ssa Grazia
Dormiente. Il past. Giorgio Bouchard parlerà su Socialismo e
Cristianesimo.
Sono rimasto veramente stupefatto
oggi, sentendo un’emissione di Radio
Radicale nell'udire il dep. Marco Pannella denunciare — in seguito ad una
telefonata in « filo diretto » — il silenzio e I assenza totale degli evangelici
italiani nel dibattito sulla fame nel mondo e nella lotta affinché il governo italiano si adoperi per salvare, entro un
anno, tre milioni di persone dalla morte
per fame. È Vero? E se sì, perché?
Spero non sìa sfuggito agli evangelici italiani 1 appello degli 80 premi Nobel
e dei 184 cardinali e vescovi cattolici
nonché di larga parte dei siedaci italiani affinché i governi si impongano
termini precisi per salvare dalla morte
per fame almeno qualche milione di
persone entro l’anno nei paesi del terzo e quarto mondo.
In particolare spero non sia sfuggita
— nonostante le censure della stampa
la proposta di legge di reperire al
più presto tremila miliardi di lire per
questo scopo, in gran parte dalle spese militari.
Mentre la commissione di difesa
del senato ha recentemente approvato
un ulteriore stanziamento di seimila
rniliardi per armamenti, a tre mesi dalI approvazione di quel bilancio che ha
sancito un aumento del 75% in 24 mesi e da quella legge finanziaria che ha
ipotecato, in lire 1986, oltre 74.000 miliardi per il nuovo acquisto dì sistemi
d armamento, ancora si tergiversa su
tremila miliardi da assegnare per la salvezza di vite umane. Ce ne staremo
zitti anche noi? Rimarremo inerti in
iniziative pratiche? Asseconderemo I
pretesti e I ipocrisìa dei partiti «di massa »? Anche il Papa denuncia questo
scandalo.
Se anche noi dobbiamo intervenire,
non sarà per imitare altri, ma perché
più persone saranno mobilitate su questo argomento meglio sarà e contribuirerno a una goccia di speranza per
milioni di persone condannate a morte.
Cordiali saluti.
Paolo Castellina, Rueschiikon
Pubblichiamo solo ora, scusandoci
per il ritardo, alcune lettere ricevute
durante Pestate. Riguardo al problema
della fame nel mondo nel frattempo il
nostro Sinodo ha preso posizione con
un ordine del giorno che riportiamo a
p. 8. Credo sia chiaro tuttavia che esso non può certo esaurire il nostro
contributo.
5
24 settembre 1982
obiettivo aperto 5
PER CONOSCERE MEGLIO IL POPOLO DELL’ANTICO PATTO E NOI STESSI
I rapporti tra ebrei e non ebrei
l :alium Goldmann, autorevolissima figura
del mondo ebraico, è morto alia line di agosto. Presidente del Congresso Mondiale Ebraico, da lui fondato nel 1936, la sua fu una
delle primissime voci ebraiche che dopo
l’invasione israeliana del Libano condannarono recisamente questa aggressione. « Le
monde diplomatique » pubblica nel suo numero di settembre l’uitimo articolo di Nahuni Goldmann di cui riportiamo in questa
pagina ampi stralci. Lo offriamo ai lettori
dell’Eco-Luce nella convinzione che esso può
aiutarci a comprendere meglio il popolo
dell’Antico Patto e, ciò che non è meno importante, noi stessi.
.Alla fine della seconda guerra
mondiale gli stati democratici,
così, come il blocco comunista,
avevano la coscienza cattiva per
non aver fatto nulla di veramente valido per salvare centinaia
di migliaia, se non milioni, di
ebrei vittime del nazismo, e questo senso di colpa per anni doveva impedire loro di essere antisemiti. Gli ebrei erano trattati
con « guanti di velluto » ed è
questo sentimento che ha spinto
la maggioranza di 2/3 dell’ONU
ad approvare la creazione di uno
Stato ebraico in Palestina. D’altra parte, la creazione dello Stato di Israele aveva indotto i sionisti massimalisti ad accettare
la semplificazione ingenua di
Theodor Herzl secondo cui l’istituzione dello Stato di Israele
avrebbe significato l’immediata
riunione di milioni di ebrei, mettendo fine alla dispersione che
sta all’origine della questione
ebraica.
Un popolo particolare
Questi due aspetti si sono rivelati entrambi ingannevoli.
Nel corso dei 4 decenni che
sono seguiti alla disfatta del. nazismo e alla liberazione dei campi, la generazione nata dopo
l’olocausto o che l’aveva conosciuto solo nella propria infanzia, non ha più voluto sentirne
parlare: peggio ancora, certi sedicenti storici cercano di provare che i campi di sterminio non
sono mai esistiti. Ma anche lasciando da parte queste frange,
è chiaro che si comincia a non
aver più vergogna di essere antisemiti e gli incìdenti antisemiti
si moltiplicano in molti paesi,
democratici e comunisti. '
Per ciò che riguarda la soluzione del problema ebraico che
doveva venire dalla creazione
dello Stato di Israele, bisogna
arrendersi all’evidenza : meno del
20% del popolo ebraico si è stabilito in Israele dall’inizio a oggi. Nel corso degli ultimi anni si
è perfino dovuto constatare una
diminuzione dell’immigrazione e,
nel 1981, il numero degli emigrati, per la maggior parte giovani,
ha superato quello degli immigrati, in maggioranza persone
anziane.
La questione ebraica esiste da
quando vi sono degli ebrei. Si
potrebbe affermare, senza sofismi, che la storia ebraica comincia con la Diaspora in Egitto, e
quindi con un problema ebraico
egiziano. Le altre minoranze non
hanno lasciato tracce nella storia. Gli ebrei invece rappresentavano un nucleo autonomo all’interno dell’impero faraonico,
generalmente monolitico, e l’Antico Testam.ento racconta in rnodo impressionante le dieci piaghe provocate da Mosè per ottenere l’uscita dal paese dei figli
di Israele.
Rari e brevi sono stati i periodi della storia ebraica durante
i quali non c’è stata questione
ebraica: al tempo della conquista di Canaan, forse, e durante
i regni di Giuda e Israele. Alla
distruzione del primo tempio e
all’esilio di Babilonia succede un
periodo di sovranità in Palestina, ma dopo la rivolta di BarKochba e la distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani comincia la terza Diaspora
giudaica che dura tuttora da
quasi duemila anni. L’esistenza
« normale » degli ebrei come padroni del loro paese non rappresenta che una parte minoritaria
della stona ebraica. Gli ebrei sono vissuti a lungo in Diaspora,
disseminati tra dozzine di altri
popoli.
Da questo punto di vista gli
ebrei sono un popolo particolare, il che non vuol dire né migliore né peggiore degli altri. Sono l’eccezione che conferma la
regola. Molti altri popoli hanno
minoranze all’estero, per così dire in diaspora, ma la loro posizione eccezionale si mantiene al
massimo per alcune generazioni
e la loro esistenza è senza grande importanza per il paese d’origine. Il fatto che milioni di Italiani si siano stabiliti nell’America del Sud, milioni di Irlandesi
e Tedeschi si siano stabiliti negli Stati Uniti, non gioca un gran
ruolo per l’Italia, l’Irlanda o la
Germania. La minoranza tedesca negli Stati Uniti prova senza
dubbio una certa nostalgia e della simpatia per ■ la Repubblica
Federale Tedesca, ma non è considerata come parte integrante
del popolo tedesco. Caso unico
nella storia, gli ebrei vivono da
duemila anni nella dispersione e,
per quanto una gran parte di
essi si sia assimilata nel corso
dei secoli, un nucleo è sempre
rimasto fedele all’ebraismo.
La facoltà di non sparire riposa in primo luogo sull’effetto
della religione ebraica. Yoshafat
Harkabi, uno storico israeliano
contemporaneo, afferma in una
delle sue opere recenti che la
rivolta dei Maccabei e soprattutto quella di Bar-Kochba, considerate tradizionalmente come
dei capitoli gloriosi, hanno rappresentato una disgrazia per il
popolo ebraico, poiché hanno
provocato la fine dell’indipendenza in Palestina. Quando il
talmudista Yochanan Ban Zekai
— che condannava la rivolta di
Bar-Kochba e consigliava la sottomissione all’impero di Roma
— ottenne da Tito l’autorizzazione a creare una scuola talmudica a Yarneh, fu lui e non i re o
i combattenti ad assicurare l’esistenza ebraica e la permanenza
della Diaspora. Da allora, gli
ebrei restarono per la maggior
parte nella dispersione e il loro
mantenimento come popolo particolare fu assicurato dalla loro
« patria portatile », per citare
Heinrich Heine: la religione che
punteggiava la vita di ogni ebreo
individualmente e collettivamente, giorno per giorno,- in tutti i
campi.
Il popolo ebraico si è espresso
soprattutto nel rapporto tra la
minoranza ebraica e la maggioranza tra cui essa viveva. Mentre i rapporti tra i popoli «normali » sono semplici — negativi,
come l’odio e l’invidia, positivi,
come l’ammirazione o il rispetto — i rapporti tra ebrei e non
ebrei sono sempre stati complicati, contraddittori e ambivalenti, da una parte e dall’altra. Gli
ebrei consideravano i non ebrei
con ammirazione e gelosia a causa della loro superiorità, della
loro posizione dominante come
padroni dei loro paesi e nello
stesso tempo con ostilità e disprezzo poiché, pur sentendosi
politicamente e economicamente
inferiori, si sentivano superiori
ai popoli ospitanti dal punto di
vista spirituale, morale e religioso.
La stessa ambivalenza prevale
anche nei rapporti dei non ebrei
nei confronti degli ebrei, non so
lo nelle epoche in cui questi ultimi erano perseguitati e discriminati, come nel Medio Evo, ma
fino ad oggi, pur essendo riconosciuta agli ebrei la parità dei diritti nella maggior parte dei paesi e pur partecipando essi pienamente alla vita politica, econcH
mica e intellettuale dei popoli
ospitanti. Nei paesi più deinocratici, come gli Stati Uniti, i non
ebrei risentono, gli ebrei come
un corpo estraneo e anche il più
tollerante degli Americani esita
davanti alla domanda se eleggerebbe un ebreo alla presidenza
del paese.
Da una parte e dall’altra questi sentimenti sono portati agli
estremi. Gli ebrei protestano ad
ogni occasione e usano della loro infiuenza politica per venire
in aiuto a Israele o ad altre comunità ebraiche. I non ebrei
considerano gli- ebrei come troppo suscettibili e vedono ñella
loro autodifesa gli indizi di un
« doppio lealismo ». Di conseguenza, l’assimilazione totale degli ebrei nei paesi della Diaspora è sempre stata impossibile.
Sarebbe realmente assimilato
l’ebreo che osservasse la sua tradizione religiosa senza sottolinearla costantemente e che vivesse del tutto naturalmente il
suo particolarismo ebraico e la
sua cittadinanza. In realtà invece esistono sempre delle remore : gli ebrei si sentono uguali
con riserva, e il loro ebraismo
non è innocente e spontaneo, ma
ha qualche cosa di forzato.
Dalla creazione dello Stato di
Israele in poi, il problema ebraico è diventato ben più complesso di prima. Perché gli ebrei restassero ebrei bastava un tempo
che essi restassero fedeli alla loro religione e alla loro tradizione, mantenendo la loro esistenza particolare, dal momento che
una coesistenza reale è impossibile a causa dell’osservanza dei
comandamenti alimentari e di
altre leggi. Per la sopravvivenza
del popolo ebraico oggi, tuttavia,
è indispensabile che l’ebraismo
della Diaspora sia solidale con
Israele. Ufficialmente Israele è
uno stato sovrano e democratico, i suoi cittadini soltanto decidono della sua politica e del suo
modo di vivere. Ma fintantoché non sarà accettato dagli Arabi e si vedrà costantemente
costretto a difendere la sua sicurezza, Israele dovrà poter contare sull’aiuto finanziario e sulla
influenza politica ed economica
degli ebrei del mondo.
Parallelamente la sopravvivenza degli ebrei della Diaspora sarebbe minacciata senza questa
lealtà fondamentale nei riguardi di Israele la cui esistenza arricchisce e stimola l’ebraismo
intero.
Nella misura in cui sono consapevolmente ebrei, la maggior
parte degli ebrei approvano senza esitazione la politica dello
Stato di Israele e, per paura di
nuocergli, evitano qualsiasi critica aperta anche se hanno delle
riserve.
Attualmente la maggioranza
degli stati, eccettuati gli Stati
Uniti, condannano la politica
espansionistica di Israele, esigono l’evacuazione dei territori occupati e insistono che sia riconosciuto ai Palestinesi il diritto all’autodeterminazione. Emergono
cosi contraddizioni sempre più
nette tra l’atteggiamento dei governi e dei loro cittadini ebrei.
Questo potrà condurre a conflitti e sollevare dei dubbi quanto
alla lealtà e al patriottismo degli ebrei, e rappresentare un pericolo per l’esistenza ebraica in
quei paesi.
Finché Israele resta uno stato « normale » che conduce la
sua politica esclusivamente secondo i suoi interessi immediati, rischia di essere in contraddizione con altri stati in cui vivono centinaia di migliaia di ebrei,
e il carattere ambivalente della
questione ebraica non vedrà una
fine. La conclusione che da diversi anni traggo da questi fatti
innegabili è che Israele deve essere uno stato particolare, altrettanto unico nella sua, struttura
e nel suo carattere quanto il popolo ebraico stesso. Poiché la
lealtà di tutti gli ebrei del mondo, qualunque sia il regime nel
quale vivono, è una questione
di vita o di morte per Israele,
soprattutto nella nostra epoca
sempre più critica, questo stato
dovrebbe evitare qualunque presa di posizione nelle questioni di
politica internazionale per evitare conflitti con gli ebrei della
Diaspora; beninteso, se l’esistenza di una minoranza ebraica fosse in pericolo in un qualsiasi paese, Israele dovrebbe fare di tutto per difenderla.
Per quanto il carattere neutrale di Israele lion possa entrare
in vigore che dopo lo stabilimento della pace col mondo arabo,
sarebbe auspicabile che Israele
accettasse prioritariamente il
principio della sua neutralità.
Sarebbe più facile per gli Arabi
concludere la pace con un Israele neutrale, per così dire ai margini della politica mondiale, piuttosto che con uno stato politicamente impegnato.
Un vecchio ebreo, nato in qualche angolo dell'Europa e ora cittadino di Tel Aviv, riassume_ in
sé i poli della questione ebraica,
la Diaspora e lo Stato di Israele.
A mio giudizio la questione
ebraica esisterà fintantoché esisteranno ebrei nel loro stato e
in Diaspora. Gli ebrei da sempre sono i guastafeste della storia; respingono la religione delle popolazioni tra cui vivono, ne
rifiutano la cultura, si consideravano eletti e sovente superiori,
e ovunque vivevano hanno fatto
sorgere problemi, soprattutto a
causa dell’animosità degli altri,
a volte anche per la loro ostinazione nell’affermare la loro particolarità ebraica. Perseguitati e
oppressi, gli ebrei hanno sofferto del problema ebraico ; persecutori e oppressori, i non ebrei
si sono resi colpevoli e questo
ha sempre causato la cattiva coscienza nei migliori tra di loro.
Un'immagine che cambia
Gli ebrei tuttavia non hanno
solo sofferto, hanno anche realizzato molto. Da Mosè e il monoteismo, attraverso i secoli fino all’era di Marx, Freud e Einstein, gli ebrei hanno contribuito grandemente alla cultura umana in tutti i campi; il numero
spropor.zionato di ebrei ira gli
insigniti del premio Nobel ne è
una prova. Malgrado le difficoltà che suscitano, gli ebrei hanno il diritto di esigere che l’umanità riconosca loro la loro particolarità e il mondo noq ebraico, che tanto si è avvantaggiato
dell’apporto ebraico alla civilizzazione, ha tutto l’interesse ad
accettare la complessità del problema.
Sarebbe illusorio sperare che
i rapporti tra ebrei e non ebrei
siano di una perfetta armonia,
ma potranno normalizzarsi a
condizione che i non ebrei riconoscano agli ebrei il diritto alla
loro esistenza particolare senza
privarli dei loro diritti come cittadini, e che gli ebrei, pur profittando pienamente della loro
parità di diritti, lo facciano con
tatto, senza diventare un fardello per i non ebrei. Per ciò che
riguarda Israele, lo stato dovrà
sforzarsi di non complicare il
problema ebraico con una politica troppo aggressiva. L’umanità accetterà che figure come Mosè, Isaia, Maimonide, Spinoza,
Heine e Einstein siano dei non
conformisti e dei guastafeste ;
non tollererà che lo siano Begin
o Sharon.
Così, come si sviluppa sotto il
regime di Begin, Israele minaccia di cambiare radicalmente
l’immagine del popolo ebraico
e di banalizzare la questione
ebraica. Durante secoli i non
ebrei sono stati spesso antisemiti e hanno perseguitato gli ebrei
ma, consciamente o inconsciamente, essi ammiravano le qua
lità morali e spirituali degli ebrei
e la loro ostinazione nell’aflermare la loro particolarità malgrado i problemi che causavano.
Se lo scopo dello Stato di Israele fosse quello di affermare la
sua supremazia militare questo
trasformerebbe l’immagine del
popolo ebraico agli occhi dei
non ebrei. Le vittorie militari
soddisfano certo i vincitori, ma
non hanno nulla di eccezionale.
Il coraggio e la lealtà in tempo
di guerra sono qualità positive,
ma caratterizzano numerosi altri
popoli ; il coraggio che hanno dimostrato i vietnamiti durante la
loro guerra contro gli Stati Uniti, per esempio, non è stato inferiore a quello dell’armata israeliana. Se questa caratteristica di
Israele prevarrà in avvenire, il
popolo ebraico avrà perso la sua
particolarità e la base della sua
esistenza permanente. Un numero crescente di ebrei ne diventano consapevoli.
Molti membri dell’élite intellettuale ebraica americana hanno protestato presso Begin contro la sua politica e sempre più
cresce il numero degli ebrei che
prendono le distanze da Israele
o arrivano a dichiarare che a
causa dell’invasione israeliana
del Libano si vergognano di essere ebrei. Se si ripensa all’entusiasmo e all’ammirazione che
Israele ha suscitato nei primi
decenni della sua esistenza — a
causa delle sue realizzazioni
umane, sociali e culturali — non
si può non essere delusi da questo rovesciamento. Personalinente tuttavia, credo che il regime
di Begin non sarà che un episodio — triste ma, speriamo, non
tragico — nella storia di Israele
e che i pericoli che l’attuale politica può provocare non si realizzeranno.
Nalium Goldmann
6
6 cronaca delle Valli
24 settembre 1982
CONVEGNO A TORRE RELUCE SULLA FORMAZIONE BILINGUE
Insegnare il francese
Tutti
a scuola
Si leggono sul volto di mio figlio gli stati d’animo che sta attraversando: paura, tensione,
emozione, curiosità. E’ questione di qualche minuto, poi la voce di una persona autorevole lo
sottrae alla protezione dei miei
occhi e, insieme ad altri 24 ragazzini, viene inghiottito da una
delle tante aule della scuola media.
Certo questo è un momento
particolare e determinante della
sua formazione. Finisce di essere grande tra i piccoli (nella
scuola elementare) per diventare
piccolo tra i grandi.
Razionalmente sono cose che
molti sanno, che sapevo già, ma
solo adesso ci sta passando mio
figlio e mi “comunica” le sue
emozioni attraverso il legame
d’affetto che ci lega. Ho conosciuto queste cose attraverso di
lui e non prima, quando entravo
nella scuola solo come insegnante. E’ uno dei fatti che mi sono
serviti per superare la visione a
volte unilaterale e parziale che
anche noi insegnanti abbiamo di
questi momenti e di questi ragazzi.
Ma come risponde l’istituzione alle situazioni che determina,
come soddisfa le esigenze e le
aspettative di scolari, insegnanti
e genitori?
Guardiamo la cosa dai tre punti di vista. Sono circa 30.000 le
domande di pre-pensionamento
presentate dagli insegnanti quest’anno. Questo esodo così massiccio indica chiaramente una
crisi d’identità, la crisi di un mestiere che non gratifica più dal
punto di vista ideale e sociale.
E’ indicativo, tutto sommato,
del disagio di tutto il sistema
formativo che non trova più un
suo ruolo preciso e determinato
nel contesto globale della società.
I genitori si aspettano una
struttura che si occupi dei loro
figli in modo positivo per un
certo periodo di tempo, aiutandoli a diventare adulti sulla base di un processo formativo che
li arricchisca di coscienza critica, contenuti culturali e prospettive di lavoro per il futuro. Ma
questo, per il momento, è un dato circoscritto solo a poche fortunate situazioni. In generale il
rapporto tra scuola e mercato
del lavoro è frantumato, i contenuti e la coscienza critica dipendono dalla buona volontà del
singolo insegnante.
Gli alunni hanno fondamentalmente bisogno di qualcuno che
si occupi di loro in grado di aiutarli ad imparare cose interessanti ed utili. Ma neanche questo è un dato acquisito. Il tempo
scuola reale diminuisce sempre
più nonostante l’apertura delle
scuole sia stata anticipata. Queste in effetti non sono in grado
di funzionare a pieno regime se
non verso il mese di novembre.
Qui le responsabilità dell’amministrazione sono pesanti.
Vi sono poi dei ragazzi, i cosiddetti « alunni portatori dì handicaps », che rischiano di rimanere senza insegnanti di sostegno per tutto l’anno.
La scuola, come il resto della
società, incontra difficoltà a modellarsi a misura d’uomo. Ma
non bisogna avere sfiducia: abbiamo ottenuto la scolarizzazione di massa, ora dobbiamo lavorare perché la scuola vi si adegui per strutture, contenuti e metodi.
Beniamino Lami
TORRE PELLICE — È possi
bile riprendere l’uso della lingua
francese nella pratica familiare,
come accadeva nelle nostre valli
Ano a non tanti anni fa? Si può
sperare, senza troppe illusioni,
che nelle scuole materne ed elementari l'insegnamento di una
seconda lingua faccia il suo ingresso a pieno titolo?
A queste ed altre domande
hanno cercato di rispondere gli
organizzatori del convegno di
studio « Il bambino e la formazione bilingue » che si è svolto
a Torre Pellice il 10 e 11 settembre.
Il successo dell’incontro ha dimostrato quanto il tema sia sentito sia dagli amministratori, sia
dagli insegnanti. Infatti, in un
mondo in cui gli scambi tra paese e paese sono ormai quotidiani, la conoscenza di una seconda
lingua diventa indispensabile. Lo
dimostra anche, nella scuola statale a livello di sperimentazione,
l’esistenza del progetto I.L.S.S.E.
(Insegnamento delle lingue straniere nella scuola elementare)
che alcuni tra i presenti al convegno hanno vivamente reclamizzato.
Ma quale lingua possono imparare bambini molto piccoli, nell’età cioè che assicura la massima probabilità di successo? Per
il primo relatore, Giorgio Tourn,
non vi è dubbio che nella nostra
zona il francese sia la lingua che
ha avuto il maggior peso nella
tradizione culturale valdese; tradizione in piena decadenza per
colpa del centralismo scolastico
prima e della televisione in seguito.
Contrariamente a quanto si ritiene di solito il francese non si
è affatto imposto nelle valli vaidesi An dall’epoca di Chanforan,
ma soltanto nella seconda metà
del secolo scorso, attraverso le
scuole Beckwith. Per molti secoli le due lingue principali, italiano e francese, hanno convissuto
alla pari con l’altra lingua caratteristica, il provenzale, reso a livello popolare in « patois ».
Dal bilinguismo valligiano al
bilinguismo mondiale: la dott.
Andrée Tabouret-Keller di Strasburgo ha presentato un’ampia
panoramica su ciò che accade
un po’ dappertutto, sia in Europa, sia nel mondo, nel campo
dell’apprendimento delle lingue;
corrisponde anche alla nostra esperienza italiana il fatto che
Parcheggi
sotterranei
PINEROLO — Il consiglio comunale dovrà prossimamente
discutere la proposta della società acquirente dell’ex « casa
del Gallo » di sistemare al di sotto di piazza Cavour (nel lato dove già ora stazionano le auto) un
parcheggio sotterraneo per un
terzo pubblico e per due terzi
privato.
La società fa questa proposta
perché per poter costruire un
ediAcio ad uso commerciale e
uffici deve essere in grado di assicurare una superAcie per parcheggi pubblici pari alla metà
dell’area costruita.
La proposta ha destato parecchie perplessità anche tra le
forze di maggioranza.
Grossa discussione ha inoltre
suscitato A progetto, redatto dal
consigliere comunale democristiano Piarulli, che prevede di
costruire nell’area del « Gallo »
un ediAcio dalle linee modernissime, che si inserisce nell’ambiente circostante per « contrasto
architettonico ». Tale progetto è
stato approvato dalla competente commissione edilizia, ma ha
ricevuto però un parere contrario da parte dei responsabili locali della Associazione « Italia
Nostra ».
ogni governo tenda alla soppressione delle parlate locali a favore di una lingua ufficiale. Così
le lingue delle minoranze scompaiono e si afferma un monolinguismo che causa un vero e proprio impoverimento culturale.
Ma qualcuno non si arrende e
in modo particolare la Valle di
Aosta che ha deciso di riprendere l’uso della lingua francese nelle scuole materne. La responsabile delle scuole dell’infanzia di
quella Regione, Rita Decime, ha
illustrato il progetto che consiste non nell’« insegnare il francese», ma neir«insegnare in francese», con la speranza che si ritorni a parlarlo ’ nella vita quotidiana.
L’ultimo relatore del convegno,
l’ispettore Sergio Danieli, responsabile del progetto I.L.S.S.E., ha
invece espresso l’opinione che da
parte delle famiglie vi fosse una
scarsa richiesta dell’insegnamento di una seconda lingua e che,
in ogni caso, il francese fosse
largamente sorpassato in gradimento dall’inglese, secondo scelte
imposte da una classe imprendi
DIBATTITO
I ragazzi e il convitto
Sul n. 35 del nostro giornale
abbiamo pubblicato una nota di
Marcella Bonjour, dal titolo “Ragazzo”. Ad essa replica oggi Sergio Catania anch’egli ex-educatore presso il Convitto Maschile di
Torre.
Quel ragazzo ucciso a Torino
mentre tentava di rubare un camion in una notte di Ane luglio
’82, come dice Marcella Bonjour,
« ci è passato tra le mani ».
Chiamiamo per nome ciò che
un nome ha: Mario Zara, a 14
anni, è stato uno dei ragazzi
ospiti del Convitto Maschile Valdese di Torre Pellice. Le prime
cose che ci ha fatto conoscere
sono state un paese sardo dall’assurdo nome di Gonnosfannadiga, che noi allora assistenti del
convitto faticavamo a ripetere,
e la realtà di chi si nutre con i
resti dei mercati rionali di Torino. Di Mario abbiamo tutti un
ricordo dolce, e immaginarlo ladro di camion ci dà solo la
dimensione della violenza che la
società ha potuto esercitare sulla sua vita.
Mario è stato ucciso: altri sono in carcere, e domani ne usciranno e vi torneranno, per reati
comuni, di altri si son perse le
tracce in ambienti ai margini della legalità. Troppi, pur senza dimenticare chi ha saputo ricostruirsi una sua vita di lavoro e di
normali relazioni sociali e d’amicizia.
Il convitto era la casa di tanti
Mario Zara, di chi non aveva famiglia e di chi ne aveva una un
po’ « particolare ». Una casa che
accomunava Agli di prostitute e
protettori che il Tribunale dei
Minori si decideva ad allontanare da un ambiente deviante.
Agli di matrimoni frantumati dagli eventi della vita (separazioni,
alcoolismo, vedovanze, povertà,
emigrazione). Agli di famiglie
« unite » che chissà perché dovevano temporaneamente essere
allontanati. Ognuno arrivava col
suo bagaglio di tristezze e di abbandoni, per itinerari diversi che
non eravamo chiamati a conoscere, ognuno sotto il patrocinio di
un diverso organismo assistenziale che operava con suoi metodi sue Analità sue prospettive, e
soprattutto ognuno impreparato
ad arrivare in un ambiente che
per conto suo era impreparato a
riceverlo.
Quel poco che ho saputo di
Mario Zara io, assistente, Tho
saputo da Mario Zara: né la solerte assistente sociale, né la
solerte direzione hanno saputo
comunicarmi il come e il perché
e soprattutto il Ano a quando
e con quali obiettivi.
A tanti comportamenti diversi,
a tante esigenze, a tanti problemi strettamente personalizzati,
gli assistenti del convitto maschile valdese erano chiamati a
rispondere con il buon senso e
con il volontarismo, senza capacità professionali, senza informazioni, senza metodo, e soprattutto senza sapere quale futuro fuori dal convitto dovevamo preparare. Ed è per questo che io, assistente del convitto, ho cominciato a dissentire. Ano poi ad essere licenziato, e dissento tuttora
da quanto scrive Marcella.
Ho per un anno preteso la
stretta osservanza di norme « di
convivenza » per me incomprensibili ed ho comminato le punizioni di rito prima di chiedermi
perché e di capire quanto questo fosse sbagliato.
Al di là di quello che ci piacerebbe fosse stato, il convitto
era questo: un ricovero in cui
taluni benemeriti degli enti di assistenza depositavano « casi pietosi » pensando che con questo la
loro benemerenza fosse stata meritata. A chi lavorava nel convitto spettava tutto il resto, senza
informazioni e preparazione, senza metodo, e non ultimo senza
contratto e contributi. Senza conoscere la storia di ogni bambino
e le sue possibili prospettive, senza mai un contatto con le famiglie almeno le più disponibili,
senza mai aver visto in faccia
queste personalità benemerite
degli enti di assistenza, con la
sensazione tangibile del riAuto
che Torre Pellice aveva verso
questi bambini e il convitto.
Mario Zara, e tanti altri Mario
Zara, ci sono passati tra le mani,
a noi come alla solerte assistente
sociale, come ai suoi genitori, come alla gente del suo quartiere,
come alla Magistratura che archivia, come pure al Parlamento
che aspetta ancora di deAnire una legge di riordino dell’assistenza.
Il convitto maschile, Marcella,
è stata un’altra storia.
Sergio Catania
toriate europea, la quale ha necessità di assicurarsi una manodopera in grado di cavarsela
dappertutto. Scelta economica,
quindi e non culturale. Nelle
scuole elementari italiane, il costo di insegnanti di lingue straniere rimane proibitivo per lo
Stato, mentre sì rivela possibile
la preparazione degli stessi insegnanti di classe, nella situazione ideale del tempo pieno, con
un orogramma a misura di bambino.
Che cosa fare, tuttavia, praticamente? Dopo il grazioso spettacolo « L’Arlequin », bilingue ovviamente, la conclusione del convegno è stata che bisogna riprendere il tema e lavorarci ancora
su. Intanto, mentre i progetti ministeriali seguono la loro strada
e alcuni insegnanti imparano l’inglese, si può senza paura di sbagliare dare una rispolverata al
buon vecchio francese dei nostri
nonni, facendo il possibile perché non sparisca totalmente. Genitori, insegnanti e amministratori sono invitati a collaborare.
Liliana Viglielmo
Convegno
socialista
TORRE PELLICE — Il PSI
piemontese ha scelto l’albergo
Gilly per tenere un importante
convegno politico sull’atteggiamento da tenere nelle giunte locali in Piemonte. Vi hanno partecipato molti leaders socialisti
fra cui il segretario regionale
Alessio, il vice-segretario nazionale Claudio Martelli, l’on. Fiandrotti, il presidente della Regione Enrietti, il responsabile degl:
enti locali La Ganga, oltre a numerosi amministratori locali.
Nel corso del convegno si è
affermato il ruolo centrale del
PSI per le uniche due soluzioni
che possono garantire la « governabilità» degli enti locali: la
politica dell’alternanza e il centro-sinistra rinnovato. Ma — secondo il vice-segretario nazionale Martelli — il ruolo centrale
del PSI per questi due tipi di
politica è insidiato da altri tentativi (nuova ipotesi di rapporto
tra DC-PCI) per cui è necessaria una rinnovata iniziativa socialista negli enti locali.
Questo in primo luogo per il
PSI piemontese deve signiAcare
il rafforzamento degli organismi
dirigenti e la sperimentazione
della diversiAcazione delle alleanze. Per esempio per quello
che riguarda Torino e la Regione non è in discussione l’attuale quadro politico di sinistra,
mentre per la Provincia di Torino si potrebbe pensare ad una
alternanza con l’ingresso della
DC.
Ovviamente per il pinerolese
non sono date indicazioni nel
convegno. Ma se interpretiamo
bene le sue conclusioni politiche
si potrebbe veriAcare che in un
futuro non troppo lontano il PSI
farà entrare nella maggioranza
della Comunità Montana Val
Chisone e Germanasca la DC,
avendone in cambio un suo ingresso nell’USL 44 (Pinerolo e
pianura) e nel comprensorio.
« Vigili a cavallo »
PINEROLO — Nell’ambito del
festival dell’Amicizia si è svolto
un dibattito cui sono intervenuti DC, PCI, PSI, PLI, DP sul tema del turismo a Pinerolo. Alla
base del dibattito vi era una proposta ( deAnita « provocatoria »
dal sindaco di Pinerolo) della
DC: dotare Pinerolo di due centri Aeristici, tre alberghi, un
camping, un parco collinare, uno
zoo didattico, un eliporto, un
centro commerciale, un palazzo
della cultura,e di collegare la
città con Torino a mezzo di una
nuova « super strada ».
Tutto questo accompagnato
da un rilancio dell’« arte equestre » di cui Pinerolo — secondo
l’assessore DC Manduca — sarebbe la culla. A dar maggior
rilievo a quest’ultima proposta
il socialista Arione proponeva
« provocatoriamente » di creare
« un gruppo di vigili urbani a cavallo » (sic)!
Favorevoli a tutte queste ipotesi si mostravano oltre al PSI,
anche il PLI (entusiasta) e il
PCI (con qualche critica su alcuni punti), mentre DP riteneva
che Pinerolo non abbia una grossa vocazione turistica e che gli
interventi vadano rivolti in modo prioritario a sostegno della
struttura produttiva ( industria
e artigianato).
« L’ultima carica »
PINEROLO — Per ricordare
« l’ultima carica » della cavalleria si è tenuto nella nostra città
un raduno organizzato dal museo della Cavalleria.
7
24 settembre 1982
cronaca delle Valli 7
UNA TRADIZIONE CHE VA MANTENUTA
Il costume valdese
Poiché l’uso del costume femminile valdese, pur attenuato,
non è scomparso, anzi risorge
nelle occasioni più importanti
della vita ecclesiastica (confermazioni, manifestazioni varie)
vorremmo permetterci di metterne in luce alcuni aspetti, perché
le giovani generazioni sappiano
farne un uso sobrio, corretto e
conforme alla nostra tradizione.
Il costume è formato dalla cuffia, dal vestito, dallo scialle, dal
grembiule e dagli accessori
(scarpe, calze, guanti, borsetta).
La cuffia. È l’elemento più bello, più importante e caratteristico.
Una volta — una c’era anche
domenica a Chanforan — le ragazze prima della confermazione
la portavano nera, la cosiddetta
« barëtta »; le vedove invece usavano una cuffia di tulle liscio,
ricoperta da un nastro di crespo
nero.
La cuffia o « sgiafloira » consta
di tre parti candidissime: una
anteriore di pizzo ricamato e increspata a cannoncini, destinata
ad incorniciare graziosamente
l’ovale del viso e che deve congiungersi sulla nuca, ricoprendo
i capelli; una intermedia di stoffa o tulle inamidato, una posteriore pure di pizzo o tulle ricamato, che racchiudeva il nodo
dei capelli. Esteriormente un lungo nastro di seta bianca circonda la cuffia e la chiude con un
nodo; in vai Pellice esso è posto
lateralmente (a destra le sposate, a sinistra le nubili), a Prarostino il nodo è posto sull’alto
della cuffia, in vai Germanasca
sotto.
La cuffia va portata né troppo
indietro, né troppo avanti; per
regolarsi porre la mano dritta e
piatta sulla fronte, deve sfiorare
l’orlo della cuffia; questa deve
essere della misura della testa
della persona che la porta; non
qualsiasi cuffia è adatta a qualsiasi persona (e lo si è visto il
12 settembre a Chanforan! Troppe cuffie mal messe, o troppo
piccole, arroccate sull’alto del capo, o troppo grandi, sporgenti
davanti come una casseruola!!).
Soprattutto non si porta con la
frangetta o i ricciolini della permanente!! Per calzarla bene in
testa, anche chi ha i capelli corti, li può legare tutti in un nodo
ben saldo sull’alto del capo, e,
in esso, infilare un grosso pettine su cui poggerà lo «scuffiotto»
e che darà sicurezza a tutta la
costruzione!
Il vestito. Quello classico da
sposa era di seta nera, ma quello
da fidanzata (da «fia») era anche di seta cangiante eventualmente ornato di pizzo scuro sul
davanti e ai polsi.
Nelle parrocchie più alte il vestito era generalmente di lana o
di cotone. Esso consisteva in un
busto non troppo attillato e in
una sottana, generalmente cucita al busto, lunga quel tanto che
permettesse di camminare speditamente, ampia, tutta arricciata
dietro a pieghe regolari. Le maniche erano lunghe, piuttosto ampie, arricciate sulla spalla e terminanti in un polsino. Il colletto, dritto, poteva essere ricoperto da un bordo di pizzo o di Valencienne, che si ripeteva nei
polsini. In fondo un bell’orlo
alto.
Lo scialle. Era di seta, cangiante o no, nei colori rosso, viola,
turchino, cremisi; ma poiché queste sete sono ormai introvabili,
si usa sempre più lo scialle di
seta bianca, ricamato a fiori in
tinte vivaci o tenui. È bene sapere che esso non va indossato cadente dalle spalle come un’elegantona da caffè concerto (!).
Piegato in due sulla diagonale,
esso va posto sulle spalle fissato
con tre o quattro pieghine al
dorso del vestito, con una piccolissima spilla da balia dall’inter
Tre ragazze in costume dopala confermazione, qualche anno fa, in una comunità delle Valli
no; da qui, l’ampiezza viene ricondotta davanti e fermata con
una spilla sul petto in modo che
sia stabile e non sfugga nei movimenti. Le due punte di esso,
invece di essere lasciate ciondoloni davanti, potrebbero più esteticamente essere ricoperte in vita
dal grembiule.
Il grembiule. Lungo poco meno
del vestito, possibilmente di seta
in una tinta che armonizzi col
vestito; i nastri di seta che lo
legano alla vita saranno anch’essi
lunghi, con un piccolo nodo sul
fianco.
Accessori. Da proscrivere del
tutto collane, braccialetti, ciondoli ed altre fantasie che fanno a
TORRE PELLICE — L’Associazione Pro
Loco comunica che la rappresentazione
di: « Nolite timere » dramma liturgico
medievale (sec. XII) si terrà sabato
25 settembre alle ore 21 nella Chiesa
Parrocchiale dì S. Martino di Torre Pellice.
il dramma sarà interpretato dal Gruppo Polifonico ” Turba Concinens » del
Civico Istituto Musicale « A. Gorelli "
di Pinerolo. Direzione musicale di Pier
Giorgio Bonino. Scene e Regia di Federico Vallino.
Testi: «La rappresentazione di Erode»
e «La strage degli Innocenti» dal .libro
di Fleury (ms 201 B M Orléans).
ARREDAME^TI
Mobilificio
GIUSEPPE GRIVA
Lettere
all'Eco
delle Valli
pugni con la sobrietà valdese; un
solo gioiello, per il costume valdese, può ritenersi necessario:
la spilla per fissare lo scialle; sono indicati i cammei, i medaglioni, il fermaglio in corallo. La croce ugonotta, pur non essendo di
origine valdese, è diventata un
accessorio ormai riconosciuto
ed apprezzato soprattutto come
simbolo di fraternità protestante.
Guanti. Sono tradizionali i mezzi guanti neri lavorati coi ferri o
all’uncinetto, di lana, filo o cotone.
Borsetta. Di stoffa come il vestito o lavorata ai ferri come i
guanti, rotonda, arricciata in alto con due nastri.
Scarpe. Molto semplici, a tacco
basso, possibilmente nere.
Calze. Bianche o di colore scuro, senza stonature coll’insieme
del costume.
Conclusioni. Le ricerche e gli
studi che son stati fatti su questo tema, hanno ampiamente riconfermato che il costume femminile ancora in uso oggi nelle
Valli valdesi non è il prodotto di
un folclore regionale, ma esso
appartiene in toto al popolo valdese come tale ed ha il suo posto importante, nella sua vita e
nelle sue attività; io accompagna
nelle sue solenni manifestazioni
nel tempio, nella vita cultuale
della chiesa valdese, in occasione di ricorrenze quali la commemorazione del 17 febbraio, la
festa delle corali valdesi ed altre, senza dimenticare le occasioni familiari per battesimi, confermazioni, nozze.
Evelina Pons
L’AMBULANZA
Lettera aperta al Presidente
della Comunità Montana
Val Pellice
Gentilissima signora,
durante la trasmissione televisiva
« Piazza grande » andata in onda su
Telecupole sabato 18 settembre, le è
stata rivolta una domanda sulle motivazioni per cui 1 U.S.L. 43 possiede
una autoambulanza che avrebbe dovuto essere ceduta alla Croce Rossa Italiana del sottocomitato di Torre Pellice,
mentre invece giace nel parco macchine della Comunità Montana, inutilizzata.
Lei ha dato una esauriente risposta
sulle formalità burocratiche necessarie
per l'acquisto di tale mezzo, e su come avrebbe dovuto essere utilizzata;
inoltre ha detto che la C.R.I. di Torre
Pellice ha risposto che non ne aveva
bisogno.
Queste sue ultime testuali parole, sono errate, perché il corpo dei Volontari
del Soccorso ne avrebbe avuto ampia
necessità.
Il vero motivo del rifiuto è questo;
gli autisti muniti di patente C.R.I., possono condurre esclusivamente automezzi targati con questa sigla e non con
comuni targhe civili.
L'U.S.L. 43 non ha accettato di targare la vettura come suddetto.
La causa, suppongo, è che motivi dì
genere burocratico abbiano impedito
questa azione da parte vostra.
Ora però mi domando, se la C.R.I. di
Torre Pellice non ha potuto, come già
detto, accettare l'autoambulanza, per
quale ragione si è effettuato ugualmente l'acquisto del mezzo?
La Croce Verde di Pinerolo e la Croce Rossa di Torre Pellice svolgono il
loro servizio nel miglior modo loro
possibile; nonostante tutto sarebbe bene accetto un ulteriore servizio di soccorso per poter migliorare le prestazioni
sanitarie (e alleviare un po' dal pressante lavoro i militi delle varie croci).
Perché non utilizzare questa autoambulanza gestita dalla stessa U.S.L. 43
anche solo per i servizi ospedalieri locali (cioè trasporti di malati da un ospedale all’altro per analisi, visite ambulatoriali e di altro genere), che oltre
tutto, almeno credo, potrebbe essere
motivo di risparmio per il suddetto
ente?
Le sarei grato se mi concedesse una
risposta su queste pagine.
Cordiali saluti.
Renato Pizzardi, Torre Pellice
« Io ho combattuto il buon
combattimento, ho finito la corsa, ho serbato la fede ».
(2 Tim. 4: 7).
« Non temere, perché io sono
teco ». (Isaia 24: 10).
Dopo un lungo ministero, il Signore
ha richiamato a sé il Suo fedele servitore
Enrico Ceymet
Pastore Valdese - di anni 78
Fidenti nel celeste ritrovo, ne danno
Tannuncio : la moglie Eugenia Gabella,
la figlia Amalia col marito Luciano
Panerò; le cognate E^isa e Alma Gabella; i nipoti ; Alberto e Alda, Renato e
Carla e famiglia; i cugini: Renzo Bei^
talot, Gianni Bonci, Lidia Paratore,
Augusta Regali, Giulio e Silvio Martinat con le rispettive famiglie; i consuoceri Panero-Mast; i fedeli amici
Ruth e Cipriano Tourn, Iolanda e Alberto Long.
Torre Pellice, 20 settembre 1982.
FABBRICA • ESPOSIZIONE
Via S. Secondo, 38 - PINEROLO - Tel. (0121) 201712
(di fronte Caserma Alpini « Berardi »)
Un vivo ringraziamento al caro amico Doti. Enrico Gardiol per la sua fraterna assistenza; ai Pastori Giorgio
Toum, S. Zotta, R. Nisbet e W. Eiss,
al Priore Don G. Trombetto, al Sindaco
di Pinasca Richiardone, alla Corale di
Torre Pellice, ai Trombettieri Valdesi,
allTInione dei Valdesi di Germania, al
Gustav-Adolf-Werk, alla cara Laura
per le sue fraterne cure e a tutti i
colleghi ed amici ohe gli sono stati vicini nel suo lento declino.
Si prega di devolvere eventuali offerte in memoria a favore del Collegio
Valdese e della Scuola Latina.
« lo sono la resurrezione e la
Vita; chiunque crede in me,
benché sia morto vivrà ».
(Giov. 11: 25).
Si è spenta serenamente come è sempre vissuta
Elvira Costantini
Ved. De Bottini
di anni 93
Ne danno l’annuncio a funerali avvenuti, per espressa volontà della defunta, il figlio Giancarlo con la moglie
Ada Bounous, i nipoti Marco, Luca e
Cristiana con le loro famiglie.
Torre Pellice, 24 settembre 1982.
AVVISI ECONOMICI
CERCASI SIGNORA per aiuto lavori
vari dì ufficio part-time (mattino).
Telefonare 011-589571 ore 10 12.
LA TELEVISIONE
AL SINODO
Leggo con un certo stupore la lettera
del pastore E. Micci nel numero del
17 settembre, relativa alla questione
della presenza delle macchine fotografiche, ecc. in chiesa. Egli si associa all'Eco del Chisone (che non perde mai
l'occasione per lanciare frecciate o travisare i fatti) per far rilevare le differenze di atteggiamento nel confronti di
chi aveva voluto scattare delle foto per
un battesimo e della recente ingombrante presenza della televisione.
Mi rincresce che il past. Micol avalli
questa linea, e non si renda cioè conto dell'enorme differenza fra le due
cose: sarebbe come voler addizionare
delle patate a delle mele; sempre patate e mele resteranno. Infatti mi sembra che una cosa sia il voler « eternare » un battesimo per un più o meno
legittimo orgoglio di parenti ed un’altra
sia il sottostare coscientemente, ed
anzi — ritengo — l'aver autorizzato
gli opferatori televisivi a disturbare la
funzione nella convinzione (o certamente almeno nella speranza) che quelle immagini, destinate a milioni di persone, possano aumentare l'interesse o
il desiderio di maggior conoscenza della nostra realtà.
R, Peyrot, Torre Pellice
USL 42 - VALLI
CHISONE-CERM ANASCA
Guardia Medica:
Notturna, prefestiva, festiva: telefono 81000 (Croce Verde).
Guardia Farmaceutica:
DGVENICA 26 SETTEMBRE 1982
Villar Perosa: FARMACIA DE PAOLI
Via Nazionale. 22 - Tel, 840707
Ambulanza:
Croce Verde Perosa: tei. 81.000
Croce Verde Porte; tei. 201454
USL 43 - VAL PELLICE
Guardia Medica:
Notturna: tei. 932433 (Ospedale Valdese) ,
Prefestiva-festiva: tei. 90884 (Ospedale Mauriziano).
Guardia Farmaceutica:
DOMENICA 26 SETTEMBRE 1982
Torre Pellice: FARMACIA INTERNAZIONALE - Via Arnaud, 8 - Telefono
91.374.
Ambulanza:
Croce Rossa Torre Pellice: telefono 91.288.
USL 44 - PINEROLESE
(Distretto di Pinerolo)
Guardia Medica:
Notturna, prefestiva, festiva: telefono 74464 (Ospedale Civile).
Ambulanza:
Croce Verde Pinerolo: 22664.
8
8 uomo Ê società
24 settembre 1982
COSTRUIRE LA PACE
DAL SINODO
L'Italia produce sempre più armi
Da un inchiesta promossa recentemente da « Mondo economico » risalta il ruolo crescente
aell industria bellica nell economia del nostro paese che è al 4° posto nell’esportazione di armi
In Italia l’industria bellica è
costituita, in cifre tonde, da 150
aziende che occupano 100 mila
persone e fatturano 4 mila miliardi all’anno. Partendo da questi
dati di fatto il periodico « Mondo
economico » (M. E.) ha condotto
recentemente un’inchiesta su
questo settore della nostra economia.
Nel leggere il servizio balza subito agli occhi un fatto; malgrado i ripetuti ed accorati appelli
del Presidente Pertini (« si vuotino gli arsenali, si riempiano i granai ») viene data «via libera all’ulteriore crescita di un settore
che è già riuscito a conquistarsi,
con un 4% sul totale mondiale,
il quarto posto nella graduatoria
dei maggiori esportatori di armi ■
dopo Stati Uniti (43,3»/o), Unione
Sovietica (27,7%) e Francia (12
per cento) ».
Secondo l’inchiesta di M. E.
produciamo e vendiamo di tutto.
Grazie ad un avanzato livello
tecnologico, le industrie italiane
partecipano a pieno titolo a con, corsi internazionali, come nel
caso del settore avio. Questa situazione è dovuta, oltre alla « intraprendenza degli imprenditori
del settore », ad un marcato rap
porto di complementarietà (forse sarebbe più appropriato dire
di « subordinazione ») con l’industria statunitense. La nostra continua infatti ad essere un’indu'stria « assemblatrice » che produce quasi esclusivamente su licenza e di cui gli USA sono i
principali fornitori di materiale
e di strumenti tecnici.
Ciononostante, secondo M. E„
la nostra industria dovrà confrontarsi coi produttori del Terzo Mondo che si stanno afferman.
do nella tecnologia medio-avanzata: quella stessa tecnologia che
ha fatto fin qui la fortuna della
nostra produzione sui mercati
dello stesso Terzo Mondo cui negli anni ’70, secondo stime delTONU, è andato il 75% dell’intero
commercio mondiale.
I vari settori
Vengono poi esaminate le varie
branche della produzione bellica
italiana. Quella aeronautica ha
fatturato Tanno scorso 1700 miliardi (di cui mille all’export)
con una netta prevalenza nelTàm.
bito militare. Aeritalia, Agusta,
Aermacchi, Fiat Avio sono i no
Fondo di solidarietà
Prima di pubblicare qui appresso un nuovo elenco dei doni
pervenutici in questi ultimi tempi, desideriamo fornire ai lettori alcune informazioni sull'andamento del nostro Fondo.
Anzitutto, ricordiamo che le
attuali destinazioni sono diverse
e precisamente: a favore della
Polonia, del Salvador e del Libano. Inoltre, sono sempre aperte le sottoscrizioni contro la fame nel mondo ed a favore del
programma di Lotta al Razzismo (PLR). Come certamente i
lettori ricorderanno, sono tutte
iniziative assunte dal Consiglio
ecumenico delle Chiese (CEC) di
cui le nostre chiese sono membri,
ed al quale invieremo le relative
somme, non appena avranno raggiunto una certa qual consistenza.
V.
Comitato di Redazione: Franco
Becchino. Mario F. Berutti, Dino
Ciesch. Niso De Michells, Giorgio
GardioI, Marcella Gay, Aurelio Penna, Jean-Jacques Peyronel, Roberto
Peyrot, Giuseppe Platone, Marco Rostan, Mirella Scorsonelli, Giulio
Vicentini, Liliana Viglielmo.
Editore: AlP, Associazione Informazione Protestante - Torino.
Direttore Responsabile:
FRATMCO- GIAMPICCOLI
Redazione e Amministrazione: Via
Pio V, 15 - 10125 Torino - tei. 011/
655,278 - c.c.p, 327106 intestato a
• L’Eco delle Valli - La Luce •.
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Pubblicità: prezzo a modulo (mm.
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280 - sottoscrizioni 100 - economici
200 e partecipazioni personali 300
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intestato a « La Luce: fondo di solidarietà », Via Pio V, 15 - Torino.
• La Luce •: Autor. Tribunale di
Pinerolo N. 176. 25 marzo 1960.
• L’Eco delle Valli Valdesi •: Reg.
Tribunale di Pinerolo N. 175, 8 luglio 196P
Stampa: Cooperativa Tipografica
Subalpina - Torre Pellice (Torino)
Quanto prima dovremmo raggiungere la somma di L. 3 milioni per le tre prime iniziative; invitiamo tutti quanti ad inviare
le loro offerte in modo da poter a
nostra volta effettuare un invio
il più sollecito possibile.
Dobbiamo ancora aggiungere
qualche riga di carattere « burocratico » a causa di un paio di
versamenti effettuati sul conto
del Fondo, ma non destinati al
medesimo. Anzitutto, dal presente conteggio, abbiamo dovuto
stornare la somma di L. 20 mila:
sul relativo bollettino non era
stata indicata la causale del versamento e solo in un secondo
tempo ci è stato comunicato che
si trattava di un rinnovo di abbonamento e non di un dono al
Fondo. In secondo luogo, non
abbiamo contabilizzato la somma di L. 50 mila della scuola
domenicale mista di Parma (Metodisti-Fratelli) in quanto Tabbiamo direttamente inoltrata al
concistoro di Pomaretto, promotore dell’iniziativa « s.o.s. Ciad »
cui la suddetta cifra era destinata.
Ricordiamo ancora una volta
ai lettori interessati che il numero dei c.c. postale del nostro
Fondo è il n. 11234101 (La Luce
fondo di solidarietà. Via Pio V 15
Torino) ed a questo numero vanno inviate esclusivamente le somme destinate alle iniziative di cui
sopra.
Ed ecco ora l’elenco aggiornato:
A. M. L. 10.000: E. Cedo 10.000; L.
Cedo Storino 25.000; M. Storino 50.000;
A. Clemenzi (3 vers.) 450.000; L. Kovacs 5.000; E. Martini (2 vers.) 50.000;
M. Bessone 10.000; S. C. 50.000; N.N.
40.000; M. e E. Bein (2 ver.) 110.000;
N. N. 25.000; Chiesa valdese Susa 50
mila; D. Fontana 100.000; O. Bufalo 50
mila; F. Zerbini 6.550; TEV 301.500;
S. C. 50.000; E. Resta 30.000; E. Selis
10.000; Scuola dom. Torre Pellice 219
mila: Marco e sua madre 20.000; F.
Cacdapuoti 20.000; Colletta Chiesa
Pomaretto 163.000; Nozze Bounous-Long
69.400; M. ArmosinI 30.000; Precatechismo Il Media Torre Pellice 61.380; A.
C.L. 50.000; Diaspora di Alimena (Pa)
100.000. Totale L. 2.155.830; precedente
L. 2.500.103; in cassa L. 4.655.933.
mi più significativi: aerei da combattimento, da trasporto, da addestramento, elicotteri, sono presenti un po’ dappertutto, dalla
Germania al Venezuela, dagli
stessi Stati Uniti all’Argentina,
dal Burundi alla Libia. Per non
parlare del caccia multiruolo
Tornado prodotto in collaborazione con inglesi, tedeschi e olandesi.
L’industria elettronica, « destinata a crescere a ritmi piuttosto
sostenuti » dal 1979 alT81 ha avuto un incremento di oltre il
50%, con percentuali di esportazioni fino alT80%. Si tratta di
sistemi « àvionici » come il radar, oppure dei computers programmati, satelliti spia, sistenii di puntamento, di direzione,
di misura, girabussole, scambiatori di calore, ecc. La recente
guerra delle ■ isole Falkland è
stato un « utile » terreno di prova
per i prossimi conflitti basati su
armamenti ad alto contenuto
tecnologico (le cosiddette « armi
intelligenti »), armamenti che appunto ora riceveranno un forte
impulso nella produzione. Le ditte più qualificate sono la Elsag
Selenia (36% della produzione),
la Contraves (14%), la torinese
Microtecnica (10.3%) colla sua
appendice di Luserna S. Giovanni.
Anche il settore navale dall’inizio degli anni ’70 ha avuto notevole incremento. La Cantieri
Navali Riuniti, la Fiat per le turbine a gas e la Grandi Motori per
i diesel sono le ditte maggiormente impegnate. Corvette e fregate sono le unità più richieste.
II futuro qui tuttavia non appare molto roseo — commenta M.
E. — per via dell’agguerrita concorrenza europea.
Infine, la meccanica. Qui domina la Fiat nel settore veicoli,
nel montaggio di carri armati e
nella fabbricazione di spolette e
timer tramite la Borletti. Punta
di diamante è la Oto Melara,
che nel 1981 ha avuto un incremento del 46% sull’anno precedente_ e con un portafoglio di
ordini che le assicura la produzione per più di tre anni: si tratta di artiglierie navali e terrestri, ca,rri armati e missili. Attraverso il « Club Melara » parecchie aziende dei vari settori sopra elencati si sono raggruppate in modo che ognuna di esse
partecipa, ad esempio, alla costruzione di una nave da guerra completa di tutti gli accessori; dal motore ai sistemi d’arma
ed elettronici.
Vi è poi in più il settore delle
armi leggere (pistole e fucili),
prodotte da un centinaio di aziende situate specialmente nel bresciano (Beretta, Franchi, Gamba,
ecc.). Queste ditte hanno visto una stagnazione della produzione
anche come contraccolpo psicologico alla campagna anticaccia ed
al referendum sul porto d’armi.
Si sta perciò verificando — e
probabilmente verrà potenziato
— uno spostamento dal campo
civile a quello militare.
Già affari
sono affari
L’inchiesta di M. E. si attiene
essenzialmente all’esposizione di
cifre e di dati senza fare molti
commenti o assumere toni moralistici (anche se parla di «cinico commercio di morte»). Il
periodico azzarda però una previsione scrivendo che la sfida degli anni ’80 potrà essere raccolta dalla nostra industria bellica
se riuscirà a realizzare la « messa a punto di una politica delle
vendite maggiormente coordinata e che risulti pagante sia da
un punto di vista economico che
politico ». Molto dipenderà —
afferma — dal ruolo fondamentale che il governo vorrà assunìere
- « per una produzione organica
e globale sui mercati esteri ». In
sostanza, sì, certo, il commercio
è cinico, ma è anzitutto commercio: il dio denaro viene prima della vita degli uomini.
Se poi si pensi alla grave situazione economica che il Paese sta attraversando (ed il tunnel
pare molto lungo) è probabile
che i nostri responsabili politici
ed economici — magari in sordina — faranno di tutto per agevolare il settore bellico per tirare
in casa « valuta pregiata ». Nelle
nostre azioni per la pace dobbiamo perciò tener anche ben
presente questo aspetto della
questione manifestando decisamente contro i risultati e gli
obiettivi di un commercio che ci
offende come credenti e come
uomini.
Roberto Peyrot
Un itinerario
(segue da pag. I )
Storicamente sono stati mandati quasi lutti in Palestina... ».
Non trova che c’è una certa
.somiglianza tra questi suoi combattenti ebrei e i combattenti
palestinesi di oggi?
« S), questa analogia esiste. Ci
ho pensato anch'io... ».
Il sionismo
Sullo sfondo di questa sua avventura di amore e di dolore c’è
la terra dei padri, la Terra Promessa. E’ l’ideologia del sionismo?
« Allora, all’epoca dei fatti di
cui parlo, il sionismo era un'idea
forza e una necessità politica. Il
sionismo era proteso in quegli
anni verso un paese pacifico e
contadino. Ma l'Israele attuale è
divenuto un paese industriale e
militare ».
Tra le righe del romanzo di Levi emergono temi di, attualità:
la repressione in Polonia, la resistenza dello spirito ebraico, il
tradimento della rivoluzione...
Domanda: lo scopo di questo
libro, scritto in modo chiaro e
conciso, è forse quello di tentare una valutazione degli avvenimenti di oggi parlando dei fatti
di quarant’anni fa? « Questo libro — conclude Levi ■— tende anche a dimostrare una certa continuità nella storia degli ebrei.
Quello che gli ebrei di “Se non
ora quando?" fanno non è molto
diverso da quello che hanno fatto ebrei nei passato; non è molto
diverso da altre fughe, da altri
viaggi e itinerari pieni di insidie
e stragi come la fuga dall'Egitto
o il rientro dalla cattività babilonese. Volevo far capire al lettore che la cosa per noi non è
nuova. Fa parte della strana storia di questo popolo in cui convivono due filoni: uno di estremo
rigore, anche religioso, e un altro filone di grande libertà mentale... ». Non c’è dubbio che Levi
appartenga a quest’ultimo.
a cura di Giuseppe Platone
La fame
nel mondo
Il Sinodo, preso atto che al
Parlamento italiano si è alla vigilia della decisione finale su un
disegno di legge di iniziativa popolare contro lo sterminio per
fame nel mondo,
rivolge un appello alle forze
politiche ed ai parlamentari perché, al più presto, sia approvata
una legge adeguata all’obiettivo
di salvare alcuni milioni di vite
umane nelle zone dove più atroce infierisce la fame, e di legare
quest’azione di sopravvivenza ad
una efficace politica di autosufficienza e sviluppo.
Auspica che lo stanziamento
necessario sia reperito dalla conversione di fondi già stanziati
per le armi affinché venga concretamente realizzato l’imperativo cristiano del non uccidere.
(81/SI/82)
Vocazione
(segue da pag. I)
de, in altre parole, su una linea
di frontiera, dove immediato è
il contatto con gli altri, con chi
ancora non si è misurato con
l’Evangelo.
E si noti che non è in questione semplicemente un luogo fìsico prescelto da Gesù per il suo
annuncio, ma il senso stesso della sua missione: « io non sono
venuto a chiamare i giusti bensì i peccatori ».
Proviamo a pensare a questo
episodio della chiamata di Matteo in riferimento ai giovani che
in certa misura costituiscono
l'ambito naturale nel quale rivolgere vocazioni all'impegno ed alla testimonianza dell’Evangelo.
Una prima considerazione è che
le nostre chiese sono spesso incapaci di catalizzare l’attenzione
delle persone alle quali si rivolgono; per quello che esse dicono
— o tacciono —, per quello che
esse sono e fanno, non avvincono,- non riescono a distinguersi
da altre, pur rispettabilissime,
aggregazioni.
Talvolta non sappiamo guardarci attorno, non sappiamo scorgere il nostro prossimo che cerca, non sappiamo proporgli che
un impegno talvolta ripetitivo_e
stantio. Quando ci rivolgiamo ai
più giovani sappiamo con chi
parliamo, come il nostro interlocutore è toccato dai processi economici, sociali, ideali in atto?
Sanno le nostre chiese proporsi
come scuole in cui si impara a
porre domande ed a cercare insieine senza scandalizzare i farisei di turno, se necessario sedendo al desco dei peccatori? Sanno
le nostre chiese essere luoghi in
cui si impara a vigilare, ad attendere e, perché no?, a lottare? Sono esse, infine, così credibili da poter formulare la stessa
vocazione secca e perentoria che
Gesù rivolse a Matteo? Temiamo
di no. Troppi sono i ritardi, le
incertezze con le quali ci muoviamo: né a giustificarci basta la
quota crescente di attività che
riusciamo a produrre nel corso
dell'anno ecclesiastico: Dio vuole
innanzitutto misericordia, amore
nell’incontro col prossimo, impegno perché noi, servi inutili, ci
sforziamo ad essere testimoni coraggiosi e coerenti della sua Parola.
Paolo Naso
12 PAGINE
Secondo il programma stabilito e comunicato a suo tempo, TEco-Luce cessa la riduzione estiva a 8 pagine e riprende, col prossimo numero, Te
dizione regolare a 12 pagine.