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DELLE mU VALDESI
biblioteca VAU)BSE
i(K^ TOfiBE EEILICB
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 111 - Num. 37
Un?»; copia Lire 100
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E’ ITEMPO DI VIVERE FINO IN FONDO LA SPERANZA CRISTIANA
Speranza che dura
«...queste tre cose durano: fede, speranza,
carità... »
Si capisce facilmente come possano durare la fede e la carità,
cioè l’amore. Si direbbe, anzi, che
nel Regno di Cristo queste due
realtà siano destinate a intensificarsi, più che a durare, semplicemente. La fede non sarà più in
balìa del dubbio e deH’incredulità; l’amore sarà pieno e senza riserve. È assai più difficile, invece,
pensare alla speranza come a qualcosa che debba durare sempre. Infatti la speranza o va delusa o viene appagata, ma in un caso come
nell’altro si esaurisce; non solo,
ma la speranza riflette anche sempre un certo stato di privazione
di quello che si spera per il futuro. E allora?
È possibile che l’idea di una
speranza destinata a durare anche con l’avvento del Regno abbia
anche la funzione di darci una
certa sobrietà su quello che attendiamo per noi nel senso che
anche allora non possederemo la
pienezza che appartiene a Dio soltanto e che, quindi, anche allora
saremo chiamati a vivere in una
certa misura di speranza. Ma ci
sono altri caratteri della speranza
cristiana messi in luce dal Nuovo
Testamento che devono essere
sottolineati per intendere meglio
come la speranza debba essere,
come la fede e la carità, una realtà durevole.
— La speranza è un dono di
Dio, non un atteggiamento dell’animo umano in attesa. È già,
dunque, un qualcosa di positivo,
pur non essendo tutto. È addirittura identificabile con Gesù Cristo (I Tim. 1: 1).
— La speranza, in questo senso, altrettanto quanto la fede, è
un fatto che caratterizza i credenti e li distingue dai noncredenti:
quelli che «non hanno speranza »
(I Tess. 4: 13).
— La speranza è una singolare
unione di un'insicurezza totale,
che riflette la sua dimensione umana, e di una certezza assoluta,
anche dell’umanamente inverosimile, che esprime il fatto che è un
dono di Dio (lo sperare « contro
speranza » di Rom. 4: 18). Non
esprime, quindi, solo privazione,
ma anche la grazia di Dio. Non
può venir meno.
— La speranza è legata alla fede, perciò spera in Dio e non in
un vago futuro migliore; è legata
alla carità, quindi non è egoistica,
spera» per gli altri e non soltanto
per noi. D’altra parte dà^ piena
luce anche alla fede ed all amore
come si possono vivere oggi, perché solo nella speranza e non nella realtà visibile, si può conoscere amore e fede piena.
Questi caratteri della speranza
possono illuminare un pochino il
fatto che « duri », ma forse è necessario, per vederci un po’ più
chiaro, ricorrere, per contrasto,
all’identificazione delle speranze
che non durano. Ne esistono esempi, anche nel Nuovo Testamento:
speranze non durevoli, o se vogliamo, speranze di mezza durata,
anziché di piena durata. Ne
zioniamo due: speranze di credenti, cioè non di quelli che « non
hanno speranza », tuttavia speranze non piene: la speranza di Marta e la speranza dei Corinzi.
a) La speranza di Marta (Giovanni 11: 24) è una speranza rin
(T Cor. 13: 13)
viata aH’ultimo giorno. Spera, sì;
crede in Gesù Cristo. Ma non spera, né per sé né per Lazzaro in
una possibilità attuale che il male e la morte siano vinti, neppure
in presenza di Cristo, in cui pure
crede.
Forse molto spesso la speranza
delle nostre comunità è simile alla speranza di Marta. Sperano in
Cristo sinceramente e onestamente, ma per la vita futura soltanto.
Non credono nella possibilità di
risurrezioni parziali e provvisorie
in questa nostra storia travagliata e senza speranza. Non si aspettano che l’opera dello Spirito arrivi a tanto. Non credono che sia
possibile avere tra gli uomini rapporti di libertà, di uguaglianza e
di giustizia che riflettano in qualche modo la carità di Cristo e,
anzi, alcuni guardano con sospetto i fratelli che, invece, a questa
speranza si danno corpo e anima
e che ritengono di poter vedere
« la gloria di Dio » anche in queste realizzazioni pur cosi parziali
e discutibili, come pure, parziale
e solo per breve tempo è stata la
risurrezione di Lazzaro.
b) La speranza dei Corinzi (I
Cor. 15: 19) ha caratteri opposti
a quella di Marta. Vivono un’intensa esperienza spirituale, han
no ricevuto la predicazione di Paolo, di Apollo, di Pietro; la loro comunità è talmente ricca di doni
dello Spirito che si pone assai meno il problema di chiederli in preghiera che di disciplinare quelli
presenti, in modo che nessuno
soffochi gli altri. Magari fosse così anche nelle nostre chiese! Ma
tutto questo porta, almeno alcuni, a sperare « per questa vita soltanto »: nessuna risurrezione,
niente per l’ultimo giorno. La metà della speranza che manca a
Marta. Eppure, con questa speranza di mezza durata, dice Paolo,
« siamo i più miserabili di tutti
gli uomini ». Miserabili forse anche con la speranza di Marta, ma
miserabili ancora di più con quella dei Corinzi.
Anche questa mezza speranza,
« per questa vita soltanto », è
sempre in agguato. Lo è forse particolarmente in situazioni di grande vitalità, come quella dei Corinzi o come quella di gruppi operanti nel nostro tempo, per finalità relative ai rapporti umani a
cui accennavamo prima. Le mezze
speranze sociali secolarizzate non
valgono certo più delle mezze speranze spirituali dei Corinzi.
Di una speranza che dura, comunque, gli altri « chiedono ragione » (I Pietro 3: 15). Quando
molti ci chiederanno ragione della nostra speranza, potremo sperare che sia autentica. Le mezze
speranze suscitano poca curiosità.
Claudio Tron
Commento a un discorso di Paolo VI
La crisi della Chiesa
« La Chiesa e in difficoltà... Sì, la
Chiesa è in difficoltà! ». Questo fenomeno è, sotto vari aspetti, « evidente ».
Nel mondo d’oggi la chiesa « non sembra che possa avere prospera esistenza », sembra anzi, almeno a chi osserva le cose superficialmente, che essa
sia « destinata a spegnersi e a lasciarsi sostituire da una più facile e sperimentabile concezione razionale e
scientifica del mondo, senza dogmi,
senza gerarchie, senza limiti al possibile godimento dell’esistenza, senza
croce di Cristo. E se cade la croce di
Cristo... che cosa rimane della nostra
religione? ».
Certo, la chiesa è tuttora « una grande istituzione mondiale, collaudata da
venti secoli di storia », eppure essa è
ora « per certi riguardi, in gravi sofferenze, in radicali opposizioni, in corrosive contestazioni ».
Ecco alcune delle affermaizioni con
cui il pontefice romano Paolo VI ha
parlato della crisi della chiesa nel
tempo presente, in un discorso pronunciato rii settembre durante la consueta udienza generale settimanale.
Il pontefice si è poi chiesto se non
si sia scavato « un abisso che sembra
incolmabile » fra il pensiero moderno
e la vecchia mentalità religiosa. La cultura profana, mentre si è emancipata
dalla tutela della chiesa, sembra aver
assorbito molto del patrimonio cristiano tradizionale, tanto da far sorgere
la domanda: « V’è ancora bisogno che
la Chiesa ci insegni ad amare i poveri,
a riconoscere i diritti degli schiavi e
'legli uomini, a curare e ad assistere
i sofferenti, a inventare gli alfabeti per
popdli illetterati? Tutto questo, e pa
” assai meglio, lo fa il mondo profano da sé; la civiltà cammina con le
proprie forze ».
Dopo aver accennato alla situazione
DECISAfAL COMITATO CENTRALE ttB. CEC
La Societi cooperathi ecumiiniGa per la sviluppo
Un’iniziativa nuova nell’ecumene cristiana - Saprà anche la nostra Chiesa
parteciparvi in modo adeguato?
Fra le numerose decisioni del Comitato centrale del Consiglio ecumenico
delle Chiese, riunitosi a Berlino ovest
nello scorso agosto (si veda l’Eco-Luce
del 6 settembre) vi è quella di creare
una Società cooperativa ecumenica per
lo sviluppo. Anche se per il momento le
notizie sono ancora un po’ scarse e generiche, riteniamo che fin da ora valga
la pena sottolineare questo fatto essenzialmente per due motivi.
Innanzi tutto, si tratta di una iniziativa del tutto nuova nell’ecumene cristiana, che vedrà la partecipazione di decine e decine di chiese (speriamolo!) che
dovranno, oltretutto, dimostrare coi fatti e con il loro impegno la loro reale
disponibilità a consegnare i loro capitali liquidi (piccoli o grossi, e vendendo caso mai qualche immobile) a questa cooperativa, rinunciando alla tentazione di investimenti assai più redditizi, che le portano peraltro a non
preoccuparsi trqppo di come viene usato il loro denaro.
In secondo luogo, è da notare che
questa cooperativa avrà un triplice
scopo, destinato ad integrare ed a oltrepassare gli attuali obbiettivi e limiti dell’attività assistenziale del C.E.C.
Primo scopo è quello dello sviluppo,
mediante l’appoggio alla realizzazione
dì progetti che non riescono a trovare
gli investimenti necessari. Secondo
scopo, la giustizia sociale mediante un
trasferimento di poteri decisionali dato che la cooperativa sarà formata per
metà da chiese del Terzo Mondo. Infine, l’autonomia delle imprese o delle
associazioni che riceveranno i prestiti.
I progetti sostenuti dalla cooperativa __in cui ciascun azionista avrà di
ritto ad un solo voto indipendentemente dall’entità della sua partecipazione — comprenderanno: l’agricoltura (dai terreni alle infrastrutture ed a
tutti i relativi equipaggiamenti): la casa (nelle sue varie componenti): la piccola e media azienda (mobili, abiti, attrezzi vari, ecc.) ed infine l’artigianato
(con forniture delle relative materie
prime). Naturalmente, qupti progetti
verranno appoggiati principalmente
nei paesi sottosviluppati.
La cooperativa diverrà operante dal
momento in cui 30 chiese od organizzazioni affiliate avranno sottoscritto
un numero di quote equivalenti ad un
totale di 5 milioni di dollari (all’incirca tre miliardi di lire), che è la somma
prevista come capitale di partenza.
Come già accennato all’inizio, per il
momento non slamo ancora in grado
di fare una panoramica sulle prese di
posizione delle Chiese e delle organizzazioni chiamate a far parte di questa
« banca ecumenica ». Leggiamo nel numero del 31 agosto del settimanale Réforme un articolo di Roger Mehl in
cui viene detto che quest’iniziativa ha
sorpreso le Chiese francesi, le quali
non hanno manifestato molto entusiasmo. L’idea di questa « banca » è
parsa loro poco evangelica. È vero —
prosegue Mehl — che il portafoglio di
queste Chiese è piuttosto « sottile ».
Sotto questo punto di vista, si tratta
di un ragionamento che può valere anche per la Chiesa valdese che, se non
andiamo errati, ancor oggi non è nemmeno in grado di essere autosufficiente per corrispondere il salario ai suoi
operai.
Quest’iniziativa ci pare invece apprezzabile ed evangelicamente costruttiva, prima di tutto perché ci ripresenta in modo nuovo ed ancora più
pressante il problema della nostra
partecipazione ai gravissimi problemi
di natura socio-economica che urgono
in tanta parte del mondo, facendoci riflettere ulteriormente sulla nostra reale capacità contributiva, mentre nello
stesso tempo le Chiese molto ricche
saranno poste di fronte al bivio, se
continuare — senza guardare tanto per
il sottile — in investimenti più fruttuosi, oppure se contribuire efficacemente
e con un certo sacrificio a questa banca cooperativa dato che la stessa, a
causa della sua natura e della destinazione dei fondi, corrisponderà ovviamente degli interessi assai inferiori a
quelli normali.
La questione si deve però porre in
modo più radicale e cioè se le Chiese
hanno diritto di trattenere i capitali
(liquidi e solidi) in loro possesso, mentre invece esse sono chiamate senza
equivoco dal loro Signore a dare tutto
ai poveri, agli oppressi. Proprio nel numero scorso del nostro settimanale è
apparso uno scritto che trattava, riprendendolo già da altra stampa protestante, il problema del cristianesimo e del capitalismo. Nel caso specifico, il problema concerneva in modo
particolare il singolo individuo, ma ci
pare possa essere applicato anche alle
Chiese: « il fatto di essere cristiani
non implica necessariamente la rinuncia alla proprietà di un capitale, ma
esige in ogni caso una lotta spirituale
e politica contro le ingiustizie del sistema, a favore di una società più giusta
a livello locale, nazionale e mondiale ».
Disporre di un capitale, si, ma non esserne schiavi o vittime. Questo significa anche non limitarsi a qualche sporadica donazione « caritatevole » (peraltro anch’essa necessaria in particolari situazioni di emergenza) ma vuol
dire impegno responsabile e costante
per lo sviluppo dell’uomo e per mutare una situazione.
Nella costituzione di questa « banca
ecumenica » vi è anche un altro aspetto, contenuto nello Statuto della cooperativa: « Per coloro che si impegneranno per primi, la cosa rappresenta
un grosso rischio, dato che non troveranno un’organizzazione, né del personale, né dei successi già ottenuti, ma
solamente una sfida. I membri fondatori si troveranno a far parte di una
organizzazione del tutto nuova e completamente diversa da ciò che già esiste. Rispondendo a questa sfida, essi
testimonieranno in modo profondo il
loro impegno nei confronti dei dimenticati dello sviluppo ».
Saprà e vorrà anche la nostra Chiesa raccogliere questa sfida, assumersi
questo rischio, in povertà di sicurezze
umane? È già stato fatto notare sul
nostro settimanale che i contenuti
evangelici del « sinodo del centenario », sono venuti, più che dal sinodo
stesso, dalla Tavola: sapremo seguire
il Cristo vivente, oggi ANCHE mediante questa nuova forma di presenza?
Sapremo e vorremo scegliere la causa
dei poveri ANCHE in questo modo? Il
discorso è aperto.
Roberto Peyrot
esterna di diffusa irreligiosità, materialismo e laicismo geloso della propria
autonomia e ai numerosi sintomi interni della crisi (gente che abbandona
la chiesa, seminari quasi deserti, ordini religiosi che a stento trovano nuovi
seguaci, fedeli che non temono più di
essere infedeli), il pontefice ha posto
la domanda « che investe tutto il sistema:può la Chiesa superare le presenti
difficoltà? ». Ed ha risposto con le parole di Gesù che le porte dell’Ades
« non prevarranno » e « io sono con
voi » e altre ancora — parole che dobbiamo « prendere sul serio », cioè credere. « La fede — ha concluso — è la
prima condizione per superare le presenti difficoltà ». Così il discorso, iniziato con cupe previsioni, è terminato
con un forto appello alla fede.
Abbiamo voluto riferire ampiamente questo discorso pontificio sia perché
affronta senza mezzi termini un problema reale (è stato infatti citato, almeno in parte, da tutto l’arco dei quotidiani nazionali delle più diverse tendenze, da « La Stampa » al « Manifesto ») sia perché è un esempio tipico di
discorso religioso che a prima vista
sembra dettato da un lucido realismo
evangelico ma a un esame più attento
rivela una impostazione di fondo chiaramente cattolica.
A noi pare che parlando di crisi della chiesa il pontefice romano ha omesso, non a caso, due riferimenti evangelici essenziali.
Il primo è quello del peccato della
chiesa. In tutta la Bibbia la causa prima e fondamentale della crisi della
chiesa è il suo peccato. Di questo pensiero non c’è traccia nel discorso pontificio. Per questo il suo realismo è,
malgrado le molte citazioni, lontano
da quello biblico. Il vero realismo
evangelico consiste nel riconoscimento
dei propri peccati. Mancando questo,
manca anche la prospettiva del ravvedimento che, nell’evangelo, precede la
fede. Non c’è fede se prima non c’è
ravvedimento; non c’è ravvedimento
se prima non c’è confessione di peccato. Paolo VI ha « saltato » il ravvedimento, parlando subito di fede. Ma
che fede è quella che non nasce dal
ravvedimento?
Il secondo riferimento evangelico
essenziale omesso da Paolo VI è quello del Regno. Nel suo discorso non si
esce dalTalternativa chiesa-mondo,
mentre il Nuovo Testamento conosce
una terza realtà decisiva e definitiva:
il Regno. La chiesa è in crisi, è vero,
ma forse lo è proprio perché si preoccupa di se stessa anziché del Regno.
La chiesa è in crisi, è vero, ma il Regno non lo è e va avanti. Bisogna imparare a guardare oltre la chiesa. La
realtà del Regno vicino e presente
malgrado e in mezzo alle crisi congiunte della chiesa e del mondo è ciò
che ci libera dall’ansietà e ricrea la
nostra speranza. Il Regno è più imDortante e più grande duella chiesa. Si
fronteggia la crisi della chiesa annunciando e vivendo il Regno. Si potrebbe dire parafrasando una parola di
Gesù: « Lascia la chiesa rimuginare la
sua crisi; ma tu va ad annunciare il
regno di Dio ».
Privo di questi due riferimenti essenziali il discorso di Paolo VI manca di
vera forza evangelica: denuncia una
crisi che effettivamente esiste, ma la
via per uscirne indicata dall’evangelo
è diversa e più stretta di quella indicata dal pontefice romano.
Paolo Ricca
nelle pagine interne
p. 2 - I convitti valdesi alle Valli, com’erano e come sono articolo di Carla Longo.
p. 3 - La « Lettera al popolo di
Dio» dal concilio dei giovani.
p. 4 - Autonomia per le Valli
valdesi? Lettera di Gustavo Malan.
Nuovi studenti in teologia,
di Claudio Pasquet.
Intervista a Gustavo Ribet, dal 1® ottobre al servizio della chiesa.
p. 5 - Torino: solidarietà con i
lavoratori dell’« Emanuel ».
p. 6 - Articolo di Roberto Eynard per il nuovo anno
scolastico.
2
pag.
N. 37 — 20 settembre 1974
f - i< v VALDESt ALLE VALLI, COME ERANO E COME SONO
ai;?iOT ¿dOUl
ECHI SINODALI
Al servizii dei ragazzi dei giKtti di Torino Dibattito suiia C. I.O.V.
« Per vivere in modo concreto la propria fede, oggi a Pomaretto e a Torre non
dobbiamo cercare troppo lontano. I ragazzi sono qui, dobbiamo solo capirli e amandoli riuscire a farli diventare uomini »
I convitti sono situati uno nella Val
Germanasca, a Pomaretto, e gli altri
due a Torre Pellice. A ben guardare la
scelta delle località è. strettamente funzionale alle esigenze del popolo valdese per uso del quale in fondo sono
nati i convitti.
Per quanto riguarda Pomaretto l’attuale edificio venne costruito nel 1922,
vicino all’ospedale ed alla Scuola Latina, per ospitare gli orfani della prima guerra mondiale. In seguito servì
come convitto per la Scuola latina, vale a dire ospitava per la settimana i
ragazzi di Prali, Rodoretto, Massello,
Pramollo, ecc. che frequentavano a
Pomaretto la Scuola media.
Per la popolazione valdese della valle il convitto è stato un ottimo strumento che ha permesso a moltissimi
ragazzi di proseguire gli studi. Due parole per vedere di che tipo di ragazzi
si trattava: ragazzi valdesi che abitavano nella valle, con genitori, nonni,
casa, paese che li attorniavano fin dalla nascita ed a cui tornavano ogni fine
settimana e durante la pausa estiva.
Quindi ragazzi sereni, con un loro passato, una tradizione, una storia che faceva parte integrante di loro stessi, con
regole ben precise a cui fare riferimento anche nella settimana passata lontano da casa. Ci è piuttosto facile iinmaginare questi ragazzi, siamo noi, io
che scrivo e voi che leggete.
Questi sono i rogazzi
che vivono con noi
Più difficile invece è capire come sono i convitti oggi e chi sono i ragazzi
che ci vivono. Saranno circa 10 anni,
un cambiamento avviene nel convitto.
Perchè ora c’è una scuola media anche
a Perrero, perché c’è il cosidetto miracolo economico e si fanno strade di oomimicazione; fatto sta che la popolazione valdese sente meno di prima la
necessità del convitto. In compenso
però, e sempre in virtù del miracolo
economico, avvengono alcuni fatti di
importanza nazionale. La Fiat e generalmente le fabbriche di Torino importano mano d’opera dal sud, in modo
massiccio. Con il treno del sole arrivano gli operai e spariscono nell’immensa industria inumana. Fin qui
sembrerebbe tutto giusto e saggio. C’è
gente che non ha lavoro al sud, ci sono
industrie che cercano manod’opera al
nord, benissimo i treni ci sono, è più
facile spostare la gente che le fabbriche, quindi spostiamola. Solo che Torino non è preparata per ospitare questa gente. Non ha case, non scuole, non
zone verdi; è una vecchia città che ha
bisogno di tempo e di saggezza per
crescere in modo armonico. Invece no,
si deve costruire in fretta e furia per
questa gente che come in un incubo
continua a scendere dai treni, quindi
si fanno enormi casermoni, asfalto sulle aree che prima erano i bei prati verdi della periferia. Qualcuno ci guadagna, ma non gli operai e le loro famiglie che vengono di così lontano. Loro trovano solo solitudine, rumore, affitti altissimi, ritmi di lavoro esasperati. Questa fra l’altro è la situazione
di tutti gli operai, anche dei valdesi
di Pomaretto o di Prali che lavorano
ad Airasca o a Torino. Solo che i loro
figli e loro stessi non sono compietamente tolti dal loro ambiente, il nostro patois lo parlano, la nostra storia
la conoscono, la scuola domenicale e il
culto li riuniscono. Completamente opy
posta è la situazione nei casermoni
della periferia torinese; lì dove le famiglie sono troppo fragili e si disfano
con facilità, il padre di quà, la madre
di là. Gli adulti in qualche modo se la
cavano; non così i bambini. Chi dà loro l’unica cosa di cui veramente hanno
bisogno e che i loro genitori in fondo
hanno avuto, giù a casa loro, cioè la
protezione, la sicurezza, l’affetto di una casa unita, di una tradizione, di un
modo di comportamento che gli altri
accettano? Nessuno. Ecco, questi sono
i ragazzi che ora vivono con noi, che
non per loro colpa non sanno più che
cosa è bene e che cosa è male, che
non hanno nessuno che li ami e li corregga. Sono bambini soli e infelici.
Chiedono di essere amotl
Qualche volta la loro infelicità la manifestano a modo loro con la violenza,
l’aggressività, altre volte rubando, rifiutando la scuola, facendo pipì nel letto fino a 15 anni, dicendo parolacce.
Detto questo ci sono due cose che possiamo fare: 1) Dichiarare che anche
se l’analisi fin qui fatta può essere giusta, non sono figli nostri, portino i loro problemi da un’altra parte. 2) Renderci conto che questa è una società
che pensa a produrre macchine e non
pensa alle persone, che crea immense
sofferenze e ingiustizie, ma noi ne siamo responsabili. Non possiamo più vivere come se Vincenzo, Salvatore, Annunziata non esistessero e non fossero
infelici. Quindi noi dobbiamo denunciare questa situazione e lottare perché giustizia sia resa.
Questi bimbi chiedono solo di essere
« amati », accettati e protetti per cre
scere come cittadini sereni e responsabili. Quelli che vediamo qui non sono che alcuni delle migliaia che vivono nei ghetti di Torino, e negli istituti
che normalmente si limitano a dar loro un tetto. Questo non è sufficiente.
Quando un ragazzo profondamente disturbato ci viene affidato, ha bisogno
di alcune cose ben precise e immediate: 1) Delle persone adulte equilibrate
e capaci di amarlo. 2) Dei compagni
(pochi) con cui crescere. 3) Uno spazio
fisico tutto a sua disposizione. 4) Uno
spazio fisico comune con i suoi pochi
compagni. Deve acquistare in un piccolo gruppo fiducia in sé stesso e sentire di essere necessario a qualcuno.
Per questo abbiamo creato in convitto degli spazi autonomi per quattro
gruppi famiglia di circa 9-10 ragazzi
ciascuno. Gli spazi comprendono le
camere da letto da usare sempre in cigni momento della giornata e le salette di attività in cui si fa di tutto: si
gioca, si studia, si lavora, si canta, si
allevano animali, si parla insieme, si
mangia insieme come una famiglia che
si riimisce. In questo piccolo gruppo
avvengono tante cose: si impara a conoscersi, a sopportarsi, ci si scontra
con i compagni e con gli adulti, si hanno gioie e dispiaceri, si trova approvazione o si viene corretti se occorre; così è meno difficile perdere la propria
identità ed è enormemente più facile
costruirne una. Tutto questo non avviene automaticamente né facilmente:
ci vuole moltissimo tempo, anni a vol
te; chi ruba impiegherà molto tempo
per smettere, ma smetterà sicuramente se può contare sull’aiuto dei suoi
compagni e degli adulti che lo amano.
Quando si è sicuri di sé stessi, si instaurano rapporti con gli altri gruppi
famiglia.
Un lungo lavoro
Poi ci si rivolge all’esterno del convitto: si hanno amici fuori perché il
convitto deve vivere come una famiglia inserita in un paese e come ogni
famiglia ha degli amici. Quindi è importantissimo il ruolo che il paese
gioca per il ricupero della personalità
dei ragazzi. Mi viene in mente qualche
volta la nostra storia di valdesi, che è
formata non dalle nostre tradizioni,
ma dai momenti di scelte di fede e di
rottura che questa fede ha prodotto.
Non credo che sia mai stato facile per
nessun credente vivere e inventare
sempre di nuovo in modo concreto la
propria fede. A mio avviso oggi a Pomaretto e a Torre non dobbiamo cercare troppo lontanò. I ragazzi sono
qui, dobbiamo solo capirli ed amandoli riuscire a farli diventare uomini.
Non è certo la sola cosa da farsi. Ma
è pur sempre importante e impegnativo per una comunità di credenti aiutare dei fratelli a crescere, sicuri di sé
stessi, a perché amati pronti a loro
volta ad amare.
Carla Longo
Asiln per anziani di Luserna San Giovanni
Per una nuova forma di assistenza
Il progetto dell’Asilo Valdese
per persone anziane di Luserna S.
Giovani, impostato tre anni fa, si
è andato sviluppando su tre direttive; la ristrutturazione e l'ampliamento del vecchio fabbricato, l’istituzione di « servizi aperti » gestiti dal Comune, e un nuovo tipo
di rapporto con il personale dell’Istituto.
LA COSTRUZIONE
L’aspetto più appariscente e
più direttamente constatabile è
quello riguardante l’ampliamento
dell’edificio. Ampliamento peraltro limitato (i posti disponibili da
trenta passeranno a cinquanta) al
fine di garantire il carattere di
ambiente familiare tipico dell’Asilo e per evitare soluzioni massificanti che possono portare alla
spersonalizzazione degli anziani
ospitati. Inoltre in coerenza al
principio che l’Istituto non può
più essere l’unica soluzione (né la
migliore) al problema degli anziani, si è cercato di favorire e sviluppare l’istituzione di « servizi
aperti » di cui l’Istituto diventa
punto di riferimento e di supporto per la zona ad esso direttamente circostante. Oltre all’allestimento di un certo numero di camere
per una assistenza di tipo residenziale, si è dato spazio a strutture
per servizi a disposizione sia degli ospiti della casa che di elementi esterni (ambulatorio, terapie,
mensa, lavanderia, attività occupazionali ecc.). L’inserimento della casa in un centro abitato evita
l’isolamento, permette agli ospiti
di provvedere direttamente alle
loro necessità di piccoli acquisti
personali e di contatto diretto con
la popolazione. Il nuovo edificio
inoltre, appositamente pensato come residenza per persone anziane, elimina per quanto possibile
ogni forma di « barriere architettoniche » fornendo cosi il massimo di agibilità e sicurezza.
Purtroppo la costruzione, per
le note difficoltà congiunturali
concernenti anche l’edilizia, ha
proceduto molto più lentamente
di quanto poteva essere prevedibile. Siamo ora però alla fase finale: tutti gli impianti sono installati, si sta procedendo all’intonacatura, alla posa dei pavimenti e, in
breve, degli infissi.
Non siamo in grado di stabilire
delle date precise per l’inaugurazione, ma riteniamo che entro 1 inverno l’Istituto entrerà in funzione.
Naturalmente anche l’aspetto
finanziario ha risentito fortemente delle attuali difficoltà di mercato. Il preventivo iniziale di 120
milioni è oggi largamente superato ancorché l’aumento sia stato fortemente contenuto dall’anticipato acquisto di materiale e di
attrezzature. La maggior parte dei
contributi ci giqnge dalla libera offerta di un gran numero di amici
e di sostenitori in Italia e all’estero, di cui viene dato periodico rendiconto su questo giornale. Siamo veramente commossi per la
manifestazione di solidarietà che
ci giunge da ogni parte. La Comunità di San Giovanni, impegnata
in prima persona in questo servizio, risponde in modo ammirevole e siamo riconoscenti a tutti i
fratelli e amici che ci affiancano
in quest’opera. Ci teniamo a precisare che pochissimi sono stati i
contributi da parte di enti pubblici, esattamente: 4 milioni e mezzo dalla Regione, due milioni dal
Comune e tre milioni dalla Cassa
di Risparmio. Abbiamo inoltre
contratto un prestito bancario
per un terzo del preventivo originale, che tra l’altro non abbiamo
ancora ricevuto. L’onere dunque
è tutto nostro e siamo riconoscenti al Signore che ci ha indicato
questa vocazione e ci dà la forza
e i mezzi per realizzarla.
I SERVIZI APERTI
In base al principio della massima autonomia e della massima
disponibilità, abbiamo posto le
nostre strutture al servizio della
popolazione anziana in particolare di San Giovanni. Nei confronti del Comune abbiamo compiuto a suo tempo opera di stimolo e ora compiamo opera di collaborazione per la realizzazione dei
servizi mediante una serie di convenzioni, separate per ogni tipo di
servizio, il cui onere finanziario è
assunto dal Comune. Si stabilisce
così una situazione di assoluta
chiarezza amministrativa nell’ambito di una programmazione che
riguarda tutta l’area del Comune.
Nel dibattito sull’impostazione e
la conduzione dei programmi siamo presenti come parte del « Comitato cittadino per i servizi agli
anziani » e per la loro realizzazione affriamo la nostra collaborazione in strutture e personale. Sono già funzionanti: un centro di
incontro condotto da una animatrice sociale, un ambulatorio geriatrico per visite preventive, un
ambulatorio infermieristico, un
(continua a pag. 6)
Una delle ragioni per cui la chiesa
valdese è conosciuta fuori dai confini
italiani (e anche in Italia al di fuori
dell’ambiente evangelico e delle valli
valdesi in particolare) è l’attività sociale che essa svolge. Infatti, scorrendo la relazione della Tavola al Sinodo
si ha la sensazione che il lavoro sociale (convitti, scuole, ospedali, scuole
materne, asili per persone anziane ecc.)
rappresenti una parte non indifferente dell’attività della chiesa. Purtroppo
sulla maggior parte di queste attività
il Sinodo si ferma troppo poco, preso
com’è da una quantità di altri problemi che paiono più urgenti. Occorre anche dire che nella maggior parte dei
casi questi istituti sembrano funzionare bene, anche grazie allo spirito di
servizio e di dedizione delle persone
che vi lavorano con vero spirito vocazionale e quindi, che bisogno c’è di
fermarsi a esaminare cose che già
funzionano bene?
Cosi succede che quando si viene a
trattare degli istituti ospitalieri amministrati dalla apposita commissione,
la sala sinodale presenti vuoti abbastanza notevoli e che anche le persone che siedono diligentemente sui banchi del sinodo abbiano in realtà un’aria
piuttosto distratta. È peccato, perché,
come la discussione di quest’anno ha
dimostrato, sorgono spesso problemi
di fondo sulla linea di azione generale
delle chiese valdesi, per esempio nei
loro rapporti con lo stato. In fondo è
nella pratica che si dimostra se le linee di principio, le grandi affermazioni teologiche, sono corrette e applicabili.
Difficile “intese”
È successo nello scorso anno, ad
esempio, che la Tavola Valdese si è
trovata, più presto del previsto e quasi all’improvviso, di fronte ad una
scelta non secondaria: l’avvenire degli ospedali evangelici italiani (Genova, Napoli, Pomaretto, Torre e Torino), coinvolti anch’essi, come tutte le
istituzioni analoghe, nella riforma sanitaria di cui si parla ormai da anni e
che forse, bene o meno bene, sembra
Le decisioni
del Sinodo
Il Sinodo, confermando la propria linea tendente ad un completo inserimento degli ospedali evangelici nella riforma sanitaria con la salvaguardia della
loro autonomia amministrativa (29/SI
68 e 40/SI/72), riconosce la validità
delle deleghe date alla Tavola dagli
ospedali evangelici di Torino, Torre Pellice, Pomaretto, Genova e Napoli, in vista di una trattativa con lo Stato per la
stipulazione di intese, secondo l'art. 8
comma 3 della Costituzione Italiana ;
riafferma che la regolamentazione della materia, in quanto istituti rappresentati legalmente dalla Tavola, Ente di
Culto, istruzione, beneficenza e assistenza, ha valore per la Chiesa Valdese soltanto nel rispetto del citato art. 8 comma 3.
Il Sinodo, dopo aver preso atto degli insufficienti contatti tra la CIOV ed i
suoi dipendenti ed aver riscontrato in
questo fatto una delle cause della crisi
attuale del personale, dopo aver discusso l'operato della CIOV ed in particolare il ministero del pastore a pieno tempo, ribadisce la necessità della riorganizzazione dei vari compiti in modo tale
da permettere al presidente di svolgere
il suo ministero pastorale ora fortemente condizionato dalle crescenti incombenze di ufficio.
* * *
Il Sinodo invita la CIOV a provvedere all'assonzione in servizio di un'animatrice sociale (o assistente sociale)
che si occupi dei ricoverati dell'Asilo di
S. Germano e del Rifugio Carlo Alberto.
Invita la CIOV a voler provvedere
l'Asilo di S. Germano di un piccolo laboratorio per la promozione di attività
occupazionali che, per singole iniziative
sono già in atto.
* * *
Il Sinodo preso atto dell'attuale situazione dell'infermeria di Torre Pellico
completamente rinnovata senza pubblici interventi.
Considerato che la CIOV, su mandato
del Sinodo Valdese ha richiesto la classificazione deH'infermeria in Ospedale
per lungodegenti e convalescenti, e, in
via alternativa, l'estensione del regolamento sanitario dell'Ospedale Valdese
di Pomaretto, approvata da Decreto Ministeriale, e che la relativa istanza giace da oltre quattro anni presso gli uffici di competenza.
Rilevato che la comunità montana
Valpellice, i comuni della Valpellice,
l'istituto di ricerche economiche e sociali (IRES) e le comunità valdesi, mediante petizione firmata dai singoli membri,
hanno condiviso le richieste fatte dalla
commissione CIOV,
Invita la Regione Piemonte ad assumere entro breve termine i provvedimenti dì sua competenza in accoglimento delle istanze sopra formulate.
avviata verso la sua realizzazione. Si
trattava di trovare la via migliore per
cercare l’inserimento di tali istituti nella riforma sanitaria (cioè di evitare
che diventassero cliniche private), ma
nello stesso tempo per mantenere l’autonomia amministrativa. La Tavola,
confortata in questo da precedenti delibere sinodali e da contatti con le
persone che di questi istituti sono direttamente responsabili (concistori.
Commissione Istituti Ospitalieri, Consigli di amministrazione degli ospedali al di fuori dell’ambito strettamente
valdese, come è il caso di Genova e
Napoli, dove gli ospedali sono di interesse interdenominazionale), ha ritenuto che la via corretta fosse quella
di addivenire a intese con lo Stato Italiano, secondo quanto previsto dalla
Costituzione della Repubblica, all’art.
8, comma terzo (« I loro [delle confessioni religiose diverse dalla cattolica] rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le
relative rappresentanze »). Nessun dubbio che la via scelta dalla Tavola fosse legittima e che essa, in quanto rappresentanza della confessione valdese,
fosse autorizzata a chiedere allo stato
italiano di stipulare una intesa preventiva su questo particolare punto. Pare
tuttavia che questa posizione non sia
stata compresa dalle autorità di governo e che per il momento le cose
non siano chiare come si vorrebbero.
Bimane solo da augurarsi che l’o.d.g.
votato all’unanimità dal Sinodo possa
indurre chi di dovere a rivedere IdTsua
posizione e accettare una intesa chiarificatrice.
Vale forse la pena di sottolineare
che queste intese si desiderano proprio per evitare che questi ospedali
vengano a godere di una posizione privilegiata (uguali diritti e minori doveri) rispetto agli altri istituti analoghi,
ma possano invece (ecco perché, tra
le altre cose, si desidera mantenere
l’autonomia amministrativa) continuare a svolgere una efficace funzione di
stimolo e di surroga nei confronti della insufficiente struttura sanitaria del
paese.
Non riferiamo qui quanto è stato ribadito a proposito di questa funzione
di stimolo e surroga, divenuta ormai
formula tecnica per indicare il senso
di una certa presenza nostra in Italia.
Vogliamo solo accennare che ancora
una volta è emerso come forse, usando le stesse parole, si possano indicare realtà diverse. Qui si tratta di sapere se dobbiamo pensare che i nostri
istituti svolgano un’opera efficace fino
a quando lo stato non avrà realizzato
strutture tali che rendano praticamente inutili i nostri istituti, oppure che
tale opera sarà efficace anche quando
le strutture dello stato potrebbero da
sole svolgere bene ed in maniera sufficiente la funzione che oggi è svolta
dai nostri istituti.
Il problema del personale
Uno dei problemi che sempre riemergono nei dibattiti sulle opere è
quello del personale (o meglio si vorrebbe poter dire : dei credenti impegnati nella loro opera di testimonianza all’interno dei nostri istituti; perché credo che sia auspicabile che veramente tutte le persone chiamate a
lavorare nei nostri istituti siano mosse da uno spirito di servizio evangelimente fondato). Si è apprezzato che si
fosse addivenuti ad un accordo scritto tra il personale degli Istituti per anziani e la CIOV, anche se si è lamentato da qualcuno che tale accordo non
contenesse in maniera abbastanza
esplicita l’affermazione che tale lavoro ha una sua motivazione evangelica,
motivazione che pare fosse contenuta
in una prima bozza dell’accordo stesso.
A questo proposito vorrei ancora
fare una osservazione : troppo spesso
si ha l’impressione che i problemi che
riguardano i nostri istituti di assistenza siano divenuti troppo tecnici e quindi che il « profano », cioè la maggioranza enorme dei membri del Sinodo, sia
incapace di poter esprimere la sua opinione. È vero che le questioni sono
collegate alla legislazione dello stato
italiano che conosciamo troppo poco
(qualcuno dice che la legislazione italiana è così complicata che solo coloro che la vogliono trasgredire la conoscono!), tuttavia il sinodo ha giustamente lamentato che non si deve giungere ad un dialogo tra la CIOV e la
Commissione d’Esame, senza praticamente che gli altri possano intervenire.
Non vorrei terminare questa cronaca
della giornata sinodale dedicata a questi argomenti senza ricordare l’opera
che per più di 25 anni Suor Susanna
Coisson ha svolto presso il rifugio re
Carlo Alberto. È giusto e doveroso che
il Sinodo le abbia espresso la sua riconoscenza, ma io credo che al di là
delle parole che noi possiamo esprimere e che spesso non dicono molto, rimanga valida per tutti quella parola
dell’Ordine del giorno sinodale: servizio. Pur in mezzo alle molte difficoltà
incontrate, probabilmente anche con
degli errori come ogni creatura umana
commette, nella stanchezza del lavoro
pesante, suor Susanna ha servito il
suo prossimo con dedizione ed amore. Per questa indicazione noi ringraziamo il Signore della chiesa che ce
l’ha data. br.
3
N. 37 — 20 settembre 1974
pag.
Intervista a Gustavo Ribet, collaboratore della Tavola a pieno tempo dal 1° ottobre 1974
Un servizio nuovo nniia nniniinistnizione
M Chiosa Valdase
Nel suo Rapporto al Sinodo di quest’anno ia Tavola comunicava di aver « chiesto al dott. Gustavo Ribet di entrare al servizio della Chiesa dal 1" ottobre 1974 quale ’assistente della Tavola per i problemi amministrativi, con
particolare riferimento al patrimonio immobiliare e alle
opere dipendenti dalla Tavola o sottoposte alla sua vigi
lanza’. La Tavola è lieta di questa nuova collaborazione».
Si tratta in effetti di un servizio nuovo nel quadro dell’amministrazione della nostra chiesa. Abbiamo perciò ritenuto opportuno intervistare Gustavo Ribet per avere e
offrire maggiori informazioni sulla natura del suo incarico
e sulle linee del suo programma di lavoro.
— Per quali motivi la Tavola Le ha
chiesto di mettersi al servizio della
Chiesa?
Se mi consente una osservazione
preliminare, questa domanda andreboe rivolta alla Tavola e non a me.
Posso dirLe come io ho visto e valutato la situazione e quindi implicitamente i motivi che hanno mosso la
Tavola nelle sue decisioni, ma naturalmente si tratta di un punto di vista
mio, che può anche non coincidere con
quello della Tavola, maturato attraverso un esame di dati e di fatti che,
almeno in parte, io non conosco.
Comunque, fatta questa doverosa
premessa, cercherà di precisarLe brevemente alcuni punti che mi paiono
più importanti.
Direi che a monte della decisione
della Tavola vi sono due fattori determinanti :
1) la constatazione, in linea generale, che l’Amministrazione della Chiesa si trova di fronte al continuo aumento degli adempimenti amministrativi, sia in volume sia soprattutto in
complessità e difficoltà.
Disposizioni di attuazione non sempre semplice si accavallano nei vari
setrori, aa quello fiscale a quello legale, assicurativo, pensionistico, assistenziale, sindacale, bancario ecc. ooeranao ai lavoro 11 personale e richiedendo altres.i una competenza specinca, quasi specializzata, nei vari rami
deirammimstrazione.
fcii è pertanto manifestata la necessità ai dare un aiuto al Cassiere Past.
it. Comoa, che per quanto capace e
attivissimo, non sempre riesce a aedicare all'esame dei vari problemi tutto
Il tempo Che sarebbe desiderabile.
2) la richiesta, più che giusiihcata, deiring. Ravazzlni di essere sollevato dal sùo incarico di responsabile
di tutti i lavori per la costruzione di
nuovi stabili e per la manutenzione e
Il miglioramento del cospicuo patrimomonio immobiliare della Chiesa Vaidese.
Mi consenta a questo punto una breve digressione per esprimere la mia
ammirazione e la mia riconoscenza
per questo fedele e capace servitore
aella Chiesa. E un uomo che aiuta a
sperare e ad avere fiducia neiravvenire, malgrado tutto. In mezzo a gente
Cile pana molto e che s’impegna poco,
a tante mosche cocchiere prodlgne di
critiche e di consigli non richiesti,
ring. Ravazzini ha parlato pochissimo
ma ha operato moltissimo ed è ancora
oggi sulla breccia a 72 anni suonati,
dando un validissimo apporto di competenza tecnica e di instancabile attività.
Comunque, la Tavola si è venuta a
trovare nella necessità urgente, indilazionabile, di acquisire la collaborazione di una persona che potesse essere ui aiuto al Cassiere per taluni particolari settori della amministrazione
e potesse assumere alcuni dei compiti
deil’ing. Ravazzini, consentendogli di
ritirarsi. Evidentemente non è facile
trovare una persona la quale possieda
1 requisiti per far fronte a questi compiti che, se non ostassero aifflcoltà ai
costi eccessivi, andrebbero affidati a
due persone, l’una specializzata nel
settore amministrativo, l’altra nel settore tecnico.
Come si usa leggere nelle offerte di
lavoro pubblicate dai giornali, il candidato aovrebbe essere sui quarant’anni coSa da assicurare un servizio ragionevolmente lungo e d’altra parte da
avere una sufficiente esperienza di lavoro; dovrebbe avere una buona preparazione professionale, e conoscere i
problemi generali della Chiesa per intervenire con efficacia ma anche senza
creare difficoltà o contrasti tra l’sro'
mmistrazione centrale e le Comunità
periferiche, sempre gelose delle loro
prerogative e autonomie.
La Tavola ha effettuato già da tempo una ricerca accurata, ma fino ad
ora senza successo; e quindi di fronte alla assoluta urgenza di trovare una
soluzione almeno provvisoria, mi ha
chiesto di dare la mia collaborazione
per un periodo minimo di due anni, in
modo da provvedere alle più immediate esigenze, e da avere il tempo di
trovare una persona qualificata, più
giovane, per una soluzione valida per
un lungo periodo di tempo.
Posto di fronte a questa richiesta e
rendendomi conto che in effetti, al
momento attuale la Tavola non ha alcuna soluzione di ricambio, non ho potuto tirarmi indietro, pur consapevole
delle mie gravi limitazioni, specialmente per quanto riguarda l’aspetto tecnico della valorizzazione del patrimonio
immobiliare.
— Quali saranno le sue specifiche
mansioni?
Le mie mansioni sono, almeno nelle grandi linee, indicate nella risposta
alla Sua precedente domanda: dovrò
cioè operare in parte nel settore amministrativo per alleggerire di taluni
compiti il Cassiere; e dovrò d’altra
parte collaborare con l’ing. Ravazzini
in modo da consentirgli, dopo alcuni
mesi di rodaggio da parte mia, di ritirarsi progressivamente dagli attuali
impegni.
Naturalmente l’elenco delle mie mansioni non è codificato da norme tassative e non modificabili, come le leggi
dei Medi e dei Persiani; l’esperienza
potrà dare utili suggerimenti. Posso
dire comunque che è desiderio della
Tavola che io assuma l’incarico della
amministrazione del patrimonio immobiliare e cioè il collegamento con i
vari amministratori degli stabili (sono
circa 80 e attualmente fanno capo al
Cassiere), l’espletamento di tutti gli
adempimenti fiscali e catastali, di quelli richiesti dall’Autorità Tutoria, ecc.
inerenti al patrimonio. In effetti si tratta di problemi piuttosto rilevanti; basti pensare ad esempio che la imposta «una tantum» sugli immobili* potrebbe colpire la nostra amministrazione a seconda della sua formulazione e applicazione, per un onere di parecchie decine di milioni di lire.
Parallelamente alla attività amministrativa dovrò portare avanti, in im
primo tempo con la collaborazione
dell’ing. Ravazzini e successivamente
con quella di tecnici locali, gli impegni di carattere tecnico per la manutenzione degli stabili e in generale per
i lavori connessi con il patrimonio immobiliare.
L’insieme di queste due attività, in
parte amministrativa e in parte tecnica, costituisce un primo settore del
mio lavoro ; ma la Tavola desidera che
io dia la mia collaborazione anche in
un altro campo, più propriamente amministrativo : l’assistenza alle varie
Istituzioni che dipendono direttamente dalla Tavola o di cui essa ha la responsabilità.
Come è noto molte Istituzioni che
non hanno una personalità giuridica
propria, fanno capo alla Tavola in linea di diritto e quindi di responsabilità legale, anche se di fatto sono totalmente autonome.
La Tavola ritiene opportuno un maggior collegamento, beninteso non a
scopo di controllo, ma soltanto per migliorare la funzionalità dei rapporti.
Valga un solo esempio a titolo indicativo : il Cassiere della Tavola ha ricevuto in questi giorni una bolletta delle imposte RMC2 deH’importo di oltre
21 milioni di lire che riguarda in piccola parte i dipendenti dalla Tavola e
per la rimanente parte il personale dell’Ospedale Ev. di Torino e dell’Ospe
dale Ev. di Napoli, entrambi giuridicamente dipendenti dalla Tavola. Al
momento attuale ciò non crea alcun
problema: ma le cose potrebbero mutare a seguito della entrata in vigore
della riforma sanitaria proprio in questi giorni in fase di esame da parte del
Parlamento.
È opportuno ribadire che questa collaborazione amministrativa con le Istituzioni, con i Comitati, con i Convitti
ecc. non vuole assolutamente essere
un’azione di controllo, ma solo di assistenza e, se possibile, di coordinamento, in modo che sia più facile per
la Tavola seguire le molte attività decentrate.
— Ha già un piano di lavoro per le
prossime settimane?
Al momento attuale sono ancora in
servizio presso il Gruppo di Società in
cui lavoro, in qualità di direttore amministrativo, da circa 13 anni. Avendo
dato le dimissioni per la fine di settembre, ho molto lavoro per definire,
per quanto possibile, le varie questioni aperte; comunque, ho già avuto parecchi contatti col Past. R. Comba e
con ring. Ravazzini per orientarmi sui
miei compiti e sono stato invitato a
partecipare alle recenti sedute della
Tavola, relative alle questioni finanziarie e agli stabili.
Ho preso altresì, contatto con alcuni
degli amministratori di stabili, fra gli
altri quelli di Torino e di Genova, che
hanno problemi piuttosto importanti
da affrontare.
Ai primi di ottobre penso di incontrare a Firenze il Cassiere per una
complessa questione relativa a uno
stabile di quella città; quindi proseguirò per Roma per ritirare materiale
di lavoro dalla Tavola e rientrerò successivamente a Torre Penice per iniziare la collaborazione con Ravazzini.
La base normale della mia attività sarà la Casa Valdese di Torre Pollice,
ma prevedo che dovrò spostarmi di
frequente.
Non mi nascondo che in questo lavoro potrò incontrare molte difficoltà
derivanti dalle cose, soprattutto sul
piano tecnico, e anche dalle persone,
specialmente perché la volontà di collaborazione potrà qualche volta essere
interpretata come una volontà di controllo: comunque sono grato alla Tavola di avermi dato l’opportunità di
svolgere un servizio per la Chiesa.
Cercherò di svolgerlo nel modo migliore, augurando che la Tavola possa trovare presto il « giustó uomo ppr
il giusto posto », che possa sostituirmi e assicurare una lunga e proficua
collaborazione. Gustavo Ribet
UNA DOMANDA DEU'ECO DEL CHISONE
E' ecumenica la Chiesa valdese?
Nel num. del 5 settembre scorso deU'«Èco del Chisone», Franco Trombotto
pone un eloquente punto interrogativo accanto al titolo del suo articolo sull’ultimo sinodo valdese: « Un impegno ecumenico per la chiesa valdese? ». È ecumenica la chiesa valdese? L’articolista ne dubita.
Egli si rifa a un mio articolo, di cui cita in maniera incompleta la parte riguardante il cattolicesimo. Avevo scritto che « l’ecumenismo della chiesa valdese
si volge in particolare (anche se non in maniera esclusiva) verso il cosiddetto
cattolicesimo del dissenso ». Non avevo scritto che la chiesa valdese si volge
soltanto a quest’ultimo, ma in particolare a quest’ultimo. Esprimevo cioè quello che diversi sinodi recenti hanno manifestato: una certa maggiore attenzione
per il dissenso cattolico piuttosto che per altri tipi di cattolicesimo. Affermavo
dunque una priorità, non una preclusione. Trombotto interpreta questa priorità
come una preclusione e scrive che nel programma della chiesa valdese « manca
purtroppo un impegno ecumenico verso l’intero cattolicesimo italiano, oggi in
fermento di riforma ben al di là dei gruppi appartenenti al dissenso». L’impegno ecumenico della chiesa valdese « verso l’intero cattolicesimo italiano» non
mi pare si possa dire che manchi, anche se certo non è una preoccupazione primaria e, soprattutto, non siamo ancora al chiaro e forse neppure d’accordo sul
come esprimerlo in concreto.
Dove invece Franco Trombotto ha ragione è là dove lamenta il fatto che il
sinodo e in particolare il comitato preposto alle manifestazioni per l’8" centenario non abbiano tenuto sufficientemente conto del cattolicesimo in generale e dt
quello pinerolese in particolare. A mio avviso — esprimo qui un parere del tutto
personale, che però so condiviso da altri fratelli — questo è stato da parte nostra
un errore. Paolo Ricca
II
YWCA-DCDG - CONGRESSO A ROMA
1894 •1374: valori e prospettive
II
Inizia oggi, 20 settembre, a Roma, il 16" congresso dell’Unione Cristiana
delle Giovani, ramo italiano dell’YWCA (Associazione Cristiana delle Giovani)
diffusa a livello mondiale.
Il Comitato Nazionale, presieduto da Gabriella Titta Dreher, presenterà il
bilancio del lavoro svolto negli ultimi quattro anni. Ma il congresso si appresta
a fare un bilancio più ampio e impegnativo: quello di 80 anni di attività in Italia (1894-1974), in vista di decisioni sul futuro dell’Associazione che, come è noto è una delle più antiche associazioni femminili del nostro paese. Molti temi
al centro deU’odierno dibattito femminista e più in generale civile e politico riguardo alla donna sono stati anticipati in Italia proprio dall’UCDG.
Alla vigilia del congresso, quasi come una domanda che gli vien posta, Gabriella Titta si chiede: « La costante preoccupazione di bene amministrare le
nostre strutture e le difficoltà finanziarie non ci hanno alle volte frenato nella
ricerca di un rinnovamento o di trasformazioni radicali, ’per essere uno strumento della potenza e della riconciliazione di Dio’? ».
Sui lavori del congresso e sulle sue decisioni riferiremo prossimamente.
NUOVI STUDENTI IN TEOLOGIA
Claudio Pasque!, di Luserna S. Giovanni:
«Perchè vado io Facoltà"
La mia decisione di iscrivermi al
corso per la licenza teologica della facoltà valdese, è l'atto conclusivo col
quale termino una lunga fase di ripensamenti personali sulla validità
o meno di svolgere il ministero pastorale; il fatto che io mi sia iscritto significa dunque che ho valutato il pastorato come un qualcosa di ancora
valido che può essere utile all'evangelismo italiano.
Dalle esperienze fatte nei gruppi
giovanili inserendomi quindi nella
problematica portata avanti dalla
Fgei ho capito che essenziale, perché
una predicazione evangelica sia valida, è la preparazione teologica dei
credenti ; questo discorso è tanto più
valido se si considera il fatto che, intendendo continuare il lavoro nella
Fgei poiché ritengo validissima la strada da essa intrapresa, è necessario
che l'approfondimento teologico non
venga lasciato da parte, in quanto la
nostra ricerca deve essere una ricerca
di credenti che si impegnano contem
poraneamente sia per la riforma della
chiesa che per la lotta per il socialismo.
Da quanto ho detto sinora si può
comprendere che io intendo il ministerio pastorale come un qualcosa di
non staccato dai problemi sociali e
politici del nostro tempo, in quanto
non ha senso vedere nella figura del
pastore esclusivamente il « ministro
di culto » perché egli è prima di tutto
un credente come tutti gli altri suoi
fratelli e quindi deve occuparsi, laddove egli svolge il suo ministerio, essenzialmente dei problemi e delle difficoltà a cui vanno incontro i membri
di chiesa anche e soprattutto quando
questi esulano dal ristretto ambito
ecclesiastico.
Andare in facoltà è quindi per me
prendere l'impegno di predicare l'amore di Dio non solo a parole, ma attraverso i fatti, lottando e lavorando
a fianco di coloro che oggi soffrono e
patiscono l'oppressione dei potenti.
Claudio Pasquet
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllimillllllllllllllllllllllllllllllIMlillllllllllllllllllllllll'lllIXiKllfififill'fil""""
UN PROBLEMA APERTO GIÀ’ TRENT’ANNI FA
l'autononia delle Valli Valdesi
Fu un bene o un male rifiutarla? - I (diversi punti (di
vista di Erico Rollier e Roberto Nisbet nel 1945
Che fare oggi?
Giorgio Peyrot sulVEco/Luce del 30 agosto chiede un chiarimento della mia affermazione che <c la Tavola Valdese ha ostacolato
trent’anni fa per le nostre Valli » l’autonomia regionale. Questa richiesta dà l’occasione
per iniziare, se si vuole, un esame della storia delle Valli, e della Chiesa Valdese, durante gli ultimi trenta o perché no gli ultimi sessant’anni.
È difficile rimettersi ora nell’amhiente di
trent’anni fa. È passato così poco tempo eppure si vedono già le difficoltà di fare la storia, e la tentazione di farla come si vorrebbe
che fosse stata. Credo che la storia sia utile
per l’attualità, ma non trasformata a immagine e somiglianza dell’oggi o di noi oggi,
nocdelle proiezioni all’indietro, bensì così come è stata, con le radici dell’oggi, e con gli
spunti che c’erano, siano apparse poi delle
realizzazioni o no, o non ancora.
Jean-Pierre Viallet, che insegna storia all’Università di Grenoble e da anni si occupa
dell’Italia, ha presentato nel 1970 una tesi
di dottorato su Les Vàudois d’Italie de GioUtti
a Mussolini (1911-1945). È imo studio severo e, come si suol dire, stimolante. L’ultima
parte del capitolo XXIII dedicato all’« Histoire politique et militaire de la Résistance
dans les Vallées Vaudoise » tratta dell’«Echec
de l’autonomie » (pp. 707-717). C’è poi un
documento dattiloscritto di cinque pagine che
Erico Rollier fece circolare dopo la guerra,
intitolato A proposito di rivendicazioni (cuiturali-linguistiche-religiose e altre) avanzate
dai Valdesi. Scambio di vedute fra un valdese preoccupato dell’avvenire della evangelizzazione in Italia e un’altro valdese che propugna un metodo diverso dal passato. Altri
documenti ci debbono essere negli archivi della Tavola e altrove. Non credo che si possano riprodurre qiii integralmente quei due
documenti. Riporto dal Viallet le ultime
due pagine;
« L’Eglise, sans faire nécessairement oeuvre cléricale ou confessionnelle, aurait pu se
montrer encourageante. Dans l’ensemble, au
contraire, elle eut plutôt tendance à freiner
le mouvement. Sans doute, cette notion d’autonomie la surprit par sa nouveauté et sa hardiesse. Certes, dans un Pro-Memoria daté,
sans plus de précision, de juillet 1945, le
Modérateur Sommani, après avoir condamné
formellement toute revendication autonomiste dans le domaine politique, se déclairait
favorable à une large autonomie administrative et culturelle. Mais l’avis qui l’emporta
fut celui du Surintendant du premier District, R. Nisbet. Consulté par Erico Rollier,
le père de Mario-Alberto, il se déclara nettement hostile aux idées des autonomistes.
(Lettera di Nisbet a Rollier del 19 luglio ’45
e risposta di Rollier del 4 agosto. A queste
lettere dovrebbero corrispondere il documento di Erico Rollier suddetto. N.d.A.). Les conceptions que les deux hommes se faisaient de
la mission de l’Eglise Vaudoise en Italie ne
pouvaient être plus différentes. Rollier expliquait de la manière suivante les résultats à
peu près nuis d’un siècle d’évangélisation
vaudoise: les Vaudois n’ont pas eu le courage
d’être ’’Vaudois à cent pour cent”; ils ont
eu le tort d’écouter les critiques deê catholiques, lorque ceux-ci les accusaient d’être les
zélateurs d’une religion qui n’était pas ’’nationale” et d’être eux-mêmes des ’’étrangers ».
Les Vaudois ont essayé de se présenter comme des Italiens comme les autres; il aurait
été bien préférable de faire remarquer que le
Christ était le ’’Galiléen” et que la religion
qu’il prêchait avait mérité, elle aussi, le qualificatif de ’’religion d’importation”. Et Rollier faisait ce raccourci assez saisissant d’histoire vaudoise: ’’Nés à Lyon, crus en Europe,
détruits en Calabre, chassés des Vallées, nous
voilà désormais agrippés aux Alpes ou en
Argentine, toujours ’étrangers’ dans le mon
de de ceux qui ne croient qu’aux choses ’nationales: Pourquoi ne pas nous présenter
comme ’Vaudois, alloglottes, issus de races diverses’?” (...). Et il concluait sur cette suggestion: ”À côté de la méthode qui consiste à
évangéliser par ressemblance, il y a, selon
moi, celle qui consiste à évangéliser par différence, et cela signifie pour les Vaudois ne
renoncer à aucun de leurs caractères distinctifs”, notamment culturels et linguistiques. Or, quelle autre solution que celle de
l’autonomie pouvait mieux aider à préserver
de tels caractères?
« La position de Nisbet était beaucoup plus
traditionelle; il redoutait que la revendication
de l’autonomie par les Vaudois ne confirme
les catholiques dans leurs préjugés, qui les
amenaient à se représenter les Vaudois comme des Italiens qui, en quelque sorte, n’étaient pas ’’comme les autres”. Par ailleurs,
Nisbet, de toute évidence, assignait à la mission des Vaudois un cadre national. Aussi
toute chose qui pouvait ’’accentuer le séparatisme des Vaudois” lui paraissait condamnablè.
« Nul doute que le Surintendant, en exposant sa perplexité quant à la validité de la
solution autonomiste, n’ait représenté, en fait,
l’avis du plus grand nombre. Aussi, très vite,
le silence va se faire, dans la presse vaudoise,
sur ce problème. On peut estimer que ce fut
regrettable dans la mesure où il était le plus
original, probablement, des problèmes politiques nés de la Résistance ».
Riporto anche dal documento di Erico Rollier l’argomentazione del « valdese preoccupato » :
« Già da troppo tempo i nostri amici dell’altra sponda hanno fatto sforzi e miracoli
per presentare gli evangelici come un qualcosa di estraneo alla mentalità italiana, e sarebbe un danno molto grave per la nostra missione, se noi ora confermassimo questo che è
in fondo il sentimento della maggioranza degli italiani: che i Valdesi sono degli ’’allogeni”: quindi cultura, tradizione, perfino religione, perfino lingua diversa da quelle del
popolo italiano.
« Fino al 1848 c’erano delle leggi per cui
i Valdesi non potevano possedere all’infuori
dei ’’limiti”. Non vorrei che ora. riaffiorando
una sorta di razzismo Valdese, ci costruissimo da noi dei ’’limiti” spirituali e ci rinchiudessimo in una sorta di ghetto autonomo e avulso dal resto della nazione.
« Ecco perché saluto con piacere l’introduzione dell’insegnamento del francese nelle
scuole elementari — perché è sempre utile
innalzare il livello della cultura alle Valli,
ma anche senza eccessivo entusiasmo, perché
non vorrei che si accentuasse il separatismo
dei Valdesi, facendoli dimentichi della loro
missione ».
Non condivido tutta la ricostruzione e la
interpretazione che Viallet dà col suo ampio,
documentato lavoro. La discussione può essere allargala. Credo che la risposta data alla domanda sia sufficente. Desidero però richiamare ancora l’attenzione su tre punti:
1) la responsabilità del rifiuto dell’autonomia fu in buona parte della Chiesa (non
tutta) e della Tavola Valdese e, come ha detto altre volte, della valdese borghesia, usando
questo termine in un senso generico;
2) l’autonomia che si chiedeva e si chiede per le Valli Valdesi era ed è per valdesi e non valdesi, per membri della Chiesa
Valdese e non membri della stessa, come chi
scrive;
3) Le prospettive cambiano. C’erano ragioni di peso negli oppositori. Ma soprattutto
preoccupazioni, timori che si dissipano. L’autonomia è ora di moda, e da trainanti rischiamo di passare a rimorchio.
Gustavo Malan
4
20 settembre 1974 — N. 37
pag. 3
Taizè: aperto il “concilio dei giovani,,
40.000 inviano una
“lettera al popolo di Dio,,
Dal 30 agosto al 1° settembre scorso
il « concilio dei giovani » ha raccolto a
Taizé, sede della comunità monastica
fondata dall’ex-pastore protestante Roger Schutz, circa 40.000 giovani cristiani provenienti da tutto il mondo e appartenenti a tutte le chiese. La collina
di Taizé si è trasformata in un’immensa tendopoli. Dall’Italia i partecipanti
erano circa 2.000. Il « concilio », annunciato il giorno di Pasqua 1970, è stato
preparato per oltre quattro anni nel
corso di numerose riunioni e incontri
di giovani nei vari continenti. I tre
giorni di Taizé hanno segnato la conclusione della lunga fase preparatoria e
l’inizio del « concilio » vero e proprio
che continuerà in varie parti del mondo, a livello nazionale e continentale.
Il « concilio » dunque è appena iniziato.
I tre giorni inaugurali trascorsi a
Taizé sono stati vissuti dai giovani in
modo molto libero e informale. Non
ci sono state sedute plenarie di dibattito né risoluzioni finali e pochissimi
documenti. L’avvenimento di maggior
rilievo erano i culti quotidiani in cui
si alternavano momenti di preghiera,
di adorazione e di testimonianza :,
giovani di diversi continenti narravano il loro modo di vivere l’evangelo
in presenza dello sfruttamento, dell’oppressione, della povertà e della solitudine. Ciascuno di questi temi veniva poi ripreso negli innumerevoli
gruppi di discussionte.
Al termine dei tre giorni i 40.000
giovani hanno fatto propria una « Lettera al popolo di Dio » (scritta da Rorge Schutz con un gruppo di giovani), in cui dopo aver detto che « al
centro del concilio dei giovani si trova il Cristo Risorto » e aver fatto una
descrizione abbastanza critica della
chiesa nel nostro tempo, la interpellano direttamente chiedendole tra l’altro:
« Rinuncerai ai mezzi di potere, ai
compromessi con i poteri politici e finanziari? (...).
« Localmente e su tutta la terra, diventerai il seme di una società senza
classi e senza privilegiati, senza dominazione d’un uomo sull'uomo, d’un
popolo sull’altro? (...).
« Diventerai "popolo delle beatitudini", senza altra sicurezza che il Cristo, popolo povero, contemplativo,
creatore di pace, portatore di gioia e
di una festa liberatrice per gli uomini,
al rischio di essere perseguitata per
causa di giustizia? ».
Alla fine i giovani affermano il loro
impegno « a vivere l’insperato, a far
spuntare lo spirito delle beatitudini
nel popolo di Dio, ad essere fermento
di società senza classi e senza privilegiati ».
Che cosa nascerà da questo singolare e certo nuovo movimento « conciliare » giovanile e animato da Taizé?
li proposito dei giovani è chiaro: diventare lievito e fermento cristiano
nelle chiese e nella società (« è necessario che ciascuno conduca una vita
sotterranea in seno al popolo di Dio »),
in vista del loro rinnovamento evangelico. Il proposito non può che essere
condiviso, mentre si possono avanzare
riserve sull’impostazione di fondo dell’iniziativa. Comunque è presto per pronunciarsi. Come per la chiesa nel suo
insieme, così anche per il concilio dei
giovani vale la parola di Gesù : « Li
riconoscerete dai loro frutti » (Matteo
7: 16). Se i frutti saranno buoni vuol
dire che l’albero è buono; se saranno cattivi, vuol dire che l’albero è cattivo.
Certo, non mancano le ambiguità e
contraddizioni, che riflettono quelle tipiche dell’intero fenomeno Taizé. La
sua religiosità tende allo spiritualismo,
la prospettiva politica resta generica e
apj)are velleitaria, l’appello alle chiese è senz’altro la parte più solida e
più valida del discorso ma anche qui
mancano riferimenti concreti per cui
c’è il rischio che si finisca per spiritualizzare le situazioni anziché modificarle.
Comunque, come s’è detto, i frutti
riveleranno la qualità dell’albero.
per
verso il secoode
cenveioe eazioeale
niapoli, 1 - 4 novembre 1974
Una circolare della segreteria nazionale di « Cristiani per il socialismo »
indice per il 21-22 settembre a Roma,
presso la sede dell’YMCA, un incontro preparatorio al prossimo convegno
nazionale del movimento (il 1® avvenne l’anno scorso a Bologna), che avrà
luogo a Napoli dal 1° al 4 novembre
prossimi sul tema «Movimento operaio — questione cattolica — questione meridionale ». Due valdesi sono stati invitati alle due tavole rotonde del
convegno di Napoli: Giovanni Moltura alla prima sul tema del convegno
(gli altri partecipanti sono: Geo Brenna, Pierre Camiti, Pino Ferraris, Pietro Ingrao, Riccardo Lombardi); Marco Rostan alla seconda su « Fede e politica oggi in Italia» (gli altri partecipanti sono: Sandro Antoniazzi, Marco
Bisceglia, Giovanni Ph’anzoni, Giulio
Girardi, Raniero La Valle).
L’incontro preparatorio di Roma dovrà fare un bilancio dell’attività del
movimento fino ad oggi e progettare
l’immediato futuro discutendo «se e
come l’esperienza di lavoro di ’cristiani per il socialismo’ possa e debba continuare ». Gli aspetti del problema indicati dalla circolare e proposti al dibattito sono molteplici:
— politici : « rapporto con le forze
partitiche della sinistra; unità e pluralismo nella nostra azione di componente del movimento operaio; ruolo e
spazio da coprire nell’attuale momento storico all’interno delle forze politiche in cui militiamo; come si pone
oggi e come aggredire in tutti i suoi
aspetti la 'questione cattolica’ e la
’questione democristiana’»;
— ecclesiali : « come gestire il ’conflitto’ con la gerarchia; come impegnarci, insieme e dal di dentro delle
esperienze ecclesiali di base, per il
’rinnovamento’ della chiesa; come agire concretamente per opporsi all’azione repressiva della gerarchia»;
— di fede : « sulla base delle esperienze fatte, tentare un primo momento di sintesi su come la fede viene vissuta e riscoperta nella militanza di
classe e nelle lotte del proletariato»;
— organizzativi; «nell’attuale situazione politico-ecclesiale italiana, riteniamo possibile e utile continuare il
lavoro di ’cristiani per il socialismo’?
Occorre discutere e individuare un
concreto metodo di lavoro, stabilire un
collegamento tra le varie realtà locali
e nazionali, individuare gli strumenti
per realizzare questo collegamento e
una presenza efficace ».
cronache antimilitariste e di azione nonvioienta
Quinta Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese
Perché <da Giakarta a Nairobi
Come è già stato annunciato, la sede della 5® assemblea generale del
Consiglio ecumenico delle chiese non
sarà più Giakarta (Indonesia) ma Nairobi (Kenya). E’ cambiata, di conseguenza, anche la data, ora posticipata
di alcuni mesi: non più lu^io ma 23
novembre - 10 dicembre 1975.
Non sono ancora del tutto chiare le
ragioni che hanno determinato questo
spostamento — il primo nella storia
delle assemblee del CEC (accadde invece già alla Federazione Luterana
mondiale, pochi anni fa, di spostare la
sede della sua assemblea generale dal
Brasile a Evians in Francia). Il servizio ecumenico di informazione afferma che il Comitato centrale del OEC
ha preso questa decisione a motivo di
un « malinteso » sorto in Indonesia
sulla natura dell’assemblea che avrebbe dovuto svolgersi a Giakarta.
Tale « malinteso » è da situare, secondo la medesima fonte, nel quadro
nei rapporti tra cristiani e musulmani
in Indonesia. Benché questo paese sia
ufficialmente legato al Pancasila (una
filosofia che prevede una società pluralista sul piano religioso), la comunità musulmana rappresenta l’85% della popolazione di 121 milioni di abitanti. Certi gruppi musulmani hanno
espresso serie riserve sull’opportunità
di tenere in Indonesia l’assemblea del
CEC. Lo stesso governo indonesiano
avrebbe manifestato il timore che l’assemblea possa diventare « una minaccia per l’unità nazionale ». Secondo informazioni ricevute a Ginevra questa
sarebbe stata « una reale possibilità ».
Un’agenzia giornalistica protestante
ricorda, al riguardo, l’intensa campagna a favore dell’Islam promossa in
Indonesia dal presidente libico colonnello Gheddafi, fervente musulmano.
I notiziari ecumenic inno menzionano l’eventualità che fra i motivi che
hanno determinato la rinuncia alla sede di Giakarta ve ne siano anche di
politici. La cosa non stupirebbe se si
pensa al regime che domina in Indonesia. Comunque, appare un po’ strano che ci possano essere stati dei malintesi su un avvenimento come l’assemfelea generale del CEC, già svoltasi 4 volte dal 1948 a oggi.
La decisione di spostare altrove la
sede dell’assemblea ecumenica è stata
accolta con favore in Indonesia. Il
presidente del Consiglio indonesiano
delle chiese, M.T.B. Simatupang, ha
detto che si tratta di una « decisione
responsabile che prende seriamente in
considerazione le realtà della nostra
situazione e riflette la preoccupazione
profonda, in seno al Consiglio ecumenico, per il popolo indonesiano ». Il
comitato esecutivo dello stesso consiglio ha precisato che la decisione risponde al desiderio delle due parti : lo
Stato di Pancasila e il popolo indonesiano da una parte, le chiese indonesiane e il Consiglio ecumenico dall’altra. Da parte sua, il presidente indonesiano Suharto ha detto che la decisione del CEC « ci ha sollevati da un
grande peso ».
Peraltro, il servizio francese di informazione cristiana osserva che in seno al Comitato centrale la rinuncia
forzata alla sede di Giakarta è stata
« in parte avvertita come uno scacco
rispetto agli sforzi del Consiglio ecumenico in favore del Terzo Mondo e
per l’edificazione di una comunità umana fraterna ».
Infine, l’esecutivo dell’Alleanza Riformata mondiale ha inviato una lettera alle chiese indonesiane (sono 21)
che fan parte dell’Alleanza, in cui dopo aver ricordato « l’accoglienza così
fraterna che abbiamo ricevuto nel luglio 1972, proprio a Giakarta, in occasione della seduta del nostro comita
to esecutivo ». dichiara :
« I nostri cuori sono divisi. Comprendiamo e condividiamo i motivi
che hanno spinto il Comitato centrale
del CEC a rinunciare a tenere la sua
5“ assemblea nel vostro paese. Quelli
di noi che sono membri del Comitato
centrale del CEC hanno votato in quel
senso.
« Allo stesso tempo però ci rincresce
molto che questi stessi motivi privino
le chiese d’Indonesia, e privino noi
con loro, della possibilità di esprimere
concretamente, a Giakarta, l’anno
prossimo, la comunione fraterna che ci
unisce ».
LA LEGGE NON RICONOSCE
GLI OBIETrORI.
LI PUNISCE
Dopo aver prestato 17 mesi di servizio militare in marina, Domenico
Ambruoso, un giovane cattolico di
Torre Annunziata (Na) ha deciso di
obiettare all’esercito e di presentare
domanda di servizio civile.
« Le motivazioni di questa mia scelta », egli scrive, « si basano sulle mie
convinzioni religiose: credo che l’amore quale Gesù Cristo ha manifestato è
l’unica vera forza che possa vincere
il male, e cerco di seguire Cristo nella
mia vita vivendo questo suo grande
dono che è l’amore ». Egli accenna poi
alle motivazioni politiche della sua decisione, e spiega come questa sia maturata nel corso deH’esperienza militare. Ma poiché l’attuale legge sulla
obiezione di coscienza non prevede la
accettazione di obiettori al di fuori dei
rigidi termini stabiliti (quasi che si po
tesse imporre dei termini alla coscien
za!) la domanda di Ambruoso non
verrà presa in considerazione, ed egli
dovrà affrontare il carcere, consegnan
dosi alle forze dell’ordine, probabil
mente il 19 settembre.
Ancora una volta dunque si mostra
l’inadeguatezza di una legge che in
realtà non riconosce gli obiettori, bensì li punisce e U discrimina.
«NON SONO PENTITO»
L’esecuzione della condanna di Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza italiano riconosciuto colpevole di
« vilipendio » per avere curato la pubblicazione di un manifesto antimilitarista (vedi « L’Eco-Luce » n. 33), è
stata sospesa dal Ministro Zagari dopo che Pinna ha presentato al Presidente della Repubblica una domanda
di grazia, presentata in termini senza
dubbio inconsueti. « Come allora le
condanne per l’obiezione di coscienza
— afferma infatti Pinna — quella attuale per cui mi sto rivolgendo a Lei
non mi trova pentito. Se ciò fosse una
condizione per la concessione della
grazia, ignori in tutta tranquillità questa mia istanza. Perché tutt’altro che
pentito sono, mi consenta di dirlo,
semmai ancor più determinato a proseguire, come allora per l’obiezione di
coscienza, in questa mia attività ’’delittuosa” di opposizione integrale alla
guerra e di affermazione del principio
della nonviolenza ».
Le probabilità di accettazione della
domanda di grazia sembrano essere
consistenti. Mentre la vicenda di Pinna sembra così concludersi positivamente, si profila un nuovo processo
politico: il 23, 24 e 25 ottobre saranno infatti processati a Torino otto militanti nonviolenti, tutti imputati per
« reati di opinione » in relazione a
una serie di manifestazioni che vanno
dal maggio 1968 al luglio 1973.
ANCORA VIETNAM
Una settimana internazionale di
sensibilizzazione sul problema del
Vietnam e stato proclamata dal 29
settembre al 6 ottobre da parte di una
serie di movimenti e organizzazioni
per la pace, tra cui la « campagna uni
NELLA CHIESA CATTOLICA
Sì apre a Rama il IV "siaade dei vescavi,,
Venerdì prossimo 27 settembre
Paolo VI inaugurerà in Vaticano il 4°
« Sinodo dei vescovi » cattolici. Vi parteciperanno 207 persone, di cui circa i
3/4 sono rappresentanti dell’episcopato cattolico mondiale. Dati i suoi poteri limitati rispetto a quelli del pontefice e della curia romana, il « Sinodo dei vescovi » è una ben pallida
espressione dell’idea di collegialità affermata con vigore dal Concilio. Inoltre il carattere marcatamente clericale dell’assemblea rivela un livello ecclesiologico molto arretrato, anche rispetto ai molti discorsi che si son fatti sulla chiesa « popolo di Dio ».
I lavori dureranno quattro settimane circa e si concluderanno con reiezione di 15 nuovi membri del consiglio permanente della segreteria sinodale i quali potrebbero — se Paolo VI
modificherà in questo senso l’attuale
sistema di elezione del pontefice —
partecipare al prossimo conclave, quando si tratterà di eleggere il successore
di Paolo VI. La decisione, come sempre, spetta al papa.
Al « Sinodo dei vescovi » è stato invitato anche il segretario generale del
Consiglio ecumenico, pastore Philip
Potter, il quale parlerà ai vescovi sul
tema del Sinodo: « L’evangelizzazione
nel mondo moderno ».
C’è un documento preparatorio curato dalla segreteria generale del Sinodo nel quale, tra l’altro, si registra
« la diminuzione delle conversioni provenienti dalle dltre confessioni cristiane » e ci si chiede se essa non debba
essere attribuita « tra gli altri motivi,
ad un ecumenismo male inteso ». Le
opinioni dei vescovi in tema di evangelizzazione sono ovviamente molto diverse (come lo sono nelle nostre chiese). Si prevede perciò un dibattito molto animato da cui si spera — come ha
detto mons. Rubin, segretario generale
del Sinodo — che emergono indirizzi
« pratici e teologici per uscire dall’enorme foresta » delle opinioni diverse
che esistono in seno alla chiesa sui
modi stessi dell’evangelizzazione.
I rapporti con le altre confessioni
cristiane, con le religioni diverse dal
cristianesimo, con le ideologie moderne e in particolare col marxismo, come pure la crisi interna della chiesa e
la situazione certo non felice del mondo stesso, costituiranno altrettanto temi, anch’essi controversi, delle discussioni sinodali.
tarla per la cessazione della guerra »,
il « consiglio nazionale statunitense
per l’amnistia universale e incondizionata », il « comitato internazionale
per la liberazione dei prigionieri politici sudvietnamiti » e l’internazionale
« War Resisters’ International ».
La settimana di sensibilizzazione,
che interesserà in modo particolare gli
Stati Uniti, si propone di richiamare,
attraverso manifestazioni varie, l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale da un lato sulla situazione in Vietnam dove, nonostante gli accordi di
Parigi, il governo di Thieu (con l’appoggio degli USA che lo finanziano
coprendo oltre l’85% del suo bilancio)
continua ad arrestare e torturare gli
oppositori del regime, detenendone
circa 200.000; e, d’altro lato sulla situazione negli Stati Uniti, dove oltre
mezzo milione di veterani faticano a
trovare un lavoro e sono privati di
ogni beneficio, mentre decine di migliaia di « resistenti alla guerra » si trovano in carcere, in esilio o sono costretti alla latitanza.
Luca Negro
Difficile in Sudafrica
l’obiezione di coscienza
Feroce reazione
del governo
alFappello
delle chiese
Nel numero del 23 agosto scorso davamo notizia che il Consiglio sudafricano delle chiese aveva adottato una
importante risoluzione che di certo
non sarebbe stata senza conseguenze
sia nella vita delle chiese stesse, sia
nei rapporti fra queste ed il regime
razzista di Vorster. La risoluzione chiedeva espressamente ai membri di chiesa in età di leva di dichiararsi obiettori di coscienza in quanto « l’esercito sudafricano è addestrato per difendere una società ingiusta e discrirninatrice ».
Ora, il bollettino ecumenico soepi
del 5 settembre conferma puntualmente la nostra purtroppo facile previsione: il ministro della difesa del
Sudafrica, Botha, ha promulgato una
nuova legge secondo cui qualsiasi persona colpevole di incitarne altre a sottrarsi al servizio militare, sarà punibile con un’ammenda fino a 10 mila
rands (circa 9 milioni di lire) oppure
con 10 anni di carcere, o ancora con
le due pene accomunate.
In Parlamento, il partito progressista si è opposto con forza al voto di
questa legge « la cui portata è così
grande da includere qualsiasi discussione che critichi il servizio militare ».
Ricordiamo che nella mozione del
Consiglio delle chiese sudafricane veniva definito « ipocrita il deplorare la
violenza dei terroristi o dei combattenti per la libertà (che è una controviolenza provocata da quella primaria
ed istituzionalizzata) mentre noi ci
prepariamo a difendere la nostra società con dei mezzi ancora più violenti ».
La risoluzione ha inoltre chiesto al
gruppo di lavoro del Consiglio su « violenza e nonviolenza » di studiare dei
metodi di azione nonviolenta per realizzare trasformazioni sociali, come
pure ha chiesto alle chiese che hanno
dei cappellani militari di « riconsiderare i principi nel cui nome essi sono
stati nominati ». Essa inoltre ha sottolineato il coraggio e la testimonianza di coloro che sono andati o andranno in prigione per protestare contro
leggi e regolamenti ingiusti.
A seguito delle proteste sollevate da
questa risoluzione, il segretario generale del Consiglio sudafricano delle
chiese, John Rees, ha reso noto una
dichiarazione precisando che il Consiglio stesso aveva sempre respinto la
violenza come mezzo per giungere a
trasformazioni sociali, che la risoluzione si rivolgeva in modo particolare alle chiese-membro del Consiglio ed infine che il riferimento ai cappellani
poneva la questione di sapere se essi
non avessero dovuto esser pagati dalla Chiesa piuttosto che dallo Stato.
Crisi sacerdotale
Da un articolo a firma di Filippo
Pucci apparso su « La Stampa » il 13
u. s. risulta che la crisi delle vocazioni
nella chiesa cattolica permane molto
grave. Molti seminari, ultimo quello di
Parma, sono costretti a chiudere per
mancanza di studenti e le vocazioni
monastiche si vanno rarefacendo. A
questo fenomeno, generale nell’ambito
delle chiese cristiane, si aggiunge quello più specifico dei sacerdoti che abbandonano il sacerdozio; il motivo più
grave permane sempre quello del celibato obbligatorio.
5
20 settembre 1974 — N. 37
pag. 5
Torino; solidorietò con i lovorotori dolTuEmonnol» DALLE VALLI CHISONE E GERMANASCA
IL «REGIO»
IN FABBRICA
Sarà difficile, per quelli che c’erano
(una gran folla valutata a oltre 2.500
persone), dimenticare la serata del 16
settembre trascorsa in un vasto capannone della fabbrica « Emanuel » di Torino per udire un concerto offerto dall’orchestra, dal coro e dal corpo di ballo del Teatro Regio di Torino, come
atto di solidarietà fattiva con i lavoratori di quella fabbrica, che da mesi
stanno lottando per la difesa del posto di lavoro, contro la dichiarazione
di fallimento pronunciata sulla fabbrica stessa.
È la prima volta in Italia e nella
storia delle lotte operaie che succede
un fatto del genere. Il suo alto significato morale e politico è evidente, sia
come atto di partecipazione diretta a
una giusta battaglia, sia come segno
di una volontà di « saldatura tra cultura e fabbrica », che peraltro è ancora quasi tutta da compiere.
In questo senso il concerto sotto il
capannone dell’« Emanuel » non può
non aver lasciato una traccia, oltreché
sugli operai e sul pubblico, anche sugli artisti del « Regio ».
La serata è pienamente riuscita e,
tra le molte altre, ci ha suggerito questa riflessione: l’Italia ha molti guai, lo
si sa e lo si vede, ma senza dubbio ha
un movimento operaio di prim’ordine.
NELLE CHIESE
EVANGELICHE
In risposta alla lettera indirizzata
il 30 agosto « alle comunità evangeliche di Torino e del Piemonte » (pubblicata sul numero scorso di questo
giornale) dai sette operai evangelici
(battisti e valdesi) dell’« Emanuel », un
gruppo di evangelici torinesi (laici e
pastori) hanno avuto un incontro con
il Consiglio di fabbrica, nel corso del
quale è stato loro illustrato la genesi
e la natura della vertenza, il carattere
e il significato della resistenza operaia,
gli obiettivi che si vorrebbero raggiungere. È seguita una visita alla fabbrica.
La domenica successiva le chiese sono state informate dell’incontro avvenuto. In alcune di esse hanno parlato
gli operai evangelici della fabbrica. Alle chiese è stato proposto di solidarizzare con i dipendenti dell’« Emanuel »
mediante una libera sottoscrizione,
aperta per tutto il mese di settembre.
Le prime risposte sono state generose,
segno che il problema è sentito e l’offerta è fatta « non di mala voglia né
per forza » (2 Cor. 9: 7). Tutte le chiese, o i concistori o i fratelli che volessero contribuire sono pregati di farlo
subito, versando l’importo sul c.c.p di
questo giornale specificando la destinazione oppure consegnando a mano
la somma a un membro dell’amministrazione o della redazione.
DALLA VAL PELLICE
Torre Pellice
Restauri del tempie
Ottavo centenario a parte, tutti erano convinti dell’assoluta necessità di procedere ad
un complesso di indispensabili restauri del
Tempio valdese di Torre Pellice.
Per la realizzazione della cosa fu costituito
nella primavera scorsa un comitato esecutivo
nelle persone dei sigg. prof. Armand-Hugon,
doti. Gardiol e Signora, Charles Paschetto,
geometri Poet e Pontet. In seguito ad accurato sopralluogo tecnico si vide che in sostanza
si trattava di sostituire le grondaie, rifare rintonaco alla facciata di ponete, rifare il tetto
del locale di riscaldamento, tinteggiare completamente l’esterno dell’edificio. Il preventivo di spesa si aggirava sui 10-12 milioni di
lire.
Interpellate varie ditte, l’opera fu infine
affidata alTimpresa Armand Pilón per quanto
riguarda i ponteggi e l’intonaco, all’impresa
Fenouil per le grondaie (sostituite in rame,
più costose ma ben più durevoli) e alTimpresa
Ronfetto per la tinteggiatura e opere varie.
Dopo un ritardo dovuto al maltempo, verso la
fine di giugno fu dato effettivo inizio ai lavori che si protrassero a ritmo sostenuto ed ebbero termine nel tempo previsto, cioè nella
prima quindicina di agosto. Sono state raccolte offerte varie, offerte della Società di Cucito. si è avuta la partecipazione della Cassa
Stabili ed è stato lanciato un prestito senza
interessi sottoscritto da varie persone. A tutti va la riconoscenza della Chiesa. Siamo però
ancora ben lontani dalla copertura totale dell’ingente spesa, per cui incoraggiamo quanti
possono ed hanno avuto a cuore la cosa a fare offerte o partecipare al prestito.
Cogliamo l’occasione di porgere da queste
colonne, a nome del Concistoro e della Chiesa, un caldo ringraziamento ai fratelli del
comitato che si sono prodigati nel corso di
vari mesi per l’ottima realizzazione dell’opera.
A. D.
Collegio Valdese
L’inaugurazione dell’anno scolastico
1974-7.5 avrà luogo il 1" ottobre p. v.
alle ore 15 nell’Aula Sinodale della Casa Valdese di Torre Pellice.
Gli studenti della Scuola Media devono trovarsi all’Istituto alle ore 14.30,
quelli del Ginnasio-liceo alle 14.45.
Il pubblico è cordialmente invitato.
I PRESIDI
OlllllllllllllllllllllllllllllllilllllllllllllllllXIIIIKIIIIIIIUIIIIIIIIII
RORA’
Un gruppo della Cermania, discendenti di
Valdesf colà esuli al tempo delle persecuzioni,
è stato quassù una domenica con tre suoi
Pastori, ha partecipato al Culto domenicale,
ha visitato il Museo, ha goduto del panorama
con una giornata splendida.
Queste ultime domeniche il Culto è stato
presieduto dai Pastori Kaufmann e Bundschuh
e dal Prof. Jean Connet; l’Anziano Aldo
Tourn ha riferito sui lavori del Sinodo.
Si è addormentata serenamente nel Sign<>
re all’età di 97 anni la decana della Comunità
Mourglia Giacolina ved. Rivoira di Rumer,
una valdese « de la vieille roche » t al funerale ha parlato anche il Pastore Giorgio Tourn.
E’ tragicamente mancato, ad un passaggio a
livello nei pressi di Bardonccchia, Morel
Adolfo fu Giacomo di anni 40: lascia la vedova e tre bambini. Il funerale ha avtUo luogo a Rorà e vi ha svolto una parte il Pastore
Cipriano Tourn. Simpatizziamo con tutti i
congiunti che piangono i loro Cari e fidenti
nel Signore ricordiamo che « padre degli orfani e difensore delle vedove è Iddio » (Sa mo 68: 5). _ .
Ringraziamo i collaboratori nominati.
L. COISSON
Consiglio della Comnnità Montana
Il Consiglio della Comunità Montana si è riunito il 14 settembre nella sala della Pretura di Perosa Argentina
per discutere alcuni argomenti e avviare un minimo di attività.
Per prima cosa è stata approvata la
assegnazione di contributi ai comuni
di Salza di Pinerolo e Roreto Chisone
per opere di bonifica montana, cioè arginature di torrenti. Salza avra 3 milioni e Roreto 6, per un totale di 9 milioni. Lo stanziamento era di 12 milioni e mezzo, ma la differenza viene
assorbita da IVA, imprevisti e spese
generali.
Di un’altra assegnazione, sempre per
lo stesso scopo, hanno beneficiato i comuni di Pomaretto (8 milioni) e Pragelato (14 milioni). Non sarà tuttavia
facile appaltare questi lavori, perché
non sono abbastanza redditizi da invogliare le grosse ditte e la legge non
prevede che i comuni possano eseguirli con mano d’opera propria. Una greve discussione si è avuta sull’argomento seguente: l’entità delTindennità di
missione per gli amministratori della
Comunità. La cifra di 15.000 lire giornaliere era stata fissata nella seduta
precedente, ma la deliberazione non
era stata approvata dal CO.RE.CO. La
assemblea ha trovato un accordo nel
fissare la quota a 10.800 lire, senza distinzione tra il presidente, gli assessori o i consiglieri in missione. È stato
Luserna S. Giovanni
Il Concistoro si è recentemente riunito per esaminare e discutere l’impostazione del lavoro per il prossimo anno. Ci siamo rallegrati della decisione
della Tavola che ha destinato il Past.
Ermanno Genre come secondo Pastore di San Giovanni e il Past. Bertinat
alla direzione dell’Asilo Valdese » secondo una esplicita richiesta del Concistoro stesso. Siamo certi che questi
due collaboratori, operando in settori
diversi, daranno un valido apporto al
lavoro non indifferente che si svolge
nella Comunità di San Giovanni.
Tra le varie decisioni prese dal Concistoro ricordiamo le seguenti:
a) apertura dei corsi di Scuola
Dom. Precatechismo e Catechismo la
domenica 13 ottobre in culto in comune con i ragazzi in cui saranno presentati i monitori e j catechisti e in cui
i catecumeni di primo anno riceveranno il dono della Bibbia;
b) la festa del raccolto avrà luogo la domenica 20 ottobre, con un
pranzo comunitario a cui tutta la Comunità è invitata. Prenotarsi entro il
17 ottobre;
c) sabato 23 novembre alle 20.30
avrà luogo una assemblea aperta a
tutti i membri della Comunità in cui
sarà presentato e dibattuto il problema della nuova gestione dell’Asilo. Sarà una occasione per fare il punto sulla situazione attuale, dare la più ampia informazione sugli aspetti tecnici
e finanziari, nonché sui programmi
comunali per i servizi aperti.
Dovranno essere prese inoltre importanti decisioni concernenti la gestione e la conduzione futura del nuovo Asilo. Ci sembra che la Comunità
debba essere coinvolta al massimo in
quanto essa è la vera responsabile di
un’opera che è sua, come espressione
della vocazione evangelica di servizio
e testimonianza;
d) in gennaio è prevista una tavola rotonda (decisa dall’ultima assemblea di chiesa) sul tema: « La vocazione della Chiesa oggi ». Sarà un confronto che auspichiamo fraterno e costruttivo tra le varie posizioni e impostazioni di lavoro che sono rappresentate nella Comunità;
Prarostino
Nelle sue ultime sedute la Tavola ha
deciso di concedere al past. Marco
Ayassot un congedo di sei mesi per
motivi di salute; egli avrà così modo
di affrontare la sua convalescenza con
serenità. Sarà sostituito in questo periodo dal past. Arnaldo Genre che lascia la cura della comunità di S. Secondo.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Attività distrettuaii
SEDUTA DEI CASSIERI
Si ricorda rincontro dei cassieri delle comunità convocato per domenica
29 p. V. alle ore 15 a Pinerolo.
COLLOQUIO PASTORALE
Il colloquio pastorale avrà luogo lunedì 30 al Castagneto con inizio alle
ore 9,30 con un breve culto presieduto dal past. Giovanni Conte. Tutti i
partecipanti sono pregati di voler confermare entro venerdì la loro partecipazione al fratello Lazier.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiii
Incontro di monitori
Su iniziativa delle comunità del Presbiterio vai Pellice avrà luogo domenica 29 c. m. al Castagneto un incontro dei monitori delle Scuole Domenicali. La mattina sarà dedicata ad una
introduzione generale del vangelo di
Marco che sarà studiato durante l’anno ed il pomeriggio ad uno scambio
di esperienze pratiche.
Tra gli avvenimenti dell’estate ricordiamo il Bazar della Società di cucito
i cui proventi sono stati destinati per
la maggior parte alla cancellazione del
residuo debito contratto due anni fa
per raggiungere la quota da inviare alla Tavola.
Il XV Agosto ha rappresentato per
la nostra Comunità un momento rilevante per l’aspetto organizzativo della
manifestazione. Circa un centinaio di
persone sono state coinvolte attivamente in una collaborazione che ha
dato risultati molto apprezzati dal numeroso pubblico intervenuto alla festa.
I proventi finanziari del buffet, vendite, lotteria e metà della colletta al
culto sono stati devoluti al progetto
dell’Asilo, con un attivo di circa un
milione e 300 mila lire. Siamo riconoscenti a tutti i collaboratori per il loro impegno che confidiamo potrà ancora manifestarsi in altre occasioni.
Angrogna
Abbiamo accompagnato al campo
del riposo la decana della nostra comunità Clementina Jourdan ved. Bertalot, di 96 anni, dei Jourdan e la piccola ’ Elisa Viglianco, di Luserna San
Giovanni deceduta poco dopo la sua
nascita. Alle famiglie colpite dal lutto
la nostra simpatia.
Il piccolo Marco Ricca di Prosperino
e di Renata Monnet è stato battezzato
domenica scorsa.
anche deciso di affidare il servizio di
tesoreria della Comunità Montana ad
uno dei due istituti bancari di Perosa,
Istituto S. Paolo o Cassa di Risparmio,
scegliendo il più conveniente.
Il Consiglio ha poi preso in esame
un argomento che aveva già suscitato
parecchie polemiche in passato: i contributi che ogni comune dovrebbe versare alla Comunità. La quota fissata
in una seduta nrecedente comprendeva 200.000 lire per ciascun comune più
300 lire per abitante. A questo proposito il sindaco di Perosa, Trombotto,
ha ripetuto ancora una volta il suo
punto di vista, cioè che la Comunità
Montana è una forma di parassitismo
dei piccoli comuni nei riguardi dei più
grandi, del suo in particolare. Il sindaco di Pragelato, Berton, ha criticato
la mancanza di programmi della Comunità e si è dichiarato disposto a
versare soltanto un acconto e a finanziare in seguito programmi ben precisi.
Il sindaco di Pinasca, Richiardone, e
poi il presidente Maccari hanno ribattuto con una certa animazione che i
programmi sono stati avviati, ma che
è necessario poter disporre di una
somma iniziale, in attesa dei contributi della Regione. La Comunità Montana si propone di assumersi il servizio di medicina scolastica e di iniziare
un servizio di assistenza agli anziani
e di medicina preventiva in collaborazione con l’ospedale di Pomaretto.
Inoltre, ai comuni che intendono acquistare scuolabus per il trasporto
alunni, la Comunità assicura un contributo di 700.000 lire. Le difficoltà che
incontra il nuovo Ente non sono poche, ad esempio gli manca ancora una
sede decente. L’affitto di 150.000 lire
mensili richiesto per disporre di quatto locali nell’ex Istituto Salesiano di
Perosa è superiore alle possibilità di
bilancio, per cui si continua a lavorare in modo un po’ provvisorio.
Il sindaco Guigas di Fenestrelle ha
osservato che, invece, sono i comuni
più piccoli che hanno il contributo più
alto da versare e ha proposto di abbassare la quota fissa a 150.000 lire,
mantenendo invariata la quota per
abitante. Il Consiglio ha approvato con
sollievo quest’ultima proposta che as
sicurerà alla Comimità Montana, se
tutti i comuni saranno solleciti nei
versamenti, quasi 9 milioni da spendere subito.
Il presidente ha poi comunicato che
il contributo per l’acquisto degli scuolabus sarà assegnato a Fenestrelle,
Pramollo, S. Germano e Perosa Argentina. Per quest’ultimo, però, il sindaco Trombotto, non volendo essere a
sua volta accusato di parassitismo, ha
dichiarato di voler chiedere prima il
parere del Consiglio comunale.
Un’altra discussione si è avuta sul
progranama di assistenza agli anziani.
La Comunità Montana, con la collaborazione medica dell’ospedale di Poniaretto, ha organizzato un corso di lezioni sul modo di assistere e curare le
persone anziane a casa loro e si propone di assumere un’assistente sociale
per le visite domiciliari e le altre esigenze. Su questo argomento ha ripreso la parola il sindaco Berton, che ha
definito il programma assolutamente
insufficiente e non utilizzabile da chi
abita in alta montagna. Occorre invece, ha detto, considerare il problema
globalmente e iniziare in modo concreto il lavoro, per esempio creando
in ogni centro montano dei « foyers »,
dove le persone anziane possano abitare durante Tinvemo.
Il presidente Maccari ha risposto
che tutte le critiche saranno sempre
molto apprezzate, soprattutto se costruttive, e si è augurato che i rappresentanti del comune di Pragelato
partecipassero con più regolarità alle
sedute del Consiglio, mettendo a disposizione di tutti la loro esperienza
e le loro indubbie qualità organizzative.
Un ultimo intervento del sindaco di
Fenestrelle ha richiamato ancora l’attenzione sulla crisi del Sanatorio « Agnelli » di Pra Catinai, crisi non risolta, malgrado tutti i discorsi che vi si
sono fatti sopra. Se il Sanatorio chiuderà i battenti, un buon numero di persone rimarrà senza lavoro e aumenterà il numero dei disoccupati del pinerolese.
In questa seduta il Consiglio non si
è occupato dei problemi dell’occupazione, ma è probabile che un argomento così importante venga affrontato e
discusso in una prossima riunione.
Liliana Viglielmo
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllimillllllllllllllll
8.000 visitatori al Museo di Prall
Ricordando
Arnaldo Eynard
Su questo giornale il Dr. Arnaldo
Eynard è stato ricordato in modo specifico come medico e, in particolare,
è stata messa in luce la Sua profonda
sensibilità umana nello svolgimento
della Sua professione.
Gli amici, che hanno avuto il privilegio di conoscerlo anche al di fuori
del Suo lavoro quotidiano, desiderano ricodarlo come un Valdese, sollecito dei problemi della Sua terra, disponibile per tutte le iniziative, anche
le più umili, che potevano essere utili
per la popolazione e per lo sviluppo
delle Valli. Le attività locali note e
meno note trovarono nel Dr. Arnaldo
Eynard comprensione e appoggio.
Basta citare la Foresteria di Pra del
Torno, di cui fu socio fondatore e
membro del Consiglio e il Collegio
Valdese, di cui fu alunno, e che in
seguito concretamente e idealmente
ha sostenuto e difeso.
La Sua improvvisa scomparsa, oltre che nel campo ospedaliero Valdese, lascia pertanto un grande vuoto
anche nel campo più vasto e differenziato della vita associata delle Valli.
Gli Amici Valdesi
RINGRAZIAMENTO
La vedova e la famiglia del caro
Adolfo Morel
che il Signore ha improvvisamente richiamato a Sé, commosse per l’imponente dimostrazione di simpatia, nella
impossibilità di farlo personalmente,
ringraziano quanti hanno preso parte
al loro dolore, e in modo particolare
tutti coloro che si sono adoperati in
vari modi nella triste circostanza.
Rorà, 8 settembre 1974.
Un’altra estate è trascorsa a Frali più che
mai affollata di turisti, favoriti anche da una
stagione particolarmente calda e poco piovosa. Condominii ed alberghi si sono riempiti
non ostante le avvisaglie di crisi economica.
Con i turisti si sono ripresentati i vari problemi già conosciuti gli anni scorsi, taluni
meno gravi, altri più acuti; ma la venuta a
Frali di migliaia di persone è anche stata occasione di incontri fraterni : membri di nostre chiese evangeliche, amici provenienti da
varie città si sono nuovamente incontrati in
occasione dei culti domenicali, di incontri
settimanali, di conversazioni. Fra gli altri ricordiamo Tarch. Sergio Cavallera che, anche
quest’anno ha presentato una serata di diapositive di storia delTarte : Greci, Arabi e Normanni in Sicilia; il gruppo di Fralini di Valdese (N. Carolina), i partecipanti di alcuni
campi di Agape.
Domenica 15 settembre abbiamo avuto la
gioia di avere con noi ai culto un gruppo di
Fratelli e Sorelle di Bussigny (Svizzera) con
i quali la nostra comunità ha antichi rapporti di amicizia.
Sempre nel quadro delle attività particolari. estive ricordiamo ancora il concerto di
trombe offerto dal gruppo di Fomaretto il 6
luglio, le due esposizioni di libri della Claudiana organizzate dal sig. Luigi Marchetti ed
il servizio visitatori durante i culti per l’accoglienza degli estranei ai quali, numerosi come
sempre, è stata offerto lo schema liturgico
ed il sunto della predicazione, che è pure stato tradotto in lingue straniere in varie occasioni.
Durante questo periodo, e precisamente il
28 luglio nel tempio di Ghigo è avvenuta la
prima presentazione di un fanciullo : Paola
Acchiardi appartenente ad una comunità
evangelica di Torino. Diamo pure il benvenuto a due bimbe nate in questo periodo:
Anna Lami figlia di Beniamino e di Graziella Tron (Agape) e Velda Peyrot, primogenita
di Dino e Edina Beux (Ghigo). Il Signore voglia benedire queste creature e le famiglie
alle quali Egli le ha affidate.
Un ringraziamento ai pastori Fanlo y Cortes
e Bruno Rostagno che hanno predicato il 1°
e T8 settembre in assenza del pastore.
Un capitolo a parte meriterebbe il Museo
che ha riaperto i battenti nei mesi di luglio
ed agosto, affidato alle cure del sig. Giuseppe
Longo che è fedelmente ritornato all’opera
anche quest’anno. Il Museo si è presentato
con varie novità: la facciata è stata rimessa
a posto dal prof. Ettore Micol il quale ha
offerto lavoro e materiale e che ringraziamo
molto vivamente. All’interno ricordiamo l’apparato critico delle prime storie valdesi fino al
Leger e la bacheca della diffusione e repressione del valdismo dal 1200 al 1500 che è
stata aggiornata ancora durante Testate con
la collaborazione del prof. Amedeo Molnar
che ha promesso un ulteriore studio su questo argomento.
A parte i gruppi di visitatori « ufficiali »
del centenario (peraltro meno numerosi del
previsto) il Museo è stato oggetto di notevole
interesse, sia per le novità esposte che per la
Guida del Museo che presenta una sintesi
della storia di questa Valle, che per la letteratura e le cartoline antiche di Frali offerte ai visitatori. In questo modo il numero
dei visitatori ha superato gli 8.000 polverizzando il record dell’anno scorso che era stato
di 6.400. Anche quest’anno il Museo è stato
un ottimo strumento di testimonianza evangelica ed anche di cultura: sempre più frequenti sono i giovani che si dedicano alla
mineralogia e che vengono a confrontare i
loro campioni con quelli esposti in museo.
Fer Tanno prossimo contiamo di esporre una
serie di foto a colori dedicate alla magnifica
flora della Valle. Fer Tanno prossimo saranno anche disponibili le traduzioni inglese e
francese della Guida che lungaggini burocratiche ci hanno impedito di avere per questa
estate.
Franco Davite
Pomaretto
Scuola Latina
L’inaugurazione deU’anno scolastico
avrà luogo, a Dio piacendo, domenica
29 settembre alle ore Ì5 nel teatrino
del Convitto.
Genitori ed alunni sono cordialmente invitati.
RINGRAZIAMENTO
Le famiglie Eynard e Baridon ringraziano commosse quanti hanno prèso parte al loro dolore per la scomparsa di ARNALDO.
Torre Pellice, 17 settembre 1974.
0. P. I. onoRonze puneeRi
— Disbrigo di tutte le pratiche inerenti ai decessi,
trasporti in Italia ed all'estero
— COFANI COMUNI E DI LUSSO
— Interpellateci saremo a Vostra disposizione
— Servizio ininterrotto
Via Monte ManzoI, 3 - LUSERNA SAN GIOVANNI
Via Matteotti, 8 - TORRE PELLICE
Telef. 90771 - Notturno e festivo 90731
6
pag. 6
I NOSTRI GIORNI
N. 37 — 20 settembre 1974
VITA ITALIANA a cura di Emilio Nitti
Per l’apertura del nuovo anno scolastico:
Articolo del Direttore Didattico di Torre Pellice
Austerità e iisoctupazioiu Ouesto è l'anno dei “decreti delegati”
Il dibattito sulla crisi economica: salvare il bilancio
dello Stato e quello delle famiglie?
L’aumento dei prezzi al dettaglio e
l’improvvisa scomparsa dal mercato
di alcuni prodotti è al centro dei commenti e delle lamentele delle massaie:
« Così non si può andare avanti! » « Anche questo è aumentato? » « / soldi
non bastano mai! » E a sera le massaie scaricano il loro malcontento sui
mariti: « Sai quanto costa un chilo di
pasta? »
In termini politici questo si chiama
carovita e crisi economica e poiché è
interesse di tutti venirne fuori il dibattito è alquanto vivace e si sviluppa sui
due aspetti del problema:
a) si deve salvare l’economia nazionale ed il suo sistema produttivo;
b) si deve salvare il bilancio familiare dei lavoratori e garantire la continuità dei rifornimenti alimentari.
E chiaro che sono due esigenze collegate tra loro, ma nella scelta delle
soluzioni vi è chi privilegia l’una e chi
l’altra.
Ponendo appunto la prima esigenza
come prioritaria, i tecnici finanziari
governativi sottolineano la necessità
di ridurre i consumi della popolazione. Compriamo troppo dall’estero, cosumiamo più di quel che produciamo
ed esportiamo di conseguenza troppo
poco. Non si tratta solo della questione petrolifera che ci pone in debito
verso l’estero, ma di tutto il sistema
di vita della massa degli italiani. E
poiché gli appelli aH’austerità sono caduti nel vuoto, non resta che costringere la gente a risparmiare, aumentando la disoccupazione. Un milione o un
milione e mezzo di disoccupati potrebbe andar bene... Non potranno sperperare il denaro che non avranno e renderanno prudenti gli altri che lavorano ancora...!
Gli esperti finanziari delle grandi imnrese private si offrono a collaborare
in questa operazione risparmio e propongono, per esempio, di chiudere in
inverno per un certo periodo le principali industrie, concentrando in quel
periodo la fruizione di tutte le feste
infrasettimanali dell’anno e una parte
delle ferie. Si risparmierà così sulle
spese generali di gestione e sull’occupazione stessa, incrementando la produzione nel resto dell’anno.
Ma i sindacati, è chiaro, non condividono questi programmi. Innanzitutto denunciano la speculazione che l’alta finanza sta tentando sulla crisi, per
accrescere i suoi profitti e ritengono
che non la riduzione della produzione,
ma la sua conversione in settori socialmente più redditizi potrà salvare la
nostra economia. Ma essi sono soprattutto preoccupati del bilancio familiare dei lavoratori. Come difenderlo dall’inflazione? Da alcuni anni le rivendicazioni non sono state tanto rivolte al
l’aumento dei salari, quanto al decollo
(che poi non è avvenuto!) di una politica di riforme che, agendo sulle condizioni dell’ambiente sociale, riducesse alcuni costi (casa, scuola, sanità,
trasporti) e quindi indirettamente valorizzasse i salari. Ora di fronte al pericolo dell’inflazione è necessario agire in modo più diretto: si vuole unificare e rivalutare il punto di contingenza. Si tratta di correggere quel meccanismo che consentiva un periodico
aggiornamento del salario in relazione
all’aumento del costo della vita: esso
non risponde più, da tempo, allo scopo per cui fu istituito, perché il coefficente di aumento del salario è troppo basso e perché quella compensazione viene concessa in modo troppo differenziato tra le varie categorie e sempre dopo l’awenuto rincaro della vita.
Inoltre i sindacati insistono sulla necessità di agganciare le pensioni ai salari, cioè di far sì che all’aumentare
dei salari corrisponda automaticamente l’aumento delle pensioni.
Ma questa politica economica dei
sindacati è del tutto contrastante con
queU’altra e queste richieste hanno suscitato la disapprovazione dei due principali propagandisti della necessità delVausterità popolare: Guido Carli, Governatore della Banca d’Italia e Ugo
La Malfa, Segretario del FRI. Il dibattito è aperto, ma ci sembra indiscusso
che oggi si stia scontando, come singoli lavoratori e come economia nazionale, la mancata realizzazione di
una seria politica di riforme sociali.
Il problema della casa, per esempio!
È tornato drammaticamente alla ribalta pochi giorni fa, in occasione dello sgombero delle case del rione S. Basilio a Roma. Case popolari assegnate
ad alcuni baraccati erano state occupate da altri baraccati, emblema tragico di quella guerra quotidiana tra
noveri, che si compie in modo più silenzioso, ma non meno commiserevole,
per conquistare o magari solo per conservare il posto di lavoro.
Gli agenti di P.S. sono stati mandati
a sloggiare con la forza gli occupanti;
quel che è successo lo sappiamo tutti:
ne è nato uno scontro violento, uno
studente è morto, alcuni agenti sono
rimasti feriti. Un’altra guerra^tra poveri... Ma di chi è la responsabilità?
Dopo una suspense durata alcune
settimane, la Corte dei Conti, sentite
le obiezioni del ministro della Pubblica Istruzione, ha deciso la registrazione delle norme di stato giuridico,
di instituzione e riordinamento di organi collegiali, i cosiddetti « decreti
delegati » per la scuola previsti dalla
legge 30 luglio 1973 n. 477. Pur con i
limiti da più parti rilevati, si tratta di
una normativa sostanzialmente innovativa, soprattutto per quel che riguarda la partecipazione sociale e la democratizzazione delle strutture scolastiche, attesa oramai da parecchi anni. Lo « stato giuridico » rappresenta
per così dire il contratto di lavoro del
personale della scuola, docente e non
docente, dalla scuola materna a quella secondaria superiore, in una visione unitaria.
La scuola
come servizio sociale
Fra gli ^spetti più qualificanti è da
riconoscere la volontà di rinnovamento (sull’esempio europeo) e di partecipazione ad un servizio sociale; ci si è
finalmente accorti, forse soprattutto
dopo il ’68, dell’importanza socio-economica che la scuola può e deve avere in una società come la nostra, alla
ricerca di un’identità e di una collocazione. La composizione verticalizzata
ha dimostrato di non più essere in grado di reggere, fino alla periferia e all’utente diretto, l’impalcatura a cui essa stessa ha dato vita; il decentramento amministrativo e la partecipazione
decisionale sono diventate due esigenze indilazionabili, peraltro presenti
nelle norme che diventeranno operative 60 giorni dopo la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Ovviamente, soprattutto in una prima fase, sarà importante vigilare perché l’attuazione non sia distorta o manipolata da gruppi di pressione, favoriti dal probabile assenteismo di uno
dei protagonisti — la famiglia — del
rinnovamento e dalla carenza di informazione. Il pericolo è, di nuovo, che
la partecipazione sia appannaggio di
Dochi, di quelli « che sanno », mentre
la maggioranza continua a stare a
guardare e a subire. La tragedia e la
ambivalenza della partecipazione democratica risiede proprio qui; purtroppo, nel clima in cui siamo cresciuti e con gli stimoli che la stessa scuola finora ci ha dato, preferiamo stare
zitti o delegare gli altri, sovente senza
neppure sapere a che cosa li deleghiamo. Pertanto, se questi timori, con le
elezioni o la conduzione dei nuovi organismi, diventeranno realtà, col nuovo ordinamento della scuola si passerà dalla supremazia del potere centrale, anonimo e burocratizzato, all’oligarchia di chi ha interesse a far sì che
la scuola vada (o non vada) in un
certo modo.
Perciò, il nostro compito è proprio
quello di stare vigilanti, in ispecie in
queste fasi iniziali, di denunciare ogni
abuso o violazione e, nel contempo,
di sensibilizzare con ogni mezzo la
gente perché si senta coinvolta nella
definizione di un servizio sociale che
ha un ruolo politico preciso e che non
può più essere lasciato soltanto nelle
mani dei tecnici, dietro una falsa pretesa di neutralità. E di ciò il credente
non ha il diritto di disinteressarsi, in
nome della comunità di cui si sente
membro.
Partecipazione
democratica
Ma vediamo in breve quali sono le
maggiori novità previste dal testo dei
decreti, e che riguardano:
A) Gli organi collegiali. Allo scopo di realizzare « la partecipazione
democratica delle comunità locali e
delle forze sociali alla vita e alla gestione della scuola », il territorio regionale viene suddiviso in comprensori che assumono il nome di « distretti
scolastici » con autonomia ammini
UNA GRANDE
E PERVERSA
PERIZIA
Chiesa unita in Australia
Melbourne (spr) - I presbiteriani, i congregazionalisti e i metodisti australiani hanno
deciso di costituire una Chiesa unita il 2
giugno 1976. Tuttavia una minoranza considerevole, in seno alla Chiesa presbiteriana,
disapprova quest’unione e costituirà probabilmente una continuazione della Chiesa presbiteriana, dopo quella data. Il segretario della
Chiesa presbiteriana d’Australia, il past. Farquhar Gunn, ha espresso il profondo rincrescimento che un piccolo gruppo, disapprovando l’unione, abbia deciso di abbandonare l’assemblea immediatamente dopo il voto, nella
recente assemblea generale presbiteriana. Osservatori hanno espresso il timore che dopo
l’unione del 1976 non uno solo ma due gruppi si distaccheranno, continuando la Chiesa
presbiteriana.
I pastori di questa Chiesa sono stati pregati di esprimere la loro opinione al riguardo e si spera che, quando le loro risposte
saranno state raccolte, la situazione si chiarirà.
La nuova Chiesa avrà il nome di Chiesa
unita in Australia.
IIIItlllllllllllllimillllllllllItllilllllllllllllilllllllllllllllllllllllMI
AsHd per anziani
■ ' (segue da pag. 1)
servizio domiciliare infermieristico e di aiuto domestico nonché un
servizio di pedicure.
UNA COMUNITÀ’ DI LAVORO
Molto recentemente si è deciso
con il personale deiristituto di avere sedute periodiche con il Comitato per discutere assieme tutti i problemi riguardanti la vita
dell'Istituto. Ci è sembrato giusto
che il nostro personale, che svolge un'opera di collaborazione, fosse coinvolto nella conduzione dell'opera quale interlocutore nei
confronti del Comitato. È infatti
il personale responsabile dell’opera di testimonianza nel rapporto
con gli ospiti e nel tipo di atmosfera che si stabilisce aU'intemo
dell’Istituto.
A. Taccia
È quella di
Henry Kissinger,
premio Nobel della
pace 1973, nel vasto campo della diplomazia internazionale.
Abbiamo trattato a lungo l’argomento, in numerosi articoli successivi di
questo settimanale (da ultimo nei nn.
25 del 21.6, 26 del 28.6, 35 del 6.9, 36 del
13.9 c. a.). Ci sembra che sia ormai
possibile fare un bilancio, complessivo e riassuntivo, dei contributi « positivi » di questo straordinario personaggio, intendendo per « positivi » i sucsi diplomatici ottenuti a favore delFimperialismo americano, con la massima freddezza e col massimo cinismo. senza il minimo riguardo alle sofferenze degli altri paesi.
« Le principali doti di Kissinger
(scrive A. Gambino su «L’Espresso»
deH’1.9), nei cinque anni e mezzo della sua attività in campo internazionale, oltre ad un’eccezionale pazienza ed
abilità di negoziatore, sono state un
assoluto realismo ed una grande forza di semplificazione. La sua sicura intuizione dei nodi essenziali di un problema si è accoppiata ad un'immediata tendenza a liberare la diplomazia
americana dai vincoli ideologici e dagli schemi mentali che nel passato, anche recente, ne avevano imbrigliato ed
appesantito l’azione, e ad un’altrettanta immediata spinta a trarre il massimo vantaggio dalle debolezze dei suoi
avversari.
Tutte queste qualità (chiamiamole
cosi, per intenderci) appaiono in evidenza nel conflitto indocinese. La premessa da cui parte Kissinger, contrariamente ai suoi predecessori, è che
non solo la guerra non può esser vinta, ma ch’è assurdo seguitare a pretenderlo di fronte all’opinione pubblica interna e internazionale: l’obiettivo
cessa dunque di essere quello di una
"vittoria”, per diventare quello di uno
sganciamento americano "onorevole",
cioè tale da consentire al governo di
Washington di lasciarsi alle spalle un
Vietnam del sud in grado di resistere,
almeno per alcuni anni, alla pressione
comunista. Il secondo passo di Kissinger è di liberare l’America dal feticismo ideologico che le aveva impedito,
ner quasi 25 anni, di riconoscere la
realtà della Cina comunista. Il terzo
è d’intuire che anche per Mosca e Pechino l’ideologia ha un valore secondario e che la vera realtà, almeno nella fase attuale, è la profonda avversione e il reciproco timore tra i due pae
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
si: avversione e timore che possono
esser sfruttati dagli USA per raggiungere, attraverso l’isolamento e l’indebolimento di Hanoi, la soluzione desiderata.
Anche in M. Oriente Kissinger ha
seguito lo stesso metodo. Il suo primo
passo è stato il riconoscimento che la
capacità d’attrazione dell’URSS sul
mondo arabo, sempre molto limitata
(nonostante i timori di Poster Dulles
e di tanti suoi epigoni sulla rapida “comunistizzazione" di questi paesi), era
ancora diminuita dopo la guerra del
Kippur. Il secondo è stato l’eliminazione del tabù per cui l’amicizia per
Israele (e l’impossibilità di mutare, su
questo punto, l’indirizzo, se non altro
per motivi di politica interna) obbligava necessariamente gli USA a sopportare l’inimicizia dei paesi arabi: e
che, al contrario, molti dirigenti di
questa regione non desideravano nulla di meglio che avere “imposta"
da Washington una pace con lo Stato
sionista, ricevendo in cambio la preziosa collaborazione tecnologica americana. Su questa strada, sia pure con
la cautela necessaria a far digerire a
tanpe la liquidazione dei palestinesi e
ad impedire scatti estremistici degli
israeliani, Washington, con l’appoggio
diretto del Cairo, di Amman e di Riad,
p con quello indiretto di Damasco e
di Algeri, sta ancora procedendo.
Infine un terzo successo sostanziale,
anche se meno appariscente, Kissinger
10 ha ottenuto in America latina. Il segretario di Stato ha infatti capato, dono tanti anni di progetti per redimere
11 subcontinente e dopo tante crociate
anticomuniste (sfociati, gli uni e le altre. solo in manifestazioni ostili di
mazza e in sassate agli ambasciatori),
l’arma migliore nelle mani degli americani era il silenzio, la creazione di
una specie di Cortina di disinteresse intorno all’America meridionale, all’intprno della quale lasciar mano libera
alle grandi compagnie multinazionali,
alla penetrazione brasiliana e, quando
era necessario, come in Cile, all’azione
de’ Pentagono e della da.
Ovunque si trattava, insomma, di
esaminare con realismo una situazione in tutti i suoi aspetti, di eliminare,
np.rhno con coraggio, le incrostazioni
mentali e le distorsioni del passato, e
di sfruttare la debolezza degli avversari, Kissinger si è mosso con gran
de perizia ».
Una perizia supermachiavellica
che, almeno in due
momenti storici di
somma importanza
(la guerra del Vietnam e il golpe cileno), ha disonorato il
grande popolo americano. Una perizia
che, in altri momenti successivi (di
minore importanza, a quanto sembra),
è poi anche venuta meno, come abbiamo visto a suo tempo.
IL, DISPREZZO
VERSO I SOTTOPOSTI
-k Gli elementi che hanno contribuito a far nascere un « senso oscuro della colpa » nel popolo americano (v. il
n. preced. di questo settimanale), così
da spingerlo irresistibilmente contro
Nixon, « vanno inseriti in uno sfondo
di malessere più generale che non riguarda solo l’America (scrive lo stesso A. Gambino su « L’Espresso » del
18.8): malessere che nasce dal contrasto tra una democrazia rispettata a
parole ma negata nei fatti, dalla percezione diffusa che elezioni parlamentari
e presidenziali, assemblee e dibattiti
politici son solo formalità prive di significato, anzi ipocrite coperture di un
processo reale di segno opposto che
vede il potere concentrarsi sempre di
viù in poche mani, ed ignote, siano
esse quelle delle multinazionali, dei
servizi segreti o ^gli apparati politici
occulti. Nella violenza straordinaria
dell’attacco contro Nixon, vi è stato anche, e in maniera non secondaria, un
imprecisato ma profondo desiderio di
vendetta contro tutto questo. Almeno
abbattuto ed umiliato,
un potente, o supposto tale, è stato
Questa natura più emotiva che razionale della reazione americana contro Nixon non elimina il suo carattere sostanzialmente positivo. Ogni gesto rivoluzionario (e quello a cui abbiamo assistito nelle settimane scorse rientra indubbiamente in tale categoria) porta infatti inevitabilmente
con sé scorie notevoli di emozioni
complesse ed ambivalenti. Ciò che conta è il suo orientamento fondamentale, e specialmente le sue conseguenze.
E in un mondo che cerca confusamente ma con ansia forme nuove di democrazia, la sorte di Nixon può contribuire ad indurre i potenti a trattare con meno disprezzo ed arroganza
i loro sottoposti ».
II lettore non mancherà di avvertire
le analogie con regimi « democratici »
per altro assai diversi, nei quali regna
un uguale disprezzo dei potenti verso
i sottoposti.
strativa, con la funzione di potenziare
e sviluppare le istituzioni scolastiche e
educative, nell’ottica « del pieno esercizio del diritto allo studio, della crescita culturale e civile della comunità
locale e del «nigliore funzionamento
dei servizi scolastici ». Non possiamo
ora elencare tutte le funzioni del consiglio distrettuale scolastico, che hanno valore soprattutto di proposta e di
promozione. Il distretto scolastico ha
un’estensione territoriale limitata e
comprende tutti gli ordini e gradi della scuola, ad eccezione dell’università.
Libertà
d’insegnamento
Sempre con i fini già ricordati, sono
previsti altri organi collegiali a livello
di circolo didattico (per la scuola materna ed elementare) e di istituto (per
la scuola secondaria) ;
— consiglio di interclasse e di classe,
col compito di formulare al collegk) dei docenti (v. sotto), « proposte in ordine all’azione educativa e
didattica, e ad iniziative di sperimentazione »;
— collegio dei docenti, composto dai
docenti di ruolo e non, che ha potere deliberante in materia di funzionamento didattico, provvede all’adozione dei libri di testo, valuta
l’andamento didattico, attua iniziative di sperimentazione, esamina i
casi di scarso profitto, ecc.
— consiglio di circolo o di istituto che
stabilisce l’ordinamento interno
dell’istkuto, l’ordinamento interno
dei sussidi, propone attività parascolastiche, promozionali e sportive, oltre a deliberare sul bilancio
preventivo e sul conto consuntivo
della scuola;
— consiglio di disciplina degli 'alunni,
per gli istituti secondari.
Va ricordato che, in questo paragrafo, rientra anche la normativa sul diritto di assemblea per gli studenti di
scuola secondaria e per i genitori.
B) Lo stato giuridico del personale docente. Come s’è detto, rappresenta per così dire il « contratto di lavoro » degli insegnanti e si fonda (art. 1 )
sulla libertà d’insegnamento : « l’esercizio di tale libertà è inteso a promuovere attraverso un confronto aperto
di posizioni culturali la piena formazione della personalità degli alunni (...); è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni
stessi ». In questa luce, acquistano
nuovo valore sia la funzione docente
che quella direttiva ed ispettiva.
Parallelamente, aumentano gli impegni, scolastici e didattici dei docenti,
anche se l’intervento viene determinato in base alle riconosciute esigenze
locali e secondo la libertà, rispettosa
dei princìpi costituzionali, sopra ricordata. Roberto Lynard
ZAIRE (Africa)
Abolizione della
festività del Natale
L’ufficio politico del « Movimelo popolare
della rivoluzione » in una seduta presieduta
da Mobutu ha deciso l’eliminazione dal linguaggio corrente di alcune espressioni linguistiche tipicamente belghe e la trasformazione del 25 dicembre in. un normale giorno
di lavoro. La decisione presa il 26 giugno
U.S., è stata resa nota in Europa solo nei giorni scorsi.
L’abolizione del Natale come giorno festivo è stala motivata con l’osservazione che lo
Zaire è uno Stato laico e sta al di sopra
di qualsiasi religione particolare. Il 24 giugno è stalo proclamalo nuovo giorno festivo.
Dopo il divieto di dare nomi cristiani ai
propri figli e l’obbligo di sottoporre il lavoro
giovanile nelle chiese alle direttive e all’organizzazione statale della gioventù, l’aholizione
del 25 dicembre come giorno festivo è la terza misura presa contro le chiese cristiane.
Lo Zaire è il primo Stato fuori del mondo
retto da governi comunisti in cui, pur contando una percentuale così cospicua di cristiani (9 milioni su 17 milioni di abitanti:
più della metà), il giorno di Natale come
giorno festivo è stato abolito.
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Autor. Tribunale di Pinerolo
N. 176 - 25/3/1960
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