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:è’
ECO
DELLE VALU VALDESI
Pastor«
TACCIA ALEERTO
AKGROaNA
(Torino)
Settimanale
della Chiesa Valdese
/’. .no 98 - N. 14-15 ABBONAMENTI f Eco: L. 2.500 per l’interno Spedizione in abbonamento postale . 1 Gruppo bis TORRE PELLICE - 12 Aprile 1968
U il ;ì . 0 p ì a lire 50 [ L. 3.500 per l’eFtero Cambio di indirizzo Lire 50 Aniniin. Claudiana Torre PeUice - C.CT. 2-17557
La rivoluzione e la croce
Il cristiano come ribelle è il titolo di un libro recente del teologo protestante americano H. Cox,
tradotto e pubblicato in Italia nel
dicembre scorso dalla casa editrice cattolica « Queriniana » di
Brescia. È un titolo battagliero e
provocante: accosta due termini
che, a prima vista, sembrerebbero
doversi escludere. Per molti, se
uno è cristiano non può essere ribelle e se è ribelle non è cristiano.
L’immagine classica del cristiano,
così come si è affermata nella storia della Chiesa e si è sedimentata,
attraverso i secoli, nel subconscio
di innumerevoli coscienze, credenti o no, non è certo quella dell’uomo ribelle ma piuttosto quella
— opposta — dell’uomo docile,
sottomesso, rassegnato. La rassegnazione, la pazienza, la sopportazione sono, nell’opinione corrente,
virtù cristiane per eccellenza. Ma
molti si stanno chiedendo, e
H. Cox è fra questi, se un simile
atteggiamento sia veramente gradito a Dio e se i cristiani non siano chiamati a intendere in modo
nuovo la loro vocazione nel mondo, assumendo nelle vicende terrene una posizione meno remissiva
e passiva, più costruttiva e impegnata di quanto non sia sinora av\cnuto. All’immagine del cristiano
come uomo d’ordine, che accetta
le Autorità anche se ingiuste e cerca di cambiare i cuori più che
le situazioni, H. Cox contrappone
l’immagine del cristiano come ribelle, che j'ifmia l’ordine umano
ingiusto, nella certezza che Dio
non vuole conservare il mondo,
ma vuole trasformarlo. Nel nostro
tempo lo trasforma attraverso le
rivoluzioni.
Il cristiano come ribelle è il
cristiano rivoluzionario, che nel
nome del Dio biblico — un Dio
che ama il mondo e agisce in esso
- innanzi tutto negli eventi politici, nelle ri\ oluzioni, nelle sommosse, nelle invasioni, nelle sconfitte »
(p. 33), perchè lo vuole liberare e
rinnovare — partecipa attivamen
all’azione rivoluzionaria di Dio
mondo.
H primo compito della Chiesa
n à dunque di individuare la presen/a e l’attività di Dio nel mondo,
per poterlo poi seguire là dove
Egli è. Essa scoprirà allora che
« negli ultimi quindici o venti anni l’azione di Dio ha progredito più
nel mondo che nella Chiesa. Il
baseball professionistico e non la
Chiesa ha fatto i primi passi verso l’integrazione razziale » (p. 36).
Amare verità! Dio si serve del ba■■■ ball per confondere e umiliare
il c hiesa segregazionista: Egli troca più ubbidienza fra le squadre
' ’ baseball che nelle assemblee di
Clì.csa! Solo se è disposta a riconoscere che Dio è all’opera nel
mondo, anche al di fuori della
Chiesa, quest’ultima potrà ritrovare il senso della sua presenza fra
,gli uomini: che è di discernere
1 opera di Dio e di parteciparvi.
« La chiesa diventa chiesa nella
cnisura in cui partecipa al lavoro
i ivoluzionario di Dio » (p. 23). Nel
mondo attuale ci sono molte rivoluzioni: « c'è una rivoluzione anticoloniale.’.. c’è una rivoluzione
scientifica... c’è una rivoluzione
per la libertà razziale... c’è una rivoluzione pacifista... c’è una rivoluzione che sfida il dominio dei
poteri ecclesiastici e sta spezzando l’antico schema delle chiese
feudali e aristocratiche... Dio è
presente in tutte queste rivoluzioni » (p. 40). Da qui nasce il cristiano come ribelle: ribelle in quanto
reagisce positivamente ai movimenti rivoluzionari coi quali Dio
sta cambiando il mondo, l'endendolo più conforme alla Sua volontà; ribelle in quanto non accetta
l’ordine stabilito (che per lo più è
un disordine stabilito) ma partecipa alla sua trasformazione nel nome di Dio che « in Gesù di Nazareth si rivela attraverso attività
che minacciano lo status quo, atverso qualcosa di simile a ciò che
chiamiamo rivoluzione » (p. 87).
Il cristiano ribelle non è però
solo un uomo d’azione, è anche
un uomo che reca al mondo un
messaggio. Dio ha affidato alla
Chiesa una Parola, quella da lui
pronunciata in Gesù di Nazareth:
una Parola che non è solo un discorso, è anche un’azione, una vita vissuta; e inversamente non è
solo un'azione, un comportamento, è anche un discorso, una predicazione: è l’uno e l’altro insieme. Il cristiano ribelle parlerà
dunque al mondo, ma non dal di
fuori, non da una posizione di
neutralità e di disimpegno, come
se fosse un discepolo di Pilato
(che si lava le mani), anziché di
Gesù (che ha le mani trafitte):
parlerà di Dio al mondo dal di
dentro, nel quadro di una solidarietà attiva col mondo, intesa come partecipazione all’azione rivoluzionaria di Dio in esso. « Vivere
in solidarietà col mondo fornisce
ii contesto essenziale della missione » (p. 92) e della predicazione
cristiana.
* * *
Tutto questo discorso, per molti
versi convincente e ben ancorato
nella rivelazione biblica (o meglio
in certe sue parti), lo vogliamo ora
confrontare con la croce di Gesù.
Gesù è vissuto in un mondo —
la Palestina di allora — percorso
da vivissimi fermenti rivoluzionari. L’occupazione romana, accettata dalle autorità religiose ebraiche
(« Noi non abbiamo altro re che
Cesare » dichiarano i capi sacerdoti a Pilato: Giov. 19: 15), era
intollerabile per altri, in particolare per il partito degli Zeloti, i partigiani ebrei che non riconoscevano alcuna autorità umana accanto
sf quella di Dio, unico Signore e Re,
e tanto meno riconoscevano quella dei Romani, invasori e oppressori, che avevano privato la Pale
stina della sua indipendenza e della sua libertà. E allora ci si chiede;
se il Dio biblico è l’Iddio delle rivoluzioni, perchè Gesù non ha impugnato la bandiera rivoluzionaria agitata dagli Zeloti, che — come narra uno storico dell’epoca,
Giuseppe Flavio — « miravano alla rivoluzione e alla rivolta » per
cacciare gli occupanti romani?
Perchè Gesù non è morto in una
azione di guerriglia partigiana al
fianco degli Zeloti, come fecero
Tenda e Giuda il Galileo (Atti 5:
36-37)? Perchè Gesù non ha scelto
la via della rivoluzione, che pure
gli si apriva dinnanzi, e, pur essendo condannato come ribelle, non
è morto come tale ma « come un
agnello menaio allo scannatoio »
(Isaia 53: 7)? E se non lo ha fatto,
può la sua croi, e diventare la bandiera della rivoluzione? Può la
croce, aH’occor: enza. diventare una spada?
E d’altra j bisogna pur dire che tanto i i sua vita quanto
nella sua moro. v.iesu non ha nulla
del rassegnato, del rinunciatario,
dello sconfitto i .anche sulla croce
egli non è un vinto: « Io depongo
la mia vita... Nessuno me la toglie,
ma la depongo da me »: Giov. 10:
17), non ha nulla del conformista,
ligio alle autorità costituite, religiose o civili che siano, nulla dell’uomo che vuol re.stare nel quadro
della legalità. <mansueto-ed
umile di cuore, ¿a anche rovesciare i tavoli dei cambi amoneta e cacciare i mercanti dai Tempio. Egli,
che non è venuto ad abolire la Legge, infrange sistematicamente il
Sabato. Così, se Gesù non può essere considerato un rivoluzionario,
può ancora meno essere considerato un anti-rivoluzionario, che lascia le cose come sono. Se la croce non può diventare la bandiera
della rivoluzione (e i cristiani non
possono semplicemente essere i
suoi « crociati »), tanto meno essa
può diventare il vessillo della contro-rivoluzione.
In realtà Gesù ha saputo trac
Domenica di Pasqua in tutte le comunità colletta per le vittime del conflitto vietnamita in risposta all'appel
lo del C.E.C. e della Federazione
Evangelica italiana.
dare e percorrere una via assolutamente originale, diversa sia dalla via conformista e — diciamo
così — lealista dei capi sacerdoti
sia da quella rivoluzionaria degli
Zeloti. La via originale scelta e percorsa da Gesù è la via della croce.
La sua originalità rispetto a tutte
le altre consiste nel fatto che essa
è una via che si può percorrere
solo per fede, l'unica via che si
percorre per sola fede, cioè senza
ricorrere ad alcun appoggio umano, ideologico e partitico. Nè la
via conservatrice nè la via rivoluzionaria sono vie che si percorrono
per sola fede: neH’una e nell’altra
entrano in giuoco, accanto alla fede, altri fattori.
Quel che caratterizza la Chiesa
del nostro tempo è la sua incapacità di fare una scelta originale, come seppe farla Gesù. Abbiamo da
un lato — quasi dovunque — una
Chiesa timida, neutrale, disimpegnata, chiusa nei suoi problemi religiosi, che esercita di fatto una
funzione conservatrice dell’ordine
presente, anche quando balzano
agli occhi le sue flagranti ingiustizie e contraddizioni. Abbiamo d’altro lato una nascente Chiesa ribelle, che sposa la rivoluzione vista come strumento di cui Dio si
serve per attuare la sua volontà
in terra come in cielo, scavalcando
la sua Chiesa irrimediabilmente
infedele. L’uno e l’altro tipo di
Chiesa mancano di originalità, di
sapore evangelico.
Gesù muore, tra l’irritazione dei
rivoluzionari (che si sentono traditi) e la soddisfazione dei capi religiosi (felici di aver salvato la
Legge, l’Ordine e se stessi). Gli uni
pensano che Dio si riveli nelle rivoluzioni, gli altri che si riveli nel
loro Tempio. Ma Dio si rivela nella croce, che non è nè un campo
di battaglia nè un santuario.
Certo, non è facile essere la
Chiesa di un Signore crocifisso,
non è facile « seguire le sue orme »
(I Pietro 2: 21). Non è facile vivere di sola fede e incamminarsi per
la via solitaria della croce. Probabilmente ci passiamo tutti lontano. Ma in questo modo, chi potrà
trovare la via?
Paolo Ricca
Per la Da.Twnica della Gioventù una predicazione del segretario FUV
Amministrare la giustizia
"...Dà al tuo servo un cuore intelligente ond'egli po.ssn
amministrare la giustizia per il tuo popolo e discernere
il bene dal male; poiché chi mai potrebbe amministrar
la giustizia per questo tuo popolo che è così numeroso?"
(I Re 3: 9)
La posizione del giovane Salomone che sale al trono è senza dubbio
invidiabile. Figlio di Davide, il re
nella cui famiglia nascerà Gesù e
che sembra a tratti nell’Antico Testamento essere una vera prefigurazione del Cristo, per grazia, malgrado il suo peccato, Salomone ha
un sogno. Dio gli offre quello che
a lui piace di più. Ogni giovane
confermato che si ponga il problema della sua fede vorrebbe ben essere al suo posto. Figlio di una famiglia di credenti e di una chiesa
in cui si scorga l’immagine del Signore e del suo Regno che viene, e
che Dio gli chieda, per di più, che
cosa vuole ancora. Evidentemente
nessuno si sente in una cosi felice
posizione. E poi c’è il fatto che Salomone è un re e noi viviamo in
un’epoca in cui la nozione stessa di
re ci è come il fumo negli occhi.
Anzi, abbiamo abbattuto molte monarchie e poi ci siamo accorti che
altri signori regnavano ancora ugualmente sugli uomini e allora ci siamo messi a lottare contro quelli
perchè ci sembra che occorra superare la realtà della monarchia; non
solo il nome.
Eppure se vogliamo scartare immediatamente la possibilità che ci
troviamo nella situazione di Saiomone, manchiamo di fede. Salomone non si trova in quella situazione
perchè è il re di Israele, ma perchè
vive nella prospettiva, anzi nella
realtà del Cristo che viene. La sua
situazione di re non è che lo schema
della situazione di Israele, perchè
anche se Salomone e se Israele non
vuole nulla, anche se non vuole il
Cristo, Iddio lo manda ugualmente
sulla terra. Anche se i giovani confermati non vogliono nulla. Cristo è
morto per loro. Anche se hanno domande da fare a Dio che a Dio stesso non piacciono, Dio dà loro al di
là di quello che chiedono, dà loro
la ricchezza e la gloria della vita in
Gesù Cristo. Non per nulla 1’« insensatezza » della confermazione è
« ben trovata », perchè la si fa cadere nel periodo della passione del
Signore. Non è « ben trovata » perchè è un mezzo efficiente di irreggimentazione ecclesiastica, ma perchè
la si fa cadere nel periodo della passione. Anche quando si eliminerà
la « insensatezza », occorrerà ricor
(continua a pag. 8)
« Un uomo che non vuole morire per
qualcosa, non è capace di vivere ». Questo disse un giorno Martin Luther
King, capo del movimento negro per
i diritti civili. Il 4 aprile egli è stato
assassinato a Memphis (Tennessee).
Questo è un giorno di lutto per la
Chiesa cristiana. Non solo i negri di
America, ma la Chiesa universale ha
perduto un suo pastore. M. L. King
era certo in primo luogo il pastore dd
negri segregati, discriminati, umiliati
e offesi in America e altrove; ma era
anche il nastro pastore. Per questo la
sua morte improvvisa e tragica ci tocca
cos’; profondamente. Non solo perchè
è stato soppresso in modo violento un
uomo che aveva sempre lottato senza
ricorrere alla violenza, ma servendosi
solo delle armi dell’Evangelo che sono
Martin
Luther
King
la predicazione della Parola di Dio,
l’amore fino al sacrificio, la preghiera,
l’azione disarmata. Non solo perchè è
stato soppresso un nostro fratello in
fede, la cui battaglia spirituale e civile
sentivamo, sentiamo e sempre sentiremo come nostra. Ma perchè è stato
follemente fatto tacere un uomo che,
in una situazione profondamente iniqua da un lato ed esplosiva dall’altro
come quella in cui oggi si trovano i
negri americani, sapeva predicare l’Evangelo ai negri e ai bianchi, sapeva
indicare quella via stretta tracciata da
Gesù per i suoi discepoli e testimoni —
la via della croce — e l’aveva fino ad
oggi percorsa con esemplare coerenza.
Già due volte, su questa via, si era attentato alla sua vita: ciò nondimeno
egli non l’aveva abbandonata. Su di
essa, ora, è caduto.
Si narra che quando, agli albori della Riforma, si sparse in Germania la
voce (infondata) che Lutero era stato
ucciso da sicari deH’imperatore Carlo
V, il pittore A. Dürer disse; «Ed ora
che Lutero è morto, chi ci predicherà
l’Evangelo? ». La stessa domanda ci poniamo oggi apprendendo che M. L.
King è stato barbaramente assassinato. Ci chiediamo : « Ed ora che Martin
Luther King è morto, chi ci predicherà l’Evangelo riguardo al problema razziale? ». Questa domanda diventa preghiera : che Dio, nella sua bontà, susciti un altro profeta come Martin
Luther King, un altro predicatore e
testimone dell’Evangelo che ci indichi
la via che egli, per tanti anni, ha saputo indicarci.
* >1« *
Una cosa è certa: la parola di Dio
non è incatenata e il sangue dei martiri, cioè dei testimoni di Gesù che cadono percorrendo la via della croce, è
semenza di cristiani. Il movirnento di
cui M. L. King era il leader spirituale
è un movimento irreversibile che nessuna violenza e ottusità umana (o meglio bestiale) potrà arrestare. Il celebre canto della rivoluzione pacifica negra : We shall overcome, cantato tante
volte da M. L. King e con lui da centinaia di migliaia di negri e anche da
molti bianchi, dice:
La verità ci farà liberi
La verità ci farà liberi
La verità ci farà liberi un giorno.
Oh, lo credo dal profondo del cuore
Un giorno noi vinceremo.
Noi non abbiamo paura
Noi non abbiamo paura
Noi non abbiamo paura, oggi.
Oh, lo credo dal profondo del cuore
Un giorno noi vinceremo.
Nel marzo 1965, tremila negri e bianchi si riunirono nella chiesa battista
di Selma (Alabama) per udire l’invito
di M. L. King : « Camminate insieme,
fligliuoletti miei... L’Alabama diventerà una nuova Alabama e l’America
una nuova America. Ora noi siamo in
cammino. SI, siamo in cammino, e
nulla ci potrà fermare. Lo so che voi
oggi chiedete; quanto tempo ci vorrà
ancora? Questo pomeriggio son venuto a dirvi che per quanto difficile sia
il momento attuale, per quanto deludente sia l'ora efie viviamo, pure non
ci vorrà molto teppo, perchè la verità
calpestata si rialierà. Quanto tempo?
Non molto, perchè la menzogna non
può viverte per sempre. Quanto tempo?
Non molto, perchè voi raccoglierete
ciò che ora seminate. Quanto tempo?
Non molto, perchè il braccio della morale universale è lento, ma pende verso la giustizia».
Non molto tempo ; a questa parola,
sulla tomba di colui che l’ha pronunciata, non può che rispondere l’Amen
della fede e della speranza cristiana.
P. R.
2
pag. 2
N. 14-15 •— 12 aprile 1968
I VALDESI E IL ^-DIRITTO COM01NE„-5
Ricapitolando, alcuno tesi contro un equivoco
Da quanto sono venuto esponendo
nei precedenti articoli penso si possano ricavare alcune indica2Ìoni conclusive che valgano come orientamento
sul tema considerato.
Mi pare che le più evidenti possano
essere cosi precisate:
1 ) La dizione « diritto comune »
non si presta ad un uso astratto ed
improprio per significare, e coprire ad
un tempo, principi teorici di impostazione dei rapporti chiesa-stato. L’errore in cui ebbe a cadere il Bert nel 1848,
coniondendo il « diritto comune » con
il concetto di eguaglianza espresso in
termini di parità nel trattamento giuridico dei culti, ^dovrebbe a mio avviso
valere anche per l’oggi, ad evitare
ulteriori non meno appariscenti e perniciose confusioni concettuali.
2) Ove si elevi a parametro regolatore delle relazioni tra chiesa e stato
un vago e non meglio precisato « diritto comune », non si considera, mi sembra, che tramite questo strumento
giuridico può attuarsi o una politica
ispirata a criteri di giurisdizionalismo
statale in materia ecclesiastica, il che
dà luogo a forme di ingerenza dello
stato negli affari ecclesiastici e religiosi, oppure una politica sostanzialmente concordataria quanto al contenuto, mediante l’acquisizione da parte
della chiesa di una possibile gamma di
privilegi o di vantaggi derivanti dalla
situazione legislativa in atto. Il ricorso
globale al « diritto comune » appare invece assai dubbio possa prestarsi, anche all’infuori della situazione attuale
del nostro paese, per attuare una politica che si ispiri a principi separatisti
di accentuata incomunicabilità (mai
esistita in senso assoluto) tra società
religiosa e società civile. Nel campo
delle attuazioni del principio di separazione il ricorso globale al « diritto
comune » per regolare i rapporti chiesa-stato si può prestare invece come
strumento giuridico per dar forma ad
una politica ecclesiastica a sfondo antireligioso.
3) Il concetto di « diritto comune »
va quindi ricondotto al suo significato
proprio di locuzione indicante la legislazione positiva posta da uno stato
determinato in un dato momento, per
regolare in modo generale ed uniforme un complesso di atti e rapporti che
esso stato ritiene debbono essere soggetti ad una disciplina comune. Tale
« diritto comune », quale manifestazione legislativa unilaterale dello stato,
risulta però sempre gravato e condizionato dalle influenze ideologiche proprie della politica dei gruppi di potere
dominanti nella situazione contingente in cui uno stato si trova.
4) Al « diritto comune » pertanto
non sembra potersi fare ricorso globale come ad un parametro di fondo cui
ispirare la disciplina dei rapporti tra
chiesa e stato. Esso si presenta invece
come mero strumento giuridico a cui è
possibile riferirsi in modo parziale per
la disciplina di alcune materie attinenti detti rapporti: e ciò in dipendenza diretta della situazione contingente di fronte alla quale la chiesa
può trovarsi in uno stato determinato.
Nè esso può considerarsi il solo strumento a cui la chiesa può fare di volta
in volta ricorso in circostanze oggettive particolari.
5) Alla formula « nei limiti del diritto comune », di cui da oltre un secolo la nostra chiesa è gelosa custode,
non pare possibile attribuire altro senso proprio che quello fatto palese dal
significato delle parole secondo la connessione con cui sono espresse. Essa è
inoltre valida nel contesto in cui è stata inserita. Detta formula non appare
suscettibile di dilatazioni che ne
proiettino il significato nel vago delle
astrazioni globali. Essa esprime il preciso concetto che la chiesa debba far
ricorso al « diritto comune » solo quanto ai limiti posti per l’esercizio delle
libertà di tutti e di ciascuno ; e sempre
che il « diritto comune » ponga limiti entro cui la libertà di tutti e
di ciascuno non abbia a sortirne
mortificata od offesa. Tale ricorso
trova la sua giustificazione in una duplice direzione, da un lato per assicurare alla chiesa una libertà non inferiore a quella di tutti gli altri; d’altro
lato per evitare la tentazione di perseguire privilegi altrettanto discriminatori. Fuori da dette situazioni particolari non sembra che il ricorso al « diritto comune » dello stato possa essere
invocato dalla chiesa per altre materie
su di una base di piena giustificazione ; anzi per talune materie risulta
comprovato che il ricorso al « diritto
comune » sarebbe del tutto inadeguato od ingiusto. Per questa ragione appare necessario non disperdersi nella
ricerca di preordinati schemi teorici,
ma seguire con attenzione le situazioni concrete.
6) Appare inoltre indubbio che,
quali che siano gli strumenti di cui la
chiesa possa valersi per impostare in
un dato ambiente storico i propri problemi giuridici, nessuno di essi potrà
mai essere elevato a sistema regolatore. Infatti sembra ovvio che la chiesa non debba lasciarsi dominare nè
dagli strumenti formali che si disponga ad usare, nè dai criteri ideologici
che possono essere espressi dalla politica dei vari stati come presunti sistemi regolatori dei rapporti con la chiesa, siano essi espressi in termini di giurisdizione od anche di separazione.
7) Di ciascuno strumento la chiesa
a mio avviso potrà fare uso legittimo
solo subordinandolo ai principi di fondo che presiedono alla determinazione
della sua posizione in seno ad una società civile organizzata a stato e ne
giustificano la presenza, cioè l’annuncio della Parola e la testimonianza resa al Signore che viene.
Tali principi, da cui la nostra chiesa
non si è sino ad ora dissociata, sono :
la Ubertà della fede e delle estrinsecazioni in cui essa si rende anche pubblicamente manifesta ; l’indipendenza
delle istituzioni ecclesiastiche da inframettenze esterne; il conseguente rifiuto delle discriminazioni e dei privilegi.
8) È appena il caso di precisare
che le suddette rivendicazioni di libertà e di indipendenza la chiesa non
le invoca a suo uso esclusivo, o peggio
in senso trionfalistico. La chiesa ben
sa che per sè sola non ha rivendicazioni da compiere o diritti da far valere all’infuori di quello di annunciare
la Parola di Dio agli uomini e render
testimonianza al Signore che viene,
quali che siano le condizioni giuridiche nelle quali gli uomini stessi intendano consentirglielo o vietarglielo.
La chiesa, ed i credenti che la esprimono, non agiscono infatti in funzione di un « loro » preordinato e chiuso
ambiente ecclesiastico. Le rivendicazioni dei diritti indicati nei valori di fondo surrichiamati non sono orientate
alla sola giusta posizione dei rapporti
istituzionali tra chiesa e stato. Sono
allargabili, ma non ai soli più lati rapporti tra società religiosa e società civile ; tali rivendicazioni investono di sè
globalmente l’azione della chiesa nella
società civile, come aspetto giuridico
dell’azione del credente nel mondo.
9) Tale valutazione può non esser
emersa in modo palese nel corpo della
chiesa in determinate epoche storiche,
particolarmente in quella in cui la
chiesa ha dovuto indirizzare la sua
azione per liberarsi innanzi tutto dai
ceppi in cui era costretta da regimi di
oppressione. Ma la contingenza del
tempo presente consente il predetto allargamento di orizzonte e di visuale.
Nè mi sorprenderebbe che in definitiva nell’animo di quanti oggi fanno inconsapevole ricorso globale ad un ipotetico « diritto comune » si nasconda
prepotente la suddetta esigenza che
non trova in essi tuttavia termini adeguati per esprimersi.
10) Ma allora occorre convenire
che il credente, e la chiesa con lui,
non può nè aspirare a promuovere soluzioni giuridiche umanamente definitive sul piano della storia, nè adoperarsi aH’inganno di umane promesse
avveniristiche. La chiesa, consapevole
che il diritto normativo non potrà
mai essere sufficiente per tutti, non potrà mai rendersi paga delle soluzioni
contingenti da esso offerte. L’umana ingiustizia e la giustizia di Dio sono per
lei parametri inconciliabili ed il primo
non potrà mai esser strumento per attuare il secondo. Tuttavia questa realtà della condizione umana non può
esimerla dal promuovere, in seno alla
società civile in cui rende testimonianza al Signore, quelle azioni e quegli interventi che a seconda dei momenti e
dei luoghi riterrà confacenti per affermare e rivendicare a favore di tutti i
valori della libertà e dell’indipendenza.
11) Un « diritto comune» di qualsiasi stato non potrà quindi mai esser
considerato « giusto », se mai solo adeguato in una situazione contingente e
precaria. Ragione questa per la quale,
ove si volesse adottare una formula
approssimativa per rappresentare ad
un tempo quella base di libertà religiosa che taluno tra i nostri teologi vorrebbe situata nel « diritto comune » e
quel fondamento della libertas ecclesiae che Conte vede nella formula ; « il
diritto comune è sufficiente alla chiesa,
se non lo è significa che è insufficiente
per tutti e occorre lottare in tal senso », io proporrei una formula che
esprima tutto il contrario di quella; e
cioè : « dove il diritto comune non è
sufficiente per tutti, non lo è neppure
per la chiesa, e questa, anche se sola,
deve adoperarsi perchè l’ordinamento
della società in cui essa testimonia sia
più rispondente alle attese di libertà e
e di giustizia degli uomini che la costituiscono ».
12) Tuttavia, chiarito anche sotto
quest’ultimo aspetto il senso che può
avere un richiamo al « diritto comune » da parte della chiesa, il problema
della linea da seguire nella situazione
attuale, per impostare in modo adeguato le relazioni della chiesa con la
società civile in cui è chiamata a testimoniare, non è risolto. Si è solo, almeno lo spero, chiarito un equivoco non
solo terminologico.
Una chiarificazione sarebbe conseguentemente necessaria su molti altri
punti i>er' ripensare il passato in funzione del presente, per cercar di distinguere quali siano stati gli strumenti
contingenti di cui nel tempo si è potuti valere, e quali siano quelli che il
mondo di oggi ci offre per affermare
e difendere quei medesimi valori di
fondo, validi in ogni tempo, che i nostri di allora hanno rivendicato e difeso in climi cosi diversi dal nostro.
Valori questi che noi tutti dobbiamo
parimenti riaffermare e difendere nel
nostro tempo. Non un presunto « diritto comune », ma questi valori costituiscono il parametro di fondo su cui
misurare che cosa debba essere « sufficiente » sul piano giuridico ; ed occorre considerare di quali possibili strumenti ci si debba valere per affermarli.
Solo chiarendo a noi stessi, sulla base di tali valori, la nostra posizione
nella società giuridicamente organizzata a stato, potremo nel contempo avvertire quali siano le linee di condotta
per rendere a tutti una adeguata testimonianza anche in questo campo, affinchè le leggi comuni diano ad ognuno ciò che è sufficiente a tutti ed a ciascuno.
Su questi punti mi pare che i documenti espressi in questi ultimi amai
anche dalla nostra chiesa diano indicazioni sufficientemente chiare e precise per l’orientamento di ciascuno.
Giorgio Peyrot
PERCHE^ NON SONO CONVINTO
Continuo a vedere una ricerca di privilegi ecclesiastici
Non è facile rispondere al torrente di argomenti che Giorgio Peyrot ha riversato su
di me per alcune settimane. Cercherò di farlo in modo schematico; occorre però che
noti, prima di iniziare, che il Peyrot mi ha
rimproverato a varie riprese di valermi di
slogans : se mette così le cose, posso ben
ritorcergli che più d'uno dei suoi argomenti
possono apparirmi poco più che degli arzigogoli.
1) Gli sono veramente grato — come
10 saranno stati i lettori — per lo sfondo
storico in cui egli ha inquadrato la questione che oggi ci occupa e preoccupa. E riconosco che può apparire improprio, a chi ha
sepsibilità giuridica affinata, l’uso dell'espressione « diritto comune » confondendolo con
11 concetto di uguaglianza. Faccio però appello alla media dei lettori, convinto che
essi abbiano perfettamente inteso quel che
volevo dire: intendevo parità di cittadini,
non parità di culti (che può essere parità
nel privilegio). Niente astrazioni, dunque.
2) Non sono così ingenuo da non comprendere e constatare che il « diritto comune » di volta in volta vigente in questo o
in quello Stato può essere tutt'altro che soddisfacente. cioè tutt’altro che rispondente al
principio della parità dei cittadini (e delle
associazioni; non vedo infatti perchè per
lo Stato « laico » l'associazione religiosa dovrebbe essere qualitativamente diversa da
quella sportiva, come un giornale religioso
rientra nella legge generale sulla stampa
quanto uno politico o culturale). Lo dicevo
esplicitamente nell'articolo che il Peyrot discute.
3) In tal caso — e ne resto tutt'ora
convinto — quel che la Chiesa deve richiedere, quello per cui deve lottare accanto ad
aXri, è la libertà per miti: neH'ambito di
questa sarà sufficiente la sua libertà e nella
misura in cui non sarà per tutti, significherà o che la Chiesa ha cercato una situazione privilegiata, modesta o strapotente, o
che ha messo la sua lampada sotto il moggio e che ha lasciato che il suo sale diventasse insipido. La situazione della nostra
Chiesa sotto il regime fascista è un esernpio
parlante. Non lo dico con spirito di giudizio — perchè quale statura abbiamo noi,
ho io per giudicare i « maggiori »? — ma
come una dolorosa constatazione: anche la
nostra piccola Chiesa è stata lasciata in pace nella misura in cui le bastava la sua piccola libertà « fra le mura », mentre i relativamente pochi (il, Peyrot non mi dirà che
Bruno Revel, Giovanni Miegge e il loro
gruppo esprimevano la Chiesa Valdese) che
hanno resistito, si sono trovati a lottare accanto ad altri per la libertà di tutti. Al di
là della fedeltà di Dio alla sua Parola e al
suo popolo, si può dire che i nostri pastori
e i nostri sinodi abbiano preservato per noi
la libertà di oggi più di quanto non abbiano
fatto uomini « del mondo » come i Rosselli
e i Salvemini?
4) Negli ultimi decenni la nostra Chiesa
— come altre Chiese evangeliche italiane ■
mi pare essere stata custode gelosa della
formula « nei limiti del diritto comune »
solo intendendola « nei limiti del diritto comune dei culti ». e quindi ovviamente rimorchiata dalla massiccia maggioranza.
5) È vero che lo sguardo al passato, nei
mio modesto articdiò, tendeva a inquadrare
la situazione presente. E in tutti i suoi articoli Giorgio Peyrot non mi ha risposto se
considera o no come dei « privilegi » —
modesti fin che si vuole — il matrimonio
civile in chiesa evangelica, l’esenzione dei
pastori dal servizio militare, l'assistenza sanitaria e la pensione statali ai pastori (non
in quanto cittadini — ci sono ancora categorie che non ne godono — ma in quanto
categoria), l'insegnamento della « religione
valdese » nelle scuole statali primarie e secondarie alle Valli. Quand’anche lo Stato
avesse legiferato unilateralmente in questo
senso — ma non credo che così sia stato ■—
non eravamo tenuti a valerci di questa legislazione discriminatrice. Nessuno obbliga
sposi e comunità a perpetrare il pasticcio
liturgico e giuridico del nostro matrimonio
civil-religioso in chiesa; nessuno forza il candidato in teologia o il giovane pastore (prescindendo dal problema dell’obiezione di
coscienza) a richiedere, o la Tavola Valdese
per lui. l’esenzione dal servizio militare; mi
domando sinceramente se lo Stato aviebbe
imposto l’assistenza mutualistica ai « ministri di culto », qualora le intese non fossero
state sollecitate da parte nostra (dò atto
per altro della sensibilità con cui è stato
rifiutato dal Sinodo un diktat unilaterale),
e anche ora non sono certo che siamo costretti a valercene; non credo risponda a verità che lo Stato ci impone le lezioni di religione nelle scuole delle Valli.
Un discorso a parte meriterebbero le opere sociali della Chiesa. Se da un lato, infatti,
non si giustifica una sovvenzione statale a
scuole confessionali, evangeliche o cattoliche. c’è invece da chiedersi se risponde a giustizia una legge come la legge MarioKi sulla
nazionalizzazione dell’ assistenza sanitaria
(non mi pare che. in genere, le nazionalizzazhini abbiano avuto buon esito, in Italia
come in altri paesi, diciamo così, evoluti; a
paite la corruzione dell’apparato nostrano);
da un più che doveroso controllo pubblico
da un punto di vista sanitario, si è passati
a una centralizzazione burocratica, che è
tu'lt’altra cosa e ben più infelice. In questo
quadro, anche se può apparire anch’essa
un privilegio, il riconoscimento dell’autonomia degli enti ecclesiastici d assistenza può
trovare una qualche giustificazione.
6) Quanto ai « principi di fondo che
presiedono alla determinazione della sua
(della Chiesa) posizione in seno ad una
società civile organizzata a stato e ne giustificano la presenza, cioè l’annuncio della
Parola e la testimonianza resa al Signore
che viene », riprendo quanto ha scritto, in
una lettera pubblicata sul n. 12, un lettore
torinese. M. E. Franchino; «La Chiesa
"per vivere” non ha bisogno essenzialmente
di garanzie giuridiche sufficienti. La condizione normale della Chiesa in tutti i tempi,
nella misura in cui sarà Chiesa confessante,
è quella di non "avere garanzie giuridiche
sufficienti" ». E accosto questa forte affermazione. letta nell’articolo di Alfonso Prandi, La Chiesa si arrende al mondo? (« 11
Mulino », febbr. ’68). di cui parlavo nell’editoriale del numero scorso; «La Chiesa
non ha una libertà da iscrivere alla pari
con le altre libertà di cui parla il mondo.
Essa non è mai tanto libera, come quando
il mondo la opprime e la umilia. E quando
si rivendica "la libertà della Chiesa” traspare l’inclinazione a proporla come fine e a
guardare alla sua prosperità come al segno
di una gloria, che non può essere sua. Ci
pare pur significativo che l’atto supremo
della redenzione sia stata una infamante
crocifissione! ». Dette in un contesto cattolico. queste parole non hanno nulla da dirci? È questo richiamo alla croce che determina ciò che penso in questa materia, così
com’è stato chiaramente definito, mi pare,
in tutta una serie di articoli di Vittorio Subilia su « Protestantesimo » e ultimamente
nel capitolo su « La libertà religiosa » ne
La nuova cattolicità del Cattolicesimo. La
Chiesa lotta per la libertà degli uomini, accanto agli uomini; la sua libertà (non puramente interiore!), quella che le v:ene dalla croce di Cristo, la vive.
Gtno Conte
I problemi del canto popolare
in un incontro amichevole a Frali
Un am chevole incontro di appassionati e
di responsabili nel campo del canto popolare, e in particolare, del canto di montagna,
ha rumilo insieme per qualche ora, la sera
di sabato 30 marzo, di'versi direttori di corad valdesi e di cori valligiani. Airincontro,
organizzato con squisita ospitalità dal Sig.
Roberto Malan presso l'Albergo Malzat di
Frali, partecipavano inoltre il noto critico
musicale Massimo Mila, il Prof. Grassi delrUniversità di Torino, e Toni Ortelli. autore della diffusissima canzone « La montanara )); inoltre, al completo, la « Grangia », coro di voci virili di Torino, col suo direttore
Agazzani; furono appunto i cantori della
(( Grangia » a introdurre con alcuni loro apprezzatissimi canti, al termine delTottima
cena, la parte saliente dell’incontro: una discussione breve, succosa ed appassionante sul
tema : ricerca dei canti popolari, loro armonizzazione, loro diffusione presso il pubblico non direttamente interessato.
Anzitutto si udì una breve relazione del
Prof. Buratti che spiegò le finalità della
Ecole dou Po, ente culturale che studia i dialetti delle vallate alpine confluenti nel Po,
e i loro rapporti col provenzale. Il Prof. Grassi presentò una tesi di laurea di una sua
alunna in cui è crìticamente descritto il lun.
go, paziente ed amoroso lavoro del nostro
compianto Prof. Emilio Tron, accanito ricer.
catore di testi e musiche di vecchie canzoni
popolari e complaintes; la sua figura fu rievocata con nobili parole e riconoscenza. I direttori di coro Agazzani e Bonino misero in
rilievo la necessità di una ricerca diligente
e capillare di vecchie melodie popolari nelle
nostre vallate, la cui presentazione al pubblico giustificherebbe, anche sotto un profilo
culturale. Tattìvità dei cori folklorlstici. Il
M.o Corsani fece notare il particolare aspetto
delle corali valdesi nelle quali, più che Tinteresse culturale, è vìvo rintenlo di esprimere i vincoli di fede, di storia e di costume che legano insieme gli appartenenti al
piccolo popolo valdese; il Sig. Ortelli sostenne la necessità di ravvivare in tutti i cantori, accanto aU’interesse erudito, un sincero
amore per la montagna; infine il Prof. Mila
avvertì che bisogna rispettare una caratteristica del canto popolare e cioè la comprensibilità del teslo; ciò si ottiene con armonizzazioni assai semplici e quadrate, simili
a quelle dei canti luterani pur così espressive ed accessibili.
Questo dibàttito (una presentazione di
idee, più che una vera discussione) è stato
assai utile per una migliore conoscenza reciproca di persone che lavorano in campi
cosi affini e si presenta suscettibile di futuri
sviluppi, senz'altro giovevoli per la valorizzazione di certi spetti troppo poco noti della cultura delle Valli Valdesi. Perciò i partecipanti dicono ancora un grazie d' cuore
a Roberto Malan, anfitrione e « moderatore » di un convegno così piacevole ^ interessante .
F. C.
Periodico
bimestraie
per bimb
12 Pagg. a colori,
copertina a 4 colori
Abbonamento annuo L. 600. Chiedete
copia saggio gratuita. Informazioni alla redazione. Casa della Bibbia - Via
Balbi 132 - 16126 Genova, c.c.p. 4/560.
Toujours Joyeux, edizione francese.
IL COroUEGIVIO DI PRIlUfll/ERa DELPfl. I. E. E.
Dibattito sulla scuola
I lavori del Convegno di Primavera dell’A.I.C.E.. svoltisi a Pinerolo il 19 marzo
u. s., sono stati aperti da] culto del pastore
Bruno Rostagno che ha sottolineato l’impegno sociale e comunitario dellinsegnante.
La mattinata è stata poi impegnata nella
parziale visione delle diapositive di Roberto
Eynard, riportate dal suo recente viàggio in
Israele durante le vacanze natalizie.
La prof. Malan ha voluto offrire un breve ma gustosissimo resoconto della sua attività di assessore presso il Comune di Torino, documentando le sue impressioni con
una vasta copia di esempi concreti. La prof.
Gay ha quindi introdotto la discussione sul
problema studentesco a Pinerolo e nelle Val.
li, illustrando le iniziative intraprese nella
.sua scuola p l’attività del gruppo <i 2.3" ora ».
L'A.I.C.E. (Associazione Insegnanti Cristiani Evangelici) organizza per il giorno 21 aprile
p. V. (ore 15) presso la Chiesa Valdese di Pinerolo g. c. un
dibattito sulla
Situazione scolastica attuale
e crisi delle istituzioni.
Sono invitati a partecipare al
dibattito tutte le persone interessate al problema educativo
e in maniera particolare i pastori locali, i genitori, gli studenti e gli insegnanti, al fine
di stabilire un dialogo risultato
difficile in altra sede.
La tliscussione è pro&eguita nel pomeriggio. con Tintervento di un folto gruppo (U
insegnanti che hanno esposto il loro punto
di vista e la loro opinione, nei confronti
delle attuali agitazioni e dei provvedimenti
già in atto o da attuare. Una Commissione,
nominata sul momento, ha redatto un inlt'ressante o.d.g., che specifica la posizione dell’A.I.C.E. per ciò che concerne la situazione scolastica italiana odierna e che è stato
approvalo dalla maggioranza dei presenl' :
I partecipanti al Congresso A.I.C.E.
(Associazione Insegnanti Cristiani
Evangelici) del 19 marzo 1968 a Pinerolo,
coscienti della loro responsabilità
neRa grave crisi che travaglia la scuola e là società,
esprimono la loro solidarietà ai motivi di fondo delle agitazioni studentesche, pur dissentendo da certe manifestazioni e:-:asperate,
si impegnano nello spìrito rinnovatore deU’Èvangelo ad ispirare la propria attività professionale ai princìpi
di una scuola aperta e non autoritaria.
Infinp vi.sla la gravila llalla situazione e
riii'gcnza (li un chiarimento da entrambe
le parti. l’A.I.C.E. ha pensato di fissare per
il pomeriggio del giorno 21 aprile (ore 1.3),
l>resso la (Chiesa Valdese di Pinerolo, un dibattito libero a cui sono caldamente invitati
a partecipare i pastori locali, i genitori e gli
studenti valdesi delia Val Pellice e Chisone
c naturalmente di Pinerolo. Contiamo vivamente sulla presenza di tutti, al fine di prospettare su basi rinnovate le possibilità di
una soluzione che non sia solo un compromesso. r.
3
12 aprile 1968 — N. 14-15
pag. 3
risalire, alla luce DELL’El/ANGELO
UNllSTERVISTA DEL MISSIONARIO MICHEL BERNARD
Alle sorgenti della libertà [g Chiesa Bel giovane Stato del Lesotho
Una meditazione sulle tentazioni
land de Puvy - «l testimoni ciechi»
Quali sono, alla luce dell’Evangelo, le
sorbenti, le origini della vera liberta.
A questo interrogativo risponde il pastore Roland de Pury in una sene di
conferenze per il tempo di Quaresima
radio diffuse da France-culture nel
1967, ora pubblicate dalle edizioni Labor e Fides di Ginevra.
Tali origini risalgono alla resistenza di Cristo al Tentatore nel
deserto. Per 40 giorni Gesù conosce
una solitudine estrema, la fame, la miseria degli uomini schiacciati da una
natura dove Dio è assente; alla fine
una voce lo invita a fare tre cose per
salvare gli uomini, se veramente egli è
Figlio di Dio : 1 ) a dare loro del pane
2) a fare miracoli 3) a dare il potere.
Gesù riconosce in questa voce un Avversario, non la voce del Padre; Egli
distingue nettamente le due voci, che
noi siamo pronti a confondere. quella
del Padre, che Gesù conosce, e quella
dell’Altro, fatto a nostra immagine.
Gesù dà al Tentatore una risposta
assolutamente sovrana e libera, mettendo in piena luce quale è la libertà
di Dio, e quale deve essere la nostra:
Egli disprezza il potere che il pane gli
darebbe sull’uomo e rifiuta di salvare
€ regnare, se non con la Parola; questa Parola che è il dono di sè stesso;
« il pane che darò per la vita del mondo è la mia carne».
Cos i una prima catena è spezzata.
Ma anche una seconda catena si
spezza con il rifiuto da parte del Cristo di prendere gli uomini per mezzo
del soprannaturale ; Dio non è il grande Mago dell’universo, il demagogo
che non rispetta la condizione e la libertà della ST3a creatura; il miracolo
non deve diventare una trappola per
prendere gli uomini. Nuovamente, respingendo la tentazione, Gesù salva la
nostra libertà e la libertà di Dio.
Il Tentatore in terzo luogo offre a
Gesù il potere. Ma Gesù è il Signore
di ogni cosa, come può ricevere il potere da Satana? Egli ha ricevuto le nazioni in eredità dalla mano del Padre,
ed ora un Altro gli fa la stessa promessa e vuole sostituirsi al donatore.
Certo Cristo regnerà, ma in quale
modo? Non con i m_ezzi e le armi di
questo mondo, bensì con armi scelte
da Lui liberamente, e che non sono
di questo mondo. È il modo con cui si
prende e si esercita il potere che qualifica il Figlio di Dio : non la coercizione, non la violenza, ma la libertà per
ciascun uomo di accogliere o no Gesù,
di disobbedire o di servire Dio. Per far
conoscere Gesù e per accreditare la
sua parola dobbiamo dunque appoggiarci esclusivamente su questa Parola
medesima : essa è sufficiente e disarmata fino alla fine del mondo.
* * ❖
Vi sono alcuni capitoli sulla libertà
religiosa, la quale non è fondata su di
noi, nè sulla nostra dignità, ma sulla
verità stessa e sull’atteggiamento del
Signore nel resistere al Tentatore. Non
si può associare la predicazione dell’Evangelo all’azione dispotica, alla violenza, alla persecuzione, perchè appunto l’Evangelo è il rifiuto che Gesù fa
di questi mezzi. C’è da domandarsi,
con sbigottimento, come il veleno satanico abbia potuto infettare per secoli la chiesa che imponeva la verità:
come ha potuto la chiesa disprezzare
la verità fino a questo punto? La chiesa che opprime, che costringe è la chiesa del Tentatore e non quella di Colui
che ha resistito al Tentatore in nome
della verità e della libertà.
In questa luce è anche messo a fuoco il problema deH’Ecumenismo : l’unità della chiesa, infatti, non può essere
fatta se non nella libertà e nella verità. La verità potrà unire soltanto
uomini liberi e chiese libere: qualsiasi
pressione di una chiesa sull’altra, qualsiasi opportunismo o considerazione
di prestigio potranno soltanto distruggere l’unità.
L’autore fa inoltre una netta differenza fra la libertà religiosa e la libertà cristiana; Gesù non è una verità
h a ie altre, ma è la sola verità, insienc con il Padre e lo Spirito Santo. Se
VI c una sola verità, non ci sono dunque molte religioni; quindi non sarebbe necessaria la libertà religiosa. Tuttavia, pur conoscendo l’assoluto della
verità cristiana, i cristiani difendono
la libertà religiosa, perchè nel mondo
attuale essa va difesa, fino alla manifestazione trionfale dell’unica verità
nell’ultimo giorno.
Però la libertà religiosa deve avere
anche un limite per il cristiano, quando essa significa libertà di esprimere
tradizioni religiose incivilì deplorevoli
0 addirittura criminali, come : sacrifici
umani, divieti alimentari per cui un
popolo muore di fame per lasciar vivere animali sacri, mutilazioni rituali,
commercio di esseri umani, ecc. I cristiani devono sostenere lo Stato contro questi poteri religiosi tabù, che paralizzano lo sviluppo dei popoli. La libertà religiosa ha dunque per limite
evidente il rispetto della vita e l’amore
òo; prossimo.
« *
Una conferenza tratta poi dei testimoni ciechi della settimana della Passione. Essa merita un’attenzione particolare, perchè da sola può dare la misura del valore di questa raccolta di
studi del pastore Roland de Pury. I
personaggi dell’ultima settimana della
di Gesù, sotto la penna di Rodella settimana della Passione
vita di Gesù su questa terra, quando
Satana ricompare potentemente cercando di annientare per sempre la libertà, sono detti testimoni ciechi; essi sono Pietro, Caiafa, Pilato, Erode, la
folla: tutti costoro sono un gruppo di
alienati, in mezzo ai quali solo Gesù è
libero; Egli rifiuta la fuga, l’offerta dei
Greci, la spada di Pietro, le legioni di
angeli, rifiuta tutto, per non servire un
falso dio: l’Avversario.
Ma Colui che non sarebbe mai sceso
dalla croce per obbedire all’Avversario, è risuscitato, manifestando in tal
modo la libertà di Dio che trionfa sul
mondo. Una libertà che è la Sua, ma
anche la mia, perchè Egli me l’attribuisce, e ne ha pagato il prezzo.
Gesù nel Deserto e sulla Croce ha
rifiatato tutto ciò che l’Avversario gli
offriva per avere in cambio noi. Pasqua è il trionfo della libertà di Dio ed
aiiche della nostra; «ero morto, ma
ora sono il Vivente nei secoli dei secoli ».
^ ^ 3}:
Seguono ancora alcune conferenze
sulla psicanalisi, sull’unità dell’essere
umano, sulla legge della libertà, sulle
dimensioni del trionfo di Cristo, nel
quale sono tutte le sorgenti della libertà.
A volte l’argomentare si la molto
serrato, molto brillante, e questo, a mio
parere, lo rende meno limpido e naturale. La lettura di questo libro non è
facile e piana; tuttavia, come gli altri
scritti del medesimo autore, essa costituisce un singolare arricchimento per
la nostra vita spirituale. Edìna Ribet
Il pastoie Miche! Bernard, da parecchi anni al servizio della Missione
evangelica di Parigi nella Chiesa evangelica del Lesotho {già Basutoland,
una piccola ’asole" neU’Unione sudafricana) ha compiuto nelle ultime
settimojie un gito di visite, predicazioni e conferenze nelle Valli valdesi, parlando della vita di quei fratelli africani, dei problemi che si pongono loro in uno degli Stati più giovani del continente nero, circondato
dalla triste situazione di apartheid della Repubblica sudafricana, alle
prese con dure difficoltà di sviluppo: i Basotho, un popolo di rudi montanari, fra i quali la Chiesa evangelica vive da oltre un secolo e pare
talvolta già gravata dal peso della tradizione. Il nostro collaboratore
Bruno Rostagno ha intervistato per voi il nostro ospite, che ringraziamo per la sua venuta e per aver risposto alle nostre domande.
1. - Che cosa è il Lesotho?
Il Lesotho, anticamente Basutoland,
è oggi un regno indipendente. Dopo
numerose guerre, prima contro le tribù
Zulù, Koranna, Batlokoa (fino al 1853)
poi contro i Boeri (dal 1858 al 1868), i
Basotho il 12 marzo 1868 sono passati
sotto il protettorato della Gran Bretagna. Il protettorato inglese è terminato il 4 ottobre 1966, data in cui il Ba^
sutoland è diventato indipendente,
prendendo il nome di Regno del Lesotho.
2. - Che significato ha questa indipendenza?
Si tratta soprattutto di una indipendenza politica. Cioè l’amministrazione
è stata passata dall’Inghilterra ai Basotho. Il governo attuale è di tipo britannico: la vita politica del paese dipende dal parlamento, eletto a suffragio universale (anche le donne hanno
il diritto di voto; e dal Senato, composto in parte da rappresentanti dei
Capi Tribù e in parte da Senatori scelti dal re fra i diversi partiti politici. Il
Re è un sovrano costituzionale che davanti al governo ha un potere molto
ridotto. Ha ricevuto il nome di Moshoeshoe II; Moshoeshoe I fu il fondatore della nazione prima del protettorato. Il Lesotho è divenuto membro
dell’O.N.U. nel 1967.
3. - Chi è il capo del governo?
È il primo ministro, che è il capo del
partito di maggioranza.
4. - Vi sono molti partiti politici?
Si. Tre partiti si dividono i seggi al
parlamento: 1) Il partito nazionale,
che si può definire di destra (Basutoland National Party). È il partito di
maggioranza. Partito dei capi, sostenuto dalla chiesa cattolica. È capeggiato dal primo ministro Leabua Jonathane, che è a sua volta un capo tribù. 2) Il partito del congresso (Basutoland Congress Party). È il partito
dell’opposizione; nazionalista di sinistra. È il primo partito creato nel Lesotho; ha chiesto l’indipendenza completa del paese. È anche il partito che
RlCORDA]riDO DAVIDE JALLA
Un credente, un servitore
Il Generale Davide dalla, anziano
della Chiesa Valdese di Ivrea, non è
più in mezzo a noi. Improvvisamente,
al termine di una degenza in clinica e
quando stava per far ritorno a casa,
la morte è sopraggiunta ed i suoi occhi si sono spenti per sempre quaggiù.
I miei primi incontri con il Generale Davide dalla risalgono alla seconda
guerra mondiale, quando ero cappellano militare e passavo da una zona
all’altra svolgendo il mio compito di
pastore e predicatore dell’Evangelo. Mi
trovavo allora sulle Alpi orientali, non
lontano da Santa Lucia d’Isonzo ed
ero salito fino ai piedi del Monte Nero
per incontrarlo. Più tardi, quando ero
pastore a Torino, lo avevo accompagnato ad Ivrea; tornava dalla prigionia in Germania e la sua salute era
precaria.
Passati molti anni, l’ho ritrovato ad
Ivrea, insieme con la sua diletta Ines
Giampiccoli dalla, deceduta poco più
di un anno fa. Egli era l’anziano della
comunità valdese locale, attivo nel seguire la vita della chiesa, sempre pronto ad aiutare, presidente del Comitato per l’erigendo tempio, fermo nelle
sue convinzioni e soprattutto nella sua
fede. Da suo padre, lo storico Giovanni dalla, aveva ereditato un profondo
amore per le Valli Valdesi ove si recava quasi ogni anno all’epoca del Sinodo. Alto di statura, con alcuni segni
caratteristici di un lungo servizio militare, aveva il tono e l’andatura di un
vecchio ufficiale degli alpini; ma dietro l’espressione del volto un po’ severa, aveva un cuore aperto e buono,
sensibile alla solidarietà umana verso
gli uomini del suo tempo, specialmente verso i bisognosi. Al culto della domenica mattina, l’anziano Davide dalla era sempre presente. Anche se non
tutte le sue idee coincidevano con le
idee dei giovani d’oggi, non ci fu mai
distacco dai giovani nè tentativo di fuga nel recinto della propria vita interiore. Vi era per lui un vivo senso di
stima e di rispetto.
La dipartenza della compagna della
sua vita, Ines dalla, aveva lasciato
una traccia prof .rida nel suo cuore,
anche se riusci’a a nasconderla in
presenza di altre persone. Era largamente conosciuto nella città di Ivrea
per la sua diritti oa; faceva parte di
varie associazioni e, nel suo servizio in
città, non nascondeva la sua fede
evangelica. Aveva seguito con vivo interesse la progettazione e la costruzione di una chiesa Valdese nella città,
dove il locale di culto finora in uso era
ben nascosto allo sguardo di tutti e di
chiunque intendesse recarsi nella chiesa valdese. Nè lui nè la sua compagna
hanno potuto assistere alla costruzione di quell’opera necessaria alla nostra testimonianza. Speravamo che
egli avrebbe potuto essere con noi nella nuova sala in occasione del primo
culto, domenica 31 marzo; la sua vita
terrena si è invece chiusa in una stanza della clinica, nel pomeriggio del 25
corrente.
In questo momento lo ricordiamo
con sincero affetto e siamo attristati
dalla sua dipartenza, pur sapendo di
doverla accettare con la fiducia dell’antico salmista il quale diceva: «O
Eterno, io mi confido in Te; i miei
giorni sono in Tua mano ». La comunità di Ivrea lo amava; la sua morte
lascia un gran vuoto attorno a noi.
Mercoledì pomeriggio, 27 marzo, un
lungo corteo di amici e conoscenti,
preceduto da una compagnia di alpini,
accompagnava la salma del Generale
Davide Jalla al cimitero, dopo aver
ascoltato la predicazione della Parola
di Dio. La salma fu deposta accanto a
quella della sua compagna. Sulla pietra tombale erano già scolpite queste
parole dell’apostolo : « Il dono di Dio è
la vita eterna in Cristo Gesù ».
Nell’ora in cui rievochiamo la memoria di questo nostro fratello in lede,
diciamo ancora ai suoi familiari, in
modo particolare alla figlia Ada in
Palmery, la parole della fede e della
speranza cristiana.
Ermanno Rostan
Anziano della Chiesa Valdese
Ho conosciuto Davide .lalla soltanto durante gli ultimi dieci anni
della sua vita: ma avendo avuto in
questi anni occasione d’una strettissima collaborazione con lui, vorrei dire due parole in suo ricordo.
Figlio di un pastore-professore
del liceo valdese di Torre Pellice,
cresciuto nei primi anni del nostro
secolo, influenzato in modo decisivo
dall’atmosfera spirituale e culturale
di quegli anni, Davide Jalla aveva
scelto la strada dell’ufficiale in servizio permanente effettivo; e aveva
percorso tutta la carriera, fino al
massimo grado. Perciò il trentennio
della grande crisi italiana e europea
lo aveva sempre trovato letteralmente in prima linea, con i suoi alpini, là dove il rischio fisico e mo
rale era più grande. Ma proprio nel
modo di vivere questi rischi emergeva l’uomo formato nel Collegio
valdese, il figlio di Jean Jalla: un
senso di correttezza assoluta, il bisogno di restar fedele alle proprie
scelte, anche quando i consueti termini di riferimento sembravano vacillare. Per questo, ufficiale ormai anziano, egli preferì una lunga
prigionia in Germania alla rottura
dei vincoli formalmente assunti verso quella che per lui era la suprema
autorità della nazione: il re; e quando tornò dai Lager ricostruì pazientemente la sua salute e un nuovo
lavoro, con la stessa tenacia e la
stessa fedeltà alle tavole di fondazione morali della propria vita.
Dopo la guerra fu per moltissimi
anni anziano della chiesa di Ivrea:
una chiesa amata con amore paterno, servita con lineare e costante
fedeltà; e fu in queste funzioni che
ebbi modo di conoscerlo dieci anni
fa : da una parte c’era un « giovane
pastore », pieno di desiderio di novità in campo ecclesiastico, culturale, sociale: dall’altra quest’uomo di
stampo antico, dotato d’un solido
senso della continuità della chiesa
valdese, favorevole all’ordine e alla
disciplina. La mia prima sorpresa
fu di notare che questa divergenza
d’impostazioni non precludeva una
collaborazione intensa, continua e
cordiale ; non era il « bravo laico »
che aiuta, mugugnando un po’, il
u signor pastore » deprecando che
non sia come si desidera : era il
compagno d’opera responsabile, capace di prevenire le iniziative necessarie, capace di sacrificare tempo
e impegni pur di giovare alla vita
della chiesa.
La seconda impressione profonda
che ricevetti fu la lealtà assoluta con
cui questo lavoro veniva svolto: il
signor pastore aveva certamente delle idee sbagliate (massime in campo sociale!) ma andava sempre sostenuto, apjioggiato, aiutato: e
quando scontro c’era, era sempre
frontale, chiaro e onesto ; quando
gli scontri (non numerosi, del resto)
erano terminati, il lavoro riprendeva con immutata lealtà, e anche con
un pizzico d’umorismo. Dietro tutto
questo stavano le virtù del valdese
ottocentesco, trasmesse dalFambiente familiare e coltivate nel culto
della tradizione valdese: queste virtù si esprimevano come realistica
fermezza, coraggio quotidiano e dimesso, paterna pazienza. Ricordo
una sera a cena, Davide Jalla che
raccontava un episodio della prima
guerra mondiale, ammiccando con
bonomia al pastorello antimilitarista: nel 1916 Jalla era un giovane
tenente degli alpini, e si trovava in
trincea con i suoi uomini, tutti piii
anziani di lui, montanari fatti esperti dalla vita e dalla guerra; qualche
istante prima di un attacco contro
le trincee austriache, il giovane te
nentino dic.e ai suoi uomini : « alou
ra, fieni, ’ndouma? » (Allora, ra
gazzi, siete pronti ad andare all’as
salto?) E quei montanari in grigio
verde gli rispondono: « S’a va chiel
i ’ndouma c6 noni auti » (se va lei
all’assalto, ci veniamo anche noi)
poi il tenentino era uscito dalla trin
chiede la restituzione al Lesotho dei
territori occupati dai Boeri prima del
1868 (questi territori fanno ora parte
della Provincia Sud-Africana dello Stato libero dell’Orange). 3) Il partito del
centro (Marematlon-Freedom Party).
Nazionalista moderato, in cui si trova
una parte dei capi e degli intellettuali.
Attualmente dispone di soli 4 seggi al
parlamento.
5. - Quali sono le risorse del Lesotho?
Il Lesotho ha ricevuto la sua indipendenza politica. Ma resta economicamente dipendente da altri paesi, in
particolare dall’Inghilterra e dal Sud
Africa. Le risorse sono insufficienti per
la vita della popolazione (un milione
di abitanti in un paese di 30.000 km.
quadrati costituiti per i quattro quinti
da montagne alte da 2000 a 3400 metri). L’Inghilterra paga i funzionari e
gli insegnanti; la Repubblica Sud-Africana impiega un numero rilevante di
Basotho nelle miniere di oro e di diamanti. Nel paese si fanno allevamenti
di pecore, di capre angora e di mucche; Ma i guadagni provenienti dalla
lana e dal « mohair » non compensano
le perdite nella vegetazione causate
dalle pecore e dalle capre. Questa distrùzione della vegetazione provoca
una fortissima erosione dei terreni.
D’altra parte le mucche, mal nutrite
e di razza inferiore, non producono
latte. Si coltiva il mais e il sorgo; si è
anche introdotto il grano, che sembra
dare una resa maggiore nelle montagne, a causa del clima più umido ; infine si coltivano i piselli e i fagioli. Il
mais e il sorgo rappresentano la principale fonte di alimentazione.
6. - Qual’è la posizione della Repubblica sudafricana nei confronti del
Lesotho?
La repubblica sudafricana considera
il Lesotho sul piano degli altri paesi
stranieri : intrattiene delle relazioni diplomatiche; il primo ministro del Lesotho è stato varie volte ricevuto dal
primo ministro sudafricano per discutere delle relazioni fra i due paesi.
Dal 1964 sono stati stabiliti dei posti
di frontiera; questi vengono chiusi alle 16, alle 19 o alle 22 secondo i posti,
per essere riaperti al mattino alle 7
0 alle 8. I residenti nel Lesotho devono avere un passaporto munito di visto, che deve essere rinnovato ogni 6
mesi; per recarsi nella Repubblica sudafricana occorrono inoltre dei permessi temporanei. D’altra parte, la politica di segregazione in vigore nella
Repubblica sudafricana crea una forte tensione tra f diversi gruppi etnici
a causa di tutte le leggi complicate e
dei divieti che derivano dalla politica
di « sviluppo separato ».
Il Lesoto è costretto ad accettare
{continua a pag. 10)
cea, davanti ai suoi uomini, incontro al fuoco.
Pensavo a questo racconto mercoledì scorso, mentre con alcune centinaia di persone e la compagnia degli alpini attraversavamo il centro
di Ivrea, verso il cimitero; il sole
splendeva alto, molta gente salutava, qualcuno piangeva e quei cento
ragazzi in grigioverde non avevano
nulla di retorico o di marziale. E mi
sono reso conto che quel lontano e
pisodio della guerra del ’15 poteva
avere un grande valore morale, an
che astratto dal quatlro storico che
lo inquadrava — e che non mi sen
tivo di accettare, neanche in quel
giorno di commozione per la par
tenza di un amico. .« S’a va chiel i
’ndouma cò noui auti »: cioè chiun
que assume una posizione di respon
sabilità fra gli uomini deve saper
pagare di persona, tanto con i suoi
gesti esteriori come con i suoi atteg.
giumenti interiori più profondi: de
ve saper pagare il prezzo del corag
gio, del rischio, della fatica e della
sofferenza; e i cosidetti « uomini
semplici » hanno un fiuto infallibi
le per distinguere l’uomo che fa sol
tanto delle parole dall’uomo che sa
scavalcare la trincea quando è giunto il momento. In questo mi sembra
di aver ricevuto da Davide Jalla,
pur nelle grandissime differenze di
idee e di lavoro, una indimenticabile lezione morale.
Giorgio Bouchard
4
pag. 4
N. 14-15 — 12 aprile 1968
Dinanzi a voi Gesù Cristo crocifisso
C'è oggi una tendenza diffusa a individuare la presenza di Gesù, della sua persona
e della sua opera, in particolari situazioni umane del nostro tempo. L'incarnazione e la croce
di Gesù vengono prolungate nel tempo e nella storia degli uomini.
Nel cattolicesimo romano il prolungamento
dell'Incarnazione e della croce è costituito dalla chiesa e in particolare dai sacramenti : ogni
altare cattolico, sul quale viene consumato
fi
nella consacrazione e nell'offerta dell'ostia il
sacrificio di Gesù, diviene in qualche modo un
nuovo Golgotha.
In altre chiese cristiane si tende invece a
ravvisare la presenza di Cristo e in particolare
del Cristo crocifìsso in tutte le situazioni di sofferenza, di umiliazione, di oppressione in cui
vive oggi un popolo, una razza, una classe.
Così, un paio d'anni or sono sì è parlato e discusso nella nostra Chiesa e anche sul nostro
giornale di « Cristo crocifìsso nel Vietnam ».
Così si potrebbe parlare di un Cristo crocifìsso
nei quartieri dei negri segregati, e altrove.
C'è anche chi, dall'altra sponda, ha parlato di
un Cristo crocifìsso oltre la cosiddetta cortina
di ferro, o di bambù.
Tutte queste applicazioni — crediamo —
sono abusive. In realtà Cristo è stato crocifìsso
sul Golgotha, una volta per sempre. La croce
di Gesù non può essere ridotta a un principio
o a un simbolo — quello della sofferenza del
'giusto' ; essa non può neppure essere assor
bita nelle 'croci' che gli uomini portano o fanno portare agli altri.
La croce della quale parla il Nuovo Testamento e che gli apostoli hanno « dipinto al vivo » mediante la loro predicazione, non è la
croce dell'umanità, ma la croce di un uomo :
Gesù dì Nazareth, figliuolo di Maria.
Quella croce, in cui il giudizio di Dio è caduto sul suo Figliuolo, è la speranza dell'umanità. Perciò quella croce, nella sua unicità, dev'essere annunciata e creduta. P. R.
Mi lascerete %olo¡
ma io non sono solo
fi
Gesù, come qui lo ha raffigurato un grande pittore
protestante del XVI secolo, A. Dürer, è colto in un momento della sua vita che non possiamo individuare con
precisione. Nessun passo degli Evangeli parla di un Gesù seduto su un masso, forse sul ciglio di una strada, af
UUomo di dolore, di Albrecbt Dürer
franto, curvo come sotto il peso di una grande fatica o
di una grande pena, col capo fra le mani, immerso in dolorosi pensieri, solo, terribilmente solo. Dove sono i discepoli? Dov’è la folla, che così spesso appare negli Evangeli accanto e intorno a Gesù, affamata di pane ma anche
di verità, la folla che « gli stava addosso per udir la parola di Dio » (Luca 5: 1) e « pendeva dalle sue labbra >>
(Luca 19: 48)? Dove sono i malati guariti, i peccatori
perdonati, i morti risuscitati? Dove sono coloro che Gesù ha chiamato e amato?
Gesù è solo. Ma quando è incominciata la sua solitudine? Certo molto presto. Già nella sua famiglia Gesù
fu solo: i suoi fratelli « non credevano in lui » (Giov. 7:
5) e i suoi parenti, un giorno, « vennero per impadronirsi di lui, perchè dicevano: È fuori di sè » (Marco 3. 21).
Che comunione potè stabilire con suoi familiari?
Gesù fu solo anche fra i suoi discepoli: per quanto
gli stessero attorno, non gli erano vicini; lo seguivano,
ma non lo capivano. Una volta Gesù chiese loro: « Siete
anche voi così privi d’intendimento? » (Marco 7: 18); e
un'altra volta: « Non capite ancora? » (Marco 8: 21). E
così fino alla fine i discepoli « non capirono nulla di queste cose; quel parlare [di Gesù] era per loro oscuro e non
intendevano le cose dette loro » (Luca 18: 34). Che comunione potè avere con i suoi discepoli?
Solo fra la folla, anche quando si accalcava intorno
a lui per udirlo ed acclamarlo, solo in famiglia e nel
gruppo dei discepoli, Gesù lo fu anche in altre occasioni- solo nel deserto per essere tentato (Matteo 4: 1), solo
sul monte per pregare (Matteo 14: 13), solo nel Getsemani a vegliare (Matteo 26: 40), solo durante tutto il processo: nessun parente, nessun discepolo, nessun amico
gli è stato accanto; solo nemici e accusatori aveva intorno a sè. Gesù lo aveva previsto: « Mi lascerete solo »
(Giov 16: 33). E così è stato, daU’inizio alla fine.
Comprendiamo allora che nel disegno qui riprodotto il pittore Dürer ritrae Gesù non in un momento determinato della sua vita ma in un aspetto permanente del
suo ministero. Questa raffigurazione di Gesù solitario e
raccolto nel suo dolore, seduto sul ciglio di una strada
che non si vede ma che si immagina — la sua strada tra
gli uomini — può essere collocata a qualunque momento
della sua esistenza terrena. « Disprezzato e abbandonato
dagli uomini, uomo di dolore, familiare col patire, pan
a colui dinanzi al quale ciascuno si nasconde la faccia... »
(Isaia 53: 3): così, fin dall’inizio, ha vissuto, sulla nostra
terra, Gesù di Nazareth.
Ma perchè è stato così solo? Non è difficile rispondere Gesù è stato solo come lo è colui la cui parola non
trova eco nei cuori che l’ascoltano, la cui presenza non
è capita, il cui amore non è corrisposto. La solitudine
di Gesù è quella di chi semina la Parola in una terra
ostile e arida, di chi parla d’amore a uomini ribelli o indifferenti. È la solitudine di chi annuncia Dio in un mondo che non vuole saperne, di chi crede e predica la fede
a una generazione incredula e peccatrice.
•* * *
La solitudine di Gesù non è dunque quella dell’eremita che si apparta dalla compagnia degli uomini o
quella dell’aristocratico che disdegna i rapporti col popolo. Al contrario Gesù è andato incontro agli uomini,
ha parlato loro in molti modi, fino all’ultimo, ha fatto
molte opere davanti ai loro occhi e in loro favore, è stato dall’inizio alla fine con loro e per loro. E nel disegno
di Dürer si vede che Gesù è stato fra gli uomini: lo si
vede dalla corona di spine e dai piedi trafitti. Gesù non
è nato con una corona di spine e con i piedi trafitti: li ha
ricevuti dalla mano dell’uomo. Il suo incontro con gli
uomini ha lasciato questi segni su di lui. Ma sugli uomini, quell’incontro, che segni ha lasciato?
La corona di spine e i piedi trafitti testimoniano
che l’incontro tra Gesù e gli uomini c’è stato. Ma testimoniano anche che gli uomini hanno respinto Gesù. Se
Gesù è solo, non è perchè non sia andato incontro agli
uomini: è perchè ne è stato respinto.
* * *
« Ma io non son solo, perchè il Padre è meco... Egli
non mi ha lasciato solo » (Giov. 16; 33; 8: 29). Nel disegno di Dürer l'arco di luce che sovrasta il capo di Gesù
è il segno che Gesù non è solo, ma il Padre è con lui.
La vera solitudine non è di non aver nessuno intorno a
sè ma di non aver comunione col Padre. Gesù non è so
lo, perchè è in comunione col Padre. In vita e in morte
il Padre è con lui. Anche in morte. Se Dio lo avesse lasciato solo nella morte, Gesù non sarebbe risorto: da soli
non si risorge, come da soli non si nasce. Ma poiché è
vera la parola del Salmista: « Tu non abbandonerai l’anima mia in poter della morte » (Salmo 16; 10), per questo
Dio ha risuscitato Gesù. Ed ecco che intorno al Risorto
vediamo miracolosamente ricostituirsi quella comunità
che si era disgregata in presenza della croce. La risurrezione di Gesù comporta anche la risurrezione della comunità. Pasqua non vuol dire soltanto vittoria sulla morte ma anche vittoria sulla solitudine. La comunione tra
Gesù e gli uomini che prima appariva impossibile e irrealizzabile, diventa ora possibile e reale. Gesù non è
rimasto solo, non soltanto perchè il Padre è sempre stato con lui, ma anche perchè, dopo la sua morte e risurrezione, alcuni uomini — i primi fra tanti che poi si sono
aggiunti — si sono ritrovati ai suoi piedi ed hanno continuato con lui fino alla fine della loro vita. Anche la loro
solitudine era finita.
Gesù aveva detto: « Se il granello di frumento caduto in terra non muore, riman solo; ma se muore produce molto frutto » (Giov. 12: 24). Gesù non è rimasto
solo perchè, morendo e risorgendo, ha portato molto
frutto. Questo frutto sono tutti coloro che, attraverso i
secoli e fino ad oggi, hanno trovato in quell’uomo solitario, abbandonato e respinto dagli uomini, seduto sul
ciglio di una strada senza viandanti, la fine della loro
solitudine e l’inizio di una comunione più forte della morte. Dalla solitudine di Gesù è nata la più grande e profonda comunione. Quel Solitario offre e crea comunione.
Si comprende allora perchè l’ultima parola di Gesù
agli uomini sia stata una parola di comunione: « Ecco,
io sono con voi tutti i giorni » (Matteo 28: 20) e perchè
l’ultima domanda di Gesù al Padre sia stata una domanda di comunione con gli uomini; « Che come tu, o Padre,
sei in me, ed io in te, anch’essi siano in noi » (Giovanni
17: 21).
Non più Gesù solo; non più solo col Padre — ma col
Padre e con gli uomini: con noi. P- P
iiiiiiimiiiirimiiiiiimiiimiiiiiiii
hihiiiiiimiiimiimiiiuiiimiiiiiiiiiin
Pilato lo fece flagellare e lo schernivano
Gesù è stato torturato.
Gli uomini del nostro tempo sanno, in modo forse tutto
particolare, che cos’è la tortura. Milioni di uomini, nelle ultime decadi, sono stati torturati un po’ dovunque nel mondo,
sotto ogni bandiera; a diecine sono i documenti impressionanti offerti alla nostra lettura.
In genere si tratta di torture che hanno un movente po i
tico- in piena guerriglia o guerra civile, da una parte e ia
l’altra (ma da una parte più che dall’altra) si cerca di fa
parlare il prigioniero, di strappargli informazioni, denuncie
Tuttavia l’inferno concentrazionista, la spaventosa persecu
zione antiebraica è stata una somma immane di torture gra
tuite’ orribile manifestazione della belva nell uomo c
de sémplicemente, nel far soffrire, sfogando il proprio odio
i ’propri istinti sub-animali. Di quest’ultimo tipo e stata l(
tortura inflitta a Gesù. . , i f
Che si sia trattato dei colpi furiosi del Sinedrio in de
rio dopo la condanna, o della flagellazione romana, componente della pena capitale, o delle percosse e degli scherni^
odiosi della soldataglia, dopo la ratifica del verdetto, Gesù
nel buio di quelle ore di violenza proterva, di ingiustizia
trionfante, di solitudine colma di abbandono e di rinnegamento — è stato preda della ferocia selvaggia, della crudeltà
sddico, o stolidd dei suoi neiiiici. .7.
Il partigiano torturato dalle brigate nere o dagli listasela,
il sospetto -interrogato’ dalla GPU o dalla Gestapo, l en^
Alleg o Gisùle lìalimi ’lavorati’ nella centrale dei baschi lardi (ul Algeri, il vietnamita a noi ignoto torturato dai marines
„ dai vietcong, il democratico greco ’interrogato
boulinas ad Atene, così come in passato l eretico
da santa maxire chiesa, tutti costoro sanno d
tortura per quanto inaccettabile e inumana: sanno chi hanno di fronte, e perchè, sanno perchè devono reggere, sanno
in quale comunione di lotta e di speranza vivono e soffrono
e forse muoiono. Gesù è solo con la sua causa umanamente
assurda e senza prospettive; solo, con il Padre.
”Si adempie ora la profezia dello scherno dei Genti
(Me 10- .34) — scrive Günter Dehn Lo scherno i e p
ila parte degli empi, che tante volte è descritto nei Salmi
non cesserà mai finché Dio avrà
ora si avvera nei riguardi del Figho ài Dio. Cosi xve
nire, e Gesù va in silenzio dall uum all altra àelle ■ ‘
zionP dolorose”. Anche nella sua fine il Figlio di Davidi ns
somma in sè il destino, la misteriosa vocazione d JsraiU ,s J
^'’^Tppure, anche in queste torture senza ragione nè scopo
infliuegli per pura crudeltà, si annidava per lui una tenta
Flagellazione di Anonimo della Scuola di Colonia, XV secolo
zione: pur .schernendolo, pur coronandolo di "P'«':’
cora il grido me.s.sianico, vero nonostante tutto¡„ Z’ccC
dei Giudei!”; ecco ancora, dietro quella venta m bocc
menzognere, la tentazione antica che
tare nella tortura della croce; ’Se sei il Cristo, scendi, sai
vati e crederemo in te”. .
Gesù però non è un Sansone abbacinato e incatenato ma
non dòmo, che trascina alla rovina i nemico trionfali c e
schernitore di Dio e dei .suoi. La potenza J
Dio è racchiusa nella sua sofferenza si enziosa. Maltratta^
umiliò sè stesso e non aperse bocca [Is. 53: 7)
silenziose di una notte di interrogatori e di torture. E I ora
delle tenebre, non gli è stata risparmiata. Per noi.
Gino Conte
5
12 aprile 1968 ■— N. 14-15
pag. 6
O
staio ritratto a! vivo
(Calati 3; V
Non porta forse molte conseguenze il fatto che, spinti dal- do due modi di sentire la vita. Uno come attori, l'altro come
la propria convinzione o dal rispetto per la Bibbia, si accetta spettatori,
tutto, o, preferendo il proprio punto di vista moderno, si mette tutto da parte, o, come fanno i più, si considera tutto con
meraviglia scettica?
Lettere di condannati a morte
della Resistenza italiana.
Karl Barth, « Antologia »
Una idea è una idea e nessuno la rompe. Ci sono nel mon
Per che cosa muori, tu, in realtà?
Era facile morire, con la visibile certezza della propria meta
dinanzi agli occhi.
Arthur Koestler, « Buio a mezzogiorno »
L'iscrizione sulla croce conferma che Gesù non è stato condannato dai Giudei per bestemmia contro Dio, ma dai Romani
come Zelota e come pretendente al trono reale d'Israele.
Oscar Cullmann, « Dio e Cesare »
Pilato proclamò la pena per il -crimine di lesa maestà.
Josef Blinzner, « Il processo di Gesù »
Il sommo sacerdote interrogò Gesù intorno ai suoi discepoli e alla sua dottrina. Gesù rispose; « Per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare, della verità». «Ecco, ora
avete udito la sua bestemmia ; che ve ne pare? ». Ed essi, rispondendo, dissero; « E' reo di morte». E Pilato sentenziò che
fosse fatto quello che domandavano.
Giovanni 18: 19, 37; Matteo 26 ; 65-66; Luca 23: 24.
“Essi dissero:
E’ reo di morte
n
La Crocifissione secondo Giovannif di Salvador Dali
cmo<Mi\rìé
Dal Miserere ili Georges Rouaull
Dice Hartli che il nostro atteggiamento (li ironie alla Bibbia è decisivo per comprendere la vicenda che
essa sviluppa. L'angoialiira da cui
guardiamo la condanna di Cristo
porla molt(^. e diverse con.seguenze.
C un episodio emozionante, oppure privo di un richiamo qualsiasi,
oppure una curiosità archeologica.
In tondo il ri^soconto che ne dànnn
gli evangeli permette di guardare
alla figura di Gesii come a un idealista, caparbio o eroico quanto altri, che in circostanze analoghe han
“Pilato lo consegnò perchè fosse crocifisso”
no tenuto duro anch’essi, magari
più puro o ingenuo di loro. Ma Gesù non è mai stato un sognatore, e
non è stato condannato come visionario. Era uno che dava fastidio a
tanti. AM’ordinamento civile travasato da Roma in Palestina, agli zelanti e più o meno fanatici guerriglieri suoi concittadini, e soprattutto alla placida ruota ecclesiastica.
Se oggi ripetesse ciò che ha fatto e
detto allora, tornerebbe senza rimedio a mettersi fuori legge. Tutti
pronti a farsi guerra fra loro, ma
tutti d’accordo muovere guerra a
Gesù. Perche >■ venuto nel mondo
a testimoniare jr ila verità, e la verità non sta d: m i parte di nessuno
ma solo dalla soa. Dicendo che era
venuto a testiimíniare della verità,
lascia intendere ai religiosi, agli imperialisti e ai rwoJuzionari (si parla della Palestina) ch’essi avevano
testimoniato di cento cose ma non
della verità. E’ una bestemmia. E’
reo di morte: i primi a respingerlo
sono proprio gli uomini di chiesa
(si parla della Palestina). Ma an
che i terroristi come Pietro lo hanno già lasciato andare per la sua
strada, e non solo per codardia. Naturalmente i padroni del mondo
stanno dietro a Pilato quando costui
sentenzia che la fine di Gesù sia
quella voluta dai capi religiosi.
Il « Gazzettino di Gerusalemme »
liquida in breve la faccenda : <c II
tribunale supremo della nostra città ha deliberato ieri una condanna
a morte. La sentenza è stata confermata dal procuratore romano. L’im
putato è un certo Salvatore Nazareno, di 33 anni, celibe, senza fissa
dimora ». Sullo stesso foglio, la popolare rubricu « Specchio dei templi » ha pubblicato senza risposta
una lettera che chiedeva perchè
avessero tolto di mezzo Gesù.
E’ stato condannato .perchè minava alla base lo spirito di conservazione della società del suo tempo.
Non andava bene per nessuno. Lui,
il vero contestatario.
Renzo Turinetto
iiiiiimiiiiiiiuimiiimiiiiiiiiiiimmiiii'immiliiKiiiiiniiiiiiiiuiiiiiimim»'
"Avete ucciso il Santo di Dio
I#
Quando un uomo educato nella civiltà occidentale,
sia credente o non, pensa alla croce non pensa tanto a
Gesù quanto a se stesso. Per i credenti il primo pensiero
che si collega immediatamente con la croce è infatti la
salvezza, cioè l’opera compiuta da Gesù Cristo, di cui
i avvenimento del venerdì santo è il segno evidente: il
perdono dei peccati, la redenzione. Al non credente la
croce suggerisce subito l’immagine della soiferanza, del
martirio, il peso del fallimento, è il segno della difficoltà:
una persona, una situazione è una croce, è cioè al limite
della sopportazione.
In fondo la croce è diventata per noi il simbolo di
ciò che Dio ha fatto per noi o di quello che noi siamo,
di ciò che è stato trasformato nella nostra vita o di quello che nella vita rimane pesantemente inamovibile, del
significato della vita stessa come miracolo della grazia
o di ciò che la vita rimane nella sua triste e dolorosa
realtà. La fede e la religione, la preghiera ed il conformismo di generazioni intere si sono urtati contro la croce
c 1 hanno caricata a poco a poco dei loro simboli, hanno
depositato su di essa lentamente ma inesorabilmente un
poco di sè.
Il simbolo è ancora più evidente nella tradizione
protestante che ha accolto della croce solo la forma, rifiutando il crocifisso e riducendo a puro segno il mistero
stesso della crocifissione. C’è indubbiamente in questo
un profondo e valido motivo di spiritualità, il rifiuto di
rappresentare il Cristo, di dare figura al Salvatore secondo la tradizione ebraica ed il secondo comandamento;
c c però anche la volontà di ricondurre tutto il problema
della giornata del venerdì santo al mistero della grazia
divina, della misericordiosa opera divina, la volontà di
glorificare in assoluto il mistero divino.
Questo è intendimento esatto della croce ma è anche, stranamente, un impoverimento della crocifissione
stessa. Esatto, perchè la morte di Gesù è la nostra morte
stessa, è l’essenziale della nostra morte, in lui siamo in
un certo modo presenti siamo — come dice Paolo ________
stati crocifissi con lui per risorgere con lui, la sua morte
c più che la fine di una esistenza umana storica, la cessazione della vita in un uomo, è il mistero della nostra
esistenza. Inesatto, però, in quanto la crocifissione di
Gesù è pur la agonia e la morte di una creatura umana.
Dire che Gesù è un uomo sembra cosa naturale per ogni
persona moderna, ma sotto il peso del simbolo della croce stessa Gesù finisce col non poter essere un uomo,
semplicemente un uomo e morire come tutti noi.
Per il credente infatti Gesù è « anche » un uomo, è
lo strumento della salvezza della grazia, il mezzo di cui
Dio si è servito per raggiungere i suoi scopi; è la creatura reale, concreta che nasconde in sè altro, il mistero
divino. Per il non credente Gesù è « solo » un uomo, nulla più che una creatura, un essere ridotto alla dimensione della storia, svuotato di ciò che la fede e la tradi
Crocf^ssione di Hans Holbein il Vecchio (+ 1524)
zione biblica hanno voluto aggiungervi. Dicendo Gesù
è « anche » uomo o dicendo Gesù è « solo » uomo si fa
della morte di Gesù qualche cosa di diverso da ciò che
ha voluto essere ed è stata: il morire di una creatura
umana; un morire come il morire di ogni uomo in terra.
Gli evangeli invece narrano con sobrietà ma con
lucidità le ultime parole e gli ultimi momenti di Gesù,
come si possono narrare le parole e lo spegnersi di un
amico, un parente, un conoscente. È un uomo che lascia dei progetti incompiuti, delle opere iniziate, delle
amicizie abbozzate, degli affetti. È un uomo che ha poco
più di trent’anni e di cui inevitabilmente si pensa « che
cosa avrebbe potuto fare ancora, dire, dare agli altri, se
non fosse mancato ». Lo hanno certamente pensato i
suoi nelle ore della sua agonia e si saranno rallegrati,
come ogni uomo si rallegra vedendo che la sofferenza
non è stata troppo lunga: « non ha sofferto troppo »
hanno detto; perfino Pilato si è stupito che fosse morto
così presto. Tutto ciò che circonda la morte di una persona a noi cara è presente nella sua morte.
Le sue stesse parole lo confermano: sono le parole
di previdenza filiale per una madre, la sistemazione del
suo avvenire di vecchia, come può tracciare ogni figlio
che muore; sono i dubbi del silenzio, del mistero, della
opposizione del male nell’invocazione « Dio mio, Dio mio
perchè mi hai abbandonato », parole tratte dal salmo,
parole che possiamo leggere al capezzale dei nostri sulla
soglia della morte; sono le parole della rassegnazione
fiduciosa come hanno pronunciato migliaia di credenti
in quell’ora.
Dinnanzi alla croce siamo come al capezzale di un
morente che ci è caro, in casa, in una corsia di ospedale,
fra le macerie di una distruzione naturale o di una battaglia; siamo in presenza di un nostro simile che lascia
la vita, il sole, i fiori, la compagnia degli amici e la famiglia, gli affetti ed i progetti, gli impegni intrapresi ed i
ricordi. Certo il tempo placa il dolore ed i secoli ci separano da quell’uomo, è impossibile affezionarsi ad una
persona che non si è mai conosciuta. Paolo parlava però
di Gesù crocifisso come ritratto al vivo ne//a sua predicazione; per noi significa riaprire il dolore dei discepoli come accade per ogni ricordo di un amico o di una persona scomparsa che non vedremo più.
Giorgio Tourn.
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pag. 6
N. 14-15 — 12 aprile 1968
SE CRISTO NON E' RISUSCITATO,
^ li Evangeli respirano la risurrevJ zione — ha scritto un antico
commentatore. E non si potrebbe dire megio come la testimonianza apostolica sia tutta animata
dalla potenza della risurrezione di Cristo dai morti: quando gli apostoli, i
testimoni evangelici rivivono e narrano ciò che Gesù ha fatto, ciò che ha
detto, ciò che è stato per i borghi e le
campagne e le città di Galilea e di
Giudea, parlano e scrivono sempre
mossi dalla certezza, dalla realtà indescrivibile e inconcepibile, che si è
loro imposta, della risurrezione dai
morti del loro Maestro, nel quale hanno imparato a riconoscere il Signore.
Gesù non ha trattato della risurrezione, l’ha solo preannunciata, ogni
volta che ha preannunciato la croce.
È risorto, Dio lo ha risuscitato. Gli uomini discutono della « storicità di questo fatto. Ma non fanno che balbettare, andando a tentoni; come potrebbe, l’uomo, definire e descrivere ciò
che è oltre l’orizzonte di ogni nostra
possibile esperienza e scienza, al di là
di ogni nostra storia? Come può, l’uomo, parlare nella sua lingua del Regno di Dio? Nemmeno Gesù lo ha fatto, nè prima nè poi. È stato fra noi,
risorto.
A Toma, esitante e incredulo — e
chi non lo sarebbe? — ha detto : « Porgi qui il dito... porgi la mano...» (Giovanni 20: 27-28), affinché toccasse il
suo corpo e si convincesse, anche per
noi che crediamo alla sua testimonianza, che la risurrezione — cerne la morte — è una cosa seria, vera; non si
tratta di visioni, di cui si può ridere o
su cui si possono scuotere le spalle,
nè si tratta di rifugiarsi, contro l’orrore della morte, di rifugiarsi nell’illusione dell’ immortalità dell’ anima.
Non il fantasma di Gesù, ne la sua
anima immateriale, fantomatica anch’essa, era dinanzi a Toma, e a noi,
ma Gesù vivo, integro.
A Maria, però, la quale voleva ristabilire oltre la triste parentesi della separazione la dimestichezza di prima,
egli dice: «Non mi toccare...» (Giovanni 20; 17). Non ricomincia tutto
come prima, com’è ricominciato per
Lazzaro, a Éetania. Comincia qualcosa di nuovo, comincia il Regno di Dio,
comincia la Vita eterna. I discepoli
che ne sono testimoni non lo comprendono subito fino in fondo ; ma
nella loro meditazione ulteriore, condotti dallo Spirito Santo in tutta la
verità di Cristo (Giov. 16: 12 ss.;
cfr. 14: 26), rimarranno saldamente
ancorati a colui che è stato « nella
carne » accanto a loro, che essi hanno
conosciuto « secondo la carne » ( Gesù
di Nazareth, il figlio di Giuseppe), ma
che ora non conoscono più cosi (2 Corinzi 5: 16), perchè hanno gustato in
luti, toccando il suo corpo risuscitato,
sedendosi con lui a mensa, le primizie
della risurrezione, hanno contemplato
la lucente stella mattutina, il preannuncio del venire del Vivente che dà
vita al mondo.
Per quasto Paolo può dire che la risurrezione di Cristo — concreta e piena, realtà del Regno — è tutto, per la
fede. Senza di essa, la fede e quindi
la predicazione cristiano sono vane,
vuote, un recipiente arrugginito dai
secoli. La risurrezione di Cristo non è
uno degli elementi di un credo, accanto ad altri: è il cuore pulsante della
fede; non la chiave di volta di un sistema di pensiero, ma la realtà di Dio
vivente, che dà realtà a tutto il resto.
Per questo vi invitiamo, in queste
pagine, a meditare con noi alcune delle affermazioni fondamentali della predicazione apostolica, che vivono questa realtà; a soffermarvi con noi, nella gioia e nel dolore, nella fatica e nel
tempo libero, nella disillusione e nella
speranza, sull’evangelo nell’evangelo :
Gesù Cristo è risuscitato, primogenito
e principio della nuova creazione.
G. C.
LI idea cristiana della risurrezione
significa una ricostruzione dell'uomo e dell'universo per opera di
un intervento sovrano di Dio, il quale
libera non dalla materia o dal tempo,
ma dal peccato. La risurrezione cristiana è una nuova creazione, operata dallo Spirito Santo. Questa redenzione, che sarà consumata nell'ultimo
giorno, è già annunciata nel presente
dalla risurrezione di Gesù Cristo e
dall'agire nella Chiesa di forze di vita nuova. Ph.-H. Menoud
Egli non è l’Iddio dei morti, ma dei viventi
La risposta di Gesù alla cosiddetta « questione
della risurrezione » è una di quelle risposte in cui
riconosciamo subito il modello così tipico del suo
dialogare con chi lo interpella: la sfida si ritorce
contro lo sfidante, il centro della domanda viene
spostato o capovolto, per lasciar posto a ciò che veramente è significante, vitale per l’uomo di fronte
a Dio. E questo è tanto più evidente nei riguardi
di una questione che investe proprio le radici della
vita, il centro della fede: la resurrezione.
Anche qui, come altrove, Gesù ha dapprima
l’aria di voler semplicemente mettere i sadducei di
fronte alla loro incapacità di abbandonare un punto di vista unicamente umano e naturale: egli contrappone infatti alla loro concezione materialistica
un quadro che potrebbe anche apparirci poco persuasivo nella sua angelicità, se non avesse la funzio
Risurrezione di AlbrecEt Dürer
ne di porre i suoi avversari di fronte ad un « totalmente altro » che non ammette edizioni rivedute e
corrette del mondo presente. Ma egli non indugia
su questo punto, poiché vuole arrivare a porre in
luce il vero senso della questione. Gesù infatti non
intende certo contrapporre ad un materialismo uno
(Màtteo 22: 32)
spiritualismo altrettanto umano, che del resto è
profondamente estraneo al suo pensiero ed al suo
stile di vita, anche se per secoli la chiesa cristiana
è vissuta nel grande equivoco dello spiritualismo.
La parola di Gesù invece non ha nulla a che fare
con dottrine di questo tipo, ma si rivolge all’uomo
nella sua totalità, nella sua vivente concretezza, annunciando: « Dio non è l’Iddio dei morti, ma dei
viventi ».
Dunque la questione non va risolta sul piano
delle contrapposizioni mentali, ma non va nemmeno ricacciata al di là dell’umano, in un cielo metafisico inaccessibile; la questione è « questione di vita
o di morte », che l’uomo deve porsi concretamente,
nel centro della sua fede, nel suo rapporto con Dio:
rapporto che egli vive unicamente attraverso la sua
carne, ossia nella sua condizione di uomo, senza
ascesi mistica o ebbrezze contemplative, nel presente. Un Dio incarnato non può essere che un Dio di
viventi, un Dio che attraversa tutta la storia umana
con la ;ma passione e la sua resurrezione. Questa è
la « potenza di Dio », a cui Gesù allude nella sua risposta: non una potenza metafisica, inconoscibile,
inconcepibile; ma una potenza che ai traversa dall’interno tutta la miseria umana, che cammina dentro alla morte e conduce l’uomo alla speranza. E
proprio questa potenza che era sconosciuta ai suoi
interlocutori, e in fondo possiamo dire che ancora
oggi ò proprio questa potenza, questa vita incarnata nella morte, che gli uomini, cristiani o no, così
difficilmente sanno riconoscere e annunciare.
Perciò il discorso di Gesù,oltre che rivelarci la
sostanza vivente di quello che l’uomo sarebbe incline a considerare come un dogma o come un’astrazione, ci dà anche un modello per il nostro discorso
di testimoni. Un discorso che usa poche parole, ma
che, rifiutando di porsi su un piano dogmatico o
teorico, riceve la sua validità e la sua credibilità dal
contesto concreto della testimonianza vissuta. Annunciare che Dio è l’Iddio dei viventi significa annunciare che il suo Regno si fa presente in mezzo
a noi, dalla notte della nostra storia attuale; significa quindi da un lato testimoniare, con le nostre
prese di posizione, di un « totalmente altro » che
non ammette edizioni rivedute e nobilitate dell’ingiustizia e del peccato umano, e quindi implica un
« no » ad ogni forma di compromesso che, dietro
mentite spoglie, tenda a perpetuare schemi di vita
Jondamentalmente ingiusti; dall’altro significa ob^ bedire, con le nostre scelte vocazionali, a quella potenza di Dio che si è incarnata nella condizione umana, nella miseria e nella sofferenza dell’uomo, e
camminare in quella direzione, attraverso la solidarietà con gli umili, con i miseri, siano essi individui, popoli o razze.
Poiché Gesù ci insegna, con la sua incarnazione
e con la sua resurrezione, che proprio questi individui, questi popoli e queste razze, sono « i viventi ».
Rita Gay.
IIIIIIIUIIllllllllllllllllllll
'illlllMIIIIIIIMIIIIIIi'lllllllllllllllllt
lllUlllillllllllllllllll
iiiiiiiiiiiiiiitiiiiniiiii
imitiritruuittimiiiii
Conoscere la potenza della risurrezione di Cristo
Pensiamo innanzitutto al significato che aveva per Paolo la conoscenza di Cristo. Conoscere Cristo
non voleva dire avere una visione
della vita, o essere a conoscenza dei
segreti dell’esistenza, ma conoscere
l’opera di Gesù, presente in mezzo
ai suoi servitori, vivo, vincitore della morte. Cristo rivela la sua presenza persino attraverso la condizione di prigioniero in cui Paolo si
trova; fa sorgere dei testimoni: per
Paolo la missione non è, come spesso è ai nostri giorni, uno sforzo per
non perdere le posizioni raggiunte,
o per riconquistare quelle perdute,
non è neanche l’attività ordinaria
di una chiesa che considera la propria esistenza come normale, per lui
la missione è un fatto che ha la stessa novità e potenza della risurrezione di Cristo, perchè Cristo stesso è
l’autore della missione.
Si comprende come in presenza
di questa azione ogni altro interesse perda qualsiasi valore: non mi
interesso più di me stesso, non vado
alla ricerca di realizzazioni che mi
diano la soddisfazione di vivere j)er
qualche cosa e su cui mi possa fondare per fare il calcolo di quanto
valgo; tutto questo non serve più a
nulla, perchè ciò che mi interessa
è la grandezza di Cristo, la ricchezza della sua vita, quella ricchezza
che io scopro nelle possibilità nuove
che egli fa sorgere nella mia vita.
Quindi conoscere Cristo vuol dire
conoscere la potenza della sua risurrezione, in questo senso : Cristo
risorto opera nella nostra vita distruggendo la potenza della morte.
Ma le cose che m^eran guadagni, io
le ho reputate danno a cagion di Cristo.
Anzi, a dir vero, io reputo anche ogni
cosa essere un danno di fronte alla ec**
cellenza della conoscenza di Cristo Gesù,
mio Signore, per il quale rinunziai a
tutte codeste cose e le reputo tanta spazzatura affili di guadagnare Cristo, e i/’es*
ser trovato in lui avendo non una giustizia mia, derivante dalla legge, ma
quella che si ha mediante la fede in
Cristo: la giustizia che vien da Dio, basata sulla fede; in guisa ch’io possa conoscere esso Cristo, e la potenza della
sua risurrezione, e la comunione delle
sue sofferenze, essendo reso conforme a
lui nella sua morte, per giungere in
qualche modo alla risurrezione dai morti.
Filippesi 3: 7-11.
delle divisioni umane, liberandoci
da certe situazioni che appaiono
senza via d’uscita.
Tuttavia la potenza della risurrezione non si manifesta spianando
improvvisamente ogni difficoltà, facendoci vivere un’esistenza senza
problemi e senza dolore, tutta serena e felice; chi è sempre pronto a
chiedere un miracolo (dal ritrovamento del portafoglio smarrito alla
conversione di un certo capo di stato o di tutti i governanti per il raggiungimento della pace mondiale)
dovrebbe chiedersi se ciò che gli interessa è conoscer Cristo o non semplicemente godersi la vita. Conosciamo la potenza della risurrezione, ma la conosciamo vivendo in un
mondo che è quello che è, con l’orgoglio nostro e degli altri che rispunta continuamente, con i conflitti che sembrano senza sbocchi,
con la potenza dei gruppi dominan
ti. Viviamo in questo mondo, ma
conosciamo la potenza della risurrezione, cioè non ci rassegnamo al
male che è in noi e attorno a noi,
non ci dichiariamo soddisfatti delle condizioni attuali, regoliamo la
nostra vita non su queste condizioni, ma sull’opera che Cristo ha compiuto. La conseguenza è che, proprio perchè conosciamo la potenza
della risurrezione, conosciamo anche la comunione delle sofferenze
di Cristo, conosciamo cioè la mancanza di potere (del potere di questo mondo), l’indifferenza o 1 ostilità di chi crede soltanto nelle possibilità di questo mondo, la violenza delle forze più interessate al
mantenimento delle condizioni esistenti.
Come Cristo ha sofferto, così soffriamo noi; ma se sopportiamo questa sofferenza non è perchè speriamo in un futuro migliore, e neanche perchè speriamo in un compenso nelTal di là. Abbiamo accettato
una condanna totale sulla nostra vita (conformi a Cristo nella sua morte!), il che evidentemente esclude
ogni rivalsa terrena o celeste. Ciò
ohe conta per noi è la vita di Cristo,
e infatti vediamo la nostra vita in
funzione di quel che di nuovo la risurrezione di Cristo ha portato e
porterà in noi e nel mondo; ma la
vita di Cristo non si esaurisce in
questa azione, e la nostra conoscenza di Cristo è pur sempre parziale:
noi aspettiamo di incontrare Cristo
pienamente, e sappiamo che questo
avverrà quando la morte sarà di
Benedetto sia l’Iddio e Padre
del Signor nostro Gesù Cristo,
il quale nella sua grande misericordia ci ha fatti rinascere,
mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, ad una speranza viva, in vista di una eredità incorruttibile, immacolata e
immarcescibile, conservata nei
cieli per voi.
1 Pietro 1: 3-4.
Rinati a
una speranza
viva
Cosa può dire una frase del genere alla nostra sensibilità moderna? Cos’è questa esplosione iniziale di riconoscenza a Dio, cosa significano parole come misericordia o rinascere, cos’è la fantasia
incredibile e misteriosa della risur
rezione di Cristo dai morti? E cosa possiamo intendere oggi, quando si parla di speranza viva, di eredità che è conservata nei cieli per
noi? Cosa ci stanno a fare aggettivi fuori moda come incorruttibi
le, immacolata, immarcescibile? È
un linguaggio enfatico, oscuro e
confuso, che non appartiene al dominio della ragione, ma piuttosto
a una zona astratta o religiosa, di
gente che ha i piedi saldamente
piantati sulle nuvole.
Eppure Pietro non scrive affatto
come uno scettico. Ci offre invece
quella che in fondo possiamo chiamare una confessione di fede, condensata ma completa. Anche provocatoria, perchè segna subito il
contrasto tra le sue certezze esultanti e la nostra religiosità smorta
e distratta, che ha un grande bisogno di ritrovare la gioia della salvezza (Salmo 51; 12).
In poche righe abbiamo i fondamenti della fede cristiana. La misericordia di Dio, cioè un atto di
amore senza condizioni, che ci ricorda la sua assoluta libertà e iniziativa nel donare la salvezza agli
uomini. Gesù è morto, ma il Padre
10 ha fatto risorgere per darci uro.
vita nuova al posto del vano modo
di vivere tramandatoci dai padri
(1 Pietro 1: 18), e per darci una
speranza viva, diversa dalle molte
speranze terrene vuote e provvisorie. Per darci infine una eredità di
carattere totalmente nuovo, cioè
la partecipazione al regno di Dio,
in un rapporto definitivo fra il Padre e i suoi figli, fatto di amore e
di riconciliazione. È una eredità
che coinvolge ma anche sconvolge
tutti gli aspetti della nostra persona. Un rapporto che non conosce
11 logoramento a cui sono soggette
le cose di questo mondo; che non
può venire contaminato neppure
dal peccato degli uomini, che soprattutto non può cambiare, ridursi, o cessare. Davanti alla sperali
za viva di una tale eredità, tutte le
altre eredità e speranze umane
scolorano e si rivelano logore,
macchiate, fragili.
Certo non siamo ancora fisicamente dentro questa eredità. Essa
è conservata nei cieli per noi.
Quindi siamo tuttora a contatto
con le speranze e le eredità del presente, che tanta parte hanno nella
vita di ogni individuo. Questo ci
impegna, da un lato, a .non negare
queste speranze ed eredità terrene, come se non esistessero; e dall’aitro, a testimoniare in mezzo ad
esse come cittadini di un ordine
nuovo. Perchè se abbiamo sperato
in Cristo per questa vita soltanto,
noi siamo i più miserabili di tutti
gli uomini (1 Corinzi 15; 19).
Renzo Turinetto
strutta, quando tutte le contraddizioni (li questo mondo avranno veramente preso fine, cioè quando la
risurrezione di Cristo avrà manifestato tutta la sua portata tiniversale.
La risurrezione dai morti e la piena comunione con Cristo è lo scopo,
il punto d’approdo: per questo scopo, e non soltanto per gli obiettivi
della nostra azione storica, noi soffriamo nella testimonianza deH’evangelo. Bruno Rostagno
7
12 aprile 1968 — N. 14-15
pag. 7
VANA E' LA VOSTRA FEDE
_____________________(1 Corinzi; 15, 17)_
La nostra vita nascosta con Cristo in Dio
La società rivolge a chi y.a fra le nuvole
il fondato rimprovero di essere uno che
mangia ad ufo. qui sulla terra, anziché operare per l'ordine e il progresso con cuore
ardente e con mano attiva; egli sogna l'aldilà e non fa nulla di ciò che dev'essere l'opera rivoluzionaria di ogni generazione: spez:zare le vecchie tavole di valori e rizzarne di
migliori. Proprio a causa di frasi come questa ; « Cercale le cose di sopra ». i cristiani
sono messi con le spalle al muro. Siate fedeli alla terra, cercate le cose della terra,
■questo è il santo scopo di innumeri uomini.
E guai a noi cristiani se saremo svergognaci,
guai a noi se alia fine il Signore dirà alVar-,'. Salve, buono e fedele servitore, sei
sta,'' fedele in poca cosa, e io ti costituirò
s.,1 molte cose: entra nella gioia del tuo
Signore — perchè è stato fedele ai compiti
terreni affidatigli, perchè ha messo a frutto
1 talenti che gli erano stati affidati; e guai a
noi cristiani, se invece il Signore dirà di
noi : quel servo infingardo gettatelo nelle
tenebre di fuori, perchè avremo nascosto in
terra il nostro talento, malgrado tutto il
nostro cercare le cose di sopra.
Decisivo è dunque, oggi, che noi cristiani
abbiamo forza sufficiente per attestare al
mondo che non siamo sognatori con la testa fra le nuvole; che non lasciamo che le
•cose vadano come capitano; che la nostra
fede davvero non è l'oppio che ci lascia
tranquilli e soddisfatti in un mondo ingiusto. Al contrario, proprio perchè cerchiamo
le cose di sopra, protestiamo tanto più decisamente su questa terra, con le parole e
con gli atti. È' possibile che il cristianesimo,
così rivoluzionario ai suoi inizi, sia ora per
sempre conservatore? che ogni nuovo mo■ vimento debba farsi strada senza la Chiesa. e che la Chiesa solo vent'anni dopo si
accorga di ciò che è accaduto in realtà? Se
così stanno davvero le cose, come meravigliarci se ritorneranno per la Chiesa tempi
in cui sarà nuovamente chiesto il sangue di
martiri? Ma questo sangue, anche se avremo
coraggio e fedeltà per versarlo, non sarà
innocente e luminoso come quello dei primi testimoni. Sul nostro sangue peserebbe
grave colpa; la colpa del servo inutile, che
è gettato nelle tenebre.
Se dunque voi siete siali risuscitati con Cristo, cercate le cose
di sopra dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Abbiate l'animo
alle cose di sopra, non a quelle che sono sulla terra; poiché voi
moriste e la vita vostra è nascosta con Cristo in Dio. Quando
Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete
con lui manifestati in gloria. (Colossesi 3; 1-4).
Eppure, per quanto grande sia il rischio
racchiusor-in queste parole: « cercate le cose
di sopra, dove Cristo è seduto alla destra
di Dio ». noi sentiamo bene che in esse la
nostra vita è sostenuta, elevata, custodita,
in esse acquista un senso che non avrebbe
per quanto fedeli alla terra potessimo mantenerci, per quanto ci dessimo con tutte le
nostre forze, assetati d'azione e con l’impeto più santo, a migliorare il mondo. Ed ecco. ciò per cui noi uomini non oseremmo
nemmeno pregare, ci viene semplicemente
dichiarato : Siete risusciati con Cristo e la
vostra vita è nascosta con Cristo in Dio.
Ci piacerebbe dirlo in modo più moderno e più semplice, come del resto viene predicato in più d'una chiesa e come viene
creduto da molti cristiani ; cercate le cose
di sopra, poiché la vostra vita è al sicuro
in Dio. Ecco quel che ci piacerebbe udire
la domenica : tutta la pienezza, la ricchezza
della nostra vita ce la portiamo in chiesa,
e qui il sacerdote dovrebbe esercitare il suo
ufficio, benedire e consacrare, pronunciare
su2,i abissi e sui vertici della nostra vita,
sulla sofferenza e sulla gioia, sull’ansia e
, Sitile lagrime, sul lavoro e sulle preoccupazioni la parola che redime: tutto questo è
elevato e al sicuro in Dio. il Creatore del
mondo. Fuori ci vien detto altro, tutto il
contrario ; cercate le cose basse; e da questo mondo ci rifugiamo nella chiesa, la cara
\ecch;a patria, ove tutto sarebbe limpido e
luminoso: tutto ciò che programmate, fate
e soffrite, vedetelo a! sicuro in Dio, il Creatore del mondo. Perciò cercate le cose di
sopra.
Ma la spaventosa verità del mondo inghiotte. semplicemente, il chiacchierio ecclesiastico. Quando la bestia che è in noi
fa va'ere i suoi diritti, a che ci servono le
chiacchiere sulla divinità dell’uomo? Quan
do i demoni si gettano su di noi e ci strappano-il nost'TO tribut-o. come può consolarci
il pensiero che tutto questo è volere di Dio?
E quando la morte ci afferra, a che ci serve
richiamarci aH’immortalità? Cercate le cose
di sopra, perchè la nostra vita è al sicuro
in Dio — una bella frase pia ed edificante,
ma che non regge nella realtà del mondo.
A quest frase il mondo necessariamente contraddice, essa cade necessariamente sotto il
sospetto di condurci a un tradimento verso
il mondo, di cullarci in una falsa sicurezza
divina, di toglierci ogni iniziativa e di lasciarci alla nostra pace in mezzo alla più
stridente ingiustizia del mondo.
Ma questa frase non la si trova, nella
Bibbia. L’apostolo sa quel che fa quando,
senza lasciarsi scuotere dalle nostre proteste che è troppo poco moderno, troppo incomprensibile, non abbastanza semplice e
limpido, conferma con assoluta fermezza:
« Cercate le cose di sopra, dove Cris>lo è seduto alla destra di Dio; poiché la vita vostra
è nascosta con Cristo in Dio». E poiché,
con la nostra buona ragione umana insistiamo per saggiare che mai significhi questo
(c nascosta con Cristo in Dio» — ecco, come un cherubino con la spada fiammeggiante. queiraltra parola: «voi moriste».
È terribile come dovunque si parla del Dio
vivente, si parla pure di questo morire; dove si parla del guadagnar la vita, s’insinua
sempre questo perder la vita.
«Voi moriste» La Bibbia osa pensare
questo pensiero O rribile, per il quale noi
uomini moderni r .umo molto troppo deboli: non siamo p'» ;a del «nulla», che noi
moriamo o che viamo, non affondiamo
semplicemente ne. vuoto, liberi da qualsiasi
responsabilità, ma iamo annientati, spezzati dall'incontro cva Dio. « Voi moriste » :
che viviate o che r.oriate, siete perduti.
Questo è la terribile frontiera che ci viene annunciata e contro questa notizia ci
rivoltiamo. Ci lasciamo predicare, consigliare. aiutare; lasciamo anche che ci si rivolga
l'invettiva; ma non che ci si conduca a questa estrema frontiera. Preferiamo sapere che
la nostra vita è al sicuro in Dio, che non c’è
che un passo per salire a lui, che egli sta
nella stanza accanto — come ha scritto
Rilke.
* «
Nè Paolo nè noi sapremmo nulla di questa linea mortale, di questa frontiera, di
questa perdizione, se Dio stesso non ce la
facesse conoscere. Dio stesso ci parla, viene a noi, ci fa conoscere la nostra perdizione. Ma se è Lui a farlo, allora è già accanto a noi, che abbiamo perduto, già ci
viene in aiuto, irride a questa perdizione,
trionfa di tutto ciò che potrebbe separarci.
11 suo amore ci ha già tratti a sè e nulla
al mondo potrà strapparci dalla sua mano.
L'apostolo annuncia questa meraviglia inconcepibile. Non ci dice « voi moriste » per
tormentarci e addolorarci, ma unicamente
per proseguire d’un fiato « e la vostra vita
è nascosta con Cristo in Dio». Non siamo
abbandonati alla nostra perdizione, ma vi
è uno che ha varcato la frontiera che ci
separa dal Creatore t dalla vera vita, che
ha fatto irruzione nel nostro ambito mortale. ha gus>tato fino in fondo la nostra vita
e la nostra morte, ma è sfuggito a questa
morte, fino all’eterno Padre, alla vita eterna dove siede alla destra di Dio. E ha trascinato con sè il mondo, verso la vita e la
luce, ha travolto la morte nella sua vittoria,
ci ha poniate la gloriosa libertà dei figli di
Dio.
Non comprendiamo tutto. Si tratta di un
evento che si verifica al di là della frontiera
umana e quindi anche della nostra ragione.
uiJNinimiHiiitiiiiiiiiiiiuiHiHiiiiiiiiuiiminuMiiitiiiiiiiuimiiiiiui
' Risvegliali, o lu che
e risorgi dai morii e
ti inondorà
di luce..
dormi
Cristo
Egli
ti inonderà della sua
Efesini 5: 14
Dal Miserere
di Georges Rouault
Ckmli0 lOatfries,
l/aiitina comunità dei credenti è
riunita per un ;’ulto battesimale, il
cuore di tutti esulta di allei'rezza.
1 battezzandi confessano la loro fede, la loro volontà di rinunciare al
mondo e di appartenere a Cristo.
Escono dalEacqua battesimale come
morti fatti viventi, come risuscitati
in Cristo. La comunità canta: « risveglinti, o tu che dormi, risorgi dai
morti e Cristo ti inomlerà di luce ».
L’inno prosegue esprimendo accenti di fetle, di lode, di cotisacrazione,
ma il segudo non cf è stato'conservato. Ci è rimasta soltanto questa
frase che Paolo cita nella sua lettera alla Chiesa di Efeso e che molto
probabilmente è tratta appunto da
un antico inno battesimale della Comunità primitiva.
« Risvegliati, o tu che dormi ».
La situazione dell’uomo al di fuo
r di Cristo è paragonata al sonno
icos:’iente di colui che, immerso
nelle tenebre della notte, non vede
attorno a sè che la luce sta sorgendo, cacciando l’oscurità per aflfermarsi in tutto il suo splendore.
« Risorgi dai morti ».
Il canto prosegue con un crescendo di intensità: non è soltanto sonno, è morte; una realtà ben pifi radicale e tragica, realtà da cui nessuno torna indietro. Solo un miracolo. Solo Dio può chiamare la morte sonno e può ridestare.
« Cristo ti inonderà di luce ».
Cristo che è luce e che con la sua
resurrezione ha vinto la morte, ti
inonda di luce, ti fa diventare figliolo di luce. « Eravate già tenebre,
ma ora siete luce nel Signore ». Non
in voi stessi, ma nella misura in cui
siete nel Signore, uniti a Lui nella
fede e nel l’obbedienza, voi siete luce. Conducetevi dunque come figlioli di luce, portate i frutti della luce, discernete che cosa sia accettevole al Signore, non partecipate alle
opere infruttuose delle tenebre, anzi, riprendetele.
Nel canto antico non solo i battezzandi, ma tutti i credenti ricevevano una parola di speranza e di
gioia, di certezza e di vittoria, di
esortazione a camminare nella nuova via in comunione con il Cristo.
Il canto antico risuona ancora oggi per noi in questo tempo di Pasqua. Non ha perduto nulla della
sua verità, nulla della sua attualità.
La realtà delle tenebre e della
morte j>ermane in noi e intorno a
noi. Permane là dove l’uomo vive
nell’oppressione, dove l’uomo è ucciso in nome della civiltà. Permane
dove l’uomo soffre la fame ed è
sfruttato, dove manca di aiuto, di
consolazione e di s])eranza, dove è
iliscriminato a causa della sua razza, della sua lingua, della sua religione. Permane nella sofferenza della malattia, nell’angoscia di un avvenire incerto, dominato dalla paura. Permane anche più che mai nell’opulenza e nella ricchezza, nel benessere fittizio, neH’indifferenza di
chi ha a sufficienza e non si occupa
degli altri. La realtà delle tenebre
permane in una Chiesa chiusa in
se stessa, che ha perso il senso della
sua vocazione e non sa più cosa sia
resurrezione.
Ma Cristo è veramente risuscitato : risvegliati dunque e sorgi dai
morti,
luce.
j__^ Se Cristo è risorto le tenebre sono
sconfitte e la morte non è più. Il
dolore, la sofferenza, il peso dell’odio, della violenza e della morte
è realtà superata: eravate tenebre,
ma ora siete luce nel Signore.
Sì, vivere in un mondo di tenebre
e di morte con la certezza luminosa della resurrezione, ecco la difficile, ma gioiosa condizione in cui
Dio ci ha posti.
Non possiamo isolarci dal mondo,
siamo solidali con le sue tenebre e
con la sua morte : dobbiamo amarlo
così, solidali con la sua sofferenza,
sofferenti con il suo peccato. Dobbiamo amarlo perchè Cristo lo ha
amato. Ma ramore di Cristo è redenzione e luce : conduciamoci come figli di luce.
L’annunzio di Pasqua è richiamo
ed esortazione a prendere sul serio
la vittoria di Cristo per noi stessi e
per il mondo, vivendo come morti
fatti viventi, che ad un mondo morto annunziano con la parola e con
l’azione la realtà della vita e della
luce del loro Signore.
Per annunziare la vita in Cristo,
davanti all’odio, alla violenza e alla guerra fratricida, la Chiesa deve
essere pronta a rinunciare alla propria vita e alla propria sicurezza nel
mondo.
Per annunziare la ricchezza in
Cristo davanti alla miseria, alla fame e alla prostrazione morale, la
Chiesa deve essere pronta a rinunziare alla propria ricchezza e al proprio benessere nel mondo.
Per annunziare la libertà in Cri.sto davanti all’oppressione, alla
schiavitù, allo sfruttamento e alla
discriminazione, la Chiesa dev’essere pronta a rinunziare al proprio
onore umano e al proprio successo
nel mondo.
Per annunziare la novità di Cristo
davanti al permanere dei più vieti
e pesanti tradizionalismi, la Chiesa
dev’essere pronta a rinunziare alle
sue tradizioni antiquate, ai suoi formalismi ormai privi per lo piìi di
significato vero.
La Chiesa avrà così distrutto se
stessa? No, avrà ritrovato se stessa,
si sarà risvegliata dal sonno, sarà
risorta dai morti, sarà veramente
inondata dalla luce del Signore risorto.
Alberto Taccia
Ma il Cristo non è venuto nel mondo perchè
lo capissimo, bensì perchè ci aggrappassimo
a lui e semplicemente ci lasciassimo trascinare da lui nell'evento della risurrezione.
« 'Voi moriste e la vostra vita è nascosta
con Cristo in Dio ». Questa è la promessa
luminosa che ci viene fatta. Comunque vada la nostra vita : scorra ancora e porti
ricca messe di riconoscimenti, di onore, di
fama, o si dissolva in modo meschino, o
cada sotto il peso della miseria o della colpa. sia eroica, nobile e grande, o meschina,
stolta o monca, che la coscienza giubili beata o martelli il suo terribile lamento ■—
questa vita non dev’essere glorificata nè levata al cielo da noi uomini.
Accanto a noi, in quel maestoso mistero
in cui Dio è tutto in tutto, in cui il Fglio
siede sul trono alla destra di Dio •— là, miracolo dei miracoli, la nostra vera vita è
pronta. La nostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Noi, i senza patria, siamo già
a casa.
La nostra vita visibile fugge via come un
sogno o come una maledizione. Dominata
da demoni, coinvolta in crisi, sovraccarica di
colpe, questa vita è una vita morta. Ma proprio questa vita preda della morte, Dio la
strappa àlfà'rhorte. proprio questa vita perduta, Dio la salva.
Certo, Dio avrebbe la forza di annientare
noi uomini peccatori e di creare nuovi uomini. Ma non lo fa. La nostra vita visibile
con le sue gioie e i suoi successi, con le sue
preoccupazioni, la sua angoscia, la sua disubbidienza: questa vita sta santa, irreprensibile perfetta, per amore di Cristo, in quel
nascosto mondo di Dio, davanti agli occhi
dell’Onnipotente, oggi, domani e per sempre. Nessuna lagrima scorre invano, nessun
sospiro viene dimenticato, nessun dolore
viene trascurato e nessuna gioia va perduta. Il mondo visibile spazza via tutto questo, ma nella sua grazia e misericordia, nella sua grande bontà Dio raccoglie la nostra
vita bruciante, ardente, la glorifica per amore di Cristo, la ricostruisce nuova e buona
in quel mondo nascosto in cui è abolita la
linea mortale che ci separa da Dio. Nascosta è la nostra vera vita, ma saldamente
fondata, per l’eternità. « Quando Cristo, la
vita vostra, sarà manifestato, allora sarete
anche voi manifestati in gloria ».
Signore, eterno Dio nostro, manda tu la
fame nel paese: non fame di pane e sete
d'acqua, ma di udire la parola del Signore.
Amen.
Dietrich Bqnhoffer
(da una predica tenuta a Berlino, 1932}
Inmiorialità delFaiiinia
0 risur
’ /
Quando, vent'anni fa, un teologo — Oscar
Cullmann — fece notare per la prima volta
in dà moderna quale errore fosse, sul piano
esegetico, attribuire al cristianesimo priraiitìvo la credenza greca nell immortalità dell’anima, la sua tesi fece scalpore; suscitando
reazioni anche violente. Tanto la credenza
greca, intimamente pagana, si è connaturata
alla fede cristiana, deformandola profondamente. Ricordiamo che anche da noi questa
discussione è stata viva, su queste stesse colonne, ad esempio, dopo che fin dal 1956 il
breve saggio fondamentale del Cullmann
era stato tradotto ¡n italiano e pubblicalo
sul n. 2/1956 della rivista « Protestantesimo»: 1 ininortal'tà deiran'ma o risurrezione
dei morti? Ora il saggio, in una nuova vers'one. è stato pubblicato nella bella « Biblioteca minima di cultura religiosa » dell’editrice Paideia (Brescia 1968. p. 60. L. 500).
che ha già diffuso in versione italiana varie
piccole e grandi perle, anche della letteratura protestante. A chi vuole risentire in tutta
la sua meravigliosa profondità, novità, concretezza il messaggio evangelico della risurrezione. non possiamo raccomandare al)hastanza questo scritto, di lettura estremamente piana e vivace, per trattarsi di un testo
teologico: Oscar Cullmann è maestro di piana chiarezza. Il lavoro è articolalo in questi
capitoci: L'ultimo nemico: la morte (con
un singolare confronto fra la morte di Socrate e quella di Gesù) — Il prezzo del peccato: la morte (con un'analisi dePsignificato
dei termini biblici : corpo e anima .carne e
spirilo, tanto diverso dal senso corrente che
diamo loro) — Il primogenito dei morti:
Cristo — Quelli che dormono. Spirito Santo
e stato intermedio dei morti. Com è stato
scritto. « se il cristianesimo successivo (a
quello apostolico) ha stali I to un legame tra
l'atlesa della risurrezione c la credenza greca
neirimmortalilà dell'anima e se il cristiano
medio bellamente confonde queste due credenze, a Cullmann non sono parse ragioni
sufficienti per sacrificare al Fedone il capitolo 15 della prima epistola ai Corinzi,».
Nc’la stessa linea, anche se purtroppo non
ancora in italiano, è apparsa .la riedizione di
un'operetta di alto interesse (parallela e forse debitrice aU’indagine del Cullmann): Le
sort des trépassès. di Philippe H. Menoud
(ed. Delachaux & Niestlé). il quale fa apparire in tutta la sua irriducibile originalità
la nozione cristiana della vita in Cristo dopo
la morte e della risurrezione con Cristo.
8
pag. 8
N. 14-15 — 12 aprile 1968
Amministrare la giustizia
(segue da pag. 1)
darsi di quanto di essa era « ben
trovato ».
Tuttavia Salomone fa aH’Eterno
una domanda che gli piace. Conosciamo anche noi delle domande che
piacciono all’Eterno. Gesù ci ha insegnato una preghiera che ne contiene parecchie; venga il tuo Regno,
sia fatta la tua volontà, dacci il
pane quotidiano, perdonaci il peccato e preservaci dal cadere nel
tempo della prova. Eppure in confronto alla domanda di Salomone
abbiamo l’impressione che quelle
del Padre Nostro siano un po’ astratte, magari per colpa nostra, certo,
che le abbiamo ridotte a formule
vuote, studiandole nell’età in cui al
pane preferivamo nettamente i pasticcini e le caramelle e al Regno
di Dio preferivamo il paese dei balocchi malgrado la minaccia sempre
incombente delle orecchie di asino.
Eppure c’è una sostanziale convergenza fra la preghiera del Signore
e le richieste di Salomone. Infatti la
capacità di amministrare la giustizia chiesta dal figlio di Davide non
è solo una particolare accortezza
nell’esercizio delle sue facoltà di re,
ma vuole essere una testimonianza,
un segno del Regno di Dio di cui
Salomone non è il padrone, ma che
deve essere rispecchiato da lui e da
Israele. Venga il tuo Regno, dunque. E questi segni si ritrovano, fra
l’altro, anche sulle questioni in cui
c’entra il pane, quel pane che non
possiamo chiedere per noi se non
lo vogliamo contemporaneamente e
nella stessa misura per gli altri:
dacci.
Salomone fa, perciò, delle richieste politiche. E queste piacciono all’Eterno. Offre degli olocausti, ma
non chiede di poterne offrire di più;
chiede di poter amministrare la
giustizia. L’aspetto dell’adorazione
comunitaria a cui così spesso non
solo una tendenza anziana della
chiesa ma tutti coloro che desiderano che l’Evangelo sia comodo vogliono ridurre il messaggio di Cristo, anche se sono giovani di età, è,
per così dire, dato qui per scontato.
Non sempre, naturalmente. Ma qui
sì E’ forse necessario ricordarlo di
fronte a una giovane generazione
che torna a rifare suoi degli slogan
che qualcuno riteneva definitivamente sorpassati.
Dobbiamo rischiare di chiedere a
Dio di aiutarci a seguire nelle cose
provvisorie la giustizia del suo Regno che, per ora, si gioca sulle questioni immediate: il pane; l’occupazione dell’università; il movimento
operaio; un’impostazione della vita
delle campagne che porti, fra l’altro, i contadini delle Valli ad essere una categoria che non guadagni
ancora meno dei pastori; uno stato
in cui non ci siano colpi di mano
che si mascherino dietro una sentenza della magistratura che assolve
i colpevoli del colpo, come De Lorenzo, i quali danno querela a chi
li denunzia forse solo per dimostrare che il loro colpo di stato è riuscito proprio attraverso la condanna degli accusatori, anche se non ha
assunto le forme tradizionali; e via
di questo passo. Lo stesso come nel
caso di Salomone la giustizia si è
espressa nella semplice assegnazione di un figlio a sua madre, di fronte ad una che cercava di rubarglielo.
'’Oltre a questo, io ti do quello
che non mi hai domandato: ricchezza e gloria...”. Iddio dà sempre al
di là di quello che gli domandiamo,
anche se non dà sempre esattamente tutto quello che vorremmo. Troviamo certamente strana, però, la
concessione di ricchezze e gloria.
Eppure Dio le concede, ma quando
Salomone vorrà procurarsele da solo con l’idolatria, Dio gliele toglierà. (Jui sta il limite di ogni ricchezza e di ogni gloria. In fondo amministrare la giustizia di fronte ad un
popolo numeroso, che non la vuole,
altrimenti Salomone non chiederebbe l’aiuto di Dio per dargliela, è ricchezza e gloria sufficiente. Il di più
viene dal maligno e pone Salomone
come oggi noi al di fuori della prospettiva e della realtà del Cristo.
Claudio Tron
Utili tavola cotonda a Torino
Anche quest anno la Tavola ha consentito
a fissare la domenica della Gioventù alle
Palme. Mentre la ringraziamo per il suo
consenso e ringraziamo le chiese per la generosità manifestata gli scarsi anni, desideriamo informare sulla situazione finanziaria
della F.U.V.
Anche la nostra organizzazione giovanile
ha fatto un po’ le spese, come è giusto del
resto, del risanamento finanziario della nostra chiesa. Perciò il contributo della Tavola alla F.U.V. è stato ridótto da 300.000 a
200.000 lire.
D’altra parte non è che le spese siano diminuite in corrispondenza. I viaggi, anzi,
sono forse stati più frequenti per la messa
in opera della Federazione Giovanile Evangelica. A lunga scadenza questa ci permetterà certamente di realizzare dei risparmi,
poiché' molte spese che adesso la FUV deve
sostenere da sola saranno in futuro sostenute insieme agli altri movimenti giovanili,
ma per il momento aggrava i costi di amministrazione.
Ci troviamo attualmente con circa 200.000
lire in cassa e si i>rospettano spese immediate per un importo l«n superiore. Abbiamo quasi pronti per le stampe due, quaderni, uno sull’etica protestante ed uno sul razzismo; due altri sono a buon punto: uno su
Isaia e uno sulla lettura della Bibbia. Inoltre l’estate prossima si preannuncia particolarmente ’calda’ quanto a spese, perchè ci
sarà il Congresso FUV e i prezzi del Campo GBI si sono dovuti ancora aumentare. In
queste condizioni è presuimibile che molti
Che pensare delle attìi/ità
tradizionali della Chiesa ?
Giovann; Papa, Edina Ribet e Paolo Ricca sono siali gli interlocutori di una tavola
rotonda, venerdì 29 marzo, ed hanno risposto ad alcune domande che si proponevano
di aiutare la comunità ad un ripensamento
delle attività tradizionali neU’ambito della
chiesa.
Essi si sono chiesti, intanto, come considerare la chiesa di oggi alla luce dell’evangelo. mentre Edina Ribet la trova manchevole e infedele sotto molti aspetti, specie per
quanto concerne Pevangelizzazione, bisognosa di ravvedimento più che di rinnovamento. Paolo Ricca la vede rispecchiarsi molto
bene nel testo di Ezeeh’ele 37. che parla di
una vale piena di essa sacche. « Queste ossa potrebbero essa r'vlvere? » Il Signore solo lo sa, e riv'vranno solo se il suo Spirito soffierà su di loro. Altro confronto possibile è il prendere atto che le nostre sono
chiese senza croce, mentre Cristo prevede
per i suoi discepoli un destino di croce, simile al suo. ’
Giovanni Papa si riferisce alla « nuova nascita )), la quale concerne l’uomo nella sua
interezza, ed afferma che la chiesa deve vivere guidata da una nuova mentalità ed in
una nuova dimensione — quella del Regno
che non le permette di vivere nell’attuale sistema di oppressori e oppressi, perchè
Gesù ha scelto gli oppressi ed i poveri e non
bisogna limitarsi ad intendere questa sua
campisti chiederanno borse campo o mezze
borse e i rifiuti da parte nostra sono sempre
spiacevoli.
Concretamente e schematicamente, ecco le
voci del nostro bilancio FUV :
Entrate : quote Unioni,- contributo Tavola,
collette Domenica della Gioventù, vendita
Quaderni G.E.I.
Uscite : viaggi e trasferte de] Comitato
nazionale; campi, convegni e congressi generali e regionali; borse-campo Agape e
Adelfia; spese Consiglio della Gioventù,
« G.oventù Evangelica », Consiglio ecumenico, Conferenza Paesi Latini; spese d’amministrazione; pubblicazione Quaderni GEI.
C. T.
scelta in senso spirituale. Invece di conteUarc le realtà di fondo che creano e mantengono situazioni di miseria, le attività trad zinnali della chiesa continuano ad occuparsi di problemi marginali, anche se reali;
con la beneficenza, esse contribuiscono a
istituzionalizzare la miseria e l’ingiustizia.
Le discusse attività tradizionali sono invece considerate da Paolo Ricca come le cose
più vere che la chiesa, attualmente, fa : o
meglio, ci sono nella ehiesa dei gruppi che
fanno quel che la chiesa, nel suo insieme,
non fa. E per lo meno sconcertante che in
una comunità come quella di Torino ci sia
in tutto una decina di persone che si occupano delle M.ssioni, mentre la chiesa tutta
e, di pcz sè, missionaria. D’altra parte, afferma Edina Ribet, la chiesa deve essere
pronta a cambiare i metodi finora usati se
le si propone qualcosa di altrettanto concreto, senza però calpestare quello che c’è, affinchè possa continuare ad agire tempestivamente là dove essa agisce ora.
Un alternat.va a questa situazione ei potrà essere, secondo Paolo Ricca, solo quando
scopriremo quello che è il eentro dell’evangelo per il XX seeolo, come è successo ai riformatori che, riseoprendo la giustifieazione
pcr^^fede, hanno riletto tutto l’evangelo in
quella prospettiva. Bisogna cioè partire dall’evangelo, perchè se partiamo soltanto dalla chiesa riusciremo al massimo ad eseogitare qualche correttivo, non a proporre una
alternativa vera.
La Tavola rotonda in questione, seguita
da una discussione che ha portato altri notevoli contributi, era stata organizzata in
comune dalla Lega Femminile e dal M.C.S.
ed era rivolta a tutta la comunità. Infatti
la comunità è intervenuta in modo meno uniforme del solito e si è notato un maggior
numero di giovani. Si pensa di continuare
in futuro su questa linea, proprio perchè la
riflessione sui problemi della fede deve avvenire a livello comunitario e non all’interno di gruppi che, riunendosi seeondo eriteri... anagrafici, spesso conducono un’attività che rischia di diventare fine a se stessa.
Oriana Bert
I LET¥ORI CI SCRIVONO
I muri
e il cielo
Un lettore, da Milano:
Signor direttore,
mi riferisco aUa risposta che il past.
Sonelli dà nel n. 11 dell’« Eco-Luce »,
alla mia lettera relativa all’articolo comparso nel n. 9, sui matrimoni misti Se a me non era piaciuto
quell’articolo, aU’estensore erano altrettanto dispiaciuti gli sposi di Parma e il loro pastore (ohe non conosco) nonché l’atteggiamento della
Chiesa cattolica. Non dovrebbe quindi prendersela per certe battute ironiche sparse nella mia lettera : non
certo offensive, si badi, ma intese a
sottolineare uno spontaneo risentimento per la durezza dell’articolo.
L’aver isolato e scambiato per « epiteti » alcune espressioni della mia
lettera, che mettevano in discussione,
il suo scritto dal punto di vista ecumenico, ha impedito al past. Sonelli
di prendere sul serio la questione di
fondo che implicitamente veniva proposta: il problema dei matrimoni misti deve essere affrontato con uno
spirito più positivo e con una conoscenza sempre più obbiettiva delle re.
ciproche posizioni confessionali.
A questo proposito vorrei precisare che c’è un equivoco da chiarire
nella posizione del past. Sonelli. Mi
pare infatti che egli confonda la cerimonia che si compie in chiesa con
ciò che costituisce l’essenza del sacramento del matrimonio secondo la fede cattolica, cioè con il « sì » dei due
sposi battezzati e credenti sui quali
Dio pronuncia d Suo « si » di grazia.
Proprio nel suo precedente articolo,
da lui stesso citato (« Eco-Luce »,
12-5-67), il past. Sonelli scriveva:
« La chiesa cattolica considera il matrimonio come un sacramento, cioè
come un rito che nello stesso tempo
significa l’unione di Cristo con la
chiesa e dà agli sposi la grazia sacra,
mentale... ». Ritengo molto importan.
te chiarire questo equivoco e distinguere bene la dottrina dalla disciplina; cioè l’essenza del matrimoniosacramento, dalla eerimonia liturgica
e dalla forma canonica. Avendo ben
chiara questa distinzione, si può capire come la Chiesa cattolica, dispensando dalla forma canonica, non abbia mai pensato nè possa pensare di
« rendere cattolica una cerimonia compiuta in un tempio metodista »; allo
stesso modo che, ritenendo che sia
sacramento il matrimonio di due battezzati credenti della Chiesa valdese,
non intende certo rendere cattolica
la cerimonia valdese. E si può dire
anche di più : soltanto questa chiara
distrazione permette di capire come
la Chiesa cattolica potrebbe riconoscere valida pure la forma civile, se
non ostassero difficoltà pastorali molto serie (ved. al riguardo l’intervista
del P. R- Beaupère, in « Nuovi Tempi », 19-11-67, p. 2).
C’è poi da considerare il tema di
fondo della autorità nella Chiesa, sol
levato dal past. Sonelli, come quello
dei rapporti interconfessionali e del- j
la reciproca conoscenza. Sono proble- i
mi reali, che certo non si possono
accantonare con un facile ecumenismo, ma neppure con giud’zi frettolosi, come quello secondo cui ciò che
il coniuge cattolico crede nei confronti della sua Chiesa, è per gli evangelici una « radicale deviazione dall’Evangelo ». Non è certo su questa
strada che mia moglie ed io abbiamo
iniziato e portiamo avanti nella fedeltà all’unico Signore la nostra vita
coniugale. Noi abbiamo scoperto insieme per grazia e con l’aiuto delle
nostre comunità, una vasta area di
possibile comunione nella fede: su
questa base, nel rispetto e nella lealtà reciproca, e nella fedeltà alle nostre Chiese, cerchiamo l’unità più
piena che Cristo ha donato ai « suoi »
e per la quale ha pregato. Il problema dell’educazione dei figli resta in
tutta la sua acutezza, ma riteniamo
non sia impossibile risolverlo, sulla
base di un intimo rapporto interconfessionale, ben diverso da quello
espresso dal past. Sonelli.
Per altro, in Francia si sono fatti
molti passi avanti in questa direzione. con l’esperimento del « Foyers
mixtes », diretto da pastori e sacerdoti, e col pieno accordo delle autorità deUa Chiesa cattolica e delle
Chiese riformate : in uno spirito di
amore e di sincerità, tenendo bene in
vista proprio lo scopo della educazione dei figli, nel rifiuto di ogni compromesso, ma anche di ogni atteggiamento non costruttivo.
Ritengo corretto non intrattenermi
sul mio caso personale : sarò lieto di
parlarne al past. Sonelli, se lo desidera, in occasione di uno dei miei
prossimi viaggi a Torre P. Vorrei
però che fin d ora mi facesse credito
della non impcesibilità di riuscita
del tentativo di rimanere un umile
cattolico ed una coerente metodista,
« uniti nella Fede e nell’Amore ».
Mia moglie ed io abbiamo sofferto e
soffriamo tuttora nell’affrontare i molteplici problemi che la nostra unione
comporta. Non è facile: ne dò atto.
Ma non ci aspettavamo che lo fosse.
E non disperiamo di portare avanti
la nostra missione che coscientemente
abbiamo scelto.
A chi si interessa al problema dei
matrimoni misti, in particolare a pastori e sacerdoti, tutti coloro che hanno consapevolmente compiuto un simile passo, chiedono di non renderlo
più difficile: ma che si tenti piuttosto di lavorare insieme e di pregare
con un rinnovato spirito ecumenico,
perchè le coppie miste possano sviluppare la propria vita cristiana. Dopo tutto, « i muri che ci separano,
non salgono fino al cielo ».
Grazie per la pubblicazione. Cordialmente,
dr. Gianni Marcheselli
Vede,, per quanto infelice sia Vimmagóne (non ci sono muri opachi fra
noi: ci parliamo!), noi pensiamo che
i muri salgono fino al cielo. Il Signore
è al di sopra, certamente, e a Lui solo
spetta il giudizio ultimo: a noi, ora,
spetta di essere fedeli alla sua parola,
così come il suo Spirito, nella comunione della Chiesa che egli si va continuamente suscitando, - ci dà di intenderla e crederla. Mossi da questa
parola noi continuiamo a pensare
che l’interpretazione dogmatica, ecclesiologica, disciplinare cattolica costituisca una deviazione dalVEvangelo. deviazione radicale, alla radice,
quand’anche si possa trovare — per
conformismo ai tempi o per tiepidezza 0 confusione di fede — ’’una vasta area di possibile comunione nella
fede”. Per noi quest’area non esiste,
è tutt'al più una ipotetica e idealistica proiezione delle nostre umane aspirazioni di accordo; non vi è autentica comunione di fede fra noi. Se Lei
segue il nostro lavoro, sa in che senso dico questo, e Le ass’curo che non
sono — come non lo è l’amico Sonelli — privo di sensib lltà per i problemi umani e di fede che questa situaz'one costringe a soffrire. Tuttavia
di questa dura verità ci sentiamo
cristianamente debitori a Lei e a tanti cdtri, come a noi stessi.
Cord'almente Gino Conte
Ancora sui Valdesi
e il diritto comune
Vii lettore, da Torino:
Alcune riflessioni sul secondo articolo del Peyrot su « I Valdesi e il di.
ritto comune m (le parole tra virgolette sono del Peyrot) :
1) Per diritto comune « si intende
il diritto positivo vigente in ciascun
paese ». Tale diritto è dialettico.
2) Non si può dire che la legislazione dello stato, qualsiasi esso sia.
s a (( iin'laterale ». Dì fatto lo stato
(in quanto tende o dovrebbe tendere
a essere rappresentativo di tutti i cittadiniì è il solo legislatore.
3) Dal punto d’ vista del diritto
(cioè dello stato che deve tendere a
essere rappresentativo di tutti) non
ci può nè ci deve essere differenza
alcuna tra « Passociazione degli amici dei fiori » e la « chiesa cattolica »
(ad es.).
4) Qualora lo stato di sua iniziativa (« unilateralmente » e tanto peggio se su pressione della chiesa) offra
alla chiesa una posizione giuridica
privilegiata, esso fa un atto illegale
(che non è in suo potere di fare). Di
fatto lo stato cessa di esistere (cioè
di essere rappresentativo della totalità
dei cittadini) nel momento in cui
compie questo atto.
5) Qualora la chiesa spontaneamente (e tanto peggio se su pressione del.
lo stato) stia al gioco e accetti una
qualsiasi forma di posizione giuridica privilegiata, essa fa un atto espresso di apostasia (cioè un atto che la
chiesa in quanto chiesa e finche vuole essere chiesa non può fare), cioè
distrugge se stessa come chiesa. In
questo senso Kierkegaard diceva (in
« Einiibung im Christentum », tra
dotto in italiano per le edizioni d
Comunità col titolo cc Scuola di Cri
slìanesimo ») che a ogni chiesa costi
tuita (cioè con una posizione giuridt
ca privilegiata, come era allora in Da
nimarca) è una chiesa trionfante (leg.
gi costantiniana) e in quanto tale anche trionfata » (in senso etimologi ai),
una non-chiesa, una anti-chiesa, la
« sinagoga di satana ».
6) Il diritto comune non deve (come dice il Peyrot) cc esprimere (?ome
sufficienti per tutti quelle garanzie
giuridiche ohe siano sufficienti alla
chiesa », ma deve necessariamente
esprimere come sufficienti per la chiesa quelle garanzie giuridiche che siano sufficenti per tutti.
7) Per la chiesa il diritto comune
ottimale è quello che dà garanzie sufficienti per tutti.
8) Il Peyrot si rapporta alla condizione reale dì oggi per accettarla e
adattarla alla chiesa^ il cristiano si
rapporta alla condizione reale di oggi
per contestarla e per adattarla al Regno.
Marco E. Franchino
Un collaboratore, da Roma:
A riscontro della lettera da lui
pubblicata suH’Eco-Luce del 22 marzo in relazione al mio scritto apparso sul numero dell’S marzo, desidero dare e richiedere a Marco E. ,
Franchino le seguenti spiegazioni:
1) Non ho detto che « per viveI re » la chiesa ha bisogno essenzial! niente di « garanzie giuridiche suffì- :
I denti ». ma ho rilevato che le stesI se si vorrebbero da taluni rinvenire
nel « diritto comune », Pertanto il
I predetto rilievo non è pertinente al
¡ mio scritto.
j 2) Il secondo rilievo, pur essen! do espresso in forma forse volutamonte paradossale, lo condivido. Esso
trova precisa conferma nel punto 8
del mio quinto articolo sul tema « I
valdesi ed il diritto comune », e pertanto ad esso faccio rinvio.
3) Voglia chiarire meglio la
portata del suo terzo rilievo, poiché
non ne ho ben compreso il contenuto. Se egli ha voluto dire che vi può
essere una legislazione unilaterale
dello Stato improntata ad una politica giurisdizionalìsta che in pratica
consente ad una chiesa una situazione giuridica di privilegio nel senso
più ampio del termine, anche più vasta di quella che può scaturire da un
concordato, sono pienamente d’accordo. Ma tale rilievo esorbita dal quadro dei miei scritti, riferendosi ad
altro tema. Debbo però rilevare che
non è il ricorso al « diritto comune »» comunque lo si voglia intendere, Túnico mezzo per evitare privilegi a favore od in odio. Ve ne sono
altri e migliori a seconda delle circostanze. Tutto dipende dalla chiarezza di vedute della chiesa da qua e
dal suo senso di resopnsabilità nei rìI guardi della posizione da assumere
I nel quadro della società umana.
¡ Giorgio Peyrot
Cartografia
ecumenica
Un lettore^ da Venezia:
Signor direttore,
nel recensire « Situation et tâches
présentes de la théologie » di padre
Yves Congar (Les Editions du Cerf,
Paris 1968), don E. Pisoni, nel « Cor.
riere della sera » del 22 marzo, espone fra l’altro quanto segue :
(( Il rischio più grave per l’attuale
teologia è indicato da Padre Congar
(op. citata pag. 63 e ss.) neWorizzontalismo che è tendenza ormai prevalente nel mondo tedesco e nel mondo anglosassone sia fra i teologi cattolici, come e ancor più tra i teologi
protestanti. Orizzontalismo e mettere
.Taccento, nel sentire e nel presentare il cristianesimo, non sulla sua
componente verticale (il piano di Dio
per la salvezza delTumanità, la libertà
come condizione offerta all’uomo per
entrare responsabilmente e meritoriamente nel disegno di Dio. Dio che
scende verso l’uomo con la grazia,
Tuomo che sale verso Dio con la lij berta) ma sulla sua componente orizzontale (Tuomo fra gli uomini, la
Chiesa stemperata nel mondo, come
un gigantesco « Rotary » che impegna gli uomini alTamicizia e alla fraternità senza turbamenti e inquietudini teologiche, il tutto potendo
esser valido, « ctsi deus non darelur »).
« Questo è Torizzontalismo dei teologi che parlando del cristianesimo
come proposta di fraternità non dicono è anche questo ma dicono è soltanto questo, dimenticando l’insegnamento di Cristo su Colui che egli
I chiama « mio Padre ».
i « IjC citazioni di Congar diventano
j sorprendenti quando il dotto domenicano prende in esame la nuova litur, già: questa infatti è materia ufficia' le, emanante dalTautorità costituita e !
I non dalTiniziativa di singoli.
« I testi delle antiche orazioni liturgiche da sostituire, dove hanno
accenni al soprannaturale, alla grazia
0 al peccato, vengono cambiati con
testi solidaristici, vagamente sociali o
addirittura populisti. Anche la teologia cattolica accetta dunque che il
sacro venga espulso dalla nostra società e che il mondo continui senza
intralci nel suo processo di totale secolarizzazione? »
Non Le sembra, direttore, che questo pericolo non minacci, come le accennate chiese protestanti, anche la
nostra Chiesa ed in genere il protestantesimo italiano, dopo gli attacchi
anche recenti dei « teologi » cristianomarxisti?
Vittorio Viti
I Lei ci segue, e sa quindi che affer\ miamo noi pure la realtà del rischio
\ del quale ci parla. Devo tuttavia
I notare che il ^verticalismo di cui
i parlano il Congar e il Pisoni non
posso proprio accettarlo, con quel
duplice movimento dalValto e dal
basso, con quel convergere delle iniziative, delle buone volontà di Dio e
dslVuomo: Valternativa alV orizzontalismo cristiano-marxista non sta certamente nel preteso verticalismo cattolico. nella sacralità della Chiesa,
nella sua volontà di sacralizzare il
mondo. Anche questo i>a sempre detto.
g. c.
La Facoltà
ospitale
lì decano della Facoltà Valdese di
T eo logia ci scrive da Rama:
Caro direttore,
alcuni hanno visto il nome della
Facoltà sui giornali in relazione con
i fatti dell’Università di Roma e si
sono chiesti che cosa c*entrav-a il nostro istituto teologico.
Non è ¡1 caso che io entri nel merito della questione delTUniversità
italiana in generale, perchè ne hanno scritio lutti i giornali, anche il
tuo, e da ogni parte è stalo riconosciuto che la struttura era rimasta
immobile per decenni, che Timpostazione delTinsegnamento e della ricerca è ancora quella che poteva andar
bene quando gli studenti erano poche diecine per Facoltà, c che Tenor,
me crescita delle università nel dopoguerra. ferme restando (o quasi) le
altre condizioni, aveva praticamente
pnraTzzato le possibilità di una vera
comunità di ricerca e di un contatto
umano fra docenti e studenti. Il fatto stesso che il governo avesse predisposto un progetto di riforma (anche senza entrare nel merito del suo
contenuto) è una prova di quanto
sopra; come pure è un dato di fatto
che esso è rimasto giacente pe-r due
anni nei meandri del parlamento.
L'ospitalità de’la nostra aula magna ci è stala chiesta in un momento di grande tensione, per gruppi di
lavoro più ampi il primo giorno, più
ristretti nei giorni successivi, quando a causa della chiusura delTuniversità di stato e del rifiuto opposto da
gestori di sale a carattere commerciale, gli studenti non sapevano dove
riunirsi. La nostra ospitalità è stata
concessa per consentire la discussione
e l’elaborazione di proposte costruttive di rinnovamento, e con Timpegno da parte dei richiedenti di evitare disordini durante le assemblee
impegno che è stato scrupolosamente
rispettato. Se è vero (come è vero)
che la violenza ® sistema antiquato e non conforme alla fede cristiana per risolvere le vertenze fra i
popoli e gli individui, ciò si applica
anche alle vertenze sulla vita nell’università. Accogliendo n'el nostro salone ì lavori degli studenti abbiamo
creduto di potere e di dover dare un
contributo a una soluzione non violenta del problema, in un ambiente
politicamente e accademicamente in-'
dipendente.
Con cordiali saluti.
Bruno Corsani
9
12 aprile 1968 — N. 14-15
pag. 9
Cronache «rinemnto^mficho
ma TH. DREYER, REGISTA CRISTIANO
ovvero: i drammi dell’anima
l’ronclerc la p<*nna per scrivere di Caret
Theodor Drcyer. lottanienne regista cinematoerailco danese, spentosi nello scorso
mese di marzo in età di ottantun anni (era
nato a Copenhagen il 3 febbraio 1889). non
significa soltanto rievocare il lavoro « Ordet » (<< La Parola »). premiato con il Leone
d'Oro alla Mostra cinematografica di Venezia. Significa rievocare una delle più accese polemiche — non mai sopXa — intorno
all'arte cinematografica in genere ed ai suoi
modi di espressione; ma vuol pure significare. per un foglio di fede e di battaglia come
« 1 .'Eco-Luce ». che l'Arte e la Fede, queste COSI esaltanti ancelle dello spirito umano. pur così diverse e di così diversa ispirazione. hanno potuto appunto trovare nell'opera di C. Th. Dreyer (particolarmente
in « Orde-; »1 un luogo di incontro ; il luogo che ha suscitato ampie riserve sul piano
dogmatico. Non è quindi senza importanza,
commemorando il regista danese, ricordare
su questt colonne gli aspetti della stia opera
con i quali maggiormente possiamo consentire.
UN’AM»-1Í Í \ ()’■ F I
TRA SI^lBOn *
ir
I
Diciamo jtnzitiisu' «• ■ i"
Dreyer n
gista, di naiuO.*. '.-t
autore di diversi soggetti cinematugiaiii,..
diresse, nella sua lunga esistenza, pu. di
una ventina di films. Sommariamente, la
sua produzione si distingui. j¡e. u, ..egucni.
■caratteristiche ;
1) un aiTirnuvvoic lusiuue dell antitesi
tra simboiisiiiu c icai.-.udieimuo iia qu.-l
10 che e c d D e one
-della me' tpen c alla e
manticd'i c qut: i cue eosiituisce .a qualità
fondamentale c!.?i cinematografo, come fotografia dei veni.
L'opera di 1. Th. Dreyer e consist.'.a nel
1 n t iismo ad accessori tratti
princ'palmenie dall'ambiente medievaleggiante m cm, <lal più al meno, egli ha situat 1 suo simbolismo è « stori
. e ». a differenza per esem
pio ih oiu ito di Maurice Maeterlink, che è
tutto « rnniantico » : si vedano le due opposte rappresentazioni della Morte, in « Ordet » del Dreyer, e nell’« Intrusa », il noto
lavoro teatrale dello scrittore belga. E lo si
•comprende; la fede nordica è protestante;
ciiiclln di Maeterlink è ca'itolica.
E stato molto giustamente detto che
Drever ha compos'io nersuoi films dei qua■dri simili a quelli della Scuola Fiamminga
IB h B 1 li il regista non
h ol e, ma insegnare
n imente dipingere
DUI I IO di Dreyer ha
; di espressione,
ita dei volti dei
-.SUOI personaggi, ripresi per lo più in primi
piani di un candore abbagliante, di una purezza inarrivabile. È noto come, traendo
pretesto dalla sensibilità della pellicola pancromatica. una novità per i suoi tempi. 'IT.
Th. Dreyer rifiutasse ai suoi attori l'uso di
ceroni, di trucchi, di posticci, di parrucche.
Si ricordi, nella cPassioii de .leanne D'Are»
girato in Francia, che l'attrice Falcone>tti
(un'italiana), al momento in cui la sceneggiatura esigeva che le si tagliassero i capelli. li ebbe veramente tagliati, e questo tra
la commozione e le lagrime (vere) della
« troupe ». la quale aveva visto progredire
11 dramma, nel tea'tro di posa, con la stessa
successione di tempi e di sequenze con cui
il dramma si sarebbe poi svolto davanti al
pubblico. Non è forse fuori luogo un riferimento a certe rappresentazioni sacre
(come ad Oberammergau), dove tutta una
popolazione si prepara, per dieci anni, a rivivere. non solo nelle vesti e nelle capigliature. ma in un certo modo anche nei caratteri e nei modi di essere, il dramma della
passione e della croce.
Tornando a Dreyer, egli aveva eviden'lemente scoperto (sulle orme della cinematografia sovietica, cfr. Eisenstein, che conosceva) la forza espressiva inarrestabile dei
volti scoperti. Così egli volle ridurre le carrellate di macchina alle descrizioni di mas
alle scenografie brulicanti di comparse;
ma preferì spesso rinunciare (come nel
■ l):..-: Irae ». il cui vero titolo fu « Vredendag ■>, i! giorno della pace) alle piazze gremi'te, ai cortei di gente in lagrime, ai cavalieri al galoppo, e via dicendo; indubbiamente egli sapeva quanto poco partecipino
le masse di comparse con i sentimenti dei
protagonisti...
Tornerebbe qui agevole un raffronto tra
« Ordet » e le « Vergini di Salem » del Miller. in cui è portato sulla scena un caso (storico) di folle eresia colleWiva; ma C. Tb,
Dicyer non era un regisila teatrale, bensì
■;: nematografico. Un solo film del regista
danese, il « Vampiro », dette la sensazione
che egli intendesse scostarsi da codesta esigenza. di cui noi cercheremo ora di approfondire le ragioni spirituali; ma il « Vampiro » si risolse in un fallimento artistico,
e in un piti completo fallimento commerciale, che per una diecina di anni tornò a
risospingere Dreyer alla sua professione
giornalistica.
IL PITTORE
DEI DRAMMI DELL’ANIMA
2) C. Th. Dreyer può essere considerato un maestro nel ridare, con le immagini
cinematografiche. / drammi deH'anima umana. Infatti, l'uso dei primi piani, dei volti
e delle parti di volti, quel che il critico cinematografico Bdla Balàsz ha chiamato la
tecnica della microfisionomia, è stato dav
vero inaugurato dagli Eisenstein e dai
Drejer. Basterà un esempio.
In un film di Eisenstein, un pope ortodosso canta davanti a dei contadini. Il suo
sguardo, la sua mirabile voce fanno pensare ad un santo. Ma per un istante la
macchina da presa isola un particolare.
l'occhio del pope. Come un verme in una
corolla, sotto le belle palpebre si cela uno
si’iardo astuto e maligno. Ora il pope volile il capo, ed un primo piano ne ritrae la
nuca e il lobo di un orecchio. L’espressione
di questa parte del corpo è cosi insolita che
essa denuncia senza equivoci l'egoismo di
un rozzo kulak (corotadino). Il nobile volto
del pope altro non era se non un paravento di ipocrisia, dietro cui si nasconde un pericoloso nemico! La microfisionomia ha rivelato tutto ciò.
Lo stesso dicasi per i volti delle due correnti religiose rappresentate in «Ordet».
Essi sono i sintomi, l’espressione concreta
di due particolari tipi di fede, svedenborgiana, o revivalistica che siano. Chi ha frequentato assemblee religiose di stile metodista, o salutista, non può ingannarsi: vi
sono dei particolari che non possono lasciar dubbi. A chi vuole e sa mentire, le parole serviranno egregiamente, perchè esse
ubbidiranno alla sua coscienza ed alla sua
volontà. Ma il volto, no! È inutile aggrctrare le sopracciglia e la fronite: la macchina da presa si avvicina e scopre nel mento,
che l’uomo non può correggere con una
mimica particolare, ch'egli è di volta in
volta un debole, un vigliacco, un sensitivo,
un passionale, un traumatizzato! Lo stesso
lieve sorriso sulle labbra è ipocrita: la forma delle narici non è sfuggita all’obbiettivo.
che vi rintraccia la brutalità dissimulata.
Con tali premesse, è evidente che il cinematografo, per Dreyer, è l’esposizione accurata, fremente, di un dramma dello spìrito umano. Si guardi la lunghissima sequenza del processo in «Jeanne D’Are». Le facce
degli inquisitori sono a una distanza minima
dall'obbiettivo : l’operatore ha colpito la
dimensione spirituale che era in ogni espressione umana. Ma dove si svolge questa scena? In tribunale? alFaria aperta? in una
chiesa? Non lo sappiamo; nè rocchio nè
l'orecchio ce lo suggeriscono .Fuori del rumore (del suono), nel silenzio, fuori dello
spazio (neppure s’intravvede uno spazio che
sia uno sfondo, come in « Ordet » : un muro
di immacolato splendore) lottano fra loro le
passioni sfrenate, i pensieri, i sentimenti e
le convinzioni più intime.
IL DRAMMA DELLA PERSONA
Di passata, si ricorderà qui «Persona»,
il più recente film di Ingmar Bergman, che
vi ha tratteggiato il mistero (il problema)
della coesistenza e sovrapposizione di due
diverse personalità, in uno stesso essere. Il
problema psicologico è già stato trattato,
originalmente, nell’opera « 11 concetto della
persona » del filosofo inglese Alfred Ayer
(ora tradotto in italiano). È indubbio che,
in questo campo, l’apporto di un’attenta
quanto profonda riflessione artistica — da
parte di un Dreyer o di un Bergman —
possa riuscire a render sensibili allo spetta
tore le drammatiche complessità dell'anima
umana, assai meglio che nel teatro e nella
letteratura. Come potrebbe una penna, sia
pure la più abile, descrivere con tanta evidenza l'angoscia esistenziale •— in un sol
corpo — di due coesistenti facce della stessa persona, di due esseri insieme fusi in
uno, e Iettanti nella stessa anima, fra dubbi e inquietudini mortali? Conosciamo per
In verità soltanto un autore, che abbia veramente espresso, in poche righe di esemplare concisione, quel dramma intimamente « pirandelliano » (qui nessun riferimento
è anacronistico!) ed universalmente conosciuto. Ma quell’autore, se anche avesse
avuto a sua disposizione una macchina cinema'tografica — e non l’aveva! •— non
avrebbe certo avuto il tempo necessario per
adoperarla. Ecco le sue parole testuali ;
« lo mi diletto nella legge di Dio, secondo l'uomo interno; ma veggo un’altra legge
nelle mie membra, che combatte contro la
legge della mia mente, e mi rende prigione
della legge del peccato che è nelle mie
membra. Misero me uomo!... ».
Quest’uomo, che leda con sè stesso, è
Paolo di Tarso, apostolo di Cristo, al quale
però sembra che solo pochi siano disposti
a riconoscere una competenza assoluta nella
conoscenza del dramma psicologico dell'es.sere umano.
Tornando a Th. Dreyer, psicologo e uomo di fede, è comprensibile che l’apparizione di « Ordet » sugli schemi di Venezia, destasse i sospetti, le ansie è addirittura le
paure dei critici di parte cattolica (come le
cronache dei tempi documentano ad abundantiam, e come anche riassumemmo su
queste colonne, a quel tempo). Si parlò di
«teorie bizzarre», di «assurdi problemi religiosi» impostati su « presupposti erronei »,
e via dicendo. La realtà era che, per la critica di osservanza cattolica, non era possibile parlare di un dramma delle anime senza per questo riferirsi ad un Lutero (o magari ad un Pietro Valdo), e di conseguenza
ad un rivoluzionario piombato nella morta
gora del conformism;; spirituale e dogmatico! Angoscia, tormento sono situazioni dello spirito credente he debbono assolutamente trovare la loro soluzione neH’ambito
della « pax catholic : . , preparata dai tutori
spirituali di famigli.I. se non si vuole che
esse pongano le pre otsse inevitabili di una
rivoluzione religiosa!
L’AMBIENTE
COME ESPERIENZA VISSUTA
3) Abbiamo notato che per C. Th.
Dreyer, nonché per quei registi che in un
certo modo ne seguono le idee, la messa in
scena ambientale è scarna, quasi inesistente.
1 film di Dreyer sono dei fìlms i bianchi».
E tuttavia, non vien perduto per nulla, con
ciò. quel che potremmo chiamare la consapevolezza dello spazio, delle forme, ili
cui debbono gioco-forza muoversi gli attori.
Nella piccola stanzetta di culto, in « Ordet »,
non si ha affatto la sensazione di soffocare;
lungo le file di sedie, la .macchina riprende
ininterrottamente la lunghezza reale dell’ambiente che non ci è stato dato di vedere. O
meglio, che ci è stato dato di intuire. Ba
sta dunque questo particolare (come nella
stanza semplice in cui si aggirano i personaggi del gramma di Kaj Munk, nella fattoria di Bergen) perchè ci possiamo rendere
conto di una nuova realtà cinematografica
che C. Th. Dreyer ha reso evidente ai nostri occhi con un’acutezza veramente profetica : ossia, che è l'ambiente medesimo,
che si trasforma in esperienza vissuta, e
non già la semplice immagine deH’ambiente,
ripresa in prospettiva. In altri termini ; l'ambiente è creato e ricreato dalle persone che
vivono in esso, e non già che la veduta dell’ambiente faccia pensare alle persone che
vi abitano.
La distinzione è essenziale. Nel breve lavoro drammatico citato, di Maeterlink, l’intimo senso della morte è affidato al suono,
all'aria, al silenzio : si ode il rumore di una
falce che in giardino pareggia l’erbe del
prato, si ode il triste ululato di un cane, il
grido lamentoso di un uccello notturno, si
odono gli scricchiolìi sulla scala di legno,
che 'tuttavia nessuno sta salendo; ed il nonno cieco, ma consapevole dell’imminente
tragedia, sente aleggiargli intorno un'aria
gelida, diversa dall’altra; l’aria della Morte... Ma tutti questi particolari, esaminati ad
uno ad uno, sono scontati e grotteschi.
Sembra di aggirarsi, a un dipresso, tra cornetti d'oro, numeri portafortuna, gobbetti,
triangoli magici, porcellini che fan da talismano, e chi più ne ha, più ne metta, di
questi ammenicoli della superstizione popolare (lo specchio infranto, il gatto nero, il
sale versato, il passaggio sotto una scala, le
mani incrociate, il fiammifero acceso : c’è
materiale per un lavoro in tre atti!).
Si osservi ora l’ambiente dreyeriano (che
Kaj Munk evidentemente non potè creare) di
« Orde: ». com’esso è raffigurato verso la
fine del dramma, e com’esso dia diversamente dall’altro l’idea della morte : il silenzio, la parola pacata, il grido di protesta, i pianti di Mikkel, l’atteggiamento del
vecchio genitore, l’arrivo del pastore... Ma a
che scopo ricordare cosi, per frammenti, ai
nostri lettori evangelici, un lavoro che essi
hanno sicuramente veduto, ed in cui essi,
con un fremito di sorpresa, hanno scoperto
l'esperienza vissuta della presenza della
morte nella loro casa — poiché tutti, una
volta almeno, le siamo così andati incontro il giorno in cui una persona cara stava
per lasciarci — non come uno spauracchio
stupido, non come una manifestazione dell'ostilità di un dio arrabbiato contro di noi,
ma come una realtà ambientale, e quindi
esistenziale, piana, semplice, universale, come una realtà che, ancora una volta, avrebbe valso a distinguere la nostra condizione
di credenti in Cristo e nella sua redenzione,
e perciò nel fatto che questi è il Principe
della Vita, da quell'altra soffocante e disperata di coloro i quali muoiono e vedono
morire senza speranza?
I/EPOPEA
DEL VENTESIMO SECOLO
Ma concludiamo. C. Th. Dreyer non è
stato il primo e non sarà certo neppure l'ultimo dei registi cinematografici — nordici '
o no, sebbene la mentalità di un regista nor
UJNA CAMPAGNA EVANGELISTICA A TARANTO
Cristo, sola speranza del mondo
Nei giorni 11-14 marzo sotto gli auspici
della Commissione distrettuale, si è svolta
a Taranto una campagna evangelis'tica sul
tema: Cristo sola speranza del mondo.
Essa è stata preparata da una particolare
riunione di preghiera e da un buon lavoro
di colportaggio svolto da due nostri colportori (F. Mellone e E. Gioia) i quali, all’opera fin dal giorno 8 in tutta la zona vicina
ai locali della nostra Chiesa, hanno raggiunto un gran numero di famiglie presentando loro della nos’tra stampa qualificata.
Un altro lavoro preparatorio, di complemento a quello di colportaggio è stata la
esposizione e la vendita della nostra stampa. dei nostri libri davanti alla porta del
nostro locale di culto, fatta anch’essa dall'S
al )4 marzo da ma’:tina a sera dal fratello
G. Anzalone. Vari giovani poi, e persone
anziane si sono lodevolmente impegnati nell'opera di colportaggio volontario affiancando così l'opera dei colportori.
Le conferenze-messaggi in cui si articolava il tema generale furono: Disperazione
¡telTuomo e speranza cristiana (Past. E.
Corsani); Speranze umane e speranza cristiana (Past. D. Cielo); Speranza cristiana
e vocazione terrena del credente (Dott. E.
Sfredda); Cristo nostra speranza (Past. E.
Naso).
Perche una campagna evangelistica a Taranto?
La domanda in altri tempi sarebbe stata
oziosa, ma oggi, per il discredito in cui sono cadute le campagne di evangelizzazione,
la domanda certo si pone. A nessuno infatti può e deve sfuggire, il fatto assai sin'tomatico che. per esempio, esse, almeno nella
nostra chiesa, sono diventate se non rare,
certo non frequenti. Nel tempo odierno
poi. di contestazione delle vecchie forme di
evangelizzazione, di ricerche, ecc., la campagna evangelistica ad alcuni, a tanti anzi,
sembrerà un vecchio rudere inutilizzabile;
si è detto e si dice ancora che esse non rispondono più; che la gente non viene più
ad esse, ed altro ancora.
Indubbiamente tante critiche sono vere;
tuttavia noi pensiamo che le campagne
evangelistiche rettamente intese e compiute
con spirito missionario hanno una loro validi'tà; una campagna evangelistica certo non
è la sola o la migliore forma di evangelizzazione. una campagna evangelistica certo
può servire a tranquillizzare la coscienza,
non missionaria della chiesa imborghesita,
può sostituirsi alla testimonianza propria
della comunità locale, del singolo credente,
può essere solo un effimero momento illusorio di entusiasmo e di risveglio, può creare una mentalità clericale nelle comunità:
la massa non fa (più) niente, (perchè) gli
specialisti fanno 'lutto; per cui essa è concepita per lo più non come l'essere della
chiesa, ma come un benessere, una attività
fra le altre, periodica, che può esserci e
non esserci; tutti questi pericoli ci sono indubbiamente. ma la campagna evangelistica
non deve essere questo. Se mi è consentito
di esprimermi con immagini tratte dalla
guerra, dirò che la campagna evangelistica
è l'opera che compiono le artiglierie; un
lavoro preparatorio che deve essere portato
a termine dalla comunità; è chiaro che essa
non può e non deve sostituirsi alla testimonianza locale della comunità e che la comunità deve saper continuare il discorso,
l'annunzio nelle fabbriche, nei campi, nelle
scuole, nei negozi, per le strade e nelle
piazze.
Nessuno più di noi ha avu'lo il senso dei
limiti di una campagna. Ma attenzione a
che questi limiti, questi difetti, questi pericoli non diventino paralisi della nostra opera di testimonianza.
Iioercritici e introversi come siamo, corriamo il rischio di sapere tutto, tutti i difetti delle cose e poi... di non fare niente.
Così come quelli che, volendo santificare
tutti i giorni, non santificano niente; o come quegli altri che. non volendo applicarsi
alla pratica farisaica della decima, non
fanno nulla di nulla: corriamo il rischio,
dopo tanto infinito parlare di tes'timonianza e di evangelizzazione, di non fare niente
per non fare cose mediocri; di cercare nuove vie, nuove forme, mentre il mondo brucia e l’uomo muore. Non ci si fraintenda,
non siamo contro le ricerche di nuove forme di testimonianza, diciamo solo che mentre ricerchiamo non dobbiamo dimenticare,
come taluni fanno perfino con troppa sicurezza e troppo orgoglio, che il nostro mondo è malato, 'tragicamente turbato, disperato o vanamente illuso, che esso muore,
che esso ha bisogno di consolazione, della
speranza e salvezza in Cristo.
In questa coscienza abbiamo voluto una
campagna a Taranto, d'accordo con la Commissione Distrettuale, un lavoro che ha i
suoi limiti, i suoi rischi certo, come abbiamo detto, ma che se Dio ha voluto benedire
col soffio del suo Spirito, avrà certo la sua
validità, la sua forza.
L'argomento scelto: Cristo sola speranza
del mondo, il grande tema di Evanston. ci
è parso il più adatto per l'ora che volge, a
rispondere all’angoscia, alla noia, alla disperazione e al senso di morte che grava nel
nostro mondo, per rispondere come unica e
vera alternativa all'orgoglio e alla vanità
delle speranze umane perseguite senza Dio.
senza per questo cadere nella evasione, nella fuga dalle responsabilità, dai compiti presenti nel mondo.
Si è riusctti in questo compito? Solo Dio
lo sa. Noi possiamo dire soltanto; abbiamo
predicato, seminato la speranza di Cristo;
possiamo dire che la gente, tanta gente
estranea è venuta nel nostro locale di culto nonostante il freddo, il vento e iin po'
di neve con interesse; possiamo anche dire
che si è scopepta la gioia della missione,
che abbiamo visto nel seno della comunità
ridestarsi volontà di testimonianza e di
servizio. Ma il giudizio ultimo non è nostro, è solo di Dio e ad esso ci rimettiamo
chiedendo a Lui di purificare e rendere stabile il nostro lavoro.
Ernesto Naso
dico finisca per accordarsi maggiormente
con le premesse della nostra fede riformata,
vissuta come il vero dramma della perdizione e della redenzione, anziché con la fede
del cristianesimo mediterraneo, tendenzialmente manicheo, razionale epperciò sempre contento di sè, estroverso e perciò superficialmente allegro — non sarà certo stato l'ultimo a portare sugli schermi il dramma dell’uomo come esso si svolge nel suo
ambiente-esperienza vissuta. Ma è invece
certo che codesto approfondimento, inaugurato da Carel Theodor Dreyer, è possibile
soltanto allorquando colui che fa del cinematografo non si limiti ad una contemplatività romantica della realtà o ad una descrizione oggettiva dei fatti suggeriti dalla
sceneggiatura; ma cerchi nella successione
delle inquadrature, dei primi piani, delle sequenze tutte, di rivelare e di reinterpretare
ciò che si nasconde dietro il volto sfingeo
dell’uomo. Allora, la Decima Musa sarà insieme numero e problematica, gesto e pensiero, arte e filosofia : autentica epopea del
ventesimo secolo. T. Balma
RINGRAZIAMENTO
I genitori della piccola
Donatella Gardiol
commossi e riconoscenti, ringraziano
tutti quanti con fiori, scritti e partecipazione, hanno voluto essere loro vicini nella dolorosa circostanza.
Miradolo, S. Secondo di Pinerolo
5 aprile 1968
« II dono di Dìo è la vita eterna »
(Romani 6: 23)
Il 25 marzo ha terminato la sua esistenza terrena vissuta al servizio della patria, ricongiungendosi con la sua
diletta Ines
Davide Jolla
Generale di Divisione degli Alpini R.O.
Fiduciosi nelle promesse del Signore
lo annunciano la figlia Ada con il marito Mariano Palmery e il piccolo Stefano : il fratello Roberto e famiglia ; la
sorella Lalla Conte con i figli Gino,
Giovanni e famiglia; i cognati Parere,
Boggeri con Anna; le cugine Graziella
e Letizia; i cugini e parenti tutti.
Un vivo ringraziamento a coloro che
hanno espresso la loro simpatia, al Pastore Giorgio Bouchard e in modo tutto particolare al Pastore Ermanno Rostan per l’affettuosa vicinanza. Eventuali offerte in memoria, al Collegio
Valdese di Torre Pellice.
Ivrea, Villa Alpina, 27 marzo 1968
Le amiche del Gruppo Missioni di
Torino prendono affettuosamente parte al dolore della Presidente signora
Jalla Conte per la scomparsa del fratello
Gen. Davide Jalla
Le amiche del Gruppo Missioni di
Torino sono affettuosamente vicine
alla vice presidente e cassiera signora
Ida Randone e prendono parte al suo
dolore per la perdita della cara sorella.
RINGRAZIAMENTO
Nella dipartenza della nonna e
mamma
Luisa Oudry ved Rostan
Piervaldo e i genitori esprimono la
loro riconoscenza ai parenti, amici e
a tutti quanti hanno partecipato al
loro lutto.
In particolare ringraziano: il dottor
De Bettini, la Direttrice e il personale
dell’Ospedale Valdese; Adelina, Emilia, Amalia e Alma Oudry e loro famiglie: il Sindaco e l’Amministrazione
della Città di Rivarolo ; i colleghi d’ufficio, i Vigili Urbani, i Carabinieri e la
Squadra P. G. di Rivarolo; il Corpo
Vigili Urbani di Pinerolo; i Vigili Urbani di Torre Pellice e Luserna S. Giovanni; i vicini di casa.
Un vivo sentimento di gratitudine al
Pastore Cav. Edoardo Micol per la
premurosa assistenza e per le parole
di conforto.
Torre Pellice, 26 marzo 1968.
avvisi economici
FAMIGLIOLA tre persone adulte cerca tuttofare fissa possibilmente maggiorenne.
Buon trattamento. Scrivere I. Daverio Via Miniere 4 . 10015 Ivrea.
A VITTORIA cercansi coniugi evangelici,
marito per manutenzione Casa, moglie per
direzione interna; segretario-segretaria per
lavoro fra iprofughi terremotati ospiti. Scrivere: Direzione Ca.sa di R poso. Via Garibaldi 60, Vittoria (Ragusa).
NUOVA STAZIONE SERZIZIO
VESPA
Italo Aymar
Via Nazionale, 52
VILLAR perosa
vendita - assistenza - riparazioni
10
pag. 10
N. 14-15 — 12 aprile 1968
Editrice Ciaudiana
10125 TORINO
NOVI T a;
Nella collana "Sola Scriptura„ esce:
Vittorio Sobilla
Tempo
di confessione
e di rivoiuzione
Crisi della fede Ira reslaurazione 'ecumenica, delle Chiese e impegno rivoluzionario
nel mondo
In 8° ,pp. 184, L 1.700
la Chiesa nel giovane Stalo del lesoiho
Notiziario
ecumen ico
a cura di Roberto Peyrot
UN PASTORE DANESE
MINISTRO DEGLI ESTERI
Copenhagen (bip) — Per la prima volta
nella storia danese, un pastore è stato nominato ministro degli affari esteri.
P. Härtling, nato nel 1914, ha fatto parte
di numerosi movimenti cristiani della gioventù. Dopo gli studi teologici, è stato pastore presso una chiesa di Copenhagen e presso una Casa di Diaconesse.
Egli ha partecipato ad una cc Storia dei
movimenti di studenti cristiani in Danimarca » ed ha scritto un libro dal titolo « Che
cos’è il cristianesimo? ».
Dal punto di vista politico, egli si è adoperato per il riavvicinamento dei liberali di
sinistra al partito contadino.
AIUTI RESPINTI
DAI « DUE » VIETNAM
New York (bip) — Convinti della necessità di aiuti medici sia al Nord come al Sud
Vietnam, i Quaccheri degli Stati Uniti hanno inviato un carico di prodotti farmaceutici, valutato in 28 mila franchi, ad Hanoi. Il
Presidente Ho Ci Minh non ha permesso lo
sbarco di detto carico sul territorio del Nord
Vietnam « a causa della barbara aggressione
dell'America contro la Repubblica democrati.
ca del Vietnam ».
La nave « Phoenix », che trasportava le
medicine, ha fatto allora rotta verso Danang,
dove i responsabili del carice hanno avuto
analogo rifiuto da parte del governo del Sud
Vietnam, cosi motivato: «Siete degli amici
di Hanoi; noi non desideriamo venire dopo
di loro »!
MIGLIORAMENTI IN ROMANIA
ANCHE IN CAMPO RELIGIOSO
Bucarest (bip) — La posizione assunta dai
dirigenti della repubblica romena nei riguardi deU’URSS, ha conseguenze, oltre che
nel campo della politica estera, anche in
quello religioso.
Per parecchio tempo le relazioni coi cristiani romeni, e particolarmente colla chiesa ortodossa autocefala — che è la più importante — sono stati assai difficili. Oggi,
le cose appaiono sotto una luce del tutto
diversa.
Le relazioni, sia fra la chiesa ortodossa ed
il CEC, come con la chiesa cattolica ed il
Vaticano, e colle altre chiese protestanti di
questo paese, sono diventate normali.
Si rileva — ad esempio — che, a differenza degli altri paesi comunisti, il governo di Bucarest ha dato l’autorizzazione per
la stampa di centomila Bibbie, alla sola con.
dizione che l’Alleanza biblica universale for.
nisse la carta occorrente, cosa che essa ha
già fatto.
Sui 17 milioni di abitanti, si calcola che
vi siano circa un milione e mezzo di cattolici, settecentomila protestanti, e parecchi
milioni di ortodossi, specie in Bessarabia.
La minoranza israelita, che prima della
guerra contava 400 mila anime circa, è ora
estremamente ridotta. Parecchi fra loro sono
morti o sono partiti per Israele o per l’America Latina.
La città di Cluj, in Transilvania, è la sede dei vescovi cattolico, ortodosso e riformato.
La Casa Olearia OLEIFICIO
FIDOLIO ONEGLIESE di Scevola Paolo nel porgere agli affezionati
clienti ed ai lettori dell’« Eco-Luce » i
migliori auguri per una PASQUA benedetta dal Signore, coglie l’occasione
per comunicare che l’offerta speciale
del genuino OLIO DI OLIVA ONEGLIA con sconto di L. 80 al litro sarà
valido sino al 304-’68 a causa di aumenti alla produzione. Approfittate subito di questa agevolazione chiedendo
il listino prezzi a Scevola Paolo - Casella Postale 426 - 18100 Imperia Oneglia.
(segue da pag. 3)
questa politica anche se non la sottoscrive, a causa della sua situazione
geografica; esso infatti si trova interamente all’interno del territorio della repubblica sudafricana, il che condiziona in parte il suo atteggiamento
nei confronti di questa repubblica.
Ma è innegabile che, dal momento dell’indipendenza, si sono stabilite delle
« relazioni di buon vicinato ».
7. - Lei ha parlato della scarsità di
risorse nel Paese. • L’amministrazione
Britannica non ha cercato di migliorare le colture e l’allevamento?
L’amministrazione Britannica ha
fatto dei grandi sforzi per introdurre
nel Paese delle sementi selezionate come pure mucche e tori di razza (frigia, svizzera, e Jersey). Ma molti Basotho (se non tutti) preferiscono possedere un gran numero di mucche,
anche se non sono di alcuna utilità,
piuttosto che averne alcune buone che
potrebbero essere una fonte di reddito.
Tuttavia è stato possibile preparare
numerosi dimostratori; sono dei consulenti agricoli Basotho che visitano
gli agricoltori e sono a loro disposizione per aiutarli in tutti i settori dell’agricoltura e dell’allevamento. A dire
il vero, i risultati di questo servizio
non sono stati pari alle speranze.
8. - Quel’è il motivo di questa situazione?
Il motivo principale, secondo me, è
la Tradizione (con la T maiuscola!).
Vi è sempre un estremo risi>etto del
costume, cioè della legge non scritta
che stabilisce ciò che si deve o non si
deve fare.
Le mucche sono conservate per
il matrimonio dei figli. Da dieci
a venti mucche costituiscono la dote e sanzionano il contratto di matrimonio (non scritto), stipulato tra
la famiglia del marito e quella della moglie alla presenza del Capo e dei
suoi consiglieri. Ciò che conta non è
la qualità, ma il numero delle mucche.
(Queste mucche, se accettate dai genitori della ragazza, rappresentano un
riconoscimento dei diritti che la famiglia del ragazzo avrà su tutti i figli
nati dal matrimonio. La donna diventa così proprietà della famiglia del
marito e i suoi figli acquistano il diritto alla eredità in questa famiglia.
Le mucche servono anche per le multe che si devono pagare al Capo. Infine nei funerali si sacrifica una mucca
che « accompagna » il morto, il quale
cos'i lascia la propria casa in pace, e
il suo spirito non verrà a tormentare i
viventi.
Per ciò che concerne i terreni, è ancora il costume che ritarda ogni progresso. La terra appartiene al popolo
e il Capo, che ne è responsabile in nome del popolo, la distribuisce secondo
le necessità. Ma questo causa parecchi
abusi : Il Capo si riserva quasi sempre
le terre migliori e si arroga il diritto
di requisire certi campì dei sudditi,
donandone in cambio altri di minor
valore. Questo provoca scoraggiamento e fa si che i coltivatori non si preoccupino di tenere in buono stato i loro
terreni ; quindi non si cerca di arrestare l’erosione provocata dalle pioggie,
non si fanno dighe per l’irrigazione, si
aspetta tutto dal Governo. Tuttavia
un numero crescente di giovani coltivatori comincia a impiegare i moderni
metodi di coltivazione, liberandosi dalla tradizione. Questa liberazione non
avviene però d’un colpo, dato il prò.
fondo potere suggestivo dei metodi
ancestrali e dei tabù. Bisogna anche
menzionare il fatto che molti uomini
vanno a lavorare nelle miniere e ritornano a casa soltanto per tre mesi all’anno ; cosi il peso maggiore dei lavori
agricoli cade sulle spalle delle donne
e dei bambini.
Infine bisogna riconoscere che il lavoro agricolo nel Lesotho è estremamentre ingrato ; il sole dell’estate brucia il raccolto, la mancanza di pioggia
secca il suolo, la grandine distrugge il
mais e il sorgo. Per tutte queste ragioni, il Lesotho è sempre sull’orlo della carestia.
9. - Non esistono industrie?
Tutta l’industria del Paese è rappresentata da tre tipografie; quella della
Chiesa Evangelica, quella della Chiesa (Cattolica, e quella del partito del
Congresso.
La lana è spedita in Europa, soprattuto in Inghilterra, dove vengono fabbricate le coperte che in seguito saranno rivendute al Lesotho. È uno dei più
pressi problemi dello sviluppo economico del Paese.
imiiiiiiiiiiiililiiimiioiiiiiiiiiiimiim
.mHiiiiHKiimnmiHiimHintiMom.
Echi della settimana
LA VIOLENZA E' LA « POLITICA OBBLIGATA » D'ISRAELE?
È molto difficile, nel complicato intreccio delle accuse reciproche fra Israele e
Stati Arabi, capire chiaramente se il torto
stia tutto da una panie, e da quale parte.
Ma anzitutto, come si pone il problema?
L’« operazione di polizia » scatenata da
Israele il 21 marzo contro i centri dell’organizzazione terrorista palestinese El Fatah
ha scatenato « il ciclo chiassoso delle minacce, delle ingiurie e della ricerca futile delle
responsabilità.
A prescìndere da ciò, è bene rendersi
conto d’una specie di "fatalità” che regola
i rapporti arabo-israeliani, indipendente
da ogni considerazione morale. Da un lato
v’è una piccola potenza dinamica, dall’altro vi sono diversi grandi Stati letargici.
Israele è come un castello di sabbia che il
mare tende, senza tregua, a distruggere.
Il mare ha, dalla sua parte, il tempo che
è infinito: Israele, per sfuggire all’erosione
mortale, deve consolidare, anzi ricostruire
il suo ’’castello’’ ogni giorno, ogni minuto.
Di fronte alla massa territoriale, ed anche
umana, degli Stati arabi, Israele non sopravvive che perchè si muove, si agita, in una
parola: perchè agisce. Israele non ’’esiste”
se non nel movimento.
Ne segue che Israele è, in un certo senso,
condannata a esibire, in regolari scadenze,
il proprio dinamismo: a dimostrare che il
proprio dinamismo non è morto. Per queste l’operazione del 21-3 è più che una
semplice "operazione di polizia": è l’inevitabile dimostrazione, che Israele ha dato di
non essersi indebolita e che la propria passione di sopravvivenza è costante.
Da ciò può dedursi che Israele, in questo
modo, sempre più esaspera l’antagonismo
arabo. Senza dubbio, ma consigliare l’inazione e la pazienza allo Stato ebraico, equivarrebbe consigliargli di deperire: non tanto
perchè "gli Arabi non capiscono che la
forza", come dice un luogo comune, ma
perchè gli Arabi d’altra parte non possono
misurare altrimenti i rischi della loro azione di lenta erosione, d’incessante guerriglia.
Certo le grandi potenze potrebbero, in
teoria, fermare questo giuoco di fatale violenza. Potrebbero intromettersi, minacciare.
Ma che cosa accade invece?
Prima di tutto i due Supergrandi, se hanno da un lato degl’interessi essenziali divergenti nel Medioriertte, vi hanno anche un
interesse comune: quello di evitare d’incontrarsi laggiù gomito a gomito. Infatti un
tale incontro, per il freddo meccanismo di
avvenimenti improvvisamente non controllabili, li trascinerebbe nel rìschio d’uccidersi l’un l'altro. Peggio ancora: di distruggersi totalmente, semplicemente per impedire
agli Israeliani ed agli Arabi di combattere
fra loro (...).
Ma v’è di più: per un fenomeno di semplice gravità (per così dire), le grandi potenze (e non soltanto l’U.R.S.S. e gli U.S.A.)
sono attirate più dal potenziale economico
dei vasti Stati arabi, che dalle magre risorse
israeliane. Esse potranno certo sostenere
Israele per simpatia naturale o per tattica
politica. Ma bisogna pur riconoscere che.
a cura dì Tullio Viola
alla lunga, le grandi potenze non hanno interesse a legarsi troppo con questo Stato,
piccolo e turbolento.
"Antipatia" d’altra parte già visibile: Mosca ha gluocato da molto tempo la carta
ataba, gli U.S.A. fanno l’occhietto a Nasser,
la Francia frusta gl’israeliani (e vende i suoi
"Mirages” all’Irak), e l'elenco potrebbe allungarsi. Conseguenza: Israele si ritrova
isolata, quindi legata, più strettamente che
mai, alle leggi della fatalità, secondo le
quali l’azione e la violenza (questa forma
mortale del dinamismo) governano le sue
relazioni col suoi vicini arabi ».
Dal « Journal de Genève » del 23-24
marzo 1968).
Naturalmente, questo giudizio così lucido
sul piano politico non può non suscitare
perplessità profonde in chi, come noi, rifiuta alla ragion politica l'ultima parola.
LENTAMENTE MA SICURAMENTE
CAMBIA L'ORIENTAMENTO
DELL'OPINIONE PUBBLICA NELL'URSS
« S’è parlato molto dell’effervescenza
degli studenti polacchi, che rivendicano alcune delle libertà di cui presentemente godono i cecoslovacchi. Ma un certo disordine si manifesta ugualmente nell’U.R.S.S. Al
principio di quest’anno alcuni intellettuali,
fra i quali Litvinov e la moglie di Daniel,
lanciavano un appello all’opinione mondiale, a seguito del processo Ginzburg.
Tale protesta interessava forse soltanto alcuni individui coraggiosi, combattivi, ma
che non avevano più niente da perdere? Al
contrario, ci è giunta notizia che, a tutt’oggi, decine e decine di sovietici, di posizione
sociale tutt’altro che trascurabile, hanno firmato quell'appello, oppure hanno preso
delle iniziative analoghe.
Così centosettanta professori, scienziati,
economisti, artisti hanno indirizzato una
petizione al procuratore generale delT U.R.S.S. Essi affermano che il processo Ginzburg è "una violazione grossolana dei principi giuridici. (...) La procedura e il risultato di questo processo provocano in noi una grande inquietudine. (...)
Negli ultimi anni, già più volte, si verificarono delle evidenti violazioni della legalità,
nonché delle norme di pubblicità dei processi politici. (...) In occasione dell’ultimo
processo, le violazioni hanno assunto un
carattere di' tbtaìe-aebitrio.- Fi-nehè quest’arr
hitrio non sarà definitivamente chiuso, finché esso non sarà condannato, nessuno potrà sentirsi sicuro".
Il 13 gennaio, un gruppo di studenti ha
inviato a Paolo Litvinov un messaggio di
solidarietà: "Chi tace commette un delitto
davanti alla propria coscienza e davanti alla Russia. Noi chiediamo che un tribunale internazionale esamini la questione dei
quattro scrittori (gli accusati del processo
Ginzburg) conformemente al diritto internazionale; chiediamo la punizione severa
dei giudici che si son fatti beffa della legalità socialista. Noi non possiamo tacere
quando, intorno a noi, v’è demagogia, menzogna dei giornali, tradimento” ».
(Da « Le Monde » del 28 marzo 1968)
10. - Quai’è la situazione della Chiesa?
Nel Lesotho vi sono tre Chiese, o
piuttosto tre confessioni principali. La
prima Chiesa che lavorò all’Evangelizzazione del Lesotho è la Chiesa protestante. I tre primi missionari della
Società delle Missioni di Parigi giunsero nel giugno del 1833, su richiesta di
Moshoeshoe I in persona. Trenta anni
più tardi giunse la Chiesa Romana
(1866), e qualche anno dopo (verso il
1870) la Chiesa Anglicana.
250.000 circa sono i membri di queste Chiese ; altri 250.000 sono « sotto
l’influenza cristiana»; gli altri 500.000
sono pagani. La Chiesa è rispettata da
tutti, anche dai pagani e non vi sono
mai state persecuzioni. Nel 1964 la
Chiesa fondata dalla Società delle
Missioni di Parigi è diventala autonoma e ha preso il nome di Chiesa Evangelica nel Lesotho. Questa Chiesa conta 51 comunità (di cui 4 a Johannesburg), ognuna delle quali conta da 4
a 20 centri minori ; in tutto vi sono seicento luoghi di culto. Le statistiche
parlano di 75.000 membri comunicanti,
circa 15.000 catecumeni e 10.000 bambini nelle Scuole Domenicali. Ogni Comunità è servita da un pastore e ogni
centro da un Evangelista. Delle 47 Comunità che si trovano nel Lesotho, 7
sono servite da missionari a 40 da Pastori Basotho.
La costituzione della Chiesa è la seguente ; In ogni centro di evangelizzazione il Consiglio è presieduto dall’Evangelista, assistito dagli Anziani e
dai Capi di «preghiere» (quartieri). Il
Consiglio di Parrocchia, o Concistoro,
è presieduto dal Pastore assistito dagli Evangelisti e dagli Anziani eletti
daU’assemblea di Parrocchia. Un numero determinato di Parrocchie costituisce un Presbiterio (Sinodo regionale); alla testa della Chiesa vi è il
« Seboka » o Sinodo nazionale, composto dai delegati Pastori e Laici eletti
dai Presbiteri, e dai Membri delle varie Commissioni Sinodali.
Tra un Sinodo e l’altro l’amministrazione è tenuta dal Comitato esecutivo
del Seboka, composto da 5 Pastori o
Evangelisti e 5 Laici, oltfé al Segretario esecutivo. Tutti i Delegati sono
eletti indifferentemente fra i Basotho
e i Missionari.
11. - Come si svolge la formazione dei
pastori?
A Morija esiste una Scuola di teologia in cui vengono preparati i pastori
Basotho. Gli studenti vi sono ammessi anche se in possesso di un semplice
diploma inferiore (Junior certificate)
o di un diploma di insegnamento; vi
è un progetto di elevare il livello di
ammissione, richiedendo una licenza
di studi superiori come per l’università.
Gli studenti fanno 4 anni di studio
e un anno di prova in una parrocchia
prima della consacrazione. Le materie sono le stesse che nelle Facoltà di
Teologia, tranne l’Ebraico. Ogni anno
ha luogo un esame e al termine del 4°
anno lo studente promosso riceve un
diploma dalla scuola; questo diploma
non è un diploma universitario perchè
l’università esige il titolo di studio superiore. Gli studenti in possesso di questo titolo possono essere inviati in una
facoltà di Teologia per ottenere la licenza in teologia; uno di essi ha conseguito la licenza a Parigi nel 1967 e
due altri si trovano attualmente negli
Stati Uniti.
Esiste anche una Scuola per Evangelisti, che dura tre anni; la formazione di un Evangelista corrisponde in
gran parte a quella di un pastore, benché gli studi siano un po’ meno approfonditi.
12. - Esiste una crisi di vocazioni nel
Lesotho?
Come in Europa, assistiamo nel Lesotho a una grave crisi di vocazioni.
Ho già menzionato il numero delle
Parrocchie. Nel Lesotho (le Parrocchie. di Johannesburg hanno tutte il
loro Pastore) vi sono 40 Parrocchie
servite da Pastori Basotho, ma soltanti 34 hanno un Pastore, e l’età media dei Pastori è di 60 anni. Negli ultimi due anni nessuno studente è entrato nella Scuola Pastorale; non vi saranno dunque nuovi pastori prima del
1974 0 75, ammesso che si possa riaprire con qualche studente nel 1969. Si
tratta dunque di una crisi molto grave,
che si farà sentire soprattutto nei
prossimi anni ; perciò abbiamo bisogno di tutte le preghiere della Chiesa
perchè Dio ci aiuti a fronteggiare questa crisi, ci indichi la via e susciti le
vocazioni di cui abbiamo bisogno.
13.
nile?
La Chiesa ha un lavoro giova
Si. Il numero dei giovani nel Lesotho è rilevante (vi sono circa 250.000
ragazzi nelle scuole, di cui 80.000 nelle
Scuole Protestanti). Il lavoro giovanile è cominciato molto presto,- perchè il.
. primo movimento giova,nile è del 1882.
La prirtia festa della gioventù (il movimento contava allora 60 membri) ha
avuto luogo nell’agosto del 1884 e uno
dei partecipanti diceva ; « La grandezza di un movimento giovanile si vede
dal suo capo. Il nostro movimento è il
più grande di tutti, perchè il suo capo
è Dio stesso ».
Da allora i movimenti si sono sviluppati e oggi, oltre alle Scuole Domenicali, esistono dei movimenti
Scout maschili e femminili, per le diverse età, dei gruppi giovanili misti,
un movimento studenti (membro della FUACE). In questi movimenti sono
all’opera, tra monitori, monitrici e altri responsabili, circa 600 persone.
Abbiamo creato, a Morija, nel 1957,.
un centro giovanile ; il « MOPHATO ».
Questo centro è stato messo sotto la
responsabilità di un animatore specializzato.
I programmi del Centro sono ispirati ai metodi delle scuole di iniziazione
pagane (questo è del resto il significato del suo nome; «MOPHATO»), I
temi dell’iniziazione, alcune tradizioni,
vi sono conservati, ma il tutto è ripensato alla luce deH’Evarrgelo.
Si insegna la storia dei Basotho, lastoria del popolo di Dio, come essere
un cristiano Mosotho (Mosotho è il
singolare di Basotho) impegnato nella
vita del proprio popolo. Si insegnano,
le varie tecniche artigianali del paese
e anche le tecniche dei movimenti giovanili. Un gran posto è fatto allo studio della Bibbia e all’EvangelizzazioneLo scopo è l’evangelizzazione dei giovani da parte dei giovani; i mezzi, sono costituiti dal canto, dalle rappresentazioni sceneggiate di racconti biblici. Ma si ha anche di mira l’evangelizzazione generale ; si vuol fare dei giovani Basotho degli uomini e delle donne sui quali si possa contare nel popolo e nella Chiesa; dei giovani che sappiano perchè sono membri della Chiesa di Gesù Cristo, che rendano testimonianza al loro Signore in ogni luogo e in ogni circostanza, perchè una
Chiesa che non sia testimone di Cristo è una Chiesa morta.
15. - Da quando ha raggiunto l’indipendenza, la Chiesa ha ancora bisogno
di missionari?
Si, più che mai! ITi sono 8‘Parrocchie tenute da Missionari. Due sono
vacanti; Cana e Dikhoele; altre due
10 saranno presto ; Thaba Bosin e Morija; il Missionario di Thaba Bosin
tornerà definitivamente in Europa e
quello di Morija assumerà la direzione
della Scuola di Teologia. D’altra parte
11 direttore della Scuola per Evangelisti deve rientrare anche lui definitivamente nel 1970.
In tre anni occorre dunque provvedere alla successione di 5 Missionari.
Alla Scuola di Teologia, il direttore
avrà bisogno di un aiuto, che sarà ottenuto a spese di un’altra stazione missionaria e di una Parrocchia condotta
da un Mosotho.
La Chiesa nel Lesotho ha bisogno di
Missionari ; Pastori, medici, infermieri.
No, la Missione non è terminata; c’è
ancora molto da fare e molto da intraprendere perchè il Regno di Gesù
Cristo si estenda in questo paese.
16. - La, Chiesa Evangelica nel Lesotho è una Chiesa che evangelizza?
Purtroppo la Chiesa nel Lesotho è;
una Chiesa che evangelizza poco. Anch’essa possiede ormai le sue tradizioni e la sua disciplina, ed in molti punti somiglia alle nostre vecchie Chiese
protestanti che hanno bisogno di un
risveglio.
La maggioranza dei pastori rifiuta
di interessarsi alla vita politica del
Paese, confondendo la «politica dei
partiti » con il fatto di vivere la propria vita di cristiano affrontando i
problemi del proprio popolo.
Per la verità, in occasione delle elezioni è stato letto dal pulpito un manifesto della Chiesa, che impegnava i
cristiani a votare secondo il loro cuore
ricordandosi che sono prima di tutto
membri del popolo di Gesù Cristo. Resta il fatto che il rifiuto di fare della
politica di partito (a differenza della
Chiesa Romana) è stato iriteso nel
senso dell’astensione da ogni manifestazione cristiana nella vita politica
del paese. Per conseguenza si vengono
ad avere due personalità; una personalità politica e una personalità religiosa; e in crisi casi, sotto la spinta
del nazionalismo, la personalità politica ha nettamente il sopravvento sulla personalità religiosa.
Il nazionalismo, esaltando la tradizione nazionale, cioè la religione nazionale (e gli antenati) provoca un regresso della fede cristiana. Il cristianesimo è considerato da certi nazionalisti come una religione di importazione, e i cristiani hanno difficoltà a rispondere, se considerano essi
stessi il cristianesimo come una « religione ». Bisogna che i cristiani comprendano che il cristianesimo non è
una religione ma una vita, che la fede
è una verità esistenziale e non una
vernice che ricopre il resto, che il dolio
di se stessi a Clesù Cristo impegna la
vita intera e non soltanto una piccola
parte di èssa durante. ùri‘^,fà> domenica. ' , T«
Questa verità la Chiesa nel Lesotho la deve riscoprire, per nmettersi
in marcia e ridiventare ciò che essa è
stata nel tempo in cui inviava dei missionari Basotho a evangelizzare 1®
Zambesi con François Coillard ; per ridiventare cioè una Chiesa che vive la
sua fede nella fedeltà al Signore del
mondo.
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
n. 175. 8-7-1960____________^
Tip. Subalpina s.p.a, - Torre Pellice (To)