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ECO
DELLE VALLI VALDESI
BIBLIOTECA VALDESE
torre pel li ce
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno XCVII - N. 24
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TORRE PELLICE — 16 Giugno 1967
Ammin. Claudiana Torre PeUice . C.C.P. 2-17557
Due Moshè, due Israele
COSÌ DISCUTEVA GIOVANNI MIEGGE
Moshè, lo scampato alle acque,
guidava Israele scampato al servaggio in terra straniera, attraverso il
deserto del Sinai. In vista ormai
della terra promessa, bande di beduini amalekiti sbarrarono il passo.
Come farà poi tante volte, Dio ordinò che si scegliesse un pugno di
nomini, sarebbero bastati, chi lottava era Lui. Per una giornata, su una
altura, Moshè levò in preghiera le
mani a Dio, mentre il pugno di uomini lottava. Amalek fu spazzato.
Moshè Dayan, l’eroe del Sinai, è
Stato estremamente parco nel manifestare la propria fede nel Dio del
Patto antico. Più che a Moshè in
faccia ad Amalek (Es. 19), ci fa ripensare al realismo strategico di
Shaul in faccia ai Filistei, a Ghilgal
(1 Sam. 13), con il pizzico di astuzia di cui diede prova Ghideon con
i suoi trecento contro il campo madianita (Giud. 7); è stato pure scritto, specie in riferimento al balzo
improvviso e decisivo delPaviazione
israeliani a, che ancora una volta la
prontezza del piccolo David ha abbattuto Goliath prima di venirgli a
tiro.
Sentiamo comunque tutti una
profonda differenza, fra i due Mo
shè; fra due Israele. Israele oggi co
si complesso nella sua realtà, occi
dentale e orientale, mescolato di de
mocrazia anglosassone e di socia
lismo appreso alla scuola orientale
soprattutto diviso, non senza tensio
ni interne, fra credenti e ’secolariz
zati’, fra uomini e donne per cui
Jahvè, il Dio vivente di Abramo,
Isacco e Israele è più vivo che mai,
e uomini e donne per i quali, filtrata da una cultura illuminista, la
Torah si riduce a un sistema di
principi razionali e morali.
11 carattere polivalente della realtà M Israele » spiega forse in parte
la diversità di reazioni di fronte alla sua esistenza e alla crisi in corso
in fase acuta. Spiega, non giustifica,
a mio avviso; anche se si è visto che
Pagnello sapeva mordere, e duro,
molto j)iìi di quel che si prevedesse, ribadisco — in solidarietà con
réquipe redazionale — che significa capovolgere la realtà e falsare la
verità lare di Israele un aggressore, per quanta responsabilità possa
pesare pure sulle sue spalle. Le
« potenze « che hanno innestato senza scrupoli il loro gioco di prestigio
e predominio sul contrasto doloroso
di queste due stirpi, non hanno alcun consiglio da dare, tanto meno
alcun ordine; le Nazioni Unite che
hanno clamorosamente mancato al
loro compito, non hanno diktat morali da dettare; il Vaticano che a 19
anni dalla costituzione dello Stato
d’Israele non lo ha ancora riconosciuto, deve ammettere che i suoi
toccanti appelli alla pace sono per
lo meno equivoci.
Isacco e Ismaele sono di fronte.
Ora che abbiamo espresso ad
Israele la nostra solidarietà, nell’ora in cui lo abbiamo sentito accerchiato e in pericolo — e dopo
tutto ha dimostrato di saper f.are <la
sè! —, penso che possiamo e dobbiamo ricordargli la responsabilità
ora preponderante che grava sulle
sue spalle, non solo per ragioni
umane e storiche, ma per il Patto
che lo impegna; e chiedergli di non
cedere alla tentazione cui molte
volte, nella sua vita millenaria, ha
ceduto: quella di essere, di desiderare di essere un popolo « come
tutti gli altri ». Un popolo non è
una chiesa, certo, è un popolo. Nè
è possibile, nè lecito, dopo l’avvento del Cristo — noi cristiani dovremmo saperlo — ricostituire un
popolo-chiesa, una teocrazia (qni
sta l’ambiguità teologica fondamentale dell’Israele odierno, che vive
dopo il Cristo, ma non ha, nel suo
insieme, riconosciuto il suo Mashià).
E tuttavia, Israele, a rischio altrimenti di perdere la sua caratteristica, la sua vera e più profonda ragion d’essere, non può accontentarsi nè tanto meno desiderare di essere un popolo come tutti gli altri,
accanto a tutti gli altri. Deve ricercare e perseguire, più ancora che il
suo « genio », il suo cc dono » : la
sua vocazione nel senso biblico del
termine. Non sono solo dei cristiani
a dirlo; uomini come Martin Buber,
pur affermando il valore del sionismo, non hanno cessato di avvertire in questo stesso senso i loro
fratelli.
La rinascita d’Israele è stata nutrita di profezie antiche, talvolta
avvertite nella loro profondità di
fede, talvolta ridotte a squillanti
saghe leggendarie. Sappia Israele
nutrirsi ora di tutta la ricchezza di
questa predicazione profetica, mediti gli annunci, non certo infrequenti, che danno una portata meravigliosa e pacificatrice alla vocazione del popolo di Jahvè. Li mediti con noi, cristiani, altrettanto e
più infedeli a questa medesima vocazione, li mediti con i fratelli ’nemici’ arabi.
Poiché non c’è altra soluzione,
per tutti, che mettersi in ascolto
della parola di Jahvè; non c’è altro
serio arbitrato che il suo; non c’è
altra vera pace che la sua (Is. 2).
E’ il Signore. ' ' ■" ' ^
Gino Conte
Difesa della civillà crisliana?
L’invito è Stato formulato non da
oggi, con serietà accorata o con
drammaticità propagandistica. Esso
muove da vari punti dell’orizzonte
spirituale: dalla cultura umanistica, che sa quale pianta fragile e
squisita sia una civiltà veramente
umana, e paventa l’avvento di una
cultura tutta tecnica, cioè, in fondo,
harbara; dai circoli cristiani, giustamente inquieti per la crescente
secolarizzazione del mondo; e infine
da tutti coloro che per qualunque
motivo hanno qualche interesse, intellettuale, sentimentale, o economico, alla conservazione dell’ordine
esistente.
Si deve dire, che l’appello è seducente. La parola: cc civiltà cristiana » fa appello ai sentimenti più
alti e più intimi: la fede religiosa
e l’amore di questa civiltà, classicocristiana, che è uno dei più bei frutti — forse senz’altro il più bello —
della storia. E si deve riconoscere
che il problema della sua difesa
esiste, ed è grave.
Dopo quasi venti secoli, la civiltà cristiana rimane da fare. E dopo tutto è anche possibile — scriveva Giovanni Miegge — che il cristianesimo non sia
destinato a tradursi in una civiltà terrena, ma rimanga, fino alla fine di questa grande avventura, che è la storia degli uomini, come la sua critica perenne, e l'indice teso alla eterna Città di Dio.
IIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIII
Oonferenzii del primo Distretto
La Conferenza Distrettuale del I Distretto avrà luogo a S. Germano il 28 e 29 giugno. Il culto di apertura sarà presieduto dal
Pastore Alfredo Sonelli alle 17, nel tempio.
Si prevede una seduta serale il 28.
Quanti desiderano pernottare a S. Germano sono pregati mettersi al più presto
in contatto con il Pastore Pier Luigi falla.
La Commissione Distrettuale
D’altra parte il termine : « civiltà
cristiana » è ben lungi dall’avere
una chiarezza pari al suo valore sentimentale. Che cosa si deve intendere precisamente per cc civiltà cristiana »? Ed anzitutto, esiste, è mai
esistita una civiltà cristiana? Cerchiamo di rispondere a questa ultima domanda.
ESISTE UNA CIVILTÀ' CRISTIANA?
Quando il Cristianesimo sorse,
non si propose di creare una nuova
civiltà. Esso proclamava il messaggio del Regno di Dio che viene: i
tempi si compiono, l’evo delle umane culture volge al termine, l’ora
della grande apparizione di Dio, del
suo giudizio, della fine del mondo
è imminente. La concezione cristiana della vita è tutta dominata dalla
attesa di un domani, che non è un
domani umano. E questa attesa si
prolunga, sebbene attenuata, nei
primi secoli. I Cristiani non si occupano della « città terrena », se non
come pellegrini che cercano di assicurarsi condizioni di transito tollerabili per il loro viaggio: bontà
loro, se non rispondono alle persecuzioni con quel famoso sciopero
iiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiii
iiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiimiiiiiiiiiimtmiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiimiiiHiin
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
CHE COSA SIGNIFICA PER NOI CRISTIANI?
11 nuovo Stato ebraico
Nel 1959, su incarico del Sinodo della
Chiesa Riformata d’Olanda, una commissione aveva preparato un’ampia relazione, poi
pubblicata sotto il titolo Israël en de kerk
{in versione tedesca, Israel und die Kirche,
Zurigo 1961), « Israele e la Chiesa ». Da
vari anni il Sinodo riformato olandese sta
pubblicando tutta una serie di documenti
di alto valore, vere pietre miliari nella riflessione teologica ed ecclesiastica contemporanea. A otto anni dalla sua preparazione,
dopo il recente conflitto, di fronte ai difficili negoziati diplomatici che ora s’impongono, questo studio risulta attualissimo e
offre alla nostra riflessione di credenti un
materiale di prim’ordine; ne pubblichiamo
qui parte del paragrafo dedicato allo Stato
d’Israele.
LA FORMAZIONE
Ai nostri giorni l’aspetto deU’intera questione (ebraica) è fortemente mutato. Con
la fondazione dello Stato d’Israele, nel
1948, si è manifestato uno spostamento
che ha toccato la vita d’Israele in tutte le
nazioni.
L’anelito a Sion era vissuto per secoli,
durante l’esilio — prima come una segreta
nostalgia, che non portava ad alcuna azione, più tardi come un movimento nazionale, il sionismo, che mise in moto una certa
emigrazione verso la Palestina, a ondate
successive —, ma era pur sempre rimasto
limitato a determinati gruppi, in particolare nell’Europa orientale. La situazione è
stata mutata dalla terribile catastrofe sotto
il nazionalsocialismo.
Ora, negli ultimi decenni, si è avuta una
nuova fioritura nel giudaismo mondiale. Il
popolo è nuovamente, nel senso più letterale. « orientato », volto a Oriente. Molti
rappresentanti del giudaismo ortodosso, legato alla Torah, che in un primo tempo
avevano respinto il sionismo come disubbidienza a Dio e indebita anticipazione
sulla venuta del Messia, si sono uniti
ad esso.
Di conseguenza l'intero senso dell’esistenza degli ebrei viventi fuori della Palestina ha subito una modificazione radicale.
Non si tratta soltanto della fierezza per
l’impresa grandiosa della costituzione di
un proprio Stato e per il rapido sviluppo
di una nuova società nella terra dei padri;
ci si trova anzi di fronte al compito di
una riflessione approfondita sulla vocazione d’Israele e personalmente di ogni ebreo.
Ma questo avvenimento non tocca soltanto gli ebrei. Esso concentra su di sè
l’attenzione di tutta Tumanità. Molti sono
coloro che hanno avuto l’impressione netta che Dio intervenga nella storia contemporanea in modo molto preciso e manifesto. Ci si ricorda, infatti dei profeti dell’Antico Testamento che, quasi senza eccezioni,
ripetono questo stesso e unico annuncio :
un giorno, in futuro, Dio raccoglierà dalla
dispersione tutte le tribù di Israele e le
riporterà nella terra da lui promessa ai loro padri.
Nel cuore di molti ebrei è viva la convinzione che in questa prospettiva la normale politica è in relazione diretta con la
rivelazione dii Dio. « Qui (cioè nella terra
santa) Israele ha scritto la Bibbia e Tha
donata al mondo ». « Lo Stato d’Israele resterà aperto alTimmigrazione ebraica e alla raccolta dei nostri esiliati; sarà fondato
sulla dottrina della libertà, della giustizia
e della pace, in conformità con le visioni
dei profeti d'Israele ».
« Ora, nella confessione della nostra fede nella Roccia d’Israele, apporremo la
nostra firma a tale proclamazione ».
11 popolo considerava naturale ed evidente di poter avanzare i propri diritti su
quesla terra antica, diritti che risalgono
oltre il tempo e oltre la storia.
LA REAZIONE
NEL MEDIO ORIENTE
Tuttavia gli altri popoli del Medio
Oriente ne sono tutt’altro che convinti. Nel
fatto che il popolo d’Israele abiti in mezzo
a loro essi vedono una minaccia alla propria esistenza e non intendono, a nessuna
condizione, stipulare la pace con questo
popolo.
Da un punto di vista sociale la cosa è
per loro impossibile, poiché le tensioni fra
le loro forme di vita primitive e la civiltà
assai moderna che con Israele ha fatto irruzione nella loro regione, sono troppo
grandi perchè possano essere senz’altro appianate.
Da un punto di vista politico essi vedono
in questo Stato un ritorno dell’Occiden’e
che stende nuovamente la propria mano sulla loro libertà, mentre i popoli dell’Oriente
(nel senso più ampio) attualmente sono appunto impegnati a scrollarsi di dosso qualsiasi forma di predominio occidentale.
Da un punto di vista religioso il mondo
mussulmano non può tollerare alcun popolo che abbia un’altra fede nelle terre
nelle quali il Profeta ha operato e che costituiscono i territori appartenenti fin dalle origini alTIslam. Tollerarlo significherebbe disobbedire ad Allah nel modb più
aperto. Certo, secondo l’insegnamento del
Corano è tollerato che individui ebrei, come pure cristiani — gli uni e gli altri nella loro qualità di « uomini del Libro » —
vi abitino isolatamente. Anzi, gli ebrei sono spesso vissuti meglio fra i popoli islamici che fra i cristiani. Ma ciò non significa
che agli ebrei sia concesso di stabilirsi nella
terra di Maometto come Stato indipendente. Da un punto di vista religioso, la
cosa è inaccettabile.
Pure i cristiani del Medio Oriente hanno questo atteggiamento, benché la loro
confessione di fede dovrebbe dar loro un
orientamento diverso da quello dellTslam.
La loro solidarietà nazionale li spinge ad
assumere praticamente questo stesso atteggiamento negativo. La predicazione e la
catechesi della missione delle Chiese occidentali non li ha mai posti in condizione
da i^nsare e comprendere che il fatto di
servire Gesù Cristo implica un legame particolare con Israele. Anche sul cristianesimo grava una responsabilità, a questo riguardo, nei confronti dei popoli mediorientali.
In mezzo a tutte queste tensioni mondiali. la Chiesa è interpellata sia in relazione
ai problemi con cui sono alle prese i popoli arabi, sia sul diritto e sul significato
dello Stato d’Israele. Questo giudizio non
può implicare alcun pregiudizio nei confronti di alcuna delle due parti.
La Chiesa deve avere seria coscienza del
fatto che ha una responsabilità altrettanto
grave nei confronti (degli abitanti dei paesi
arabi, quanto nei confronti degli ebrei.
Per l'amore nel nome di Cristo non può
esservi alcuna distinzione fra ebreo e arabo.
La Chiesa deve quindi chiedere ai popoli occidentali di considerate con la massima attenzione il problema estremamente
difficile della pacifica convivenza nel Medio Oriente, senza lasciarsi guidare da alcun pregiudizio nè in favore di Israele nè
in favore dei popoli arabi. 11 nostro amore
per Israele non può farci dimenticare quali
siano la vocazione e la responsabilità di
Israele nei confronti degli arabi e delle loro difficoltà.
Più che in qualsiasi altro luogo, in questo punto focale del nostro tempo, il Medio Qriente, appare evidente che non vi è
soluzione possibile ai problemi complessi
e intricati del mondo contemporaneo, se
non in Cristo e nel suo venire nel cuore
di uomini e nazioni.
La Chiesa rifletta dunque sul fatto che
CONTINUA
IN SECONDA PAGINA
generale minacciato da Tertulliano,
ohe potrebbe fare il vuoto nelle città e nell’esercito e dare l’Impero in
balìa dei barbari!
Ma forse appunto per questa ragione, quando il cristianesimo vinse, con Costantino, se contribuì ad
umanizzare i costumi e in parte le
istituzioni, non produsse dal suo seno una civiltà conforme ai suoi
ideali.
Il cristianesimo non rinnovò l’idea
dello stato : entrò semplicemente
nello stato bizantino, trasferendo ai
regnanti quel sentimento di autorità che gli apostoli inculcavano con
ben altra temperie spirituale; non
rinnovò la cultura; il ceto colto continuò a formarsi sui monumenti immortali —- e pagani — della cultura
classica; non rinnovò la vita sociale; non soppresse la schiavitù nè il
latifondo, le due piaghe del mondo
romano; anzi, la Chiesa divenne il
più grande proprietario terriero dell’impero, ed ebbe i suoi schiavi a
migliaia; tanto che l’atteggiamento
generale verso gli schiavi è forse
addirittura meno liberale nella « società’cristiana jr del V e VI secolo,
di quanto lo fosse, per influenza
dello stoicismo e del sincretismo religioso, nella seconda metà del III
secolo.
La storia della civiltà cristiana comincia con una rivoluzione mancata o differita: le conseguenze di questo scacco iniziale pesano su tutta
la storia del cristianesimo.
L'ETÀ' « ORGANICA »
DEL MEDIO EVO
Nonostante tutto quello che si è
scritto come apologia del Medio
Evo, non mi pare che qfuell’epoca
possa assumersi come il modello di
una civiltà cristiana. E’ bensì vero,
che in alcuni secoli di barbarie e di
vita raccolta, una concezione cristiana della vita si è generalizzata, ed
ha dato la sua impronta alla vita
intera dell’Europa. Ma questa concezione non è più quella originaria.
La tensione del Regno che viene si
è trasferita nella meditazione della
morte e della salvezza personale
nell’al di là; l’ascetismo, triste virgulto pagano innestato sul giovane
tronco cristiano in un’epoca di profondo smarrimento collettivo, viene
a corroborare per parte sua l’orientamento oltremondano del cristianesimo; e le superstizioni pagane, mediterranee o barbariche, avviluppano con la loro fitta vegetazione l’edificio della fede. Se aggiungiamo che
il Medio Evo è l’epoca del Papato
onnipotente e corrotto e della Inquisizione, dovremo concludere che
il termine « civiltà cristiana », riferito a quel periodo, appare molto
problematico. Come dato di fatto,
tutta la seconda parte del Medio
Evo è percorsa da correnti che cercano di riconquistare appunto il
« vero cristianesimo », reagendo a
quella « civiltà cristiana » : e sono,
nei ceti inferiori della popolazione,
i movimenti ereticali, che associano alla loro rivendicazione della
« semplicità » evangelica, quella di
una migliore giustizia sociale; e sono, ai vertici del sapere, gli umanisti, ehe non sono tutti neo-pagani,
ma risollevano anch’essi l’ideale
della chiara e spirituale « semplieità » dell’Evangelo, contro i terrori
CONTINUA
IN TERZA PAGINA
2
phj. 2
N. 24 — 16 giugno 1967
r
16
Il nuovo Stato ebraico
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
non può accostarsi a questi problemi senza la più viva cautela. È per lei tanto più
facile presumere di tranciare giudizi su di
essi, quanto più essa è lungi dall'avere anche solo incominciato a studiarli in tutta
la loro portata.
E ciò vale in modo tutto particolare per
i problemi di fronte ai quali ci pone, come Chiesa di Gesù Cristo, lo stesso Stato
di Israele.
IL SIGNIFICATO
DELLA «TERRA»
Nel valutare questi problemi, è d'importanza primaria considerare che nella concezione ebraica vi è perfetta identità fra
oiò che chiamiamo politica nazionale e ciò
che chiamiamo vita spirituale e religiosa.
Naturalmente per il pensiero biblico ciò
vale per qualsiasi popolo della terra : la
sua vita spirituale e religiosa è strettamente
legata alla sua storia terrena e politica. La
Chiesa riformata in particolare non intende a nessun prezzo abbandonare il rapporto fra la nostra Chiesa olandese e il nostro
popolo olandese, e in generale il rappor o
fra la storia dei popoli e la storia della
salvezza. Ma ciò vale all'ennesima potenza
per il popolo d’Israele: quivi non si può
mai e poi mai rinunciare all’unità della vita a cui Dio l’ha destinato, nè separare il
popolo dalla terra, la fede dalla politica.
L’idea motrice del sionismo; il futuro
del popolo ebraico è nella terra santa, ci
appare come un pensiero che può trovare
la sua radice nella Bibbia. Sussiste infatti
un legame fra Israele e la terra della promessa (Amos 9 ; 15; Zacc. 8; Apoc. 20. 9 s.'.
Dio ha creato pure la terra e ha vincolato
il proprio apparire a determinati punti
di questa terra. Considerare Gerusalemme
« Tombelico della terra » non è un sogno
assurdo, poiché la speranza vede scendere
dal cielo la nuova Gerusalemme : con insistenza si parla della nuova « Gerusalemme »1
Per gli ebrei odierni la terra Lerez) è,
in modo molto marcato, una grandezza
spirituale. Il dissodamento e la coltivazione di questa terra viene quindi definito
pure con espressioni religiose come « liberare », «redimere». Senza questa terra questo popolo, per sua intima convinzione,
non può mai attestare e adempiere dinanzi
al mondo la propria vocazione ed elezione.
La base di questa convinzione non sta
però in una concezione pagana del rapporto fra sangue e terreno, bensì nella rivelazione di Dio. Era una terra perfettamente
straniera, ma una terra che Dio aveva donato come un’eredità durevole ad Abramo
e alla sua stirpe, dopo aver strappato Abramo dalla sua radice naturale, dalla sua
città, dalla sua terra, dalla sua stirpe. La
terra dei padri non era dunque assolutamente un terreno io cui avessero preso radice in virtù della loro natura; non erano
insomma affatto degli « autoctoni ».
Pure, per la sensibilità ebraica Israele
non giunge a pieno sviluppo e non riesce
ad affermarsi veramente, da un punto di
vista spirituale, se terra, popolo e Stato
non costituiscono un tutto unico. Se quindi oggi Israele avanza il ciritto di abitare
la propria terra, come tutti gli altri popoli,
la cosa non deve essere considerata come
cedimento a una tentazione parallela a
quella presentatasi ai tempi di Samuele
(1 Sam. 8), quando il popolo volle avere
un re per essere pari a tutti gli altri popoli.
Indubbiamente tale tentazione sussiste anche oggi, per Israele. Ma è troppo facile,
per i cristiani, giudicare l’Israele contemporaneo e rifiutargli il diritto al proprio
Stato, in base a un simile parallelo.
..................... iiimimiiiiimiiiimiiiiimimximii
................................................................
iiiiiiiiimmiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiniiiiimiiiiii
......................mil..........................................................
SPIGOLANDO NELLA STAMPA
Echi della settimana
A proposito del conflitto arabo-israeliano
sono stati versati, nei giornali delle varie
tendenze (v. anche gli ultimi numeri de
« L’Eco-Luce »), fiumi d’inchiostro pro o
contro l’uno o l’altro dei due contendenti.
Abbiamo personalmente già riportato la notizia della dichiarazione di solidarietà morale con Israele, pubblicata dal corpo pastorale della città di Zurigo. Perciò ci limitiamo ora a documentare una sola fra le opinioni diametralmente opposte, la più accesa
che abbiamo potuto reperire (dopo, s intende,
quelle della stampa cinese, ma non dopo
quelle della stampa europea orientale). Si
tratta dell’opinione espressa dal giornale
« Le Communiste », organo della tendenza
rivoluzionaria del partito comunista francese.
I militanti di tale tendenza « affermano la
a cura d! Tullio Viola
loro solidarietà incondizionata a tutti gli
Stati arabi, a tutti i popoli arabi che lottano per la loro indipendenza, che lottano per
la distruzione dello Stato d Israele, il ritorno
della Palestina ai Palestinesi, il ricupero
delle loro ricchezze petrolifere e l’instaurazione della società socialista in tutto il mondo arabo. Essi salutano la risposta energica
dei popoli arabi all’aggressione imperialista.
Salutano l’invio di contingenti arabi nei
paesi aggrediti del Medio-Oriente. Essi hanno la certezza che i popoli arabi riporteranno una vittoria totale sugli aggressori imperialisti e sulle loro creature ».
(da « Le Monde » del 7.6.67)
Ma gli avvenimenti precipitano, e ci sembra perciò interessante una lucida analisi
della situazione politica degli ultimi giorni.
Eccola sotto il titolo espressivo ; « Quale
dunque il guadagno d'Israele? »
« Parafrasando la celebre formula di Clausewitz^ si potrebbe dire : "la pace nel MedioOriente è la continuazione della guerra con
altri mezzi’’. Val dunque la pena, per comprendere i problemi che Israele dovrà ora
affrontare, di richiamare brevemente gli scopi verosimili degli Stati coinvolti nel conflitto, e di compilare un elenco (almeno
provvisorio) dei mezzi di cui essi dispongono per conseguirli.
« Tutto sommato, gli scopi d Israele hanno carattere negativo : che non gli si rifiuti
il diritto di vivere tranquillamente; che non
s’impedisca alle sue navi mercantili di risalire il golfo di Akaba. o d’attraversare il canale di Suez. A prima vista, Israele sembra
in posizione di forza per ottenere dagli Arabi siffatte concessioni: gli basterebbe di negoziare i territori che ha occupati, contro
delle garanzie di libera navigazione, ed anche di demilitarizzazione delle zone di frontiera. Ma questo mercato rischia di non essere tanto semplice. Anzitutto perchè esso
equivale a scambiare qualcosa di molto concreto (il territorio egiziano e quello giordano occupati), contro certe promesse, certe
garanzie che, anche se avranno carattere internazionale, saranno soggette alle mille
fluttuazioni politiche del tempo. In secondo
Pensione Balneare
Valdese
BORGIO VEREZZI (Savona)
Direttore; F. Chauvie
Spiaggia propna
Ideale per soggiorni
estivi e invernali
luogo: è poi tanto sicuro che gli Egiziani
vogliano rioccupare rapidamente il Sinai?
Se fossimo al loro posto, ci sforzeremmo anzi di mantenere le truppe israeliane il più
lontano possibile dalle loro basi, e ciò per
lungo tempo, in modo da indebolire, senza
grandi sforzi, Teconomia e la difesa israeliane. Naturalmente Israele farà lo stesso
calcolo, e perciò non ci si dovrà meravigliare se esso finirà per ritirare le sue truppe,
già prima d’aver ottenuto, come contropartita, delle concessioni veramente consistenti.
« In terzo luogo, le grandi potenze vorranno dire la loro parola. Lo scopo degli
U.S.A. è quello d’assicurarsi che il MedioOriente conservi la sua funzione normale di
corridoio marittimo e di produttore di petrolio; per ottenere un tale scopo, gli U.S.A.
devono tentare di far regnare, in quella regione, una certa stabilità politica e d’impedire che lU.R.S.S. vi acquisti un’influenza
preponderante. Lo scopo dell’U.R.S.S. è, inversamente, quello d'impedire agli U.S.A.
d’acquistare una grande potenza nella regione. e di spingere avanti le proprie pedine,
pur senza giungere al conflitto aperto con
gli U.S.A.
« Il desiderio americano di mantenere in
funzione " la regione, rischia di rendere ancor più debole il valore commerciale delle
conquiste territoriali israeliane: gli U.S.A.
saranno impazienli che il canale venga riaperto e che il petrolio ricominci a scorrere,
e farà pressioni perchè Israele moderi le sue
esigenze verso gli Arabi. Anzi : se risultasse
evidente che l’approvvigionamento petroliero per es. dell'Occidente fosse messo in peri,
colo a causa esclusivamente di un'ostinazione da parte d’Israele, la posizione di questo
ultimo diventerebbe rapidamente insostenibile. Gli Arabi hanno cosi in mano un arma
di lunga portata : ma è anche giusto di sottolineare che tale arma è a doppio taglio,
perchè in fondo essi sono i primi a soffrire
della perdita economica nel commercio petroliero e marittimo. Quanto allU.R.S.S..
essa ha manovrato più abilmente di quanto
non si sia solili ammettere: in armonia con
le finalità generali ch’essa sembra essersi
proposte nel Mecl.o-Oriente, essa ha saputo
evitare l'urto frontale con gli U.S.A. Ma (si
potrebbe obiettare) "lasciando cadere’’ gli
Arabi alle N. U., essa ha perduto in un giorno tutta quella influenza ch’era riuscita a
guadagnarsi, appunto fra gli Arabi, in molli anni di sforzi costosi. Questo non ci sembra del tutto sicuro, finche il conto non sia
proprio chiuso: non è forse vero che la
U.R.S.S. pretende che Israele ritorni sulle
posizioni d'armistizio del 1949, ciò che (com'è ben noto) significherebbe per Israele la
perdita d'Eilal?
« In altre parole, proprio perchè l’U.R.S.S.
ha "lasciato cadere ’ per un istante gli Arabi (c questo per evitare un conflitto generale più disastroso), essa si prepara a raddoppiare di durezza verso Israele.
« Tutto sembra dunque co.spirare alla
spogliazione d’Israele dei frutti della sua
vittoria (a parte Tindebolimento della potenza militare araba). O piuttosto: la vittoria
militare d’Israele deve ancora essere seguila
da una vittoria diplomatica, e con.seguire
quest’ullima sarà mille volte più difficile ».
(Dal 'Journal de Genève del 10-11/6/67)
Per quanto indubbiamente intelligente ed
obiettiva sia quest’analisi, essa sembra a noi
possedere un unico difetto : quella d assomigliare troppo ad un analisi chimica. Ora
noi sappiamo che le nazioni non sono dei
reagenti chimici, e che al dilà e al disopra
di ogni analisi, sta il mistero della volontà
di Dìo nella storia c quindi nella politica,
stanno dunque anche le nostre speranze di
credenti.
L’ATTEGGIAMENTO
DELLA CHIESA
Come deve dunque, la Chiesa, valutare
tale apparizione dello Stato d’Israele, e
valutarla in modo giusto? Pensiamo di potervi comunque vedere un segno di Dio.
Naturalmente la Chiesa rifiuta quella forma di «teologia naturale», per cui, lasciando da parte la rivelazione in Cristo mediante lo Spirito, si pensa di poter desumere dalla storia, dagli avvenimenti e dai destini del proprio tempo una conoscenza diret a
ci Dio. Tuttavia la Chiesa deve riconoscere altrettanto che per coloro, i quali conoscono Dio attraverso Gesù Cristo, il constatare le tracce del cammino di Dio nella storia contemporanea e così pure nella
propria esperienza di vita, fortifica la fede
e rende più intensa la lode del Signore.
Non possiamo conoscere quivi Dio, ma
possiamo riconoscervelo. Non possiamo trovare quivi Dio per la prima volta, ma
possiamo ritrovarvelo.
In questa prospettiva lo Stato d'Israele
costituisce per noi un ^gno. in un triplice senso.
In primo luogo, un segno della nostra
impotenza. Quand’anche questo Stato non
avesse altro da dirci, la sua stessa esistenza costituirebbe per noi un annuncio che
ci svergogna. Quando questo popolo è stato minacciato nella sua nuda esistenza, avremmo dovuto intervenire e rischiare la
nostra vita in suo favore. Ma soltanto pochi cristiani lo hanno fatto veramente
come pure alcuni altri che cristiani non
erano. Nel suo .insieme, però, il cristianesimo nell’Europa occidentale ha mancato al
proprio compito. Israele è il nostro fratello maggiore — se lo consideriamo nella
luce meno simpatica ; un fratello che si rifiuta di collaborate con noi, che non vuole abitare nella stessa nostra casa, che in
tal modo ci fa torto. Ammettiamolo pure;
eppure, è il nostro fratello maggiore. E
noi cristiani con il nostro cristianesimo diciannove volte secolare non li abbiamo
potuti salvare. Non siamo stati capaci di
garantire loro un’abitazione sicura nelle
nostre terre cristiane, dove circa sei milioni di ebrei sono stati assassinati. C’è comunque di che essere coperti di vergogna
e zittiti una volta per tutte.
In secondo luogo lo Stato d Israele è
un segno dello fedeltà di Dio. 11 fatto della sua fondazione è una conseguenza del
fatto che i popoli non hanno concesso alcuno spazio ad Israele. E questo è stato
a sua volta conseguenza del fatto che il
nazionalsocialismo non ha voluto riconoscere il peccato, nè credere alla grazia, e
ha voluto negare ai deboli il diritto alla
vita. Tuttavia il nazionalsocialismo non è
il solo colpevole. Esso ha soltanto messo
in luce che la filosofia di tutti gli uomini
è rivolta contro Dio, il quale aveva ajv
punto eletto Israele in quanto debole minoranza, in quanto domini che rovinano
sempre tutto, e li aveva eletti proprio per
dimostrare in modo esemplare, in loro, che
egli è misericordioso proprio verso tali
uomini. Ora i popoli si sono resi colpevoli
verso questo popolo, poiché nelle loro teorie i;el super-uomo si sono levati contro
questo Dio, che è misericordioso verso j
peccatori e che soccorre i deboli. Gli uomini non hanno voluto essere considerati
peccatori. Proprio in questo modo si sono
manifestati tali, peccando contro Israele.
In questo momento della storia umana,
quando era maturato tale peccato contro
Dio, è apparso lo Stato d’Israele; tale fu
la conseguenza diretta della peggiore violenza di tutti i tempi. Ecco Fuñico risultato positivo dell’« opera » hitleriana.
Pensiamo quindi che Dio si serve di
questo Stato per mostrarci che tutti i problemi dell’umanità si concentrano nei problema del peccato contro la santità di Dio.
e al tempo stesso che la sua grazia è una
realtà concreta, che si attua nel corso degli eventi mondiali.
Per la coscienza di molti israeliani, lo
Stato d’Israele è la conferma di ciò ohe
questo popolo ha sempre saputo o avrebbe
sempre dovuto sapere : alttraverso la notte Dio conduce alla luce del giorno, attraverso la morte alla vita (Gen. 1 ; 5; Deut.
32; 39).
Per noi esso è un segno, un indicatore
piantalo in mezzo al mondo, ed attesta che
Dio è fedele, malgrado l'infedeltà di tutta
l'umanità.
11 terzo segno offerto ai nostri sguardi
nello Stato d’Israele, è il fatto che il popolo è posto da Dio su una nuova via, suL
la quale gli dona una nuova possibilità di
adempiere la propria elezione.
Ma si può percorrere questa via soltanto
camminando nell’ubbidienza. Perciò Israele ha bisogno, al di sopra di ogni altra
cosa, rii trovare il suo Messia, il quale anche nelle questioni terrene è la via. la verità e la vita. Per questo la Parola si è
incarnata. Israele ha diritto, più di ogni
altro popolo, di vedere questo Cristo ; ed
è tempo, veramente tempo che ciò avvenga.
Nel suo nuovo Stato il popolo ebraico
sarà minacciato dalla tentazione di sprezzare la propria elezione e di ridursi, in
questa rinnovata vita nazionale, ad essere
U'i popolo come tutti gli altri. Esso può
sfuggire a questo pericolo soltanto se giunge a confessare che Gesti di Nazareth è
il siuo Messia. Allora ecco la possibilità
che il popolo, appunto come popolo, levi
la bandiera del Regno, di quel Regno nel
quale soltanto la giustizia c la pace possono crescere sulla terra.
Le tensioni fra Israele e gli Stati arabi
che lo circonitano. si accrescono nella misura in cui. a viste umane, la soluzione è
diventata impossibile.
La soluzione può essere soltanto questa ;
che Israele consideri il proprio rapporto
con questi popoli alla luce della propria
vocazione. Ma non poira adempiere veramente la propria vocazione se non riconoscerà colui die è la pace, anche fra israeliani e arabi.
Vi sarà una strada
”In quel giorno, vi sarà una strada dall Egitto in Assiria... In
quel giorno Israele sarà terzo con l'Egitto e l’Assiria, e tutti e tre
saranno una benedizione in mezzo alla terra. L Eterno degli eserciti
li benedirà dicendo: Benedetti siano l'Egitto, mio popolo, l Assiria,
opera delle mie mani, e Israele, mi» eredità ' (Isaia 19: 23-2.'i).
In quel giorno. Che giorno è? Chi non vorrebbe vivere quel
giorno, piuttosto che i nostri giorni torbidi e insanguinati? E’ il giorno dell’Eterno, annunciato dalla Bibbia, il giorno in cui Dio sarà
riconosciuto e ubbidito, così che i popoli non si faranno più giustizia da sè ma accetteranno insieme la giustizia di Dio, che « giudicherà tra nazione e nazione e sarà l'arbitro fra molti popoli » (Isaia
2; 4). Quando verrà questo giorno felice? Non lo sappiamo, ma sappiamo che verrà e dobbiamo vivere, pensare e operare nella prospettiva di quel giorno.
In quel giorno, vi sarà una strada. Che cos’è una strada? E’ ciò
che congiunge due città, due popoli, due persone. E’ per mezzo di
essa che ci si può incontrare. Oggi, questa strada non c’è. E’ sbarrata dai carri armati dell’una e dell’altra parte, e dal rifiuto del
prossimo. Oggi, non c’è una strada, c’è un muro. Eppure una strada,
una via per potersi incontrare c’è. Gesù è la via (Giov. 14; 6), preannunciata da Isaia. Gesù è la via che attraversa i muri perchè prima
attraversa i cuori, che sono più resistenti dei muri. La via non è la
buona volontà e neppure la vittoria sul nemico, ma Gesù. Senza
Gesù non ci sarà pace nè in Medio Oriente nè altrove. Senza Gesù
non c’è pace duratura, cioè vera. Perchè? Perchè anzitutto Gesù ci
invita a rimettere la spada nel fodero dicendo: « Tutti quelli che
prendono la spada, periscono per la spada » (Matteo 26; 52). E poi
perchè Gesù cambia i cuori e le menti, chiedendoci non già, come
ha chiesto Nasser, di « sterminare » o « annientare » i nemici, ma di
pregare per loro. Un nemico per il quale si prega non è più solo un
nemico. Il mondo crede sempre di poter fare a meno di Gesù, ma
senza Gesù il mondo si autodistrugge. La via dall’Egitto in Assiria,
attraverso Israele, la via che abbatte i muri, è Gesù. Le altre vie non
sono vie, ma vicoli ciechi. Lo sappia l’Egitto e lo sappia anche
Israele. Neanche lui può fare a meno di Gesù.
Percorrendo questa unica via si adempirà la stupenda promessa
che l’Iddio di Israele, proprio Lui che ha scelto questo popolo, facendone il suo tesoro particolare, ci dà qui per bocca del profeta
Isaia: « Benedetti siano l'Egitto, popolo mio, VAssiria, opera delle
mie mani, e Israele, mia eredità ». Così parla l’Eterno.
Paolo Ricca
La battaglia del Cristian
SEGUE DALLA QUARTA PAGINA
sponsabilità ( « a chi più è stato dato
più sarà ridemandato »).
Gli Israeliti per primi sono consapevoli della loro responsabilità, sia
pure in un contesto particolare, ohe
deve essere valutato per capirli: Ben
Gurion parìa esplicitamente della
certez-za nella « Halutziuth », cioè nella elezione, che è presente e operante in ogni ebreo. Ed osserva : « Il ritorno di Israele alla sua terra nei
tempi moderni è una vicenda che non
ha eguali nella storia. Noi riceviamo
i frammenti di un popolo disperso in
tutto il globo e lo ricostruiamo sulle
rovine di un piccolo e povero paese
circondato da nemici, per stabilire
una società moderna edificata sulla
base della libertà dell’eguaglianza,
della cooperazione e dell'amore per i
nostri simili».
Gli arabi, dal canto loro, hanno
avuto secoli davanti a loro per coltivare quelle stesse terre, e non lo
hanno fatto (certo con tutte le attenuanti del caso). Se queste affermazioni di Ben Gurion sono vere e sincere, specialmente a proposito della
volontà di «cooperazione e amore»
allora chi vorrà negare ad Israele,
coerente al suo concetto di elezione
(quale cristiano vorrebbe contestarlo?) una funzione di guida per la
reale espansione e civilizzazione dei
popoli confinanti?
Penso con viva gratitudine (teologica!) al popolo ebraico, al quale come cristiano debbo moltissimo : è
stato « lo strumento che l’Eterno si è
scelto » e ha potuto conservare la
conoscenza del Dio unico e della sua
Legge attraverso sofferenze inaudite,
di fronte alle idolatrie e ai paganesimi delle varie epoche. Come cristiano
non scaglierò certo la prima pietra
contro di loro, poiché le mani dei
cristiani sono certamente più di quelle degli ebrei lorde di sangue versato,
nè mi sentirei di fare appello alla
creazione, sotto la visuale « mistica e
sacrale », di un « comitato di fraternizzazione » tra le religioni rnorioteistiche (ebrei, mussulmani e cristiani)
come vorrebbe Hayek, tuttavia rni
sembra di dover dire qualcosa di più
preciso di quello che l’amico Giampiccoli ha detto. Mi sembra cioè;
3) che si possa ricordare agli e'orei
la visione ottimistica e profetica li
Isaia: «Non è piuttosto questo il digiuno che vorrei: sciogliere le caterve
inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e rompere ogni giogo? Non consiste forse nello spezzare il tuo pane alTaffamato,
nell’in tradurre in casa i miseri sen.'a
tetto, nel vestire uno che hai visTo
nudo, senza trascurare quelli delia
tua carne? Allora s', la tua luce sors'.erebb'e come l’aurora, la tua ferita si
rimarginerebbe presto. Davanti a le
c.amminerebbe la giustizia e la gloria
di Jahve ti seguirebbe».
Ciò vale per loro, gli ebrei, e ;;er
noi! Enrico Pascti!
BORA
L'assemblea di chiesa di fine d'anno u'ià
luogo, come già annuncialo, domenica i 8
giugno alle ore 10,30, con il seguente ordine del giorno: relazione annua: elezione deputalo al Sinodo e alla Conferenza di.<ln‘!tuale.
TORRE PELLICE
L’Associazione «E. Arnauril » organi/.'a
per la domenica 2 luglio una visita al
Giardino alpino « Paradisia » sopra Cogne. sotto la guida preziosa del prof. Bruno Peyronel. Pranzo al sacco. La gita è
aperta a tutti fino a completamento del
pullman; il costo è di L. 1.500. Le pietn'tazioni si ricevono presso la Tipog alia
Subalpina, Torre Pellice, entro e non oltre
il 24 giugno.
avvisi economici
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Bruno Conti ■ via della Chiesa 109 - Firenze.
1) che Si debba valutare con profondo rispetto, in tutta la sua reale
portata spirituale, il problema della
elezione di Israele, al di fuori di ogni
valutazione limitatamente politica e
sociale (e questo Giampiccoli non ha
fatto, dando l’impressione di fornire
una valutazione piuttosto « di sinistra », senza commenti).
Gesù disse: «Io vi lascio pace,
vi do la mia pace. Io non Ve la
do come il mondo dà. Il vostro
cuore non sia turbato e non si
sgomenti ».
(Giovanni 14: 27)
In questa pace ha sopportato la ma
lattia e terminato la sua esistenza, il
giorno 9 giugno
2) che si debba finalmente entrare in dialogo con gli Ebrei npp già
sui problemi politici (dei quali beninteso si potrà e si dovrà parlare), ma
in primo luogo sul problema centrale
della rivelazione di Dio e della sua
Legge, poiché si deve riconoscere che
nel contesto del « sionismo » questi
essenziali problemi spirituali conservano un grande valore.
Giovanni Koki Coisson
La moglie Nella Crosio e le figlie
Lucilla e Letizia, le sorelle e il fratello, le cognate Mathieu, Giampiccoli e
Crosio, i nipoti, i cugini Miegge, Ni
sbet. Silenzi e Meynier, e i parenti
tutti lo annunciano agli amici e ai
conoscenti.
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16 giugno 1967 — N. 24
pag. 3
IJ^’IlTERl/ISia COM II. SEGRETaRIO DEL DELL’EEfllVIGEUmZIOllE DEL C.E.C.
L’evangelizzazione, oggi: che vuol dire?
1. - Le Chiese « fondamentaliste »
avanzano forti rir^rve critiche nei
confronti dei Consiglio ecumenico
delle Chiese, stimando che la tensione ecumenica e Tinteresse per i prohlemi sociali avrebbero attenuato la
sensibilità aH’evangel!zzazione ; tuttavia, in recenti convegni — a Berlino
lo scorso novembre, a iLosanna poche
settimane fa — tali pregiudiziali sono
apparse ammorbidite, mentre veniva
riconosciuta in misura maggiore la
componerte sociale della vocazione
della Chiesa. Qual’è la Sua opinione
al riguardo?
Confermo questa parziale convergenza in atto. A Berlino Billy Graham
ha espressamente riconosciuto che
l’evangelizzazione tradizionale in passato ha negletto tutto un lato importante, non ha saputo annunziare un
Evangelo veramente per tutto l’uoirio. D’altro lato, penso che l’azione
ecumenica promossa dal C.E.C. nei
suoi vari Dipartimenti abbia effettivamente attenuato una certa sensibilità all’evangelizzazione; se, cioè, si
intende evangelizzare a) nel senso di
campagne di evangelizzazione tradizionali; b) nel senso di salvare anime dal giudizio finale.
2. - Che cosa significa, dunque, per
Lei, « evangelizzare », oggi?
« Evangelo » è parola liberatrice e
atto liberatore al tempo stesso. Si
pensi all’abbinamento della predicazione e dei miracoli, neU’opera di Gesù. Quando Gesù sfama una folla, va
a cenare in casa d’un pubblicano, si
lascia toccare da una prostituta o
tocca un lebbroso, c’è una predicazione più «parlante» di questa? In
lui parole e atti erano insieme predicazione liberatrice. Questo è « evangelizzare », ed è questo che d,obbiamo
trovare il modo di fare o>ggi:_ abbiamo soprattutto bisogno di un’intensa
fantasia creatrice di questi atti « parlanti». Faccio un esempio di questi giorni. Ultimamente il governo
olandese, constatata l’eccedenza
tiva del proprio bilancio, ha deciso di
diminuire l’importo delle tasse. La
cosa vi potrà sembrare straordinaria
in Italia, ma in Olanda capita. Bene,
in Olanda è capitato pure che... npn
tutti fossero d’accordo, e qui strabilierete ancor di più! Tutto un gruppo
di cittadini — un gruppo ecumenico
{«Shalom»), costituito da protestanti cattolici ed ebrei, insieme ad altri — ha fatto questo ragionamento,
se valutiamo la questione su un piano puramente nazionale, la decisione
governativa è buona e saggia; ma se
la valutiamo a livello internazionale,
mondiale — e come è possibile oggi
valutare altrimenti i problemi soci^
economici? — le cose appaiono^ mtto
un’altra luce, e non Passiamo dimenticare la nostra precisa e rnolto stretta respcnsabilità nei confronti dei
paesi .sottosviluppati, ai quali siamo
per lo meno debitori di
«sovrappiù». Sicché il 1 luglio P- •>
data deH’entrata in vigore del decreto
governativo di cui abbiamo pari .
un notevole gruppo di cittadini (si
calcola che saranno 5.000, forse
nel frattempo il numero salirà) si
recherà al ministero delle finanze a
consegnare la differenza eccedente
dèlie loro tasse, esigendo naturalmente che detto ministero renda poi conto di come la somma sara stata utilizzata per i paesi sottosviluppati. Il
gesto avrà una certa eco, sia per la
sua originalità, sia perchè i ministeri
delle finanze, anche in Olarida, non
sono attrezzati per rimborsi di questo
genere' L’azione sarà naturalmente
imnostata non unicamente come atto
sociale, ma come affermazione della
giustizia di Dio. Ecco, sotto questa
forma di pacifica ma decisa contestazione, una evangelizzazione che mi
pare viva ed efficace. Si tratta per le
chiese di moltiplicare questi atti e
queste affermazioni.
3. - Dopo la fusione fra il Cons glio ecumenico delle Chiese e il
sigilo internazionale delle Missioni, è
stato costituito un unico Diparlimento per l’Evangelizzazione e la Missione. Quali sono stati i frutti di tale
fusione?
Secondo me oggi non è può possibile fare una distinzione fra missione
ed evangelizzazione. Naturalmente,
questo problema è molto discusso nell’ambito stesso del nostro Dipartimento, ma sono convinto che oggi si può
parlare di un’unica missione; in zone
sature di « cristianesimo » o in zone
vergini. Il nostro lavoro procede secondo due sezioni parallele e complementari ; la sezione « missione » centra il proprio lavoro sulla ricerca del
rapporto fra l’Evangelo e le culture
e le fedi, sul problema della « indigenizzazione » della chiesa, naturalmente vegliando a che non si abbandoni
il cuore della fede cristiana.
4. - Dal Suo punto di osservazione,
in quali parti del mondo e per opera
di quali chiese l’evangelizzazions è attualmente più intensa?
Non è possibile dare una risposta
geografica. Direi che l’intensità evan
J l doti. Walter J. Hollenweger, di Zurigo, 40 anni, è all opera dal 1963
nel Dipartimento per VEvangelizzazione (ora, dopo il confluire del
Consiglio Internazionale delle Missioni nel C.E.C.: Dipartimento per la
Missione e VEvangelizzazione), e dal 1965 ne è il segretario. Ha collaborato attivamente alla preparazione della conferenza ginevrina Chiesa e
Società” (luglio 1966), tra Valtro collaborando alla silloge Vers ime Eglise polir les autres. A la recherche de striictiires polir des coinmiinaiités missionnaires”, che abbiamo ampiamente presentato nel ninnerò scorso e che
è largamente condensato nelVultimo numero di ”Diakonia . Il dott. Hollenweger ha conseguito il dottorato in teologia presso la Facoltà di Zurigo
con una monumentale ricerca sul movimento pentecostale nel mondo:
un’opera che per quel che ci è dato sapere farà storia in questo campo e
che: speriamo di vedere curata in edizione italiana dalla Claudiana (almeno in parte, poiché i vari volumi di cui si compone questa analisi e questa
valutazione sono certamente al di là della nostra portata e forse dell interesse del pubblico più largo cui tale pubblicazione andrebbe rivolta).
Poiché la scorsa settimana il dott. Holleniveger è venuto per la prima
volta in Italia e ha partecipato a un incontro di comunità ad Agape, ne abbiamo approfittato per porgli alcune domande.
gelizzatrice è tanto maggiore là dove
la distretta è più grande; fra i négri
discriminati del Nord-America, la fiorente missione pentecostale fra i prigionieri in Siberia, o ancora nelle zo
ne sociali più colpite dalla noia e
dalla solitudine; se la Chiesa è attenta all’« ordine del giorno» che il
mondo in distretta le propone, la sua
risposta è più viva. Per ciò che è a
mia conoscenza, non direi che le giovani Chiese — a differenza da quel
che si penserebbe — siano rnolto
avanzate in tal senso ; anzi, sono piuttosto arretrate, la prima cosa che desiderano è una chiesa, con campanile e campane. Ad esempio a Lagos
in Nigeria sono rimasto sconcertato
nel trovare una enorme cattedrale
che è costata un milione di franchi
(150 milioni di lire), mentre non hanno alcun centro di formazione! 'Tengono al carillon, anziché sforzarsi di
trovare la loro particolare espressione di fede. E quando facciamo lom
notare questo, ci rispondono : l’abbiamo imparato dai missionari; ci
vuole la chiesa, la politica è satanica,
come la cultura indigena... cosi abbiamo costruito campanili, ci siamo as.enuti dalTimpegno nella città, abbiamo sostituito l’organo al tam-tam...
Queste accuse sono talvolta esagerate ma racchiudono una buona misura di verità. E oggi non basta dare
loro denaro, anche molto denaro; bisogna aiutarli — indirizzando lo loro
scelte e i loro investimenti — a curare la formazione tecnica in tutti i
campi. Ad esempio in quasi tutti i
paesi la stampa e la radio sono largamente aperte alla partecipazione
cristiana, ma mancano terribilmente
le persone preparate. Questa preparazione, anche e soprattutto a livello
teologico approfondito — e sottolineo
rimportanza della conoscenza del tedesco — è condizione pregiudiziale di
una efficace azione evangelizzatrice
nel futuro prcssimo e lontano. Tengo
a sottolineare l’importanza di attt
vità come quelle deU’Action Apostolique Commune, che in queste settimane (precisamente l’il giugno) avvia un
interessante e originale lavoro di
evangelizzazione interdenominàzionale per opera di un’équipe di rsppre
sententi di « vecchie » e « giovani »
Chiese, fra i Fon animisti dell’Alto
Dahomey.
5. - Si può parlare di « tecniche » di
evangelizzazione? Quali sono, eventualmente?
Azzarderei questo slogan; il liturgo
è un regista. Mi spiego ; invece efi predicare alla gente.'devo cercare di ,metterli in condizione di predicare a'me.
Dò loro un testo biblico, una domanda, ad esempio ; qual’è' la diversità fra il metodo d’evangelizzazione di
Gesù e il nostro (in riferimento alla
vocazione di Levi)? Se c’è spirito di
ricerca, indicare letture ; se ci presentano un problema, non pretendere di
rispondere subito su tutto, ma piuttosto lavorare insieme, cercare insieme ; mica siamo degli allevatori che
danno la razione di mangime ai polli
mattina e sera! Dobbiamo rispondere
alle domande (magari sollecitandole
con metodo... socratico!), piuttosto
che porle noi. Questo significa naturalmente anche un’impostazione nuova del culto stesso; ad esempio, la predicazione dovrebbe essere almeno in
parte sostituita da uno studio a gruppo intorno alla Bibbia, in preg;hiera e
ricerca comune, affrontando insieme
nello studio della Scrittura questa o
quella questione ohe s’impone. Siamo
qui in un campo ancora del tutto
sperimentale, ma sono convinto che
un cambiamento s’irnpone con urgenza sempre maggiore.
6. - Nella Chiesa Valdese abbiamo
in ruolo degù «eyangeUsti» che sono dei pastori e dà _ « pastori » che
sono degli evangelisti, wnza m?l.o
rispetto per le indicazioni del Nuovo
Testamento. La commissione sinodale per i ministeri ha da tempo in esame la questione, che probabilmente
si pone ad altre Chiese. Che cosa pensa del ministero dell’evangeUsta?
La mia risposta s’inquadra naturalmente in quanto ho detto prima su
come concepisco lleyangelizzazione.
Questo ministero di evangelista^ si
potrà qualificare in mòdi svariati a
seccnda dei doni particolari delia
persona ;
— se ha talento di leader, sarà animatore di gruppi di ricerca; saprà
creare un clima in cui le domande
vietate saltano fuori e i tabù sono
messi a nudo; nella ricerca e nella
discussione egli deve cercare di scoprire i meccanismi di fuga e di resistervi. Intendo con « meccanismi di
fuga » i molti modi con cui arretria
mo di fronte a certe questioni, a una
vera sincerità, a una concentrazione
autentica sulle questioni vitali, sviando invece il discorso su questioni marginali 0 teoriche ; e questo avviene
talvolta volutamente, più spesso inconsciamente.
— se è psicologo, per formazione o
anche per intuizione (molti pentecostali lo sono, ad esempio), la cosa faciliterà di molto la sua capacità di
approccio nelle più svariate situazioni e ambienti.
— se è teologo, sarà l’avvocato del
valore testimoniale dei documenti di
fede del passato; egli ricorderà come
la conoscenza storica sia indispensabile a un retto annuncio delTEvangelo oggi.
7. - Ci può ancora descrivere come
funziona il Dipartimento di cui ha la
responsabTit à?
Al « quartier generale » ginevrino
sono al lavoro io solo con la mia segretaria ( e sono per oltre una metà
dell’armo in viaggio qua e là nelle
Chiese, sempre e solo su invito), ac
canto ai colleglli della sezione « missione », e naturalmente in coritatto
continuo con altri Dipartimenti. Ma
il nostro vero lavoro, di cui a Ginevra abbiamo solo il punto di collega
mento, si svolge attraverso una ventina di gruppi di ricerca e di azione,
in tutte le parti del globo.
Questi vari gruppi devono scoprire 1’« ordine del giorno » proposto
dal loro paese, dalla situazione neila
quale vivono, e chiedersi quali possono essere nella loro situazione parole e atti liberatori. Ovviamente le risposte saranno assai diversificate. Ad
esempio a Praga è sviluppato il dialogo con i marxisti; un dialogo sui
testi biblici, però, e i marxisti restano spesso marxisti, ma diventano meno dogmatici; a East Harlem, invece,
i problemi che il gruppo cerca di affrontare sono quello negro e quello
della droga. Come ho già detto, non
si tratta in primo luogo di un servizio sociale, bensì, di evangelizzazione
in una situazione concreta.
Penso — e la cosa mi starebbe particolarmente a cuore — che un gruppo di lavoro di questo genere potrebbe e dovrebbe sorgere in Italia, ad
esempio nel Nord industriale, forse
a Torino. Uno dei problemi da affrontare potrebbe essere quello di
scoprire il senso del giorno festivo,
il valore e l’utilizzazione del tempo
libero. Un altro gruppo potrebbe invece studiare la trasformazione della
chiesa tradizionale. Un altro ancora
potrebbe studiare l’evangelizzazione
pentecostale, chiedendosi come potrebbe essere approfondita; chiedendo ai pentecostali; sapete con chiarezza quello che fate? Essi infatti sono per lo più ancora del tutto preilluministi, vivono ancora in piena
mitologia (ed è questo che limita sociologicamente la fecondità della loro
predicazione); devono imparare, in
un discorso fraterno, che ci sono altri cristiani, di altro tipo, e che quella loro mitologia ha cornunque dei
limiti oggettivi; ad esempio i bambini e gli adolescenti si sviluppano erma! in un mondo da cui quella mitologia è bandita.
Il mio augurio, salutando, è che
davvero di qui a un paio d’anni uno
o più gruppi possano cominciare a
mandarci notizie dall’Italia di un lavoro in comunione con il nostro.
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
non più creduti e le- asprezze dell’ascetisino medioevale.
IL PROTESTANTESIMO
La Riforma è certamente stata —
con buona pa.ee dei suol avversari
__ una riconquista «li valori cristiani dimenticati. M.a se volessimo considerare la civiltà protestante come
il tipo compiuto di una civiltà cristiana, faremmo una cosa molto discutibile. Pensiamo, da una parte,
al paternalismo agrario di Lutero:
quando i contadini vengono a .lomandargli, in nome del « diritto cristiano » delle condizioni di vita un
poco più tollerabili, Lutero sa soltanto predicare loro la « teologia
della croce »; i cristiani, come cristiani, hanno un solo diritto, portare la croce e santificarsi; cioè, una
santa verità, ma che non aveva nulla da fare con la situazione. Quanto ai rapporti che intercedono tra il
calvinismo e il capitalismo, essi sono stati troppo sovente illustrati negli anni scorsi, perchè sia il caso di
parlarne. Il calvinismo è stato certamente una grande e forte cosa :
ma noi non possiamo considerare
come il modello della civiltà cristia
na l'epoca della grande intrapresa
e della rivoluzione industriale, l’epoca del grande capitale e delle
grandi banche, e dell’iinperialismo
benedetto dalla pia regina Vittoria,
o dal buon luterano Guglielmo II.
LA CIVILTÀ' CRISTIANA
E' DA FARE
Insomma, non vi è nessun periodo della storia del cristianesimo che
jmssa considerarsi come l’età aurea
della civiltà cristiana. Una civiltà
cristiana, nel senso pieno di una civiltà conforme alle esigenze spirituali, morali, umane del cristianesimo, non è mai esistita. Rd ogni
volta che parliamo di difendere la
civiltà cristiana, dovremmo doman
i;ìi]ì;ii
E
PESCA
Difesa della civiltà cristiana?
È USCITO
L’ANNUARIO ITALIANO
Cristianesimo
Evangeiico
annunciato due settimane fa. Prezzo ; L. 600
la copia. Richiedetelo alla Clauc'iana. Via
Principe Tommaso t. Torino, o a Torre
Pedice.
darci dapprima se quello che vogliamo difendere merita quel nome.
La civiltà cristiana rimane da fare. Essa è il problema dell’avvenire. Problema di una gravità inaudita. Il cristianesimo, nonostante
certe belle apparenze, non sembra
oggi in grado di far presa sulle masse al punto di esprimere da sè una
nuova civiltà. Le forze che traggono
gli uomini sono di altra natura. Se
dobbiamo attendere dal cristianesimo, come è oggi, una vera civiltà
cristiana, c’è da domandarsi se la
vedremo mai! Ma la fede cristiana
può calcolare anche con la possibilità di un miracolo storico; le vie
della grazia sono infinite, e le ]>rospettive della nuova religione umanistica sono così squallide,che una
nuova conversione dell’umanità alla eterna parola di Cristo, per disperazione o per tedio delle sue conquiste, rimane sempre possibile.
E dopo tutto è anche possibile,
che il cristianesimo non sia destinato a tradursi in una civiltà terrena,
ma rimanga, fino alla fine di questa
grande avventura, che è la storia degli uomini, come la sua critica perenne, e l’indice teso alla eterna
Città di Dio.
Giovanni Miegge
No comment
ECUMENISMO
MARIANO
In concomitanza col 31 maggio, festa di
Maria Regina, la Comunità dei Servi di Ma.
ria del Collegio S. Alessio Falconieri, sotto
gli auspici della Facoltà Teologica « Marianum », ha organizzato una celebrazione ecumenica con i rappresentanti della Chiesa
episcopaliana d'America, della Chiesa metodista, e col canonico Findlow, rappresentante personale dell'Arcivescovo di Canterbury,
Dottor Ramsey, presso la Santa Sede. Monsignor Bucko, vescovo cattolico ucraino, rappresentava i cristiani di rito orientale.
L’incontro,durato un'ora, si è svolto in
due tempi : preghiera in comune e letture
bibliche, e due colloqui, rispettivamente del
canonico Findlow, a nome dei fratelli separati presenti, e del Rettore del Collegio
Internazionale S. Alessio, che faceva gli ono.
ri di casa. Versetti del Vangelo di S. Giovanni, davano la tonalità alla celebrazione :
« Io sono il buon pastore e conosco le mie
pecore, e le mie pecore conoscono me, come
il Padre conosce me e io conosco il Padre,
e dò la mia vita per le pecore » (Io. 10 ; 14.
16), Nella dichiarazione dell’amore di Cristo per il suo gregge era contenuto l’invito
ai presenti a riconoscersi.
Il Salmo 22 e l’invocazione allo Spirito
Santo hanno fatto da cornice alla lettura,
fatta in lingua italiana, del celebre testo di
Ezechiele sui pastori d’Israele (34: 1-31).
La scottante realtà del brano profetico, vecchio di quasi tremila anni, era contemperata
dalla lettura, in lingua inglese, di I Cor.
13: 1-31; uno solo è il corpo di Cristo, benché molte ne siano le membra; uno solo lo
Spirito Santo, che anima il corpo attraverso
la molteplicità dei carismi.
Il cammino verso l’unione di tutti i cristiani si prospetta molto lungo, ma non impossibile. La terza lettura, dal Vangelo di
Giovanni (10: 1-8), stava proprio a indicare
la preoccupazione del Cristo di avere attorno a sè, come un solo gregge, tutta l’umanità. La preghiera del Cristo all’unità terminava la prima parte della manifestazione.
Col colloquio del canonico Findlow e del
Rettore del Collegio, l’assemblea ha visto richiamare la sua attenzione sull azione dello
Spirito Santo su tutta la Chiesa e nell intimo delle coscienze per produrre il grande
bene dell’unità dei cristiani. Il canonico
Findlow ha sottolineato la felice coincidenza della celebrazione ecumenica con la data
del 31 maggio, festa di Maria Regina. Ricordato il miracolo delle nozze di Cana e
l’intervento di Maria, ritiene che oggi essa
ripeterebbe a tutti i credenti in Cristo quello che allora disse ai servitori: «Fate quello che Egli vi dirà ». Il rettore del Collegio
ha sottolineato: benché le divisioni durate
per secoli non possano essere cancellate con
un solo atto di buona volontà, è tuttavia
possibile accostarsi cominciando dal conoscersi e daU’amarsi in Cristo; lo Spirito San.
to poi, primo fautore dell unità dei cristiani’ compirà quello che agli uomini sembra
irrealizzabile.
Una pregò era lltanica, recitata da tutta
l’assemblea, ha concluso l incontro.
L. P.
(L’Osservatore Romano, 3.6.’6ì)
FIDANZATO
PROTESTANTE
(I Così sono venuta a sapere che da sei
anni sono legati da un amore tanto profondo da farli decidere a sposarsi. Che
devo fare? Che consigli dare a questa figliola? Ma poi sarà davvero possibile un
matrimonio con questo protestante? E in
che forma? » (F. G., Roma).
Non c’è da ostacolarli, ma solo da sincerarsi che abbiano ben valutato le responsabilità che si accollano, soprattutto riguardo
all’educazione religiosa della prole. Infatti,
anche il loro amore non potrà coprire il disaccordo fondamentale di confessioni diverse.
In ogni modo, consigli alla sua figliola di
approfondire le convinzioni del fidanzato, in
rapporto alla indissolubilità del matrimonio
e ai fini matrimoniali.
Poiché lei non mi dice a quale confessione appartenga questo protestante, non so
darle assicurazioni circa la forma del rito
nuziale che verrà consentita. Non se ne meravigli : purtroppo i protestanti sono assai
diversi tra loro e il nostro apprezzamento
non va ugualmente a tutti coloro che si fregiano di questo generico distintivo.
Lei mi scrive da Roma : il giovane è forse
metodista? Se cosi tosse, lei avrebbe motivi
per tranquillizzarsi. 1 metodisti hanno buone qualità e dei pastori eccellenti: il dialogo con loro offre tutte le garanzie di un
rispetto reciproco. Ho citato solo i metodisti, perchè so che hanno una comunità assai
numerosa a Roma : lungi da me il proposito
di tare discriminazioni antipatiche.
(da n Colloqui con p. Rotondi »,
su Grazia. 11.6 .’67)
Fiori JD memoria
Ricordando con simpatia la Signora Adelina Pasquet Peyronel, i vicini del Condominio di Viale Gilly, offrono alla Sua memoria quali fiori, la somma di L. 13..500
per la Croce Rossa Italiana, Sottocomitato
di Torre Pellice.
A causa del gran numero di
interventi e di articoli di attualità,
siamo stati costretti a rimandare parecchi articoli e corrispondenze. Ce ne
scusiamo. red.
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4
pag. 4
N. 24 — 16 giugno 1967
Alcuni interventi sulla crisi del Medio Oriente
Roberto
Jouvenal
Politica e morale
Quando si parlava di Vietnam ci
si è sentito dire parecchie volte che
l’equidistanza e l’oggettività non erano altro che maschere per nascondere una posizione filoamericana. Ci
si è sentito dire ohe occorreva avere
il coraggio delle proprie opinioni e denunziare# in nome <iel messaggio evangelico, il proditorio assalto e la disumana aggressione americana nel Vietnam. Personalmente non ho es.itato
a denunziare l’aggressione americana
in Asia, nè ho mai nascosto la mia avversione alla guerra. Non avrò partecipato alle varie marce della pace, dove è facile passare inosservati e mantenere l’anonimo, ma ho, con disturbo personale, portato sempre incollato sull’auto il cartellino adesivo del
Comitato Città Europee per il Vietnam. Sono stato così forzato, nel mio
stesso ambiente, fra gli amici e conoscenti, a giustificare la mia personale
posizione, discutendo, chiarendo, controbattendo, confessando la mia fede
nel regno della pace che condanna
tutte le iniquità di questo mondo.
Per questo devo dichiarare che sono
rimasto disilluso dall’ultimo numero
di « Nuovi Tempi » e daH’articolo di
Franco Giampiccoli sull’« Eco-Luce »,
articolo storicamente pregevole (anche se politicamente opinabile), ma
moralmente povero. Erano articoli che
avevo atteso nella speranza che la
medesima coerenza e fermezza dimostrata per il Vietnam fosse mantenuta per la crisi arabo-israeliana.
Invece nulla : una semplice colonna
o poco più in seconda pagina e, quel
che è più grave, una colonna equivoca, su « Nuovi Tempi ». Ed un articolo abile, ma proprio perciò sofistico
di Agape. L’equidistanza e l’oggettività, condannate quando si tratta di
Vietnam, vengono qui tirate in ballo
ed usate per... non prendere posizione,
per non denunziare le intenzioni aggressive e genocide di Nasser. Anzi in
uno dei due articoli (quello di Giampiccoli) si ha il coraggio di sostenere
che le minacce e le invocazioni di
sterminio nasseriane contro Israele
devono essere ridimensionate trattandosi di « espressioni... da bazar orientale per... vendere meglio la merce».
Ricordiamo bene gli inviti di certa
stampa nostrana, negli anni della seconda guerra mondiale, a ridimensionare le parole con cui Hitler annunziava la soluzione finale del problema
ebraico! Voler minimizzare le miiiacce di morte è una bestemmia alla vita !
La verità è ohe gli Arabi hanno rifiutato di inserire o di favorire l’inserimento dei profughi «cacciati dalla
terra dei loro padri, ridotti a vivere
senza speranza alia mercè della carità
internazionale » (sono parole di « Nuovi Tempi», il quale peraltro non ha
una parola sui milioni di ebrei che
hanno avuto per patria soltanto le
camere a gas nazista!), che poi, in
pratica, era la carità americana. La
verità è che il socialismo ed il progresso, questa volta, non sono nel
programma del partito unico siriano
o egiziano (che meglio sarebbe chiamare nazionalsocialisti), ma sono nelle opere israeliane che han fatto rifiorire il Neghev come la rosa.
Nell’interno delle nostre chiese questa questione del Medio-Oriente servirà a farci capire se nelle file di_9«')j
loro che sono sempre bene informati
(mentre noi non lo siamo perchè
— poverini noi — leggiamo solo i
giornali cosidetti indipendenti), ohe
sono animate di spirito profetico
(mentre noi che andiamo in chiesa a
Natale ed alla domenica, siamo tenuti in letargo spirituale da una predicazione talmudica della Bibbia), che
sono progressisti ed amanti della pace
(mentre noi — si sa — siamo reazionari perchè diciamo ohe l’uomo non
vive di solo pane invece di prec^uparci, innanzi tutto, che nei Paesi del
Medio Oriente non vadano al potere
governi filoamericani) servirà a farci
capire, ripeto, se questi nostri illuminati e profetici fratelli sono per il
Vietnam aggredito e per Nasser aggressore o se quando parlano di pace
e di progresso intendono veramente
schierarsi senza equivoci contro tutte
le aggressioni, in atto ed in potenza,
con chiarezza come vuole rEvangelo
e non con contorsioni mentali e fu
nambulismi cerebrali per giustificare
una coerenza di posizione politica che
non è più coerenza di idee ma soltan
to brutale confusione e distorsione d’.
fatti. Aspetto senza illusioni che h
Chiesa, i giovani soprattutto, si pnruncino chiaramente per Israele cor
tro Nasser così, come si sono pronuu
ciati per il Vietnam contro l’America.
Soltanto nella misura in cui abbiamo
testimoniato la nostra solidarietà ar.
Israele nell’ora del pericolo e dellfminacce possiamo ora ricordargli It
sue responsabilità ed il suo dovere di
vincere la pace dimostrando compren
sione, cosìi come ha vinto la guerra
dimostrando di avere un cuore sole
ed un’anima sola.
Rimango fermamente convinto ohe
la causa prima della attuale crisi nel
Medio Oriente risalga ancora una voi
ta alla maledetta guerra del Vietnarr.
Ma sarebbe mostruoso che per vm ge
nocidio in atto nel Sud Est asiatico
la rappresaglia dovesse essere un altro geiiocidio in Palestina. Israele è
la nostra eterna malacoscienza : noe
solo perchè testimonia con la sua est
stenza secolare che Dio è fedele ad
un patto di cui gli Ebrei furono fino a
Cristo oggetto e dopo Cristo sono sim
bolo e figura, ma soprattutto perchè
la belva che è in noi li ha spinti, per
evitare pogroms e massacri, persecuzioni e camere a gas, a darsi una pa
tria nella quale solo il crudele sfrutta
mento a scopo demagogico da parte
degli Arabi ha mantenuto e gonfiato
il problema dei profughi. Nasser aveva un compito ben più degno e progressista da assolvere: la trasforma^
zione economica ,deri’Egitto, a partire
dai lavori della diga di Assuan, invece
di galvanizzare le masse nel diversivo
nazionalistico seguendo pedissequamente la strada e ripetendo pertanto
altrettanto pedissequamente gli errori degli stati borghesi che, dalla Francia di Carlo IX con l’Algeria airitalia
di Mussolini con la Corsica, Nizza e
ristria, han sempre dovuto nascondere i propri insuccessi economico-sociali con diversivi « gloriosi » e « nazionali ».
Io non sono allineato nè con gli
occidentali, nè con gli orientali: coinè cristiano mi sento libero di quella
libertà di giudizio che solo l’Evangelo
può dare, anche se questo Evangelo
mi fa trovare compagno di strada di
atei professi come Bertrand Russell e
Jean Paul Sartre, i quali han presieduto il Tribunale che ha condannato
moralmente l’America per il Vietnam
e che han preso decisamente parte
per Israele contro gli Arabi.
Sono convinto, pertanto, che la
Chiesa non debba essere manichea,
ma debba annunziare il giudizio di
Dio ohe è come una lama tagliente:
condanna il genocidio in atto nel
Vietnam ed il genocidio proclamato
in Medio Oriente. O la Chiesa evangelica oggi sa giudicare veramente
dove è rimpurità agli occhi deH’Eterno o avrà perso per sempre la possibilità di essere veramente una voce
libera nello schiamazzo mondano di
oggi, dove le idee si prostituiscono
per calcoli di pura e semplice politica
di potenza, dove si vedono i comunisti alleati coi nazisti in Medio Oriente
ed i fascisti nostrani antisemiti di
ieri ergersi a paladini di Israele oggi :
entrambi con pari contorsione mentale, ma con uguale fedeltà al loro
viscerale antiamericanesimo da un
lato ed anticomunismo dall’ altro.
Franco
Giampiccoli
Prima di cercare di dare una iiupostazione di fondo alla crisi del Medio Oriente e di
valutare le reazioni che si sono avute in Ita.
lìa, vorrei fare alcune precisazioni in merito
alla postilla di Gino Conte al mio articolo
della scorsa settimana muovendomi sul terreno dei fatti.
1. Conte afferma che la guerra del Sinai
del ’56 non fu « una guerra di conquista imperialistica, ma una risposta al blocco di
Suez al trafl&co marittimo israeliano ». Mi
chiedo se questo equivalga nel pensiero di
Conte ad una giustificazione anche parziale
di quell’impresa (molti denti per un dente.
solo). In * genere, e questo mi sembra parecchio pericoloso, si tende a dire che una reazione armala ad un blocco (Suez, Akaba) è
in fondo .giustificata. Mi chiedo se chi la
pensa così avrebbe ritenuto giustificato un
forzamento da parte dell’URSS del blocco
di Cuba nel 1962 attuato dagli Stati Uniti.
Vedi caso di blocchi ce ne sono stati da una
parte e dall’altra, ma le loro risoluzioni con
atti di forza vengono da parte di chi persegue, o ha perseguito, la politica del cc polso
fermo ». Dico questo non per contrapporre
Est a Ovest in una valutazione « buoni-cattivi » tipo western, ma per avvertire sul pericolo di lasciarsi facilmente influenzare dal.
la propaganda di chi giustifica facilmente le
ritorsioni di forza. Quanto al caso di Suez
non bisogna dimenticare che giorni fa da
parte inglese si è dichiarato che il governo
laburista non intendeva cadere nell’errore
dei conservatori che nel ’56 « avevano stupidamente creduto di poter rovesciare Nasser ».
La guerra del ’56 si inseriva chiaramente
nella politica colonialista dell’Inghilterra e
della Francia a cui Israele si associò preparando minuziosamente per alcuni mesi con
i franco-inglesi (lo hanno recentemente documentato alcuni storici inglesi) la guerra
contro l’Egitto. Ci si chiede spesso di condannare la repressione sovietica in Ungheria
(ma lo si chiede in un contesto storico sbagliato e cioè per bilanciare con un fatto
del ’56 la guerra di repressione USA nel
Vietnam di oggi) e seno pienamente convinto che si trattò di un atto aggressivo. Ma perchè non valutare in modo altrettanto chiaro
ciò che proprio in quei giorni rappresentava
il rovescio della medaglia mondiale?
2. A Conte non sembra giusto dire che lo
stretto di Tiran sia una soglia di casa egi
ziana e che, se anche lo fosse, lo sarebbe an
che per l’Arabia Saudita. Egli dimentica for
se che lo stretto di Tiran non è a metà stra
da tra Egitto e Arabia Saudita ; l’unico pun
to transitabilè dello stretto * si trova tra la
costa egiziana e l’isolotto di Tiran che in
sieme a quello di Senafir è territorio egizia
no. Anche l’esempio dei Dardanelli non tie
ne perchè in quel caso esistono convenzioni
internazionali, ignorare le quali significhe
rebbe una chiara infrazione del diritto in
ternazionale. Per lo stretto di Tiran non esi
ste convenzione internazionale per cui mi
sembra difficile contestare l’applicazione del
l’unica regolamentazione internazionale esi
stenle che riconosce le acque territoriali di
un paese secondo le di^osizioni interne del
paese stesso e non oltre le 12 miglia marine
e in caso di acque limitrofe stabilisce il con.
fine sulla linea equidistante dalle coste. Ora
lo stretto di Tiran è tra territori egiziani e
ad 1 km. dalla costa continentale egiziana.
Dico questo non per far cavilli, o per dire
che è giusto che le cose stiano così, o che
Nasser abbia agito come un santo, ma di
nuovo per avvertire che non dobbiamo assorbire acriticamente la prassi della politica
di forza che consiste nel decretare unilateralmente e senza l’accordo della Rau che lo
stretto di Tiran è un'acqua internazionale.
E’ questa una convenzione internazionale?
Non era più saggio riconoscere che data la
mancanza dì una convenzione internazionale
anteriore è necessario da parte delle potenze marittime e dell’opinione pubblica anziché parlare di illegalità sulla base di una
legge che non esiste, cercare di arrivare ad
una convenzione internazionale negoziata da
tutte le (parti?
3. NeU’obiezione di Conte sui profughi
palestinesi mi sembra si rifletta ancor più la
prcnaganda occidentale. « L’Unità » del 6
La
Enrico
Pascal
Seno grato al Pastore Giampiocoli
per il suo articolo suH’uitiino numero dell’« Eco-Luce », e per la ricca documentazione che egli intende fornire ai lettori, tuttavia intendo esprirnergli in modo amichevole il mio
dissenso. Dissenso che non verte tanto sul tipo di informazione (ohi è mai
in grado di dare una informazione
veramente imparziale e disinteressata?) quanto sul modo di condurre un
discorso che — per quanto politico —
vorrebbe essere certamente alle radici e nelle conclusioni teologico o meglio cristiano.
Nessun dubbio che Israele raipresenti una testa di ponte delle potenze
occidentali nei confronti del mondo
arabo, nessun dubbio sul ruolo determi .ante giocato dai magnati del petrolio sull’azione delle diplomazie occidentali, nessun dubbio ancora circa l’abile sfruttamento delle masse
arabe cosi facili ad essere fanatizzate
da parte delle potenze comuniste.
del crisliaiio
Vietnam e Medio Oriente
giugno riportava non solo la propaganda
orientale ma anche una relazione del 1961
di un alto funzionario dell’ONU, americano,
capo del servizio per i rifugiati palestinesi
dell’ONU, il quale, confutando diversi errori correnti nell’opinione pubblica occidentale
a questo proposito, affermava che non è vero
che gli stati arabi non hanno voluto integrare profughi palestinesi, ohe il 20% di
questi profughi aventi un minimo di qualificazione sono stati integrati e che il governo egiziano spendeva annualmente 95
milioni di sterline egiziane per l’assistenza
ai profughi. Questi dati, rilevati da una fonte qualificata, non mi sembrano di poco con.
to tenendo presente il quadro economico
estremamente precario della RAU.
Chiedersi poi « quanti fondi investiti in
armamenti avrebbero potuto essere meglio
utilizzati per questi sofferenti » applicando
questa osservazione soltanto all’Egitto o ai
paesi arabi, è davvero sorprendente. Sa Gino
Conte che dopo il piano Marshall il 90%
degli aiuti esteri degli USA sono stati spesi
in equipaggiamenti militari e che del restante 10%, tolti i prestiti, solo lo 0,5% è stato
speso in assistenza tecnica, sanitaria ed educativa? (0. Horowitz, From Yalta to Vietnam, p. 212, fonte americana). E allora per.
che accollare la responsabilità di questa piaga tremenda del nostro mondo — la corsa
agli armamenti — soltanto ad una parte,
aU’Egitto e non a Israele, agli uni e non
agli altri? Se mai si dovrebbe cercare su chi
ricada la responsabilità maggiore di questa
piaga. Ma questo è un altro discorso, e lo
potrei fare e documentare, se interessa,
un’altra volta.
La situazione nel Medio Oriente evolve di
ora in ora. In questi giorni abbiamo assistito ad una specie di ondata di propaganda
filo-israeliana con punte davvero preoccupanti (per esempio, se sono ben informato,
l’AVIS ha raccolto sangue solo per Israele!)
dovuta ad un complesso di passato anti-semitismo e molto più chiaramente allo schieramento internazionale delle forze. Da parte
di altri si è risposto, in parte, con una altrettanto parziale propaganda anti-israeliana.
Il nostro sentimento di simpatia e di vicinanza nei confronti del popolo che è stato
chiamato dal Signore con una vocazione che
è «senza pentimento » (Rom. 11: 29) non
deve spingerci a sposare facilmente la propaganda filo-israeliana in una situazione in
cui più che mai le responsabilità sono divise. Il discorso da fare è un altro e più
ampio. Se un contrasto locale annoso ed intricato di potenze minori è potuto chioderò con tanta violenza, coinvolgendo — anche se per fortuna e per ora indirettamente
— le potenze maggiori e portando il mondo sull’orlo del disastro, questo fatto è dovuto alla guerra americana nel Vietnam che
ha provocato un irrigidimento dei rapporti
internazionali, un ulteriore allontanamento
tra USA e URSS, un clima di tensione e
una atmosfera da III guerra mondiale nel
mondo intero (cito una valutazione di Alberto Gabella che condivido pienamente). In
questo quadro dobbiamo situare la crisi del
Medio Oriente non lasciandoci risucchiare
dalla logica del Vietnam con la conseguenza di schierarci con Israele contro la RAU. Il
nostro compito a mio avviso è di rispecchiare anche nelle nostre reazioni psicologiche,
nelle nostre valutazioni e nelle nostre azioni
i rapporti di amicizia che abbiamo e dobbiamo avere, malgrado ogni giusta critica
anche severa, e con Israele e con i popoli
arabi, appoggiando le iniziative dell’ONU
per la pace e mantenendo una stretta e ferma posizione di neutralità per ciò che concerne il nostro territorio, le nostre forze e i
nostri porti.
Il riferimento al Vietnam come elemento
determinante in questa valutazione della
crisi del Medio Oriente farà dire ad alcuni :
non vedete altro che il Vietnam e ne siete
accecati. Non si tratta di questo, ma del fatto che chi è convinto di avere identificato
nel Vietnam il punto focale della gigantesca crisi che il nostro mondo sta attraversando non può ignorare questo centro del
gorgo e procedere a valutazioni indipendenti che non investirebbero la crisi mondiale,
collegata e intrecciata nei suoi vari elementi, nella sua dimensione globale.
La crisi arabo-israeliana, che
ci ha tenuti e ci tiene in tesa
ansietà e gli articoli che abbiamo pubblicato negli ultimi due
numeri, ci hanno valso numerosi interventi che pubblichiamo. Siamo grati di questa partecipazione. Opinioni e valu'azioni diverse sono state esposte.
Pur senza concludere la riflessione teologica che questa drammatica attualità ci impone, non
ci pare sia il caso di continuare
su queste colonne la pubMlcazione di « botte e risposte » su
specifiche valutazioni politiche
di dettaglio. Le posizioni si sono confrontate. Ognuno dèi lettori, come ogni comunità, hi
motivo! di riflessione.
red.
Tutti insieme (non ultimi i tedeschi!)
hanno gareggiato nel fornire armi ai
vari belligeranti! Prima ancora di
parlare delle parti direttamente in
causa si deve dunque pronunciare
una energica parola di condanna sulle varie potenze : nessuna si è seriamente proposto di aiutare quelle popolazioni, ognuna a suo modo ha cercato di sfruttare la situazione. E tanto
per concludere su questo punto, poteva essere concepibile im atteggiamento più ambiguo di quello del presidente deiro.N.U.? Nessima meraviglia dunque che le due parti in causa,
divise da un odio feroce, antico di
millenni, si siano fronteggiate e affrontate da sole. Che gli arabi, Nasser in testa, intendessero realmente
distruggere Israele, credo sia innegabile, e del resto, almeno come potenziale bellico, i mezzi li avevano.
Che Israele, che da tempo si aspettava questo, si sia difesa attaccando,
sembra piuttosto evidente. Avrebbe
fatto meglio ad attendere le decisioni
deiro.N.U.?
In una prospettiva storica certamente diversa, fu grave colpa quella
dei Valdesi (l’Israël des Alpes!) quella di non rimettersi sempre con pazienza al sottile lavoro delle varie diplomazie, e di non accettare infine il
tranquillo rifugio in terra svizzera?
Non mi pare!
Da un punto di vista politico si dovrebbe dire dunque che la politica di
Israele e la conseguente azione militare è stata abile ed intelligente.
Da un punto di vista morale naturalmente le cose vanno giudicate diversamente: non sono tra quelli che
condannano la violenza, come se la
vita del cristiano dovesse svolgersi
beatamente tra salmi e preghiere, fuori del mondo, anzi mi pare ohe la vita
del cristiano non possa essere altro
che lotta e impegno nel mondo, in un
continuo contrasto con dei nemici
(tale è la prospettiva indicata da Gesù, con profondo realismo). Ma deve
risultare altresì, evidente che la battaglia del cristiano, « non è contro
carne e sangue », non mira alla distruzione dei nemico, ma è diretta
contro tutte le ideologie, i sistemi e le
« potenze » che minano alla radice le
possibilità di vita pacifica, non vuole
annientare ma trasformare, « fare
ogni cosa nuova». Dunque nessuna
guerra, col suo carico di distruzione e
di morte sarà mai concepibile e moralmente giustificabile. Però, anche in
questa prospettiva, si dovrà pur dire
che Israele ha fatto rifiorire pacifìcatamente il deserto, è riuscito a mandare a scuola persino i primitivL dello Yemen, e rappresenta anche (purtroippo non solo!) la civiltà contro la
barbarie.
Non vedo invece come possa ì
accettata la figura di Nasser c
tipo di irresponsabile, di cui
ria recente ci ha fornito pi r
alcuni tragici esempi. Di fro
un popolo letteralmente ì ffa
incivile non ha saputo co tr
maniera onesta l’unità del suo
lo; ha dissipato in armamenti
naro ohe avrebbe dovuto e r.
adoperare ben altrimenti. Su
uomo non può essere espre~ o
giudizio totalmente negativo,
solo allo scarso potere cmico
popolazioni arabe, certo non
emancipate, e al loro elevato v
di fanatismo nonché alimíii
russa, la sua salvezza. Non ~i p
provare compassione sincera pei
le grandi masse « sperdute e senza
pastore» costrette in mancan;: ,i di
meglio ad appoggiarsi ad un ut
cui cariche di odio, dopo le non
frustrazioni subite, fanno vera
paura.
Ma veniamo aU’aspetto tei
della questione, che veramente
pegna come cristiani. L’amico
piccoli conclude la sua esposizi-.
chiamando Israele alla sua gr
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Ijaesta volta devo disseiiiìre
Gli avvenimenti nel Medio Oriente si
susseguono con una tale rapidità che sii è
tentati di lasciar passare ancora un po’ di
tempo per averne una visione più retrospettiva e darne un giudizio meno avventato. D'altra parte è comprensibile, da a
la loro gravità, che delle prese di posizione non possano essere rimandate; ed è
così che mi sono anch’io sentito, insieme
col Direttore della « Luce », solidale col popolo di Israele nel pericolosissimo frangente in cui è venuto a trovarsi.
Esso ha, fortunatamente, superato la
prova; lo ha fatto in maniera così rapida
e sconcertante che ci sembra, ora, quasi
inverosimile che solo pochi giorni fa potevamo temere per la sua sopravvivenza.
Perchè dì questo si è trattato: non di una
ennesima diatriba tra Israele ed arabi, non
deirultima scaramuccia di frontiera, ma di
una situazione nuova in cui mai la minaccia per la sorte di Israele era stata così
grave. Una coalizione di tutti i paesi arabi, uniti contro gli israeliani in una « guerra santa »; uno schieramento di potenti
forze militari lungo i mille chilometri di
frontiera del piccolo stato (e a guardare la
cartina geografica veniva il capogiro!); l’incitamento fanatico del capo di questa coalizione, che con freddezza dichiarava esplicitamente di volere la completa distruzione
del nemico; infine il completo isolamento
di Israele in seguito alle dichiarazioni di
neutralità da parte di quelle nazioni che
pur si erano fatte garanti per la sua integrità territoriale; non era tutto ciò sufficiente per temere il peggio?
Non era facile prevedere che Nasser era
in realtà solo « una tigre di carta » e che
così grande sarebbe stata l’abilità militare
di Israele!
Ora che il pericolo per la sua sopravvivenza sembra scomparso, vi è abbondante
pane per i denti per i diplomatici e, sotrattutto, per gli uomini di buona volontà.
Non c’è bisogno di ricordare che, come
anche in questo caso, le ragioni non sono
mai tutte da una sola parte e che grandi
sono anche i torti e gli errori di Israele.
Ma forse che anche nel Vietnam tutta
la ragione è da una parte sola e tutto il
torto dairaltra? Eppure, con molti amici.
tutti insieme abbiamo preso nèttamente
posizione per il popolo vietnamita, riconoscendo il suo diritto alla autodeci-ione,
la legittimità della sua guerra di liijerazione (anche se così fortemente strutnentalizzata!) e condannando la presenza repressiva degli americani. E oggi anco;;: mi
appare intollerabile il fatto che durante
questi giorni così angosciosi per la pace
mondiale, gli S.U. abbiano continualo imperterriti a bombardare il territorio vietnamita.
Ma ora non posso non dissentire dagli
stessi amici quali, '.di fronte al rischio di
invasione di Israele, concludevano nei
giorni scorsi, dopo un laborioso e freddo
calcolo di contabilità dei torti e delle ragioni delle due parti, che le responsabilità
della gravità della situazione andavano
equamente ripartite.
Avrei voluto una maggiore sensibilità di
fronte al ricordo delle sofferenze degli
israeliani durante rultima guerra mondiale
(delle quali tutti portiamo la responsabilità). Ed inoltre, malgrado tutto, Is;aele
è pur sempre il popolo del Fat o colTEterno!
Ed anche credo che non si possa accettare che, in nome di una cosidetta guerra
di liberazione territoriale (ma perchè non.
piuttosto, una liberazione dai vari dittatori
corrotti che governano i popoli arabi?), si
abbia il diritto di prepararsi alla distruzione di un intero popolo. Forse che anche nel Vietnam, a parte i torti e le ragioni, quello che ci scandalizza non è anche quella inesorabile e spietata azione di
distruzione del popolo vietnamita?
Ma nei nostri giudizi e nei nostri impegni dobbiamo guardarci dal farci condizionare politicamente; questa orisi nel
Medio Oriente potrà aiutare ciascuno di
noi a mostrare che nei nostri giudizi siamo
liberi, condizionati solo dalla esigenza di
fedeltà alla Parola di Dio.
Direttore resp. : Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
n. 175, 8-7-1960
Tip. Subalpina s.p.a. . Torre Pellice (To)