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BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Anno X. - Fasc. XI-XII ROMA - NOV.-DIC. 1921
Volume XVIII. 5.6
SOMMARIO
D. PROVENZAL: Novellistica italiana e reazione cattolica..........................p. 285
G. COSTA: Lo stoicismo cristiano di E.
F. Amici . . . . . . 292
(con il ritrattò di Amie! in tav. a parte).
U. REDANÒ: L'intuizione nell'estetica di
B. Croce . . . ...... 300
V. CENTO: /l clericalismo assoluto . . 306 Per la cultura dell'anima:
G. E. M. (da T. Fallot): Praticare lo zòppo... e non zoppicare..........................317
Note e commenti :
G. GRILLI: Rodolfo Eucken (I tuoi «Ricordi* Una guida alla suà opera) . . ...... 320 (con il ritratto di Eucken in lav. a parie').
M. DELL* ISOLA: E. Bignami....... 325
Cronache:
| M. VINCIGUERRA: Cronaca Vaticana . ... 326 Rassegne :
A. DE STEFANO: Studi di cristianesimo medioevale. 332 Rivista delie riviste:
Riviste francesi . ................................339
Recensioni :
j A. PELLI: Un altro libro su A. Fogazzaro . . 346
Studi di religione (La preghiera - Orfeo - Cristianesimo contemporaneo - Dogmatica protestante -Apologetica - S. Gennaro - Antologia nazzarena -Edificazióne - L'etica del Vangelo - Bibliografia religiosa............. ...... 347
Studi sulla Cina. . . . ........................360
Stòria e letteratura ........... 361
Letture ed appunti ...... 366 Bollettino bibliografico:
i Pubblicazioni pervenute alla Redazione . . . . 368
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RII YCHNIS RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Dllu I Vni IO « FONDATA NEL 1912 >
CRITICA BIBLICA - STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI - PSICOLOGIA, PEDAGOGIA, FILO-SOFIA RELIGIOSE MORALE QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO REUGIOSO - LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL'ESTERO CRONACHE - RIVISTA DELLE RIVISTE BIBLIOGRAFIA
REDAZIONE: Prof. LODOVICO PaSCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma
D. G. WHITTJNGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma
Corrispondenti e collaboratori sono pregati d’indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “ BILYCHNIS 99 - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gli articoli firmati vincolano unicamente l’opinione dei loro autori.
I manoscritti non si restituiscono.
1 collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conoscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d’opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
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i 6 fascicoli bimestrali dei Quaderni di Bilychnis, eleganti volumetti in 8° piccolo di pag. 64 illustrali, formanti un insieme di 384 pagine annue. '
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“BILYCHNIS” e i Quaderni L. 16 — 9 — 30 —
“ BILYCHNIS ”, i Quaderni e “IL TESTIMONIO ” » 18,50 10,50 40 —
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Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33 i
1 " - ------------------------------------------------------Quaderni di ..........................................=
= BILYCHNIS nei 1921
Pubblicati:
1. Dino Provenzai, Una vittima del dubbio: Leonida Andreief - Con un’appendice di Ettore Lo Gatto-: Cènni bio-bibliografici su L. Andreief e traduzione italiana di alcune scene àe\\' Anatema dell'Andreief.
Tutta la stampa si è occupata largamente di questo interessante Quaderno, al quale Pompeo Falcone nei Libri del Giorno del settembre 1921, ha dedicato un ampio studio.
2. A. V. Müller, Una fonte ignota del sistema di Lutero (Il Beato Fidati da Cascia e la sua teologia).
L’A. mostra le singolari corrispondenze tra il pensiero di questo frate italiano morto nel 1348 e le affermazioni di Lutero, che furono ritenute eretiche è inclina a credere che il frate italiano non dovrà essere ignoto al riformatore tedesco... {Rassegna Moderna).
Le conclusioni generali a cui giunge l’A. a noi paiono molto esatte ed aiutano molto a stabilire su basi veramente storiche la figura di Lutero, figura, cioè, non di un grande pensatore, ma di un grande uomo di azione... {Resto del Carlino).
3. A. Severino, li sentimento religioso'di F. Amiel.
L’A. dopo avere due anni or sono dedicato alla vita e all’opera dell'Amiel uno studio sintetico che non era male informato, si indugia ora a studiare gli elementi e i caratteri dell’esperienza religiosa affidata a quel Journal intinte di cui E. Scherer pubblicava nel 1882 i frammenti più salienti... (E. Buonaiuti nel Tempo).
4. R. Nazzari, La-dialettica di Proclo e il sopravvento dèlia filosofia cristiana.
L’A. riesce molto bene a sintetizzare i principi cardinali della gnoseologia e della metafisica dell’ultimo maestro, che nella seconda metà del secolo quinto diresse ad Atene la scuola neoplatonica. (E. Buonaiuti nel Tempo).
5. G. Pioli, G. Tyrrell e il suo epistolario.
D’imminente pubblicazione:
6. A. Tilgher, La visione greca dèlia vita.
Ogni fascicolo di circa pagine 70 con una o più tavole Lire 4 — per i non abbonati alla Rivista.
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iì Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 83
Novità
DE STEFANOARNALDO -DA BRECCIA EI ZVOI TEMPI * ‘ ■
CAJA EDITRICE "BILYCHNIT" ROMA
Prezzo L. O — Estero » IO —
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Casa Editrice. BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33 in
GUGLIELMO QUADROTTA
LA CHIESA CATTOLICA NELLA CRISI UNIVERSALE
Con particolare riguardo ai rapporti ira Chiesa e Stato in Italia. - Volume di pag. CLXXIX-178.
Prezzo in Italia L. IO— - Estero L. 15 —
Il volume tratta argomenti di grande importanza, quali: La posizione della Chiesa Cattolica nel mondale la necessita della revisione dei suor rapporti con l’Italia - Il Cristianesimo, la Chiesa e la guerra - La neutralità pontificia - Da Pio X a Benedetto XV - Chiesa e Stato in Italia - La politica anti-1 taliana del Pontificato - La Gran Bretagna e la Chiesa cattolica, ecc.
Uno dei pregi del volume è nella ricca- raccolta di documenti che esso contiene, che valgono a mettere in luce l’atteggiamento e l'azione del Papato allo scoppio e durante il lungo periodo della grande guerra.
E* un attacco frontale a quella leggerezza italiana che in momenti come l'attuale costituisce un tradimento verso la Nazione.
La conclusione è che questo è il momento storico per aff rontare decisamente il grave problema, che finché rimarrà insoluto, sarà causa di profondo turbamento nella vita nazionale.
Quest’opera è stata largamente discussa e favorevolmente giudicata da tutta la stampa italiana sopratutto nel momento in cui venne risollevata' la questione romana, alla quale à offerto ampia messe di materiali.
| Riportiamo qualche giudizio più significante.
Guglielmo Quadrotta che si fece apprezzare giovanissimo, per le sue corrispondenze al Secolo su questioni vaticane, e. quindi, per i suoi volumi: Socialismo e religione; il Papa; l'Italia c la guerra: Religione Chiesa c Stato nel pensiero ài Antonio Salandra (1916). sostiene, in questo suo denso lucido volume, ricco di documenti 0 utilissimi raffronti, la necessità della revisione dei rapporti fra la Chiesa cattolica c’I’Itólia. Studia, serenamente, l’azione politica del papato, durante c dopo la guerra chiarisce il valore dell'espressione ■ papa religioso » riferita a l’io X, e delinca ,1 con pochi tratti sicuri, l’opera politica di Benedetto XV. 11 Quadrotta accenna rapidamente, per ragioni evidenti, all'atteggiamento Che il pensiero cristiano ebbe verso la guerra, da Agostino d'Ippona a Desiderato Mercier, c ricorda i rapporti fra la Chiesa e i vari stati italiani (Repubblica • veneta. Stato di Savoia al tempo di Vittorio Emanuele II c di Carlo Emanuele III), . che hanno dato occasione a un numero rilevantissimo di contestazioni o di relazioni. (Nuova Rivista Storica).
Opera... interessante... c utile per gli argomenti discussi, poil calore che Q. vi porta c per il materiale c i documenti radunati.
L(vtGi) S( alvatorrlu) nella Stampa.
Attuale, viva, nutrita, (• la Prefazione al volume: essa dù ai capitoli che seguono, il quadro e l'atmosfèra entro cui devono poi trovar posto c giustificazione. 1 passi che si riferiscono ai contatti ufficiosi c segreti corsi da due anni ad oggi fra il Vaticano e il Gov-rno italiano (Gasparri, Corretti, Xitti) sono quelli che piti precisano il carattere del libro : contributo di-informazioni sicure, di documenti bene scolti. e di orientamenti acuti, anche se non sèmpre da noi accettabili, alla storia futura della politica della Chiesa con I paesi belligeranti, durante c dopo il conflitto. Quindi utilissimo libro.
R(oberto) C(antalvpo) ( nell'Zdea .\ azionale)
Ma fra i documenti hanno particolare valore gli scritti inviati all'A. in risposta ad un referendum indetto durante la guerra da pensatori, scrittóri, uomini politici di ogni tendenza sulla eventuale partecipazione del Papa alla Conferenza della Pace:'scritti che hanno una grande importanza per le argomentazioni svolte e la copiosa dottrina storica e giuridica che investe l’argomento dei rapporti fra lo Stato c la Chiesa.
In conclusione il libro del Quadrotta c un libro interessante di storia e di politica religiosa molto obbiettivo che non può essere trascurato da quanti dedicano la loro attenzione e la loro opera ai vari problemi della vita italiana.
Paolo Palmisano (nel domale di Sicilia).
... excellent volume, très documentò ... C'est un volume susceptible d’interesscr grandement le lecteur français.
(Mercure de France)
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IV Casa Editrice B1LYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33
Novità: Piero Chiminelli
= LA FORTUNA DI DANTE NELLA CRISTIANITÀ RIFORMATA
(CON SPECIALE RIFERIMENTO ALL’ITALIA)
Un bel voi? di pag. XI-266 - L. 10 — (Estero L. 15 —).
Il libro à suscitato approvazioni e lodi per la materia raccoltavi sinteticamente e chiaramente esposta.
« Il Ministero l'esprime il suo compiacimento per la pubblicazione di questo volume ». Il Ministro Cordino (ii ottobre 1921).
« Di questo suo volume conto giovarmi... Mi ha appreso molte cose che dai libri consueti non si possono apprendere e che mi saranno utili assai ». Sonatore F. Ruffini (20 novembre 1921).
« È uno studio diligentissimo e sintetico che forma una delle migliori pubblicazioni della celebrazione del VI centenario dantesco ». Il Paese (Roma).
« Dobbiamo tributare a quest’opera, sia per il suo piano generale, che per le sue parti speciali, le più alte lodi e raccomandarla in modo speciale ai lettori tedeschi r. Bohemia ì (Praga 14 Settembre 1921).
« Lavoro che si legge volentieri; è utile ed interessante ». Bilychnis (Roma, sett. 1921)*
0 (Volume di larga erudizione. Il Chiminelli è scrittore colto e forbito ». Corriere d'Italia. (15 ottobe 1921).
« Questo volume del Chiminelli d frutto di lungo studio e di fervido amore, ed, anche, dimostrazione del profondo sentimento d’italianità degli evangelici che parlano la lingua di Dante». Alfredo Tagli alatela. Evangelista (20 ottobre 1921).
«Libro condotto con molta diligenza. Reca utili notizie intorno agli studi e alle ricerche dantesche presso i seguaci della Riforma. Così diviso com’è per regioni, è di consultazione facile e piacevole». Gazzetta del Popolo (Torino) 22 ottobre 1921.
« È un prezioso contributo alla letteratura dantesca. Si legge con diletto come tutte le opere del Chiminelli ». La Giovane (Torino ottobre novrembre 1921).
»Volume di erudizione» - Il Progresso (Bologna, 8 diccnwre 192
• La monografia.di P. Chiminelli è risultato di studio lungo, paziente ed intelligente insieme. Ora che il Chiminelli ci ha dato in esso la storia esterna del dantismo protestante, occorrerebbe che ne intraprendesse la storia interna »., Resto del Carlino (Bologna. 15 novembre 1921).
«Fra i tanti libri più o meno buoni su Dante, questo ci.sembra sorpassare di gran lunga in valore ed impòrtanzà molti e molti altri ». L’Italia.(Montreal, 8 settembre 1921).
« Libro interessante, sia per il punto di vista da cui è riguardata l’opera dantesca, sia per l’attenzione con cui è eseguito lo studiò » Rassegna Moderna. (Palermo, sett. 1921).
« L’autore ha veramente colmato una lacuna c dobbiamo essergliene grati ». La Luce (Torre Pellice, 21 settem! re, 1921).
«Ha il ’vantaggio d’una copiosa raccolta di notizie divise per regioni». L’Italia che scrive. (Roma, ottobre 1921).
« È il primo tentativo che si sia fatto per raccogliere le più sicure e numerose notizie intorno ai lavori compiuti dai protestanti nel diffondere ed illustrare il pensiero del nostro sommo Poeta». Eduardo Taglialatela. ^vangelista (8 settembre 1921).
« Questo libro si distingue dalla collana di pubblicazioni similari per la originalità del suo contenuto ». Vito Garretto. Evangelista (18 agosto 1921).
• È una vera rivelazione». La Luce (12 dtt. 1921).
« Questo interessante volume inserisce la letteratura protestante italiana nel rigoglioso tronco della letteratura nazionale». Il Testimonio (Roma, agosto J92Ì).
« È tale la copia delle informazioni, delle fonti, dei riferimenti e aneddoti che il lavoro non potrà non riuscire interessante a tutti coloro che si occupano di letteratura e di Dante ». Il Testimonio (Roma, settembre, 1921).
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Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 83 v
II TCCTIMÌÌNIft RIVISTA MENSILE DELLE CHIE-1L 1EJ11IV1U111U SE BATTISTE . ANNO xxxVIII Si pubblica in fascicoli di 36 pagine elegantemente fregiate ed illustrate - Pubblica articoli di propaganda e di informazione sul cristianesimo in genere e sul movimento battista in ¡spècie - Rubriche speciali: Rubrica dello spirito. Vita ecclesiastica, La pagina dei piccoli. Si propone di fornire ai pastori argomenti per meditazioni e sermoni e di essere^largo di notizie sulle chiese battiste d'Italia.
:: DIREZIONE : ARISTARCO FASULO - Via Gassiodoro. i - ROMA 33
AMMINISTRAZIONE: BENIAMINO FODERA - Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
Abbonamento per l’Italia, annuo L. 5 - Semestrale L. 3
Per 1* Estero, L. 10 - Un fascicolo separato L. 0,60
PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
CULTURA DELL’ANIMA
Borsari R. : Guardando 11 sole 2 —
Burt W.: Sermoni e allocuzioni; ...............2 —
GRATRY A. : Le sorgenti, con prefazione di G. Semeria 5,40 Luzzi G. : Parole che non passano per l’ora che passa 2 —
Monod W.: L’Evangile du Royaume..................10 —
— Délivrances . . . .10 — — Il régnera..........10 —
— Il vit.................10 —
— Silence et prière . . . 10 — Vienot J. : Paroles françaises
Emoncées a 1’ oratoire du uvre ...... 3,50
Wagner C.: L’ami . . . 12 —
Rivista Propheia (Unica annata 19x4) . . . . . 5 —
FILOSOFIA
BLONDEL M.: “L’Azione”, Saggio di una critica della vita e di una scienza della pratica (vol. I e II) . 28 —
Della Seta U.: G. Mazzini pensatore ...... 15 —
Della Seta U. : Filosofia morale (Voi. I e II) . . 15 — Ferretti G.: L’Alfabeto e i fanciulli ........ 2 — Losacco M.: Razionalismo e
Intuizionismo . .. 1 — Momigliano F. : Vita dello spirito ed .eroi dello spirito. 8 — Neal TH: Vico e l’immanenza
1 — — Giovanni'Vadati . . . 1 — Rapini G.: Il tragico quotidiano ....... 5,50 — Chiudiamo le scuole 1 — — La Toscana e la filosofia italiana ........ 1 —- ;
— Pragmatismo . . . ■ 4 — — Il crepuscolo dei filosofi 6 — Rensi G.: Sic et non (metafisica e poesia) . . . 3,50 SempriniG. : La morale mistica ! dell’ Imitazione di Cristo
! Tagliatatela E.: Giovanni Locke • educatore, (per la prima vol ta tradotto in italiano) . . 4 —-1 — La dissertazione pedago-, gica . . . . . . . . . io — |
Tilgher A.: Filosofi antichi io — ;
Tilgher A. : Voci del tempo. (profili di letterati e filosofi. contemporanei) . . . 8.50 ;
—- La crisi mondiale . . 16 - I
GUERRA E ATTUALITÀ *
Brauzzi U.: La questione sociale ......... 1 —
! Kolpinska A.: I precursori della rivoluzione russa 6 —Murri R. : L’anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pratici) . . . . 1,25
MURRI R. : Guerra e religione,
Voi. I. Il sangue e l’altare 2 — MURRI R. : Guerra e religione.
Voi. II. L’imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa ........ 2 — — Dalla democrazia cristiana al partito popolare ital. 5 —
Rubbiani F.: Il pensiero politico di Leonida Bissolati 8 —
ZANOTTI-BIANCO e CAFFI
A. : La pace di Versailles, note e documenti (con 20 carte etnografiche e politiche) io —
La Chiesa e i nuovi tempi 3,50
Raccolta di scritti originali di Giovanni Pioli - Romolo Murri -Giovanni E. Metile - Ugo Ianni, - Mario Falchi - Mario Rossi -“ Qui Quondam „ - Antonino De Stefano - Alfredo Tagliatatela.
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali.
(Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20).
8
vi Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Itai. X5-IV-20).
LETTERATURA
Borei G.: Novelle . . . Brauzzi U.: I Luciferi . Bonavia C. : La tenda notte...........
I — La fortuna di Dante nella Cristianità Riformata. 10 —
10 — । Costa G. : Diocleziano . 3 — 5 — ' (Profili) Ediz. Formiggini.
e la । — Politica e religione nell’ini3.5° ! pero romano . . . . . 2 —
Chini M. : F. Mfstral . . 2 — ; Cumont F.: Le religióni orien-Croce B. : La poesia di Dante. tali nel paganesimo roma-15.50 no ...... . . 6,50
Della Seta U.: Morale, Diritto j Di Rubba.: La disfatta del e Politica internazionale nel- ' cattolicismo . . . . . 7 —
la ménte di G. Mazzini, 1,50 Dell’Isola M.: Etudes sur Montaigne ....... 2,50 F. Momigliano: Scintille del Roveto di Stagliene . io — Gallarati Scotti T. : La vita di
A. Fogazzaro. . . . . 12 — (ahier P.: Ragazzo . . 3,50 Lanzillo A.: Giorgio Sorel. 1 — Orvieto Laura.: Sono la tua serva e tu sei il mio signóre (Fiorenza Nightingale). 8,50 Papini G.: Esperienza futurista
3.50 — Testimonianze ... 5 — — Un uomo finito . ’ . . 7 — *— Cento pagine di poesia 5 — i Renzi L. : Ma quando s’erà ragazzi! te ne ricordi Gino ? 3,50
Sheldon : Che farebbe Gesù ? 2 — Soffici A.: Scoperte e massacri (Scritti sull’arte) 5—j Vitanza C.: Spiriti e forme del [ divino nella poesia di M. Ra-pisardi (conferenze). 1,50'
RELIGIONE E STORIA
Buonaiuti E.: S. Girolamo 2 — | Caracciolo I.: Bagliori di co- j munismo nella Riforma. La guerra dei contadini . 6 — | Carpenler J. E-: II posto del!
Cristianesimo fra le religioni I (Traduzione di G. Conte - prefazione di M- Puglisi) 2 — CHIMI NELLI P. : Gesù di Na- |
zareth 2* Ediz. . . . 6 — — Il Padrenostro e il mondo
moderno ...... 3 — : — Bibliografia della Storia della Riforma religiosa in Italia | 5-1
‘ Di Soragna A.: Profezie di, Isaia, figlio di Amos. 7,50 Docllingcr I. : Il papato dalle origini fino al 1870 . 30 —
[ Fasulo A-: Dalle indulgenze alla d eta di Worms . 0,50
Janni U.: Il dogma dell’Eucari-stia e la ragione cristiana 1,25 Labanca B. : La riforma del sec. XVI ed il celibato chiesastico ........ 1 —
LOÌSX A.: La paixdes nations 1,50
Macchierò V : Zagreus - Studi sull Orfismo...........16,50
PETTAfcZONI R. : La religione primitiva in Sardegna 6 —
— La Religione di Zarathustra . ...............15 —
— La religione nella Grecia antica ........ 20 — Rapicavoli C. : Liberalismo e protestantesimo . . . 3 —
Salvatorelli L.: Introduzione bibliografica alla scienza delle Religioni. . . . . 5 —
—« La Bibbia »Introduzione all’Antico e Nuovo Testamento .......... . 20 — — Il significato di « Nazareno » ....... 1,50 Schurè E-: - I grandi iniziati 16,50 - Santuari d’Oriente .**12,50
TYRREL G. : Autobiografìa e Biografìa (per cura di M.
D. Petre) ...... 15 — Tyrrel G. : Lettera confidenziale ad un professore d’antropologia ...... 0,50
Vitanza C.: La leggenda del < Descensùs Christi ad in-feros 1,50
; Wenck F.: Spirito e spiriti nel Nuovo Testamento. 0,75 Weizsacker C. : Le origini del Cristianesimo ossia l’epoca apostolica, (versione dal tedesco) voi. I . . . . . 25 - -X La Bibbia e la Critica. 2 —-X. Lettere di un prete modernista ...... 3,50 Il Nuovo Testaménto (Edizione Fides et Amor) . . 5 —
I Vangeli (Edizione Fides et Amor)......... 1,80 La Bibbia (Vere. Diodati Edizione 1919) ...... 3,50 Nuovo Testamento (edizione tascabile in pelle) . . 2,50 Nuovo Testamento e Salmi ad uso dei vecchi . . . . . 2—
I Salmi (Edizione Fides et Amor) ...... 1,80
Giobbe, tradotto da G. Luzzi 1,80
Tagliatatela E.: L’educazione nella Chiesa dei primi secoli 3*5°
Taylor G. B.: Il Battesimo 0,50
. VÀRIA
Almanacco dei ragazzi . 5,50 Bar Jona.: Ite missa est 5 — Carletti A. : Con quali sentimenti son> tornato dalla guerra ....... 1,50
Del Vecchio G.: Effetti morali del terremoto in Calabria secondo F. M. Pagano : 2 — Inni sacri (320), senza musica
1.50
Niccolini E.: I contadini e la terra ......... 2,50
Fanzini A.: Il libro di lettura per le * cuole popolari . 2 —
Pioli G.: Educhiamo i nostri padroni..............2.50
NOVITÀ
RAPINI G.
STORIA di CRISTO
680 pàgine L. 17 —
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Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33 vii
ESTRATTI DELLA RIVISTA “ BILYCHNIS „
I Serie 1O12-1O1S
1. Amendola Èva: Il pensiero ro-1 llgioso o filosofico di F. Dostolov-sky (con tavola fuori testo: ritratto del D. disegnato da P. Paschetto). 1917, p. 40 . Esaurito !
2. Bernardo (fra) da Quihtavalle: L’avvenire secondo l'insegnamento di Gesù. 1917, p. 43..... 0,80
3. Biondoliilo Francesco: La religiosità di Tcofllo Folengo (con nn disegno). 1912, p. 12 . 0,40
4. Biondoliilo Francesco: Per la religiosità di F. Petrarca (con una tavola). 1913, p. 9 ... 0.40
5. Cappelletti Licurgo: Il conclave del 1774 ola Satira a Roma. 1918, p. 10 ................... 0,50
6. Cento Vincenzo: Colloquio con Renato Serra. 191$, p. 11 0,60
7. Chiapponi Alessandro: Contro ridentificazionc della filosofia c della storia e pei diritti delia critica. 1918, p. 12........... 0.60
8. Corso Raffaele: Ultime vestigio della lapidazióne '(con 2 disegni originali di P. Paschetto). 1917, p. 11 ................... Esaurito !
9. Corso Raffaele: Lo, studio del riti nuziali. 1917, p. 9 ... 0,40
10. ..Corso Raffaele: Deus Pluvius (saggio di mitologia popolare). 1918, p. 13 ................. 0,75
11. Costa Giovanni: La battaglia di Costantino a Ponto Milvio (con due tavole e duo disegni). 1913, pagine 14 ..................... 1,50
12.. Costa Giovanni: Critica c tradizione. Osservazioni sulla politica e sulla religione di Costantino. 1914, p. 23 ................. 1,50
13. Costa Giovanni: Impero romano o cristianesimo (con due tav.).
1915, p. 49 ............. 2-—
14. Costa Giovanni: Il < Christus » della «Cines». 1917, p. 11 0,30
15. Crespi Angelo: Il problema dell’educazione (introduzione). 1912, p. 11 ................... Esaurito
16. Crespi Angelo: L’evoluzione della religiosità nell’individuo. 1913, P- 14 ................... 0,50
17. De Stefano Antonino: Le origini dei Frati Gaudenti. 1915, pagine 26 ........./....... 1,50
18. De Stefano Antonino: I Tedeschi e l’eresia medievale in Italia.
1916, p. 17 ............. l — |
19. Do Stefano Antonino: Delle origini dei « poveri lombardi * c di alcuni gruppi valdesi. 1917, pagine 23 ................. 1 —
20. Fallot T.: Sulla soglia (considerazioni sull’af di Li) (con una tavola f. t., disegno di P. Paschetto).
1916, p. 14 ............. 0,50
21. Fasulo Aristarco: Pel IV centenario. della Riforma. 1917, pagine 18 .................. 0,50
22. Fasulo Aristarco: Brevi motivi d’una grande sinfonia (Della Provvidenza). 1918, p. 16 ..... 0,50
23. Forinichi Carlo: Cenni sulle più antiche religioni dell'india (con suggerimenti bibliografici). 1917, p. 15 ................. 1 —
24. Fornari F.: Inumazione c cremazione (con quattro tavole).
1912, p. 6 ............ Esaurito
25. ' Gabcllini M. A.! Olindo Guer-rinl: l’uomo e l’artista. 1918, pagine 17 ...'.............. 0,50
26- Gambaro Angelo: Crisi Contemporanea, 1912, p. 7 ....... 0,30
27. Ghignoni P. A.: Lettera a R. Murri (A proposito di Cristianesimo e guerra). 1916, pagine 9
Esaurito
2$. Giretti Edoardo: Perchè sono per la guerra. 1915, pàgine II
Esaurito
29. Giulio-Benso Luisa: « La vita è un sogno » di Arturo Farinelli.
1917, p. 16 ............. 0,50
30. Giulio-Benso Luisa: Lamennais c Mazzini (con una tavola f. t.: ritratto del Lamennais). 191$, p.vjO ................... 1,50
31. -Giulio-Benso Luisa: Il sentimento religioso nell’opera di Alfredo Orioni. 1918, p. 43 . 1,50
32. Lanzlllo Agostino: Il soldato e' l’eroe (Frammenti di psicologia di guerra). 191$, p. 25 Esaurito
33. Lattee Dante: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico.
191$, p. 21............. 1,25
34’. Lónzi Furio: L’autocefalia della Chièsa di Salona (con undici illustrazióni). 1912, p. 16 ... 1 —
35. Lonzi Furio: Di alcune medaglie religiose dèi xv secolo (con una tavola c quattro disegni). 1913, p. 21 ................... 1,50
36. Leopold lì.: Le memorie apostoliche a Roma e i recenti scavi di S. Sebastiano (con una tavola).
1916, p. 14.......... Esaurito
37. Luzzi Giovanni: L’opera Spon-ccriana. 1912, p. 7 ....... 0,30'
3$. Musini Enrico: La liberazione-di Gerusalemme. Salmo. 1917-p. 2 ....................... 0,25
39. Melile Giovanni E.: Il cristiano nella vita pubblica. 1913, p. 31
. in-32° ........... 0,25
40- Melile Giovanni c Ada: Giu-navcllo. Scene valdesi in quattro atti. (Disegni e xilografie di P. A. Paschetto). 191$, p. 67 ... 2,50
41. Minocchi Salvatore: I miti babilonesi e le origini della gnosi;
1914, p. 43 ...'........ Esaurito
12. Momigliano Felice: Il giudaismo di ieri e di domani. 1916. pagine 16 ................. Esaurito
43. Mùllor Alphons Victor: Agostino Favaroni (tl443) (generale dcll’Ordinc Agostiniano) o la teologia di Lutero. 1914, p. 17 0,50
44. Murri Romolo: L'individuo c la storia (A proposito di Cristianésimo e guerra). 1915, p. 1S .. 0,50
45. Murri Romolo: La religione nell’insegnaménto pubblico in Italia.
1915, p. 22 ............. 0,75
46. Murri Romolo: La « Religione » di Alfredo Loisy. 1918, pagine 16 ................. Esaurite
47. Murri Romolo: Gl'Italiani c la libertà religiosa nel secolo xvxi.
191$, p. 10 ............. 0.50
4$. Muttinelli Ferruccio: Il profilo intellettuale di Sant* Agostino 1917 P- 8 .......\........... 0,40
49. Nazzari R.: Le concezioni idealistiche del male. 1918, pagi- I ne 16 ................... 1 —
50. Ncal T.: Maino de BIran. 1914-P- 9 ................... 0,50
51. Orano Paolo: La rinascita dell’anima, 1912, p. 9 ........ 0,50
52. Orano Paolo: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedito ed un ritratto). 1915, P-19 ........................ 1 —
53. Orano Paolo : Gesù c la guerra, • 1915, p. 11 .................. 0,50
Sui prezzi dei presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione delPAss. Tip. Llb. Ital. 15-IV-20).
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Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. I5-IV-20).
54. Orano Paolo, Il Papa a Congresso. 1916, p. 12 ............ 0,75
55. Paolo Orano: La nuova coscienza religiosa in Italia. 1917, p. 19 Esaurito
56. Orr James: Là Scienza e la Fede Cristiana (secondo il punto di vista conci Ha torista). 1912, p. 25 0,25
57. Pascal Arturo: Antonio Caracciolo, Vescovo di Troyes. 1915, P. 39 ............-........... 1 58. Pioli Giovanni: Marcel Hébert (con ritratto Cd un autografo).
1916, P- 23 .................. 1 59. Pioli Giovanni: Inghilterra di ieri, di oggi, di domani. Esperienze e previsioni (con sei tavole). 1917, p. 57 ....... 1,50
60. Pioli Giovanni: La fede e l’immortalità nel * Mora et vita » di Alfredo Loisy (con ritratto del Loisy). 1917, p. 22 .......... 0,60
61. Pioli Giovanni: Morale, c religione nelle opere di Shakespeare (con cinque tavole). 1918, p. 46 2 —
62. Pioli Giovanni: Il cattolicismo tedesco c il « centro cattolico ».
1918, p. 21 ............. 1,25
63. Pioli Giovanni: Lo spirito della Riforma o quello della Germania contemporanea. 1918, p. 11' 0,50
Gl. Pons Silvio:- La nuova crociata dei bambini. 1914, p. 6 Esaurito
65. Pons Silvio: Saggi Pascaliani. I. Il pensiero politico c sociale del Pascal, II. Voltaire giudico dei « Pensieri del Pascal». III. Tre fedi (Montaigne, Pascal, Alfred de Vi-gny) (con due tavole fuori testò).
1914» p. 30 ................. 1,50
66. Provenza! Dino: Giuoco fatto.
1917, p. 12 ............. 0,40
67. Provenza! Dino: L’anima religiosa di un eroe. 1918, p. 12 0,75
68. Puglisi Mario: il problema morale nelle religioni primitive. 1915, P- 36 ........................ 1 69. Puglisi Mario: Lo fonti religiose de! problema del male. 1917, pagine 97 ................ Esaurito
70. Puglisi Mario: Realtà e idealità religiosa (a proposito di un nuòvo libro di A. Loisy). 1918, pagine 13 ................... 1 —
71. Quadrotta Guglielmo: Religione, Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Salandra (con ritratto c una lettera di Antonio Salandra).
1916, p.,31 ............-, 1 —
72. Qui Quondam: Visiono di Natale. Frammento (con otto disegni di P. Pacchetto). 1916, pagine 7 ................ Esaurito
73. Qui Quondam: Carducci c il Cristianesimo in un libro di G. Papini. 1918, p. 11 ......., 0,50
•
I 74. Qui Quondam: La Carriola (La bruette) Dalle Mueardises di Ros■ tand (con due disegni di Paolo Pàschetto). 1918, p. 5...... 0,-10
75. Rc-Bartlctt: Il Cristianesimo e lo chiese, 1.918, p. 10 Esaurito
76. Rende! Harris: I tre • Misteri » cristiani di Woodbrooke (Introduzione e note di Mario Rossi) (con un disegno di P. Pàschetto). 1914, p. 27, in-32* ......... 0,50
77. Ronsi Giuseppe: La ragione e la guerra. 1917, p. 27...... 0,75
78. Rosazza Mario: Del metodo nello studio della storia delle religioni. 1912, p. 7 ... Esaurito
79. Rosazza Mario: La religione del nulla (Il Buddismo) (con sei di-1 segni). 1913 ........ Esaurito |
/ . . ; I
SO. Rossi Mario: Verso il Conclave, 1913, p. 4.......'........ 0,25
SI. Rossi Mario: La chimica del Cristianesimo (conferenza religiosa). 1916, p. 9 ......... 0.50
82. Rossi Mario: Esperienze religiose contemporanee, 1918, pagine 13 .................. 0,50
83. Róssi Mario: La « Cacciata della morte • a mezza quaresima in un sinodo boemo del '300 (Noto folk-loriche). 1918, p. 8 .'...... 0,50
84. Rossi Mario: 1 sofismi sulla guerra e la difesa della nostra latinità (Guerra di religione o guèrra economica?)- 1918. p. 17 0,50
85. Rostan C.: Lo stato delle anime dopo la morte secóndo il libro XI dell’«Odissea ». 1912, p. 8 Esaurito]
86. Rostan C.: Le idee religiose di i Pindaro. 1914, p. 9 Esaurito '
87. Rostan C.: L’oltretomba nel libro VI dell'* Eneide ». 1916, pagine 15 ................. 0,50
88. Rubbiani Ferruccio: Mazzini e ! Gioberti. 1915. p. 15 .. Esaurito
89. Rubbiani Ferruccio: Un modernista del Risorgimento (Il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga), 1917, p. 23 ............. 0,601
90. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita I nel Cattolicismo (I e II). Crona-i che Cattoliche per gli anni 1912-!
1913 ............... Esaurito j
91. Rutili Ernesto: Vitalità c Vita! nel Cattolicismo (III, IV, V). Grò-nache cattoliche por gli anni 1913 { 6 1914 (tre fascicoli di pagine complessive 52) ............. 1,50 !
92. Rutili Ernesto: La soppressione dei gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi. 1914, pagine 6 ................... 0.40
93. Sacchini Giovanni: Il Vitalismo. 1914, p. 12 ............ 0,50
94. Salàtièllo Giosuè: I! misticismo di Caterina da Siena (con una tavola). 1912, p. 10 ....... 0.50
95. Salatieilo Giosuè: L’umanesimo di Caterina da Siena. 1912. P. 10 ................... 0,5.0
96. Salvatorelli Luigi: La storia del Cristianesimo ed 1 suoi rapporti con la storia civile. 1913, p. 10 ............. Esaurito
97. Scaduto Francesco: Indipendenza dello Stato e libertà della Chiesa. .1913, p. 25 in-32® 0,25
98. Tagliatatela Alfredo: Fu il Pascoli poeta cristiano? (con ritratto del Pascoli e 4 diségni di P. Pa-schetto) 1912, p. 11......... 0,75
99. Tagliatatela Alfredo: Il Sogno di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 4 disegni originali di Paolo Pàschetto). 1912, p. 8 0,25
1'00. Tagliatatela Eduardo: Morale c religione. 1916, p. 40 ... I —101. Tagliatatela Eduardo : L'insegnamento religioso secondo o-dicrni pedagogisti italiani. 1916, p. 9 ................... 0,50
102. Tanfani Livio: 11 fine dell’educazione nella scuota dei gesuiti.
1918, p. 27 ............. 0,75
103. Tosatti Quinto: Giordano Bruno (con ritratto del Bruno: disegno di P. Pàschetto). 1917, P- 19 ...................... 1 —
104. Trivcrio Camillo: La ragione e la guerra 1917, p. 151 ..... 0,40
105. Tucci Paolo: La guerra nelle grandi parole di Gesù. 1916, P- 27 ................... i —
106. Tucci Paolo: li Cristianesimo e la stòria (A proposito di Cristianesimo c guerra). 1917, pagina 9 .................. 0,60
107. Vitanza Calogero: Studi Com-modianoi. I. Gli Anticristi e l’An-ticristo nel « Carmen apologeti-cum » di Commodianò. II. Com-modtano Doccia? 1915, p. 16 0,75
108. Vitanza Calogero: L’eresia di Dante. 1915, p. 13. Esaurito
109. Vitanza Calogero: Satana nella dottrina della redenzione. 1916, P. 19 ................... i —
110. Wigley Raffaele: I metodi della speranza (Psicologia religiosa). 1913, p. 14 ... Esaurito
Raffaele: L’autorità del Cristo (Psicologia religiosa) 1915, p. 39 •............. i —
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HBILYCtINIS
RIVISTA di sTvdi religiosi
EDITADALLAFACOLTÁ-DELLASCVOLAJáS SS£3*TEOLOGICA- BATTISTA-DI- ROMA
Anno X-Fasc. XI-X1I. ROMA - NOV.-D1C. 1921 Vol. XVIII. 5-6
NOVELLISTICA ITALIANA E REAZIONE CATTOLICA
ON per gusto d’antitesi ho messo insieme due termini che sembrano' rappresentare la più inconciliabile delle opposizioni. Il titolo di queste note m’è stato suggerito dalla lettura di un libro uscito or ora, in cento soli esemplari disgraziatamente, da una tipografia di provincia: un libro denso di fatti, di osservazioni, di aneddoti interessanti che. mi ha fatto conoscere tutto quel ch’era possibile
imparare intorno alla novellistica dell’ultimo Cinquecento. La signorina Maria Righetti intitola il libro Per la storia della novella italiana al tempo della Reazione cattolica (Teramo, tip, Giovanni Fabbri), ma il titolo modesto, che ricorda quello dato dal sempre amaramente rimpianto G. B. Marchesi alle sue ricerche intorno alla novellistica del Seicento, non impedisce che lo studio sia ricchissimo e direi, anzi, definitivo; perchè, anche quando salteranno fuori altre novelle e si rintracceranno altri elementi biografici dei novellisti, il carattere della produzione letteraria di quel tempo non potrà apparire diverso, non potrà essere giudicato con altro criterio: tutta l'arte e la letteratura in particolar modo, ebbe su di sè un lembo di quella cappa che la Controriforma buttò sul pensiero italiano, cappa che a differenza di quelle dantesche era piombo dentro e piombo fuori, livida, greve, soffocante.
Senza, come direbbe un giurista, entrare nel merito dei due movimenti, la Riforma e la Reazione cattolica, senza indagare motivi e conseguenze dell’una e dell’altra, credo si possa affermare che l’una partì dall’intimo, fu sollevazione di anime e culminò nel distacco di migliaia e migliaia di sudditi dal dominio spirituale di Roma, mentre l’altra fu imposta dalla necessità di arginare una rivolta
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di cui si temevano più le manifestazioni che le cause e premette sulla superficie, mutando apparenze, modi, atteggiamenti, ma senza creare e senza distruggere nulla di sostanziale.
Che la Reazione cattolica si contentò deH’ipocrisia delle forme, non riuscendo (e forse non curandosi neppur di riuscire) a ravvivare la fede, non è una scoperta di noi moderni. Se n’erano accorti, eccome! anche gli uomini di quei tempi e quasi ogni pagina del libro della Righetti ne offre documenti chiarissimi. Sentite come Tommaso Costo, autore di un castigato Fuggilozio (una specie di decameroncino ridotto in otto giornate) quasi si lamenta di non poter buttar fuori tutte le storielle salaci che aveva in corpo: « Son tanto celebrati gli Aretini, i Franchi, i Berni e simili ingegni che in quel tempo che Berta filava sparlarono a lor modo e dissero male del cielo, della terra e dell’abisso: oggi e’ gattolini hanno aperto gli occhi e non si può più parlare ».
Questo rammarico di un uomo che dice di non poter più parlare quando non gli permettono di raccontar barzellette oscene farebbe ridere, ma il riso si muta in riflessione amara guardando la data di pubblicazione del Fuggilozio'. 1600, l’anno in cui Giordano Bruno saliva il rogo, non in pena del suo turpissimo Candelaio, ma per castigo d’aver cercato ansiosamente la verità.
Studiando l’opera dei sette novellisti esaminati dalla Righetti, il Giraldi e l'Erizzo, il Granucci e il de’ Mori, il Bargagli, il Malespini, il Forteguerri, si vede nettamente eh’è proprio così: con tutto che il Concilio di Trento nella settima regola circa l’uso dell’indice mettesse in prima linea il rispetto alla morale (libri qui rcs tasciras, seu obscoenas, ex professo tractanl, narranl aut doccili, cum non solum /idei, sed et morum, qui huiusmodi librorum tediane facile corrumpi seleni, ratio habenda sii, ornili no prohibentur) più assai era tenuto conto del rispetto all’autorità del papa e dei prìncipi, laici od ecclesiastici che fossero. Perciò i correttori delle Piacevoli notti dello Straparola tolgono accuratamente ogni pagina ed ogni frase che possa dispiacere alla Spagna e più tardi il romanziere Virgilio Malvezzi, per non essere accusato d’offese ai potenti, dichiarerà che quando adopra parole gravi intende colpire i tiranni, ma che il libro è « un panegirico dei prìncipi ».
All’ipocrisia religiosa si aggiunge poi l'ipocrisia morale, perchè, come si sostituisce l’ossequio verso la gerarchia al rispetto per la fede, così importa più salvare le convenienze che serbar l’anima pura. E i modi di salvar le convenienze sono vari, ma tutti grotteschi: mi basti citare l’espediente usato da Niccolò Granucci il quale nel suo Eremita fa sì che sette gentiluomini e sette donzelle si raccolgano a novellare e le donne raccontino novelle oneste, lasciando quelle poco pulite ai signori uomini: oppure il mezzucci© trovato da Ascanio de’ Mori il quale fa precedere ogni novella licenziosa da una dedica a qualche personaggio illustre; poiché nella dedica il de' Mori esalta la virtù opposta al vizio descritto nella novella e soprattutto perchè evita studiosamente di tirare in ballo gente di Chiesa,'i censori chiusero tutti e due gli occhi.
Alla catena imposta dalla Curia romana un’altra se ne aggiungeva: quella
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dell’imitazione boccaccesca perchè, com’è noto, mentre una delle tre grandi opere trecentesche, rupe superba e inaccessibile, sgomentava chi osasse'appena tentarne l’ascensione, le altre due producevano ogni giorno pigmei copiatori, tanto che non si seppe, per secoli, immaginare una novella o una lirica senza tracce del Decamerone o del Canzoniere.
Il Boccaccio aveva finto che tre giovani e sette donne narrassero le novelle? Dunque una simile cornice era necessaria anche per i novellieri posteriori. Ogni tanto uno si vorrebbe ribellare all’obbligo della novella-cornice, come Niccolò Granucci che scrive: « Quello adunque che raccontarono, prima i sette gentiluomini e le sette gentildonne dappoi, è questo ch’io descrivo separatamente, senza tante prefazioni e tanti epiloghi, cosa al parer mio tediosa, ogni volta al principio e bene spesso al fine d’ogni novella, a dover farvi una lunghezza di riverenze, di lodi e d’altre cose che non rilevano cosa alcuna. Le quali, se qualche curioso desidera, presuppongasele nell’idea, che ne rimarrà satisfatto ». Ma il desiderio di ribellarsi non si traduce in atto e lo stesso Granucci, come abbiamo visto, non solo mette a capo del libro la brigatella dei novellatori, ma ai dieci personaggi del Boccaccio .ne aggiunge, da gran signore, altri quattro. Poca fatica, del resto, chè sono vuoti fantasmi, figure scialbe anche nel nome, ch’è quasi sempre scavizzolato nell’onomastica eroica e mitologica. Di essi si potrebbe dire ciò che dice pittorescamente la Righetti a proposito dei novellatori degli Ecaionmili, l’indigesto volume di G. B. Giraldi: « Mi par di vederle, queste povere creature della professorale fantasia giraldiana, sfilare umili e rassegnate, portando cartelli con leggende su cui il passante getta uno sguardo distratto ».
E non fa difetto soltanto la potenza creativa, manca anche l’abilità dell’artificio: è gente che non sa il mestiere. Niccolò Granucci immagina d’aver fatto visita, insieme con due cugini, ad un frate: e tutti insieme si mettono a raccontar novelle, a recitar poesie, a dissertare della temperanza, della digestione, della grandezza di Roma, dei martiri cristiani e d’altre bellissime cose; « E perchè non sare-stato possibile ritener così longa materia domesticamente raccontata, messer Francesco nel partirci me ne diede un compendio coi versi, sonetti, capitoli e stanze che ne’ detti ragionamenti si contennero : il quale egli come segnalata cosa da messer Agnolo suo domestico, che vi fu presente, aveva ricevuto in dono ».
Con trovate di questa fatta c'è da andare un bel pezzo avanti! I peggiori am-minnicoli del mestiere, come le agnizioni o sbottonamenti, non sono neppure adoperati per necessità deplorevole, ma considerati veri espedienti d’arte. Il Giraldi, che la pretendeva anche a critico, sentenziava così: « La tragedia senza l’agnizione può esser lodevole, ma la commedia, se è priva di essa, appena può essere buona ». Perciò il Giraldi stesso adopra frequentissimamente l'agnizione nella novella, genere letterario così affine, per molti lati, alla commedia: e quasi quasi, come scrittore, avrà benedetto l’ottima istituzione della pirateria, chè, separando famiglie, rubando bambini, votando a Maométto la carne battezzata, i corsari accomodavano meravigliosamente quegl’intrecci, rigiri e pasticci di cui1 novellieri e comici avevano sempre bisogno.
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Del Boccaccio, al quale i novellisti del tardo Cinquecento rubano gli argomenti, pigliano a prestito le frasi e cercano d’imitare lo stile (un retore del tempo, Orazio Toscanella, raccomandava che i maestri dessero da copiare agli scolari un pezzo di novella boccaccesca ogni sabato) del Boccaccio l’arte è ormai tutta scomparsa. Il gran padre della novella o rinunziava a fare il moralista contentandosi di rappresentare donne, uomini e vicende, oppure fingeva di trarre conclusioni morali dai suoi racconti, con un’ironia che preannunzia l'Ariosto. Invece i novellisti della Reazione cattolica sermoneggiano. G. B. Giraldi, per esempio, e in un’epigrafe latina che tiene luogo di prefazione agli Ecalonmili e nella dedica ad Emanuele Filiberto, vanta la moralità dell’opera, mentre l’editore esprime in versi latini l’augurio .che il libro vada per le mani di fanciulle oneste, matrone austère e giovani timorati di Dio: c contro l’uso dei novellisti del Medio Evo, i quali si compiacevano di esporre adulteri e fornicazioni, il Granucci compone nove ragionamenti sull'amicizia, sedici sul matrimonio e sette sulla castità femminile.
Ci sarebbe da rallegrarsi di tutto questo rifiorire di virtù, se i costumi fossero* davvero migliorati e se con tante intenzioni, più o meno sinceramente, oneste, gl’imitatori del Boccaccio avessero saputo fare opera d’arte. Ma un’occhiata alla storia di quei tempi c’informa in modo assai poco edificante intorno ai costumi e quanto all’arte, difficilmente si possono immaginare pagine più smorte, facezie più melense, novelle più povere di fantasia. Manca ogni palpito di simpatia fra l’autore e l’opera, tanto che se lo scrittore vuol persuadere, predica, se vuol commovere, frigna, se vuol fare inorridire, urla: si veda il discorso atroce Che una donna giraldiana rivolge al coltello con cui ha ammazzato un servo, prima di piantarsi il coltello medesimo in gola!
E poi, per dir tutto in una parola, basta sentire come Bartolommeo Gamba giudicava le novelle del Granucci, che non sono nè migliori nè peggiori di quelle dei contemporanei: egli le definisce senz’altro « seccaginose »: e il Gamba era un sereno bibliografo: e si sa che i bibliografi hanno lo stomaco di struzzo.
« * *
Ma in mezzo a tanta muffa, tra personaggi evanescenti che parlano una lingua fossilizzata, non c’è mai una nota di colore, un quadro di costumi contemporanei, una pagina in cui si senta palpitare la vita vera ? Quasi mai, perchè mentre chi è nato artista possiede il segreto di far vivere le creature della propria mente, i disgraziati Che si nutrono di libri per produrre dei libri, anche quando raccontano i propri casi atteggiano questi casi letterariamente e parlano una lingua libresca.
Due soli argomenti potrebbero addursi a favore di questa sciagurata produzione novellistica. Il primo è che i libri che la contenevano erano lètti, diffusi, cercati avidamente. Ma grazie ! La censura non permetteva altro e i lettori non avevano di meglio. Se io non sentissi un profondo rispetto per i miei contemporanei letterati, direi che qualcosa di simile accade oggi, non per la censura, che mai la
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stampa è stata più libera di così (libera anche di attossicare. l’opinione pubblica e corromper l'innocenza e infangar tutto!), ma per la qualità scadente della merce: recentemente un arguto scrittore raccomandava ai suoi colleghi, in barba alle dottrine degli economisti, di... produr meno e consumare di più!
L’altro argomento (e di questo sembra compiacersi anche la signorina Righetti) è che la novellistica italiana di quel tempo ha il merito d’aver ispirato parecchi, piccoli, mediocri e grandissimi, in Ispagna, in Germania e soprattutto in Inghilterra ed in Francia. Verissimo: infatti da una novella del Bargagli pare abbia tratto il Molière la commedia L'amour médecin e il Sidney, un poeta pastorale dei tempi d'Elisabetta, trasse da una novella del Giraldi un episodio della sua Arcadia ed al Giraldi s’ispirarono gli autori del dramma Custom of Country, mentre agli Eca-tonmili attingevano il Corneille per il suo Héraclius e lo Shakespeare per l'Otello e per Come vi piace. Ma gl’imitatori stranieri toglievano alle nostre novelle solamente la trama, lo spunto, il nucleo, elementi che con l’arte avevan poco che fare e Che non erano neppure originali, perchè G. B. Giraldi come Niccolò Granucci, Sebastiano Erizzo come Ascanio de’ Mori, Scipione Bargagli come Celio Malespini e Giovanni Forteguerri, simili, in questo soltanto, al Boccaccio, ricavavano quasi sempre la materia dei loro racconti dall’immenso patrimonio della tradizione.
Se vogliamo trovare un vero scrittore caratteristico, un « uomo rappresentativo » direbbe l’Emerson, della vita letteraria e morale di quel tempo, bisogna aprire il grosso libro di Celio Malespini intitolato Dugcnto novelle', giusto un doppio Decamerone.
Discendente dei Malaspina di Lunigiana, Orazio (poi divenuto Celio quando la prudenza gli consigliò di cambiar nome) venne al mondo nel 1531. Dapprima fu soldato e combattè nella guerra di Siena, poi lo troviamo a Milano ove S’industria a fare il copista e più tardi ancora eccolo maestro di scuola in un paesello di Lombardia. Finché dura la buona stagione se la passano discretamente, lui e la moglie, coi formaggi, le uova, la frutta che portano gli scolari; ma sopraggiunge l’inverno, i sentieri diventano torrenti e ben pochi scolari si avventurano a recarsi alla casetta del maestro. La miseria nera sta per abbattere il Malespini che, essendogli nata una bimba, va a rubar le tovaglie d’altare d'una chiesa per fasciar la creatura.
Alcuni anni dopo, il Malespini gira fra Milano e Mantova facendo cento mestieri per cui a volte nuota nell’oro, a volte non riesce a raccapezzare un soldo: uno dei mestieri in cui riesce meglio è, chiamiamola così, l’imitazione delle scritture altrui. Ma non dobbiamo credere che si vergognasse di guadagnar soldi falsificando cedole e cambiali. Tutt’altro! Pare anzi che fosse orgoglioso della propria abilità calligrafica, se in una novella, dipingendo un gentiluomo in cui evidentemente rappresenta sè stesso, dice che costui era « di spirito nobilissimo e perspicace, d’invenzioni inusitate e nuove e sapeva imitare divinamente tutte le sottoscrizioni, per difficili che fossero state ». Nel 1564, giunto a Salines in Savoia col falso nome di .conte Cesare de’ Pompei, presentava al tesorière imperiale un mandato contraffatto di Filippo II. Il cardinale Granvela, furbo di tre cotte, riesce, cori la
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minaccia della tortura, a far sì che il Malespini confessi il reato, ma informando Sua Maestà dell’istruttoria così ben avviata suggerisce di non procedere oltre contro un uomo che può prestare utili servigi con la sua abilità di falsario. Gli rispondono che di falsari ce ne son già abbastanza e il Malespini vien gettato in carcere. Fuggito di carcere vive combinando truffe e falsi per conto proprio e più spesso per conto di prìncipi che gli pagano abbondantemente l’onesto lavoro: troppo ci vorrebbe a raccontare tutte le imprese di questo galantuomo. Nel 1579, lui ch’era stato a servizio dei governatori di Milano, dei duchi di Savoia e di casa Medici, offre alla Serenissima la propria opera di falsario e il governo veneto, con l’usata prudenza, rifiuta l’offerta pubblicamente, ma l’accetta in segreto, fornendo al Malespini un lauto stipendio.
Questo truffaldino che ha la licenziosità di un umanista senza la franchezza, e la marioleria di un avventuriero del Settecento senza là grazia, fra un imbroglio e l’altro fabbrica anche letteratura e la fabbrica secondo la ricetta che gli serve per tutte le altre faccende della sua vita: copia, rimpasticela, traduce e mette in vendita con tanto di firma come fosse farina del suo sacco. E fu proprio lui che nel 1580, fiutando un affare, pubblicò quella sconcia contraffazione ch’è il Goffredo, costringendo così Angelo Ingegneri, impietosito del Tasso dolorante nell’ospedale di Sant’Anna, a stampare la Gerusalemme in edizione corretta. Sicché dobbiamo esser grati alla disonestà del Malespini, senza la quale non avremmo avuto la Gerusalemme liberata, ma quel libro ecclesiasticamente perfetto, artisticamente povero e freddo ch’è là Gerusalemme conquistala.
In due aforismi opportunamente pescati dalla Righetti nelle Dugenlo novelle è tutta la morale del Malespini : « Quegli che non arrischia non guadagna » e « Ogni tristizia vuole una coperta di bontà ».
Armato di tali nobili princìpi e più di una buona dose d’astuta prudenza, il Malespini saccheggia libri spagnoli e francesi, mescolando il racconto delle sue numerose avventure a novelle forestiere e tagliando, smussando, accomodando, in modo da non irritare nè signori nè preti.
Con le Cent nouvelles nouvelles davanti agli occhi, il bravo Malespini muta una badessa in una buona donna, un monaco in un mercante, un canonico in un dottore, tre cordelieri in tre studenti, e i preti che trova li fa contadini, mercanti, sarti, medici, tutto fuorché servi della Chiesa. Qualche volta ne svapora lo spirito della novella, come quando un vescovo cattolico, che nell’originale francese aveva mangiato due pernici di venerdì è sostituito da un luterano; ma al Malespini non importa nulla. Egli sa che il motto per vivei bene è -panini de Principe, de Deo nihil e tira via. L’istinto di ribellione che gli bolle dentro può sfogarlo contro le imposizioni letterarie: lì non c’è pericolo e si può fare il rivoluzionario a buon mercato. Perciò incomincia, sì, con l’accennare alla peste di Venezia del 1576 come il Boccaccio aveva descritto in principio del Decameronc la pestilenza del 1348, ma se la sbriga subito dicendo che « il doloroso e lagrimevole progresso delle numerose genti d'ogni età e sesso che morivano troppo lungo e noioso sarebbe raccontare ». Rispar-
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miatasi la descrizione della peste rinuncia anche a descrivere la villa dove la brigata dei novellatori si raccoglie, villa « la cui magnificenza e splendore io non descriverò per non esservi molesto » e fa a meno d’esporre al principio d’ogni giornata l’argomento delle novelle » sì come hanno fatto gli altri, essendo troppo tedioso ».
Così, rubacchiando, contraffacendo e anche sgrammaticando, il Malespini mise insieme la bellezza di dugento novelle, non peggiori di quelle dei suoi contemporanei e certo più interessanti, perchè quando parla della propria vita, descrivendo città e paesi ed uomini conosciuti da vicino, gli vengon fuori quadretti pieni di colore, espressioni freschissime e c’è un segno personale se non addirittura uno stile. E questi accenni alla propria vita nelle novelle del Malespini son tutt’altro che scarsi: basta saperli trovare: la Righetti li ha messi in rilievo tanto bene che con essi più che coi documenti d’archivio ha ricostruito la biografìa del gentiluomo falsario.
Ha fatto opera di diligenza intelligente la signorina Righetti c ha potuto anche riveder le bucce al dottor Emil Misteli, un tedescotto meticolosissimo, che procurando una specie di edizione critica del Malespini battezzava errori di stampa tutte le parole che non capiva.
Chiudendo il libro dove abbiamo imparato tante curiose e rare notizie, si sente il bisogno di fare uno scongiuro.
Poiché non c’è nulla di nuovo sotto il sole e ad ogni azione segue una reazione, potrebbe darsi che alla letteratura sporca e cretina che ci delizia ne succedesse un’altra castigata e severa. Magari! Ma essa sia un frutto di risanati costumi, non per l’amor di Dio, il segno di una nuova moda o peggio il prodotto d’imposizioni tutte esteriori, ecclesiastiche e politiche. Meglio la lascivia che l'ipocrisia, meglio la spazzatura che il veleno; alle pagine tronfie, pesanti, che farisaicamente adulano la morale e odorano di menzogna lontano un miglio è preferibile la cartaccia tutta figurine e lazzi, cartaccia che ogni persona di gusto butta via rifugiandosi nel passato.
Dino Provenzal.
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parla tanto in questi giorni di E. F. Amiel che — unico beneficio della celebrazione dei centenari — viene il desiderio di leggere o rileggere quelle pagine del suo giornale che ne hanno quasi unicamente raccomandato la memoria ai posteri. I -numerosi scritti e i numerosi lavori d’occasione, Se hanno anche del buono, più Che orientare disorientano, onde si abbisogna d’un ritorno alla fonte per vederci chiaro. A dir il vero, l’opuscolo che più mi ha indotto a conoscere Amiel è stato quello di Roberto F. Giusti (i) che mi è giunto con qualche ritardo, ma che, nella sua chiara esposizione del sentimento e del pensiero di Amiel e nell’affermazione di qualche espressione del suo carattere, mi ha dimostrato una conoscenza del giornale, quale forse non appare da molti altri critici. Qualche frammento nuovo, testé pubblicato, mi ha dato la convinzione che non era forse male riprendere in esame il problema centrale dell’anima dell’Amiel per mostrarne ai lettori che non lo conoscessero meglio, in una fórma sintètica, lo spirito certamente non comune.
È vero che per conoscere Amiel noi siamo sempre su di un terreno sdrucciolevole: il suo giornale, quale è pubblicato sinora, non è che una parte del giornale da lui lasciato. Se attendiamo però il 1950 perchè sia pubblicato interamente rischiamo ad essere in molti ad attenderli) indarno! È vero che il Bouvier, che è uno dei membri della Commissione che è stata nominata dalla depositaria del journal, scelta dall’Amiel stesso, la signorina M. F. Mercier, ora defunta, ci ha promesso di sostituire la vecchia edizione curata dallo Seherer (alla quale mi riferirò nelle citazioni in queste brevi pagine) con una nuova, più completa, più precisa e arricchita da uno studio per quanto è possibile completo ed esauriente sul pensatore ginevrino. Ma non sappiamo, intanto, quando essa sarà pronta e poi, per quanto il Bouvier sia indubbiamente in migliori condizioni di noi per conoscere intimamente il pensiero e il sentimento dell’Amiel, qualcuno potrebbe non essere convinto della sua ricostruzione psicologica dell’autore del journal intime.
Se io leggo, p. es., le conclusioni dell’articolo che il Bouvier ha pubblicato il 20 novembre 1920 nella Semaine liltéraire di Ginevra, mal mi adatto ad ammettere la formazione e l’idea prima del journal, com’egli crede di concepirla.
(1) Enrique Federico Amiel en su diario intimo, Buenos Aires, Ed. de « Nosotros », 1919» P- 99-
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ENRICO FEDERICO AMIEL
(da un pastello di Berta Vadier - v. nota a'pag. 299)
[Vol. XVIII. Tav. VI
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Bernard Bouvier, difatti, ragguagliandoci sull’esistenza d’un primo journal di Amiel, che comprendeva il periodo dal 24 giugno 1839, quando egli non aveva che 17 anni e tre quarti, come Amiel stesso dice, al 27 agosto 1841, tende a dimostrarci in questi quaderni l’affermazione d’un esplicito intendimento di Amiel di seguire in un diario quotidiano l’opera ininterrotta di ascensione intellettuale e sentimentale che si fa in lui e che egli paventava Svanisse, perduta com’era ogni giorno più nel suo sviluppo. Citando l’aforisma del principe di Ligne, secondo cui se si ricordasse tutto ciò che si è osservato o appreso nella vita si sarebbe ben saggi, l’Amiel esclama: « Questo pensiero basterebbe ad indurre a tenere assiduamente un giornale ».
L’Amiel, « spirito essenzialmente educabile », poi, accortosi della sua mancanza di fede in sè, della sua debolezza di volontà, senza la quale era conscio che non avrebbe fatto nulla, avrebbe chiesto al journal di aiutarlo, per dir così, nella bisogna. Giovanilmente trasportato a concepire un piano di studi completo egli avrebbe con questa concezione tracciato l’opera della sua vita.
L’8 ottobre 1840 nel primo giornale Amiel scriveva: « Una volta compresa l’idea di Dio, determinato il còmpito dell’umanità, l'opera mia consisterebbe nel farli conoscere, il mio dovere mi chiamerebbe a dire . al poeta, alla scienza, alla musica, alla filosofia, a tutto ciò che fanno gli uomini: ecco il vostro còmpito, ecco quel che vi è destinato... ».
Il Bouvier aggiunge: « Non si sorriderà di questi trasporti d’un’immaginazione enciclopedica, di questo romanticismo senza limiti dello spirito, quando si penserà che Amiel a 20 anni tracciava così l’immenso orrizzonte dell’opera di tutta la sua vita, del Journal intime, le cui forme si movevano già oscuramente in lui ».
E conclude, affermando che sinora il giornale è stato mal giudicato sia come confidente debilitante, sia come atto di accusa al mondo nel quale Amiel non poteva adattarsi; che esso non è un'opera così crudele e sterile: esso ha invece realizzato la « vocazione » di Amiel. Non avendo avuto, com’egli diceva già a 24 anni, un consolatore, un amico superiore a lui che lo comprendesse o gli desse forza, egli sin da 4 anni prima avrebbe inconsapevolmente preparato il rimedio a tale stato di cose che gli costava assai: «egli si darà quest’amico superiore, questa guida, questo stimolatore, questo consigliere, questo giudice, la parola del quale riempirà la sua solitudine e salverà il suo coraggio: esso sarà il journal intime».
Così il Bouvier. Ma quello che a me non fa, almeno per ora, condividere la sua tesi è per l’appunto il giornale stesso i cui non di rado disperati appelli dimostrano proprio che in esso l’Amiel non ha trovato, non ha la guida, il conforto che vagheggiava. Alla fine del 1866 (fine del i<> voi.) p. es., se il frammento non è messo fuori posto, egli rilegge un quaderno del giornale e si mostra malcontento di tanti lamenti e di tanti languori. Riconosce che in esso non appare l’uomo pratico, l'uomo allegro, il letterato, che quelle sue pagine mancano di proporzione, di centro.
Altra volta (II, 207) lo trova inutile a sè ed agli altri e nello stesso frammento
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citato più su pare non esorti a fidarsi del suo giornale per ricomporre la sua figura: per farlo, occorre, egli dice, avere l'intuizione, poetica e ricompormi nella mia unità « con e contro gli elementi che fornisco » (i).
* * *
Nei frammenti, invece, che sono stati pubblicati recentemente vi è qualche cosa che mi ha colpito maggiormente e mi è sembrato come la ricapitolazione sintetica della vita dell’Amiel fatta da lui stesso, in uno di quei momenti critici della vita — aveva allora 40 anni — in cui si comprende con molta lucidità il cammino fatto e quello che si può ancor fare e si sente se ed in quanto si è mancata la vita. Il brano che ha pubblicato la Semaine lilléraire del 17 settembre 1921 è troppo lungo perch’io possa riportarlo qui per intero: mi limiterò a compendiarlo, intram mozzandolo con gli estratti più importanti.
L’Amiel si lagna (7 agosto 1861) di esser divenuto un apatico che non fa più nulla e non sente neppure la sua decadenza intellettuale. « Non apprendo nulla e dimentico; non faccio niente e mi impigrisco; mi perdo e mi addormento; divengo ignorante, intontito, impotente ».
Dice di essersi limitato solamente allo studio del cuore femminile. Ha cercato un affetto, ma non l’ha trovato. Si è fatto consigliere e confidente delle donne, ma non ha ricevuto che dell' effeminatezza. « L'intimità con i bambini, con gli animali, la chiacchierata, penna in mano, con me stesso, tutte queste abitudini debilitanti hanno paralizzato, annullato, la mia virilità ». Concludendo fa il bilancio dei profitti e delle perdite; tra queste pone: « diminuzione della vita seria, della severità morale, abbandono delle pratiche religiose, smussamente dei pregiudizi e pur dei principi, sparizione d’ogni forma positiva, d’ogni forinola stabilita, d’ogni fissità d’abitudine, riduzione allo stato fluido, fluttuante, aeriforme del pensiero e dell’èssere ». E tra i profitti: « Ho perduto in originalità individuale, in credito sociale, in sapere, in speranza; ma forse ho guadagnato in saggezza, in saggezza di giudizio almeno, poiché, per condurmi personalmente, non sono nè più prudente, nè più abile. Volere mi costa come non mai ». Non ha ambizioni, tutto gli sembra inaccessibile. Ancora lo tentano tre cose sole: « fare il bene a quelli che hanno bisogno di me; avere una famiglia di mio gusto; svilupparmi intellettualmente e comprendere sempre meglio la creazione. Amore e conoscenza, sono i mici voti. Non sarebbero irrealizzabili, se avessi un po’ più di fede e di volontà ».
Ecco dunque come ci appare Amici a 40 anni: uomo senza fede e senza volontà, ancor bisognoso di conoscere e desideroso di amare, ma rassegnato all’oblio,
(1) Un’altra tirata contro il diario la trovo nel frammento pubblicato dal Cont/igwo (II P- 382) e datata con il 24 giugno 1876. In esso oltre a metterne in evidenza i pochi vantaggi e i molti danni, l’Arnie! esamina la sua « Storia melanconica • che dice rassomigliare «ad una vita mancata * in relazione al suo giornale ed alla mancanza di successo nel mondo ed esprime il convincimento, cui accenneremo tra breve nel testo, che egli è in disaccordo col mondo in cui vive e con i mezzi di afférmazione che la vita attuale richiede. «Avresti voluto essere accettato, occorreva imporsi con la forza».
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alla disfatta, al fallimento di tutta la vita. Quanti di noi non si sono trovati in una simile posizione quando hanno rifatto i conti della vita passata, nel momento della crisi della virilità, ma dalla disperazione della negazione, dai ricordi del passato, dalle amarezze provate non hanno saputo trarre la forza per continuare e per esplicare quanto ancora l’età loro rendeva possibile e forse, sotto un certo rispetto, agevolava a raggiungere?
L’Amiel no: la base di questa sua impossibilità, che è il principio del crollo definitivo, è per l’appunto la base del suo carattere, la rassegnazione.
* * »
In un frammento del journal pubblicato nella Semaine lilUraire del 14 maggio 1921 e che è stato scritto a 30 anni — 12 marzo 1851 — Amiel dichiara: «Eppure, tu dirai, vi è una cosa più grande dell’aspirazione, è la rassegnazione. È vero, ma non la rassegnazione passiva e triste, che è uno snervamento, ma la rassegnazione risoluta e serena che è una forza. L’una è una privazione, perchè non è altro che un rimpianto; l’altra un possesso, perchè è una speranza. Ora guarda e vedrai che questa rassegnazione non è che una aspirazione più alta ».
Ad uno spirito debole e abulico, dotato di un grande intelletto c d’una chiara, sebbene non equilibrata facoltà critica, si presentava quindi nel ritirarsi di fronte alla forza attiva della vita un terribile dilemma..E con la finezza che gli era propria Amici lo sentiva e lo prospettava in questa breve pagina. Purtroppo però l’azione non l'afferrò in modo da dettargli l’aspirazione verso l’ideale sotto la forma di una rassegnazione risoluta e serena che è una forza ed un'attività; la vita, favorendolo materialmente, lo neglesse ed egli piegò nella passività d’una rassegnazione che era un rimpianto continuo per la vita non potuta vivere come dovevasi, per i bisogni dell’animo non soddisfatti, per la troppa demolita e criticata realtà di cui non aveva saputo afferrare il senso intimo e profondo, con l’azione.
È vero che la sua rassegnazione non è senza protesta, ma questa non ha la forma della ribellione, onde l’Amiel s’illude ancora e per quietare il suo spasimo cerca la consolazione d’una tenerezza, sia questa nell’affetto femminile, sia nella bontà di Dio. Ma non perciò la sua rassegnazione è meno disperata (II, 190). Spirito essenzialmente religioso, si lagna di essere in un paese ed in una religione che non gli sono abbastanza larghi di tenerezza (1,155): « I nostri templi sono troppo chiusi e i nostri cimiteri troppo aperti. Il risultato è lo stesso. L’anima agitata, tormentata che vorrebbe, fuori della casa e delle misèrie quotidiane, trovare un luogo dove pregare in pace, o effondere innanzi a Dio le sue angosce, dove raccogliersi in presenza delle cose eterne, non sa da noi ove andare ». Ama le donne e vorrebbe l'amore (I, 186), ma’, privo di fede com’ è, e amore essendo fede, non sente di poter per mezzo suo ritornare alla religione, all’energia, alla concentrazione e nota disperato: « Credi dunque alla Provvidenza paterna e osa afflare! »
«L’amore è eminentemente religioso » dice Amiel. Il misticismo è il profumo della religione, senza di esso questa è come una rosa priva di odore. La sua prò-
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testa quindi si estrinseca in queste forme di debolezza e di passività: misticismo ed amore non vengono a lui,, perchè non li prova e non li sente potentemente. Vi è senso religioso sì nello spirito suo, non vi è la tenerezza ch’egli ricerca invano. Per questo rispetto forse, solo, è giusta la constatazione del Mauriac (Pelils essaìs de psychologie religiense, p. 69), che egli è come chiuso nel suo « préau cal-viniste ». Ma è pura, illusione d'altra parte quella del Mauriac stesso che il cat-tolicismo ¡’avrebbe salvato. Amie! sente troppo bene il formalismo cattolico (I, 9), distingue troppo bene tra cattolicesimo e cristianesimo (II, 168) per poter adattarsi alle forme d’una religione coattiva, egli che anela tanto alla libertà e soprattutto alla libertà religiosa (I, 226 e 243).
I culti positivi lo disgustano e lo lasciano freddo. Il principio di una dottrina vi viene straziato e stiracchiato in diversi sensi. Egli che aveva già riso della sedicente civiltà cristiana delle nazioni e detto che occorreva esser giapponesi per comprenderne le brutture e le contraddizioni (II, 218) il 17 maggio 1880, in una pagina che poi dovremo citare ad altro proposito, in un frammento edito solo ora (Seniaine littéraire del 17 settembre 1921; Convegno, II, pag. 385), esce in questa finissima e giustissima dichiarazione: « Del resto una religione cosmopolita rassomiglia a un otre molto elastico; ogni razza soffia un diverso spirito nei suoi fianchi; e tutte queste metamorfosi sono attribuite all’otre stesso. Il buddhismo, 1‘ islam, il cristianesimo hanno rivestito mille forme differenti. La religione ha fornito il primo tema, ma tutte le variazioni, amplificazioni, rovesciamenti, fughe che hanno seguito sono l’opera dei popoli, delle epoche, delle scuole che hanno lavorato la frase proposta. Si finisce pure coll’attribuire le civiltà intere a un certo principio religioso che non ne fornisce se non a mala pena la cornice. Forse che un testo non può significare tutto ciò che si vuole e servire a cinquanta prediche diverse, e pur contrarie? Non è forse nel nome del Dio dell’Evangelo che si sono commesse le abominazioni ecclesiastiche, ordinati tutti i massacri, accesi tutti i roghi?»
Rassegnazione dunque, senza ribellione: la protesta non la ravviva, ma la affievolisce in un lamento. Mancando di volontà, consapevole fin dalla sua prima gioventù ch’egli non riesce ad averla, vi si adatta e sol di tanto in tanto la invoca • disperatamente. Sono i momenti in cui con la sua dottrina della necessità che un essere trovi il suo complemento in altri o esprima la tendenza verso quel che gli manchi (I, 105,124,126), anch’egli si piega verso la volontà che vede o sente manifestarsi intorno- e le tende ansiosamente le braccia.
Sotto questo aspetto tutti i due volumi del journal sono un’asserzione chiara, precisa, matematica, fatta senza reticenze, che la vita è dei forti e non dei deboli, che tutte le teorie del pensiero non sono se non un coonestamento delle volontà forti e salde. « L’uomo è un animale volontario ed avido, che si serve del suo pensiero per soddisfare le sue inclinazioni, ma che non serve il vero, che ripugna alla disciplina personale, che detesta la contemplazione disinteressata e l’azione su se stesso. La saggezza lo irrita, perchè lo confonde e perchè egli non vuole ve-
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dersi tale quale è». (11,225) «Chi tace è dimenticato: chi si astiene è preso in paróla; chi non avanza indietreggia; chi si ferma è smontato, superato, schiacciato; chi cessa di crescere, è già in decadenza; chi desiste abdica; lo stato stazionario è il principio della fine, è il sintomo temibile e precursore della morte. Vivere è dunque trionfare senza tregua, è affermarsi contro la- distruzione, contro la malattia, contro l'annullamento e la dispersione del nostro essere fisico e morale. Vivere è dunque volere senza respiro o restaurare quotidianamente la propria volontà ». (I, 37).
E non proseguo sol per brevità: ma chi voglia può estrarre dalle pagine del giornale altri brani non meno belli che se presi senza il necessario inquadramento ci rivelerebbero uno spirito volitivo tra i più forti, talvolta forse anche un cinico, ma che messi al loro posto non possono non significarci, come dicemmo, la protesta di un abulico che vedeva e sentiva passargli dinanzi con la vita l’energia della volontà che tutto può, ma che si abbatteva pili che mai desolato, constatando la propria impotenza e la propria debolezza d’animo.
« « *
Così pure gli mancò la fede; la sua fede intellettuale che sentiva le bellezze della fede senza giustificazioni (II, 263), che comprendeva che la grandezza d’una religione si misura dai sacrifici che può ottenere dall’individuo (II, 182), che sentiva la bellezza dell’impersonarsi in Dio (II, 227), $he dichiarava: « Vivere in Dio e fare le sue opere, ecco la religione, la salute, la vita eterna, ecco l’effetto ed il segno del santo amore e del santo spirito. È il nuovo uomo annunziato da Gesù e la nuova vita in cui si entra per mezzo della seconda nascita. Rinascere è rinunciare all’antico io, all’uomo naturale, al peccato e appropriarsi un altro principio di vita, è esistere per Dio, con un altro io, un’altra volontà, un altro amore» (II, 141)-non era che trasporto momentaneo di quel bisogno della natura, di quel panteismo che lo anima e Io scuote. Dopo ritorna in lui la terribile rassegnazione atea che lo porta verso l’abisso della negazione e gli mette dinanzi unico Dio il dovere. L’in-vano ansiosamente ricercata tenerezza divina, la consolazione religiosa, la mano celeste che dovrebbe avviarlo verso la tranquillità gli è venuta meno ed egli non sente più la divinità: dalle prime alle ultime pagine del suo diario il grido disperato si ripercote, egli- chiama Dio, ma senza sentirlo: « Fa discendere Dio in te, imbalsamati di lui anticipatamente, fa della tua anima un tempio dello spirito santo, delle opere buone, rendi gli altri felici e migliori » (3 maggio 1849) (& $) e P*u tardi il 5 gennaio 1877 (II, 222): « 11 sacrificio è quasi facile quando lo si crede imposto, richiesto piuttosto da un Dio paterno e da una Provvidenza particolare (1). Ma
(1) Il Severino (nel Quaderno n. 3, p. 48) cita questo luogo contro la tesi dello stoicismo o per dir meglio della fine stoica di Amiel che è sostenuta dal Marchesi, ila citazióne però è incompleta e non calza. D’altra parte il Marchesi ha pure torto nel sostenere, veramente con molta arte e senza insistervi molto, lo stoicismo sic et simpli-citer dell’Amicl.
Ho creduto bene scrivere queste pagine appunto per porre in luce quella che io credo
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io non ho questa gioia religiosa. Questa mutilazione di me stesso [la bronchite fiaccava le sue energie] mi diminuisce senza servire ad alcuno. Se divenissi cieco chi ci guadagnerebbe? Non mi resta che un motivo: la rassegnazione virile dinanzi l'inevitabile e l’esempio agli altri, la pura morale stoica. »
E pochi mesi prima di morire: « Ma io ho l’indipendenza relativa, quella dello stoico, che si ritira nella sua volontà e chiude la porta di queste fortezze » (II, 317). E fa suo il giuramento dell’antica Ginevra: « Giuriamo di non aver, salvo Dio, alcun padrone! ».
Così Dio rimane sì al disopra di lui, ma come rimaneva per lo stoico, un essere con cui il sapiente s’identificava e con cui divideva la superiorità sugli uomini restanti e sulle loro come sulle sue miserie.
Se non che questa concezione intellettuale, non etica, non era che precariamente possibile ad un debole come l’Amiel. Il suo stoicismo non è il superbo stoicismo antico che orgoglioso di sè pareva schernire gli dei stessi per la liberazione ottenuta, è lo stoicismo stanco e umile del cristiano.
E in ciò sta per l’appunto la maggior bellezza dell’Amiel. Infiacchito, rassegnato, vinto, egli ci appare con le sue violenti proteste, con la sua fulgida convinzione che la vita non è che dei forti, che chi non si fonde con l’universale non può vivere, poiché l'io è fragile, contingente, caduco, il tutto solo è forte, assoluto, imperituro, uno spirito su cui il cristianesimo, anche a malgrado della sua intellettualità di professore e di erudito, ha versato a piene mani i benefici di cui può coprire i singoli.
Amici à avuto una sfortuna: la sua facile fortuna nella vita. Se invece di poter vivere comodamente e neghittosamente nel suo paese, la vita l’avesse lanciato nell’azione, facendogli dimenticare quell’eterno suo ripiegamento su se stesso che anziché essere come vuole il Bouvier un aiuto, era, come l’Amiel stesso dice, una distruzione, indubbiamente egli avrebbe potuto trasfondersi nella vita e portarvi quegli ideali che visti obbiettivamente egli analizzava troppo e in modo troppo dubbioso per poterli far leva all’azione. Se invece della ricchezza avesse avuto la miseria, se invece delle « libellule » intorno avesse avuto delle energie, sia pur femminili, che l’avessero rapito ai suoi sogni, il suo spirito avrebbe trovato requie proprio là dove non pare sia il riposo: nella lotta.
Ma lo. spirito religioso di cui aveva impregnata l’anima, l’innata debolezza, il sentimento panteistico che la natura potentemente gli ispirava, ne ammorbidirono l’anima e piegarono la sua stoica morale ed una bontà cristiana che è indiscutibile e che affascina tutti i suoi lettori. Dalle prime alle ultime pagine egli non chiede altro se non di rendere felici coloro che ama (1,7,158; 11,39,185) disperandosi, per essi, anche nelle più piccole cose, facendosi fanciullo, espandendosi in
la vera posizione del pensatore ginevrino contro la tesi appunto del Marchesi e contro quella dèi Severino che tende piuttosto a calvinizzarlo, sebbene non certamente in maniera completa.
Un ottimo articolo su Amiel è quello pubblicato dal supplemento letterario del Times il 29 settembre scorso.
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gentilezze, se non in tenerezze. Il suo stoicismo ne esce ingentilito e dolorante, simpatico e caro anche ai più lontani ed ai più indifferenti; ma è proprio quel che egli non avrebbe voluto, come vedemmo sopra, non è la forza sua, è la sua debolezza!
♦ ♦ *
Indubbiamente nel mettere in evidenza quella che per me è la qualità fondamentale del carattere di Amiel non ho tenuto conto di qualche discreto particolare saputo, come vedemmo, da lui stesso, ma più da altri (V. p. es. nella Revue de Paris del 15 settembre 1921) che tendeva a mettere in evidenza come la sua vita esteriore non fosse quella di cui la sua vita interiore ci fa fede nelle pagine del Journal. Ma non vi è molto in tali particolari che dia adito a farci vedere un Amiel diverso da quello che generalmente'ci appare. La sincerità con cui si dipinse, la vita monotona trascorsa, le testimonianze dei suoi amici stanno a -provare che egli non fu se non quale ci appare nel suo journal intime (1).
Il suo stoicismo cristiano non può perciò smentirsi; fosse egli stato anche l’opposto esteriormente di quel che ci si mostrò, per scrivere e sentire quel che scrisse, non potè non avere fondamentalmente il carattere che gli abbiamo riconosciuto. Anche gli spiriti più accesi e più battaglieri sono, in fin dei conti, dei grandi deboli che cercano appoggio; figurarsi l’Amiel! Se Léon Bloy scriveva ad un amico: « Qual bisogno avrei io stesso di appoggiarmi su altri! Quante volte l’ho provato! Quante volte ho creduto di trovare delle colonne di granito che non erano se non cenere o peggio ancora! » - come potremmo stupire di vedere in Amiel una rassegnazione stoica tanto umile, tanto amorosa, tanto semplice da esser detta cristiana?
Essa, per concludere, non ci pare possa esser meglio espressa $he in queste parole con cui terminava il pensiero già citato e finora inedito che la Semaine lillé-raire ha pubblicato il 14 maggio 19’21 e che ci prospetta un cristianesimo pieno di purità e ricco di semplicità primitiva:
« Sentirsi peccatore e credersi perdonato per grazia: ecco probabilmente l’essenza del cristianesimo. L’umiltà profonda e la gratitudine entusiasta, tradotta in devozione sino alla morte, ecco il segno del rigenerato che è tutto obbedienza e tutto amore. La pietà reale è una maniera d’essere, non una maniera di parlare e neppure d’agire. Io non sono nè per Ve vangelo del rito nè per quello della fede, e neppur per quello delle opere, io sono per l’evangelo di S. Giovanni, per quello dell’amore. Il cristiano non è ai miei occhi colui che si fa uno scudo del Cristo o che vanti il Cristo, è solamente colui che rassomiglia a Gesù, che ha qualche cosa di divino nella sua vita ». (17 maggio 1880). Giovanni Costa.
(1) Rileviamo dal Marzocco (16 ottobre 1921), che a sua volta lo toglie dalla Semaine littéraire (i cui fascicoli citati nel testo dobbiamo alla sua cortesia, del che lo ringraziamo) che giorni or sono si è spenta in Ginevra, nella stessa casa in cui mori quarantanni fa Amiel, un’amica sua. Berta Vadier, figlia dell’antica padrona di casa dello scrittore, la quale si proponeva di dedicare uno studio biografico, che sarebbe stato certamente interessante sulle amicizie femminili di Amiel. La Rivista svizzera ne riproduce qualche brano non molto particolareggiato, i cui tratti generali possiamo rilevare anche dal Journal intime. - Della stessa Berta Vadier (al secolo M.n® Célestine V. Benoit) è il pastello da! quale è stata tratta la fotografia del cliché, che riproduciamo nella nostra tavola a parte.
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L’INTUIZIONE NELL’ ESTETICA DI BENEDETTO CROCE
'estetica di B. Croce è tutta nella sua intuizione: c’è arte ove ci sia intuizione completa e tutta espressa; di qua da essa c’è sensazione, c’è impressione, impulso, « matèria psichica », natura, che opera istintivamente, ma che ancora non si sa. Questo mondo emozionale torbido e confuso l’attività spirituale dell’artista investe e prende a suo oggetto per elaborarlo e formarlo, e allora le impressioni ricompaiono nell’intuizione « come l’acqua che sia messa nel filtro e riappaia, la stessa e insieme diversa, dall'altro lato del filtro. Il fatto estetico è perciò forma, nient'altro che forma ».
Che intenda con questa forma il Croce lo dice con precisione: è conoscenza dell’individuale, cioè rappresentazione, attività produttrice di immagini in confronto della I-ogica, conoscènza dell’universale, attività produttrice di concetti. Criterio per distinguere la rappresentazione artistica da tutte le altre « inferiori »: l’intuizione artistica è nello stesso tempo espressione. « L'attività artistica tanto intuisce quanto esprime». Le rappresentazioni che abbiamo in tutti i momenti della vita ordinaria sono oscure, incomplete, frammentarie, mentre quella dell'artista è rappresentazione completa, cioè chiara e distinta nei suoi particolari. Il pittore, per esempio, è pittore « perchè vede ciò che altri sente solo o intravede, ma non vede ». Intuire è esprimere quindi, niente più e niente meno che esprimere; l’attività artistica è attività espressiva; così che di fronte alla logica, scienza del concetto, sorge con caratteri ben distinti e rivendica la sua autonomia l'estetica come « scienza dell’espressione ».
Vogliamo ora addentrarci un po’ più nell’esame di questa « intuizione » come prodotto della fantasia, cominciando dalla distinzione fatta tra essa e le intuizioni oscure, che « non esprimono », la materia psichica destinata a essere investita e formata dalla visione sensitiva.
Croce intanto esclude da tutta la sfera delle intuizioni in generale le percezioni, forme di conoscenza complesse, rappresentazioni inquadrate nello spazio e nel tempo, rimandandole all’attività logica; esclude le associazioni in quanto finzioni psico-, logiche, che, scompóste nei loro elementi ripresentano il problema; restano quindi le « sensazioni », attività primitiva che sta alla sogli'a dello spirito, di contro la forma chiara delle « intuizioni ».
. « Quante volte non ci travagliamo nello sforzo di intuire Chiaramente ciò che si agita in noi! Intravediamo qualcosa, ma non l’abbiamo innanzi allo spirito ogget-
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tivato e formato. È in quei momenti che meglio ci accorgiamo della profonda- differenza di materia e di forma; che non sono già due atti nostri, di cui l’uno stia di fronte all’altro, ma l’uno è un dì fuori che ci assalta e ci trasporta, l’altro è un di dentro che tende ad assorbire quel di fuori e a farlo suo. La materia investita e trionfata dalla forma dà luogo alla forma concreta ». .
Sembrerebbe da questo punto che l’attività artistica stesse come una forma sui generis di fronte alla immediata vita sensitiva, al processo organico ed emozionale, al mondo delle « impressioni », motivo questo nettamente desanctisiano. Motivo il cui sviluppo avrebbe portato di contro e fuori del « sistema dello spirito » un’attività estranea c misteriosa, fortemente simile al kantiano contenuto sensibile, attività che: o si escludeva così da restare un formidabile ostacolo per l’idealismo stesso, perchè fuori dello spirito; o si accoglieva, nel qual caso avrebbe guastato la bella simmetria delle quattro forme in cui lo Spirito si divide con doppia bipartizione del teoretico e del pratico, nell’universale e nel particolare.
Di fatti, mano mano che il sistema procede è tenuto sempre minor conto di questo oscuro mondo emozionale, e la forma prima dello spirito, il suo svegliarsi, la sua infanzia —come avrebbe detto lo Hegel — è riportata all’intuizione, la quale dovrebbe comprendere in sè tanto la rappresentazione comune quanto quella artistica, e ciò affinchè restino allo Spirito le sole quattro forme ricordate, nelle quali deve rivolgersi in eterno circolo tutta la sua vita, fuori delle quali nessun altra può avere verità ed esistenza. Posizione questa del resto che può sostenersi con assai maggior coerenza in una filosofia dello spirito.
Dichiarata allora l’identità tra attività estetica e conoscenza sensibile, tra arte e rappresentazione, l’estetica diventa la scienza della conoscenza sensibile, se conoscenza può chiamarsi la sfera spirituale meramente rappresentativa; perchè qui proprio è il primo ostacolo. Conoscenza, è detto nella Logica, vi ha solo dove sia concetto o giudizio (come forma sviluppata del concetto), e perciò ove sia una molteplicità dove introdurre delle relazioni, cioè mediazione. Fin quando sorge la pura immagine, povera perfino della distinzione iniziale tra reale e possibile, non può parlarsi propriamente che di una produzione di immagine; nessun rapporto è ancora avvertito nè presentito tra soggetto e oggetto.
Vero è che in principio dell’Estetica è detto che la conoscenza ha due forme: intuitiva o logica, per fantasia o per intelletto, di cose o di relazioni, ecc., conoscenza intuitiva alla quale dovrebbero fare appello anche il critico, il pedagogista e il politico; ma come e perchè debba esser «conoscenza» anche l'attività artistica, come cioè possa conoscersi con la fantasia è motivo che l’estetica non sviluppa, al-l’infuori dell’accenno in cui l’intuizione è chiamata conoscenza dell’individuale. Ma in tal caso conoscenza dell’individuale è detta anche la percezione, in quella .dottrina del Giudizio individuale che è uno dei capisaldi della logica crociana, presentata come unificazione dell’individuale intuitivo con l’universale logico, e come tale conoscenza concreta, storica, epperciò percezione. Invece Croce tiene fortemente a mantenere la distinzione tra logica ed estetica, motivo questo che percorre i due volumi destinati rispettivamente all'una e all’altra.
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Ma tralasciando la questione conoscitiva (pur tanto opportuna a quella quadripartizione così cara al Croce!) rimane come fondo della teoria l’arte intesa come pura immagine, rappresentazione cieca di conoscenza logica, allo stesso titolo di tutte le rappresentazioni, ma che, al dire del Croce, dovrebbe possedere « occhi propri », e per giunta « validissimi ».
E qui è l’altro punto. Respinta l’attività logica alla quale l’immagine non s'è svegliata, di cui ignora resistenza, con quali occhi potrà essa guardare la realtà, quella realtà che in fondo dovrebbe essere essa stessa a configurarsi nell’opera d’arte? Dove, come, questi occhi? Quale vita, quale possibilità di determinazione resta all’immagine, una volta spenta ogni luce di intelletto, staccata com’è dal complesso della vita spirituale, qual capacità di organizzazione e di « fusione delle impressioni in un tutto organico » per essa, senza un centro di riferimento per una molteplicità posseduta, compresa, determinata?
Perchè nell’opera d’arte entrano sì sempre delle immagini, ma esse non possono esaurirne il significato; un’opera d’arte, come sintesi di vita fonde una complessità di elementi, crea, plasma, organizza un mondo interiore per cui solo in quanto piena di verità, di umanità, di bellezza, vale e si afferma sui tentativi degli artisti mancati, sulle fantasie scapricciate e infantili, sulle espressioni della sciocca sentimentalità. Non sono anche queste espressioni, espressioni complete del poco sì, che è stato intuito, ma di lutto quel poco, onde il fanciullo, il barbaro, l’artista mancato, può dire di avere espresso tutto il suo mondo? Se è vero che l’artista tanto intuisce quanto esprime, non è men vero che egli tanto esprime quanto intuisce.
Una volta posta la questione nei termini: espressione = intuizione = immagine pura = rappresentazione, l’espressione raggiunta non può intendersi che come rappresentazione chiara e distinta in tutti i suoi particolari, e difatti il Croce fa più oltre il paragone tra il numero scarso, minimo di dettagli sensibili che colpisce la persona comune e la potenza di visione dell’artista che sa rappresentarsi, anche a memoria, i più minuti dettagli di quél che ha visto e sentito, e che sfuggono all’uomo comune, preoccupato dalle cure della vita di tutti i giorni.
Posizione chiara sì, ma troppo semplice e chiara per non dir semplicistica, e che darebbe modo di difendere assai spesso in nome di un’intuizione tutta espressa ogni parto di fantasia scaldata, ove ci sia forte evidenza, attuale o ricordata di elementi sensibili, che farebbe diventar arte le visioni di quei primitivi che il Vico chiama « rutti robustissimi sensi e vastissime fantasie ». Ma il Vico non intendeva con questo una facoltà, cosa che purtroppo somiglia assai alle « forme » dello Spirito crociano, quanto un atteggiamento, un'età spirituale che si esprime in linguaggio di simbolo, e che più tardi diventerà lingua di ragione; per cui « quanto prima avevano sentito d’intorno alla sapienza volgare i poeti, tanto intesero poi d'intorno alla sapienza riposta i filosofi». Quel che manca nel Croce è il criterio di distinzione tra fantasia e immaginazione.
Senonchè proprio qui ci potrebbe egli subito opporre che abbiamo voluto troppo semplificare e schematizzare la sua teoria, per avvertirci che le forme dello spirito sono « distinte ma non separate », che ciascuna contiene in sè implicite le altre, per
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cui per esempio nell’attività intuitiva i concetti non sono cancellati, ma « misti e fusi nelle intuizioni. Furono già dei concetti, ma son diventati ora semplici elementi di intuizione ».
In che modo però? Se egli avesse sviluppato questo assai sommario accenno, se egli avesse mostrato come si organizza e come si articola la sua « conoscenza intuitiva » avrebbe dato una teoria veramente completa dell'arte, cioè una spiegazione di tutta una forma a sè dello spirito, quando parla in questo altissimo linguaggio, quando diventa tutto creatore di bellezza e vibra in ogni su v corda di note di bellezza.
Invece, in mancanza di ciò l’intuizione resta un identico con l’attività rappresentativa comune, cioè una finzione, una partizione psicologica, in fondo una astrazione; quando è stato proprio l'idealismo ad assumersi l’impegno di criticare l'irrealtà delle partizioni, della sensazione non percepita, della rappresentazione in sè non determinata, non qualificata, il che equivale a dire non pensata. La rappresentazione, p. e.; è possibile distinguere dalla sensazione in quanto sensazione definitiva, cioè intellettualmente determinata. La «tinta di cielo», il « chiaro di luna» del pittore, le parole della « lirica. sospirosa » ecc., ecc., possono aver significato per uno spirito che pensi, che le comprenda come tali; fuori di che non restano che sensazioni pure, qualcosa di simile a ciò che potrebbe provare un bambino infante, un animale, un povero deficiente.
Un altro significato è dato ancora dal Croce all’espressione, come generica determinazione, per cui afferma che può esservi arte anche in una espressione matematica « o in uno schizzo cartografico ». Ciò che metterebbe in condizioni di vantaggio l’autore di tali espressioni, in quanto espressioni, di fronte ad artisti sommi, dovendo quegli esprimere un ben minor numero di elementi intuiti, e quindi in grado di esprimerli anche più perfettamente di coloro che si accingono a rappresentare tutto intero un mondo spirituale. Sotto questo rispetto è innegabile che non possa esservi espressione in qualunque forma di attività, in quanto il determinarsi è essenziale all’affermarsi.
Ma torniamo all'intuizione come immagine pura. Questa « forma » per restare una forma tutta in sè definita e a parte delle altre, si taglia ogni possibilità di comunicare con le altre, e per munirsi di « propri validissimi occhi » finisce per perdere appunto i soli con cui poteva guardare, e che sono gli stessi per tutte le forme dello spirito, perchè sono gli occhi dell’intelligenza.
Non solo ; tagliata ogni possibilità di comunione intrinseca con altre forme di vita spirituale che non possono entrarvi se non a patto di sommergersi e di negarsi in essa, essa non può legittimamente accogliere ciò che è l’anima della lirica, l’ispirazione, quel primo fremito commosso che alla creazione artistica dà origine e valore: senza di che non c'è più arte ma artificio; nè elevarsi a valore etico, quel significato etico che, aH’infuori della sciocca e pedantesca morale di contenuto, dà all’arte note universali e profonde di umanità, facendola in senso altissimo educatrice e liberatrice. Hegel, Scelling, Schopenhauer ebbero per l’arte
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un posto di elezione tra le forme più alte di realizzazióne spirituale, accanto all’ethos alla religione, al sapere.
È osservazione vecchia che nell’opera dell’artista c’è Sempre più del modello, che, per esempio, nei tipi della statuaria greca rimane sempre un di più che non trova adeguazione nelle espressioni della vita organica, quello stesso di più per cui l’orrido, il deforme, il brutto reale diventa nell’arte sempre bello e sublime', che talora diventa un tutto nuovo in arti come l’architettura, la musica (e, perchè no? nel giardinaggio di cui parla il Kant), arti che del mondo esterno (realtà rappresentativa) non possono appropriarsi neppure lo spunto, pur servendosi dei suoi elementi come di materiali per creare un tutto nuovo che non ha riscontro; ciò che ne mette in evidenza il carattere di creazione pura. È un infinito che trascende il particolare preso a suo oggetto, elevandolo a perpetuo simbolo, e dando all’arte quella potenza suggestiva, che sempre che si intenda, ci sottrae d’un tratto alle cure e alle preoccupazioni del contingente quotidiano.
Ora questo « di più » che non può liquidarsi sotto l’accusa di non venire innanzi con una soluzione completa e tutta esplicita è il problema stesso dell'arte. Il semplicismo del Croce ha fermato l’arte nella sola immagine, chè di più non sappiamo scorgere nella sua « intuizione », portandola in definitiva al livello, niente di più e niente di meno, della psicologica sfera rappresentativa. Semplicismo che riappare nelle altre « forme » del « sistema dello spirito », alle quali può appuntarsi la stessa linea di critica adottata per l’estetica: rilevarne l'astrazione come forme distinte, ciascuna tutta in sè e accanto alle altre; mostrare come, implicite o esplicite, esse tutte vi rientrino non appena si cerchi qualificarne l’essenza.
È nel . concetto integrale dello spirito che meglio si palesa l'insufficienza della genesi delle forme particolari, ora enunciata più estrinsecamente, come in più luoghi dell’estetica ncll’aceennata quadripartizione simmetrica, per divisione; poi come implicazione graduale estetica, logica, etica, facilmente, dimostrabile, com'è del pari dimostrabile l’implicazione reciproca di ogni forma con tutte le altre; poi come « circolo e non parallelismo » per cui il capo dell’una si congiunge nientemeno «con la coda dell'altra»; poi come unità indifferenziata di teoria e azione, che non è detto però come si costituisca nè donde proceda; infine — al termine della filosofia dello spirito — come « vita», e « nuovo prammatismo » battezza il Croce questa sua ultima visione che dovrebbe fondere teoria e pratica in modo che « la vita condizioni il pensiero », dando con ciò la « dimostrazione apodittica della forma storicamente circostanziata di ogni pensiero ». La filosofia non risolverebbe allora se non « i problemi che la vita stessa le propone ». Vita, unità, fusione, che dovrebbero effettivamente essere svolte e non annunziate, se vogliono evitare il pericolo di non esprimere che un generico indifferenziato.
Questa incertezza e questo disagio di un concetto fondamentale dello spirito così da noi rilevate, vengono ad avere una riprova : i° nella mancanza di una genesi delle quattro forme dall’unità originale dello spirito, per cui questa vorrebbe essere raggiunta in base a quelle, cioè per divisione e non per costruzione o sviluppo; 2° nel problema della storia, già una volta allogata dal Croce nell’arte, più recentemente nella filosofia.
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Tentativo quest’ultimo serio, di identificazione, e che, condotto a fine, porterebbe l’idealismo al superamento di tutte le partizioni simmetriche e convenzionali, nella spontaneità e nella ricchezza del processo storico; tentativo fatto già dal Rickert, campione di quella scuola tedesca dei valori, che ha cercato di infrangere la cristallina concezione razionalistica del concetto e dell'universale in una realtà ove vibri un più largo palpito di vita spirituale; in Italia dal Gentile, che si avvia a un intendimento sempre più largo e vivo dello spirito inteso come suprema realtà etica.
Identificazione di storia e filosofia non ancora raggiunta nel Croce, che ove si guardi- attentamente nella sua logica — per quanto le proclami unificate — le tratta poi assai sovente come due diversi, accentuando il lato individualistico, rappresentativo della storia, il carattere concettuale, universale della filosofia, onde l’incertezza su quale delle due forme debba assorbire l’altra; chè, ove la storia, come ricostruzione di avvenimenti determinati hic et nunc, assorbisse la filosofia, resterebbe menomato il concetto logico come concetto puro, e ove la filosofia, come « sintesi a priori logica », assorbisse la storia, sparirebbe quell'« intuizione » che raffigura i singoli avvenimenti determinati, e che nel concetto logico viene, a dirla col Croce, « trasfigurata », restando distinta sempre dalla sintesi a priori in generale.
Per il mantenimento di queste distinzioni come distinzioni assolute e per la mancata loro genesi come determinazioni dell'unica sintesi, della sola categoria spirituale, noi pensiamo che il Croce resti ancora di qua daU'intellettualismo.
Soggiungiamo: intellettualismo non superabile fino a quando non sia decisamente oltrepassato il rispetto alla tradizione razionalistica per più libere e coraggiose affermazioni della spiritualità, fino a quando un potente soffio etico spazzi via questi ultimi riguardi al concetto che, circoscritto in se stesso e messo a fronte alla pratica, come dualità congiunta si, ma sempre dualità, e quindi irriducibile, oppone sempre difficoltà pericolose, difficoltà pregiudiziali a un intendimento veramente concreto ed intrinseco della realtà spirituale come schietta realtà etica c quindi come palpito indissolubile di amore e di azione.
Ugo Redanò.
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III I
IL CLERICALISMO ASSOLUTO
L Cattolicismo romano non è soltanto una fede, ma una storia ; non soltanto una teoria, ma una prassi; non soltanto una religione, ma una politica.
Il Cristianesimo, varcati con S. Paolo i confini dell’ebraismo, e venuto direttamente a contatto con la civiltà greco-romana, dovette liberarsi delle ultime vestigia nazionalistiche — per cui
dolorava lo spirito irreducibilmente giudaico di Giacomo — e diventar cattolico. Cotesto progressivo cattolicizzarsi che fece il Cristianesimo, implicò due fatti fondamentali: affrontare, c superare, i due nemici che trovava padroni del campo: la filosofia ellenistica e l’imperialismo romano.
Il Cristianesimo non potè trionfare dei due nemici, che gli si paravano contro armati di gloriosa tradizione d’intelligenza e di forza, che a un patto: di accoglierli e riassumerli in sè, diventando esso stesso, in qualche modo, una filosofia e un impero.
E se il Cattolicismo porta fin troppo scolpite nei suo corpo dogmatico le stigmate del pensiero ellenico (platonico-alessandrino in ¡specie ; tradotto, poi, nel Medioevo, neH’aristotilismo tomistico); altrettanto visibili sono le orme impressegli dal romanesimo nella sua organizzazione ecclesiastica e soprattutto nella forma mentis politica; così ch’esso andò sempre più diventando romano di spirito e di forma (i).
Quella duplice funzione di pontefice massimo e di supremo capo politico, raccoltasi, con sempre più deciso assolutismo, nelle mani di Augusto e de’ suoi successori — per cui, da Roma, centro dell’orbe, la volontà imperiale irradiavasi a dominar la vita sociale e politica di tutti i popoli soggetti, senz’alcuna giuridica limitazione; quel meraviglioso spettacolo di unità e di organizzazione che rendeva
(i) Romano, occorre dirlo subito a dissipare equivoci, anche ora — specialmente ora anzi, — rinascenti, non vuol dire affatto nel nostro caso italiano e nemmeno latino; ma eredi del carattere imperiale di Roma.
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possibile il sovrapporsi di una città, anzi, di un uomo solo sul mondo, sedusse la Chiesa, distraendola dalla sua missione spirituale — sorse il sogno di abbattere in Roma il trono dèi Cesari per innalzarvi quello dei Papi; di sostituire a un imperialismo mondano un altro mondano imperialismo.
Gradatamente, il divino ammonimento: « dà a Cesare ciò ch’è di Cesare » dileguava... La volontà di distruggere il paganesimo si complicava con quella di fiaccare l’organismo imperiale, che n’era insieme presidio e suprema espressione.
Cesare non 'aveva forse da Dio il suo potere? E il Pontefice non era forse esso l’unico, il vero rappresentante di Dio sulla terra? non era, dunque, logico che il potere politico fosse subordinato a quello religioso, che il braccio secolare attuasse la volontà della Chiesa?
Unico il fine dell'uomo: tendere alla vita eterna. Ministra dei mezzi per conseguirla, determinatrice del bene e del male, la Chiesa: lo Stato altro non doveva essere che lo strumento meglio ordinato al conseguimento di quel fine: e del migliore ordinamento giudice assoluta e unica perchè unica e assoluta intèrprete del volere di Dio, ancora la Chiesa; alla quale, dunque, lo scettro dei Cesari, o di qualsiasi altra autorità terrena, doveva subordinarsi.
Su codesto equivoco fondamentale veniva radicandosi la teocrazia papale; sopra le rovine dell'imperialismo cesareo,- abbattuto non meno dalla lenta opera disgregatrice de’ cristiani, che dal violento accerchiamento barbarico, si costruiva l’imperialismo chiesastico.
La differenza era in ciò: che mentre il Romanesimo aveva fatto della religione stromento dello Stato — lo pseudo cristiano ( e poco importa si fosse o no battezzato) imperatore Costantino s'inspirò nella sua politica filo-cattolica al più puro spirito pagano —, il Cattolicismo, invece, e cioè la Chiesa Romana, vorrà fare dello Stato stromento della Chiesa.
Capovolgimento, quindi, di valori; negazione dello Stato, come tale — in quanto si nega la sua assoluta autonomia politica, ch’é la sua stessa ragion d’essere — esaltazione del popolo delle catacombe sul popolo dell’Urbe, con tutti i rancori, gli odi, le ambizioni, che tre secoli insanguinati da dieci persecuzioni e da innumeri martiri, avevano accumulati, rinfocolati, esasperati.
Poiché è ben curioso errore credere che le ambizioni temporalistiche sorgano d’un colpo sulla fine del terzo secolo, o siano conseguenza della supposta donazione di Costantino.
Costantino non fece che riconoscere certe condizioni di fatto, e risolverle in modo a lui personalmente favorevole; per quanto esiziali allo Stato.
Già il Cristianesimo, e la Chiesa Romana in particolare, esercitava un’influenza enorme su tutto l’impero; già i cristiani si erano introdotti dovunque: nell'esercito, come nella magistratura; nelle alte cariche politiche, come in quelle di corte. Prescindere dalla loro forza politica fu grave colpa dei primi imperatori; pretendere di schiacciarla, fatta ormai sangue del sangue dell’impero, fu il fatale errore di Diocleziano.
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BILYCHNIS
Peggio che tutti operarono quelli imperatori che adottarono una politica incerta; e rafforzarono, con le mezze persecuzioni e le mezze tolleranze, la volontà di vincere della massa cristiana.
Così, il Cattolicismo, da sistema religioso veniva sempre più assumendo il carattere di grandioso sistema politico; o meglio, pretese di praticamente assommare in un solo centro i due domini, che pur la sua dottrina seguitava a mantenere distinti.
Poiché è ben strana, e degna del massimo interesse, questa ch’io chiamerei l’immanente tragedia della Chiesa Romana: la violenta antitesi entro cui si muove la sua vita; tra, dà un lato, le radici insopprimibili del Vangelo, il suo vivente cristianesimo; e, dall'altro, il suo perenne cattolicizzarsi, il suo accogliere, pur nella negazione, la concezione pagano-mondana della vita.
Non potendo seppellire il Vangelo, nè sopprimere i suoi istinti di dominazione mondana; stretta insomma tra il Cristianesimo e il Romanesimo, la Chiesa cattolica con una di quelle grandiose contraddizioni, che sono insieme negazione e costruzione di storia, e che nessun semplicismo dottrinario può risolvere, ha insieme sostenuta la dottrina della rinuncia, c difeso il suo diritto di predominio mondano.
Il dogmatismo cattolico, saldamente costruito sugli schemi logici del neo-platonismo e poi dell’aristotelismo, e quindi del dualismo che alla mentalità ellenica appariva irreducibile tra spirito e carne, tra Dio e il mondo — ; concepisce l’autorità non come il riconoscimento che l’umano fà del divino; ma come l’imposizione del divino sull’umano: (la verità non è scoperta dallo spirito umano, ma rivelata ed interpretata dalla Chiesa divinamente costituita sopra il gregge dei fedeli).
Orbene, fin qui, la teoria potrà certo filosoficamente e religiosamente discutersi, ma la discussione riguarda a ogni modo il campo della filosofia e della religione e potrebbe dirsi fuori dell’attuale dibattito.
Ma, trasportata questa dottrina nel campo politico, il contrasto si fà subito attuale.
La coscienza della distinzione del mondo della fede da quello della politica — del regno dello spirito e di quello dell’attività sociale — è chiara e nitidamente espressa nei due massimi pensatori del cattolicismo : Agostino e Tommaso.
Nel De civitate Dei Agostino si esprime con parole di cristallina evidenza: «Genus humanum in duo genera distribuimus: unum Corum qui secundum hominem, alterum eorum qui secundum Deum vivunt » (i).
Si noti bene: secundum hominem. Si sottilizzi quanto si voglia sul concetto agostiniano della originaria peccaminosità dello Stato; resta, tuttavia, saldamente costituito che l’organismo statale, e le leggi che lo reggono e ne reggono gli elementi,
,Lib- xv- G- f- Per ’1 filosofo d’Ippona, avvinghiato alla salda roccia della predestinazione, dal suo dualismo tra spirito e carne, tra Dio e il Diavolo, mentre la citta di Dio è ab eterno predestinata a regnar con Dio, l’altra, — lo Stato — in sostanza e fatalmente legato alla sua origine diabolica. Per la dottrina della natura diabolica dello btato — conseguenza del peccato, v. l’ottimo libro del Bonucci: Il fine dello Stato. cap. Ili (Roma, Athenaeum, 1915).
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è fuori di qualsiasi diretta regolazione col divino. In altre parole: il gruppo di leggi che valgono per la determinazione dei rapporti tra l’uomo e Dio, non valgono per determinar quelli tra l’uomo e lo Stato; di conseguenza, l’autorità religiosa, legittima per la definizione, dei rapporti della prima specie, non vale per quelli della seconda.
♦ • ♦
Se non che, non si arresta qui il processo logico-storico della Chiesa Romana, in cui — come del resto in ogni altra istituzione — troppo spesso i fatti si sovrappongono alla teoria..
Ma, pur attenuandosi il concetto della peccaminosità dello Stato — a misura che il sogno teocratico andava assumendo consapevolezza, e nell’autorità ecclesiastica, e ne suoi apologisti, e sotto l’influenza della dottrina aristotelica della naturalità dello Stato (1).
Tuttavia negli stessi pensatori della scolastica, e nello stesso Tommaso, il concetto della necessaria distinzione dei poteri, e la sostanziale differenza fra i fini che la Chiesa da un lato e lo Stato dall'altro si propongono, è sempre viva.
Chiesa e Stato non rappresentano più due termini assolutamente antitetici: la tremenda condanna che nella dottrina agostiniana pesa sullo Stato — sui suoi fini, come sulle leggi che lo regolano — cede gradatamente il posto a una più spirituale comprensione, fino ad ammettere l’accoglimento dell’ordine statale nell'ordine universale: e dunque in Dio: tuttavia, un certo parallelismo religioso politico è mantenuto; sia pure con qualche riserva circa la maggiore nobiltà di uno dei poteri; e S. Tommaso potrà negare, senza contraddirsi, almeno in linea di diritto, la possibilità di contrasti tra la religione e l’amor di patria.
La dottrina, come tale, non subisce notevoli spostamenti lungo il corso della storia del cattolicismo.
Lo stesso Leone XIII riafferma solennemente il pensiero dell’Aquinate. « Dio ha diviso il genere umano — così Egli nella famosa enciclica sulla Costituzione degli Stati — tra due poteri: il potere ecclesiastico ed il potere civile: quello preposto alle cose divine, questo alle umane. Ognuno di essi nel suo genere è sovrano : ognuno è contenuto tra limiti perfettamente determinati e segnati in conformità alla sua natura ed al suo fine speciale. Vi è dunque una sfera circoscritta, nella quale ognuno esercita la sua azione, jure 'proprio ».
In queste dottrine parrebbe riflettersi il monito evangelico dell’assoluta spiritualità del Regno. Ma, d’altra parte, la Chiesa ha praticamente smentito questi principi: e lo stesso S. Tommaso accettava l’imperialismo politico dei pontefici; e lo stesso Leone XIII, mentre affermava la sovranità dello Stato, brigava per contestare in qualsiasi modo quella sovranità.
(1) Occorre notare che nel De ecclesiastica potestale di Egidio Romano, lo Stato è sempre concepito come un ostacolo alla vita spirituale mentre nel De regimine prin~ cipum, segno caratteristico della evoluzione d’idee e soprattutto, a mio credere, dell’im-porsi dei fatti sulle idee, egli giunse alla giustificazione dello Statole al suo diritto.
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Come si spiega cotesta pratica conciliazione di due principi teoreticamente inconciliabili ?
Come si giustifica che la Chiesa, singolarissimo Giano, abbia contemporaneamente benedetto, da un lato alle aspirazioni ascetiche delle minoranze mistiche, e perennemente riaffermata la dottrina della rinuncia cristiana; e, dall’altro, abbia legittimati, se non proprio incoraggiati, gl’istinti mondani della massa, e siasi lasciata pervadere, essa stessa, (e così profondamente da non sapersene più liberare), da una insaziata avioità di dominio terreno? Occorre riconoscere che nell’enorme armamentario teologico della Chiesa cattolica, fattosi sempre più complicato e diffuso nel corso dei secoli, non mancavano argomenti — qualcosa tra il dottrinario, e il sofistico — per suffragare le tesi — stavo per dire la pratica — dell’intervento della Chiesa nelle cose dello Stato.
L'irresistibile prepotere delle tendenze mondane della Chiesa era, infatti, qualcosa di attuale, prima ancora che di teorico. Bisognava giustificarlo.
I due poteri, religioso e politico, sono distinti, sia pure, ma poiché il Potere supremo dal quale tolgono la loro legittimazione — Dio — è unico; poiché la loro azione verte sopra lo stesso oggetto — l'uomo — ne segue che o l’uno o l’altro deve prevalere.
Ora, è evidente che dell’organismo mondiale la Chiesa costituisce la parte più eletta, lo Stato la parte corporea materiale; nello stesso rapporto appunto in cui dal punto di vista scolastico, lo spirito sta alcorpo. E di quanto lo spirito supera per nobilita di fini e di tendenze il corpo, di tanto la Chiesa sopravanza lo Stato.
Su questo sofisma: — così semplice, da riuscir semplicistico — si è retto per secoli, puntellato con una moltiplicità di sotto-argomenti, di deduzioni, di presunti corollari — di cavilli in sostanza — tutto l’edificio imperialistico e mondano della Chiesa Cattolica.
Gli atteggiamenti politici del Papato mutarono col mutare degli eventi; mutò, cioè, sotto rincalzare violento dei fatti, l’obbiettivo immediato da raggiungere; ma, una cosa, traverso ai secoli, permase e permane immutata: la volontà di dominio. Lo spirito è sempre quello; risorgente più tenace dopo ogni crollo: contendere allo Stato i suoi diritti, sottometterlo, per poi farsene sostegno; così come a Canossa Gregorio VII impone al vinto imperatore di reggergli le staffe, per salire più agevolmente in sella.
E questa volontà non subisce che l'indeprecabile imperio dei fatti; cede, allora, — apparentemente — con docilità e s’industria ad attutire l’eco de’suoi anatemi, e s’acqueta; a meditar la rivincita.
Non la voce austera di Caterina da Siena, nè la rampogna acre dell’Alighieri distrassero il Papato dal suo sogno di predominio mondiale; ma l'irresistibile impeto della storia umana, il fatale costituirsi dei popoli in libertà, il sorgere e il chiarirsi del concetto di Stato. Quando la coscienza filosofica, ringagliardita e fatta consapevole, assurge a una concezione dell’universo e della vita, in cui la violenta sovrapposizione del trascendente alla storia va sempre più disparendo;
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e la storia risolve in sè, anzi, il trascendente, che è il suo immanente divenire; e l’uomo scopre se stesso e crea la sua autorità, allora l’assolutismo teocratico sente sgretolarsi il suo granitico piedistallo.
Invano i Pontefici cui non riesce di schiacciare, nè di sottomettersi del tutto il Sacro Romano Impero, si volgono ai nuovi Principi Nazionali, ne alimentano le aspirazioni d’indipendenza, ne legittimano il potere, ne consacrano le corone (1).
Le stesse cause che avevano messo il Sacro Romano Impero contro il Papa vi metteranno anche le nuove nazioni e i nuovi Principi; perchè la lotta non è tra i Sacri Romani Imperatori e il Papa, o tra i principi nazionali, non dipende da malvolere di uomini o da casualità di eventi; la lotta è alle radici; tra due opposte concezioni dello Stato.
Come i Sacri Romani Imperatori,- così i Re nazionali non potranno tollerare la sovranità di Roma, che distrugge di fatto, e la loro stessa sovranità e quella dei loro Stati. La subiranno finché il subirla riuscirà loro utile {Parigi vai bene una messa!), finché la coscienza nazionale non sarà chiara e forte; finché i popoli non travolgeranno nello stesso gorgo ogni autorità che non si esprima dal lor seno, e non proclameranno l’assoluta necessaria autonomia dello Stato.
Uno Stato in tanto è sovrano, in quanto il suo potere non è soggetto al controllo di alcun volere, sopra e fuori di sè. È questa una esigenza logica indistruttibile del concetto stesso di Stato.
E a questa logica inesorabile ha dovuto pur piegarsi la volontà della Chiesa.
La parabola del suo dominio giuria al culmine, discende fatalmente, malgrado ogni resistenza e ogni curva di ritorno.
Così l’imperialismo dei Bonifazi, degli Innoccnzi, dei Gregori si restringe nel nazionalismo di Giulio 11 ; e questo nel regionalismo dei Papi dei secoli posteriori ; e questo ancora nel territorialismo difeso con disperata tenacia da Pio IX e dai suoi successori.
* « «
Dopo, il problema mondano della Chiesa assume nuovo carettere e nuovo significato.
Ripercórsa a ritroso la parabola del suo potere temporale, il papato è venuto a trovarsi, per ciò che riguarda il lato territorialistico, al punto di partenza.
Ma non per nulla s’era compiuta un'esperienza bimillenare.
Si è conchiusa bensì la parabola territorialistica; ma non è rimasta soppressa (e neppure depressa) quella volontà di dominio mondano, eh’è tuttora il segreto movente di ogni attività politica della Chiesa; il temporalismo si trasforma da dominazione o aspirazione territoriale in penetrazione politica negli organi dello Stato, anzi di tutti gli Stati.
(1) Opportunamente nota infatti il Bonucci che frattanto « un'aspra contesa è venuta maturando fra Stato e Chiesa, èd egli, tiene per lo Stato che in Francia, così come in Inghilterra, ormai saldamente costituito, mosso soprattutto da spirito di nazionalità, afferma il suo indipendente valore, aspira anzi alla costituzione di Chiesa nazionale ».
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II.
Di cotesta immanente volontà di dominio s’è fatta assertrice c sostenitrice, in ogni tempo, una corrente di cattolici, che, pur mutando denominazioni e atteggiamenti e intenti specifici, ha sempre presentato il carattere di guardia del corpo, di esecutrice (o passivamente devota, o settariamente interessata) degli ordini papali anche (anzi specialmente) nel campo politico; per la quale la devozione alla Chiesa, meglio che una necessità religiosa e un bisogno della coscienza morale, è il frutto di una esigenza tutt’affatto mondana; in quanto il costituire la Chiesa romana, direttamenteo indirettamente, al di sopra di Principi e di Stati, corrisponde al proprio interesse particolaristico: è il clericalismo.
• « *
È necessario intendersi subito sulla parola clericalismo: non si tratta, è superfluo notarlo, di una semplice quistione di parole.
Ritengo necessario specificare col nome di clericali — senza alcun intento di fobia o di spregio — quelli fra i cattolici che stimano il potere della Chiesa debba estendersi anche alle funzioni specifiche dello Stato; che mirano cioè, (consapevolmente o no direttamente o indirettamente, come proposito immediato o come finalità ultima) a fare dello Stato uno stromento della Chiesa; quei cattolici insomma, che come tali si organizzano politicamente, distinguendosi dalla massa che intende la propria cattolicità in senso esclusivamente religioso (i).
Troppo spesso l'appellativo di « cattolici », usato a designare coloro che si organizzano politicamente, spinge a confondere con la esigua, per quanto romorosa, minoranza degli « organizzati » o « popolari », la massa religiosamente cattolica e disposta a non riconoscere altra organizzazione, che non sia quella ecclesiastico-religiosa del Cattolicimo.
E dalla confusione i clericali, ora specialmente, traggono illeciti vantaggi.
Poiché, la qualifica di cattolici organizzati (cui pure son costretti appi-gliarsi quelli ai quali repugna l’epiteto di « clericali ») (2), implica un assai curioso
(1) « La differenza fra cattolico c clericale sta in ciò, che il cattolico distingue la religione dalla politica. Nella prima ubbidisce ai dettami della Chiesa: nella seconda segue quelli dello Stato laico. 11 clericale, invece, fa della sua fede un labaro politico c riconosce l’autorità del Papa anche nella vita pubblica » (Il Corriere della Sera •I novembre 1919).
Il vocabolo clericalismo (per converso anticlericale) assunse su per giù il significato attuale divenendo familiare al nostro linguaggio politico, dopo la metà del secolo xix.
(2) Cosi Ant. Pagano; il quale però, in conclusione, ammette la sostanziale distinzione tra cattolici e « cattolici organizzati ».
A me pare necessario dimostrare la distinzione anche nella comune accezione, stimando pericoloso ingenerare equivoci, laddove per la complessità stessa dèi problemi, è necessaria massima precisione di pensiero e chiarezza di linguaggio. (V. il suo notevole studio < La politica dei Cattolici » ne Videa Nazionale, an. IV, num. 6, 5 febbraio 1014).
inutile fare citazioni. Non c’è giornale clericale, quotidiano o periodico, che non Jaccia appelli su. appelli perchè i cattolici si iscrivano nelle organizzazioni politiche del C lericalismo, e nell’ultima (ma non certo definitiva) trasformazione di esse: il P. P. I.
La Chiesa da Società religiosa, si va sempre più trasformando in società politica internazionale, operante a traverso le sue varie arterie bancarie, sociali, artistiche scolastiche, elettorali, ecc.
Vedremo più esaurientemente in seguito.
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equivoco; in quanto i cattolici, come tali, non sono credenti autonomi, gregge senza pastore; ma costituiscono naturalmente un organismo saldo e di 'mirabile congegno, che è, appunto, la Chiesa cattolica.
E dei resto, pel loro stesso essere di cattolici « organizzati », gli stessi clericali, pur non amando questo nome che ai loro orecchi suona come espressione dell’odio settario, sono perfettamente consci del distinguersi, ch'essi fanno dalla massa dei semplici cattolici; e contano le lor file prescindendo da quelli che pure religiosa-mente debbono riconoscere meritevoli del nome di cattolici; e insistono nell’affer-mare il dovere di tutti i « buoni cattolici » di inscriversi nelle file delle organizzazioni clericali.
Codesta super-costruzione sul più vasto fondamento semplicemente cattolico, non può evidentemente avere per sua caratteristica la religiosità, la quale costituisce l’essenza stessa dell'organismo cattolico, come tale; la sua natura non può essere che essenzialmente politica: cioè, la difesa, e, per dir così, la realizzazione di quell’attività politica, che la Chiesa si attribuisce accanto a quella religiosa.
Essendo dunque politica la ragion d’essere del Clericalismo, le sue origini sono, nè potrebbero non essere, politiche (1).
Per tutti i secoli, da quando la Chiesa ha ambito, conquistato, perduto, riafferrato, riperduto e riambito, in un succedersi turbinoso di vicende, il potere temporale, essa ha trovato nella forma mentis di una parte dei fedeli la disposizione a seguirla per questa via; è sempre riuscita a raccogliere un esercito pronto a battersi per la sua causa.
Che i militi si chiamino guelfi o zuavi, cattolici organizzati o popolari-, che il duce si chiami Matilde o Lamoricière, Gentiioni o D. Sturzo, poco importa.
In ¡schiere salde e malferme, sbandati od «organizzati» guelfi o popolari, pur mutando traverso ai tempi la fisonomía particolare; col mutare degli obbiettivi immediati della Chiesa, essi si tramandano immutato lo spirito che è a fondamento del loro agire; la volontà di portare l’autorità della Chiesa al di sopra degli Stati.
Intorno all’interesse centrale della Chiesa si costituiscono grandi e piccoli interessi particolari, i quali lo alimentano e, insieme, ne sono alimentati e il cui prevalere era, ed è, dunque, strettamente, legato al prevalere del primo.
Così era delle città e dei signorotti guelfi, che nell’affermazione del teocra-tismo contro l’imperialismo germanico vedevano la difesa del proprio potere ; così è ora, di deputati, di banche, di cooperative, di leghe agricole e altre associazioni — tutte ornate dell’etichetta di « cattoliche » — e in sostanza del partito che le riassume, il quale e le quali costituiscono tutta una complessa rete di ambizioni e di interessi 'particolari stretti — con maggiore o minore coesione e fedeltà, si
(1) Così invece non pare al Pagano: (art. cit.), ma codesta sua negazione contrasta, tra l’altro, con lo spirito generale dell’articolo.
Lo stesso Bonomelli attribuiva al clericalismo un’origine prettamente politica.
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capisce, a seconda de’ vari momenti politici e sociali — intorno all’interesse politicamente supremo: il prevalere della Chiesa sullo Stato.
È chiaro che la fortuna delle organizzazioni •« cattoliche », come le maggiori ambizioni dei singoli affiliati, dipenderanno dalla fortuna generale del clericalismo, e cioè della Chiesa, che lo giustifica e lo inquadra.
III.
Chi dunque vede Chiesa Romana e « partito cattolico » o clericalismo come due forze separate o separabili e agenti ciascuna per proprio conto con significato e fini diversi, mostra di non avere affatto compreso il carattere e il significato dell’uno e dell’altra.
S’è detto e ripetuto anche ora che altra è la politica del Vaticano, altra quella dei « cattolici organizzati » o clericali, o popolari che dir si voglia; si è asserito -anche e specialmente da liberali — che il « Partito Popolare Italiano » è innanzi tutto italiano, un partito nello e dello Stato italiano, non fuori o contro lo Stato italiano.
Si tratta di un pericoloso equivoco.
Il « Partito cattolico » o « Partito Popolare » o, in sostanza, clericalismo, è nulla più che l’esercito perennemente pugnace di quell’istituto perennemente contrastante che è la Chiesa Cattolica Romana. Vaticano e Clericalismo sono tutt’uno, come sono tutt’uno negli stati moderni Stato ed Esercito: — il partito clericale è — innanzi lutto — l’esercito del Vaticano.
La grande maggioranza dei raccolti nella unità religiosa del Cattolicismo escludono che la Chiesa debba avere un potere politico o comunque immischiarsi delle cose degli Stati. E pur professando sinceramente la lor fede, con altrettanta risolutezza si oppongono alle mire, comunque rinascenti, del temporalismo vaticano.
« Clericale » è, invece, chi non ha risolto nella propria coscienza l’apparente antitesi fra i due poteri che da millenni si contrastano il dominio del mondo: la Chiesa e lo Stato: e stima che la Chiesa debba estendere la sua autorità anche nel campo politico e sorvegliare e dirigere l'attività dello Stato.
Il clericalismo è questa stessa antitesi fatta concreta, attuale, vivente.
Appena alcuno nella sua coscienza ha composto l'antitesi, cessa, per ciò stesso • di esser clericale.
Così nel Medio Evo la superò Dante Alighieri e nei nostri tempi Rosmini, Gioberti, Manzoni.
0 il cattolico ha composto l’antitesi politico-religiosa e ha superato nel proprio spirito l'opposizione della Chiesa con lo Stato : e allora spezza qualsiasi legame della politica con la religione, e combatte sul terreno politico semplicemente da italiano, da francese, da tedesco, e cura gli interessi politici del proprio Stato in quella maniera che — non in quanto cattolico e insieme a cattolici, ma da italiano, francese o tedesco insieme a certi altri italiani, francesi, e tedeschi — gli parrà più opportuno.
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0 il cattolico non ha superato l'antitesi e sente il bisogno di realizzare, comunque, la sua fede nell’attività politica: e allora non può pretendere di sottrarsi alle direttive dell’autorità religiosa, che sola può essergli guida sicura nell’organizzazione cristiana della società politica, che si risolve nel prevalere politico della Chiesa stessa (1).
Da tal bivio non si esce: chi ha tentato di spezzare il cerchio e ha voluto conciliare l’inconciliabile, vi ha lasciato brandelli di carne, o ha piegato.
Perciò, ricercare un programma autonomo — come alcuni nazionali-liberali, d’impenitente..;, buona volontà, han tentato — di politica clericale è fatica sprecata, per la semplice ragione che un’autonomia del partito clericale, qualsiasi la sua incarnazione temporanea, non esiste; nè potrebbe esistere, per la contraddizione che noi consente. Così, come non può avere programma autonomo un esercito, che è tenuto a eseguire, pur con libertà strategica, i voleri del capo dello Stato.
La forza del clericalismo, anzi, sta appunto nel non irrigidirsi in nessun programma, nello sfuggire a qualsiasi tentativo di coglierlo in fini schematicamente distribuiti. Poiché — e questo ormai deve apparire arcichiaro — non tanto i singoli articoli del programma stanno a cuore alla Chiesa, ma lo spirito animatore del programma ; non i programmi — contingenti, mutevoli, subordinati — ma il programma.
Ieri contro la scuola libera, perchè detentrice essa di tutte le scuole; oggi per la scuola libera, perchè non più legislatrice di coscienze e dominatrice del sapere.
Ieri contro il popolo e per i potenti che esclusivamente dominavano: oggi per il popolo (fino a un certo punto!) e per quelle classi, fra il popolo, sulle quali conta di potersi meglio appoggiare. Domani, senz’ombra di contraddizione interna, tornerà ad esser contro qualsiasi forma di libertà della scuola, e di libertà popolari, se le condizioni sociali e politiche torneranno ad esserle favorevoli (2).
Allo stesso modo, e a maggior ragione, è fatica sprecata, augurarsi che i cattolici politicamente organizzati si accostino a un programma nazionale, accettino la realtà nazionale, agiscan per scopi nazionali.
Bisogna mettersi bene in mente che il clericalismo, in ogni sua trasfigurazione e manifestazione, prescinde assolutamente dai valori nazionali: il suo movimento
(1) Chiariamo ancora: non il cattolico, in quanto tale, deve politicamente sottostare alle imposizioni della Chiesa: ma quel cattolico che stima suo dovere battersi sul terreno politico in nome della Chiesa e del Cristianesimo, di cui la Chiesa soltanto si stima legìttima interprete.
Di qui l’intima immanente contraddizione della democrazia « cristiana » sconvolta dallo stesso principio e per lo stesso principio sul quale voleva fondarsi; e di tutti coloro i Suali vogliono in qualsiasi modo introdurre l’assetto religioso-cristiano nell’orbita dello tato e insieme svincolarsi dalle direttive della Chiesa.
(2) « L’autonomia di un preteso partito politico — osserva giustamente A. Pagano — non potrebbe essere niente altro che l’autonomia relativa e limitata che ha lo stromento in mano dell’artefice... Il programma cattolico integrale può in alcune parti venire eseguito dai laici ; ma non può venire formulato che dalla Chiesa docente e imperante » (v. articolo cit.). Forse il Pagano non trae da queste nitide parole tutte le conseguenze che potrebbe.
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è anazionale, fuori cioè dei quadri della nazione e diventa effettivamente antinazionale ogni qualvolta gli interessi della nazione contrastino con quelli della Chiesa; Esso ha un solo fine: essere la milizia umana, il presidio pugnace della Chiesa.
Presidio che la Chiesa si costruisce e rinsalda e dirige in ogni Stato, contro lo Stato.
È un ben curioso errore di òttica storica e logica, quello che fa apparire la Chiesa avversa allo Stato moderno, solo in quanto moderno e non in quanto semplicemente Stato (i), qualsiasi ne fossero la costituzione organica e la forma di governo.
Occorre ricordare le acerrime lotte coi Sacri Romani Imperatori, allora che lo Stato era saldamente basato sui principi di autorità assoluta e di grazia divina ; e nessuna delle istituzioni caratteristiche dello Stato moderno poteva far ombra alla Chiesa?
La Chiesa è avversa allo Stato moderno come all’antico, alla monarchia italiana come alla repubblica francese; combattè l'imperialismo romano come quello napoleonico, come ricombatterebbe domani quello germanico, se questo risorgesse ancora, come ai tempi del Barbarossa e di Ottone di Bismarck, minaccioso per il potere di Roma.
♦ ♦ ♦
Perciò quando si parla di patriottismo dei clericali — sia che i clericali per conto loro lo affermino, sia che altri compiacentemente lo decantino — è d’uopo intendersi.
I clericali, certo, non negano la Patria, nè lo Stato, siamo d’accordo; ma essi sono portati a concepire Patria e Stato in funzione di quella più vasta Patria c di quel più alto Stato che è la Chiesa Cattolica.
Sono affezionati alla Patria, e ne difendono gli interessi; ma finché gli interessi della Patria si identifichino o collimino con gli interessi della Chiesa. Quando servire la Patria significasse opporsi anche politicamente alla Chiesa, essi, per la loro stessa essenza politica, sarebbero, e non potrebbero non essere, per la Chiesa contro la Patria: su questo punto non vi può essere alcun dubbio. Duce ed esercito lo affermano senza reticenze. Pio X — il Papa « non politico », si noti — proclamava: « Chi si ribella all'autorità della Chiesa, sotto l’ingiusto pretesto che essa invade il dominio dello Stato, impone un limite alla verità ».
Perchè la verità Cattolica, secondo il pensiero costantemente seguito dal Papato, investe religione, morale, vita sociale e politica.
Se si persisterà ancora a non vedere, la colpa sarà non del Vaticano e dei clericali; ma di quelli che sono, e deliberatamente vogliono rimaner ciechi.
A strappare qualche benda, a spingere a vedere, io m'auguro contribuisca la mia modesta fatica.
_______ Vincenzo Cento;
(i) Così ancora il Pagano (artic. int.).
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£2Z^
PER.-LÆCVLTURA * DELL'ANIMAPRATICARE LO ZOPPO E... NON ZOPPICARE
« Costui accoglie i peccatori e mangia con loro! »
Evang. di Luca, 15-2.
Il Salmo I stima felice l’uomo che non pratica i cattivi. Anche noi insegniamo sin dai loro primi anni ai nostri figliuoli che « le cattive compagnie corrompono i buoni costumi » e ripetiamo volentieri anche l'altro proverbio « Dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei ».
I.
¡.’Evangelo però ci racconta che Gesù mangiava e beveva coi pubblicani e colle persone di mala vita. Era questa una caratteristica del suo metodo ed uno dei punti sui quali egli era più violentemente aggredito. ■< Egli è venuto — esclamavano 1 suoi avversari — egli è venuto mangiando e bevendo, l'amico dei pubblicani e dei peccatori ».
Lo scandalo che Gesù dava in questo modo agli Scribi e ai Farisei, ai custodi ufficiali della pietà, era grande. Essi non Solevano ammettere che un uomo che si iccva pio si opponesse in questo modo al loro tenore di vita e lanciasse una sfida alle abitudini ch'eran loro più care.
Difatti, la parola Fariseo, significava Ïualcuno che si separa, un Separatista. 1 arisei affermavano la loro pietà evitando accuratamente ogni contatto coi peccatori che non conoscevano la legge : « Noi siamo pii — dicevano essi — dunque ci separiamo dagli altri ».
Fra Gesù e loro non vi era accordo pos
sibile. Per loro, era una questione di principio di separarsi, per Gesù era una questione di principio di avvicinarsi.
Nel capitolo 15 di S. Luca non troviamo meno di tre parabole destinate a giustificare la condotta del Maestro.
Egli ¿spinto, dic’egli, ad agire come agisce Eer seguire l’esempio del Padre celeste.
I buon Pastore non lascia egli le novantanove pecore per cercare nella solitudine 3uella che è perduta? Ma ciò non basta: i iscepoli devono seguire lo stesso criterio:
- Quando fai un banchetto, dice Gesù, invita i poveri, gli storpi, gli zoppi, i ciechi, in una parola coloro che sono stati sfigurati tanto dalle malattie dell’anima quanto da quelle del corpo - e tu sarai felice perch’essi non te lo possono rendere >■.
Non solo la pietà di Gesù è illimitata; è altresì una pietà attiva che lo spinge a cercare ciò che è perduto.
Egli è venuto quaggiù a fondare la grande fraternità umana che non esclude alcuno. Ecco perchè egli rompe il pane col malvagio e non trascura nulla per venire in contatto con lui.
Ci s’ingannerebbe, però, grossolanamente, se ci si fermasse a questo punto.
Accanto al Gesù la cui misericordia sovrabbonda verso i peccatori più indui iti ve n’ ha un altro. Lo si osserva meno, a tutta prima; ma basta meditare l’Evangelo perchè la sua figura apparisca nettamente.
Quel Gesù è senza riguardi per il peccalo. Ei non transige mai col male. « Se l’occhio tuo, dic’egli, t’induce a peccare, cavalo; se il tuo piede ti conduce a peccare, mozzalo ». Rinunzia, cioè, alle cose che ti
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sembrano, le più indispensabili non appena, per l'uso di quelle cose, tu sei trascinato al male.
Gesù chiede molto ai suoi discepoli, non vuole mezzi termini: ■ Nessuno può servire due padroni, dichiara egli, perchè odierà l’uno e amerà l’altro, seguirà l’uno e disprezzerà l'altro. Voi non potete servire a Dio e a Mammona ».
Egli esige dai suoi seguaci una consa; crazTone completa alla sua persona: ■ Chi ama suo padre o sua madre più di me, non è degno di me ». « Vendi tutto ciò che hai, dic’egli al giovane paralizzato dall’amore delle ricchezze, e seguitami ». Quando egli chiama qualcuno a seguirlo ei non lo coglie alla sprovvista, ma lo avverte: * Le volpi hanno delle tane, e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figliuol dell'uomo non ha un luogo dove posare il capo ».
E mentre i suoi discepoli sognano dei troni; Gesù addita loro la croce.
Insomma, non è possibile studiare!’E vangelo senza essere dominati alternativa-mente da impressioni opposte. Dove trovare un libro che parli al peccatore cogli accenti di una tenerezza più penetrante? D’altro lato dove trovare una energia più intransigente allorquando è questione di combattere il malet II fondo, la contraddizione è più apparente che reale. Non è per il peccato che Gesù ha dèi riguardi, ma Ser il peccatore-, e più egli ha compassione cìVuomo che fa il male, più egli' ha in odio il male che deturpa colui che è stato creato all’immagine di Dio.
li.
Il Maestro raccomanda ai buoni di accogliere i peccatori che verranno a loro. Non solo, egli domanda loro di andarli a cercare: • Costringili ad entrare » dice il padrone della Parabola al suo servitore; e, nel pensiero del Maestro, questo invito mira innanzi tutto i più poveri, i più miseri, tutti i detriti umani.
Gesù vuole che i suoi discepoli s’accostino a quelle esistenze in rovina non per rimproverarle, ma per accendere in esse, a forza di amore, il lumignolo che sta per spengersi. Egli vuole che i buoni avvolgano i malvagi nella loro influenza vivificante e li sollecitino, con tutta la simpatia di cui Dio dà il segreto, ond’essi vengano strappati alla loro malvagità. Osservate che Gesù non dice: ■ Quando saranno cambiati, voi li tratterete come fratelli »; ma
egli dice: « Per quanto cattivi essi sieno, trattateli come fratelli ed essi cambieranno ». Notate questa differenza; essa è di capitale importanza. Tutte le associazioni, tutte le chiese distinguono gli uomini del di dentro, i fratelli, dagli uomini del di fuori che si possono considerare come fratelli solo dopo averli convertiti. Gesù non conosce questa distinzione: «Tu sei un uomo — ragiona egli — dunque sei mio fratello ».
D’altra parte Gesù nsegna che al Peccato non bisogna concedere requie alcuna, ma che occorre dirigere contro di esso tutti gli sforzi.
E questa lotta contro il peccato ogni cristiano deve combatterla per conto proprio — in se stesso e intorno a se stesso — e. nel combatterla per conto proprio, egli deve altresì diventare una guida per gli altri.
III.
lo mi guardo intorno e vedo che non sono Suesti i criteri della condotta dei cristiani-;
ssi non sono animati dallo spirito di Cristo, ma da quello degli Scribi e dei Farisei. Per avanzare sulla via della perfezione, credono che si deve restringere il proprio cuore, che bisogna separarsi dalla massa, che occorre disinteressarsi degli altri oppure considerarli con diffidenza^ magari con odio.
E la cosa più tremenda è questa, che, a furia di odiare gli uomini, si dimentica di odiare il peccato, di combattere contro il peccato, e nulla ‘allora impedisce a! peccato di compiere l’opera sua.
A questo si riconosce il vero cristiano; allorquando si tratta degli uomini, la sua larghezza di spirito è senza limiti; contro il peccato invece egli reagisce con estremo vigore.
IV.
Ciò che ho detto riguardo a Gesù che frequentava i peccatori è forse parso a taluno imprudènte.
Perciò ora soggiungo: l’esempio di Gesù non può essere dato a chiunque, specialmente Se si tratta di giovani. iFinchèjun giovane o una giovane prendono ¡un certo piacere al male, finché èssi esitano asservire Iddio con tutto il loro cuore, sarebbe sovranamente imprudente il raccomandar lóro di frequentare coloro che non fan nò il bene.
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BSR LA CULTURA DELL'ANIMA 319
Quando Gesù dice: et Avvicinatevi ai malvagi pei aiutarli a diventar buoni », egli si rivolge esclusivamente agli uomini e alle donne che hanno preso un’attitudine risoluta contro il male. Difattì, come potremo noi soccorrei e efficacemente gli schiavi de) peccato fintantoché 10 siamo noi stessi?
La prima cosa dunque che dobbiamo fare è- di prendere sul serio le esortazioni di Gesù il quale ci supplica e ci ordina di rinunciare a commettere il male e a vivere nel male.
Non ^esitiamo ! Dichiariamo la guerra, la guerra santa, a tutte le potenze malvage che s’agitano in noi, che turbano la serenivi del nostro spirito! Nella proporzione in cui ci applicheremo a sormontare il male per mezzo del bene, impareremo
ad odiare il peccato; allora, ma allora soltanto, saremo atti a diventare i collaboratori intelligenti del Maestro, e a continuare l’opera Sua, praticando i cattivi.
Nelle case in cui ci sono malattie infettive, si adoperano gli antisettici per mettere le persone sane al riparo dal con tagio. L’antisettico necessario ai discepoli di Cristo i quali entrano in contatto coi peccatori è rodio tenace per il male.
Quando si possiede questi mezzo per evitare il contagio, si può .mpuncmcntc bazzicare coi peccatori, come faceva Gesù. Lungi dall’essere vinti dal loro esempio, si finisce per conquistarli a Dio e al Bene.
G. E. M.
(Da T. 1-ALLOT, l.e$ Fraternités de demnin, Disc. VI.).
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5 NOTE E ¿ COMMENTI
RODOLFO EUCKEN
(I SUOI-RICORDI,, - UNA GUIDA ALLA SUA OPERA)
Giunto all’età di 75 anni, Rodolfo Eu-cken dà le sue dimissioni da professore universitario, si volge indietro a considerar l’epoca in cui visse c detta i suoi Ricordi (ì).
Con questo libro egli ci permette di penetrare nell’intimità della sua esistenza, di osservare sotto quali influenze ei crebbe e si maturò, di assistere alla germoglia-zione, alla fioritura ed all’affermazione gagliarda di quei pensieri filosofici e religiosi che hanno dato valore e profumo alla sua vita e che, introdotti nei sangue nostro spirituale da A. Fogazzaro e da Gallarati-Scotti, hanno* parte non secondaria nei fermenti di passione morali e religiosi dell’Italia con temporanea.
Chi conosce il valore degli scritti in cui un’anima superiore si spande, chi ha rivissuto le Confessioni di S. Agostino, i Cotogni di Goethe con Eckermann, il Giornale intimo di F. Amiel, non si la-scerà sfuggire il privilegio, che con questi Ricoiai gli vien dato, di conoscere un’altra anima grande. Ripensare i pensieri, risentire i sentimenti, ripalpitare i palpiti degli spiriti eletti, non è questo un imparentarsi col genio, un aderire a Dio?
L’Eucken nacque nel 1846 nella Frisia orientale, provincia in cui imperavano le antiche virtù germaniche temprate dalla pietà cristiana. A 5 anni gli morì il padre, impiegato postale e di origine contadina, lasciando alla piccola famiglia il
(1) Rudolf Evcken. /ebensennner unteli. Eìn Sifìck detti schei Liberi. Kochlor, Leipzig. 19:1.
rimpianto di sé, un nome integro ed una povera pensione. La sua madre, figlia di un pastore evangelico, donna mirabile per pietà e senso scientifico, si consacrò tutta a lui: io partorì alla vita spirituale ed intellettuale, lo attorniò premurosamente con quanto sapeva .di meglio; si stabilì nelle città in cui dovea studiare e. pigliando in pensione studenti, guadagnò il necessario per lei ed il suo figlio, il suo unico.
A 25 anni sarà professore all’università di Basilea ed ancora ella gli starà quale compagna sua fedele nelle cose domestiche è negli interessi scientifici; veglierà su di lui con quel tatto commovente che la distinse e che non rare volte ci ricorda S. Monica. Onde non ci stupirà se parlandoTdella donna egli non sarà pessimista come la calva, debole e vecchia gioventù nostra, ma si ispirerà al ricordo benedetto della sua madre venerata. (Pagg. 6-7, 15-16, 23-24. 25. 31. 55-57, 117).
Fortunato quel popolo Che ha madri caste, perchè la sua gioventù crescerà sana di corpo e di mente, vi guarderà con viso aperto e sereno. Ma fortunati assai più quei figli che nei loro pensieri più luminosi, nei loro affetti più intimi possono unire il nome della loro madre a quello del loro Dio santo!
I suoi professori ginnasiali e liceali venivano in gran parte dalla Facoltà teologica, erano più educatori che dotti, ma impegnavano le loro migliori energie nel-l’assolvere il loro compito d'insegnanti (pag. 17). Rammenta con riconoscenza ed amore Guglielmo Reuter preside del Li-
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[Voi. XVIII. T*v. VII|
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NOTE E COMMENTI
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ceo di Aurich: « Egli insegnava religione e tedesco —scrive egli - ma con profondità e calore straordinari, cosicché operava potentemente sulle anime: era più teologo che filosofo, quantunque si fosse addentrato nelle piu evanescenti sfumature del pensiero Hegeliano: si adoperava a tut-t’uomo per sviluppare in ogni suo allievo non solo le facoltà intellettuali, ma eziandio quelle morali e spirituali. Egli tratto spesso con me le questioni religiose, ma faceva valere non l'autorità suà di maestro, sibbene il diritto del pensiero discusso... Fu un professore per grazia di Dio • (pagine 17-20).
A 17 anni, dopo serio esame di se medesimo e delle sue disposizioni naturali, si fece iscrivere nella Facoltà di lettere e filosofia all’università di Gòttigen. « Come bimbo ero ottimo calcolatore, più tardi si sviluppò in me l’inclinazione alla matematica: già, d'accordo con mia madre, avevo deciso di iscrivermi in un politecnico, ma poi la mia tendenza alla filosofia affermò definitivamente il suo primato... (pag. 20-21). Le mie proprie esperiènze mi hanno portato ad occuparmi delle questioni religiose: la perdita di mio padre, la mia salute cagionevole, il pericolo di diventare cieco. Là mia fanciullezza conobbe poco sole e molte difficoltà: ma ad esse tutte opposi la ferma Sersuasione che una Potenza superiore irigeva il mondo e presiedeva ai miei destini: non ho mai abbandonato questa fede: però esercitando io liberamente la critica su tradizioni dottrinali della chiesa che mi parevano grette ed insufficienti, non ho mai pensato a studiare teologia » (pag. 21). «Mi colpiva in modo particolare l’aspro contrasto tra la cultura moderna colla sua incondizionata affermazione della vita (attivismo) ed il cristianesimo tradizionale colla sua insistente negazione della vita (passivismo) » (pag. 25). ■ Oramai la mia vita si volgeva intorno a questi due poli che davano alla mia attività impulso e scopo: ero dominato dai grandi problemi della religione strettamente unita alla morale ed ero incalzato dal desiderio di maggiore libertà per arrivare a conoscenze più chiare, ad una concezione del mondo più artistica » (pag. 24-25. 49)Così R. Eucken studiò filologia e storia affin di potere, appena conseguita la laurea, ottenere un posto quale insegnante e vivere col frutto del suo lavoro (pag. 23);
ma coltivò con amore geloso la filosofia, come quella disciplina che su di lui esercitava un’attrazione singolare.
All’Università egli ebbe quali professori uomini eminenti e talora di fama mondiale, tutti animatori allo studio, tutti desiderosi di scoprire giovani dalla bella intelligenza per farne dei discepoli, possibilmente dei discepoli superiori al maestro: Curtius, l’autore .della migliore storia che si avesse fin’allora sulla Grecia antica, lo affascinava colla vastità delle sue cono scenze. colle sue capacità artistiche e colla freschezza della sua esposizione (pagina 27). Lotze. l’autore celebrato del Microcosmo, gli tornava troppo tecnico, rappresentante di una filosofia troppo erudita ed intellettualista di fronte ai problemi palpitanti della vita: tuttavia ne seguiva con vivo interesse i corsi ottimi « per scienza, chiarezza, perspicacia e vigoria »: però non gli perdono giammai di avere deprezzato l’etica di Aristotile e di aver detto: « anziché occuparsene vai meglio leggere un romanzo francese »’ (pag. 28). Pigliò parte viva agli « Esercizi Aristotelici » diretti da Teichmùller: in essi si ristabiliva il testo di Aristotile, si risuscitavano quindi i problemi che avea sollevati, le risposte che aveva date e si ricostituiva così, pietra su pietra, tutto il sistema aristotelico: in quel lavoro, in cui gli studenti erano collaboratori talora appassionati, non si sapeva se in Teichmùller più si dovesse ammirare il filologo od il pensatore, il critico che abbatte od il filosofo che edifica.
A 20 anni Rodolfo Eucken era insegnante nel liceo di Hasum. a 22 anni nel Liceo Federico di Berlino ed in relazione amichevole coi dotti più in vista della capitale prussiana Pigliava parte a trattenimenti loro serali di carattere famigliare e tra i ragionamenti gravi balenavano spesso affermazioni giovanili, eretiche come questa: - Se a Berlino Ella vuole essere qualche cosa, non lodi mai nulla, passerebbe per un provinciale, biasimi sempre tutto »! (pag. 45). In uno di questi convegni, di fronte alla domanda quali dotti nella discussione siano più vivaci ed irruenti, Haupt. valente filologo» dichiarò che in ciò nessuno superava i teologi: però T. Mommsen, a cui si deve la monumentale Storia Romana, dopo averlo ascoltato tranquillamente, rispose con sorriso intenditore, guardandolo nel viso: «. Senta, caro collega, io conosco personalmente
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filologi, buoni amici miei, che sono ancora più vivaci e permalosi dei teologi » (pagine 39-40). . .
A 23 anni il nostro autore era insegnante a Francoforte sul Meno nello stesso liceo in cui insegnava Janssen, storico cattolico molto discusso e col quale visse in buoni rapporti ragionando con lui di dogma e di storia. A 25 anni era professore all’università di Basilea: Università piccola, poiché allora contava tutto al più 160 studenti: ma Università grande poiché nel suo corpo insegnante aveva fersonalità che stavano imponendosi al-attenzione del mondo: His nella medicina, I. Newmann nella economia poli-tia, R. Stàhlin nella storia ecclesiastica, I. Burckardt nella storia dell’arte e nella filologia classica, E. Nietzsche che < sopra gli altri come aquila vola ».
A 28 anni riceveva un invito dall’Uni-versità di Jena. Per qualche tempo rimase sospeso. Basilea gli era piacevole per l’aristocrazia dell’intelletto, dell’arte, dello spirito e della beneficenza che ci fioriva: Basilea gli era sacra perchè gli rievocava gli estremi e dolci ricordi della sua madre e ne conservava le spoglie; ma Jena era la patria, ma Jena era l’università di Weimar in cui aleggiavano gli spiriti magni di Herder, Schiller e Goethe, era la città dalle suggestive passeggiate solitarie, dalle clàssiche tradizioni filosofiche, era il tempio della libertà scientifica illimitata; non contando che 9.000 abitanti, non avendo fabbriche, Jena era la città del silenzio, dello studio e dell’ispirazione, la città dotta e santa (pacg. 46, 59, 61-64). Infine si decise: accolse favorevolmente l’invito e si recò nella sua nuova destinazione. Vi si fisserà definitivamente; verranno a picchiare alla sua porta altri inviti ancora, lusinghieri, da altre Università, perfino da Berlino, ma li declinerà tutti senza esitazioni, non bramando altr’esca.
Ed a Jena, ove accorrevano da un mezzo secolo studenti da tutte le province della Germania, stranieri da tutti gli Stati colti, egli fu collega di Haeckel, l’autore degli Eni m mi del Mondo, più lodati che letti; di von Hase, storico classico della Chiesa, e di Lipsius, uomo che talora parve raggiungere le altezze dommatiche di Calvino, di S. Agostino e di Origene: fu in ottime relazioni con tutti, sempre però tenendo alta là sua bandiera idealista. Sentite come egli, rappresentante eminente di una • Riforma spirituale » (pagine v. 117). parla di Haeckel il padre della
filosofia materialista e volgare: « Egli era nella pienezza delle sue forze: già allora suscitava molti oppositori: ma. anche quelli che non condividevano la sua concezione del mondo, dovevano riconoscere la sua grande potenza artistica e scientifica; era benemerito della città: aveva dato prove non dubbie di uno spirito di sacrificio non comune; rifiutò posizioni brillanti offertegli da altre Università e sempre preferì loro Jena dove potea lavorare colla massima libertà scientifica: era un carattere gioviale a cui il rettore, con fine umorismo e senza tema di offenderlo, poteva dire: " Ella deve rimanere in Jena; qui nuocerà il meno possibile „ » (pag. 62).
Rodolfo Eucken giunse a Jena preceduto da bella fama; era giovane, colto e capace: l’avvenire gli si apriva pieno di promesse. Era attorniato da colleghi valenti; i suoi amici numerosi avevano gli occhi volti su di lui e lo aspettavano sulle alte e soleggiate cime della scienza. Ed egli si gettò nello studio appassionatamente, febbrilmente; molto penò; ma trovò infine la sua via personale sulla quale è nobile camminare; conobbe lo scopo della vita, la missione affidata a lui ed operò in conseguenza. Arrivato al tramonto della sua vita, alla fine dei suoi Ricordi, a chi gli domanda che cosa gli rimanga, risponde con Goethe: « Mi rimane abbastanza poiché mi rimane i! pensiero e l’amore •• (pag. fi 18).
Col suo trasloco a Jena incominciò la sua attività produttrice. Pubblicò successivamente: Le correnti spirituali nel pensiero contemporaneo. L'unità aella vita spirituale nella coscienza e nell’azione dell’ umanità, Le concezioni della vita nei grandi pensatori, scritti di gran va lore che però furono ricevuti molto fred damente dai dotti tedeschi e poco penetrarono nel pubblico colto (pag. 75), cosicché non senza ragione di sconforto egli ebbe a dichiarare: « La mia posizione resta quella di un solitario » (pag. 70). •« I dotti tedeschi passano indifferenti accanto alla mia concezione spirituale della vita: i circoli accademici tedeschi considerano la mia attività come senza valore per la scienza » (pag. 77).
Quando però apparvero le altre sue opere-Il contenuto eterno della Religione, Linee fondamentali di una nuova concezione della vita, Filosofia della Relig.one nell'epoca contemporanea, Siamo noi ancora Cristiani, Conoscere e Vivere, egli s’impose. all’attenzione degli spiriti superiori, ottenne il premio Nòbel ed i suoi libri furono tra:
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NOTE E GOMMENT!
dotti nelle principali lingue del mondo. Diede allora conferenze acclamate nei grandi centri dei paesi protestanti: in Finlandia, nella Svezia, nella Norvegia e nella Danimarca, nell’olanda. nell’Inghilterra e nell’America: a Boston conobbe Bergson ed a Jena ebbe la visita di Boutroux; fu ospite del re Oscar, di Roosevelt e di Carnegie. I suoi ammiratori stranieri rovesciarono i suoi oppositori tedeschi; allora infine i suoi connazionali furono scossi dai loro preconcetti, fecero tarda si ma onorevole ammenda, riconobbero giusto il giudizio del mondo e lo salutarono alto educatore dei popoli. E ad essi si unirono, quasi rivaleggiando con loro, i cattolici liberali della Germania, della Francia e dell’Italia.
Spirito indipendente, alto signore della filosofia, Rodolfo Eucken vide i pericoli che minacciavano il suo popolo, li denunziò deplorandoli e corse ai ripari.
L’unità germanica compiuta dall’esercito. senza il concorso fattivo del popolo, fu opera geniale sì, ma troppo esteriore: s’impose sì a partiti e programmi caotici, ma deprezzò i fattori ideali della convivenza sociale: abituò i singoli individui a piegarsi di fronte al voler dell’alto, dei pochi, del governo, li abituò ad essere Eolíticamente pigri, e passivi. Il Kultur-ampf, con cui si tentò di violentare sentimenti religiosi di una minoranza, fu antipatico, come antipàtici furono il trattamento duro dei popoli annessi che non potevano neppure parlare la loro propria lingua, le leggi d'eccezione contro i socialisti, con cui si volle soffocare, median te provvedimenti polizieschi, un movimento storico e mondiale: ma il popolo non trovò in sè l’energia di alzarsi e di protestare.
Il rapido sviluppo industriale, favorito da una politica interna ed esterna prepotente all'occorrenza, il benessere materiale che ne derivò, indusse lo Stato a porre la sua ragion d’essere nel promuovere gli interessi economici, ad affermare ovunque e sempre la vita egoistica della nazione; ma lo portò eziandio a dimenticare quasi la necessità per una nazione di una elevazione interna dell'intelletto e dello spirito. Così un popolo pensatore e poeta, si ridusse ad una coltura operaia limitata, superficiale e slombata.
L’idealismo affermò sì l’indipendenza del mondo spirituale, temperò si l’assolutismo dei sistemi speculatori, ma non diede alla nostra generazione una .direzione nuova,
fondamentale, indipendente, passò allo stato di difesa. L’iniziativa, l'offensiva fu presa dal realismo positivista Così la nazione che produsse uomini quali Leibnitz. Kant ed Hegel, si comportò a loro riguardo come Atene verso Aristide, isolò, esiliò tutti i suoi geni buoni e ne! suo proletariato visse, non la pianta uomo, ma l’animale uomo. Cosi la Germania s’arricchì materialmente, ma s’impoverì spiritual-mente e di siffatta sua povertà meno vanti. « Noi -esclama Eucken —sopprimemmo la cultura dello spirito per sviluppare la sola cultura del lavoro (pag. 94). furnn o operai ottimi, ma uomini sfibrati ».
Poi. proseguendo nella sua analisi.spietata ed amara, scrive: « oh quante volte mi è venuto in mente la parola di Glad-stone: Bismarck ha fatto la Germania più grande, ma ha eziandio fatto i tedéschi più piccoli ! ».
Infine, precisando le finalità sue quale scrittore, quale filosofo e, diciamolo pure, quale profeta, egli aggiunge: « Per quanto mi concerne ho avuto a norma di non immischiarmi mai nella vita dei partiti politici. Il mio cÓMpiìo è stato di fortificare nel popolo M vita dello spirito, e ciò mi ha dato non poco da fare; solo tardi si è allargata la cerchia dei mici amici e collaboratori » (pagg. 37. 65,-66).
Non vi lasciate sfuggire l’occasione di leggere e meditare in ogni caso Le Con-cenoni della vita nei grandi. Pensatori (die Lebensait.se/iatiungeH der grossen 'Den-ker) ed II contenuto eterno della Religione (Der Wahrhcitsgehalt der Religión}: sono libri semplici, quasi classici, nella forma, profondi e persuasivi nel contenuto; talora hanno movenze di Bibbia più che di filosofia: vagliano, sintetizzano e valorizzano tutto quello che di grande ha prodotto il genio umano attraverso i secoli, tutto Snello che mette l’uomo nella condizione i salire definitivamente un nuovo gradino nella sua evoluzione infinita. I nostri antenati. che vissero all’alba dei tempi, trascorsero i loro giorni nelle foreste e rivaleggiarono coi gorilla in agilità, forza e crudeltà; siamo usciti dallo stato selvaggio, ci siamo uniti in viver civile, teniamo della bestia e dell’angelo, siamo uomini; Eucken ci incita a vivere la nuova trasformazione, a realizzare una nuova metamorfosi, ad essere superuomi ni.
Per invogliarci allo studio di questo sovrano della filosofia contemporanea,
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per iniziarci al suo sistema sulla vita dello spirito non conosciamo libro più indicato che quello di A. He ssner, Introduzione alla vita e alla concezione del mondo di Rodolfo Euckcn (r). Esso non vuol essere che un’introduzione, una guida, che ci renda attenti a quanto di vero è di vitale sta negli scritti di Eucken: introduzione utilissima, ma che non può sostituire i libri che raccomanda; guida preziosa, ma che non può dispensarci dall’entrare nel mondo proiettato dall’anima di Eucken.
L.’ Introduzione di Heussner è tutto questo, ma è ancora qualche cosa di più. K'ù di quanto voglia essere. È uno scritto ssco, chiaro, vigoroso, ricco in contrasti sorprendenti ed in pensieri peregrini; lo si legge con profitto e diletto. Riferiremo alcune sue affermazioni: • Gli è lo spirito che fabbrica il suo proprio corpo. Religione è vita e non dottrina,... è vita nuova e non metafisica. — Gesù non venne quale predicatore, o maestro o « uomo normale »; egli venne, simile a tutti i grandi spiriti dell’umanità, quale apritore d’una nuova vita, fonte di forza, punto di eruzione di una nuova realtà. In questo sta il suo valore eterno. — Vuoi tu trovare Iddio? Non cercarlo al disopra delle stelle, contemplalo nella vita di quelli che gii sono devoti e tu troverai lui medesimo: - In questo sta la dignità dell’uomo: a cagione di una cosa invisibile, cioè per una legge morale e per il dovere egli può agire in opposizione al suo interesse ed alla sua naturale inclinazione; in questo si distingue l’uomo dall’animale. — Per il realismo (moderno) lo scopo della vita è di dominare la natura mediante la conoscenza della natura. —- Nella lotta delle opinióni vince non l’acutezza della logica, ma la forza della personalità, la energia vitale che sta dietro all’affermazione,... vince non Erasmo ma Lutero. —• La Verità, secondo il significato intiero della parola, non la si pensa ma la si vive; solo la Verità vissuta dà al grande pensatore il coraggio di opporsi al mondo intiero e la forza di scardinarlo. - La conoscenza muove dalla vita e non la vita dalla conoscenza. — Nessuno può parlare di cose religiose se non ne ha fatto l’esperienza religiosa. — Negli eroi della religione i sensi di libertà e di indipendenza sono sempre stati uniti: se ne rimettevano completamente a Dio ed acquistavano
(x) A. Heussner. Einiùkru: g in Rudolf £u-ohen Lchens-und WcUanschauuHg. GiUtingen, 1921.
con ciò la più grande libertà. Ci sono nel mondo molte cose, molti beni, molte forze, ma sfuggono alla scienza obiettiva: la poesia e l’amore, la religione ed il sentimento, non sono essi realtà e non sono essi qualche cosa di più che pura scienza? — Un quadro è esso solo tela ed un po’ di colore? Una lagrima è essa solo un po’ d’acqua salata?... È un errore pensare che la scienza possa realmente abbracciare l’intiera ricchezza della vita ».
Tutte queste citazioni ed altre molte che potremmo aggiungere,, non meno sug-5estive, raccomandano caldamente il n-ro che le contiene, ma assai più le pubblicazioni dell’Eucken di cui vogliono essere un debole riflesso.
Rodolfo Eucken lavorò, lo abbiamo veduto, con zelo indefesso per l’intesa dei popoli, per la loro unione nelle grandi ! ustioni della vita: perciò dovette sof-rire amaramente lui, l’uomo supernazionale e $ uperconfessionale, quando si scatenò la guerra mondiale. All’ùltimo, se nonfsentì come un Inglese allorché dice: - Righi or wrong that is my Fatherland! » e piglia il suo posto di combattimento; egli tuttavia ragionò ed agì come un nazionalista, fu uomo; altri forse aggiungerà: troppo uomo! Sottoscrisse il manifesto dei 93 e nel 1921 non disapprova la sua firma: « Noi sappiamo quanta polvere ha sollevato quell’indirizzo;... ciò non toglie che esso esprimesse qualche cosa di vero... La guèrra essendo stata imposta alla Germania, essa era in istato di legittima difesa » (pagg. 97. 99). Compì quanto stimò dovere suo quale « intellettuale »: lavorò mediante conferenze affin di animare e vivificare l’esercito ed il popolo, diffuse intorno a sé potenza vivificatrice, ma contemporaneamente disapprovò sempre quelli che disprezzavano gli avversari nella loro attività culturale.
Sperava, prima della guerra mondiale, che la sua vita finisse quale un bel tramonto, calma e serena con visioni ed armonie dell’al di là, ed invece, ora si sente posto dinnanzi a còmpiti nuovi, sovrumani: tradizioni venerande [sono scosse; capitali d’uomini e di sostanze sono travolti, le fondamenta della società vacillano, la cultura e la religione che dovevano unire l'umanità sono sopraffatte, la menzogna e l’iniquità imperano e l’odio che ne nasce, tutto divide: « Viviamo, esclama egli, una vita o vigliaccamente effeminata o
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NOTE E COMMENTI
tragicamente selvaggia (pag. 108). Non sappiamo che cosa siamo, nè dove andiamo ». E finisce la sua biografia col seguente appassionato appello che facciamo nostro e dedichiamo lettori: « Di fronte a questo terribile stato di cose che può risolversi in una catastrofe mondiale od in un principio di nuove ascensioni sociali, no» tutti che Crediamo nell’avvenire, che sentiamo la possibilità e la necessità di una elevazione umana, noi tutti dobbiamo tendere le nostre forze come la corda di un arco potente, e procedere all'azione. Lavorate mentre è giorno ». G. Grilli.
ENRICO BIGNAMI
Un cartoncino a lutto portò agli amici la notizia della sua morte, espressa modestamente con queste parole:
« Giovedì, 13 ottobre, è morto Enrico Bignami Direttore del - Coenobium ■. I funerali, col solo intervento dei familiari, ebbero luogo nelle prime ore di domenica mattina 1921 ».
« Lugano,Villa Coenobium, 18 ott. 1921 ».
Senza vanità alcuna, nè in vita nè in morte, scomparve così colui che fu un pioniere delle più nobili teorie socialiste, divulgandole con quanto di meglio aveva nell’animo, colla fede, coll’entusiasmo di un apostolo. Era d’apostolo anche la suà figura. Ricordo l’ultima volta che lo vidi a Milano, così alto, con la barba bianca fluente, l’occhio stanco di chi ha molto vissuto ed ha cercato di combattere intorno. a sè molte cose errate e molti uomini che erravano. Ma quello sguardo Juasi spento sfavillava ancora con luce i giovinezza quando io spirito si animava 1 er accondiscendere o per reagire. Si discorreva del suo Coenobium, la rivista che amava sopra ogni cosa ed alla quale si dedicò, fino alle ultime energie del suo cor. o che si spegneva. Era per lui un'amarezza indicibile l'indifferenza di quelli che un tempo gli erano stati amici, che avevano collaboratq con lui a fare del periodico una pubblicazione di propaganda, battagliera sempre, qualche volta violenta, ma per la pace! finalità suprema di ogni suo pensiero.
E mi parlava con orrore del conflitto mondiale, le cui terribili conseguenze avrebbero pesato su parecchie generazioni; e non sapeva perdonare agli interventisti « giacché — diceva egli — qualunque sacrifìcio individuale o collet-- tivo è preferibile all’abbominio di una
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■ guerra •>. Mi narrava le condizioni miserande in cui doveva compiersi l'edizione della rivista: difficoltà materiali (la carta, la stampa); ostacoli morali (la censura, la diffidenza delle autorità) contro cui egli doveva incessantemente lottare. Riusciva a vincere, ma quale vittoria!
I fascicoli in ritardo di parecchi mesi allontanavano anche quei lettori che per simpatia di opinione gli sarebbero rimasti fedeli.
«Tutti si stancano, vede: tutti, poco - ] er volta, mi abbandonano; ma io non « cederò a nessun costo, la mia rivista « porterà sempre l’impronta dell’idealità « che l’ha fatta sorgere. Se molti si fermano ■ lungo il cammino quei molti non sono « degni di noi. Ripudiamoli ».
A me pareva che certi estremi si potessero evitare, considerando le cose da un punto di vista che il succedersi degli avvenimenti e le modificazioni portate dal tempo autorizzavano ampiamente. Gli dissi, fra l’altro, alludendo al periodico: « Signor Direttore, per vivere non è necessario anche evolvere? ».
• Evolversi, non involversi! • esclamò con uno slancio giovanile. Che lampo nei suoi occhi stanchi! Che fremito nella sua voce! Tacqui per non aggiungere alle sue delusioni la pena di un contraddittorio. Si parlò di collaborazione; mi pregò di preparargli degli * articoli recensivi fatti con criterio speciale, mi consegnò un libro di cui intendeva parlare nella rivista Le mie poche pagine comparvero nel Coenobium sotto il titolo: « Nietzsche e la guerra ».
Dopo di allora non lo vidi più. In questi ultimi due anni, sopraffatta da molte altre cure, cessai di scrivergli : e me ne dolgo, pel timore ch’egli abbia interpretato il mio silenzio come una defezione. Cosi mi dolgo di non aver mai accettato (quante circostanze sorgono nella vita a render vani i nostri desideri!...) l’invito ch’egli ripetutamente mi aveva rivolto di recarmi a Lugano nella Villa Coenobium ■ per ripassare insieme tanti e ■ tanti libri della sua biblioteca ».
Ormai è troppo tardi. — A chi diede un ammirevole esempio di fermezza nei principi, a chi morì sulla breccia invocando. al di là di tutte le guèrre, la pace! voli il reverente saluto dei superstiti di una stessa fede.
Pavia 13 novembre 1921.
M. Dell’Isola.
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CRONACA VATICANA
Sommario. — Il Congresso di Venezia - I precedenti - L’attività della sinistra e l’ordine del giorno angolani — La destra perde terreno — L’unità intorno a don Sturzo — L’atteggiamento di Meda - Critiche liberali e critiche vaticane - Un giudizio della
- Hit ¡nani te ».
L’interesse del mondo cattolico italiano, durante tutto il mese di ottobre, si è concentrato su ciò che si è svolto a Venezia. Il congresso del Partito popolare si andava preparando di lunga mano, attraverso discussioni frequenti e vivaci. I! congresso di Napoli aveva messo in piena luce c non aveva potuto appianare il dissidio tra le due ali estreme del partito: nè, d’altra Sarte, aveva dato l’indicazione di un pre-ominio indiscusso di questa o quella frazione. Le frazioni di centro avevano così potuto mantener© una certa autorità sul resto del partito, anche pel fatto che ad essa appartenevano quasi tutti i rappresentanti al Parlamento. Ma l’estrema destra semi-temporalista — costituita in buona parte da forti organizzazioni cattoliche di Napoli. Firenze, Genova ed alcune province dei Veneto —-, per quanto fosse rimasta in minoranza, dimostrò una forza - anche fisica — di aggressività ed una compattezza, che fece talvolta pencolare dalla propria parte le sorti del congresso.
Si ebbe l’impressione che con l’ala destra il partito doveva fare i conti, ed infatti alcuni avvenimenti verificatisi nell'anno mostrarono abbastanza la combattività di quella frazione: tali le polemiche genovesi che culminarono nel ritiro dell’arcivescovo. card. Boggiano. e caso ancora più caratteristico —- le polemiche ardenti sorte in piena campagna elettorale. durante le ultime elezioni politiche, in seno alla sezione napoletana del partito, e che condussero quésta ad un pelo da uno scisma poco edificante.
Però il risultato delle elezioni non favorì l’ala destra del Partito popolare, sicché può fissarsi da quella data un periodo di arresto, se non di decadenza, nella combattività di essain seno al partito. Tuttavia, a qualche mese di distanza dal nuovo congresso. non mancarono tentativi di raccogliere le fila da parte dei popolari di destra. Un fatto sintomatico fu la discussione svoltasi in seno al quinto congresso delle Giunte diocesane, nella seconda metà di giugno, sulla decadenza della vecchia compagine della Unione popolare (di tendenza nettamente di destra), e sulla necessità di conservarla salda e di non farla assorbire completamente dalla giovane e non sempre sicura organizzazione del Partito popolare.
Di queste idee facendosi interprete l'U-nità cattolica (31 agosto) scriveva:
«Sia detto senza la pretesa di erigersi a giudici, i nostri giornali si occupano di preferenza del Partito che dell’azione cattolica, quasi che quello fosse il più e questa il meno e non fosse così necessaria oggi l'azione cattolica, come sempre <• tutto debba essere assorbito dalla politica c dalie questioni economiche. Sotto questo punto di vista noi siamo d’accordo coi giornali che hanno avuto la franchezza di dire: si deve ritornare un po' all’antico. non tornare indietro nel senso di distruggere gli organismi politici od economici sorti in questi ultimi anni nei quali bisogna pure riconoscere molti piegi e molta forza di bene, ma tornare indietro per ridare all'azione cattolica la preminenza c l’importanza di una volta ». Fu un’amara constatazione quella fatta al Congresso delle Giunto che sn quasi 300 Giunte diocesane regolarmente
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CRONACHE
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costituite, solamente una sessantina mandarono il loro rappresentante. Ciò indica in quale poco conto siano tenuti i nostri Congressi cattolici, soprattutto ciò indica quanto sia poco apprezzato il movimento dell’U. P. da molti che se oggi occupano posti eminenti nel P. P. I non devono dimenticare che detto partito, come bene disse D. Sturzo al Congresso delle Giunte: « il p. P. I. sa di essere stato originato dalla Unione Popolare ». Con la pura sezione del P. P. I. non si formano le coscienze, come non si formano con le pure leghe operaie e contadine. Bisogna formare la coscienza sociale che è appunto quella che manca ai nostri giorni. Sarebbe stato possibile a Bergamo il fenomeno Cocchi, se le coscienze fossero formate? Ci preoccuperemmo noi del passaggio al socialismo dei nostri buoni operai, se fossero ben formati?
Ma i dirigènti del Partito popolare organizzavano già per conto loro i lavori del prossimo congresso. La situazione parlamentare, alla chiusura dell’ultima sessione parlamentare, li portava a concentrare in primo luogo la loro attenzione sul problema della collaborazione con gli altri partiti.
Suesto problema metteva il partito ' solite difficoltà. L’ala destra non ammette transazioni, l’ala sinistra non rifuggirebbe neanche da una eventuale collaborazione con i socialisti turatiani. Nel-'occasione, anzi, del congresso di Venezia, si è avuto il fatto che per la prima volta la minoranza di sinistrasi è impostata con un programma proprio. Í1 documento, pubblicato alla vigilia del congresso, è firmato da Càppi, Querello, Piccioni, e Colombo, si dirige non solo contro il conservatorismo dell’estrema destra, ma anche, e forse più acerbamente, contro « la politica del caso per caso, annunziata con man zoniana semplicità dall’on. Meda al congresso di Napoli » e che dopo di allora è prevalsa nell’azione del partito. Il punto da superare, secondo la relazione, è questo: i dirigenti del partito
tollerano magari l’aspra lotta di classe nella tattica delle organizzazioni bianche, fanno del popolarismo elettorale; ma resistono nelle trincee teoriche e non vogliono ammettere il fatto che si afferma ogni giorno più imponente nella realtà, forse nella credenza o nella speranza sia transitorio. Questo contrasto, questa insincerità pesa gravemente sul partito; rende esitanti molte forze operaie che ad esso aderirebbero; costringe spesso il partito a saltuari atteggiamenti demagogici, che sarebbero inutili quando fosse sicura in tutti la persuasione che esso, con tutto il riguardo vèrso le sue finalità etiche e verso gli interessi superiori
della collettività, intende educare ed avviare celermente le classi lavoratrici all’esercizio diretto del potere politico'
Ed uno dei più autorevoli rappresentanti dei c sinistri », Cesare degli ‘Occhi, in un esauriente articolo nella Rassegna Nazionale (i° ottobre), dopo aver contessuto:
Se è vero che la negazione socialista, e la forza numerica parlamentare del P. P. lo hanno, parlamentarmente, valorizzato; se, quindi, indubbiamente il Paese e il Governo avvertono che della forza politica dei • popolari ■ non possono prescindere, è anche vero — è soprattutto vero — che nessuna conquista ideale il Partito, con la sua azione parlamentare e il suo appoggio a tutti i governi, ha saputo assicurare. E l’assurdità del metodo della imposizione è resa palese dal fatto che ormai nessun Governo più nega a noi il consenso alle nostre premesse collaborazioniste, anche se - per il concorrere degli elementi e degli eventi più diversi — non arrivi mai alla realizzazione degli impegni assunti.
concludeva:
Parlare di collaborazione immediata è sciocco e non serio: non serio e sciocco perchè non basterebbero le genuine forze popolari e socialiste oggi a conquistare il potere: non serio e sciocco — soprattutto—-perchè l’affermazione anticollaborazionista che uscirà indubbiamente dal Congresso di Milano (quantunque di colore c sapore diverso dalle precedenti manifestazioni anticollaborazio-niste) non potrebbe consentire al Congresso di un rispettabile partito, il contegno del mandolinista in fregola di serenata.
Ma invece, esaminare seriamente il problema della collaborazione socialista sotto l'aspetto delia sua possibilità avvenire, per sapere se convenga e come convenga attuarla, significa portare al vaglio del Congresso una questione fondamentale, chiarire gli spiriti delle masse del Partito, discutere realisticamente, non abbandonarsi al sogno, ma avviare alla storia.
Le più gravi tra le deficienze lamentate dalla minoranza di sinistra preoccupavano però anche i dirigenti del partito. L'ordine del giorno firmato dall’on. Cingolani, a nome della maggioranza, su! teina: « La situazione politica del paese e i limiti della collaborazione parlamentare » riconosceva in parte, implicitamente, la giustezza di alcuni appunti della relazione di minoranza:
Il 3® Congresso Nazionale del P. P. I., constatato che dal congresso di Napoli ad oggi la collaborazione del gruppo parlamentare popolare ai
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vari Ministeri è stata una necessità imposta dal dovere di fare funzionare l'istituto parlamentare e di cooperare al ripristino dell’autorità dello Stato; c che la mancata attuazione dei punti programma* tici posti come patto di alleanza, e .specialmente la riforma agraria, la proporzionale amministrativa, l'esame di Stato, la rifórma del Consiglio supcriore del lavoro, la legislazione cooperativa, è dovuta non soltanto al lento e intralciato funzionamento della Camera, ma anche al succedersi di avvenimenti politici ed elettorali e al ripetersi di crisi ministeriali, nonché alla mancata formazione di un comitato di maggioranza responsabile dell'osservanza dello spirito c delle contrattazioni delle alleanze parlamentari:
esaminata la situazione politica turbata dalle profonde crisi economica e morale c oscurata da un pervertimento psicologico per il quale la violenza e la reazione alla violenza hanno assunto più largamente prima e assumono tuttora forme tendenti ad annullare l'autorità dello Stato, che solo faticosamente può restaurare l’impero della legge nelle coscienze e nella vita civile;
affermando* che pur attraverso aspre prove il P. P. I., sente sempre vivo il dovere di contribuire ai ristabilimento di quella fiducia nello Stato e nei suoi organi, tale da renderlo capace di polarizzare intórno a sè tutte le forze sane per l'adempimento delle sue varie funzioni politiche: c che però fulcro e centro di raccolta c di coordinazione della vita italiana potrà essere il P. P. I., se tutti i suoi inscritti comprenderanno attraverso quale alto e cosciente spirito di sacrificio, illuminata disciplina, elaborazione e realizzazione programmatica possa giungere ad essere forza determinante della vita del paese;
ritenuto però che in oggi la collaborazione colle sinistre non ha dato risultati rispondenti alla gravità della situazione, sia per la mancanza di sostegno di organizzazioni politiche nel paese che fiancheggino le forze parlamentari più democratiche, sia per la mancanza di rispondenza nello spirito di collaborazione delle sinistre verso il P. P. I., specialmente nello sviluppo politico, amministrativo, sindacale e cooperativo della vita locale, dove spesso anche attraverso influenze sugli organi della provincia viene esercitata una lotta più o meno apparente contro ogni influenza ed espansione dell’attività popolare; notando che per effetto delle pressioni politiche dei due partiti di masse (popolari e socialisti) e come conseguenza della proporzionale si stanno compiendo tentativi di coopcrazione nei partiti e di assunzione di responsabilità politiche della Camera trasferite nel paese, quali la costituzione dei partiti agrario, fascista e delle democrazie, e che d’altra parte, travolte dalla realtà le illusioni apolitiche di un governo o di una dittatura di classe, le forze collaboratrici orientate verso il partito socialista potranno esserc imprevedutamcntc condotte a una politica di realizzazione e di dirette responsabilità, contraddicendo alla intransigenza anticollaborazionista, ultimo tentativo di scostarsi dalla complessa orgànica vita collettiva, tendendo cosi alla offeriva ed efficace responsabile partecipazione al governo dello Stato:
Riafferma: di fronte alla situazione politica quale è e quale per chiari e molteplici indizi va determinandosi, di non avere pregiudiziali nell’ispirare la propria collaborazione alle supreme necessità della nazione;
di riconfermare nell’interesse stesso del paese questi limiti alla collaborazione cogli aggruppamenti politici responsabili efficienti, esposizione di forze reali;
a) libertà e rispetto della coscienza cristiana considerata come presidio c fondamento della vita della- nazione (problema della scuola e della famiglia):
b) ricostruzione dell'economia nazionale al di sopra di qualsiasi demagogia autocratica c follatola;
r) riconoscimento delle organizzazioni di lavoro e parificazione degli organismi sindacali c cooperativi fiancheggiati dal Partito Popolare Italiano, come ogni altra organizzazione, senza privilegio per le organizzazioni socialiste (riconoscimento giuridico — Consiglio superiore del lavoro — legislazione cooperativa);
rf) ricostituzione dell'autorità e della funzione dello Stato (politica di libertà, azione sulle fazioni, decentramento organico):
r) politica estera atta (nella salvaguardia e nello sviluppo delle forze morali commerciali del paese e nella tutela della nostra emigrazione) a creare rapporti internazionali, ispirati a sensi di giustizia e di solidarietà verso tutte le nazioni.
♦ • •
11 Congresso di Venezia si apriva dunque con un grande bisogno di veder tracciata una linea di condotta più definita e col senso diffuso nella massima parte dei congressisti che l’azione politica e parlamentare del partito tenesse conto e. se possibile, desse modo di esplicarsi alle tendenze più temperate di sinistra. Il medesimo on. Cingolani, intervistato alla vigilia del congrèsso, ad un giornalista, che gli domandava quali previsioni egli facesse, rispondeva (Tribuna, j'g ottobre) senza circonlocuzioni:
Non sarà, come per i socialisti, un Congresso di revisione, ma di sviluppo del nostro programma. Il Partito ormai è tutto sanamente orientato a sinistra e la stessa minoranza concorda pienamente con la direttiva impressa al Partito dalia Direzione e dal Coniglio nazionale.
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Da questo complesso di circostanze risultò un fatto che. a prima vista, poteva parere strano, ma che si spiegava perfettamente, considerando l’abilità indiscutibile della Direzione del partito di abbandonare i destri al loro destino e di accaparrarsi le simpatie di sinistra, caso per caso, e individualmente, senza però legarsi con l’accettazione di tesi teoriche. Fin dalla Srima seduta, dopo la relazione generale i don Sturzo, questi apparve un dominatore. Romolo Murri, corrispondente speciale del Resto del Carlino, delineava nettamente la situazione:
La tendenza dei destri fedeli alle pretese tradizionali dell'istituto ccclasiastico c contraria alla aconfessionalità, non osa muoversi e dar battaglia; più che per consapevolezza della sua scarsa efficacia numerica, per l'atteggiamento assunto dal Vaticano dinanzi al nuovo partito che è, nonostante i richiami e i moniti frequenti dell'organizzazione ufficiale ed ufficiosa, di fiducia e di benevola attesa.
I sinistri, quelli che vorrebbero trascinare il partito sul terreno della lotta di classe e farne, in concorrenza col socialismo o magari d’accordo con esso, lo strumento per spossessare la borghesia, in realtà presumono troppo, nè possono avere altra influenza ed efficacia che episodica e locale. È assurdo imaginare che la Chiesa sia disposta a lasciare il partito mettersi, ed essa seguirlo, per questa via. E anche i socialisti non vogliono saperne di collaborazione coi partiti borghesi in genere, e coi popolari in ¡specie. Prevale dunque, come si è visto chiaro oggi, ed è padróna del campo, la tendenza media rappresentata da don Sturzo. ’
Uomini di destra e uomini di sinistra, nascondendo le differenze talora profonde che li dividono da lui, fanno oggi a gara neH’esaltarlo. E i pochi, specialmente deputati o candidati, che mordono il freno della ferrea disciplina del partito, è necessario che stiano quieti. Il più impaziente.... lo hanno messo a presiedere il congresso (allude all’on. Berlini).
In tali condizioni il partito si appresta a discutere di concreti problemi politici e a precisare la sua personalità politica e il programma. L’iniziativa è in mano della direzione del partito e, per essa, di don Sturzo, al quale sarà facile conservarla perchè, invero, non abbondano, le competenze nè le forti personalità.
La previsione si avverò completamente, malgrado un primo tentativo dell’avvocato Luigi degli Occhi —- fratello di Cesare e militante nella opposta ala destra —, il quale, nella discussione sulla politica generale fece una carica a fondo contro la
direzione del partito. Il giorno stesso il marchese Crispolti nel Cittadino e il giorno dopo J’f/nt/d cattolica facevano un altro richiamo alle origini, sostenendo la necessità che il Partito popolare si ispirasse ai dettami dell'azione cattolica, così come era stata indirizzata dai primi organizzatori:
Parliamo.senza ambagi — dichiara l'Uni/à Cattolica —; ¡I Partilo Popolare c figlio dell’azione cattolica e dì tutto quel paziente e mirabile movimento religioso che li precedettero, preparando ed educando le coscienze dei cattolici italiani con un duplice e parallelo lavorio: organizzare il numero, ordinare l’esercito, dar loro una meta, segnare il piano delle battaglie, ridonare la coscienza di popolo cattolico al nostro paese, stringere uomini c istituzioni col vincolo che sempre fu segnacolo delle resurrezioni religiose in Italia, ossia coll’amore e l'obbedienza al Papa.
Il Partito Popolare pertanto non si spiega nel suo fortunato nascere e svilupparsi, non si regge nel suo operare, non raggiungerebbe la meta se nascondesse o dimenticasse come nacque e perchè, se misconoscesse cui deve le sue fortune, e ignorasse dove attinge le energie, e qual’è la riserva delle sue forze. Scriviamo così per preterizione. In verità ognun comprènde che quello che al mondo liberale parve generazione spontanea nel campo parlamentare, è invece frutto di molti lustri di preparazione cattolica, nell’Opera dei Congressi, mirabile organismo tutto italiano di pensiero e di atti, sacrificato a ideologie belle ma meno con (adenti all'indole nostra. È frutto di quell'unione Popolarcela quale, raggruppando e coordinando le forze cattoliche le addestrò alle grandi manovre dell’azione cattolica.
Tutti questi richiami della frazione di destra non ne rialzarono le sorti al congresso. Invece la maggioranza raggruppate intorno al direttorio potette vantare il successo di aver guadagnato l’adesione — sia puré con le varie riserve miglioliane —• della più larga parte della frazione di sinistra. L’on. Mignoli, anzi, giunse più in là, perchè, rovesciando i postulati messi alla vigilia del congresso (postulati di sfiducia verso la collaborazione coi partiti < bor-Ehesi ») si spinse fino alla tesi ultra-colla-orazionista, cioè la conquista totale del potere, con una Presidenza del Consiglio popolare. E le acclamazioni all’on. Meda, che sottolinearono queste affermazioni, facevano pensare che la sinistra del partito non rif uggisse dal fare una designazione, per quanto Fon. Meda non fosse mài apparso fino ad oggi uomo molto di sinistra...
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Comunque, approvato a grande maggioranza e col favore dei gruppi di sinistra l'ordine del giorno Cingolani, le acque corsero lisce e gli altri problemi proposti alla discussione — e che scaturivano dal primo problema politico fondamentale — potettero essere trattati e risolti rapidamente secondo lo spirito dei postulati posti dal Cingolani.
Tali problemi, che formavano la seconda parte del programma del congresso, erano’ 1 seguenti: crisi economica c azione del P. P. I. (relatore on. F. Mauro); condizioni delle terre liberate (rei. on. De Gasperi); riforma delle scuole elementari (rei. on. Piva); amministrazione civile del patrimonio ecclesiastico (rei. on. Degni); atteggiamento del P. P. I. nelle relazioni con la lega delle Nazioni (rei. on. Tovini): la regione -- cioè decentramento amministrativo (rei. don Sturzo); sul quale argomento Fon. Meda prese per la prima ed unica volta la parola, allo scopo di apportare un emendamento al progetto di don Sturzo, nel senso di restringere la portata del concetto della regione.
Io non ho preconcetti — disse Fon. Meda — ma credo che sia necessario non rimanga nella deliberazione del Congresso il concetto pericoloso della creazione di una regione. Stato nello Stato. La facoltà di legiferare che voi volete dare alla regione è la più squisita espressione della sovranità. Non vedo questa possibilità, ma vedo questo pericolo: che noi, colorendo cosi il concetto dell’ordinamento regionale, lo precostituiamo in antitesi, certo, non voluta, col concetto delia compagine statale o nazionale. Io vorrei che la discussione si concludesse con un’altra formula meno pericolosa. Vorrei, cioè, che la discussione fosse affrontata sopra un progetto concreto in modo che possa farsi un'idea del modo come funzionerà questo nuovo organo. Vorrei dunque che il relatore consentisse a questa... sostituzione di forma perchè allora l’ordine del giorno non legherebbe più le mani al partito e non sarebbe orientato verso la creazione di parlamenti elettivi regionali con facoltà legislative...
Domanderei che si sopprimesse dalla definizione della regione la parola « poteri legislativi ». La facoltà del legiferare, come quella del battere moneta, del dichiarare la guerra, lasciamola, per amor dì Dio, allo Stato! Limitatevi a fissare per la regione poteri semplicemente amministrativi c deliberativi!
E con questo emendamento infatti l’ordine del giorno fu approvato. Questo intervento dell’on. Meda non è senza significato, e sta jn certo modo a giustifi
care le acclamazioni fatte dopo le parole dell’on. Miglioli. Esso dimostra una volta di più come nel seno del partito, che ancora ha notevoli elementi confessionali, si sono già formati e vanno crescendo elementi disposti più a sentire i problemi politici e di governo, che non quella pura « azione cattolica », invocata dal marchese Cri-spolti e dall’l7w7d cattolica.
• • *
Il congresso non ha avuto una buona stampa nel campo liberale. Il Corriere della sera ha continuato a parlare di « equivoco popolare >; Carlo Russo, nel Secolo (27 ottobre) scriveva:
La discussione sul collaborazionismo, anche se impostata sui limiti della collaborazione, dato che la questione di principio era ormai superata, è apparsa come un saggio di dilettantismo senza fini pratici. Quali limiti si possono fissare quando la preoccupazione maggiore è in fondo quella di non perdere a nessun costo una buona posizione conquistata?
E il corrispondente romano del Giorno (29 ottobre) più vivacemente:
La realtà è ben diversa. I popolari hanno potuto e saputo conquistare la loro attuale situazione di arbitri dei destini ministeriali soprattutto dalla disorganizzazione dei partiti medi parlamentari. È vero che nel paese hanno tentato di dare l’assalto al campo lasciato quasi abbandonato dalla grande massa delia borghesia, fatta di professionisti, di commercianti, di industriali e di agricoltori, che se manca di pensiero, di anima e di organizzazione, rappresenta ancora però una classe di interessi non di rado convergenti tra loro. Ma questo assalto è stato solamente in parte coronato da successo, e lo è stato non in quanto è stato esso guidato da una qualsiasi bontà intrinseca delle sue idee animatrici, ma in quanto, a somiglianza del socialismo parlamentare, ha trovato una parte inattuata del programma liberale e borghese, c l’ha raccolta, e l’ha fatta propria, presumendo di poterla mettere in atto. Tale presunzione, nel Congresso di Venezia, è diventata addirittura superbia. Questa forse, è stata l’unica vera realizzazione di don Sturzo.
Rispondendo al Corriere della sera, ma anche un po’ a tutti, il Corriere d'Italia (27 ottobre) scriveva:
La stampa liberale, continuando ad occuparsi dei risultati del congresso di Venezia comincia a sorvegliarsi. Sembra quasi pentita, dopo le prime genuine impressioni, di essersi espressa con qualche accento sincero: di avere, cioè, riconosciuta Firn-
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portanza dell’avvenimento, l’alto significato politico delle sue principali affermazioni c di avere infine dovuto ammettere che quando un movimento politico riesce ad esprimersi con manifestazioni cosi intense c mature, come quelle che ¡('Partito Popolare ha saputo dare a Venezia, ha bene il diritto di essere valutato, anche dagli avversarii. con serenità e con obiettività, come pareva, negli scorsi giorni, che si avesse intenzione di farcii commento del Corriere della Sera che può considerarsi tipico al riguardo, non è tale che possa riassumersi o che di esso sia agevole rilevare una tesi fondamentale per contrastarla. Ritroviamo in esso tutti gli elementi, usati ed abusati, ptr tentare ancora una volta la dimostrazione che il movimento popolare non significa in sostanza che equivoco d’impostazione ideale, insincerità nell’attuazione politica e in conclusione, danno inevitabile, .se non si provvede, per questa povera Italia.
Commentare i risultati del congresso di Venezia? Ma è presto fatto: le affermazioni concrete sui problemi politico-tecnici, che pure hanno costituito la base e la nota saliente del congresso di Milano, non contano niente; il valore dell’atteggiamento circa il problèma della collaborazione, le conclusioni a cui sono giunti i dibattiti alti ed austeri delle singole -sezioni, la grande discussione sul decentramento e sulla Regione, il fatto veramente nuovo e sintomatico di essere riusciti ad appassionare un’assemblea politica su di un dibattito tecnico di tale natura, avere indicato allo studio e all’interessamento del Paese problemi che tutti gli altri partiti, presi come sono dal vuoto delle loro logomachie interne, si fanno un dovere di dimenticare; di avere offerto al giudizio dell’opinione pubblica un congresso la cui caratteristica principale è costituita dallo sforzo di discutere di cose strettamente legate alla realtà politica di oggi e alle necessità che da essa balzano vive; tutto ciò, per il Corriere della Sera, è meno che niente.
Ma a dir vero non sono mancate le critiche e le riserve nel medesimo campo cattolico. Quelle della frazione di destra erano naturali; meno aspettate — almeno nella forma esplicita in cui sono apparse —-erano le osservazioni dell’osservatore romano (28 ottobre):
È difficile trovare al lume di quella • capacità rinnovatrice » le forze con cui i popolari intendano praticamente collaborare.
Poiché se si tratta — facciamo qui il gioco sia pur scolastico di tutte le probabilità — se si tratta di organizzazioni sindacali, nella eventualità di una loro partecipazione diretta 0 indiretta al potere, le tre ipotesi possibili, delle bianche, delle neutre, delle rosse, nulla ancora ci spiegano; giacché
con le prime le condizioni poste alla collaborazione sarebbero inutili per la identità delle fedi; per le seconde, posto che ne esistessero, non vediamo come il neutralismo possa essere mai virtù di rinnovamento; per le ultime... Per le?ultime c’è proprio bisogno di dire-che l’ipotesi cade addirittura nell’assurdo?
Eh! si, perchè se lasciamo i Sindacati al di là da venire, c restiamo alla realtà politica e parlamentare dell’oggi, di fronte alla « tendenza a sinistra • concretata nell’emendamento di quassù, campeggiano in una solitudine ov’è estremamente facile riconoscerli, i gruppi socialisti.
E allora dobbiamo chiedere se con la guardinga circonlocuzione succitata il Congresso abbia voluto solo esimersi dal precisare una scottante designazione di possibilità? Dobbiamo cioè pensare che la rivoluzione materialista, comunque preparata, del partito socialista, meriti il nome e-la stima di un «rinnovamento profondo» da parte di chi si propone, per suo conto, di effettuarlo in nome dei principi cristiani? Ed è praticamente utile, se pur fosse concepibile, avanzare la ipotesi o lasciarla formulare all’opinione pubblica dopo il Congresso di Milano, oye gli stessi collaborazionisti dichiarano pregiudizialmente: • coi popolari no ■?
Fra i commenti della stampa estera, mi 5are di particolare interesse il commento el corrispondente torinese deli' Humanité (6 novembre), per quanto esponga le cose con tagli troppo netti:
Il Congresso popolare — dice il giornalista — mostra che la piccola borghesia resta ancora ribelle alla dislocazione necessaria per una rivoluzione proletaria.... Dal momento che il partito socialista ha lasciato fuggire l’occasione della rivoluzione, si sono formate in Italia due grandi organizzazioni borghesi: da una parte il partito socialista (intende parlare dei socialisti di destra e di centro), dall’altro il partito popolare, le sorti delle quali sono strettamente legate!
Quando il partito socialista diventerà collaborazionista, comincerà la disgregazione del partito popolare, perchè allora dovrà scegliere con.chi dovrà collaborare, e dovrà scegliere tra la sinistra socialista e la destra popolare.
È evidente che se il partito socialista avesse seguito la via della collaborazione (al Congresso di Milano) il Congresso di Venezia sarebbe stato il teatro di lotte di tendenze. Nel caso presente ogni possibilità di tensione è mancata ed il partito si è rinchiuso in una unità più apparente che reale.
(Bologna, 8 novembre)
Mario Vinciguerra
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STUDI DI CRISTIANESIMO MEDIOEVALE
Storia generale del Medio Evo. — Kvrt Kaser, Dos spòle Mitleldlter. Gotha, Per-thes, 1921, un voi, in-8 di pag. 278. Questa storia del basso medio evo forma il 50 volume della collezione: Wellgeschichte in pemeinverstàndlicher Darsteìlung, edita da Ludo Moritz Hartmann. È destinata quindi al grosso pubblico, ma, come ben di rado avviene in simili occasioni, essa è veramente, per il suo carattere scientifico, per le acute osservazioni, per l’organica comprensione dei fenomeni e per la felice esposizione, una magnifica opera di formazione culturale. I fattori, che operano lo sfasciarsi di un vecchio mondo e il formarsi di una nuova epoca, balzano da queste pagine vivi, avvincenti in tutta la loro piena efficienza storica.
Le ultime lotte tra il Papato e l’impero, l'esplosione dell’assolutismo teocratico tanto più verbalmente audace quanto più fragili sono ormai le sue basi reali, la formazione delle potenti monarchie, occidentali sono studiati nelle loro cause profonde e nel loro ineluttabile divenire. Non è più l'esposizione delle interminabili e dettagliate operazioni belliche dei vari Stati, qui sobriamente accennate, ma la storia della vita intima e multiforme dei popoli europei. E ciò che costituisce il maggior pregio di quest’opera è l’acuta analisi dei fenomeni economici che determinano e inquadrano e spiegano i fatti politici e militari e che logorano i vecchi regimi sociali per dar vita a nuove forme statali. L’epoca moderna nasce dallo sviluppo del mercantilismo e dall’affermarsi del capitalismo, che caratterizzano l’evoluzione politica e sociale del basso medio evo. In quest’o-Sera di rinascita grandeggia, come pre-omina in tutta quest’opera, l’Italia, maestra alle genti nuove d^Europa come
lo era stata alle antiche. Con il passaggio dalle forme comunali ai principati, con l’espansionismo commerciate delle sue repubbliche marinare, con lo sviluppo industriale di alcune sue città, con l’accumulazione dei capitali e la creazione di nuovi simboli e strumenti di cambio e di smercio, con i suoi audaci navigatori e i suoi dotti onniscenti fu l’Italia che insegnò all’Europa i principi della politica mondiale, che. rivelò l'uomo universale, che allargò la conoscenza della natura e dominò con i suoi capitali e con le sue merci l’Europa. La politica economica delle città italiane contiene tutti gli elementi del mercantilismo che sarà più tardi compiutamente elaborato in Olanda, in Inghilterra ed in Francia. Allo studio dei risultati princi-Eli del primo mercantilismo italiano, alla
•inazione del predominio del mercante italiano in Oriente e poscia in Occidente e allo sviluppo del mercato monetario italiano, l’autore consacra una larga parte e forse le più importante della sua trattazione. E finisce aggiungendo, in un breve ma sostanziale su dio sul Rinascimento, al predominio economico anche quello spirituale dell’Italia su tutto il mondo moderno.
Alla luce di acute e chiare idee generali, l'autore spiega e fa comprendere i fenomeni più caratteristici di quell’epoca, dalle guerre di coalizione allo scisma della Chiesa.
Ogni capitolo è preceduto dalla bibliografia delle opere più importanti, mentre una tavola crenologica abbraccia e chiude il volume.
Gregorio VII. — Augustin Eliche, Saint Gré^oire VII (Collezione « Les Saints »). Paris, Lecoffre, 1920, 1 voi. in 16, p vn-170. Da questo sobrio ma preciso volume del
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Eliche la gigantesca figura di Gregorio VII si sprigiona lucida e viva. Dopo di avere sommariamente accennato all'attività del monaco Ildebrando sotto diversi Si, l’autore analizza gli elementi esseni della sua opera pontificale. Le formidabili lotte che Gregorio VII sostenne contro la simonia e il nicolaismo dei prelati e contro il diritto d'investitura usurpato dai sovrani, culminanti l'una in una rigida centralizzazione ecclesiastica, e l’altra nell’assoluto predominio dell’autorità papale sopra ogni altro potere terreno, si riconducono in ultima analisi al programma di riforma religiosa che Gregorio VII, ripigliando e continuando l’opera degli ultimi suoi prodecessori, fece contro di tutta la sua instancabile operosità. Aveva cuore ed animo pari all’impresa e la sua fede, la sua energia, la sua tenacia, la sua intensa spiritualità ebbero ragione delle più ostinate resistenze e delle più gravi difficoltà. Onde anche quando potè sembrare un vinto, non si fermò per questo il nuovo orientamento che egli aveva saputo imprimere alla storia della Chiesa.
Nonostante le sue grandi virtù fu però un mediocre psicologo e un cattivo diplomatico. Prestò fede agli infingimenti di Enrico IV, sovrano spregiudicato ma molto più abile e furbo del suo avversario, e compromise col perdono di Canossa la sua vittoria definitiva. Sperando in un possibile e prossimo ritorno degli orientali scismatici in seno alla Chiesa, osteggiò da prima i Normanni e poi li spinse in Oriente a difesa dei Greci, privandosi così del più valido aiuto nel culmine della sua lotta con l'imperatore germanico, non riuscendo mai a rendersi ben conto nè delle vere intenzioni dei bizantini nè delle segrete mire di Roberto il Guiscardo. Però anche là dove venne meno il senno politico, grandeggiò la sua virtù cristiana. Il Eliche non trascura di dar rilievo alle deficienze politiche dell’opera gregoriana, nè questo è il minore dei suoi meriti. Nè mi sembra che egli abbia torto là ove egli rivendica all’assolutismo papale una portata democratica che manca invece all’assolutismo imperiale. Infatti, mentre il partito gregoriano, appellandosi al popolo contribuiva alla sua educazione politica e ne valorizzava l’importanza sociale, mentre esso, precedendo di parecchi secoli e da un certo punto di vista lo stesso Rousseau, propugnava, con Manegoldo di Lautenbach, la teoria del contratto in
base al quale il sovrano intanto veniva investito della sua autorità in quanto egli si adoperava a garantire l'ordine e la giustizia sociale e perdendola ipso facto non appena trascurava la sua funzione universale per trasformarsi in tiranno, i fautori dei diritti imperiali, con a capo Pietro Crassus, consideravano la corona come una proprietà privata, necessariamente trasmissibile, e applicavano a favore di essa tutti i testi giustinianei sull’eredità. Nella lotta, pertanto, tra i supremi poteri del mondo, venivano man mano elaborandosi gli elementi di un nuovo diritto Cubblico, che dovrà fornire alla società .ica e borghese le nuove armi per la sua emancipazione civile da prima e religiosa poi.
Il Fliehe, che è uno specialista dell’epoca gregoriana, ha riassunto in questo volume i risultati dei suoi studi antecedenti c ciò spiega come una seria dottrina storica si dissimuli sotto una forma piana e brillante.
Le Crociate. — Albert von Ruville, Die Kreuzzüge. Bonn und Leipzig, Kurt Schroeder, 1920, qn voi; in-16 di p. vi-370. Questo volume vuole essere una storia delle crociate redatta non sullo studio e la critica delle singole fonti e quindi materiata di risultati originali, ma sull’esame di tutta quanta la letteratura che ad esse si riferisce e quindi messa al corrente di tutte le più moderne ricerche scientifiche.
L’autore è piuttosto un volgarizzatore che uno specialista dell’argomento, e dal punto di vista divulgativo il suo è un buon manuale. Non è. però nè profondo, in quanto, pur mirando a mettere in rilievo i nessi storici e ideali che uniscono le crociate tra loro, non ne scruta il loro significato culturale; nè completo, in quanto ne trascura gli aspetti giuridici, letterari e soprattutto economici.
E l'aver trascurato l’analisi della portata culturale ed economica delle crociate costituisce senza dubbio il principale difetto di questo volume, per quanto tale deficienza sia stata voluta dallo stesso autore.
Ora se si pensa che i più durevoli risultati di tutto il movimento dei crociati furono, non quelli militari e religiosi, ma quelli commerciali e poi culturali, determinando tra l’Occidente e L’Oriente un contratto che doveva rivoluzionare il mondo degli affari a quello degli spiriti.
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donde poi sorgerà l'epoca moderna, si comprende l’inopportunità di limitare questo studio al racconto delle operazioni militari e degli intrighi diplomatici.
Destinato al grosso pubblico, questo libro non porta alcuna indicazione delle fonti. Esso fa parte, infatti, della collezione di cultura e di storia (Bucherei der Kultur und Geschichte, Bd. 5) edita da Seb. Hausmann. In compenso esso è corredato in fine da una buona bibliografia. Ci sembra però che sobrie indicazioni bibliografiche, specialmente là dove si citano passi dell’uno o deì’altro cronista, non ne avrebbero alterato il carattere e sarebbero anzi riuscite gradite agli studiosi.
Un’opera di Bernardo di Cbiaravalle. -The treatise of St. Bernard, abbai of Clairvarx, conccrning Grace and Free Will. Translated, with an introduction, synopsis and notes by Watkin W. Williams, M. A. London, Society for pro-moting Christian knowledge, 1920, un voi. in-16, di pag. xxni-94. Del trattato di San Bernardo: De Grafia et Libero Arbitrio, composto verso il 1128 e dedicato a Guglielmo abbate del monastero di St. Thierry, l’autore offre in questo opuscolo un’accuratissima traduzione inglese, condotta sui testi migliori, tanto stampati che manoscritti. Le principali varianti di essi sono riportate in nota. Una precisa sinopsi permette di afferrare d’un colpo la distribuzione della materia, gli argomenti svolti e le conclusioni dello scrittore. Numerose note illustrano e chiariscono il testo completato da un indice delle materie. L’opuscolo fa parte della serie II (Testi latini) della collezione delle traduzioni delle letterature cristiane, edita dai dott. W. I. Sparrow-Simpson e W. K. Lowther Clarke.
Studi francescani. — Tommaso Nfinì ani, La fiorita francescana. Antologia di prosa e poesia francescana antica e moderna. Voi. I: La Prosa. Milano, Casa editrice « Vita e Pensiero », 1921, un voi. in-16 di pag. xxii-490. Prezzo L: 18. Un acuto desiderio di pace e di fraternità umana, dopo l’immane tregenda che per cinque anni ha devastato uomini e cose, spinse il Nediani a far rivivere la dolce primavera francescana, veramente universale come la bontà e veramente pacifica come la rinuncia. E raccolse in
questa Fi orila quanto di più essenziale e di più suggestivo è stato scritto intorno a San Francesco, alla sua opera, ai suoi discepoli, ai luoghi che ne conservano ancora il ricordo e con il ricordo anche*J’a-nima, dai più antichi biografi sino ai più moderni scrittori. Il vasto materiale venne diviso e disciplinato in quattro grandi quadri: San Francesco, con la sua vita e le sue soavi leggende; le aureole francescane, con la rassegna delle grandi anime, dei beati e dei santi che si scalzarano per correre dietro a Francesco e Povertà; i paesaggi francescani, con la glorificazione dei luoghi che furono testimoni dell’epopea francescana; la poesia e la leggenda francescana, di cui si è sino ai nostri giorni alimentata la parte migliore dell’umanità.
La natura talvolta troppo frammentaria della raccolta nuoce alquanto alla sua organicità e sarebbe opportuno di ogni pagina citata dare, oltre al nome dell’autore, anche indicazione precisa della fonte. Nonostante questi e qualche altro difetto, è innegabile che ci si tuffa in questa fiorita con perfetta letizia e delizia. C’è in questo mondo francescano tanta poesia, tanta umanità, tanta sublimità che ogni cuore, anche il più freddo, che ogni intelletto, anche più incredulo, ne rimangono presi ed indiati.
Il presente volume raccoglie la prosa francescana, ma l’autore ne annunzia un altro consacrato alla poesia.
Contemporaneamente alla Fiorita del Nediani, in Francia, Maurice Beaufre-ton pubblicava una Anthologie franciscaine du moyen âge (Paris, G. Crès, 1921, un vol. in-16 di pag. xii-324. Prezzo fr. 8,50), che, pur riferendosi allo stesso argomento, è però diversamente concepita. Mentre quella del Nediàni raccoglie piuttosto la letteratura francescana, questa del Beaufreton riproduce le fonti francescane. Sono testi brevi o brani scelti dagli scritti dei francescani fioriti prima del 1453: san Francesco, il beato Egidio d’Assisi, il testimonio della passione dei frati nel Marocco, l’autore del Sacrum Gommer cium, Tommaso da Celano, Bertoldo da Ratisbona, san Bonaventura, Giovanni di Caulibus, Corrado di Sassonia, Giacomo da Milano, Giacomino da Verona, Salimbene, Jacopone da Todi, la beata Angela da Foligno, Raimondo Lulli, Ugolino da Monte Giorgio, Nicola Bozon, san Bernardino da Siena.
Una. succinta notizia bibliografica ac-
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compagna ogni singolo autore, i cui testi sono naturalmente tradotti in francese. Predominano i testi ascetici sugli storici, intenzionalmente, sebbene forse non molto opportunamente, trascurati dall’autore. E ci dispiace anche il non vedere rappresentata la corrente dei fraticelli e degli spirituali che pur nelle sue aberrazioni fu fedele depositaria del verace spirito francescano. Angelo da Clareno, Ubertino da Casale, Ugo di Digne e parecchi altri avrebbero potuto fornire interessanti pagine all’antologia senza alterarne il carattere volutamente cattolico. Così pure sarebbe stato opportuno riprodurre di alcuni scrittori, come Tommaso da Celano, Jaco-pone da Todi, san Bernardino da Siena, un maggior numero di testi. Mentre volentieri si scorrono le pagine di quest’antologia, nasce in cuore il desiderio di conoscere più largamente gli scritti di questi antichi e così moderni figli spirituali del Poverello. Assisteremo ad una rinascita francescana, non degli studi e delle ricerche scientifiche, ma dello spirito?
Ordine domenicano. — R. P. Mortier, des Frères Prêcheurs, Histoire- abrégée de ¡’Ordre de Saint-Dominique en France. Tours, Mâme et fils, 1920, 1 vol. in-8, pag. vin-387. L'autore, che ha buona conoscenza della sua materia e che scrive con stile spigliato, ha riassunto in otto capitoli le vicende storiche dell’Ordine domenicano in Francia. Il lavoro è destinato ai giovani novizi della provincia domenicana di Francia e ciò spiega forse come esso sembri piuttosto un saggio di edificazione religiosa che di critica storica. Oltre a raccogliere parecchie leggende di apparizioni miracolose e parecchie tradizioni che non hanno alcun fondamento, come quella relativa al rinvenimento del corpo di santa Maria Maddalena in Provenza, l’autore cade in non poche inesattezze. Egli fa una bizzarra confusione tra valdesi, albigesi e patarini, a tutti attribuendo una comune origine manichea e ritenendo naturalmente falsa la loro virtù di umiltà e di povertà evangelica. Degno invece di ogni lotte gli appare quel Simone di Montfort che capeggiò la crociata contro gli albigesi e fu di san Domenico un « prezioso amico ». Attribuisce stranamente a Pietro Vaidez la fondazione della setta dei Poveri Cattolici e sembra ignorare che, come san Domenico e prima di lui, anche Valdo aveva cominciato col
sollecitare dal papa l’approvazione della sua iniziativa evangelica. Parla dei Frati Umiliati, « la cui umiltà non arrivava sino
alla sottomissione al diritto ecclesiastico », come di un’istituzione unicamente ere
ticale. Nel famoso sogno dTnnocenzo III, in cui un uomo sostiene sulle sue spalle le crollanti mura della basilica lateranense,
quell’uomo, che per i francai f li è Francesco d’Assisi, per il nost cociore è san Domenico. Ed é così che
cia ’¿¿ènne l’approvazione della sua regdei
Monaci e canonici r&<y->..xf4cin virtù del voto di povertà, nulla potevano possedere in proprio, ma potevano possedere in commune e delle ricchezze del convento
e dell’abbazia anche i membri godevano sino allo scandalo. San Domenico, invece volle rendere effettiva la povertà rinunziando ai beni comuni. Questo era stato il concetto di san Francesco e degli eretici pauperistici che lo avevano preceduto, il nostro autore ammette, benché quasi cn passoni, che questa era l’idea di san Domenico, secondo i suoi primi biografi, ma poi trova naturale che egli accetti, 1 provvisoriamente », alcune rendite offertegli da Folco vescovo di Tolosa e da Simone di Montfort e che il santo non sollevi alcuna francescana obbiezione alla
bolla con la quale Onorio III conferma l’ordine « con tutte le sue terre e possessioni presenti e future». E ora perchè i primi domenicani erano costretti a vivere in paese ostile come la Linguadoca, ora perchè se non possedeva le case vicine qualche convento rischiava di trovarsi male circondato, ora perchè per praticare la povertà mendicante bisogna essere almeno in due: uno che chiede, l’altro che dà, e l’altro spesso non ci sentiva da quell’orecchio, così il nostro autore trova naturale che sin dai primissimi tempi la povertà apostolica, nonostante le proteste di qualche ritardatario evangelico come maestro Ugo di Vancemain, venisse relegata in soffitta. Questi argomenti un po’ scottanti sono trattati dal nostro autore en glissant, con l’aria di dire e di non dire, senza dubbio per non destare qualche turbamento nell’animo dei giovani novizi di Francia. E per lo stesso motivo forse alcuni altri punti piuttosto scabrosi sono presentati ¿-otto una luce che per essere più favorevole alla vanità domenicana non è certo la più veridica. Preoccupazioni meschine, trattandosi specialmente di un massimo Ordine della Chiesa che ha
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tante glorie vere e possiede una così lunga, viva e possente tradizione storica e scientifica. Ma ciò che forse maggiormente indispone il lettore che non ha il piacere di appartenere alla famiglia dei novizi di Francia, è il tono ridicolarmente nazionalistico e chauvin che pervade da un capo all’altro il volume.
Per csser^/tStato fondato in Francia,
l’origine del m. dine è francese e poiché, 3uando si t da * di adottare una regola, ei sedici Cerò agni di san Domenico
otto erano f
»rosi, anche la regola è per
metà di origine francese. Anche la devozione del Rosario, la cui organizzazione rimonta al secolo xv, per il fatto che la recitazione dellMve Maria era consueta
nei conventi dell’Ordine, fa parte essenziale della storia domenicana e questa fiagile base basta all’autore per affermare che il Rosario « è nato sul suolo francese nel secolo xni, che anche sul suolo francese ricevette intera e definitiva organizzazione e da un francese del secolo xv ». Anche lo -capolare, la cui origine è intessuta di elementi leggendari accettati tutti ad occhi chiusi, è una gloria francese, perchè, dopo la Vergine, un francese ne fu l’iniziatore: frate Keginaldo, il quale, come avverte l’autore, fu « il primo domenicano francese morto in terra francese ».
Peccato che il fondatore di un Ordine per tanti aspetti così francese sia stato uno spagnolo e che fra i tanti domenicani francesi non ci sia alcuno che per altezza di virtù e d’ingegno possa mettersi a paro degli spagnoli san Vincenzo Ferreri, Vittorio Medina, Cano; degl’italiani san Tomaso d’Aquino, santa Caterina da Siena, il beato Raimondo da Capua, san Pio V e perfino del tedesco sant’Alberto Magno. È vero che san Tomaso d’Aquino fu italiano, ma l’autore avverte che « la scuola tomista fu francese di nascita » e ripete che « è nata a Parigi » e che « da Parigi si diffuse per il mondo intero ». E francesi furono perfino quei tre domenicani che in terra di Francia assistettero Giovanna d’Arco durante il processo, la confessarono dopo la condanna e l’accompagnarono al rogo. Ce n’era un altro, è vero, un certo Giovanni Le Maître, priore di Rouen, il quale faceva parte del tribunale e decretò con gli altri giudici la condanna della Pulzella, ma, dice l’autore, era un soggetto .inglese e « io non Ssso contarlo nel numero dei domenicani
incesi ».
Quel primato dell’Italia domenicana che l’autore è restio a riconoscere nel campo della santità e della scienza non può essere da lui ignorato là dove parla dell’attività artistica del suo Ordine. Cosa sono gli artisti domenicani francesi padre Bes-son e padre Danzas di fronte ai domenicani italiani frate Angelico e frate Bartolomeo pittori, frate Ristoro, frate Sisto e frate Giocondo architetti?
Nonostante le sue mende, il volume del padre Mortier rimane un buon repertorio dei fatti domenicani di Francia e, specialmente per i tempi a noi più vicini, può essere consultato con profitto.
Eresiologia. — Vincenzo Brandi Sco-gn a.miglio, l'eresìa in Italia. Bari, « Hu-manitas », un voi. in-16, di pag. 52. In questo breve numero di pagine l’autore sfiora le principali manifestazioni dell’eresiologia popolare in Italia, dai catari sino a David Lazzaretti. Il tono qua e là alquanto enfatico dell’esposizione fa pensare a una conferenza, mentre a traverso l’immenso spazio percorso a volo d’uccello non si riesce di scoprire nè risultati di personali ricerche nè una sintesi originale dei fenomeni studiati. Tuttavia do-biamo riconoscere che l’autore, che non è forse uno studioso di professione, coglie generalmente con felice intuito gli elementi essenziali delle diverse eresie e, per quanto sommario e slegato, nè dà un'idea abbastanza chiara e precisa.
Marsilio di Padova. — Ephraim Emer-ton, The * Defensor Pacis » of Marsiglio of Padua. A criticai study. Cambridge, Harvard University Press, 1920, un voi. in-8, di pag. 81. L’autore, professore emerito di storia ecclesiastica dell’università di Harvard, ha scritto sul famoso trattato di Marsilio questo eccellente opuscolo, che forma il voi. Vili degli Harvard Theological sludies. Prima di addentrarsi nell’analisi del trattato, l’autore lo inquadra nelle correnti del pensiero politico del suo tempo, esponendo la teoria di san Tommaso d’Aquino sui rapporti tra l’impero e là Chiesa, in cui culmina la tradizione ecclesiastica mediale, a quella di Dante, il cui trattato sulla Monarchia rappresenta la transizione tra il vecchio e il nuovo pensiero, che, per la natura dei concetti e la fórma dell’argomentazione, è inaugurato appunto da Marsilio da Padova.
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L’autore consacra alcune interessanti pagine a distruggere l’affermazione dello storico francese Noël Valois il quale, nella Histoire Littéraire de la France, XXXIII, 528-623, ha sostenuto che il francese Giovanni da Jandun sarebbe stato, insieme a Marsilio, uno degli autori del Defensor Pacis.
Marsilio da Padova è stato, come è noto, un dei più validi assertori della sovranità popolare come fonte immediata di ogni autorità umana e l’Emerton con numerosi raffronti vuole anche dimostrare che l’espressione spesso adoperata da Marsilio della pars valentior va intesa nel senso moderno della maggioranza numerica. Marsilio credette alla storicità della donazione costantiniana, confutata più tardi da Lorenzo Valla, ma già prima del Valla messa in dubbio dagli Arnaldisti nel secolo xn, però egli afferma che la Chiesa ebbe il torto di elevare a significazione teorica e assoluta un diritto, avente una portata puramente storica. L’autore espone chiaramente le interessànti osservazioni di Marsilio sul concetto di Chiesa, sulla distinzione fra i beni spirituali e quelli temporali, tra il dominium e la plénitude potestatis, tra il judex e il judicium, sulla venuta di san Pietro a Roma, per la 5rima volta da Marsilio trattato al lume ella critica storica, sulla funzione del Concilio generale. Nè trascura di mettere in rilievo i rapporti esistenti tra le teorie di Marsilio e il moto dei francescani spirituali e l’influsso che esse esercitarono sull’elaborazione del nuovo diritto pubblico e sulla formazione delle nuove correnti religiose che culmineranno infine nella Riforma attraverso Vicliffo.
Roma nel M. E. — A. De Boudard, Le régime politique et les institutions de Rome au moyen-âge, 1252-1347. (Bibl. des Ec. franç. d'Athènes et Rome, fase. 118). Paris, 1920, un vol. in-8 gr. di pag. xxx-362. Lo studio del De Boüdard, che continua e completa quello notissimo dell’Halphen (Etudes sur l'administration de Rome au moyen-âge, nella Bibl. de l'Ec. des H. E., fase. 166), comprende un secolo circa di storia, tutto <juel periodo appunto durante il quale il potere popolare prese, ora più ora meno efficacemente ma effettivamente, parte all’amministrazione degli affari pubblici. Il volume è diviso in due !>arti. Nella prima parte l’autore studia e vicissitudini, le lotte e le aderenze dei « partiti rivali », che si disputavano il pre
dominio sulla città di Roma, e cioè del papato, della nobiltà, del popolo sorto a com ne e dell’ impero. Nella seconda parte vengono studiate le « istituzioni », e cioè le magistrature, le funzioni dei comune: giustizia, e crei o, polizia, finanze, approvvigionamenti. e 4 clero, tanto entro le mura d ila città che nel distretto romano. Un’appendice è consacrata allo studio delle relazioni del comune romano con alcune città dell’Italia centrale. Segue la lista cronologica dei senatori e dei magistrati sup erni del comune romano dal senatore Brancaleone degli Andalò (1252) sino a Cola di Rienzo (1347), e quindi la riproduzione di 41 documenti, quasi tutti inediti, tratti dagli archivi Segreto Vaticano, della Biblioteca Vaticana, di San Pietro in Vaticano, dall’Archivio Capitolino, dal-l’Archivio di Stato di Napoli edall’Archivio Sacchetti di Roma. Un indice alfabetico delle materie completa il volume.
Frutto di un lungo e paziente studio sulle fonti e di un accurato spoglio di documenti archivistici, il volume del De Boudard raccoglie sull’argomento una ricca messe di notizie per lo più interessanti anche se non sempre nuove. Grazie ad esse, l’autore è riuscito a determinare con maggiore chiarezza e precisione l’influsso di ciascuno dei poteri rivali sugli avvenimenti del Comune di Roma. E la più importante conclusione cui egli perviene è senza dubbio questa: che mai, neppure durante le frequenti assenze dei papi da Roma e neppure durante il periodo della cattività babilonese, il papato si disinteressò degli affari romani, chè anzi nulla si fece mai a Roma cui la Santa Sede non fosse stata direttamente o indirettamente mischiata. Mentre l’influsso imperiale sul Campidoglio è sporadico e subordinato in genere alla presenza degli imperatori in Roma, quello dei papi è costante ed efficiente sempre. La prosperità economica della città era condizionata dalla presènza dei papi e dalla sua sottomissione al loro potere e questa è stata la principale ragione per cui non potè mai durevolmente affermarsi la sua autonomia comunale e repubblicana. L’autore fa sfoggio, nelle numerose annotazioni, di larga e ricca documentazione e non si comprende perchè egli non abbia utilizzata o almeno mai citata nè l’opera del Tomassetti sulla Campagna romana nè quella del Pompili sul Senato-romano. D’altra parte, l’autore si contenta di sfiorare appena la maggior
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parte degli argomenti da lui trattati, ma non è il suo minor pregio quello di fornire un’eccellente base ad ulteriori e più complete ricerche.
I santi. — E. Sainte-Marie Perrin, La belle vie de Salute Colette de Corbic (1381-1447). Paris, Plon-Nourrit, 1921, un voi. in-x6 di pagg. m-289. Dopo Giovanna d’Arco, la piccarda Coletta di Corbie fu la donna più famosa di Francia durante la prima me à del secolo xv. Cominciò la sua carriere religiosa come reclusa presso la cattedrale del paese natio e ne usci qualche anno dopo per accingersi alla riforma dell’Ordine francescano, di cui faceva parte. La sua santità, le sue penitenze, la tenacia che caratterizza coloro che sono in possesso d’una vocazione e d’una missione divina, le fece trovare preziosi collaboratori e validi appoggi presso le famiglie regnanti dei vari Stati di Francia, grazie ai quali ella potè, con l'approvazione di Martino V, riformare e fondare numerosi conventi francescani in Francia. Per quanto limitate dai pregiudizi dei suoi tempi, le virtù e l’opera di Coletta sono, certo, ammirevoli e non dubitasi che ella
possedesse un singolare potere di suggestione e una traslucida intuizione che le permetteva di dominare le coscienze e di leggere nei segreti ripieghi delle anime. L’autore, che ne narra, con bella forma letteraria, la vita, raccoglie larga messe di fatti meravigliosi e miracolosi, e per quanto l’esposizione ne sia garbata al punto che spesso se ne intravedono prudenti riserve o naturali spiegazioni, non ci sembra che la critica, in un’opera che oltre ad essere di edificazione è anche di storia, sia stata sufficientemente esercitata. Per vivo poi che fosse l’interessamento di Coletta alle deplorevoli vicende della Chiesa divisa tra diversi papi, la sua attività non ci permette affatto, come desidererebbe l’autore, di porla accanto ad una Caterina da Siena. E molto problematico ci sembra anche l’incontro fra Coletta e. Giovanna d’Arco, nonostante tutti gli sforzi dell’autore per renderlo accettabile.
Il volume si apre con una breve prefazione di Paolo Claudel, scritta in prosa poetica, e si chiude con una buona biblio-5rafia del soggetto e con una raccolta di ocumenti che si riferiscono alla santa.
Antonino De Stefano.
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Cristianesimo e civiltà secondo Ernesto Troeltsch. — In tre interessanti e particolareggiati articoli pubblicati nella Revue d'hisl. et de phil. religieuses di Strasburgo (genna:o-febbraio, marzo-aprile, maggio-giugno 1921) E. Vermeil espone la filosofia religiosa di Ernesto Troeltsch già professore di teologia protestante all’università di Heidelberg, ed ora a Berlino, una delle figure più notevoli del protestantesimo tedesco contemporaneo. L’A. dapprima studia il metodo di questo pensatore tedesco che è il rappresentante di quell’idealismo critico che ha tentato di mettere un po’ d’ordine nell’arruffata matassa delle conoscenze sperimentali e storiche. Tra la teologia dogmatica e quella storica il T. ha voluto trovare una via di mezzo, buttando a mare il relativismo storico è fondando una vera scienza della religione, riattaccandosi al romanticismo tedesco ad a Schlciermacher. Rigettando l’assoluto cristiano e stabilendo che il cristianesimo è ili corso di sviluppo e di vita, respinge l’ooi-nione di Harnack sull’essenza del cristianesimo e propone in nome dell’idealismo critico di vedere in essa non un vano principio astratto, ma un principio attivo, onde Loisy ha ragione contro Harnack, sebbene egli abbia pure torto, perchè sostituisce alla nozione di essenza quella di Chiesa. Cionondimeno anche alla nozione d’essenza occorre fare una critica c cioè che le forme storiche non sono manifestazioni normali della sua essenza, perchè tra cattolicesimo e protestantesimo vi è irreducibilità. Nessuna Chiesa, neppure le Chiese riunite, realizzano integralmente l’essenza del cristianesimo. Essa è invece legata indissolubilmente a un giudizio personale sulla relazione che esiste tra i fenomeni essenziali del cristianesimo e l’idea cristiana.
Ne segue che sorgono i problemi delle origini cristiane e della persistenza o della decadenza del cristianesimo e dei rapporti sociologici del cristianesimo e delle sue relazioni con la civiltà.
E. Troeltsch si accinge quindi su queste premesse a dare la sua sintesi storica del cristianesimo, mettendone in rapporto Sl’inizi con la sociologia generale o inqua-randolo in essa. Le prime forme cristiane che ci si presentano sono l’Evangelo, il Eaulinismo e il cattolicismo primitivo.
'Evangelo è assolutamente religioso, concepisce il rapporto tra l’uomo e Dio, al di là di qualunque idea di società e di chiesa; il Regno di Dio non è che una realtà interiore e trascendente. Così il cristianesimo primitivo è un movimento religioso solamente, non un movimento sociale; esso va al di là dello stato sociale contemporaneo, afferma l’indipendenza relativa dell’idea religiosa. Col paolinismo si à già il culto di Cristo e la costituzione della comunità cristiana in corpo del C. e sorge con l’eguaglianza religiosa il problema della predestinazione, il quale però tronca i nervi all’egalitarismo astrattole assoluto dell’Evangelo e fa sorgere una norma sociologica cristiana sui generis. L’individuo vi fa parte intieramente: fuori vi è lo stato voluto da Dio per l’ordine e la moralità esteriori. Sorge in una terza fase la Chiesa che si unifica e centralizza, più che sull’esempio dell'impero, in virtù della nozione di sacramento e di unità dottrinale che genera la centralizzazione e l’esclusivismo. Comincia quindi l’opposizione tra la Chiesa, ancora concepita misticamente e religiosamente, ed il u mondo » e due mezzi per salvarsi: l’ascetismo monacale o il compromesso. Più tardi solo si* penserà a trasformare la
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società, che per ora è rappresentata dal mondo romano eterno, li contatto tra la Chiesa e la Società si effettua solo mediante l’utilizzazione del platonismo e dello stoicismo da parte della teologia cattolica. Impero e Chiesa universale coesistono, ma sta per sorgere l’idea d’una civiltà cristiana organizzata. Questo é l’assunto del M. E.; con Carlomagno si ha definitivamente l’assunzione dell’idea religiosa per cinque secoli al servizio dello Stato e della civiltà c con Gregorio VII si afferma la libertà della Chiesa non solo, ma la sua supremazia sullo Stato. Ciò il T: prova col tomismo e con la scolastica, studiandole acutamente.
Ma quel che è più originale, secondo Troeltsch, ò che il M. E. é continuato dal vecchio protestantesimo: poiché non con la Riforma, ma con la metà del secolo xviii appena si distacca per lui la civiltà medievale dalla moderna.
È vero, dice il T., che il protestantesimo è anticattolico, che Lutero lo colpisce al cuore quando trasforma la grazia in realtà Juramente psicologica, la religione obiettiva in idea di Dio e la religione subiettiva in fede fiduciosa; è vero che Lutero interiorizza il miracolo e lo limita alla sfera dell’anima e del pensiero e che con lui la religione diviene personale, la moralità autonoma e libera; ma è pur vero che Lutero conserva l’eredità formale del M. E., il sogno d’una civiltà cristiana integrale. I>a Riforma adotta il tipo sociologico della Chiesa, non ritorna all’Evangelo primitivo, non riflette alla differenza che corre tra Gesù e Paolo, ma riprende il Stalinismo con lo spirito agostiniano. La ¡forma ha per scopo una « instauratio catholica », non è che un’interiorizzazione dell’idea ecclesiastica, non fa che conciliare la lex Christi con la lex nati trae. Se non che interiorizzato l'individuo e introdotto in esso il conflitto tra la morale corrente e quella cristiana assoluta, porta con quest’antinomia la decadenza della morale dell’obbedienza all’autorità « Brevi ter, quod illis est Papa, nobis est scriptura ». Da questo punto di vista occorre studiare perciò il luteranismo e il calvinismo. I Spali due insieme, con il cattolicismo me-ievale, costituiscono la serie completa dei grandi tentativi della civiltà cristiana integrale: accanto vi si costituiscono due tipi sociologici di capitale importanza, la setta e la mistica spiritualista. Insieme con l’umanismo teologico, da cui deriverà
il razionalismo moderno, queste due forze respinte dal vecchio protestantesimo in nome d’un ideale ecclesiastico tutto medievale di forma, finiscono col bastare a sé stesse, reagire sulle vecchie chiese e iniziare il pensiero moderno. Esse affermano l’autonomia dei valori della civiltà e oppongono al vecchio móndo la coscienza individuale, la tolleranza, il relativismo e l’ottimismo inerente all’idea di progresso.
Lasciando a parte il cattolicismo, T. si domanda come ha contribuito il protestantesimo alla civiltà e risponde che il vecchio protestantesimo ha contribuito solo indirettamente alla formazione del mondo moderno, che la religiosità moderna individuale è di origine protestante, ma per opera di un protestantesimo trasformato non ascetico. Ad esso si dovrà tutto il trionfo della critica biblica, tutti gli sforzi della scienza religiosa e, politica-mente, la secolarizzazione dello Stato. Sorge con ciò la religione della convinzione personale e contro il protestantesimo si volgono le forze stesse che sono state da lui favorite: l’ascetismo medievale in una parte del mondo protestante è sostituito dall’idea di progresso, sebbene a sua volta il primo reagisca e porti il pietismo che aiuterà l’individualismo religioso. Il T. finisce poi con l’esaminare le varie reazioni e controreazioni neocalviniste e neoprotestanti ed a studiarne le manifestazioni odierne, osservando che il luteranismo stesso, perduto l’appoggio dello Stato, si ridurrà alle forme che ha preso il protestantesimo anglosassone.
In tale sintesi, da noi molto brevemente e superficialmente riprodotta, per necessità di spazio, la storia dell>Mos cristiano assume un significato: l’evangelo non si realizza nella terra senza compromessi. Il cristianesimo è in conflitto perenne col mondo; esso deve conciliarsi con la civiltà. Nuove realtà sociali entrano ora in lizza, l’idea cristiana le accompagnerà sempre integra e vivente, pur senza realizzarsi, perchè esse non creeranno il regno di Dio. Non esiste un’etica cristiana assoluta, ma dei tentativi sempre rinnovati in una lotta incessante. tra il cristianesimo e la natura umana, senza speranza di una perfetta realizzazione.
Il V. conclude questa parte del suo studio, facendo delle notevoli obbiezioni a questa sintesi potente, obbiezioni che non possiamo riprodurre per mancanza di spazio.
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Nell’ultima parte del suo lavoro il Vermeil fende conto degli studi del Troeltsch in merito al presente ed all’avvenire del Cristianesimo, studi ch’egli dichiara non meno profondi dei precedenti. Anche qui, non potendo riassumere tutto il lungo studio del V.; ci limiteremo a riferire ch’osso prende in esame quésti quattro punti: r° a'che punto sono le confessioni cristiane: 2° quale posizione esse hanno di fronte allo Stato; 3° quale atteggiamento devono assumere di fronte alla civiltà presente; 4” relazione che il cristianesimo deve avere con le altre religioni (missionarismo).
Il pensiero del Troeltsch in ogni modo si può riassumere in questi concetti da lui esposti più particolarmente al Congresso universale del 1910. Tra l’ateismo moderno e la reazione ecclesiastica vi è posto per il libero cristianesimo « che riunirebbe le tendenze comuni al modernismo cattolico ed al liberalismo protestante». Esso darebbe una preponderanza alla vita interiore, si porrebbe tra il vecchio ed il nuovo mondo, collegando le potenze religiose di Snello con le intellettuali e sociali di questo: ¡fenderebbe, di fronte al pensiero moderno, gli elementi essenziali del cristianesimo; affermerebbe: il teismo e il personalismo giudeo-cristiani; la conclusione della personalità umana per la comunione con la vita divina personale, l’opposizione tra Dio e il mondo: la sofferenza ed il peccato, espressione tragica del conflitto tra i valori assoluti e i valori relativi, la necessità di combatterli e di vincerli, ossia una concezione energica delia vita che avrebbe Ser fine supremo il trionfo sulla relatività ell’esistenza c il male. In seguito affermerebbe il Cristo, il Cristo della storia e il Cristo assoluto, senza far girare intorno a Gesù tutta la storia universale. Non lo divinizzerebbe e non ne accetterebbe gli. attributi di redentore. Cristo sarebbe l’incarnazione cristiana dell’idea di Dio, concepita in forma storica e simbolica e resa presente per mezzo del culto. Il libero cristianesimo affermerebbe una morale cristiana che orienterebbe l’uomo verso l'al di là e si oppórrebbe all’eudemonismo moderno. Affermerebbe la Chiesa e il suo culto che perseguirebbe grazie alla tradizione. Di fronte allo Stato separazione, senza poter stabilire se ci sarebbe un clero. L’importante è per ora creare un Iensiero libero, specificatamente religioso.
I pensiero cristiano non sarebbe quindi emulo del filosofico: collegherebbe la
metafisica trascendentalista con il sentimento religioso: mostrerebbe che la fede in Dio e nel Cristo si confonde con la fede nel Logos, del mondo.
11 V. promette di vedere altra volta se e come si sia orientato il pensiero del T. nella crisi che ha subito l'idealismo tedesco dal 1914 al 1920.
La Chiesa russa e la rivoluzione. —- Si occupa di questo interessante argomento la Revue des ieunes del io agosto: A. Gratieux vi nfà brevemente la storia della Chiesa russa dalla rivoluzione del 1917 ad oggi, mettendo in luce come sotto Kerenski, a malgrado del laicismo di Stato, essa fosse libera. Il concilio di Mosca del 15 agosto 1917 segna una data per la Chiesa ortodossa, che non era stata sin’allora libera di riunirsi e di deliberare sui suoi statuti. Le riforme che il concilio organizzò o tentò fecero buona prova, p. es. quella delle associazioni parrocchiali. Se non che un rude colpo le veniva dal trionfo del Bolscevismo, il quale ha fatto di tutto per strappare dal popolo il sentimento religioso, mettendone in ridicolo le manifestazioni, colpendo il sacerdozio anche se non direttamente, indirettamente come espressione della società borghese. Cionondimeno le masse russe sono ancora profondamente religiose e, quel che è più, si nota in esse un movimento in senso apocalittico. proprio dell'anima russa. Non è improbabile che la Chiesa russa uscirà da questa crisi ingrandita e purificata e che si orienterà forse, secondo l’A-, verso occidente.
La Còte d’Ivoire sarà cattolica o protestante? — Sotto questo titolo le Nouvelles rcligieuses del x° ottobre pubblicano un interessante articolo che dimostra tutta la preoccupa zione politico-religiosa dei francesi per quella loro Colonia africana. In essa si sarebbe notato un certo risveglio religioso dapprima con un certo profeta Harris, nero wesleyano, venuto dalla Liberia, che con mezzi che forse noi non troveremmo di buon gusto, ma tali da abbattere le superstizioni secolari degl’indigeni feticisti, riuscì in pochi mesi a fare ciò che in venti anni non avevano neppure potuto abbozzare i cattolici. Vi fu successivamente un altro agitatore religioso che avrebbe scosso le coscienze degli indigeni. Egli fu seguito da altri e con l’opera di tutti costoro il senso religioso di quelle popolazioni fu
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più disposto a ricevere la parola dell’Evan-gelo. Óra se ne disputano l’evangelizzazione cattolici e protestanti, questi sostenuti dagli inglesi, quelli dai francesi che sono i padroni della colonia e che con il nuovo orientamento politico-religioso francese fanno di tutto per cattolicizzare la regione.
L’Islam e il suo avvenire. — Nella Rcvue desdeux niondesdeì 1® agosto un anonimo dedica a questo argomento una trentina di pagine che farebbero bene a leggere e meditare non solo quanti si interessano al problema religioso dell’umanità, ma quanti si occupano di politica religiosa coloniale. L’A. naturalmente esamina il fattore islamico ed il suo avvenire dal punto di vista francese, facendo riflettere che l’impero africano della Francia conta ormai una trentina di milioni di abitanti e che da essi unicamente; con molta probabilità, la madrepatria, se vorrà restare una grande potenza, potrà trarre tutte le sue risorse se saprà risolvere il problema musulmano. Ora per l’articolista il punto fondamentale della questione è l’adattabilità che presenta l’IsIàm al moderno indirizzo sociale e culturale, sia per le sue caratteristiche religiose, sia per il progresso delle idee che ha permesso un attecchimento in Egitto ed in Turchia e pur nell’india delle più avanzate e più anticoraniche conquiste del pensiero moderno. Si aggiunga che la cultura veramente musulmana è ormai tramontata e che facilmente si diffonde quella occidentale tra i più fedeli credenti di Maometto e Che le stesse belle arti ed industrie etniche spariscono in modo così rapido che, non essendovi alcun vantaggio in questo assorbimento occidentale, sarebbe bene porvi riparo. Ne viene di conseguenza che quando si sappia e si voglia interessare il musulmano ai nostri usi, alle nostre idee ed alle nostre forme di civiltà, non vi è assolutamente nulla che vi si opponga, la religione concedendo tali e tante libertà da permettere di inquadrare in poche formole rituali tutta una corrente di idee che può sembrare esserle profondamente contraria, ma che in fondo non lo è. La larga diffusione di cui del resto l’islamismo dà prova, dimostra che il suo adattamento è facile e che l'organica grandiosità e semplicità delle sue linee fondamentali come fede monoteistica, libera dell’influsso di sacerdoti investiti di autoiità soprannaturale.
ne permettono anche una più ampia assimilazione alla nostra medesima civiltà.
— Non diversamente concludono le Nou-velles teligieuscs del 15 ottobre u. s. in un articolo che si raccomanda alla lettura per la sua chiarezza e per la sua brevità.
Religione e credenze dei negri del centro delTAfrica. — Sotto questo titolo nel Morsure de Franse del 1® settembre il doti. Luigi Houot fornisce delle interessanti notizie di carattere religioso su alcune tribù dei negri del centro dell’Africa da lui visitate, in primo luogo sui Bongio o Mongiembo, selvaggi cannibali dell’Alto Ubanghi, che costituiscono il primo scalino tra l’animalità e l’umanità, sebbene essi siano già superiori ad alcune tribù la cui costituzione sociale è ancora più elementare, in quanto che vivono nomadi e in famiglie non formanti collettività sociali. Per coloro i quali affermano che la religione è un’ sentimento innato dell’uomo questa tribù selvaggia costituisce un eccezione, mancandole assolutamente qualunque credenza in Dio e nell’al di là. Non hanno alcuna legge morale, nessun principio astratto, nessun freno che non sia quello della forza brutale e violenta, alla quale unicamente sottostanno. Privi di qualsiasi iniziativa spirituale e intellettuale, vivono una vita vegetativa, sottomessi al diritto ; del più forte, sottomissione che essi incarnano in qualche modo nel rispetto o meglio nel timore che hanno per i loro stregoni, i N’Ganga. Odiati, costoro accentrano in sè tutta la pallida vita superiore della collettività in quanto che ad essi i Bongio ricorrono ogni qualvolta il minimo fatto straordinario si manifesta nella loro vita monotona e bestiale. Il morso delle bestie feroci, la fortuna di una caccia, la protezione dal fulmine, le malattie, le operazioni chirurgiche, il giudizio di Dio, per dirla con linguaggio medievale, la morte stessa non essendo per questi negri se non l’effetto di una violenza da scongiurare o da punire, e gli stregoni, che formano una classe gerarchicamente costituita, provvedono o ad ottenere che la cosa abbia successo o sia annullata nei suoi effetti oppure a punirne il colpevole. Ed è tanta la fede che i B. hanno in quest’azione dei loro stregoni che anche quando non hanno compiuto nessun male se il giudizio di Dio —che si compie facendo bere al presunto colpevole una bevanda velenosa preparata dallo stregone—riesce loro sfa-
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vorevole, essi si riconoscono in colpa, assicurando che non se ne ricordano o non ne hanno coscienza, ma che è certo che l’hanno compiuta. Il giudizio di Dio però non costituisce il fatto primordiale d’un risveglio morale: costituisce solamente una forma di rappresaglia, in quanto che ad una morte si deve rispondere con una morte. Ciò è tanto vero che se nel momento stesso la collettività dispone di prigionieri di guerra d’un'altra tribù, non si ricerca neppure il colpevole, ma si prende uno dei prigionieri e... lo si mangia!
L’al di là non li preoccupa affatto: non esistono funerali. 1 poveri sono, in genere, mangiati o essiccati sopra il focolare fornendo il loro grasso per cibo o per medicamento. I capi sono sepolti, ma con le cose loro pertinenti spezzate, il che, secondo VA., costituirebbe la prova dell’assenza in essi di qualunque sentimento dcl-l'al di là. [La cosa merita osservazione e... comparazione].
In conclusione i Bongio ci rappresentano una specie di animalità dotata di linguaggio e di morfologia umana con in potenza una costituzione psichica e intellettuale umana, delle quali si sono sviluppate solamente gli elementi provocati dalla vita naturale. Donde il culto unico ed esclusivo della forza e la nessuna meraviglia ed il nessun interesse per la civiltà anche se si manifesti nelle forme più sorprendenti. Vapori o fucili o altre novità simili non li sorprendono, in quanto che le giudicano • cose di bianchi » ed essendo privi di sentimento religioso non le attribuiscono neppure ad una forma divina che le produca e desti ammirazione.
Non occupandosi che di passaggio dei popoli feticisti, i quali costituiscono il vero primo modello dell’umanità primitiva con le loro credenze sull’anima, molto vaghe e indecise, ma reali, al punto che il negro può essere convinto di colpa dal fattucchiere, anche quando egli eccepisca l’alibi del sonno, con la domanda: ma la tua anima?; con il loro culto per i geni che personificano tutte le forze della natura che essi non si possano spiegare, ma con la loro forma religiosa assolutamente primordiale che non è fondata sull’amore, ma semplicemente sulla paura e sul tormento, l’Houot parla più estesamente di altre tribù centro-africane che sono giunte ad uno stadio più evoluto di credenze religiose come i Mangia, i Banda, i Sango, i Banziori. Su di
essi ha forse influito la tradizione, diffusasi anticamente, di altri popoli più evoluti. Quello che è certo però è la costituzione presso di essi di un vero e proprio clero, a capo del quale sta una specie di pontefice massimo, il N’Gakura, che vive nel profondo di un bosco sacro, al quale nessuno osa avvicinarsi. {Rex nentorensis. N. d. R.J Egli per mezzo di un collegio di iniziati si tiene in contatto con gli uomini e fa da intermediario tra essi ed i geni, non senza naturalmente carpire alla buona fede dei credenti tutte le cose necessarie di cui ha bisogno.
Una speciale cerimonia di introduzione nel bosco sacro accoglie, ancor fanciulli, gli iniziandi al sacerdozio e ad essi è propinata una bevanda che deve far loro dimenticare il passato. Un’altra simile bevanda chiude il periodo dell’iniziazione della quale essi non possono rivelare nulla, più per timore e per ordine del grande pontefice che forse per effetto del narcotico. Restituiti così alla vita, vi partecipano sempre come creature del N’Gakura.
Questi negri credono ad un Dio supremo: Jurungu, giusto e buono e creatore del inondo, ma accanto ad esso vivono ed hanno culto geni, personificanti le varie forze naturali, geni delle acque di diverse specie, geni delle foreste, che sono festeg-Siati dai sacerdoti con danze e banchetti, pcciali solennità vi sono per la circoncisione e l’incisione clitondiana. Offerte si debbono fare al N’Gakura ed ai sacerdoti: le fonti debbono essere propiziate con la pur minima offerta di un filo d’erba. I geni sono così venerati e per malefici che siano non sono mai tanto quanto le uguali divinità che i popoli civilizzati hanno ideato!
Qual sia il destino dell’anima dopo la morte non è meno interessante. Dopo le cerimonie funebri l’anima si stacca dal corpo e subisce il giudizio di Jurungu, che se esse hanno fatto del male (omicìdio) le condanna a ritornare in terra, ma nel corpo di animali; se hanno fatto del bene le manda ad una specie di Campi Elisi. Possono però ritornar la notte in terra a visitare i loro parenti od essere evocati dagli stregoni o far conoscere nei sogni i loro bisogni.
Le funzioni di Jurungu non sono molto chiare: esso sembra una specie di Fato, che nulla può contro i Geni malefici: ha creato però il mondo, lo ha ordinato ed incarna l’idea di Giustizia. Non gli si
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presta culto però se non per i grandi fenomeni naturali e a colpi di tam-tam e con urla, affinché accordi attenzione ai buoi fedeli. Egli così sembra aver abbandonato la terra al suo destino, dopo che l’ha creata e vi ha messo gli uomini. Il che i Banda si spiegano in questo modo. La Terra era al principio sorvegliata da un soldato, Téré, che un giorno fu chiamato da Ju-rungu e invitato a popolarla mediante l’invio di un tam-tam sospeso ad una fune e pieno di una quantità di semi vegetali e di una copia per specie di animali, compreso naturalmente l’uomo tra questi. Giunto in Terra Téré avrebbe dovuto far conoscere a Jurungu il suo arrivo con un colpo di tam-tam e questi avrebbe tagliato la corda. Se non che un cinocefalo, a metà strada, -batte iY tam-tam; Dio taglia Fa corda con l’effetto che s’immagina! Questo fatto spiega gli animali domestici ed i selvaggi, questi figli degli sperduti e spauriti del tam-tam, quelli figli dei pochi rimasti! Téré ha insegnato poi tante belle cose agli uomini e uh bel giorno se n’é andato non si sa ben dove.
Il dott. Houot fa seguire questi dati da alcune sue considerazioni di carattere critico-religioso che mi dispenso di far conoscere ai lettori sia perchè essi sono in grado di farsele da sè sia perchè sono piuttosto dovute ad un’informazione superficiale. Basterebbe a provarle il fatto che l’Houot crede che i Greci abbiano dato alle loro divinità le apparenze della bellezza umana, perchè • il loro spirito sagace distingueva già varie differenti modalità della forza-e anche perchè era una delle qualità distintive del loro genio quella di non potersi inchinare davanti ad una potenza, qualsiasi che non avesse contato tra i suoi attributi quello della bellezza! »
•. La fortuna religiosa di Dante. — G. Goyau in un bel fascicolo della ftevue des Jeunes del 25 maggio, tutto dedicato all’opera di Dante in occasione del suo VI centenario, prende in esame la fortuna dell’opera dantesca nel senso religioso, rilevando quanto tardi si fece sentire in Francia e come di fronte alla Rinascenza fu piuttosto magnificato come acattolico, che come ortodosso. Cominciando col De monarchia che parve un attacco alla potenza papale e che ebbe special-mente nei paesi della Riforma grande fortuna, proseguendo con le invettive antipapali della Divina Commedia, se ne
riscontra da per tutto l’influenza, ma come sedicente precursóre della Riforma e persino come suo profeta. Il Bellarmino si oppose a una tale interpretazione. Cionondimeno nel lóri il letterato e soldato protestante Du Plessis-Morney lo mette tra coloro che osteggiarono la Chiesa di Roma e viene ripreso dal domenicano Coeffetau. Ma la tradizione che fa di Dante un acattolico e che mette tra lui e il cat-tolicismo un fossato progredisce fino a raggiungere il massimo in Voltaire e de Jau-court che ne fanno una vittima dei papi. E con l’Enciclopedia non cessano queste deformazioni: trascurando le altre che cita il G.» è sintomatica quella di tal E. Aroux che.... svela a Pio IX un Dante non solo eresiarca, anticattolico, ma anarchico! e di un tal Cobourg che pensa che la D. C. non è che la descrizione d’un’ini-ziazione massonica e d’una cerimonia di loggia! E s’arriva sino al celebre anglosassone pangermanista Huston Hervart Chamberlain che afferma che D. non ha creduto... a Cristo... e lo dimostra con il canto 240 del Paradiso!! Il Goyau termina mettendo in luce l’opera dell’Oza-nam, benemerito degli studi seri di D. in Francia ed anche fuori e la parte non assoluta, ma precipua che ebbe nella filosofia dantesca il tomismo.
La religione di Montaigne. — Nell’in cessante revisione di valori morali che fa non di rado capovolgere quel che cinquantanni fa si teneva per certo, sicché leg-fendo l’altro giorno un articolo su quel-infelice donna che fu la madre di Baudelaire, io pensavo come lo strazio religioso che soffrì la sua anima nel permettere la pubblicazione dei Fiori del male, voluta dagli amici dopo la morte del figlio, non sarebbe ora se non l’inno gioioso d’uno spirito credente, dopo che persino i cattolici hanno creduto di proclamarlo uno dei loro! — in quest’incessante revisione di valori morali dico, rientra . anche la riabilitazione di Montaigne, conosciuto finora come uno scettico anticristiano, precursore di Voltaire. Mutata fondamentalmente la concezione dello scetticismo al lume della filosofia relativistica moderna, il suo scetticismo non è apparso se non quello che è la nostra posizione intellettuale di fronte alla fede: la negazione cioè che il dominio di questa possa confondersi con il dominio della ragione, verso la quale l’intelletto non può non assumere
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un contegno di agnosticismo, non riconoscendole quelle caratteristiche di appoggio al sentimento religioso che la scolastica soprattutto le attribuiva.
Già tempo fa segnalammo nella Revue des Jeunes (v. Bilychnis di febbraio, p. 138) un articolo che tentava di mettere a posto le cose per quel che riguarda il M. Sullo stesso argomento ritorna ora nella stessa rivista A. Deman (fascicolo del io agosto) per ripetere sotto altra forma la constatazione già fatta sulla forma mentis del M., e per aggiungere che egli non fu forse un cattolico perfettamente sincero e convinto, in quanto che la sua tendenza piuttosto positivista e materialistica Io faceva progredire — in tempi in cui si affermava in Francia l’umanismo —- verso una concezione più edonistica della vita di quella che non sia concessa ad un perfetto cristiano. Per quanto praticamente questa superficialità, secondo il D. così riconosciutagli, certamente sorprenderebbe il M.: noi riteniamo che da questo lato non può dirsi ancora studiata in modo completo la religiosità di questo scrittore e pensatore che è molto più profondo di quel che non si creda, o, forse, non si voglia.
Leone Bloy. — Un largo studio ha dedicato a questo scrittore cattolico nel Mercure de Franco del 15 agosto A. Retté, esaminandone il carattere tendente all’assolutismo, dimostrandone i pregi ed i difetti, mettendone in mostra la bellezza dello stile e analizzando brevemente alcune delle sue opere e 1 ¡servando per altre uno studio a parte. La ragione delle sue critiche violente il R. non la trova solamente nel carattere assolutista dello scrittore, ma pur nella sua povertà che facendogli mancare il pane non solo per sè, ma pur per i suoi cari, lo rendeva aspro con le gloriole, sebbene questo suo atteggiamento non impedisse a queste, come sempre avviene, di affermarsi nel pubblico. Egli combattè così Zola, Barrès, Bourget, Huysmans, Deschamps, mentre era entusiasta per Balzac, Barbèy d’Aurevilly, Hello, Verlainc, Benson, Joergensen, Bau-mann. Desideroso del successo, non potè
invece conoscerlo e abbattendo quello, p. es., di Ohnet, credette di poterlo raggiungere: s’ingannò. Il pubblico non comprendeva lo spirito cattolico che anima 1 suoi scritti, il clero non lo leggeva, non solo per l’ignoranza' che gli aveva rimproverato, ma per la sua miseria e le sue occupazioni sacerdotali. Fu però sincero e nel fondo veramente umile e credette di aver fallito la sua vita per aver scritto e non aver operato il bene, come forse avrebbe dovuto farlo. E di ciò si rammaricava chiedendo perdono a Dio.
L. Bertrand. — Nella Revue des deux mondes del 15 giugno Fidus fa uno schizzo della figura e dell’attività di L. Bertrand, cui la lunga dimora in Africa ha spinto se non ad una vera e propria conversione al cattolicesimo, poiché egli non ne era uscito mai, ad un ritorno attivo, espresso più che mai nelle sue non recentissime, ma sempre vive ed apprezzate opere. Sangue di martiri e S. Agoslino[à& noi già recensite]. Secondo l’A. il Bertrand è uno spirito eminentemente latino, il quale è conscio però della necessità per la Francia di ridivenire barbara, ossia di opporre alle barbarie che l’attornia [germanica?] una certa energia selvaggia che le permetta di godere in pace della sua civiltà. [Glissons, n’appuyons pas! N. d. R.] « Accortosi che le filosofie — dice l’A. — possono venire a rifiutarsi o perfezionarsi reciprocamente, ma che in faccia alle barbarie non vi è che il cristianesimo che resta in piedi, viene un giorno chiamato dalla voce della tradizione e del paese natale alla fede dei suoi padri. Considerando allora ciò che ne lo ha separato fino a quel giorno, trova che è poca cosa: ipotesi d’una scienza sempre instabile, teorie che non sono confermate da alcuna esperienza positiva, nulla di dimostrabile, residui di vecchie ideologie ». Così il B. è ritornato al cristianesimo e sopra tutto al cattolicismo che le sue recenti opere hanno elevato e salutato. L’Africa è stata per questo lorenese pieno di sentimento latino e francese come lo fu già per altri il determinante massimo al ritorno.
2*-~~— . 1 ... HSSSS
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UN ALTRO LIBRO SU ANTONIO FOGAZZARO(,)
Questo libro del Gennari è un simpatico e fervido omaggio di un cattolico alla memoria di Antonio Fogazzaro, al quale, vivo, i cattolici non furono per vero sempre benigni, e un commosso appello agli Italiani perchè vogliano alzar gli occhi in alto e non lascino cadere nell’oblio un nome che è segnacolo d’elevazione, di fede, di bontà.
Che tale omaggio e tale appello fossero opportuni anche dopo la pubblicazione dell'opera di T. Gallarati-Scotti (La Vita di A. F.. Milano, 1920) intende dimostrare l’A. nella prefazione. Ad ogni modo, a questo proposito, è bene avvertire subito: i° che lo studio del G. — uscito soltanto ora in veste italiana — era già stato pubbli; cato sei anni or sono in francese, pei tipi di una casa francese; 20 che — come si comprende dai rispettivi titoli — mentre l’opera del Gallarati-Scotti è storica e biografica quella del G. è critica. • Io ho desiderato — afferma il primo — di scrivere la storia della sua anima*. «Alla dottrina cattolica — dichiara il secondo — ho domandata la regola che mi permettesse di giudicare, di fronte alle diverse dottrine fra le quali ondeggiano gli uomini intellettuali, l’opera del F. ».
Ammesso che il F. sia scrittore cattolico, è evidente che il punto di vista nel quale si colloca per ben comprenderlo, e bene spiegarlo il G., sarebbe il migliore od almeno il più interessante per noi. Malauguratamente non solo non è affatto dimostrato (nè, secondo me, è facilmente dimostrabile per le ragioni che esporrò breveli) !.. Gennari, Ritratto di un poeta: Antonio Fogazzaro. Bergamo, Savoldi, 1921.
mente più oltre) che il F. scrittore sia quel cattolico fedele e rigidamente ortodosso che volle essere nella vita, ma lo stesso giudice, nell’atto stesso in cui afferma la propria ortodossia cattolica, dice cose e si esprime in modo, da far dubitare fortemente di esso
Buon per noi in fondo. Poiché essendo evidentemente lo spirito del G. afflitto da quello stesso pathos che dovette affliggere in vita il grande vicentino, nessuno poteva essere in grado di darcene, meglio di lui, il ritratto spirituale, di scrutarne meglio di lui e rivelarne l’anima profonda nella drammatica vicenda delle sublimi elevazioni e dei paurosi oscuramenti. 6&J)a ciò appunto (se non m’inganno) l’interesse vero e la singolare efficacia dei libro, che è tutto pervaso da una sincera commozione, tutto palpitante di un travolgente lirismo.
Sì. Questo libro del G. — come l’A. dice di sperare — gioverà grandemente alla memoria del F. e gioverà ad essa, benché muova da presupposti erronei od almeno arbitrari, per la sua intima e candida bontà che è della medesima specie di quella che il F. esercitò nella vita ed esaltò nei suoi migliori personaggi.
Ho affermato sopra non essere dimostrato che il F. sia come scrittore e poeta del tutto e perfettamente cattolico. /Xggiungo che la sua poetica è acattolica, anzi anticattolica addirittura. Su questo punto non v’ha dubbio perchè abbiamo la confessione esplicita dell’interessato. « lo credo — scriveva egli — alla assoluta indipendenza dell’arte. L’arte non è ancella di nessuno. Nè si può imporre all’artista uno scopo espressamente educativo cui egli subor-
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dini il suo amore supremo, tormento e dolcezza dell’anima: l’arte ». Anche senza voler rilevare il fervore idolatrico di codesta adorazione per l’arte (adorazione che anche il G. — e gliene do ampia lode — sinceramente professa) e le frasi quasi... eretiche onde tale adorazione si esprime, non si può non ammettere che il principio informatore della poetica del F. è tutt’al-tro da quello che ispira la poetica della scuola cattolica. Il prof. Lanzalone informi. Io non ignoro che negli ultimi suoi anni il F. ha esposto idee che sembrano contraddire a questa affermazione («scrivendo Leila ho avuto per fine una propaganda religiosa e morale conforme alle mie profonde convinzioni cristiane e cattoliche »), ma tutti sanno che esse sono effetto di necessità polemica e del resto è lecito dubitare che la mortificazione dell’arte ultima del F. (il vero, il grande F. non è quello del Santo o quello di Leila) sia appunto conseguenza della mortificazione del suo spirito.
11 quale tende, sì, all’alto, ma nel suo volo si libera dalle pesanti redini del pensiero ortodosso e si porta al di là dai confini del piccolo mondo cattolico. Temperamento squisitamente musicale, il F., il cui romanzo, simile a vasta sinfonia, sembra voler abbracciare il cielo e ripetere le note del poema eterno inebriandosi nella visione di una bellezza e di una bontà che non sono di questa terra, rimane talora come travolto dall’impeto stesso della propria onda lirica, turbato quasi dal fulgore della propria anagogia. Ed allora si chiede: ma sono io veramente degno di officiare dinanzi agli altari dell’arte?
Invero il romanzo (sono parole sue) il 3uale è libro di tutti non può essere scritto a chiunque. Il romanzo se è forma d’arte di tanta potenza ed efficacia, non può essere scritto se non da chi senta la gravità
STUDI DI
LA PREGHIERA
F. Heiler, Dos Gebet. Eine religionsge-schichtliche und rcligionpsychologiscne Untersuchung. 3 Auflage. Mùnchen. Reinhardt, 1921, pp. xix-576.
Ecco un’opera insigne, per il soggetto, per il materiale raccolto intorno a questo, e per l’elaborazione del materiale medee la santità dell’ufficio dello scrittore, se non da chi « senza prefiggersi determinate tesi religiose o morali sappia però osservare il mondo e scrutare le anime da un’altezza riposata, nella piena luce del giorno, da cui lumi ed ombre appaiono dove nella vita li segna veramente il sole ».
L’ufficio dello scrittore è dunque per il F. un vero sacerdozio ma non a prò’ del cattolicesimo. Per il trionfo dello spirito sì; per il trionfo del bene, che in arte si identifica col bello: per questo, sì, per questo scrisse il F. che fu veramente, più che un innamorato, un feticista dell’arte, la quale era per lui il sommo dei beni, la più grande delle umane felicità e quindi fine a se stessa. Questa la fede, questa la religione che nei suoi scritti si esalta e trionfa. Che il F. praticasse il cattolicismo e si accostasse ai Sacramenti e cercasse di conciliare con gl’ insegnamenti familiari le esigenze del proprio spirito, questa è altra faccenda e, gl momento, non c'interessa perchè il ha voluto darci il ritratto del poeta; non dell’uomo (distinzione di sapore arcaico, ma sottintesa nel titolo stesso del libro del G.). Al più si potrà ammettere che nella ricerca del bene e del bello.- nella esaltazione dello spirito che trionfando delle ingannevoli lusinghe dei sensi, tenta liberarsi dal peso della carne per assurgere e avvicinar* i a Dio, il F. non contraddice ai principi della dottrina cattolica. [Anzi questo, se non e. ro, sarebbe appunto, e resta ancora, da dimostrare).
Ma, insomma e per finire, il G. dimostra di volere un gran bene al F. e noi gli siamo grati di questo bene candido e sincero e ascoltiamo con viva commozione il suo elogio.
Anzi la sua glorificazione.
Venezia, settembre 1921.
A. Pelli.
RELIGIONE
simo. Giustamente rileva l’autore quanto poco sia stato studiato dalle scienze delle religioni un fenomeno religioso così centrale come la preghiera. Se le ricerche particolari intorno alle preghiere in questa o quella religione, o in certe personalità religiose non sono straordinariamente abbondanti, ancora più scarse sono le trattazioni generali, come risulta dalle no-
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tizie critiche preziose che l’autore dà .in principio sulla bibliografia del soggetto.
Dopo una introduzione generale sull’argomento, le trattazioni precedenti, il metodo e le fonti, il H. dedica il suo lavoro quasi unicamente alla descrizione dei diversi tipi di preghiera e cioè: la preghiera spontanea (* naive ») dell’uomo primitivo: la formula rituale; l’inno; la preghiera della religione culturale ellenica; la critica e l’ideale della preghiera nel pensiero filosofico, la preghiera nella pietà individuale delle grandi personalità religiose: la preghiera individuale dei grandi uomini (poeti ed artisti): la preghiera collettiva delle assemblee rituali; la preghiera individuale come obbligo religioso e opera buona nelle religioni legali. L’opera si chiude con una breve trattazione sull’essenza della pre-Ìhiera; la sua brevità è giustificata dal atto che all’autore non toccava qui se non raccogliere gli elementi già abbondantemente sparsi nel corso dell’opera.
La ricchezza e l’importanza della materia appare chiaramente anche da questo nudo elenco, il quale tuttavia non può dare alcuna idea delle ulteriori divisioni e suddivisioni, della esposizione lucida e penetrante, dell’esemplificazione estremamente copiosa, che costituisce uno dei principali meriti del libro. Occorre sopra tutto richiamar l’attenzione sulla 6aparte, la preghiera delle grandi personalità religiose, in cui l’A. distingue la religiosità profetica dalla religiosità mistica, e svolge questa sua distinzione attraverso una analisi serrata e particolareggiata, che sarà veramente preziosa per chiunque si occupi di psicologia religiosa; anche se, per avventura, non consenta in tutto con l’autore. La sua distinzione, infatti, potrà essere, ed è stata, discussa, ma non c’èdub-bio eh’essa getti molta luce nelle profondità della vita religiosa individuale e collettiva.
In questa parte, veramente, l’autore è uscito dai limiti del soggetto, perchè non è solo la preghiera ch’esso tratta, ma tratta, si può dire, la vita religiosa. Altre parti sono, in proporzione, sviluppate insufficientemente: così la penultima e l’ultima. Anche nell’ordinamento di esse ci sarebbe da ridire: non si capisce troppo bene, perchè la critica filosofica della preghiera sia statata inserita nel bel mezzo dei diversi tipi di preghiera, nè perchè la preghiera individuale del mistico e del profeta debba
precedere quelle rituali delle comunità religiose. Ma queste ed altre osservazioni non possono diminuire il valore veramente notevole del libro.
Luigi Salvatorelli.*
Conccrning Prayer, ils valute, ils difficul-ties and valué, by thè Author of « Pro Ch risto et Ecclesia », Arold Auson, Ewin Bevan, R. G. Collingwood, Léonard Hodgson, Rufus M. Jones, W.'F. Lofthouse, C. H. S. Matthews, N. Mickelem, A. C. Turner and B. H. Streeter. London, Mac Millan, 1918.
W. P. Paterson and David Russell, The Power of Prayer, being a selection of Walker Trust essays, with a sludy of thè essays as a religious and theological do-eumeni. London. Mac Millan, 1920.
Fra le molte pubblicazioni che hanno recentemente arricchita la letteratura della preghiera, questi due volumi occupano certo un posto preminente, e, pur non esenti da difetti, rappresentano, accanto alla classica opera di Heiler, quanto di meglio possediamo intorno alla preghiera.
Il primo di questi volumi contiene quattordici saggi e il secondo ne contiene ventidue. Sono saggi scritti quasi tutti da autori diversi noti, la maggior parte, agli studiosi di questioni religiose. I due volumi sono arricchiti da indici alfabetici e da notizie bibliografiche.
Il ventiduesimo saggio del secondo volume, compilato da W. C. Frager, è dedicato alla bibliografia della preghiera. Ricca questa per le opere scritte originalmente in inglese, è invece assai povera per le opere in altre lingue.
La guerra e le sue conseguenze hanno dato occasione ad una inconsueta attività religiosa, e quindi ad una maggiore attività di preghiera nelle forme più diverse. Era naturale che teologi e studiosi rivolgessero, in questa occasione, il loro pensiero soprattutto alla efficacia della preghiera. Più che un problema storico e dunque un problema teologico quello che viene esaminato e discusso in questi due volumi. Chi li legge diligentemente può tuttavia avvertire, con ragione, che la maggior parte di questi autori rimangono al margine della questione centrale concernente la natura della preghiera, dalla quale ricevono fasci di Ilice molte-
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plici questioni che concernono l’efficacia della preghiera.
Il lettore diligente di questi volumi può anche avvertire, con ragione, la disuguaglianza di valore tra i diversi saggi, e la sproporzione nel trattamento di questioni che dovevano essere più accuratamente e diffusamente esaminate di altre meno importanti. Si possono avvertire parecchie ripetizioni e non poco confusionismo, dovuto questo al trattamento teologico fatto da scrittori appartenenti a confessioni diverse.
Per la maggior parte di questi scrittori le questioni teologiche e metafisiche occupano il primo posto. E lo si comprende, se essi hanno voluto soprattutto affrontare il problema della efficacia della preghiera. Il problema del male ha perciò, in queste pa-?ine, un posto preminente. Nel volume oncerning Prayer viene trattato da Streeter (God and thè uorld's pain), dall’autore di « Pro Christo et Ecclesia » (Repentance and kope), da Cqllingwood (The Devii) e da A. C. Turner (Faith, Prayer and thè World's order). Spesso questi autori divagano così dal trattamento della preghiera, da doversi accontentare di pochi accenni finali. In compenso non mancano giuste considerazioni intorno al problema del male. Nel saggio di A. C. Turner troviamo una acuta indagine dell’idea di Dio come amore, della sua onnipotenza, della libertà e dell’ordine dèi mondo. La storia dell’accrescimento dello spiritualismo nella religione, è la storia del graduale decadere della credenza che Dio eserciti una specie di potenza esteriore e compulsiva. È vero che l’amore è la sola forma per coi possiamo concepire una potenza che è nel medesimo tempo assoluta e morale, ma Turner non avverte che questa spiegazione è accettabile solo nel caso in cui l'amore non sia in contrasto con la giustizia. Lji morale della libertà, più che dall’amore, è caratterizzata dalla giustizia, ossia dall’amore che può nettamente esser caratterizzato come giusto. La giustizia non deve, ma può esser realizzata come un prodotto d’amore: e non è atto morale se non è accompagnata da retto amore, o dà retto odio. La libertà dell'uomo non è limite della onnipotenza divina, ma sua espressione e fondamento e se Turner non trova una razionale soluzione a questo, come egli dice, paradosso, ciò avviene perchè non considera a dovere la previggenza divina (onniscenza), nè mette questa al centro della nozione che l’uomo può for
mulare della onnipotenza divina. L'ordine del mondo non è inteso dallo stoicismo, dall’ascetismo o dal solipsismo, ma dalla giusta nozione della libertà. Si può rigettare il mondo, o rassegnarsi ad esso, o negarlo, ma con ciò non. si ottiene che una armonia fatta di compromessi e contraddizioni. L’armonia universale è nella libertà associata alla necessità, nel relativo integrato con l’assoluto. Quando Gesù disse che veniva a fare l’uomo libero, non offriva una scappatoia, non un inferiore dominio, non la negazione, ma la libertà del mondo. Ordine dunque non è limite, ma condizione di libertà. Le religioni dànno la soluzione teorica e pratica del problema del male, insegnano come vincerlo o evitarlo. Non è dunque giusto ripetere con Turner che non appartiene alla religione rispondere alla domanda intorno alla origine del male. Il mito e la dottrina della origine del peccato infatti non sono che spiegazioni dell'origine del male nel mondo: e con ragione l'autore di * Pro Christo et Ecclesia ■ si ferma lungamente ad esaminare la natura del peccato, e quindi il pentimento, che dà luogo ad una speciale forma di preghiera.
B. G. Collingwood, che nel suo saggio sul diavolo dà una buona analisi critica dell’idea del male, pervenuto all’argomento principale, alla preghiera, confonde la demonolatria (che dice creazione di Dio a immagine umana) con l’idolatria, e non essendo da lui nettamente distinta la superstizione dalla religione, ne segue la impossibilità di cogliere la vera natura della preghiera. Non basta ripetere che essa implica conoscenza di Dio e comunicazione con lui, perchè il postulare la conoscenza di Dio non chiarisce che cosa sia la preghiera e il dire che è una comunicazione con Dio non ci fa intendere di che natura sia questa comunicazione. Certamente la preghiera è nata per rispondere a specifiche esigenze della coscienza religiosa e sono queste esigenze che anzitutto occorre analizzare.
Un lettore diligente di questi volumi può anche gradualmente avvertire la poca attenzione accordata agli studi storici su la preghiera.
Non si cerchi qui di conoscere la teoria della preghiera formulata da un Tommaso d’Aquino, da un Calvino, dalla teologia luterana o cattolica ortodossa. Pochi e insufficienti gli accenni alla letteratura apologetica. Nel volume Ccmcerning Prayer, W. F. Lofthouse (Prayer and thè Old Testamenti tratta di un argomento storico impor-
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tante. Una concezione storica della preghiera vorrebbero raggiungere Manila! Maneklal Nr. Mehta (An orientai conception of Prayer). W. Ixjftus Hare (Rules and Melhods) ed Ed. Laurence (Fromtheantropo-logical point of view). Quest’ultimo avrebbe avuto qui occasione di mettere in evidenza la importanza storica e psicologica della preghiera: ma non tenta nemmeno di accostarsi allo esperimento, e si limita ad affermare il fatto della universalità della preghiera e l'idea della potenza morale che essa postula. Tuttavia non è difficile avvertire che, come dall’essere di un evento non può risalirsi al suo dover essere, così dalla diffusione della preghiera, non si risàie alla sua necessità nella pienezza della vita spirituale. Vi sono altri autori che sfogliano appena la storia della preghiera per richiuderla subito. Pagine interessanti sul quietismo, su la preghiera dei quacheri e anche su quella dei behaisti ci dànno Sidney E. Klein (The meeting-place of Science and mysticism), W. Loftus Hare (Rules and methods). R. M. Jones (Prayer and thè my-stic Vision), I. E. Uslemont (A study Of bahai prayer). Uno sguardo su le regole e i metodi della preghiera in genere ci offre W. Loftus Hare, ma non possiamo dire che uno studioso dello spirito e delle forme della preghiera, delle regole e dei suoi metodi possa rimanere appagato da rapidi accenni e da sintesi affrettate più che da analisi accurate. Una buona esposizione dell’eucaristia dal punto di vista della chiesa anglicana ci dà C. H. S. Mattews, e dal punto di vista della chiesa libera N. Mi-cklem. Ma, ripeto, anche qui siamo ai margini della questione che ci interessa conoscere.
Passando dalla storia alla psicologia della preghiera ci troviamo in condizioni alquanto migliori. Il volume Concerning Prayer ci offre col saggio di H. Auson (Prayer as under standing) alcune buone osservazioni, e più ancora ce ne offre il saggio di Rufus M. Jones (Prayer and thè my-stic vision) che può venire menzionato fra i migliori anche sotto il rispetto storico.
Nel volume The Power of Prayer vi è qualcosa di più, se non di meglio. In questa categoria si può mettere il saggio di S. H. Mellone (Prayer and experience) che è certo Ira i migliori dei saggi contenuti in questo volume. Ma le divagazioni metafìsiche e le discussioni teologiche atte a chiarire e difendere la efficacia della preghiera abbondano ed offrono occasione frequente a perderedi vista lo studio del fatto storicoe l'analisi psicològica della preghiera. Sotto il rispetto della importanza filosofica, accanto al saggio di S. H. Mellone va menzionato quello di A. C. Turner (Faith, Prayer and thè world's order), i soli saggi questi due che nel volume Concerning Prayer tentano esaminare la preghiera nella ricchezza e complessità degli aspetti suoi. Fra i saggi che trattano la preghiera dal punto di vista psicologico, e fra i migliori, si può aggiungere quello di B. H. Streeter (Worship) sebbene la sua trattazione, circa l'adorazione in genere, si limiti poi alla trattazione del culto pubblico.
La maggior parte dei saggi che non trattano di problemi metafisici considerano ciascuno un aspetto particolare della prc-Shiera, la preghiera di pentimento (l’autore i < Pro Christo et Ecclesia »), di doman da (Ed. Bevan), di intercessione (L. Hodgson) la preghiera per la salute fisica (H. Auson), la preghiera per i morti (l’autore di « Pro Christo et Ecclesia »), saggi questi contenuti nel volume Concerning Prayer. Nell’altro su The Power of Prayer non sono particolarmente trattate queste varie forme di preghiera, ma sono in compenso trattati come ho già accennato, metodi e regole di preghiera. Ciò che arricchisce questo volume è uno studio di W. P. Paterson dell'università di Edimburgo, su la preghiera nello spirito contemporaneo. L’A. prende rapidamente in esame le 1667 sposte date da diverse persone ad una inchiesta su la preghiera, riportando nel volume The Power of Prayer 21 saggi di tali risposte. Queste, nell’insieme, sono vaghe, rivelano tuttavia il posto che occupa la preghiera in certi ambienti spirituali contemporanei.
Le conclusioni tratte dal Paterson dalla classificazione delle risposte date alla inchiesta su la preghiera in base alla nazionalità di coloro che vi hanno partecipato offre poca garanzia di serietà.
È naturale che partecipino ad una inchiesta in maggior numero coloro fra i quali la preghiera è nota e meglio è conosciuta. Alla stessa guisa, con debite cautele, da una tale inchiesta si può venire a conclusioni che esorbitano dalla prova che essa può dare. Ma per altri indizi, insieme a quelli offertici dalle inchieste in genere e su la preghiera in ispeCie, si può avvertire il desiderio di una nuova sintesi religiosa, o almeno di un arricchimento dell'ordinario schema di pensiero cristiano, da rea-
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lizzarsi per mezzo di assimilazione di elementi ricevuti dalla storia delle religioni, dalla filosofia, dalle scienze naturali,, dalla esperienza mistica.
Da queste pubblicazioni, anche per il frutto del contributo offerto da diversi credenti ad un'unica opera di carattere religioso, emerge una promettente combinazione di forti convinzioni personali con uno spirito di tolleranza e di carità.
Ed era opportuno che in quéste pubblicazioni, concernenti la vita più profondamente religiosa, venisse maggiormente in luce ciò che della religione è, dal punto di vista sociale, il coronamento, l’unione delle anime nella contemplazione delle co*e eterne, nell'adorazione.
M. Puglisi.
1 1. E. Fosdick, Pourquoi la Prière. Paris, Edition de Foi et Vie, 1920
Interessantissimo lavoro del teologo a-mericano H. E. Fosdick, meritevolissimo di questa traduzione francese. Viene ad ar-riccnire la letteratura e le ricerche intorno alla Preghiera eh'è, ivi, sviscerata in dieci perspicui capitoli i quali ricevono gran luce dalle auree esperienze di una lunga teoria di teologi e di mistici che l’autore largamente riporta. Questo volume non interessa solo il devoto e il credente, ma svolge un brillante capitolo della psicologia e dell’esperienza religiosa.
P. Chimineli.j.
ORFEO
O. Kern, Orpheus, cine reiigionsgeschichtli-che Untersuchung. Berlino, Weidmann, 1920.
Dal titolo si crederebbe che si tratti di un’unica ricerca; invece sono tre monografie indipendenti. Ciò però nulla toglie al merito di questo libretto, indispensabile per chi voglia formarsi delle idee precise intorno all’oscuro problema dell’orfismo.
La prima monografia tratta della leggenda di Orfeo. Il K. si stacca dall'idea dominante che attribuisce al mito di Orfeo una grande antichità e ne fa un eroe o un Dio, connettendolo con le origini stesse della religione tracia. Il K. crede invece che il mito di Orfeo si formasse in età relativamente tarda, per opera di una confraternita, e si arricchisse successivamente con ulteriori ampliamenti; il nome di O. accennerebbe non alla Tracia, ma alla Grecia, e starebbe a indicare il tipo del cantore isolato. Questo
nome non avrebbe designato in origine una persona determinata, ma una categoria di cantori; molti sarebbero stati in principio gli Orfei, finché poi da questi sarebbe uscito, per condensazione, l’Orfeo del mito; la qualità di cantore sarebbe stata la sua ori-S;inaria; in seguito poi sarebbe divenuto il ondatore dei misteri, il profeta, e via dicendo. Questa la teoria del K.
Come orientamento essa è una sana, reazione evemeristica contro gli eccessi dell’indagine naturistica e mitologica; in fondo, se anche il K. non lo dice, la sua teoria conduce alla storicità di Orfeo, che è, del resto, probabile. E questo è bene, perchè la concezione storica dei fondatori di religioni (Zaratustra, Budda, Gesù) è più consona alle esigenze dello spirito che non la concezione mitica, a parte ogni altro argomento. Ma il metodo seguito dal K. mi pare errato, e forse bisognerebbe invertirlo, perchè la concentrazione progressiva di parecchi Orfei in uno solo è contraria al processo storico normale della religione, dove la tendenza delle personalità eroiche o divine va verso la scissione piuttosto che verso l’unificazione. Si veda la moltiplicazione successiva; p. es., dei Zeus, degli Juppiter, delle Madonne e via dicendo. Anche l’idea chea questa persona unica, così formatasi, si aggiungessero successivamente altre qualità sa di meccanico; è un’idea troppo semplice. Peres. dall’esser Orfeo un cantore non si deduce punto che perciò egli dovesse far sentire il suo canto anche ai morti e che da ciò sorgesse il mito della catabasi; questo non è un « piccolo passo » come dice il K., ma un enorme salto. Evidentemente l’elemento chtonio del mito di O. poggia su basi assai più profonde e remote. Così il K. non ci spiega perchè a questo cantore si finì con attribuire la parte di fondatore dei misteri. Perchè proprio dei misteri ? Qui c’è davvero un mistero che K. non spiega. Ammesso anche che il mito di Orfeo fosse recente (assai relativamente, a ogni modo, perchè già in Eschilo e Ibico esso ricorre!) e che avesse l'origine che il K. gli assegna, resta sempre da spiegare come e perchè e dove esso fu connesso ai misteri; e qui la vecchia teoria tracia soccorre meglio.
Il K. non connette dunque Orfeo all’or-fismo, nel loro vero rapporto, secondo me; il loro vincolo dovette essere assai meno artificioso e contingente. Ora, l’orfismo, benché le testimonianze sieno spesso tarde, ha tutti i caratteri rituali e mitici di una grande antichità (V. il mio Zagreus, p. 188
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s. e 226) e il K. stesso, a p. 42. ammette che la teogonia orfica sia del vi e vii secolo almeno: il mito stesso di Orfeo ha indubbi elementi « primitivi ». Ora. se questo è vero, risulta che la fase che il K. pone come iniziale dovette essere invece la più tarda; che O. cioè, fu originalmente connesso ai misteri e che in seguito, quando i misteri cominciarono a perder la loro primitiva magica rozzezza e divennero strumento di coltura e di elevazione, anche O. assunse i nuovi suoi caratteri culturali di saggio, cantore e maestro.
Un'altra opinione del K. merita qualche commento; egli crede che i misteri eleusini e quelli orfici camminassero parallelamente, senza fecondarsi a vicenda (p. 30) e che non ci fosse mai una influenza orfica ad Eieusi tale da modificare il culto (p. 53). In verità ci par di sognare leggendo queste parole! Ma se i piccoli misteri di Aerai, dove si rappresentava un dramma relativo a Dioniso Zagreo (Steph. Byz., 1, v. vA*pa< e la dimostrazione in Zagreus. pp. 77-183) erano una introduzione obbligatoria (v. Zagreus, pagina 197, nota 3. ivi le fonti) ai grandi misteri di Eieusi! Se non si poteva ottenere la iniziazione eleusina senza esser passati da quella orfica! Come dunque si può negare non solo un nesso intimo tra le due correnti, ma una vera e propria influenza orfica sul cullo di Eieusi? È doloroso che in questo problema e per altri ancora la guerra abbia impedito al K. di conoscere talune mie ricerche: per esempio intorno alle idee del Kuhnert, intorno alle rappresentanze di Orfeo nei vasi italo-greci, — delle quali egli non par persuaso (p. 23), —sono da vedersi i miei Orphica (Rn. indogr. Hai., I-II, Napoli 1918, p. 47-54), e intorno allesepolture orfiche di Sibari — che K. ricorda a p. 5 — si può vedere il mio studio II rito funerario orfico in Arch. star. per la Sic. or., XVI (volume in onore di P. Orsi).
Assai più importante è la seconda monografia che contiene alcune idee generali, assai acute, intorno al carattere della teogonia orfica. In che si distingue essa dalle altre teogonie, specialmente la esiodea?
Questo è il punto fondamentale. Secondo il K. la-diversità sta nello scopo: la teogonia esiodea voleva solo narrare dei miti, aveva scopo mitologico; invece la teogonia orfica aveva scopo culturale, perchè era destinata a una comunità, era un libro sacro, la Bibbia degli orfici che doveva servire di propaganda o di ammaestramento, e insegnare all’iniziando, attraverso il mito, a riconoscere il proprio peccato originale e
a liberarsene. I.a teologia orfica — secondo il K. — risaliva nel suo nocciolo al vi o vii secolo, ed era unica, come egli giustamente pensa. Furono i neoplatomci a darle nuova vita, opponendola, date le affinità etiche e mitiche tra orfismo e cristianesimo.
Queste idee sono indubbiamente vere e profonde, e fondamentali per la comprensione della palingenesi orfica la cui esperienza mistica poggiava proprio sul fondamento dommatico della teogonia, come spiego in Zagreus. p. 232 s. E mi gode l'animo che un dotto della forza del K.» che da trentanni si occupa di studi orfici e che sta preparando una nuova assai desiderata edizione dei frammenti orfici, abbia avuto — indipendentemente da me — la mia stessa identica concezione: dico indipendentemente da me, perchè il volume del K. fu offerto a Carlo Robert nel marzo 1920, come dice la dedica, e il mio Zagreus uscì nel settembre Jf/20 .
Nello svolgimento della sua tesi il K. mostra delle lacune: per es. egli non ricorda affatto, vicino a Senofane e a Empedocle, tra quelli che poterono conoscere la teo-Jonia orfica, anche Eraclito (v. ora il mio
'radito, nuovi studi sull’orfismo, Bari, La-terza, 1921); accanto ai neoplatonici, non trovo ricordati i gnostici e specialmente i noetiani (v. specialmente il primo cap. di Eraclito). Quanto all’opposizione dell’or-fismo al cristianesimo, piùprofondadi quanto il K. pensa, v. Zagreus, p. 254. s.
Il terzo scritto tratta del fanciullo Zagreus. e porta un contributo eccellente alla conoscenza di questo mito. Il K. pubblica 3ui, con un dotto commento, un’epigrafe el 11 secolo d. C., scolpita sulla base di un timiaterio con una dedica a « Dioniso fan-ciulleggiante ». Il K. illustra questa dedica connettendo il Dioniso fanciullo che gioca (cioè Dioniso Zagreo, che fu ucciso dai Titani mentre giocava) col culto eleusinio. Il K. ha visto, contemporaneamente a me, il contenuto orfico del famoso frammento 52 di Eraclito (aiòv zaì; ìarc maavjw naiSèi r. « l’evo è il fanciullo che fan-ciullcggia giocando ai dadi e del fanciullo è il sogno •) c la sua conncsione col mito orfico di Dioniso (cf. il mio Eraclito. P- 343)- Ma gli è sfuggito il più importante, e cioè il significato orfico di quel giocare ai dadi, che risulta da Clemente Alessandrino (Protr. Il 17,2, Stahlin, Evseb Praep. ev.. II, 323-24 Dind. Cfr. Arnob Adv. nat., V. 19) dove enumera, tra i simboli rituali della passione di Zagreo usati nei misteri, anche l’astragalo. Il Dioniso che gioca ai dadi
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di Eraclito è dunque il Dioniso che nel mito orfico giocava con gli astragali mentre i Titani lo uccisero. Egualmente il K. ha torto .negando l’origine orfica del termine aiòv (evo) usato da Eraclito; questa origine dimostro in Eraclito, p. 35.
A queste tre memorie segue una appendice dello Strzygowski intorno alla iconografìa iranica di Orfeo, notevolissima come contributo alla conoscenza del sincretismo artistico orfico-cristiano.
Questo il contenuto del' libretto del K. che è tra i migliori contributi allo studio dell’orftsmo che a noi siano noti.
V. Macchioro.
PROBLEMI DEL CRISTIANESIMO CONTEMPORANEO
Christian revolution. An essay in recons-truction, by E. Burney-Andrew. Mel-rose, London & New York, 157 pag.
L'A., che tiene a dichiarare di non essere un ministro di culto, s’è proposto di esaminare brevemente le ragioni principali della scarsa efficacia della religione nella società contemporanea, e di esporre le sue speranze nella riscossa e nella vittoria della fede cristiana. Non si può negare ch’egli affronti coraggiosamente il problema e ch’egli non abbia torto nel rilevare che la radice del male sta nell’aver dimenticato che il cristianesimo è una maniera di vivere, piuttosto che un sistema di credenze. Dopo di avere insistito sulla possibilità e sulla necessità di applicare tutta la morale cristiana alla vita degl’individui e della collettività, fa una carica a fondo contro il funesto spirito dogmatico, del quale occorre liberarsi al più presto. Il che non vuol dire gettare a mare i dogmi, no; v’è differenza fra chi afferma: « Io credo nel dogma della nascita di Gesù da una Vergine », e chi afferma: ■ Chi non ammette il dogma della nascita di Gesù da una Vergine non può essere cristiano ». L’A. combatte quest’ultimo e non il primo.
Fin qui, cioè per tutta la parte negativa e critica del suo saggio, si potrebbe consentire in molte cose con l’A; ma dove il seguirlo diventa per noi impossibile è nel settimo e ultimo capitolo: La Chiesa del futuro. Dove mai il sig. Burney voglia menarci non s’intende. La Chiesa, secondo il concetto ch'egli se n’è foggiato, dovrebbe in avvenire insegnare filosofia, scienza politica, biologia, far ricerche astronomiche e, soprattutto, guarire le malattie, perchè «re
sistenza della medicina è una sfida alla Chiesa, la quale dovrà assorbire la professione medica ».
Dal che si ricava che se il laico autore non è dottore in teologia, non è neppure dottore in medicina. Non ci sembra neanche ch'egli sia un seguace della « Scienza cristiana ». Ad ogni modo, questo • saggio di ricostruzione » dimostra che la critica è agevole ma l’arte, e specialmente quella di ricostruire, è rara e dirficil cosa!
Ern. C.
R. Seeberg, Christentum und Idealismus. Gedanken uber die Zukunft der Kirche u. der Theologie. Berlin, Lichterfelde, Ver-lag von Edwin Runge, pp. 79. M. 5,75. Questo volumetto del noto prof, dell’università di Berlino fa parte della collezione « Zeit u. Streitfragen des Glaubens, der Weltanschauung u. Bibelforschung », nella quale i più reputati teologi della tendenza positiva trattano, a scopo divulgativo ed apologetico, questioni bibliche o dogmatiche di attualità.
Lo scritto che esaminiamo ci porta l’eco vibrante dei problemi che agitano la Chiesa e la teologia in Germania, in quest’ora grave che segna il grande crollo della potenza politica e militare tedesca. Di questa disfatta l’A. ricerca le profonde cause morali, che ravvisa nella concezione materialistica della vita, colla conseguente rilassatezza dei costumi e l’egoismo dilagante in tutte le classi sociali. Urge attendere senza ritardo alla difficile opera di ricostruzione nazionale con un ritornò &\Videalismo, quale affermazione dei voleri imperituri dello spirito.
In quest’opera di ricostruzione Videalismo e il cristianesimo vengono ad essere alleati naturali. Tuttavia il Seeberg (è questa la tendenza principale del suo lavoro) pone in guardia a che non si vuoti il cristianesimo del suo contenuto essenziale per amalgamarlo con un sistema filosofico. Quello che distingue il cristianesimo dall’idealismo è l'affermazione della realtà e gravità dei peccato (non ridotto a semplice imperfezione transitoria) da un lato, e dall’altro della redenzione, atto della libera grazia di Dio, storicamente realizzata in Gesù Cristo (e non soltanto un processo necessario di sviluppo spirituale). Questa grande antitesi del peccato e della redenzione costituisce il nerbo del cristianesimo e non va attenuata col pretesto di renderla più razionale.
Trattando dei vari tipi della teologia del-
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l’avvenire FA-, come dissente da una fusione coll'idealismo, è parimenti avverso a una alleanza col socialismo, ch’ei considera (troppo unilateralmente a nostro avviso) come un frutto del materialismo contemporaneo e dell’egoismo di classe. Le sue simpatie vanno a una teologia, la quale abbia una salda base biblica, e, senza esser servilmente ligiaalle formule tradizionali, sappia presentare alla generazione attuale le esperienze religiose del passato nel loro perenne valore vitale.
Discendendo ai particolari il Seeberg tocca rapidamente i problemi dell’essenza della religione, della psicologia e gnoseologia religiosa, e dell'etica cristiana. Parlando di quest’ultima egli distingue il tipo tedesco luterano, che tende a separare la sfera cristiana dalle varie attività della politica e dell’industria, ecc., eil tipo calvinista anglosassone, che mira a subordinare ogni attività allo spirito cristiano. Questo porta, secondo FA., a compromessi ed adulterazioni dello spirito cristiano, mentre il punto debole della concezione luterana sta in un disinteressamento per le attività civili, là dove il momento attuale richiede una più fervida partecipazione dei cristiani alla vita pubblica.
Concludendo, questo volumetto offre in breve numero di pagine larga materia a riflessioni sui compiti che si affacciano alla teologia desiderosa di non perdere il contatto colle aspirazioni della nostra generazione, e di contribuire, al contrario, all’opera di ricostruzione nazionale e sociale. T. Longo.
F. Siegmund-Schulze, Die soziale Botschaft des Christentums für unsre Zeit dai -festeilt in Ausprachen von Männern u.
rauen verschiedener Richtungenu. Parteien. Halle a. S.. C. E. Müller, 1921, p. 186. M. 15.
Come si deve parlare agli operai? come convien presentare loro il Cristianesimo e interessarli ai problemi dello spirito? — Il libro è nato da questa preoccupazione, e vuol portare il suo contributo alla soluzione del delicato problema. Esso è stato messo insieme da quella bella figura di socialista cristiano e di pacifista che è il Siegmund-Schulze, direttore della « Soziale Arbeitsgemeinschaft » (associazione operaia) di Berlino Est. Ogni singolo capitolo o discorso è dovuto a un autore diverso; e il raccoglitore nota nella prefazione ch’egli non sottoscriverebbe tutto ciò che il volume contiene.
avendo lasciato ai suoi collaboratori piena libertà, ma che tuttavia nella diversità vi è un’ispirazione unica: lo sforzo di esprimere il messaggio divino in forma adattata ai nostri tempi.
E veramente il contenuto di questo volume é quanto mai vario ed attraente. Si comincia con temi biblici: Amos, un araldo di giustizia sociale (prof. Nieber-Sall); il socialismo di Gesù; il comuniSmo ella chiesa primitiva. Poi, venendo più presso a noi, ecco due figure di filantropi cristiani, il Wichern e il Bodalschwingn.
E, proseguendo, le allocuzioni si succedono, varie d’argomento e in ambienti diversi: in circoli operai e in riunioni di proprietari; nelle associazioni della gioventù cristiana, davanti a studenti universitari, e in riunioni femminili. Ma nella varietà degli argomenti e degli uditori persiste la nota della necessaria ricostruzione nazionale, la nota sociale e cristiana.
Taluno degli oratori trovasi assai a sinistra. come quell’operaio che accusa apertamente la Chiesa di aver fatto la parte di Giuda nella lotta del proletariato per la sua emancipazione dalla servitù del ■capitalismo (p. 88), o il pastore che, predicando, il i” maggio, prende per testo il 1, Giov., 5, 4. (« Tutto quello che è nato da Dio vinca il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede«), applicandolo alle conquiste del socialismo.
Notiamo ancora, sfogliando questo interessante libro: il discorso sulla tomba di una giovane suicida, abbandonata dal suo seduttore (atto di accusa contro la corruzione della società moderna); la benedizione nuziale impartita a una coppia di sposi operai; le esperienze di un pastore che lavora in un sobborgo popolare di Berlino, riguardo all’istruzione dei catecumeni e alla loro ammissione alla S. Cena.
E sopra i casi particolari, questa preoccupazione suprema: ricondurre le classi popolari, il ceto operaio al Vangelo del Cristo. I tempi sono favorevoli a un energico sforzo in questo senso, poiché col crollo dell’antico regime politico, la Chiesa e i suoi rappresentanti si trovano provvidenzialmente sciolti da legami e compromessi, pei quali la loro influenza sul popolo era andata in gran parte perduta. Uno spirito cristiano, largo e generoso, come quello che ispira questo bel libro, potrà riavvicinare al popolo, in questa ora di crisi, Colui che dei poveri e degli umili è il vero e supremo Amico. T. L.
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Iosef Simsa, Der Chrisl in der Gcgenwarl. Bine Wegweisung durch die neue Zeit. Hamburg. Agen t ur des Rauen Hauses, 1921, p. 192. ,
Questo libro si propone come scopo di guidare il cristiano, e particolarmente il cristiano tedesco, in mezzo ai problemi e nei vari campi della vita moderna, illuminando gli um e gli altri colla luce che procede dalla parola di Dio. Il libro è fatto in collaborazione, e i singoli capitoli (il cristiano e i tempi nuovi; il cristiano e la vita politica: il cristiano e la vita economica; il cristiano e la vita morale; il cristiano e le correnti religiose, e via dicendo) sono scritti da penne diverse. Tuttavia vi è da cima a fondo un'unica tendenza, che è conservatrice e tradizionalista, così in religione come in politica. Diamone qualche esempio.
Toccando della recente teoria relativistica dell’Einstein, mentre giustamente si afferma ch’essa non può ledere i valori morali e spirituali, che appartengono a una sfera superiore, se ne trae argomento per additare la incertezza e fallibilità della Scienza, anzi un difensore della verità della Bibbia insinua che anche il miracolo di Giosuè che ferma il sole rientra ora nel campo del possibile (?).
Sul terreno della politica, mentre troviamo affermata la necessità della guerra, sia con argomenti tratti dall’Ani. Test., sia a motivo del peccato che domina nella vita dei popoli, viene tanto più recisamente stigmatizzata la rivoluzione, cui un cristiano, che pure accetta o subisce la guerra in cui la sua nazione è impegnata, non deve in nessun caso partecipare. Fra i partiti politici uno solo è nettamente condannato: il socialismo, figlio dell’ateismo materialista e della rivoluzione, e di sua natura anticristiano.
Le correnti religiose attuali, tra cui lo spiritismo (in cui si ravvisa un’azione satanica), e la teosofia (che non tien conto della realtà e gravità del peccato) vengono giudicate alla luce dell'ortodossia evangelica. È tuttavia notevole il riconoscimento che la Chiesa ha curato troppo l’elemento intellettuale della fede, a scapito dei bisogni mistici delle anime, le quali troppo spesso cercano altrove ciò che le soddisfi.
Caratteristico infine è un certo pessimismo nei riguardi dell’avvenire. A proposito dei tentativi di riforma sociale, si ricorda che il male più profondo è di natura morale: che la vita attuale non è soltanto sotto l’influenza educatrice di Dio, ma anche sotto
la riprovazione e l'ira divina. Invece di una evoluzione continua verso un assetto sociale migliore, si attendono i tempi nefasti dell’Anticristo, preludio del ritorno del Salvatore.
Questo spirito, rigidamente attaccato alla lettera biblica, e poco disposto a simpatizzare colle nuove correnti della vita odierna, nuoce, a parer nostro, all’efficacia di questo libro, in cui pure sono contenute grandi verità cristiane, e ottime direzioni morali. T. L.
DOGMATICA PROTESTANTE
Le róle de la Métaphisique et de l’histoire dans la dogmatique protestante moderne par Andre Jundt, Paris, Fischbacher, 1921.
1 principi della Scuola di Ritschl sorta in Germania nell’ultimo terzo del secolo xix furono definiti da un interprete francese — Aguiléra — « la théologie de l’avenir •. Ora. a mezzo secolo di distanza, i principi del teologo di Gottinga sembrano aver prodotto tutte le loro conseguenze, e la teologia dell’avvenire apparisce già come una teologia del passato. Scopo di questo libro è tentare di stabilirne il bilancio.
Nella prima parte l’A. schizzale linee generali seguite dall’evoluzione della teologia germanica fino a Ritschl, dalla fase razionalista alla sentimentale (De Welte, Schlei-ermacher) alla speculativa dei teologi hegeliani, e — attraverso l’influenza della critica biblica e della critica storica sul pensiero religioso — a Strauss e Baur. Ritschl, muove dalla Scuola di Tubinga, ma poco a poco se ne allontana fino ad opporsi al sistema di Baur. Per lui il cristianesimo non è, come per Baur, una combinazione d’elementi eterogenei senza unità interiore, ma è invece una religione positiva essenzialmente costituita dalla fede in Gesù. Il metodo di Ritschl storico. perchè la dommalica deve descrivere la religione cristiana in quanto è un movimento d’ordine generale. Per avere una nozione esatta della rivelazione cristiana non basta considerare l'attività personale del fondatore, ma bisogna tener presente anche la prima generazione della comunità fondata, perchè è questa che — quale risultato positivo — mette in evidenza l’intenzione del fondatore. L’A. espone chiaramente il mezzo col quale Ritschl stabilisce l’autorità delle Scritture e il metodo che egli adopera per l’interpretazione dei libri biblici. Quindi pone in rilievo il criterio cristocentrico del Ritschl opposto alla vecchia dommatica
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poggiante Sur un insieme di concetti razionali o giuridici.
Nella seconda parte l’A. parla della Scuola di Ritschl, lumeggiando l’azione duratura che esercitò sul movimento teologico. Descrive le discussioni appassionate che sollevò non solo tra i teologi, ma negli ambienti ecclesiastici. Prospetta l’opera dei difensori che essa ebbe, e gli sviluppi che le diedero i discepoli che sopravvissero a Ritschl. da Scbultz, Haering, Kattensbusch, a Kàf-tan, Harnack, Lobstein, ecc.
Nella terze parte l’A. parla della Nuova Scuola la cui filosofia religiosa va elaborandosi attualmente in opposizione alla Scuola di Ritschl. Mentre quest’ultima sostiene che il cristianesimo si distingue da tutte le altre religioni le quali non servono che a costituire il punto di paragone necessario per far emergere l’originalità e la superiorità del cristianesimo, la Nuova Scuola afferma invece che il metodo di Ritschl tradisce un partito preso da cui la teologia, per Kssedere un carattere scientifico, deve af.ncarsi. Secondo questa scuola, la conoscenza realmente storica del cristianesimo non s’acquista che alla luce delle leggi generali che lo studio comparato delle religioni permette di scoprire. L’A. si limita a considerare questa scuola nei suoi rapporti con la teologia di Ritschl. Considera questi rapporti prima di tutto relativamente ai problemi storici. Ci parla di Mever, di Delitzsch, di Gunkel, di Bousset. di Wre-dc i quali, affermando che il Cristianésimo è una religione sincretistasviluppatasi sotto l’influenza decisiva di altre religioni, tentano scuotere uno dèi principi fondamentali della teologia di Ritschl. L’A. ci mostra subito dopo la difesa che di questo principio fanno i rappresentanti della scuola di Ritschl: Lobstein, Weiss, Harnack. Poscia considera i rapporti tra le due scuole relativamente al problema, dommatico: se la persona di Gesù abbia per la fede un’importanza fondamentale ed essenziale oppure soltanto accidentale e'storica. La seconda soluzione è quella della nuova Scuola, e l’A. ci espone ih proposito il pensiero di Bousset e di Troeltsch, a cui contrappone subito quello dei discepoli di Ritschl: Bombatiseli, Haering, Harnack, ecc.
Il libro si chiude con un'appendice alla terza parte nel quale sono esposte le conclusioni critiche dell’A. Importantissimo il primo paragrafo su La rivelazione e la persona di Gesù Cristo, in cui l’A. métte in evidenza i punti deboli e quelli forti della scuola di Ritschl come pure le deficienze e gli
elementi di verità della nuova Scuola, giungendo a conclusioni luminose e consolanti. Nel secondo paragrafo. Il bisogno religioso c l* apologetica, l’A. svolge bei pensieri sulla vera via dell’apologetica; rileva come la scuola di Ritschl non abbia esèmpi di una vera apologetica fino ad Harnack. La doni-malica e la metafisica è l’argomento del terzo paragrafo di queste conclusioni critiche. L’A. ammette re premesse di Ritschl che la religione non è una filosofia e che essa non risponde ad un bisogno di conoscenza, ma ad un bisogno pratico dello spirito umano. Ma, secondo lui, l’errore di Ritschl è di confondere, a questo riguardo, la reli-Sione e la teologia. La teologia mira a sodisfare un bisogno scientifico: quello di rendersi conto della propria fede, di giustificarla davanti al pensiero, di formularla in idee: non può, dunque, la teologia non entrare in terreno filosofico; la teologia è la metafisica della fede. Essa però si distingue profondamente dalla filosofia in questo: che non va. come la filosofia, alla ricerca della verità, poiché già possiede la verità nella fede cristiana. Essa va dalla fede alla filosofia, non dalla filosofia alla fede. Nel quarto ed ultimo paragrafo. La fede e la sua espressione dottrinale, l’A. si pone ad un tempo contro Ritschl in quanto egli aveva l’ambizione di dare alla fede cristiana una espressione dottrinale definitiva ed universalmente valida, e contro un altro teologo della stessa scuola, Herrmann, che afferma l’individualismo della dottrina. L’A., d’accordo coi teologi francesi della Scuola di Parigi, afferma che le forinole dommatiche da un lato sono non soltanto praticamente necessarie alia Chiesa, ma indispensabili alla fede, e dall’altro che esse sono sempre relative c perfettibili.
La conclusione dell'opera è che il sistema di Ritschl non risponde a tutte le speranze che aveva fatte concepire. Si può dire che oggi è oltrepassato. Noi camminiamo verso una nuova sintesi geniale — di cui oggi la scienza storica va preparando i materiali - che sarà l’opera di un uomo il quale riunisca nella sua persona, in unità feconda, i tre fattori da cui procede tut ta la teologia moderna: la pietà evangelica, la libera speculazione religiosa, la scienza storica. • u. i.
APOLOGETICA
Apologetica, sive Micologia fundamentan s, in usum scholarum. Pars prima: Demonstratio Christiana. Pars altera: demonstratio catholica. Scripsit Dott. P. Hilari-
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nus Feeder O. M. Cao. 1920, Romac, apud F. Pustet, pontificale»! bibliopola!». È un trattato di apologetica in due volumi di circa 300 pagine ciascuno, scritti in elegante latino. Il primo è apologia del cristianesimo, il secondo del cattolicismo, s’intende romano. L’A. riassume in quest’opera la materia da lui trattata in venticinque anni d’insegnamento all’università Cattolica di Friburgo. È mosso, nell’opera sua, dal desiderio di rispondere ad un bisogno dei tempi; quanto più le porte dell’inferno si sforzano di prevalere contro Cristo c la suà Chiesa, altrettanto più è necessario coltivare l’apologetica. E non già un’apologetica qualunque, ma quella più solida che sia pari, nelle odierne circostanze, all’altissimo cómpito.
Il primo volume — Denionstratio Christiana — si divide in due sezioni. La prima di esse tratta della teoria della rivelazione considerata ontologicamente e logicamente. La seconda tratta dell’estera della rivelazione e considera a tal fine la testimonianza di Gesù circa la sua messianità e circa la sua divinità, nonché gli argomenti a prò’ della messianità di Gesù. -Questi argomenti riguardano la sua persona, i suoi vaticini, i suoi miracoli, la sua risurrezione.
Non mancano in questo volume bei pensieri qua e là dispersi, ma esso difetta di vera forza apologetica. Non ci sembra che tenga conto dei veri bisogni attuali. Di ben altro ha necessità l’anima contemporanea, se ne persuada l’A. Una vera e forte apologetica non può prendere le mosse che dalle aspirazioni religiose di cui la storia attesta la presenza in fondo all’anima dell’uomo; ed il suo ufficio deve consistere nel mettere Gesù Cristo in presenza dell’anima umana. Il metodo dei grandi apologisti è stato sempre quello di mettere in evidenza i rapporti del cristianesimo coi bisogni religiosi dell’anima umana. L’A. è fuori di questa via maestra. Egli s'attarda in una nozione superata dalla rivelazione stessa e s’indugia qua^i esclusivamente nella forza apologetica delle predizioni e dei miracoli.
11 secondo volume — Demonstralio ca-tho.lica — parla, della istituzione della Chiesa —- H fatto, il fine, l’indole — nonché della costituzione gerarchica e monarchica della Chiesa, delle note da cui la vera Chiesa si riconosce, del magistero infallibile di essa. Il volume si chiude con una dissertazione sulle fonti della rivelazione» cioè sulla redola di fede remota: la Scrittura e la Tradizione.
Osserviamo che l’A. sostiene l’infallibi-lismo romano coi vieti argomenti di cui la moderna apologetica cattolica, da Newman in poi, ha sentito l’insuperabile debolezza, rinunziando a servirsene. Non v’è cenno in questo volume dell’impostazione più recente — e secondo noi più forte —- del problema dell'infallibilità quale è.fatta dal Newman e sviluppata dai suoi continua-tori. Quanto all’ispirazione della Scrittura, l’A. la concepisce in modo da ritenere che Dio è il vero autore dei libri sacri, e gli scrittori di essi non sono che strumento quasi meccanico del vero autore. Afferma, perciò, l’assoluta inerranza delle Scritture anche fuori del campo religioso. Coloro che pensano a questo modo avranno caro di possedere il volume del P. Hanno Felder.
u. i.
S. GENNARO
F. Zingaropoli e V. Cavalli. Occultismo e misticismo nel miracolo di S. Gennaro. Napoli. Soc. Ed. Partenopea, 1921. Pagine 197, con 6 illustrazioni fuori testo. Prezzo L. 8.
Chi conosce i due autori del presente lavoro — lo Zingaropoli e V. Cavalli — subito intuisce la tesi presa a svolgere nell’opera presente, che ha il merito di presentare un'altra ipotesi e un’altra soluzione alle tante già affacciate nel corso di vari secoli al presunto miracolo della liquefazione del sangue di S. Gennaro. Questa volta il tentativo di soluzione sarebbe dato dalle vibrazioni dell’energia viva operante dinamicamente pel tramite della preghiera, introducendo per tal modo le scientifiche prove obbiettive del finora inesplicato fenomeno che non è affatto’sovrannaturale, ma tutt’al più superscientifico. I due autori presentano qui con serena obbiettività questa loro nuova possibile spiegazione scientifica del fenomeno della cattedrale di Napoli con l’ipotesi psicofisica del sim-patismo tra il sangue e il teschio del martire del ni secolo e la preghiera che quel sangue risveglierebbe con la scossa esterna della proiezione «Iella forza vitale dei preganti.
Qualunque possa essere il contributo di questa nuova tentata soluzione del cosiddetto « miracolo >, siamo completamente d’accoido con gli autori nell’invocare dalla competente autorità la possibilità d’un sereno e definitivo esame scientifico ad accertamento e chiarificazione del fenomeno partenopeo. P. Chiminelli.
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BILYCHNIS
ANTOLOGIA NAZARENA
Umberto Mofcri, Antologia nazarena. Ausonia, Roma» 1921, pag. 210. L. 7.
Ecco un’antologia di nuovo genere. Si tratta d’una originalissima raccolta di prose e poesie d’autori italiani e stranieri in lode di Gesù. I! libro si divide in quattro parti: Il divino Fanciullo — l’Apostolo — il Martire — Ne la gloria.
In prefazione l'A. delinea i limiti impostisi nel suo lavoro, che doveva avere carattere ■ semplicemente narrativo: doveva contenere lavori di pura invenzione artistica che rispettassero la tradizione e la fede, ma escludendo i testi sacri e le trattazioni storiche » (p. 4).
E ciò, dietro confessione del raccoglitore stesso della presente antologia, affine di • evitare una mescolanza di sacro e di profano, di vero e di falso », disdicente, all’altissimo soggetto. Per tal modo il lettore inesperto della genuina letteratura neotestamentaria è avvisato e, quindi, mezzo salvato dal pericolo di scambiare per puro oro evangelico le tante leggende raccolte in queste pagine — specialmente nella prima parte — e presentate col fascino dell’arte e della poesia da autori di diverso merito individuale.
A noi (pur apprezzando l’idea d’una raccolta nazarena, idea buona in se stessa ed anche originale ed utilissima) vien fatto di chiedere al Monti perchè, trattandosi della eccelsa personalità di Gesù, egli abbia voluto dare posto all’invenzione artistica, alla tradizione e all’elemento falso e profano. Si può assolutamente scrivere di Gesù sulla scorta di un tale programma? Poeti e letterati che han da fare con i cristologi ? Rostand, Heine o D’Annunzio portati in campo come illustratori del Nazareno? Ciò equivale a rendere il cristianesimo — eh’è un tema di vita e di esperienze etiche —-un tema di vaga e decadente letteratura di maniera, come già non ce ne fosse troppa: un facsimile del lezioso francescanismo umbro, dilagante da un ventennio.
Formuliamo frattanto i più accesi voti che non si diffonda tra noi il flagello del dilettantismo esercitato intorno a Gesù e alle alte idealità etiche e messianiche del suo messaggio, ch’è l’unico elemento di vita che ancora ci resti per vivificare la stanca fibra morale di tanti annacquati cristianucci del giorno d’oggi. Piero Chiminelli.
EDIFICAZIONE
Giulio Bevilacqua (prete dell’Oratorio), La Luce nelle tenebre. Elevazione sui
Vangeli. Milano, 1921, Soc. Ed. « Vita e Pensiero» L. 12.
Una doppia lucerna — un po’ simile alla nostra Bilychnis — adorna tutti i volumi di questa casa editrice. Un vincolo di fraternità, dunque? Certamente. Perchè identico sembra voler essere il metodo apologetico delle due iniziative di cultura: metodo moderno: metodo sperimentale a base di psicologia. Rimaniamo però un po’ dubbiosi leggendo i titoli di alcuni volumi della raccolta: La devozione al S. Cuore di Gesù (di J. V. Borinvel), Il regno sociale del S. Cuore (di C. Giustiniani Bandini). Ma altri volumi ci dànno maggiore affidamento, specialmente quelli consacrati a S. Francesco.
Questo del Bevilacqua è veramente un buon saggio di cristiana edificazione. Il «presentatore» padre Agostino Gemelli, non a torto, ricorda i luminari dell’ordine al quale il Bevilacqua appartiene: l’autore è davvero della razza de iNewmann e dei Gratry.
È un uomo che ha vissuto la sua fede, e che per questo conosce le vie per comunicarla ad altri. Un uomo altresì che possiede una sicura esperienza in quella speciale cura d’anime che è quella del giovane moderno, e particolarmente del giovane colto: quindi un valente campione di quella apologetica non tanto intellettuale quanto spirituale che, nei tempi nostri, si è dimostrata così efficace. P. Bevilacqua non scende in armi contro le dottrine dell’ateismo, ma, presupponendole, spiega ai suoi ascoltatori da quali condizioni e ragioni intellettuali e morali sia generalmente determinata l’incredulità e per quali vie — le vie della coscienza e del cuore — si faccia ritorno a Dio.
I suoi ascoltatori? Non si può non commuoversi pensando chi sono stati. P. Bevilacqua. ufficiale alpino, visse lunghi mesi di prigionia di guerra. « Alla doménica, all’ora del crepuscolo, quando il cuore era gonfio di ricordi, quest’uomo radunava attorno a sè i giovani compagni di prigionia, di fame e di dolore e parlava loro le parole dolci che ricordavano la bellezza e la santità della fede... ».
Non c’importa dunque, se, dopo-esserci fatti del bene, leggendo. le parole spirituali del Bevilacqua, ci siamo trovati, inaspettatamente, verso la fine del volume, di fronte ad una pagina polemica dove sono ripetuti i soliti luoghi comuni contro la Riforma.
Giustamente il nostro autore esalta il valore della tradizione; ma a torto egli condanna il diritto dell’anima singola di rivedere le credenze tradizionali e di conquistarsi una fede. Il protestantesimo moderno ha riconosciuto i tesori di vita spirituale
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che provengono dalla Chiesa — da tutta la chiesa cristiana (cioè non solo dalla chiesa romana) — e ad essi largamente attinge, disponendo in tal modo di fonti più ricche di quelle della tradizione esclusivamente papale. Il protestantesimo moderno sente ed afferma, e si sforza di realizzare l’deale dell'uno»/ corpus sumus in Christo', nè uomini come il Padre Bevilacqua possono ignorare da quale parte siano oggi le tendenze scismatiche.
D’altra parte, leggendo pagine come quelle della Luce e tenebre un «protestante' non può non commuoversi constatando come l’autore ben di rado ricorra nW unico argomento col quale la • verità ■ dovrebbe essere, non proposta e anche dimostrata, ma affermata ed imposta ai cristiani cattolici (romani e non romani): l’argomento appunto dell’autorità della chiesa magistra c dell'infallibilità del suo Capo.
Non occorre sviluppare il nostro pensiero: a buon intenditor poche parole...
E allora?
Tutta l’apologetica, tutta la cura d'anime dei Padre Bevilacqua non è forse impostata sul riconoscimento di quel diritto così nettamente formulato da Romain Rol-land: « Vi è una età nella quale bisogna osare di essere ingiusti, nella quale bisogna far tavola rasa di tutte le ammirazioni e di tutti gli omaggi imparati, e tutto negare, menzogne e verità, tutto ciò che non si è riconosciuto vero da sè ».
Se non fosse riconosciuto tale diritto — a respingere ciò che non si è riconosciuto vero da sè — un fedele sacerdote romano, anche prete dell'oratorio, non dovrebbe cercare di persuadere, di convincere, di aiutare i dubbiosi e gl’increduli; ma dovrebbe dire ancora oggi, come si diceva una volta: non è lecito dubitare, non è lecito discutere, non è lecito... pensare.
Una volta chi dubitava, chi discuteva, chi pensava, era mandato alle forche, e ai roghi colla formola di rito:«Sia fatta la volontà di Dio... ».
Non solo per questo, ma anche per questo, è venuta la Riforma’ Nè sul primo gli stessi riformatori furono immuni di quell’odiosa intransigenza ch’erari sorti a combattere.
Ma la Riforma non è un immutabile fatto storico, è invece un metodo nella ricerca della verità religiosa. La Riforma è un continuo divenire; essa ha avuto e continua ad avere — anche sui fratelli separati che rimangono nella « chiesa dei padri » — provvidenziali e talora inattesi effetti.
Tra questi sono le Elevazioni sui Vangeli di padre Giulio Bevilacqua. G. E. Meille,
L’ETICA DEL VANGELO
A. O.modeo, L'esperienza etica dell’evangelio. Bari, G. Laterza e figli. 1921. p. 154. L. 10,50.
L’autore — cristologo di larga e solida fama — s’è acquistata un’altra benemerenza con questo suo volume di excerpta della letteratura neotestamentaria. Trattandosi di Gesù parve sempre metodo migliore quello di presentare l’integrale insegnamento lasciato dal Rivelatore, < he non ascoltare ciò che gli uomini — peggio poi se in vena... papiniana di fare della letteratura cristocentrica — dicono del Cristo. Già il Puccianti ed il Pascoli avevano fatto delle antologie o soggetto di antologia con le parole di Gesù.
Il presente estratto, fatto dall’Omodeo. dell’esperienza etica del vangelo, è risultato organico e largamente complessivo nella sua concisa brevità, nel suo rigore logico, nella scelta degli elementi e nelle sobrie ma esaurientissime noticine illustrative che sono un vero modello di quella che deve essere la illustrazione richiesta da siffatta letteratura evangelica.
Tutto considerato, l’antologia etica del-l'Omodeo è destinata a una larga diffusione e farà più bene di tante odierne vite o storie di Gesù o di-tanti tentativi di Antologie nazarene, raccoglienti la inefficace cerebrazione', intorno a Gesù, di tanti prosatori o poeti che Cristo non portano, come una fiamma, nel loro cuore. P. Chiminf.lli.
BIBLIOGRAFIA RELIGIOSA
C. II. Jordan. Comparative Religione. A survey of its recent Literatura. Second edition, revised and augmented. Voi. I: 1900-1909. London. Milford (Oxford University Press), 1910, pp. vili-160. io Sh. Il Jordan, notissimo cultore di scienza delle religioni, ha sempre dedicato particolare attenzione alla bibliografia di questa scienza. Egli raccoglie in questo volume — al quale ne seguirà presto un altro per il 1910-915 —sue recensioni già pubblicate. ma rivedute e ampliate, sopra pubblicazioni importanti per la scienza delle religioni uscite negli anni indicati: e pertanto il suo libro costituisce un utile strumento di consultazione per gli studiosi della materia, anche se le recensioni sono, in complesso, brevi, è non portano speciali contributi agli argomenti delle opere recensite: ciò che sarebbe stato evidentemente al di fuori dello scopo, soprattutto bibliografico, dell’autore. I. s.
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STUDI SULLA CINA
Cordier H., Hisloire G ¿Mirale de la Chine fi de eee rdatioHS avec lee pays ¿frangere depuieleetempe lee pitie anciens juequ'à la chule de la dinaelie Manchu. HI voli. Paris, Gcuthner, 1920.
La mancanza di una storia della Cina era da tempo da tutti sentita: invecchiata quella del Williams, incompleta quella dello Hirth che giunge solo al nsec. a. C., troppo succinta per quanto buona quella del Conrady nella Wellgcechichte del Pflugk-Harttung; ottima anche oggi, perchè l’unica che tracci con criteri filosofici l’evoluzione della società cinese quella del nostro Giuseppe Ferrari—La- Chine fi l'Europe — ma non priva di numerose lacune e difetti inevitabili in un'opera basata unicamente su materiale e informazioni di seconda mano e non direttamente sulle fonti. La storia ora pubblicata dal Cordiersi propone appunto di supplire a questa mancanza e certo oggi nessuno sarebbe stato meglio in grado di scriverla.
Ottimo manuale per gli specialisti, non credo però possa essere letta con altrettanto profitto da chi non si occupi ex-profeeeo di sinologia: perchè, a mio vedere, l’autore ha seguito un po’ troppo da vicino le fonti indigene. Sarebbe stato preferibile che, invece di tanti fatti, date e nomi il Cordier avesse dato maggiore importanza alla evoluzione del pensiero, delle istituzioni sociali, del lento progresso della civiltà cinese insomma.
.Anche le più grandi figure della storia cinese sono state riprodotte in maniera un po’ troppo uniforme. Eppure un Ske Hwang ti dei Ts’in o Kao Tsu dei Han sono personaggi che hanno caratteri ben definiti che sarebbe stato opportuno mettere meglio in rilievo cercando determinare l’influsso da essi esercitato sulla storia e sulla cultura della nazione.
Ma queste osservazioni ed altre ancora non infirmano per nulla il valore scientifico della nuova opera del Cordier della quale io sopratutto segnalo all’attenzione degli studiosi quei capitoli in cui si parla delie relazioni della Cina con gli altri popoli dell’ Asia e dell’Europa, fin dai tempi più antichi del la sua storia.
È tempo di sfatare ia leggenda della muraglia della Cina, creduta anche oggi da molti una barriera elevata dal disprezzante isolamento cinese contro ogni possibile influsso straniero. Essa fu infatti costruita per la sicurezza stessa dell’impero da She Hwang ti dei Ts’in contro le incursioni dei
Aiun-nu — gii antenati degli Unni — che furono fin da tempi remotissimi i nemici più implacabili e più pericolosi dei Cinesi. I quali prima che la cupidigia e la mala fede occidentale non li rendessero giustamente sospettosi furono per secoli e secoli in diretti e fecondi rapporti di commercio con tutte le più grandi civiltà. Anche prescindendo dalle relazioni coll’india, che la diffusione del Buddismo rese per vari secoli sempre più frequenti, negli annali cinesi troviamo ricordo di ospitali accoglienze fatte ad una missione inviata da Antonino Pio — An tun — alla corte imperiale. E del resto i numerosi ritrovamenti di monete romane fatti recentemente sul suolo cinese confermano che mercanti occidentali dovevano capitarvi assai di frequente.
Il cristianesimo stesso si diffuse prestissimo in Cina con i Nestoriani ed ha lasciato di sè notevoli ricordi come la famosa stele di Si-ngau-fu; anzi è con ogni probabilità attraverso la letteratura ne-storiana che penetrano nella lingua cinese alcune parole greche come: si-kua ocxón e po-tuo Bórpuov
Del resto dà Marco Polo sappiamo quale fosse la tolleranza della dinastia mongolica dei Yuen verso tutte le fedi benché in part¡colar modo favorisse il Buddhismo: e di questa tolleranza è documento il non piccolo-numero di viaggiatori e missionari che capitarono in quel tempo nella Cina.: Giovanni da Pian de’Carpini, Giovanni da Monte Corvino, ©dorico dà.Pordenone, Marco Polo e lo stabilirsi di missioni cristiane francescane sopratutto nell'Asia centrale come quella istituita nel territorio di Ili da Riccardo di Borgogna eletto nel 1338 vescovo di Al Maliq.
G. Tucci.
Paul Pelliot, Les grollee de Touen Houang, Peinlurce et sculpturee bouddiques dee Wei, dee Tàng el desSoung. Paris, Gcuthner, voi. I, 191-4; voi. Il, 1920.
L'album contiene in tavole la riproduzione delle pitture e delle sculture che adornano le grotte dette dei 1000 Buddha a Touen Houang, già note per quanto imperfettamente per le relazioni dei precèdenti esploratori, e studiate dal Pelliot nella sua missione del 1907-1908. Il volume illustrativo già annunciato, non è ancora uscito. Quanto cotesti monumenti di scultura e di pittura interessino la storia dell’arte cinese è facile immaginare quando si ricordi che Touen Huang vicino al Lop, quasi alfe-
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stremo confine della Cina, si trovava proprio su quelle vie commerciali che per lunghi secoli favorirono gli scambi più intensi fra l’Occidentc e lo Estremo Oriente prima clic le sabbie e l’invasione mussulmana rendessero desertiche quelle regioni un tempo floridissime. Per quanto infatti nei loro caratteri generali, essenzialmente cinesi, le sculture e forse anche le pitture di Toucn Houang disvelano evidenti influssi dell’arte del Gandhara, la quale come è noto può ben considerarsi indiana d’origine e d’ispirazione, ma felicemente congiunta a motivi
ellenici. La pubblicazione delle tavole cui — come ho detto — seguirà presto il volume di illustrazione mette fin da ora tutti gli studiosi in condizione di conoscere a sufficienza cotesti monumenti tanto importanti sia per l'arte cinese in specie sia anche perchè permettono di stabilire fino a qual punto l'arte greca, attraverso lo stile Gandbarico, influì su quella deH’Estremo Oriente. Tutto un nuovo campo di ricerche che s’apre agli studiosi.
G. Tvcci.
STORIA E LETTERATURA
AUGUSTIN Cochin, Les sociilès de pensee et ¡a dimocratie. Ètude d'histoire rèvolutionnairc. Paris, Plon-Nourrit, 19.21.
Critica amara della rivoluzione francese. Gli storici esali atori di questa non ne spiegano le origini, ne trascurano gli errori e gli eccessi: tutto è giustificato e sublimato da quelle idealità astratte, o divinità: Ragione, Libertà, Civismo, Popolo, delle quali la rivoluzione stessa è una viva incarnazione. I presupposti dottrinali e mitici degli storici sono cosi convertiti in ragioni immanenti della storia da essi narrata; e non c'è bisogno di cercarne altre. Ma primo Tainc, con una irriverenza che l’Aulard gli ha cosi fieramente rimproverato, mette a nudo le condizioni di fatto dalle quali si è svolta la rivolu-Izione francese e, applicando il suo metodo di analisi psicologica al giacobinismo e ai mezzi di diffusione e di azione di questa tipica * società di pensiero », ci dà della rivoluzione un quadro realistico dal quale la storia di « difesa repubblicana » e il fervore di quelli che vogliono l’adorazione in bloccò della rivoluzione escono terribilmente malconcio.
Cochin vuol darci la spiegazione, lui. C’era in Francia una larga corrente di pensiero, una filosofìa nuova, la quale — specie nell’ultimo decennio precedente la rivoluzione — si era venuta organizzando in tutti ¡cantidella Francia, nelle logge massoniche e in circoli e clubs di iniziati: erano dei teorici fanatici.avulsi da ogni contatto con la vita reale e la con* creta costituzione storica del proprio paese, in rivolta contro lo Stato e la tradizione. Essi si erano fatti delle idee comuni e un linguaggio comune, operavano di concerto, dominavano l’opinione pubblica e gli ordini del terzo stato. La Francia rivoluzionaria, il popolo, la nazione fu questa società di pensiero: essa provocò la convocazione degli stati, determinò la legge elettorale-, fece le elezioni, orga
nizzò i nuovi governi: minoranza piccola, ma affiatata, audace, fanatica, si sovrappose e si sostituì al popolo vero.
La dimostrazione è interessante e non neghiamo che essa sia anche, nelle grandi linee, esatta, benché fatta per scandalizzare atrocemente tutti gli storici ufficiosi e gli ammiratori della grande rivoluzione. Ma in sostanza, che cosa spiega poi, alla sua volta, questa nuova spiegazione? Perchè una società di pensiero si sostituisca cosi in breve tempo a tutta la secolare organizzazione di un grande popolo e si impossessi del potere e lo eserciti con la brutale violenza del Terrore, due cose almeno sono necessarie: che la vecchia società fosse assai poco in grado di difendersi sul terreno del pensiero, e che il pensiero nuovo avesse una intima corrispondenza con profonde necessità ed aspirazioni sociali. E il sig. Cochin, che tace di questo, non giunge neanche a mezza strada, con la sua spiegazione. Interessanti paralleli si potrebbero stabilire, sulla traccia della evocazione storica del Cochin, fra l’azione dei • fratelli ed amici • e delle loro logge nella Francia rivoluzionaria e quella, ad es., delle logge e gruppetti massonici nella democrazia italiana di oggi. Piccole minoranze, anche qui, affiatate ed organizzate, che con il segreto, l’intesa previa e l'uso di certe formule comuni riescono a simulare una volontà popolare, a dar la scalata agli uffici pubblici, elettivi, a piegare ai loro scopi L’amministrazione dello Stato. M.
P. Gatti, L'unità del pensiero leopardiano.
G. Giannini, Napoli.
li Gatti ritorna in questo opuscolo a considerare un problema del quale s’era già a lungo occupato in due suoi volumi, ove egli aveva creduto di poter coordinare i pensieri dello Zibaldone in sistematica unità, distinguendo la filosofìa pessimistica
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del L. in due momenti: esprimente, l'uno, una concezione slorica, l'altro una concezione cosmica del dolore. Al che il Gentile aveva obiettato non potersi considerare io Zibaldone come un'opera di filosofia, ed essere arbitrario il voler coordinare in sistema un complesso di pensieri che l’artista aveva fissato sulla carta, a seconda dei sentimenti, dei pensieri che gli sorgevano a volta a volta nell’animo commosso, ed aggiungeva che questi pensieri non solo non costituiscono un’unità sistematica — che solo arbitrariamente si può desumere da essi — ma non rappresentano che gli abbozzi delle future poesie, • la materia grezza ■ della lirica leopardiana. Alla qual tesi il Gatti oppone che questi pensieri non costituiscono punto una materia grezza che debba venire poi rielaborata nelle poesie — sebbene questi pensieri rappresentino effettivamente la sostanza delle poesie, o raggiungano in queste la più alta e compiuta espressione — poiché essi medesimi assurgono spesso ad espressione poetica perfetta, c, d’altra parte, il Leopardi stesso accenna ai pensieri come ad clementi da coordinare o raccogliere in una sua opera filosofica futura.
Ma i pensieri dello Zibaldone possono, quali ci sono stati tramandati, essere coordinati in sistema?
L'obiezione fondamentale rivolta dal Gentile al Gatti, c questa veramente inoppugnabile, è che i pensieri dello Z. non costituiscono nè possono costituire una filosofìa in quanto esprimono degli stati d'animo, c non assurgono affatto ad una elaborazione sistematica e riflessa, comeaccade agli artisti che raccolgono nei loro quaderni di appunti, i pensieri ed ¡sentimenti che sorgono ad ora ad ora nel loro animo, senza ridurli — c ne sarebbero incapaci — ad unità sistematica.
fi ovvio che questi frammenti hanno alcunché di comune, mase è possibile raggrupparli, per una loro generica affinità, questa unificazione non ci dà una filosofia, ma un semplice raggruppamento pratico, poiché, data la natura dei pensieri, esprimenti non già lo svolgersi di un concetto che si venga sistematicamente sviluppando, ma bensì i palpiti del cuore del poeta, la loro unità non è effettiva ed intrinseca. La filosofia dev’essere, invece, come osserva il Gentile, liberazione assoluta da ogni motivo e sentimento individuale, mentre i pensieri del L. non sono che l’espressione del suo stato d'ani ino; e dev’essere sistemazione logica di pensieri, mentre qui non v'è che una raccolta di osservazioni, talora contrastanti, che l’autore ha espresso in un lungo volger d'anni, per il bisogno intimo di fissare ed obiettare i propri sentimenti, ma non già per il bisogno di formare un sistema che era allatto estraneo a lui. E se anche il Leopardi disse che questi pensieri voleva poi comporre ad unità e farne l'opera della sua vita (la filosofia), egli non li compose mai,
ed in ogni caso avrebbe dovuto non soltanto raccogliere que’ frammenti in gruppi distinti, come fece il Gatti, ma, libero da ogni atteggiamento soggettivo, elaborare quei pensieri ordinandoli in una logica ed organica unità.
Onde lo Z. non costituisce la filosofìa del L. filosofo, ma del Leopardi poeta, manifestazione del suo animo commosso che si esprime in vari atteggiamenti rispondenti alle fluttuazioni del suo sentimento, c non già alle necessità intrinseche di un pensiero che si sviluppa logicamente e sistematicamente.
F. G.
Yogi R a machara ka, L'arte di guarire con messi psichici. Piccola Biblioteca di Scienze .Moderne: Fratelli Bocca Ed., Torino, Milano, Roma, 1921. N. 258,pag. 132- x<>Che numerose guarigioni siano avvenute ed avvengano per mezzo di forze psichiche si può dire che oggi è un fatto universalmente ammesso. Questo libro ha però due difetti fondamentali. Il primo è questo, che cioè esso basa la guarigione di terapia pranica (invio di forze vitali) nell’asserto gratuito che le cellule del nostro organismo sono provviste di una mente istintiva, incosciente, che sottosta alla direzione della mente centrale cosciente c della volontà. Questo asserto è completamente gratuito, e, disgraziatamente, l'A. non stima utile di soffermarsi a provare questo asserto fondamentale (p. 12) lasciandolo invece alla evidenza pratica dei lettori ed alla loro esperienza, se créderanno di farla. Il secondo difetto del libro è poi nella cura, cosi detta, spirituale, che può essere chiamata anche di terapia religiosa, perchè vedo che si serve della preghiera. In essa l’A. pensa che il terapeuta diventa, e deve egli stesso considerarsi, come il «canale» traverso il quale fluisce il potere sanatore e cercare di * vedere » mentalmente o «sentire » il passaggio dello Spirito durante il trattamento. Non mi risulta che questa sia stata e sia attualmente la esperienza dei terapeuti religiosi (o meglio) dei terapeuti cristiani, che invece hanno sempre concordamele attribuito gli effetti curativi ad un intervento diretto di Dio ed allo stato spirituale del paziente.
Tuttavia il problema delle guarigioni per forze psichiche e religiose e un problèma che si è già imposto in America ed in Inghilterra, dove anche ultimamente ebbe luogo una assemblea di teologi e di medici per studiarne la portata. Anche la famosa conferenza di Lambcth della Chiesa Anglicana ha occupato delle sedute allo studio di questo problema dal punto di vista cristiano, che non è quello del nostro libro. Anche il movimento anticristiano della Christian Science va spargendosi in tutto il mondo ed è giunto anche in Italia. In Firenze è ufficialmente rappresentato. In
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Cina è stato notevole ultimamente il pastore Shi defunto da poco tempo. Altri tentativi di questo genere si ritrovano numerosi dentro e fuor-del Cristianesimo. Già fin dal 1885 un grande Congresso Internazionale fu tenuto a Londra per studiare questo soggetto, ed un resoconto completo, di cui tengo copia, è stato dato alle stampe.
Nel Giappone il recente movimento non cristiano di terapia religiosa detto Tenrikyo ha già 3.000.000 di aderenti (TAz East and West, rivista missionaria della Chiesa Anglicana, ottobre 1918, pag. 332). In Italia ultimamente hanno fatto parlare i miracoli di Padre Pio da Pietralpina nel Convento di S. Giovanni Rotondo (Foggia). (Vedi La Nazione di Firenze, 29 giugno 1919).
La terapia psichica e religiosa è un campo di studi ancora nuovo nel nostro paese, e perciò questo libro può essere un aiuto allo studio di questo problema, sebbene sarà utile tenere subito presente che altro e ben più copioso materiale e di studi e di esperienze deve giungere ancora nelle mani di molti prima di poter dare un giudizio con causa sopra una questione di così grave importanza.
Il libro è preceduto da una prefazione del dottor Nicola Gentile, medico-chirurgo.
Ignazio Rivera.
M. A. Vaccaro, La lolla per l'esistenza. Torino. Fratelli Bocca, 1921, pp. XV-307. Lire 20.
11 libro di M. A. Vaccaro La lolla per l'esistenza riesce ora, pei tipi Bocca, in terza edizione. In esso l'A. tentò con metodo felice un'applicazione delie leggi darwiniane della lotta per resistenza nei domini della sociologia e di questa sua indagine ne riportò, in fine del suo lavoro, il bilancio conclusivo che potrebbe essere enunciato, in sintesi, cosi: « Tutto dimostra che nelle nazioni civili presenti non sono i migliori fisicamente, intellettualmente o moralmente che, a preferenza, vivono e prosperano, e s’ingannano tutti coloro che, senza avere studiato bene in qual modo le leggi darwiniane funzionano nella società umana, a priori, ammettono il contrario » (pag. 282).
Questa conclusione l'A. la raggiunge a traverso una realistica disamina della vissuta realtà storica, quadro pieno di ombre solcate da radi sprazzi di luce. Nel cap. X i^Vaccaro si mostra, a ragion veduta, pessimista circa la dittatura del proletariato e l’avvenire del bolscevismo. ■ Oggi il problema che incombe sull’Europa non è tanto quello della distribuzione della ricchezza, ma bensì quello della produzione di essa, ed il bolscevismo, invece di favorirla, non potrebbe che ostacolarla. Dal bolscevismo quindi non potranno scaturire che delusioni c miseria, come purtroppo è avvenuto in Russia »
(p. 12}. Questo libro sincero c denso di esperienze sociali, risulta un’opera di prima necessità per quanti vogliono rendersi conto della dolorante storia degli uomini.
Piero Chi min selli.
Israele Zangwill, 1 Sognatori del Ghetto. Milano, Sonzogno., 19x0 pp. 465- L. 7.
Le qundici novelle in prosa che armonicamente costituiscono questo libro — sebbene non tradotte con molta accuratezza — possono far comprendere bene l’arte di Zangwill; esse si collegano ad altre opere (Children ofthe Ghetto, Ghetto Tragedies, Ghetto Comedies, The King of Schnowers) le quali tutte provano che questo scrittore si è calato a fondo nel mondo che egli descrive ed anima di vita drammatica. E sarebbe in errore chi—al corrente della fervida attività politica di Zangwill a favore dei suoi correligionari ebrei — sospettasse che queste opere siano viziate da finalità estrinseche; chi- anzi l’a. giunge alla piena intuizione artistica proprio per la serena visione della vita, nutrita di passione, che Io fa affettuosamente comprensivo.
Tra questi Sognatori del Ghetto vediamo vivere una nuova vita di spasimo Spinoza, Maimon, Lassane, Heine, Disraeli ed altri personaggi di storia che Zangwill liberamente ricrea in un mondo fantastico; e figure non meno vive di quelle propriamente storiche ci rappresenta altresì l’A., prospettando con rapidi tocchi brevi drammi intensi. Però a vera compiutezza di creazione Israele Zangwill perviene forse solo in Chad Gadya che idealmente si ricongiunge a Un fanciullo del Ghetto: due novelle che nell’ordine tipografico sono l’ultima e la prima del libro. 11 fanciullo ebreo prova le gioie ingenue della sua tede nel fondo chiuso e raccolto del Ghetto lungi dai tripudi di Venezia settecentesca: ma l’aver appena intravisto la vita della città gioiosa c l’aver appena provato il fascinoe l'incanto della Basilica, che rivela resistenza di un’altra e ben diversa esperienza religiosa, infrange il mondo mitico del fanciullo e volge gli occhi suoi avidi a quella vita che palpita al di là del canale, che dà al fanciullo pensoso — che non si sente più un fanciullo del Ghetto — il senso di un universo- più vasto al di fuori, la cui stranezza e grandezza riempiono la sua anima di una pena senza nome e di una vaga inquietudine. L’antitesi che appena si delincava, come un turbamento, in una coscienza d'adolescente, si pone poi nella sua assolutezza alla coscienza matura di un giovane ebreo, saturo di cultura, che in-provvisamente ritorna alla casa dei genitori, nella moderna Venezia, e sorprende i suoi tutti raccolti nella celebrazione della Pasqua. Il figliuol prodigo non può interrompere le preghiere della famiglia e siede quindi silenzioso in disparte. E mentre ri-
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suona nella sala e nel palazzo la preghiera rituale che il capo della famiglia dice a voce alta, in una crisi di scoraggiamento, il giovane ebreo fruga nel suo intimo, interroga la sua vita, invano trascorsa, per trarne la possibilità di una vita nuova e vera. In quest’esame di coscienza passano rapidamentee le gioie di una fede ormai spenta e le glorie di un intelletto ormai disorganizzato: la vita non può più esser vissuta in nessun modo, poiché la sua intima unità basilare è infranta da un’antitesi fra il mondo religioso ebraico c il mondo razionale delia cultura, il giovane esce silenzioso, come un fantasma, c nella tiepida notte primaverile giunge sino alla riva del Canal Grand.e II ritornello del canto pasquale, Chad Gadya ! echeggia ancora alle orecchie di chi s’immerge c s’affoga nelle acque della dormiente laguna... E queste pagine — riassunte quivi alla meglio — formano uno strano c mirabile poema pieno di una tristezza infinita-, in cui Zangwil ha raggiunto il sommo della sua arte.
Paolo Flores.
William Locke. — The Mountebank, Lane, in-8”, PP- 302William Locke è un fecondo romanziere, popolarissimo in Inghilterra, se anche non tenuto molto su dalia critica, del quale sono specialmente apprezzati i romanzi The beloyed Vagabond e The house of Balla zar, notevoli per certe qualità di umore britannico. L’argomento di questo romanzo è di piena attualità: l’eroe è uno dei tanti spostati di guerra (una specie di colonnello Bridau del nostro tempo), un brigadiere generale smobilitato, che non sa riadattarsi allo stato di pace. In Italia, avrebbe risolto il problema mettendosi a farcii fascista. In Inghilterra non c'è nemmeno questa risorsa, ond'egli finisce per scappare in Australia con la figlia di un conte che si è innamorata di lui. Il romanzo si legge di un fiato, e dir questo non e fargli una gran lode.
A. T.
Profili di A. F. Formiggini n. 51-53: Tagore di F. Belloni-Filippi; Newton di G. Loria; G. Flaubert di G. Muoni.
Indubbiamente il profilo è una forma letteraria difficilissima: ecco perchè tra i profili dei F. non di rado proprio i profili mancano. In questi tre, p. es., è forse appena appena un profilo, sebbene non perfetto, quello del Loria; gli altri due non sono che un commento alla poesia del Tagore il primo e una bibliografia letteraria dell’opera del Flaubert il secondo. Con ciò non è detto che non siano simpatici ed utili; è detto solamente che il profilo del Tagore c quello del Flaubert sono un pio desiderio. Accennato invece abbastanza è quello del Newton, ma
non ha vivacità c vita sufficiente per essere vivo e scultoreo. Nuoce poi all’operetta la mancanza di uno sfondo che collochi la figura nel suo momento e nel momento della cultura e ne affermi anche ai profani l’importanza e la grandezza. Insomma materia per il profilo ce n’è, ma manca l'arte di farlo risaltare.
Del Tagore, ripeto, vi è un commento alla poesia e una difesa alla tesi ch’egli non è poeta inglese, bensì indiano, ma manca lo spirito che dovrebbe ravvivare la figura. Per il Flaubert nuoce il carattere letterario che è spinto fino al punto di dare un sunto delle tre opere principali di lui! Eppure qui, rifacendo e plasmando in sè lo scrittore, vivendolo, vi era il modo indubbiamente di ricavare un buon profilo. Forse l'A. vi sarebbe riuscito se non fosse morto.
Ciononostante i lavori sono buoni e serviranno, perchè fatti indubbiamente,da conoscitori del soggetto, anche se non sempre — e per taluno potrebbe dubitarsi se non volutamente — tali da plasmare un profilo della materia che trattavano, ma non vivevano, almeno in relazione all’uomo che la incarnava.
Giovanni Costa.
Francesco Olciati, Uomini piccoli e uomini grandi. Milano. Soc. Ed. < Vita e Pensiero », 1921, PP- 303. L. 8.
Viene subito la curiosità di domandarsi: » Quali sono, secondo i’Olgiàti, uomini piccoli o uomini grandi ? »
L’A., nella breve Prefazione, dice di voler lasciar decidere al lettore. Però, siccome poi ne’ singoli medaglioni l’A. • giudica e manda » secondo una costante dialettica del suo temperamento essenzialmente battagliero e polemico, è intuitivo che, a suo avviso, uomini piccoli sono R. Ardigò e G. D’Annunzio e uomini grandi sono don Carlo San Martino, G. B. de La Salle, Montalembert e il cardinale Mercier. A noi sia lecito credere uria tale comparativa distinzione, per lo meno, fuori posto e un tantino odiosa. Il titolo del libro si presenta dunque altamente inopportuno. E quel che più pare strano è che precisamente dei suoi due < uomini piccoli » egli stenda poi le due monografie più estese e più accurate; di circa 130 pagine ciascuna, che avrebbero potuto costituire da sole due volumetti separati.
Circa l’Ardigò, don Olgiati, pur riserbandosi la libertà di esaminarne la maggiore o minore consistenza del sistema filosofico, doveva almeno porre una più netta distinzione tra la vita e la filosofia del pensatore mantovano, poiché quella sua vita fu — a dirla con E. Janni —• tale insegnamento che non può temere della sorte d’una dottrina ». A noi pare
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che l’apologeta Olgiati abbia dimostrato un estremo cattivo gusto nel derivare da un piccino risentimento contingente e iniziale la ragione stessa d’essere di questa vita. Non dice infatti: • L'Ardigò nel 1869 non era la mente serena che ragionava spassionatamente: era l'Ardigò irritato per la condanna dell’indice, per lo schiaffo di Roma, per il sospetto d’una persecuzione da parte di confratelli »? (p. 122). Il polemista del pulpito non ha, in queste pagine, preso talvolta la mano nell'obbiettività necessaria al biografo spassionato? C'è almeno da dubitarne. Come pure c’è da dubitare di molti suoi giudizi intorno a G. D’Annunzio. Numerosissimi, per es., rifiuterebbero di sottoscrivere questa sua troppo sicura affermazione: «Oramai G. D’Annunzio è morto nella coscienza degli italiani. E, adir il vero, era tempo», (p. 292). Di molti, di troppi consimili giudizi arrischiati, è materiato il presente e gli altri volumi di questo autore. Con sua buona pace gli consigliamo di temprare un poco il suo • confidente ingegno ».
Piero .Chi .vinelli.
Jacopo Bocchialini, Nido nella siepe. Poesie. Milano, Trcves, 1921. (16®, pp. 94). Lire 3.50.
Versi non di grande ala, ma corretti c, specie quando sono ispirati dall’amore per il figlio perduto, affettuosamente sinceri.
Emilio Bavmann, Colui che deve espiare. Milano, Vita e Pensiero, 1921. (16®, pp. 429). L. 9,75.
Buona traduzione italiana di un romanzo che suscitò vivaci discussioni allorché apparve in Francia. Nonostante qualche prolissità, si legge volentieri e non senza utilità morale. Chi teme di porre sotto gli occhi dei giovani lo spettacolo del male non consiglierà questo libro ove non mancano pagine più che scabrose, ma poiché oggi purtroppo i giovani leggono di tutto è bene che vedano come al vizio si può resistere e dai fango è possibile liberarsi quando una forte volontà spinga a tempo l’anima in alto.
Carlos Reylès, Dialogues olynt piques. Tra-duit de l'espagnol. Paris, B. Grasset, 1921. (16®, pp. 250). Frs. 6,75.
Dialoghi di gusto discutibile fra gli dei dell'Olimpo e Cristo e Mammona intorno alla guerra per augurar la distruzione della Germania militarista, la salvezza della Germania di Goethe e Bethovcn e la conciliazione di Apollo, Dioniso, Cristo e Mammona tutti egualmente figli di Zeus!!!!
José Zorrilla, Legendas y tradiciones históricas. Madrid, De Hernando, 1920 (16®, pp. 354), 5 pesetas.
Leggende raccontate in versi mediocri, con una lungaggine spaventosa. D. P.
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Come si scrive la nostra storia in Francia. — La Libre Parole del 17 novembre u. s. che in un articolo d’intonazione piuttosto maligna, con l’apparente scopo di dirci la verità, come tra amici si conviene, si fa scudo d’una superiorità che l’inorgoglisce, ma che comprende sarà da noi contestata e certo non con la sua approvazione — fa in queste precise parole fa storia di alcuni avvenimenti della nostra storia contemporanea, all’intento di mostrare la guasconeria volubile del nostro carattere ! Sottolineiamo naturalmente i punti più... interessanti:
• Quando l’ultimo zar venne a rendere visita al re d’Italia, i partiti avanzati avevano progettato di assassinarlo; ciò si diceva correntemente negli alberghi e nei caffè. Tutt’a un tratto, essendosi saputo che l’imperatore aveva fatto il giro dell’Europa per non attraversare l’Austria, si ebbe un'esplosione d’entusiasmo, di entusiasmo universale. 11 re Umberto era certo molto benvoluto da molto tempo: ma non appena si credette di dovere rimproverare a lui in persona la repressione severa di alcuni moti milanesi, si fece venire il fratello in anarchia Bresci con l'incarico di pugnalarlo, ed egli effettivamente compiè la sua missione. Dopo l’armistizio l’Italia tutta intera fu così entusiasta per Wilson che si parlava seriamente di farlo papa. Dopo il suo telegramma relativo a Fiume e allTlliria (sic!) se fosse venuto nel regno, non ne sarebbe probabilmente uscito vivo ».
Non comprendiamo come si possa trovare in Francia chi osi scrivere in tal modo la storia d’Italia! e naturalménte con intenti di amicizia e di sincerità. Figuratevi se la si scrivesse con sentimenti contrari !
Un grazioso opuscolo di 16pagine, è usci to recentemente a cura della Federazione
Italiana degli Studenti per la Cultura Religiosa. È un estratto (fai bollettino Fede e Vita e contiene due studi della prof* Rosita Macchierò Parrà: * Influssi pagani ne la cultura italiana »; « Dal pessimismo pagano all’ottimismo cristiano ».
Prezzo dell’opuscolo L. 0,80. Occorre richiederlo al Segretario dellaFederazione, Cesare Gay, Via Roma, 37'3, Napoli.
Segnaliamo ai nostri lettori una splendida pubblicazione artistica e letteraria, edita dalla S. T. E. N. di Torino: Il Canzoniere di Dante Alighieri, volume della Dantis A malorum Edilio a cura dello scrittore Marcus de Rubris: sontuosamente decorato da Paolo Paschetto: stampato a Siù colori su carta a mano di filo, con unici finissime tavole e una grande tricromia fuori testo riproducente i meravigliosi S>adri che l’insigne preraffaellista inglese
. G. Rossetti compose su gli amori di Dante per Beatrice
Nella stessa Dantis A malorum Edilio a cura di Marcus De Rubris è d’imminente pubblicazione la 3* edizione de La Vita Nova di Dante Alighieri illustrata di dieci quadri di Dante Gabriele Rossetti, edizione preraflaellistica, riccamente decorata da Rocco Cariucci
Il Direttore del Penitenziario di Volterra, ha rivolto un appello in una sua vibrante circolare a tutti gli uomini di buona volontà, affinchè lo aiutino nell’opera che egli ha impreso per la rieducazione morale è per l’emendazione dei detenuti. Tutti lo possono aiutare, inviando un po’ di denaro o un buon libro al seguente indirizzo: Direttore del Penitenziario di Volterra (Toscana).
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LETTURE ED APPUNTI
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Intorno alla situazione delle Confessioni religiose in Lettonia riceviamo da fonte ufficiale le seguenti informazioni:
In Lettonia si trovano:
• 1® le Chiese evangeliche che posseggono ,L’v°nia 96 chiese e 56 predicatori divisi in 85 comuni; in Curlandia 165chiese <’ 54 predicatori divisi in 107 comuni: in Latgalia 4 chiese, senza predicatori, per 4 comuni principali e 12 comuni più piccoli.
20 le Chiese cattoliche che posseggono: in Livonia 12 preti per 7 comuni: in Curlandia 28 preti per 34 comuni: in Latgalia 92 preti per 76 comuni.
3° la Chiesa greca ortodossa che possiede' in Livonia: 70 chiese con 37 preti per 68 comuni: in Curlandia 22 chiese con 9 preti per 18 comuni; in Latgalia 46 chiese con 15 preti per 42 comuni.
4° i Battisti, che posseggono 70 oratori con 48 predicatori.
5° gli Aventisti del 70 giorno, che posseggono 22 oratori con 14 predicatori;
6° Gli Apostolici, che sono diffusi in 6 comuni;
70 le Comunità dei Fratelli, che posseggono 15 oratori;
8° le varie piccole organizzazioni confessionali, che posseggono 6 oratori;
9° Gli ebrei che posseggono: in Livonia 7 sinagoghe, 28 oratori e 14 rabbini; in Curlandia 28 sinagoghe, 21 oratori e 22 rabbini; in Latgalia 53 sinagoghe, 31 oratori e 24 Rabbini.
io0 i Maomettani che posseggono un oratorio ed un predicatore.
« * *
La Federazione mondiale delle Asso-ciaìoni cristiane di studenti che ha per suo ramo italiano la Federazione Studenti per la Cultura Religiosa terrà, il suo XI Congresso generale a Pekino nell’aprile 1922.
La Federazione raggruppa tutte le Associazioni cristiane degli studenti. Èunaor-ganizzazione internazionale fondata nel 1895 e nel 1920, dopo 25 anni dalla sua fon
dazione, riuniva già movimenti di 19 diversi paesi e aveva amichevoli relazioni con oltre 35 Stati diversi. Essa si propone di unire gli studenti che aspirano a seguire Gesù Cristo come lóro Salvatore e Maestro, raggruppare quelli che con spirito libero ma tollerante cercano nel Vangelo la sorgente di forza e di vita di cui sentono il bisogno: preparare gli studenti a forme varie di servizio sociale o religioso per l’estensione del Regno di Dio; di lavorare al miglioramento delle condizioni sociali e morali della vita degli studenti; incoraggiare relazioni fraterne fra gli studenti di tutti i paesi e lavorare al riavvicinamento delle Nazioni, cercando di informare le relazioni internazionali ai principi del Vangelo.
La Federazione è essenzialmente cristiana e aperta a tutti quelli che hanno spirito cristiano e però rispetta tutte le confessioni e sotto nessuna forma tende a staccare un credente dalla sua Chiesa, qualunque fosse.
Si presenta perciò come interconfessionale perchè ha membri di tutte le confessioni e come aconfessionale perchè non dipende da nessuna delle Chiese o confessioni.
Essa proclama soltanto il carattere universale e assoluto del Cristo e del suo Insegnamento.
La Federazione è internazionale e pur rispettando l’autonomia dei gruppi nazionali tende a sviluppare fra essi il sentimento d’interdipendenza e d’obbligazione reciproca.
La Federazione si dimostra per ciò una notevole forza d’unione ed educa gli studenti alla solidarietà umana. Essa contribuisce al miglioramento delle condizióni materiali e morali della vita degli studenti con le relazioni internazionali che essa crea, le riunioniei tratteninienti,’le case studenti foyers, circoli, ristoranti, sale di lettura, dispensari, uffici informazioni e collocar mento e tante altre utili istituzioni.
Risponde ai bisogni religiosi degli studenti e li porta alla fede in Gesù Cristo.
Prepara i suoi aderenti a servire e a prendere la loro parte di lavoro in connina per la venuta del Regno di Dio sulla terra.
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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Pubblicazioni pervenute alla Redazione.
Louis Delaunay, .W. Bergson et Pioli». Extrait de la Revue des facult/s calholiques de l’Ouest, Angora. 1919, 8®, pp. 4«.
Che la filosofia di Bergson non sia, in fondo, che un plotinismo ammodernato, non è un’osservazione nuova: da noi l'aveva già fatta Adriano Tilgher nel suo saggio su Felice Ravatsson, pubblicato nelle sue Voci del Tempo. E donde venisse ai Bergson questo filone plotiniano, egli l'aveva anche-indicato: attraverso il Ravaisson, dal Bergson studiato e riconosciuto come maestro.
11 Delaunay ha il merito di approfondire l'indagine e di dare una copiosa dimostrazione del suo assunto con opportuni raffronti di passi e di teorie. Ma il tema meriterebbe di essere ripreso e svolto a fondo: si vedrebbe, allora, come la inspirazione pio-troiana non si limiti —- come sembra credere il Delaunay — ad alcune teorie parziali; ma investa il fondo stesso, la stessa idea o intuizione centrale dei due sistemi.
G. Dandoy, An essay on thè dottrine of thè unrea-lity of thè world in thè Ad va ila. Calcutta, Catholic Orphan Press, 1919, p. 65.
A., Renda, La validità della religione. Città di Castello, II Solco, 1921, p. 270. L. xo.
W. Volz, Le basi geografico-cconomiche della questione dell’Alta Slesia. Berlino, G.Stilke, 1921, p. 71.
L. Tolstoi, Journal intime de sajcu nesso (1846-52). Genève, J. H. Jeheber, 192X, p. xiv-232. Fr. 6,50.
J. M. Verwenen, Die philosopkie des Mitlclalters. Berlin, Walter de Gruitcr, 1921, p. x-308, Mk .31,50.
V. Macchierò, Eraclito — Nuovi studi sull’or-fismo. Bari, Laterza, 1922, p. 137. L. 10,50.
D. Prummer, Vademecum tkeologiae moralis. Fri-bourg, B. Herder, 1921, p. xxin-593,. L. 20.
J. De la Brète, Un conte bleu. Paris, Ed. Nilsson, p. 248. Fr. 1,95.
M. et A. Fischer, Dltails sur moti suicide. Paris, Ed. Nilsson, p. 243. Fr. 1,95.
Volumetti appartenente ad una collezione novellistica della casa Nilsson di Parigi, di carattere ameno: autori facili e piacevoli.
Ch. DichI, Jerusalem. Parigi, H. Laurens, 1921, p. 64,. Fr. [3.
Elegante opuscolo, ricco di belle, sebbene piccole illustrazioni che possono servire per l'appunto d, memorandum, com’è del resto l’intento della collezione. Il testo, sobrio, chiaro, preciso, è di un grande maestro, il Diehl, e non occorre aggiungere altro!
V. Melodia, L'ordine sociale secondo la Bibbia. Messina, Prem. Off. Gràfica, 1921, p. 14. L. 0,30.
M. Aurelio, Pensieri. Livorno, S. Beiforte e C. X02X, p. 96. !.. 4.
Breve raccolta di « pensieri » estratti dal libro dei ricordi dell’imperatore filosofo, pubblicati in elegante edizioncina tascabile molto nitida e munita di un ritratto di M. Aurelio, in non molto fedele riproduzione.
D. Bischoff, Die Reiigton der Freimaurer. Gotha, F. A. Perthes, p. 104. Mk. 12.
G. Ammerdola, L'edizione e le traduzioni da Catullo di Carlo Pascal. Torino, G. B. Paravia, 192«. P. 4 3. I- x,5O.
Opuscolo con cui l'A. vuol mettere in evidenza, i meriti del P. nell'edizione e traduzione di Catullo; buon lavoro, ma inutile. Era proprio necessario far ciò per un maestro che tutti conosciamo c onoriamo? Forse per i calunniatori dell’opera sua ? Ma non vi ha pensato già il P. stesso e non basta? Per carità evitiamo i panegirici. C’è tanto di meglio da fare a questo mondo!
H. Demoni, Pour supprimer ce crime: « La guerre > et sauver la Franco de sa silualion financ-icre. Limogcs, Thomas, X921, p. 293. L. 5.
G. Bevilacqua, La luce nelle tenebre. Elevazione sui Vangeli. Milano, Vita e pensiero, 1921, p. xiv-458. L. 12.
J. Subcrville, Dans la fosse aux Lions. Paris; La Renaissance dii livre, 1921, p. x-213. Fr. 5.
R. F. Giusti, E. F. Amici en su Diario Intimo. Buenos Aires, Edicion de « Nosotros » 1919, p. 99.
S. Minocchi, L’ombra'di Dante. Firenze, Le Mounier, 1921, p. 153, I. 8,50..
NB. - Con questo fascicolo di 84 pagine chiudiamo il voi. XVII I con le 368 pagine del quale e le 436 del XVII gli abbonati anno avuto nel 1921 più dei due volumi di 38G pagine l’uno, che avevamo loro promesso (804 in luogo di 760 pagine).
ROCCO POLESE, gerente responsabile.
Roma - (Grafia) Tipografia dell' Unione Editrice - Via Federico Cesi, 45
99
1--- 1 1 —---------------- ■ -------.................
GIOVANNI E. MEjLLE. PSICOLOGIA Di’
COMBATTENTI CRISTIANI
(Estratto dalla Rivista BILYCHNIS)
•’■•’a'
Dé*11’ Indice :
| I. PROFILI.
II. GLI UOMINI. (I combattenti cristiani sono giovani normali - Amore per la vita -Affetti famigliavi - Allegria - Amicizie - Intellettualità - Letteratura -Arte -Poesia della natura - Purezza).
III. I COMBATTENTI. (Sensibilità, modestia, prestigio - Testimonianza cristiana tra i compagni - Ore grigie e pace interiore - Entusiasmo - Coraggio - Nella mischia: orrore, sensibilità, pietà - II problema tragico e le sue soluzioni - Patriottismo - Rinunziamento e consacrazione - Devozione alla patria e ideali civili -Fede nell’umanità e convinzioni cristiane).
IV. I CRISTIANI. (La Federazione Studenti - La Bibbia - La preghiera - L'Al di là -Sviluppo e approfondimento della vita spirituale - L'Ansia sociale - Fraternità interconfessionale — Religiosità moderna - Valore della vita presente - Concetto della felicità - Problemi del dopo guerra - Vette morali e spirituali).
Bei volume (adorno di suggestiva copertina simbolica di P. PASCHETTO) di XII-144 pagine grandi a due colonne. Prezzo L. io :: Èstero frs. io.
LO SPETTATORE
RiviiBtd menwile diretta da CORRADO PAVOLINI
Ogni numero di questo nuovo periodico contiene, oltre ad articoli vari dei più eminenti scrittori d’Italia, ad un romanzo in continuazione, recensioni, ecc., rassegne accurate ed esauriènti di letteratura (italiana, francese, inglese, tedesca, spagnola, russa, ungherese, olandese, ecc.), storia, teatro, arti plastiche, musica, filosofia, critica religiosa, scienze, problemi sodali, politica estera, politica interna, partiti politici,finanza.
Rrlxxao elenco di Collaboratori:
C. ALVARO - L. AMBROSINI - G. ARIAS - L. F. BENEDÉTTO - M. BONTEMPELLI - E. BUONAIUTI - M. CASTELNUOVO
P. CONTI
A. FRANCI
S. D’AMICO - B. DE RITIS
TEDESCO - E CECCHI -M. FERRARA - L. FILIPPI à. GARGIULO - E. GIOVANNETTI - M. LABÒ - E. LEVI E. LUGARO - F. LIUZZI - E. LO GATTO - M. MARANGONI - A. MARCELLO - A. MIELI - G. NATALE - P. PANCRAZI - G. PASQUALI - P. E. PAVOLINI -I. PIZZETTI - G. PRAMPOLINI - F. SCARDAONI - E. SOMARÈ - A. TAMARO A. TILGHER - S. TIMPANARO - A. VENTURI.
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Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 88
Ai primi di gennaio 1922 uscirà
CONSCIENTIA
SETTIMANALE DELLA ::
CASA EDITRICELUBILYCHNIS„
Sarà diretto a tutti coloro che ritengono l’avvenire d’Italia strettamente connesso colla sua rinascita spirituael.
Si proporrà di rievocare le tradizioni italiane di protesta e di riforma religiosa per trame motivi attuali di rinnovamento nazionale.
Esaminerà i massimi problemi della coscienza nazionale trattando in modo speciale delle « relazioni fra Chiesa e Stato», della v crisi del Liberalismo e della Democrazia », della « questione romana », della « scuola libera », ecc.
Conterrà Rubriche di apprezzamenti sui fatti politici e sociali contemporanei, e Rassegne delle correnti spirituali nella filosofia, nella letteratura e nell’arte italiane.
Testata ed illustrazioni artistiche di Paolo Paschetto.
Abbonamento annuale L. 10 —
Semestrale L 5,50 - Estero L. 20
DIREZIONE ed AMMINISTRAZIONE :
Piazza in Lucina 35, ROMA
Prezzo del presente fascicolo Lire 5.00