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Anno 124 - n. 45
25 novembre 1988
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delle will valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
DOPO LA PROCLAMAZIONE DI ALGERI
Il 25 Juglio 1968 veniva pubblicata renciclica «Humanae vitae»,
che richiamava a rispettare la
natura e la finalità dell’atto matrimoHialc e proibiva ogni metodo antifecondativo che non fosse i! ricorso ai periodi infecondi o rsgenesiaci. I cattolici hanno disobbedito in massa all’enciclica, vescovi e teologi hanno
fatto appello alla « coscienza »,
al diritto al dissenso. I protestanti, ma anche teologi cattolici, haiiiio denunciato l’errore metodologico del ricorso alla legge di natura per emanare pareri etici. Teologia e biologia non
si sposano meccanicamente; la
persona umana è corpo e psiche, non una macchina riproduttiva cieca. La Bibbia non dice
nulla sulla contraccezione; assegna ima responsabilità, non una
fatalità, non insegna un metodo.
L’«Htimanae vitae» proclamava
che i coniugi « non sono liberi
fii procedere a proprio arbitrio»:
debbono, in materia di procreazione, ubbidire a Dio, alia natura, alla chiesa. La prassi dei cattolici ha mandato a farsi benedire l’insegnamento pontificio
solo perché sedotti da irrefrenabile concupiscenza? No, perché l’enciclica è un assurdo teologico, biologico, psicologico, sociologico. Un pasticcio immenso.
Ora, dal convegno tenutosi alla
Pontificia Università Lateranense, viene il richiamo all’osservanza dell’enciclica, vengono parole durissime contro i teologi
dissidenti, contro le multinazionali che diffondono i contraccettivi meccanici e chimici. La contraccezione esprime una volontà omicida, essendo negazione
delia vita. Giovanni Paolo II ha
chiuso il convegno, l’il novembre, accusando chi pratica la
proibita contraccezione e la legittima di « rendere vana la croce di Cristo ». Il riferimento è a
I Corinzi 1: 17, ove Paolo contrappone la follìa della croce alla sapienza di parola. Si tratta
di una esegesi e di un’applicazione indecente. Veramente, l’enciclica in questione è emblematica della « disumana esistenza »
a cui una teologia indegna e liberticida invita.
Anziché minacciare il licenziamento ai teologi in disaccordo
con I’« Humanae vitae » e il ritiro
della «licentia decendi » (licenza d’insegnamento), proponiamo che la chiesa cattolica dia
loro un prem,io di onore quali
« defensores fidei » (difensori della fede), giacché il loro coraggioso ed onesto dissenso rende
meno vergognosa la teologia etica cattolica, restituendole un
teologico senso del pudore.
^ cattolici in ricerca, ai teologi in dissenso, auguriamo che.
l’inverno wojtyìiano non bruci
nel gelo le fragili gemme dell’ecumenismo, della comune ricerca fra credenti di ogni confessione. « Esìste un ordine o gerarchia nelle verità della dottrina cattolica »: l’ha detto il Concilio Vaticano II (Unitatis Redintegratio, 11). Collochino l’«Humanae vitae » dove si deve.
Alfredo Berlendis
Lo Stato palestinese,
una questione morale
Le risoluzioni cieirONU fatte proprie dal parlamento in esilio dell’OLP - La necessità di
una verifica internazionale - Uno stato che cresce nella stessa misura in cui viene negato
Ci vorrebbero competenze diverse, conoscenze meno imprecise, per capire adeguatamente che
cosa significa la nascita dello stato palestinese, di cui abbiamo
sentito parlare nei giorni scorsi,
e poterne informare. Ma sarebbe
deplorevole tacere, attendere che
ne parlino gli altri, nascondersi
e negarsi una opinione per il timore di apparire, a seconda dei
casi, sionisti o antisemiti. Tacere
vorrebbe dire accettare ancora
una volta l’autocensura sui fatti
che toccano Israele e Palestina,
accettando un ricatto che già nel
1969 Jean Bauberot denunciava:
« Vi opprimo in quanto israeliano e ne ho il diritto: sono uh
uomo come gli altri. Non mi toccate, sono un ebreo, sono un tabù: non sono un uomo come gli
altri ». Dove ci manca la competenza storica e politica, non possiamo eludere la questione morale che ci investe.
I fatti e le opinioni. Sarà questa un’impostazione estremamente liberale, ma non ne possiamo
fare a meno. L’impressione che ci
viene dalla lettura dei giornali
e dall’ascolto di radio e televisione è quella di una impressionante ricchezza di interpretazioni
che invece di evidenziare i fatti
tende a nasconderli, a piegarli
all’opinione. Il messaggio complessivo che si cerca di dare (sia
con le anticipazioni, che con i
commenti, che con la ridda di
voci contraddittorie sui riconoscimenti del nuovo stato), è che la
vittoria di Arafat sui duri delTOLP sarebbe avvenuta conformemente ai desideri dei paesi occidentali e dell’Unione Sovietica.
Vediamo i titoli di alcuni giornali del 15 novembre (nriraa che si
conoscessero con precisione i testi delle dichiarazioni del Consiglio nazionale dell’OLP): « Arafat
accetta Israele » (La Stampa);
« Nasce lo Stato palestinese. Anche Reagan è ottimista » (L’Unità); « Nasce lo Stato di Arafat »
(La Repubblica); « Dichiarazione
d’indipendenza » (Il Manifesto);
Chi fa opinione tende, in altre
parole, ad attribuire non ai palestinesi ma ad altri i meriti della dichiarazione d’indipendenza
e della presa d’atto della esistenza di Israele, e a scaricare sulle
contraddizioni interne alTOLP i
demeriti per quel che non è stato ancora detto o fatto.
In realtà, quali fatti si intravvedono, cercando di leggere attentamente? Il parlamento in esilio deirOLP è stato imanime nel
fatto essenziale, la proclamazione d’indipendenza. Sui paragrafi
che possono suonare riconoscimento di Israele Arafat e i suoi
avversari interni si sono contati
(253 a favore del leader, 46 con
Algerì: Arafat firma la proclamazione dello stato palestinese.
trari, 10 astenuti). La dichiarazione (che meriterebbe uno studio a sé) rappresenta una lettura attenta di tutte le risoluzioni
delTONU e quindi ripropone alla
comunità internazionale le re
1* DOMENICA DI AVVENTO
Il Dio che custodisce la fedeltà
« Non confidate nei principi, né in alcun
figlio d’uomo, che non può salvare.
II suo fiato se ne va, ed egli ritorna alla
sua terra; in quel giorno periscono i sliol progetti.
Beato colui che ha per aiuto il Dio dì Giacobbe,
e la cui speranza è neU’Eterno, suo Dio,
che ha fatto il cielo e la terra,
il mare e tutto ciò ch’è in essi;
che mantiene la fedeltà in eterno,
che rende giustizia agli oppressi,
che dà il cibo agli affamati »
(Salmo 146: 3-7).
L'Avvento è il tempo dell'attesa. Le letture bibliche indicate per questo periodo parlano della
seconda venuta di Cristo, di nuovi cieli e nuova
terra. Non invitano a prepararsi alla festa di Natale, ma a scorgere tutte le conseguenze dell'avvenimento della nascita di Gesù.
Eppure, quando si parla del mondo futuro, lo
sguardo si perde nel vuoto; oggi questo discorso
suona astratto. Nel « Credo » ciò che fa problema
non è soltanto la frase « nacque da Maria vergine », ma anche l'affermazione: « Siede alla destra di Dio, Padre onnipotente; di là ha da venire
a giudicare i vivi ed i morti ». Gesù è l'uomo che
ha aperto una via nuova per l'umanità; che possa ritornare dal cielo, è un'affermazione che per
molti cristiani è diventata inconcepibile.
Il motivo per cui riesce inconcepibile è che per
molto tempo la concezione della salvezza è stata
dominata dalle immagini della beatitudine celeste e della dannazione infernale. Si sono descritte
le gioie dei beati e le sofferenze dei dannati; si
e considerata la vita terrena come un semplice
luogo di transito, mentre il vero obiettivo era
una vita ultraterrena di durata infinita. Oggi non
si sa come riempire questa durata, e la gioia celeste non si sa in che cosa consista. Oggi l'umanità possiede la terra; la possiede come non l'ha
mai posseduta, e l'impegno sembra sufficiente per
riempire la vita. I sogni, i progetti, sono tutti per
questa terra, e la morte, che viene a interromperli, appare come, un inconveniente assurdo e
odioso. Non si potrebbe avere un po' di eternità
quaggiù, senza dovere aspettare quella di lassù?
Ma proprio questa contrapposizione tra quaggiù e lassù è il presupposto falso che sta alla base sta dello spiritualismo di ieri, sia del materialismo di oggi. Non incontriamo Dio soltanto «lassù»: «Nella città di Davide, vi è nato un Salvatore ». Noi pensiamo al possesso, la Bibbia ci parla di un aiuto. Non è beato chi possiede; è beato
chi ha Dio come aiuto. Il mondo non si divide
tra un « quaggiù » e un « lassù », ma tra una vita
soccorsa da Dio e una vita che ha l'uomo come
solo riferimento. Se ci riconosciamo come creature che hanno bisogno di aiuto, è essenziale per
noi sapere che Dio ci è fedele: non ci abbandonerà mai. Ma il ritorno di Cristo non è forse la
prova suprema della fedeltà di Dio?
Bruno Rostagno
sponsabilità di ciascuno relativamente al progetto di spartizione
della terra palestinese in due stati internazionalmente garantiti.
Che cosa cambia rispetto alla
situazione precedente? Certamente resta lunga la via per una ricerca di soluzioni, il nuovo stato
resta per ora sulla carta, l’incertezza sui confini e sullo stato giuridico dei palestinesi (in esilio,
nei territori occupati, nei campi
profughi) non è cancellata da un
giorno all’altro, ma cambiano alcune cose non da poco.
Cambia, anche se è presto dire come, la già complessa situazione a livello di diritto internazionale. Il nodo dei profughi (al
quale tutti, almeno a parole, hanno detto di essere sensibili) viene ricondotto ai suoi veri termini. Ci sono profughi palestinesi,
quelli espulsi dai territori occupati da Israele oltre i confini
internazionalmente proposti, ai
Quali deve essere consentito il
rientro, o che, in subordine, vanno indennizzati, ma il problema
palestinese va ben oltre quello
dei profughi.
Cambia il rapporto con la Giordania, che già aveva rinunciato
ai suoi « diritti » sui territori occupati, altra volta di sua competenza. Cambiano (come?) le prospettive delTIntifada.
Ma tutto questo cambia in una
situazione che già era cambiata
prima, fuori della Palestina, senza la volontà dei palestinesi: una
ripresa di credibilità dell’ONU, i
nuovi rapporti tra URSS e USA,
ancora da riverificare, le ultime
elezioni in Israele e negli USA, e
Sergio Ribet
(continua a pag. 2)
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commenti e dibattiti
25 novembre 1988
DIBATTITO
Farsi conoscere
Il dubbio m’era venuto. Se il
peso della presenza e dell’alternativa protestante nel nostro Paese non sia inferiore a quello che
potrebbe essere. Ma, appena iniziato come sono aUa chiesa evangelica (la Bibbia ha avuto l’onore del centro nello scaffale dei
miei libri ma è ancora tutta da
studiare, meditare, vivere), me lo
tenevo per me. Il pastore, i nuovi compagni nel cammino di fede m’avevano avvertito: è bene
frenare l’entusiasmo dell’adepto,
non mitizzare chiese e comimità
valdesi.
E c’era anche, devo cercare di
non smarrirla mai, una certa
umiltà. Ho da lasciarmi indietro
una quantità di quelle che l’apostolo Paolo chiama cose vecchie,
il Signore sa se riuscirò a farmi
nuovo e non sono certo io che
potrò mai indicare ai valdesi come essere protesttmti.
Però ora Giorgio Girardet, in
im articolo sul nostro giornale
(n. 42/’88) ha manifestato opimoni che mi trovano, nella mia pochezza, sulla medesima lunghezza d’onda.
E non so resistere alla tentazione di intervenire. I fratelli mi riprendano, il direttore non
mi pubblichi se è bene che questo nuovo venuto impari e se ne
stia al suo posto. Perché, mi chiedo anch’io all’ombra deU’autorità di Girardet, i protestanti italiani faimo sentire così scarsamente la loro presenza?
Sono stato attratto nel mondo
valdese, dove ho promesso di impegnarmi a rispondere alla chiamata dell’Evangelo e a testimoniarlo, in una prima istanza dal
laico senso della comimità, della
condivisione di responsabilità civile, dal buon governo di questa
piccola enclave protestante in terra italiana, cattolica.
Gli evangelici italiani sono componente dell’altra confessione religiosa degU europei, maggioritaria in Paesi che pure hanno contato qualcosa nel costruire il meglio della civiltà occidentale nella quale ci riconosciamo. Pure,
è come se non ci fossero.
Non si è spento sui giornali italiani il dibattito suscitato su « La
Stampa » da Ernesto Galli della
Loggia. Che, riflettendo sullo
scardinamento di molte regole
del vivere collettivo, si chiedeva
se sia lecita l’indifferenza dell’etica laica, illuministica che lascia
alle chiese di postulare la difesa
dei valori morali. Mi sarebbe piaciuto, in questo concerto di opi
nioni, sentire la voce anche di
un evangelico.
Poiché l’annunció cristiano non
è affatto monopolio della chiesa
romana, anch’io penso che il nostro Paese abbia bisogno « della
presenza combattiva e convinta
di chi ha fatto una scelta di fede », di testimonianza cristiana,
coniugandola con i valori di laicità, di libero confronto di idee,
di tolleranza.
Possibile che la stampa, la TV,
i leader d’opinione identifichino
tout court la dimensione « religiosa » e culturale cristiana con
quella della chiesa cattolica?
Perché si fanno sentire e valere così poco le voci degli evangelici?
E’ solo una questione di numeri, il fatto che gli evangelici sono sparuta minoranza, hanno
scarse risorse, pochi mezzi di comunicazione e poca « audience »?
O ci vuole, come sembra ritenere
Girardet, un po’ più di « immaginazione e coraggio », più « visione del futuro e spirito giovanile »?
Nel campo cattolico Papa Wojtvla manifesta pulsioni e nostalgie della medioevale « societas
Christiana », propone santi e santini all’universo simbolico dei credenti, ma gli va dato atto di essere un comunicatore nella moderna società delle comunicazioni. Così in campo protestante,
gli « evangelicals » americani veicolano in buona misura messaggi di fondamentalismo biblico
ma sanno suonare in modo raffinato i moderni strumenti della
« marketing research », delle comunicazioni di massa, ci riferisce il pastore Platone.
E non c’è anche (cito sempre
G. Girardet, autore di un libro
sugli elementi centrali della fede
cristiana, « Cristiani p>erché », che
andrebbe usato nelle « scuole domenicali » di tutte le confessioni
cristiane per la sua chiarezza cristallina) una questione di linguaggio? La teologia di molte chiese
evangeliche è di grana molto fina.
Ma non è vero che i linguaggi
degli evangelici e dei loro mezzi
di comunicazione sono qualche
volta « segreti » e tali da non trovare sufficiente « feed-back », risposta in sintonia, oltre l’ambito
degli addetti ai lavori?
Queste cose mi chiedo, con un
certo spavento del mio impudente ardimento, e mi pare che il
problema sollevato da Girardet
meriti echi molto più autorevoli
del mio, di cortissimo fiato.
N. Sergio Turtulici
delle valli valdesi
settimanale delle chiese valdesi e metodiste
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Registrazione: Tribunale di Pinerolo n. 175. Respons. Franco Giampiccoll
Il n. 44/88 è stato consegnato agli Uffici postali di Torino e a quelli decentrati delle valli valdesi il 17 novembre 1988
Hanno collaborato a questo numero: Giorgina Giacone, Jean-Jacques
Peyronel, Bruna Peyrot, Lucilla Peyrot, Franco Sonimani, Irene Wigley.
DIO, DOVE SEI?
« Dio è disarmato! » ha detto qualche
teologo, intendendo l'impossibilità del
Padre ad evitare la croce di Gesù
Cristo per la realizzazione del piano
divino nella salvezza del mondo.
Necessariamente deve essere una
croce quella che deve portare il discepolo del Signore al seguito del suo
cammino.
Così è stato anche per i martiri,
iniziando da Stefano, fino ai giorni
nostri con la morte di M. L. King.
Fin qui sembra quasi naturale, poiché ogni morte è alla gloria di Dio
per la cooperazione al piano di redenzione e di testimonianza. 'Invece
diventa problematico quando si deve
parlare della morte interiore dell’uomo. Qui iniziano le tragedie che non
si Consumano.
Le sofferenze, i dolori, le lotte, le
perplessità, le delusioni, i dubbi fanno parte del pellegrinaggio del cristiano. Quando il credente si trova di
fronte a questi fatti deve necessariamente bere il calice fino in fondo. iMa
poiché il cristiano non è del tutto morto
gli viene fuori un grido: « Dio, dove
sei? ».
Qui viene in 'soccorso la teologia del nostro tempo per rispondere
del perché delle nostre angosce.
in un certo senso Dio non può farci
nulla! Ci dice che Dio è disarmato.
Che non può farci nulla e che II suo
piano deve proseguire inesorabilmente
verso la meta prefissata.
Mi chiedo: questa conclusione non
indebolisce la fede del cristiano? Non
fo rende debole e dubbioso al punto
tale da farlo scivolare fuori dalla chiesa? Certo una chiesa trionfalistica può
portare, anche lei, ad abbandonare la
fede. Mi chiedo ancora: ma Dio cos’è? Una lama a doppio taglio — mi
risponde un predicatore intendendo che
Dio è disarmato da una parte, ma
Onnipotente dall'altra. Ma allora perché
la teologia del metodo critico mi parla di un solo lato della lama?
Non sarà forse perché ha paura di
cadere nel fondamentalismo e perdere la sua ragione di essere?
Vorrei ritrovare il mio Dio. Il Signore che un tempo mi diceva di andare da lui e portargli ogni peso ed
ogni affanno poiché mi avrebbe alleggerito e dato pace. Vorrei ritrovare il
Signore della Genesi, di Abramo, di
Isacco, di Giacobbe, il Dio degli Evangeli, degli apostoli, di Paolo...
E' vero che un teologo di casa
nostra, per prurito di innovazioni teologiche, ha fatto sparire anche il
diavolo! Ma io vorrei ritrovare il mio
Signore e non so dove l'abbiano posto... Michele Romano, Venaria
CONGRATULAZIONI
NO AL NUCLEARE?
Leggo che a Pomaretto il Consiglio
comunale, indubbiamente composto da
esperti in fisica dei reattori nucleari,
ha sparato un ormai scontato « nucleare, no grazie ». Peccato che questi sapienti non ci informino su come far
fronte al crescente fabbisogno di energia: con la bio-massa, sfruttando gli
escrementi dei suini padani; gli esili soffioni boraciferi di Lardarello; impiantando giganteschi mulini a vento in
Sardegna o insegnando aila gente
che si può viaggiare in treno, aereo e
autobus, oitreché in auto singola?
Come mal non si legge, che so:
■■ Fiat, no grazie » o « Montedison, no
grazie »? Perché la gente è abbarbicata al posto di lavoro e non vede
oltre un palmo dal suo naso. Tra una
decina d’anni, quando la penuria energetica renderà drammatiche le possibilità di occupazione, saranno in molti
a chiedersi se il referendum antinucleare sia stata una opzione saggia.
So bene che mi attiro una marea di
critiche: io non sono un filo»nucleare,
ma cerco di ragionare, non a colpi di
slogan, bensì memore del lavoro di
una commissione sinodale adreferendum sull'energia e della solenne lezione che ci diede il compianto fratello Mario Alberto Rollier, nostro consulente in quella commissione.
Fraternamente.
Danilo Venturi, Bologna
IL VOTO VALDESE
Caro Direttore,
ho letto oggi a Caivano iì numero
41 del giornale (28 ottobre) con le precisazioni di Enzo Tumminello circa il
mio contributo al volume sul « glorioso rimpatrio ». Eccoti i miei commenti « a caldo »:
— quando si valutano i risultati elettorali, credo sia meglio parlare dell’insieme delle Valli valdesi (come ha
spesso fatto il nostro giornale) e non
della sola Val Pellice. All'interno della
Val Pellice penso poi che non sia
prudente considerare come un blocco
unico Rorà, Luserna, Lusernetta e San
Giovanni: è vero che per un tempo
sono stati raggruppati in un comune
unico, ma le differenze di comportamento elettorale sono sempre state notevolissime (cfr. 1 risultati, facilmente controllabili, del referendum del
1974);
— per quanto riguarda il referendum del 1946 (Monarchia o Repubblica) vorrei poter confrontare i risultati
delle aree valdesi con quelli di comuni limitrofi (ad esempio, Fenile e Campigliene) piuttosto che con l’intera
regione Piemonte: le differenze sociologiche in questo caso mi sembrano
troppo grandi. Ricordo però che i giornali piemontesi deH'epooa scrissero
più o meno questa frase: « I valdesi
hanno voltato le spalle alla monarchia »,
ma forse si erano sbagliati;
— nel 1948 Mario A. Rollier non
era candidato del PSDI, ma della lista di » unità socialista », o « unione
dei socialisti », di cui faceva parte
il PSLI, partito d'appartenenza di Rollier. Non è questione di nomi: il
PSDI nacque più tardi, e rappresentò
una formula politica ed etica diversa
dal PSLI e dall’" unione dei socialisti ».
E' vero che i valdesi votarono largamente per la lista di Rollier, ma
personalmente ho un ricordo nettissimo della resistenza che la classe
operaia valdese di San Germano Chisone oppose alla scelta ufficiosa della chiesa a favore di Rollier: e .allora questa perdita di voti venne dolorosamente risentita da chi si era impegnato a favore di Rollier (io ero
tra questi, pur non avendo diritto di
voto).
Concedo tuttavia volentieri a Enzo
Tumminello che il mio contributo è
" pass'ronale »; nasce dalla passione
più grande ohe ci possa essere; l'amore. Nel caso: l’amore per il popolo valdese di cui sono figlio, e per
la chiesa di cui sono pastore. Quando si ama, qualche volta si rischia di
offrire alla persona (o alla comunità)
amata qualche rosa in più, ma tanto
vale: ai crisantemi penserà qualcun
altro.
Giorgio Bouchard, Napoli
Lo Stato palestinese
(segue da pag. 1)
Caro Direttore,
vorrei esprimere il mio compiacimento per la trasmissione « Lo specchio del cielo » (Radio Due) di domenica 23.10.88, consistente in una intervista al past. Gianna Sciclone.
Il past. Sciclone ha risposto alle
domande usando un linguaggio semplice, accessibile a tutti, molto pacato.
Ha dato risposte molto equilibrate su
temi scottanti come l'aborto o il divorzio: si è astenuta da giudizi di tipo politico; non ha fatto generalizzazioni e anzi ha lasciato intendere che vi
sono, nella nostra chiesa, anche persone di opinione diversa dalla sua.
Mi congratulo pertanto con il past.
Sciclone e con l'occasione, caro Direttore, vorrei congratularmi anche con
lei (e con i suoi collaboratori) per il
lavoro che svolge alla direzione di
questo giornale, che leggo sempre
volentieri trovandolo molto interessante.
Maria Elisa Fiorio, Napoli
Caro Direttore,
sono un fisico; da oltre 25 anni
mi occupo di particelle elementari,
ovvero fisica delle alte energie, e
ho avuto la fortuna di aver per maestro
Carlo Rubbia, prossimo direttore del
CERN di Ginevra e di imbattermi in
Antonino Zinchichi. Non mi occupo
di reattori nucleari, tuttavia penso di
aver idee abbastanza limpide su fissione e fusione.
molti altri elementi, aH’apparenza anche remoti, che tuttavia non
esulano dallo scacchiere in cui
si colloca la mossa politica delrOLP. In questa situazione mutata, rOLP rilancia la palla e chiede una verifica internazionale che
ricomprenda la complessa vicenda palestinese dagli inizi, e non
accontentandosi di ratificare cori
lacrime di coccodrillo gli atti di
forza compiuti dai governanti
dello stato di Israele. Si ripropone in altri termini, politicamente, la questione. Il problema non
è quello di una quantità indefinita di profughi sbandati, ma
della nascita di uno stato nuovo,
Israele, e della non nascita, fino
ad ora, di un altro nuovo stato
pure internazionalmente previsto,
lo stato palestinese; il problema
della coesistenza di due stati su
una terra precedentemente non
indipendente, ma unita.
Ho evocato aU’inizio la questione morale che ci investe. Riusciamo a rallegrarci per la proclamazione di questo stato che
non era, e non è ancora riuscito
a nascere come stato? 'Per questo stato, che nasce alla sua consapevolezza a poco a poco, forse
con errori, ma certo nasce e cresce nella misura in cui viene negato come popolo, come identità,
come cultura, in ultima analisi
appunto come stato (non a caso
ci sono voluti anni per giungere
alla attuale decisione).
Oggi mi rallegro per le bandiere sventolanti dell’OLP nei territori occupati, anche se possono
parere un po’ patetiche. Non giustifico i terrorismi, ma non mi
inchino ai terroristi che quando
hanno vinto salgono al rango di
rispettabilità che competerebbe
(per diritto divino?) a quanti si
conquistano il potere con ogni
mezzo.
I popoli hanno diritto ad una
terra, alla loro terra; i popoli
hanno diritto anche a darsi dei
rappresentanti. A volte ci chiediamo se questi siano all’altezza dei
loro popoli, o se sono proprio
quei rappresentanti, così poco
belli, ad essere adeguati ai popoli che li hanno nominati. Me lo
chiedo non solo per i palestinesi,
ma anche per sili israeliani, e non
solo per i popoli del Medio Oneu
te. Sono comunque i dirigenti
deirOLP, oggi, a proporre soluzioni politiche e non solo militari.
Non mi si venga a parlare di
antisemitismo. Tra i protestanti
italiani non c’è antisemitismo volgare, ma ci sono due sottili antn
semitismi che vanno combattuti
con decisione. Il primo si nasconde in una lettura « cristiana » della Bibbia, che sequestra a Israele quello che è suo, sminuisce
Israele a semplice parabola della chiesa, valuta solo l’Israele spirituale e considera gli ebrei come residuo del passato. Il secc^do antisemitismo si maschera da
sionismo cristiano, rifiuta di tnisurare lo stato di Israele (e i suoi
governanti) con il metro della
politica, usa una misura laica per
giudicare di tutti i popoli de
mondo e una misura teologica
ideologica) per misurare «fltel
l’unico popolo, considerandolo
non come lo stato di Israele ^
come lo stato degli ebrei, del
polo di Dio.
Per questa via si semina antisemitismo, e si continua a ghe
tizzare.
Sergio Bifi®*
J
3
F
25 novembre 1988
marta e maria
UN VOLUME DA LEGGERE E DISCUTERE
Di madre in figiia:
un discorso comune?
Il difficile mestiere del genitore - La storia di un’analisi e del rapporto tra due donne - Ricerca in vista di una comune valorizzazione Un itinerario fatto anche di sofferenza, di progressi e smarrimenti
Rientra fra i discorsi, fra i
luoghi comuni che si sentono
sul tram, sulla spiaggia, facendo la fila in qualche negozio:
quello di genitore è il mestiere
più difficile.
Nessuna scuola insegna a fare
i genitori, nessun flglio/figlia è
tutelato dal rischio di avere per
genitori delle persone « impreparate » che confidano nell’istinto, in una sorta di originaria, primigenia voce interiore,
delle persone irrisolte che ad un
certo punto cedono sotto il peso delle proprie nevrosi, dichiarano forfait e abdicano dal proprio ruolo.
In questo contesto di casualità si danno relazioni positive di
reciproco arricchimento, c relazioni mancate e, nei casi peggiori, paralizzanti, che possono
venir interiorizzate e riprodotte,
oppure problematizzate, a seconda della gravità dello squilibrio e di fattori sociali, educativi, caratteriali che determinano
la capacità di reazione.
Di madre in figlia ' — specifica
il sottotitolo — è la storia di
un’analisi, ma più di questo è
la storia del rapporto patologico
tra due donne — madre e figlia —
rivissuto nella relazione tra due
donne — l’analista e la paziente.
Fare i conti è però un momento per alcune trasparente
alla coscienzfa e per altre doloroso: come è possibile specchiarsi
nella propria madre se essa ha
taciuto o ha trasmesso messaggi di morte?
« Carmen ha questa madre,
non un’altra. Ama e soffre per
lei e con lei: ne è catturata,
sedotta. Ma, per nón soccombere, deve andarsene, staccarsi
interiormente da lei, essere altra. Questo è il cammino di ogni donna (prima di identificazione con la madre, poi di distacco per definirsi nella propria
identità), ma nella storia di
questa donna tutto si complica, si sconvolge » (p. 6).
Paradossalmente il rapporto
madre-figlia non è stato molto
indagato dalla letteratura. Eppure esso « ... — aspro e dolce —
vive e impronta di sé la storia
personale e collettiva; [...]. Di
lì si passa. E ancora si passa
nei rapporti affettivi, negli incontri d’amore » (p. 3).
Non solo un
’’percorso clinico”
Ed è proprio questo ciò che
all’A. interessa trattare, nell’in
treccio di questi due rapporti,
più che il percorso clinico di
Carmen, l’intercalare dei suoi
progressi e dei suoi smarrimenti, la sofferenza di questo percorso.
La stessa tecnica del racconto
contribuisce a questo risultato,
dando al lettore l’immagine dell’analisi come progressivo svelamento, « individuazione », nella ricerca della propria identità.
Imparare a vivere
l’esistenza
Il libro racconta come Carmen
dirime la propria confiittualità
interna, come ritrova in sé la
madre e la figlia e impara a vivere problematicamente l’esistenza.
Si deve presumere, accanto alla semplificazione del percorso analitico, anche una semplificazione delle ripercussioni del rapporto irrisolto con la madre sulle
altre relazioni, in particolare sul
partner.
Carmen, inoltre, è in qualche
modo una paziente « modello »,
che vuole guarire — cerca l’analista e si aiuta con la scrittu
ra, con la poesia — ed ha gli
strumenti culturali per farlo.
Ci si può immedesimare o meno nelle sue vicende, l’interesse
di questo libro sta nell’aver portato questa difficile problematica dalla trattazione teorica al
« caso », ciai circoli specialistici
ad un pubblico più vasto.
Antonella Visintin
' IELLA RAVASI BELLOCCHIO, Di
madre in figlia, Raffaello Cortina ed.,
Milano 1987, L. 18.000, pp. XVII -h 153.
Un dibattito
recente
Nel recente dibattito di una
parte del movimento delle donne si è data notevole rilevanza
al rapporto con la madre come
una delle cause, da un lato, di
blocco della formazione dell’identità, della capacità di vivere
esperienze articolate seconde il
desiderio (e non secondo le regole sociali ricalcate sulFanatomia — moglie e madre —) e, dall’altro, della difficoltà di avere
tra donne rapporti diseguali,
giudicanti, che siano spazi di valorizzazione, di crescita reciproca e non di fusionalità o di appiattimento sul perdente.
Nella parte introduttiva l’A.
allude a questa ricerca, suggerendo la possibilità che anche
l’analisi — così come la letteratura, la pedagogia, i movimenti
delle donne, le amicizie — possa
essere una modalitài di incontro,
confronto, valorizzazione tra
donne.
Un processo
di reciprocità
Pur nell’ambito di un rapporto asimmetrico è infatti molto
visibile la, interazione tra i percorsi dell’À. (l’analista) e di Carhien (nome convenzionale della
paziente) e la reciprocità di un
processo che vede entrami^ in
fomenti diversi svolgere il ruolo di « madre » e di « figlia », nello sforzo di fare i conti con la
madre vera.
Come l’A. stessa esplicita, la
sua ipotesi di lavoro « si articola
intorno ad una intuizione fondamentale di Jung: ogni donna
contiene in sé la propria madre
c la propria figlia» (p. 1). E ancora: « Si nasce dalla madre e si
rinasce nella madre: tale è la
esperienza dell’analisi. Solo avendo rispettato tutte le tappe si
può continuare nella ricerca della propria identità» (p. 3).
DIBATTITO
Mettete le donne nel ghetto
Una pagina « prò » o « contro »? - Una tradizione ormai millenaria a cui è giusto e doveroso
ribellarsi - Uno strano paradosso - Una liberazione soggettiva prima di essere oggettiva?
Abbiamo ricevuto una lunga lettera da Vera Ruggeri
che pone problemi di carattere generale. La ringraziamo
e pubblichiamo con qualche
taglio per motivi di spazio.
(p. e.)
Sento un certo scrupolo perché dopo un anno non sono riuscita, con mia stessa meraviglia,
a mandare nemmeno un articoletto per la pagina dedicata alla
donna. E non si può proprio dire che il problema della donna
non m’interessi, anzi ero tutta
esultante quando l’anno scorso
era prevista questa pagina, avevo paura di dover frenare il troppo mio scrivere. Invece niente,
ho sentito in me come un « no ».
E forse l’ho capito solo in questi giorni.
Una pagina « sulla donna », in
un comune giornale destinato a
tutti, mi appare non diversa da
una eventuale pagina riservata,
non so, ai ciechi, o ai bambini,
o ai marocchini, o ai meridionali,
e così via. Ricordo un’intervista
di molti anni fa, alla radio, con
non so quale poetessa italiana
vivente, che lamentava come fino
a pochi decenni fa le antologie
letterarie, dopo avere lungamente trattato la poesia, così, senza
aggettivi, passassero in appendice alla « poesia femminile », quasi che la cultura, la creazione,
l’arte, la scienza, avessero un
sesso. Forse ■ Saffo finiva in appendice perché donna, nella storia della letteratura greca?
Ma noi donne siamo proprio
degli strani insetti su cui gli
scienziati appuntano la loro curiosità? Insomma, stranamente
ho sentito che proprio una pagina « sulla » donna mi appariva paradossalmente una pagina
« contro » la donna, nel senso di
cacciarla in un ghetto, in un angolo della cultura « normale »,
quasi che la cultura appunto
« normale » fosse pacificamente
quella maschile.
Di qui le mie riserve, il mio
blocco psicologico nello scrivere
proprio « sulla » donna, io donna, mentre mi appare così naturale scrivere di tutt’altro, cioè
della grande ricchezza della vita
e del pensiero, a cui sento di partecipare senza ricordarmi che sono una donna, come non mi viene in mente che ho gli occhi giallastri. E se fossi tra gente che
ha gli occhi neri, cosa di cui non
mi darei pensiero, e mi facessero
notare che appunto io « non » li
ho, mi sentirei al colmo della
meraviglia e dell’avvilimento. Ma
che c’entrano mai gli occhi? Vivo la mia femminilità, così come ho vissuto, poniamo, la mia
infanzia, senza pensarci su, liberamente, spontaneamente, gioiosamente. Non sento di dovermi
quasi scusare di essere una donna.
So cosa mi si può obiettare:
che purtroppo per millenni non
è stato così, che la donna è appunto stata ghettizzata, discriminata, oppressa, ecc. E come no?
E’ proprio in base a ciò che, fin
da ra,gazzina, ho deciso di non
sposarmi, di non sottomettermi
al potere del maschio, almeno in
ambito familiare, a costo di rinunciare alla gioia di essere madre, ai vantaggi (immensi) di
avere un marito, ai privilegi che
la società accorda alle sposate
(compreso quello di farsi chiamare « signora »).
Però ho notato anche qui uno
strano paradosso; proprio rinunciando al « dovere » femminile di
piacere ai maschi, di sedurre, di
accalappiare, ho trovato la mia
liberazione di donna. E proprio
perché in ciò non ho più complessi, non sento nemmeno necessità di reazioni per me incomprensibili di certo femminismo,
come il portare i calzoni, il fumare, l’imitare il più possibile
i rnaschi nel preciso momento in
cui si dichiara di volerne fare a
meno. Se il negro è davvero fiero
di essere un negro, perché tenterebbe mai di schiarirsi la nelle?
Ho sempre vissuto con uomini, collaborato con uomini, parlato con uomini ( nelle chiese, nei
partiti, nelle associazioni in cui
milito) veramente come una
« compagna »; termine che preferisco aH’ambiguo, untuoso « sorella ». Chi è intelligente lo capisce, mi prende, mi stima, mi tratta come tale. Chi poi non è intelligente, subisce subito il mio
sdegnato, deciso attacco. Il che
non m’impedisce di portare gli
orecchini, di profumarmi, di vestirmi nel modo che più mi dona, compatibilmente coi miei
mezzi, non molti. Ma per gusto
e gioia di vivere, gusto e gioia
del bello, non per scagliare dardi, sia per sedurre, sia per respingere.
Per questo mi chiedo: ma è
vero che la prima liberazione della donna è quella relativa alle
cose « di fuori »? O non è prima
di tutto una liberazione che deve compiersi « dentro », proprio
come il credente si libera dall’ossessione delle opere, del merito, della dannazione, per lasciarsi andare alla gratuità gioiosa
della grazia di Dio? Non si tratta, cioè, di una liberazione prima ancora « soggettiva » che « oggettiva »?
Ecco perché non sono mai riuscita a scrivere per la « pagina
della donna », su questo giornale come su qualunque altro giornale « femminile » che si trova
in edicola, come detesterei un
giornale riservato ai negri.
E per finire, un mio ricordo.
Quando insegnavo come maestra
e le mie classi erano piene d’immigrati veneti e meridionali, non
ricoprivo questi di particolari carezze, moine, caramelle (né lo facevo coi bambini cosiddetti handicappati): sarebbe già stato come mettere l’accento sulla loro
« diversità ». Trattavo esattamente tutti allo stesso modo, oggetto delle stesse cure e sollecitudini, nelle loro esigenze individuali e specifiche, ma non come
«categoria». E proprio facendo
questo, direi paradossalmente
« non facendo », ottenevo i risultati migliori. Il razzismo spariva
dalle mie classi, in un certo senso non si poneva neppure.
Vera Ruggeri
4
ecumenismo
25 novembre 1988
IP
TORINO
Letica nell'era atomica
Il « non uccidere » nell’epoca del nucleare - L’idea del diritto e la
realizzazione della persona nella società - La novità dell’Evangelo
Circa un centinaio di persone
ha partecipato, sabato 12 novembre u.s. a Torino, al convegno organizzato dal Centro Evangelico di Cultura e da altri organismi affini (Comunità di Base,
redazione de « Il Foglio », Centro Teologico), su Non uccidere:
un principio etico per l'era atòmica.
Enrico Peyretti, della redazione de « Il Foglio ». introducendo
rincontro, ha posto il problema
del « non uccidere » oggi, cioè
nell’era nucleare, nell’era della
massima distruttività che accompagna quelle più « tradizionali »
della guerra, del terrorismo, delle ingiustizie. Come cambia questo « minimo etico », come risuona nel nostro tempo?
Luigi Bonanate, ordinario di relazioni intemazionali aU’Università di Torino, ha affermato che
non esiste la possibilità di fondare moralmente il diritto di uccidere, né da parte del singolo,
né da parte di uno Stato. Esiste,
invece, la possibilità di comprendere il dovere di difendersi e,
in questo caso, di uccidere: così
si è espressa la tradizionale dottrina della guerra giusta. Ma, ogquesta dottrina mostra i suoi
limiti proprio in im tempo in
cui non c’è più limite alle atrocità e alla distruttività. Le tradizionali giustificazioni della guerra non reggono di fronte alla
guerra nucleare, e le nuove ragioni che si cercano reggono ancora meno. In questa esperienza
di sempre maggiore ingiustificabilità rimangono comprese, per
crescenti settori deH’ooinione
pubblica e per una parte degli
studiosi del problema, anche le
guerre cosiddette locali o regionali; nella coscienza mondiale incomincia a farsi strada la consapevolezza che forse neanche una
guerra di liberazione nazionale
si possa « giustificare », bensì solo comprendere e anche perdonare, se le popolazioni coinvolte
ritengono che non ci siano altre
strade. Questo tipo di percorso
nella maturazione delle coscienze,
anche degli specialisti di diritto
internazionale, ha riguardato anche la questione della legittimità della dissuasione tramite minaccia. E’ morale questa politica? Sempre di più oggi si tende
a dire di no. Che da un male possa derivare un bene lo si può
forse comprendere su un piano
di opportunità politica, non certo su un piano morale. Ma anche su quello politico, bisogna
chiedersi se è efficace, se ha effettivamente successo o se non
produca guasti comunque molto
gravi.
raie, molto più di quando si riconosce che ad un mio diritto
corrisponde un tuo dovere e viceversa. Ebbene, come non ammettere che il diritto alla vita
è quello fondamentale, senza il
quale non è possibile esercitare
gli altri? Per questo il « non uccidere » si configura come una
situazione di tale intensità etica
da richiedere la categoria giuridica del « diritto/dovere ». In
questo senso, la legislazione italiana sull’obiezione di coscienza
al servizio militare non è adeguata al godimento di un diritto
soggettivo pieno in quanto riconosce soltanto un mero interesse legittimo. Dal dovere al diritto di non uccidere, quindi: questa consapevolezza si sta facendo pian piano strada anche nella dottrina giuridica e politica
intemazionale, e i cristiani, che
sono i primi (nel III secoio) a
porre il problema sistematicamente. dovrebbero fare di più
per divulgare questa idea. .D’altra parte, o^i volta che c'é stato un rifiorire religioso è rifiorita anche l’idea e là prassi dell’obiezione alla guerra e al servizio militare (vedi anche i primi valdesi).
del tutto la legittima difesa, che
appartiene alla legge antica, ma
la supera radicalizzandola nel
concetto e nella prassi ampia
del per-dono (come significa letteralmente il termine, che usiamo spesso senza consapevolezza
della lineetta che unisce due parole: « per » e « dono »). Il perdono comprende la riconciliazione, che non è demonizzazione
del conflitto perché la conflittualità può avere dei risvolti positivi. La riconciliazione sta nel saper stare con maturità nei conflitti, superando Tinimicizia e la
contrapposizione e facendoli diventare una dialettica tra diversi. Quando la riconciliazi'One non
basta, ecco il principio del perdono, principio nuovo, creativo,
che non bisogna confondere con
il pseudo-perdono, il falso perdono. Il perdono è più esigente della riconciliazione perché si situa
ancora più radicalmente nell’economia dell’amore.
Giannino Piana, docente cattolico di teologia morale, ha proposto una riflessione che è partita dalle « antitesi » del sermone sul monte (Matteo 5), in particolare la r, la 5" e la 6^ (non
uccidere, ma non dire neanche
stupido al tuo prossimo; superamento della dottrina dell’occhio
per occhio; ama anche chi ti è
nemico). Queste antitesi sono rivolte a tutti i credenti e vanno
interpretate letteralmente, non
in senso analogico o spirituale.
In questi versetti c’è un crescendo. dalla necessità di andare oltre un cuore violento e omicida
alla difesa e promozione della
vita in ogni suo asp)etto, dalla
nonviolenza all’amore estremo:
quello per il nemico. Da questi
passi si può evincere che il principio della legittima difesa non
appartiene alla novità delVEvangelo. L’Evangelo non sconfessa
Eugenio Bernardini
SUD AMERICA
Assemblea del CLAI
136 chiese protestanti lavorano insieme in
uno spirito di autentica apertura ecumenica
Rodolfo Vendit ti, magistrato e
docente universitario, noto per i
suoi studi sull’obiezione di coscienza al servizio militare, ha
sottolineato come sia fondamentale passare dal dovere di non uccidere al diritto di non uccidere,
al diritto di non essere orientati
ad una cultura della violenza che
comprende non solo il servizio
militare, ma anche quella che
uccide con Tinquinamento e con
un comportamento sociale pjericoloso p>er la vita altrui. L'idea
del dovere, infatti, evoca un minimo etico, elementare per la
convivenza civile, mentre l’idea
del diritto evoca la sfera della
creatività, della realizzazione della persona e della società. Affermare che nella stessa persona
coesista un diritto e un dovere
su un medesimo compxortamento significa, come fa la Costituzione in certi casi, rilevare che
siamo di fronte a una situazione di grande resp>onsabilità mo
Dal 28 ottobre al 2 novembre
si è tenuta presso Indaiatuba,
vicino a S. Paolo, in Brasile, l’assemblea del Consiglio delle chiese dell’America Latina (CLAI).
Vi hanno preso parte 360 delegati in rappresentanza di 136
chiese.
Il CLAI è nato nel 1982 per
volontà delle chiese evangeliche
aperte all’ecumenismo. Ne fanno parte dunque le chiese protestanti. Tuttavia nel corso dell’assemblea è Stato invitato anche monsignor Arns, che seppe
denunciare la dittatura argentina. Applauditissimo dall’assemblea, egli si è confermato come
un cardinale originale. Il suo
tentativo, in effetti, è quello di
capovolgere la piramide, nella
quale il vescovo è al vertice,
rendendosi « base » della medesima.
Nel suo discorso egli ha chiarito le preoccupazioni attuali
delle chiese: il rispetto e la difesa della dignità della persona;
il problema, ormai gravissimo,
delle migrazioni verso le città;
Echi dal mondo
cristiano
a cura di Giuseppe Platone
I francesi
e la relig^ione
NeH’insieme, partendo da posizioni diverse, i tre oratori si
sono trovati concordi nel ritenere che, dopo secoli di giustificazioni di ogni tipo al dovere di
uccidere in nome di alcuni valori, è ora giunto il tempo di
costringere questa scelta, quella
di uccidere, nell’angolo ristretto
delle decisioni estreme, quindi
drammatiche, di cui ogni coscienza deve rispondere in prima persona, senza nascondersi dietro
un « dovere » (dell’obbedienza
agli ordini, della difesa della patria, ecc.); scelta, quella di uccidere che, in determinate condizioni, può anche essere perdonata, ma mai giustificata, e in ogni
caso va davvero compresa come
ultima possibilità, quando tutte
le altre appaiono esaurite o improponibili. In questa direzione,
la cultura laica e quella cristiana o religiosa, la cultura degli
specialisti di diritto e politica intemazionale e quella dei popoli,
possono e devono trovare ampi
spazi di collaborazione e crescita comime.
PARIGI — Secondo un recente sondaggio di Sofres — realizzato per il nuovo ’’Grand Atlas
Universalis des Religions” — il
65% dei francesi sarebbe favorevole alla creazione di « un insegnamento di storia delle religioni » nella scuola pubblica. Il
79% auspica che vi s’insegnino
« tutte le religioni esistenti in
Francia » e che si comparino
« tutte le grandi religioni del
mondo ». Sulle finalità di questo insegnamento il 42% pensa
che esso « svilupperà nei giovani il senso dei valori morali (onestà, fedeltà) ». Una percentuale equivalente ritiene che « imparando a conoscere altre religioni i giovani sarebbero più tolleranti ». Tra gli inconvenienti
il 31% dubita che la religione
possa « essere correttamente insegnata » (si tratta della vecchia
diffidenza cattolica verso l’insegnamento pubblico). Il 19% vede in questo insegnamento un
« rischio d’indottrinamento » e il
14% ritiene che esso « vada contro la laicità della scuola ». Il
sondaggio — che presentava anche alcuni interrogativi sulla cultura religiosa in generale — rivela che solo il 15% dei francesi conosce i nomi dei 4 Vangeli
e solo il 25% sa che nel Corano
si parla di Gesù. Tra i personaggi cristiani più noti di questo
secolo il primo posto spetta a
Giovanni Paolo II e tra quelli
non cristiani a Khomeini. La
sorpresa finale è costituita dalla risposta all’ultimo interrogativo: « Qual è l’avvenimento più
significativo nella storia del
mondo? ». La prima risposta non
è andata né « allá morte e risurrezione di Cristo », né all’« Inquisizione » o alla « redazione del
Corano » ma alla « separazione
tra Stato e Chiesa ».
L’AIDS e le chiese
la giustizia nel mondo del lavoro e la fede del pK)polo.
Per l’occasione, monsignor Ams
ha ricordato le rare occasioni
di speranza, rappresentate in particolare dal movimento ecumenico nel quadro del Consiglio nazionale delle chiese brasiliane
presso il CEC.
L’assemblea del CLAI ha ¡mtuto eleggere il nuovo consiglio,
del quale fanno parte ora quattro donne e tre neri, sul totale
di 17 membri. Ne fanno parte
Carlos Sanchez (battista del Salvador) e Gabriel Vaccaro (pentecostale argentino) come vicepresidenti, e Hector Mendes (riformato cubano) in qualità di
segretario. Nella carica di presidente è stato riconfermato il vescovo metodista argentino Federico Pagura, ben conosciuto anche dalle nostre chiese.
L’assemblea del CLAI era composta di ^pentecostali (24%), luterani, metodisti, presbiteriani,
anglicani, battisti, riformati e
rappresentanti di altre denominazioni. (spp)
Violenza
gerini, di attivarsi al massimo
affinché le richieste popolari di
pane e di giustizia non continuino a restare lettera morta.
Elezioni truccate
NAIROBI — Il redattore capo
di ’’Beyond” — periodico pubblicato dal Consiglio nazionale delle chiese del Kenia (NOCK) —
Bedan Mbugua è stato imprigionato per illeciti amministrativi. L’istanza presentata dai suoi
legali per la libertà vigilata è
stata respinta e lo stesso periodico è stato chiuso dal governo.
Durante le elezioni generali di
marzo, ’’Beyond” aveva duramente criticato il sistema di votazione che « terrorizzava la gente costringendola a votare per certi
candidati ». Alla smentita del
governo che sosteneva trattarsi
di ’’dichiarazioni assurde e pazzesche”, Mbugua ha replicato:
« La mia coscienza è trasparente. Credo che la falsità non può
reggere a lungo, la verità finisce
con il trionfare ».
Antimilitarismo
BERLINO ORIENTALE —
Cinque membri di gruppi pacifisti ecclesiastici e indipendenti
sono stati arrestati dalla polizia
e successivamente liberati con
la comunicazione che a loro carico verrà avviato un procedimento giudiziario. Motivo dell’arresto era la presa di posizione in difesa di quattro studenti che erano stati espulsi
dalla scuola per avere criticato
su un giornale murale della stessa scuola la parata militare del
7 ottobre, festa nazionale della
fondazione dello Stato della Germania democratica.
Profughi asiatici
FRANCOFORTE — In un suo
recente documento il Consiglio
della Chiesa evangelica tedesca
(E.KD.) attira l’attenzione sui
fenomeni psicologici e sociali che
accompagnano la diffusione dell’AIDS. Frutto del lavoro di esperti in etica sociale, medicina
e teologia il documento, che si
intitola « AIDS: orientarsi di
fronte al pericolo», intende rispondere ai tanti quesiti posti
da numerose chiese. Nel documento si critica sia la tendenza
a colpevolizzare ed emarginare i
sofferenti di AIDS, sia il risvegliarsi di pregiudizi e Taccanirsi
di una nuova « repressione collettiva » verso questi malati.
L’idea che l’AIDS possa essere punizione divina del peccato umano viene respinta come
un « equivoco pagano » e allo
stesso tempo si chiede di accettare senza pregiudizi e con incondizionata attenzione i gruppi
umani a rischio, compresi i tossicodipendenti, gli omosessuali
e le prostitute. Infine il documento chiede alle chiese di collaborare al raggiungimento e al
diffondersi di atteggiamenti sessuali responsabili ed a stili di
vita realmente sensibili verso i
problemi umani.
MANILA — Nel mondo esistono più di 14 milioni di profughi
e oltre 25 milioni di migranti o
in attesa di emigrare. Questi
dati sono stati al centro della
riflessione del recente Congresso
giovanile cattolico a Manila, nelle Filippine. Dal 1985 ad oggi
dall’area asiatica sono emigrate
o fuggite 700.000 persone, di cui
400.000 dalle Filippine.
Il liceo «Fasor»
alla chiesa luterana
ALGERIA — La CIMADE, servizio ecumenico d’aiuti, commentando i recenti sommovimenti in Algeria, ha condannato
l’uso della violenza repressiva
ed ha chiesto, a francesi ed al
BUDAPEST — La chiesa evangelica luterana in Ungheria ha
riottenuto dallo stato il prestigioso liceo « Fasor », ricco di
tradizioni culturali. Tra la chiesa
evangelica luterana e la repubblica popolare ungherese è stato
così stipulato un accordo secondo il quale nell’edificio scolastico
(attualmente sede dell’Istituto
nazionale pedagogico di stato)
che apparteneva alla chiesa luterana verrà riorganizzato, a par
tire dal mese di giugno 1989, nuo
vamente il prestigioso liceo prò
testante. «Questa scuola prote
stante — ha dichiarato il vesco
vo luterano Gyula Nagy di Bu
dapest — che nel 1952 era sta
ta chiusa dalla chiesa e conse
gnata allo stato, era Tunica
scuola superiore gestita dalla
chiesa luterana ungherese. Ov&
si aprono tempi nuovi per il pluralismo culturale in questo Paese ». Il nuovo liceo sarà così
nuovamente un punto di riferimento nazionale per l’intero protestantesimo ungherese.
FONTI; EPD, BIP/SNOP, One World, Libération, Le Monde, SAAT (Vienna).
5
r.
25 novembre 1988
fede e cultura
TORINO - BIENNALE DEL GIOCO
Pacifisti
CASA CARES - CORSO PER DIACONI
e forze deli’ordine
Un’inconsueta ma positiva esperienza del gruppo FGEI di Torino alla
biennale, proposte, giocando, alcune tecniche di azione nonviolenta
« La creatività » era il tema
della prima biennale del gioco
e del giocattolo che si è svolta
a Torino dal 29/10 all’8/11, organizzata dal CIGI (Comitato italiano gioco infantile) insieme con
il comune e la regione Piemonte. NeiTimmenso Palazzo a vela hanno trovato posto sia stand
di produttori e commercianti,
sia di cooperative di animazione,
sia una mostra di giochi antichi
e un mercato di scambio-giocattoli ìiservato ai bambini. Sono
stati anche predisposti degli spazi-dibattito, per incontri su terni legati al gioco e alla creatività, e degli spazi-animazione,
affidati a gruppi teatrali e di
animazione. Al gruppo FGEI di
Torini, è stato chiesto di occupare per due volte uno di questi spazi-animazione con un gioco di simulazione, una tecnica
di animazione già usata negli anni sc(.)rsi nei conve^i regionali
dei giovani evangelici del Piemonte. L’esigenza di ricorrere
alTani inazione è nata, nel gruppo
FGEI-l'o, ricercando delle tecniche che favorissero l’incontro e
il confronto tra persone provenienti da diverse esperienze attorno ad un progetto comune di
riflessione.
L’esperimento poteva presentare molti rischi di non riuscire,
perché noi non .sapevamo prima con chi avremmo avuto a
che fare. Però era una sfida che
valeva la pena raccogliere.
Il gioco di simulazione si presta benissimo a questo scopo,
poiché permette alle persone di
confrontarsi con problemi di notevole portata (sociale, politica,
teologica, ecc.), partendo dal vissuto personale di ciascuno su di
un’esperienza concreta. Così, aderendo all’invito, abbiamo pensato di proporre, in forma animata, un tema spesso dibattuto
Ira di noi, la nonviolenza. La simulazione consiste nel ricreare,
nel modo più realistico, una situazione reale facendo immedesimare i partecipanti in determinati ruoli, facendoli poi interagire in un contesto particolare
e infine discutere, sia sulTespericnza del gioco che sul tema
ad esso legato. Come esempio
concreto su cui basare il gioco,
ci siamo ispirati alla mostramercato degli armamenti che si
tiene, purtroppo, abbastanza regolarmente a Genova. Le persone invitate a partecipare al gioco sono state suddivise in gruppi identificati da ruoli (rappresentanti delle varie frange dell’arcipelago pacifista, forze dell’ordine, mercanti d’armi, ecc.);
con l’aiuto di alcuni animatori,
i gruppi di « giocatori » hanno
avuto un certo tempo a disposizione per immedesimarsi nel proprio ruolo e infine si è dato il
via alla fase drammatizzata del
gioco, in cui si sono fatte incontrare e interagire le varie parti in causa: i pacifisti dovevano
bloccare l’ingresso della mostra
bellica, impedendo in modo nonviolento l’accesso dei mercanti
d’armi alla stessa, mentre la polizia doveva far rispettare l'ordine. Lo schieramento pacifista,
tutt’altro che compatto nelle sue
Varie forme, si ,trova, in questa
situazione, a dover cercare delle forme di azione nonviolenta di
fronte, ad esempio, alle provocazioni degli autonomi da una
parte e al comportamento autoritario e violento della polizia
dall’altra (che sfocia ^esso in
una carica finale). Il gioco si è
quindi concluso con una discussione di tutti i partecipanti sia
sulle sensazioni che avevano provato nel rivestire il loro ruolo.
sia sul senso di una pratica nonvdolenta, aiutandoci anche con un
audiovisivo sulla stessa simulazione fatta ad un campo ad Agape.
Al gioco hanno preso parte
circa 30 e 40 persone, rispettivamente il primo e secondo pomeriggio; contrariamente però a
quelle che erano le nostre speranze iniziali, la maggior parte
dei partecipanti non erano visitatori casuali della mostra ma
persone, magari non evangeliche,
venute ap>positamente perché interessate alla simulazione, o come tecnica di animazione in sé,
o per il tema-contesto del gioco. Da una parte, c'è quindi stata un po’ di delusione tra gli
animatori, per aver constatato
di persona quanto sia difficile
avvicinare la « gente della strada », per discutere con loro problemi e tematiche che vengono
subito bollate come politiche (e,
forse, partitiche); di come sia
PREGHIERE ED ALTRO
Quando è giorno?
Voci di gioia e speranza, paure, timori da
tutto il mondo in una raccolta della CEVAA
raccolto di testi
di fede della
chiesa universale
GT^NO?
Con questo titolo è uscito un
volumetto di 162 pagine, comprendente una raccolta di testi
liturgici tradotti dalTanalogo libretto edito in francese (e giunto alla seconda edizione) dal Defap (Département français d’action apostolique).
Come informa nella presentazione il traduttore — il pastore Renato Coïsson — lo scopo è di « offrire alle comunità la possibilità
di vivere, nei propri culti, la dimensione della Chiesa universale
dando spazio in modo concreto
alla voce dei credenti di ogni parte del mondo ».
■La pubblicazione, a cura del
Comitato italiano per la Cevaa,
contiene brevi pensieri, riflessioni, preghiere, in particolare delle giovani Chiese dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Sono testi che abbracciano un po’
tutti gli argomenti inerenti alla
fede comune — raggruppati in
12 capitoletti, che vanno dalla vicinanza di Dio alla confessione
di fede; dal pentimento alla speranza; dalle beatitudini al Padre
Nostro e che (come sottolinea
ancora il traduttore) lasciano trasparire una ricchezza di sensibilità e di comprensioni diverse
della fede, per un patrimonio comune e per un reciproco arricchimento.
Il libretto è stampato dalla Tipografia Subalpina di Torre Pellice. Lo si può trovare presso le
librerie Claudiana o richiederlo
al pastore Renato Coìsson, via
Balsiglia 44, tei. 0121/81288 - Pomaretto, con un rimborso spese
di lire 9.000 + lire 1.300 per la
spedizione.
Concludiamo questa breve segnalazione con una notazione sul
titolo. Perché « Quando è giorno? ». La spiegazione ci è fornita
dal seguente brano pubblicato alTinizio:
« Un vecchio Rabbi chiese un
giorno ai suoi discepoli: — Chi
di voi saprebbe dirmi come si
può distinguere il momento in
cui finisce la notte ed inizia il
giamo?.
— Io direi, rispose prontamente un allievo, quando, vedendo
un animale a distanza, imo sa
distinguere se è una pecora o un
cane.
— No, rispose il Rabbi.
— Potrà essere l’inizio del giorno, disse un altro, quando, vedendo da lontano un albero, si può
dire se è un fico o un pesco.
— Neppure, insistè il Rabbi.
— Ma allora, chiesero i discepoli, quando mai si può capire
quando finisce la notte ed inizia
il giorno?
— Quando, rispose il Rabbi,
guardando in volto un uomo qualunque, tu vedi che è tuo fratello: perché, se non riusciamo a
far questo, qualunque sia l’ora
del giorno, è sempre notte... ».
R. P.
Efficienza
e opere della chiesa
diffusa la concezione del gioco
come riservato ai fanciulli o, al
più, come momento di pura evasione dalla realtà.
Dall’altra, questi momenti sono stati una occasione, seppure
modesta, per prendere contatti,
scambiare opinioni, informarsi a
vicenda con persone appartenenti ad ambiti non evangelici che
pure possono avere im cammipo di ricerca simile al nostro su
certe tematiche di impegno sociale e, da questo punto di vista, abbiamo considerato senz'altro positiva quest’esperienza,
molto particolare per un grappo
FGEI. Da non dimenticare infine che la mostra navale bellica
(quella vera!) si terrà probabilmente di nuovo nel 1989 a Genova: forse quest'esperienza ci
aiuterà ad essere un po’ di più
a manifestare, sul serio, in modo
nonviolento, contro questo evento.
Gruppo FGEI dì Torino
Uno studjo biblico sulTepistola ai Galati, condotto dai past.
Yann Redalié e Claudio Pasquet,
un’ampia carrellata sull’Inghilterra del '600, fino alla « gloriosa rivoluzione » di Guglielmo III
d’Orange, effettuata dal prof.
Giorgio Vola delTUniversità di
Firenze, e due giorni completi
dedicati alle problematiche delTorganizzazione del lavoro, della
direzione e della valutazione, sotto la guida di Gianni Rostan,
dirigente industriale, e Nedo Baracani, professore di sociologia
all’Università di Firenze: questi
i temi stimolanti, compositi e
diversissimi affrontati nell’ormai
tradizionale corso per operatori
diaconali, svoltosi a casa Cares,
in Toscana, dal 12 al 16 novembre. Splendida la cornice ambientale, con frequenti brame
rnattutine nella vai d’Arno inferiore che fanno emergere questa
villa padronale come un’isola in
un mare di nebbia; e magnifico
anche il trattamento di foresteria, in questa casa per ferie che
— sotto una conduzione svizzero-americana — sta risorgendo
a nuova vita e diventando una
significativa presenza protestante nella zona.
Circa 25, tra diaconi ed operatori, erano presenti alTappuntamento: provenienti soprattutto dal nord e centro-nord.
Se i temi storici e biblici appaiono ovvi in un corso per diaconi, meno scontati possono apparire quelli concernenti l’organizzazione, più adatti a prima
vista a scuole di direzione aziendale o di formazione quadri di
enti.
Eppure, proprio raffrontare
queste tematiche abbastanza
nuove per il nostro ambiente,
penso sia stata ad un tempo
una scelta coraggiosa e felice,
visto anche che la conduzione è
stata affidata a due specialisti
de! settore: tanto che un corso/
aggiornamento di questo tipo non
sarebbe affatto fuori luogo se venisse proposto ai membri dei comitati o — sotto certi aspetti —
anche agli anziani di concistori
che debbano gestire opere.
Questo perché il programma
proposto, oltre a dare una base
e struttura teorica al discorso,
è poi passato ad una presentazione di strumenti operativi, che
possono essere di tutta utilità
per valutare Tefficacia ed efficienza del nostro operare e per misurare anche situazioni e sensazioni che di primo acchito non
sembrano affatto « pesabili ».
Certo non tutto è traducibile
in cifre e valutazioni: ma anche
la sp>ecificità delle nostre opere,
del nostro lavoro diaconale è a
volte più valutabile di quanto
si pensi.
Partendo da questi presupposti
(e tenendoli ben presenti) si è
poi passati a discutere del lavoro nelle opere, ed a volte del significato delle opere stesse: è
emerso ad esempio che nbn basta più — nella complessa società odierna — essere credenti o
avere buona volontà, per lavorare in un istituto; e per contro
deve essere sovente trovato un
giusto (e difficile) equilibrio nei
rapporti organizzativi e amministrativi. Non è fraterno (e a volte è anche controproducente)
« sfrattare » la disponibilità vocazionale per coprire inefficienze organizzative.
Ma l’efficienza in quanto tale
non garantisce affatto il senso
delle opere di una Chiesa: non
è in contrasto — anzi! —, ma di
per sé non testimonia alcuna specificità cristiana. Estremizzando,
si potrebbe dire che un istituto
può raggiungere il massimo grado di efficienza (e anche di efficacia) e perdere del tutto il suo
senso di testimonianza cristiana.
Da queste poche indicazioni si
può capire come il corso di formazione sia stato fecondo di argomenti di dibattito e di confronto che ripeto — non sarebbe affatto inopportuno riproporre su base locale (nei dipartimenti diaconali?), indirizzando
poi la discussione su realtà specifiche.
Sempre nel corso di queste
giornate è stata presentata dal
diacono Marco Jourdan la nuova serie di quaderni di Diakonia,
il cui numero 1 riporta due interventi di Alberto Taccia su
« predicazione e servizio » e « diaconia: motivazione e azione », e
di Luigi Santini su « risveglio evangelico e iniziativa diaconale
nelTQttocento protestante italiano ». Tale quaderno è in distribuzione presso le librerie Claudiana e ne auspichiamo un’ampia divulgazione (e lettura!) tra
i membri di chiesa.
E per allargare il 'dibattito meriterebbe forse che proprio sul
quaderno n. 2 di questa neonata
rivista venissero pubblicati gli
interventi di Gianni Rostan e Nedo Baracani, che hanno caratterizzato le giornate delTultimo dei
corsi di formazione di casa Cares, sempre vivi, attuali e — perché no? (dato il tema deU’inoontro appena concluso) — perfettamente e fraternamente « organizzati »!
Roberto Giacone
6
6 obiettivo aperto
25 novembre 1988
DI FRONTE A UNA REALTA’ SCONOSCIUTA
IL TABU' DELLA MORTE
Il pastore François Rochat.
La morte? Che cos’è? Per F.
Dard è un’incapacità di saper vivere; per altri, i più numerosi,
una fatalità; c’è chi pensa sia un
nuovo sole (E. Kubler-Ross).
Ma è anche un’esperienza che
ti sfiora e che, talvolta, puoi anche raccontare. Ecco cosa dice
Piero, un malato grave (morirà
alcuni giorni più tardi): « Sa, io
sono morto già due volte. La prima durante un’anestesia. Così mi
hanno detto i medici. La seconda
volta ho cominciato a far tremare le coperte, senza riuscire a controllarmi, mentre i medici mi erano lì intorno. Allora ho detto:
scusatemi ma me ne sto andando.
Dopo mi son visto come sdoppiato: dall’alto vedevo il mio corpo.
Poi sono entrato in una gran luce;
ero molto sereno, stavo bene. Alla fine mi hanno riportato alla
realtà. Vede, per me la morte è
una gran dama che ho invitato a
danzare con me, ma che poi ho respinto... ma se è lei che m’invita,
eh! allora sarà molto più difficile
riuscire a liberarmene ».
Un’esperienza... della quale, però, in fondo non si sa praticamente nulla, dal momento che è
un’uscita dalla vita e che, senza
vita, non c’è parola, né racconto,
e neppure relazione... « Non prendete la vita troppo sul serio, nessuno ne è mai uscito vivo! » ho
letto una volta su un muro sulla
riva del fiume.
E’ tuttavia un’esperienza. Anzi, piuttosto, un avvenimento che
sconvolge chi lo deve affrontare...
per interposta persona (e prima o
poi la cosa è inevitabile). La prima reazione potrà essere d’incredulità (tentativo di negazione, o
una specie di anestetico, oppure
come un congelamento dell’intelletto?); potrà anche essere di .ribellione (in tal caso possono sfuggire bestemmie, ma... dirette a
chi?) o uno stato di prostrazione
(sono distrutto, non mi par vero
ciò eh’è accaduto). Quant’è violenta la frattura della morte... ma
per chi vive, per il superstite che
ne riceve la notizia.
Alla prima reazione potrà seguire la paura, o anche un’attività
frenetica, o una fase di riflessione.
Entrare in questa realtà nuova,
che ti coglie comunque sempre di
sorpresa, richiede tempo e pazienza; come quelli necessari per
curare una persona, o se stessi,
per ricostituirsi e ricostruirsi. Può
anche esserci bisogno di silenzio,
in mezzo alle molte parole che si
scambiano. Quante parole infatti si dicono allora, per parlare...
dell’altro; di colui che ormai non
risponderà mai più; di lui, di lei
« che ci ha dato questo colpo »,
che si piange e si rimpiange, e
che suscita un senso di colpa
(« avrei dovuto... », « avremmo
potuto... », «se avessimo saputo... ») e di abbandono. Un amore, un affetto che si spezza, è proprio una frattura nella vita; sconvolge i propri punti di riferimento; è una ferita profonda da sopportare senza trovar tregua...
Si dirà forse un giorno che una delle
rivoluzioni maggiori del nostro tempo,
a livello di costume, è stata quella di
aver sottratto alla nostra generazione
la vista della morte. Perché se è vero
che infinite sono ogni giorno le immagini di morte e di morti proposte ai nostri occhi, è altresì vero che oggi si
muore in ospedale, dietro un paravento, assistiti da medici e infermieri, coi
quali esiste nella maggior parte dei casi
solo un freddo rapporto professionale.
Persone a me estranee gestiscono gli ultimi momenti della mia vita, mani
estranee lavano, vestono e compongono
la mia salma. Sono, in un certo senso,
espropriato della mia morte e di quella
dei miei cari.
Ma tutto questo non diminuisce la
mia angoscia di fronte ad essa; anzi
l’aumenta. La morte, proprio perché mi
è sempre più estranea e sconosciuta,
anziché sparire dalla mia vita, vi incombe sopra cupa e minacciosa.
PER UNA TEOLOGIA CRISTIANA
L’amica nemica
Il credente esposto all’angoscia -Una condizione che rende possibile la vita umana - Un confronto necessario - L’appello della fede
Per tare una buona teologia cristiana bisogna
mantenere alia morte un carattere ambiguo e non
dichiarare come una manifestazione del peccato
l’angoscia che essa determina. Perché anche se il
credente sfugge, nell’ambito deUa fede, al suo potere, egli rimane comunque un essere esposto alle
angosce della morte. Siamo in pieno in quello che
la teologia ha ormai preso l’abitudine di definire
come ia dialettica tra ii « già » e il « non ancora ».
E’ nel quadro quindi dell’angoscia umana, e del
tutto normale, della morte che vorrei sviluppare un
discorso in sua difesa. L’angoscia è dovuta all’evidenza che io non riesco a padroneggiare la mia
morte, e che ignoro che cosa essa sia. So solo, negativamente, che essa è la fine del mio organismo
psicofisico, la fine cioè del mio io nei limiti della
conoscenza che ne ho. Dirò di più : per usare il linguaggio che la scienza moderna adopera riguardo
ai fenomeni naturali ed alla loro possibile conoscenza, la mia morte è sicuramente certa, ma dipende da tali e tanti fattori da apparire a me come
aleatoria. Perfino il medico non dispone spesso dei
dati tali da permettergli di predire con certezza il
momento e U modo della morte.
Il credente condivide l’angoscia umana generale
nei confronti della morte. Ma a differenza di numerose altre persone non cerca né di fuggire, né di
controllare questa angoscia. Vuole anzi riconoscerne il messaggio e la possibilità positiva, benefica.
La fede diventa in lui il coraggio e la forza per
sopportare ed elaborare Tangoscla, del tutto normale, della morte.
In questo senso il credente non può che far proprie le osservazioni di Albert Jacquard, quando ci
rende attenti, dal suo punto di vista, ai fatto che la
morte è il prezzo da ps^;are per far nascere l’imprevedibile, e quando sottolinea che essa assume
in tal modo un senso per ogni individuo e quindi
anche la vita.
La morte intesa come condizione che rende possibile la mia vita umana, in quanto essere dotato
di auto-coscienza, della possibilità di scegliere e
della necessità di dialogo con altri simiii, ma neUo
stesso tempo essere unico e diverso.
La morte è dunque un fattore tra i principali
ed essenziali per il processo di umanizzazione. Bisogna impedire che essa sia ridotta ad un fenomeno naturale, o assimilata all’idea di un semplice
passaggio. L’esperienza di quanti assistono moribondi rivela che talvolta la familiarità con la morte favorisce l’esaltazione dei veri valori della vita.
La vita prende il suo vero profilo in rapporto con
la morte, ma con una morte che non sia stata ridotta alla sua semplice definizione biologica. Quando cioè essa non appaia come una semplice continuazione della vita oppure, rovesciando i termini,
quando la vita non sia concepita come una premessa accidentale della morte.
Il credente non pensa e non dice null’altro che
questo: egli confessa che la morte, che insieme
all’uomo comune considera con angoscia, è tuttavia e nello stesso tempo la fine della vita che Dio
gli dona. Egli conserva cioè l’ambiguità della morte fino in fondo, come d’altronde ha fatto anche
il Cristo. Al centro di questa ambiguità , che costituisce da un lato la difficoltà della vita e dall’altro
il suo interesse e la sua ragione, individua dei modi
di vita che sono modi di vivere già ia morte.
Per questo può pensare che ci può essere qualcosa peggiore della morte stessa, e cioè la morte-vivente di chi, in fondo, è incapace di accettare
sia la morte che la vita, che finge di averle superate
entrambe, di dominarle e padroneggiarle. La morte
è e deve restare la nemica-àmica con la quale non
si avrà mai finito di confrontarsi, la necessità che
suscita rivolta e che ci tiene lontani dalia rassegnazione. La fede diventa cosi l’appello a far trionfare la lucidità suU’efficacia. Il futuro della morte è
interamente il nostro futuro: nella lotta per fame
arretrare i confini (lotta per l’efflcacia), non bisognerà mai dimenticare l’imperativo della lucidità.
Questa ci dice (e per noi ciò suona scandalo) che
la morte che provoca angoscia fa parte deU’orizzonte di una vita veramente umana.
P.L. Dubied
Parliamone dunque con serenità, ma
non con distacco; con timore, ma non
con terrore; con serietà, ma non con
rassegnazione. Parliamo della morte,
ma non dimentichiamo l’annuncio della
resurrezione e perciò questa pagina non
può essere letta senza quella qui accanto! Ma in che termini possiamo parlarne, senza subito "ricorrere” alla resurrezione? F. Rochat, già noto ai lettori,
e il prof. P.L. Dubied ci possono fornire
degli spunti di riflessione, (red.)
Eppure... è sempre l’altro che
muore. Non io. E quando parlo di
morte è sempre di quella dell’altro
che parlo; dell’altro che ha un
’ nome, una sua identità, ma che è
e rimane qualcuno per me.
Ed allora è inevitabile che parli
anche di me. Di me, e degli altri
che, con me, sono nel dolore. Sono solo coi miei problemi, per
cui invoco, contro il vuoto determinato dall’assenza dell’altro, contro il buco che è in me di questa
ferita fresca, aperta, la presenza e
il sostegno di quanti mi vivono
intorno. In questi momenti quanta
affettuosa solidarietà, che si ^forrebbe fosse maggiormente manifesta nei giorni comuni. E poi,
quante domande sull’Evangelo e
le sue promesse di vita! L’Evangelo, il « buon annuncio », contrapposto all’annuncio mortuario.
Domande... Ma chi sono io per
parlare così? Come posso parlare della morte? Io sono un vivo
che parla di una cosa che non
conosce, qùando ricorda il decesso di chi è morto; ma sono anche
uno che parla di qualcosa che conosce bene, dall’interno, quando rievoco nel mio dolore l’attaccamento e il distacco che la morte significa nel cuore stesso della
mia esistenza. Quando si tratta
della morte di qualcuno dei miei
cari, non è più per me la morte
di un altro: sono rimandato alla
mia morte ed alla mia fine anche se, beninteso, queste cose non
si dicono mai. Si tratta di un problema mio, essenziale ed esistenziale, in cui forza e fragilità si fondono e in cui ho bisogno di una
presenza vitale. Bisogna che io
compia da solo il passaggio tra ciò
che era ieri, prima cioè che mi
preoccupassi esplicitamente della
realtà della morte, e l’oggi e il domani, prendendo coscienza, realizzando cioè pienamente, della vicinanza della morte e dello sconvolgimento ch’essa opera in me.
11 passaggio attraverso questa
morte, rappresentato dal cordoglio
per l’altro e dalla perdita della
mia incoscienza, mi rimanda alla
scelta essenziale che devo fare ed
allà quale non posso praticamente
sfuggire: « Ho posto davanti a te
la vita e la morte; scegli dunque
la vita, affinché tu viva... » (Deuteronomio 30: 15).
Rimettiamo la morte al suo posto. Non si parla qui del momento
del decesso, che non potremo
mai conoscere; ma della morte
che è in me. Bisogna rimetterla al
suo posto, in modo che io possa
vivere, respirare, riprendere a parlare, ad amare e a essere amato.
Ma tutto questo non avverrà
più nell’incoscienza.
Io sono ormai segnato dalla
morte; morte come rottura; morte
come tappa di crescita per meglio
rapportarmi a ciò che spero — in
colui in cui spero — il Vivente,
e con lui coltivare il germoglio
della vita.
François Rochat
Pagina a cura di
Luciano Deodato
7
novembre 1988
prospettive bibliche
ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA
CI RIVEDREMO?
(.i Beati i puri di cuore,
perché essi vedranno Dio ».
Nel quadro di uno studio biblico volto ad affrontare, una
volta di più, il messaggio biblico sulla realtà dell'uomo, e l’opposizione netta fra la credenza
religiosa in un’immortalità dell'anima e la fede nell’annuncio
evangelico della risurrezione dei
morti, una sorella mi ha domandato: «Nel regno di Dio, nella vita risuscitata, ritroveremo i nostri cari? Rivedremo quelli che
abbiamo amato e che ci hanno
amato? ».
Non lo so, e nessuno lo sa.
Nessuno può dirlo. Certo, si potrebbe pensare, secondo la nostra logica, che se è la mia persona che sarà risuscitata, come
potrebbe cancellarsi la mia realtà passata, con tutti i suoi rapporti affettivi? Molti pensano
così, infatti.
Cambiate mentalità,
dice Gesù
Tuttavia mi pare che l’unico
passo nel quale Gesù parla della questione — a dire il vero, tirato per i capelli dai Sadducei
che polemizzano con lui — sembra escluderlo (Marco 12: 1825). Alcuni membri di questa
corrente giudaica che, a differenza dei Farisei, non crede nella risurrezione dei morti, vogliono ridicolizzare questa fede con
l’esempio della donna moglie
successivamente di sette fratelli: « Nella risurrezione, quando
saranno risuscitati, di chi di loro sarà moglie? ». Gesù risponde che non sanno quello che dicono, non sanno di che parlano:
« Quando gli uomini risuscitano dai morti, non prendono né
danno moglie, ma sono come
angeli nei cieli ».
La risurrezione sarà una nuova creazione, la creazione di
una vita, appunto, nuova. Non
semplicemente restaurata, rimessa a nuovo, ma nuova. Anche qui bisogna ravvedersi, cambiare radicalmente mentalità,
per ’’capire”, per intuire qualcosa, almeno, della realtà nuova;
o, semplicemente, capire che sarà appunto una realtà nuova.
Forse è per questo che, salvo
qualche rara eccezione, nel suo
complesso la visione biblica,
l’annuncio neotestamentario
della risurrezione non insiste
tanto sulla sorte individuale
(immediata? alla « fine dei tempi »?) di ciascuno, ma proclama
per così dire un fatto comuni
All’inizio di novembre, una volta ancora la morte ha celebrato i suoi
trionfi. I cristiani, gli evangelici hanno saputo resistere al suo fascino
oscuro? Alla tentazione di cercare fra i morti il Vivente, e coloro dai
quali abbiamo dovuto staccarci ma che — credendo « la risurrezione dei
morti » ^—- crediamo viventi in Cristo?
a cura di GINO CONTE
tario, globale, universale; come
la prima creazione è stata la
creazione dell’umanità, nell’universo creato, così la risurrezione dell’umanità (credente — essa soltanto?) è la ri-creazione di
una umanità nuova, in un nuovo
universo. Qui sta la grandiosità
dell’annuncio evangelico, che
non esclude né annulla il fatto
che io, in Cristo, sarò risuscitato: ma non da solo, non per
conto mio, bensì fra innumerevoli fratelli e sorelle. La risurrezione è un fatto corale, universale.
CI ritroveremo?
Se ci sarà dato di riconoscerci, di rivederci, di ritrovarci,
sarà comunque superata quella concentrazione così spesso esclusiva — una forma
di egoismo trasfigurato — su
poche persone, che i nostri affetti conoscono. Ci sarà dato —
lieta speranza! — di amare veramente e serenamente il nostro
prossimo come noi stessi. Tutto il nostro prossimo.
Ma di un possibile rivederci
Dio non ci parla, attraverso i
suoi testimoni; di questo, Gesù
non ci parla. Il suo atteggiamento, senza essere per nulla gelido,
disumano, è quello di chi vive
già, per così dire, con la testa
e con il cuore nel Regno di Dio
nella vita nuova, ricreata, conforme alla volontà di Dio; e
quindi relativizza drasticamente
il rapporto con « i suoi cari »,
del resto difficile e contrastato,
carico d’incomprensioni. Non è
comunque a Giuseppe, a Maria,
alle sue sorelle e ai suoi fratelli
che dice: « Ci rivedremo! ». Lo
dice alla sua nuova e vera famiglia, nata non dal sangue e dalla volontà dell’uomo ma da Dio
e dal suo Spirito (cfr. Marco
3: 21 ss., 31 ss.; Giov. 1: 12 ss.);
lo dice a quelli che, pur malamente, hanno almeno cominciato a credere in lui: « Non vi lascerò orfani, tornerò a voi... mi
vedrete, perché io vivo e voi vivrete » (Giov. 14: 18 ss.). Non
si tratta di rivedersi fra « cari »,
anche spiritualmente « cari »
(cfr. le parole di Gesù a Maria di
Betania, al sepolcro, Giov. 20:
17), Gesù parla del rivedersi in
Dio, nella sua gloria: di vedere
Dio, la cui gloria, la cui presenza
manifestamente creatrice e vitale ha brillato nel volto del Cristo Gesù, per la fede, e rifulgerà
nel volto del Figlio risorto, per
la visione, nella nuova creazione.
« Vedranno Dio »
Ecco: l’annuncio biblico non
ci parla del nostro ritrovarci e
rivederci nel regno di Dio; promette che vedremo Dio. « Beati
i puri di cuore, perché essi vedranno Dio ». Anche questa beatitudine, come tutte le altre, ha
sì un aspetto attuale (beati,
ora!), annuncia, come nelle strofe di un inno, ciò che fin d’ora
nella fede possiamo e dobbiamo
vivere; è però tutta tesa, orientata verso il regno di Dio, di lì
trae contenuto, verità.
A chi domanda, con umana,
comprensibile intensità; ci rivedremo? la Parola risponde:
« Beati i puri di cuore, perché
essi vedranno Dio ». Forse siamo delusi, feriti, respinti. Se lo
siamo, forse è segno — uno fra
altri — che il nostro cuore non
è puro. Ma che vuol dire, nel linguaggio biblico, essere puri di
cuore? Il termine usato ha ricchezza di significati, ed è infatti
tradotto, a seconda dei casi, in
modi diversi *; indica comunque la semplicità (il contrario
della doppiezza), la schiettezza,
la genuinità, la sincerità, l’essere
”d’un pezzo”. Come si dice che
un vino è sincero, che un’acqua
è pura, che un occhio è limpido, che una persona è schietta.
Insomma, essere puri di cuore (e su questo ritorneremo, e
cercheremo uomini e donne
biblici dal cuore puro) vuol
dire amare Dio con tutto
il cuore, con tutto se stesso,
vivere il primo, il grande ’’comandamento” (che è sempre
anche, anzitutto dono, offerta,
grazia!). Essere puri di cuore
vuol dire amare Dio prima e al
di sopra di tutto; prima e al di
sopra degli altri, prima di se
stessi. Amare Dio senza doppiezza, senza calcolo, soprattutto
senza avere il « cuore diviso »
(Giacomo 4; 8), senza avere al
tri ’’dèi”, dichiarati o no, accanto a lui, senza dividere il proprio
cuore fra Dio e altri o altro.
La grande promessa,
onnicomprensiva
Per chi è in questo senso puro di cuore, per chi ama Dio con
tutto se stesso, per chi aspetta
e invoca che Dio « volga il suo
volto » verso di noi, non c’è promessa più grande: « Vedranno
Dio ». « Vedremo il suo volto »
(I Giov. 3: 2). « ...vedremo faccia a faccia... conoscerò appieno,
come sono stato appieno conosciuto » (I Cor. 13; 12). Dio con
noi — con me e con gli altri —,
in piena luce. Dio con noi, con
la sua vita, con la sua forza, con
la sua luce, con la sua giustizia,
con la sua pace.
Già ora — e anche su questo
ritorneremo, se piace a Dio —
ci è dato, nella fede, di vedere
Dio nella sua immagine, nel volto, nella persona viva di Gesù
Cristo. Ma verrà il giorno beato
del passaggio dalla fede contrastata alla visione immediata;
« Beati i puri di cuore, perché
essi vedranno Dio ». Dio voglia
che sia anche la nostra beatitudine, ora, e nel suo regno, nella
risurrezione, nella nuova creazione. E se, alla sua presenza,
ci sarà anche dato — in qualche
modo a noi inconcepibile, come
lo è tutto ciò che va oltre questa
nostra esperienza umana — di
’’ritrovarci”, sarà certo diverso,
tutt’altro: aperto, liberato da
ogni angusta e meschina esclusività; sarà, comunque, quel ’’resto”, quel secondario che dall’esuberante generosità divina
ci sarà dato come ’’giunta”, per
soprammercato, in più, se avremo cercato prima Dio (cfr. Matteo 6: 33).
Gino Conte
‘ Rifacendosi verosimilmente a espressioni come questa di Paolo: « Quanto a
noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da
dove aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo» (Fil. 3; 20), uno degli scritti più limpidi e robusti della chiesa antica, l’anonima Epistola a Diogneto
ha applicato alla condizione della comunità cristiana l’immagine della colonia
impiantata in terra straniera ma che vive
secondo i costumi e le norme della madrepatria: un’immagine poi spesso ripresa nella riflessione ma scarsamente vissuta nella realtà della chiesa nei secoli.
Gesù Cristo, il «secondo», nuovo adamo,
ha viceversa vissuto con cuore puro, intero, questa condizione, ’’missionaria"
all’ennesima potenza: con quali conseguenze, lo registrano le testimonianze
evangeliche.
^ Al riguardo si veda, fra altri, il commento come sempre splendido di Giovanni Miegge ne II sermone sul monte,
Torino, Claudiana, 1970, pp. 51-54.
8
8 vita delle chiese
25 novembre 1988
UN PADRE NELLA FEDE
CORRISPONDENZE
Francesco Cacciapuoti Con gii stranieri
Giovedì 10 novembre, nel tempio metodista di Savona, si sono
svolti i funerali del pastore Francesco Cacciapuoti che era nato a
Napoli il 6 marzo 1896. Il tempio
era gremito di membri della chiesa di Savona e delle chiese del
LE TAPPE
1896: Nasce a Napoli il 6 miarzo.
1907-1911: Allumo di Casa Materna a Portici — Fa studi
medio-superiori.
1914-1917: Studente presso il
Theological Presbyterian
Seminary di Bloomfìeld
(N. Y. - USA).
1917-1918: In Italia, al fronte per la prima guerra mondiale (verrà poi insignito
della croce di cavaliere di
Vittorio Veneto).
1922-1926: StucÌente Scuola
Teologica Metodista e Facoltà Valdese di Teologia.
1928: Consacrazione e assegnazione alla Chiesa Metodista Episcopale (CME) di
Bari come coadiutore del
pastore Alfredo Naldi: cura
in particolare il settore giovanile, la colonia marina,
le scuole elementari ecc.
1929: Sposa a Bari Maria Brigida — Pastore a Palombaro (CME).
1930-1933: Pastore a Venezia,
con incarico di direzione
dellTstituto Evangelico Professionale (CME).
1934: Pastore ad Albanella
(CME).
1935-1942: Pastore a Villa S.
Sebastiano (CM Wesleyana): in questo periodo:
provvedimento di polizia
con confino a Trecate e divieto di soggiorno a Villa
S. S.; il confino dura circa un anno e cessa nefll’ottobre 1942.
1942-1946: Pastore a Roma Ponte S. Angelo (CMW).
1946-1969: Pcistore a Savona
(Chiesa evangelica metodista); per un anno cura anche Sestri P.
1969: Emeritazione.
1988: Muore a Savona F8 novembre.
la Liguria. Presenti numerosi cattolici. Il pastore Franco Becchino, genero del pastore Cacciapuoti, ha messo in evidenza come
questo « padre nella fede » per
tutta la vita, nella predicazione,
nel lavoro pastorale, nella testimonianza abbia sempre con forza messo il Signore al centro, al
primo posto.
« Pensando a questo padre nella fede non vogliamo porre il nostro sguardo su lui che ha risposto, ma su Colui che lo ha
chiamato », ha detto Becchino cogliendo un altro aspetto centrale dell’insegnamento di Cacciapuoti.
Una nipote ha letto alcuni brani significativi dell’ultimo sermone che 11 pastore Cacciapuoti ha
scritto e che era centrato pronrio sulla speranza dei credenti
nel Signore risorto di fronte alla morte.
Messaggi di solidarietà fraterna sono stati pronunciati dal pastore Giuseppe Anziani, dal pastore Ugo Tomassone (V Circuito), dal pastore Salvatore Ricciardi (II Distretto), dal pastore
Valdo Benecchi (Tavola Valdese).
Sono pervenuti numerosissimi telegrammi da colleghi, dal Moderatore, dal Presidente Opcemi, da
molti amici.
Personalmente ricorderò Francesco Cacciapuoti come un pastore che ha vissuto il proprio
ministero pastorale sostanziando
il suo lavoro, i suoi rapporti umani, i suoi messaggi con il suo tipico, generoso entusiasmo e con
la grande riconoscenza al Signore per il dono della fede e del
servizio.
Lo ricordo sempre entusiasta
per le chiese a lui affidate, con un
amore gioioso per le sorelle ed
i fratelli che egli sapeva ascoltare con grande rispetto e con autentica partecipazione nella preghiera comune.
Amore e stima per gli altri
pastori che egli usava spesso
chiamare « cari colleghi », non
per un senso di freddo distacco
professionale, ma perché esprimeva così il comune coinvolgimento nella stessa opera, nella
comune responsabilità nella vigna del Signore. Ci ricordiamo
le sue testimonianze prima nel
Sinodo e nella Conferenza della
Chiesa metodista e poi, negli ultimi anni, nel Sinodo delle Chie
se valdesi e metodiste. Messaggi
sempre volti ad incoraggiare, a
ricordarci la responsabilità della
predicazione. Un metodista sempre giovane, dal « cuore singolarmente riscaldato » dalla Parola di Dio.
Non era solo un superficiale
sentimento religioso, ma un’autentica passione per l’Evangelo e
riconoscenza sempre viva per l’amore di Dio. QueU’ottimismo radicato nell’opera di Dio, quella
gioia, quella profonda pietà, cose che egli esprimeva con un linguaggio ottocentesco e che forse uscivano dagli argini di certi
canoni teologici e di certe regole
omiletiche, ma che di certo erano dettate da una fede autentica capace di suscitare nuove conversioni a Cristo e di fondare
nuove comunità di credenti.
Noi che oggi stiamo cercando
di rieducarci all’evangelizzazione
dobbiamo certamente aggiornarci nel linguaggio e negli strumenti di comunicazione, ma forse
dobbiamo anche conoscere meglio il nercorso di fede dei testimoni che ci hanno preceduti perché da essi possiamo ricevere
certamente ampi spunti per rivitalizzare spiritualmente la nostra
riflessione.
Grazie, Signore, perché hai suscitato questo pastore, grazie per
il suo amore per l’Evangelo, grazie per i testimoni che ci hanno
preceduti, grazie per l’eredità spirituale che ci hanno lasciato.
Valdo Benecchi
ROMA — Domenica 6 novembre ha avuto luogo un’assemblea
di chiesa della chiesa di Piazza
Cavour che ha trattato soprattutto della vita della chiesa e delle
iniziative di carattere evangelistico che vorremmo attuare nell’anno ’88-89. Nel corso di questa assemblea è stato anche approvato
il seguente odg :
« L’assemblea della chiesa di
Piazza Cavour, tenutasi il 6 novembre 1988, protesta contro le
iniziative e le dichiarazioni del
sindaco di Roma Giubilo e dell’assessore alla sicurezza sociale
Mazzetti, tese ad impedire piccoli lavori di sostentamento e a
mandare via dalla città tutti gli
stranieri senza permesso di soggiorno, quando è ben noto che la
politica e burocrazia discriminatorie negano loro proprio questo
permesso. Questa posizione dei
massimi esponenti del governo
della capitale non permette alcuna crescita della cittadinanza
verso una cultura di accoglienza
ed apertura nei confronti del nostro prossimo, ma incita al razzismo e all’intolleranza. E’ compito
dell’assessore alla sicurezza sociale avviare una politica sociale che affronti concretamente
i problemi dei rifugiati e degli
immigrati, invece di scartarli.
Invitiamo il sindaco, la giunta
e il consiglio comunale di Roma
ad avviare una politica di solidarietà verso coloro che vengono
nella nostra città. La nostra richiesta si fonda sul comandamento di Dio: ”11 forestiero che
soggiorna tra voi, lo tratterete
come colui che è nato tra voi ; tu
lo amerai come te stesso” (Levitico 19: 34)».
« Protestantesimo »
in USA
NEW YORK — Con gioia la
comunità ha ricevuto la visita
del dr. Malocchi del servizio
« Protestantesimo » in TV che,
con i suoi collaboratori, ha ripreso alcuni momenti della nostra
vita ecclesiastica. Il filmato, insieme ad altro materiale ’’girato”
a Valdese, nel North Carolina,
andrà in onda, in Italia, intorno
al 17 febbraio.
• Il 16 ottobre Fredy e Cathy
Janavel hanno presentato nel culto il loro piccolo Alfred James
RAPOLLA: UNA COOPERATIVA DI ASSISTENZA
Impegno per gli anziani
Un gruppo di donne lucane crea una cooperativa di assistenza
domiciliare e propone così un nuovo modello femminile al Sud
Ancora una volta nei confronti
dei meridionali riemergono pregiudizi e posizioni razziste che riprendono antiquate analisi : ho
sentito poco tempo fa dire che
nel sud msmca una mentalità imprenditoriale, che i giovani sono
privi di inventiva e si adeguano
ad un sistema di potere clientelare per meglio vivere alla giornata.
Per questo desidero rendere
testimonianza a un gruppo di ragazze di Rapolla che, organizzatesi da tempo, hanno formato
una cooperativa di assistenza domiciliare per gli anziani.
In Lucania, dove il livello di
disoccupazione è altissimo, è rimarchevole la volontà di queste
ragazze, alcune sposate, altre no,
che hanno avuto il coraggio di
rompere con l’assetto sociale e
culturale dominante, creando
una possibilità di lavoro, di impegno, e anche di testimonianza
evangelica. Nel gruppo lavora infatti anche una ragazza della locale chiesa metodista.
Il lavoro della cooperativa si
situa in un quadro complesso:
settori e istituzioni preposti ai
servizi per i cittadini versano
nel degrado; ogni tentativo di
mettere in discussione l’esistente trova vita dura.
E quello delle cooperative è un
settore emergente, ricco di variegate situazioni dove resistere, lottare, impegnarsi sono imperativi
all’ordine del giorno. Quasi tutte
(costituitesi con la solidarietà di
enti locali amministrati da forze
di sinistra) ora, con il cambio
delle giunte, hanno una serie di
problemi di sussistenza, pur offrendo un servizio con validità
sociale ed economica.
La cooperativa « Rinascita e
sviluppo » rientra e non rientra
in questi frangenti. Intorno al
suo nascere si è formata una so
lidarietà che ha avuto nella chiesa metodista e nell’amministrazione comunale, a maggioranza
democristiana, due dei più vicini collaboratori. Esiste una convenzione tra la cooperativa e il
comune, mentre le attività di servizio hanno la sede operativa nei
locali sociali della chiesa.
Gli anziani assistiti sono una
quarantina; il servizio comprende: colazione e pranzo a domicilio, lavanderia, servizio infermieristico, riassetto delle abitazioni.
Insieme è nato anche il centro
culturale « Anziani di Rapolla »,
che ha già realizzato una mostra
fotografica sui paesi della Lucania, serate danzanti, dibattiti su
tematiche riguardanti la terza
età. La collaborazione con la
chiesa metodista è buona, insieme si cerca di coinvolgere nelle
attività la maggior parte dei cittadini e le classi delle scuole elementari e medie. I rapporti con
provincia, regione, comune e
USSL sono curati da un’assistente sociale membro di chiesa.
La cuoca, che è anche presidente della cooperativa, segue giornalmente le tabelle dietetiche individuali e si cura dell'acquisto
delle derrate ; ed ancora : quando
nello spiazzo antistante i locali
sociali c’è la biancheria stesa,
quando l’auto gira per il paese
a distribuire i pasti, quando le
abitazioni degli anziani vengono
periodicamente rassettate, emerge la laboriosità di queste ragazze che non si sono rassegnate al
dramma della disoccupazione.
Nelle assemblee della cooperativa è presente anche la discussione sui problemi delle ragazze:
problemi riconducibili al ruolo
di donna lavoratrice, che è anche
moglie e madre.
Da questa esperienza lavorativa ricevono risposta le voci che
si levano a disprezzo del Meridione.
Al di là di queste sparse rifiessioni, pensando anche che annualmente si deve affrontare la
questione del campo di lavoro
nel sud, desidero dire che nel sud
non c’è solo isolamento, ma ci
sono gente e situazioni foriere di
impegno e di sviluppo.
Francesco Carri
sul quale è stata invocata la benedizione del Signore.
• Segnaliamo la scomparsa di
Lorenzo Campbell di 62 anni, marito di Ines Charbonnier, al cui
funerale hanno partecipato il pastore e il prete. «Larry era cattolico di nascita ma evangelico nel
cuore — dice il past. Janavel —
e la testimonianza del prete al funerale era in armonia con la nostra fede riformata ».
• Il Concistoro prosegue la
propria riflessione sul futuro della piccola chiesa valdese di Nev/
York ed è rattristato che la studentessa in teologia Folk, nipote
di Laura Jervis (vicepresidente
dell’American Waldensian Society) non possa per il momento accettare l’incarico offertole di aiuto-pastore. « Per il momento il
nostro Concistoro mi ha chiesto
di continuare ad occuparmi della
chiesa — scrive al proposito il
past. Janavel, che ha 79 anni —
il che riempie la mia vita e non
mi pone nessuna difficoltà purché il Signore continui a darmi
forza e salute ».
Culto con i luterani
VENEZIA — Domenica 6 novembre si è celebrata, nella chic
sa valdese di Venezia, la festa
della Riforma. E’ da qualche anno un appuntamento fisso per
le due comunità, si celebra il
culto con Santa Cena, segue pranzo comunitario nella Foresteria
valdese. La chiesa luterana celebra la festa natalizia nei locali
della nostra Foresteria. I luterani hanno per anni ospitato nella loro chiesa di Campo SS. Apostoli la mostra del libro evangelico, mostra organizzata dai vaidesi e metodisti.
In gennaio, nella chiesa luterana, si celebrerà un culto ecumenico, con partecipazione di
cattolici, ortodossi, anglicani,
metodisti e valdesi.
Sono piccoli ma importanti
passi verso una più stretta collaborazione, ricerca necessaria
per tessere quella comunione tra
chiese protestanti, tanto necessaria per il reciproco incoraggiamento e per una testimonianza
di fraterna solidarietà e piena
comunione nella fede.
Un grande vuoto
AGRIGENTO - Gaetano Lentini apparteneva ad una delle
famiglie fondatrici della chiesa
valdese di Agrigento sorta nell’immediato dopoguerra. Da giovane si era convertito all’Evangelo e da quel momento aveva
dedicato tutta la sua vita al servizio del Signore.
La sua fede, la sua testimonianza di credente si manifestavano
nel suo lavoro come insegnante
elementare (il suo insegnamento
ha influenzato diverse generazioni di ragazzi), nei suoi rapporti
con gli elementi più vivi della
città per la formazione di una
società migliore e nella sua partecipazione attiva a tutta la vita
della chiesa. Era iscritto nei ruoli dei predicatori locali e spesso
predicava. Come diacono si è
sempre occupato di tanti problemi di carattere pratico che fanno parte della vita della chiesa,
soprattutto nei periodi in cui non
c’è stato un pastore residente.
Era sempre disponibile per tutti.
La partecipazione di moltissime persone al suo funerale ha
dimostrato quanto era amato
nella città. La nostra chiesa perde in lui un grande aiuto.
Si è spento dopo lunghe sofferenze sopportate per diversi
anni con grande forza d’animo
e soprattutto con una fede incrollabile.
A tutta la sua famiglia va la
nostra simpatia e solidarietà fraterna.
9
r
25 novembre 1988
vita delle chiese 9
RESI: ASSEMBLEA DEGLI AMICI
Proseguire il servizio
Riqualificare le attività esistenti e prevedere nuovi interventi in
campo sociale e culturale - Un luogo di trasformazione della realtà
L’assemblea degli « Amici del
Servizio cristiano », svoltasi il 23
settembre scorso, ha dato mandato al gruppo residente di lavorare nelle direzioni indicate dalla relazione introduttiva: si tratta di « puntare su una riqualificazione dei settori esistenti da
un lato, e sulla sperimentazione
di un nuovo tipo di intervento
socio-culturale in paese ». In particolare, quest’ultima indicazione riguarderà il lavoro di laboratori creativi e altre attività per
adolescenti e giovani.
La relazione presentata da
Jean-Jacques Peyronel partiva
dagli assunti che avevano guidato il lavoro del nuovo gruppo
residente, avviatosi nel 1985; si
trattava allora di seguire una
« linea programmatica » articolata in diversi pimti: assicurare
la continuità dei settori di attività attualmente esistenti; puntare sulla massima socializzazione del progetto; inserire persone
di Riesi; rilanciare l’azione socio-politica e culturale; oollegarsi con i movimenti esistenti in
Sicilia (comitati per la pace, cooperative, movimenti delle donne,
ecc.); sviluppare i contatti internazionali già esistenti.
Se i singoli punti della « linea »
sono stati sostanzialmente rispettati, qualcosa è mancato, e la
relazione non lo nasconde, nel
funzionamento del grupjx), « un
gruppo sostanzialmente introverso che non ha saputo radicarsi
nell’ambiente e che ora si ritrova più che dimezzato ».
Dove è stata la difficoltà? La
relazione, nel ribadire che il gruppo non è stato privo di un’ideaguida per il lavoro da compiere,
colloca i problemi soprattutto
nel fatto che a tale idea è mancata un’adesione convinta: da
qui anche la difficoltà a tradurre questa idea nei termini che
potessero essere adatti « alla cultura, alla sensibilità e al conter
sto sociologico di oggi ».
Ma se vi è stata questa discrepanza tra progetto e gruppo, la
lucida analisi degli errori non
può far dimenticare che l’attività del gruppo e l’adesione di esso al lavoro non esauriscono il
senso dell’azione del Servizio
cristiano: « Il Servizio cristiano
esiste solo in funzione del gruppo o il gruppo in funzione del
progetto? ».
Allora è a questo punto che
si collocano le riflessioni più significative, che rilanciano obbligatoriamente la necessità di pro
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Una bella festa all'Asilo
seguire il lavoro del Servizio.
Nel costante riferimento alla Parola, si trattava, dall’inizio negli anni ’60, di sviluppare un’etica del servizio, cercando di essere un « luogo di trasformazione della realtà », conducendo
« una diaconia politica còme nuovo modo di essere chiesa e di
predicare VEvangelo fuori dai
muri della chiesa ».
E’ importante, a questo punto, saper verificare i risultati raggiunti, tenendo presente che i
frutti del lavoro svolto possono
anche non essere visti subito. E
se non si è stati in grado di stimolare una nuova generazione
a lavorare disinteressatamente
per la collettività, altri frutti sono evidenti: centinaia di bambini hanno ricevuto un’educazione, un’iniziativa industriale opera ormai da 20 anni, dando lavoro a trenta famiglie. E ancora: decine di giovani si sono formati nella Scuola meccanica,
l’educazione sanitaria ha raggiunto la base della cittadinanza con
l’of>era del consultorio. Inoltre
occorre « non smantellare troppo frettolosamente una rete di
servizi che, oltre ad essere tuttora richiesti, sono anche un
mezzo privilegiato per mantenere aperto un dialogo con la popolazione ». Non si può stravolgere un’impostazione basata sul
servizio.
Da tutte queste considerazioni, nei giorni in cui si sono ricordati i 20 anni della Meccanica Riesi e della scuola elementare, e i 25 della Scuola meccanica e della scuola materna, nasce la proposta fatta all’assemblea, e un mezzo per meglio indirizzare ogni attività è quello.
che è stato deciso, di formare
delle commissioni di 34 persone competenti, come già sta avvenendo per la Scuola meccanica.
L’organizzazione, così reimpostata, prevede anche la costituzione del Comitato generale, che
avrà il compito di precisare e
condurre la « strategia globale »
del Servizio cristiano. Ad esso
si affiancherà un altro organismo, il Gruppo di servizio, che
potrà garantire « una maggiore
responsabilizzazione dei collaboratori locali ». Il gruppo residente potrà in tal modo, sgravato
della funzione di organismo dirigente, dedicarsi soprattutto a
« garantire le condizioni del lavoro e far da tramite con l’ecumene internazionale, per manter
nere vivo il messaggio evangelico dell’opera ». Il nuovo statuto,
applicato in via sperimentale, dovrà essere approvato dal Sinodo.
A.C.
PADOVA
No alla droga
Collegio Valdese
fondato nel 1831
AVVISO
Le iscrizioni alla classe del LICEO PAREGGIATO per
l’anno scolastico 1989/90 scadono ufficialmente il 25 gennaio
1989. Gli interessati sono tuttavia consigliati di iscriversi al
più presto, visto che al 19 novembre risultano ancora disponibili :
• 5 posti per l’indirizzo classico
• 5 posti per i’indirizzo linguistico
Tel. (0121) 91.260 - orario : 8,30-12,00
Via Beckwith, 1 - Torre Pellice
« Storie di miseria infinita e di
infinita umanità » : con questa
frase, che sintetizza efficacemente la tragica realtà della tossicodipendenza a Padova, ha concluso il suo discorso Tina Ciccarelli,
dell’ Associazione famiglie contro l’emarginazione e la droga,
venerdì 11 novembre scorso di
fronte ad un esiguo ma attento
gruppo di persone riunite nella
chiesa metodista di Padova.
L’incontro con la Ciccarelli sul
tema « La città e la droga », organizzato dal Gruppo di attività
femminile della locale comunità,
insieme al prossimo su « La città
e gli anziani », conclude ima serie
di studi e analisi dal titolo « Vecchie e nuove povertà», coordinati dalla sorella Maddalena Costabel.
Partendo dalla riflessione sulla
povertà nell’Antico e Nuovo Testamento, poi via via attraverso
i secoli nelle varie realtà sociali,
la Costabel è giunta a parlare dei
«nuovi poveri», quelli che vivono
ai jnargini della nostra società
opulenta, mal tollerati: gli anziani, gli handicappati, i drogati.
Il Gruppo di attività femminile di Padova ha deciso di
aderire all’Associazione famiglie
contro l’emarginazione e la
droga, volendo dimostrare concretamente solidarietà, come
donne evangeliche, a delle persone che coraggiosamente, tra mille difficoltà e intralci, accolgono
e tentano di aiutare, accettandoli nella loro dolorosa e tragica
umanità, i «nuovi poveri» che
sono tra noi.
O. Bragaglia
S. GERMANO CHISONE —
Un avvenimento molto insolito
ha caratterizzato la giornata dei
nostri anziani dell’Asilo lunedì
31 ottobre dato che ima delle
ospiti, la signora Lina Subilia
Pornerone, ha festeggiato nell’Istituto stesso, insieme con il
consorte, i sessant’anni di matrimonio. Il personale, con il direttore dell’Asilo, ha voluto esprimere ai signori Subilia gli auguri
non solo a parole, ma anche tangibilmente con l’offrire loro un
pranzo speciale in compagnia di
tutti gli ospiti che hanno così trascorso alcune ore in un’atmosfera di letizia e di particolare serenità.
• Un sincero ringraziamento
da parte della comunità vada ai
giovani della PGEI (Monica Godino, Antonella Long, Andrea
Garrone, Daniele Noffke) i quali
domenica 30 ottobre haimo presieduto il culto presentando nel
sermone le loro riflessioni molto
profonde sulle figure di Marta e
Maria ed invitando ognuno a capire meglio le personalità e soprattutto la fede delle due sorelle, entrambe discepole di Cristo,
sebbene in modo assai diverso.
• Ringraziamo anche Umberto
Rovara che, in occasione della
domenica dedicata all’Unione
predicatori locali, ha accettato
di essere in mezzo a noi per darci il suo messaggio incentrato sul
sermone sul monte. Peccato
che non molti fossero presenti
al culto; il fatto però è stato
giustificato in quanto proprio la
domenica 13 novembre ha avuto
luogo la terza edizione della
« Strasangermano », camminata
non competitiva attraverso alcuni borghi del paese, avente lo
scopo di raccogliere fondi per la
ristrutturazione del nostro Asilo.
Più di seicento i partecipanti;
speriamo che ognuno abbia capito lo spirito con cui è stata organizzata la manifestazione.
• Per domenica 4 dicembre è
prevista l’Assemblea di chiesa
avente all’odg la discussione con
eventuale approvazione del bilancio preventivo 1989.
• Le riunioni quartierali in
programma per il mese di dicembre sono le seguenti: 7, Balmas;
9, Costabella; 10, Porte; 13, Gianassoni ; 14, Chiabrandi ; 20, Gondini; 21, Garossini.
• Ci ha lasciati all’età di 76 anni il nostro fratello Augusto
Long. La comunità, in comunione di fede col Cristo risorto,
esprime ancora la sua solidarietà
nel dolore al figlio ed ai familiari
tutti.
Auguri
TORRE PELLICE — Domenica 18 novembre è venuto alla luce il piccolo Kai Samuel di Cristina Pretto e Dario Paone; la
comunità si rallegra con il piccolo ed i suol genitori.
Concerto
LUSERNA S. GIOVANNI —
Sabato 26 novembre, alle ore
20,45, nel tempio del Ciabàs avrà
luogo un concerto della corale
valdese.
L’opera della CEVAA
PERRERO-MANIGLIA — Domenica 27 novembre avrà luogo
il culto unico in forma di assemblea a Perrero, con inizio alle ore
10. Sarà presentata l’opera della
CEVAA.
• Mercoledì 30 novembre, alle
ore 20,30, si svolge una riunione
quartierale aperta nella sala delle attività di Perrero. Verrà
proiettato il film « Giustizia senza barriere » e si discuterà il problema dei migranti.
Assemblea di chiesa
ANGROGNA — Domenica 27
alle 10, presso il tempio del Capoluogo, si svolgerà l’assemblea
di chiesa per assumere decisioni
in merito al futuro pastore della
comunità. Il tema dell’assemblea,
a livello informativo, è già stato
presentato nelle riunioni quartierali per permettere una conoscenza approfondita del problema e la più vasta partecipazione
possibile degli elettori.
Errata corrige
Per errore del nostro corrispondente, nell'articolo « Per leggere la Bibbia », pubblicato sul n. 42 del 4 novembre scorso, a ipag. 8, abbiamo
scritto « Azione Apostolica », che va
invece letto « Azione biblica ».
COLLEGIO VALDESE
Un appello
L'associazione » Amici del Collegio
valdese » di Torre Pellice rivolge on
appello agli ex allievi del Collegio affinché contribuiscano — anche quest'anno — al fondo borse di studio; la
meta da raggiungere per l'anno scolastico in corso è di lire 10 milioni.
I versamenti (possono essere effettuati sul ccp n. 21205109 o presso il
cassiere dell'associazione, prof. Ermanno Armand Ugon.
Calendario
Domenica 27 novembre
□ ASSEMBLEA TEV
TORRE PELLICE — Alle ore 15, presso la casa unonista, ha luogo l’assemblea mensile della TEV.
Venerdì 2 dicembre
n SOLIDARIETÀ’
CON LE DONNE
PiNEflOLO — Alle ore 15 del 2 dicembre, presso I locali della chiesa
valdese in via dei Mille 1, le responsabili dei gruppi femminili, quelli di
comunità e le persone Interessate si
incontrano per discutere ed organizzare ricerche ed impegni sul decennio ecumenico « Chiese solidali con
le donne ».
per la stampa di
biglietti da visita, carta e buste intestate,
locandine e manifesti, libri, giornali, riviste,
dépliants pubblicitari, pieghevoli, ecc.
coop. tipografica subalpina
VIA ARNAUD, 23 - ® 0121/91334 - 10066 TORRE PELLICE
10
10 valli valdesi
25 novembre 1988
BOBBIO PELLICE
Agonia
deir alta
montagna
Il problema della scuola è stato il tema conduttore delle varie manifestazioni culturali di
questo decimo « Autunno in Val
4’Angrogna », conclusosi con la
presentazione della bella ricerca
scientifica di Renzo Tibaldo intorno alle scuole valdesi a cavallo dei due secoli («La penna
e il calamaio », pubblicata dal
Centro di documentazione di Angrogna).
Queste pagine, frutto di un’attenta disamina di carte nei nostri archivi di chiesa, ci fanno
scoprire l’antica rete capillare
scolastica e l’amore protestante
per la lettura, che nella Bibbia
aveva il libro di testo fondamentale. « Quelle cosiddette "università delle capre" erano scuole confessionali — ha ricordato Franco Calvetti, direttore didattico a
Torino e presentatore del lavoro
di Tibaldo — ma ce le pagavamo noi. Dal 1874 si organizzavano a Torre Pellice congressi pedagogici per aggiornare la didattica dei giovani maestri che costruivano, mese dopo mese, la
cultura di questo, allora numer
roso, popolo di montagna ».
A cento anni di distanza i problemi sono diametralmente opposti. Si parla di agonia della
montagna. Oggi i numeri, anziché salire, calano paurosamente
e, sempre più insistente, si fa
strada il discorso politico che arriva da Roma di razionalizzare,
di accorpare, di tagliare i rami
secchi (vedi la vicenda del treno). E’ lo Stato che, senza clamore, se ne va via da quelle zone che numericamente non rendono e economicamente sono
sempre ^ù deboli. Malgrado
questo clima politico generale i
dibattiti e la partecipazione alle iniziative dell’« Autunno angrognino » hanno dimostrato che
la gente di qui non si considera
ancora partecipe — per dirla con
Muto Revelli — del « mondo dei
vinti ». Ma perché questo non
avvenga occorrerà risolvere al
più presto il problema numero
uno: creare nuovi posti di lavoro.
La gente — come è emerso nei
vari interventi — vuole vivere
vicino al proprio posto di lavoro. Se il lavoro continua a rimanere lontano, difficilmente accessibile nei mesi della neve e del
ghiaccio, lo scivolamento a valle
e in pianura continuerà. Per invertire questa direzione di marcia occorre che lo Stato sia disposto ad investire nella montagna. E’ scandaloso che si trovino finanziamenti per pagare l’ora
cattolica di religione nelle scuole di stato ma non li si trovino
per investire in progetti a favore delle popolazioni alpine.
In Val d'Aosta si tengono aperte scuole di montagna con 5 bambini e in alcuni paesi d'Europa
la gente di alta montagna riceve incentivi economici statali.
Per ritornare a noi, in questi
anni abbiamo visto che la lirica
ecologica dei piccoli frutti non
ha risolto il problema, né lo risolve la visione economicistica
che vede la montagna solo
come una grande massa amorfa
priva di vita, utile solo per andarci a sciare sopra la domenica.
Soltanto il rilancio di una serie
diversificata di nuove iniziative
(agricole, industriali', sportive, turistiche, ecc.) sostenute, almeno
parzialmente, dallo Stato potrà
dare nuovi impulsi alla montagna. Certo, in , caso di rinascita,
ci ^fat^ió più problemi, ma almeno ci sarà più vita. Mentre si
discute, l’agonia rischia di diventare irreversibile. Il tempo a disposizione per intervenire non è
più gran che. Giuseppe Platone
Il bastone... e la carota
T
Discussi dal Consiglio comunale i rapporti amministrazione-CAI - Migliorie stradali e un progetto; un convegno sulla funzione dei boschi
L’ormai lunga serie di contenziosi, lettere, successivi chiarimenti fra CAI Val Pellice ed amministrazione comunale di Bobbio dovrebbe, nelle intenzioni di
quest’ultima, aver vissuto un momento conclusivo nel corso del
consiglio comunale svoltosi nella
serata di mercoledì 16 novembre
scorso.
L’oggetto del contendere sono
stati fin qui l’ampliamento del
rifugio « Monte Granerò » ed il
cosiddetto progetto di valorizzazione della conca del Pra, mediante apertura di pista di collegamento da Villanova.
Gli amministratori presenti
hanno approvato im ordine del
giorno dal cui contenuto si evidenzia una doppia linea di tendenza; infatti, mentre si ritiene
« comunque elemento chiarificatore l’armonia esistente fra la
Commissione TAM e il CAI di
Torre Pellice e la comunanza di
intenti fra i due enti, che non
era percettibile con chiarezza ad
una prima lettura dell’articolo
redatto dal TAM pubblicato sull'Eco delle Valli n. 38 del 7/iO/
1988, si auspica pari identità di
vedute anche nella valutazionedei problemi connessi con il futuro della conca del Pra.
Si precisa che il progetto per
l’ampliamento del Rifugio Granero ha l’autorizzazione prevista
dalla legge 431/’85 solo per la
sua versione originale, mentre
non è stata ancora prodotta analoga documentazione per quanto
concerne il progetto modificato
presentato dal CAI stesso ».
Nel contempo si « manifesta il
proprio rammarico per la consuetudine del CAI di Torre Penice di ricordarsi del comune di
Bobbio Pellice solo per denigrarlo tramite i giornali locali, e
questo proprio durante la consultazione che il CAI stesso ha
avviato tra i suoi soci, consultazione che la lettera del TAM ha
volutamente cercato di influenzare guidandola verso ben determinate posizioni ».
E « si invita il CAI di Torre
Pellice ad una maggiore apertura mentale ed una visione globale dei problemi, meno provinciale, chiedendo altresì la collaborazione di tutti per attuare una
politica di tutela ambientale del
ANGROGNA
Aree attrezzate
Aree attrezzate, dove costruirle?
E’ stato questo un interrogativo affrontato nel corso di uno
degli ultimi incontri promossi
nell’ambito dell’Autunno in vai
d’Angrogna.
Ha introdotto la serata il sindaco Coisson segnalando la difficoltà di reperire in valle aree
adeguate a tale uso e proprietari disponibili.
Infatti si tratta di mettere
d’accordo le esigenze di chi, vivendo tutta la settimana in città, cerca nei week^end una pausa nel verde delle valli, e di
quanti, ormai una minoranza,
continuano a lavorare nel settore agricolo.
Non basta però una semplice
area « a disposizione », ma si
tratta in questi casi di garantire
un minimo di servizi (punto acqua, raccolta rifiuti, in certi casi servizi igienici) indispensabili
per questo tipo di turismo.
E pare, a quanto detto dal sindaco, che in vai d’Angrogna vi
siano oggettive difficoltà a risolvere il problema.
La serata però ha dato la possibilità di riflettere più in generale sulla gestione del turismo
attuale e, ancora più in grande,
di esprimere idee, proposte di
sviluppo del settore. E’ infatti
chiaro che il turismo che si rivolge alle aree attrezzate non
« rende » gran che alla popolazione in termini economici; meglio
sarebbe puntare sui gruppi che
visitano periodicamente le valli
per conoscere la storia di queste
zone.
Ma allora perché, ad esempio,
a Pradeltorno non si riesce ad
avere un punto di vendita di bevande ed oggetti ricordo, neppure nel periodo estivo? Soltanto
con la difficoltà di reperire un
locale adattabile si spiega questa carenza?
Se non esistono soluzioni trainanti, è chiaro che ci dev’essere
un insieme di piccole risposte
ed in questo senso anche modesti progetti turistici o esperienze di cooperazione agricola che
mantengano l’uomo in montagna
hanno il loro sigiiificato.
P.V.R.
TORRE PELLICE
Incontro europeo
La sigla WACC (World Association for Christian Communication) risulta probabilmente
nuova a molti, così come la sua
attività. I settori che impegnano questi « cpmunicatori cristiani » spaziano da quelli più tradizionali della radio o televisione ai film ed agli audiovisivi:
tutti mezzi di comunicazione validi per una testimonianza cristiana. L’associazione ha infatti
carattere ecumenico e terrà nell’ottobre 1989 il suo primo congresso mondiale a Manila nelle
Filippine.
In vista di tale data si svolgono nelle varie « regioni » del
mondo dei seminari di preparazione. Uno di questi incontri ha
visto impegnala una delegazione
europea convenuta a Torre Pellice dal 12 al 15 novembre scorso per riflettere sul tema « partecipazione e comunicazione ».
Lo spunto è venuto dalla realtà specifica di Torre, dove in una
situazione di compresenza paritaria di protestanti e cattolici,
esistono molti campi di impegno comune, nel settore sociale,
politico e culturale, oltre che nello studio biblico ecumenico. I
lavori del gruppo europeo, introdotti da alcune relazioni, hanno
visto nel contempo la partecipazione al seminario di un gruppo
di giovani locali, che oltre a guidare gli ospiti nella visita ad
istituti, media, ed attività varie,
hanno a loro volta ricevuto parecchi stimoli verso la loro personale formazione.
la conca del Pra, evitando di fare sempre solo polemiche ».
Dunque il bastone e la carota...
Naturalmente il consiglio non
si è occupato soltanto dei rapporti col CAI, anzi molti altri
argomenti erano in discussione.
E’ stato per esempio deciso di
avviare la progettazione di un
tratto stradale a monte della borgata Perlà che funga da circonvallazione della medesima, che
si trova attraversata dalla strada che conduce al Barbara e
dunque, specie in talune giornate estive, da un forte traffico.
Ultimato l’acquedotto del Fra,
si è passati alla determinazione
dei costi di allacciamento (400
mila lire per i privati, 800.000
lire per la Ciabotta ed 1.6(X).(X)0
lire per il rifugio Jervis) e del
tributo annuo (rispettivamente
20.000, 50.000 e 100.000 lire).
Ancora, si è proceduto all’aumento di alcune tariffe (raccolta rifiuti, trasporto studenti, ecc.)
ed alla concessione di un contributo annuale alla Pro Loco di 2
milioni di lire, tenendo conto delle molte attività realizzate o promosse.
Si è discusso infine, molto,
del miglioramento dei boschi (il
comune ne ha una vasta superficie), di un loro sfruttamento
razionale in rapporto anche alla
tutela delTambiente; in merito
è stato presentato il progetto di
un corrvegno, da tenersi nella
prossima primavera, su « aspetti
ambientali e protettivi del bosco ».
Pi«rvaldo Rostan
USSL 44
Disagio
psichico
e latitanza
poiitica
Preceduta da un circostanziato
« dossier » preparato da un gruppo di familiari di malati psichici
e coordinata dalla Caritas, si è
svolta venerdì scorso a Pinerolo
una affollata assemblea sul tema
delTassistenza psichiatrica fornita dalla USSL 44. All’assemblea
avrebbero dovuto essere presenti,
oltre ad alcuni tecnici (medici ed
operatori del servizio), anche alcuni responsabili politici (Camusso, presidente delTUSSL 44, e
Maccani, assessore regionale). Dei
politici erano presenti solo il sindaco di Pinerolo ( « E' vero — ha
detto —, io sono la massima autorità sanitaria. Ma il problema
è gestito dalla USSL ») e Mario
Mauro, vicepresidente delTUSSL
44 («Da quarant'anni mi occupo
di politica — ha detto — e non
ho mai dovuto affrontare un linciaggio come quello di questa sera »T
L’assemblea si è perciò svolta
mettendo in luce le carenze di gestione nell’applicazione della legge 180 di riforma psichiatrica.
Riforma che secondo un funzionario regionale è ingestibile,
mentre per il responsabile dei
sen/izi psichiatrici di Trieste è
perfettamente gestibile — se lo
si vuole — e con buoni risultati.
Alla fine gli intervenuti, viste
le mancate risposte delle autorità, hanno chiesto le dimissioni
dei responsabili politici della
USSL.
G.G.
L’ospedale
ha 50 anni
PINEROLO — L’Ospedale civile « Edoardo Agnelli » ha 50 anni. Infatti è stato inaugurato il
28 ottobre 1938. Da allora ha subito notevoli modificazioni, sopraelevazioni, costruzioni di nuove ali. Non è però finita. Verrà
infatti costruita una nuova « piastra » che accoglierà il « dipartimento di emergenza ed accettazione ». Il piano dei lavori verrà
illustrato sabato 26 novembre.
Costo; una trentina di miliardi,
attrezzature comprese.
Aperta
la piscina di valle
PEROSA ARGENTINA — Sa
bato 19 novembre le valli Chisone e Germanasca hanno coronato un sogno lungo alcuni lustri: si è aperta la piscina di
valle a Perosa. Al mattino i responsabili di gestione del Consorzio hanno incontrato i responsabili delle scuole per inquadrare le attività legate agli alunni.
Nel pomeriggio la piscina è stata aperta al pubblico con una
buona affluenza. Adesso inizia la
gestione quotidiana, coi suoi problemi e le difficoltà del logoramento di tutti i giorni. L’entusiasmo dell’apertura dovrebbe
invogliare le forze politiche —
che hanno tutto sommato il coltello dalla parte del manico —
a privilegiare questo servizio rispetto ad altri, magari meno costosi finanziariamente e più fruttuosi elettoralisticamente, ma
certamente meno utili a lunga
scadenza alla salute globale della
popolazione.
Ripopolamenti
e inquinamenti
Nei due incubatoi di Perosa
Argentina e di Ferrerò le trote
fario e marmorate locali ricuperate in autunno sono giunte al
momento della riproduzione. Il
tentativo delle amministrazioni
e dei pescatori è quello di ripopolare i torrenti con fauna autoctona che possa, in futuro, riprodursi spontaneamente, senza
che siano necessarie semine puntuali di uova embrionate, di avannotti e di trotelle.
In questi giorni, pertanto, si
sta utilizzando la tecnica degli
allevamenti con capi catturati
nelle zone in cui ancora ci sono
pesci locali (Valle delTArgentera, affluente della Dora Riparia,
alta Val Chisone, media Val Germanasca) in modo da avere negli anni prossimi ripopolamenti
destinati anche alla riproduzione oltre che alla pesca. Per ottenere questo risultato viene
spremuta in un recipiente idoneo prima la femmina con le
uova mature (in media circa 1.000
al capo) e quindi immediatamente il maschio, in modo che il
suo sperma fecondi le uova appena emesse.
Le uova così embrionate vengono, quindi, conservate in apposite vaschette con acqua corrente fino alla schiusa degli avannotti (verso febbraio, prima
o dopo a seconda della temperatura dell’acqua) per la loro imm.issione nei torrenti. Un gros
so allarme tra i pescatori sta
suscitando il progetto di un piccolo depuratore di acque a Se
striere, di dimensioni insufficienti a garantire una reale tutela
dell’affidabilità delle acque, sìa
per la pesca, sia per l’ambiente.
11
25 novembre 1988
valli valdesi 11
50 ANNI FA
Il fascismo chiude
l’Echo des Vallées
Società
di Studi Ics • *sì» • i?^ * ir * I
Valdesi
« Gli abbonati del periodico settimanale
L'Echo des Vallées sono informati che esso
ha cessato di pubblicarsi, per ordine della
Autorità ». Così inizia una circolare della Tavola Valdese inviata agli abbonati esattamente 50 anni fa, venerdì 25 novembre 1938,
a due settimane dalla sospensione delle pubblicazioni avvenuta in seguito al sequestro
di due numeri del giornale.
Per tentare di ricostruire la successione
•degli avvenimenti è necessario leggere fra le
righe della minima e cauta corrispondenza
intercorsa fra i responsabili, la Tavola e i pastori, affidarsi ai ricordi personali di chi all'epoca fu coinvolto e che comunque, se pur
nitidi, non sono chiari in quanto è la chiarezre medesima che mancava. È certo che un foglio "eretico”, di portata internazionale e per
di più scritto in francese, non poteva godere
delle simpatie deir«Autorità» dell’epoca, non
poteva far parte del concetto addottrinante
di Italia e di Italiani scritto con la maiuscola.
Lo stesso direttore deW'Echo, Alberto Ricca,
sembra non fosse persona gradita al regime
(fu proprio in quegli anni che abbandonò
il suo impegno di insegnante di storia al
Collegio). Sta di fatto che, in una lettera conservata negli archivi della Tavola, Ricca scrive, riferendosi ai numeri sequestrati: « Ho
riletto tutto molto attentamente, ma non ho
trovato nulla che potesse insospettire... forse due frasi potrebbero... in ogni caso già
per il prossimo numero ho tolto il versetto
biìdico ». E il « prossimo numero » non fu
più stampato.
L’Echo des Vallées è nato il 18 luglio 1848.
Nel 1875 diventa Le Témoin - Echo des
Vallées, per ridiventare Echo nel 1896 fino,
appunto, airil novembre 1938.
La circolare citata, mentre sollecita gli abbonati a non abbandonare la testata e leggere nel frattempo La Luce, promette che « veri passi necessari presso il Mini
ranno fatti i
stero della Cultura Popolare per ottenere la
trasformazione del giornale in "Eco delle
Valli Valdesi" redatto, come d'obbligo, in
lingua italiana ».
In effetti passerà un anno prima che il
nuovo foglio veda la luce: il primo numero
del settantacinquesimo anno apparità i'8 dicembre 1939, a firma Gino Costabel. Lo stampa la Arti Grafiche l’Alpina, nuova ragione
sociale della vecchia Tipografìa Alpina che lo
stampava fin dal 1880 (e che lo stampa a tutt’oggi come Cooperativa Tipografica Subalpina).
Sono quattro pagine di riflessioni teologiche, di cronaca spicciola; il contenuto solito,
senza il minimo accenno alla parentesi trascorsa. Il secondo numero ospita un messaggio (una nota redazionale sottolinea che
non è giunto in tempo per disguidi postali)
del moderatore, Ernesto Comba, che anche
qui non accenna ai trascorsi, ma sollecita il
lettore a considerare l’Eco delle Valli Valdesi
uno strumento per la coesione della chiesa.
Il quarto numero, che sarà anche l’ultimo
per il ’39 (n. 4 del 29 dicembre) pubblica
una « manchette » probabilmente di pugno del direttore: « Il rivolgere uno sguardo indietro al cammino percorso, il soffermarsi un istante quasi a riprendere nuove
forze, è certo sentimento profondamente
umano, ad una condizione però: che si sappia riprendere la marcia in avanti, senza rimanere dubbiosi, se il cammino appare ancora lungo, e la via non sempre piana.
Per il credente risplende infatti ancora una
volta la po.rola: il Signore ci ha sostenuti; sostenuti e benedetti nella Chiesa e nella Patria
diletta, e su tutti si rinnovellino copiose le
benedizioni del Signore ».
Forse continuità vuol dire anche questo:
saper passare una spugna sui momenti di
buio.
Stello Armand-Hugon
Notizie
La SSV comunica che l'orario di ricevimento del pubblico è: lunedì, mercoledì e venerdì dalie ore 10 alle ore
12. In particolare si precisa che la biblioteca e l’archivio concedono prestiti
e consultazioni il mercoledì dalle ore
10 alle ore 12, quando in sede è presente il loro responsabile, dott. Augusto Comba,
I soci che hanno partecipato al due
viaggi in Olanda nel mese dello scorso settembre si sono ritrovati una prima volta sabato 12 novembre: il prossimo appuntamento è per sabato 26
novembre per uno scambio di diapositive e foto, risultato cospicuo e ben
documentato sulla realtà che si è visitata. La SSV rinnova il suo ringraziamento a quanti hanno voluto prender
parte all'iniziativa, che sarà riproposta
l'estate prossima in vista delle manifestazioni per II Centenario. Sono infatti allo studio quattro viaggi in Svizzera, con itinerari differenziati, ognuno dei quali « toccherà » un luogo
storico relativo aH’itinerario del Rimpatrio. 1 programmi dettagliati, appena
pronti, saranno pubblicati.
La prima settimana di novembre la
SSV ha ospitato e accompagnato per
le Valli la troupe televisiva delia Svizzera romanda che cura il programma «Regard » (l’equivalente del nostro Protestantesimo). Fra l'altro, sono stati intervistati Levi Buffa di Angrogna, Anna Grand di Bobbio Peìlice e la corale
di Pomaretto.
Sono, infine, in vendita presso la
SSV tre serie di 36 diapositive suila
storia valdese corrispondenti al medio evo, all'età moderna e all'epoca
contemporanea, acquistabili separatamente a L. 40.000 caduna oppure tutte insieme a L. 110,000. Accompagnate da spiegazioni che ne facilitano la
presentazione al pubblico, sono particolarmente adatte per il catechismo o
per un gruppo di studenti. E’, inoltre,
allo studio un'altra serie di diapositive- (20-24) soltanto sul Rimpatrio, utili ad introdurre conversazioni storiche
sul tema, acquistabili a L. 20.000 presso la SSV (escluse eventuali spese di
spedizione). La SSV ricorda che il
diritto di riproduzione delle diapositive
resta di sua esclusiva proprietà. Per
ulteriori informazioni telefonare al n.
(0121) 932179 in orario d'ufficio.
r;
Oggi
e domani
PINEROLO — DP informa che la prevista presentazione del libro >■ Lotta
continua» con l'intervento dell'autore
(Luigi Bobbio) è spostata a martedì 6
dicembre, ore 21.
PEROSA ARGENTINA
Conferenze
Il villaggio
I ncontri
PINEROLO — Presso la sala del
Consiglio comunale alle ore 21 di venerdì 25 novembre, il PCI organizza
un incontro sul tema « Vincoli e montagna ».
PiNEROLO — Domenica 27 novembre
alle ore 10, presso il Centro Sociale di
via Lequio, il PCI organizza un incontro sul tema « lo 1ACP ».
PINEROLO — Il sindacato pensionati
della CGIL organizza per domenica
27 novembre, alle ore 9.45„ la giornata del pensionato con dibattiti, pranzo, musica.
PEROSA ARGENTINA — Nell'ambito
del ciclo di lezioni suH'economia promosse dal POI presso la sala della
Pretura, giovedì 1° dicembre, ore 21,
il prof. Guido Ortona parlerà sul tema » Problemi economici della perestrojka ».
BRICHERASIO — Il circolo Rinnovamento organizza un ciclo di conferenze
sul tema: « Verso il 2000 » (L’Italia e
la scadenza del 1992: abolizione delle
barriere doganali). Il primo appuntamento è per venerdì 25 nov., ore 21,
presso il salone comunale della scuola media, e tratterà degli aspetti economico-ambientali della politica agraria europea: interverranno il deputato
europeo Natalino Gatti ed il dott. Dino Cassibba, funzionario dell’ESAP della regione Piemonte.
Cinema
TORRE PELLICE
VENDO
Piazza Guardia Piemontese,
negozio mq. 65, nuovo, riscaldamento autonomo, L. 60O.(K)O
mq.
Disponibilità garage varie
metrature, 8-9 milioni.
Telefonare ore pasti 011/
93.99.339.
POMARETTO — Nell’ambito della rassegna « Attori, autori », venerdì 25
novembre, alle ore 21, presso 11 cinema
Edelweiss, viene posto in visione
n Tokyo-ga », di Wenders.
TORRE PELLICE — Il cinema Trento
ha in programma: « Sposi », di Pupi
Avati, venerdì 25, alle ore 21.15 e « Il
principe cerca moglie », sabato dalle
ore 20 e domenica dalle ore 16.
Programmi di Radio Beckwith
_____________91.200 FM______________
Fra i programmi di , questa settimana
segnaliamo un'intervista ad alcune esponenti dell'AVO, in onda nel corso
del programma « Rendez-vous », martedì 29 alle ore 17: inoltre, sempre
nello stesso programma, ma mercoledì 30 alle ore 11.30 verrà presentata
un'intervista ai proff. Max Salvadori e
, Lamberto Mercuri su « L’azionismo
nella storia d'Italia, ’46-'53 ».
Forse non a torto gli abitanti
delle nostre vallate sono stati
accusati (come tutti i montanari, del resto) di individualismo;
in vai Germanasca, ad esempio,
mancano del tutto le cooperative
0 le stalle sociali. Ogni famiglia
provvede a coltivare quello che
le serve con i propri mezzi agricoli, tutti ugualmente moderni e
costosi, tutt’al più si va a fare
la mezza giornata di lavoro per
fare un piacere al parente o alFamico.
Un tempo non era così, anzi
1 villaggi erano centri di un’intensa vita sociale e culturale, superiore a quella di analoghe zone dell’arco alpino.
Questo tema affascinante è
stato presentato da Claudio Tron
a Perosa Argentina il 17 novembre, in un incontro organizzato
dall’assessorato alla cultura della Comunità Montana Valli Chisone e Germanasca. Il pubblico,
composto in buona parte di gente che sull’argomento la sapeva
altrettanto lunga, ha discusso in
seguito l’argomento con viva partecipazione.
Claudio Tron ha ricordato i
vari elementi che compongono
la struttura abitativa delle case
dei villaggi, struttura che resiste tutt’oggi con poche variazioni: case addossate le une alle
altre, raramente monofamiliari,
più spesso con i locali d’uso sparpagliati in tutte le direzioni. Una
vita che si svolgeva in pubblico.
RINGRAZIAMENTO
<c Della vita buona si contano i
giornif ma il buon nome dura
in eterno »
La famiglia del compianto
Augusto Long
nell’impossibilità di farlo singolarmente, ringrazia sentitamente tutti coloro che COTI la loro presenza, fiori, scritti e parole dì conforto hanno preso parte al suo dolore.
S. Germano Chisone, 16 novembre 1988
RINGRAZIAMENTO
« L’erba si secca, il fiore appassisce, ma la parola del nostro
Dio sussiste in eterno »
(Is. 40: 8)
Ci ha lasciati improvvisamente, all’età di 80 anni
Mariella Dalmas
insegnante
Sorelle, nipoti e pronipoti sono riconoscenti a tutti coloro che, vicini e
lontani, hanno vissuto con loro l’ora
del commiato.
Torre Pellice, 18 novembre 1988
Redattori, collaboratori e tipografi
sono vicini a Stello Armand Hugon e
famìglia, nel momento di dolore per
la morte della zia
Mariella Dalmas
Torre Pellice, 18 novembre 1988
RINGRAZIAMENTO
<c Dio fa tendere ogni cosa al
bene di quelli che lo amano »
(Romani 8: 28)
Il 10 novembre a Nìce (Francia) è
mancata
Marcelle Scorzoglio
I cugini ringraziano i pastori, le comunità delle chiese riformate di Nice
e tutti coloro che si sono stretti a loro,
nel dolore.
Torre Pellice, 25 novembre 1988
AVVISI ECONOMICI
PRIVATO vende a privato villa vicinanze Ciriè con 3.000 metri terreno.
Tel. 9204997 ore pasti.
SIGNORE inglese offre lezioni di conversazione in lingua inglese. Telefonare ore serali 932253, Torre Pellice.
anche perché nelle case, piccole
e buie, si rimaneva il meno possibile, Se non si era troppo vecchi o troppo ammalati; perfino
i pasti, in alcune borgate, venivano consumati alFaperto, sulle
scale di casa.
Vi era, inoltre, una sequela di
attività svolte in comune, che ora
cito alla rinfusa: la cottura del
pane e la macinazione dei cereali, le « corvóes » per la manutenzione delle strade, la costruzione di scuole, ponti, muri di sostegno che non veniva affidata
come oggi ad una ditta specializzata; anche il pascolo agli alpeggi era in consorzio, come pure il taglio dei boschi e gli ac' quedotti delle borgate.
Questo modo di vivere è ormai deteriorato dall’industrializzazione e dallo spopolamento:
non si è costruito un raccordo
tra la vita moderna e le pur valide esperienze dei nostri antenati: lo ha dimostrato ancora
una volta la discussione che ha
concluso l'incontro, puntata non
sul futuro, ma sul passato, cioè
Sui musei. Tutte le testimonianze del buon tempo antico vengono raccolte, conservate, catalogate: « Abbiamo più musei in
queste poche valli — ha detto
l’assessore Erminio Ribet — che
in una larga fetta dell’arco alpino ». Forse alla montagna non rimangono altre prospettive.
Liliana Vlglielmo
USSL 42 - VALLI
CHISONE - GERMANASCA
Guardia medica :
Notturna, prefestiva, festiva: presso Ospedale Valdese di Pomaretto - Tel. 82351.
Guardia farmaceutica :
27 NOVEMBRE 1988
San Germano Chisone: FARMACIA
TRON - Telef. 58766.
Fenestrelle: FARMACIA GRIPPO Via Umberto I, 1 - Tel. 83904.
Ambulanza :
Croce Verde Perosa: Tel. 81.000.
Croce Verde Porte: Tel. 201454.
USSL 44 - PINEROLESE
(Distretto di Pinerolo)
Guardia medica :
Notturna, prefestiva, festiva: Telefono 2331 (Ospedale Civile).
Ambulanza :
Croce Verde Pinerolo: Tel. 22664.
USSL 43 - VAL PELLICE
Guardia medica :
Notturna, prefestiva, festiva: Telefono 933039 (Ospedale Valdese).
Guardia farmaceutica :
27 NOVEMBRE 1988
Torre Pellice: FARMACIA INTERNAZIONALE - Via Arnaud 8 - Telefono
91.374.
Ambulanza :
CRI Torre Pellice: Telefono 91.996.
Croce Verde Bricheraslo: tei. 598790
12
12 la fede vissuta
INTERVISTA A MADELEINE BAROT
Quando la fede si apre alla storia
Parla una delle protagoniste del movimento ecumenico: un cammino di fede attraverso la difesa degli ebrei la solidarietà con I popoli oppressi, l’indignazione contro i torturatori, il dialogo e l'apertura alle altre’ chiese
Malgrado gli 80 anni e le difficoltà nel camminare, Madeleine Darot non ha esitato a viaggiare da Parigi a Firenze, rispondendo all’invito della PCEI, per
portare im messaggio dal CEC,
dove ha lavorato per 50 anni (a
partire da quelli della sua formazione). Prima di essere presidente del dipartimento della
gioventù, fin dal 1948, poi responsabile del dipartimento per
la cooperazione tra chiesa e società, aveva trascorso 5 anni a
Roma lasciandola al momento
in cui l’Italia aveva dichiarato
guerra alla Francia (maggio ’40).
Madeleine Barot ha partecipato
anche alla creazione della Cimade, organismo protestante che
si è sempre occupato in particolare dei rifugiati.
— Come donna protestante,
impegnata per <tanti anni nel lavoro ecumenico, quali esperienze sono state per lei più significative?
— Dipende in quale campo. Il
lavoro durante la guerra — quando la Francia era occupata dalla (^rmania — per salvare bambini ebrei, mi ha impegnata di
più. Il governo di Vichy collaborava con i tedeschi (era terribilmente cattolico; aveva consacrato la Francia alla Vergine!). Gli
ebrei erano minoranza; Hitler aveva deciso il loro sterminio.
All’assemblea FCEI di Firenze:
M. Barot con il ten. col. £. Miaglia, responsabile per VItalia dell'Esercito della Salvezza.
Noi protestanti, urtati, abbiamo fatto subito opposizione. Abbiamo vissuto nei campi dove
erano gli ebrei. Ma abbiamo visto che ciò non bastava. Abbiamo iniziato im lavoro clandestino. Tutte le comunità delle chiese della Federazione protestante di Francia hanno accettato.
La Cimade, dai campi, mandava
gente di comrmità in comunità.
10 passavo il mio tempo ad andare a dire: ne abbiamo 7, ne
abbiamo 10... Siamo stati aiutati
dal CEC in formazione e da Visser ’t Hooft, il futuro primo segretario. Avevamo bisogno di soldi per le tessere alimentari, e
tante cose del genere.
E’ stato molto importante per
11 protestantesimo francese, e
per me, che ero allora segretaria generale della Cimade. Era
un’azione meno politica che umanitarla, ma ci ha portati ad
una riflessione politica. Eravamo veramente solidali. Nessuna
comimità ha rifiutato, anche chi
era meno d’accordo, e come protestanti . siamq stati . unificati.
Adesso la Federazione protestante ha i frutti di quello che ci ha
uniti durante la Resistenza. Così, dopo la guerra, i protestanti
si sono interessati di più alle
questioni politiche, sociali, internazionali.
Per noi non è un fatto straordinario essere nella clandestinità: ci fummo con la revoca
dell’Editto di Nantes e la Resistenza, e volevamo mettere gli
ebrei negli antichi nascondigli,
come nelle Cevenne. In quanto
protestanti si resiste.
— Attraverso tanti anni travagliati del nostro secolo, lei ha
vissuto un’evoluzione nella società che ha avuto un riflesso
suUe chiese, e viceversa?
— Essendo minoritarie, le chiese protestanti della fine del XIX
secolo erano im po’ pietiste, la
politica era sporca, si aspettava
il Regno di Dio. Il rifiuto di occuparsi delle questioni del mondo veniva dal fatto che ci si occupava della propria anima. La
guerra ha fatto prendere una
svolta. Le chiese non possono
desolidarizzarsi dalla società. Si
è sempre sognata la chiesa come luogo di riconciliazione: per
esempio tra i popoli francese e
tedesco; dopo la guerra, la Cimade ha mandato equipes di
giovani nella Germania — occupata dalla Francia —, creando
così dei legami di amicizia tramite la gioventù.
Si credeva che le colonie fossero una buona cosa e, quando
esse hanno cercato l’indipendenza, si è fatta la guerra contro di
loro (Algeria, Vietnam). Ci si
è accorti che erano state lasciate nella miseria, che non si era
lavorato per il loro profitto, ma
per il beneficio della Francia,
con ima mano d’opera a buon
mercato. Dopo aver creduto di
essere dei buoni padri di famiglia, ci si è ricreduti. Anche i
missionari non avevano visto
giusto. Essi facevano del buon
, lavoro. Ma, daH’altra parte, la
i Francia opprimeva le colonie.
I Adesso i protestEinti sono interI nazionali; molti fanno studi d’interprete e questo ha portato
molti giovani alla vita politica.
Attualmente il primo ministro,
il ministro deH’intemo e altri
sono protestanti. Ma la forza
del cattolicesimo fa sì, ad esempio, che in questi giorni la pillola abortiva utilizzata negli
ospedali sia stata soppressa. Sì
pensa che i protestanti abbiano
un contributo specifico, poUtico
o sociale. Non siamo compietamente come gli altri; ciò ci
distingue dall’insieme della popolazione. Bisogna dirlo, che la
gente lo sappia, altrimenti non
siamo niente. Noi lanciamo delle
idee. Anche in Italia, spesso, opere sono iniziate da protestanti,
poi passano a cattolici.
— C’è dunque un rapporto
stretto tra teologia e vita?
— E’ vero: ad esempio per
un organismo come l’ACAT (di
cui sono vicepresidente, e la presidente è protestante), nato in
Francia sotto l’impulso di Tullio
Vinay, al suo ritorno dal Vietnam dove aveva visto i prigionieri politici nelle « gabbie ».
Dall’Inghilterra arrivava in Francia Amnesty International nel
1973, creando un ramo cristiano. Abbiamo fatto un contratto
con Amnesty, che non voleva
le chiese, ma dei cristiani.
L’ACAT riceve altre informazioni. Ci si completa. Siamo 15.000,
ed è una struttura ecumenica,
alla base.
— Ha delle cose particolari
da dire per quello che concerne
le donne?
In Francia le donne delle
chiese protestanti non sono oppresse; ci sono donne pastori,
presidenti di sinodi, e in tutte le
commissioni. E’ una situazione
relativamente nuova. Come donne protestanti non si ha molta
voglia di avere dei gruppi specifici. Si sta meglio con gli uomini. A livello nazionale, dopo
« Jeunes Femmes », diventato un
movimento ormai piccolo, si è
Marsiglia.
Alcuni ospiti
del primo campo
allestito
dalla Cimade
in favore
dei profughi.
creato Orsay, alcuni anni fa, che
si occupa di teologia e femminismo. La nostra ragione di essere è di occuparci degli altri: attualmente solidarizziamo con le
migranti, le algerine, musulmane, che vivono in una realtà familiare diversa, con la poligamia, spesso oppresse dai mariti; esse sono diventate francesi
di passaporto, ma non di cultura. Solo le donne le possono
aiutare. Ci sono in Francia 3 milioni di musulmani e 1 milione
di buddisti. Siamo un paese laico, ma fino a un certo punto;
gli ebrei si sono battuti per avere il sabato; musulmani e buddisti non hanno niente. I protestanti hanno un ruolo importante nella società locale per
uno sviluppo sereno.
— Che cosa direbbe per il futuro alle chiese e alle donne?
In Francia si parla molto
dell’Europa del ’92, senza frontiere. Si è felici e timorosi. Quale sarà il posto dei paesi latini? Come protestanti saremo
più forti; nella Francia europea
non saremo più così minoritari. Ma attenzione a non essere
sopraffatti dai luterani, molto
minoritari in Francia. I riformati devono continuare a fare ¡sentire la loro voce in una famiglia che si sta allargando e diversificando.
— Quali speranze ci sono con
il decennio ecumenico «Chiese
solidali con le donne »?
— Non si sa. Il progranuna è
vago. Ce ne interessiamo attraverso le migranti. Ma dobbiamo
entrare in questa ricerca. Qui in
Italia se ne parla, ma non ho le
idee chiare.
— Possiamo concludere con
una sua esperienza personale
che ricorda con particolare piacere?
— Ho avuto ima vita molto interessante al CEC, quando dirigevo il dipartimento delle donne; era un’epoca in cui la questione non era mai stata posta.
In quei tempi, nei movimenti
della gioventù cristiana le donne erano uguali agli uomini, e
quando questi giovani sono diventati capi di chiese, sono stati
maggiormente pronti a capire
l’evoluzione della società. Se le
chiese stavano zitte, la società rischiava di orientare le donne in un senso che la cristianità
non poteva ammettere.
Era necessario che le chiese
cambiassero le loro strutture.
Un punto forte è stato la consacrazione delle donne al ministe
rio pastorale, ma più importante
è rimasto il problema della donna, e non solo della famiglia,
come si faceva fino a quel momento. In questo campo siamo
stati pionieri. La società industriale approfittava delle donne. Speriamo che le chiese vadano abbastanza in fretta per
vedere che tutto cambia di nuovo. Da una società industriale
a una società tecnologica, dove
la mano d’opera non è più necessaria, dove importante è l’uomo di scienza, di nuovo c’è crisi per le donne. Mi dà fastidio
dire che la questione delle donne
è importante, ma lo dico per la
società stessa nel suo insieme.
Uno dei compiti dei protestanti
è di scuotere i cattolici sull’argomento.
Intervista a cura di
Marie-France Maurin Goïsson
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