1
BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
Anno VI : : Fasc. X. OTTOBRE 1917
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 31 OTTOBRE 1917
DAL SOMMARIO: Giovanni Pioli Germanesimo spirituale e materiale - ANTONINO DE STEFANO : Delle origini dei “ Poveri Lombardi” e di alcuni gruppi Valdesi: Speronisti - Run-carii - Tortolani - ERNESTO RUTILI : La “ Storia interna " della Compagnia di Gesù - EMMANUEL: *' La Chiesa e i nuovi tempi - CAMILLO TRIVERO: La ragione e la guerra - RAFFAELE WlGLEY: Ultra-violetto - TRA LIBRI E RIVISTE: ni.: Rassegna di filosofia religiosa (XIX) - TlIE OUTLOOK: Se Dio regna...
2
RII YCHNIS RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
wJ « « 4 4 FONDATA NEL 1912 > > ► >
CRITICA BIBLICA - STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI - PSICOLOGIA - PEDAGOGIA FILOSOFIA RELIGIOSA -> MORALE - QUESTIONI VIVE - LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO LAVITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL'ESTERO - SI PUBBLICA LA FINE DI OGNI MESE.
REDAZIONE: Prof. Lodovico,PaSCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WHITTINGHILL, Th. D., Redattore per l'Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 5; Per l’Estero, L. 8; Un fascicolo, L. 1.
[Per gli Siali Uniti e per il Canada è autorizzalo ad esigere gli abbonamenti il Rev. A. Di Domenica, B. D. Pastor, 1414 Calile Ave, Phlladelphia, Pa. (U. S. A.)).
Recentissimi "Estratti" di Bilychnìs
Mario Puglisi: Le fónti religiose del problema del male. Pag. 100....... I... 1.50 Giovanni Pioli: Inghilterra di ieri, di oggi.
di domani. Esperienze e previsioni. Pag. 57, con 20 illustrazioni. S'invia in dono agli abbonati di Bilychnìs che sono in regola con I* Amministrazione.
Fra Bernardo da Quintavalle : L'avvenire
secondo l'insegnamento di Gesù. Pag. 43 . . 0.80 Raffaele Corso: Lo studio dei riti nuziali.
Pag. 9 ............... 0.40 Ferruccio Rubbiani : Un modernista del Risorgimento (Il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga). Pag. 23 ............ 0.60
Paolo Orano: La nuova coscienza religiosa in Italia. Pag. 19 ........... 0.50
Giuseppe Rensi: La ragione e la guerra.
Pag. 27 ........... .... 0.75 Dino Provenzal: Giuoco fatto. Pag. 12. . 0.40 Carlo Form ¡chi : Cenni sulle più antiche religioni dell'india (con suggerimenti bibliografici). Pag. 15............. 0.50
Giovanni Pioli: La fede e l'immortalità nel
* Mors et vita 1 di Alfredo Loisy (con ritratto dei Loisy). Pag. 22 .......... 0.60
NOVITÀ
Raccomandiamo ai nostri lettori:
L'Editore della Biblioteca di Studi Religiosi ha pubblicato in questi giorni un bel volume ch'è destinato ad avere senza dubbio un ottimo successo:
LA CHIESA
E I NUOVI TEMPI
Ir. una raccolta di dieci scritti originali dovuti alla penna di Giovanni Pioli - Rqmolo Murri - Giovanni E. Meille - Ugo Janni - Mario Falchi -Mario Rossi -■ Qui Quondam ’ - Antonino De Stefano - Alfredo Taglialatela.
I soggetti trattati, preceduti da una vivace introduzione dell'Editore Dott. D. G. Whittinghill, sono tutti vivissimi:
Chiesa e Chiese - Chiesa e Stato - Chiesa e Cuestione sociale - Chiesa e Filosofia - Chiesa e Scienza-Chiesa e Critica (2 studi)- Chiesa e Sacerdozio - Chiesa ed Eresia - Chiesa e Morale. E un libro-programma.
E un libro di battaglia.
Il bel volume, con significativa copertina artistica di Paolo Paschi ETTO, si compone di pagine XXXt-307 e costa L. 3.50.
Rivolgersi alla Casa Editrice 3 Bilychnìs "
Via Crescenzio, 2 - Roma
AI NUOyi ABBONATI si spedisce in DONO, franco di porto, il bel volume (4° della Biblioteca di Studi Religiosi):
“ VERSO LA FEDE ”
guenti soggetti: Intorno al Divenire ed ali Assolalo nel sistema Hegeliano (Raffaele Mariano) - Idee intorno all'immortalità dell'anima (F. De Sarlo) - La questione di autorità in maleria di fede (E. Comba) - Il peccalo (G. Arbanasich) - Di un concello moderno del dogma (G. Luzzi) - E possibile il miracolo? (V. Tummolo) -// Cristianesimo e la dignità umana (A; Crespi).
In deposito presso la Libreria Editr. "Bilychnìs"
Pietro Chiminelli : Il * Padrenostro ' e il mondo moderno. Volume di pag. 200 con 8 disegni originali di P. Paschctto . . . L. 3 —
Romolo Murri : Guerra e Religione :
Voi. I. Il Sangue e l'Altarc. Pag. 178 . . 2 —
Voi. II. L'Imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa. Pag. 118...... 2 —
*: La Bibbia e la critica (opera premiata).
Volume di pag. 150.......... 2 —
3
BIDChNB
RIVIRA DI STVD! RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA 5CVOLA TEOLOGICA BATTISTA • DI ROMAAnno sesto - Fascio. X
Ottobre 1917 (Vol. X 4)
SOMMARIO:
Giovanni Pioli : Germanesimo spirituale e materiale . . . . . . Pag. 190
Antonino De Stefano : Delle origini dei « Poveri Lombardi » è di
alcuni gruppi Valdesi / Speropisti - Runcarii - Tortolani . . . » 196
ERNESTO Rutili : La « Storia interna ». della Compagnia di Gesù . » 202
Emmanuel: «La Chiesa e i nuovi tempi» . . . . '. . . . . . » 212
Camillo Tri vero: La ragione e là guerra . . . . . . » 218
PER.LA .CULTURA DELL’ANIMA:
RAFFAELE Wigley: Ultra-violétto. . . ........ . . » 229
TRA LIBRI E RIVISTE:
m. : Rassegna di filosofia religiosa (XIX): 1/egoismo nella filosofia tedesca Il mistero dell’anima russa - La religione delle Upanisad - Il materialismo-attuale - Positivismo e morale - Giacomo Barzelletti...... » 235
The Outlook: Letteratura di guerra: Se Dio regna......... . . . » 242
Questo fascicolò, pronto per la stampa sin dal 20 ottobre, non si è otuto pubblicare prima a causa del mancato arrivo della carta.
4
GERMANESIMO SPIRITUALE E MATERIALE
ra i capitoli più lucidi e accurati del volume Filosofia e guerra di Emile Boutroux, $on quelli in cui rifacendo la storia della parabola dello spirito tedésco dal culto dello spirito a quello della forza, egli mostra la parte di responsabilità che in essa spetta anche più che a Nietzsche, all’idealismo di Fichte.
Fu nel 1807, che agli studenti dell’università di Berlino allora occupata dai Francesi, Fichte volse i famosi Discorsi alla Nazione Tedesca, diretti a sollevare gli animi dalla pro
fonda depressione. Nello spirito e nella forma, i discorsi di Fichte sono profetaci e intensamente ebraici. Come gli antichi profeti d’Israele, Fichte annunziò al suo popolo prostrato, che la essenza, il genio della nazione tedesca, non solo erano indistruttibili
non ostante qualunque disastro, ma si identificavano col Regno di Dio entro di noi. « La Germania », dice Fichte, « paragonata con le altre nazioni, è spirito, vita, bontà, lotta contro la materia, la morte ed il male. Che soltanto la Germania ac
quisti coscienza di se stessa; e risorgerà e vincerà il mondo ». Sicché, se la Germania per Fichte è il popolo prediletto di Dio, destinato a dominare l’Universo,-egli però parlava di una Germania spirituale; e il suq compito ,.era di persuadere la Germania, come poi Mazzini l’Italia, che la sua anima rimaneva intatta ent$o il corpo abbattuto e sanguinante, e che finché la volontà di compiere la sua missione storica non la avesse; abbandonata, .essa avrebbe vissuto e,.trionfato. Parole n$>n molto diverse da quelle che abbiamo inteso annunziare, benché in. circostanze ben differènti, in un altro discórso storico, quello di: Bergson all'Accademia delle Sciente Sociali e Politiche, allo scoppio della guerra; in cui,-il filosofo dello «slancio vitale» e della
5
GERMANESIMO SPIRITUALE E MATERIALE 191
« evoluzione creatrice » ha promesso da parte deh genio della vita risorse spirituali -è »morali, che avrebbero, frustrato tutti i meccanismi della materia. E furono quelle ' parole di Fichte che riuscirono, più che ogni altra forza, a sollevare e vivificare là ' Germania nella sua ora più tetra: e il rinascimento fu spirituale come lo erano state le parole del profeta.
Ma la storia della incarnazione degli ideali — sia religiosi che sociali, politici, nazionali — ci fa assistere a un protesso quasi costante di degenerazione della forza spirituale in forza materiale. Chi ha inteso con una intensità religk&a i propri ideali identificati con il principio dinamico della propria condotta, ha acquistato — individuo o gruppo sociale, chiesa o nazione — una forza di coesñbn» e d’elasticità, che se gl’impedisce in un primo momento di schiacciarsi e di^nfegrarsi, lo rende anche capace ulteriormente di una espansione illimitata, che fio'pórrà facilmente*' in conflitto con altri ideali incarnati. Colui che si era professato «servo dei sèrvi di Dio », non tardò poi a proclamarsi « vescovo dei vescovi »; l’ardore di proselitismo facilmente-degenerò* in - persecuzioni, religiose; e la brama di « civilizzare » condusse à sanguinose guerre coloniali di conquista.
La vita, in tutte le sue forme, per divenire attiva, per esprimersi, deve crearsi un organismo materiale e far presa sulla materia: e la materia conquistata reagisce, e materializza, circoscriVe, irrigidisce, asservisce lo spirito. È ciò che avvenne anche della' rinascenza idealistica tedesca. Da paladina della libertà, dell’autonomia delle nazionalità, dei'diritti dello spirito contro il despotismo napoleonico, la Germania risollevata ¿ irrobustita divenne alla sua volta aggressiva. Le campagne del 1864, del ’66, del ’70, mostrarono che la degenerazione era in pieno processò, e che la Germania, come Nietzsche vide e disse chiaramente, era divenuta vittima del pròprio successo. Sempre’’perseguendo quell'ideale storico che Fichte le aveva additato, essayfu condótta a persuadersi che il raggiungimento della sua missione dì unificatrice dei pòpoli, di civilizzai ricq delle razze « inferiori », di dominatrice degli spiriti ed elaboratrice di una umanità superiore, richiedeva l’uso della forza 'soggioga-tric’e. per impadronirsi dei mezzi e strumenti necessari all'esercizio del suo dominio.
Organizzazione interna tenace, poderosa, tale da mobilizzare e utilizzare nel miglior modo ogni forza e ogni individuo; sforzi, in molti sensi fortunati, nella direzione della’ coltura, della scienza, dell’industria, del commèrcio, per porsi in grado di adempiere verso tutti i popoli la sua missione; e soddisfare a tutte le esigenze materiali e spirituali dell’umanità; militarismo per foggiarsi uno strumento immediato perfetto di imperialismo universale’...; tutto il lavoro immenso di auto-creazione della Germania moderna, è un nuovo splendido saggio e illustrazione delle vie misteriose dello spirito nei suoi tentativi continuamente ripetuti nella storia e mai completamente riusciti — nè mai interamente falliti — di .crearsi un organismo, docile e adeguato strumentò dei suoi voleri ed esecutore dei suoi disegni;
Il genio della vita e dell’evoluzione ha, nel perseguimento del suo compito, andature, maniere di « s’y prehdre », leggi di attività, ch*e sventano ogni tentativo di ¡riduzione «umana ». La sua forza operosa si affatica attraverso i secoli,'da un *orga-nismo all'alt fó;’da forme embrionali è. semplici a forme più sviluppate é complesse: con gli elementi primi degli individui, delle famiglie, delle tribù, delle associazioni
6
192
BILYCHNIS
>
di coltura, di religione: esso forma, complicandoli, fondendoli, organizzandoli, degli organismi più vasti e complessi — nazioni, imperi, religioni, — mediazioni a forme sempre più unitarie, più intemazionali, più universali. L’impero romano fu un suo innegabile successo: ma quante'civiltà, quante razze, quante generazioni dovettero macerarsi, perchè i loro detriti e gli elementi da esse elaborati formassero 1’« humus » vitale da cui esso> trasse il suo succo e la sua consistenza! Il Cristianesimo, ilCatto-licismò, la Riforma, la coltura*moderna, Varie, Inscienza, l’impero coloniale inglese, il pan-germane^iino,. ecc., hanno tutti preteso, nonìntieranemte a torto.' a vicenda o simultaneamjì^te, di essere l'espressione di una volontà sconfinata di predominio: chè.tutte queseVáappe* ed incarnazioni parziali, anzi, tutti i tentativi embrionali che li hanno, piece‘dùti e accpmpagnati, più ancora ogni individuo umano, elemento ultimo dei più vasti organismi storici, avevano ed hanno realmente la coscienza di possedere l’intero piano delVevoluzionczmondiale, d’insoggettivare l’intiero programma infinitó dell’essere,, il quale non attua ed incarna se non ciò che già possiede ed è. Noi possiamo.bensì rimproverare a Chiese, a Nazioni, a scuole, ecc., di pretendersi espressione ultima,e completa di una realtà di cui non sono che parziali mediazioni operose— e queste nostre rimostranze sono in tanto giustificate, in quanto la postra opposizione mostra appunto come vi siano altri aspetti della realtà che non-rientrano ancora in quelle forme: — ma non dobbiamo, d’altra parte, dimenticare, che questa fede nella identificazione di ogni individuo e gruppo .sociale con l’intiera anima dell’Unixerso, fede implicita, senza di cui non è,¿possibile vivere e operare, fa parte integrale di quel processo per cui la vita, lo spirito, l’anima dell’universo, Dioiche dir si voglia, va indefinitamente approssimandosi, senza .mai raggiungerlo, a un idealcche sempre più elevandosi sempre più si allontana:, e che questa coscienza autólatra di ogni individuo e gruppo, non può acquistare — a così dire — consapevolezza della propria limitazione e parzialità, che nell’atto in cui si trova di fronte altri elementi non ancora assimilati e unificati (altre civiltà, nazioni, religioni, idee...). Solo il conflitto d’ideali e interessi è quello che potrebbe scuotere la fede di un gruppo sociale che si sentisse destinato a far prevalere-fe sua visión? e i suoi valori — appunto come è l’ppposizion^ delle coscienze individuali quella che genera le categorie del morale fi. immorale: ma, viceversa, lo stesso conflitto non vale spesso ad altro, che a provocare. una dilatazione delle tende, e.a preparare un assestamento nuovo, nel quale .ognuno dei «fattori concorrenti potrà conservare la sua persuasione, che è il proprio piano, che si è sviluppato e completato integrandosi con gli altri, e che anziché di rinunzia, si tratta di successo della propria missione, di sintesi superiore. E se afiche, uno dei fattori si sente, si crede soccombente, una sola è la causa di questa sua sentita e creduta sconfìtta: la mancata fede in se stesso, nella sua causa, nel suo ideale: riacquistata questa, risorta la coscienza dei propri (festini e la volontà di continuare a perseguirli, tutto è risorto...
L’ossessione tedesca di dominio non differisce, ho detto, che « numericamente » da quella espressa già ne|(«tu regere imperio populos, Romane, memento», c da quella che forma tutt’ora l'essenza della società che .ha per sua nota caratteristica 1’« universalità » e vuol èssere domina trice, di tutte le facoltà e attività umane, cioè il Cattolicismo?
7
GERMAN’ESIMO SPIRITUALE E MATERIALE I93
Questa intima somiglianza di atteggiamento psicologico, di coscienza inorale, di volontà dominatrice, fra quelle tre tipiche forme di imperialismb universale, e la identità dèlia ispirazione del genio vitale incarnatosi in queste manifestazioni diverse, da nessuno, forse, è intesa più pienamente, che da chi ha vissuto dalla sua nascita sotto il dominio e l'incanto dell’idea, personificata due volte nella Storia nella figura di Roma.
Chi potè-coglieie attraverso i successi e le aberrazioni, ^grandezza e la decadenza della Roma classica, l’azione dell’idea proteitorme della unificazione del Mondo,-che in Roma si espresse nel genio della organizzazione e della legislazione; chi, dopo aver vissuto dal "di dentro c partecipato alla megalomania spirituale del Cattolicismo, che identificando se stesso col piano infinito della vita e dell’evoluzione universale pretende di dominare i popoli ed i secoli avvenire, come si crede il risultato voluto ed inteso di tutte le vicende dell’evoluzione storica, potè penetrare nel cuore del cuore della Germania, nella capitale della Prussia ~ come fu dato a chi scrive, pochi anni prima della presente guerra;/— dovè sentire con una chiarézza d’intuizione a cui l’analisi successiva ben pòco potè aggiungere, che la mentalità germanica era una; ri produzione del fenomeno «romano» e «cattolico»; che-la differenza dei tre imperialismi era « numerica ».e non specifica, e che, come la Geologia ha dimostrato che i così detti’« scherzi di natura » sono fenòmeni ordinari dipendenti da leggi rigoróse, .così le « mostruosità » megalòmane.1 dèi grandi imperi, delle”’grandi religioni, dei’ grandi sistemi, delle grandi Organizzazioni, non sono che delle «brutte copie» e degli esperimenti, in cui un eternò artista'va «provando e riprovando », cimentando la suà opera.e abbozzando il suo eterno capolavoro. • : • .
Sono quéste le idee direttive che mi aiutarono a classificare e ridurre a categorie già note la mentalità, la psicologia, la condotta, l’organizzazione della società tedesca. Che, una volta trovato l’angolo visuale, tutto s'interpreta nehmondo tedesco: dal portalettere che vi consegna la Vostra posta col medesimo senso di aver compiuto una missione'con cui un ambasciatore può presentare un documento diplomatico al suo sovrano, o dalla solenne maestà, non disgiunta da graziósa condiscendenza, con cui una guardia di polizia compiè le sue funzioni (tutte « imperiali »: perfind i gatti addetti alle fortézze sono consacrati dalla targhetta, sul collare,/di « gatti imperiali ») fino al senso di alfa protezione da cui si sente .circondato il forestiero ospite della grande patria, al rispettò, al culto per ogni titolo ufficiale, che si estenderà anche al vostro « herr doktor», e al trasferimento reale e ideale di tutte, <>>quasi, le categorie mentali di.supremazia di maestà, di impero, di «santità» che pei cattolici avvolgono la persona di « Sua Santità », —- c della sua corte cardi^ nalizia, nonché della'sua camarilla privata, — alla persona augusta e. sacra del* Kaiser e della sua camarilla. . i
« Il Kaiser l’ha detto, ordinato, fatto »: è una frase, che pronunziata con l’intonazione di un « devoto » tedesco differisce da quella pronunziata da un « incredulo » giornalista berlinese, di tanto quanto un « l’ha detto il Papa » suona diversamente sulla bocca di un politicante da « Caffè Aragno » o su quella di una fanatica idolatra di tutto ciò che il Papa ha detto, o gli è fatt'O dire.'.
8
194 BILYCHNIS
imperatore romano, Papa, Tzar (1), Kaiser, personificano, e in. parte realizzano, per le. masse, l'anima e l’ideale della razza, della nazione, della società: e la differenza che corre fra i diversi tipi simbolici esprime la differenza specifica dello spirito delle diverse società: come, a un dipresso, nel Totemismo primitivo, i diversi . animali sacri delle differenti tribù.
E vien naturale domandarsi, se non sia appunto il fatto che nei paesi latini, cattolici, l’imperialismo romano è passato, armi e bagagli, neH'iinperialismo del ve , scovo di Roma, c questo ha esaurito, nella categoria del reale e umano, la personificazione simbolica della razza, ciò che ha impedito in questi paesi la formazione di altri feticci, almeno sì longevi e sì dominatori. E la ipotesi è tanto più plausibile, in quanto, ad es., nella Russia e nella Germania, nella persona dell’imperatore tendono a fondersi sempre più anche gli attributi del «sacro » e del «santo », ’che nei paesi latini si sono, fissati attorno alla persona del capo della « nazione » cattolica.
Ricordo, a tal proposito, l’impressióne vivissima, «domestica», prodotta in me, „ anni or sono, allorché, fresco tut t’ora di romanesimo nel doppio senso suaccennato, assistendo in un tempio evangelico di Berlino ad un servizio religioso, nel giorno onomastico dell’attuale Kaiser, ritrovai nel « Predigt ». o Sermone del pastore evangelico, — tutto un panegirico di esaltazione dell’imperatore, — non solo il medesimo spirito ma le stesse frasi enfatiche di glorificazione dell'« augusto difensore della nostra fede », della « guida da Dio contessa al nostro popolo per il raggiungimento della sua missione », di .a rappresentante della divina volontà e. interprete dei decreti del Cielo » ecc., ecc.: con i conseguenti inviti alla sottomissione-di mente e di cuore, all’obbedienza, alla venerazione di si augusta maestà. Collegata con questo ricordo, è l’impressione che ricevetti all’università di Berlino, ove nei còrsi, specie di storia del Cristianesimo (del famoso:prof. Harnack) e di storia della letteratura tedesca, dovetti persuadérmi, dietro il testimonio irrefragabile delle mie orecchie, che il popolo tedesco, o almeno la sua «élite », aveva veramente, c onestamente la coscienza di essere destinato a ereditare tutti i prodotti delle civiltà anteriori, e di essere investito della missione di guida e duce dei popoli e delle nazioni.
Quali fossero gli atti di questa eredità e i titoli di questa investitura, e che cosa s’intendesse per missione storica' della Germania, da nessuno, a mia memoria, veniva espresso chiaramente—-benché ricordi le allusioni al Sacro Romano Impero trasfusosi in quello. Germanico, o al primato della filosofìa tedesca che avrebbe prestato al mondo moderno un'auto-cosciènza e una visione interna non saputa raggiungere nelle altre forme di civiltà e di pensiero, ed anche accenni equivoci ad un primato e ad una prevalenza della civiltà e dello spirito tedesco, che potevano prestarsi a tutte le interpretazioni, dalle più materiali alle più spirituali. Ma certo è, che questo primato del Germanesimo, questi suoi destini di riempire disè l’UnWerso, questa missione di germanizzare il Mondo, costituivano, e tanto più intensamente in quanto erano appunto nello stato areiforme c impalpabile, lo sfondo, il spttin(1) Queste idee erano già state espresse, quando uno di questi feticci venne demolito da un popolo, che però ancora non riesce a ritrovare se stesso. (Nota dell'A.):
9
GERMANESIMO SPIRITUALE E MATERIALE ■ I95
teso, l’atmosfera, di tutti i corsi, e la trama connettiva di tutte le dissertazioni: appunto come nella Storia Universale della Chiesa del Rohbachcr, — il libro di lettura nel refettorio di mólti Seminari italiani, — ogni nuòvo periodo storico comincia immancabilmente dàlia «Caduta di Adamo ed Eva» e dal-piano della Redenzione realizzato e realizzabile solo nel Cattolicismo romano. (Veramente, l’abate francese fa entrare in questo piano anche la Francia: « gesta dei per Francos »: ma la Francia, per lui, non è, nella conquista del Mondo, che lo strumento eletto della . Chiesa).. * >' : « ?!
Vivendo in Germania, a contatto con l’anima tedesca, si sente, insomma, potentemente, che la razza germanica, in pace o in guerra, non per proposito dei suoi uomini politici, per volontà anonima di dominio di tutti i suoi individui, o per sistema dottrinario dei suoi pensatori, ma « sponte sua », con tutto il pondo della sua unità vivente* sotto l’impulso di quello stesso « mens agitat molem » che formò e deformò tutti i tentativi storici di unificazione dell’umanità, tende e si,sforza di riempire e di divenire tutto il Mondo. Abbiamo visto che queste degenerazioni materiali di finalità spirituali immanenti e operanti nell'umanità,non vanno perdute. Attraverso abbozzi, tentativi, insuccessi, l’umanità si approssima sempre più'versò quella unità nella varietà e nella libertà, che è pienezza di vita, armonia, solidarietà, fratellanza.,’ •'
Se una. visione più chiara di questo piano sottostante a tutte le egemonie e gl’imperialismi della Storia e un passo decisivo verso l’attuazione*dellà famigila umana saranno il risultato della degenerazione germanica del sec. xx come di quella Ro-mànà e Cattolica, dovremo chinare il capo ancòtà una Volta dinanzi alle misteriose leggi del progresso umano; e alle ineffabili «vie di Dio». •
, \ . > G. Pioli.
10
DELLE ORIGINI DEI “ POVERI LOMBARDI ”
E DI ALCUNI GRUPPI VALDESI
(SPERONATI — RUNCARII — TORTOLAN.I) J
(Continuazione, V. Bilychnis,- fase. di scttembr«, pag. 112)
GLI SPERONISTI
A''CostituzioneVdi£Federico II contro gli eretici, promulgata i, 22 novembre 1220 nella basilica di S. Pietro, mette al bando, tra gli altri, un gruppo di eretici chiamati Speronisti (1). Questi vengono nominati anche da Stefano Borbone, tra le sette che infestavano Milano nella seconda metà del secolo xm (2).
Ma di essi si conosce appena- il nome, nè credo ,clie alcun • scrittore.di cose valdesi ne abbia mai fatto oggetto di speciali ricerche (3). E però non trovo che siano mai state utilizzate al
riguardo aldunc notevoli testimonianze di Salve Burce. Da queste chiaramente risulta che gli Speronisti costituiscono un particolare gruppo valdese, poiché essi vengono sempre ricordati accanto ai « Poveri di Lione » e ai « Poveri di Lombardia » (4).
Quali fossero le caratteristiche che'li distinguevano dagli altri gruppi valdesi non sappiamo. Ma Salve Burce ci dice che il loro capo, da cui ebbero il nome, fu un certo Speronus o meglio Ugo Speronus, e che questi diede vita al suo gruppo io anni dopo Valdo e 20 anni prima, che Giovanni da Ronco fondasse il gruppo dei « Poveri Lombardi » (5).
(1) « Gatharos-, Patarenos, Speronistas, Leonistas, Arnaldistas.Circomcisosetomnes hereticos utriusque sexus». Pertz, Mon. Germ. Leges. II, 242; Boi’mer, Keg. Imp* V, 1203. Cfr. i «Capitala» contro gli eretici.promulgati a Roma dal senatore Annibaldi e a Rieti da Gregorio IX nel 1231.. Böhmer, II, 666-7.
(2) « Item Arnaldiste, Spcroniste/Leoniste, Catari,, Patareni, Manichei sì ve Bulgari, a suis inventoribus sic dictis »./Stefano Boèb;,;.281.
(3) Il Gieseler, Lehrbuch der Kirchèitgesch., II. 2, p. 612, dice che forse « Speronus » viene da «Sparone», un borgo piemontese. II francescano Bertoldo da Ratisbona, verso la fine del sec. xm, fa menzione di • Speronus », che egli chiama « Sporer ». Vedi Gieseler, ibid.
(4) « O pauperes Leoniste et paùperes Lombardi et vos Speronistae » (Salve Burce, Döllinger, II, 62).
2(5 ) «Speronus fuit caput Speronorum, et hoc est circa quinquaginta annos... Val-dexius vero Leonista et Ugo Speronus atque lohannes de Roncho, et hi tres fuerunt prima capita vestrarum congregationum, sed Johannes de Ronco circa 30 annos, Ugo vero Speronus circa 50, Valdexius circa 60» (Salve Burce, Döllinger, II, 64).
11
।J. .
DELLE ORIGINI DEI « POVERI LOMBARDI » I97
Questa constatazione è importante, perchè èssa viene a corroborare fa nostra affermazione secondo la quale il valdismo lombardo primitivo si differenzia- ben presto in parecchi gruppi, più o meno autonomi, e di cui quello dei « Poveri-Lombardi », venuto dopo gli Umiliati e gli Speronisti, non è certamente nè il solo nè il più antico, benché di tutti il più vigoroso e vitale.
Appare inoltre che, più che attraverso gli Umiliati, i Poveri Lombardi, sarebbero derivati dai Poveri di Lione, attraverso gli « Speronisti ».
. ‘ I RUNCARII
* Le fonti valdesi del secolo xm fanno cènno di una setta di eretici detta Run carii, il cui nome ricorre anche nei documenti del secolo xiv e oltre. .
Uno di questi documenti, la Stimma de haeresibus (i), contiene alcuni dettagli intorno alle dottrine attribuite: ¡ai Runcarii.
Vi si legge che essi discordano dai« Sotularii »0 « Poveri di Lione » in tre punti: circa il battesimo, circa l’eucaristia e circa il matrimonio.
Circa il battesimo i Sotularii (2) noi^ erravano. I Runcarii, invece, sostenevano la nullità del battesimo amministrato dal sacerdote in stato di peccato mortale. Un tale battesimo contribuiva anzi a corrompere maggiormente Un’anima, che un immondo non può che macchiare ciò ch’egli tocca. E poiché la Chiesa Romana è la mala bestia e la meretrice dell’Apocalisse e che i suoi sacerdoti sono tutti polititi, essendo essi fuori della loro setta, i Runcarii sostenevano la necessità di ribattezzare i fedeli che entravano a far parte della loro comunità (3).
È forse a questa setta o ad una varietà di essa che vuole alludere Stefano Borbone, facendo cenno, di un gruppo di eretici detti «Ribattezzati»; che sarebbero esi? siiti a Milano nella prima metà del secolo xm (4),
Circa l’eucaristia, mentre i Sotularii ammettevano che ogni uomo, »sia buono o cattivo, potesse validamente amministrare il sacramento, purché conoscesse e re-? citasse le debite formule; i Runcarii sostenevano la nullità del rito sacramentale celebrato dal ministro indegno (5).
(1) Pubblicato dal Dòllinger, II, 297.
(2) * Sotularii in tribus discordant a Runcariis, in baptismo, in cucharistia et matrimoniò. In baptismo non errant; de sacramento eucharistiae dicunt quod quilibet potest id conficere, vir sive mulier, dummodq debitam formam observet. Item ma-t ri moni u m non damnant, dummodo volint coniugati spe prolis commisceri; si alia quacumque intentione commisceantur, dicunt eos oiortaliter peccare. In aliis vero omnibus concordant» {Summa de /¡acres., Dóllinger, II. 299).
(3) » Similiter dicunt (Runcarii), quod baptismus sacerdotis existentis in mortali peccato non valet ■ (Snwwa de. haeres., Dòlljnger, II, 300). «De baptismo dicunt (Runcarii), quod malus $g£erdos non baptizat .$ed magis. polluit, secundum id: quidquid tetigerit immundus,\immundum erit (Num. io, 22). Malos autem omnes appellant qui sunt extra sectam ipsorum, unde omnes suos docónt baptizandos esse, quasi non ba-ptizatos sed magis pollutos ■ (Ibid., 277). Cfr. David d’Aug., Preger, Der Tractat, 27: • Dicunt tunc hominem primo vere baptizari, cum in corum heresim fueritintroductus ».
(4) • Alii rebaptizati (diceban tur), qui rebaptizandos ab Ecclesia esse dicunt » (Stefano Borb., 281).
(5) ■ Item dicunj (Valdcnses) quod quilibet laicus siye sit bonus sive malus, potest
12
198
BILYCHNIS
Circa il matrimonio, infine, i Sotulari ammettevano la liceità del matrimonio consumato spc prolis. Non trovo quale fosse al riguardo la particolate opinione dei Runcarii. Probabilmente condividevano essi quella dei Poveri Lombardi, che, dal'punto di vista della perfezione evangelica, consideravano il matrimonio come colpa grave in se stessa, come una fornicazione legale (r).
Tra le altre dottrine che vengono attribuite ai Runcarii, notiamo: la negazione del Purgatorio, dell’efficacia dei suffragi, più che ai morti utili ai preti che godono delle .elemosine, e di alcune altre pratiche del culto (2).
Da questa rapida rassegna dei punti più caratteristici della dottrina dei Rua-.carii chiaramente risulta che noi ci troviamo di fronte ad una setta valdese (3), e precisamente del ramo lombardo, con il qualè ha comune in genere la sua dottrina ed in particolare la teoria/dèlia dipendenza deH’efficacià del sacramento dal merito7 del celebrante. Se si considera inoltre, che, mentre il nome di « Runcarii » non viene adoperato quasi mai da Stefano Borbone, da Sai^e Burce e dalle altre fonti francesi ed italiane, nè dai decreti di scomunica contro gli eretici promulgati in Italia, mentre invece esso ricorre spesso nelle fpnti tedesche, bisognerà dedurrte che i Runcarii formano una setta appartenènte al valdismo tedesco. E dei vaIdismo tedesco sembrano anzi costituire una delle; sètte più importanti e più tipiche.
In un documento tedesco si legge: Quatuor sunt seclae haerelicorum, scilicet Wal-denses, Rungarii, Orldiebarii et Manichei (4).
In un altro documento tedesco, un trattato contro i Valdesi compilato nel 1316 dall’anoùimo di Passau (lo pseudo-Rainero), un domenicano di Krems, nella diocesi di Passau, si legge: De quarto nota, quod sectae haerelicorum fuerunt piurcs, quam LXX, quae omnes per Dei graliam delelae sunt, praeler sectas Manichaeorum. Arianorum. Runcariorum et 1.conisidrum, quae Alemanni am in fecerunt (5).
Questi testi, ed altri analoghi, presentano una singolare anomalia: mentre essi, accanto alle sette citate, mettono in rilievo Fimportania; la diffusione, l’efficacia del gruppo valdese dei Poveri di Liòtìe. sembrano ignorare del tutto il-gruppo dei Poveri Lombardi. Ora è comunemente ammesso, in base alla comunanza delle teorie
conficere du in modo sciat yerba, et quod potest absolvere et ligare. Idem Runcarii dicunt per omnia, except© quod malus sacerdos non potest conficere».- Summa de haeres., Döllinger, II, 300. «Item (Lombardi) dicunt, quod malus sacerdos non potest conficere, quod etiarn Rungarii affirmabant». Doc. pubbl. da C. Schmidt, in Zeitschrift, f. die history Theol., XXII (1852), 265.
(I) «Matrimonium dicunt esse fornicacionem juratam; nisi continenter vivant» (David d’Aug., Preger, Der Tractat, 27).
(2) « Purgatorium negant (Runcarii) et ita... omnia suffragia ecclesiae subsannant dicentes quod oblaciones ad altare pro defunctis, bonae sunt, sed ad pascendüm sa* cerdotes, ut eo latius comedant et luxoriosius vivant. Item dicunt, quod luminaria nocturna bona sunt, ne sacrista pedes suos offendat... Suffragia pro defunctis bene concedunt quod prosint sacerdotibus non tarnen defunctis •- (Summa de haeres., Döllinger, II, 298).
(3) «Cum olim una secta fui^se dicantur. Pouver de Leu» etOrtdiebarii et Aino-tuste et Runchani et Waltenses et alii». (David d’Aug., Preger. Der Tractat, 36).
(4) Pubbl. da C. Schmidt, in Zeitschrift f. d. hist. Theol., XXII (1852), 24s.
(5) Max. Bibi. PP. Lugd., XXV, 264. .
13
DELLE ORIGINI DEI « POVERI LOMBARDI <
199
ed altre prove storiche, che il valdismo tedesco è per la maggior parte derivato dai Poveri, Lombardi (i). Sembra anzi che ancora verso il piincipio del secolo xiv i fedeli tedeschi, che le missioni lombarde riuscivano a convertire alle loro dottrine, riconoscessero l’autorità diretta dei superiori lómbardi. Essi venivano in pellegrinaggio nella Lombardia, per visitarvi «episcopos suos » (2). In ogni tempo i più intimi rapporti si mantennero tra le comunità valdesi d’Italia é quelle di Germania (3).
Non si spiega; dunque, il silenzio dei testi citati a riguardo'dei « Poveri Lombardi ».
Mi sembra che ci sia un modo molto semplice di sciògliereTenimfna: collocare i Poveri Lombardi al posto dei Runcarii. Ammettendo, cioè, che i Runcarii, le cui dottrine concordano perfettamente con quelle dei Poveri Lombardi, altro non sieno che il gruppo tedesco dei Poveri Lombardi, diversamente denominato. E il loro nome sarebbe derivato appunto dal luogo (4) che diede il nome a quel Giovanni da Rónco che, secondo la testimonianza già citata di Salive Burce, fu il primo fondatore del gruppo dei Poveri Lombardi;
I TORTOLANI
Tra le sette che, nella prima metà del secolo xm, erano stabilite a Milano, Stefano Borbone cita quella dei Portolani.
Questi celebravano il rito eucaristico una volta l’anno, sotto fotma di una piccola torta — onde il loro nome — di cui si comunicavano gli astanti e che solo il loro « magister » o « perfcctùs » poteva consecrare (5).
Queste brevi indicazioni, ci permettono già di considerare i «Tortolani » come un gruppo valdese, appartenente al ramo di Francia.
Essi formano, probabilmente, una cosa sola con quella setta valdese, la cui cena eucaristica annuale ci è minutamente descritta da un anonimo di Clermont e presso la quale, «colui che presiede, se è sacerdote», cioè «perfetto», consacra il vino e unam fugazian azimatn, che distribuisce ai convenuti (6).
. (1) « I valdesi boemi, tedeschi ed austriaci sono la stessa cosa coi valdesi italiani gli uni e gli altri profondamente diversi dai valdesi di Francia» (G. Volpe, Eretici e moti ereticali, 150).
.(2) «Item pcregrinantur, et ita Lombardiam intrantes visitant episcopos suos • <An’on. Pass., Max. Bibl. PP. Lugd.. XXV, 264).
(3) Cfr. De Stefano, I Tedeschi e l’eresia medievale in Italia, Roma, Bilychnis, 1916, 14-15.
(4) « Haeretici quidam vócantur ex loco, ut Runcarii a villa • (Anon. di Passau, c. 6). .
• (5) « Item alii dicti Tortolani qui semel in anno et in coena solum posse confici
dicunt a magistro eorum solo perfecto; qui tortellum faciunt de quo ab eo communi-cantur » (Stefano Bore., 280-1).
(6) «Dicti Pauperes de Lugduno solum semel in anno, in coena Domini, et hunc quasi iuxta noctem: ille qui preest inter eos, si est sacerdós, convocai omnes de fa-milia sua utriusque secus et facit ibi inter eos preparar! bancum seu unum scannum, ét poni desuper unum niùndum gausape cui postea supponunt. unum bonum scyphum de vino bono et puro, et unam fugaziam azimam... Postea vero surgunt et tunc ille
14
200 * BILYCHNIS
Del resto, circa il sacramento dell’eucaristia, i Valdesi, anche quelli appartenenti allo stesso ramo e fórse anche allo stesso gruppo, professavano le più disparate opinioni (i).
CONCLUSIONE
Concludendo, il movimento valdese delle origini va considerato come una diffusa fermentazione di rinnovamento religioso e sociale, per cui, a seconda .dell’ambiente, sorgono e si differenziano parecchi gruppi valdesi^ che prendono nomò o dal luogo in cui vengono iniziati o dall’eretico che loro dà vita', e che, pur partendo dal comune principio dell’imitazione letterale della vita apostolica ed essendo concordi nell’opposizione alla Chiesa, dopo ché ne furono- scomunicati, presentano peculiari caratteri dottrinali e disciplinari e sopratutto una diversa ed autonoma organizzazione.
I gruppi di origine lombarda sono caratterizzati da una più violenta' opposizione alla Chiesa Romana.
Ciò è dovuto, senza dubbio, al fatto die il contatto con il Papato c l’organizzazione ecclesiastica essendo più immediato, più aspro doveva esserne l’urto e all’influsso', inoltre, di quegli elementi arnaldistici che si erano mantenuti particolarmente vivaci in Italia e in Germania.
In queste regioni, pertanto, il movimento ereticale assume un carattere Antipapale e ghibellino, che ne tradisce il contenuto schiettamente politico (2).
Questi gruppi raggiungono il massimo della loro diffusione durante la prima metà del secolo xin.
Innocenzo III spiegò un’intensa azione politica e religiosa,«sia per frenare l’irrompere del valdismo, sia per riconquistare alla Chiesa quegli elementi i quali, più per la mancanza di tatto dei suoi predecessori che per deliberato proposito, se ne erano estraniati.
Riuscì, infatti, ad attrarre nella Chiesa dal valdismo francese i Poveri Cattolici, e dal valdismo lombardo; parte degli Umiliati, che formarono allora tre Ordini debitamente approvati. ।,
Di questa esperienza si giovò Innocenzo III, particolarmente nei riguardi del moto francescano — moto sostanzialmente identico al valdismo — impedendo che esso’avesse a sconfinare dalla Chiesa e inducendolo, con moltà finezza diplomatica, ad accettare la direzione dottrinale e disciplinare della Chiesa. Per raggiungere questo, scopo,' egli dovette fare al misticismo dilagante quelle concessioni che l’intransigenza di Alessandro III aveva negato, determinando così l’èsodo dei Poqui preest consecrat signat panem et scyphum, et fracto pane dat omnibus astamtibus particulam suam et postea dat omnibus bibere cum scypho, et stant semper in sedibus et sic finitur eorum sacri fi cium etxredunt firmiter et confitetur quod istud est corpus et sanguis Domini nostri Jesu Christi >. Cod. Claramont:, Döllinger, JI, 56."
(1) Ved. Rescriptum nn. 16-20; cfr. Müller; 43'441 Stefano Borb. 281; 296; 298: Rain. Sacc.; Martens’ V, 1775; David d’Aug., Preger, Der Tractat, 27).
(2) Cfr. De Stefano, I Tedeschi e l'eresia medievaie in Italia, in Bilychnis, Roma. 1916.
15
DELLE ORIGINI DEI • POVERI LOMBARDI ■
201
veri dalla Chiesa e in particolare concedere quella libertà di predicare che era ritenuta come elemento essenziale della vita apostolica.
Se l’azione di Innocenzo,III non ebbe più larghi e decisivi risultati, ciò si deve in gran parte al Carattere polìtico che. avevano assunto i vari gruppi valdesi, gene-rajmentex legati a fil doppio con i partiti antiromani.
Però, mentre il territorio di Francia sembra sia rimasto immune dall’influsso del valdismo lombardo, il gruppo lionese, appunto perchè l’originario e perchè la sua diffusione attraverso la Lombardia avvenne prima , che le divergenze tra italiani e francesi, si accentuassero ab punto da costituire du£fehdénze antagonistiche, è invece rappresentato, per lungo tempo ancora, nelle' contrade lombardo-tedesche;
Così, troviamo in Germania i « Pauperes de Lugduno» o « Leonistae », — .cui i Poveri di Milano indirizzano la loro lettera del 1218, — accanto al gruppo dei Poveri Lombardi, propriamente detto, e che io credo sì possa: identificare senz’altro con t’importiate gruppo dei RunCarii.
In sostanza il valdismo delj^origini ci si presenta come un albero da $ui vanno rampollando numerosi altri virgulti indipendenti, Uniti per le radici e per la sostanza ideale che li pervade, ma autonomi e contrastanti tra loro; innestati, però, sui due rami principali del valdismo: quello francese e quello lombardo-tedesco.
Antonino De Stefano.
16
LA “STORIA INTERNA” DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
dando.ci avvenne, tempo fa, di' occuparci su Bilychnis del misterioso personaggio giunto a noi col nome di Ignazio di Loyola, recensendo un volume di Sigismondo Pey-Ordeix, i venerabili padri della cosidetta.Compagnia di Gesù ebbero sulla loro Civiltà Cattolica a coprirci di male parole e di vituperi, che non sappiamo in quale cantuccio della loro tutta speciale carità andarono a scovare. Essi perii erano in certo qual modo scusabili: da secoli vivevano fra m>i tranquilli perchè il ben tenuto
¿¿greto sulla loro origine e sulle vicende del loro istitutore non aveva posto alcuno in sospetto circa la personalità del padre e la sua realtà storica, e alte fandonie poste in circolaziohe dai figli si prestava, in mancanza d’ogni seria contestazione in contrario; fede assoluta. V’cfa bensì un accenno, abbastanza imbarazzante/iiella stessa bolla di canonizzazione, alla diversità di nomi e di appellativi ueati; non si sa perchè, dal patriarca dei gesuiti durante la sua vita: ma chi andava à leggere la bolla predetta? E, dato pure che qualcuno l’avesse letta e che il menomo dubbio fosse sorto nell’animo suo, non v’erano pronti gli amorevoli figli a spiegare, con una
serqua di storielle, la curiosa anomalia? Onde era ben naturale la grave preoccupazione che colse gli incliti figli di Ignazio di Loyola — o, a scelta. Iñigo Lopez, Juan Lopez de Celaya (p, Celain, Juan Lopez de Recalde — e li fece sragionare quando qualcuno os$cèrcàre di strappare il vejo e rivelare la sfinge. Così pure quando si è tentato di porre; in luce qualche' pagina della ^toria. inteùj.a della Compagnia. Ad altri, in paese diverso, era accaduto qualche cosa-di piùgi^e che quattro voi--gari ingiurie. Nel 1912, a Madrid, un certo) Avvocato Rodrigo Nocedal, dicentesr avente causa di Ignazio di Loyola', citò dinanzi al magistrato ordinario don Josè Ferrandiz-, ’ per certi giudizi sul predetto Ignazio non pienamente conformi alla tradizione gesuitica, pubblicati in un giornale della capitale spagnuola. Poco più di un anno dopo, allorché la persona a cui il famoso storico e letterato p. Miguel Mir d. C. d. G., segretario della reale accademia di Spagna, ne aveva affidato l'incarico, pubblicò l’opera di eccezionale importanza Historia interna documentada de la Compania de Jesus, che il detto p. Mir non aveva potuto pubblicare mentre era vivente, per difficoltà frappostegli dall’autorità ecclesiastica (1), i gesuiti di quel paese
(1) La interessante storia di tali difficoltà è contenuta nell’opuscolo Se puede hablar de los jcsuilas? posto dal Mir come introduzione all’opera ricordata. Tale opuscolo costituisce un documento assai degno di nota circa la libertà che gode nella Chiesa di Roma l’attività intellettuale e circa le garenzie morali alla storia... non accordate.
17
LA < STORIA INTERNA.» DELLA COMPAGNIA DI fiESÒ 203
medievale che è ancora la Spagna d’oggi, montando gli eredi del povero p. Mir (il quatei per aver pace con la propria coscienza, aveva dovuto negli ultimi tèmpi di sua vita uscirsene di fra i figli d’Ignazio), fecero porre l’opera suddetta sotto' sequestro ed interdirne la vendita. In questi ultimi giorni si annunziano persecuzioni contro, il qhiaro storico Pey-Ordeix per il volume or ora publicato della Hi stori a critica de san Ignacio de Loyola.
; .">’•••> / ■ . f -I t* , '*>
• * *
• - V •» t t »**'*•* i F ’’
Diamo oggi uno sguardo nelle faccende interne dei padri gesuiti, sulla scorta della Storia interna documentata della Compagnia di Gesù di don Miguel Mir. Abbiamo già detto che tale opera è stata posta in Spagna sotto sequestro e ne è interdetta la diffusione; ciò malgrado abbiamo potuto procurarcene un esemplare inviatoci dall'amico e confidente del Mir, che ne aveva curata l’edizione. Così ne possiamo oggi dar qui*un cenno ai nostri lettori, nella speranza che un coraggioso editore s’invogli a pubblicarne la traduzione italiana.
L’essenza e la finalità di questo libro non potrebbero esser meglio indicate e riassunte che con le parole stesse dell’autóre, incluse nella introduzione, all’opera (pag. 16-20) là dove si parla della prima redazione di essa e delle prime avvisaglie di lotta contro la sua pubblicazione.
, Fu intenzione -dell’autore — dice il Mir —, nello scrivere la Stòria interna documentala .Mia Compagnia di Gesù, porre in iscritti; il frutto delle sue investigazioni.circa lo. spirito dell’istituto, senza però aver ben fisso il tempo e l’occasione di pubblicarla. Ad ogni modo, dovesse pubblicarsi subito o: più tardi, era deciso che prima avrebbe dovuto ottenere l'approvazione. ecclesiastica.
.Così, essendo già stampatala detta Storia, volle sottometterla alla censura, e,non ad una censura qualsiasi, ma alla più alfa,ed autorizzata che vi sia nella Chiesa,; a quella cioè del Maestro del Sacro Palazzo. A fai; ciò- èra indotto dalla erronea persuasione che, secondo la legislazione moderna, il detto Maestro potesse dare ^imprimatur ad ogni libro, anche se fosse stampato in altra città e l’autore non risiedesse, a Roma, dove, viceversa, è necessario che l’autore risieda.
Il p. Lepidi accolse la preghiera di faro esaminare il libro da persona di sua fiducia, non per apporvi V imprimatur ma per.poter dare un giudizio sulla bontà e moralità dell’opera.
Il censore lesse con particolare attenzione e cura l’opera.affidatagli, scrivendone poi l’impressione avuta all’autore,, con lettera in data 17 marzo 1905, in cui si diceva;
« Non ho forse letto in tutta da mia vita un libro che tanto mi interessasse •per la novità delle notizie, come quello in cui la S. V. ne ha raccolte e saputo coordinar così bene onde ottener l’effetto voluto di far conoscere e formare una-’ idea chiara di ciò che finora si presentava così imbrogliato. Anch'io m’era formato in confuso lo stesso concetto che appar così netto nell'opera di V. S. Il suo libro è come un vero crivello che separa il grano dalle impurità, .0, se si vuole, come un giudice che ben sa distinguere il giusto dal reo, ciò che è degno di premio, e
18
204
BILYCHNIS
di lode da ciò che dev’esser inarcato di riprovazione. Penso che li suo libro potrebbe produrre un gran bene, e gli interessati dovrebbero esserle grati della sua pubblicazione se; guardassero le cose dal punto giusto ».
Incoraggiato dal responso avuto, l’autore si pose con sollecitudine a preparare l’edizione definitiva, e già ne erano stati stampati alcuni fogli, quando, nel 22 febbraio 1906, ebbe invito di recarsi la mattina appresso dal vescovo di Madrid-Alcalá che voleva parlargli. Recatosi al palazzo episcopale, il vescovo Vittoriano Guisasola lo ricevette e si intavolò il seguente dialogo:
« — Il motivo per cui l’ho chiamato è stato perchè è giunto al mio orecchio — non certo da parte dei padri gesuiti — che ella sta scrivendo un libro contro la Compagnia.
—. È vero che sto: scrivendo ed anche stampando un libro; ma esso' non è contro la Compagnia come non è in suo favore. Si tratta di un’opera puramente storica, per cui mi son servito quasi unicamente ed esclusivamente dei documenti pubblicati dai padri della Compagnia, documenti che sono in mano di tutti e di cui ciascuno può servirsi, se vuole, come ho fatto io. Ho studiato tali documenti e me ne son servito secondo mi è parso opportuno per investigare é trovar la verità storica contenutavi.
— Qual fine l’ha mosso a scrivere un tal libro?
— Semplicemente quello di stabilire la verità dei fatti e comunicarti agli altri. V; E. sa bene còme sulla Compagnia sia stata scritta un’infinità di calunnie e di menzogne, sia per parte di amici, sia di nemici dei gesuiti. Studiando i documenti pubblicati recentemente, rrt’è parso che èrano assai importanti per disfare tali calunnie tanto, degli uni che' degli altri:.;
— E quale sarebbe là sostanza o il riassunto del suo libro?
— Non è facile dirlo in poche parole: tuttavia cercherò' di farlo. V’è un fatto, nella storia della Compagnia, che merita particolàrissima attenzione. Esso consiste ih ciò, che i fondatori della Compagnia nel ricevere la bolla della sua costituzione, emanata da Paole I I, si. posero a discutervi su, e anzi determinarono senz’altro di riformarla, come 10 mostra un documento del 4 marzo 1541, che cosi si esprime: ' • • •
« Vogliamo che la bolla sia riformata, cioè tralasciando o facendo, confermando « o alterando le cose in essa contenute, secondò meglio ci piacerà; con queste condi-«zioni vogliamo ed intendiamo far voto di osservare la bolla ».
Tale documento è firmate da tutti i padri allora presènti in Roma, a capo-dei quali figura il nome di Iñigo, cioè Sant’Ignazio.
La prima volta che lessi tal documento, pubblicato solo da pochi anni, e sopra il quale nulla dissero mai gli storici della Compagnia — ciò che' è assai significativo — ne provai tale e tanto stupore, che àncora perdura. Il fatto in esso rivelato è, a mio parere, di assoluta importanza per la storia della Compagnia, è la base della storia stessa, ne è il principiò motore. Tale io lo ritenni, e con la ■- scorta di quel documento ho scritto la stòria dello spirito della Compagnia nei suoi uomini e nelle sue cose traverso i tempi. Da cío V. E. può immaginare quel che sarà questa Storia.
■ì
19
LA « STORIA INTERNA » DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
205
— Ha ben riflettuto alle conseguenze che potranno venirle dalla pubblicazione di tale Storia, come ella la concepisce?
— Vi ho ben riflettuto, e tali conseguenze m’importano assai poco. Io ho creduto sempre, signor Vescovo, che l’uomo è stato posto al mondo per oprare innanzi tutto secondo verità, come egli la sente nella propria coscienza, e per proclamarla dinanzi agli uomini quando lo ritenga necessario ed opportuno... ».
Arrestiamo qui la già lunga, ma assai importante citazione. Èssa rivela ai profani un fatto storico di capitale importanza, quello cioè che Ignazio di Loyola e gii altri fondatori della Compagnia nel mentre dicevano di porre a base del loro istituto l'obbedienza assoluta e senza sottintesi alla volontà del papa, cominciarono essi a burlarsi atrocemente di Paolo III, deliberando di accoglierne la bolla di costituzione o di rigettarla, obbedendo o disobbedendo a quanto vi si ordinava, secondo meglio piacesse loro e « con queste condizioni » volevano ed intendevano « far volo di. osservare la bolla »!
Basterebbe tale fatto, attestato come autentico dallo stesso Generale dèlia Compagnia, che ordinò l’inclusione del singolare documento nei Monumenta histórica Socielalis Jesu, per giudicare con piena cognizione di causa della Compagnia di Gesù e principalmente dell’astuto suo ideatore sant’Ignazio. Il Mir, però, nella sua Storia interna, mentre esamina al lume di esso lo spirito e le gesta della Società gesuitica, cerca, senza troppo riuscirvi, di metter fuori causa Ignazio. Questa stranissima contraddizione è facilmente spiegabile col fatto che il Mir, uomo di probità assoluta ma credente convinto ed umile nella sua fede, d’Ignazio non rivangava o almeno non voleva rivangar le malefatte, poiché questi, dichiarato santo, per un cattolico e per uh prete come il Mir diveniva intangibile. Di più, i trent'anni passati dai Mir nella Compagnia di Gesù, non potevano rion lasciar tracce nel suo spirito.
È bène però notare che negli anni che trascórsero dàlia redazione definitiva della Storia alla morte del sub autóre, questi aveva dovuto modificare alquanto il proprio giudizio anche su sant’Ignazio, e coinvolgerlo nelle responsabilità della Compagnia.
Ad ogni modo, presa questa Storia interna per quel che essa è, e non per quello che avrebbe potuta essere, costituisce con la sua formidabile documentazione la dimostrazione la più assoluta e incontrovertibile che la doppiezza — che in fondo non è che menzogna — è la base della Compagnia di Gesù e ne informa tutta la vita e lo sviluppo dalle origini ad oggi.
Basterebbe scorrere qualche capitolo dell'opera per convincersi di quanto diciamo. Si veda, ad esempio, il Capitolo Vili del volume primo che ha per titolo: « La povertà nella Compagnia di Gesù ». In esso sono elencati coscienziosamente, citati parola per parola dai documenti, dapprima i principi secondo cui i padri della Compagnia dovevano praticare e professare una assoluta povertà, quindi altri principi curiosissimi, con cui si cerca di frodare l’osservanza alla bolla apostolica circa il voto di povertà, a furia di restrizioni mentali e di sottigliezze veramente gesuitiche, e finalmente una serie di fatti — riferiti sempre con i testi documentari — che stanno a dimostrare come a poco a poco i gesuiti, che dovevano
20
206 bilychnis
vivere nella povertà la più perfetta, finirono coll’ammassare sterminate, ricchezze. In tali fatti si vede il progressivo sviluppo dai tempi in cui, per accattivare stima alla Compagnia, i gesuiti' rifiutavano untuosamente le elemosine ed i presenti pèr messe, predicazióni, insegnamento, alla ricerca di eredità pingui e di affiliati ricchi che diseredassero i propri parenti a favore della congrega, sino alTagglomeramento , dei molti milioni, di cui parla il p. Nectoux al p. generale Lorenzo Ricci, nella sua .lettera del 26 novembre 1765(1), sino alle favolose ricchezze possedute nel Paraguay, nel Messico, nel Cile, ed altrove in America, senza parlar di quelle possedute in Europa, di cui testimoniano tuttora le case ed i Collegi della Compagnia. Riferendosi ai tempi più recenti, cioè al sècolo xix, dopo che il vecchio Pio VII fu indotto a ripristinar la Compagnia, soppressa quarantanni prima da Clemente XIV, il Mir, che dopo più di trentanni passati tra i Gesuiti doveva saperne qualche cosa, ci assicura che i Padri della Compagnia ricominciarono ad arricchirsi ed a tesoreggiare, a costruir case magnifiche e ad acquistar tenute sontuose, ad accantonare nelle casse dei procuratori enormi somme di denaro in valori pubblici, in azioni dì banche, di ferrovie, ecc., ec.c., ecc. (tutti questi eccetera sono dèi p. Mir).
Si potrebbero pur consultare opportunamente i cap. XIV-XVII dello stesso primo volume « Sulle Costituzioni della Compagnia », quelle Costituzioni, così celebrate dai gesuiti come il codice il più meraviglioso della perfezione (2), per cui essi stimano è proclamano, coi pp. Rivadeneira, Nieremberg e Suarez, che il loro istituto è assai superiore al clero secolare e ad ogni ordine del clero regolare, nonché agli stessi vescovi. Anzi, il'p. Lainez, secondo generale della Compagnia, in un enciclica ai suoi frati esclamava solennemente:. «Da Ciò appare a quale eccelso, nobile e regale ordine di vita vi ha Dio sollevato, dato che nè fra gli uomini e neppure fra gli angeli stessi possa rinvenirsi una dignità ed una pratica di vita più sublime » (3)! Non era e non è certo l'umiltà una delle doti della Compagnia. Eppure, cóme nota il Mir, la maggior parte dei gesuiti non ha letto mai il testo delle Costituzioni, ma conosce appena.il brevissimo sommario di esse, o tutt'alpiù l'Epi-tome dell'istituto — così si chiama dai gesuiti la Costituzione. Nella Compagnia e nei suoi storici si afferma costantemente e solennemente che il libro delle Costituzioni — come l'altro degli Esercizi spirituali — fosse concepito, diremo così, di getto nella mente d’Ignazio, non solo, ma che gli fosse suggerito dall'alto per virtù soprannaturale. Però, dopo una critica storica e letterale minutissima, ed un esame particolareggiato dei tre codici delle Costituzioni stesse, critica ed esame che occupano quasi cento pagine del primo volume della Storia del Mir, questi dimostra con assoluta evidenza che nella redazione definitiva delle Costituzioni
(1) Il p. Nectoux, provinciale deil’Aquitania, diceva nella citata lettera: «Sono intimamente convinto che non convenga alla nostra Compagnia, e che anzi la pregiudichi, il tenere nascosti ed ammonticchiati nelle casse tanti milioni... ».
(2) Dicere solebat P. Laynez... quod solus ilio liber Constitutionum Patris Ignatii crat sufficiens ad gubernandum et reformandum omnes ordines regulares Ecclesia« (Boll and., Acta S. Ignatii, t. VII, lulii, p. 492).
(3) Épist. Praep. Cerner., p. 3.
21
*
LA - STORIA INTERNA » DELLA COMPAGNIA DI GESÙ 207
S. Ignazio ebbe ben poco a vedere e tale redazione non può in alcun modo attri-buirglisi, ma vi lavorarono parecchi, in tempi ed occasioni diverse, anche dopo la morte di Ignazio. Nelle Costituzioni stesse non è possibile neppur determinare — date le continue alterazioni da esse subite nei successivi rifacimenti, sia in riguardo alle cose sostanziali come ai dettagli d’ordine interno — qual punto o idea appartenga ad Ignazio o sia stata da lui suggerita e voluta. Solo in rarissimi periodi vi si riscontra il peculiare stile del fondatore.
Quanto al famoso libro degli esercizi spirituali, che venne de! à> ispirato e dettato da Dio al veggente di Maurcsa, e da lui, ignaro di latino, scr ito in questa lingua, è ormai fuor d’ogni contestazione che non sia in fondo che un àbile centone desunto da altri scritti dell’epoca, come YEjercilatorio, del p. Garcia Cisneros, V Arie de servir á Dios del p. Alonso da Madrid ed altri, o da qualche pagina di antichi scrittori ecclesiastici, come sarebbe» il caso della meditazione sul regno di Cristo che ritrovasi già, quasi identica nelle espressioni, in S. Girolamo (Epist. i ad Eliodoro).
Questo per quanto riguarda i principii della Società. Potremmo ancora dilungarci sulla castità, sulla obbedienza, sulle pratiche interne della Compagnia, ma basterà, in un riassunto sommario, fermarci alquanto abbiamo detto. Ancor più larga messe di importantissimi rilievi offrono le res gestae della onorata società che nell’opera del Mir occupano circa ottocento pagine del secondo volume, talmente materiate di fatti e documenti così concatenati tra di loro che sarebbe inutile tentare un riassunto. Limitiamoci pertanto a quel che ha reso più famosa la Compagnia: l’azione esercitata direttamente o indirettamente sulla vita politica.
♦ ♦ ♦
L’esperimento di una politica propria, cioè del regime di uno Stato, applicando il sistema di governo della Compagnia di Gesù, lo abbiamo avuto nella specie di repubblica comunista del Paraguay. Repubblica per modo di dire: tale in quanto sottratta di' fatto alla potestà della Spagna che ne aveva il dominio, ma non tale in quanto al regime dei governatori spagnuòli era subentrata la tirannide del provinciale e dei padri della Compagnia. Comunista, perchè tutti gli indiani erano costretti ad un genere di vita eguale e comune,, condotti irreggimentati al lavoro e ricondottine ad ora fissa, maritati per legge ed a scelta del padre curato, incapaci di possedere individualmente, ma mantenuti miserrimamente sulla massa comune, vestiti — se ciò può dirsi per chi non possedeva che cenci e pelli — in modo uniforme, con espressa proibizione fatta alle donne di adornarsi in un modo qualsiasi; tutt’altro che comunista quando dei frutti del lavoro di quei miseri, la Compagnia che accentrava esclusivamente ogni raccolto e ogni commercio, e corrompeva a forza d’oro i governatori spagnuòli perchè lasciassero fare indisturbati i gesuiti missionari, si impinguava in modo indegno, e partivano dal Paraguay carichi d’oro diretti alla curia generalizia a Roma. Cosicché ben a ragione l’imperatore Giuseppe II, visitando nejfoVGq la chiesa del Gesù e la casa professa della Compagnia in Roma, al prepósito geWrale che lo accompagnava e che, mostrandogli la ef-
22
208 ' BILYCHNIS
lìgie di S. Ignazio in argento massiccio cosparso di pietre preziose? che forma la parte centrale del ricchissimo altare del Santo, gli assicurava — vedendolo sorpreso di tanto spreco di ricchezze — che quella effigie era stata fatta con denaro offerto dagli amici della Compagnia, poteva severamente rispondere: «Dica piuttosto che è stata fatta col denaro venuto dalle Indie! ». .
Per ciò che riguarda la giustizia e il sistema punitivo i fatti non sono meno istruttivi che per la parte amministrativa. È bene, dopo detto che i missionari gesuiti esercitavano presso gli indiani il potere civile e giudiziario, leggere questo monitorio ai detti missionari, diretto loro dal proposito generale p. Angelo Tamburini: « Veggo con dolore che i castighi inflitti a cotesti poveri indiani vanno conti-« ratamente acuendosi, tanto, che il rigore usato verso di essi supera quanto seppero « inventare i tiranni per tormentare i santi martiri. È inumano ciò che si usa costì « verso i condannati a perpetuo carcere, i quali vengono giorno e notte tenuti in «segrete oscure, con i piedi nei ceppi ed in ferri, senza poter mutare di positura «sino alla morte, poiché neppure per somministrare loro l’estrema unzione vengono « disciolti. E mentre son costretti a tanto e così prolungato martirio, qualcuno dei « Padri scarseggia con essi degli alimenti in tal modo che non pochi son morti « dopo appena un anno e mezzo èd anche solo dopo dieci mesi, alcuno anche senza « Sacramenti, nudi da capo a piedi senza neppure uno straccio per ricoprirsi. È tale « questa disumanità che, mentre mi si chiede di dichiarare che il Provinciale non ha « autorità alcuna per liberare chi fosse stato condannato a carcere perpetuo da un « altro Provinciale o da un superiore qualùnque, dichiaro al contrario che egli ha « tale autorità e può liberarli se li vede emendati dei loro delitti e se senza peri-« colo maggiore si può sperare che perseverino nella emenda. Ed ordino che questa « pena che dicesi carcere perpetuo non abbia a durar mai, per qualsiasi delitto, « oltre dieci anni. E comando che per veruna ragione i delinquenti vengano conse-« gnati ad alcun giudice secolare o al governai ore, qualunque sia la loro autorità...». Da altri documenti sappiamo che, per infrazioni leggere al ferreo ordinamento cui gli indigeni erano costretti dai padri gesuiti, come per esempio se uno di una comunità si fosse permesso di aver relazione con altri di comunità diversa, o se un assetato di libertà fosse scappato fra gli indiani direttamente soggetti agli spaglinoli, o se avesse osato parlare e dare informazioni agli agenti del governatore che, a nome del re di Spagna, reggeva di nome anche la provincia dove la Compagnia di Gesù aveva stabilito la sua Repubblica ideale, veniva usata contro i colpevoli la pubblica fustigazione per diecine di giorni’consecutivi, da inferirsi loro — uomini o donne che fossero — completamente denudati e tenuti in ceppi, alla presenza di tutto il popolo raccolto.
In Europa, non potendo assumersi direttamente il potere, i gesuiti, come è noto, cercarono e riuscirono a spadroneggiare per altra via: la influenza sui monarchi e sui principali uomini di Stato, esercitata a mezzo dei padri chiamati all’ufficio di confessori di re e di principi. Chi assumeva tale carico si trovava obbligato alla osservazione dilatarne regole specialissime, codificate dal proposito generale Claudio Acquaviva ed approvate dalla VI QTgrcgazione generale. Esse imponevano innanzi tutto al confessore di fare in modo di affezionare il sovrano
23
LA « STORIA INTERNA » DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
alla Compagnia e non alla persona del confessore stesso. Questi, nei casi dubbi, doveva consultare i propri superiori, in modo che non era egli a dirigere lo spirito del suo penitente, sibbene la Compagnia. Per compier bene il suo ufficio — proseguono le disposizioni —> il confessore dev’essere al corrente di tutto: non deve trattar col suo penitente esclusivamente di ciò che abbia saputo da lui come tale ma di quanto fosse giunto al suo orecchio. In ogni caso deve dissimulare bene la propria influenza e non mostrar mai di dirigere il principe a suo piacere, per non pregiudicare gli affari della Società.
I confessori, regi, membri della Compagnia, nelle diverse corti d’Europa, sono tra i fattori principalissimi della storia dei secoli xvn e xvm. Naturalmente, la Compagnia per proprio conto veniva tramutandosi essa stessa, s.e non diretta-mente in partito politico, in un’accolta di maneggioni delle cose pubbliche, fino al puntò di rendersi veramente infesta ai governi costituiti, quando questi non si piegavano ad essere mancipii della congregazione gesuitica e non si lasciavano condurre secondo i voleri di questa. Tanto che arrivò il momento in cui i governi più .cattolici esaurirono la loro pazienza, e ìa Chiesa cattolica stessa si vide esposta a pericoli gravissimi. Fu allora che Clemente XIV decretò la. soppressione dell’istituto.
Come la Compagnia si ribellasse in fatto a tale ordine e, rifugiatasi in Prussia ed in Russia, fosse protetta, in odio al pontefice e per calcoli politici,' da re acattolici, come essa poi fu ripristinata, e come abbia ripreso le antiche abitudini, restaurato il suo erario, ricostituito il suo dominio nel Cattolicismo, è storia più recente e nota agli studiosi ed àgli osservatori diligenti.
• ... . . « « *
Potremmo considerar più che bastante ciò che abbiamo rapidamente riassunto di qualche pagina del libro del Mir, per dimostrarne la importanza eccezionale. Ma crederemmo di defraudare i lettori se non riportassimo qui alcuni punti della lèttera che il Mir dirigeva da Saragozza nel 22 novèmbre 1890 al Prepósito Generale. dei gesuiti, in cui si dà la ragione del perchè il dottissimo spagnuolo chiedeva le dimissorie dalla Compagnia, ed in cui si lumeggia come gli intrighi politici continuino a far parte integrale dell’attività dell’istituto come tale, e infine come venga tuttora inteso nella Società gesuitica il perfetto attaccamento all’autorità pontificia e la obbedienza agli ordini di questa. Scriveva il p. Mir:
«In varie lettere scritte al predecessore della Paternità Vostra, e particolarmente in quella del 21 maggio 1883, avevo io accennato ai partiti politico-religiosi in cui molti della Compagnia si erano smodatamente implicati, aggiungendo che, se non vi si poneva pronto riparo, ciò avrebbe recato danni gravi e ruina alla Compagnia in Ispagmf. Però, per quanto fossi preparato ad essere spettatore di cose atroci, mai avrei pensato che le mie parole avrebbero trovato conferma in così terribile realtà degli eventi.
« Tutta la questione tra quei partiti era infatti nel punto se nelle cose politiche, precipuamente nelle relazioni tra Chiesa e Stato, dovessero seguirsi le norine della
24
-------------------7--------------------------------------------------------—
210 BILYCHNIS
Gerarchia, vale a dire del Sommo Pontefice e dei Vescovi, ovvero le opinioni di privati che dicevansi difensori del vero integrale in tale materia. Ed è avvenuto che molti gesuiti si siano dichiarati assai più del giusto a favore di questi ultimi, con scandalo di molti c grave perturbazione d’ogni cosa.
« Di ciò si dolse spesso Sua Santità; spesso anche il Nunzio pontificio ed i Vescovi ammonirono gli imprudenti, invano però, poiché molti della Compagnia« si ostinarono nell'indirizzo preso, criticando'gli atti dei Vescovi e del Papa che non erano in loro favore. Si arrivò al punto che, in occasione della lettera indirizzata dall’Arcivescovo di Parigi nel 4 giugno 1885 al Sommo Pontefice, Vostra Paternità dovette seriore allo stesso Pontefice protestando l’adesione personale e di tutta la Compagni- all'indirizzo dell? Santa Sede circa gli affari di politica. Doveva esser ben grave lo stato delle cose da render necessaria una tale protesta. Tuttavia si sarebbe potuto rimediare agli incalcolabili danni se tutti, non solo a parole ma di fatto, avessero a quella protesta aderito. Fra i nostri invece avvenne il contrario. Prima d’ogni cosa la protesta della Paternità Vostra doveva esser notificata a tutti, affinchè tutti vi si conformassero nello spirito e nelle azioni. Ciò non fu fatto. Ne restai meravigliato, finché poco appresso, senza che fossi io a chiederlo, seppi che da Fiesole (residenza vostra) era venula una lettera che affermava che la protesta di V. P. non imponeva obbligazione alcuna, che anzi il Sommo Pontefice non aveva diritto di sorta ad imporre il suo modo di vedere alla Compagnia. Fui stupito al sentir questo, e non avrei prestato fede a cosa tanto assurda se non me ne avessero fatto testimonio due uomini di indubbia veracità che avevano attinto la notizia cliret • tamente dalla fonte. Del resto la prova migliore della verità della notizia stessa è in ciò che nulla è stato fatto onde ottemperare ai voleri di Sua Santità.
« Così, intervenendo alla Congregazione provinciale della provincia di Toledo, pur essendo certo di andare incontro a molte noie pel mio ardire, avanzai, per debito di coscienza, un'interpellanza con cui chiedevo perché un documento di così grave importanza, quale la protesta suaccennata, non fosse stato comunicato a tutti affinchè tutti vi si conformassero,, ed in avvenire nulla si attentassero di fare contro le gravissime e santissime prescrizioni del Romano Pontefice La mia interpellanza però fu senz'altro rigettata e, trasmessa da me, a mezzo del Procuratore, a Fiesole, non ebbe alcuna rispósta dalla Paternità Vostra.
« Non molto tempo dòpo, avendo avuto occasione di parlare col Nunzio pontifìcio, gli raccontai tutto il fatto e gli consegnai una memoria in proposito, che il detto Nunzio accolse ben volentieri e trasmise al Papa. Ho saputo che V. P., quando venne a notizia di questo ne fu assai indignato e molto si adirò contro di me per aver commesso tale reato. Io però, non avendo nè a voce nè in iscritto riferito cose di cui non fossi umanamente certo, non mi son pentito di ciò che ho fatto...
• costrettovi dalla coscienza e dallo zelo di difendere, per quanto ini era possibile, l’autorità della Chiesa.
«In tale disposizione degli animi, non era da meravigliarsi che i toibidi non cessassero nella Spagna occasionati dai partiti politici, attizzali e promossi da molti della Compagnia, a cui, se deve credersi agli autori di detti torbidi, ne risaliva la responsabilità precipua ». ' .
SMMKSaiare.Afe/¿.«¿Vai•.? .< /*•'>"
25
LA « STORIA INTERNA » DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
211
Qui il Mir ricorda come, alfine, Leone XIII scrivesse la memoranda lettera al Vescovo di Urgel, injcui il Papa' deplorando amaramente le discordie fra i cattolic spagnuoli, severamente aggiungeva che in esse erano mischiati degli ecclesiastic «immemori dei loro doveri^» e, «peggio ancora, dei religiosi, che pel passato s eran distinti per la loro lealtà e rispetto verso la Santa Sede ». Tali parole, coinu nemente e per confessione degli stessi superiori della Compagnia si riferivano ai gesuiti, i quali però — al dire del p. Mir — invece di riparare privatamente e pubblicamente allo scandalo, si levarono contro la parola pontificia con critiche, con insinuazioni, col disprezzo. Avendo anzi il provinciale dell’Aragona scritto al p. Generale, indicandogli dei mezzi per£raggiungere il fine desiderato dal Papa, ne ebbe in risposta che non se ne curasse e lasciasse che le cose andassero per la loro china.
«Come tal modo di agire — esclama il Mir — possa conciliarsi con i sani principi!, non riesco a comprenderlo... Che non seguano le norme dettate dalla Chiesa e che ne disprezzino l’autorità gli increduli, gli acattolici o coloro che; datisi al secolo, non fanno troppo caso dei precetti della Chiesa è già triste e deplorevole, ma non reca meravigliar; ma che a tale autorità non si inchinino, tanto da esser necessario il richiamarli all'ordine, coloro che fan professione della perfezione della Virtù cristiana, coloro che ritengono la obbedienza come la massima delle virtù ed il fondamento di tutte le altre, coloro a cui il loro santo fondatore fa precetto che se la Gerarchia ecclesiastica dicesse bianco ciò che appar nero, dovrebbero dirlo anch'essi bianco, che, infine, si" rendano rei di tal colpa, anche i Superiori che dalla Chiesa hànno tutta la loro autorità, è tale assurdo, che nulla di più assurdo, di più mostruoso, di più triste e miserabile poteva vedersi nei tristissimi tempi che attraversiamo ».
Con questa citazione che costituisce un atto di accusa veramente terribile per coloro che amarono atteggiarsi sempre a propagatori di ortodossia, chiudiamo la non breve corsa — brevissima però, minima anzi, circa l’assunto — attraverso l’opera di Michele Mir. Ci è parso bene che qualche cosa della verità sulla Compagnia di Gesù fosse conosciuta, pur così di scorcio in queste poche pagine, anche in Italia.
Ernesto Rutili.
•\
26
“ LA CHIESA E I NUOVI TEMPI ”
Egregio Signor Direttore di Bilychnis,
edele. abbonato e lettore di Bilychnis, ammiratore dello spirito di tolleranza e libertà *€he accorda ai suoi collaboratori non meno che alle idee tutte che hanno l'impronta di sincerità ed onestà, mi trovo imbarazzato questa volta a decidere meco stesso se questo spirito e metodo non abbia giocato alla Rivista un brutto tiro facendole pubblicare una recensione-critica del libro La Chiesa e i nuovi tempi, edito dal benemerito dottor Whittinghill la quale, — me lo perdoni la illustre gentildonna che la scrisse dopo una lettura forse frammentaria e sommaria — non presenta tutti i caratteri della serietà e della competenza (i).
Faccio appellò a quella stessa libertà di cui V. S. è stata sì prodiga, in qualche modo, « contro seipsum », per chiedere che ad un altro lettore del dotto volume, cultore modesto di studi religiosi, si conceda-il beneficio dell’«audiatur et altera pars».
Non intendo di fare una contro-recensione del « libro-programma », uno dei più notevoli contributi recati in questi ultimi anni in Italia alla conoscenza della
situazione del Cristianesimo organizzato, specie del Cattolicismo, di fronte al pensiero, allo spirito, alle esigenze, ai problemi della società moderna. Chiedo solo' di poter levare alta la voce, e dire ben forte ai lettori di Bilychnis c ad altri che lèssero stati indotti a credere di possedere di già un'idea del contenuto e del valore del volume: « Leggetelo e giudicate da voi ».
•Leggetelo, cominciando dalla bella introduzione del dott. Whittinghill, e terminando di nuovo con essa: chè, oltre che una introduzione, è una mirabile sintesi, in cui ci sa dire e cantare con una vivacità e un ardore e una fede da entusiasta e da apostolo, le glorie della scienza moderna, i meriti della critica, le speranze della società e del cristianesimo riposte nella democrazia: sì, nonostante l’attuale spettacolo delle sue intemperanze in Russia, di cui solo un’ingiusta prevenzione potrebbe accagionare altri che il secolare despotismo anteriore. Leggete in essa ancora il vibrato paragrafo sull'« incredulità » delle Chiese, che farebbero degli Apostoli e di Cristo, redivivi, degli «eretici »; sull’«ortodossia », incubo che soffoca il Cri-’ stianesimo; Sull’Unione della Chiesa con lo Stato « ibrida alleanza, patente ingiù- , stizia, grave danno del Cristianesimo'».
(0 II volume di pagine xxxi-307 costa L. 3.50. Per gli abbonati di «Bilychnis», L. 3. Rivolgersi ai principali librai o alla Libreria Bilychnis, Via Crescenzio 2, Roma.
* ■ r* * “T ' I • . 4 •9 •
’7/1 -"??■ Ti-1 firn. —rrfnrrTi-
27
« LA CHIESA E 1 NUOVI TEMPI » (f * 213
Leggetela, e, sto per dire, non perderete molto, se dopo aver letto attentamente questa franca, audace, severa, ma equa e cristiana requisitoria delle Chiese nei tempi moderni, eluderete il bel libro, e vi farete a meditare sul proclama dell’Edi-tore. Ma probabilmente, dopo averlo meditato, voi vi sentirete invogliati a Varcare ibvestibolo luminoso ed elettrizzante: e sarete compensati della vostra fiducia negli illustri collaboratori del Whittinghill, fin dal primo capitolo su «Chiesa e Chiese », dovuto alla penna di Giovanni Pioli. Se, anziché arrestarvi ai primi paragrafi: « Come “ la Chiesa ” divenne le Chiese »; « Rapporti fra Chiesa e Chiese »; • Coscienza Cristiana nella Chiesa e nelle Chiese » — (e a pochi periodi di essi) — leggerete attentamente anche quelli sulla «Uniformità della Chiesa c Unità delle Chiese»- «La Chiesa e le Chiese e l’America Latina»; «La Chiesa Cattolica e la Chiesa “ Ortodossa ”; « Rapporto della Chiesa e delle Chiese con le religioni non cristiane »; « Il Clero della Chiesa e delle Chiese »; « La Chiesa e le Chiese e la Società Moderna »; « Come " le Chiese ” diverranno “ la Chiesa ”, voi troverete ammirabilmente documentato e. giustificato, molto, ma molto più che la critica al Cattolicismo di appartarsi sdegnosamente dal resto- del Cristianesimo vivo per irrigidirsi in una gretta intolleranza dommatica e chiesastica, a differenza delle altre Chiese cristiane. Non solo, cioè, vi troverete ampiamente illustrate e discusse quelle radici spirituali dei due opposti atteggiamenti e concezioni, delle quali la recensente fa ingiusto rimprovero al Pioli di non aver tenuto conto,—specie la prevalenza dello spirito Cristo-centrico delle une, autocentrico dell’altra, e lo sforzo delle une.di divenire «l'anima del mondo » moderno e di « perdersi per ritrovarsi », mentre l’altra intima il « vade retro Satana » e il « chi non è con me è contro di me »... —; ma, troverete in esso magistralmente formulati i suggerimenti dalla recensente proposti perchè « la Chiesa Cattolica possa prosperare, rinnovarsi ed esser vita dei credenti », cioè « aprire le sue finestre ai nuovi raggi di luce, istruzione nel clero, buona volontà nei cattolici, l’amore in ogni classe sociale », specie nei paragrafi sul « Clero della Chiesa e delle Chiese », su « La Chiesa e la società moderna », specie nel suo atteggiamento verso la democrazia; e in quello veramente finale: «Come “le Chiese” diverranno “la Chiesa”».
«Nè re nè vescovi possono imporre una fede religiosa: solo la spada dello spirito divino può dilatare il regno di Cristo »; e: « Poiché Cristo è la verità c la giustizia, chi muore (e chi vive) per la verità e per la giustizia, quantunque non creda in Cristo, muore per Cristo »; sono le due sentenze, eco della voce di un povero operaio londinese del sec. xvn e di Sant’Anselmo, che il Pioli pone a suggello del suo capitolo: e sono da sole un invito a ponderarne le dense pagine ricche di scienza e di fede, prima di passare a criticarle.
Leggete Io studio del Murri su « Chiesa e Stato »; e leggendo nelle pagine 74-76 espressioni luminose come questa: « Non si dirà più che l’uno (lo Stato) è nel tempo, l’altra (la Chiesa) nella eternità. Poiché i fini della vita religiosa si raggiungono qui, cioè nell’atto stesso in cui essi sono posti come realtà presente, come Assoluto nel tempo; e i fini dello Stato, che sono, in definitiva, fini di cultura, di giustizia e di bontà, si realizzano nell’Assoluto, sono éioè de’ valori assoluti e quindi religiosi », riflettete anche alle autorevoli parole del «Christian Commonwealth» (che cito a
28
214
BILYCHNIS
memoria): « Gli avvenimenti di cui siamo parte ci mostrano quanto fosse errata la vecchia antitesi fra Chiesa c Stato, religione e politica. Lo Stato moderno ci è apparso non solo come l’espressione ultima del grado di moralità, di spiritualità, di idealità di una nazione, ma come il grande educatore della sua coscienza, il tutore dei suoi più alti interessi, l’efficace propugnatore dei principi supremi di giustizia, di equitl, di onestà, e lo Strumento più adatto a raggiungere quella fratellanza universale dei popoli, che le Chiese vanno da secoli proclamando ».
E troverete un anello di congiunzione fra questo studio e quello profondo .e terso del Melile su la « Chiesa e Questione sociale » nelle parole di questi (pag. 84) « ...la Chiesa ha troppo parlato della felicità celeste, dimenticando che essa aveva pur la missione di dare agli uomini la felicità sulla terra » ed in quelle che egli cita da Lloyd George: • Compito delle Chiese è... di creare uno stato d'animo tale, che il Governo... possa non solo rimediare facilmente alle miserie sociali, ma non possa esimersi dal rimediarvi; di sollevare la coscienza nazionale e rivelarle resistenza di quelle iniquità...; svegliare il sentimento della sua responsabilità..., inculcare a tutti uno spirito di sagrificio' personale senza il quale è assolutamente impossibile di risolvere problemi di sì grande importanza... ».
Leggete il « Chiesa e Scienza » di Mario Falchi; e oltre ad un'analisi storicamente e scientificamente accurata sul dissidio fra le Chiese e la Scienza (forse il paragrafo « IL Miracolo per la Chiesa e per la'Scienzà », pur sì vero in ciò che nega, non sembrerà del tutto esauriente per ciò che ammette), vi troverete additata la luminosa e profonda superazione di esso, nelle due condizioni, « che la Chiesa si Spogli dèi medioe-valismo che la soffoca, e che la Scienza abbandoni il dogmatismo filosofico che si sovrappone in essa alla obbiettiva ricerca scientifica ».
Leggete anche i due studi su « Chiesa e Critica », di Mario Rossi e di « Qui Quondam ». Leggete il secondo se vorrete conoscere quale accoglienza abbia trovato la Critica presso il Cattolicismo ufficiale, la « Commissione biblica », 1'« Istituto biblico »: accoglienza di «5ión récevoir » incosciente e di cieca condanna. Leggete sopratutto il primo, se vorrete comprendere con la lettura di poche limpide pagine, accessibili anche ad un profano benché dense del contenuto di parecchi volumi irti di scienza tecnica, ciò che è la critica'., non quello spauracchio di menti grette o di coscienze fiacche bisognose di altarini e di leggende, ma la « critica ». che, senza avere essa creato « i-nuovi fatti e le nuove vedute nel campo della scienza e della storia » e « sforzandosi dispiegare i fenomeni letterari e di sistemare i dati storici in un quadro coerente...,* libera da preoccupazioni apologetiche 0 negatrici del soprannaturale », riesce in realtà a fare sì che « brillino più vivamente, proprio per opera della critica purificatrice e rivelatrice delle realtà religiose obliate, i grandi astri religiosi della continuità della rivelazione di Dio,' dell’azione perenne del suo Santo Spirito, del Regno di Dio ». Vi leggerete, che la critica non è « arida » nè « isterilisce i cuori », ma è « al servizio della vita, non della morte...; ha un carattere pratico, utilitario, diremo prammatistico... »; che essa « ha una funzione sociale, e quindi lungi dall’essere un elemento distruttore e negativo si trasforma spesso in elemento di creazione ■; che suo fine « non è distruggere ma ritrovare*', c che essa non è •« il frutto di menti •stanche e sfiduciate, una specie di dispepsia morale di una società o il segno della
29
« LA CHIESA E I NUOVI TEMPI » 215
ribellione e deH'individualismo anarchico, ma invece... un prodotto salutare della vita che rinnova continuamente il tessuto ideologico che lega gli uomini fra di loro » (I).
Non è compito della critica, bensì del l’arte, quello di foggiare tipi ideali e di ricamare attorno ad essi la poesia della fede. Funzione e missione della critica, non meno sacra di quella dell’arte benché diversa, è di ricostruire col suo doppio processo. « destruam et aedificabo », il tracciato delle vie di Dio nella storia umana, mostrando il tragitto percorso dal divino oggettivo e reale, che si attua ed opera nell’evoluzione umana. Chiedere alla critica di trasformarsi in poesia, è tentarla ad essere infedele; e chiederle di arrestarsi innanzi alle effimere creazioni del sentimento, alle arbitrarie associazioni dell’ideale individuale con tipi simbolici, significa sfiducia e suona deprezzamento della creazione perenne di Dio nella realtà della storia e della vita, la cui bellezza è fatta di verità, e la cui poesia ha tante corde e tanti motivi quanto il poema eterno ed universale.
La realtà più austera, colta nelle grandi linee della storia o nella psicologia vissuta di uri personaggio dell’umanità, o nelle grandi leggi della natura, nulla ha da invidiare alle creazioni più idilliche e calde della fantasia e del sentimento.
Studio perspicuo e lucido, per quanto lo permette la difficoltà di esprimere i rapporti ineffabili fra religione e filosofia, è quello del Janni su « Chiesa e filosofia »: ed esso, a seconda della preparazione diversa filosofica dei lettori e delle loro preferenze per l’uno o l’altro sistema e interpretazione, richiederà riflessione, meditazione, discussióne. Ma tutti.saranno, nel licenziarsi dalle pagine ricche di pietà vissuta e di pensiero maturo, salutati dal confortante riflesso, che « le varie filosofie intellettualistiche, intuizionistiche, prammatistiché e dell’Azione, potranno tutte fornire pre< ziosi elementi ad una filosofia religiosa eclettica... suscettibile di continuo perfezionamento ed arricchimento... ».
Leggete il capitolo «Chiesa e sacerdozio» di «Qui quondam», nel quale non è difficile indovinare qualche « magister in Israel », pel quale tutti i lati, diritto e rovescio dell’argomento, tutti gli ambienti, tutti i circoli, le sacrestie, le anticamere, i seminari, i conventi, gli episcopi e le corti pontificie non hanno avuto secreti. Leggetelo, e secondo il vostro temperamento e il punto di vista prevalente, artistico o religioso, comico o tragico, esso o provocherà in voi un riso irrefrenabile, un’ilarità inaspettata e tanto più benvenuta, oppure strapperà ài vostri occhi lacrime d’intensa angoscia e di pietà infinita, di fronte allo spettacolo miserando di miseria spirituale, di banalità, di volgarità, in cui vegeta tanta parte del clero cattolico, cioè di quella che dovrebbe essere 1’« élite» e 1’« aristocrazia » della Chiesa di Cristo.
I capitoli precedenti mancherebbero però di un colorito caratteristico ed essenziale se non fosse il raggio di luce trasversa riflesso su di essi dallo studio di A. De Stefano su « Chiesa ed eresia ». Esso integra specialmente i Capitoli « Chiesa e Chiese » «Chiesa e questione sociale», «Chiesa e critica», «Chiesa e scienza», oltre ad un
(i) Mi sia permesso di far notare, che le due opere storiche di A. Houtin citate dal Rossi a pag. 201 hanno per ricchezza cd esattezza d’informazione un valore tale per lo scopo particolare per cui il Róssi le cita, che qualunque opinione sì possa avere sulle conclusioni e sullo spirito di esse, non è possibile di trovarle meno che « eccellenti ».
30
2l6
BI LYCHNIS
contenuto tutto suo, indicato, fra altro, dalle frasi suggestive: «L’ortodossia attuale è fatta in gran parte di eresie che si sono sopravvissute »; « Se giammai avverrà un giorno una intima conciliazione tra il cattolicismo ed il pensiero moderno,... l’illustre esegeta Alfredo Loisy sarà riabilitato e celebrato come colui che aveva saputo mettere la più preziosa conquista dello spirito moderno, il metodo critico, a servizio della tradizione cattolica »; « L’ortodossia riesce a vivere della stessa eresia che la combatte e la nega... L'eresia tende a valorizzare l’individuo, a rafforzare la sua personalità, a garantire i diritti incoercibili della ragione e dello spirito. La libertà di pensiero e di coscienza,... che coincide con la mentalità critica e laica, è in gran parte creazione dell’ostinazione, della fede, dell’eroismo degli eretici... ». Ed ancora: « La funzione dell’eretico non è meno utile e meno necessaria di quella dell’ortodosso allo sviluppo della vita sociale. E, tra le due, forse è la più bella e la più soddisfacente, e per questo conviene all’eretico esser perseguitato e soffrire di più ». Gloria dunque agli eretici di buona volontà!
Leggete, in ultimo, — o sarete castigati del vostro « cursus in fine velocior » — il « Chiesa e Morale » di A. Tagliatatela. Sinceramente, non so comprendere come, chi abbia trovato scritta con conoscenza di causa la critica delle « debolezze delta Curia e del Sacerdozio, le manchevolezze, le piccinerie, le miserie di tutto quel mondo che s’agita attorno al Vaticano », fatta da « Qui Quondam », possa poi trovare « ingiusto contro il Cattolicismo » lo studio in cui il Tagliatatela, non « incolpa » ma documenta la « morale tiepida, infrollita, tutt’altro che adatta a rifare i caratteri » delta Chiesa Cattolica. Domando io: È dunque una morale forte, vigorosa, è una educazióne tale da forjnare i caratteri, è una vita nobile, superiore, quella che « Qui Quondam » descrive negli ambienti dei seminari, delle curie, delta Corte Pontificia? E se no, non è questa applicazione pratica e tipica delta morale cattolica fatta su quegli stessi che del Cattolicismo sono i rappresentanti ufficiali e che manipolano la sua morale confessionale, la illustrazióne più eloquente e la dimostrazione delta giustezza dell’asserto del Tagliatatela, il quale non vuol già combattere nè porre in evidenza la morale insegnata nel Settecento, bensì, come egli dice e ripete (pag. 294), la morale pratica delta Chiesa ai nostri tempi?
Chi afferma che «di morale protestante o cattolica il pòpolo pare che in gran parte ne voglia far senza », dice cosa esatta se voglia intendere che la morale praticata dal laicato nei paesi cattolici (non così nei paesi protestanti: lo "sa chi vi ha ▼irsuto molti anni) è, a parità di educazione e condizioni sociali, superiore a quella delta media del clero, c derivata in gran parte da scaturigini autonome: è, sopratutto, più sincera, meno egoistica ed ipocrita, più robusta, alimentata da motivi più naturali, sani, umani e tendenti a finalità superiori, benché formulate in termini naturali anziché travestite da uno pseudo-soprannaturalismo.
Quanto poi alta superiorità morale delle nazioni protestanti su quelle cattoliche, senza entrare nella complessa questione, farò notare che sarebbe semplicismo chiamare cattolica, ad es., la Francia (coi suoi 405 milioni di persone effettivamente cattoliche), e cattoliche le classi e le persone più rappresentative delta vita e delle qualità tipiche della razza italiana: come sarebbe una grave svista quella di dimenticare che l’Austria è, con la Spagna, la più tipicamente cattolica delle nazioni
31
« LA CHIESA E I NUOVI TEMPI
•217
europee, e che la Germania è cattolica per un buoi» terzo. E lasciamo stare il pauperismo inglese e londinese, augurandoci che anche al pauperismo italiano e... napoletano, cento volte più miserabile e obbrobrioso, tocchi la sorte di trovare altrettante migliaia di devoti « servitori sociali » e riformatori, ohe lo combattano con una crociata sì efficace di provvedimenti c riforme e istituzioni c legislazione sociale, da fa? giungere anche lontano la sua fama... quando più non esisterà.
Quelli che a nostro parere sono i difetti fondamentali e di carattere dei paesi latini, che si sono organizzati e fissati nel Cattolicismo sì da non poter essere superati senza una dissociazione simultanea della società laica dalla Chiesa, sono la fiacchezza del senso di responsabilità personale, di iniziativa e fiducia individuale, di dignità, di solidarietà altruistica. Tutto ciò che tenderà a sviluppare l'iniziativa e responsabilità c stimolare l’energia individuale, a frenare l’egoismo, a rendere la solidarietà un fatto sociale, a screditare il ciarlatanismo, la retorica, la vanità, a smascherare l’ipocrisia e a far trionfare la sincerità nella vita privata e pubblica, porrà la Chiesa nella alternativa di rimanere — come-scrisse il Guicciardini citato dal Pioli — «o -senza vizi, o senza autorità ».
E per questo movimento e rinnovamento degli spiriti contiamo, e molto, anche sul socialismo « risultato dell’idealismo cristiano insegnato dal Cristo e trasportato nel campo politico » (Whittinghill).
La mia perorazione, egregio signor Direttore, è terminata, con un ultimo invito a leggere e giudicare da sè il volume, specialmente « a tutti coloro — a qualunque confessione appartengano — che hanno sofferto e soffrono per la verità », .ai quali lo ha dedicato L’Editore.
Mi creda di lei devotissimo
Emmanuel.
Roma, 20 settembre 1917.
32
LA RAGIONE E LA GUERRA
, Con questo titolo Giuseppe Rensi ha inserito recentemente in Bilychnis (i) un importante articolo, al quale intendo fai seguire alcune mie considerazioni.
Premetto che ho pel Rensi il massimo rispetto e che ad un uomo del suo ingegno c della sua cultura, il quale discute in buona fede, non deve dispiacere che altri, con intenzione egualmente pura, si provi a contestare qualche sua affermazione.
Aggiungo che non è punto mio proposito di difendere l’idealismo assoluto dalle
accuse che gli fa. Mi pare tuttavia che molte di quelle stesse cose ch’egli polemicamente rinfaccia all’idealismo si possano ripetere contro qualsiasi sistema. Che la ragione umana spesso erri, che sia difficile l’intendersi tra gli uomini anche ragionando o sragionando, non è un torto specifico dell’idealismo.
E pel fatto che vi sono tante opinioni quante sono le teste il concluderne che dunque vi sono più ragioni (il che vuol poi dire che non c’è più ragione) è un rinnovare, mi sembra, gli argomenti della Sofistica. Ma nonè su questo punto ch’io voglio fermarmi.
Il suo scritto è diviso in due parti: l’una, più ampia, riguarda la Ragione: l’ultima, considerevolmente più breve, la Guerra. Da questo punto io incopiincio; cioè, precisamente, a pag.. 23.
• Che cos’è la guerra? » egli scrive. « o l’inevitabile prodotto e la necessaria espressione sanguinosa dell’urto di due opposti pronunciati della ragione, di due, •• intuizioni ”, di due “ evidènze", ciascuna delle quali sente con incrollabile certezza di essere il prodotto della “ sintesi a priori ”, sente di essere adeguata alla ragione, sente che non può lasciarsi negare o comprimere perchè ciò sarebbe conculcare la stessa ra(1) Fascicolo di luglio 19x7, p. 5.
gione; ma sopra le quali “ evidenze „ per stabilire quale di. esse sia autenticamente il prodotto della *• sintesi a priori ” non v’è (come non vi può essere) alcun giudice ».
Io penso: No, la guerra è l’urto di due egoismi, di due passioni, non già di due ragioni, di due intuizioni, di due evidenze. L'egoismo sembra una ragione, dà ai propri pronunciati 1’» evidenza » di ragioni, può anche valere come ragione, ma entro certi limiti e relativamente. L’egoismo sente che non può lasciarsi sopprimere senza danno, può credere in buona fede d’essere adeguato alla ragione. Ma'non è vero che sopra agh egoismi — siano poi individuali o nazionali non ci possa essere alcun giudice: c’è ed è per l’appunto la Ragione.
Un momento, ch’io mi spieghi.
Nella vita privata degli individui, sarà un’eccezione, ma è possibile che l’egoismo sia superato, e non già, si noti, colla forza coeicitrice del diritto, dei tribunali, dei giurì d’onore, ma bensì volontariamente, liberamente, moralmente. E possibile che un uomo riconosca non solo d’avei avuto torto, ma d’aver avuto torto per essere stato troppo esigente', ingiusto quindi, cattivo, prepotente, egoista: che l’egoismo riconosca e trascenda se stesso: che si rassegni, non solo, ma che alla rassegnazione segua una rivoluzione nella coscienza, per la quale avvenga che l’egoista si converta in altruista, fc anzi possibile, nella negazione dell’egoismo, l’esagerazione opposta; come è possibile un giusto equilibrio delle due tendenze; un riconoscimento dei diritti altrui di fronte al dovere proprio, come un riconoscimento dei diritti propri dinanzi ai rispettabili e rispettati diritti altrui. E non solo. All’egoismo non si contrappone soltanto l’altruismo, l’egoismo non lo si trascende unicamente col riconoscere i bisogni, i diritti, le concrete ragioni degli altri, simili a noi; ma ancora 10 si trascende col riconoscere semplicemente, astrattamente un valore,, una Ragione, un Ente, un qualche cosa di superiore a
33
1,A RAGIONE E 4..A GUERRA
2
noi e agli altri medesimi. Così un uomo che ami sopra di sè la Bellezza, la Verità, la Giustizia e l'Oneàtà, o la Libertà, oliti abbia quel che si dice la religione di queste cose, non è già più un egoista.
• Quando nella vita privata ciò accade, sia pure per eccezione, vario è tuttavia il giudizio degli uomini. Vi ha chi non esita a dar dell’imbecille a chi si rassegna, a chi si confessa, a colui che sembri disposto a chinar la testa dinanzi a un avversario, a chi riconosca spontaneamente la verità, la bellezza, l’utilità, la bontà anche di ciò cui prima era contrario, e quasi considera come una femminea mollezza, come una deficienza di carattere questa abdicazione dell'individuo dinanzi alla ragione. Ma vi è pure — vi può essere almeno — chi l’onora. 11 motivo di questo vario giudizio degli uomini sta in questo, che quell’abnegazione può sembrare frutto -di viltà, sottomissione timorosa del debole al potente: e, come tale, ci può apparire odiosa. Nessuno poi può mai essere sicuro dell’« intenzione » di chi si sottomette: é persino lo stesso che si umilia c s’arrende non è sempre certo di volerlo liberamente: è difficile disti icare in pratica il motivo puro — che sarebbe l'omaggio alla Verità, alla Giustizia, alla Virtù — dai motivi impuri, come i calcoli della prudenza, le regole dell’abilità, e simili. Ciò non toglie però che il fatto sia in sè possibile: che possa prevalere'il motivo puro, l’amore della verità o della giustizia, il senso del dovere morale.
Intanto chi è capace di codesta nobile sottomissione alla giustizia o non sènte «con incrollabile certezza, che la sua verità è un prodotto della «sintesi a priori*, non sente cioè che lasciarsi smentire o comprimere sarebbe conculcare la stessa ragione » (diffidente com’è, per esperienza avutane, della sua ragione personale), ma tuttavia crede, in buona fede, d’aver ragione; o, se pure ha per qualche tempo sentito di sè in quel modo, è capace poi di riconoscere la falsità di quel suo giudizio e di correggerlo, dinanzi all’« evidenza » della ragione (i).
(i) Nói Rensi, mi pare, il sofisma consiste nel prendere la parola « ragione » in due sensi: nell’uno si tratta della ragione individuale, o nazionale, e persino delle ragioni o motivi particolari delle azioni; nell’altro’, della Ragione in universale.
Il Rensi, in una ingegnosa nota a pag. 24, dice:
» Nei rapporti privati, per evitare la guerra si è escogitato il tribunale e si finirà forse per introdurlo nei rapporti internazionali. Esso è però un puro espediente- pratico e senza portata razionale. Sarebbe razionale solo se potesse avvenire che in colui che riceve in un litigio una sentenza contraria si sopprimesse la sua ragione e questa venisse Sostituita dalla ragione del tribunale: cioè se io si potesse fate intimamente convinto d’aver torto. Ma se egli potesse vedere con la sua ragione d’aver torto, se gli “ evidenti ” e palmari ” argomenti che lo hanno mosso al litigio potessero venire in lui sradicati e Capovolti, allora egli avrebbe veduto anche prima di aver torto, e (tranne il caso di malafede) non avrebbe mosso la lite, ossia, insomma, non vi sarebbero litigi, perchè non vi sarebbero dispareri sul diritto e sul torto ».
Fermiamoci pur qui, per ora.
i° Il tribunale non è un puro espediente pratico e senza portata razionale. La sua ragion d’essere è la Ragione stessa giudicatrice: la sua razionalità è l’idea sublime della Giustizia. Se è, in pratica, spiegabilissima la*diffidenza degli’ uomini nella giustizia dei tribunali, è questa un’altra cosa, che non infirma la razionalità del fondamento. Si suol dire dai più: « non basta aver ràgiohe, bisogna trovare un tribunale che ce la dia » e non hanno in realtà tutti i torti perchè tròppe volte la Ragione è offuscata nei • giudici dalla loro stessa scienza giuridica, ancor piena di preconcetti e di pregiudizi di vario genere, dalla erudizione legale, dai precedenti, da vedute erronee, quando non addirittura da motivi disonesti di supina ossequenza all’autorità costituita, da considerazioni estranee alla giustizia. Bisogna distinguere adunque Videa dalla cosa, il fondamento ideale dalla reale attuazione o dalla positiva istituzione. In ognuno di noi dovrebbe esserci quello che non a caso chiamiamo il « tribunale della coscienza ■; e se persino in questo « foro interiore » riescono ad introdursi, in modo talora inestricabile, i motivi impuri, bisogna pur perdonare ai tribunali ordinari di essersi lasciati qualche volta invadere dagli azzeccagarbugli e di essersi convertiti in una piazza per le dispute dei novelli sofisti.
20 Quando il Tribunale giudichi secondo giustizia, può darsi benissimo che
34
220
----------v W.’ '■
\ 7
BILYCHNIS
sostituisca la sua, cioè. poi. la ragione non già alle ragioni, ma agli interessi «Ielle parti; e può darsi benissimo che il vinto riconosca il suo torto, onestamente.
3® Chi litiga, per solito, si lascia sedurre da un qualche interesse, ed è facilmente spinto su questa via dai tanti azzeccagarbugli che vivono della dabbenaggine altrui: può anche essere in mala fede e sperare semplicemente in una mera apparenza di ragione, tentando la sorte, come-altri fa nel presentarsi ad un esame, nel giuoco e persino ne! matrimonio!, nella mera legalità, che non è già la giustizia nè tanto meno l’aristotelica equità e l’onestà morale. È vero' perciò che chi sarebbe capace poi — a giudizio dato — di vedere le ragioni avverse, le può vedere anche prima — e infatti d’ordinario transige o non accede ai tribunali. È ciò che si dice un uomo ragionevole o giusto. Ma il fatto che può vedere anche prima queste ragioni non vuol già dire che le veda sempre — a parte ora la questione che debba. Può dunque litigare itì perfetta buona fede, non avendo visto prima la verità: e. con pari buona fede, riconoscere pòi d’aver avuto torto, ricredersi sulle sue pretese ragioni, e accettare di buon grado la sentenza del tribunale. Perchè escludere, a priori questo caso?
4° C’è dunque differenza tra il prima e il poi. I) tempo, una maggior riflessione, il parere di persone cquamini, la coscienza •prima oscura poi più chiara (i) di ragioni non prima viste o appena intraviste ed ora rese evidenti dall'eloquenza di competenti, possono convincere chi credeva d’essere dalla parte della ragione di aver avuto torto: e sradicare in un baleno argomenti che prima parevano esaurienti e decisivi. Non avviene così nelle discussioni sincere tra gente onesta?
5° Non le ragioni sono più: se non in quanto ognuna di esse è la ragione ossia l’espressione apparentemente ragionevole e sensata di un interesse. Gli interessi sono più: questo sì: anzi,, infiniti. La Ragione è quella sola che li può conciliare e li concilia, se conciliabili: che dà .la preferenza a quello che è realmente preferibile. legalmente, giustamente, moralmente. Vi son casi dubbi, casi difficili»casi incerti? D’accordo. La giustizia degli uomini può
(x) Cfr. Kant, /i>j/ro^oJogia, § V.
appena tentar di accomodar le cose alla men peggio: costretta com’è ad attenersi ai meri dati di fatto e di diritto, alla reajtà positiva. Una superiore giustizia terrà conto delle « intenzioni », è compenserà di una soddisfazione morale non colui che è più prudente nel senso del sòlito calcolo edonistico od eudemofiistico, ma colui che si è accostato alla giustizia con animo più puro e sincero, che vuole con più amorosa fede niente altro se non ciò che è, non già che gli pare, giusto.
6° Non mi pare dunque vero quello che scrive il Rcnsi: « ognuno che perde una lite resta più convinto dì prima che il diritto è dà parte sua e che solo pei insipienza, errore o ingiustizia il giudice «ronunciò contro di lui ». Non sempre.
’è clri si sottomette alla giustizia di un verdetto. Ci può essere, e basta. «Le ragioni son rimaste più » così egli dice: «solo per fini pratici,'una forza, qui regolata, sopprime le estrinsecazioni d’una di esse ragióni .Guerra e decisione dei magistrati sono in fondo la stessa cosa. Si tratta sempre di sopprimere con la forza, là dei cannoni, qua dell’usciere, le asserzioni d’una ragione » ecc. Naturalmente bisogna far così: se altri non s’arrende, nemmeno alla giustizia, bisogna per forza costringerlo ad arrendersi. Ma questa costrizione è legittima solo se è fatta in nome e realmente in omaggio alla giustizia. Che se la costrizione è ispirata da motivi non-giusti, da animo perverso, è santa allora e legittima la ribellione. La coscienza dei più onesti allora si ribella.
Questo avviene nella vita privata e neila pubblica; questo avviene nella vita individuale e nazionale.
Ma i rapporti fra le nazioni, o, meglio, fra gli Stati, non sono regolati egualmente.
Mentre nel consorzio civile, accanto all’egoismo individuale, si fanno strada anche i sentimenti sociali, l’amore, l’aristotelica amicizia, la benevolenza, la filantropia, la carità, il rispetto alla vecchiaia, la tenerezza pei bambini, ecc. e l'uomo si manifesta infatti qual’è, cioè in parte cattivo c in parte buono, impastato com’è di egoismo e di non-egoismo; nei rap-S'orti di una nazione con le altre, gli affitti, le simpatie, le affinità, l'ammirazione, la benevolenza restano pur troppo per solito allo stato di platoniche indivi-
35
LA RAGIONE E LA GUERRA
221
duali manifestazioni, di rado possono estrinsecarsi in una condotta determinata: e tutto prende perciò d’ordinario la forma dell’egoistico interesse: anche e persino le alleanze. Ci pare, in genere, un delitto o ‘ una vergogna che la nazione debba rinunciare a qualche cosa, per amore di, pace,* se. non vi sia costretta dalla necessità o dalla forza. Quellp che nella vita •privata può essere ispirato non già solo da un calcolo di egoistica prudenza, da mero amore del quieto vivere, ma 'la un senso elevato di equanimità, di saggezza, di bontà» nella vita nazionale ci pare penoso, anche se suggerito dalla necessità, dalla prudenza e, appena appena ci sentiamo in grado di far valere con la forza delle armi, con o senza l'appoggio di un aiuto esteriore, quello che ci pare il nostro diritto, ci sembra — ed è — viltà il non farlo, e subito ci divenía intollerabile il giacere quieti.
E risultano così evidenti due cose. La prima si è che, fintantoché i rapporti fra gli Stati non siano diversi, finché, se anche- noi volessimo, cristianamente, pensare agli interessi attilli con quasi altrettanto amore come provvediamo ai nostri, gli altri Stati, certo, non ci renderebbero questo servizio, è logico, é naturale, non solo, ma è legittimo e giusto che provvediamo anche noi prima di tutto e sopra a tutto agli interessi nostri. La seconda che he scaturisce è l’inevitabile urto — o tardi o tosto — degli interessi non conciliabili o nqn facilmente conciliabili.
Il principio di nazionalità, mi si può dire, è santo: non è un interesse. Verissimo! o almeno é un interesse legittimo e alto. Ma .ognuno sa la difficoltà pratica di determinare con esattezza e con iscru-polosa giustizia i confini etnografici di un popolo: ognuno sa che vi sono piccole nazioni che hanno interesse a star unite ad altre per non- essere assorbite o anzi Eer assorbire altre minori o sparse o deoli. Ognuno sa poi che facilmente il nazionalismo più sano e legittimo può degenerare in « chauvinismo », esclusivismo, prepotenza, egemonia, imperialismo. Cosicché il bisogno legittimo ;— e che perciò è dovere riconoscere — il « diritto » quindi alla indipendenza ed alla integrità nazionale, il quale é un diritto che può essere riconosciuto in modo da non ledere il corrispondente diritto in altri, può invece diventare, per trasformazione e degenerazione del principio, un inte
resse di accrescimento che non può aver soddisfazione senza danno altrui. La vita delle nazioni è degli Stati fu, almeno sinora, abbandonata al conflitto di questi vari egoismi. Ogn,i Stato tira e deve tirar l’acqua al suo mulino; deve cercare — e cerca — di accrescersi,» di consolidarsi, di rinforzarsi: e poiché .ciò non può ayvenire.senza danno di qualcheduno, di lì l'inevitabile sequela di odii, di rancori, di rivincite, di recriminazioni, e l'inevitabile gara degli egoismi: cioè lo stato di guerra perenne — larvato o palese. Non si può dire veramente che, in un certo senso, non sia lo stesso del consorzio civile in una medesima sola nazione. Anche qui lotta, larvata o palese, di individui e di gruppi, di camarille, di classi, di poteri. E non si può nemmeno dire che anche fra gli Stati non si possa dare il caso di quello che, per le condizioni particolari della sua collocazione geografica, per le sue tradizioni storiche, pel mistero stesso della sua origine, per la sua composizione etnica, come per la sua indole e la sua missione^ si rassegni ad. una volontaria piccolezza e, bilanciati ben bene gli inconvenienti e i vantaggi del1 conservarsi tal quale senza grandi rischi o del tentare di accrescersi col pericolo della totale rovina, si adatti a viver tianquillo in mezzo alle peggiori burrasche, felice quanto può pur nella sua rinuncia, pro-6ria come in mezzo ai famelici, agli am-.-izrosi, ai camorristi, od anche semplicemente agli audaci, ai coraggiosi, ai violenti, se ne può Stare l'uomo tranquillo xhe vive e lascia vivere, senza far torto o danno ad alcuno ed anche talvolta senza venir meno neppure alla propria dignità ed indipendenza —- per un caso o per una tacita convenzióne — rispettato da tutti.
Non dunque’ ragioni, evidenze, intuizioni in conilitro. Queste non sono che le. vesti che a volta a volta assumono gli interessi, i bisogni, le esigenze, le tradi- * zioni. i concetti. : preconcetti; le passioni. Ci possono essere più « sistemi », non più ragioni. Le cosidette ragioni, evidenze, intuizioni particolari e diverse in tanto ci possono persuadere e convincere in Suanto hanno l’apparenza della ragione.
lacchè una delle due: o si ammette resistenza di valori spirituali o nòn la si ammette. Nel primo caso si può parlare di ragioni in quanto si crede alla Ragione. di bellezze particolari in quanto
36
222
BILYCHKIS
Si accetta l'idea della Bellezza, di beni in quanto essi trovano il loro fondamento nell’idea del Bene, Allora si può fàre appello alla Giustizia, alla Libertà; si crede nella Scienza, nel Diritto, nella Morale: poiché si crede nell’esistenza di un’Uma-nità distinta dalla Natura, si crea la Libertà, e la Storia ha un valote. Nel secondo, l’umanità non si distingue e non esce fuori dal regno animale la sua storia è ancora e sempre natura; non esiste la Libertà; la libertà è mera illusione: illusione di cui ci si vale abilmente. Illusione e mistificazione la coscienza: una vana — ma non già inutile — fenomenologia tutto il mondo dello spirito, il linguaggio, il pensiero. Le idee si riducono a parole, più o meno fortunate, di cui ci vagliamo come di njezzi più o ’ meno efficaci. Vana quindi, ma talora astuta, la pompa che facciamo delle parole, credute idee, di verità, di bontà, di giustizia, di diritto: specchietti per le allodole, moneta corrente. In realtà non esiste che la forza: e meglio varrebbe confessarlo, e taluni scrittori non ne fanno mistero. Onde chi accetti quésta veduta, deve, se ancora fa uso di quei «mezzi», confessarsi anche impostore e. logicamente almeno, dovrebbe ricorrervi il meno possibile o non ricorrervi affatto (i).
Questi due sistemi, sì, sono in conflitto, dalla più remota antichità nella Storia umana. Ma ognuno vede quale dei due sistemi è in sé. conttadditorio, sidchè non soddisfa, non può soddisfare a lungo e durabilmente la ragione. . Perché . infatti le idee appaiono una forza? e che cosa è in sé la forza? quella brutale? o anche la forza brutale non serve quando non sia sorretta da quella intellettuale? e come può questa sorreggere, infrenare, dirigere l’altra senza coscienza e senza libertà? perchè l’uomo crede, nonostante tutto, alla ragione? e perché è questo il presupposto, il postulato d’ogni azione tecnica o morale? Perchè chi nega in teoria la Ragione, vuole in pratica aver ragione? Perchè colui, il quale nel suo foro intento rinnega ogni valore spirituale, sente poi il bisogno di vestire le sue voti) Non fa bisogno ch’io osservi’che.non va già confuso con questo sistema il realismo psicologico e politico che nel trattare le cose umane si studia di prendere gli uomini come sono e non come dovrebbero essere.
lontà della forma del diritto c di nascondere i suoi veri motivi sotto un diluvio di parole, che dovrebbero rappresentare idee? perchè non osa spudoratamente confessarsi leone, lupo, strumento di . rapina e di strage? Perchè si ha un bel negare i valori spirituali; ma questi sono. E il mondo umano non è altrimenti concepibile che Con l’idea dell’umanità.
Ecco, mi pare, quel che ha dimostrato la Guerra, e non già resistenza di più ragioni, tutte egualmente assolute, ossia a negazione della Ragione. Quindi una Ideile due: o moralmente entrambi i gruppi di belligeranti si equivalgono e ognuno cerca in realtà di trarre l’acqua al suo mulino, e sono parimenti retorica ■ pura i discorsi e le ragioni degli uni e degli altri: e non istà in fondo alle loro apparenti intuizioni altro desiderio, che la smanfci di incremento e di imperio. Oppure'c’è sopra a tutte le loro competizioni, 'una Ragione. Posso ammettere col buon senso manzoniano che la ragione o il torto non è mai tutto da una parte. Sarà dunque, per lo meno, una questione di misura. Ma non può essere troppo dubbio da qual parte si trovi la maggior ragione, quando si consideri la letteratura stéssa che sostiene la causa di quel partito che si dice ingiustamente oppresso e che si fa perciò assalitore e oppressore (r).
Ma i bisogni legittimi non sono dunque ragioni? E quand’è che i bisogni, gli interessi, le aspirazioni degli individui come delle nazioni possono essere considerati, come legittimi? oliando possano essere subordinati alla Ragione, all’idea della Giustizia e dell’Oncstà: quando possono essere riconosciuti còme diritti, cioè senza contradizione, egualmente, universalmente in tutti: tali ad esempio il diritto alla vita, al lavoro, alla libertà, all’indipendenza. Ci sono diritti riconosciuti dalia Ragione astratta, dalla Ragione logica, dalla vera Ragione insomma'. E ci sono i così detti
(i) Una causa di questa guerra è l’orgoglio tedesco. ch’io lascio giudicare da un tedesco: E. Kant, il quale nella sua Antropologia (§ XLVIII) lasciò sciitto:
« L’orgoglio è sciocchezza: poiché si tratta anzi-• tutto di essere insensati, ad esigere che gli altri si « stimino poco in paragone di noi stessi; essi ci sono « per questo un ostacolo costante. Ma questa esigenza « è pure un’offesa, c questa offesa pioduce un odio «meritato ».
37
LA RAGIONE E LA GUERRA
2
diritti di fatto, non liconosciuti forse mai, ma imposti dalia storia. La guerra presente è in parte un conflitto di queste due soita di diritti.Questo fa che possano apparire egualmente legittime due intuizioni opposte, realmente inconciliabili, ma fondate su « piani » così diversi. Ciò è possibile nel mondo politico e storico, ove possono coesistere forme • che dovrebbero essere ormai tramontate accanto alle nuove, che dovrebbero averle Superate! ove coesistono i diritti dei. popoli di reggersi da sé e quelli degli Stati di conservarsi, dappoiché sono. La storia è, in un certo senso, l’eterna nemica della ragione. Poiché, se per un verso la storia è libertà, è creazione, è virtù umana e trionfo della coscienza e della ragion pratica, per l’altro è stratificazione, consuetudine, abitudine, seconda-natura, ostacolo alla libera estrinsecazione dell'attività umana. È il passato che ritorna, con tutti i suoi fatali erróri e tutte le loro logiche, ineluttabili conseguenze; è cristallizzazione, sanzione di tutte le ingiustizie che provocano altre ingiustizie; è diritto senza diritto; sicché la ragione storica è spesso sinonimo di non-ragione. Ma è anche la mirabile conservatrice ed alma genitrice di idee — che finiscono per trionfare (lo riconobbe un giorno lo stesso Napoleone) — é ri vendicatrice di diritti veri, maestra alle genti, rinnovatrice etenia. Inoltre è conciliatrice: nella indecisione è nella immaturità della ragione, è la grande accomo-datrice che risolve le questioni spinose in modo che da provvisorio può diventare stabile; non ha lei creato il mondo, e deve fare i conti con la realtà irregolare, irrazionale, . effettuale, caotica spesso. La storia, in una parola, è resperienza.
La ragione-, alla sua volta, ha i suoi prò e contra. Anch’essa è imperfetta. Perfetta ne é solo la forma, non così lit materia-.che è sorda. La lagione è tanto più perfetta e sicura,’ quanto è. più pura. Onde l’universale consenso con che, nelle scienze esatte, chi abbia accettato le premesse deve riconoscere la legittimità delle conclusioni. Quando la ragione, peraltro, non si applichi più ai punti, alle linee, ai piani, alle masse, alle forze, ed esca dalle vuote formole • per riferirsi all’uomo ed alle cose umane (l’arte, la morale, il diritto, la religione, la pedagogia, la politica, la storia) diventa, se non impossibile, certo difficilissimo l’accordo.
Io non so se le ragioni dell’errore siano soltanto sentimentali, nè voglio ora sollevare tale questione. Certo si è però che quando entrano in giuoco l’amor proprio, individuale o nazionale, il punto d’onore, il puntiglio, l’orgoglio, cioè in fondo la passione, l’errore è facilissimo. Con ciò voglio forse confinare le questioni storiche e nazionali nel campo dell’irrazionale, e farle materia soltanto de.<-^ spiriti .inferiori e passionali? No e/ic,to. L’azione volontaria si ispira all?aT zgióne; ma è una ragione subordinati ¿osi nell’individuo che operi per suff proprio conto come in chi lavori pel bené-d’una nazione, a un fine voluto con grande ardore. Senza l’clemento-passione, nessuna vera grandezza è possibile, di propositi, di ideali, di opere. Non è dunque un méttersi al di sopra di tutti gli interessi, spassionatamente, àll’infuori ad esempio di quello di conoscere come stanno le cose, cioè all'interesse conoscitivo, nel qual caso la passione dominante è quella della ve-, rità. Ma è un voler dominare tutte le forze, e tutte subordinarle, come mezzi al fine, e mettersi così al servizio d’nna causa sola, che può essere così quella passabilmente ignobile della ricchezza e della floridezza personale o familiare, o quella, nobilissima, del bene nazionale. Confonderete voi l’avvocato col giurista, l’artista con lo studioso di Estetica teorica, il dialettico, disputatore col maestro di logica, l’uomo di fede, di volontà, d’azione col filosofo o col moralista? Le due persone possono benissimo, a volte, coincidere; ma non è detto che debbano sempre identificarsi, in ogni istante delle loro funzioni. Voglio dire con ciò che il sentimento nazionale è un pregiudizio; la patria un motivo sentimentale di errore? Niente affatto. È certo però che Suesti sentimenti ci conducono nel mondo el relativo, ove non si può parlare di ragione assoluta.
È certo che la grande passione del fine potrà condurre l'uomo politico à valersi di tutti i mezzi che sono a sua disposizione, senza troppi scrupoli, per la maggior gloria e il maggior bene della sua nazione. Onde le diffidenze di taluni per la politica. Quando tuttavia si consideri il vero bene della nazione, che è anche bene morale, si vede tosto che la migliore politica è ancora quella più rigorosamente corretta e rigidamente morale. La frode e l’inganno non servono che per poco.
38
224
BILYCHNIS
Ma finché sono svegli gli egoismi altrui, la politica non può che ispirarsi all’egoismo nazionale, è perciò, come ho scritto altrove (1), eudemonologica più che veramente etica.
Non è possibile per. l’uomo elevarsi al di sopra degli interessi della sua pàtria, così da pot«*‘<considerare con paziente equanimità anch-'i gli interessi delle altre patrie e giudicante corrispondentemente? Molti pur troppo» credono di elevarsi a questa superiorcZvisione, ma ahimè solo in omaggio iter un interesse inferiore, l’interesse di un « partito ». Ma ciò non toglie che la cosa possa essere giudicata possibile, e intesa puramente. Altrime*i, ci sarebbe davvero da disperare della ragione. Io credo che in tutti i paesi vi siano uomini capaci di questa equanimità superiore: sono timidi spesso e non osano affrontare l’impopolarità, non sanno opporsi alle urla passionali della piazza, ma vedono e Sentono da filosofi, cioè da gente di ragione.
Sono disposto a riconoscere pure che in certe nazioni questo umile spirito di ragionevolezza è più facile ad incontrarsi che in altre, proprio come vi sono individui più arrendevoli ed altri intrattabili. Il che, per un verso, fa che i fanatici del nazionalismo e anche in certo giusto senso i buoni nazionalisti debbano talora nel' Segreto dell’animo disperare del loro Saese. sentendo in quella tendenza una ibolezza, e ammirare di più sotto di questo aspetto l’avversario, riconoscendogli, in ciò, la forza opposta. Ma prova per up altro verso in quale dei due paesi è maggiore l’inclinazione al giusto riconoscimento della verità e quale sìa più ostinato nel torto. Che se proprio un dato popolo non possa mai Consentire che anche gli altri possano aver ragione c si ritenga invece costantemente, burban-zosamente, goffamente l’unico giusto, l’unico colto e civile, l’unico degno, già in questo suo orgoglio —così bene descritto in sè e nelle sue conseguenze logiche dal buon Kant — dimostra la sua indegnità, la sua barbarie, il suo fondamentale torto, che renderà impossibile mai la conciliazióne. Ma questo dimostra che c'è
(1) Vedasi, nei miei recenti Saggi di Elica, il saggio: «La Morale c la politica».
un giudice ed è ancóra la Ragione. E la Ragione, quando non potrà di per sé, perchè non ascoltata, ricorrerà alla forza e colla forza proverà di fiaccare quell'or-Soglio e giustamente. Se in un barlume i sincerità, quel popolo si accorgerà di avere sbagliato nel suo sogno di egemonia e di imperio, se soltanto apprenderà che di fronte alla sua forza c’è un’altra forza antagonista, sarà già gran bene. Senza di che, bisognava tutti inchinarsi. Se no. potrà sino all'infinito ingiustamente proclamarsi minacciato, attaccato, oppresso: potrà illudere sè c pretendere di illudere gli altri sui suo preteso diritto conculcato, che la sentenza della Ragione non ne sarà perciò alterata.
« La ragione *. conclude il Rensi « non è dunque una». Ma ha riflettuto che chi dice così ne£a la scienza, nega l’arte, nega il diritto, nega tutto: che è questo l’argomento dei sofisti? che, negata la verità, non resta che l’opinione: tolto il bello, non resta che quanto piace al capriccio individuale o di pochi iniziati: sottratta dal mondo la giustizia, confuse le idee di diritto e di ragione e di torto, del bene e del male, cadono la società, la moralità, la civiltà? Come si può, dal fatto che la ragione umana è sovente impura, e perciò imperfetta e soggetta all’errore, concludere che le ragioni sono tante e che perciò non c’è più ragione e torto, cioè non c’è più ragion®?
■ Non esiste uno spirito assoluto; ma una miriade di spiriti diversi ugualmente assoluti. Ecco il significato della guèrra ». Così scrive il Rensi (p. 24) e conclude che » da ciò deriva che gli sforzi pacifisti che si moltiplicano allo scoppiar d’una guerra sono inevitabilmente destinati a fallire ». lo non so'se sforzi simili siano sempre destinati a fallire; so che. se falliscono, non è già perchè abbondino le ragioni, ma perchè anzi vicn meno l’unica vera Ragione. Quando prevalgono le passioni; scoppia la guerra: e sono passioni la rivalità, il desiderio di cogliere l’occasione propizia per fiaccare un secolare avversario, il gusto della rivincita, l’onore impegnato, il culto delle memorie, il rifiorire delle vecchie tradizioni, dei vecchi odii. degli antichi rancori. Non dico, lo si noti bene, che la passione sia sempre moralmente cattiva: vi sono sante passioni: nè che sia sempre libero l’uomo di sfuggirvi. Sfuggendo a certe passioni, come al sentimento di chi, offeso nell’onore.
39
LA RAGIONE E' LA GUERRA
225
tenta di lavar -l’onta col sangue, si può -sembrar vili. La legge del perdono non è di facile applicazione- nemmeno tra gli individui. Saper perdonare (1) è cosa che . esige un coraggio è una virtù senza pari.
Solo una vita intemerata di lavoro e di bontà può redimere dalla taccia di vile chi per virtù cristiana abbia un giorno perdonato. Più difficile ancora è l’applicazione di questa legge tra le nazioni e tra gli Stati. Eppure bisognerà ben darne l'esempio un giorno, rendere bene per male, mostrarsi forti nella generosità, perchè il farlo non sia più considerato come effetto di corruzione e di fiacchezza e per concludere un periodo di rivendicazioni e di vendette, che altrimenti si protrae all’infinito. Non vi furono tempi in cui era ammessa la guerra privata?” e non hà la Chiesa tentato di mettervi, almeno un freno? E ci sono forse ancora oggidì, come nel Medio Evo, le guerre private, combattute almeno ad armi visibili? Non potrà avvenire lo stesso un giorno - anche se ancor molto lontano — per le guerre internazionali?
* • •
Proseguendo, il Rensi ha una pagina singolarmente efficace, ed è la pag. 25 che tutti possono leggere in BilychnisL’autore vi considera le due intuizioni contrarie: «da un lato, 1’“evidenza”'che la guerra è delitto, che compie il più irreparabile dei mali, cioè la distruzione delle vite umane...; che è mostruoso strappare dalla sua consueta esistenza l’uomo ignaro 0 nolente, che forse nemmeno conosce 0 non condivide i fini per cui dovrà combattere o morire», ecc. ecc. (fino all’opportuna citazione leopardiana); e dall’altro, 1' “evidenza” che la patria è tutto...
•che è necessario far collaborare, occorrendo anche con la forza; la massa repellente od, inconscia; che un popolo non può esimersi dal cooperare al trionfo della giustizia internazionale unendosi ad altri nell’opporsi alle aggressioni tendenti a soffocare sotto un'egemonia autoritaria e militare le libertà di tutte le nazioni: che, quindi; la neutralità sa(x) • li perdono è beilo, ina esercitato su pentiti » scriveva il 25 giugno 1859 ’• futuro generale Nicola Martelli alla sua fidanzata. V. il Pensiero Militare e là Stampa dell'8 agosto 19x7.
rebbe un’ignominia davanti a cui un fervido patriota, disperando del suo paese, si sentirebbe spinto, per lo sconforto supremo, quello che deriva dalla rovina morale della patria, a rifiutare la vita •.
Un nazionalista che legga, pensa immediatamente: Come non ha compreso il Rensi che qui non sono due ragioni? che la sola ragione è la seconda, e ch'egli stesso l’ha chiaramente designata col fuoco delle parole? La. prima « intuizione • infatti è semplicemente quella del-l’egoismo^ è il desiderio di serbar la pancia ai fichi, è l’amore <Ld quieto vivere. è la volontà della ® c ad - ogni costo, è mancanza di dignità, viltà ingomma. La seconda invece è il superamento dell’egoismo; è il 1 ¡scuotersi della coscienza; il risveglio del senso del dovere. Non c’è dunque luogo a dubbi. Cosi è, e così dev’essere. , .
Ma in realtà la cosa è più complicata. Quando si parla qui di egoismo, conviene bene intendersi; se no, nelle nostre parole, si cela un sofisma bello e buono, poiché ora intendiamo per egojsmo quello degli individui ora quello di tutta la nazione. Al primo «si contrappone l'egoismo degli altri individui, al secondo quello delle nazioni avversarie. Ragioniamovi su un poco, se pure non abbiamo perduto, dopo le suggestive -considerazioni del Rensi, ogni fiducia nella ragióne. Nelle due « intuizioni » opposte c’è del pari dell’egoismo e del non egoismo delle due sorta; vediamo.
Quando chi non vuol partire per il campo maledice la guerra che lo toglie alla -famiglia, alla tranquillità ed alla sicurezza della sua vita, allora si tratta semplicemente dell’egoismo personale, che non ha ancor sentito la voce del dovere. Questo caso così semplice si complica, Iuando una coscienza si ribella all’ idèa ’essere costretta a far ciò che le ripugna. Caso raro forse da. noi, non infrequente in altri paesi. Ma chi proclama delitto la guerra, pur senza dovervi paxtecipare, senza dovervi sacrificare il suo sangue nè quello di alcuno dei suoi, non può sempre a priori essere sospettato di egoismo. Può essere mosso anzi dall’amore del suo prossimo, dalla compassione dei suoi simili, dalla considerazione astratta della cosa in sè, dal dolore di vedere gli uomini trattati come strumenti, tome mezzi, e non come fini. E questa è 1’* in-
40
226
BILYCHNIS
tuizione » cui vuol sicuramente alludere il Rensi. Bisogna essere senza cervello e senza cuore, pei non aver sentito — quand’anche si sia giudicato • opportuno » di non dirlo a chi non ci può intendere — in certi momenti almeno, che quel che avviene è mostruoso, è inumano, è delittuoso! Ma la verità di questa intuizione, non è discordante dalla verità dell’altra: nè sono così irresistibilmente diverse, poiché possono benissimo incontrarsi nella stessa co--scienza, nellà> tessa ragione. Essa suona infatti la conci nna della guerra in genere, non di questa guerra in particolare.
D’altra ^rte, i sostenitori dell’altra tesi (c ancnWquelli della prima quando si pieghino a ragionar con loro e come loro), partono, devono partire da un’altra considerazione delle cose: non più la considerazione astratta, ideale, pura, umana nel se«so più alto della parola: ma la considerazione concreta della realtà empirica qual’è. Sotfto questo aspetto, ci sono nazioni contro nazioni. Per quanto le nazioni siano ancor fatte di individui, gli individui per un .momento scompaiono. Che cosa conta più la vita degli individui, di fronte all’esistenza stessa della nazione? Noi non possiamo poi- evidentemente ragionare in prò. delle nazioni avverse: nè queste del • resto, al punto cui son giunte le cose, ci darebbero ascolto. Noi non possiamo adunque che ragionare in prò della nostra.. Diremo noi perciò che la politica di neutralità come di guerra è sempre ispirata all’egoismo nazionale? Se mai, a un «sacro egoismo » che trascende e supera se stesso. Spieghiamoci. Finora — e l’abbiamo già detto — allo stato in cui sono le relazioni internazionali, non è possibile una politica altruistica, nel senso che pensando una nazione al bene di un’altra possa dimenticare il bene proprio. Forse non ci si arriva nemmeno fra gli individui. E qualche caso isolato,ci fa sorridere comedi una manifestazione più di follia che di buon cuore. Ma nel pensare al bene proprio, pur pensando al bene altrui, c’è modo e modo. Una nazione che, pur perseguendo i suoi propri interessi, si preoccupi del giudizio avvenire della storia, che abbia la religione del dovere, il culto della riconoscenza, la signorilità della condotta, che si metta volontariamente dalla parte del diritto contro la sopraffazione, che agisca non già per non esser giudicata ma per non essere vile, è una nazione che oltrepassa il primo stadio del volgare egoismo, che
è quello di pensare alla propria salvezza immediata. .
L’Inghilterra nel pensare al Belgio.pen-sava anche a sè. E che perciò? Noi potevamo forse utilmente mercanteggiare la neutralità; ma dovevamo sopportare1 impassibili la sorte del Belgio e della Serbia, contribuire al danno della Francia, della Russia. dell’Inghilterra. Nel respingere questa «intuizione» — a parte gli interessi nostri di assicurare i nostri confini, di dar prova d’esser vivi, ben vivi, di ven- ' dicare le antiche offese e le nuove, di redimere i nostri fratelli, di provvedere alla nostra fama in avvenire — noi agivamo in modo che mi pare sicuramente giusto, leale, generoso e onesto. Pare del resto anche al Rensi. Eh dunque! Riconoscano gli avversari la nobiltà della nostra condotta, si pentano del loro sciocco orgoglio e noi potremo forse un giorno perdonare loro il (olle — e del resto fallito — tentativo di aggressione, come la fatale conseguenza d'una filosofia ingannatrice, c riconoscere in pari tempo le loro virtù di coraggio e di resistenza, con cui, una volta entrati nella lotta-per loro imprudente spontanea volontà, han dovuto proseguirla contro il mondo intero. Ma non_cominciamo noi a mettere in dubbio la legittimità della nostra ragione!
’ Ma ci sono ancora alcuni altri punti da trattare.
Il Rensi scrive: « bisogna che ci leviamo dal capo l’erroneo concetto dell’universa- ' lità kantiana, il concetto.che l’imperativo categorico, la voce del dovere, la verità morale si faccia udire, per quanto non seguita, nelle coscienze di tutti, anche (come Kant dice) del peggiore delinquente: il che, tradotto in termini applicabili agì* attuali avvenimenti, vorrebbe dire che i nostri nemici hanno la coscienza, almeno oscura, di essere nell’ingiustizia, sanno, per quanto vagamente, di volere l’utile ma non il giusto » (p. 26).
Ecco: E. Kant ha forse torto, e sono ben disposto ad accettar l’ipotesi che ci siano ' dei sordi morali (1). Ma il supporlo dei nostri* nomiti, non sarebbe per l’appunto il far loro un Complimento.' E sarebbe una
(x) Gir. E. Juvai.ta, // vecchio c il nuovo problema della morale. Bologna, Zanichelli, pa«. 50.
41
LA RAGIONE E LA GUERRA
2 27
•ragione di più di combatterli. Ma essi non son sordi moralmente. E se ne possono distinguere più categorie: la prima è quella di coloro che, pur invocando, ipocritamente Iddio, non hanno altro dio che la forza e che avendo consapevolmente (lo prova tutta una letteratura), da anni, preparata la loro formidabile macchina di guerra, hanno voluto, al momento opportuno, ado-Eterarla, e sono rimasti in realtà così deusi nel risultato! Costoro potranno, sin che si vuole, sofisticare sui programma delle nazioni contrarie, tacciarlo di retorica, far dell’ironiasull’intervento dell’America, sulle parole di libertà, nazionalità, giustizia, diritto, che suonano in bocca agli uomini dell’« Intesa », potranno, sì, cercare di ingannare se stessi e gli altri, volersi immaginare d’essere stati costretti, ad aggredire per non essere aggrediti, ecc., ma non potranno a meno di sentire in taluni momenti nella loro coscienza che, se solamente le cose fossero andate un po’ diversamente, cioè secondo che aspettavano, a fatti compiuti si sarebbero vantati — come già fece il Bismarck — d’essere stati loro a voler la guerra per la maggior S ri a e pel maggior bene del loro paese!
seconda categoria è quella di coloro che in buona fede amano la loro patria e eredono ingenuamente a quanto vien loro detto, e non sono capaci di critica. La terza, quella di coloro che, pur facendo uso. di critica,- dividono il pensiero dei maggiorenti, nel loro egoismo burbanzoso, di popolo eletto: e saranno magari la maggioranza! La quarta, quella di coloro i quali Sensano che, una volta scoppiato il .don-, itto, bisogna uscirne'’coii onore. Eccetera.
«La giustizia», prosegue il Rensi,;« è il principio di nazionalità, si dice da uri lato». Per essere più esatto, doveva scrivere non già che la giustizia è il principio di nazionalità, ma che questo è sacrosanto e giusto, il che è ben diverso. Egli voleva dire che, nel caso presente, gli uni fanno
consistere la giustizia nel principio di nazionalità: ma non è evidentemente che una veduta particolare, non un’intuizione assoluta! A noi basta veramente che quel principio sia legittimo e giusto c che abbia diritto di trionfare finalmente. « Dall’altro lato», seguita il Rensi. «la giustizia è il mantenimento e lo sviluppo d’uno stato sulle sue basi tradizionali e storiche... nei-l’abituare razze diverse a convivere nella medesima orbita... ». Avrebbero torto, se mai, anchq, costoro a far consistere la giu
stizia, tutta la giustizia in questo. Io posso riconoscere ad ogni Statogli diritto di conservazione. posso ammettere la necessità storica che più razze vivano in un’unione artificiale. Ma di fronte al primo diritto, cade il secondo. Ci sono forme-storiche le quali è tempo che tramontino.
Niente opposizione adunque di due sintesi a priori. Due considerazioni particq-‘ lari che. se mai, han torto di credersi universali: e specialmente la seconda! »
L’autore parla anche della Russia. E dice che un popolo che convoca una Costituente è sul ’orlo della guerra civile, che, come si presenti la questione dei principi fondamentali, ecco sorgere irrefrenabile il conflitto delle « evidenze ». Ma ancora una volta non sono colà in conflitto vere autentiche « evidenze », o alte sintesi, o dottrine pure fondate su verità dimostrate, su verità di ragione, ma ancora una volta interessi, egoismi diversi, che erroneamente, a torto, si arrogano il nome c il diritto di • intuizioni, opinioni che si fan passare per ragioni. Ci vuole, è naturale, chi li sappia conciliare o infrenare.
E veniamo finalmente all’ultimo esempio, il più delicato. Allo stesso Rensi ripugna, e non certo a ’ torto. Ma ha dato indubbiamente prova di coraggio civile a recarlo. Egli, ' nell'ultima parte del suo scritto (pagina 27), fa i nomi di Cesare Battisti e del -Casement per di
mostrare come chi può apparire agli uni come un traditore è dagli altri, venerato
come un eroe.
Ecco',* per ciò che riguarda il venerato martire Cesare Battisti, le sue parole pre
cise:
« Con l’istessa intima certezza con cui noi consideriamo Cesare Battisti un eroe e per cui saremmo spinti ad agire con vie di fatto contro chi ne ingiuriasse in nostra presenza la memoria, precisamente con Jiuesto stesso sincero impeto del cuore proondo migliaia di austriaci lo ritengono un traditore ». Ma il loro giudizio solo per una parte può avere un fondamento razionale e morale — che ora diremo —; per l’altra, è una conseguenza di un falso stato di cose: cioè dell’unione artificiale e contro natura di austriaci e di italiani sotto il medesimo scettro. Per ¡spiegare la parte morale — poiché, lo confesso, e in pari tempo lo assicuro, al Rensi: ci ho pensato qualche
42
228
BILYCHNIS
volta anch'io! mi varrò.alla mia volta di un esempio. Non c’è forse eroe più puro del nostro Garibaldi: eppure nella vita di lui vi fu un tratto, che non piace al suo amoroso biografo, Giorgio Macaulay Tre-velyan. Non posso citare il passo preciso, perchè non ho qui il libro: ma ricordq che là dove il Trevelyan racconta l’entrata del Garibaldi nei « reali equipaggi > per diffondervi' il verbo mazziniano, Fautore' non nasconde la sua ripugnanza per l’attp di chi presta giuramento per mancare poi alla sua parola. Si può dire: Era necessità per lui come pel povero Battisti. E questo non menomai! loro eroismo,, sancito nell’uno dai prodigi di disinteresse c di valore; nell’altro, dal martiri'©. Quando si persegue un’idea sino alla morte, si è un eroe. Ed egli è e sarà sempre, un martire venerato.
Il caso del Casement lo lascio dilucidare al lettore.
In conclusione, a me pare’che il Rensi abbia dimostrato, la difficoltà di applicare la ragione* allo studio dei fatti relativi e contingenti, concreti c reali, del mondo umano; ma non già l’esistenza di più ragioni. Se ciò avesse provato, avrebbe distrutto le basi della scienza, dell’arte, dèlia morale, poiché avrebbe dimostrato col fatto che non c’è ragione. E allora che fare? Gettarsi in braccio alla religione? Ma si può rifare sulla religione lo stesso ragionamento, suo sulla ragione.. Non c’è religione: ma molte religioni. E quale è allora la vera? o la più vera? A questo nullismo la mia coscienza si ribella, e contro questo nullismo ho sentito il bisogno di protestare. Se il suo pensiero non era questo, sarò lieto.di ricredermi.
Alassio, 6 agosto Ì9Ì7.
Camillo Tri vero.
!
43
DELL'ANIMA
ULTRA-VIOLETTO
...Come .vedendo Fin visibile.
Ebrei, ix, 27.
l di là del colore violetto che noi possiamo percepire, vi è un ultra-violetto che per il nostro occhio non è che tenebre, ma che lo spettroscopkh.ci rivela in centinaia di linee. Così il nostro orecchio comincia a percepire il suono musicale a trenta vibrazioni al secondo, e cessa di percepirlo a quarantamila. È la debolezza del.nostro orecchio che determina questi limiti; ma l’indice del quadrante nella esperienza di Balfour Stewart vi registra fedelmente i colpi che oltrepassando quei
limiti dànno il silenzio o un rumore indistinto, dove degli esseri dotati di un udito più perfetto percepirebbero un suono musicale bassissimo o acutissimo.
* * * '
Scelgo l’ultra-violetto a simboleggiare quella Realtà che trascende i nostri sensi, anzi tutte le nostre facoltà, che noi pensiamo, talora nostro malgrado, dietro ai fenomeni del mondo visibile, ma che siamo d’accordo neH’ajfermare che non vediamo.
Gl’Indiani l’hanno chiamata Nirvana, mondo senza illusioni, in contrasto con. Maya. Gli Egiziani avevano il regno di Osiris che è la realtà nella quale ci risvegliamo morendo; dove che nascendo ci addormentiamo nel regno di Isis. Il Kant ha escogitato il noumeno per opposizione al fenomeno. Il Comte, lo Spencer: l’Incoho-scibile. L’Evangelio parla delle « cose che non si vedono », j>ragmata ou blcpomena, ma anche elpizomena, «dose che si sperano», almeno per i buoni.
Mi sembra che ci sia un sufficiente consenso tra la umanità antica e moderna intorno à quella Realtà trascendente. E se i nostri antenati medioevali hanno
44
230
BILYCHNIS
potuto dare un così largo posto alle Sibille c ai più grandi filosofi e poeti pagani, nella loro coscienza religiosa, da citarli come autorità in fatto di teologia; e nellà Divina Commedia che vuol essere un poèma sacro rappresentano delle parti così importanti; e se i nostri padri del Rinascimento non rifuggirono dal dipingerli, col pennello di Michelangelo, sulla, vòlta della Cappella Sistina, non vedo perchè noi dobbiamo essere di spirito più ristretto, e perchè non possiamo collocare intorno a Paolo questo « nuvolo dj^testimoni » che non furono nè sòno Cristiani, che pure meglio assai delle Sibille confermano resistenza delle ou blepomena.
Io sono un credente nelle ou blepomena, anzi nelle elpizomena di Paolo; eppure non posso che compiacermi nel vedere confermata la mia fede in quell'ambiente appunto donde la fede sembra esclusa. E ciò dico per chi vede tra la Fede e la Scienza un abisso insuperabile e considera qualunque tentativo di riconciliazione come il travaglio di Sisifo. t ' s
* • •
Ah! noi non conosciamo le. cose che per fenomeni, per quel che appariscono? Bènissimo: vuoi dire che voi ammettete’, implicitamente un mondo noumenale, invisibile, una realtà che sta dietro a queste apparenze e le trascende: insomma, un ultra-violetto intellettuale.
Ma la differenza tra noi è forse questa: voi ammettete quell'ultra-violetto, ma non ammettete nessuno spettroscopio che. almeno indirettamente, ne constati la qualità; e noi credenti nelle « cose che si sperano » ammettiamo una « dimostrazione » (elenchos), cioè uno spettroscopio che ci dà le linee donde risulta il colore. ’
- E del nostro ultra-violetto siamo egualmente certi come il fisico del suo, quantunque nè lui nè noi lo vediamo direttamente.
♦ • *
, « Se avete fede quant’è un granel di senape, direte a questo monte: passa di qui a là; e passerà, e niente vi sarà impossibile ».
« Fede quant’è un granel di senape »: ecco il nostro spettroscopio. La fede ■ religiosa può tutto quello che le scienze naturali, come sono classificate al presente, non possono fare. Il che non esclude la possibilità che un giorno anche la fede religiosa divenga una scienza naturale. Tutt’altro! se tale fede è tanto naturale che ha precedute di moltissimi secoli le stesse scienze naturali. La fede religiosa può condurre a fine delle imprese reputate incredibili: «direte a questo monte: passa'di qui a là; e passerà ». Alla fede religiosa, insomma, « niente è impossibile ».
La storia, se non erro, è piuttosto in favore di questa asserzione.
»Pensate alle vicende della nazione Ebrea, a quelle del popolo Cristiano che è assai più che una nazione, a quelle specialmente della Cristianità anglo-sassone. Pensate a quei miracoli che si chiamano gli Stati-Uniti d’America, il Giappone moderno, le isole Hawaii o Sandwich... «Un granel di senape!». Infatti, la a fede di Dio» non è mai india coscienza'di tutto un popolo; è piuttosto il privilegio di pochi. Eppure tanto basta per fare quel che si è fatto e si fa. Per esempio: il « grand
45
PER LA CULTURA DELL'ANIMA
231 •
»
di senape » di William Penn e del suo piccolo drappello di seguaci, che sbarcarono nel Nuovo Mondo nel 1682, è divenuto quasi «albero, talché gli uccelli del cielo vengono e si riparano ne’ suoi rami » E sì, che anche in quel popolo ci è della gran borra e gl’ipocriti non mancano nè nello Stato nè nella "Chiesa.
Che cosa manca all’Italia? Appunto il «grane! di senape»; e pare che cominciano a convenirne anche i nostri pensatori. Il Vaticano è grande, eppure non raggiunge le proporzione di un «grane! di senape»; perchè, se non fosse altrimenti, assisteremmo ad un miracolo assai maggiore dell’unità politica! Nessuno viene a ripararsi nei nòstri rami, perchè non riusciamo a ripararci¿néppur noi. E come si fa «e non c’è l’albero, forse neppure il seme?
Ma.il «niente vi sarà impossibile» è confermato sopratutto dalla «dimostrazione » interiore stessa: chè « le cose che non si vedono » sono « le cose che si sperano ». Che è il miracolo dei miracoli.
♦ • * •
Il Maestro vuole, in sostanza, che riguardiamo dentro di noi attentamente. Vi scopriremo certe tendenze semplici, complesse, nobili, non-nobili. Fra le più nobili vedremo qualche cosa come un desiderio di ima Cosciènza Suprema che ci conosca, e questo « istinto del Divino »,. come preferisce chiamarlo il Renan, si amalgama col bisogno di un amore senza limite, di una felicità senza limite: Beatitudine di purità, di giustizia. Ma la nota dominante in questa sinfonia spirituale è l’amore. Spesso, però,'sale un’altra nota che può diventare acutissima, quantunque nelle anime schiettamente religiose sia quasi esaurita dalla nota dell’amore, la tendenza a sopravvivere a se stessi: Immortalità. E siccome è quella parte del sentimento religioso che è più persuasiva, tanto che anche i più egoisti o i meno religiosi (quasi sinonimi!) vi prendono interesse, io mi sono fermato specialmente-su di essa; e mi lusingo di aver già dimostrato, non dico completamente, ma sufficientemente, che la tendenza alla Immortalità deve essere naturale, determinata cioè, da una legge naturale, quindi fondata nella realtà. Poiché è fonte inesauribile' di gioia; se non è soddisfatta, soffriamo...; per essa comprendiamo il bello; e il brutto è. brutto in quanto simboleggia direttamente la morte (annichilamento), e il falso è brutto come la morte, la morto è brutta come una cosa falsa. Aggiungo^ qui che .il brutto non ha mai per fondo la naturalità, ma qualche violazione della natura. E ricordo che la gioia risulta sempre da uno stato di sanità fisica o morale; e la sanità è uno stato oonforme alle leggi naturali.
Che dirò, poi, della forza? Una forza qualsiasi erompe invariabilmente da un’obbedienza alle leggi naturali. Che fece il nostro Volta quando scoprì l’elettricità? Non riuscì, nelle sue esperienze, appunto ad assecondare una legge naturale? Chi va contro alle leggi naturali non trova la for$a, ma la impotenza. E se la fede religiosa fosse qualcosa di anti-naturale, sarebbe forse stata e sarebbe ancora quella forza strapotente che è?
Oh, cessate finalmente dal considerare la tendenza alla Immortalità come un lusus naturaci II lusus naturae è la risorsa delle menti superficiali. Infatti, in che si distingue in grandissima parte un uomo superficiale da un uomo serio, se’ non in
46
232
BILYCHNIS
ciò che l’uno ha per motto della sua intelligenza: lustis naturai, l’altro vede l’ordine, la legge in ogni cosa? E^si direbbe che l’uno non crede alla realtà, l’altro ci crede profondamente e diventa serio.
Fidatevi, fidatevi delle vostre migliori tendenze che sono anche le più insistenti, vuol dire il Maestro. .Abbiate fede nella fede; ed ecco: voi vi sentirete come nel Cuore stesso della natura; sarete forti e buoni, buoni e forti, imparerete che cosa è bello, gusterete la mia pace e la mia allegrezza, cioè sarete spiritualmente sani.
Di più. un uomo che rinunzia alla ferie è come una carrozza che è uscita dalle rotaie, cammina male; ma l’uomo che crede si trova appunto sulla grande linea della natura e scorre...
« Accrescici la fede! *
« Se voi aveste pur tanta fede quant’è un granel di senape».. ».
« « «
Non so se avete mai pensato che l’Evangelo proprio suppone uno spettroscopio interiore che si applica ad una Realtà che non vediamole ce ne rivela indirettamente il colore speciale. Perchè se non ci fossero nell’uomo certe tendenze talora vaghe ed incerte, come nei più grossolani, talora bene accentuate, come nei più: raffinati, certi desideri, certe aspiraziorti, certi bisogni che non si riferiscono punto al pane, se mài a « quel che scende dal cielo e che dà vita al mondo ». nessuno avrebbe potuto comprendere l’Evàngelo'e tanto meno accettarlo. Del resto la stessi esistenza della supeistizione suppone questa fede naturale nel nostro ultra-violetto. E se Ci è chi l’ha sfruttata, che altro significa questo se non che*sussiste il terreno da sfruttare?
È proprio il caso di dire: ex nihilo nihil fit, neppure la-superstizione, neppure l'impostura. Figurarsi la religione « pura ed immacolata »!
Potremmo dimandarci che cosa in questo mondo visibile ci fornisce il simbolo ,di quella Realtà invisibile; poiché sappiamo che per concepire anche le idee più alte, le ultime, ci serviamo di materiali raccolti dall’esperienza. Lo stesso nome di Dio ci viene da div, 'brillare, illuminare, in sanscrito; e spno ben lontano dal voler dire che la luce sia più di un simbolo superficiale e frammentario della Divinità. Io parlo del nome, che pure è « sopra ógni nome ». Lo stesso « sole della giustizia » è una parte del nostro simbolo interiore della Divinità, non il tutto.
E ¡’infinito è un noumeno, cosa pensata, non veduta, non un fenomeno; quindi un altro aspetto del nostro Ultra-violetto. .Ciò nonostante F. Max Mueller,-nella sua opera: Origin and growth of religion ecc., è riuscito a provare quasi fino all’ultima evidenza, che prima di diventare un noumeno è un aislelen, cioè una cosa sensibile. « Io sostengo », egli dice, « che in quanto siamo esseri sensibili noi siamo in contatto costante con l'infinito, e che questo contatto costante è la sola base legittima sulla quale l’infinito possa esistere ed esiste per noi Come noumeno la
47
PER LA CULTURA DELL’ANIMA 233
cui esistenza s’impone alla fede. Io'sostengo che qui dappertutto noft vi è concetto legittimo senza percezione anteriore, e che la realtà di tale percezione anteriore è chiara come la luce del giorno a chiunque non si lascia accecar dalla terminologia tradizionale ».
Gli scolastici vecchi e nuovi direbbero che quel che il Max Mueller chiama « percezione dell’infinito » nello spazio, nel tempo, nella quantità, nella qualità, è propriamente percezione dell’indefinito'. Ed è appunto contro questa distinzione «tradizionale», che il nostro autore si rivolta; e credo con ragione. Tuttavia ci è una anima di verità anche in certe tradizioni. L’infinito che noi sentiamo nelle cose visibili non è precisamente l’infinito dello spirito; ma un simbolo che ci aiuta a presentirlo e a concepirlo al di là. Lo stesso deve dirsi del nostro Ultra-violetto, cioè del mondo Invisibile in generale.
È vero: noi non conosciamo le cose in sè, perchè non possiamo .oltrepassare i limiti dei nostri organi che sono il solo mezzo di conoscenza; é la realtà è tradotta necessariamente nel linguaggio proprio di questi organi prima che possiamo conoscerla in qualche maniera. Una traduzione, insomma, il nostro sapere, non il testo. Il testo è la Realtà che non si vede. ’
Che, però, si pensa e s’impone alla nostra fede. « Altrimenti », dice molto bene il Kant, «arriveremmo a questa conclusione irrazionale, che vi è un’apparenza senza oggetto apparente ».
All’idea di una Realtà invisibile, dunque, non possiamo sottrarci. Perchè, se non fosse altro, il solo fatto che si è coniato un termine per essa, ci assicura che l’idea l’aboiamo e crediamo che una Realtà ci sia. Di più, noi conosciamo tutto per contrasti; l’apparenza di una cosa ci fa pensare inevitabilmente alla sua sostanza e viceversa. Ma in seguito ci accorgiamo cl.ic questi contrasti sono relativi e non assoluti; perché' a mano a mano che analizziamo una cosa qualunque, l’apparenza, si dilata e approfondisce; e tutto quel che vediamo di una cosa diventa apparenza, naturalmente; e resta sostanza quel che di non apparso ancora indoviniamo. Abbiamo dall’altra parte la convinzione insinuataci dalla esperienza che l’analisi delle cose è inesauribile. E come possiamo pensarla diversamente, se finora abbiamo esperimentato che più s’impara e più ci è da imparare? Ars tenga, vita brevis; non è veróP JJd ecco che la realtà, il noumeno, retrocede sempre dietro l’apparenza, il fenomeno. Ma non cessa di esistere. Al contrario; ogni nuova scoperta non Ci apre «nuovi orizzonti»? non è. un avviamento ad altri interminabili studi?
Insomma, non sapremo mai tutto, almeno nelle nostre condizioni attuali' è una convinzione che ci penetra sempre più a fondo, secondo che aumenta là* nostra scienza.
Noi sappiamo solo la faccia esterna delle cose; è un'altra convinzione parallela. La realtà ci sfugge; dunque ci è una realtà fuggente: questa è la conclusione. Per tutto ciò, possiamo dire che ci sentiamo in contatto immediato con l’invisibile, e se non osiamo adoperare il sublime paradosso di Paolo e dire che l’uomo vede realmente l’invisibile, diciamo che soffre dell’invisibile (1). E se dobbiamo ri' (1) La frase è dèi Max Mueller.
48
234
BILYCHNIS
conoscere che non è un fenomeno propriamente detto, questa sofferenza dell’invisibile, possiamo tuttavia affermare che è un aisthelon, una cosa sensibile che. ci aiuta a concepire tutto un mondo di là.
E ciò valga per coloro che dichiarano essere certe idee inconcepibili. Come sarebbero inconcepibili se.abbiamo un simbolo così significante? E non alludo al mio Ultra-violetto; ma proprio alla sofferenza dell'invisibile.
-■ ’ /■1
* * *
— Sarà poi vero quel che si spera?
— E voi? non siete uomini veri? Quando,Paolo scrisse: «la speranza non svergogna » (ou cataischunei) non credeva certo di essere una « vanità che par persona », come molti sembrano credere di loro stessi; e non aànno, conseguentemente, il giusto valore a quelle tendenze che abbiamo definite: le riiigliori e le più insistenti. Paolo sapeva, insomma, che era una realtà lui stesso, reale èra anche « il palio che correva ».
« Io vi dico in verità: Se voi aveste di fede quant’è un grane! di ■senape... ».
Raffaele Wigléy.
Raffaele Wigley. Di lui pubblicammo due lavori originali : 1 metodi della speranza f^Bilychnis», 1913, p. 318] e L’autorità del Cristo [«Bilychnis», 1915, voi. 5°, p: 202. 310, 477 e voi. 6°, p. 56] 0) — due ottimi saggi di psicologia religiosa, rivelatori <Tuna mente solida e d'un anima ricca di sentimento e di fede
Contavamo molto sulla sua collaborazione che aveva trovato fra i nostri lettori vivo interesse e caldo apprezzamento ; ma nel giugno del passato anno egli- compiva il suo corso terreno,9quando noi ci preparavamo a raccogliere i frutti del suo pensièro maturato in un calmo e attivo studio e delle sue esperienze cristiane di tanti anni di fedele pastorato evangelico.
Mentre ripubblichiamo un capitolo d'un suo libriccino a pochi noto esprimiamo- il voto che qualcuno de' suoi intimi ch'ebbe il privilegio di poter profittare anche delle sue conversazioni, si accinga a raccogliere e ordinare quanto della sua mente e-delianima sua' egli ha dato a riviste e giornali ed ha lasciato nei ricordi degli amici.
(•) Questo secóndo lavoro è stato poi raccolto in estratto di pag. 40 ed è in vendita presso la nostra libreria al prezzo di'cent. 40.
(2) « Alla ricerca dell' immortalità » — dedicato a chi rimpiange i suoi morti dubitando.' Firenze, Tip. Claudiana.
49
RASSEGNA DI FILOSOFIA RELIGIOSA
XIX.
L’EGOISMO NELLA FILOSOFIA TEDESCA
Una veduta originale e comprensiva della filosofia tedesca ci è data da G. Santayana, già prof, di filosofia nella università di Harvard, nel suo libro: Egotism in German Philosophy (Dent and Sons, L. London, 1917). Questa filosofìa tedesca è una trama di pensiero, una ispirazione profonda che va da Lutero ai nostri giorni e della quale i più noti filosofi non sono ch'e gli esponenti, identici pur nella loro diversità. Essa non ha dommi, poiché il suo convincimento fondamentale è che non ci sono cose esistenti se non le pensate: Dio, come la materia, si esaurisce nel pensare che lo si fa e risiede intieramente in 'questo pensiero. La nozione che la conoscenza possa scuo-prire qualche cosa o che qualcosa prima esistente possa esse; rivelato è anche esclusa; poiché non c’è nulla da scuoprire è. se anche ci. fosse, la mente non potrebbe raggiungerlo: essa non raggiunge che l’idea suscitata dalle profondità sue proprie. Questa idea può essere giustificata o resa necessaria dalla sua dialettica interna, nel pensiero o* nella volontà, ma non mai da una misura esterna, oggettiva.
Un tale soggettivismo non è irreligioso. Esso è mistico, fedele, entusiastico; ha tutte, le qualità che diedero al protestantesimo primitivo la sua forza religiosa. È ribelle a ogni autorità esterna, conscio di una luce interiore e di un dovere asso
luto. La sua fede è una fiducia profonda nell’istinto e nel destino. Più che religiosa essa. è romàntica. Accetta appassionatamente le ispirazioni del sentimento o deH’impulso; disprezza la prudenza e la conoscenza chiara. Nel Faust e in Peer Gynt abbiamo un’eco poetica della sua ispirazione fondamentale, libera da formule teologiche o da pose accademiche. È l’avventura di una mente fanciulla, primitiva, selvaggia, che ora fa l’angelo e ora l’egoista vizioso e capriccioso; uh ribelle e un entusiasta, spesso sensuale; una umanità avida di esperienza, ma cieca alle sue lezioni, ardimentosa e senza scrupolo, nella persuasione di essere in possesso di un potere magico col quale valga a ridurre il mondo intorno alla sua volontà.
Felicità e disperazione sono egualmente impossibili in un temperamento siffatto. TI suo empirismo è.perenne. Esso non può perdere la fede nell’impulso vitale che lo domina, non prendere molto sul serio i fatti esterni, i quali non sono che simboli del suo intraducibile impulso. •
Questa specie di agnosticismo è espressa in tono minore nelle Critiche di Kant, in tono maggiore da Nietzsche, .che proclama di preferire l’illusione alla verità. In forma più mistica essa pervade tutti i pensatori che'stanno fra l’uno e l’altro. Più essi sono profondi e più godono nel non considerare che le loro creazioni. Fichte empie il mondo dell’io tedesco, Hegel divinizza,- come suprema espressione della realtà, lo Stato prussiano. La conoscenza è per essi tutti l’autobiografia della loro illusione.
»
)
50
236
BILYCHNIS
I .tedeschi esprimono questa limitazione della loro filosofìa chiamandola idealismo. J n parecchi sensi essa è idealistica. Psicologicamente, perchè riguarda la vita .mentale senza fondo e infinitamente comprensiva c nega l’esistenza d’un mondo materiale. Dialetticamente, perchè sottopone- alla realtà d’esperienza una base <li concètti e non di dateria; una fantastica costruzione di leggi, categorie, forme pure, che son le stoffe aeH'espcriènza e le dànno un contenuto intelligibile. Moralmente, perchè stimola ad andare diritti dietro a un assoluto, senza guardare a ri percussioni e conseguenze. La' parola idealismo usata in questo senso non deve ingannarci; essa indica simpatia .con la vita e con le sue passioni, particolarmente •quelle dell’uomo colto e del politico; non indica punto indifferenza per basi od agenti materiali; spesso anzi si getta su questi furiosamente, cercandovi la realizzazione del suo torbido sogno, identificato con l’assoluto. c
Ma la parola idealismo ha uh senso, l’originario, che è ignoto a questa filosofia; il senso platonico, secondo il quale l’ideale è qualche cosa, di meglio del reale e del fatto. L’antico idealista cerca in ogni cosa non la realtà, ma il perfetto ideale che essa suggerisce e cui vien meno; egli desidera la contemplazione serena, una aspirazione incandescente che dalle cose del senso si eleva alla bellezza immateriale; disprezza la terta e si eleva al cielo.
I tedeschi odiano qùesto idealismo, lo credono non solo visionario, ma empio: poiché la loro religione prende la forma di pietà 'e di affetto per ogni cosa e possesso e gioia terrena e ne ha sete. Essa è il culto della attualità: vuol sempre più della stessa cosa, ama la gioia vitale della transizione, della lotta e della conquista. Essi soffrono e si agitano continuamente e, con un curiosò e profondo istinto animale, esaltano e santificano questo cruccio perenne che, li tormenta c li fa selvaggi; dichiarandolo assoluto, infinito, ■divino.
La loro teoria trascendentale di un mondo costruito dall’io e la volontà che si crede assoluta sono certo disperate illusioni; *ina non molto più disperate e più vane di sistemi che altri milioni di uomini hanno accettato. Essa dottrina ha tutti i caratteri di una nuova religione. Il fatto che le religioni esteriori dei tedeschi sono ancora forme di cristianesimo può illudere sui
caratteri essenzialmente pagani della nuova fede; essa passa per il credo di pochi estremi, mentre in realtà domina il giudizio e. la condotta della nazione. Non c’è mai stata più salda tirannia religiosa; essa ha i suoi profeti nei grandi filosofi e storici del secoli scorso, i s,uoi preti nel .governo e nei professori, i suoi fedeli nella massa della nazione, i suoi eretici nei pochi socialisti dissidenti; ha ora i suoi martiri,a milioni, nei combattenti e le sue vittime, anche più numerose, in tutto il mopdo.
IL MISTERO DELL’ÀNIMA RUSSA
• 1 russi sono un popolo mistico. Ciò è noto a tutti gli occidentali da quando Melchior de Voguè scrisse il suo celebre libro: Le roman russe e i romanzi russi invasero l’occidente. La recente rivoluzione, con le sue strane vicende, la propaganda dei bolsceviki per la pace, il furore delle Eiù strane teorie di collcttivismo c di caternità universale, che sottraggono gli animi alla considerazione della realtà concreta c del- pericolo tedesco, hanno confermato questa opinione. Lenin, a parte l’oro, o meglio, la falsa carta-moneta di origine tedesca, sembra quasi il pensiero di Tolstoi fatto azione.
• Per non esagerare in questa direttiva di giudizio, giova tener presente quello che un russo, il quale firma Minski, scriveva nel Pays del 25 settembre scorso:
« Il fatto è che di tutti i popoli della terra i russi, o in ogni caso gli intellettuali russi, sono i meno mistici; e il pacifismo è diretto da intellettuali. Il russo è sobrio di spirito, un poco scettico, un poco beffardo, ferocemente nemico delle astruserie metafisiche, amico della chiarezza e dell’ordine, proprio come il latino. La Russia, che ha dato al mondo i più grandi, scrittori ed artisti — è Minski che lo dice — non ha dato un solo metafisico di valore. I nostri intellettuali non subirono l’influenza che di pensatori materialisti e Ì»ositi visti. Il movimento della nostra iberazione, che cominciò verso il 1860, avvenne tutto sotto il dominio spirituale dei materialisti inglesi e tedeschi, come Darwin, Ruckle, Moleschott, Bùchner, Hacckel. Poi Spencer, Stuart Mill, Ave-narius, Marx, Froudhon, regnarono sullo spirito di due generazioni. Il rivoluzionario russo è figlio intellettuale di Comte, non di Kant ».
51
TRA LIBRI E RIVISTE
E allora, a dire il vero, incominciamo a capirci qualche cosà di più. Questo materialismo di importazione, unito al misticismo semplice e grossolanamente superstizioso della immensa massa rurale, ha prodotto un miscuglio la cui forza disgregatrice è enorme. Poiché se c’è qualcosa incapace di dare a un popolo unità c disciplina interiore è appunto il materialismo.
Il Minski attribuisce le recenti vicende a un altro istinto profondo, ed universale . del popolo russo: la sete di eguaglianza, la persuasione dell’eguale valore degli nomini. « La personalità russa fu per secoli compressa sotto il peso enorme di uno Stato senza limiti. Ma, in luogo di’ essere schiacciata dal peso, essa si è concenti ata edj&univcrsalizzata. L’ultimo dei moujiks si crede e si sente eguale al primo dei principi, e il più raffinato deeli intellettuali non si crede superiore all’ultimo dei moujiks Da quando un raggio di libertà ha rischiarati la nostra vita sociale, un grande movimento sorse fra di noi, conosciuto sotto il nome di oprochenié, una tendenza a vivere come i più semplici e i più umili. Tolstoi non fu il creatore di questo movimento, ma la più perfetta delle sue manifestazioni. Vedete. Il caso Raspoutine è restato per noi un fatto scandaloso, fantastico e inesplicabile, perchè voi non ci'avete visto che idue strati di fango che lo circondavano: il fango della lussuria sensuale e quello dell’intrigo politico. Ma non avete notato che in quel fenomeno si rivelava un tratto. ¡»rezioso della psicologia nazionale russa: a fede sincera di un moujik. nella sua divinità che lo faceva uguale allo czar e l’umile acccttazione da parte dello czar di¿questa eguaglianza...
« Ecco perchè ogni idea sociale o morale che ci viene di fuori muta subito di colore e di essenza, presso di noi. L’evangelo, maneggiato dai metodisti c dai quaccheri, è diventato lo strumento della cultura americana. In Tolstoi, l’evangelo diviene un gesto di negazione universale, uno strumento diretto contro la civiltà, contro la scienza, contro le macchine, Contro ogni attività intellettuale, in nome del lavoro primitivo del moujik. Perchè? Perchè chi dice civiltà dice creazione di ricchezze e chi dice creazione di ricchezze dice ineguaglianza.
«E come il cristianesimo nelle mani di Tolstoi, il socialismo nelle mani dei rivo
luzionari più avanzati è diventato un gesto di negazione .sociale, uno strumento diretto contro- la politica* contro lo Stato, contro la guerra condotta dallo Stato. È la stessa sete di eguaglianza., la stessa rivolta contro la civiltà, che gli uni chiamano ricchezza, gli altri capitalismo, che gli uni disprezzano e gli altri odiano. Qui si nasconde la causa intima dell’antagonismo feroce e implacabile che divideva l’drganizzatore Marx dal disorganizzatore Bakounine...
t Questa tragedia imminente di tutta la nostra rinascenza si^è ora rivelata dalla guerra. Ma noi la conosciamo da tempo: Noi sappiamo che la nostra tendenza verso l'eguaglianza assoluta ha due poli: l'uno negativo, nel quale la forza di creazione svapora nel vuoto di un livellamento universale, l’altro positivo, in cui la fede nell’eguaglianza di tutti fa nascere nn amore universale: non l’amore-Eros, volto verso le cose e gli oggetti, ma l’amore-pietà, il cui unico oggetto è l’essere umano ».•
Auguriamoci che questo amore nasca presto e si disciplini a Stato e a potenza -militare, se no, sarà per i russi l’eguaglianza ... nella servitù peggiore dell’antica.
LA RELIGIONE DELLE UPANISAD
« L’India comprese che quando noi, con barriere fìsiche e mentali, ci separiamo violentemente dall’inesauribile vita della natura, quando diventiamo soltanto uomo e non uomo nell'universo, poniamo dei problemi complicati, ed avendo chiusa l’origine della loro soluzione, andiamo tentando ogni sorta di metodi artificiali, ciascuno dei quali porta la sua messe di interminabili difficoltà ». Andare oltre tali barriere è dunque la dottrina sacra della India, espressa specialmente nelle Upani-sad; considerare ogni cosa esistente nel mondo come circondata da Dio, acquistare coscienza del tutto nelle singole ¡cose e di Dio nel^tutto, vivere, agire e trovare la propria gioia nello spirito dijj Brahma.
Esposizione breve, immaginosa, freschissima, piena di fascinoceli questa sapienza religiosa indiana è Sàdhanà. Reale concezione della vita di Rabindra Nath Tagore, trad. di AugustoxCarelli, Carabba edit.. Lanciano.,
Ricordare il principiofondamentale, di questa dottrina è fuori di luogo. La vita vera è una ricerca deH’unr/d, unità soggiacente alle apparenze della molte
1161
—
52
BJtYCHNK
plicità e della individualità, e che bisogna riconquistare con la comprensione e con • l’amore. Esso principio ha avuto molteplici interpretazioni, talune delle quali sostanzialmente pessimistiche. Questa che ce ne da il Tagore è invece piena di sano ottimismo. L'identità, per lui, del finito e dell’infinito non è annullamento del primo e quindi anche, logicamente, del secondo. Egli non è un metafisico c non fa opera di metafisico, ma anzi scarta con un gesto delicato e felice la risoluzione trascendentale degii esseri nell’essere. « L’eterno problema della coesistenza dell'infinito col finito, dell'essere supremo con l'ànima nostra è il sublime paradosso posto all'origine stessa della nostra esistenza. Noi non abbiamo mai la possibilità di studiare estrinsecamente, perchè non possiamo mai metterci al di fuori del problema,' e confrontarlo con ima qualche altra possibile condizione d’essere. Ma il problema esiste soltanto nella logica, nella pratica non costituisce alcuna difficoltà. Logicamente parlando là distanza tra due punti, per quanto piccola, può sempre considerarsi infinita, essendo infinitamente divisibile. Ma di fatto noi attraversiamo l'infinito ad oeni passq, ed ogni momento ci troviamo faccia a faccia con l’eterno. Perciò alcuni nostri filosofi sostengono che le cose finite non esistono, ma sono màyà, illusione; la realtà è l'infinito, ed è soltanto màyà. l’irrealtà, che produce l'apparenza delie cose finite. Però la parola maya non è che un nome, e non dà quindi alcuna spiegazióne; ci dice, unicamente che .insieme con la verità esiste questa apparenza che è l’opposto della verità; ma in «he modo esse possano coesistere, resta incomprensibile». '■ *
Il mondo è creazione di Dio nella gioia. Il ritorno à Dio, di questi frammenti d’essere, per la .traccia divina che essi trovano in sé e nel mondo circostante, si compie anche esso nella gioia, come un mistico riconoscimento dello sposo. bellezza è la rivelazione della presenza di Dio nell’universo; in questo senso tutte le cose son belle, in quanto, luci e ombre, concorrono a questa rivelazione, la integrano, le dànno la sua potenza dinamica, il suo fascino. Il dolore deve avviarci a cercare questa bellezza e questa gioia; esso ci ammonisce della vanità del desi- . derio c dello sforzo rivolti altrove. Darsi c a Dio, perdersi in Dio, raggiungerlo, non mediante la conoscenza, ma mediante
l’amore è quindi la religione vera, la sag-Sezza della vita. « Nel conoscere per mezzo èH’intelletto noi restiamo distinti dall’oggetto della nostra conoscenza, mentre l'amore conosce il suo oggetto per mezzo della fusione. Una tale conoscenza e immediata e non ammette dubbio. È come conoscere il nostro stesso io, ed. è di più »;
L’Occidente, osserva il Tagore, quantunque abbia riconosciuto per suo maestro colui che proclainòarditamente la sua unità col Padre, e che esortò i suoi seguaci a divenire perfetti, come Dio, tuttavia non si è mai riconciliato con questa idea della unità nostra con l’essere infinito. Con questa osservazione, il Tagore solleva il più straordinario problema racchiuso nella storia del cristianesimo occidentale. Questo è stato, sempre e dovunque, potente-mente individualista. Il Gesù giovanneo, nel quale c'è tanto sapore di Oriente, è rimasto una disquisizione teologica o un poema mistico, senza alcuna influenza viva sulla grande corrente religiosa cristiana. Una dottrina che divinizza l'uomo, la germanica, ci si offre come una sostanziale * negazione del cristianesimo occidentale e latino, ma insieme, con il suo feroce attivismo, ci allontana anche più che non avesse già fatto il cristianesimo paolino, dalla saggezza orientale dell'unità profonda dell’uòmo col tutto; unità che, con un'altia parola vuota di significato, è chiamata panteismo. Una volta che volgersi'verso l’Uno è insieme trovare il segreto della propria libertà e ricchezza interiore, perdersi è trovarsi.
Sino a che punto questa calda c imma-' ginosa poesia, percorsa da una così pura vena di misticismo, è autenticamente indiana? Qualche volta par di sentire un'eco di pagine del Royce. Certo questo Sàdhanà è di una incantevole freschezza; e ci rinfranca della accasciantc monotonia dei nostri moralisti e mistici cristiani, cosi raramente personali.
IL MATERIALISMO ATTUALE
Alla vigilia della guerra usciva á Parigi con questo titolo un volume, nel quale erano raccolte talune conferenze, tenute per iniziativa di Fot et Vie (Flammarion édit.), che esaminavano, sotto vari aspetti, la fortuna e la crisi del pensiero materialista. Talune di queste conferenze sono notevoli; l’esperienza spirituale fatta du-
53
TRA LIBRI
rante la guerra ha messo in maggior rilievo il loro, contenuto. 11 Poincaré, l'illustre matematico poi morto, esaminava le più recenti concezioni scientifiche della materia, mostrando come la nozione 'di quantità e di estensione che essa sembra includere divenga sempre più discutibile ed evanescente. Gaston Riou riassumeva con molta efficacia il passàggio del pensiero francese dal naturalismo positivista^allo psicologismo e all’idealismo morale attraverso tappe rimaste celebri: la pubblicazione- del Roman naluraliste. di F. Brunetière. nel 1882'. quella del Roma» russe, di M. de Vogtìé. nel 1886. del Disciple di|P. Bourget. nel 1889. L. Taine, dopo aver letto il Disciple. esclama va: • La nostra generazione è finita». Seguirono, nel 1892. la fondazione deH'L’nww pour ì'Actìoji morale, per opera di P. Desjardins e di I. Lagneau, la conversione di F. Brunetière al cattolicismo, i vari movimenti dei giovani sino al vivacissimo risveglio spiritualista di questi ultimi anni. Cn. Gide esamina l’evoluzione dell’idea di ricchezza: desunta prima da cose e beni materiali, poi dal lavoro gelatinizzato, poi dal - valore, fatto d’indole. psicologica, infine dalla fiducia e dal credito, sinché si delinea una. nuova concezione morale che. attraverso la potenza, giunge al servizio sociale.
H. Bergson, nella prima conferenza, si occupa dei rapporti fra l’anima e il' corpo, e su di essa, di gran lunga la più importante del volume, vorremmo richiamare meno fugacemente l'attenzione. Il problema-dell’anima e del corpo e dei loro insieme non può più essere posto come per l’ad-dietro; esso si riduce all’esame del rapporto ira il determinismo di una entità fisica; riassunta nel cervello, e l’iniziativa, la contingenza, la creatività dell’atto cosciente e volontario.
La questione di metodo per il filosofo è così postarla! B. < Alla filosofia incombe l’ufficio di studiare la vita dell’anima in tutte le sue manifestazioni.* Esercitato al maneggio della osservazione interiore, il filosofo dovrebbe discendere dentro di sé. poi. risalendo alla superfìcie, seguire il movimento graduale per il quale laico-scienza si distende, si amplia, si prepara a svolgersi nello spazio. Assistendo a questa materializzazione progressiva, spiando i passi della coscienza Che si esteriorizza, egli avrebbe almeno una intuizioni-vaga di quello che può essere l'inserzione dello spirito nella materia. Non sarebbe.
E RIVISTE . . 239
questo, che un primo barlume, ma esso ci permetterebbe di -orientarci fra i fatti innumerevoli di quali dispongono la psicologia e la patologia. E questi, correggendo e raddrizzando l’osservazione interiore, ci permetterebbero di seguire le fasi di quel primo impulso, partito dall’in- • terno'».
Questo punto di partenza, dall’in- • &
teriorità e dalla spontaneità, è capitale.
Esso ci conduce necessariamente a concludere che la coscienza eccede e domina .-le manifestazioni dell’attività cerebrale. Se, dice il B., noi riuscissimo a vedere . tutto il movimento degli atomi nel cervello, sapremmo che qualche cosa avviene hello spirito, ma non sapremmo che cosa. Vedremmo, di uno scopo interiore, quello che gesti <* movimenti del corpo possono indicare: saremmo' come, chi vede una azione drammatica sulla scena, ma non sente le voci degli attori. Non che qualsiasi pensiero o scopo si adatti a qualsiasi gesto: ma a ciascun gesto, 0 gruppo di movimenti, si {possono supporre, dentro una certa sfera, diversissimi atteggiamenti spirituali. vfi Questi movimenti? della materia cerebrale, se veduti esattamente, ci rivelerebbero un principio di azione o di esecuzione: un mimetismo destinato a provocare reazioni muscolari, a méttere in moto il corpo, ad attuare una intenzióne, a collocare la volontà nel canapo concreto ed esterno delle sue realizzazióni. Le lesioni dell’organismo, come, ad esempio, le varie formeydi afasia, ci mostrano non che l’attività spirituale cessa, ma che ne è viziato il rapporto' normale con le. contingenze esteriori: essa non può più organizza: si in vista di un fine pratico.
.11 corpo è dunque : unojstrumento di inserzione dello spirito nell’attività concreta spaziale. un mezzo, per la volontà, di inserirsi sui corso del determinismo, di dirigerlo» di svolgere il dinamismo della '
volontà e dell'azione: una logica interiore, immensamente più complessa e più ricca delle realtà esterne, libera,*’creatrice, si fa storia, si organizza in personalità morale, fa del mondo del determinismo un mondo di fini.
Ciò. conclude il B., ci autorizza a ritenere che le vicènde dello strumento sono altresì vicende dello spirito, solo in quanto quello gli s^rve, ne condiziona l’attività, gli viene a '’mancare: ma l'uno e l'altro non si identificano. Quello che avviene nel cervello ha con l’insieme della
54
2^0
BILYCHNIS.
vita cosciente il rapporto che la bacchetta del maestro d’orchestra ha con la sinfonia. Come questa eccede da ogni parte il movimento che la scandisce, così la vita dello spirito eccede il cervello. E come la sinfonia non si esaurisce col movimento della?bacchetta, così questa vita di coscienza non cessa col cessare della pantomima cerebrale che la scandisce.
POSITIVISMO E MORALE
Luigi Credaro ristampa,'con una sua prefazione, un volume di Aristide Gabelli: L’uomo e le scienze morali, pubblicato la prima volta dall’A. nel 1869. Nella prefazione il Credaro riassume brevemente le vicende della filosofia italiana nel secolo scorso, sino al positivismo, che vigoreggiava in Francia, ai tempi della giovinezza di A. Gabelli, con Littré, Taine e Renan. Di questi il Gabelli è discepolo; e tutta la sua pedagogia e filosofia morale si ispira a un razionalismo empirico, sobrio e prudente, che doveva tuttavia aprir la strada al grossolano materialismo ‘che, negli anni seguenti, condotto per mano dalla psicofisiologia, invase largamente anche gli studi pedagogici, con grande danno della scuola italiana.x
Di questo volume,del G. Giov. Gentile," nella sua storia della filosofia italiana, dava il seguente giudizio: « Un saggio piuttosto popolare di morale utilitaria e di conseguente pedagogia morale e giuridica, confortato da alcune osservazioni di metodo ’ scientifico, ossia di filosofia positivistica ».
La. differenza che passa fra Gabelli e il materialismo pedagogico venuto dopo è »uella appunto che con e fra il metodo e sistema, fra l’ipotesi e la tesi. Il metodo, per esseie inteso ed applicato come tale, esige assai maggior finezza di giudizio e senso di relatività; in quanto.metodo, è un punto di vista, un procèsso di astrazione. un tentativo di sintesi soggetto sempre a revisione. Vengono poi i superficiali e del metodo fanno un sistèma, dell'ipotesi un domma, della realtà che era già un fatto logicò la realtà sic et simpìiciter.
A proposito delle polemiche sul suo libro. A. Gabelli dichiaiavà: • Confondere il positivismo cól materialismo, come suol fare la maggior parte, è confondere un metodo con un sistema; e un metodo che si confessa inetto à risolvere certi problemi con un sistema che fa professione di risolverli ».
E del materialismo, nei Pensieri, raccolta postuma di E. Trezja, esprimeva questo giudizio: • Il materialismo, come teoria filosofica, riappare in tutti i periodi di incremento delle scienze positive. Appunto perciò si ridesta nel secolo xvill. Era possibile che non vigoreggiasse nel nostro? Ora è più ardito, più pretenzioso, più audace: ma i risultamenti saranno i medesimi delle altre volte, poiché nessuno potrà dir mai come la materia pensi-».
Non materialismo, dunque, la dottrina morale del Gabelli: ma una specie di agnosticismo metafisico e di empirismo morale, temperato dalla tendenza a dedurre umanisticamente le norme della vita morale dalla universalità della. ragione pratica, affinantesi con lo sviluppo della cultura c con l’educazione. A un certo punto del suo libio il G. scrive: • Il bene non è altro che il vero, il quale viene scoperto- a poco a poco dalla ragione: e la coscienza morale è sempre relativa allà civiltà’e riflette l’istruzione ricevuta».
Ed altrove: » I) bene è l’utile non dell’individuo, ma quello necessario e stabile della specie e dell’ente uomo ». Una specie di ordine naturale,- di gerarchia spontanea dei valori, che ci si rivela nelle stessa ob biettivaconoscenzadi noi stessi edel mondo ■Quest’ordine, questa valutazione, in ultima analisi, è lo spirito stesso, la coscienza, che lo- pone nel mondo; essa deve quindi, in una dottrina morale che voglia davvero cercare la giustificazione prima della .morale stessa, essere spiegata,* non come lezione data dal mondo oggettivo allo spirito, ma come creazione dello spirito medesimo. La ragione conduce alla'j moralità solo perchè essa è un atto di volontà che. ponendosi ad agire nel mondo, vuol comprenderlo. La storia rivela un ordine morale nella vita e nel mondo solo nella misura iri cui essa lo fa.
Il Gabelli, come tutti i positivisti, scambia quindi per moralità il riflesso dello spirito etico fuori di sé; e non può che illustrare questo riflesso, ignaro delle ragioni fondamentali della stessa moralità. Per ciò stesso questa, morale riflessa, esteriore ed utilitaria non può avere un- calore di fede, una seria efficacia educativa: ; non vale che come cultura intellettualistica intorno ai problemi morali. Nè questo significa toglierle ogni valore. Per molti, che non sentono il problema metafisico, potrà anzi essere una utilissima ¡pedagogia.
T
55
TRA LIBRI E RIVISTE
GIACOMO BARZELLOTTI
Moriva nell'agosto scorso, in una sua villa sotto il monte Amiatà, il sen. Giacomo Barzellotti, per molti anni titolare di storia della filosofia nella università di Roma. Se scarso fu il frutto del suo insegnamento ed egli non ebbe allievi veri, vasta ed assidua fu la .sua operosità di scrittore: e si occupò, non di filosofi solq, ma di letterati e di artisti e di riformatori religiosi c di storia civile e di politica-Difficile è assegnarlo ad una particolare corrente filosofica, trarre da’ suoi scritti una dottrina fondamentale. Si tenne al momento negativo, adogmatico, della critica kantiana; prima di occuparsi di filosofia e di storia della filosofìa, egli aveva in realtà negato la possibilità dell’una e dell’altra, quando si chiedesse alla prima altro e più che il mettere in mora le pretese della ragione speculativa ed alla seconda il farsi, attraverso i filosofi; di una filosofia, con le sue immanenti esigenze dialettiche di* sviluppo. Egli era dunque di là della metafisica trascendentale tedesca e si iscrisse fra i neo-kantiani: e nella più recente filosofìa francese vide solo un approfondimento del metodo psicolo-fico e nella inglese un affinamento dei-empirismo.
Mancandogli una vera filosofìa costruttiva, il B. si tenne dall’una parte al positivismo dottrina e metodo della pura indagine sperimentale — dipendendo in ciò specialmente dal Taine; e, dall’altra, nello studio di fatti e della vita dello spirito, indulse ,a quell’altra specie di empirismo che è l’intuizionismo mistico; e il frutto più studiato e più maturo delle sue ricerche è la duplice vita di David Lazzaretti, un mediocre mistico popolano della parte d’Italia che egli più specialmente amò, un fenomeno singolare e curioso di revival evangelico autoctono e •fanciullesco, un poco di medioevo italico sperduti» in pieno secolo xix. Ma.il B. non riuscì ad
animare il suo soggetto, dinanzi al quale non seppe essere nè puro critico nè puro artista.
Questo discorde atteggiamento fondamentale, di critico e di artista, la costante ricerca della bellezza nelle opere di pensiero (per la quale da taluno fu iscritto fra i platonici) e di valori universali nei frammenti di storia e di cultura che egli esaminò con temperamento di artista, è il carattere comune deH’opera del B., e ne spiega la scarsa efficacia. Forse è vero quel che alcuno ha osservato; che un tale stato di animo era soprattutto propizio alla facile e immaginosa conversazione: ed egli fu soprattutto un conversatóre, opera che non jimane.
Per lo stesso difetto di un giudizio c di una valutazione propria,'personale, saldamente stabilita, della realtà e della vita e valori dello spirito, il B. doveva esser condotto a cercare un solido appoggio ai suoi giudizi pratici fuori di sè,.nella tradizione e nel potere costituito: e fu un conservatore in religione, come in politica e in arte e in filosofia. In religione, specialmente. Il kantismo fu per lui, come ho detto, una specie di agnosticismo critico; l’estetismo Ìli tolse l’apprezzamento dei supremi va-ori morali e fece di lui un raffinato dilettante. Egli ebbe quindi solo una i (bigione per gli altri; e, in Italia, la religione per gli altri, di quelli che non la sentono in sè, è il cattolicìsmo. Ed esaltò, specialmente, il vantaggio politico che una dottrina e un partito conservatore potevano trarre dalla religione tradizionale: pessimo modo di sostenere. una religione, il quale rivela in chi la usa una speculazione di interessi e contrasta con la tendenza fondamentale della età nostra, che è verso la libertà e l’autonomia.
E questo spiega perchè G. Barzellotti, che ebbe pure qualità esimie di studioso e di scrittore, morendo non fece che finir di morire.
56
9
242
BILYCHNIS
LETTERATURA DI GUERRA
SE DIO REGNA...
<l)àl!a rivinta americana Tht óitllook del 27 giugno «917).
Se Dio regna perchè non mette un termine a questa terribile guerra? Egli potrebbe facilmente, annientare gli eserciti del Kaiser con un terremoto, come furono’ distrutti Datan e Abiram; Egli potrebbe distruggerli mediante una pestilenza, come furono distrutti gli Assiri... Perchè non lo fa?
Rispondo: Perchè Dio non è un autocrate; Egli non governa in questo modo, fc un Dio democratico; governa gli uomini insegnando loro a governarsi da sé. Per lo meno. così Dio è rappresentato nella Bibbia.
Geova era re dei Giudei, ma non impose la sua autorità ai Giudei. Essi lo elessero loro re* Egli chiamò Mosè sulla montagna e gli disse di riferire al popolo che il Dio. che li aveva liberati dall’Egitto, sarebbe loro, re, e ch’essi sarebbero per lui un popolo di sacerdoti e una nazione santa, purché lo accettassero e fossero ubbidienti alla sua legge e si mantenessero fedeli alla costituzione ch'ei proponeva a loro. Finché Mosè non ebbe riferito questo «messaggio al popolo e finché il popolo non ebbe votato accettando la proposta, .Geova non prese possesso del suo regno. Egli fu un re costituzionale: i rapporti tra lui e il suo popolo erano definiti* da quello Statuto. Quando fu violato dal popolo, egli distolse la sua protezione. S'egli l’avesse violato, il popolo avrebbe avuto il diritto di rompere* ('alleanza. Più di una volta i profeti chiesero ad Israele che cosa avesse fatto Geova che giustificasse la loro inosservanza del patto tra essi e il loro ce.
Gesù è chiamato Re dei Re e Signore dei Signoii. In che modo esercitò egli la sua autorità? Soltanto su coloro che Faccettarono. 1 suoi sudditi erano tutti sudditi volontari. La dimostrazione evidente sia delia natura, sia della portata di questa autorità è fornita da un fatto successo
verso la fine della vita del Maestro. Per porre un termine all’inopportuna disputa per il primato tia i suoi discepoli e pei insegnar loro il significato della sua dichiarazione che nel suo regno'chiunque vuol esser grande dev’essere il servitoredi tutti ». égli si cinse con un asciugatoio e si pose a lavar loro i piedi. Pietro protestò contro questo rovesciamento di posizioni: • Giammai », egli disse, • tu mi laverai i piedi -. Gesù rifiutò di dai e una spiegazione qualsiasi: ma semplicemente rispose: « Se non ti lavo, tu non hai alcuna parte con me ». Gesù non vuole esercitare alcuna autorità eccetto che su coloro i*quali si sottopongono alla sua autorità; ma d’altra parte, ci non vuole avere alcuna sottomissione incompleta o esitante.
v La legge di Dio », dice il profeta, - uscirà da Sion », vale a dire sarà fondata sul rispetto e sulla coscienza. « La legge di Dio dice il Salmista », è perfetta, perchè converte d’anima ». • La legge », dice S. .Paolo, ” è scritta nei cuori degli uomini ». Lo scopo della legge di Dio non è di coartare la condotta degli uomini, ma di cambiare il loro carattere. Quindi la sua legge è una legge di libertà.
Tale è Dio. quale la fede dell’Ebreo e del cristiano lo concepisce. Il suo regno-è un regno volontario; nati in esso, ne possiamo uscire: nati fuori di esso, vi possiamo entrare. Possiamo o no appartenervi a nostro piacimento. - Il regno dei cieli », dice Gesù. • è dentro di. voi»; oppure, come leggono altri. « è fra di voi ». Ambedue le traduzioni sono corrètte; ambedue le traduzioni contengono lo stesso significato. Il regno è fra di noi perchè è dentro di noi.
Si supponga che Dio, per onnipotenza, distrugga l’esercito tedesco. Il solo risultato duraturo sarebbe di confermare il mondo nel concetto che la forza crea il diritto. Un nuovo Kaiser mobiliterebbe un nuovo escicito. Le nazioni della terra continuerebbero la loro vecchia egoistica politica e ricercherebbero Iddio come alleato
57
TRA LIBRI E RIVISTE
243
per aiutarle nei loro disegni. La guerra d’oggi potrebbe terminare, ma il mondo, cioè la razza umana, rimarrebbe immutato.
Ora invece la razza umana non è immutata. Essa sta imparando, alia sóiola dell’amara esperienza, lezioni che non dimenticherà ^giammai.
Il mondo sta prendendo lezioni di onestà nazionale e queste lezioni si chiamano: l’ifiviolabilità dei trattati, la santità della legge, i diritti dei neutri e dei non combattenti, il fatto che gli obblighi fondamentali tra uomo e uoinonon possono essere cambiati dalla guerra.
Il mondo sta imparando a dare alia parola ■ democrazia » un significato nuovo ed un senso religioso: il diritto delie piccole nazioni di esistere, di vivere la propria vita, di pensare il proprio pensiero, di dare il .proprio contributo alla civiltà del mondo. •Nel T864 Abramo Lincoln diceva: « È perchè-ciascuno di voi possa avere, per mezzo di questo libero governo di cui ab-, biamo goduto, un campo aperto ed una buona occasione per la propria industria, iniziativa ed intelligenza; è perchè voi tutti possiate avere uguali privilegi nell’agone «lolla vita, con tutte le sue aspirazioni umane più desiderabili; è per questo che la lotta dev’essere proseguita, onde non perdiamo il nostro diritto di nascita... Merita chela Nazione combatta pei assicurarsi un gioiello di cosi inestimabile valore ».
Per questo, oggi combatte il mondo civilizzato. Nella pugna egli impara ciò che pi ima non aveva mai conosciuto, quale gioiello senza prezzo sia il diritto dell’umanità..
Il mondo sta imparando un nuovo internazionalismo: un internazionalismo che ti ascende tutti i trattati e tutte le diplomazia; un internazionalismo chi impedirà per sempre a qualsiasi nazione civilizzata •di dire che la lotta per la vita c per la morte di un’altra nazione è una faccenda che non riguarda il neutrale; un internazionalismo che creerà nella coscienza nazionale il senso che nessun popolo può vivere per se stesso; un internazionalismo che vincolerà le une alle altre le nazioni della terra in una fraternità ti ascendente tutte le fraternità di credi e di razze, perchè le comprende tutte «piante. De Tocqueville ha detto che c’è una differenza tra l'amore per la libertà di un francese è quello di un americano. Il francese ama la libertà per se.stesso, ma l'americano l’amà anche pel suo vicino. Questa differenza è distrutta nel fuoco
della presente guerra. Americani, Inglesi, Francesi, Italiani stanno combattendo per la libertà reciproca, non solamente per la propria.
Il mondo impara a nuovo tanto il significato quanto il valore della pace. Tre anni or sono alcuni filosofi e filantropi stavano cercando qualche metodo migliore della guerra per.sistemare le dispute internazionali. 1 loro sforzi erano piuttosto generalmente considerati con una ironica indifferenza dagli uomini impegnati nella politica pratica. Oggi, i grandi statisti della Russia, dellTtalia, della Francia, dell’Inghilterra, degli Stati Uniti si consacrano con ardore alla ricerca di qualche metodo pel quale la sciabola possa essere scoronata, pel quale sia reso sicuro alla gente che ama la pace di - trasformare le spade in vanghe e le lancie in falci ».
Il mondo impara per esperienza il caratici e sacro del sacrificio personale. La espressione: - Salvati pel sangue del figliuol di Dio •• che è stato alle volte un ritornello pei pietisti e spesso uno scandalo per gli scettici, sta assumendo un nuovo significato nella tragedia di quest’ora. I.e storie della guerrqillustranoquesto cambiamento. ■ Non posso descrivervi » dice un personaggio del libro La zia Sara e la guerra — " con quale nuova, maravigliosa gravità 1«) zio Filippo, che non aveva fatto altro che scherzale del continuo con noi, disse:
Dio diede il suo unico figliolo. E così hanno fatto questi, padri si, veramente, c anche queste madri Marie. Dio diede un luglio — ed*in quel momento parlò con una specie di esaltazione ch$ Io trasfigurava — Dio diede un Figlio e alcuni di questi padri hanno datò due figli ». •
Si crede generalmente <he. nel suo lavoro Il sig. Britling ci vede chiaro, il romanziere H. G. Wells, abbia descritto le proprie esperienze religiose, ed il più recente volume del Wells, Dio, l’invisibile Re ci fornisce in proposito altri elementi. « Il vero Dio del Cristiano >. dice il sig. Britling dopo che suo figlio è stato ucciso in battaglia, « è Cristo, non Dio onnipotente; un povero Dio vilipeso e ferito, inchiodato sopra una croce di legno. Un giorno egli trionferà, ma non è il caso di dire ch’egli ora governi ogni cosa.
«... Un Dio finito che lotta nella sua via, glande e comprensiva, come noi lottiamo nella nostra via. piccola e bassa — che è ‘con noi — questa è l’essenza di ogni vera religione ».
58
244
• BILYCRNI*
È forse questa l’ultima parola che possa dire, riguardo a Dio, la fede cristiana? No. Non esiste l'ultima parola. Il sig. Wells scrive molti libri, e la prossima sua opera sarà forse scritta per dimostrare che la lotta e il sacrificio non sono impossibili in un Dio infinito. Intanto stiamo imparando che la lotta e il sacrificio sono necessari per la nostra vita divina sulla terra, e che. col vivere tale vita, noi ci avviciniamo a Dio. Stiamo imparando che non la potenza, ma l’amore è degno del nostro rispetto; che la nostra devozione è dovuta a Dio non perchè è Onnipotente, ma perchè è Onni-amorevole.
È vano pretendere di parlare da parte di Dio o di giustificare il Suo modo di agire
verso gli uomini; ma potremo forse comprendere ciò che altrimenti rimarrebbe oscuro se sappiamo vedere che — riguardo al nostro mondo e ai diritti dei nostri compagini uomini —• il rispetto reciproco nato da un coraggio comune sul campo di battaglia, uno spirito di universale fratellanza avvincente tutte le nazioni, lutti i credi, tutte le nazionalità, un senso nuovo dell’infinito valore di una vita di servizio e dell'infinita pochezza di una vita egoistica, una realizzazione del carattere infinitamentesa-cro e solennemente sereno del sacrificio: tutte queste cose hanno fatto maggiori progressi durantegh ultimi treanni, chein qualsiasi periodo di trent'anni, e forse di trecento anni, nella precedente storia del mondo.
NOVITÀ i •
LA RELIGION par
^Reng^S morale. ALFRED LOISY
II. L’Évolution religieuse et morale.
III. Les caractères et les facteurs do l’évolution religieuse.
'v. VoL .n- pag. 3,6. Pre^.o in. Ua.ia !.. 4.70
GIUSEPPE'V. GERMANI, gerente responsabile.
Robm - Tipografia dell* Unione Editrice, Via Federico Ce»i. 45
59
yroviTÀ.
LETTURE DELL’ORA
Raccolta di 27 meditazioni di Riccardo Borsari.
Guardando il Sole
è il soggetto della prima meditazione, ehe dà il titolo al volumetto. Seguono:
Fides
Erano più belli del mare
Ciò che salva un popolo La forza del bene La maledizione
Spes
La via
Le risurrezioni
La generazione dell’uomo
La benedizione
La sera
Charitas
N? fiumi nè mare
Human itas !
Oremus
La cortina
Le mani alzale
Svegliamo l'aurora
La tortorella
Occhi di frale Francesco
Nequitia
Il tradimento
L'orobanche
Dolor
Ma'...
Il rotolo continua Ora cade il mondo La via del dolore
Solemnitates
I cipressi del cimitero d'A-quileia
Nel dì delle ceneri
Natale in trincea Discesa d'angioli.
Il bel volumetto-adorno di bei disegni simbolici - si vende presso la nostra Libreria al prezzo di !.. 2.
OCCASIONE FAVOREVOLE _ per 7 soii nostri Ab-bonari non morosi:
L’Amministrazióne di Bilychnis, per accordi presi cogli Editori dell’opera, può -offrire per L. 1O*SO (franco di porto) il bellissimo volume
GIORGIO TYRRELL
Autobiografia (1861-1884) e Biografia (1884-1909) (Per cura di M. D. PETRE)
Quest’opera, edita signorilmente, non può, non deve mancare nella biblioteca di quanti coltivano con amore gli studi religiosi.
Il grosso volume (680 pagine) costa normalmente L. 15.
: Rivolgersi -all* Amministrazione di Bilychnis
.NOVITÀ
ALFREDO LOISY
MORS et VITA
Prezzo l. 2
* * *
® LA BIBBIA a E LA CRITICA (Un ottimo libro scritto con dottrina, competenza e con spirito profondamente religioso e cristiano).
PREZZO L. 2
CUMONT FRANZ: Le religioni orientali nel paganesimo romano (volume di pag. 309) . L. 4 —
Profezie d’Isaia, figlio di Àmoz. Tradotte e chiarite da Antonio di So-RAGNA . . . L. 5 —
Frank THOMAS: Les heu-reux. : Etudes pratiques des Béatitudes . L. 4.30
WILSON
La Nuova Libertà
Invilo di liberazione alle generose forze di un popolo (legalo).
PREZZO L. 4
60
Prezzo del fasdcolo Lire 1 —