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Anno 128 - n. 30
24 luglio 1992
L. 1.200
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delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
MAFIA
La strage
di Palermo
Immediata la reazione delle
ehiese evangeliche siciliane alla
notizia della strage di Palermo
nella quale hanno perso la vita
il giudice Borsellino e gli agenti della sua scorta. « Le chiese
evangeliche hattiste e valdesi di
Catania — si legge in un comunicato — esprimono la loro partecipazione al dolore e la loro
solidarietà ai familiari delle vittime e dei feriti dell’ennesima
strage di mafia avvenuta ieri a
Palermo; il pieno e totale sostegno alle forze di poUzla e alla
magistratura, attualmente impegnate in un generoso ed immane sforzo contro la riaffermazione del potere della criminaUtà
organizzata stai tessuto democratico e civile della nostra isola;
una forte preoccupazione per lo
sviluppo di una strategia dell’annientamento messa in atto dalla mafia contro le forze dello
Stato che, in questo ultimo decennio, avevano accumulato conoscenze, esperienze, professionalità, con le quali si erano raggiunti risultati significativi nell’iniziare lo smantellamento delle strutture mUitari e decisionali, come la ’’Cupola”, del fenomeno mafioso (...) ».
E proprio nella dichiarazione
degli evangelici di Catania possiamo cogliere un’altra chiave di
lettura. Se la mafia colpisce in
questo modo è perché percepisce che il suo potere incontrastato è stato finalmente posto
in questione. Borsellino, come
Falcone, come Cassarà e Montana, Chinnici e Terranova, DaUa
Chiesa e Pio La Torre (e la lista potrebbe allungarsi ancora
molto all’indietro), uomini dello Stato, dei suoi apparati, sono stati eliminati perché ne minacciavano resistenza. Sono « caduti nell’adempimento del loro
dovere ». Dunque non è vero che
tutto lo Stato è assente o latitante nella lotta contro la mafia. Ad eccezione di Dalla Chiesa, tutti gli altri nomi sopra ricordati a titolo esemplificativo
sono siciliani. L’isola non esprime soltanto mafia e criminalità,
ma anche persone di grande
statura civile che gettano la loro esistenza per affermare il diritto e la giustizia, per liberare
il proprio popolo dalla stretta
so<lfocante e avvilente della mafia, come altri tentano di liberare l’Italia dalla corruzione.
_« Viviamo nel deserto, a cui
ci ha condannato il nostro peccato — afferma Giorgio Bouchard, presidente della Federazione delle chiese evangeliche' —,
peccato di culto degli idoli della ricchezza, del potere, deUa
solitudine, della violenza e della morte. Da questo deserto
piangiamo e invochiamo da Dio
il perdono che dà vita e nuova
forza per costruire il futuro perché, come credenti, riteniamo
che già da ora, nella vita e nella morte di Gesù Cristo, il male è stato per sempre sconfitto ».
La mafia ci spaventa e distrugge i nostri uomini migliori; ma
l’Evangelo ci dà la forza di mantenere incrollabile la nostra speranza perché in Cristo la morte, e tutto U suo armamentario
di violenza, ingiustizia, corruzione, prepotenza, viltà, « è stata
sommersa nella vittoria» (I Corinzi 15: 54).
PONTICELLI: OSPEDALE EVANGELICO «VILLA BETANIA »
Come al solito pagano i poveri
Per decisione della giunta regionale il livello delle prestazioni convenzionate viene unificato in una fascia più bassa: una retta pagata dai degenti o dei licenziamenti in vista?
Ancora una volta «Villa Betama », l’ospedale che gli evangelici napoletani hanno costruito
in uno dei quartieri più densamente popolati e difficili, Ponticeffi, vede minacciata la propria
esistenza. Già nei primi mesi dell’anno l’ospedale lanciò un drammatico appello a tutte le chiese
evangeliche perché, a causa dei
ritardi dei rimborsi da parte dell’USSL 45, non riusciva più a pagare gli stipendi ai dipendenti,
avendo anche ormai toccato il
tetto di crediti concessi dalle
banche. Allora il prefetto di Napoli si mosse, fu firmato un accordo con i responsabili delrUSSL nel quale si prevedeva un
pagamento in rate successive del
debito accumulato; le banche
concessero nuovi fidi e all’ospedale tirarono tutti un grosso respiro di sollievo: medici, pazienti, personale e amministratori.
L’attacco, questa volta, viene
dalla giunta regionale della Campania. Il 7 luglio essa delibera di
« unificare in via provvisoria il
livello delle prestazioni ospedaliere erogabili in forma diretta
presso le case di cura convenzionate operanti su territorio regionale a quello previsto per la fascia funzionale C ».
Che cosa significa? In parole
povere le case di cura sono suddivise, a seconda dei servizi che
sono in grado di rendere e delle
strutture, in quattro categorie:
A, B, C, D. La più alta di queste
è la A. Naturalmente ad ogni categoria corrispondono rette diverse. Trovandosi ora la Regione
a far fronte ad una grossa spesa
per la sanità, e non potendo usufruire come in passato di finanziamenti statali, ha deciso di lasciar libere le case di cura di autodeclassarsi, sì da poter risparmiare 80 mila lire per giornata di
Il ministro della Sanità, De Lorenzo, in visita all’ospedale evangelico
"Villa Betania" di Ponticelli.
COMUNIONE, RICONOSCENZA, TESTIMONIANZA degenza La retta giornaliera, cal
Cantare è bello
« ...E la gioia di Gerusalemme
si sentiva di lontano» (Nehemia
12: 43).
Cantare le lodi del Signore è
bello! E’ « dedizione alla Parola,
inserimento nella comunità »,
gratitudine e preghiera. Se cercate in una chiave biblica la parola canto (e i suoi derivati cantare, cantico, cantore) noterete che
il canto è una delle espressioni
più antiche e significative della
fede personale e comunitaria.
Cantano « Mosè e i figliuoli
d’Israele », cantano Deborah e
Anna, canta Davide, cantano gli
angeli la notte di Natale, cantano
Paolo e Sila nella prigione di Filippi, canta la comunità nascente,
cantano gli eletti davanti al trono
dell’Agnello. Chi crede e spera in
Dio canta, in armonia con l’invito del salmista: «Cantate all’Eterno un cantico nuovo, o abitanti
di tutta la terra» (Sai. 96: 1).
Perché cantare? Dal testo di
Nehemia 12, che racconta la festa
per la ricostruzione delle mura
di Gerusalemme, emergono almeno tre motivazioni:
1. Il canto è occasione di raduno, di incontro, di comunione
fra credenti: « ...e i figliuoli dei
cantori si radunarono dal distretto intorno a Gerusalemme... »
(27-29). Il canto ha la capacità
di cementare ciò che prima era
disgiunto, « affinché d’un solo animo e d’una stessa bocca
glorifichino Iddio » (Rom. 15: 6).
Non solo! Ma « in quel giorno...
anche le donne e i fanciulli si rallegrarono » (43) passando, grazie
al canto, dalla disseminazione e
diversità alla comunione e uguaglianza. Niente più del canto riesce a fondere insieme più elementi, niente più del canto esprime l’unisono della riconoscenza e della fede, pur nella molteplicità delle individualità e dif
ferenze. Sarà per questo che il
past. Bonhoeffer preferiva il canto all’unisono a quello polifonico:
« Il canto all’unisono raccoglie insieme, in un tutto, voci, situazioni, pensieri, angosce e speranze
diverse, che sono amalgamate
nella comune espressione della
fede ».
2. Il canto è espressione di
gioiosa riconoscenza: « In quel
giorno il popolo... si rallegrò perché Iddio gli aveva concesso una
gran gioia » (43). Il canto, come
il sorriso, è l’espressione naturale della gioia, anche se non
sempre si ha voglia di cantare
(Sai. 137) o è il momento giusto
per farlo (Prov. 25: 20). Questo
però non toglie che il canto è in
primo luogo espressione di gioiosa riconoscenza anche quando le
tappe della vita segnano il rosso
delle avversità e del dolore. La
Bibbia non invita a cantare quando tutto va bene e c’è quindi una
buona ragione per farlo. La Bibbia ci sfida a reagire ai nostri
umori per far sì che siano le cose meravigliose del Signore a determinare la nostra gioia e il nostro canto riconoscente: « Rallegratevi continuamente nel Signore. Ripeto: rallegratevi » (Filip.
4: 4).
3. Infine, il canto è strumento di testimonianza e di evangelizzazione: « E la gioia di Gerusalemme si sentiva di lontano »
(43). E’ meraviglioso poter comunicare « a quelli di fuori » la gioia
riconoscente nel Signore che si
rinnova di giorno in giorno. Un
canto « pigro », annoiato, stanco,
balbettato, sussurrato non ha nulla da comunicare e quindi non ha
ragion d’essere. D'altra parte un
canto poderoso, entusiasta, gridato, elettrizzante ma povero di
parole significative per la fede
evangelica è altrettanto inutile
perché è «bel canto » e basta. Il
canto biblico è « ornamento della
Parola », lode riconoscente, ma
anche strumento di comunicazione delle cose grandi di Dio.
Bach, nella ricchissima cornice
della sua musica, ha sempre
mantenuto la centralità della
Parola e la Bibbia si è preoccupata di custodire e trasmettere la
Parola e non la musica della fede antica.
E’ necessario, dunque, che come credenti e chiese del nostro
tempo ci riappropriamo della forza del canto per godere della comunione reciproca, esprimere la
nostra gioiosa riconoscenza e raccontare le cose meravigliose del
nostro Signore.
Francesco Casanova
colata intorno alle 250 mila lire,
verrebbe così ridotta a circa 170
mila lire.
« Di fronte ad una situazione
del genere due sono le soluzioni
possibili — dice il direttore sanitario dott. Accardo —, o noi
chiediamo ai degenti una retta
di 80 mila lire oppure licenziamo il personale. E siccome il
mancato introito assommerebbe
ad una cifra totale di 3,6 miliardi annui e lo stipendio medio di
un dipendente è calcolabile intorno ai 36 milioni, il calcolo è
presto fatto: dovremmo licenziare almeno 100 persone, su un organico di circa 170. E’ chiaro che
a questo punto non potremmo
più garantire la stessa assistenza e quindi verremmo a negare
tutto il processo di qualificazione
compiuto dalla fondazione dell’ospedale fino ad oggi. Non possiamo chiedere 80 mila lire al
giorno a persone che vivono del
Luciano Deodato
(continua a pag. 12}
Sinodo delle chiese
valdesi e metodiste
Il Sinodo, secondo quanto disposto dall’atto n. 82
della sessione sinodale europea 1991, è convocato per
DOMENICA 23 AGOSTO 1992
I membri del Sinodo sono invitati a trovarsi nell’aula
sinodale della Casa valdese di Torre Peilice, alle ore 15.
II culto di apertura avrà inizio alle ore 15,30 nel tempio di Torre Peilice e sarà presieduto dal pastore Valdo
Benecchi.
Il moderatore della Tavola valdese
Franco Ciampiccoli
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fede e cultura
24 luglio 1992
UNA TESTIMONIANZA
PROTESTANTESIMO
Giancarlo
Una storia di sofferenza che tuttavia non cade mai nell’autocommiserazione, ma offre anzi uno stimolo per aiutare tutti i sofferenti
Giancarlo: che cosa può mai
contenere un libro con un titolo
così curioso*? Sembra preludere ad una storia per bambini e
invece si tratta del racconto di
un'esperienza vissuta, una delle
più tragiche e tristi esperienze
della vicenda umana, quella che
passa attraverso la malattia e
la morte.
Sulla malattia e la morte si
sono scritti molti libri. Sono temi che interessano tutti: può capitare a tutti, dobbiamo sapere
ed essere informati. Ed ecco testi in cui il problema viene illustrato, sviscerato, prospettato
sotto i più vari aspetti: medico,
psicologico, teologico, ecc. con
splendide ed importanti teorizzazioni.
Ma in questo libro non si parla di malattia e di morte, ma
della vicenda di due esseri umani che vivono l’angoscia della
malattia e della morte. Si tratta
di una giovane coppia felice,
tranquilla, come mille altre, come vorremmo fossero tutte le
coppie.
Tre anni di
vita vissuta
Chi scrive è Guglielmina (la
sopravvissuta!); racconta la sua
storia con Giancarlo (che deve
essere scritto tutto attaccato, secondo una sua puntigliosa precisazione). Vengono narrati, nella
forma di diario, tre anni di vita
vissuta, dal 1987 al 1990. Ma il
tema fondamentale non è la sofferenza della malattia o il terrore della morte, ma è l'amore.
L’amore che si esprime in un legame assoluto, quasi perfetto:
« Non riesco a concepire una
mia esistenza senza di lui, senza
questo marito-amante-amico-padre. L’unica cosa positiva che io
abbia mai fatto è l'aver sposato
mio marito. Tra noi vi è affetto,
calore, comprensione ».
Ma ecco i primi sintomi della
malattia di Guglielmina: « Mi
sono guardata allo specchio: la
parte sinistra del collo è tutta
gonfia e non riesco neanche a
toccarla tanto è indolenzita ».
Guglielmina studia medicina e
comprende fino in fondo la gravità della diagnosi: linfoma maligno. Segue la narrazione degli
stati d’animo che intervengono:
« La consapevolezza fortissima,
quasi tangibile della precarietà
della vita. A me il "memento
mori" è stato detto ad alta voce,
guardandomi bene negli occhi
in modo che mi rimanesse impresso nella mente ».
Insegnamenti
positivi
Guglielmina trova conforto nel
marito: « Siamo m due e tu guarisci; e una grossa parte del fardello è scivolata via dalle mie
spalle! ».
Guglielmina supera la fase critica della malattia e si avvia verso la guarigione. Trae dalla sua
prova degli insegnamenti positivi: « Ho imparato a essere più
tollerante verso la vita, più indulgente verso me stessa, a non
tormentarmi con ansie immotivate, ho imparato a volermi un
po' di bene ».
E il libro potrebbe concludersi
qui, a p. .53. Condotto attraverso Tanalisi di attese, paure, scoraggiamenti, recuperi, speranze
il lettore ha un sospiro di sollievo. La giovane e simpatica cop>pia è salva. « Ho ripreso la mia
vita di studentessa casalinga con
i batteri, i virus, i protozoi,
i piatti da lavare, la spesa al
supermercato e la macchina che
perde olio ».
Ma un’altra vicenda si innesta
nella vita della coppia rasserenata. «Oggi Giancarlo si sente
poco bene »: è l'inizio in sordina
di una diagnosi di cancro e la
malattia sarà descritta fino alla sua tragica conclusione: « Il
tempo è tornato indietro, l'incubo è ricominciato, più pauroso,
più insopportabile di prima...,
siamo arrivati troppo tardi..., il
mondo mi crolla addosso, vorrei urlare per la disperazione... ».
Il procedere inesorabile della
malattia spegne una per una tutte le speranze residue. Guglielmina ci conduce attraverso le
sue reazioni di protesta e di
rabbia: «... tutto ciò è ingiusto,
è un'infamia... »; di angoscia, di
solitudine, di terrore: « Mi sento
addosso il gelo della fondamentale solitudine umana, mi sento
dentro il vuoto di un mondo privo dell’unica persona per cui io
significhi tutto e che significa
tutto per me. Provo un panico
assoluto, il panico di un bambino abbandonato ».
Descrive la lenta e fondamentale modificazione del loro rapjporto: «Il Giancarlo di sempre
non è già più lui, non siamo più
noi, perché io so qualcosa che
lui non sa, i nostri ruoli cominciano a invertirsi. D'ora in poi
dovrò trasformare l'essere che
vedo nel ricordo della persona
che fu. Mi sarà concesso ancora
per qualche tempo di curarlo,
parlargli, di sentire la sua voce,
ma non sarà più lui ».
La rivelazione
della verità
Affronta il grave problema della rivelazione della verità: « Tocca a me decidere se dire la verità a Giancarlo oppure no. Ed
io, o qualcun altro al mio posto,
decrebbe cercare le parole più
circospette, le frasi più velate
per comunicargli che adesso la
sua vita è finita, che non ci sono speranze, che tutto ciò su
cui può ancora contare è una
manciata di mesi di sofferenza.
Non posso dirgli le cose come
stanno, sarebbe semplicemente
disumano, ma non riesco nemmeno a immaginare una storia
che regga, che non puzzi lontano
un. miglio di fiabesca, insostenibile falsità. Ma d’altra parte
Giancarlo jMtrebbe intuire qualcosa, sentirsi preso in giro...,
convivere faticosamente con il
dubbio di sapere, capire la verità non detta e sentirsi costretto a recitare, e allora arriveremo al punto di recitarci tutt'e
due la commedia e tra i due lui
sarebbe il solo a sapere a me
La chiesa
e la «conquista»
Basato sulle più recenti ricerche storiografiche e su una stringente obiettività di giudizio, il
libro è fra i pochi che tracciano il ruolo assunto dalla chiesa
nella « conquista » del Nuovo
Mondo.
Gli errori commessi nella prima fase della colonizzazione sono innegabili, ma altrettanto innegabile è che la chiesa fu in
seguito Tunica a difendere le
sorti degli indios e a difenderne
l’identità culturale ed etnica.
Emblema di questa evangelizzazione antimperialista e anti
schiavista fu il domenicano Bartolomé de Las Casas che per oltre cinquant’anni condusse una
lotta estenuante in nome del
Vangelo della carità e della giustizia.
Il libro intreccia mirabilmente la cronaca biografica alla sintesi storico-politica ed è di lettura avvincente.
Quale ecumenismo?
Sulla rivista della Facoltà di teologia un
bilancio delle recenti importanti assemblee
moria anche la mia parte... Preferirei arrivare in ospedale e
scoprire che lui è sereno, ma
non mi riconosce più, non sa più
chi io sia, piuttosto che dovermi
confrontare ogni giorno con la
sua consapevolezza e la mia impotenza ».
E p>oi il racconto della fine:
« Il mio compito è finito... La
corda tesa sull’abisso si è spezzata e io sono precipitata giù
fino in fondo e sul fondo ho
trovato le ali rotte dei nostri
sogni in frantumi. Devo cercare
di raccogliere i pezzi sparsi, devo mettere insieme un qualcosa
che mi sostenga, devo volare
fuori dell'abisso, di nuovo, da
sola ».
Un senso a tutto questo? Guglielmina assiste come volontaria un gruppxj di malati di AIDS
in ospedale: « Ritrovo mio marito in ogni malato che assisto,
lo trovo in mezzo all’umanità dolente. Solo così riesco a dare
un senso alla sua morte e alle
nostre sofferenze, solo così riesco ad accettare tutto quanto è
successo ».
Un bisogno
di comunicazione
Guglielmina non ha mai scritto libri e, così mi ha detto, forse
non ne scriverà mai più. Essa
ha voluto lasciarci non un’opera
letteraria, ma un’esperienza vissuta intensamente in un urgente
bisogno di aprirsi, di comunicare, di fare partecipi altri del
dramma della sua vita. Eppure
il suo scritto non presenta accenti tragici, pietistici, retorici,
di autocommiserazione, ma appare come un discorso fluido, semplice, spontaneo, non privo qua
e là di accenni umoristici.
Riferendo i discorsi nella sala
d’aspetto dell’oncologo ci dice
che « alcuni malati di cancro lo
sono anche di protagonismo,
sembra che ci provino gusto a
descrivere, nei più catastrofici
particolari, le proprie disgrazie
e le morti altrui! ».
Siamo grati a Guglielmina di
averci lasciato con il suo libro
una testimonianza di vita in cui
molti si riconosceranno, riaccendendo forse sofferenze sopite,
ma suscitando anche sentimenti
di solidarietà e amicizia e volontà di una ricerca rinnovata di
senso e significato anche attraverso le esperienze più drammatiche della vita.
Alberto Taccia
Va segnalato, per il suo carattere serenamente critico, il Taccuino ecumenico di Paolo Ricca
apparso nell’ultimo fascicolo
della rivista Protestantesimo
(1992/2, pp. 126-132).
Dalla sua valutazione dei risultati più appariscenti dei tre
incontri settoriali della cristianità (il ’’cattolico" di Roma 1991,
T ’’ortodosso” di Istanbul 1992 e
il "protestante" di Budapest 1992)
emergono dei grossi interrogativi: visto che Roma — malgrado
l’apparente apertura verso i "delegati fraterni" — tende a chiudersi nella sua ecclesiologia
wojtyliana; visto che Istanbul
depreca ^ proselitismo selvaggio (o abilmente dissimulato) da
parte sia di « certi circoli all'interno della Chiesa cattolica romana », sia di « alcuni fondamentalisti protestanti »; visto che
Budapest ha evidenziato che « la
via dell’unità protestante non è
meno impervia di quella dell'unità cristiana »; e tutto questo a
dispetto delle promettenti aperture di Basilea 1989 e di Santiago de Compostela 1991, che cosa
deve fare un cristiano « tout
court » nell’area particolare in
cui vive ed è chiamato a testimoniare, sia come individuo che
come membro di una data comunità?
Uscendo dal vago e dal generico, quale sarà l’atteggiamento
ecumenico dell’evangelico in un
paese come il nostro, dove ad
una forte tradizione cattolica si
accoppia un altrettanto forte
processo di secolarizzazione? Si
dice e si spera che il cammino
verso l’unificazione politico-economica dell’Europa dovrebbe
essere accompagnato da quello
verso l’unificazione delle chiese
cristiane ma, dicendo e sperando ciò, non si dimentica forse
che accanto ai cristiani vi sono
anche gli ebrei e i musulmani,
per non parlare dei molti che
credenti non sono o appartengono ad altre religioni? Parlando
di 'Unificazione, sia degli stati
che delle chiese, dove va a finire il criterio caro a molti dei
contemporanei, secondo il quale
l'unità non è incompatibile con
le diversità? In altre parole,
parlando di « testimonianza comune » e di « evangelismo ecumenico », che cosa si vuole effettivamente dire? Non sono
questi termini altrettanto ambigui come quelli di « casa comune » o di « chiesa comune » europea?
Ricca osserva che le chiese,
anziché deconfessionalizzarsi, si
stanno tutte riconfessionalizzando: è giusto, ma è questo il vero nocciolo del problema? Se
si accetta che Cristo crocifisso
è scandalo per i Giudei e pazzia
per i Gentili, secondo I Cor. 1: 23
(se ne veda il ricordo grafico
sulla testata di ogni fascicolo di
Protestantesimo), se ne deve dedurre che cristiano è solo colui
che non si offenderà di quella
croce né la troverà assurda (come traslittera la TILC), protestante, ortodosso o cattolico che
sia. Dunque, alla base dell’ecumenismo cristiano, troviamo un
dato di fatto la cui accettazione
e la cui testimonianza non sono
la prerogativa di alcuna chiesa
in particolare, pur essendone
l’unico contrassegno che conti.
Se è così, non si può parlare
di "terra” tradizionalmente cattolica o ortodossa o protestante,
perché il fatto di essere cristiano non è legato né a luoghi né
a tempi determinati, ma deriva
solo dalla fedeltà, hic et nunc, a
quella testimonianza. In tale contesto non vi è alcun monopoUo,
tutti sono chiamati ad evangelizzare, « a tempo e fuor di tempo...
con grande pazienza » (II 'Tim.
4: 2).
Giovanni Gönnet
BEST-SELLER
Il cognome di Gesù
I pensieri (dei bambini, fatti (di generosità e
speranza, e le formule apprese al catechismo
' GUGLIELMINA ZUCCHINO, Giancarlo, Crescentino, La Rosa Editrice,
1992, L. 25.000.
SEGNALAZIONE
L’autrice di un recente libro
di successo ', direttrice didattica
a Spoleto, raccoglie in antologia le « risposte religiose » di
bambini e bambine tra i cinque
e i dieci anni: duecento pagine
che si leggono d’un fiato. A lettura ultimata mi sono trovato
perplesso, pensieroso, preoccupato. Talune espressioni ingenue
e ricche di fantasia mi hanno
incantato. L’ostinazione con cui
si vuol salvare persino il diavolo mi ha trasmesso im messaggio pieno di generosità e di speranza.
Eppure prevale in me una
constatazione amara: nella « testa » (e nel cuore?) di questi
bambini, tranne alcune simpatiche trasgressioni ed eresie, hanno già messo radici tutti i dogmi cattolici nella forma catechistica tanto gradita al cardinale
Ratzinger. Dalla trinità all’angelo custode, dal papa al fraticel
lo, dal paradiso all’inferno, dalla Madonna ai santi... tutto il
castello dogmatico e devozionale è già ben costruito e disegna^
to. La chiesa (quella « buona »,
cioè cattolica!) è una piramide
ben organizzata e sagomata, con
tutti i gradi gerarchici.
Un’opera come questa documenta, in modo impressionante,
l’enorme peso della devastazione
catechistica.
Se questo è il risultato della
« nuova evangelizzazione » ad
opera delle parrocchie e delle famiglie, Dio ci liberi dal catechismo... E’ così difficile, fin dalTinfanzia, sfuggire alla prigione dell’ortodossia dogmatica e avviarsi sul sentiero dell’eresia biblicamente nutrita?
Franco Barbero
' M. ANTONIETTA ALBANESE, Gesù
di cognome si chiamava Dio, Bari, Laterza, 1992, pp. 208, L. 20.000.
M. FRANCIS ORHANT, La Chiesa e
la « conquista » delTAmerica. Bartolomé de Las Casas e la nuova evangelizzazione, Torino. Gribaudi, 1992, pp.
168, L. 17.000,
VACANZE, E QUALCOSA DI PIU'
IN TOSCANA
Casa comunitaria di Tresanti
Via Chinigiano 10 - 50095 MONTESPERTOLI
Telefono : 0571 / 659075
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24 luglio 1992
commenti e dibattiti
DIBATTITO
DISCUSSIONE
Per una diaconia
più forte
La situazione normativa di oggi richiede per le nostre
opere degli strumenti adeguati - La ricerca dell’unità
Don Lorenzo Milani,
un mito
Una serie di considerazioni in merito all’articolo di
Sebastiano Vassalli - Una vicenda fatta di ardue scelte
Già un anno fa il past.
Santini aveva pubblicato
sul nòstro settimanale un
articolo dal titolo No al
soccorso alpino, in cui
esprimeva le sue critiche
al progetto che allora si
chiamava ancora della
« nuova CIOV ». Oggi riprende la penna sullo stesso argomento, visto che
sta arrivando in Sinodo il
progetto maggiormente elaborato di una « Commissione sinodale per la diaconia ». Il suo nuovo intervento è contenuto nel
n. 24 del 12 giugno e porta il titolo SOS, Sindrome
italica?
La preoccupazione che il
past. Santini denuncia è
quella di una eccessiva burocratizzazione della vita
della chiesa, un accentramento verticistico che con
le norme ed i regolamenti
finisce per uccidere lo Spirito e la libertà delle opere diaconali della chiesa.
E segna le sue preoccupazioni con un esempio storico: la cancellazione operata dal Sinodo del 1915
del Comitato di evangelizzazione, che aveva guidato
fino a quel momento la
predicazione in Italia, e la
sua fusione con la Tavola.
Io non sono affatto convinto che la decisione di
quel Sinodo lontano abbia
segnato la burocratizzazione della chiesa e la fine
dell’evangelizzazicne, per il
semplice motivo che l’evangelizzazione, di fatto,
era già finita da vent’anni.
E poi, il primo moderatore « unitario » fu il past.
Ernesto Giampiccoli, che
era il presidente del Comitato di evangelizzazione.
Nel 1915, il Sinodo non fece che prendere atto del
fatto che la situazione era
cambiata e che la chiesa
doveva guardare con una
prospettiva nuova.
E’ grosso modo, quello
che sta avvenendo per le
opere diaconali: non son
più sufficienti quattro mura e un po’ di gente di
buona volontà per impiantare un’opera sociale. In
modo particolare, le opere già esistenti e di una
certa dimensione sono diventate delle piccole aziende. Faccio l’esempio dell’Asilo dei vecchi di San
Germano, che conosco meglio: la nuova struttura è
costata oltre sei miliardi
(tutto compreso), impiega
una cinquantina di operatori, ospita circa cento
persone ed ha un bilancio
di due miliardi e mezzo
all’anno. E non credo che
la situazione del Gignoro
sia molto distante da questa.
Chi viene chiamato dalla chiesa a dirigere un’opera di questo livello non
può più esser e una « persona di buona volontà »,
deve essere una persona
motivata che ha (o si fa)
una preparazione specifica
e che deve essere aiutata,
sostenuta, seguita nei vari
aspetti del suo lavoro: gestione del personale, amministrazione, problemi fiscali, legislazione nazionale e regionale, e voglio che
nessuno dimentichi l’aspetto teologico, che pure
va seguito ed approfondito affinché le nostre opere mantengano il caratte
re evangelico che è loro
proprio.
Le opere hanno bisogno
di creare tra loro un tessuto connettivo che permetta il passaggio delle informazioni, lo scambio delle esperienze, la crescita
comune, il mutuo soccorso (non il soccorso alpino!). E chi potrà dare loro questo tessuto di relazioni, se le opere si ostineranno a vivere ognuna
per sé, come se il vicino
non esistesse, pensando
ognuna di avere l’intelligenza, le conoscenze e le
risorse per rispondere a
tutti i problemi che si pongono? E comunque pensando di non avere mai
bisogno degli altri.
E, per favore, non si dica che non è vero che le
opere vivono separate le
une dalle altre. I famosi
Dipartimenti diaconali, libere strutture di collegamento tra le opere, non
sono mai stati veramente
operativi ed alcuni Distretti non hanno neanche sentito il bisogno di farli nascere.
Unità di azione
e di intenti
Dunque, da chi verrà
questo memento di unità
di azione e di intenti per
le opere? La Tavola ha già
detto che non riesce a reggere tutto il lavoro che le
è affidato. Si può aumentare il numero dei membri della Tavola da sette
a nove. Si possono dotare
i Distretti di quattro « Tavoline »: ma siamo sicuri
che la burocratizzazione
non aumenterebbe, invece
di diminuire?
Qualche ingenuo ha pensato che le opere, in special modo quelle che si occupano di sanità, di assistenza agli anziani ed ai
minori avrebbero potuto
unire le loro forze, fare
blocco, risultando così più
forti e sgravando la Tavola di una parte delle sue
incombenze. Come punto
di partenza era stata presa la CIOV, semplicemente perché era una Commissione sinodale amministrativa dotata di uno statuto votato dal Sinodo del
1985, che permetteva (ma
forse nessuno se ne era
accorto, perché quello che
riguarda la CIOV non interessa alla chiesa) al Sinodo di « affidarle » altre
opere, oltre alle tre che
già gestisce. In questi tre
anni, poi, il dibattito è andato avanti, anche alcune
critiche del past. Santini
sono state accolte. In modo particolare si è posto
l’accento sull’autonomia
delle opere, secondo la volontà già espressa dal Sinodo del 1989 e rispondente, oltre che alla nostra
visione della chiesa, anche
alle normative di carattere
fiscale, che lo stato ha emanato sei anni fa e di
cui noi non ci siamo dati
grande cura.
Ora, anche il nome
CIOV è abbandonato: essa
non sarà più una commissione eletta dal Sinodo e
si occuperà solo degli ospedali di Torre Pellice e
di Pomaretto (in un secondo momento, se si riusci
ranno a chiarire non pochi problemi giuridici, anche di quello di Torino).
Ora nascerà una Commissione sinodale per la diaconia, che avrà il compito
di coordinare, accompagnare, sostenere le opere
nel loro lavoro, dotandosi
degli strumenti necessari
e, ovviamente, conformi alle disponibilità finanziarie.
La Commissione seguirà il
lavoro delle opere nominandone i Comitati di gestione e con un suo membro all’interno dei Comitati stessi, presente con voce consultiva. Del suo operato, la CSD risponderà al
Sinodo.
Già, il Sinodo! E’ parere, infatti, di chi presenta
questo progetto, che finalmente la diaconia debba
giungere davanti al Sinodo, cioè davanti alla chiesa, perché sia discussa dal
Sinodo, cioè dalla chiesa.
Per troppi anni le opere
diaconali si sono presentate davanti alle assemblee
ecclesiastiche solo quando
c’era da chiedere soldi e,
per il resto, sono state
estremamente refrattarie
(salvo lodevoli eccezioni!)
a qualsiasi tipo di controllo, finanziario e morale.
E per troppi anni le
chiese hanno guardato con
fastidio o con simpatia
pietosa le loro opere, lasciando spesso chi vi operava con un senso di solitudine difficile da scacciare. E’ tempo che chiese ed
opere si incontrino e la
loro sede naturale è il Sinodo.
Ora Tavola e CIOV presentano al Sinodo questo
progetto, che non è così
complesso come si teme e
che è estremamente rispettoso della storia e della
personalità di ciascuna opera. Non va? Lo si cambi. Lo si butti. Ma non facciamo più finta che il problema non esista: l’Italia
è cambiata, così come le
nostre opere sono cambiate. E in più, nuove emergenze stanno bussando
con fragore alle nostre
porte.
Il past. Santini, al quale voglio molto bene ma
le cui parole sono dure come pietre, dice che abbiamo bisogno non di burocrazia, ma di vocazioni. Io
sono convinto di questo e
ne sono convinto come
presidente della CIOV, come presidente dell’Asilo
dei vecchi di San Germano e come pastore di San
Germano. Ogni settore della chiesa ha bisogno di
scoprire nuovo senso vocazionale e nuove persone
che si buttino a capofitto
nella testimonianza dell’Evangelo di Cristo. Ma la
nostra diaconia anche in
questo sarà più forte solo se sarà più unita. Ogni
direttore, ogni Comitato,
non può andare in giro a
cercare persone per coprire i suoi vuoti di organico. Deve essere la chiesa,
nel suo complesso, che
chiama le persone per un
impegno che sa essere unitario e non importa se è
espletato a Vittoria o ad
Aosta.
Il progetto della Commissione sinodale per la
diaconia ricerca questa unità profonda. Non altro.
Paolo Ribet
Chi scrive è uno di quei
giovani che incontrarono
gli scritti di don Lorenzo
Milani nel ’67, a 19 anni, e
da essi furono segnati in
alcune scelte concrete. Ho
perciò seguito con grande
interesse il dibattito sulla
sua figura successivo all’articolo di Sebastiano
Vassalli del 30 giugno su
« La Repubblica ». Poiché
in esso non ho trovato,
o vi ho trovato distorti,
alcuni degli elementi fondamentali del pensiero,
dell’opera e dell’eredità di
Milani, mi permetto di
sottoporre ai lettori alcune considerazioni.
La scuola
popolare
1. L'eredità di Milani: il
'68, l'attacco alla scuola,
Valle Giulia, autoritarismo
e violenza fisica, il suo mito o... le scuole popolari?
Sono rimasto colpito dalla mancanza di ogni riferimento a qualcosa che,
forse sola fra i lasciti che
gli sono stati imputati, don
Milani vivo non ripudierebbe del tutto: mi riferisco all’idea e alla pratica della scuola popolare.
Infatti, se vi è un motivo
costante nella pratica e
negli scritti di don Milani,
questo è costituito dalla
tensione a dare, a chi ne
è privo, la parola, strumento insostituibile di emancipazione. Questa costante
si manifestò dapprima nelle conferenze (che lui contrapponeva ai bigliardini,
targati ARCI o oratorio
che fossero) e successivamente nella scuola di Barbiana.
Il seguito
della sua opera
Mi peimetto di proporre che scuole e doposcuola popolari, fioriti in centri sociali, parrocchie e sedi di partito dal ’67 in
avanti, abbiano costituito
la continuazione più diretta dell’opera di don Milani. Si trattò di esperienze
diverse, in qualche caso
effimere, di peso quantitativo ridotto ma non trascurabile (a memoria di chi
scrive, una decina a Milano nel ’70), ricche di ingenuità (evviva!) e di errori,
lontane dai clamori delle
occupazioni e della cronaca, che rappresentarono
uno sforzo genuino di dare strumenti culturali a
chi dalla scuola era escluso. Fa piacere sapere che
nella Milano delle tangenti e dei rampanti (o ex),
almeno due di queste iniziative sopravvivano. Una
di queste, a Cinisello, ha
radici valdesi. Dispiace che
in questo dibattito .su Milani non abbiano fatto sentire la loro voce.
Per uno
studio serio
2. Milani e il non studia,
re: ma che c'entra? Se
qualcuno sottolineò l’importanza dello studio serio e faticoso, questi fu
Milani. All’abolizione del
latino, Milani rispose provocatoriamente che bisognava studiare ebraico e
greco. Ad una scuola dell’obbligo che insegnava le
lingue estere come sappiamo (o insegna?... e i fondi
CEE per gli scambi di studenti in Europa andati inutilizzati a Milano? e l’inglese obbligatorio? e l’introduzione di una lingua estera alle elementari senza
insegnanti che la insegnino?), Milani rispose mandando all’estero i suoi ragazzi. Certo, Milani fu
contrario all’insegnamento
delle scienze nella scuola
dell’obbligo ( e chi scrive
ne ha fatto il proprio mestiere), ma spesso, purtroppo, si constata come
rinsegnamento più antiscientifico è proprio quello tecnico-scientifico, con
un’educazione tecnica fatta ad esempio di apprendimento libresco, del tutto
priva di metodo e attività
sperimentale.
Milani e i
paesi dell’Est
3. Milani e i paesi dell'Est: ma che c'entra? Nei
confronti del socialismo
reale Milani fu tagliente e
sprezzante, in tempi in cui
questo non era né scontato né largamente condiviso, almeno a sinistra. Basterebbe leggerli i libri (e
non solo la Lettera)]
Non fu
mitizzato
4. Milani: ma è mai stato un mito? Se mai vi fu
un personaggio non mitizzato nel ’68, e credo oggi,
questi fu Milani. Basti pensare, per confronto, a Guevara, Mao, Castro, Dylan.
Milani, con le sue asprezze, spigolosità, provocazioni, assurdità (l’obbedienza
totale dell’autore de L'obbedienza non è più una
virtù) non si prestava e
non si presta alla mitizzazione. Come ricordato sopra, l’attività di scuola popolare, suo messaggio centrale, fu un’esperienza di
pochi. Alcuni dei suoi comportamenti e valori essenziali (l’obbedienza e la fedeltà alla Chiesa cattolica,
rautoritarismo, la nonviolenza, l’isolazionismo culturale, ecc.) furono assai
scarsamente condivisi dai
giovani della mia generazione, incluso chi scrive.
E’ probabile che qualcosa
di distorto di Milani sia
passato nella più stupida
polemica antiscolastica del
'68: non ci stupisce, visto
che ancora nel ’92 un intellettuale può commentare la Lettera al di fuori
del contesto dell’operare,
degli scritti e della storia
(che non giustifica tutto!
vedi sopra) dell’autore.
Che cosa ci
resta oggi?
5. Che resta di Milani,
dell'idea di scuola popolare, della sua critica alla
scuola dell’obbligo? Senza
alcuna pretesa di dare risposte esaustive vorrei proporre due temi di riflessione.
— La penalizzazione scolastica dei poveri ha preso altre forme ma è rimasta inalterata. Se la bocciatura, il feticcio contro
cui si scagliava la Lettera
(a torto in parte?), è evento più raro e, probabilmente, spesso motivato,
l’emarginazione ha preso
nuove forme. Ad esempio,
la fine deH’obbligatorietà
di iscrizione alla scuola di
zona, mi sembra abbia
contribuito alla costituzione di scuole ghetto,
frequentate in larga misura da ragazzi emarginati,
evitate dalle famiglie minimamente consapevoli, invivibili per insegnanti e
alunni.
— Le opere di Milani
sono infarcite di numeri,
grafici, statistiche. In evidente contrasto con questo atteggiamento quantitativo, nel paese di Galileo il termine « sperimentale » è stato appiccicato
a tempo indefinito a scuole, programmi, esami di
maturità, tutti a tempo
indefinito « sperimentali »,
senza che si vedano tempi,
parametri di valutazione
e misure di questo gran
« sperimentare ». C’è in.somma, con la sua enfasi
sulle valutazioni quantitative, più metodo sperimentale nelle opere di quell’antiscientifico di Milani
che non in tante chiacchiere pseudoscientifiche.
Metodi non
condivisibili
Insomma, non condivido
l’analisi critica fatta da
Vassalli nel suo articolo;
nella sua replica di domenica, ho trovato gli accostamenti fatti balenare
(per tutti, i paesi socialisti!) impropri e fastidiosi
e, infine, il metodo della
citazione avulsa dal contesto scorretto. Ringrazio però Vassalli di avermi fatto
tirar fuori i vecchi libri di
Milani (e non solo la Lettera?.) che ancora offrono
spunti di riflessione e ispirano rispetto per una vicenda umana fatta di non
facili scelte contro.
Alberto Mantovani
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4
prospettive bibliche
24 luglio 1992
ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA
SCEGLIERE TRA DIO E GLI DEI 2
« I vostri padri servirono altri dèi al di
là del fiume. E io presi il padre vostro
Abrahamo, di là del fiume... Vi trassi dall’Egitto... Vi condussi nella terra degli
Amorei e prendeste possesso della terra...
Vi salvai dalla mano di Baiale... ».
Dio ricorda al suo popolo, che è di memoria corta, la propria azione. Enumera,
elenca e racconta se stesso, spiega se
stesso, rimanda chi ascolta a una storia
tangibile, sperimentabile in modo concreto, gravida di eventi, amara e al tempo
stesso liberante. Dio, che nella nube e
nel bagliore del fuoco precede il suo popolo e lo salva, è il Signore della storia, così come resta il Signore di quanti
sono uniti a lui nel patto. Egli distrugge
gli eserciti meglio armati e abbatte i tiranni, in modo che l’umanità non si ricordi
più di loro.
Contro questa esperienza non sono possibili obiezioni. Essa ha superato la prova
e l’affronta nuovamente.
Dio si rivolge alla nostra memoria. Sui
popoli e per i popoli innalza la croce
alla quale si avvia egli stesso, alla quale
affigge il suo amore, il segno del patto
che vale per tutti gli esseri umani, senza
eccezione. Ci ricordiamo, e ci stupiamo di
essere ancora in vita, noi, chiese della
Riforma, nonostante il nostro reiterato
culto idolatrico, alla maniera dei padri.
Siamo corresponsabili nei confronti dell’Europa e del mondo, di due guerre. Siamo responsabili di una civiltà che si nutre del sangue, della pelle e delle ossa dei
dannati di questa terra. Siamo responsabili dell’angoscia idolatrica con cui, nella
cristianità ecumenica, ci si preoccupa della tutela del proprio patrimonio.
Nessun altro è il
Signore della storia
Continuiamo a comportarci così nonostante l’esperienza, vecchia di appena venti mesi fil crollo del muro di Berlino,
ndf\, ci insegni che egli solo e nessun altro è il Signore della storia, che « abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili
dallo sterco ». La sua fedeltà che giudica
è dunque da temere poiché, con noi o
contro di noi, compirà la promessa della
Bibbia e della Riforma: solo Cristo, sola
grazia, sola fede, sola Scrittura.
« E vi diedi una terra che non avevate
lavorata ».
Coloro che seguono la chiamata, la promessa indimostrata, vengono ricolmati di
»
Anche noi, chiese della Riforma, ci siamo abbandonate al culto idolatrico, come i padri. Siamo corresponsabili, nei confronti dell’Europa
e del mondo, di due guerre. Siamo responsabili di una civiltà che si nutre del sangue, della pelle e delle ossa dei dannati di questa terra. Eppure Dio ci ha protetti durante il lungo cammino e ci stupiamo di essere ancora in vita. Ma ora Dio ci chiede di tornare ad essere protestanti in Europa: per lui o contro di lui. A questo aut-aut non possiamo
sfuggire. Ancora una volta ci viene chiesto di rispondere alla fedeltà di
Dio nei nostri confronti.
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doni. Essi ricevono ciò che non è mai
stato, né avrebbe potuto essere, oggetto
della loro fatica: la terra.
Gratuitamente, in forza di una grazia
sovrana, indipendentemente dall’ affanno
erroneo di una comunità umana che cerca
di realizzarsi da sé, e con ciò si perde,
accade ciò che è stato promesso. La fame viene saziata, la sete placata, il tetto
assicurato, la patria, in mezzo agli stranieri, donata. Dono della grazia.
« Sei tu, Orplid, terra mia, che splendi
di lontano » (Novalis).
La necessità
della protesta
Sì, l’Europa potrebbe raggiungere la
sponda pacificata, con le sue frontiere
aperte, le province prospere, una pace
esemplare, se solo i suoi popoli udissero
la chiamata, la seguissero e abbattessero
gli attuali idoli della consuetudine.
Per questo è necessaria la pro-testa dei
protestanti, pro-testa a favore della volontà di salvezza e di mantenimento di Dio
nei confronti dell’ira distruttrice degli
esseri umani. Sono i mansueti, i tenaci,
coloro che non cedono, quanti attaccano
in modo non aggressivo, coloro che non si
lasciano smuovere, a possedere la terra,
secondo la parola del Signore nel discorso
della montagna.
« E ora temete Jahwe..., servitelo... e
rimuovete gli altri dèi ».
Abbattete quanto inganna, chi abbaglia,
insieme con l’abbaglio. Non ritornate alla
schiavitù degli idoli. Siete già di qua del
fiume, nella terra liberata. Questo odono
le tribù radunate. Culto di Jahwe - culto di Dio. E’ vietato fuggire, sotto pena
di maledizione: non vi è alcun ritorno al
calduccio ingannatore di tecniche liturgiche tese ad ammansire, nessun ritorno ad
illusioni sull’essere umano e sulle sue possibilità, e nessun ritorno a un cinismo istituzionale religiosamente imbellettato.
Sappiamo bene cosa significa.
E’ smascherata e giudicata la struttura
della nostra economia come permanente e
non più scusabile sfruttamento dell’esserere umano nei paesi del terzo e quarto
mondo, che si collega a una crescente dilapidazione delle risorse naturali.
E’ smascherato e giudicato l’egoismo delle più piccole e delle grandi nazioni che
genera guerre, uccide bambini, annienta
culture.
E’ smascherato e giudicato l’atteggiamento morale di giudici che si nominano
da soli e che, nel confronto critico con
il passato opprimente, provocano nuovi
guasti all’Est come all’Ovest.
E’ smascherata e giudicata poi anche
Vin-differenza postmoderna, che confonde
profili, svuota valori, reprime domande e
ostacola un atteggiamento riflessivo.
« Dunque scegliete oggi a chi volete servire... Ma quanto a me e alla mia famiglia serviremo Jahwe».
Giosuè compie la sua scelta, in modo
perentorio e inflessibile, stabilendo il criterio. Dall’antica collettività esce uno e
dice: io! Dice io affinché si compia il noi.
Traccia il confine. Facendolo per quanto
riguarda se stesso e i suoi, rende più acuto
Vaut-aut. Gli altri gettino pure al vento
la giusta decisione tra il Dio vivente e gli
idoli morti onde avere mano libera per la
scelta, senza prospettive, tra idoli ed ido
li, nuovi e vecchi, nello stile di una lotteria sempre uguale; facciano pure come i
cittadini romani al tempo della repubblica
che, delusi nelle loro attese, gettarono in
strada gli dei domestici per procurarsene
altri; Giosuè si decide, con una frase che
rende pubblica la sua confessione di fede.
Così, mediante una confessione pubblica,
non privata o privatizzabile, egli trascina
il popolo di Dio dalla parte del Dio vivente.
Un comportamento protestante. Irreversibile, sia dal punto di vista del metodo
che del contenuto. « Ma quanto a me»-.
il Signore Dio crea individualità. Crea uomini e donne confessanti. Il Signore del
discorso della montagna si pone al loro
fianco, rafforzando e proteggendo la loro
confessione di fede col suo radicalizzante:
« Ma io vi dico ».
Solo queste donne e questi uomini confessanti rendono possibile il « noi » confessante della chiesa.
« Allora il popolo rispose e disse: anche noi serviremo Jahwe, poiché egli è il
nostro Dio ».
Le tribù sono unanimi nella confessione, nonostante una storia diversa e, appunto, non comune. Sono unanimi in
forza della fede e dell’esperienza. Altrettanto pubblicamente esse formulano il loro riconoscimento, che è riconoscimento
di fede: Dio era colui che ci ha protetti
lungo tutto il cammino che abbiamo percorso.
Il cammino dei valdesi
attraverso la storia
Dio, il Padre di Gesù Cristo, era colui
che, ad esempio, guidò il cammino dei
valdesi attraverso la storia, rafforzò e conservò la loro testimonianza, precedente la
Riforma, della grazia di Dio, del valore
infinito del singolo, dell’autorità singolare della Sacra Scrittura.
Dio, il Signore, era colui che fece sì che
la verità riscoperta della Riforma si ergesse, e che fa levare fino ad oggi la libera parola della grazia ai prigionieri.
Dio, il Signore, è colui che esige nuovamente la nostra decisione: per me o
contro di me, in Europa.
« Così Giosuè concluse in quel giorno
un patto col popolo, e gli diede delle leggi
e delle prescrizioni, in Sichem ».
Viene concluso un patto, tra partner
che non sono sullo stesso piano. D’ora in
avanti lealtà e fedeltà verranno richieste
come fedeltà a Dio e agli esseri umani, c
anche come fedeltà alla terra. Una pietra
del territorio sacro di Sichem è il notaio. Se
gli uomini tacciono, grideranno le pietre.
Per noi, esseri umani provenienti dal
paganesimo, il patto è concluso. Da lungo tempo. Irripetibile. Non possiamo contribuire in alcun modo alla fedeltà del
nostro Dio al patto; nel migliore dei casi,
possiamo aggiungervi qualcosa: la nostra
colpa, il nostro fallimento e la richiesta
della grazia del coraggio per una confessione eli fede comune e pubblica in Europa. Dio solo, quindi, ha agito, senza
prendere in considerazione la nostra infedeltà. Sul Golgota. Al mattino di Pasqua.
La nostra confessione, perciò, segue
sempre, zoppicando, la sua azione e la sua
pazienza. E tuttavia essa ci è richiesta, a
motivi delle donne e degli uomini d’Europa.
Sì: crediamo quindi che l’essere umano
sia salvato senza le opere della legge, soltanto mediante la fede (Rom. 3: 21). Siamo qui riuniti per interrogarci su cosa ciò
significhi per la chiesa di Gesù Cristo e
per la vita associata dei popoli, per testimoniarlo e per descriverlo. Cosa hanno da
dire di caratteristicamente protestante, nel
quadro della cristianità europea, le chiese
della Riforma, e a cosa si attengono? Difficile dirlo: i contorni sono ancora indefiniti, non ancora vagliati dalla prassi ecumenica, sociale, politica. Come minimo,
tuttavia, si possono individuare dei segnali.
Una serie di
importanti conflitti
1. Ci sarà conflitto. Conflitto sulla visione dell’uomo. In particolare se lanceremo con decisione la sfida missionaria in
un ambito secolare che non potremo assolutamente battere sul piano dell’espansione numerica. Cos’è l’uomo? L’autonomo
facitore? Colui che è responsabile solo di
fronte a se stesso o, nel migliore dei casi,
di fronte a gruppi qualificati? Colui che si
redime da solo, progettando la sua vita
ac si deus non daretur [come se Dio non
ci fosse] ? Colui che collabora amichevolmente con Dio, mostrandosi adatto al
bene naturale? A costui dovremo opporre,
con tenacia e pazienza, la nostra testimonianza secondo la quale Tessere umano
deve il proprio diritto alla vita solo e unicamente all’immeritata grazia di Dio, che
non si può in alcun modo acquistare, e
può giungere alla libertà dagli idoli, alla
retta via verso se stesso, solo per fede.
2. Ci sarà conflitto sul tentativo di caratterizzare la nostra provenienza. La nostra famiglia confessionale, a motivo della
sua storia, è tenuta come nessun’altra a
meditare e valorizzare una doppia eredità: il radicamento nella Riforma e quello
nelTilluminismo filosofico. Non siamo ancora fuori dal conflitto tra fede e ragione.
Proprio nel confronto critico con le contraddittorie forme assunte dal secolarismo,
questa doppia eredità è irrinunciabile. Gli
idoli perdono la loro maschera solo quando la fede cristiana esercita e illumina la
ragione e quando, viceversa, la ragione
accompagna criticamente la fede.
3. Ci sarà conflitto se ci decideremo
nuovamente a meditare la dottrina biblica
e della Riforma sul « sacerdozio universale dei credenti», nonché a renderle onore
nella vita delle nostre chiese offrendo degli esempi. Si tratta, né più né meno, della
corresponsabilità, orientata alla prassi, di
tutti i battezzati nei confronti della chiesa e della società; della parità, ancora lontana, tra uomini e donne; dell’arresto di ogni forma di dominio gerarchico
nel popolo di Dio. Ciò non sarà facile in
un tempo di grande insicurezza, di nostalgia per un’autorità formale e una prassi
gerarchica.
4. Ci sarà conflitto sull’abbozzo di
una Carta sociale protestante. Dobbiamo
— a motivo delTEvangelo — insistere affinché non accada che l’Europa, isolata e
dichiarata fortezza sicura, difenda, con tutti i mezzi della società del bisogno all’Est
e di quella del superfluo all’Ovest, privilegi
che si oppongono allo sviluppo sociale c politico di una società mondiale.
5. Ci sarà conflitto se noi, a motivo
delle nostre esperienze federali, convinzioni e strutture ecclesiali, ci schiereremo contro un centralismo amministrativo europeo che si sottragga in misura crescente
al controllo democratico e conduca i popoli a una nuova dipendenza dagli apparati e a decisioni economiche non chiaramente comprensibili.
E’ assolutamente tempo, illustre Assemblea, di fare un tentativo comune di accogliere questa sfida.
Peter Beier
(Fine. Traduzione di Fulvio Ferrarlo)
5
24 luglio 1992
Speciale 5
PROFILI DEI CANDIDATI AL MINISTERO PASTORALE
In cinque rispondono alla vocazione
Il 23 agosto, nel corso del culto che aprirà la sessione sinodale europea, cinque tra fratelli e sorelle saranno
consacrati al ministero pastorale: i loro percorsi di vita e di fede, e le sintesi dei loro « sermoni di prova »
UN MINISTERO
ff
Il "mestiere
di pastore
Al Sinodo delle Chiese valde
si e metodiste che si aprirà do
menica 23 agosto a Torre Pelli
ce verranno consacrati al mini
sterio pastorale — se supereran
no l’esame di fede — cinque
frateili e sorelie che hanno com^
piuto il loro periodo di studi
teologici ed il loro periodo di
prova presso una chiesa valde
se o metodista.
In queste quattro pagine spe
ciali presentiamo i profili dei
candidati al pastorato ed una
sintesi dei « sermoni di prova »
tenuti dagli stessi davanti alla
chiesa e ad una delegazione del
corpo pastorale. Infatti da quest’anno è operante « una novità » regolamentare secondo cui
il sermone di prova è predicato
aUe comunità dove il candidato
ha effettuato il suo periodo di
prova. Per relazionare di questa
novità abbiamo chiesto agli stessi candidati di effettuare una
sintesi del loro sermone (il cui
testo biblico è stato loro assegnato dal corpo pastorale) che
pubblichiamo insieme alla loro
autopresentazione.
Ma chi è il pastore in una
chiesa riformata? Vi sono ormai
numerosi film che tratteggiano
la figura del pastore e della sua
famiglia (l’ultimo è « Con le migliori intenzioni», scritto da Ingmar Bergman, ma diretto dal
giovane Bilie August, Palma
d’oro al Festival di Cannes), per
cui l’immagine del pastore anche in un paese cattolico come
il nostro è diventata una delle
facce più note del protestantesimo. Nella cultura italiana il
pastore è il « prete » dei protestanti, ha le stesse funzioni: presiede il culto, tiene le cerimonie (battesimi, matrimoni, funerali), è il responsabile della, parrocchia. Unica variante rispetto
al prete: generalmente è sposato ed ha figli ed in molti casi
è donna.
Noi sappiamo che questa è
una visione sbagliata.
Innanzitutto per noi riformati il pastore è un laico. Tutta
la Riforma protestante è legata
infatti aila nascita di un nuovo
tipo di chierico (nel senso di
professionista della religione):
il teologo. Al prete dispensatore
di riti, la Riforma ha sostituito il pastore teologo, dottore e
predicatore dell’Evangelo. La conoscenza biblica aveva ed ha
una importanza decisiva nella
legittimazione della funzione religiosa del pastore.
Un altro dei punti cardine della Riforma è la concezione del
« sacerdozio universale » dei credenti, cioè l’assoluta eguaglianza davanti alla Parola di Dio
ed ai sacramenti di tutti i credenti, per cui il pastore non ha
uno statuto particolare nella
chiesa che lo differenzia dagli
altri credenti. Il ministero pastorale nelle nostre chiese rappresenta solo una specializzazione funzionale dei vari ministeri
della chiesa (Calvino ne ha indicati quattro: dottore, diacono,
anziano oltre quello di pastore).
Come ogni ministero (o autorità della chiesa), il pastore è
dunque una persona che, rispondendo alla chiamata del Signore, si mette al servizio dei
mezzi di grazia: la Parola e i
sacramenti.
A differenza del prete, che
(continua a pag. 6)
Giorgio Gardiol
Giuseppe Ficara: l’Evangelo libera
Ho 29 anni e sono nato a pochi chilometri da Trapani in
una famiglia di origine cattolica. La mia vita ha conosciuto
diverse fasi che sempre mi hanno portato a riflettere e a prendere delle decisioni che hanno
cambiato il mio rapporto con
gli altri e con Dio. Mi riferisco
a una prima svolta avvenuta
nella mia vita quando la mia
famiglia si convertì in una comunità pentecostale e ad un’altra svolta avvenuta successivamente.
Ero appena dodicenne, ma ho
ancora vivo il ricordo dell’intensa ricerca che mi condusse ad
aderire, assieme alla mia famiglia, al movimento pentecostale.
■Vissi degli anni che mi arricchirono molto, spinto dal desiderio di trasmettere a tutti l’entusiasmo che animava la mia
vita e che attingeva forza dalla
lettura quotidiana della Bibbia.
Non di rado andavo per le strade e le piazze con un gruppo
di giovani come me ad evangelizzare. La testimonianza cristiana e il desiderio di rendermi
utile furono due elementi che
dominarono la mia adolescenza.
Eppure, crescendo, cominciai
a pormi numerose domande che
non ardivo neppure confessare
a me stesso per il timore di
perdere la lede. Ma un giorno
presi la coraggiosa decisione di
rivolgermi ad un amico che aveva frequentato la Facoltà valdese: il suo aiuto fu per me determinante. Fui finalmente liberato dal dubbio che più di ogni
altro mi tormentava: sarò salvato? — mi chiedevo. Credo
e faccio abbastanza per essere
salvato? Sebbene credessi che
la salvezza di Dio è data per
grazia, io non la vivevo, anzi
credevo che avrei dovuto meritarla. Fu allora che scoprii l’Evangelo, che sentii la sua reale
liberazione, compresi la gratuità dell’amore di Dio e del suo
dono di salvezza in Gesù Cristo per l’umanità. A partire da
questo messaggio centrale dell’Evangelo compresi che non era
più per me che dovevo vivere
ma per gli altri. Mentre prima
avevo speso le mie forze per la
mia salvezza, adesso questo non
m’importava più, perché essa è
nelle mani di Dio, ma più di
ogni altra cosa cominciava ad
importarmi di vivere la mia fede nel mondo al servizio degli
altri.
Fùi durante il periodo del servizio di leva che maturai l’idea
di studiare alla Facoltà valdese
di teologia. Là mi trovai a contatto con giovani di varia provenienza ed estrazione sociale,
là mi trovai davanti a una realtà diversa dalla mia, mi resi
conto che esisteva un altro mondo oltre al mio, compresi che
avevo sempre vissuto dentro
una prigione dorata. Mentre fuori la gente soffriva ed era provata da vari problemi, io me ne
ero stato in chiesa a pensare
per la mia salvezza. Fui gioioso
di poter aiutare degli amici con
grandi problemi esistenziali, ma
molto spesso scoprii la mia inadeguatezza a dare una mano e,
alle volte, anche solo una parola di sostegno e di conforto. A
motivo di questa esperienza cominciai a sentire più intenso il
desiderio di mettermi al servizio degli altri. Ma in che modo?
Mi sentivo senz’armi in mezzo
a una battaglia.
La seconda svolta della mia
vita avvenne in questa circostanza, quando, cioè, presi la decisione di studiare alla Facoltà
valdese. Il mio unico desiderio
era quello di imparare per poter essere d’aiuto nel modo più
adeguato, avere degli stru
menti con i quali mettermi a
disposizione della gente, pùr
sempre consapevole dei miei limiti e delle mie contraddizioni.
Non fu semplice spiegare la
mia scelta alla mia famiglia e
alla comunità in cui lo studio
della teologia era visto in modo negativo, dal momento che
era inteso come un mettersi al
posto dello Spirito Santo che
solo rivela i misteri contenuti
nella Parola di Dio, contro ogni
sapienza umana che cerca, invano, di investigare le vie di Dio.
Cominciai con l’anno propedeutico a Torre Pellice, e questa prima esperienza fu per me
entusiasmante, carica di novità
e ricca di esperienze. In Facoltà
non fu sempre così facile, dal
momento che la mia lettura
fondamentalista della Bibbia fu
messa in crisi dal metodo storico-critico; è stato certo un periodo di interrogativi e di tanti
perché, ma questo non ha fatto altro che rafforzare la mia
comprensione dell’Evangelo che
libera e che si fonda sull’amore di Dio per il mondo intero
nel quale mi sentivo sempre più
chiamato a dare il mio contributo. Anche il mio anno di studio a Edimburgo ha allargato i
miei orizzonti, lì ho potuto seguire da vicino l’impegno sociale e nel mondo di una grande
chiesa protestante come la
Church of Scotland.
Dal gennaio 1991 mi trovo a
Riesi (GL) per il periodo di prova con il pastore Platone e dal
settembre scorso condivido questa esperienza con Anna Maria,
che è diventata mia moglie. La
vita comunitaria mi ha fatto
scoprire sempre più la concretezza della fede nell’Evangelo
della grazia e dell’amore di Dio,
e ha rafforzato in me la convinzione di impegnarmi nella chiesa come pastore. Mi sento chiamato ad annunciare quello stesso Evangelo che per me ha avuto un’azione liberante, con la
speranza che altri, come me,
possano fare la stessa esperienza di fede.
IL SERMONE DI PROVA
La preghiera e rimpegno
I Timoteo 2: l-6a
La lettura di questo testo biblico mi ha subito
richiamato alla mente le nostre autorità italiane
e la situazione in cui si trovano. Disaccordi, ripicche, colpi di mano, imbrogli, ma anche corruzioni,
tangenti (che abbiamo scoperto essere non solo
un '¡patrimonio» del Sud) sono i termini usati
dai giornali per parlare delle nostre autorità.
Potrei allungare il catalogo delle definizioni, ma
a quale scopo? a unire la mia voce alle innumerevoli altre voci che gridano allo scandalo e denunciano ogni nefandezza? a ripetere quello che
già sappiamo e che non avremmo mai voluto
ascoltare? Penso sia inutile, abbiamo orrhai le
orecchie e gli occhi pieni fino alla nausea di
quello che sta accadendo attorno a noi. Ed è
forse per questo che un fratello alla fine di un
culto, salutandomi, mi disse: « Pastore, io apprezzo
la sua predicazione perché lei non ha parlato di
politica, grazie! ». Era, per lui, un complimento,
ma le sue parole mi fecero riflettere. Qual è
quella Parola di Dio che richieda di essere vissuta interiorizzandola, privatamente e senza che essa abbia uri minimo riscontro nella vita quotidiana e sociale? Non ci dice continuamente quella
stessa Parola di vivere la nostra fede nel mondo e non fuori di esso? Mi domando se vivere
lontano dal mondo, separati da esso (ritirandosi
nel deserto, dentro un convento o dentro le mura della propria chiesa), un rapporto personale
con Dio non significhi fatalismo, resa, delega
di quelle che sono le proprie responsabilità ad
altri.
Certo che è così. Allora mi domando che cosa
significhi fare politica se non mettersi al servizio
di una società, di cui tutti facciamo parte, per
governarla con giustizia e onestà.
Ma come si deve porre il cristiano di fronte
Predicazioni
Domenica 23 agosto i candidati al
ministero predicheranno in alcune chiese del I distretto secondo questa distribuzione:
Ursel Koenigsmann: Luserna San Giovanni,
Maria Adelaide Rinaldi: Pinerolo,
Giuseppe Ficara: Villar Perosa,
Donato Mazzarella: Villar Pellice,
Paolo Tognina: Pomaretto.
a quelle autorità cui è affidato il compito di governare e la responsabilità dei popoli? L’autore
del nostro brano propone un modo particolare.
Non fa appelli alla conversione e non si illude
neppure delle qualità morali dei suoi re, non ha
Un atteggiamento distante, ma neppure di colui
che ha capito tutto di come si governa e dà le
sue direttive. La sua presa di coscienza della
realtà, dell’operato delle autorità, genera in lui
la preghiera. La preghiera verso quell’unico Dio
che è Signore^ di tutti e «vuole che tutti siano
salvati in Gesù Cristo ». Ma a questo punto non
si rischia ancora una volta di rinchiudersi dentro
la chiesa e pregare perché le cose vadano bene
senza muovere un dito? E’ questo che intende
l'autore? O meglio ancora: è questo che Dio ci
chiede? Certamente no! No, perché la preghiera
non è un alibi per delegare a Dio, o ad altri, ogni
responsabilità. La preghiera non è neppure un
semplice atto verbale, non è fine a se stessa, ma
ci impegna totalmente; ci mette in questione perché, proprio mentre preghiamo, ci viene chiesto
se siamo disposti a impegnarci perché quello che
chiediamo si realizzi, e cioè rendere vivibile, migliore il nostro mondo alla luce della Parola di
Dio. La preghiera dunque non è un semplice atto
verbale fine a se stesso, ma è un alzarsi dalle
proprie ginocchia e uscire per dirigersi verso l’altro.
Ma in che modo possiamo essere utili strumenti della giustizia e della pace? Il nostro testo
ci dà un'indicazione: « Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità ». Ecco quello che possiamo e dobbiamo
fare, portare questa verità, che è Gesù Cristo,
agli uomini, alle donne. La sua Parola non è una
parola tra le tante, una voce tra le tante voci,
ma è una parola che ha autorevolezza e dove
giunge produce il suo frutto come « la pioggia
che scende dal cielo e non vi ritorna senza aver
portato frutto sulla terra » (Is. 55: 10). E’ una
Parola che si propone come unica alternativa alle tante inutili parole. Ma è anche una Parola che
denuncia, che .scopre il peccato, che mette a nudo
M limitatezza umana e tuona contro l’irresponsabilità dei patenti e di coloro che li appoggiano.
L'omicidio del giudice Falcone, della moglie e
della .sua scorta ha colpito tutti noi nel profondo
dell’intimo. E' un avvenimento che ci ha resi consapevoli della nostra debolezza, delle nostre poche forze nella lotta per un mondo più giusto e
pacifico. Ma la voce di Dio è l’unica Parola che
ci dà fiducia, ci dà forza di continuare il lavoro
intrapreso. Noi abbiamo un solo Dio che è Signore e padre di tutti. Questa è la parola da dare
con fiducia anche quando sembra che non produca nessun segno visibile. Noi siamo chiamati a
pregare con determinatezza (che non significa delega, ma impegno) e « aspettare la salvezza detVEterno » (Lam. 3: 26).
Giuseppe FIcara
Predicazione tenuta a Riesi. 24 maggio.
6
6 speciale
24 luglio 1992
Il "mestiere"
PROFILO
di pastore Ursel Koenigsmann: la fede e la musica
(segue da pag. 5)
nella concezione cattolica partecipa al sacerdozio di Cristo e
all’azione di saivezza della chiesa, U pastore non è un elemento costitutivo deiia chiesa. Una
chiesa evangeiica può fare anche a meno dei pastore: per
resistenza delia chiesa (quella
visibile e terrena) è sufficiente
che vi siano credenti che si riuniscano per annunciare l’Evangelo e amministrare correttamente i sacramenti.
Il pastore è però una necessità per ia chiesa. Le chiese
hanno infatti bisogno del servizio dei pastori per agire in mezzo agli uomini e alie donne e
costruire la comunità dei credenti.
Nelle chiese riformate U ministero di pastore (come
quello di diacono, di anziano)
è riconosciuto daU’assembiea dei credenti mediante un
atto solenne che, nel caso delle
CJiiese valdesi e metodiste, avviene nel culto di apertura del
Sinodo. La consacrazione al ministero pastorale è il riconoscimento da parte deila chiesa che
una sorella o un fratello ha ricevuto la vocazione dal Signore, che ha completato gli studi
teologici necessari per predicare correttamente ia Parola di
Dio e amministrare i sacramenti e rappresenta anche l’impegno delia chiesa di assistere il
pastore nella preghiera e di assumersi l’onere del suo sostegno economico.
Dal momento della consacrazione il pastore servirà la chiesa e potrà indossare la toga. La
toga, nera nelle nostre chiese,
non è un abbigliamento clericale, ma semplicemente il segno
esteriore degli studi universitari
seguiti e riconosciuti.
La consacrazione — a differenza dell’ordinazione cattolica
— non ha un carattere indelebile e perpetuo, in quanto l’autorità del pastore deriva dalla
Parola e non dall’essere stato
collocato in uno statuto ecclesiastico particolare.
In passato la famiglia pastorale e la casa pastorale erano
« strumenti » del lavoro di pastore. Oggi, con la giusta richiesta di « autonomia » da parte
dei componenti la famiglia pastorale, la separazione tra sfera
« privata » e sfera « professionale » si sta affermando anche tra
i pastori ed alcuni convegni del
corpo pastorale aperti anche ai
familiari hanno cominciato a discutere di questo problema.
11 modello riformato di pastore ha subito nel corso di quest’ultimo trentennio le influenze della cultura e della società
civile. Sono nati così i « pastori
locali », cioè persone che hanno
un lavoro nella società civile,
ma che in seguito alla vocazione hanno seguito studi teologici e sono stati riconosciuti dalla chiesa come pastori e sono
stati incaricati di questa funzione nella chiesa locale di cui fanno parte.
La ricerca liturgica in corso
nelle nostre chiese (ad esempio
in ambito giovanile) ha mutato
il ruolo del pastore all’interno
del culto: da predicatore ad animatore.
Ci sono dunque tra 1 pastori
delle Chiese valdesi e metodiste
— lo sottolineava in un intervento alla Conferenza del 1° Distretto il pastore Giorgio Tourn
— molti tipi di pastore: c’è il
predicatore, c’è li leader carismatico, l’animatore biblico e
teologico, il comunicatore... Sono modelli differenti che testimoniano la fecondità della nostra visione della chiesa.
Leggendo questi profili i nostri lettori potranno farsi una
utile immagine di come il pastorato si è ristrutturato nel contesto delle nostre chiese e chissà... forse potranno nascere riflessioni interessanti aH’intemo
della comunità in cui viviamo.
Giorgio Gardiol
L’assistenza a chi vive nella sofferenza - Gli studi teologici e la specializzazione in liturgia - L’esperienza italiana, in un contesto in cui il protestantesimo è una minoranza
Sono figlia di una coppia mista: mia madre è riformata, mio
padre è cattolico. Sono stata battezzata in una chiesa riformata e
sono cresciuta in una zona della
Germania (Baden) dove luterani e riformati costituiscono un’unica denominazione.
All’età di 16 anni frequentai
una scuola per aiuto-infermieri.
Da allora in poi ho sempre lavorato in ospedali durante le mie
vacanze scolastiche. Oltre alle
sofferenze fisiche, assistevo anche ai travagli psicologici degli
ammalati e dei loro familiari, e
mi rendevo conto che poco o
niente era fatto per rispondere
alla pressante domanda di umanità, di comprensione e di ascolto che veniva da chi era nella
sofferenza. Decisi quindi di studiare teologia con lo scopo di dedicarmi ad un servizio pastorale
in ospedale. Studiai a Tubinga,
Gottinga e ad Heidelberg. In
quest’ultima città ho alloggiato,
con altri studenti, in una casa
che ospitava anche giovani con
seri problemi psichici; si è trattato di una esperienza difficile,
ma che mi ha molto arricchita.
Ho contribuito al mio mantenimento agli studi con diversi mestieri: turni di notte in ospedale,
insegnamento del tedesco agli
extracomunitari, operaia alla catena di montaggio, lezioni di sostegno a ragazzi provenienti da
famiglie difficili, donna delle pulizie, baby-sitter...
Ben presto capii che non mi
sarebbe stato possibile dedicarmi unicamente alla cura d’anime degli ammalati, a causa della
unilateralità di questo aspetto
della vita pastorale. Soprattutto
durante il vicariato (l’anno di
prova che anche in Germania segue al conseguimento della laurea) mi resi conto che i diversi
compiti del pastore si integrano
ed arricchiscono a vicenda. Dopo avere conseguito la laurea in
teologia ad Heidelberg con una
tesi sull’Antico Testamento, ho
trascorso l’anno di vicariato a
Pforzheim. Qui mi sono specializzata in liturgia, anche perché
amo molto la musica. Fin da piccola, ho fatto parte di diversi cori e ho sempre trovato nella musica un fattore di grande arricchimento per la fede. Ci tenevo
quindi a sapere come meglio usare la musica nel culto, appunto
perché la musica può esprimere
dimensioni della fede che con le
parole non possono essere comunicate.
Durante i miei anni di studio
e soprattutto durante il vicariato
cresceva in me il desiderio di
trascorrere un periodo all’estero,
perché ritenevo importante conoscere realtà ecclesiastiche diverse dalla mia ed avere lo stimolo
di un’altra cultura, di un altro
modo di esprimere e di vivere la
propria fede. Visto che fino a
quel momento avevo vissuto in
zone in cui i protestanti erano
numerosi, volevo recarmi in un
paese dove questi fossero una
minoranza. Sono quindi giunta
in Italia; dopo circa 18 mesi trascorsi a Felónica Po, mi sono recata a Milano. Dopo un breve
periodo suddiviso tra le comunità valdese e metodista, sono passata a tempo pieno nella Chiesa
valdese, mia attuale comunità.
L’attività continuativa ed impegnativa in questa comunità mi
ha consentito di approfondire la
mia conoscenza sia della realtà
delle nostre chiese che della vita
del paese in cui vivo.
Nella chiesa di Milano ho conosciuto Paolo Perletti, mio
compagno, con il quale ho dato
inizio ad un felice cammino di
vita insieme.
Le esperienze vissute in questi
anni nelle nostre chiese mi hanno consentito di integrarmi sempre di più nel mondo protestante
italiano, del quale sempre più mi
sento parte. Ed è questo senso
di crescente appartenenza che
mi ha indotto a decidere di fare
domanda di consacrazione.
IL SERMONE DI PROVA
La credibilità del testimone
Giovanni 4: 39-42
« Molti samaritani di quella città credettero in lui a motivo della testimonianza
resa da quella donna: egli mi ha detto tutto quello che ho fatto» (v. 39).
Ad una prima lettura può sembrare che
il testo ci parli del problema della testimo
nianza. Appena però si comincia a prendere in considerazione anche il contesto, ci
si rende conto che Giovanni, con l’episodio
della donna samaritana, si prefigge innanzitutto di rispondere alla domanda: chi c
Gesù? Quando la samaritana arriva al pozzo di Giacobbe, trova un viandante ebreo
affaticato, che le chiede da bere. La donna
ha tutte le ragioni di stupirsi perché gli
ebrei considerano i samaritani eretici, se
non pagani. Un ebreo per bene non avrebbe dovuto rivolgerle la parola. Gesù rompe
questo tabù e ne rompe subito un altro:
un uomo ebreo non parla a una donna sconosciuta. Noncurante di queste due regole,
Gesù coinvolge la samaritana in un discorso suU’acqiia. Ma sembra che ognuno parli
di un’altra cosa: la donna, condizionata
dai lavori pratici di ogni giorno, intende
per acqua viva l’acqua corrente; spera in
una vita meno faticosa, meno segnata dalla
sete e dalla fatica di attingere. Gesù, invece,
parlando dell’acqua viva mette la donna
di fronte ad un’altra dimensione della vita,
che va ben oltre la preoccupazione per
la sopravvivenza fisica. Ciò che offre alla
samaritana non lo si può possedere come
si possiede acqua e cibo. Bisogna andarlo
a cercare, ma non lo si può costruire o
comprare, conquistare o immagazzinare per
esserne in possesso una volta per tutte, lo
si può .solo vivere; e solo vivendolo lo si
può sperimentare.
Il fraintendimento termina nel momento
in cui la samaritana si rende conto di quanto questo sconosciuto viandante la conosca!
Nonostante Gesù conosca così bene la sua
vita, egli non giudica nemmeno con una
parola né il suo passato, né il suo presente.
Anzi, le rivolge la parola e continua a farlo.
Questo fatto, assai più che il profondo discorso sull’acqua viva, colpisce la samaritana che ai .suoi concittadini dirà proprio
questo di Gesù, tralasciando il resto.
Finché non ci accorgiamo che Gesù parla
di noi, l'Evangelo non ci tocca, ma quando
Ce ne accorgiamo ci rendiamo conto che la
nostra vita cambia, che ciò che finora aveva importanza non ne ha più, perché la
nostra vita si è arricchita di una dimensione che pròna non conosceva. Infatti, dopo
questa rivelazione da parte di Ge.sù, è la
donna a prendere l’iniziativa. Per la prima
volta è lei che rivolge una domanda a Gesù,
e per la prima volta in questo colloquio
Gesù e la donna parlano della stessa cosa.
Il discorso si stringe sempre di più attorno
alla domanda cruciale, alla quale il discorso sulla nuova dimensione di vita offerta
da Ge.sù è inscindibilmente legato; « Chi è
Gesù? », si stringe fino al punto in cui egli
stesso finalmente rivela la sua identità: il
messia « sono io, io che ti parlo ».
L’incontro con Gesù ci mette di fronte
a una decisione: vogliamo accettare l’offerta di Gesù di una vita nuova, sì o no? La
donna decide di sì. Quando arrivano i discepoli, ella lascia la sua brocca dell’acqua — simbolo della sua vecchia vita —
e corre in paese per invitare i suoi concittadini: « Venite a vedere un uomo che mi
ha detto tutto quello che ho fatto. Non
potrebbe essere lui il Cristo? ».
Può darsi che i samaritani in un primo
momento siano andati da Gesù perché erano semplicemente curiosi. Poi però erano
rimasti coinvolti dall’incontro con lui. Il
testo dice: «E molto di più credettero a
motivo della sua parola» (v. 41). Tanti si
avvicinano così alla fede; e poi si rendono
conto di rimanere coinvolti, coinvolti dall’incontro con Gesù, coinvolti dalla sua parola.
La testimonianza della donna è decisiva
perché conduce i samaritani a Gesù ma
nello stesso tempo è solo introduttiva, perché la fede nasce dal contatto diretto con
Gesù, dalla sua parola. La fede è quindi la
risposta ad un annuncio. Il compito della
nostra testimonianza è quindi preliminare;
la sola funzione della samaritana è quella
di portare la gente a Gesù in modo che
possa ascoltare lui, e la sua parola. Questo
non minimizza affatto ciò che ha fatto la
samaritana e non minimizza il nostro compito di testimonianza. Significa semplicemente che noi non siamo in grado di creare
la fede nelle persone. La fede viene unica
mente quando Gesù comincia a vivere in noi
attraverso la sua parola. Il nostro compito
non va oltre: tutto ciò che siamo in grado
di fare è essere dei testimoni coerenti e
credibili. Compito per noi non di certo facile. Solo quando ascoltiamo la parola di
Dio e la sentiamo diventare parte integrante e fondamento della nostra vita, solo
quando avremo abbandonato anche noi la
nostra brocca dell’acqua, saremo in grado
di svolgere questo compito. Per essere dei
buoni testimoni dobbiamo quindi preoccuparci non tanto della fede di coloro ai quali parliamo quanto della nostra credibilità
come testimoni di Gesù.
La donna conduce i suoi concittadini da
Gesù dicendo: « Venite a vedere un uomo
che mi ha detto tutto quello che ho fatto;
non potrebbe essere lui il Cristo?». I samaritani vanno da Gesù già con la domanda
in mente: chi è costui? E dopo aver trascorso due giorni con lui, la loro conclusione è: « Questi è veramente il Salvatore del
mondo» (v. 42)'.
I .samaritani certamente non hanno capito tutto su Gesù in questi due giorni, ma
l’essenziale l’hanno afferrato: hanno sentito la forza liberatrice di questo grande
amore di Gesù per loro. E’ per questo che
giungono alla conclusione: « Questi è veramente il Salvatore del mondo ».
Predicazione tenuta alla Chiesa valdese di Milano
il 14 giugno.
Ursel Koenigsmann
(ridotto a cura della redazione)
L’assemblea,
durante il
culto
inaugurale
del Sinodo,
partecipa alla
consacrazione
dei nuovi
pastori con
l’imposizione
delle mani.
7
■24 luglio 1992
Speciale 7
PROFILO
PROFILO
Donato Mazzarella:
la giustificazione per fede
Al centro: Donato Mazzarella.
Sono nato a Napoli in una
famiglia che mi ha educato alla fede cattolica; ho sempre
amato particolarmente la Sacra
Scrittura, soprattutto da quando ho sentito consapevolmente
la vocazione a dedicarmi a tempo pieno al servizio del Signore. Essendo cresciuto in ambiente cattolico mi sono avviato al
sacerdozio, sono stato consacrato e ho svolto questo ministero
per circa 9 anni. Durante questo periodo, però, ho avuto modo di constatare resistenza di
diverse contraddizioni tra gli insegnamenti della Chiesa cattolica e quelli della Bibbia; mi riferisco in particolare alla concezione stessa della chiesa con
la sua impostazione gerarchica
e la sua pretesa di mediazione
tra Dio e gli uomini, al culto di
Maria e dei santi che mi appa
riva già allora in stridente contrasto con i dati biblici, al celibato obbligatorio che il cattolicesimo impone ai suoi ministri di culto. Queste ed altre cose, da un lato ho cercato anche
di giustificarle secondo gli insegnamenti ricevuti, dall’altro
lato ho incominciato a contestarle; questo stato di cose, a
lungo andare, mi ha portato a
sentirmi poco realizzato e mi
ha indotto ad un profondo ripensamento delle scelte fatte,
poiché non volevo rassegnarmi
a « tirare avanti » per inerzia.
La situazione, comunque, è rimasta in equilibrio precario fino a quando, a causa di certe
mie posizioni, mi sono sentito
più volte « tacciare » di protestante; questo fatto è stato per
me la classica pulce nell’orecchio che mi ha spinto a conoscere meglio il cristianesimo
evangelico. In una libreria cristiana di Napoli mi sono procurato alcuni tèsti di teologia e
li ho letti con vivo interesse; è
stata per me un’esperienza illuminante e liberante; mi sono accorto che avevo sempre desiderato vivere la mia fede e il mio
servizio al Signore come sono
vissuti nella Chiesa evangelica;
ho sentito l’impulso a leggere la
Bibbia nella sua semplicità, senza paraocchi, e ho avvertito la
necessità di contattare una comunità evangelica. L’occasione
mi è stata offerta da Rita, che
oggi è mia moglie, la quale mi
ha fatto conoscere la comunità
valdese di Napoli e il pastore
Salvatore Carcò; così, con l’aiuto di questi e con il sussidio
delle letture teologiche, ho scoperto la fondamentale verità della giustificazione per grazia mediante la fede, ho conosciuto
una nuova immagine della chie
sa come comunità di fratelli e
sorelle non sottoposta ad alcuna gerarchia, ho sperimentato
ancor più la bellezza del rapporto con Dio senza bisogno di alcuna mediazione che non sia
quella di Cristo.
Ho deciso, allora, di dare una
svolta alla mia vita: ho lasciato il sacerdozio e la Chiesa cattolica, mi sono trasferito a Prosinone insieme con la mia famiglia, mi sono inserito nella
comunità valdese di Colleferro
e mi sono iscritto alla Facoltà
di teologia di Roma per avviarmi al ministero pastorale. Nel
corso di questi anni di preparazione ho avuto modo di verificare e maturare la mia vocazione sia nell’ambito delle comunità di Colleferro e Ferentino, sia
nel cammino degli studi teologici; molto utili per il mio itinerario formativo sono state anche le sostituzioni estive nelle
chiese di Bergamo, Sanremo e
Bordighera e l’esperienza di direzione di un campo cadetti a
Vallecrosia.
Oggi, dopo aver ulteriormente
vagliato la mia scelta e le mie
attitudini nella comunità di Pomaretto, mi rendo conto ancor
più chiaramente di amare il ministero pastorale. Essere pastore per me significa dedicarmi
a tempo pieno insieme alla mia
comunità al servizio dell’Evangelo, cosa che si concretizza sia
nell’annuncio della Parola di
Dio, con particolare cura della
predicazione, sia nel rapporto
vivo e costante con le persone;
significa testimoniare, insieme
con la comunità, la speranza cristiana, annunziando che Gesù
Cristo con il suo Evangelo è la
risposta autentica alle attese
dell’umanità.
IL SERMONE DI PROVA
«Cercare l’unità nell’amore»
Efesini 3: 14-21
Aniore: e un termine centrale nel nostro brano
biblico ed è anche una delle parole oggi più diffuse; se ne parla tanto che si potrebbe credere
che la nostra sia la civiltà dell’amore. Ma sappiamo bene che non è così: viviamo, anzi, in un
mondo dove la violenza è aU’ordine del giorno
(pensiamo al recente delitto Falcone), in un mondo in cui abbiamo perso la capacità di perdonare
e in cui la legge del taglione viene applicata con
una logica ferrea e spietata (pensiamo alla pena
di morte applicata troppo spesso in questi ultimi
tempi nel mondo), in un mondo in cui regna un
diffuso individualismo che non solo ci porta a
non amare ma anche ad essere poco amabili.
Dobbiamo, purtroppo, ammettere il fallimento
della nostra capacità di amare; siamo davvero
lontani dalla civiltà dell’amore.
Ma anche in questo contesto contraddittorio
la Parola di Dio vuol darci oggi un messaggio.
La lettera agli Efesini si preoccupa dell’unità in
una chiesa divisa, divisione che certamente non
à segno d’amore tra i membri della comunità:
si stentava a trovare un accordo tra i credenti
provenienti dal giudaismo e quelli provenienti dal
paganesimo. Ma le divisioni, anche se per motivi
differenti, vi sono anche tra noi credenti di oggi:
litigi, maldicenze, incomprensioni, campanilismi;
sembra che si cerchi ciò che ci divide piuttosto
di ciò che ci unisce^ Il problema è grave oggi
come allora, tanto che l’autore della lettera agli
Efesini piega le ginocchia, espressione di una supplica ardente rivolta a Dio che solo può creare
l’unità, perché tutti formino una cosa sola sotto
la sua paternità universale. Ora questa unità va
ricercata nell’amore: senza amore non può esserci unità. Ma com’è possibile, constatato il fallimento della nostra capacità di amare? Il nostro
testo non parla, però, del nostro amore, bensì
di quello di Dio: Dio ha manifestato il suo amore
in Ge.tìi Cristo; sappiamo che Cristo ha assunto
la nostra natura umana e ha dato la vita per salvarci; sappiamo che in Gesù Dio ci ha fatto grazia. Ma queste meravigliose realtà rischiano di
rimanere solo dei concetti ai quali, probabilmente,
ci siamo anche abituati. Dio, però, per mezzo del
.suo .Spirito, può far abitare Cristo in noi e stabilirci saldamente nell’amore. Solo così, in Cristo,
possiamo cogliere la dimensione infinita dell’amo
Paolo Tognina:
la fede e l’identità
Sono nato ventotto anni fa a
Brusio, un villaggio a pochi chilometri dalla frontiera italo-svizzera nella valle di Poschiavo, nel
Cantone dei Grigioni. Sono cresciuto in una famiglia di credenti nella quale ho trovato un’educazione e modelli di vita cristiani. Mio padre era organista
e predicatore laico, mia madre
monitrice della scuola domenicale e, a volte, sostituiva il pastore
nelle lezioni di religione, a scuola.
Ho frequentato le scuole del
mio villaggio per nove anni prima di trasferirmi a nord delle
Alpi, a Coira, nell’area di lingua
tedesca, dove ho frequentato la
scuola magistrale.
Appartengo a una doppia minoranza, linguistica e religiosa.
Infatti nel Cantone dei Grigioni
la popolazione di lingua italiana
rappresenta una piccola minoranza, sparsa in quattro vallate
a sud delle Alpi, geograficamente
divise, lontane; inoltre i riformati, nella valle di Poschiavo — che
per parecchi anni è stata il mio
mondo — non rappresentano che
il dieci per cento circa della popolazione. Nella mia famiglia ho
però appreso a vedere in questo
non un motivo di debolezza ma
uno stimolo ad approfondire e
difendere l’identità culturale e di
fede.
Finita la scuola magistrale ho
deciso di iscrivermi alla Facoltà
valdese di teologia di Roma. Vari sono i motivi che mi hanno
spinto a prendere quella decisione, ma più di tutto ha influito
il consiglio e il suggerimento di
un grande amico, allora pastore
della comunità di Brusio, Franco
Scopacasa. Con lui ho cominciato a riflettere sul protestantesimo, a mettere ordine e a trarre le conseguenze dei molti pensieri che in quegli anni mi frul
lavano per la testa e non da ultimo a guardare con interesse verso il protestantesimo italiano.
A Roma ci sono andato con
l’intenzione di diventare pastore,
di prepararmi al pastorato per
rientrare un giorno nella Svizzera italiana, al servizio di quelle
comunità dalle quali provengo.
Ho studiato quattro anni a Roma, ho frequentato due semestri presso il Seminario teologico
presbiteriano Columbia di Decatur, in Georgia, e mi sono recentemente laureato, a Roma,
con una tesi sui profughi protestanti italiani nei Grigioni a metà del XVI secolo. Poi ho compiuto l’anno di prova a Bordighera/Vallecrosia.
In questi anni ho avuto la
possibilità di allargare il mio
orizzonte e soprattutto di acquisire gli strumenti per affrontare
un impegno pastorale. Sono strumenti che aspettano di essere
messi all’opera.
IL SERMONE DI PROVA
re di Dio: in Gesù Cristo noi scopriamo il volto
di Dio, di un Dio infinitamente innamorato di noi
nonostante il nostro pesante fardello di peccato.
Questo è l’Evangelo: Dio ci ha amati, Dio ci ha
fatto grazia non in quanto amabili ai suoi occhi
ma in quanto peccatori. Questo amore ai nostri
occhi è follia: non può essere compreso con la
ragione; possiamo, però, capire che quanto più
diventiamo consapevoli del nostro peccato, della
nostra miseria e della nostra fragilità, tanto più
comprendiamo fino a che punto Dio ci ha amati
e ci ha fatto grazia. E solo se conosciamo questo
amore possiamo dire di aver incontrato Dio perché Dio è amore. Ma qual è il fine di questa conoscenza? Il nostro testo ci dice: « Affinché si realizzi il pieno sviluppo dell’opera di Dio in voi ».
Domandiamoci ora se davvero lasciamo agire
l’amore di Dio in noi verificando se c’è amore
tra di noi; facciamo attenzione, perché la mancanza di amore è un campanello d’allarme che segnala l’assenza di Dio dalle nostre comunità nonostante le nostre strutture, le nostre attività, i
nostri incontri, i nostri culti. Se Dio è amore,
il contrassegno della nostra identità cristiana non
può che essere l’amore: quanto più amiamo tanto piti diventa evidente in noi l’immagine e somiglianza di Dio.
Ma è possibile questo? Sì, se ci rendiamo conto che Dio ci ha amati per primo e che proprio
per questa realtà anche noi possiamo amare: solo
scoprendoci amati da Dio scopriamo la nostra
capacità di amare e quale deve essere la qualità
del nostro amore.
Il nostro deve essere, perciò, un amore simile
a quello che Dio ha manifestato in Gesù: un amore che è capace di donare senza cercare il proprio
tornaconto, un amore le cui esigenze folli non
possono essere comprese dalla ragione, un amore che ci induce al perdono, ad amare chi non è
amabile e perfino il nemico, un amore che ci
spinge al servizio e alla ricerca dell’ultimo posto.
Il Cristo che abita in noi ci invita a diventare
strumenti dell’amore di Dio; oggi c’è molta gente
che non ama perché non è amata; non aspettiamo
Donato Mazzarella
Predicazione tenuta a Pomaretto ii 31 maggio.
(continua a pag. 8)
«Perdonatevi
a vicenda»
Colossesi 3: 12-15
Questo brano è inserito nel
discorso di Paolo sulla vita nuova che i credenti hanno in Cristo.
Si parla del passaggio da una vita vecchia a una vita nuova. Con
una immagine di grande effetto
si parla del credente come di una
persona che si è spogliata di un
vestito vecchio e si è rivestita del
nuovo, si è spogliata dell’uomo
vecchio e si è rivestita del nuovo.
La possibilità di superare tutto
ciò che è vecchio, che è di peso
nella nostra vita, in noi stessi, è
qualcosa di affascinante. Essere
rigenerati, cominciare qualcosa
di radicalmente nuovo, migliore,
e rivestirsi di ima vita nuova...
Ma quando Paolo passa a indicare la direzione di marcia, il
programma della vita nuova alla
quale i credenti in Cristo sono
chiamati, ecco che egli sembra
deludere ogni attesa. In modo
particolare là dove dice: « Sopportatevi gli uni gli altri e perdonatevi a vicenda ».
Sopportatevi gli uni gli altri.
L’umanità preferisce di gran lunga l’opposto: sbarazzatevi gli uni
degli altri. Il più forte si sbarazzi del debole che gli dà fastidio, che intralcia il suo cammino
con le sue richieste di aiuto, con
la sua stessa debolezza. L’handicappato vorrebbe le cabine telefoniche fatte su misura per poterci entrare, l’ascensore per salire al piano di sopra, i gabinetti
attrezzati appositamente, i piani
inclinati per salire e scendere dal
marciapiede e tanti altri accorgimenti. Quante complicazionil
Quanti sforzi richiesti a coloro
che pianificano e costruiscono,
quante spese e fastidii
Sopportatevi gli uni gli altri?
Il mondo ha ragione. L’altro è un
peso. A partire dal momento in
cui cominci a occuparti di lui, a
considerarlo come un essere che
ti riguarda. Vuoi prendere sul serio l’altro, cercando di considerarlo un fratello, una sorella sui
quali non eserciti il tuo dominio,
nelle varie forme in cui l’essere
umano può dominare un altro essere umano? Ebbene, in quel momento l’altro comincia a diventare un peso da sopportare.
E però proprio là dove l’aspirazione dell’essere umano a una
vita nuova, al superamento della
vita vecchia, coincide con il tentativo di sbarazzarsi dell’altro,
con l’opposizione all’altro che ci
infastidisce, con il respingere l’altro, risuona questa parola: sopportatevi gli uni gli altri. Non è
un ordine, è una possibilità che
ci viene offerta da Dio, il quale
ha sopportato gli esseri umani
fino a morire in croce, che in Gesù Cristo ha sopportato di morire in croce per rimanere con
Paolo Tognina
Predicazione tenuta a Valiecrosia l'8
maggio.
(continua a pag. 8)
8
8 speciale
PROFILO
Maria Adelaide Rinaldi: Dio è amore
La volontà, sviluppata sempre di più nel corso degli anni, di iavorare in modo più diretto
per ia chiesa - L esperienza di studio in Facoità e i’impegno quotidiano neile comunità
Sono Maria Adelaide Rinaldi,
nata a Roma nel 1945.
Mio padre è diventato valdese quando ero ancora molto piccola. Di mia iniziativa, all’età di
dodici anni, ho voluto frequentare la scuola domenicale ed in
seguito il catechismo, nella Chiesa valdese di Roma, via IV Novernbre, ai tempi del pastore
Guido Mathieu, di cui conservo
im ricordo indelebile. Dopo la
confermazione sono stata monitrice di scuola domenicale nella
mia comunità, fino a quando mi
sono sposata con il pastore
Odoardo Lupi, nel 1966.
Ho seguito mio marito in varie comunità ed ho fatto esperienze diverse. Come moglie di
pastore, ho sempre cercato di
collaborare con lui, di sostenerlo nel suo ministero, di aiutarlo là deve mi era possibile, in
particolare nel creare e mante
«Perdonatevi
a vicenda»
(segue da pag. 7)
noi e affinché noi rimanessimo
con lui; che ha sopportato di morire in croce per inaugurare la
possibilità della sopportazione
reciproca tra gli esseri umani.
Perdonatevi a vicenda. Se risulta difficile accettare di sopportare l'altro, nel suo essere diverso da rne che comprende le
sue abitudini, la sua libertà così
spesso in contrasto con le esigenze che noi abbiamo eretto a norma e criterio della nostra vita,
le sue debolezze, le sue stravaganze, i suoi urnori, i suoi alti e
bassi, ancora più difficile risulta
sopportare l’altro quando emerge
la dimensione del peccato. Quando cioè nella comunione, seppur
travagliata, che si è creata con
l’altro, in Gesù Cristo, entra la
rottura del peccato. Quando si
provoca la distruzione della comunione, quando la comunione
è violentata, resa impossibile dal
peccato, recisa, rifiutata, respinta.
Nella comunità cristiana è questo forse il momento di massima
debolezza, il momento in cui si
mostra definitivamente l’impotenza e la nullità di ogni sforzo
che l’uomo può compiere per
mantenere i legami con il fratello e la sorella, il momento in cui
forse sorge la domanda: fino a
quando devo sopportare l’altro?
E anche il momento in cui si fa
strada il giudizio, la condanna,
l’odio.
A questo proposito Dietrich
Bonhoeffer dice: « Solo qui .ri rivela pienamente la grandezza
della grazia di Dio, anche nella
sopportazione. Non disprezzare il
peccatore ma essere nella possibilità di sopportarlo significa in
effetti non doverlo considerare
perduto ma prenderlo per quello
che è, conservarci in comunione
cori lui nella remissione. Come
Cristo ci ha portati e ci ha accolti nella nostra realtà di peccatori così noi, finché restiamo in
comunione con lui, possiamo accogliere dei peccatori nella comunione di Gesù Cristo, grazie alla
remissione dei peccati. Possiamo
sopportare il peccato del fratello
e della sorella senza bisogno di
giudicarli ».
Imparando ad accogliere, nella
propria esistenza di tutti i giorni,
nella comunità dei credenti, l’esortazione alla sopportazione reciproca e al perdono, in Gesù
Cristo, possiamo rivestirci dell’uomo nuovo di cui si parla nel
Vangelo, dell’uomo nuovo la cui
realtà è stata inaugurata da Gesù Cristo.
Paolo Tognina
nere rapporti con i membri delle comunità, verso i quali sono
sempre stata molto disponibile,
aprendo la mia casa a tutti,
cercando di essere vicina a tutti.
E’ in quegli anni che ha corninciato a farsi strada dentro
di me il desiderio di lavorare
nella chiesa in modo più diretto e con maggiore preparazione.
Avevo scoperto in me una gran
de volontà di studiare ed un
grande amore per le persone
che incontravo. Così mi sono
iscritta alla Facoltà di teologia.
Gli inizi sono stati duri perché non è sempre facile riprendere gli studi da adulti. Inoltre
non potevo frequentare i corsi
in facoltà perché vivevo a Losanna ed avevo due bambine
molto piccole. Il mio studio non
era certo come quello di uno
studente che ha la possibilità
di una ricerca personale in biblioteca e stimolo e pieno tempo. Ho studiato da sola. Ho affrontato da sola tutti gli scogli
che incontravo durante la mia
preparazione autodidatta. Mi è
mancato tutto quello che può
dare il seguire le lezioni: l’aiuto dei professori, il confronto
con gli altri studenti, una teologia più vissuta e meditata e non
soltanto studiata sui libri.
Quando il prof. Paolo Ricca
mi disse che avrei dovuto trascorrere almeno un anno in facoltà perché i miei studi potessero sboccare alla laurea, ho accolto questo invito con gioia. E’
stato un anno molto bello e appassionante quello in facoltà.
Certo, anche là mi sono trovata
a dover dividere il mio tempo
di studentessa con quello di madre con due bambine che erano venute a vivere con me a Roma. Così ho continuato a studiare di sera e spessissimo fino
a notte inoltrata. Non dimentico l’aiuto avuto da tutti gli studenti di quell’anno che, a turno, si occupavano delle mie figlie per darmi la possibilità di
avere due pomeriggi alla settimana da dedicare liberamente
allo studio. E’ stato un anno
davvero bello e positivo; mi piaceva lo studio vissuto con gli
altri, mi piacevano i professori,
i miei compagni, mi piaceva l’atmosfera della facoltà. Credo di
aver approfittato di quell’anno
per immagazzinare esperienze di
fede, di studio, di amicizia.
Dopo la tesi, ho iniziato il mio
primo anno di lavoro nella chiesa di Ferentino. E’ stata la mia
prima comunità e forse proprio
per questo mi è indimenticabile. Sono stata molto aiutata in
questa mia prima esperienza da
mio marito, che mi ha sempre
molto incoraggiata, e dalla comunità stessa, che mi ha sostenuta con il suo affetto, la sua
semplicità e spontaneità, cose
certo tanto umili ma così straordinariamente evangeliche. In
IL SERMONE DI PROVA
Una promessa di salvezza
Isaia 41: 8-10
Nella vita e nella storia degli uomini ci sono
spesso momenti di crisi: tutto quello in cui si
sperava è morto, tutto quello per cui si viveva
è distrutto. Siamo incapaci di qualsiasi progetto
e di nutrire qualsiasi speranza.
Nella storia dei popoli accade la stessa cosa.
La situazione in cui si trova Israele in esilio è
di questo tipo. Già da alcuni decenni la nazione
è caduta, il tempio distrutto, la dinastia davidica
e finita... Gli anni passano, l’esilio sembra non
debba più finire. Dio ormai ha dimenticato il suo
popolo: questa è il pensiero più terribile che
attanaglia il cuore degli esiliati. Erano stati il
popolo eletto da Dio, i depositari di tante promesse divine, ma ormai tutto è finito, l’esilio ha
cancellato ogni cosa, la vita ha perso ogni significato e interesse.
A questo popolo in esilio, però, il profeta parla
in nome di Dio, prima annunciando il suo ritorno
in patria ed ora pronunciando le tenere parole
del nostro testo, forse tra le più belle della Scrittura, che non hanno bisogno di commento perché è difficile parlarne e mantenersi al loro livello. In queste parole ci viene detto, in un modo
bellissimo, tutta la storia di Dio con il suo popolo,
tutta la storia di Dio con gli uomini.
Dio ha scelto Israele tra una moltitudine di
nazioni e malgrado tutto il suo peccato non lo
ha rigettato, ma è rimasto fedele alle sue promesse ed è pronto a dargli la sua protezione, il
suo soccorso e liberarlo ancora una volta. Sono
parole piene d’amore in cui è sottolineato con
forza il vincolo che lega Dio al .suo popolo, mediante la ripetizione del pronome personale io.
Io ti ho scelto, io non ti ho rigettato, io sono con
te, io sono il tuo Dio, io ti fortifico, io ti soccorro,
io ti sostengo. Io, soltanto io posso darti forza,
protezione e salvezza.
Israele deve trarre fiducia da questa promessa perché Dio sta per ricostruire la .sua storia
e sarà una storia nuova perché gli restituisce un
futuro.
Queste parole di Isaia possiamo immaginarle
rivolte a tutti gli esiliati di questo nostro tempo,
a tutti quegli uomini e quelle donne che per motivi diversi sono costretti a lasciare la loro terra
alla ricerca di una nuova pos.sihilità di esistenzaPossiamo però immaginarle rivolte anche a noi
che stiamo a casa nostra, ma che spesso ci sentiamo stranieri ed esiliati perché non riusciamo
più a capire tutto quello che accade, che ci turba,
ci riempie di rabbia, dandoci l’impressione che
lo Stato ci .ria stato sottratto, che non ne facciamo più parte perché non c’è più spazio per chi
vive e lavora onestamente.
I problemi del nostro paese sono veramente
troppi. Mafia, camorra, ’ndrangheta insanguinano
le strade, agiscono liberamente e sembrano esprimere quello che noi italiani siamo diventati agli
occhi del mondo. Scandalo delle tangenti, corruzione, delinquenza, droga, sequestri, anche di bambini innocenti. Malgoverno, incapacità dei partiti
a svolgere il proprio ruolo, fenomeno delle leghe.
Come è possibile ritrovarci in uno Stato come
il nostro? Ci sembra di non avere nessuna prospettiva davanti a noi, nessun futuro degno di
questo nome.
Se le parole di Isaia fossero rivolte a noi,
non le ascolteremmo di fronte alla catastrofica
realtà, nella quale siamo immersi. Penseremmo
che a parlare sia un profeta troppo ottimista od
un esaltato che non ha coscienza del caos nel quale viviamo.
Israele a Babilonia è senza speranza, ma Dio
gli fa giungere la sua promessa di salvezza. Anche
noi, come Israele, abbiamo bisogno di salvezza, di
riprendere cioè la nostra storia, di costruire un
futuro nuovo. Ma non c’è nessun profetai Cioè
non c’è nessuno che possa con autorità dirci la
parola di speranza e di salvezza che tutti aspettiamo. Questa parola che non c’è non può essere
la nostra, non può essere la parola di nessuno di
noi, perché nessuno può portarcela.
Una tale parola può essere solo una parola di
Dio ed opera di Dio perché solo lui può cambiare
le cose e le persone, trarci dal male, farci risentire
a casa nostra, ricostruendo per noi una storia
di dignità.
E’ solo nella fede che le parole del profeta
Isaia possono diventare vere per noi e darci la
speranza e la forza di affrontare un viaggio di
ritorno che ci riconduca in noi stessi per farci
credere che la realtà del Regno non è soffocata
se siamo pronti a credere, resistere, sperare.
L’aiuto del Signore è una promessa che non può
diventare una nostra pretesa.
Maria Adelaide Rinaldi
Predicazione tenuta a Napoli - Vomero, 28 giugno.
«Cercare l’unità»
(segue da pag. 7)
che siano sempre gli altri a fare il primo passo:
lasciamo che Dio continui ad amare attraverso
di noi proprio queste persone che sono le più
bisognose d’amore.
Il Cristo che abita in noi ci invita a contribuire all’edificazione di una società fondata sull’amore, incominciando dalla nostra famiglia, dal nostro ambiente di lavoro o di studio, dalla nostra
comunità: qui possiamo fare molto!
Naturalmente ci viene richiesto un nuovo stile
di vita, quello che deve contraddistinguere coloro
che sono diventati nuove creature in Cristo. Ci
sembra impossibile tutto questo? Forse non osiamo neppure chiederlo a Dio, forse non riusciamo
neppure a immaginarlo. Ma la Parola del Signore oggi ci dice che le possibilità di Dio superano
infinitamente la nostra immaginazione e le limitate prospettive delle nostre preghiere. Lasciamo,
dunque, agire il Cristo che abita in noi e che può
trasformare la nostra vita in un inno di lode e
di gloria a Dio.
Donato Mazzarella
breve siamo diventati una grande famiglia che si cercava per
stare insieme, non solo per i
culti e gli studi comunitari ma
anche tante, tante altre volte.
Poi sono stata trasferita a Napoli Vomero. Questo trasferimento è coinciso con una crisi
personale ma, ciò nonostante,
ho iniziato il mio lavoro con la
gioia e l’entusiasmo di sempre,
tra i miei nuovi fratelli. Ora sono qui quasi da tre anni, tre
anni intensi, importanti, di grande impegno perché mi sono trovata in una comunità molto diversa dalla prima, per la sua
preparazione teologica, il suo
impegno, la sua condizione sociale e le sue esigenze. Di solito si sente sempre parlare di
quello che un pastore dà ad una
comunità. Io non so quello che
sono stata capace di dare, però
so quello che ho ricevuto da tutta la mia comunità.
Perché voglio essere pastore.
Mi sembra di averlo detto in
tutto quello che ho esposto fin
qui. Posso aggiungere che voglio
esserlo perché credo nel Signore
che, in tante difficoltà della mia
esistenza, mi ha fatto sempre
sentire il suo amore e la sua
attenzione. E’ un’esperienza questa che forse non tutti hanno
fatto o fanno, ma è un’esperienza straordinaria che bisogna comunicare agli altri, certo non
in quanto esperienza personale,
ma come possibilità e realtà
che può coinvolgere tutti.
BONHOEFFER
Cura d'anime
ai pastori
(...) Il pastore ha bisogno della cura d’anime a causa della
responsabilità del suo ministero.
Chi riflette seriamente sul proprio ministero ha di che spaventarsi per il suo peso. Si devono fare visite, ascoltare e sostenere difficoltà e preoccupazioni di tanta gente; condurre innumerevoli conversazioni, talvolta con la richiesta di accompagnare il cammino di una persona e di intervenire ripetutamente. Si deve intercedere per molti e per poterlo fare correttamente si deve essere ben informati. Si deve trovare la parola
giusta da dire a un morente, davanti alla fossa, durante un matrimonio. E la più grave delle
responsabilità; si deve predicare con vera convinzione così da
condurre altri alla convinzione.
Si deve leggere la Scrittura e
meditarla. Come può un pastore trovare calma e concentrazione per tutto questo? Quando ci
si rende conto di tutto ciò, nascono pericoli mortali per il ministero e per chi lo esercita. Proprio un pastore responsabile, serio e pio, sì sentirà spìnto facilmente verso una irrequietezza esteriore e interiore, che può
essere mancanza di fede e che,
alla fine, porta all’intorpidimento. Il peso è troppo grave per
un singolo. Abbiamo bisogno di
qualcuno che ci aiuti ad usare
correttamente le nostre forze
nel servizio e ad impedire che
venga meno la nostra fede. Attivismo e ras.segnazione mostrano, in un pastore, le due facce
della stessa privazione: ad ambedue mancano la preghiera silenziosa e regolare e l’aiuto pastorale. Se un pastore non ha
nessuno che si curi della sua
anima, deve cercarlo. Solo nella preghiera il ministero e la forza per compierlo trovano il loro giusto rapporto. Il compito
è immenso, le forze sono poche.
Ambedue trovano un punto di
unione nella preghiera. Nella
preghiera sento di nuovo il mio
mandato, ma non come peso che
mi uccide: esso è avvolto nella
certezza della forza e della gioia
divina. Questo non è dato una
volta per tutte; il pastore deve
chiederlo giorno dopo giorno,
perché resti vera la parola:
« Giorno per giorno porta per
noi il nostro peso » (Salmo 68:
19).
Dietrich Bonhoeffer
(da: Una pastorale evangelica, a cura
di Ermanno Genre, Torino, Claudiana,
1990, pp. 89-90).
9
24 luglio 1992
vita delle chiese
REGGIO CALABRIA
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Disinformazione totale
sugli evangelici
Un episodio di presunto « voto di scambio »; la notizia non viene adeguatamente verificata - Estraneità delle chiese valdese e battista
Sabato scorso, 18 luglio, tutta
la stampa nazionale e le grandi
agenzie (l’ANSA, l’Italia, ecc.)
hanno dato grande rilievo ad
una notizia relativa all’arresto
di undici consiglieri comunali di
Reggio Calabria tra cui il vicesindaco, Vincenzo Lagoteta, candidato al Senato alle ultime elezioni nelle liste socialiste, accusato tra l’altro di aver comprato 300 voti da una non ben precisata chiesa evangelica della città.
Secondo runità il vicesindaco
avrebbe « contrattato una partita di 300 voti con la chiesa evangelica della città in cambio di
un contributo comunale di 12
milioni per lavori di riparazione
alla chiesa ».
Per l’Avvenire, il quotidiano
vicino alla Conferenza episcopale italiana, il Lagoteta, « dopo
aver concesso un contributo di
una dozzina di milioni per ristrutturare il loro tempio, dai
pastori della chiesa evangelica
si attendeva circa 300 voti ».
Per la Repubblica invece il Lagoteta « avrebbe fatto restaurare una chiesa evangelica nel centro di Reggio dopo aver contrattato 300 voti con quella comunità religiosa ».
Le chiese evangeliche in centro città sono soltanto due, quella valdese e quella battista, perciò abbiamo « controllato » la
notizia.
Centro
culturale
valdese
Incontri
teologici
Si è tenuto ad Angrogna sabato 20 giugno l’ultimo incontro del
ciclo di studi programmato in
autunno per proseguire la lettura e il dibattito sul testo « Per
una fede » di Giovanni Miegge.
L’incontro è stato come tutti i
precedenti nel corso dell’anno
estremamente ricco e proficuo.
L’esperienza di una lettura comunitaria ha lasciato un eccellente ricordo in tutti i partecipanti. Questo pare essere il primo elemento interessante da cogliere: non si legge più da soli,
in casa, seduti in poltrona nel salotto, ma in gruppo; la lettura
diventa esperienza comune e è
intersecata dalla riflessione e
dalle domande. Un secondo elemento è emerso nell’esperienza
di quest’anno: la discussione è
ormai finalizzata all’apprendimento; la gente non ha più interesse a confrontare idee e progetto ma vuole imparare cose
nuove.
Tutti sono stati concordi nel
decidere la ripresa dell’iniziativa
il prossimo autunno. La scelta
del testo da esaminare è stata
discussa senza giungere ad una
risoluzione in materia, ma è
comunque orientata su un testo
di teologia classico, Barth o
Lutero, e sulla storia della Riforma nel quadro dell’esigenza
che emerge sempre più chiara
di una ridefinizione dell’identità
evangelica.
Dalle nostre ricerche è emersa la completa estraneità ai fatti evidenziati dai quotidiani sia
della Chiesa valdese che della
Chiesa battista.
L’unica chiesa del centro ad
aver effettuato recentemente restauri è stata la Chiesa battista,
ma i lavori sono terminati lo
scorso anno. Per questi lavori la
Chiesa non ha beneficiato di alcun contributo comunale. « La
notizia è infondata — dice Pino
Canale del Consiglio di chiesa
—. Abbiamo restaurato la nostra
chiesa di corso Garibaldi con
contributi dei fratelli battisti e
di altri evangelici ed abbiamo
usufruito di un contributo della
Regione Calabria erogato in ossequio ad una legge regionale.
Abbiamo ricevuto il contributo
nel 1987 ».
Una notizia
superficiale
« La notizia è almeno superficiale — dice il pastore della
Chiesa battista Enzo Canale —.
Non abbiamo mai ricevuto contributi dal Comune per dei restauri e non capisco perché i
giornali ci tirano dentro a questa vicenda indicandoci, sia pu
re indirettamente per via dell’ubicazione in centro, come i destinatari del contributo del Comune. Abbiamo chiesto ai giornali e alle agenzie di rettificare.
Ma finora l’hanno fatto solo la
Gazzetta del Mezzogiorno e una
televisione locale ».
Ma allora chi è stato il destinatario del contributo? I giornalisti autori dei « pezzi » avrebbero potuto facilmente appurare,
con una semplice lettura delle
delibere comunali, che si tratta
di una chiesa evangelica situata
nella periferia di Reggio che ha
ricevuto, quest’anno, il contributo di 12 milioni sulla base della
legge che assegna una percentuale degli oneri di urbanizzazione per gli edifici ecclesiastici
senza commettere alcun illecito.
La magistratura appurerà se la
cosa sia andata oltre il lecito e
vi sia stata la « compravendita
dei voti ».
Dispiace che giornali ed agenzie autorevoli non abbiano sentito la necessità di controllare
la notizia, che abbiano attribuito il contributo genericamente
a una « chiesa evangelica ». A
Reggio Calabria sono presenti
ben nove chiese evangeliche diverse.
G. G.
CORRISPONDENZE
Raffaele Catania
PACHINO — Il 5 luglio è morto aH’improvviso, all’età di 81 anni, Raffaele Catania, un simbolo
della comunità valdese di Pachino; un simbolo di fede, di costanza, di indipendenza culturale.
Nonostante l’età era ancora
arzillo, e tutti i giorni percorreva chilometri a piedi per tenersi
in forma.
Nonostante non avesse titolo
di studio, era un autodidatta instancabile e preparato: leggeva
di tutto e si informava su tutto.
Era molto ammirato in comunità e, anche se a volte potevano
esserci delle divergenze di opinioni, dimostrava una chiarezza e
una cultura non facilmente riscontrabili.
A lui non bastava sentire la
’’teologia” o le opinioni del pastore : voleva essere convinto delle cose per una sua maturazione
personale.
E questo atteggiamento mi
COMMISSIONE
PERMANENTE STUDI
delle
Chiese valdesi e metodiste
SESSIONE
DI ESAMI
La prossima sessione di
esami per i candidati predicatori locali avrà luogo domenica mattina, 23 agosto, alle
ore 9 nell’aula sinodale della
Casa valdese di Torre Pellice.
Per informazioni o prenotazioni di esame rivolgersi al
pastore Bruno Costabel (tei.
049/650718 a Padova) o a Torre Pellice nei giorni precedenti il Sinodo (V. Matteo Gay
25).
Domenica 26 luglio
□ GIORNATA DEL
RIFUGIO
LUSERNA SAN GIOVANNI — La famiglia del Rifugio Re Carlo Alberto invita tutti gli amici all'annuale incontro di luglio.
Dopo un breve culto con inizio alle
ore 10,30, seguirà un buffet caldo e
nel pomeriggio il tradizionale bazar.
di
Silvio Martinat
sembra molto importante, da
imitare e sostenere, in quanto
può rendere più responsabile e
attiva una comunità che adotta
questo metodo come regola di
vita.
Nelle sue predicazioni ha sempre sottolineato l’ingiustizia del
mondo attuale, schierandosi con
impeto con le vittime e i poveri.
Per 15 anni consigliere di chiesa, non ha potuto essere rieletto
per raggiunto limite massimo
imposto dai regolamenti.
Fino all’anno scorso è stato
tra i più costanti partecipanti al
corso per predicatori locali del
XVI Circuito ; quest’anno non
ha potuto per accudire alla moglie ammalata, per la quale appariva ultimamente preoccupato e
alla quale era molto legato.
Ed è proprio a lei che va rivolto il nostro pensiero di affetto e
di solidarietà perché, in questo
momento per lei terribile, possa
sentire vicina la presenza di Dio ;
che lo Spirito Santo le dia la forza di continuare, nella certezza
che il suo Raffaele sta dormendo
nel Signore che lo accoglie tra le
sue braccia misericordiose ed
eterne.
Nino Gullotta
TORRE PELLICE — Silvio
Martinat non^ più con noi: improvvisamente ci ha lasciati, addormentandosi serenamente lunedì scorso. Non è più con noi,
ma il suo ricordo rimane nel
cuore dei suoi numerosi amici
e di quanti lo conobbero e lo
apprezzarono.
Silvio amò la sua chiesa, la
sua comunità e si interessò sempre della sua vita e dei suoi problemi. Fu per molti anni infermiere all’allcra padiglione dell’Ospedale valdese di Torre Pellice, apprezzato ed amato presidente dell’Unione giovanile valdese dei Coppieri ed in questi
ultimi anni, malgrado l’età avanzata, settimanalmente intratteneva molti ospiti del Rifugio
Carlo Alberto con letture, col
canto e questo con il suo affetto
e con la sua bontà.
Ci auguriamo che, come anche
ha sottolineato il pastore Rostagno nel suo sermone funebre,
molti sappiano seguire l’esempio che con umiltà e con semplicità ci ha lasciato.
« Pro Miramonti »
VILLAR PELLICE — Domeni
ca 9 agosto si svolgerà la « Giornata pro Casa Miramonti » nel
giardino della Casa stessa; il ricavato sarà devoluto per la copertura delle spese di gestione.
Fin dal mattino della domenica sarà allestito in piazza Jervis un banco di vendita di prodotti agricoli locali, mentre nel
giardino saranno pronti banchi
di dolci, di generi di vestiario,
di oggetti vari, un servizio di
buffet, la pesca e la sottoscrizione a premi, la cui estrazione
avverrà nel tardo pomeriggio.
Si potrà pure consumare sul
posto o portarsi a casa il pranzo a base di costine e di salsiccia alla griglia.
• Nel corso della settimana
abbiamo avuto due funerali particolarmente angosciosi.
Dopo lunghe sofferenze dovute ad un male inesorabile, ci ha
lasciato la sorella Marina Gamba in Gönnet, all’età di 33 anni.
E’ poi mancato il giovane fratello Luigi Rambaud, di 29 anni,
trovato con il cranio fracassato
all’alpe Giulian, dove da poche
settimane era salito col suo bestiame.
Ai componenti le due famiglie,
colpite in modo duro, tragico e
violento da queste separazioni,
rinnoviamo la fraterna solidarietà della chiesa e nostra insieme
all’espressione della nostra fede
in Gesù Cristo, Signore dei vivi e dei morti e nostra unica
speranza.
Grazie!
PINEROLO — Al prof. Ermanno Genre ed ai pastori Franco Davite e Ruben Vinti, che
hanno presieduto ultimamente i
culti, va il ringraziamento della
comunità tutta ed un benvenuto a Petra Schindler, studentessa tedesca in teologia, che rimarrà a Pinerolo per tutto il
mese di luglio.
• I coniugi Roberto Rostan e
Alda Manavella hanno chiesto
la benedizione del Signore e la
collaborazione della comunità in
occasione del battesimo della loro bimba. Debora. Alla piccola
ed ai genitori i migliori auguri.
Lutti
VILLASECCA — Abbiamo accompagnato alla loro ultima dimora terrena nelle ultime settimane due fratelli che tenevano
un posto importante nella nostra comunità: Emma Pascal
ved. Micol, deceduta a Pomaretto all’età di 87 anni, coralista
e membro assiduo dell’Unione
femminile ancora in tempi re
centi, ci ha lasciati dopo alcuni
mesi di declino in cui abbiamo
ancora avuto modo di essere da
lei arricchiti ogni volta che la
incontravamo; poi Ettore Massei, deceduto improvvisamente,
ex anziano.
• Domenica 5 luglio il culto
ai Chiotti è stato presieduto da
Milena Martinat. Si trattava di
un’occasione di « collaudo » di
una giovane candidata prédicatrice locale ed è, perciò, con
grande gioia che i presenti le
hanno manifestato il loro apprezzamento per il suo messaggio e per la conduzione del culto. Le rinnoviamo da queste righe un sentito incoraggiamento
a proseguire sulla via intrapresa ed un augurio fraterno per
il suo servizio futuro.
Valdesi medievali
ANGROGNA — Giovedì 30 luglio, alle ore 20,30, presso il monumento che ricorda il Sinodo
del 1532, la chiesa locale propone un’iniziativa denominata « Incontro con i valdesi medievali
a Chanforan »; il pastore Marchetti leggerà e commenterà un
antico testo valdese del Medio
Evo. Si tratterà, per tutti, di
un’occasione per trascorrere una
« diversa » serata di mezza estate.
• Martedì 14 luglio è stato
predicato l’Evangelo della resurrezione in occasione della sepoltura di Emilio Bertin, mancato
all’età di 68 anni, dopo una vita di lavoro caratterizzata da
una « saggia semplicità ». Siamo
vicini alla vedova ed ai figli di
« Milot » con affetto e simpatia.
Mostra
MASSELLO — Secondo una
tradizione instaurata da alcuni
anni, nella scuoletta valdese di
Campolasalza verrà inaugurata
sabato 25 luglio alle ore 15,30
una mostra commemorativa del
maestro Enrico Balma, che per
oltre 30 anni prestò la sua opera nella scuola del Comune.
La mostra rimarrà aperta fino alla fine di settembre.
FCEI
Raccolta
di fondi
per la radio
La Federazione delle chiese
evangeliche ha aperto una sottoscrizione a favore di Radio
Martin Luther King, di Taurianova, che recentemente ha subito
un furto delle attrezzature che
l’ha ridotta al silenzio (cfr. questo settimanale, n. 27 del 3 luglio
1992, pag. 1). Chi vuole contribuire può versare il suo aiuto
sul conto corrente postale n.
38016002, intestato a: Federazione delle chiese evangeliche, Roma.
Traslochi
Preventivi a richiesta
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qualsiasi destinazione
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Via Belfiore 83 - Nichelino
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10
10 valli valdesi
AHe valli
oggi
Isola
felice!
LUSERNA SAN GIOVANNI
Verso un sindaco DC?
L accordo non è ancora imminente, ci sono
soluzioni - Il rischio di elezioni anticipate
Poche volte come in queste ulla vai Penice è
mómSL “““
Omicidi suicidi, poi ancora
omtcìdt Intere pagine sui giornali e, alla fine, anche le "analisi”
di una realtà che non è solo vacanza, feste, o storia valdese, ma
e anche storia di povertà di
drammi familiari e di morte.
E montato in molti un sentimento di fastidio, quasi di rabbia per quella ricerca sistematica
del macabro nella cronaca di un
fatto, per quelle che in molti casi
sono sembrate vere e proprie
rnontature, collegamenti fantasiosi, per quelle analisi quantomeno superficiali, per quella droga scoperta oggi ma in realtà presente in modo massiccio da oltre
dieci anni.
Ma i fatti di questi giorni e gli
stessi articoli di cronaca che li
descrivono e li "sezionano" hanno almeno il merito di farci riflettere se siamo stati o meno in
grado di costruire una società
solidaristica, dove il "farsi i fatti
propri ’ non diventi anche il non
vedere il nostro vicino in difficolta o comuque il non sapere come
eventualmente intervenire.
Molti articoli di giornali hanno
m questi giorni, a proposito della
chiusura della gente di montagna, scritto di "omertà"; ci può
dare fastidio, ma in molti casi
può essere la parola giusta.
Quando ci troviamo di fronte a
certi suicidi o addirittura omicidi, allora spesso "scopriamo" che
molti conoscevano bene questa o
quella famiglia, i suoi drammi,
le sue violenze interne.
E’ accaduto qualche mese fa;
stiamo rivivendo le stesse sensazioni oggi.
Una valle che ha puntato molto sull’assistenza alle persone in
difficoltà investendo risorse umane ed economiche deve interrogarsi di fronte a questi fatti, perché non è soltanto l'operatore sociale dell’ente pubblico che
può intervenire.
Su queste stesse strategie di intervento degli enti pubblici è in
atto una forte dialettica: strumentalizzazione politica da un
lato, eccessiva enfatizzazione dall’altro.
Ma i numerosissimi casi di suicidio in questa valle, così come i
morti per le varie droghe (eroina certo, ma anche alcol) ed ora
anche gli omicidi sono lì a metterci in discussione: non potremmo molte volte anche noi, come
singoli, avere qualcosa da dire o
da fare?
In che misura i documenti e le
discussioni che pure le nostre
chiese hanno condotto sul disagio riescono ad incidere su una
società in profonda difficoltà?
Piervaldo Rostan
A due settimane dal termine
ultimo utile per evitare il commissariamento del Comune e le
conseguenti elezioni anticipate
nessun accordo è in vista fra le
forze politiche di Luserna San
Giovanni.
E’ in difficoltà il PDS, dopo le
dimissioni da capogmppo di Ernesto Rivoira. Contattati sia dal
PSI (per im eventuale allargamento della maggioranza) che
dalla DC (per un possibile cambio di alleanza dopo il ’’tradimento” del PSI che non sarebbe stato ai patti sulla ’’staffetta”), i pidiessini hanno discusso al loro
interno su quali posizioni attestarsi. Ha prevalso la linea del
no ad entrambe le proposte, ma
non tutti erano convinti della
bontà di questa linea; Rivoira, al
riguardo, dice; « Personalmente
non sono contrario in modo
aprioristico ad un’entrata in giuntratta di vedere a quali condizioni e con quali programmi.
Da quando ho dato le dimissioni
da capogruppo sono stato emarginato nel senso che non mi è più
stato chiesto di partecipare a
qualsivoglia riunione ».
E gli altri?
« Cz siamo visti due volte con i
DC — ci ha detto Luciano Payra
del PSI — rna senza grandi risultati; a giorni comunque riprenderemo gli incontri ».
Avete proposto alla DC un governo monocolore con l’appoggio
esterno del vostro gruppo?
« Diciamo che questa é una
delle proposte possibili; in ogni
caso siamo per patti chiari ed
"a termine", nel senso che vogliamo una giunta in grado di
guidare il Comune fino all'auspicata riforma, con la speranza
che venga introdotto anche nei
Comuni più grandi il sistema
maggioritario, che garantisce formule di^ governo stabili ».
Claudio Badariotti, il più auto
Attenzione airigiene
E tempo di sagre. Nell’organizzare le feste — di qualunque
tipo siano, dal pranzo del Gruppo anziani alla Festa dell’Unità
— occorre però prendere delle
precauzioni per garantire la
maggior sicurezza possibile ai
frequentatori. E per cercare di
evitare incidenti, prime fra tutti le tossi-infezioni alimentari
provocate dalla salmonella, già
verificatesi diverse volte negli
anni passati.
Quali sono queste precauzioni? L’USSL 43, con la collaborazione dei sindaci e dei vigili urbani, ha diffuso a questo proposito un questionario informativo a tutti gli organizzatori.
Riguardo agli alimenti, bisogna innanzitutto rispettare i
tempi di conservazione, avendo
cura di utilizzare un frigo con
temperatura da 0 a 4 gradi, sopr^tutto per i dolci di panna
o di crema, che sono i primi
a risentire del caldo. Invece non
bisogna allarmarsi per le uova;
se vengono lavorate bene, disinfettate prima dell’uso e soprattutto ben conservate, non c’è pericolo che si sviluppi la salmonella.
La carne deve provenire da
una macellazione regolare verificabile dai bolli di controllo del
vetCTinario (è vietata la macellazione familiare) e deve essere
ANGROGNA
Questione morale
Anche il Consiglio comunale di
Angrogna ha, nella sua seduta
del 29 giugno scorso, esaminato
la difficile situazione della fabbrica Graziano di Luserna San
Giovanni e in generale dell’occupazione nel Pinerolese approvando infine un ordine del giorno sulla vicenda.
Il Consiglio, su proposta del
consigliere Saccaggi, ha anche
discusso della questione morale
nella politica, con particolare riferimento alla corruzione emersa a Milano, senza tuttavia arrivare ad un documento in materia.
In precedenza i consiglieri
avevano esaminato il conto consuntivo del ’91 e l’avanzo di amministrazione ammontante a circa 27 milioni di lire; le conse
guenti variazioni del bilancio
per l’anno in corso consentono
qualche margine di manovra in
più con aumento di stanziamento per la manutenzione dell’acquedotto, i servizi sociali e l’acquisto di arredi per la casa comunale in corso di ampliamento (i lavori dovrebbero essere
ultimati entro l’autunno).
Il Consiglio ha infine confermato la delega alla USSL per
quanto riguarda i servizi socioassistenziali.
Novità della serata il cambio
del segretario; al posto del dott.
’Turtulicl la Prefettura ha nominato la dott.ssa Rosa Maria Salerno che naturalmente seguirà
a,nche il Comune di Torre Pellice stante la convenzione fra i
due enti.
conservata in frigo e comunque
al riparo da mosche e altri insetti. L’acqua deve essere ovviamente potabile.
Le strutture che ospitano la
festa non sono meno importanti; la cucina deve avere certi requisiti di lavabilità per garantire l’igiene; se non esiste una
struttura adeguata per il lavaggio delle stoviglie, piatti e bicchieri devono essere monouso.
Per quanto riguarda, infine, le
apparecchiature di sicurezza, gli
impianti elettrici devono avere i
differenziali direttamente collegati all’Enel e i fili derivati devono toccare il suolo, in modo
che la corrente si scarichi a terra. Gli impianti elettrici mobili
sono i più pericolosi, non tanto per il pubblico quanto per
coloro che li allestiscono; la
fretta, a volte l’inesperienza e la
disorganizzazione possono essere fatali per dei tecnici improvvisati.
Una volta compilato con la descrizione delle caratteristiche
proprie della singola festa, il
modulo va riconsegnato alrUSSL (o al sindaco del Comune in cui si svolge la festa) che
provvederà ad un’ispezione di
controllo prima del giorno previsto per l’apertura. « Tutto questo non serve ad evitare errori
— puntualizza il dottor Federico Magri, tecnico dell’igiene che
si occupa di alimenti, igiene e
sicurezza del lavoro presso
l’USSL 43 di Torre Pellice —
ma ci aiuta a intervenire in
tempo in caso di imprevisti; visto che conosciamo tutti i dati
dell’organizzazione della festa,
siamo anche in grado di individuare le cause e, si spera, di
circoscrivere i danni dell’eventuale incidente ».
Federica Tourn
di gobello e jalla |
via repubblica, 2 - torre pellice-^932023 |
Loc. Pis della Gianna
apertura
dal r giugno
al 30 settembre
più
i fine settimana
e festività
per prenotazioni
tei. (0121) 930077
« voci » sulle possibili
- Il PDS in difficoltà
revole candidato alla poltrona di
sindaco, è molto cauto; « Proposte concrete, da parte del PSI,
non ne ho ancora viste; i problèmi del paese urgono e la cosa più
importante e per noi eleggere
una giunta sulla base di un programma. Visto che il PSI non
ha mantenuto il patto sulla staffetta ci siamo rivolti anche al
PDS per vagliare tutte le possibili formule di governo ».
^ L accordo dunque non è dietro
l’angolo, tuttavia l’impressione è
che, come aH’indomani delle elezioni, non vi siano alternative
realmente praticabili. Il timore
per una avanzata della Lega in
caso di elezioni anticipate farà
superare le piccole ripicche DCPSI e la giunta entro la prima
settimana di agosto verrà eletta,
pronti a ridiscutere tutto se cambiassero le regole elettorali in un
prossimo futuro.
FESTE POPOLARI
Pronto soccorso
Ancora recentemente, nel corso della festa della Croce Rossa
di Torre Pellice e delle esercitazioni pubbliche con simulazioni,
è stato possibile cogliere gli
aspetti salienti del pronto soccorso; diversi sono i gruppi che
possono trovarsi coinvolti in un
intervento urgente (Croce Rossa, ma anche vigili del fuoco,
guardia medica, elisoccorso) ed
è importante che tutto avvenga
in modo coordinato. E’ però altrettanto importante che anche
i singoli cittadini siano messi in
condizione di approfondire le
proprie conoscenze nel settore
dell’emergenza. Per far ciò
rUSSL 43 sta avviando un’iniziativa in collaborazione con
l’Ospedale valdese di Torre Pellice, la Croce Rossa e la Croce
Verde di Bricherasio; l’iniziativa
è gratuita e sono in corso di
definizione la programmazione e
il calendario degli incontri teorici pratici di formazione, che
avverranno anche con il supporto di materiale audiovisivo e di
un manichino in dotazione alla
Croce Rossa di Torre Pellice che
consente la visualizzazione della
correttezza delle operazioni.
TORRE PELLICE
«Ciao amis...»
Passando per l’isola pedonale
nel giorno di mercato non sentirerno più il suo saluto e il suo
invito a comprare lenzuola, calze, orologi o fazzoletti; « Cata
cheicòs! ».
Così, amichevolmente, in maniera spesso convincente ma sempre discreta, M’hammed Fitas ci
interpellava da sette o otto anni.
Era diventato un amico per molte persone, dal forestieri che si
stupivano di incontrare un marocchino che parlava piemontese,
agli abitanti dell’alta valle.
Giunto nella provincia di Cuneo una quindicina d’anni fa, e
da alcuni anni stabilitosi a Pinerolo, dove aveva sposato una ragazza italiana da cui aveva avuto
due bambini M’hammed, integratosi non solo « linguisticarnente » si preoccupava dell’inserimento dei suoi connazionali;
tutti devono pur mangiare, diceva, e sapeva che molti avevano
dei grossi problemi.
Ora un incidente d’auto ce l’ha
portato via. Molti dei villeggianti
d’agosto, siamo sicuri, chiederanno perché non c’è più.
Presso diversi esercizi commerciali
di Torre è aperta una sottoscrizione
per la famiglia di M. Fitas.
11
24 luglio 1992
lettere n
GLI EVANGELICI
A NAPOLI
Caro Direttore,
devo anzitutto fare ammenda per
non aver premesso al mio articolo
del 12 giugno ‘ una nota introduttiva
che ne spiegasse l'origine. Si tratta
di una riflessione che avevo condotto nei mesi scorsi — con l’aiuto di
una gamba rotta — sulla « struttura
profonda » della Chiesa valdese di via
dei Cimbri: il Concistoro l'ha discussa e poi ha accettato di farne il « pezzo forte » della sua relazione annua.
Mi rendo conto che questa mancata
precisazione (anche se implicita nella
didascalia che tu hai apposto a una
delle foto) apriva il fianco a dei fraintendimenti, e me ne rammarico vivamente.
Ciò premesso, vorrei fare qualche
nota a margine delle lettere di M.
Adelaide Rinaldi e di Mirella Scorsonelli^. La «Chiesa cristiana del Vomere » è stata fondata da Gaio Gay,
che era bensì stato pastore valdese,
ma poi uscì dai ruoli della Tavola senza mai rientrarvi. Lo straordinario ministerio di Gaio Gay dette una fisionomia originale alla comunità: fisionomia che è rispecchiata nella convenzione del 1956^. La convenzione non
assicura alla Chiesa del Vomere solo
la proprietà dei suoi locali (tempio e
alloggio pastorale): essa prevede (in
deroga ai RROO) che continuino a
far parte del Consiglio di chiesa gli
anziani a vita a suo tempo eletti (la
clausola riguarda oggi solo una persona, assai benemerita nel lavoro comunitario); stabilisce che le modalità
di celebrazione dei sacramenti e di
svolgimento degli atti di culto « non
potranno essere modificate senza l’assenso del Consiglio di chiesa infine precisa che, in caso di estinzione
della comunità, il suo patrimonio dovrà essere usato per la predicazione
evangelica nel quartiere del Vomere.
Naturalmente, la comunità conservava
e conserva il suo nome « storico » di
« Chiesa cristiana del Vomere »; come tale essa risulta, ad esempio, tra
le chiese fondatrici dell'Ospedale evangelico e (oggi) della ■ Fondazione Betania ■>.
Anche dopo l'ingresso nell'ordinamento valdese, la Chiesa del Vomere
ha conservato una sua autonoma specificità rispetto al valdismo tradizionale: tant'è vero che alcuni membri
di chiesa, trasferitisi in un’altra città, sono divenuti membri della locale
comunità metodista e non di quella
valdese. E' bensì vero che negli anni '60 si sono inseriti al Vomere diversi valdesi provenienti da via dei
Cimbri (a seguito di una traumatica
scissione) e da altre chiese, e che
essi hanno talvolta assunto una posizione di rilievo nella vita della comunità: ma nessuno ha mai sentito il
bisogno di modificare il nome della
« Chiesa cristiana del Vomere », né
la convenzione con la Tavola. E, credo, a ragione.
Negli anni '70 si è poi verificato
un importante fatto nuovo: demolita
la chiesa di Sant’Anna di Palazzo la
comunità metodista di Napoli ha cominciato a utilizzare per le sue attività la sede della Chiesa del Vomere. Di fatto, quasi tutte le attività
delle due chiese vengono ormai svolte insieme; la cosa è sicuramente
nello spirito dei Patto d’integrazione.
Devo tuttavia notare che il Patto,
all'art. 27, prevede che la «fusione o
unione di chiese locali » avvenga « sulla base di una convenzione approvata dalla Tavola », « nella quale venga
tra l’altro precisato quale regolamentazione sulle chiese locali (la valdese
o la metodista) la chiesa interessata
vuole adottare, a meno che la situazione locale non richieda una regolamentazione diversa, che dovrà essere
approvata dal Sinodo nel quadro di una
modifica disciplinare ». Non mi pare
ohe al Vomere questo sia mai stato
fatto: siamo dunque solo in presenza
di due comunità che collaborano strettamente. Non credo sì possa affermare che la Chiesa del Vomere « oggi
è formata da 70 membri valdesi e 30
metodisti ». Del resto, se così fosse,
neH’assemblea della Fondazione Befania non potrebbero sedere (come
siedono) due diverse rappresentanze ".
Lo stesso dicasi per Circuito e Distretto.
Devo poi confessare che mi è arduo capire come una persona, che fa
parte della comunità metodista (e ne
presiede il Consiglio) possa anche essere presidente del Consiglio della
Chiesa del Vomere, di cui non fa parte su questo punto spero di poter
ricevere una spiegazione rassicurante.
Concludo: io sono sempre stato
molto fiero del fatto che aH'interno
della « Chiesa evangelica valdese » potessero vivere delle comunità diverse: non solo le 37 comunità metodiste, che hanno uno status del tutto
speciale in base al Patto d'integrazione, ma anche ad esempio la Chiesa
evangelica di Bergamo e la Chiesa
apostolica di Prato, che hanno stipulato delle particolari convenzioni con
la Tavola. E ho sempre pensato che
le specificità di queste chiese andassero rispettate e valorizzate: in una
parola, che queste comunità non dovessero essere « valdesizzate •: questo criterio mi pare, tutto sommato,
valido anche per la Chiesa del Vomere. Ciò premesso, sono ben d’accordo che il Vernerò è « una bella
chiesa compatta che lavora e testimonia »‘, e personalmente ho il privilegio di còllaborare settimanalmente
con uno dei suoi membri alTOspedale
evangelico; una delle cose migliori
della mia esperienza napoletana. Lungi da me l'idea di peccare di « presunzione »: volevo solo far parte a
una più vasta cerchia di amici delle
reco delle valli valdesi
settimanale delle chiese vaidesi e metodiste
Redattori: Alberto Coreani, Luciano Deodato (vicedirettore), Giorgio Gardiol (direttore). Carmelina Maurizio, Jean-Jacques Peyronel, Piervaldo Rostan.
Stampa: Coop. Tipografica Subalpina ■ via Arnaud. 23 10066 Torre
Penice - telefono 0121/91334
Ragistraziona; Tribunale di Pinerolo n. 17S. Respons. Franco Glampiccoll
REDAZIONE e AMMINISTRAZIONE; via Pio V. 15 - 10125 Torino telefono
011/655278, FAX 011/657542 — Redazione valli valdesi; via Repubblica, 6 - 10066 Torre Pelllce - telefono 0121/932166
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FONDO DI SOLIDARIETÀ': c.c.p. n. 11234101 intestato a La Luce, via
Pio V, 15 - 10125 Torino
Amministrazione del fondo: Maria Luisa Barbería, Renato Coisson, Roberto Peyrot
riflessioni ispirate da 5 anni di lavoro
pastorale.
E invece ho scatenato un putiferio!
Giorgio Bouchard, Napoli
' « Fragilità e fermezza del valdismo
napoletano ».
^ Eco/Luce, 3 luglio 1992.
’ il testo della convenzione è riportato nel volume delle Discipline a
pp. 113-118 (sezione; accordi con chiese locali). La nota al mio articolo contiene un errore cronologico: 1954 anziché 1956.
* Per l'esattezza: due rappresentanti della Chiesa cristiana del Vomere
e due rappresentanti della comunità
metodista di Napoli.
* L'art. 12 del Regolamento sulle
persone recita infatti: « Per accedere
a una carica o a una deputazione ecclesiastica occorre essere iscritti nel
registro dei membri elettori ».
‘ Nell’articolo incriminato ne segnalavo l'alta frequenza al culto.
PERSONALIA
Felicitazioni vivissime a Rosalba
Cappella, che si è laureata in psicologia con 110 e lode a Roma, discutendo una tesi dal titolo: « L'uso della
favola nella costruzione di un linguaggio terapeutico ».
FONDO DI SOLIDARIETÀ’
Bruciata una chiesa
in Madagascar
Ciò che resta della chiesa di Cristo di Tsiroanomandidy.
Fra le ultime fiammate staliniste che guizzano ancora qua
e là nel mondo, c’è da annoverare il regime di Didier Ratsiraka in Madagascar, l’isola grande quasi il doppio dell’Italia che
« costeggia » I’Africa sud orientale e che conta 10 milioni di
abitanti (di cui il 20% è protestante).
Sull’onda dei grandi rivolgimenti politici di questi ultimi
anni, anche in Madagascar si sono svolte e si svolgono delle
imponenti manifestazioni nonviolente per protestare contro la
dittatura e per sollecitare l’organizzazione di un Forum, o
Conferenza nazionale popolare
che elabori una nuova Costituzione. Nell’agosto del 1991 la reazione del potere fu feroce e
causò decine di morti e centinaia di feriti. Le dimostrazioni
e le richieste di democrazia continuano, come pure continua la
repressione. Ne abbiamo un’ultima dimostrtizione che ci tocca
più da vicino come credenti; la
chiesa di Tsiroanomandidy è
stata incendiata e distrutta: si
tratta di un locale di culto della Chiesa di Gesù Cristo (riformata) in Madagascar. Ne riceviamo comunicazione da quella
comunità che ci chiede la nostra solidarietà, sia spirituale
che materiale. Il pastore locale
è fra gli organizzatori — a livello regionale — della citata
Conferenza, assieme a colleghi
di altre zone e l’incendio della
chiesa è stata la tipica risposta
della dittatura a scopo intimidatorio.
« Ma la lotta non cesserà —
viene scritto nell’appello — ed
il Movimento non si fermerà, allo scopo di giungere ad una Repubblica veramente democratica
e per salvare il paese dallo sfacelo ».
Proprio recentemente il nostro Fondo di solidarietà ha istituito un «fondo emergenza» per
offrire una sollecita solidarietà
al verificarsi di improvvisi eventi calamitosi, naturali od umani che siano. Ci pare questo un
caso doppiamente degno di essere preso in considerazione (sia
pure con un modesto invio in
denaro) innanzitutto come testimonianza di fratelli in fede,
ma anche come attestato di solidarietà verso chi lotta per la
libertà.
Al momento il « fondo emergenza », appena istituito, non
possiede quasi nulla, ma siamo
convinti che la generosità e la
sensibilità dei lettori ci consentirà di inviare il più presto possibile, tramite la Cevaa, un aiuto a quei fratelli nella prova.
Mentre ricordiamo che attualmente è in corso una raccolta
anche a favore del Centro sociale di ’Ntolo in Camerún, precisiamo che le offerte vanno inviate al conto corr. postale n.
II234I0I intestato a La Luce Fondo di solidarietà, via Pio V
15, 10125 Torino.
Il coordinatore del Fondo
_ Roberto Peyrot
ringraziamento
« Io so in chi ho creduto »
(2 Tim. 1: 12)
Dopo una lunga prova, il 3 luglio,
ci ha lasciati
Susanna Avondetto
ved. Avondet
ili anni 91
Ringraziamo il pastore Klaus Langeneck per le calorose parole con cui ha
rivolto il suo mes.saggio e tutti coloro
che in ogni modo ci sono stati vicini
in questa circostanza.
PrarosHno, 10 luglio 1992
AVVISI ECONOMICI
ANTICHITÀ', mobili, oggetti vari,
privato acquista. Tel. (0121) 40181
E’ DISPONIBILE L'ERRATA CORRIGE del libro del prof. S. Caponetto La Riforma protestante nelVltalia
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RINGRAZIAMENTO
« Cosa di gran momento è agli
occhi dell’Eterno la morte dei
suoi diletti »
(Salmo 116: 15)
E’ ritornata alla casa del Padre
Erminia Vanasia in Dentico
di anni 85
Il marito, i figli e i familiari tutti
ringraziano tutti coloro che hanno preso parte al loro dolore con presenza,
parole di conforto e in completa disponibilità.
In particolare un sentito ringraziamento al dott. Mathieu, ai suoi coUaboratori, al personale paramedico dell’ospedale valdese di Torre Pellice, ai
maggiori Paolo e Maria Paone dell’Esercito della Salvezza a Torino, ai capitani Inniger, a Giovanni TureUo e a
Paolo e Magda Calzi.
Torre Pellice, 18 luglio 1992.
RINGRAZIAMENTO
I familiari del caro
Carlo Venturi
di anni 60
giovane partigiano
ringraziano tutti coloro che hanno
partecipato al loro dolore. Un grazie
particolare aUa cugina Luisa Rissolo e
famiglia, a Vilma, a Edi, al reparto
di medicina dell’Ospedale Agnelli di
Pinerolo, airinfermiere professionale
Michele Magnano, al past. Noffke, alFANPI, affa sig.Ta Vera Long.
Torino^ 20 luglio 1992.
.RINGRAZIAMENTO
« E fattosi sera Gesù disse:
passiamo all’altra riva »
(Marco 4: 35)
Ha termmato la sua giornata terrena
Silvio Martinat
di 77 anni
La moglie Delfina e i parenti tutti,
nell 'impossibilità di farlo personalmente, esprimono la loro riconoscenza a tutti coloro ohe hanno partecipato al loro
dolore per rimprowisa dipartita del
caro congiunto.
Un grazie particolare alla dott.ssa
Ornella Michelin Salomon, al gruppo
anziani di Torre Pellice, ai vicini di
casa, alla Corale valdese e a tutto il
personale ed agli amici del Rifugio
Carlo Alberto di Luserna S. Giovanni.
Torre Pellice, 22 luglio 1992.
« Or egli non è Dio dei morti,
anzi dei viventi: poiché tutti
vivono in lui »
(Luca 20: 38)
La famiglia del Rifugio e il Comir
tato di gestione partecipano al dolore
di Delfina e dei familiari per la morte di
Silvio Martinat
e ne ricordano con riconoscenza la
grande generosità e la paziente dedir
zione ad un servizio diaconale difficilmente sostituibile.
Torre Pellice, 24 luglio 1992.
RINGRAZIAMENTO
« Il Signore è U mio pastore,
nulla mi mancherà »
(Salmo 23: 1)
Il 6 luglio, a Ferrara, il Signore
chiamava a sé
Rina Boschetti Barazzuoli
Con profondo dolore ne danno il
triste annuncio il marito Martino con
i figli Ale.ssandro e Antonella ed i
congiunti delle famiglie Boschetti e
Barazzuoli.
Un sentito ringraziamento al pastore Giovanni Grimaldi della Chiesa
metodista di Novara, dove la cara salma è stata tumulata, per le parole di
speranza e di consolazione.
RINGRAZIAMENTO
« Benedici anima mia TEter.
no e tutto ciò che è in me... »
(Salmo 103))
I familiari di
Clementina Poèt ved. Bouissa
ringraziano sentitamente quanti hanno
partecipato al lutto ed in particolare la
dott.ssa Paola Grand, Elda Davit e
rida Davit con rispettive famìglie per
Taffettuosa ed insostituibile assistenza.
vaiar Pellice, 23 luglio 1992.
12
12 vUlaggio globale
24 luglio 1992
QUACCHERI
Al mercato delle armi
Ci avrebbero pagati pur di
farci sloggiare, ma i venditori di
armi occidentali sono democratici e non si permettono di guastare 1 atmosfera che, per meglio
vendere i loro sofisticati congegni di morte, è bene rimanga
tranquilla.
E COSI, armati (si fa per dire)
di cartelli antimilitaristi, di volantini contro il commercio di
morte e soprattutto di un
sorriso amicale a prova di insulto e di indifferenza, una
trentina di quaccheri e una diecina di collaboratori esterni francesi, inglesi, tedeschi, olandesi,
scandinavi... e due itahani, dal 21
al 27 giugno fra le 10 e le 17, hanno tenuto costantemente aperto
il dialogo con fabbricanti d’armi,
cornpratori, visitatori assortiti,
poliziotti, soldati, generali, osservatori dell’Est eu^-opeo, ai cancelli della mostra internazionale.
Quattro gatti, si dirà; ma sorretti da una sohda fede religiosa
nonviolenta contro un esercito di
tecnologiche sanguisughe, essi
sono stati capaci, con umiltà e
fiducia nei profondi valori dell’uomo, di costruire qualcosa con
le centinaia di persone contattate a Le Bourget e in diversi punti nevralgici di Parigi.
Non è escluso che il seme vivo
della nonviolenza porti un qualche frutto nel senso della pace e
freni, in alcune coscienze turbate, la pulsione a fare denaro a
qualsiasi costo.
Un’ esperienza indimenticabile
per entrambi gli schieramenti.
Del resto altri semi sono apparecchiati per essere seminati in
prossime occasioni, con un po’ di
esperienza in più.
Alcuni momenti clou si sono
avuti quando una piazza dedicata a un militarista è stata ribattezzata al gen. Bollardière, convertitosi al pacifismo; con la consegna al primo ministro della Repubblica francese, al ministro
della Difesa e a quello dell’Ambiente di una cortese lettera di
protesta contro l’avallo del governo alla mostra delle armi; con
la consegna di detta lettera alle
ambasciate d’Italia, di Gran
Bretagna e di Germania; con
una lunga presenza/testimonianza silenziosa al Centro Pompidou, rallegrata con una scenetta
ispirata ai due asini legati fra
loro che apprendono a proprie
Quaccheri a colloquio con osservatori della Transilvania.
spese le virtù della collaborazione.
Alquanto deludente è stata l’ultima giornata, con la partecipazione di circa 50 antimilitaristi di
varie organizzazioni che dopo
avere bloccato Tingresso principale di Eurosatorv vi sono rimasti immobili allorché i responsa
bili della mostra l’hanno chiuso
ricorrendo agli altri ingressi. La
testimonianza è sì sopravvissuta,
con cartelli molto eloquenti letti
da pochi, ma l’azione è sfumata.
Alternative non ne sono state
messe in atto.
Davide Melodia
BOSNIA ERZEGOVINA
Quarantamila morti?
Anche in questa repubblica alla coabitazione pacifica si sostituiscono guerra e rovina
Fino a pochi anni fa citata come esempio di coabitazione pacifica tra le varie comunità etniche e religiose, la Bosnia Erzegovina ha se^ito la sorte della Jugoslavia di cui era in un certo
senso un concentrato.
I musulniani (cioè gli slavi
islamizzati in occasione dell’occupazione ottomana) sono il 44%
della popolazione ; sono vissuti
per alcune decine di anni in pacifici rapporti con i serbi (31,5%
della popolazione) e con i croati
(18%).
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Quando la Federazione jugoslava ha cominciato a sciogliersi,
la Bosnia ha subito cominciato
a subire tutte le tendenze scissioniste sollecitate dai vari nazionalismi. Di fronte alla volontà dei
musulmani (maggioritari nel
Parlamento) di costituire la Bosnia-Erzegovina come stato indipendente, i serbi — sostenuti dal
governo di Belgrado e dall’esercito federale — hanno deciso di
operare la secessione rifiutandosi di vivere sotto quello che chiamano il giogo musulmano. Per
far questo hanno manu militari
stabilito i confini di quelle che
chiamano le loro « regioni autonome », cacciando da questi territori le popolazioni non serbe.
I croati, che nel nord e nel
sud-ovest hanno regioni omogenee, hanno accettato la creazione
della Bosnia indipendente a condizione che il nuovo stato bosniaco fosse articolato in
cantoni. Minacciando la scissione a loro volta se la cantonalizzazione non si fosse realizzata, i
croati si sono alleati con i musulmani contro i serbi.
Preceduta da scontri a livello
locale, la guerra è iniziata dopo
il referendum della fine del febbraio scorso in cui la stragrande maggioranza di musulmani e
di croati si era espressa in favore dello stato indipendente.
Questo referendum, voluto dai
principali paesi europei occidentali, è stato boicottato dai serbi
che lo hanno considerato una vera e propria dichiarazione di
guerra. Guerra che ormai si configura come un massacro: solo
nell’assedio di Sarajevo sono
morte — secondo stime giornalistiche — 40 mila persone. Oltre
ai morti si contano centinaia e
centinaia di rifugiati e profughi
in cammino verso la... sicurezza.
G. G.
Pagano i poveri
(segue da pag. I)
la pensione sociale; non possiamo licenziare 100 dipendenti in
un’area a forte disoccupazione;
non possiamo dequalificarci. A
questo punto non ci rimane altra
soluzione che chiudere! ».
Capisco che quest’ultima frase
è detta con le labbra, ma non
col cuore; scaturisce da un senso di stanchezza per una lotta
continua che, anno dopo anno,
giorno dopo giorno, deve affrontare sempre nuovi attacchi, nuove difficoltà.
E’ lo stesso senso di stanchezza che colgo nelle parole del presidente, Sergio Nitti: « Finora
siamo andati sempre avanti e,
grazie al Signore, abbiamo potuto superare tutte le difficoltà. Abbiamo cercato di rendere un servizio al nostro prossimo. Può
darsi che siamo ora giunti al termine del nostro cammino. A queste condizioni noi non possiamo
più fare nulla; se dovremo chiudere, chiuderemo, ringraziando
il Signore per quanto ci è stato
dato di fare ».
L’ospedale Villa Betania di
Ponticelli, è bene ricordarlo, è
l’unico ospedale esistente nella
periferia orientale di Napoli. Serve quartieri popolosi e degradati
come Ponticelli, Barra, San Giovanni a Teduccio, dove si addensa una popolazione valutata intorno alle 170.000 persone. Ma
sull’ospedale si riversa anche la
popolazione dei Comuni limitrofi,
privi di presidi sanitari, come
Volla, Cercola, S. Giorgio a Cremano, Portici. Insomma, il bacino di utenza ammonta a circa
400 mila unità. L’ospedale, ricordiamolo, ha 120 posti letto: una
miseria, rispetto alle necessità.
Molto apprezzato è il reparto di
maternità, con più di 2.000 parti
all’anno. Per poter far fronte ad
ogni eventualità in questo settore, è stato approntato un reparto di medicina neonatale con
6 posti. Ma non ha mai potuto
entrare in funzione, perché non è
stata mai concessa l’autorizzazione, pur rispondendo a tutti i
renuisiti di legge! E un po’ di
tempo fa (e questa è una storia
che ha lasciato una grande tri
stezza in tutti) un neonato è morto perché l’ambulanza che lo doveva trasportare in un ospedale
attrezzato è arrivata tardi. Sarebbe stato salvato, se il reparto di
Villa Betania fosse stato in funzione. Così è: c’è chi muore appena nato perché manca un bollo!
(Dra l’ospedale non solo non
può andare avanti, ma deve andare indietro: dequalificarsi. Come se non avesse le strutture
adatte, gli strumenti idonei, gli
spazi regolamentari, il personale
necessario. La delibera della
giunta è un assurdo giuridico.
Ma perché è stata presa? E’
dubbio che manifesti una reale
volontà di riduzione della spesa
pubblica per la sanità. Il risparmio che otterrebbe è valutabile
intorno ai 65 miliardi, grazie (oltretutto!) al licenziamento di
2.400 dipendenti ospedalieri. Non
è qui il grosso della spesa sanitaria. Lo scandalo è dato dagli
ospedali pubblici, dove i costi variano tra un milione e 400 mila
lire a poco meno di 300 mila lire;
dove l’utilizzo dichiarato è del
50%, ma in realtà si abbassa al
30%; dove esistono strutture obsolete e fatiscenti che non si toccano, perché feudo di qualche politico. E’ lì che va fatta pulizia;
e comunque, se si vogliono toccare le case di cura private, allora
bisogna distinguere tra Luna e
l’altra. Villa Betania, posta in
una zona nevralgica, che non persegue scopi di lucro ma che, anzi, ha chiesto la classificazione,
mettendosi cioè a disposizione
dello stato, finisce per pagare
un’operazione politica squallida:
la Regione ha bisogno di presentarsi all’incontro Stato-Regioni in
programma il 22 luglio dimostrando di avere in qualche modo ridotto la spesa sanitaria.
Alla Regione, poi, poco sembra
interessare che questa operazione di pura facciata venga pagata da 100 dipendenti licenziati e
dalle loro famiglie, e da 400 mila
persone alle quali sarà tolta anche quella minima possibilità di
assistenza in una struttura sanitaria piccola ma efficiente e, soprattutto, umana.
Luciano Deodato
daudiana editrice
NOVITÀ’
Nella « Piccola collana moderna » è uscito il n. 68 :
ROBERT GRIMM
Senso di colpa e perdono
pp. 72, L. 10.000
Traduzione di Rita Gay
C31i psicopalisti sanno che l’uomo è afflitto da un senso
di colpa a cui non può sfuggire. i credenti sanno che Dio nerdona, im anche loro vivono male questo perdono. Chi è il
nos..ro Dio: un giudice implacabile o un padre che ranneiin
l atto d’accusa? Siamo tutti colpevoli senza scampo o è pos
rìvelator^^^ ^ sorprendente che Gesù ci ha
Fuori collana è uscito il volume :
GIORGIO BOUCHARD
Chiese e movimenti
evangelici del nostro tempo
pp. 168-1-8 tav. f.t., L. 16.(XX)
. informazione di prima mano sul mondo evangelico,
statisticamente aggiornata, che ripercorre la vicenda storica
di ogni movimento per coglierne l’animo, la particolare spiritualità e ne delìnea la matrice sociologica, i rapporti col
mondo culturale.
Un’agile guida ad una componente troppo ignorata della
cultura italiana.
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