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26 agosto 1988
World Counal
of Churches
1948-1988
IL CONSIGLIO ECUMENICO HA 40 ANNI
DI FRONTE A UNA PRECISA VOCAZIONE
La causa dell'unità nel
conflitti del nostro tempo
L’importanza del dialogo e dell’arricchimento reciproco - Il ruolo
delle chiese locali - La fratellanza fondamentale nata dalla croce
di Emilio Castro
segretario generale del CEC
Celebriamo in questi giorni il
40" anniversario del Consiglio
Ecumenico delle Chiese (CEC). E’
un invito a guardare al passato
per esprimere la nostra gratitudine
e per fare una analisi e un bilancio. Ma qualsiasi celebrazione rischia di diventare una tentazione
e un modo elegante di eludere le
nosiie responsabilità d’oggi. Teniamo presente qual è la vocazione fondamentale del CEC, tanto
ieri come oggi, e chiediamoci che
cosa significhi per noi che viviamo qui nelle strutture del CEC,
ma anche per i membri delle nostre comunità.
Unità della chiesa,
unità deirumanità
La vocazione centrale del CEC
è la ricerca dcH'unità visibile delle
chiese secondo la preghiera di Gesù: « Che siano tutti uno affinché
il mondo creda ». Ma la ricerca di
quell’unità non avviene nel vuoto,
bensì nel contesto della ricerca
dell'unità di tutta l’umanità, anzi,
nella ricerca della riconciliazione
di tutto il creato.
Come dice la lettera agli Efesini: « Dio ci ha fatto conoscere la sua volontà di raccogliere in
Cristo tutte le cose ». L’unità della
Chiesa non è fine a se stessa ma
è un’anticipazione, uno strumento,
un servizio reso alla più vasta unità di tutta l’umanità.
Un CEC polemico
Perciò il CEC è stato polemico
in passato e lo sarà in futuro. Polemico perché nel cercare l’unità
delle chiese deve lavorare con le
chiese quali esse sono; ciò non significa dar ragione a priori a tutte
le chiese, ma significa accettarle
come partecipanti al di,'dogo, impegnate a correggersi e ispirarsi
reciprocamente.
E’ stato detto che siamo molto
filo-cattolici, o filo-ortodossi, e
qualcuno dice che il CEC è dominato dalla tradizione presbiteriana e riformata, mentre altri protestano che due segretari generali
metodisti sono troppi. Questo tipo
di critica è necessario per evitare
che la cortesia ecumenica ci impedisca di vedere i punti controversi
che vanno discussi, ma non riconosce che se vogliamo l’unità della
Chiesa dobbiamo rivolgerci all’altro così come è: non posso aspet
II past. Emilio Castro, segretario generale del CEC.
tare che l’altra chiesa diventi come
la mia per entrare in rapporto con
lei.
I protestanti dell’America latina
sono preoccupati per la collaborazione con la chiesa cattolica, che
in alcuni suoi settori non ispira
loro nessun entusiasmo. I protestanti di altri paesi in Europa occidentale non sono particolarmente
contenti dell’estendersi di una
spiritualità ortodossa. E tra i cattolici non mancano gli integristi
La vita di ogni comunità esprime il messaggio spirituale nelle forme culturali in cui la comunità si riconosce.
che si lamentano per l’influenza
del protestantesimo nella loro
chiesa, mentre certi ortodossi pensano di contaminarsi partecipando
al movimento ecumenico. In realtà
una tale contaminazione non esiste, c’è invece un arricchimento reciproco, un crescere nella reciproca conoscenza e nella ricerca di
una più grande fedeltà.
Unità in un contesto
conflittuale
Il CEC è polemico perché quell’unità delle chiese che ci avvicina
pericolosamente gli uni agli altri
avviene nel contesto dei conflitti
del mondo. Il CEC è stato criticato per aver aiutato i movimenti di
liberazione dell’Africa del Sud, ma
ci si dimentica che per i cristiani
africani tale aiuto è una testimonianza di solidarietà, una dimostrazione di fede, una prova che
prendiamo sul serio la fratellanza
fondamentale che nella croce di
Cristo Dio ha creato fra tutti gli
esseri umani.
Quando affrontiamo il problema del debito internazioiiale e ci
vediamo obbligati a dire che quel
debito non può essere pagato perché sarebbe pagato con la fame,
la sofferenza e la morte dei bambini del Terzo Mondo, stiamo facendo delle affermazioni polemiche
che a molti non piaceranno. Quando invitiamo a boicottare una certa impresa per il suo atteggiamento nei confronti dei problemi dei
paesi poveri saremo coinvolti nella polemica.
Il movimento ecumenico non
può tradire la visione di giustizia
che è propria del Regno di Dio,
non può dimenticare che la meta
finale è il raccogliere tutte le cose
in Gesù Cristo. Non siamo certo
degli ingenui; sappiamo che il peccato esiste, sappiamo che vi saranno difficoltà, ma cerchiamo di superarle per portare come offerta
a Dio i frutti migliori delle nostre
fatiche, sperando che nel suo giusto giudizio, alla venuta del suo
Regno, Egli stesso purificherà,
giudicherà, completérà lo sforzo
delle nostre mani.
Pregare per il
movimento
ecumenico
Che cosa può fare una chiesa
locale, che cosa possono fare i singoli cristiani per contribuire al
movimento ecumenico? Prima di
tutto pregare: inserire la preghiera per il movimento ecumenico
nel quadro normale del culto comunitario e della preghiera personale. Quando sarà diventato normale, naturale per le chiese pregare per il CEC e per tutti coloro
che hanno una vocazione ecumenica staremo creando un clima
spirituale che porterà immediatamente dei frutti; ci uniremo così
alla preghiera di Gesù. L’unità
Amsterdam 1948: la prima assemblea del CEC.
della Chiesa è soprattutto unità
nell’essere di Dio, unità in Gesù
Cristo, unità nello Spirito, unità
nella vita del Padre, Perciò deve
essere unità nella preghiera e nell’adorazione.
E’ chiaro però che questa unità
dovrà manifestarsi anche nella
dottrina fondamentale della Chiesa. Grandi passi si sono fatti in
questa direzione, ma molto rimane da fare.
Pressioni ecumeniche
Le chiese locali, a partire dalla
loro esperienza viva dell’importanza dei rapporti ecumenici, possono
fare pressioni affinché i teologi e
le gerarchie ecclesiastiche si affrettino a superare le difficoltà che
sussistono ancora sulla via del reciproco riconoscimento.
Per esempio: qui a Ginevra il
30% dei matrimoni sono interconfessionali; ci sono più matrimoni interconfessionali che tra
due protestanti o due cattolici. Ecco una nuova realtà che richiede
una nuova pastorale, che esige
una nuova interpretazione del nostro atteggiamento, soprattutto in
rapporto al Sacramento del Signore. La pressione della base sarà un
elemento importantissimo per accelerare il processo ecumenico.
Solidarietà locale
Le chiese locali, i gruppi locali
possono inoltre partecipare alla
ricerca dell’unità che si esprime
in atti di solidarietà. Quando considero che ciò che avviene nella
parrocchia vicina non riguarda
« gli altri », ma è importante anche per me; quando (con la Conferenza di Lund) ricordiamo che
dobbiamo fare insieme tutto ciò
che la nostra coscienza non ci impone di fare separatamente, scopriremo che vi sono dei servizi da
rendere alla comunità nei quali,
insieme, potremo essere molto più
efficaci e dare una miglior testimonianza della potenza di riconciliazione di Gesù Cristo. Quando
dobbiamo rendere una particolare
testimonianza evangelistica, quando dobbiamo offrire aiuto ai prigionieri, ai drogati, alle vittime
dell’AIDS o ai settori emarginati
della nostra società, tutto ciò che
facciamo insieme nel nome di Gesù Cristo costituisce una forte testimonianza di unità che rinsalda
sempre di più l’unità tra di noi.
Solidarietà
internazionale
C’è inoltre una dimensione internazionale della solidarietà.
Quando per esempio la chiesa in
Unione Sovietica ci invita a celebrare il suo millennio e a lavorare
con lei per allargare il suo spazio
di libertà e di testimonianza, la
nostra presenza, la nostra partecipazione alle celebrazioni è il nostro contributo non solo alla sua
festa, ma alla sua missione. Quando raccogliamo delle offerte, quando scriviamo delle lettere alle autorità de! nostro paese per protestare contro l’apartheid in Africa
del Sud, quando riconosciamo che
la lotta di quelle chiese, di quei
fratelli e di quelle sorelle è la nostra lotta, stiamo facendo avanzare la causa dell’unità della Chiesa
in modo concreto e visibile.
In pari tempo, quando riconosciamo la nostra pochezza e i nostri bisogni, e chiediamo aiuto ai
cristiani di altri paesi, stiamo diventando i destinatari di una solidarietà che anticipa l’unità per
la quale il Signore pregò per la
sua Chiesa. Pertanto noi tutti, sia
qui nell’apparato ecumenico di Ginevra come pure in ciascuna delle nostre comunità, possiamo proclamare con fede la visione della
Chiesa una, santa, universale a cui
Dio ci chiama, per la quale ci adoperiamo e alla quale aspiriamo.
Messaggio dettato da Emilio Castro in esclusiva per i
lettori del nostro periodico.
• La realizzazione di questo inserto è stata curata dal pastore Aldo Comba.
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II ^
of Churches
1948-1988
26 agosto 1988
L’ASSEMBLEA COSTITUTIVA DEL CEC
Amsterdam 1948: impressioni e ricordi
Il grande corteo: non spettacolo, ma incontro fraterno. Nella
chiesa di Amsterdam si snoda
la fila dei rappresentanti delle
chiese europee, americane, asiatiche, australiane, africane; i vescovi ortodossi, i pastori riformati e luterani, il Nord e il Sud.
E’ un ritrovarsi dopo anni di
silenzio, o meglio, di intercessione gli uni per gli altri: vengono dalla Chiesa confessante
tedesca, olandese, norvegese,
dai paesi che si autodichiarano
cristiani, o atei ed anticristiani,
dai canipi di concentramento.
Così si riannoda il movimento
ecumenico: con le chiese americane (metodisti, episcopali e
non), gli anglicani, i vecchiocattolici, i riformati francesi e
svizzeri, ungheresi e cecoslovacchi. Grande assente: la chiesa di Roma.
Le linee del lavoro
A) La formazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese. I
movimenti di « Fede e dottrina »
di Losanna e « Vita e lavoro »
di C)xford port2ino le loro relazioni. Insieme ed accanto ci sono le missioni, con la massa di
operatori pastorali, laici, medici, insegnanti: fanno sentire che,
se vi dovrà essere una «nuova
chiesa », non potrà non essere
missionaria.
B) Ma l’opera « burocratica »
viene decisamente sorpassata
dalla prevalenza della riflessione biblica, della valutazione teologica, del raffronto tra le concezioni (fl stato e chiesa. Tutto
viene poi scavalcato dall’urgenza del fenomeno postbellico dei
profughi.
Riflessione teologica
Il dialogo si -sposta sulle parabole. Sono le ore di Susanne
Dietrich, che ha condotto gruppi di giovani e non giovani sul
percorso biblico. Henrick Kraemer, missionario olandese, rivendica, davanti ai gruppi, nel
ristituto ecumenico di Bossey,
la testimonianza dei laici, la
« parte dimenticata ».
Le parabole sono il terreno
di scontro fra due visioni sul
Regno di Dio: la parabola del
granel di senape, che, insignlfìcante in partenza, diventa un
grande albero, viene interpretata come l’indicazione della « cristianizzazione » del mondo. E’
l’esplosione di ima teologia di
tipo espansionistico.
Valutazione teologica
Amsterdam 1948 si esprime
nelle preghiere del mattino, nella intercessione, nell’ascolto della Parola di Dio, e al contempo
negli studi contrapposti di Alain
Dulles, fratello di Forster Dulles, e di Karl Barth.
L’americano esprime la visione « espansionistica »: il male
sarà vinto dal bene. E il bene è
l’Evangelo conquistatore dei popoli, che ne sono trasformati da
« barbari » in « cristiani ». E’
l’apologià di un’America, pervasa dalle ideologie vissute nella
grande macchina delle chiese
metodiste, battista, revivaliste. Il
« mondo » sarà svegliato da ima
predicazione che scava nel profondo, ma agisce misteriosamente, creando sete di libertà. La
parola fatidica è « libertà ».
Dulles chiude la sua perorazione e tutti sono tesi nell’ascolto dell’oratore che parlerà. Non
più un laico, ma un professore
di teologia: è Karl Barth, dell’Università di Basilea, precedentemente a Bonn, da dove è
partito per opposizione alle tematiche dei cristiano-tedeschi e
per fedeltà a ima chiesa che
non si limiti alla « ripetizione »
delle antiche confessioni di fede, ma confessi la signoria di
Cristo di fronte alla chiesa e al
mondo. ■ j.
Uditori sono Martin Niemoller,
Visser ’t Hooft, che dopo la partecipazione alla Resistenza olandese studia teologia e diventerà
il segretario del Consiglio Ecumenico. E ancora i pastori e i
laici danesi, conosciuti per la
chiarezza della loro opposizione al nazismo, con i ricordi di
Kaj Munk, il predicatore dello
Jütland eliminato dai nazisti,
poeta e scrittore. E poi Erwin
Bergrav, il vescovo norvegese
che nelle ore del travaglio
ha confortato il suo popolo e gli
è stato vicino con un Evangelo
non mascherato, il nostro Vittorio Subilia, Pierre Maury e tanti altri.
Karl Barth presenta il suo
scritto sulla realtà della chiesa
nella luce del Nuovo Testamento: e la descrive non nella « gloria » dei riti e dei paramenti,
ma nella realtà di una congregazione dove l’Evangelo è predicato e i sacramenti sono rettaniente amministrati. E’ l’esegesi
di un articolo della Confessione augustana: scarna, puntuale, non laicista ma laica, nel
senso di « chiesa-popolo di Dio ».
Ci vorranno anni per riudire
una puntualizzazione del genere: molto più tardi, all’equivalenza « chiesa-popolo di Dio » cattolici e laici del Concilio Vaticano II esulteranno nella certezza
di un « rinnovamento irrefrenabile ».
Le tentazioni
non accettate
Chiesa-Stato. Come si salverà
il cristianesimo? Come si salverà la chiesa? Si riparerà sotto
l’usbergo di uno stato tollerante, non più aggressivo? Riprenderà il cammino di ima chiesa
di popolo, sostenuta da governi
favorevoli alle imposte ecclesiastiche e orientata verso i concordati taciti o espliciti? Il problema serpeggerà in molte chiese
per tanti anni, ma anche in mezzo a compromessi politico-ecclesiastici, e il monito di Amsterdam sarà orientato verso una
chiesa confessante, senza poteri,
ma attenta discepola di Cristo,
« risuscitato per nostra giustificazione ».
Ovest-Est. La divisione del
mondo in credenti e atei, fra
cristiani e non cristiani viene
rifiutata. La chiesa non ha diritto né di essere inquisitrice, né
di restare muta davanti ad ogni
persecuzione.
La valanga
di profughi
Il movimento ecumenico non
poteva tacere davanti all’onda
impetuosa dei profughi, che andrà man mano accentuandosi,
allargandosi attraverso le guerre
e le violenze degli ultimi quarant’anni. La chiesa di Amsterdam non poteva limitarsi a parlare. E il Consiglio Ecumenico
non si limitò ad essere « cattedra di teologia », ma fu presente
e attivo in condizioni estremamente gravi. Tutta la chiesa,
dalle grandi formazioni alle numerose chiese minoritarie come
i mennoniti, visse l’avventura
di un popolo fra i popoli per
aiutare, soccorrere, salvare piccoli e grandi dalle conseguenze
delle ^erre sempre più pazze
e micidiali.
Amsterdam per noi
Abbiamo tralasciato tanti nati della « grande assemblea ». Ci
siamo abituati alla presenza del
CEC, alla penetrazione dei movimenti giovanili mondiali, •alla
sempre maggiore dialogicità
delle Facoltà di teologia, all’opera meravigliosa delle traduzioni
della Bibbia. Alcune cose le abbiamo imparate: le frontiere
delle nostre chiese non reggono
alla forza dell’Evangelo, le federazioni hanno espresso le affinità non apparenti, che contestano lo spessore delle nostre separazioni ecclesiastiche.
Agape è sorta e non solo « sui
nostri monti ». Il dialogo con gli
ortodossi si è intensificato: i
quarant’anni di convivenza con
credenti russi, greci, serbi ci
hanno abituato a sentire la realtà di una chiesa che anche sot
to la croce ha vissuto Ja sua
fede, per cui la celebrazione del
Millennio della Chiesa orientale
non è stata per gli evangelici un
fatto estraneo, di sola rilevanza politica.
Non poteva mancare la presenza ed il confronto con la
chiesa di Roma. Terminiamo
questo dialogo con tre considerazioni.
1) Amsterdam 1948 non poteva essere e restare un fatto isolato. La meditazione ecumenica
non è la scoperta di un relitto
archeologico. Non potevano
mancare Evanston, New Delhi,
Vancouver. Le assemblee si susseguono ad assemblee: è un fatto, un fenomeno comunitario.
Le comunità cercano di esprimere una vita assembleare di fatto
e di diritto. I doni dello Spirito
non sono l’affermazione di primati ecclesiastici o civili.
2) Amsterdam continua ad essere una domanda: fino a che
punto viviamo l’ecumenismo come « rivoluzione » attiva nei nostri cuori, nelle nostre comunità? Fino a che punto diventiamo « fermenti » e accettiamo di
non essere congelatori dei fenomeni culturali, linguistici, sociali, politici nei quali siamo sommersi?
3) Ginevra. Per noi Ginei'ra
è stata sempre terra di rifugio,
oltre che di Riforma. Ma la Ginevra del CEC è per noi un punte
di riferimento, d’incontro, di fraternità, di ricerca. L’Istituto ecumenico di Bossey rimane per
noi non la villa dei Turrettini senesi, ma la casa della preghiera
d’intercessione, della continua
« riscoperta biblica », la casa
dove si impara e reimpara la
via di un ecumenismo che non
sia né muto né cieco, ma che,
pure valutando doverosamente e
criticamente il peso e la gloria
delle tradizioni, non può velare
o disconoscere l’autorità della
Parola di Dio, udita e seguita
come fedeltà al Cristo morto e
risorto.
Carlo Gay
La storia del Consiglio Ecumenico è schematizzata nel grafico qui pubblicato, dove si vede
una serie di fiumi confluire nel
grande alveo del CEC.
Salvo per quanto riguarda il
Consiglio Mondiale per l’educazione cristiana, la grande data
d'inizio del movimento ecumenico è fissata alla Conferenza
Missionaria di Edimburgo del
1910, da cui nacquero tra l’altro
i due movimenti « Fede e costituzione » e « Vita e azione » che
sono stati considerati i fonda
Un po’ di storia
tori del CEC. Sono questi infatti
i due « fiumi » che nell’illustrazione suddetta confluiscono ad
Amsterdam, nel 1948, per fondare ufficialmente il CEC. Il Consiglio Missionario Mondiale e il
Consiglio Mondiale per l’educazione cristiana vi confluiranno
solo più tardi.
Questo schema è senza dubbio
corretto, ma rischia di indurre
in errore se non si tiene conto
di alcuni correttivi.
Tutte o quasi tutte le assemblee segnalate nel grafico si
sono tenute in Occidente e occasionalmente anche nel Terzo
Mondo che più era accessibile
agli europei. Se ne può ricavare l’impressione che il cristia
nesimo orientale, cioè le chiese
ortodosse non esistano. Ma esse
hanno avuto un modo loro proprio di essere presenti, come
ricorda G. Tsetsis in un articolo in questo stesso numero.
Lo schema dei fiumi convergenti è giusto... ma un pochino
clericale. Certo il CEC è un consiglio di Chiese e quindi è giu
sto che si segnalino le assemblee ecclesiastiche che gli hanno
dato origine o ne hanno punteggiato l’esistenza. Ma non bisogna dimenticare che altri movimenti (le ACDG, le UCDG, il
Movimento Cristiano Studenti ed
altri ancora), tutti movimenti
essenzialmente laici, hanno pure contribuito a creare quell’atmosfera ecumenica che ha reso
possibili, o ha per lo mene facilitato, gli incontri tra i rappresentanti delle organizzazioni
ecclesiastiche ufficiali. *
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’1948-1988
III
UNA PECULIARITÀ’ CHE VIENE DA LONTANO
Le donne nel Consiglio Ecumenico
Nonostante il riflettersi delle mentalità dominanti nella società, fin da Amsterdam il tema è stato sviluppato - Il «Decennio di solidarietà » e la discussione sulla consacrazione
L’Assemblea di fondazione de!
CEC, quella di Amsterdam del
1948, aveva detto: « La Chiesa
in quanto Corpo di Cristo consiste di uomini e donne, creati
quali persone responsabili, per
glorificare Iddio e compiere la
sua volontà ».
Perfetta uguaglianza, dunque,
ben prima del Decennio' delle
Nazioni Unite per le donne, e
prima di moltissimo femminismo attuale. Purtroppo la Chiesa non è sempre coerente con il
proprio messaggio. Commentando quella frase di Amsterdam il
Segretario Generale Visser't
Hooft diceva: « Questa verità,
accettata in teoria, è troppo spesso ignorata nella pratica ».
Due statistiche interessanti:
Come si può osservare, in ciascuna delle Assemblee la percentuale di donne elette al Comitato Centrale è inferiore a quella
delle delegate presenti. Agisce
Qui, sia pure blandamente, il solito filtro discriminatorio: la
percentuale che è accettata a livello di semplici delegate viene
ridotta al livello superiore di
membri del Comitato Centrale.
La Consultazione
di Berlino
Va poi notato il salto tra Uppsala e Nairobi: quest’ultima
Assemblea viene dopo il mitico
DONNE DELEGATE ALLE ASSEMBLEE DEL C.E.C.
totale delegati donne
Amsterdam 1948 350 22 6 %
Evanston 1954 502 44 8,7 %
Nuova Delhi 1961 581 42 7,5 %
Uppsala 1968 688 50 7,2 %
Maiiobi 1975 677 148 22 %
Vancouver 1983 835 247 28,58%
DONNE ELETTE DALLE ASSEMBLEE AL COMITATO CENTRALE DEL C.E.C.
membri del C.C. donne
Amsterdam 90 2 2,2%
E\ anston 90 5 5,5%
Nuova Delhi 10(1 4 4 %
Uppsala 120 6 5
Nairobi 120 25 20,8%
Vancouver 145 34 23,5%
’68 ed è stata di poco preceduta
dalla Consultazione di Berlino
del 1974 sul « Sessismo negli anni ’70 » in cui il problema era
stato fortemente posto all’attenzione delle chiese.
Quanto al personale che lavora nel Centro Ecumenico a Ginevra, su quasi 300 diptendenti
del CEC più di 200 sono donne.
Ma, come suole accadere, sono
molto più abbondanti tra il personale d’ordine che tra quello
di concetto. E’ vero che al massimo livello si fa uno sforzo di
eguaglianza: il Segretario Generale e i tre Segr. Gen. aggiunti
sono 2 e 2. Ma a livello dei direttori di Sotto-Unità, cioè di
coloro che hanno effettivamente
in mano il potere decisionale
sui singoli settori del programma, c’è una sola donna, il pastore svedese Anna ‘ Karin
Hammar, che dirige la SottoUnità « Donne nella chiesa e nella società ». Sarebbe stato un
po’ difficile fare altrimenti!
Non è sempre conseguenza di
pigrizia mentale o di cattiva volontà. E’ anche la conseguenza
di un’impostazione generale della società e delle chiese che si
ripercuote sul CEC. A un recente bando per un posto di direttore harmo rispjosto 35 candidati, tra cui una sola donna. Alla fine nessuno è stato scelto e
la nomina rinviata. Ma con una
percentuale così bassa di candidate l’elezione di una donna sarebbe stata comunque improbabile.
Nel CEC l’interesse per la
questione del posto delle donne
nella chiesa e nella società è
precoce:
1948, Assemblea di Amsterdam, Sarah Chakko presenta un
rapptorto sul ruolo e la posizione delle donne nelle chiese di 58
paesi;
1954, si crea il « Dipartimento pter la ooopterazione di uomini e donne nella chiesa e nella
società », diretto da Madeleine
Barot;
1974, ha luogo a Berlino la
già ricordata Conferenza sul
« Sessismo negli anni ’70 » ispirata da Brigalìa Barn;
1978-1981, Constance Parvey
dirige lo studio su « La comunità di donne e uomini nella chiesa », che culmina nella Conferenza di Sheffield;
1988, ha inizio il Decennio
ecumenico delle chiese in solidarietà con le donne.
Quanto al futuro, gli organizzatori della Conferenza mondiale su missione ed evangefizztizione del 1989 a San Antonio, Texas, stanno facendo' sforzi per
ottenere una partecipazione paritaria. Si pensa d’altra parte
che la prossima Assemblea del
CEC a Canberra, Australia, nel
1991, dovrebbe facilmente avere
un 40% di donne delegate.
Ma questo sforzo per una presenza paritaria non è solo questione di numeri e di statistiche.
Si tratta di meglio tener conto
e di inserire nei programmi del
CEC le esperienze e le prospettive delle donne. Ci si è resi conto che per aiutare i rifugiati, i
contadini poveri, le vittime del
razzismo, i discriminati, i disoccupati, ecc., occorre tenere presenti resperienza, le prospettive
e le esigenze delle donne di
La struttura attuale
Lo schema che illustra la struttura del Consiglio Ecumenico
mostra al di sopra di tutto l’Assemblea dei rappresentanti delle chiese membro (le ultime:
Nairobi 1975, Vancouver 1983,
Canberra 1991). Gli intervalli erano all’inizic di 6 anni, poi di
7 e adesso di 8. La preparazione di un’Assemblea esige un’enorme mole di lavoro (e di soldi).
Già da qualche mese è in funzione un apposito ufficio e un
comitato per preparare quella
del 1991, Quando la data si avvicina, i programmi ordinari sono sospesi e tutti si dedicano a
preparare l’Assemblea. Se queste
fossero troppo ravvicinate i programmi normali del CEC flnirebbero per lavorare a singhiozzo.
L’Assemblea elegge un Comifato Centrale di circa 140 persone che si riunisce ad intervalli
di 12-18 mesi tra le Assemblee:
si riunisce nell’agosto di questo
anno a Hannover, in Germania,
c nel 1989 a Mosca.
Le grandi chiese hanno nel
Comitato Centrale dei rappresentanti più o meno inamovibili,
che vengono riconfermati da una
legislatura all’altra e diventano
degli esperti della macchina burocratica. Le piccole chiese hanno una volta ogni tanto un rappresentante che spende il priWo terzo del suo mandato per
farsi conoscere e familiarizzarsi con i meccanismi e, quando
comincia a intervenire efficacemente, viene cambiato.
Il Comitato Esecutivo, 30-40
membri del Comitato Centrale,
SI riunisce con più frequenza
per il disbrigo degli affari generali. Questi sono gli organi direttivi collegiali.
Le loro disposizioni vengono
eseguite dal Segretariato Generale. II segretario generale, attual
mente il pastore metodista uruguayano Emilio Castro, è dunque il capo dell’esecutivo. Lo
assistono tre segretari generali
aggiunti, la signora Ruth Sovik,
luterana nordamericana, il prof.
Todcr Sabev, ortodosso bulgaro, e la signora Mercy Oduyoye,
metodista nigeriana.
Dipendono dal Segretariato
Generale da un lato i servizi centrali (le finanze, le comunicazioni, la biblioteca e l’istituto ecumenico di Bossey) e dall’altro
lato le tre Unità operative o programmatiche, quelle cioè che devono tradurre in atti concreti
le direttive generali delle Assemblee.
L’Unità 1 è chiamata « Fede e
testimonianza » e si occupa delle questioni di dottrina, di evangelizzazione e di dialogo con i
credenti di altre fedi.
L’Unità 2 è chiamata « Giustizia e servizio » e si occupa dell’assistenza, del razzismo, degli
affari internazionali, dei rifugiati.
L’Unità 3 è chiamata « Educazione e rinnovamento » e si occupa della gioventù, delle donne
e dei problemi di rivitalizzazione della vita liturgica e parrocchiale.
Ciascuna di queste Unità è
suddivisa in 4 o 5 Sotto-Unità,
ognuna delle quali ha un settore
ben determinato e preciso.
Tra le varie Unitài e Sotto-Unità ci sono grosse differenze di
bilancio e di personale. Su un
totale di circa 300 dipendenti la
sola CICARWS (cioè la SottoUnità dell'Unità 2 che si occupa
di aiuto inter-ecclesiastico, rifugiati e servizio al mondo) ne ha
50, mentre la Sotto-Unità « Chiesa e società » ne ha 4, « Fede e
costituzione » ne ha 6, il « Programma di lotta al razzismo »
ne ha 7, la Sotto-Unità per la gioventù ne ha 4 e quella per « Le
églises membres
UMK )
FOI ET TÉM0I6NA6E
• Eoi el coosliluiion
• Mission el ev.HiqnIrs.ibi'D
• r qiiM' H à.x iv:i'
• Dialogue uvee les 'olKjions
fi** noire (emps
In questo schema si riassume Vorganigramma del Consiglio ecumenico: le tre unità tematiche prevedono al loro interno diverse
« sotto-unità »
donne nella chiesa e nella società » ne ha 5.
Le decisioni della vita di tutti
i giorni sono prese dal cosiddetto SEG (Staff Executive
Group, cioè gruppo esecutivo
del personale) a cui partecipano
i direttori delle Sotto-Unità: a
quel livello il direttore di CICARWS, con 50 dipendenti, e quello di
« Chiesa e società », con 4, sono
sullo stesso piano, mentre certi
uffici di CICARWS (come
ECLOF con 5 persone o il « Servizio dei rifugiati » con 11) non
sono direttamente rappresentati.
Tutto ciò mostra la complessità della struttura organizzativa del CEC e fa capire quan
to tatto e buona volontà ci voglia perché tutto funzioni al meglio.
Dal punto di vista confessionale il personale si suddivide
così:
protestanti (compresi gli
anglicani) 66%
cattolici romani 29%
ortodossi 4%
vecchio-cattolici 0,33%
mu,3ulmani 0,33%
israeliti 0,33%
L’unico cattolico che abbia
un posto direttivo a livello concettuale è l’attuale responsabile
della biblioteca. Gli altri si trovano nei servizi di segretariato o tecnici. *
Il pastore Anna Karin Hammar
direttrice della sotto-unità del
CEC « Donne nella chiesa e nella società ».
quei gruppi sociali, che sono differenti da quelle degli uomini.
Trascurarle significa che qualsiasi sforzo di aiuto sarà parziale
e solo parzialmente efficace.
Esigenze e
prospettive
E se le esigenze e le prospettive specifiche delle donne sono
importanti m quei campi, perché non lo sarebbero anche nel
campo della fede, della spiritualità. della teologia?
Si giunge così alla s'pinosissima questione della consacrazione o ordinazione delle donne al
ministero cristiano: accettata e
ormai irrinunciabile per molte
chiese protestanti, è ferocemente avversata da ortodossi e cattolici. Su questo punto le formulazioni del B.E.M. (1982) sono
molto annacquate rispetto a quelle di Accra (1974). E sembra di
capire che il CEC sia in un
considerevole imbarazzo...
Nota: questo pezzo ha derivato molti elementi dall’articolo di
Anna Karin Elamraar, apparso
su Ecumenical Review, 34, 1988,
p. 528 e sega., senza pretendere di esserne un riassunto.
Chi paga
Dice la saggezza popolare che « chi
paga comanda ». E' quindi legittimo
chiedersi: il Consiglio Ecumenico (CEC)
chi lo paga?
Il grosso delle entrate è rappresentato dai contributi delle Chiese che lo
compongono.
Nel 1986 il CEC ha ricevuto dalle
Chiese membro 28,5 milioni di franchi svizzeri (circa 24 miliardi di lire)
che, uniti ad altre entrate e interessi,
hanno dato un totale di entrate di quasi 38 milioni di Fr. Sv. (un po' più di
32 miliardi di lire).
A fronte di queste entrate c'è stata
una spesa di 23,5 milioni di Fr. Sv.
per salari, 3,5 per consultazioni e viaggi, 5 per pubblicazioni e comunicazioni, più spese minori, per un totale di
35,8 milioni di Fr. Sv., e quindi con
un piccolo margine attivo.
In pari tempo il CEC ha ricevuto e
distribuito una novantina di milioni di
Fr. Sv. (cioè più di 76 miliardi di lire),
affidatigli in gestione, secondo le intenzioni dei donatori.
Nel 1986 sui 28,5 milioni di Fr. Sv.
contribuiti direttamente dalle Chiese
il 38% è venuto dalla Germania Federale, il 23% dagli Stati Uniti, ii rimanente 39% è stato suddiviso tra i
contributi relativamente importanti di
Canada, Olanda, Inghilterra e la serie
di contributi minori, e talvolta minimi, di decine e decine di Chiese del
paesi più poveri del mondo.
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IV 4
of Churches
1948-1988
26 agosto 1988
GIUSTIZIA, PACE E INTEGRITÀ’ DEL CREATO
Giovinezza e maturità
del Consiglio Ecumenico
Unità dei cristiani e unità deH’umanità - L’unificazione delle lotte nei due emisferi del mondo - L’impegno e la mobilitazione delle chiese in vista della Convocazione mondiale del ’90
Il dr. Preman Niles è il Segretario dei programma JPIC presso il Consiglio Ecumenico delle
Chiese.
I] programma « giustizia, pace e integrità del creato » (JPIC
nel gergo ecumenico) caratterizza bene un Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) che si avvia alla quarantina, che cioè entra nel pieno della maturità. Tale programma, infatti, da un lato riprende tematiche che sono
sempre state presenti nel CEC
e dall'altro le ripresenta in una
forma più matura, più urgente,
quasi potremmo dire « più contundente ».
Quando l’Assemblea di Vancouver, nel 1983, domandò al CEC
di impegnare le chiese membro
in im processo conciliare di reciproco impegno per la giustizia,
la pace e Tintegrità della creazione, cercava di ottenere tre risultati.
In primo luogo sperava che
gli interessi dei due movimenti
« Fede e costituzione » e « Vita
e azione » si sommassero per
produrre un nuovo impulso ecumenico. Gli studi di « Fede e costituzione », e sipecialmente il
B.E.M., hanno dimostrato che
non possiamo parlare dell'unità
dei cristiani senza preoccuparci
al tempo stesso dell’unità delrumanità e delle lotte iper la giustizia, la pace e l’integrità della
crecizione di Dio. Quando il movimento « Vita e azione » ebbe
inizio a Stoccolma, nel 1925, presupponeva che la dottrina dividesse ma che il servizio unisse.
Le esperienze del movimento ecumenico hanno dimostrato che
tale presupposto era errato. Appena facciamo nostra la causa
dei poveri, dei razzialmente oppressi, delle donne, che lottano
per la giustizia, vediamo manifestarsi profonde divisioni nella
chiesa. Insomma, la preoccupa
zione per l’unità della chiesa e
quella per la sua testimonianza
sul terreno socio-politico non si
possono separare e devono formare un tutto unico. Questo è
uno degli scopi dell'appello di
Vancouver.
In secondo luogo va detto che
finora le lotte per la giustizia
e quelle per la pace tendevano
a rimanere separate. La lotta j>er
la pace si identifica con l’emisfero Nord, quella per la giustizia con Temisfero Sud. Vancouver comprese che queste due lotte devono fondersi in un unico
sforzo per difendere la vita, che
a sua volta deve includere la lotta per la scilvaguardia del mondo creato da Dio. Perciò appimto la nozione di integrità della
creazione venne aggiunta a quelle di giustizia e di pace.
L’appello di Vancouver parla
infine di un processo conciliare
di mutuo impegno (o patto, o
alleanza). Non esiste per ora una
comprensione comune e condivisa da tutti sul significato di tale espressione, ma è chiaro che
le chiese sono invitate ad avvicinarsi e a prendere insieme Timpegno di entrare in una lotta co
mune per resistere a quanto minaccia la vita. La Convocazione
Mondiale, che si terrà dal 3 al
13 marzo 1990, probabilmente a
Seoul, in Corea, sarà un’occasione importante per prendere insieme un impegno del genere.
Il Comitato Esecutivo del
CEC, riunito qualche mese fa a
Istanbul, precisava che « lo scopo della Convocazione Mondiale
è di prendere delle posizioni teologiche sulla giustizia, la pace e
l’integrità della creazione e di
individuare le maggiori minacce
alla vita che si manifestano in
quei tre campi, mostrandone l'interconnessione, ed inoltre di
compiere essa stessa e di proporre alle chiese degli atti di
impegno reciproco che ne costituiscano una risposta ».
Il processo attraverso cui la
Convocazione Mondiale sarà recepita e tradotta in pratica sarà
tanto e più importante che la
Convocazione stessa. Le chiese
dovranno far proprie le affermazioni della Convocazione e riprendere individualmente l’impegno
assunto in comune. In una parola, la Convocazione Mondiale
non sarà la fine de] programma,
ma un momento alto del processo immaginato a Vancou\fer.
Si può dire in sostanza che fin
dal suo inizio, fin dall’Assemblea
di Amsterdam nel 1948, il CEC
ha costituito per le chiese un
impegno comune, un’alleanza, un
patto. La Convocazione Mondiale e tutto il programma JFTC
non vogliono altro che esplicitare, allargare, approfondire q’jell’impegno comune.
La partecipazione della Chiesa
Cattolica Romana, delle Comunioni Cristiane Mondiali (quali
l’Alleanza Riformata, la Federazione Luterana ecc.) e degli organismi ecumenici regionali lanno della Convocazione Mondiale
un avvenimento eccezionalmente importante. Esso ha in sé le
potenzialità per condurre le chiese a uno stadio più alto della
comunione (koinonia) e del processo conciliare rappresentati
dal CEC.
Si spera infine che la Con\ ucazione Mondiale accresca l’impegno delle chiese, dei movimenti, dei gruppi di base, per la giustizia, la pace e l’integrità delia
creazione.
Preman Niles
UN’ESPRESSIONE COERENTE DELLA FEDE
sr:;
La presenza ortodossa nel movimento ecumenico
L’intreccio e i legami tra le chiese ortodosse e il CEC - Dalla proposta per una « Lega delle chiese » all adesione
all’Assemblea di Amsterdam - L’apertura verso il mondo orientale - La fede cristiana intesa come unità indivisibile
Il padre George Tsetsis è il rappresentante del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli presso
il Consiglio Ecumenico delle
Chiese, a Ginevra. Nella foto a
destra il Patriarca Pimen di Mosca. Dal 1961 le Chiese ortodosse
fanno parte del CEC.
In molti ambienti, sia protestanti che ortodossi, si ha Timpressione che l’attuale movimento ecumenico sia nato nel protestantesimo come risposta ai problemi esistenziali delle chiese
della Riforma. Molti ortodossi si
chiedono jjerciò che cosa significhi la presenza dell’ortodossia
nel movimento ecumenico, e molti protestanti guardano gli ortodossi quasi come un corpo estraneo appartenente a un altro mondo e ad un'altra cultura.
Una proposta
da Costantinopoli
E’ innegabile tuttavia che la
storia del movimento ecumenico e specialmente quella del Consiglio Ecumenico delle Chiese
(CEC) è strettamente legata alla Chiesa ortodossa. Storicamente è una delle chiese ortodosse,
e precisamente il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, quella che fin dal 1920 aveva ufficialmente lanciato l’idea di una « Lega delle Chiese », simile alla
« Lega delle Nazioni » da poco
creata a Ginevra. Con renciclica
del 1920, diceva Visser’t Hooft,
« Costantinopoli dava il segnale
della riunrficazione », invitando
le chiese a non più considerarsi estranee le une alle altre ma
ad accettarsi mutuamente come
appartenenti alla famiglia di
Cristo.
La partecipazione ai
movimenti ecumenici
Negli anni successivi la quasi
totalità delle chiese ortodosse
(compresa quella d’Albania, ma
esclusa quella russa, allora impegnata in una lotta disperata
per la sopravvivenza) partecipò
attivamente a: due movimenti
ecumenici di « Fede e costituzione » e di « Vita e azione ».
La Conferenza
panortodossa
E’ vero che ad Amsterdam,
nel 1948, solo tre chiese ortodosse parteciparono alla fondazione
del CEC (assenze motivate più
politicamente che teologicamen
te) ma dal 1961 al '65 il resto
deH’ortodossia aderì al CEC.
« La partecipazione ortodossa
al movimento ecumenico — ha
dichiarato la 3” Conferenza Panortodossa Preconciliare del 1986
— non è affatto in contrasto con la natura e la storia della Chiesa ortodossa. Anzi, costituisce l'espressione coerente della fede apostolica nella nuova
condizione storica ».
Va sottolineato che senza la
partecipazione ortodossa il CEC
non sarebbe altro che un organismo interconfessionale occidentale, estraneo alla problematica deirOriente, e quindi assai
poco ecumenico.
Certo la presenza degli ortodossi nel Consiglio Ecumenico
non è sempre facile: né per loro né per gli altri. La teologia
e la visione del mondo degli ortodossi danno talora rimpressione che essi siano al margine delle attività del CEC. Tuttavia,
secondo la già citata Conferenza Panortodossa, « la Chiesa ortodossa, nella sua intima convinzione e nella propria coscienza
ecclesiale d’essere la detentrice
e la testimone della fede e della
tradizione della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, crede
fermamente di occupare un posto centrale nel mondo d’oggi
per quanto si riferisce all’avanzamento dell’unità dei cristiani »
Una base comune
per tutti i cristiani
La Chiesa ortodossa crede_ fermamente che la fède cristiana
è un’unità indivisibile, perciò le
dottrine formulate dai Concili
ecumenici e la fede espressa dalla Chiesa indivisa sono le condizioni preliminari per l’unità
della Chiesa. Infatti la base comune di tutte le denominazioni
cristiane d’oggi va cercata nel
passato, nella storia comune, nella tradizione apostolica da cui
deriva la loro esistenza.
Gli ortodossi, perciò, si rallegrano per lo studio sulla « fede
apostolica » iniziato recentemente da « Fede e costituzione ».
Esso infatti sarà un'ocpisione
unica per approfondire gli aspetti fondamentali della fede delia
Chiesa nei secoli, ma ci permetterà altresì di definire come tale fede possa essere interpretata oggi, in \dsta dei problemi
del mondo contemporaneo.
George Tsetsis