1
^upplem^ritn ,,l n® 4 de « L’ECO DELLE VALLI VALDESI » — 25 gennaio 1963
IL CONCILIO VATICANO II
Un primo
bilancio
protestante
« Non possiamo mai essere sicuri di che
cosa sia in realtà il cattolicesimo»: lo svolgersi della prima sessione del Concilio Va^
ticano II ci pare confermare, una volta di
più, la verità di quest’affermazione del modernista inglese G. Tyrrell (1). E posti come siamo di fronte alla necessità di tentare di isolare alcune delle linee essenziali su
cui si sono mossi i lavori conciliari e di farne un bilancio, ci sentiamo un-poco imbarazzati. Si teme, da un lato, dì anticipare
sull’opera dello Spirito Santo, di trasfigurare — per cotì dire — il Concilio, di immaginarci un cattolicesimo a nostra immagine e somiglianza, di isolare alcuni fatti, indubbiamente assai positivi e di cui non si
può che rallegrarsi profondamente, staccandoli dal loro quadro e dal loro contesto, che
continuano ad essere problematici e a suscitare serie perplessità.
D’altro canto si teme di dire troppo poco,
di minimizzare ciò che è grande, di non
rendere giustizia alla generosità spirituale,
alla passione pastorale, alla volontà novatrice che animano un gran numero di vescovi, agli sforzi coraggiosi compiuti da que
sti ultimi pei’ ria'wicinare il cattolicesimo
alla sua sorgente cristiana, e alla preoccupazione missionaria che li caratterizza, tan
to più degna di nota oggi che il cristianrai
II Past. Paolo Ricca è stato nominato
dalla Tavola Valdese responsabile dell’Ufficio Stampa che ha seguito, da ¡parte valdese, l’inizio dei lavori del Concilio Vaticano II. Oltre alla redazione
di un documentato Bollettino, egli ha
esposto e commentato su alcuni periodici evangelici, in Italia e all’estero, i
fatti salienti della 1 Sessione delTassise
cattolico-romana. ILo scritto che presentiamo iqui è domparso per la prima volta sul settimanale ginevrino ”Lta Vie
protestante” e ringraziamo autore « inedattore che ci hanno permesso di riprodurlo. Il Past. Ricca ha data una
più approfondita Valutazione teologica
della I Sessione del 'Faticano II in uno
studio critico comparso sul n. 411962
della rivista ’’Protestantesimo”.
(11 Citato da V. Subilia: Il problema del Cattolicesimo, Claudiana, Torino 1962, p. 9.
2
2 —
mo sembra essere, in generale, più dimissionario che missionario. Un eccesso di prudenza, in una valutazione protestante del
Concilio, può maschera;!« loha scetticismo
incompatìbile con la fede : « lo Spirito Santo non è scettico! h, esclamava Lutero rivolgendosi aiH’umanista Erasmo; ma un ottimismo troppo affrettato può essere altrettanto dece quanto ratteggiamento scettico
e restare alla superficie dei fatti e dei problemi, rivelando cosi un’inquietante disconoscimento dell’anima del cattolicesimo, del
suo « genio », come si diceva un tempo, delle sue origine storiche (che risalgono — è
necessario ricordarlo? — ad im periodo ben
anteriore alla Riforma), della sua struttura spirituale e delle sue opzioni teologiche
fondamentali. Vorremmo, da parte nostra,
evitare sia l’una <he l’altra di queste posizioni.
Poche decisioni
definitive
La prima sessione del Concilio si è dunque conclusa. I risultati tangibili, dopo due
mesi di lavori, si riducono — com’è noto —
a poca cosa, e se si volesse prendere in considerazione soltanto ciò che è definitivo, lì
bilancio della sessione sarebbe presto fatto ;
in primo luogo, l’inserimento del nome dì
S, Giuseppe nel canone della messa: ma si
è trattato di un’iniziativa personale di Giovanni XXIII, di «una sorpresa accordata
dal papa al Concilio», come ha scritto gentilmente il card. Montini, indicando così,
che il Concilio non si aspettava questa decisione e che, se gli fosse stata sottoposta,
non l’avrebbe probabilmente approvata. Ma
avendo il papa messo il Concilio di fronte
al fatto compiuto, come opporvisi? Il papa
è al di sopra del Concilio: può ascoltarlo e
può anche non ascoltarlo affatto; la sua
autorità non gli viene dal Concilio, l’ha in
se stesso. In secondo luogo il Concilia ha
approvato il testo definitivo della prefazione e del primo capitolo dello schema sulla
liturgia, che ne conta otto. Lo schema sulle fonti della rivelazione e quello suU’unità
della Chiesa sono ritornati alle commissioni conciliari e saranno presentati alla prossima sessione, dopo esser stati riveduti e
modificati più o meno profondamente: nè
l’imo nè l’altro esprimeva infatti m tm modo adeguato i sentimenti e l’opinioire teolopca della maggioranza dei padri sui temi in questione. Lo schema sui mezzi di comunicazione (stampa, telefono, radio, cinema, televisione) dovrà essere abbreviato e
condensato: sembra d’altronde essere assai
povero dal punto di vista teologico.
Il Concilio, infine, ha iniziato la discus
sione dello schema sulla Chiesa, ohe sarà
ci dicono — il tema essenziale del Concilio: ma non si è ancora entrati nel vivo
della discussione. Lo si vede: se i risultati
concreti dei lavori conciliari sono magri, la
cosa è dovuta al fatto che il Concilia è ostacolato dagli schemi elaborati dalle commissioni preparatorie, che (salvo per la liturgia) non erano soddisfacenti e costituiva
no più un intralcio che un aiuto. Se l’assemblea dei padri non si è pronunciata su
temi importanti quali la rivelazione e l’unità della Chiesa, è perchè gli schemi che le
sono stati sottoposti, nella loro rigidità e
povertà dottrinali, non glielo permettevano. E dobbiamo rallegrarci che vi sia stata
un’opposizione abbastanza energica a questi due schemi (un pa’ minore a quello sull’unità della Chiesa, e per comprensibili ragioni), anche se pare aver portato mene
sul loro fondo dottrinale che sull’miilatera
lità della loro linea teologica, sullo stile intransigente di cui ci si è serviti per formularli e soprattutto sulla angustia mentale
e spirituale che attestano.
Già nel corso del Vaticano I un vescovo,
dopo aver letto gli schemi elaborati dalle
commissioni preparatorie, li aveva commentati così : « Si direbbero l’opera di uomini
che vedono il mondo dal fondo di una caverna». Gli schemi proposti finora al Vaticano II devono aver suscitato un’impressione analoga in molti padri conciliari.
Si spiega così da un lato il fatto che in
due mesi di lavoro il Concilio non ha potuto produrre ché un solo testo teologico de
finitivo, e d’altra parte la decisione del papa di portare da cinque a nove mesi l’interim fra la prima e la seconda sessione del
concilio (che, secondo il suo desiderio, dovrebbe essere già la sessione finale, ma che
piobabilmente non lo sarà, soprattutto se
Giovanni XXIII venisse a mancare) questo
lungo intervallo si giustifica solo con la necessità di rivedere, riordinare tutto il materiale preparatorio, di ridurlo all’essenziale e di allinearlo sulle direttrici indicate dal
papa nel suo discorso d'apertura, tenendo
conto soprattut'co delle finalità pastorali del
Concilio (il problema del senso esatto di
questo programma « pastorale » del Vaticano II rimane aperto: una parola chiara
.al riguardo non è stata ancora detta). Sicché la prima sessione del Concilio è stata
in fondo soltanto un’« introduzione », cerne
ha detto bene il papa nella sua allocuzione
per la chiusura dei lavori, un preludio allfe
fasi decisive dal Vaticano II che si svolgeranno a partire dal prossimo settembre. Abbiamo insomma assistito ad una sorta di
pre-coneilio, ohe, senza darci ancora la misura completa delle possibilità dei Concilio, non è per questo meno rivelatore del
suoi tratti caratteristici. Questi tratti sono,
nell’in.sieme, positivi. Naturalmente una valutazione-soddisfacente di questa prima sessione non potrà esser data che retrospettivamente, a Concilio terminato. Nel cattolicesimo, che è norma a se stesso, tutto è
3
— 3
iJOSMDiie, nei meglio e nel peggio, senza voler fare delle anticipaziomi, e attenendoci
alle impressioni che la prima sessione ci ha
lasciate, possiamo dire, come abbiamo già
fatto, che il Vaticano II è ben avviato e che,
in linea generale, non ha deluso finora le
speran2se riposte in esso.
La fine di un immobilismo
spirituale
Si sperava, anzitutto, che il Vaticano II
non fo.sse teatro' di una nuova dichiarazione di guerra contro il pensiero e il mondo
moderni, che non allargasse il fossato che
separa la Chiesa dalla società contemporanea, ohe si mostrasse sensibile ai valori storici, culturali e umani della nostra epoca,
che ricercasse dunque, teologicamente e
praticamente, un atteggiamento nuovo, equilibrato, positivo, incoraggiante nei confronti del mondo odierno, che se non è più
che in parte cristiano, non è per questo
meno il mondo di Dio, e di cui ci si deve
anzitutto sforzare di comprendere la problematica. Ora, sembra che repiscopato cattolico, nella sua maggioranza, stia realmente liberandosi dello spirito inquisitoriale e
voglia rinunciare al metodo della scomunica, che del resto ha fatto il suo tempo e
non fa più nè caldo nè freddo a nessuno;
repiscopato cattolico sembra disposto a non
più pretendere che il mondo, con un atto
di sottomissione, si pieghi ad una « verità
cattolica» che gli è divenuta estranea, ma
vuole costringere questa verità a chinarsi
verso il mondo per dialogare con esso.
La maggioranza dei vescovi non è più scspetto,sa come prima nei confronti del mon
do e accetta persino di lasciarsi suggerire
da esso temi di riflessione e punti di vista
contro i quali ancora ieri polemizzava. Sembra essere definitivamente evitato il pericolo di un immobilismo spirituale e di una
sclerosi dottrinale del cattolicesimo. Il Syllabus non fa più testo. Nel suo discorso di
apertura il papa aveva detto : « Una cosa è
la sostanza dell’antica dottrina contenuta
nel deposito della fede, e un’altra la formulazione di cui la si riveste... Oggi la Ohiesa
di Cristo preferisce servirsi del rimedio della misericordia piuttosto che di quello della severità; pensa di sovvenire alle necessità dell’ora presente mostrando il valore
del suo insegnamento piuttosto che mediante delle condanne».
L’assemblea conciliare trarrà partito da
queste affermazioni e le metterà in pratica.
Non si può prevedere quale sarà il risultato. Ci si domanda; si tratterà soltanto di
una questione di formulazione, di stile, di
linguaggio — e dunque di forma — e non
di fondo? Porse. Certo, la parabola di Gesù
sembra rovesciata- non si mette del vino
nuovo in otri vecchi, ma vino vecchio in
otri nuovi. E d’altra parte, non si adotta
un nuovo linguaggio senza assorbirne, alla
lunga, i concetti. Ancora: si tratterà unicamente di un cambiamento di mètodo? Porse. Ma un cambiamento di metodo implica
e presuppone un mutamento degli spiriti,
e se gli spiriti sono mutati, possono mutare
anche le dottrine, o, più precisamente, l’interpretazione delle dottrine. Per il momento si può dire che pare che le correnti teologiche che ispirano la Curia e che tendono
a dommatizzare la cristallizzazione scolastica della dottrina cattolica preservandola in
una fissità intangibile di contenuto e di forma, stiano perdendo il potere praticamente
assoluto di cui hanno fin qui disposto.
Si sperava, in secondo luogo, da molte parti che nel campo dei rapporti interconfessionali la Chiesa cattolica, senza mutare in
nulla la sua dottrina dell’unità, si mostras.se più comprensiva verso le altre Chiese cristiane e abbandonasse Tatteggiamento negativo e intransigente che l’ha sem
pre caratterizzata finora. Ebbene, il Vaticano II si è orientato in questo senso: anche se un buon numero di vescovi si son resi conto soltanto al Concilio dell’importanza deU’iniziativa eciunenica e devono ancora imparare l’ABC deH’ecumenismo, sta di
fatto che a varie riprese, nel corso dei dibattiti, gli osservatori non-cattolici sono stati chiamati « dilectissimi observatores », e
che i’episcopato, nel complesso, ha dimostrato se non la capacità almeno la volontà del
dialogo. Certo', recumenismo cattolico risveglia non poche perple®ità e la situazione
interconfessionale rimane abbastanza confu.sa. Ci piacerebbe sapere, ad esempio, se il
segretariato di cui il card. Bea è presidente, è « per l’unione » ovvero « per l’imità » :
non è la .stessa cosa, infatti. Ci piacerebbe
pure che gli ecumenisti cattolici si rendessero conto, una volta per tutte, che non siamo — per così dire — «protestanti nostro
malgrado», cioè che non siamo protestanti
per un insormontabile atavismo confessionale e ancor meno perchè non avremmo del
cattolicesimo altro che una conoscenza superficiale: al contrario, non è l’ignoranza,
bensì proprio la conoscenza delle ragioni
profonde del cattolicesimo, che ci impegna
a riaffermare oggi, con rinnovato vigore, le
grandi tesi dei Riformatori del XVI sec. Ci
piacerebbe soprattutto che da parte cattolica si prendessero in considerazione i protestanti non in virtù della loro « buona fede »,
ma semplicemente della loro fede, stavo per
dire : delle loro « eresie ». Sono pirecisamente le nostre « eresie » che ci stanno a cuore,
e non le nostre persone o i nostri sentimenti. Ci piacerebbe, insomma, che le relazion:
interconfessionali fossero poste alla luce
della parola di Gesù ; « Il vostro sì sia sì, il
vostro no no », e che da ambe le parti la carità e la cordialità nei rapporti umani non
offuscassero la chiarezza delle reciproche
posizioni.
4
4 —
«Unione» o «unità»
dei cristiani ?
Si sperava, in terzo luogo, che sul piano
interno della Chiesa cattolica si facesse più
posto alla partecipazione dei laici alla vita
della Chiesa e si insistesse maggiormente
sulla dimensione comunitaria della vita cristiana. Ebbene, lo schema sulla liturgia va
esattamente in questo senso, e quello sulla
Chiesa conterrà indubbiamente, nella sua
redazione definitiva, una teologia del laicato in nuce, in cui la Chiesa non sia più
considerata unicaniente come corpo mistico, ma anche come popolo di Dio, del quale i laici sono parte integrante. Per ciò che
riguarda le strutture della Chiesa, si sperava che una maggiore libertà d’azione e di
giurisdizione fosse accordata alle conferenze episcopali nazionali, nei confronti della
Curia, e pare proprio ohe fra i frutti del Vaticano II vi sarà pure questo, che non è di
importanza trascurabile. L’infallibiUtà del
papa non dovrebbe più significare (come
praticamente ha significato finora) infallibilità della Curia...
Le speranze
che non sono state deluse
Si sperava infine, tanto da parte cattolica ohe da parte protestante, ohe il Concilio
si svolgesse in piena libertà. E cosi è stato.
I tentativi delle forze conservatrici per controllare e influenzare in modo decisivo i lavori dei padri sono fin qui falliti. Il papa
stesso, che ha la libertà di condizionare o
di neutralizzare, se lo vuole, la libertà dei
Concilio, ha in generale messo la sua autorità assoluta e sovrana al servizio della maggioranza conciliare. Lo si comprende: questo Concilio è la sua creatura. Ma, soprattutto, Giovanni XXIII dà fiducia ai vescovi che, ai suoi occhi, .sono «figli» maggiorenni e non minorenni, collaboratori e non
sottoposti- non vuole semplicemente governarli ma piuttasto associarli al governo della Chiesa. « Tutto andrà bene : quanto a
me, sono ottimista », egli ha detto ai vescovi francesi naU’udienza accordata loro il 19
novembre scorso. E proprio perchè l’assemblea si è sentita cosi incoraggiata e libera,
ha potuto manifestare la sua vivacità dottrinale, in tutta la sua complessità e ricchezza, e ha potuto esprimere, praticamente in tutti i campi, esigenze innovatrici più
o meno spinte che affiancano il rifiuto molto netto di ogni irrigidimento dogmatico e
pratico, di cui parlavamo prima e ohe è probabilmente il fatto più positivo che risulta
dalla prima sessione del Concilio.
11 Vaticano II non ha dunque deluso, finora, le speranze ragoinevoli che vi si eran
riposte fin dall’annuncio della sua convocazione. Naturalmente, rimangono aperti molti problemi fondamentali. Ma è già buon
segno che non siano stati definiti. Si -può
anzi vedere in questo uno degli elementi
caratteristici di questo Concilio: il Vaticano
II non definirà e risolverà le questioni, ma
— speriamolo — le porrà in modo nuovo e
forse le problematizzerà; non chiuderà le
porte ma le lascerà aperte là dove lo sono
già (ad esempio nel campo così importante
della ricerca biblica) e ne aprirà di chiuse.
Come concludere? Se il Concilio è uno
.'specchio fedele del cattolicesimo attuale, allora si può dire che il cattolicesimo sta vivendo una fase di transizione e che va spostandosi lentamente ma sicuramente verso
altri punti del sub vasto orizzónte spirituale, che da tempo si erano quasi eclissati e
che ora stanno riapparendo. Le ragioni
umane di questo spostamento sono da un
lato rmfluenza della teologia protestante e
del movimento biblico, dall’altro' la situazione attuale del cristianesimo, che pone nuovi problemi, i quali, a loro volta, richiedono nuove soluzioni; come pure il cammino
ineluttabile della storia, ohe non si può
ignorare indefinitamente, a rischio di escludersene completamente e di perdere C'gni
contatto con la realtà. Sarebbe prematuro
voler definire fin d’ora la qualità teologica e
spirituale dell’evoluzione che si stia operando all’interno del cattolicesimo; si può però
dire che, con opri probabilità, si tratta di
un movimento irreversibile, che sfugge ormai al controllo centralizzatore della Curia
e che coinvolge di fatto la fine del monopolio curiale nell’elaborazione dottrinale e nella giurisdizione della Chiesa di Roma. A
partire dal Concilio di Trento, non abbiamo conosciuto che un tipo di cattolicesim o :
quello della Controriforma. Il cattolicesimo
di domani non sarà più di tipo controriformista nel medesimo senso in cui lo è stato
negli ultimi quattro secoli. Non si avrà forse un altro cattolicesimo (non ci sono infatti due cattolicesimi, ma uno solo) ma si
avrà senz’altro un tipo nuovo di cattolicesimo. E’ difficile immaginare — per dare sol
tanto un piccolo esempio — in bocca a Giovanni XXIII la frase di Pio IX, il papa del
Vaticano I: «La tradizione, sono io».
Se le esigenze innovatrici che si sono manifestate nel corso della prima sessione del
Concilio non saranno sacrificate agli « interessi superiori» della Chiesa (com’è successo altre volte), nè mortificate nello sforzo di armonizzarle con le tendenze conservatrici del cattolicesimo, la Chiesa di Roma
si presenterà domani sotto un aspetto nuovo: sarà .spiritualmente più ricca, più inte
ressante. miche più attraente ohe nel passato. .Speriamo che l’evoluzione interna del
cattolicesimo annunciata dalla prima sessione del Vaticano II, si farà. Certo, non abbiamo l’impressione ohe tale evoluzione sia
proprio quella che i Riformatori del XVI
sec. hanno desiderato di vedere operarsi
nella Chiesa cattolica. Ma saremmo felici
di sbagliarci. PAOLO RICCA
Tip. Subalpina - Torre Pellice