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RIVISTA MENSILE
! 1LLVSTRATA DI STUDI RELIGIOSI
Anno Ili :: Fasc. 111. MARZO 1914
Roma - Via Crescenzio. 2
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ROMA - 31 MARZO - 1914
DAL SOMMARIO: R. De Stefano: Le due Riforme -G. Calvino e S. Castiglione. — ASCHENBRÖDEL: * Boanerges » o i Gemelli Celesti. — ROMOLO MURRI: Nazionalismo e Cat-tolicismo. — S. P. PONS : Il pensiero politico e sociale del Pascal. — P. PASCHETTO : Le donne al Sepolcro (disegno). — PER LA CULTURA DELL’ANIMA: Pasqua (F. Funk). — Il problema del Cristo (A. Quiévreux).' — La riforma della famiglia (P. G. Loyson). — NOTE E COMMENTI : L’eterno'conflitto -Sacerdozio e profetismo. — TRA LIBRI E RIVISTE : Chi fu Ignazio di Loyola? (E. Rutili). — L'uomo e l’universo (N. H. Skaw). — Il destino del darwinismo (P. Orano), ecc.
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo # # Via Crescenzio, 2 - ROMA
D. G. Whittinghill, Th. D., Redattore per l’Estero
Via del Babuino, 107 - ROMA -----fi Si pubblica il 15 di ogni mese
in fascicoli di almeno 64 pagine. fi
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Illustrazioni del presente fascicolo.
Ritratti di Giovanni Calvino e Sebastiano Castiglione (Ta vola tra le pagine 168 e 169).
Le donne al Sepolcro - Disegno di Paolo A. Paschetto (Ta vola tra le pagine 200 e 201).
Ritratto di Sir Oliver Lodge (pag. 231).
Copertina, disegni e fregi di Paolo A. Paschetto.
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BILÌCHNIS
RJVI5IÀ DI SlVDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLA TEOLOGICA BATTISTA - DI ROMA1
SOMMARIO:
ANTONINO De Stefano: Le due Riforme - Giovanni Calvino e Sebastiano Castiglione..................... pag. 165
ASCHENBRÖDEL: « Boanerges » o i Gemelli Celesti ...... » 173
ROMOLO MüRRI: Nazionalismo e Cattolieismo ........ » 184
SILVIO P. PONS: Il pensiero politico e sociale del Pascal . . . . >192
INTERMEZZO :
Paolo A. PaschettO: Le donne al Sepolcro (Disegno). . . . . » 199
PER LA CULTURA DELL’ANIMA :
Philipp Funk: Pasqua ............... . >201
A. QuiÉVREUX: Il problema del Cristo........... > 203
P. Giacinto LoysON: La riforma della famiglia ....... >212
DEISMANN: Anatolia (Pagine scelte) ............ »218
H. W. BEECHER: L’oratoria .............. » 220
C. Wagner: Preghiera. Dio della lodolai ......... > 220
NOTE E COMMENTI :
***: L’eterno conflitto - Sacerdozio e profetismo ....... »221
É. R.» Pressensé . ....... .............. » 2Ì3
TRA LIBRI E RIVISTE:
Ernesto Rutili: Chi fa Ignazio di Loyola?. » 225
N. H. Shaw: L’uomo e l’universo ................ » 230
Paolo Orano: Il destino del darwinismo ............. > 235
G. Gentile: Pedagogia e Religione................ » 237
A. Pellazza: Una conclusione circa l'immanentismo . •........ » 23$
E. R. : I classici del libero pensiero ................ » 239
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PROSSIMAMENTE:
Roland D. Sawyer: — Gesù e la f amiglia — Gesù e la proprietà.
GIOVANNI LUZZI : Il modernismo nella Chiesa cristiana del primo secolo.
Mario Puccini: L'opera di Raffaele Mariano.
Angelo Crespi: L'evoluzione della religiosità nell Individuo e nella Società.
Paolo Orano: Dio nella coscienza,.
G. LESCA : Sensi e pensieri religiosi nella poesia di A. Graf.
M. Velato: L'altare al Dio sconosciuto.
G. E. MEILLE: Intorno all'immortalità dell'anima.
Mario Rossi : Un' interpretazione religiosa di una leggenda della Grande Sirie in Sallustio: i fratelli Fileni.
ALFONSO Vittorio MÙller : Agostino Favorini, generale degli Agostiniani, arcivescovo di Nazareth, come precursore di Lutero.
Giovanni Costa: L'Impero romano e il Cristianesimo.
Mario ROSSI: Il « Tu es Petrus > e la storia delle religioni - Saggio di una nuova interpretazione.
Mario Rosazza: Fedi crepuscolari.
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LE DUE RIFORME
GIOVANNI CALVINO E SEBASTIANO CASTIGLIONE
a prima e fondamentale affermazione della riforma religiosa del secolo XVI fu la protesta contro tutti i monopoli religiosi, gli esclusivismi dogmatici, gli autoritarismi ecclesiastici.
« Tutto ciò che è vero, diceva Zwinglio, chiunque sia colui che l’ha detto, è parola di Dio ». E soggiungeva: « Platone ha anche lui bevuto alla fonte divina e se i due Catoni, se Camillo e Scipione non fossero stati veramente religiosi, sarebbero essi stati così magnanimi?».
Sulla base di quest’affermazione riposano i principi costitutivi della genuina riforma protestante : il principio dell’ individualismo religioso, quello della sovranità della coscienza, quello del libero esame in materia di fede.
Lutero aveva insegnato : « Ognuno crede a suo rischio e pericolo e ognuno deve assicurarsi da se stesso se la sua fede è buona... Nessuno può obbligarmi a credere o a non credere... Bada che nessuna cosa al mondo, per grande che sia, non ti faccia rinnegare, contro la testimonianza della tua coscienza, una credenza che tu stesso hai riconosciuta e stimata come divina... La coscienza dell’uomo vaie più di mille testimoni. Davanti al giudizio di Dio, noi saremo giudicati soltanto secondo la testimonianza della nostra coscienza. Questa testimonianza è superiore a quella dell’universo intiero. La coscienza non deve essere sottomessa a nessuno... La fede non vuole obbligare nessuno, nè costringere nessuno a professare il Vangelo; essa lascia invece a ciascuno le sue libertà». Libero esame e libera fede, fondati sulla sovranità della coscienza, questo fu l’ideale che ispirò, animò, costituì la primitiva, autentica e genuina riforma protestante,
Ahimè, quegli stessi suoi grandi pionieri, quei grandi riformatori che in nome della libertà di coscienza avevano sollevato l'Europa, furono i primi a rinnegare sè stessi e la loro opera!
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Lutero, spaventato delle conseguenze inattese delle sue proclamazioni, che avevano sollevato i contadini contro i loro signori, si adoperò in seguito energicamente ad attenuarne la portata. Il suo grande errore fu di avere combattuto violentemente quei principi emancipatori che egli stesso aveva formulato. Il libero esame, non meno che la libertà di coscienza, fu sottoposto a delle interpretazioni restrittive e negative.
A partire dal 1530, i capi della Riforma tedesca legavano i protestanti con una confessione di fede obbligatoria. E un luterano moderno, il Leblois, nella sua opera : Les Bibles de VHumanitè, scrive : « La nuova ortodossia che prevalse, dopo il 1530, in Germania e più tardi in Inghilterra, non è che un cattolicismo riveduto: gli stessi dorami fondamentali; la stessa fede cieca, la stessa intolleranza, lo stesso esclusivismo, la stessa antipatia per la liberta di esame e di coscienza».
Questo « sabotage » della Riforma, nei suoi principi essenziali e per opera stessa dei suoi creatori, è uno degli avvenimenti più lamentevoli e più disastrosi della storia moderna. Altro sarebbe forse oggi rassetto sociale, altra la mentalità pubblica, se i grandi riformatori fossero rimasti fedeli agl’ideali delle origini delle loro rivolta religiosa. Forse neppure la Rivoluzione francese sarebbe stata necessaria a proclamare quelle libertà che costituiscono l'essenza del diritto moderno. E se hanno ragione coloro i quali rivendicano alla Riforma l'onore di aver dato un grande impulso alia proclamazione delle libertà moderne, riferendosi al primo e innovatore atteggiamento dei riformatori, non meno ragione hanno coloro che negano questo merito della Riforma, considerandola nel suo svolgimento storico, quando essa divenne uno strumento di asservimento delle coscienze.
Questa degenerazione della Riforma primitiva, questa lotta che i protestanti autentici ebbero a sostenere con i protestanti rinnegati, non potrebbero meglio studiarsi che nella cittadella di Calvino, a Ginevra.
Questa storia ci è stata recentemente raccontata, con una maestria assoluta della documentazione e con una seducente eleganza di forma da Stefano Giran, pastore liberale di Amsterdam, intelligenza generosa tutta aperta alla verità, alla libertà, alla modernità, nel suo grosso volume: Sibastien Castellion et la RèJorme Calvinisti.1
Giovanni Calvino, l’ex canonico piccardo, che s’era ribellato a Roma in nome della libertà di coscienza e del libero esame, ci appare come il saboteur tipico della Riforma protestante.
La' sua psicologia strana, morbosa, contraddittoria, enigmatica, fornirebbe soggetto ad uno studio originale e interessante. Nessuno ha con maggiore insistenza di lui predicato l’umiltà dello spirito e nessuno ha mai avuto una più illimitata fiducia nel proprio giudizio e nella propria scienza. Nessuno ha con tanta energia rivendicato i diritti della sua coscienza, di questa suà coscienza che gli imponeva il dovere di opprimere quella degli altri.
Nessuno ha avuto minore coscienza del proprio autoritarismo, e mai uomo fu più di lui spiritualmente e socialmente intollerante.
1 Amsterdam, 1913. Un volume di circa600 pag. Prezzo: 5 franchi. Rivolgersi all’autore: M. Etienne Giran, pasteùr, Overdoom, 93, Amsterdam (Olanda), o anche alla Libreria Bilychnis,
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LE DUE RIFORME 167
Quando Calvino riesce a vincere l’opposizione del partito dei « libertini », impone alla città le famose leggi suntuarie, quali nè Dracone, nè Torquemada avrebbero potuto concepirle:
Proibizione di ballare e di veder ballare, d’intuonare canzoni vane. La musica è interdetta, anche nelle feste nuziali.
Proibizione ad ogni cittadino, borghese o abitante della città, di andare a bere o a mangiare in una taverna o in un’osteria.
Proibizione agli osti di dar da bere e da mangiare agli stranieri di passaggio durante il tempo in cui si tiene il sermone in chiesa, sotto pena di 60 soldi. Gli osti e le ostesse debbono, nel loro domicilio, recitare le preghiere prima e dopo i pasti, sotto pena di 60 soldi ogni volta.
Proibizione al forestiero di uscire dall’albergo dopo la cena, di bere altro vino che quello rosso del paese, di omettere la preghiera prima del pasto, sotto la responsabilità dell’oste.
Coloro che portano vesti non approvate dal Consiglio sono condannati a 3 giorni di prigioni, a pane ed acqua, e a 60 soldi di multa.
Ogni pasto deve constare al massimo di due piatti, carne e legumi, esclusi i dolci.
Una donna è punita per aver recitato VAve Maria in latino ; un’altra perchè portava due riccioli pendenti ; una terza perchè teneva un mazzolino di fióri sull’orecchio; alcune ragazze, perchè avevano pattinato.
Per aver qualificato Calvino di « cattivo », uno dei maggiorenti della città fu condannato a essere trascinato attraverso le pubbliche vie, a testa nuda, in camicia e una candela in mano.
Per reprimere le eresie si adattarono a Ginevra gli stessi procedimenti dell'inquisizione romana.
Il 15 gennaio 1545» un inoffensivo anabattista è sottoposto ai tormenti delle grù. Nel maggio dello stesso anno si adoperano le tanaglie arroventate come un supremo mezzo d’istruzione religiosa. Nel dicembre, Calvino esige dal Consiglio le persecuzioni contro le streghe e chiede che si diano loro 7 colpi di corda e si brucino loro i piedi.
Calvino comincia a giustificare l’appello al braccio secolare in materia di fede.
Nel 1548, al duca di Somerset, parlando dei rivoltosi al suo governo e degli altri che « sono ostinati nei le superstizioni dell’anticristo di Roma», egli scrive: « Tous ensemble méritent bien d’être réprimés par la glaive qui vous est commis, vu qu’ils s’attaquent non seulement au Roi mais à Dieu ».
E il Giran commenta: «A partire da questo momento (per quanto straordinario sia il genio di Calvino) il calvinismo non ha più nulla di comune col movimento di liberazione spirituale ch’era stato il protestantesimo all’ inizio della Riforma >.
Oramai la Riforma a Ginevra non è più che un ecclesiasticismo calvinista, che adotta gli stessi sistemi dell’ecclesiasticismo romano. Come il Papa è tutto il cattolicismo, così Calvino sarà tutta la Riforma. Chi gli resiste, resiste allo Spirito Santo. Egli non tollererà più chi abbia un’opinione diversa dalla Sua.
Un giorno Calvino interdice la S. Cena a Ph. Barthelier. Questi, indignato di ciò che egli considera come un abuso di potere, afferma la sua volontà di
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prendervi parte. Il Consiglio minore, spaventato dallo scandalo che stava per scoppiare, insinua timidamente che se Berthelier si sentiva in coscienza abbastanza puro e atto a ricevere la Cena, si lascerebbe alla sua responsabilità il farlo o no. Ma Calvino non poteva accettare una tale disfatta. Egli si reca al Consiglio e dichiara : « che egli morrebbe piuttosto che di sopportare tutto ciò contro la sua coscienza ». E in una lettera a Viret, egli cosi sfoga il suo rancore : « Se Dio permette a Satana di calpestare sotto un tale despotismo la libertà del mio ministero, io sono un uomo finito». E il Giran commenta: «Tutto Calvino è in queste parole. Despoti, oppressori, tiranni, operai di Satana, tutti coloro che osano vivere o agire, pensare o credere, adorare o comunicare fuori della volontà di Calvino ! Che diverrebbe la libertà del sua ministero, se gli altri conservavano la libertà di credere ciò che essi credevano vero, di far ciò che essi stimavano giusto ! Un simile attentato al suo diritto di legiferare, di dominare, di comandare, in nome di Dio sarebbe intollerabile oppressione. Ma se ciascuno avesse il diritto di pensare liberamente, di credere o di non credere, di pregare o di non pregare, d’assistere al culto o di dispensarsene, di partecipare liberamente alla santa Cena o di astenersene, se Dio permettesse una simile cosa, “ sarei un uomo finito, ” dice Calvino. La confessione è ingenua e commovente. Non si tratta della Riforma o dei principi che egli stesso ha incosciàmente proclamati, quando si drizzò, forte di tutta la sua personale convinzione, contro l’autorità di Roma. Si tratta di lui\ la Riforma è lui, la libertà di coscienza è suo appannaggio. Il diritto di interpretare la Bibbia, si personifica in lui. Calvino non può ammettere, egli non può comprendere che si possa pensare altrimenti che egli non pensa, senza essere necessariamente uno strumento del demonio. Egli ha diritto alla libertà, perchè, dice egli, “ ètant assuré que ce que j’ai enseigné et écrit n’est point cru en mon cerveau mais que je le tiens de Dieu, il faut que je le maintienne. ” Calvino, così, ha il diritto imprescrittibile di fare non solamente a se stesso la propria fede, ma di regolare quella degli altri, di dettare degli ordini morali, d’imporre l’obbligo della preghiera e l’assistenza al culto, di fare afferrare e condurre al tempio i ricalcitranti, di punire con la multa o con la prigione i refrattari, di autorizzare o d’interdire la S. Cena, di conoscere i peccati di tutti, di castigarli come essi si meritano, di fissare la verità nelle formule d’una somma definitiva o d’un catechismo. Egli ha il diritto d'imporre le sue dottrine come la verità rivelata, di coupèr la brache a ogni novità, di definire l'eresia e di punire gli eretici. Impedirgli di dominare come egli intende, “sarebbe schiacciare, sotto un despotismo satanico, la libertà del suo ministero. ” Ma, di fronte a questa esposizione dei diritti di Calvino, potrebbesi domandare cosa divengono i diritti degli altri. I loro diritti? Essi non ne hanno che uno: quello di sottomettersi di buona grazia. Se essi non si sottomettono, essi si condannano da se stessi, perchè essi non possono avere che uno scopo : “ quello di tenere in scacco Dio nella.sua persona." Se essi riescono a tenere in scacco l'autorità onnipotente, è perché Satana li sostiene e che “il loro despotismo opprime la Chiesa di Dio”».
Quello che c'è di più stupefacente, in questo audace monopolio di tutti i valori della Riforma a profitto esclusivo di Calvino, è l’inconcepibile ingenuità, la manifesta buona fede, la serena tranquillità, l’olimpica incoscienza con la
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GIOVANNI CALVINO
SEBASTIANO CASTIGLIONE
[ 1914 - 111)
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quale egli la compie, Egli non concepisce che Dio possa permettere che gli si resista. D’altronde, egli darà presto a Dio il suo concorso premuroso per spezzare questa resistenza...
« Checché ne sia, i principi iniziali della Riforma non esistono più a Ginevra. Il libero esame è perseguitato come una suggestione satanica. La salvezza, per mezzo della fede, personale e libera, diventa la più criminale delle eresie. Solo i dommi calvinisti importano, e la salvezza, accordata da tutta l’eternità a tutti coloro che Dio predestina, è la sola che sia accessibile ai credenti. Non esiste più traccia a Ginevra del magnifico slàncio d’emancipazione spirituale che i primi protestanti avevano sollevato contro l’autoritarismo papale. Ginevra è divenuta una seconda Roma, con un capo ugualmente possente, ugualmente infallibile, ugualmente esclusivo e ugualmente autoritario. La dominazióne teocratica di Calvino non la cede in nulla a quella di Pio III ; è allo stesso titolo che egli si fa investigatore d’eresie e provveditore di carnefici ».
E lo storico Michelet potè scrivere: «S’il fallait quelque part en Europe un homme pour brûler ou pour rouer, cet homme était a Genève prêt et dispos, qui partait en louant Dieu et en lui chantant des psaumes».
Calvino finì col credere che la sua dottrina era la sola dottrina e la sua Chiesa la sola Chiesa e che fuori di questa dottrina e di questa Chiesa non esistessero nè verità, nè salute.
La repressione per mezzo della spada del magistrato divenne così il domina fondamentale della concezione ecclesiastica di Calvino.
Le vittime della sua politica sanguinaria furono parecchie; ma la più illustre fu lo spagnolo Michele Serveto, scienziato e teologo insigne, dal Michelet chiamato: il Copernico dell’uomo, lo scopritore della circolazione del sangue.
« Serveto, scriveva Calvino, è uno dei più audaci, temerari e perniciosi eretici che siano mai esistiti, visto che egli vuole... togliere la spada e il diritto di punire ai magistrati ai quali è stata data da Dio...; la sua coscienza stessa lo condanna e lo fa degno di morte e per evitare ciò egli ha voluto mettere le mani innanzi proclamando la sua falsa dottrina che consiste nel non punire gli eretici... ».
E Serveto, il 24 febbraio 1554, è arso vivo a Ginevra.
Per giustificare questo delitto, Calvino scrive In fretta e furia un opuscolo : Déclaration pour maintenir la vraie foi que tiennent tous le chrétiens de la Trinité des personnes en un seul Dieu, par jean Calvin, e che rivela il suo spirito nel sottotitolo aggiunto dallo stesso Calvino: Contre les erreurs détestables de Michel Servet, espagnol. Où il est aussi montré qu'il est licite de punir les hérétiques et quia a bon droit ce méchant a été exécuté, par justice, en la ville de Genève.
L’opuscolo di Calvino era appena messo in circolazione che appariva, a Basilea, un opuscolo pseudonimo di confutazione, intitolato : Traité des hérétiques. Calvino così ne scriveva subito a Bullinger: « E' stato recentemente stampato di nascosto a Basilea, sotto falsi nomi, un libro in cui Castiglione e Curione pretendono dimostrare che non bisogna reprimere gli eretici colla spada».
Calvino non s’ingannava: Sebastiano Castiglione era l’autore del «Trattato degli eretici ».
Il Castiglione, nato a Saint-Martin du Fresne (Ain), in Francia, era stato
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uno dei primi e devoti discepoli di Calvino durante il suo soggiorno a Strasburgo e l’aveva poi seguito a Ginevra, dove, dopo la partenza del celebre umanista, Maturino Cordier, era stato posto alla direzione del « Collegio ».
Castiglione fu uno dei più dotti umanisti del sec. xvi. Le sue composizioni poetiche in greco ed in latino erano ritenute degne dei migliori poeti antichi. I dialoghi, sacri, che ebbero un enorme successo specialmente in Germania, rivelarono in lui un pedagogista eminenteLa traduzione della Bibbia mostrò quale fosse la sua conoscenza dell’ebraico e la finezza dello spirito critico. Per primo egli sostenne il.carattere profano del Cantico dei Cantici. Disgraziatamente, anche Calvino aveva fatta la sua traduzione della Bibbia e non poteva perdonare al rivale l’incursione in un dominio ch’egli riteneva suo monopolio.
« Sappiate, scrive egli a Viret, adesso le fantasie di Sebastiano. C’è da muovere le risa e da pigliarsi una arrabbiatura. Tre giorni fa, venne da me e mi domandò se io avessi difficoltà a ciò Che egli pubblicasse la sua traduzione del Nuovo Testamento».
L’editore, Giovanni Géraud, infatti dichiarava di non voler stampare l’opera senza \'imprimatur di Calvino. Calvino, a sua volta, s'era piegato ad autorizzarne la stampa, a patto gli fosse riconosciuto il diritto di correzione. Castiglione non avendo accettato questa condizione, la stampa della sua traduzione non fu fatta che molto più tardi.
Riccardo Simon, nella sua Histoire critique du N. 7*., così giudica il lavoro di Castiglione : « può dirsi che Castiglione era molto più versato nelle tre lingue ebraica, greca e latina, che nessun altro dottore di Ginevra. La superiorità della traduzione di Castiglione su quella di Calvino, sia per l’esattezza, sia per l’eleganza dello stile, è ora da tutti comunemente ammessa ».
Prima ancora di Riccardo Simon e prima di Cappel, Castiglione inaugura la critica biblica moderna. Egli considera, infatti, la storia biblica come un racconto incompleto ed egli la completa con estratti da storici antichi; egli ne mette in rilievo le scorrettezze e le contraddizioni irreduttibili ; egli ne studia il testo come avrebbe fatto per i poemi di Lucano o VAulularia di Plauto ; partendo dalla costatazione che Mosè non poteva raccontare la sua propria morte, ne conchiude che tutto il PentateucQ non poteva essere opera sua ; egli corresse, infine, il testo biblico secondo le regole delia critica.
Di fronte alla Bibbia, Calvino rappresenta la vecchia mentalità, Castiglione la moderna.
Calvino considera la Bibbia come la parola di Dio, eterna ed assoluta come l’espressione chiara, luminosa del pensiero divino e crede alla sua ispirazione letterale. Castiglione, invece, sostiene che non solo delle frasi ma anche dei libri intieri sieno andati perduti; riconosce l’oscurità di molti passaggi, e distingue nettamente tra lo spirito e la lettera.
Mentre i suoi predecessori avevano fatto della Bibbia delle traduzioni accademiche, Castiglione usò la lingua del popolo per renderla accessibile agli «idioti», e il suo contributo alla lingua e all’ortografia francese non fu inferiore a quello di Calvino.
Questo l'uomo, che Carlo Nodier chiamò il Fénélon dei protestanti e di cui
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Voltaire scrisse: «Calvino aveva lo spirito tirannico, come può giudicarsi dalle persecuzioni che egli suscitò contro Castiglione, uomo più dotto di lui, e che la sua gelosia fece cacciare da Ginevra ».
Quest’uomo, più dotto di Calvino, riparò a Basilea dove lo raggiunse l’odio di Calvino, che, se non potè averlo vivo tra le mani e riserbargli la stessa sorte di Serveto, fece sì che, colla sua famiglinola vivesse nella più profonda miseria, costretto, per dar pane ai suoi, a segare il legno nei boschi, a esercitare il mestiere di acquaiolo e a farsi infine correttore di tipografia.
Ma Sebastiano Castiglione non fu soltanto l'uomo più dotto di Calvino ; egli fu anche colui che salvò, colle sue proteste commosse ed erudite, l’onore della Riforma, quando Calvino ne faceva così triste scempio.
Nel « Trattato degli eretici », Castiglione prende nettamente posizione contro Calvino. Egli comincia collo stabilire chiaramente il grande principio protestante della distinzione tra la fede e la credenza. La fede personale e vivente, base unica della salvezza, non è necessariamente legata alle credenze calviniste. Anche professando dottrine poco ortodosse, l’animo può giungere alla vera vita e alla comunione con Dio.
In materia di fede, c’è un assoluto che è necessario, ma questo non consiste, come Calvino pretende, nella convinzione di possedere il vero assoluto^ ma nella convinzione assoluta di essere nel vero.
E rivolgendosi ai principi e alle autorità laiche, a cui aveva fatto appello Calvino, Castiglione scrive : « Che i re buoni e i principi evitino di cedere a quelli che li spingono a uccidere e a bruciare alcuno, per la fede e la religione, la quale, sopra tutte le cose, deve essere libera, perchè ella risiede non nel corpo ma nel cuore, a cui non può giungere la spada dei re e dei principi ».
Teodoro Beza, Valter ego di Calvino, volle confutare l’opuscolo di Castiglione, e scrisse il trattato : De l’autorité du magistrat en la punition des hèrétiques et du vioyen dy procèder. Nel metterlo sotto la protezione del principe del Wurtem-berg egli gli rivolge le parole seguenti : «io vi esorto e richiedo in nome di Dio... di respingere diligentemente con tutti i mezzi che Dio ha messo a nostra disposizione, i lupi bianchi che si preparano a gettarsi sul gregge di Dio, confidato alla vostra custodia», e ai magistrati, egli dice: «Dio vi ha messo in mano la spada per mantenere l’onore e la gloria di Sua Maestà; colpite virtuosamente con questa spada, per la salute del gregge, questi mostri travestiti da uomini»;
E il Giran commenta: «E’ l’incoraggiamento alla persecuzione generale sotto la direzione delle nuove autorità ecclesiastiche. La Chiesa di Roma non ha mai emesso una tesi più audacemente negatrice della libertà di coscienza. La tolleranza in materia di fede è per Beza qualche cosa di peggiore che la tirannia papista ». Beza infatti così aveva sentenziato : « Pretendere che non bisogna punire gli eretici, è come dire che non bisogna punire i parricidi di padre e di madre, visto che gli eretici sono infinitamente peggiori. Quale delitto è infatti maggiore e più infamante di questo? Così grande, che se si volesse proporzionare la punizione all’entità del delitto, non sarebbe possibile trovare un tormento corrispondente alla sua enormità».
L’Inquisizione era vendicata !
Castiglione rispose a quei di Ginevra con il trattato : Cantra libellum Cai-
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Che è la più energica manifestazione della libera credenza e del libero pensiero religioso del secolo xvi. E un dialogo tra Calvino e un avversario che porta il nome di Vaticanus, è la confutazione fatta frase per frase, dell’opuscolo col quale Calvino tentava di giustificare l’assassinio di Serveto; ed è sopratutto lo scontro decisivo, il duello a morte tra le due Riforme : la Riforma autentica e la sua caricatura. E’ una requisitoria inesorabile, ma serena e documentata, di tutti gli errori e di tutti i delitti di Calvino; corroborata dalle testimonianze di parecchi riformatori dell’epoca, tra i quali, gli italiani Guidobaldo, Matteo, Lelio, Ochino. Fa il processo a fondo dell’intolleranza religiosa di Calvino, specialmente nell'affare Serveto. Ma lo scritto non è meno importante nella sua parte ricostruttiva che nella sua parte critica. Castiglione stabilisce una separazione netta tra la vita religiosa e le credenze particolari. La vita interiore non deve essere edificata sopra dottrine oscure o transitorie, ma sopra la coscienza morale. Egli insiste sopra la relatività della conoscenza^ ma non è però un agnostico o uno scettico ; è un libero credente, è un apostolo della fede libera, indipendente delle stesse credenze. Professa una fiducia assoluta in Dio, ma non nelle forme particolari con cui questa fiducia si esprime. Egli rivendica, perciò, all'eretico quella stessa libertà di cui gode il credente ortodosso.
« Ammazzare un uomo, scrive egli, non è difendere una dottrina, è ammazzare un uomo. Quando i ginevrini ammazzavano Serveto, essi non difendevano una dottrina, essi ammazzavano un uomo».
È altrove: «Difendere una dottrina? Non è questo il compito del magistrato, la cui spada non ha nulla a che fare con la dottrina; questo è il compito del dottore. Proteggere il dottore, questo è il compito del magistrato; come è suo dovere quello di garantire l’immunità dell’agricoltore, dell’artigiano, del medico e di tutri gli altri. Ah, se Serveto avesse voluto uccidere Calvino, il dovere del magistrato era di difendere Calvino. Ma Serveto combatteva con la ragione e con gli scritti; bisognava rispondergli con la ragione e con gli scritti ».
Questo trattato di Castiglione, così pieno di idee originali, così soffuso di mentalità moderna, questa eloquente e sincera apologia della Riforma autentica, non potè essere pubblicato. Esso rimase manoscritto sino a poco tempo fa. Così aveva voluto la censura calvinistica.
Come nota infatti il Giran: « Vigeva nei paesi protestanti una censura di fronte alla quale quella di Roma poteva passare quasi per liberale».
Calvino aveva fatto bruciare, prima, gli scritti di Serveto e poi scriveva un trattato per confutarne le opinioni. Non essendo riuscito a impedire la messa in vendita della seconda edizione della Bibbia di Castiglione, lo stesso Calvino ottenne dalle autorità di Basilea la soppressione delle Annotazioni al capitolo IX dell’epistola ai Romani e, poiché il tipografo vi si opponeva ed esse erano già stampate, fece sopprimere queste pagine e il volume era uscito mutilato.
Bisogna leggere in questo suggestivo e documentato lavoro del Giran le vicende drammatiche della crisi della Riforma e di tutte le prove dolorose sofferte, per la difesa dei principi protestanti, da Sebastiano Castiglione, che Calvino, aveva qualificato di « ignorante, intrigante, peste, cane, operaio di Satana » e a cui la storia moderna riconosce infine un’erudizione più estesa, un’intelligenza più acuta, un animo più nobile che al suo avversario.
Antonino De Stefano.
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“BOANERGES,, O I GEMELLI CELESTI
(Continuazione e fine: vedi Bilychnit di gennaio 1914, pag. 5).
A accenni fin qui dati delia primordialità del culto dei Gemelli e altre forme connesse, quali figli del Dio del Cielo e del tuono, c'introducono ad uno studio diretto delle influenze esercitate dalle medesime tradizioni sul mondo ebraico-cristiano e del lavoro compiuto dalle idee cristiane per soppiantare le antiche tradizioni e culti.
Cominciamo dal mondo ebraico, e anzitutto diamo uno sguardo ai popoli limitrofi alla Palestina.
Un’osservazione preliminare può trovare qui il suo luogo, relativa ai nomi soliti ad essere attribuiti ai Gemelli, che ci serviranno a identificarli.
Comuni sono i nomi che indicano espressamente la loro qualità di gemelli, quali Thomas in ebraico, Didymus in greco, Geminus in latino; per non parlare delle lingue non classiche e delle moderne. Segue la nomenclatura che esprime l’ordine successivo della nascita dei due fratelli, come Proitos e Pro-tasius, nei gemelli Proitos ed Akriscos, Protos e Hyacinthus, Protasius e Ger-vasius; quella che esprime scelta del gemello riservato alla vita quando l’altro era distrutto; l’origine dei gemelli dal Cielo o dal tuonò (Dioscuri, Boanerges, Bana-la-Tilo); le loro attribuzioni, qualità, ecc.
In Egitto, ritroviamo il culto di diverse coppie di Gemelli a Memfi, Tebe e altrove, benché senza relazione al tuono o alla quercia, stanti le speciali condizioni ' meteorologiche della regione.
In Edessa, città sincretistica fin dall’antichità, i due Gemelli Monim ed Aziz sono venerati quali assessori del Sole, sotto la forma delle stelle Lucifero e Ve-spero, cioè Venere, credute due astri distinti ma gemelli. Vedremo poi l’importanza di questo culto a proposito della sostituzione cristiana effettuata in Edessa dalla coppia leggendaria di gemelli, Gesù e Tommaso apostolo. Altri Gemelli erano venerati nella Siria e sulle sponde dell’Eufrate, dove esiste tutt'ora presso una rapida un santuario dedicato a Cosma e Damiano, i successori cristiani dei Gemelli primitivi.
Nella Fenicia, sulle coste della Palestina, troviamo parecchie coppie di divinità Gemelli, alle quali è attribuita l’invenzione delle arti primitive della' caccia e della pesca, della costruzione di navi e di case, della lavorazione dei metalli, ecc. (t/. Caino e Tubai, Romolo e Remo, Castore e Polluce, ecc.). Tracce di Dioscurismo appaiono anche nell’Arabia e nelle leggende babilonesi.
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Non fa meraviglia dunque, se la Palestina e là sua storia ci presenta tracce e tradizioni dioscoriche, e se la Bibbia stessa contiene leggende folkloriche della medesima origine.
Nei dintorni di Giaffa, la località di Ibraq Ci- ricorda là Bné-Baraq del libro di loshua e dell'iscrizione di Sennacherib, il cui significato di « Figli del lampo » fa il < pendant » al Boanerges già visto ; essa aveva probabilmente un faro per guida delle navi che cercavano il passo verso il sottostante porto di Giaffa. Un altro santuario in onore dei Gemelli, più vicino a Gerusalemme, ci è ricordato dalle rovine di Khurbet Ibu Baraq (Rovine del Figlio del Lampo). I Gemelli furono anzi venerati in Gerusalemme stessa durante il dominio della Siria, come appare dalla storia di Eliodoro nel libro 2° dei Maccabei, l’episodio del cap. Ili essendo una variante della simile leggenda di Castore e Polluce. Nello stesso libro, al cap. V, i due duci celesti delle schiere giudaiche che scagliano fulmini e accecano gli avversari hanno tutti i caratteri dei Dioscuri : ciò mostra, che circa un secolo prima dell’era cristiana, data del primitivo documento donde la narrazione fu tratta, i Dioscuri, quali emissari celesti, non erano stati ancóra soppiantati dagli angeli. Checché sia poi dei due cedri sacri situati nella corte del Tempio, i Dioscuri furono certo venerati nella Aelia Capitolina.
Sulle rive del lago di Galilea, troviamo due città di gemelli : Beth-Saida (« Santuario di Snida*, il gemello cacciatore e pescatore) e Chorazin, che nella forma di Chorozain (Codice di Beza) significa i « Due Araldi1», o i « Due Predicatori ». Tutto tende a mostrare che il culto dei Gemelli abbia avuto larga diffusione in Palestina, specie sul lago di Galilea. Il libro del Genesi, se venga illuminato dalla luce già raccolta, rivela molteplici elementi dioscorici. Jabal e Jubal, inventori l’uno della vita nomade pastorizia e l’altro della musica, sono già fortemente sospetti di dioscurismo : e più ancora Cain (Gain = Fabbro) e Abel la cui ostilità reciproca ricorda una delle caratteristiche più notevoli di dioscurismo. Questo carattere è poi evidente nella narrazione della visita fatta ad Abramo sotto la quercia sacra di Mamre da tre personaggi, due dei quali poi procedono alla distruzione di Sodoma e Gomorra, mentre l’altro sembra identificarsi con lahveh.
Ogni dettaglio della scena : la quercia sacra che ne è lo sfondo, la promessa di ringiovanimento e di prole al vecchio patriarca e alla sua moglie, la vendetta sugli inospitali Sodomiti, parte accecandoli, parte attirando su loro fuoco e zollo dal cielo; tutto trova il suo parallelo nel Rig-Veda e nelle mitologie greche, e se tradotto in termini ellenici, appare fondamentalmente dioscorico.
Lo stesso deve dirsi della leggenda di Esaù e Giacobbe. Anche qui abbiamo il motivo tipico del conflitto fra i due fratelli prima ancora della nascita, che termina, secondo la tradizione raccolta nel « Libro dei Giubilei » e nel « Testamento dei Dodici Patriarchi » con l’uccisione di Esaù da parte di Giacobbe. Il nome stesso « lacob » è significativo del secondo dei gemelli, e tutta la leggenda che si aggira attorno al diritto di primogenitura non riesce che ad una giustificazione posteriore della preferenza data presso gli Ebrei, come anche oggi presso alcune tribù dell’Africa, al secondo nato dei gemelli, cioè al più giovane : si tratta di un commento folk-lorico al « Giacobbe io predilessi, ed Esaù gli posposi». Anche di Manasse ed Efraim leggiamo che i diritti di primogenitura sono conferiti al secondogenito. E’ anche da segnalare il colore rosso di Esaù,
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il cui nome significa «uomo rosso», e la sua affinità col fenicio Uso, anch’esso gemello di Hypsouranios e suo nemico, e come Esaù, cacciatore.
Abbiamo già visto come, secondo ogni probabilità, Beth Saida e Chorazin fossero santuari di Gemelli : d’àltra parte, la natura tempestosa del lago di Galilea fa presumere che anche qui, dai naviganti e pescatori, i Dioscuri fossero invocati, come altrove, quali protettori della pesca e quali potenti soccorritori contro le tempeste. Quando leggiamo che Gesù calma la tempesta del lago di Galilea e che accorda una pesca prodigiosa alla comitiva di pescatori che comprendeva i due Boanerges, (i gemelli Giacomo e Giovanni) e Giuda Thomas (Didymus =: Gemello), non possiamo non pensare ai casi paralleli Dioscorici, e non ricordare che la tendenza a fare operare da sostituti cristiani le azioni stesse ascritte universalmente ai Gemelli celesti è provata abbondantemente dalla storia del culto cristiano.
Tutt'ora, i pescatori danesi chiamano « Zebedee » (— Boanerges), le pietre, presunte fulminee, che essi usano per affondare le reti, e da cui si ripromettono pesca abbondante. E gli inni d’Omero e di Teocrito ai Dioscuri che calmano le procelle, sembrano nel loro linguaggio quasi biblico un commento alle parole : « Maestro salvaci, che noi periamo ! » ed al : « Comandò ai venti ed al mare, e si fece una gran calma».
Alla interpretazione già data del nome « Boanerges > conferito a Giacomo e Giovanni, bisogna aggiungere che essi, almeno una volta, appaiono « Dioscu-rizzati >, quando cioè invocano sugli inospitali Samaritani la sorte stessa del < fuoco del Cielo » che i Dioscuri angelici avevano già fatto subire a Sodoma e Gomorra e ai nemici dei Maccabei. Si può anche insinuare, che il curioso appellativo di « madre dei figli di Zebedeo » che occorre due volte in Matteo, diverrebbe perfettamente intelligibile se l'espressione « figli di Zebedeo * equivalesse a «figli di Zeus», cioè Dioscuri: basterebbe per questo che Zebedeo (Zabad, Zebedaiah, Zabdai, ecc.) fosse identificato col frigio Sabazios o Sabadios = Zeus, o dio del tuono. Allora, i Boanerges (figli del tuono) sarebbero figli del dio del tuòno o Zeus.
Ancora più positiva ed estesa è l’influenza Dioscorica, quale apparisce nella leggenda di Judas Thomas, riferita sia negli « Atti di san Tommaso » — il leggendario fondatore della Chiesa di Edessa — di origine sira, sia in documenti e tradizioni occidentali. Riassumendo brevemente: la credenza che l'apostolo Giuda Thomas (= Didymus = Gemello) fosse il gemello di Gesù, fu professata fortemente dalla Chiesa di Edessa, nella quale fu grazie ad essa che il Cristianesimo riuscì a soppiantare il culto dei Gemelli Celesti identificati con le Stelle del Mattino e della Sera. In questi «Atti», Thomas opera precisamente in più occasioni da « doppio » di Gesù, col quale è sovente scambiato a cagione della grande somiglianza, ed è più volte espressamente chiamato il «Gemello del Messia ». Gesù e Tommaso, poi, agiscono sempre nelle maniere e sul tipo tradizionale dei Dioscuri. Se Giuda Thomas fa professione di fabbricare aratri, gioghi, navi, templi e palazzi ih questi Atti di origine sira, anche Gesti è rappresentato da Giustino (nel Dialogo con Trifone), come costruttore di aratri e di gioghi, e nel « Vangelo di Tommaso» si dice lo stesso di Giuseppe padre di Gesù.
Abbiamo dunque la prova, che non solo Gesù fu in alcune regioni creduto
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gemello di Giuda Tommaso, ma che egli stesso fu fatto agire e operare da Dioscuro come il suo supposto gemello Tommaso degli Atti di Edessa.
E questa tradizione si ritrova nella Chiesa occidentale.
Non solo nella « Legenda Aurea » ed in « Breviari » del secolo xiv, ma anche nelle opere di Isidoro di Siviglia nel vii secolo si trova che l’appellativo di Thomas, o di Didymus, cioè di Gemello, fu dato a Giuda Thomas perchè gemello di Gesù. E poiché non v’è alcuna probabilità che la leggenda sia sorta nel Medio Evo dopo le definizioni dei concili di Efeso e di Calcedonia, la sua origine deve riferirsi ad un periodo molto anteriore alla fissazione del domma cristiano. E’ anche notevole che lo stesso appellativo di « gemello di Gesù » è riferito, nelle lettere apocrife di sant’Ignazio d’Antiochia, a san Giovanni, all’apostolo Giacomo « il Giusto ». \
Vi sono anche delle probabilità che Gesù sia stato ritenuto in alcuni circoli cristiani quale gemello dello Spirito Santo. Almeno, tale appare evidentemente nei circoli gnostici a cui è dovuta la Pistis Sophia; ed un’analisi critica del termine « Paracleto » sembra mostrare che esso fu usato a indicare le stelle del mattino e della sera, venerate in Edessa quali gemelli celesti. I due Para-cleti (Precursori, Araldi, ecc.), assessori del Sole, sarebbero stati soppiantati dai due Paracleti Gesù e Spirito Santo assessori di Dio. Ciò spiegherebbe i passi del Nuovo Testamento (Giovanni : Evangelo ed Apocalisse) in cui si parla di « Un altro Paracleto», e si dice: « Noi abbiamo un Paracleto», e: «Se io non parto, il Paracleto non verrà: se io vado, ve lo manderò»; «Il Paracleto Spirito Santo che il Padre manderà in mio nome... »; « Io sono la stella splendente del mattino. E lo Spirito e la sposa dicono : vieni... ». Come non ricordare che tuttora, come negli antichi inni Vedici e Greci, i canti Lituanie! acclamano le stelle del Mattino e della Sera quali «figli di Dio, liberatori della figlia del Sole?»
Dai punti accennati e da altri ancora, sembra si possa stabilire come certo che l’elemento Dioscorico è un fattore attivo dell’Antico e del Nuovo Testamento, da tenersi sempre presente per l’interpretazione delle leggende mitologiche e folk-loriche in esso contenute.
E procediamo ora a riscontrare un altro processo interessante: quello per cui la nuova fede e il nuovo rituale cristiano riuscì a soppiantare, nel caso particolare del culto dei Gemelli, i Dioscuri pagani con altre coppie di Dioscuri cristiani, secondo il procedimento generale adottato per le feste e i riti e culti religiosi.
Chiunque si faccia a leggere senza prevenzione i Calendari o i Martirologi delle grandi Chiese cristiane, sarà colpito dalla strana comparsa di un numero stragrande e stravagante di coppie e di triadi di nomi, con tutte le caratteristiche di gemelli, in proporzione di gran lunga superiore a quella che si avrebbe ragione di attendersi tenuto conto delle statistiche relative dei gemelli. Troviamo, ad esempio, gruppi come: Inna, Pinna, Rimma; Speusippus, Mesippus, Elasippus; Menodora, Metrodora, Nymphodora, ecc. A meno di ammettere che i gemelli avessero una speciale attitudine e predilezione per la santità, si è indotti a sospettare che siano stati piuttosto i cristiani, ad avere una speciale tendenza e interesse ad arricchire il loro Olimpo di Gemelli celesti per sopperire alia domanda di Dioscuri da sostituire a quelli pagani.
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Un rapido esame servirà a mostrare, che se in alcuni casi qualche gruppo di nomi di gemelli può essersi infiltrato nei Martirologi, nel più dei casi si tratta di personaggi effettivamente venerati in diverse città e regioni.
A riconoscerli ci serviranno i criteri dell'onomastica Dioscorica; della esplicita dichiarazione degli atti della loro fratellanza o del loro carattere di gemelli ; di allusioni Dioscoriche relative alla loro vita e miracoli ; dell’appellativo di luminari celesti, specie di stelle del mattino e della sera, ecc.
Quanto al primo criterio, noteremo come fosse comunissimo anche nel mondo greco-romano l’imporre ai gemelli nomi identici, con le sole differenziali di suffissi diversi, (Ferrutius-Ferrutio ; Cautes-Cautopates, ecc.), o nomi diversi ma con suffissi o terminazioni che rimassero fra loro (Iphikles-Heracles ; Gerva-sius-Protasius ; Florus-Laurus, ecc.) ; o nomi diversi ma esprimenti la stessa idea (Idus-Lynceus ; Felix-Fortunatus, ecc.).
Così, quando troviamo, ad esempio, gli agiografi segnalare la somiglianza del nome dei due o tre martiri come conveniente presagio della somiglianza della sorte — come nel caso del panegirista dei santi Cantius, Cantianus e Can-tianella —- noi saremo condotti a dedurre invece da essa la particolare affinità della nascita, e forse anche a trovare in essa la ragione esplicativa della loro presenza nel Martirologio e del loro culto.
Abbiamo già visto, come i Dioscuri pagani di Edessa siano stati efficacemente soppiantati dal culto dioscorico di Gesù e di Giuda Thomas.
Altra coppia famosa di gemelli cristiani orientali è quella di Cosma e Damiano. Che essi fossero considerati quali gemelli, risulta, oltreché dalle parole esplicite di Gregorio di Tours, dai loro atti, nelle tre differenti redazioni. E’ anche certo che essi usurparono in Costantinopoli il culto di Castore e Polluce nella funzione di medici celesti, e che esercitarono anche le funzioni loro caratteristiche di protettori dei passi difficili dei fiumi. In Roma, il papa Felice IV al principio del secolo vi dedicò loro nel Foro Romano — forse a soppiantare il culto di Castore e Polluce nel tempio opposto — il tempio di Romolo figlio di Massenzio ed un’aula annessa. Ma non commise di già, forse, Felice IV l’equivoco commesso poi nella interpretazione posteriore, tutt’ora attestata da lapide, di vedere nel tempio di Romolo un tempio ai gemelli Romolo e Remo, i gemelli celesti romani?
Il culto di Santa Maria Antiqua presso il tempio di Vesta e la fonte di Giuturna, e tutto il processo di cristianizzazione del Foro, tende a confermare l’ipotesi.
Anche in Edessa, il loro culto fu stabilito, certo alla metà del secolo v.
San Gregorio di Tours ci attesta che al suo tempo assai diffuso era in Costantinopoli e in Parigi il culto dei santi Castoulos e Polyeuctes, cui un esame accurato mostra essere, non un sostituto ma semplicemente un travestimento di quello dei Dioscuri Castor e Polydeuces. Essi erano anche in grande onore a Cesarea di Cappadocia, a Mitilene, in Armenia.
Assai diffuso nella Chiesa bizantina, che lo comunicò poi all’occidente, fu il culto dei gemelli Florus e Laurus cui i loro atti rappresentano quali tagliatori di pietre e costruttóri di un tempio pagano convertito da essi in cristiano ; e gli Innari invocano quali «stelle luminose lucifere».
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I contadini russi li invocano tutt'ora quali patroni del bestiame. Un’analisi accurata fa riconoscere il parallelismo del loro culto con quello dei gemelli celesti tebani Amfion e Zethus, 0 degli spartani Castore e Polluce.
Il loro culto introdotto nella Gallia si sparse prodigiosamente : tutti i nomi di città quali Fleury, Fleurac, ecc., derivano dal nome Florus con un suffisso celtico. Vi sono attualmente in Francia parecchi Floracs e Fleuracs, e una trentina di Fleurys.
Notiamo qui, che a proporzione che le ragioni storiche del culto dei Gemelli celesti vengono dimenticate, sembra che la qualità di fratelli « germani » possa essere sufficiente a soppiantare il culto dei Gemelli pagani, e quindi negli atti e nei documenti rituali non si dà più molta enfasi al titolo di gemelli, che spesso s’indovina soltanto, o è usato promiscuamente con quello di « germani ».
Tralasciando altre identificazioni per l’Oriente, veniamo all’Occidente, cominciando dalla Gallia.
Ivi c’incontriamo in un gran numero di coppie e di triadi di patroni delle diverse Chiese e diocesi, quali: Acius e Aceolus; Cantius, Cantianus, Cantia-nella; Donatianus e Rogatianus; Crispinus e Crispinianus ; Ferreolus e Ferru-tius; Speusippus, Mesippus, Elasippus; Vitalis e Agricola, ecc. Costatiamo il carattere dioscorico di alcuni di essi.
Per Cantius, Cantianus e Cantianella (v. Castore, Polluce, Elena), abbiamo parecchie indicazioni del loro dioscurismo, tra cui quella, che alla metà del secolo XIII essi erano ancora chiamati con l’appellativo caratteristico dei Gemelli Celesti, « Divi Fratres»; e l'altra, che essi, a imitazione dei loro antecessori in Dioscurismo, colpiscono di cecità un vescovo temerario, precursore dei Bollandisti, che osa dubitare dell’autenticità delle loro reliquie (e sembra con fondamento, visto che esse si ritrovano ad Aquileia, Milano, Etampes, Hildesheim, e dovunque v’è bisogno di Gemelli Celesti-cristiani).
Per Donatianus e Rogatianus, resi, già sospetti dall’appellativo di « fratres germani» che deve sostituire quello di «gemini» e di «duo fidei luminaria», abbiamo un caso tipico di Dioscurismo nell’assistenza da essi prestata alla città di Nantes assediata dai barbari, uscendo dalla loro basilica ad incutere spavento e porre in fuga i nemici (v. simili Dioscorifanie al Lago Regillo, nella disfatta dei Cimbri, alla battaglia di Pydna, nel 2° libro dei Maccabei, ecc.).
Sono forse i due appellativi di Donatianus e Rogatianus (derivazioni di Rogare e Donare) connessi con l’istituzione delle Rogazioni, per ottenere prospero raccolto ? Sappiamo che il vescovo Mamerte di Vienne che le istituì in continuazione delle « lustrationes » pagane è lodato da Sidonio per la sua abilità in scoprire nuovi martiri, e paragonato per tal riguardo ad Ambrogio di Milano : complimento poco lusinghiero, come vedremo.
Il nome di Ferrutius ricorre frequentemente nei martirologi Gallici, accoppiato con Ferrutio, o con Ferroulus o con Julianus. La sua popolarità in tutta la Gallia è ben nota: molte città derivano da esso il loro-nome. Nella maggior parte dei casi, queste coppie sono espressamente indicate quali gemelli e di professione militare. (Sembra che molto bisogno vi fosse in questo tempo nella Chiesa di soldati celesti per combattere le sue battaglie contro il Paganesimo e le eresie, e per sostituire degnamente i Dioscuri guerrieri).
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Crispino e Crispiniano, oltreché quali fratelli, sono abbastanza esplicitamente indicati quali gemelli martiri. Benché in periodo posteriore sia stato loro imposto l’umile mestiere di rammendatori di calzature, le loro attribuzioni non disdicono punto la funzione di Dioscuri, giacché essi hanno il potere di < coprire il cielo di nuvole e di schiuderne le porte > ; essi sono « due fiaccole che splendono dinanzi al Signore», ed essi aiutarono gl’inglesi a vincere la battaglia d’Agincourt. Pare che a Stone-end fossero anche venerati quali protettori dei naviganti.
Sorpassando su la triade Pseusippo, Elausippo, Melesippo, « Gemelli... appesi allo stesso albero... e simultaneamente passati al Signore...» e su Vitalis e Agricola, anch’essi scoperti — per non dire inventati — da Ambrogio di Milano in un cimitero giudaico, ricordiamo che anche a Parigi la presenza del culto Dioscorico è provata dal giuramento reale prestato per Polyeuetes (Polluce) e dall’altare scoperto nel coro di Nótre Dame, in cui erano rappresentati Castore e Polluce.
Mentre in Francia i Gemelli pre-cristiani sembrano essere stati indipendenti, nell’Alta Italia essi erano il più spésso assessori di Mitra, il più fortunato antagonista di Cristo. In Italia essi esistevano in varie coppie diverse, quali, oltre Castore e Polluce, Romolo e Remo, Picumnus e Pilumnus, Mutunus e Tutunus, i due Divi Fratres di Praeneste, ecc. E Gemelli celesti dovevano esser venerati anche a Verona, ove essi aiutarono Mario a sconfiggere i Cimbri.
Dappertutto poi si ritrovano rappresentazioni e templi Dioscovici : dal tempio nel Foro Romano al dittico di Piceno in cui il Crocifisso è fiancheggiato da Romolo e Remo con la lupa.
Era necessario un « coup d’état » per spodestare questi multiformi Dioscuri : ed esso prese anche qui la forma di canonizzazione. Fu Ambrogio di Milano, che nel 386 scoprì la prima coppia che faceva al suo caso, e dieci anni dopo quella di Agricola e Vitale: e sul suo esempio, i Gemelli cristiani crebbero e popolarono i martirologi e le chiese. Che Gervasio e Protasio fossero gemelli è affermato dal documento che si sarebbe trovato insieme ai corpi, redatto da un cristiano a nome Filippo che li avrebbe trafugati da Ravenna e sepolti nel suo giardino ; ed anche risulta dalla Liturgia Ambrosiana. Che loro còmpito poi fosse di agire da Dioscori e di guidare le schiere ortodosse contro gli Ariani, appare dalla visione stessa che condusse Ambrogio alla loro scoperta, e dal suo sermone in loro onore: essi sono anche ripetutamente nominati, nella liturgia e nei cataloghi dei paramenti sacri, quali « boni medici », e non mancarono di adempire un’altra funzione dioscorica, apparendo a Kinga, re Polacco, nel 1266, ad assicurargli la vittoria.
Altro paio famoso di gemelli cristiani nel nord dell’ Italia è quello di Felice e Fortunato, venerati in Aquileia, Vicenza, Verona a cui sono da aggiungere Lisinnius e Lisinnodorus, anch’essi ufficiali di cavalleria; Marco e Marcelliano, i cui corpi trasportati in Roma furono depositati temporaneamente nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano, i Dioscuri della Cappadocia incaricati di soppiantare nel Foro Stesso di Roma il culto di Castore e Polluce e di Romolo e Remo ; Nabore e Felice, assai probabilmente assessori di Mitra, ecc.
Nè è da tralasciare, che Ambrogio stesso e l’Arcangelo Michele sono in
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alcune occasioni incaricati di compiere funzioni Dioscoriche, e che parecchie coppie di santi, benché notoriamente non gemelli, e talora neppure fratelli, dovettero ih gran parte il loro prestigio e il loro successo al favore popolare conciliato loro dalle abitudini di culto Dioscorico. Tali ad es. Pietro e Paolo confondatori della Roma Cristiana, come Romolo e Remo della Pagana; Giovanni e Paolo, Cirillo e Metodio, i due Giovanni, Battista ed Evangelista, la cui invasione della basilica del Salvatore al Laterano, ed il successo nell’imporre al titolare di essa la loro comproprietà e nello spodestarlo in fine praticamente nel culto popolare, è un episodio analogo ai già noti di soppiantamento dioscorico.
Molti aspetti del culto Dioscorico sono stati necessariamente tralasciati in questo rapido esame : tra cui l’invocazione dei Gemelli — e dei Santi succeduti ad essi — e dei loro simboli, a testimonio dei giuramenti ; la identificazione dei Dioscuri con i Gemini dello Zodiaco ; le tracce tuttora persistenti nel ritualismo cristiano e nel folk-lore, ispecie italiano.
Mi si permetta di aggiungere sotto quest'ultimo titolo alcuni accenni miei agli altri interposti qua e là nel corso del lavoro.
Oltreché la benedizione episcopale solenne, con due dita della destra distese e devaricate, credo sia anche da riferire all'arcaico tabu dei Gemelli il timore superstizioso delle corna, e l’uso popolare di maledire con esse. (« Fare le corna» ; «Dire corna di qualcheduno»; il ritornello alle corna delle lumache, con allusione ai gemelli, ecc.). Così anche l’uso delle corna a scongiurare la iettatura, e del talismano rappresentato dall’uccello (figlio del fulmine) inchiodato con le ali distese. (Il Gallo — il sostituto del Picchio nella Persia e nel Mitracismo quale « uccello del fulmine » a causa del colore della sua cresta — tuttora sormonta, specie nelle chiese protestanti, la sommità degli edifici, dai quali storna 11 fulmine suo padre). È poi noto, che in Italia la nascita di due gemelli «porta fortuna ». L’esistenza in Napoli, nel forte di Sant’Elmo, di un rappresentante della tradizione dioscorica nei porti di mare, mi ha suggerito delle ricerche per ritrovare qualche vestigio simile nel più antico (forse) porto di mare italiano: quello di Genova, già frequentato dai greci nel secolo v avanti l’E. V.
Se le indagini non hanno condotto ancora a risultati sicuri, posso però lusingarmi di essere su due tracce : luna fornita dall’antica chiesa di San Cosma presso il porto, e l’altra dalla denominazione di « Due fratelli » appartenente ai due picchi più alti della corona di colline sub-appennine che circondano Genova. La posizione di questi due picchi che dominano le due valli della Polcevera e del Bisagno, nel fondo delle quali scorrono i due fiumi un tempo navigabili, ha delle evidenti analogie con quella di altri picchi e colline di altri porti, dedicati, come abbiam visto, al culto Dioscorico.
Un’ultima osservazione, che può giovare ad una conferma generale della materia relativa di Gemelli cristiani. Per quanto naturale sia lo stupore di fronte al numero straordinario di gemelli martiri e santi, anche più sbalorditivo mi sembra il fatto dell’assenza di gemelli del sesso femminile onorati dal martirio ed elevati al culto cristiano. E nessun’altra spiegazione plausibile di questa preferenza mi sembra si possa assegnare, se non che, mentre il Cristianesimo sentì il bisogno di coniare Dioscuri cristiani da sostituire ai Gemelli celesti di sesso
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maschile di cui abbondava il culto pagano, nessun bisogno vi fu di canonizzare gemelli del sesso femminile che non esistevano.
Abbiamo dunque in questa rapida rassegna assistito alle vicende e allo sviluppo di quella che l’Harris crede si possa chiamare : « la religione più antica dei Mondo > : la più antica forma antropomorfica d’intervento e di azione del dio del tuono e del cielo
Abbiam visto come da un senso indistinto di terrore religioso per un fenomeno creduto soprannaturale si siano sviluppati in due direzioni opposte, e contemporanee in regioni diverse, un tabu assai crudele sui gemelli e sulla lóro madre, o una venerazione per la coppia privilegiata dall’intervento del nume fecondatore, la quale diede origine ad un culto per tipi idealizzati e divinizzati di Gemelli Celesti. Esaminammo l'efficacia esercitata da questo mito primitivo sulle mitologie posteriori, specie Greca, Romana, Ebraica, e vedemmo come peil’ intermediario del Picchio e della Quercia — l’uccello e l’albero del fulmine — i Dioscuri acquistassero altre attribuzioni- e titoli di benemerenza, e di protezione in specie della navigazione e dell’agricoltura. Vedemmo inoltre per quale processo, in parte spontaneo e in parte cosciente, il nuovo culto cristiano si sostituì al preesistente culto dioscorico, soppiantandone i titolari pagani, il più spesso per un semplice processo di canonizzazione dell’antico e di apposizione di un’etichetta nuova sul vecchio. Quando Fausto il Manicheo, nella sua controversia con Agostino, gli rimproverava : « Voi avete mutato i sagrifizi pagani in agapi, i loro idoli nei vostri martiri in cui onore fate sagrifizi simili a quelli; voi placate le ombre dei morti con vino e banchetti e celebrate le solennità dei Gentili insieme ad essi », è difficile riconoscere come molto convincente la risposta di Agostino basata sulla superiorità del culto cristiano, in presenza non solo alle forme superstiziose che le masse cristiane trasferirono dal vecchio al nuovo culto, ma anche all’ammasso di frodi e di manipolazioni ecclesiastiche che questa sostituzione importò. E quando leggiamo — e vediamo — che per tutte le pratiche dirette ad invocare dai Numi pagani un intervento soprannaturale che paralizzasse le forze e le leggi naturali, si sono trovati dei sostituti cristiani disposti a continuare le attribuzioni e le funzioni di quelli, anziché proclamare la sconfitta dei Dioscuri e dei Numi pagani dobbiamo riconoscere la loro secolare vitalità e la tenace persistenza nella fede e nella pratica popolare.
Non diremo perciò che i Dioscuri han vinto, e che il Galileo ha soccombuto : no ; non è possibile ridurre alle proporzioni puerili di un conflitto tra due forme positive di religione quello che è un processo ininterrotto di evoluzione religiosa, che dal terrore e dall’adorazione per le manifestazioni più impressionanti della divina Natura va alla scoperta e alla penetrazione del Dio, che è « spirito e verità », che alberga non nei Cieli e nella Quercia sacra ma entro di noi, che non cerca il suo testimonio nel fenomeno dei gemelli e neppure nel cielo stellato, ma in quella coscienza umana che è il « Dio in noi ».
Aschenbrödel.
Nota. Devo alla cortesia del signor J.ohn Lover alcune osservazioni critiche riguardanti la prima parte del presente studio (vedi Bilychnis; gen.y pag. 9,
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linea 5 e seg.) e colgo volentieri l’occasione per chiarire meglio questo punto. Il sig. Lover scrive «... affatto gratuitamente il chiarissimo autore vede un esterior segno del culto dei Dioscuri nel nome notissimo delia perla della spiaggia ligustica occidentale Sanremo. E’ incontestabile dato storico che un Romolo vescovo di Genova nativo del paesucolo che poi divenne la graziosa cittadina diede il nome suo al natio loco che divenne pagus Sancii Romuli. Per un processo fonetico che ho verificato praticamente in quella regione dove il dialetto ligure ha risonanze specialissime, il paese di S. Romolo si chiamò in volgare, e si chiama ancora dai più tenaci nella pronuncia antica di quei luoghi. San Roèmoii {oe e ou francesi, che rendo con dieresi scrivendo in italiano) : donde l’attuale Sanremo ».
Così l’egregio contradittore ; il quale però mi permetterà di dubitare del-1' « incontestabile » valore storico della derivazione del nome di « Sanremo » dal vescovo San Romolo.
Infatti : anzitutto, il nome « Sanremo » non appare affatto negli antichi itinerari fino al secolo x, il nome del villaggio situato sulla via Aurelia essendo, invece, « Matuta », nome derivato dalla « Mater Matuta », la quale in Roma era venerata a causa « della sua valida protezione ai naviganti ». Inoltre, è da notare che nè il «Martirologio Romano» nè la raccolta del Gams («Series episcopo-rum») sanno nulla di San Romolo, vescovo di Genova, morto, — secondo le tradizioni sanremesi, — circa il 350. Il solo vescovo di Genova per nome Romolo appartiene alla metà del secolo vii ; e dal volume di S. Baring Gould « A Book of thè Riviera » (pag. 276 e seg.) deduco che « Almost nothing is certainly known of this bishop of Genoa, who is thought to have died in thè year 350». Come si vede, i dati storici e le stesse tradizioni locali non sono molto solidi : non basta che un qualunque S. Romolo sia esistito, a spiegare perchè esso è stato fatto venire a morire a Sanremo.
Ma la stessa interpretazione fonetica della derivazione di Sanremo da San Romolo ci lascia assai dubbiosi. Come mai il nome « San Romolo » è rimasto inalterato, — non ostante le risonanze speciali del dialetto ligure, — nel vicino romitaggio di « San Romolo », già convento benedettino, in cima ad un monte dominante il porto (a più che 800 metri) ed invece si è trasformato in « Sanremo » alla distanza di poche miglia? Come mai questo romitaggio di S. Romolo e le tradizioni del vescovo s. Romolo non sarebbero bastate ad impedire la fissazione del nome « Sanremo », se questo non fosse che una deformazione fonetica del primo ?
Non è, comunque, naturale supporre che, sia la presenza del culto locale della « Mater Matuta > — protettrice della navigazione, — sia la presenza del culto di Romolo sulla vetta del monte dominante il porto, rappresentato probabilmente da un segnale pei naviganti, diano sufficiente spiegazione del nome «Sanremo» assunto dal villaggio succeduto a «Matuta», sia questo il naturale « pendant » del culto e dell’eremo di s. Romolo, 0 sia anche, come l’egregio contradittore vorrebbe, una variante fonetica di esso? Fino a che sulla persona del san Romolo vescovo e sulla data del suo culto nulla si conosca, di fronte alla coincidenza della denominazione da Romolo della vetta dominante il porto
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< BOANERGES > O I GEMELLI CELESTI
e alla presenza del culto di Matuta, rimane plausibile l’ipotesi proposta dal-l’Harris, da, lui confermata con i simili casi di Santarem sulla vetta dominante il Tago, e di Sant’Elmo, Ermo, Eremo, ecc., in connessione con la navigazione nel Mediterraneo (Sant’Elmo a Napoli, fuochi di Sant’Elmo, ecc.).
Il culto di Romolo e di Matuta spiegano non solo il nome « Sanremo >, ma anche le leggende del vescovo san Romolo, con cui posteriormente si è cercato di darne un’interpretazione cristiana.
Aschenbrödel.
Errata corrige del numero precedente (v. Bilychnis, gennaio 1914, pag. 5)
Pag- 5. linea 7, a: Figlio del Campo, sostituire: Figlio del Lampo.
» S> » 23, a : re Picas, sostituire : re Picus.
» io, » 25, a : non meno umili, sostituire : non più umili.
» io, » 26, a : dei medesimi problemi, sostituire : ai medesimi problemi.
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NAZIONALISMO E CATTOLICISMO
A un nazionalista.
ESSI già, con molto interesse, gli articoli con i quali, dopo le elezioni, spiegavate nell'Za&<* Nazionale quali sono gli intendimenti di voi nazionalisti innanzi ai cattolici — con i voti dei quali i vostri sono andati alla Camera — e al cattoli-cismo.
Permettetemi, innanzi a ogni altra cosa, di dirvi che voi siete degli autentici modernisti, in religione. Sì. Perchè uno dei vostri ha scritto, molto sinteticamente:
« E’ questa la nostra posizione (verso i cattolici) che vuol essere una posizione di dominio, una posizione comprensiva, che non significa affatto accettazione di dommi religiosi nella nostra azione politica e nella nostra azione spirituale ».
Ora tu sai, se anche i tuoi amici non lo sanno, o dovresti sapere, che appunto io ho innumerevoli volte scritto consistere il modernismo precisamente in questo : una accettazione del cattolicismo, non come di servi, ma come di dominatori; nella quale cioè la coscienza lo accoglie non con supina e servile passività, ma per le esigenze, delle quali ha acquistato personalmente l’esperienza, della sua propria vita spirituale e religiosa, e quindi con la revisione e le correzioni e le riserve e il diritto di adattamenti personali e di sintesi che sono necessarie in questa consapevole e meditata appropriazione ; tradizione, sì, ma che è cosa viva e sempre rinascente, eguale e diversa, coscienza che vuol divenire autocoscienza, docilità che mira alla autonomia, sovranità dello spirito religioso, del divino, che si concreta ed incarna nel suo atto spirituale, nelle forme storiche dell’attività religiosa.
—- Ma, allora, tu sussurri, noi non siamo affatto modernisti ; perchè il vostro modernismo tende a risolvere le forme statiche e storiche della vita religiosa — e, nel vostro caso, del cattolicismo — nell'atto vivo e creatore dello spirito religioso. Noi nazionalisti, in vece, non ci occupiamo di religione ; anche di essa e del cattolicismo noi giudichiamo dal punto di vista degli interessi e dei valori nazionali; e, con questo criterio, che non è, come vedi, un criterio religioso, distinguiamo ed accettiamo e respingiamo. Così può avvenire, per esempio, che a noi garbi e che preferiamo, in esso, proprio quello che dispiace a voi modernisti : l’accettazione docile e supina, senza riserve, l’autorità incontrollata ed inappellabile dall’una parte, l’obbedienza passiva totale concorde dall’altra ; la forza,
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NAZIONALISMO E CATTOLICISMO
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in somma, delia tradizione, della disciplina, dell’unità esteriore. Perché questa ci giova opporre a quel profondo malore di disgregazione spirituale, di dissociazione, di critica a tutti i costi che è il cattivo genio della social-demagogia e che, credo, costituisce il punto di contatto e l’intima parentela di voi modernisti con essa. Noi siamo per la Chiesa e per il papa, come siamo per lo Stato e pel re ; siamo cioè per l'autorità, per la coesione sociale, per il comando, per il prevalere di fini superindividuali e collettivi, espressi appunto dall'autorità, sui fini di singoli.
Vedi dunque Che noi siamo antimodernisti.
Ed infatti non avete avuto cura di nasconderci le vostre cordiali antipatie. Con me, specialmente, qualcuno dei vostri è stato molto generoso. E non per nulla lo strumento della Provvidenza papale, la quale aveva delle punizioni da infliggere, delle lezioni da dare, delle audacie da soffocare, è stato tenero e benigno con voi, e vi siete intesi.
Ma, a ogni modo, per essere antimodernisti, converrebbe che non aveste scritto le parole che sopra ho citato, e che esse non dicessero in nessun modo il vostro vero pensiero. Ma invece lo dicono con meravigliosa esattezza. Se non aveste scritto quelle e molte altre simili, nelle vostre polemiche con chi vi rimproverava i voti dei cattolici, sarebbe stato assai facile e giustissimo mettervele in bocca, traducendo in parole la vostra condotta.
Perchè, è evidente. Voi siete con il papa, con l’autorità, con la gerarchia, con le Unioni cattoliche, con la fede del carbonaio, ma, intanto, fate subito, in base al criterio dei valori nazionali che vi guida, dei tagli, delle riduzioni sensibilissime. Niente, di tutta quella parte di internazionalità del papato che è in conflitto col vostro nazionalismo; niente, delle pretese che la Chiesa cattolica accampa pur sempre, al riconoscimento ufficiale dello Stato ed alla accettazione, da parte di questo, delle norme giuridiche di organizzazione, di esistenza civile, di attività della Chiesa così come questa la pone ; poco, e cautamente, di quella posizione di privilegio e di potere politico alla quale il cattolicismo aspira e che esso va lentamente conquistandosi.
Vedete dunque che il vostro cattolicismo è molto diverso da quello di Pio X, delle Unioni e dei parroci che vi hanno dato il voto.
E dico vostro cattolicismo per modo di dire. Poiché è noto Che, religiosa-mente, voi non siete cattolici, o pochissimi di voi sono. Per la maggior parte siete non dei liberi pensatori — il cielo mi guardi dal rinfacciarvi comunque qualche cosa di massonico — ma dei pensatori molto liberi ; l’avete detto così bene: la vostra posizione non implica affatto l’accettazione di dommi cattolici, anche nella vostra azione spirituale. E poiché lo spirito ha una logica sua propria ed ineluttabile, una azione spirituale che 71071 accetta i dommi cattolici tende, per necessità, a rimuoverli, a superarli, a metterli in margine, a sostituire ad essi le fedi ed i fini che essa porta con sé, come suoi. Vói siete quindi anticattolici.
— Qui, mi dirai, ti volevo, E non capisco come tu, intelligente, non vegga che stai distruggendo proprio il tuo ragionamento. Che modernisti d’Egitto, se non siamo neanche cattolici? Il fatto è che noi ci mettiamo sul campo di una valutazione politica e di rapporti politici : accettiamo, dei cattolici e dai cattolici, tutto quello che rientra nell’orbita del nostro programma : lotta contro la social-
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BILYCHNIS
demagogia, coesione nazionale, dominio sulle masse, Stato forte, remozione di conflitti interiori che potrebbero distrarre il paese dal conseguimento dei suoi fini di espansione e di forza nella politica internazionale. Il resto non ci interessa. Chiamala quindi piuttosto, questa nostra condotta, prammatismo politico.
— Il resto non vi interessa. Ma in questo « resto » c’ è pressoché tutta la sostanza spirituale del cattolicismo. Tanto più modernisti, quindi, voi siete, quanto più radicale è la scissione che fate dei valori teorici e pratici del cattolicismo. Siete, addirittura, i futuristi de) modernismo.
Ma lasciamo là questo appellativo, che non interessa. Quello che importa è vedere più da vicino quale sia questo vostro atteggiamento spirituale.
E per il rispetto che ho di voi, e della vostra sincerità, io debbbo ripetervi che, pur non essendo cattolici, voi dovete essere in qualche modo cattolici. Poiché non vi è dato chiudervi talmente nel vostro problema, da non vedere gli altri che, in questo intricato groviglio che è la realtà, la vita storica e spirituale del nostro paese, si muovono, si vanno spostando e risolvendo in un modo o nel-l’altro, insieme con quello che vi occupa. E non dovete essere così miopi di vista, così opportunisti — benché sia tanto umano voler vedere il successo del-l’idea per la quale si agisce nel successo della propria persona — da non considerare altro che l’utilità momentanea di un accordo.
Scegliendo i vostri amici ed alleati, voi avete preso posto e parte in una lotta che era ingaggiata da tempo, quando nasceste, che divide assai più profondamente il paese di quello che il vostro nazionalismo, dai contorni così evanescenti, non faccia, che durerà ancora decennii e generazioni e secoli, perchè sono implicati in essa tutti i valori supremi della vita individuale e sociale: la lotta fra laicità e confessionalismo, fra democrazia e autorità di diritto divino, fra clericali e anticlericali.
Avete scelto, la scelta vi costò una prima scissione dalle vostre pur così esigue file, avete sanzionato raccordo sul campo, può darsi che non siate cattolici — so che non siete, anzi — ma certo siete clericali.
E, clericali, lavorate più o meno, ineluttabilmente, per il trionfo delle soluzioni cattoliche di problemi posti e per i quali avviene la lotta : per il matrimonio cattolico, per il catechismo cattolico, per la scuola cattolica, per il credito cattolico, per la proprietà ecclesiastica, per le congregazioni religiose. Poiché gli accordi non si stringono per nulla; se avete avuto, conviene che diate; se siete da quella parte, conviene che operiate e votiate con quella. Un liberalismo che non sia nè con i cattolici nè con gli anticlericali, che guardi le lotte religiose e civili dall’alto del sereno scranno della libertà non è possibile, poiché libertà è parola vuota di senso, e quelle che contano sono le forze sociali le quali si organizzano ed agiscono per il dominio; e quindi non si lotta mai per la libertà, ma per la sovranità, che può essere quella dei liberi, cioè delle forze nuove e sino ad ora compresse, per le quali il cammino verso la sovranità è graduale liberazione e la libertà è incremento di forza, e può essere quella di una oligarchia, o della burocrazia, o della Chiesa, la cui libertà si pasce di tutte le libertà moderne, condannate e maledette.
E voi stessi lo avete detto. Il liberalismo lo accettate proprio come il cattolicismo ; cioè se e in quanto rientra nei vostri fini, che sono fini di potenza e di prosperità nazionale.
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NAZIONALISMO E CATTOLICISMO
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So che da qualche tempo stai meditando una interruzione : e mi dici :
— Noi ci siamo messi con i clericali, per la necessità pratica di accettare una situazione di fatto che poi modificheremo secondo i nòstri intenti. Siamo piccoli e dobbiamo diventar forti. Ora stiamo ingrassando di clericalismo. Ma in quanto esso passa a noi, e ce ne nutriamo, lo risòlviamo in nazionalismo. Domani, quando l’opinione pubblica sarà dalla nostra parte e il senso dei problemi nazionali sarà giunto al grado di intensità che nói vogliamo, si vedrà che di clericalismo è vano parlar tanto; terremo la Chiesa al suo posto e i partiti di estrema al loro; e porremo il paese, la patria, l’Italia sopra a tutto.
— Sta bene, ti rispondo ; parli esattamente come un nazionalista. Questo che dici è il vostro intento: ma appunto esso bisogna vagliare. Ed io posso, a tale scopo, farti due domande concrete: Ia sino a che punto possono gli interessi nazionali sovrapporsi ed imporsi agli interessi, di varia natura, che sono in giuoco nel clericalismo e anticlericalismo, dato che ci sia differenza fra questi e quelli; 2° se veramente questa differenza ci sia, e non piuttosto i più alti e profondi interessi nazionali non si agitino appunto nel dibattito sul clericalismo, se esso è intèso a dovere.
E, come vedi, qui è in questione proprio l'essenza del vostro nazionalismo ; poiché per rispondere a quelle domande noi dobbiamo vedere che cosa è la « nazione » e che cosa il « nazionalismo > ; quali i valori di cui voi vi servite, come di criterio o di misura di estimazione di tutti gli altri valori.
In questo esame conviene, naturalmente, elevarsi al di sopra delle grette competizioni della polemica quotidiana dei partiti, mettersi in grado di vedere, se non nella sua infinita e mobile complessità, nelle sue linee fondamentali la struttura di questa storia vivente, di questa ricca realtà spirituale, di questa assidua creazione che è la patria nostra. Ma in ciò io non esco dal vostro assunto ; poiché la vita di un paese è vita di generazioni, è continuità, e continuazione, di un patrimonio ideale accumulato da millennii e le cui partite son la somma delle partite di dare e avere de' singoli cittadini.
Ma lasciami, prima, riprender fiato.
II.
La domanda che io ti pongo è questa: come è che il nazionalismo vi ha portato verso i clericali?
Era ciò nella essenza stessa del movimento ? Nessuno di voi, crédo, ha avuto l’audacia di dire che la rinàscita dei valori nazionali, il risvéglio della coscienza nazionale dovessero implicare un ritorno al catolicismo, e proprio, notate, al cattolicismo autoritario, tradizionale, integrale. Risalire al medio evo, anche se si vuole ammettere che la politica dei papi contro gli imperatori tedeschi fu politica schiettamente italiana, sarebbe vano. Ci sono di mezzo cinque secoli di storia molto diversa.
Durante il risorgimento, il cattolicismo ufficiale e papale fu contro la rinascita della nazionalità italiana, risolutamente e tenacemente; non c’è, mi pare, bisogno di dimostrarlo. Molti cattolici parteciparono ai moti dell’indipendenza
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e, certo, non inutilmente; ma non furono dei più attivi e coraggiosi, consentirono, e così facendo parvero staccarsi dallo spirito e dai precetti dell’istituto loro. La Chiesa, infatti, li sospettava e perseguitava, e contro la Chiesa, politicamente, i più audaci dovettero schierarsi, senza timore di scomuniche.
Anche oggi, il pensiero della Chiesa ufficiale non è mutato. Essa non ha nulla da dire contro la nazionalità italiana, purché questa ne accetti le rivendicazioni, le quali includono una limitazione e di .territorio e di sovranità per l’Italia.
Molti cattolici non seguono la Chièsa su questo punto ; non osano respingere da sé apertamente la responsabilità delle sue pretese, ma si guardano bene dal prender queste sul serio, le considerano anzi come cosa vana : la loro posizione non cessa con ciò di essere ambigua e contradittoria. Tardivi e timidi seguaci dell’idea nazionale, nei quali la coscienza religiosa è in conflitto con la civile, l'obbedienza al papa con i doveri di libera cittadinanza, vincolati a una politica, interna e internazionale, del papato che è per molte vie ostile all’unità italiana, come possono essi, i cattolici, aiutarvi a ridar vigore al sentimento di nazione e di patria, a mettere in alto l’idea di questa, a dare alle sue esigenze ed aspirazioni un posto centrale nella coscienza e nell’attività?
Avete, è vero, l’esempio del nazionalismo francese. Ma anche se esso avesse ragione, che non è, nel suo volgersi con tanto calore verso la Chiesa di Roma, il paragone non reggerebbe. Perchè là, intanto, non hanno la sede del pontificato, e quindi i cattolici non coltivano nè subiscono alcuna aspirazione di quello che sia in conflitto con l’idea della grandezza nazionale; e perchè la Francia orienta tutto il suo sforzo contro un impero protestante ; e perchè là si tratta di ristabilire la monarchia, e i nazionalisti non trovano di meglio che profittare del conflitto antico, profondo, insanabile della repubblica laica con il cattolicismo romano : e quindi dirigono le loro freccie più acute contro quei cattolici i quali hanno tentato di riconciliare il cattolicismo con la democrazia, la Chiesa con la repubblica.
È nota anche un’altra cosa: che in Francia un senso crescente di disagio e di spavento, dinanzi al lento spegnersi della razza e al dissolvimento dei vincoli sociali in una parte della popolazione spinge gli animi ad afferrarsi a qualsiasi idea od istituto che prometta un rimedio; e la Chiesa è il primo di questi, ai loro occhi.
Dunque, in Italia, la più recente e ancora viva e operosa tradizione storica pareva dovesse spingervi a diffidare del cattolicismo e dei cattolici e ad accettarne il concorso con molta cautela, soprattutto a guardarvi bene dal fare i loro interessi. Molto più che il movimento clericale è forte e minaccioso ed audace assai più del vostro, e a nessuna persona seria verrà in mente che, se l’uno deve dominare od assorbir l’altro, sarà il nazionalismo che assorbirà il clericalismo.
Nella Roma pontificia, che si ripopola di conventi, e in Italia dal clericalismo non è minacciata solo la democrazia ; la minaccia insidia da vicino la sovranità della Camera, T indipendenza del potere esecutivo, il prestigio stesso della monarchia. Ignorar questo è troppo ingenuo da parte dei tuoi, egregio amico. Rimetter la questione a più tardi, col pretesto che ora altri problemi sorgono.
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mentre intanto si estendono e si consolidano l’organizzazione e il dominio clericale, e la stessa impresa libica, mentre ha messo l’Italia in grossi imbarazzi, ha meravigliosamente avvantaggiato il clericalismo, sarebbe assai poco assennato. A ogni modo, noi non vi consentiremo questo rinvio.
Non dunque ragioni storiche vi spingono verso i cattolici. Ragioni ideali, forse, le quali consiglino di passar sopra alle temporanee differenze ed incompatibilità storiche? Ma quali sono queste ragioni? Non vi abbiamo ancora sentito esporle. È, per conto nostro, sappiamo che non ci sono.
Sino ad ora, in1 tutte le vostre argomentazioni, da Corradini a Federzoni, voi avete basato il vostro concetto della nazione e dei diritti della nazionalità e dello Stato che la rappresenta, su ragioni scientifiche, storiche, sociologiche, filosofiche magari, non sulla teologia cattolica; la cui affermazione fondamentale è che la patria è di là e il regno di Dio è di tutte le genti.
Parecchi di voi vengono dal nuovo idealismo crociano. E l’idealismo, specie dopo il meraviglioso esempio di Fichte, può essere derivato a scopi nazionalistici; è un ottimo tonico per le coscienze, e ad esso bisogna forse risalire per rinnovare la concezione e la pratica della vita come funzione e dovere e responsabilità, e quindi l’attitudine a piegare la propria vita a un còmpito trascendente ed ideale. Ma questo idealismo ha assai poco di comune con la religione cattolica. La giustifica, è vero, storicamente, ma nell’atto stesso che la supera dialetticamente ; la giudica buona per la modestia di spiriti fanciulli ed inconsci, non atti ancora a salire alla luce della filosofia ed a regolarsi secondo i dettami di questa.
Strana alleanza, dunque, come tu vedi ; per la quale l’idealismo nazionalista si trova nella situazione di dover contemporaneamente favorire e trattenere l’ascensione dello spirito alla filosofia, della coscienza all’autocoscienza ; favorirla, perchè ciò è implicito in esso in quanto si pone e si svolge come idealismo; trattenerla perchè non si compie senza negare il cattolicismo, con il quale invece si deve procedere d’accordo.
Ma il cattolicismo, dicono i nazionalisti francesi, ai quali bisogna pur sempre rivolgersi per una chiara esposizione dialettica, ha una dottrina politica che è anche la nostra, benché noi la accettiamo per il suo valore e la sua verità dal punto di vista scientifico e storico, non per la sua discendenza dalla fede : dottrina di tradizione, di autorità, di divisione e gerarchia delle classi, di dovere sociale, di unità dei viventi con i morti e con quelli che verranno.
I nazionalisti italiani non osano, anche i più audaci, giungere ad una sì chiara confessione. Chi di essi scriverebbe quella Supplica al Santo Padre che Chiude un recentissimo volume di Maurras? Chi oserebbe esaltare, a gara con gli interpreti del più ortodosso cattolicismo, il Sillabo di Pio IX? Si è giunti a proclamare la vacuità e il fallimento dei principi della rivoluzione; ma a porre al loro posto i principi della controrivoluzione non si osa giungere.
Non si osa e non si può giungere. Perchè la dottrina politica del cattolicismo è inscindibile dalla sua teologia. Sólo se l’uomo è concepito come cattivo per una caduta originale e bisognoso di redenzione, e questa redenzione affidata da Dio direttamente a una autorità alla quale'gli uòmini sono tenuti a sottostare, a prezzo della loro salute, si intende una società civile costituita come una
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Chiesa in cui il Re o lo Stato o chi per essi s’imponga in nome di un diritto o di una forza superiore agli individui. Se si esce da questa dottrina e si fa appello alla scienza o alla ragione o alla storia, manca la base del principio di autorità e si risale alla coscienza, e la sovranità, in ultima istanza, non può essere collocata che nella stessa coscienza umana; tutto il resto, Stato, nazione, popolo, non essendo che parole alle quali nessuna realtà corrisponde, fuori di questa stessa scienza.
O si ricade nella teocrazia o non si esce dalla democrazia.
Se non che, e qui è il nodo della questione, appunto per diffidenza ed odio della democrazia voi nazionalisti siete spinti ora verso le dottrine e la tradizione e il partito della teocrazia, alla quale però i tuoi non vogliono giungere; e si tengono così a mezz’aria, cercando di fingersi degli idoli astratti e di nascondere la illogicità del loro processo mentale nella sonorità delle frasi e nel lusso delle immagini. Antidemocratici, essi debbono necessariamente gravitare verso l’istituto che della democrazia è la negazione sistematica e radicale: la Chiesa cattolica, ed abbracciare nel loro odio tutti i nemici di questa : socialisti, massoni, semiti, protestanti, modernisti.
Ora, che molte parvenze stieno oggi contro la democrazia e che una reazione contro certi stati d'animo e certe abitudini contratte dai seguaci di questa sia necessaria io non vi contesto ; ma guardate di non scambiare la democrazia con i demagoghi e con dottrine e costumi che di essa possono anche essere la negazione e la degenerazione; poiché, fuorviati dall’errore e dalla antitesi, voi giungereste a negare quegli stessi valori ideali ai quali pure vorreste fortemente richiamare il paese.
Molti dei mali che lamentate non sono propri della democrazia, ma provengono dalla immaturità di troppi cittadini di Francia e d’Italia alla libertà e al governo di sé; non da un errore teorico, ma da un eccesso di teoria.
Per esser capaci e degni di libertà, di sovranità, gli uomini debbono trovare in sé stessi il senso morale, le energie volitive, la consapevolezza delle origini del patrimonio dei fini spirituali della razza nella quale sono, anche come coscienze, generati e cresciuti e della quale portano con sé le vocazioni e i valori. Perchè per molti questo non è avvenuto, e la loro volgarità d’animo si traduce in un gretto egoismo antisociale, pericoloso per la cultura e per la pàtria che è solo un patrimonio di cultura, voi volete tornare ai freni antichi, alla autorità salda per forza propria, al dominio di pochi; e chiamate a gran voce il cattolicismo ad aiutarvi nel foggiar freni morali per le coscienze, da aggiungere a quelli politici e sociali ai quali pensate voi.
E anche sotto questo aspetto l’opera vostra apparisce come un pericoloso ritorno indietro. Pericoloso in questo senso che indietro, se cataclismi sociali non sopravvengono, non si torna senza dilacerazione e violenza ; e il vostro movimento o finisce con lo spingere verso un qualche cataclisma sociale — p. es. una guerra europea — o non fa che arrestare e intralciare il lento cammino delle coscienze verso la libertà e verso il dominio di sè.
Io non sono mai stato, e tu sai, così cieco adoratore della democrazia da giustificare per essa tutti gli eccessi ai quali ci ha condotto una filosofia della vita utilitaria, nemica dei beni dello spirito, ignara delle delicate formazioni spi-
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rituali. Ma ho sempre sostenuto che questa filosofia della vita non solo non fosse la democrazia ma ne costituisse anzi il maggior pericolo e, spesso, la deviazione più rovinosa. E per chi come me intende la democrazia, una rinascita dei valori nazionali può benissimo, anzi deve conciliarsi con essa. Purché sia inteso, e in questo il mio idealismo politico differisce dal nazionalista, che la nazione, con tutto quello che essa significa, non è posta fuori dell’ individuo e sopra di esso, come una non sappiamo quale superiore incarnazione dello spirito o del divino ; ma che l'individuo, approfondendo se stesso, prendendo conoscenza e possesso di sè e del suo essere spirituale, scuopre e sente e vive se stesso come nazione ; scuopre cioè, e sente e vive in sè quei valori o quei beni più alti di cultura, di attitudini, di formazioni spirituali, i quali poi si traducono in istituti sociali, scuopre aspirazioni e fini i quali in lui e negli altri sono la nazione, perchè sono unità spirituale e ideale di coscienze foggiate e plasmate di una stessa sostanza e in una comune progenitura. E la patria e la nazione non è niente altro che questo: e non è quindi fuòri dell’individuo e sopra di lui, ma l’individuo stesso, ih un ulteriore stadio di consapevolezza e di padronanza di sè.
Se questo è — e vorrei che alcuno mi dimostrasse che questo non è — il nazionalismo bene inteso non solo non è contro la democrazia, ma deve considerarsi come una ulteriore e più alta realizzazione della democrazia stessa e con ciò stesso riconoscersi distinto e diviso dal clericalismo romano per una insanabile contraddizione.
U action française ha iscritto fra i suoi maîtres il rivoluzionario Proudhon. I nazionalisti italiani tentarono di iscrivere fra i loro maestri Giordano Bruno, ma il tentativo, spavaldo insieme e timido, non ebbe fortuna. Prendano Mazzini. Non erano vive in lui in sommo grado tutte le loro preoccupazioni nazionali ? La democrazia di Mazzini non fu, appunto per il senso altissimo dei fini ideali e collettivi di patria, e del dovere morale che ne garantisce negl’individui il compimento, l’antitesi delle contraffazioni che ce he danno oggi democratici monarchici e democratici repubblicani?
Mazzini deve essere continuato e in qualche modo anche rinnovato; molto si è ancora pensato e imparato dopo di lui. Ma non vediamo perchè egli debba e come egli possa essere rinnegato da chi si proponga il fine che egli si propose e che insegnò a tutta una generazione eroica: essere sinceramente, intensamente, entusiasticamente italiani ; che è il solo vero e buono nazionalismo ed è il tuo e il mio egualmente; che, bene inteso, accrescerebbe i consensi e con ciò l’efficace lavoro, là dove i tuoi amici e compagni sembrano affannarsi a moltiplicare i dissensi.
Romolo Murri.
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IL PENSIERO POLITICO E SOCIALE DEL PASCAL <‘>
I ha, nell’opera grandiosa del Pascal, una serie di pensieri, messi più qua più là, un po’ alla rinfusa, in quel tipico manoscritto de’ « Pensieri », che la morte ci lasciò tutto pieno di cancellature, di aggiunte e di abrasioni, specchio fedele di un’anima torturata dal più tormentoso dei desideri di scrivere per salvare un’umanità irredenta, i quali poco hanno preoccupato i suoi lettori e solo hanno attratto l'attenzione de’ critici per la difficoltà, apparente, secondo me, di incorporarli nel capolavoro pascaliano scritto in onore e per
la gloria della religione cristiana. Classificazioni laboriosissime, divisioni e partizioni oltre ogni dire studiate, ed anche stentate, si sono in ogni tempo succedute
per provare che nella mente del Pascal già esisteva un piano organico e chiaro dell'opera sua. Ma se, per le grandi linee, il Pascal stesso ce lo espone in taluno de’ suoi pensieri (Frammento n. 2), se pure il nipote suo Stefano ce lo dà nella Prefazione dell'edizione del 1670, quale il filosofo stesso sembrava averlo esposto agli amici suoi fra il 1658 e 59, se anche Filleau e La Chaise hanno provato di esprimercelo, più chiaramente che fosse lor possibile, nell’edizione di Lione (1687) ed in quella Desprez (Parigi, 1673), pur s’è ricorso, per quanto si riferisce a particolari soggetti, svolti od accennati nell'opera immensa, a suddivisioni tanto più sottili ed oscure quanto più unica e chiara parmi essere stata la visione pascaliana del mondo e della società. Il Pascal, che non fu mai un ardito generalizzatole, ha cercato sempre di ricondurre all’unità l’insieme delle sue conoscenze e delle sue opinioni. Per tal motivo egli dev’essere messo tra i filosofi, che la filosofia altro non è, secondo il Leibniz, che un concatenamento di verità. Pensiero questo a cui doveva servire di sublime dimostrazióne « L’apologià della Religione Cristiana ». Il mondo, le idee, le credenze del filosofo vi dovean tutte
(i)Dopo i magistrali studi del Boutroux, dello Strowski, del Vinci, del Droz, del Brun-schvig, del Durand, di Sully Prudhomme, del Michaud, del Sainte-Beuve, del Chavannes, del Bauh, del Berr, del Roustan, dello Stapfer, del Giraud, del Bertrand, del Brunetière, del Rabaisson e di tanti altri, pare strano di dover aggiungere questo breve capitolo alla poderosa rifioritura di studi pascaliani. I eritici che vanno per la maggiore l’hanno trascurato ; taluno l’ha frainteso.
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IL PENSIERO POLÍTICO E SOCIALE DEL PASCAL 193
convergere verso una meta, verso la dimostrazione del suo assunto : la croce di Cristo, la crocè che salva (i).
Quella < Commedia divina e umana a frammenti », come giustamente il Farinelli qualifica « I Pensieri » di colui che « de’ poeti di Francia più si avvicina al concepire e al sentire di Dante» (2), dovea condurre l’uomo verso il suo Dio, come il genio dantesco, più cupo e sublime, meno cristiano e meno pratico, termina la peregrinazione sua, pe’ regni d’oltretomba, alla luminosa vettadell’Empireo.
Eppure Pascal aveva messo di tutto in quell’informe scartafaccio che la morte non gli lasciò peranco finire. Come dunque avrebbe egli potuto ricondurre in un quadro unico quei disparati pensieri ? Dove collocare, per esempio, i pensieri suoi politici o sociali? Quistione assai e troppo dibattuta. Sembrò difficile farli rientrare nella tripartizione del Lanson :
i° La religione non è contraria alla ragione.
2° La religione è venerabile, perchè ha ben conosciuto l’uomo.
30 La religione è amabile, perchè promette il vero bene.
Parve, al Brunschvig, impossibile di porli in una delle cinque categorie adottate nella edizione sua de « I grandi scrittori » : i° Miseria dell’ uomo senza Dio. 2° Necessità della scommessa. 30 Dei mezzi per credere. 40 I filosofi. 50 La inorale e la dottrina cristiana.
In quanto a me, parmi che, nell'un caso come nell’altro, non sia affatto necessario di creare una divisione speciale per il pensiero politico e sociale del Pascal ; e, sebbene in questa come nell'altre parti dell’opera sua, la gigantesca costruzione logica ch’egli innalza, ci appaia solida ed una, pur essa sempre può essere inclusa in quella vasta città umana, che, senza Dio, è soltanto miseria e debolezza e che, con Dio, è giustizia, verità, forza e felicità. Analizziamo quei frammenti e vedremo allora dove è lecito collocarli e quale importanza avessero, pur essi, agli occhi del Pascal, non quale uomo politico, ma quale cristiano convinto.
Ben aveva, il Pascal, ferma intenzione di svolgerli più ampiamente per riunirli poi sotto il titolo generale di « Le leggi » (Frammento 73), o sotto la denominazione più rivelatrice, tanto dal punto di vista della forma quanto di quello della sostanza, di « La lettera dell’ Ingiustizia » (Frammento 291) (3). E’ dunque di una « pretesa giustizia » umana ch'ei ci dovea parlare ; intenzione sua era di mostrarci, con « la fiamma dell’ immaginazione più accesa » e col « criticismo più tenace e rigido» (4), la giustizia umana, in tutta l’impotenza sua, di fronte all’onnipotente ed infallibile giustizia divina.
Qui, come in altra parte di quel « tempio che innalza alla glorificazione di quell'unica tra le religioni ch'è il cristianesimo »,... «la ragione, nutrice e reg-gitrice del pensiero espresso, densissimo, limpidissimo sempre, è dichiarata si frale di fronte alla fede che trascende ogni umano intelletto, è figurata sì umile, prosternata, battuta, schernita, dilaniata all’altare di un Dio onnipotente » (5).
(1) Lungi dal voler far del Pascal un protestante, affermo ch’egli era cattolico, molto cattolico, nìa nel senso più bello e più antico della parola.
(2) Vedi: Arturo Farinelli, Dante e la Francia, pagg. 71 e 61, voi. I I, Milano, 1908.
(3) Le nostre citazioni son fatte secondo l’edizione dei grandi scrittori.
(4) A. Farinelli, Dante e la Francia, voi. II, pag. 71, Milano, 190S.
(5) Farinelli, op. cit. pag. 72.
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BILYCHNIS
Quale avrebbe dovuto essere il nesso logico di quei capitoli che, quasi in una ferrea morsa, dovean costringere l’uomo ad arrendersi ed a credere, il filosofo stesso ce lo dice (Frammento 337) : « Gradazione. Il popolo onora le persone di nascita illustre. I mezzo abili. Gli abili. I devoti. I cristiani perfetti. Còsi van le opinioni succedendosi dal prò al contro secondo che si è illuminati ».
Vi è dunque sul soggetto della giustizia, della forza, del potere, una gradazione d’idee che dal popolo va ai mezzo colti, alla classe di media cultura, e da questi ai colti, poi ai devoti fino a raggiungere il pieno suo sviluppo ne’ cristiani perfetti. L’opinione che il popolo ha, su questi soggetti, molto s’accosta a quella degli abili, della gente istruita ; il loro modo di ragionare è molto diverso, ma essi giungono tutti ad una chiara visione delle necessità sociali ; gli uomini, invece che vogliono fare gli accorti e che amano far mostra della lor poca istruzione, nulla v* intendono ; molto vogliono abbattere e poco san ricostruire ; discutono teoricamente e sembrano ignorare che la vita sociale tutta è poggiata su concezióni pratiche ; assai più su s'innalzano i cristiani, che, quaggiù, vivono da uomini di bene, che si sottomettono alle necessità sociali, ma che, in un mondo migliore, sognano e si ripromettono una giustizia più sicura, più ideale e più disinteressata.
Quali sono le fondamenta di tutte le istituzioni umane e della giustizia sociale ? E’ quel che il Pascal esamina ne’ suoi pensieri ed è la contraddizione, la confusione e la fragilità loro ch’egli pone davanti a noi con rapidi tratti d’una rara e potente energia.
Donde viene l’idea della giustizia e esiste realmente una giustizia intrinseca? L'idea della giustizia esiste in noi sol per spingerci all’alternativa : « bisogna che nasciamo colpevoli, o Dio sarebbe ingiusto» (489). La possibilità di quella alternativa suppone che noi abbiamo il diritto di giudicare in nome della giustizia. Gli uomini, abituati a vivere in una società, che sembra edificare le proprie leggi sulla giustizia stessa, ammettono, senza riflettervi, che noi abbiamo il diritto di giudicare i nostri simili e che ognun deve far rispettare la giustizia. Ma su che si fonda cotesta giustizia ? Sulle leggi, ci si dice. Ma che cos'è < la legge » ed esiste essa veramente ? Esaminatele, le leggi umane : qui ve n’è una, là un’altra; ieri ce n’era una, oggi ce n’è un’altra; sotto un monarca esiste una legge che, forse, sarà abolita dal suo successore ; è legge in una repubblica quella che non lo sarà mai in un impero. Dunque « la legge », una legge vera, giusta, immutabile, universale e per tutti eguale, non esiste, nè può esistere. La legge, per esistere e per aver una parvenza di giustizia, ha bisogno di molti appoggi.
Non possono, le leggi, tracciar, da sè, le frontiere del lecito e dell’illecito ed il potere loro si ferma davanti ad una insormontabile barriera (294). Per erigersi in leggi, i precetti che, come tali, si dettano ai popoli, han bisogno dell’appoggio della ragione : dunque di per sè la legge , non può esistere. Ma se ad essa non fossero necessari altri appoggi, la si potrebbe, per lo meno, credere immutabile quanto può esserlo la ragione ; ma questa non gli basta, chè la legge si fonda sull’abitudine e sulle costumanze dei popoli tanto e forse più che sulla ragione stessa. Ma che cosa vi è di più instabile, di più mutevole de’ costumi e del modo di vivere delle genti ? Tutto ciò varia secondo l’età, secondo i climi.
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IL PENSIERO POLITICO E SOCIALE DEL PASCAL »95
secondo i popoli, quand’anche non varia secondo gli individui Stessi (i). Dunque troppo incerto ed incostante è un tal fondamento per poter ammettere una legge aprioristica, universale e giusta in ogni tempo ed in ogni luogo. Perchè quella legge qui e non là, oggi e non ieri? Ad una tal domanda non vi sarebbe, altrimenti, risposta. Nè la ragione, nè l’abitudine bastano a giustificare la legge ed a sostenerla, a far trionfare ed imporre, fors’anche, quel che si chiama « la giustizia > ; ci vuole, purtroppo, anche la forza ed « essa la pretende perchè si dà come giusta ». Ma non è vero che sia giusta di per sè, poiché, se si vuol giustificare, non le rimane che la forza brutale.
I forti uccidono i deboli, li fanno schiavi, strappan lopo poderi e ricchezze ; i vincitori impongono le loro leggi ai vinti ; essi hanno inventato « il diritto della spada • (878) e hanno divinizzato la guena. Ma, spettacolo strano! i vinti sottomessi colla forza, colla violenza, han dapprima penosamente, forse, piegato il collo sotto al giogo de’ vincitori ; poi li han guardati come una necessità ; li hanno quindi rispettati ed hanno finito, vedi strana abberrazione ! coll’amarli sinceramente.
I vinti han creduto che i conquistatori venissero in nome della giustizia, di una nuova giustizia che aveva da trionfare con loro. Donde ciò poteva venire ? Dall’immaginazione. Ecco un’altra pietra angolare della giustizia umana. L’immaginazione ha reso « dolce e volontario », in apparenza, quel giogo che posava in realtà sulla tirannia e sulla forza (308, 82, 89). Sopprimete l’immaginazione ed il popolo perderà quel rispetto insito ch’egli ha pe’ suoi sovrani. Il popolo ha creduto di vedere sull’augusta faccia de’ potenti un carattere di maestà Sacra, quando, forse, altro non v’era che volgare impressione di timore, destato dalla vista di « brutti ceffi armati, di pompe e di cavalcate, in mezzo ai quali la persona del re è loro apparsa per la prima volta» (303, 311). L’immaginazione del popolo era essa innata? Non potrei negarlo poiché l’anima popolare è quasi istintivamente immaginativa e mistica ; ma è pur certo che essa trovava, alla sua volta, un potente appoggio nella dura necessità. Bisognava amare o, per lo meno, rispettare, colui che avrebbe potuto farsi amare colla forza, se non colla beneficenza ostentata ed esagerata quanto necessaria. É dunque la necessità che ha servito di punto d’appoggio all’immaginazione popolare. Ecco a quanto si riduce quel che, pomposamente, si chiama « giustizia ». « L’immaginazione che ricama sulla trama della necessità, la tradizione dell’abitudine che trasforma in autorità mistica le fantasie più deboli e leggiere : ecco quel che la ragione trova in fondo a quél che si chiama « la nostra giustizia » (2).
Dobbiamo noi concludere, col Montaigne, Che non v’ha giustizia? Dobbiamo erigere l’anarchia in dogma e tutto rovesciare? No, poiché bisognerebbe trovare qualcosa da sostituire a quest’ idea di giustizia che, per quanto debole ed errata, può produrre ottimi frutti. Non basta, e ben lo sappiamo, abbattere teorie o crearne ; bisogna vedere quale sia il loro valore pratico ; bisogna vedere se quanto noi Stiamo per edificare vai meglio di quel che vogliamo atterrare. E’, purtroppo,
(1) Questo egli aveva appreso dal sagace Montaigne.
(2) Brunschvig, op. cit.
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IÇÔ BILYCHNIS
quel che non si domandano i mezzo colti, quando parlano, discutono e sbraitano in mezzo ai furori demagogici. Il popolo, però, non si lascia ingannare, perchè sente che è sommamente necessario di avere una regola capace di unire gli uomini tra di loro e di mantener la pace. Dunque, sia che si voglia abbattere, sia che si voglia edificare, la nostra ragione ideale è incapace di diventare ragione reale. Quel che importa, dice la gente saggia e colta, quel che è necessario, ripète il popolo, è la pace. I saggi, gli studiosi, i véri filosofi sanno che si deve mantenerla e mantenerla come si può. Le abitudini sono il più potente appòggio ed il miglior fondamento delle istituzioni (331 seg.).
Che si guardi la giustizia civile o penale, il governo e le sue forme, le relazioni fra i vari stati, la proprietà nell'acquisto e nella distribuzione sua, le classi che compongon la società, le relazioni che esistono tra gli uomini, dovunque si trova l’opera dell’abitudine che ora è il prodotto della forza sotto le parvenze della giustizia ed ora non è altro che la debolezza stessa che s’impone all’immaginazione con aspetti mendaci e del tutto esterni e con apparenze sempre ingannatrici. L’abitudine stessa che designa i sovrani dalla loro nascita è ridicola, ma è molto più ridicolo non riconoscere che quell’abitudine è benefica.
E’ il puro caso che fa nascer l’uomo potente o miserabile ed un semplice ' * altro giro d’immaginazione in quelli che fecero le leggi avrebbe reso poveri » i potenti ed i re (1).
La funzione sociale dell’immaginazione è dunque necessaria e benefica perchè spinge il popolo a rispettare le autorità costituite ed al povero dimostra come il ricco sia necessario agente dell’industria umana. Ma pei re vi son pur degli obblighi : essi devono regnare secondo gli stessi principi e le stesse circostanze per cui sono al potere. « Non è la vostra forza nè la vostra naturai potenza, dice loro il Pascal nel suo 30 discorso sulla « Condizion de grandi », che vi assoggetta tutte quelle persone. Non pretendete dunque di dominarli colla forza o di trattarli con durezza. Contentate i loro giusti desideri, soccorreteli, nelle loro necessità; mettete il vostro diletto nel praticar la beneficenza ». Ciò servirà ad aiutare potentemente il benefico effetto dell'immaginazione.
Quell’ immaginazione è tanto necessaria nella nostra società quanto è necessario avere in ogni stato uomini ricchi e cittadini potenti. Sopprimiamola quella necessità e, allora soltanto, potrem sopprimere l’immaginazione ; se si sopprime il rimedio prima di aver posto fine ai male, l’esistenza del corpo sociale ne riceverà una mortale percossa. Si consideri dunque bene quel che convien fare. Vale egli meglio condannare l’idea della giustizia, il principio della forza, i benefici effetti dell’abitudine e dell'immaginazione, perchè tutti hanno il loro lato debole, oppure non è meglio accettarli tutti come necessari al vivere sociale? E’ miglior cosa affrontar le guerre civili per far trionfare l’astrazione, o ricercar la pace accettando, forse, le dure necessità del destino ed il triste stato in cui tanta misera gente deve vivere? Troppo facile, ahimè!, è stata per molti uomini superficiali cotesta scelta; ma per il Pascal, per quell’anima fraterna e carita(1) Pascal, Primo discorso sulla condizione de’ grandi. (Scritto dal Nicole dieci anni dopo che il Pascal lo pronunciò).
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tevole che tutta arde d’un sacro fuoco di amor divino e di amore umano, vai meglio, meglio assai, tutto immolare pur di dar la pace agli uomini che tanto l’agognano. Vero è che molti sembreranno soffrire dell’altrui potenza, ma è certo, anche, che quella sofferenza è, troppo spesso, alimentata ed accresciuta dalla esaltazione dell’uomo che non sa vedere quale benefico influsso l’idea della necessità rassegnata, l’abitudine e l’immaginazione esercitino anche sulle più misere creature.
La pace dev’essere la suprema ambizion dell’uomo perchè essa è il sommo bene, « Il patto d’utilità » di Epicuro che consisteva nel « non ledersi reciprocamente affin di non esser lesi >, affinchè « ciascuno proteggendosi contro gli altri, abbia gli altri protetto contro di sè », è qui rinnovato con una specie di « contratto sociale » che il Rousseau esporrà, più tardi, in termini più o meno laboriosamente scientifici.
Quelle credenze del popolo, che agli occhi dei « mezzo abili » paion follia, sono dunque necessarie per mantener l’ordine stabilito. Il popolo, nella sua incosciente pratica, segue i precetti de’ saggi che, ben sapendo esser la pace il sommo bene e che solo la forza può mantenerla, riconoscono che la forza è, perciò, giusta quanto deplorevole legge. Certo è, però, che non bisogna cedere alla forza quel che non le compete ; che non bisogna confondere la potenza materiale con quella spirituale ed intellettuale e specialmente che non si dev’esser vittima de’ pregiudizi popolari.
Bisogna rispettar le leggi, curvarsi davanti ai potenti, non perchè questo sia giusto, ma perchè ciò è così stabilito e perchè le qualità esterne ed apparenti sono le sole che possano imporsi a tutti. Ecco quel che pensa il saggio conservando pur sempre il suo libero ragionamento. Il saggio sa che vi sono delle « grandezze naturali » e delle « grandezze di fondazione ». Sa che alle « grandezze di fondazione » dobbiam soltanto cerimonie esterne. « Bisogna parlare ai re in ginocchio; bisogna stare in piedi, in camera de’ principi. E’sciocchezza e volgarità di spirito negar loro questi doveri ». Ma egli sa eziandio che la stima è dovuta soltanto alle « grandezze naturali ». « Non è necessario, perchè siete duca, ch'io vi stimi; ma è necessario ch’io vi saluti » (1). Il saggio, e Pascal con lui, sa anche qual differenza ci sia tra il rispetto dovuto alla grandezza intellettuale e quella materiale. Egli non si peritò di dirlo molto schiettamente alla stessa regina Cristina di Svevia quando a lei dedicava la sua « macchina aritmetica »..
Ma più su del mondo deve guardare il cristiano. Egli ha studiato che cosa è la giustizia umana; ha considerato l’ordine che regna nella società e che pone il suo fondamento sur una pura illusione di giustizia. Ha visto che questa è il più misero, benché il più importante, sostegno dell’esistenza sociale; l’ha rispettata, ma l’animo suo non pago, non soddisfatto, è andato più su, alla ricerca d’una giustizia ideale, eterna, sicura ed immutabile. Vi ha temprato il cuor suo ed è ridisceso in terra a portare ai suoi simili quella sublime idea dell’infallibile giustizia divina.
(1.) Secondo discorso << Sulla condition de ’ grandi ».
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Ecco dunque un’altra costruzione pascaliana, che si perde nell’opera sua immane. Egli ha umiliato là ragione, ha svelato l’impotenza umana, ha subordinato il corso del mondo ad un pensiero superiore che lo spiega e che lo giustifica (1).
Ritorniamo sempre al concetto ' informatore di tutta « L'apologià della religione cristiana » : l’uomo senza Dio è un essere frale, impotente ed infelice ; la mentalità umana, senza il divin soffio, non può ascendere a vasti concetti che consolino e che illuminino il mistero che ci avvolge ; le costruzioni umane, senza Dio, posan tutte sulla sabbia.
Silvio P. Pons.
(j) Egli lo chiama /.<z ragion degli effetti.
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INTERNELO
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E passato il sabato, Maria di Magdalae Maria, madre di Giacomo, e Salome comprarono gli aromi per andare a imbalsamare Gesù. E di gran mattino, il primo giorno della settimana arrivarono al sepolcro sul levar del sole. E dicevano tra di loro :
— Chi ci ribalterà la pietra dalla bocca del sepolcro ?
Ma riguardando videro rimossa la pietra ch’era molto grande. Ed entrate nella tomba scorsero un giovinetto seduto a destra, vestito di bianca tunica, e si sgomentarono.
Egli però disse loro:
— Non vi spaventate. Voi cercate Gesù di Nazaret, crocifisso. E’ risuscitato, non è qui : ecco il luogo dove lo avevan deposto. Ma andate a dire a’ suoi discepoli e a Pietro,
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LE DONNE AL SEPOLCRO
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PERI&GO/RA DELL'ANIMA
PASQUA
L’annunzio dèlia risurrezione dato ai discepoli di Cristo s’impossessa irresistibilmente, nei giorni pasquali, di tutto il nostro essere. Come coi primi calori della primavera rinasce la natura, così il cuor nostro risorge all’ottimismo; tutti gli spettri, gl’incubi, le oppressioni delle notti invernali si dissipano ai nuovi raggi del sole. Come delle cose di natura, cosi è di quelle spirituali e soprannaturali: col sangue rigermogliano le nostre speranze.
Il senso opprimente delle miserie, delle colpe umane, che era in ogni anima che partecipi anche lepidamente alla vita della Chiesa, che la Chiesa stessa aveva richiamato insistentemente, nel tempo della passione, al nostro pensiero, è ora svanito. La penitenza e la disposizione al dolore per i peccati non sono che uno stadio per il cristiano, a cui succede il senso gioioso di sentirsi figli di Dio. Anche la Chiesa che con ogni mezzo aveva incitato i fedeli alla tristezza ed alla penitenza, oggi riveste i suoi abiti di festa, abbrevia le sue preghiere e con impeto di letizia grida : < Alleluja ! » Non più ora si ricorda l’umana miseria, non più il peccato, e la morte, e il giudizio: la morte si è tramutata in vittoria— «O morte dov’è il tuo pungolo? inferno dov’è la tua vittoria?» — Ora è come se l’inferno, la più spaventosa delle figurazioni dèlia Chiesa, sia sparito, come se Satana stesso sia morto.
Sì la morte, il demonio, l’inferno sono morti : uno solo vive, il trionfatore che li ha debellati, quell’uno nel quale anche noi siamo morti e nel quale siamo risorti. Il pensiero cristiano è ora concentrato in lui, e la possa della sua vittoria e la gioia per la sua risurrezione è il più vero e il piti puro sentimento che anima chi in lui crede.
Gli evangeli della settimana di Pasqua sono come un succedersi di canti di letizia : ci si narra ogni dì un nuovo episodio della vita di Gesù dopo il gran giorno. Maddalena e le donne che accorrono alla mattina di buon’ora al sepolcro ed hanno dall’angelo l’annunzio della risurrezione; i due discepoli che con l’animo triste si recano ad Emmaus e s’incontrano per via con l’uomo misterioso che li accompagna, li ammaestra, li conforta; la visita di Cristo ai dodici congregati per dir loro che occorre soffrire e morire prima di risorgere ; l’apparizione ai discepoli sulle onde del mar di Galilea ; il dialogo con Maria Maddalena nel giardino; l’apparizione sul monte della Galilea in cui promette ai discepoli : « Sarò con voi sino alla consumazione dei secoli » ; l’accorrere di Pietro e di Giovanni al monumento, che trovano vuoto; finalmente, la domenica in Albis, l’apparizione ai dodici apòstoli in cui l’incredulo Tommaso è costretto ad arrendersi all’evidenza. Questi sono i quadri evangelici che la Chiesa pone sotto i nostri occhi nella settimana pasquale: la Chiesa che non conosce più ormai che gioia e pace.
Ascoltando queste pagine evangeliche ci par d’essere con i discepoli e con le pie donne che vi hanno assistito di persona : come ad essi, ci sembra dapprima che ci si narrino visioni incredibili o fantasmagorie, ma alfine ci pieghiamo al contagio della fede che, come per miracolo, pervade l’universo, ed in questa fede la verità ci appare. Sì, Cristo vive, e con lui noi pur viviamo, noi che fummo da lui redenti! E se non sappiamo ancora quali forme di vita nuova ci attendono dopo la morte, sappiamo, con i discepoli, che Cristo vive ancora, e da questa fede germoglia la speranza che ancor noi rivivremo.
Ma non è il credere alle testimonianze altrui che Gesù non è rimasto nella tomba, la garanzia della nostra vita futura. Il Cristo
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dobbiamo sentirlo vivente nell’anima nostra.
Le parole che Gesù rivolgeva come addio ai discepoli ci dicono quali debbono essere i pensieri nostri nel considerare la sua risurrezione : « Io non vi lascerò orfani ; tornerò a voi. Fra un po’ di tempo il mondo non mi vedrà più ma voi mi vedrete, perchè io vivo e voi pure vivrete. In quel giorno voi conoscerete che io sono nel Padre mio, che voi siete in me ed io in voi. Chi ha i miei comandamenti e li osserva, è quello che mi ama ; e, chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e anche io l’amerò e mi manifesterò a lui. Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio l’amerà e faremo dimora presso di lui ». (Giovanni, xiv, 18-23).
Con chiare parole ci si dice qui che Cristo ed il Padre dimorano misticamente nell’anima quando l'uomo viva nello spirito di Cristo, pensi ed operi con lui. Vivere nello spirito di Cristo, è amarlo ; quando noi lasciamo vivere nell’anima nostra la sua purezza, la sincerità, l'umiltà e soprattutto il suo amore pel prossimo, allora il Cristo vive in noi. Allora Gesù ci si farà riconoscere perchè ci darà sempre più la comprensione del suo spirito. Il mondo non Io vede, ma noi lo vedremo; E’ naturale che gli egoisti e gli scettici non potranno così comprender mai l’amore del Cristo e che trattino da bambini o da folli gli entusiasti che guardano alla vita con gli occhi stessi del Cristo e che col Cristo abbracciano nel loro amore tutto il mondo.
L’approfondirsi nello spirito dei Cristo e il vivere del suo amore, questa è l'essenza del cristianesimo. Verità ben semplice, ma che l'anima nostra deve sentire di per sè, poiché nessuno potrà generarla in essa, nè definizioni teologiche, nè dettami di scienza, nè le parole stesse della Chiesa.
Dove questo spirito non vive, tutte le cose
chiesastiche son vuote e nulle, tutta l’ortodossia non è che parole vane. Ma dove lo spirito di Cristo vive, anche la Chiesa e le parole di fede hanno vita ed anima. Perchè la gerarchia non ama Cristo, la miseria e la corruzione sono nella Chiesa visibile. Per l’opposto, l’unione dei credenti in Cristo, la Chiesa interiore, si rallegra per la promessa di Gesù : « Io non vi lascerò orfani ». Chi ha lo spirito di Cristo avrà sempre la visione del Signore, mentre gli occhi degli altri saranno chiusi o non sapranno riconoscerlo. Questi ultimi prendono il Dogma, o la potenza della Chiesa, o il Papa, o la bellezza del culto, per lo spirito del Cristo: il profondo della verità essi non l’intraveggono. I primi, invece, veggono con gli occhi stessi del Cristo, pensano e sentono col suo spirito e col suo cuore, oprano sempre con lui. Questi costituiscono la Chiesa, l’unione dell’amore nello spirito del Signore e del Maestro. Per essi l’Evangelo è ben chiaro ; ad essi il culto col suo centro l’Eucaristia è ben comprensibile, perchè sono pervasi dallo spirito di Cristo. Da tutto la loro anima trae nutrimento, il loro amore è come una bacchetta magica che vale a cangiare anche l’esteriorità della Chiesa in oro puro. Non nella gerarchia è questo spirito — Cristo promise tale spirito come consolatore ; — esso è nell’unione dei veri cristiani, nei pensieri e nei sentimenti di tutti coloro che son divenuti, come dice la parola evangelica : « imitatori e successori di Cristo».
Nell’anima di questi splende sempre rinnovato il sole della Pasqua, in essi è il cristianesimo gioioso — la vera religione reca gioia perchè ravvicina a Dio, — stille loro labbra non si estinguerà mai il grido di {giubilo: • Alleluia ! »
Philipp Funk.
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IL PROBLEMA DEL CRISTO
A. Quièvreux — uno dei più ardenti promotori del Cristianesimo sociale in ¡'rancia — è morto a Rouen il 22 gennaio 19/4.
La conferenza che pubblichiamo fu da lui pronunciata il 27 febbraio 1912 in un locale neutro dove si raccoglieva ogni quindici giorni un uditorio composto di cattolici, di prolestanti e di liberi pensatori per delle conferenze di cultura religiosa, filosofica, morale e sociale.
Fu quella una serata indimenticabile. Il Quièvreux aveva traccialo un ritratto così efficace della persona del Cristo, lutto era stalo così Chiaro e così moderno nella Sua dimostrazione, i problemi delta morte e della risurrezione del Redentore erano itali affrontati con una tale fedeltà all’insegnamento degli Evangeli, ma altresì con un tale rispetto pei metodi del pensiero contemporaneo, e special-mente ¡oratore aveva così bene saputo rivelare a lutti Colui eh’ egli aveva chiamato la Coscienza della nostra coscienza — che, allorquando egli ebbe terminato, vi fu, contrariamente a ciò che succedeva di solilo, un lungo silenzio. E questo silenzio fu spiegato in seguito da un uditore, il quale pure non si professava credente: «Abbiamo taciuto, diss’egli, perchè, allorquando sentiamo parlare del Cristo come il Quièvreux ce ne ha parlato stasera, qualunque siano le nostre opinioni filosofiche e sociali, non possiamo più fare altro che prosternarci ».
Beali quelli in cui la fede cristiana si è talmente impadronita di tutta l'anima, eh’essa diventa per loro ciò ch’era diventala per Quièvreux : un principio d’armonia interiore e di vita equilibrata, il cui spettacolo fa esclamare a chi sa contemplarlo : « Così vorrei credere per vivere in quel modo».
Signori,
‘•■'’Quindici giorni or sono si parlava in questa sala delle preoccupazioni religiose che agitano attualmente le più distinte persone colte di tutto il mondo e che non sono estranee a ciò che v’è di meglio nella coscienza po-polare. Non è detto che queste preoccupazioni conducano nè gl'intellettuali nè le masse in grembo alle chiese tutt’ora esistenti ; ma mi sembra certo — se quest’ansia religiosa è
reale — eh'essa debba condurre tutti quanti di fronte a Colui 1'imagine del quale si drizza inevitabilmente a noi dinanzi non appena parliamo di morale e di religione: di fronte a Gesù Cristo.
D’altronde i fatti stanno a provarlo. Se il popolo è sospettoso riguardo alle Chiese, egli ama il Cristo. Il Cristo è oggi più popolare che mai. Coloro d’infra voi che hanno visitato, nella città di Bruxelles, la CaSa del Popolo. avranno visto al posto d’onore, nel Salone delle assemblee, un grandioso ritratto del Cristo. Certo, non è un Dio aureolato, è un figlio del popolo; il suo volto porta le traccie di tutte le sofferenze patite: ma il suo sguardo è illuminato dalle grandi speranze. In Inghilterra, l’importante movimento delle Fraternità, che conta attualmente più di ses-santamila operai, acclama apertamente come ispiratore e come maestro Gesù Cristo. In Francia i più nobili fra il liberi pensatori : Gabriele Séailles, Ferdinando Buisson e altri hanno parlato in termini ammirativi della persona del Cristo. E mi ricordo di aver sentito un omaggio simile reso al Cristo da un altro ben noto propagandista del Libero Pensiero. Assistevo a una conferenza tenuta nei circo di Lille, davanti a una folla d’operai, dal celebre nemico di Dio: Sebastiano Faure. Quando venne a parlare di Gesù Cristo, egli cambiò tono e l’udii cantare uh vero inno in onore dell’anarchico della Galilea, (1) l’amico dei poveri e e il martire. Non dubito che il Faure esprimesse in quell’inno le sue convinzioni personali ; ma era evidente che il popolo non avrebbe permesso che si dicesse male di Colui nel quale, senza bene conoscerlo, egli sente un fratello e un amico.
Chi è dunque quell’uomo straordinario che i partiti più opposti rivendicano come uno dei loro e acclamano come un precursore e come un maestro? Gli uni lo adorano come un Dio ; altri lo proclamano il più grande dei rivoluzionari ; altri salutano in lui una sublime personalità morale ; altri ancora, a centinaia e a migliaia, hanno trovato in lui un ccnsolaa Intendiamoci : anarchico... nel senso etimologico e fi-> del termine !
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toro e una guida, colui che ha loro dato la forza per vivere e per morire. Chi è egli dunque ? Ad ogni modo è certo ch’egli costituisce il più grande problema della storia.
Per tutte queste ragioni, Signori, ci è parso che dovevamo fermare la vostra attenzione su questo problema. Non occorre ch’io vi dica che la mia intenzione non è di esporvi un dogma nè di trascinarvi in una discussione teologica. Voglio semplicemente mettervi davanti il risultato delle mie ricerche e delle mie esperienze.
♦*»
Si affaccia subito un primo quesito: Possiamo NOI SAPERE QUALCOSA DI STORICAMENTE CERTO RIGUARDO ALL’UOMO CHE HA VISSUTO CIRCA 2.000 ANNI OR SONO E CHE SI é chiamato Gesù di Nazaret? Bisogna esaminare questa questione perchè alcuni ripetono — sull’autorità del loro giornale: « Non si sa nulla intorno a Gesù ».
Quest’affermazione è vera ?
Per molto tempo non ci s’è guari occupati della vita di Gesù. Presentandolo come la seconda persona della Trinità o come il Dio racchiuso nell’ostia, il Cattolicesimo romano aveva strappato Gesù dalla storia, l’aveva trasportato interamente nell’Al di là. Uno dei risultati più notevoli degli studi storici del secolo xix è stato quello di ricondurre Gesù nella storia, di mostrarcelo nuovamente come un essere che ha vissuto davvero sulla terra. Considerata da questo punto di vista, la vita di Gesù del Renan, malgrado le sue contraddizioni, e stata per molti una vera e propria rivelazione. In quanto a me, sono pieno di riconoscenza per quei dotti che hanno consacrato anni di lavoro a studiare i documenti antichi e si sono sforzati di stabilire in modo scientifico la figura reale di Gesù.
Ma i dotti sono uomini, e alcuni d’infra essi, specialmente fra i dotti di second’ordine, non hanno saputo resistere alla tentazione di strabiliare i loro contemporanei. Specialmente alcuni professori tedeschi hanno ceduto a questo desiderio : tre d’infra essi hanno scoperto che Gesù non era mai esistito, ma ch’egli era un mito solare, (r) Ciò forse vi stupisce. Ma vi prego di osservare che Gesù aveva dodici apostoli che rappresentano evidentemente le dodici costellazioni. Egli è morto di sera come
(') Questi tre sono i signori Kalthoff, Jensen e Arturo Drews.. In Italia è orma: completamente dimenticato il famoso libro del famoso Milbsbo: Gesù Cristo non c mai esistito.
il sole tramonta di sera; è risuscitato il mattino come il sole si leva il mattino. Non risulta evidente che Gesù è l’immagine del sole, come io furono.certi antichi dei? Questi sarebbero divertenti voli dell’immaginazione se non si trattasse di una personalità morale cosi elevata come quella del Cristo. Alcuni anni or sono uno spirito ameno dimostrava con argomenti analoghi che anche Napoleone I era un mito solare. Anch'egli ha le sue dodici costellazioni che sono i dodici marescialli dell’impero. E’ uscito dal Mediterraneo, come il sole che si leva dall’oriente, e si è spento all’occidente nell’Oceano Atlantico. Sono queste delle prove cosi convincenti ch'io non ve ne avrei parlato se non avessero talvolta dei sostenitori.
Lasciamo stare queste amenità. Per tutti gli storiografi seri — direi volentieri per tutti gli uomini di buon senso — la realtà storica di Gesù di Nazaret non offre alcun dubbio- Per provare questa realtà, basta constatare l’esistenza stessa del Cristianesimo. Il Cristianesimo senza Gesù Cristo è altrettanto inconcepibile quanto il Maomettismo senza Maométto o la Riforma senza Lutero e Calvino. Anzi ! E’ infinitamente più inconcepibile, perchè è evidente che i primi cristiani sono stati conquistati non da idee filosofiche o mitologiche, ma da una persona, da Gesù Cristo.
Ma — se incontestabilmente Gesù Cristo ha vissuto — che cosa sappiamo noi di lui ? Sappiamo intanto ch’egli ha prodotto sui suoi contemporanei un’impressione sufficiente per generare il grande movimento religioso che è all’origine della nostra civiltà. Sappiamo altresì ch’egli ha prodotto.una tale impressione che oggi ancora, di fronte alla sua storia, gli spiriti sensibili alla bellezza morale vibrano ammirati.
Ma qual’è l’autenticità di questa storia? Gli eccessi stessi della critica hanno spinto i dotti dell’epoca nostra — ricordo tra i più noti e i più indipendenti il Weiss e l’Hamack in Germania, il celebre abate modernista Loisy in Francia — a fissare in riassunto i risultati più certi degli studi storici relativi al primo secolo della Chiesa cristiana. Ed è apparso che, in tesi generale, questi risultati tendono a confermare il valore storico del Nuovo Testamento e in particolare degli Evangeli.
Nel loro insieme, i ragguagli che possediamo intorno al Cristo sono vicini agli avvenimenti stessi. Fra gli scrittori del Nuovo Testamento il primo in ordine di data che ci abbia parlato dèi Cristo è l’apostolo Paolo. So bene che il Loisy fa osservare che Paolo è anche il primo che abbia fatto uscire Gesù dalla
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storia considerandolo come Colui che la storia domina e spiega ; ma il Loisy soggiunge che Paolo prende il suo punto di partenza nella storia. I discorsi missionari dell’apostolo Paolo non sono giunti fino a noi, ma sappiamo che, in codesti discorsi, egli narrava dal principio alla fine gli avvenimenti della vita del Cristo. Egli scrive ai Galati: « Vi ho dipinto il Cristo come se fosse vivente e morente dinanzi ai vostri occhi ». (Gal. }/x)- D’altronde dalle sue lettere stesse, specialmente dalla prima lettera ai Corinzi, si delinea un quadro molto consistente della vita di Gesù. San Paolo insegnava che Gesù era un discendente dell’antica famiglia reale d’Israele, caduta da molto tempo in povertà; egli fa il nome dei suoi fratelli, cita parecchie delle sue parole; afferma che è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato e che in seguito è apparso a più di cinquecento suoi discepoli, di cui molti, dic’egli, sono ancora in vita. Bisogna infatti notare che questa lettera di Paolo è stata scritta al più tardi nell’anno 56, dunque 26 anni al più tardi dopo la morte di Gesù. Quindi vi erano ancora delle persone che avevano conosciuto Gesù e che potevano verificare la realtà di queste affermazioni. D’altronde Paolo soggiunge che — su tutti questi punti — egli è d’accordo cogli undici apostoli che sono stati i testimoni costanti del Cristo e ch’egli ha parlato di queste cose con loro poco tempo dopo la sua conversione, cioè otto o dieci anni al massimo dopo la morte di Gesù. Abbiamo dunque nelle lettere di Paolo una prima fonte di ragguagli, incontestabilmente autentica e vicinissima agli avvenimenti.
Ma i documenti fondamentali relativi alla vita di Gesù sono gli Evangeli. Io. non pretendo esporre e nemmeno riassumervi, tutti i lavori della critica sugli Evangeli : nessun argomento è stato più rivangato di quello. Ecco semplicemente alcuni risultati generalmente ammessi da tutti gli storici competenti. 1 quattro Vangeli si dividono in due gruppi:da un lato i tre primi che sono i .più antichi e che hanno tra loro tante somiglianze che se ne può fare un quadro d’insieme, ragione per cui furono chiamati i Sinottici ; e dall’altro lato il quarto Vangelo, che è più recente e che ha un altro carattere: vuol essere cioè non solamente un semplice racconto, ma una spiegazióne della vita del Cristo. Io stimo, con parecchi altri studiosi seri, che anche codesto quarto Vangelo abbia alla sua base dei ragguagli storici accertati ; però parliamo qui dei tre primi soltanto. E’ fuor di dubbio che il più antico d’infra essi, l’Evangelo di Marco, -è stato redatto prima dell’anno 70, data della
distruzione di Gesusalemme. Di quella distruzione trovasi infatti nell’EvangelO di Marco una profezia che possiede evidenti le caratteristiche di una previsione, che è stata fatta cioè prima dell’avvenimento- D’altra parte questo Evangelo, come d’altronde i due altri Sinottici, ha per fonti documenti più antichi, tra gli altri una raccolta di « parole di Gesù », ora smarrita, ma che uno scrittore dell’antichità, per nome Papia, aveva visto, ch’egli ha descritta e che risale al massimo a dieci o vent’anni dopo Gesù Cristo.
Dieci o vent’anni, direte voi, ciò basta perchè le parole e i fatti siansi alterati. Ma non dimenticate che in quell’epoca — in cui la stampa non era inventata, in cui anzi si scriveva piuttosto poco — la memoria era assai piti fedele che al giorno d’oggi. Osservate inoltre che le parole di Gesù negli Evangeli sono parole semplicissime: sentenze o detti impressivi che si scolpivano facilmente nella memoria e che i discepoli si addestravano a riferire fedelmente. « L’ideale di un discepolo, dice un rabbino ebreo di quell’epoca, è d’essere una cisterna tappezzata di cemento che non perde una sola goccia dell’acqua che vi fluisce». (Misclma). A maggior ragione i discepoli di Gesù hanno voluto essere simili cisterne. Renan racconta che, in un altro paese e in tempi più antichi, i 16.000 versi d’un libro indiano, il Rig-Veda, sono stati trasmessi mediante la memoria per dei secoli. Qui non si tratta di secoli ma di dieci o vent’anni.
Ma, signori, lasciamo stare queste ricerche scientifiche che sono alla portata d’un picco! numero di persone soltanto. E rivolgiamoci semplicemente al buon senso, che è alla portata di tutti, che voi tutti, ne sono certo, possedete. Leggete senza preconcetti gli Evangeli. Vi danno essi l’impressione di una favola? Oppure, al contrario, non vi danno essi l’impressione che siete davanti a Qualcuno, dalla realtà del quale vi sentite afferrati? Certo, gli Evangeli non sono delle biografie complete, con tutta una documentazione storica, come si scrivono al giorno d’oggi. Sono qualcosa di meglio, signori ; sono dei ritratti viventi di Gesù che sembrano esser stati fatti in ginocchio. Gli uomini che li hanno scritti erano dei discepoli di Gesù Cristo; lo amavano e volevano farlo amare ;-erano stati conquistati dalla sua grandezza. Ma questo appunto dimostra che — in quanto al fondo sostanziale — essi non inventano; si sono trovati in presenza di Qualcuno più grande di loro che di loro si era impadronito.
In un’opera recente — Introduzione agli studi storici — due degli storiografi più indi-
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pendenti dell’epoca nostra, Langloise Seigno-bos, fanno osservare che vi è nella storia un criterio d’autenticità che non inganna mai. Sono autentiche le parole che stanno al di sopra del livello intellettuale e morale di coloro che le riferiscono e che, per conseguenza, non avrebbero potuto inventarle. E citano appunto come esempi le parole pronunciate nel suo processo da Giovanna d’Arco eie parole del Cristo nei Vangeli.
Questi storiografi ripetono semplicemente in linguaggio scientifico ciò che un uomo dal geniale buon senso, Gian Giacomo Rousseau, scriveva circa due secoli or sono : « Diremo noi, dichiara egli al suo Untile, che la storia dell’Evangelo è stata inventata? Amico mio, non è così che s’inventa ; e i fatti di Socrate, di cui nessuno dubita, sono meno attestati che quelli di Gesù Cristo. Pensare che parecchi uomini d'accordo abbiano fabbricato quel libro sarebbe più inconcepibile che credere che uno solo abbia procurato l’argomento. Giammai degli scrittori ebrei avrebbero trovato quel tono nè quella morale; e l’Evangelo ha delle caratteristiche di verità così grandi, cosi impressive, cosi perfettamente inimitabili che l’inventore sarebbe più straordinario dello stesso eroe del racconto».
In nome del buon senso come in nome della scienza, abbiamo dunque il diritto di conchiudere che, nel loro insieme, gli Evangeli ci danno un ritratto autentico di Gesù Cristo.
***
Ma — col giungere a questa conclusione — noi non abbiamo risolto il problema del Cristo. Anzi è ora appunto che questo problema ci sta dinanzi in tutta la sua gravità.
E’ certo che Gesù Cristo ha vissuto : è certo ch’egli ha compiuto degli atti straordinari ; è certo che noi possediamo alcune delle parole autentiche ch’egli ha pronunciate; è certo che egli è morto sopra una croce pregando pei suoi carnefici ; è certo che, dopo la sua morte, i suoi discepoli sono stati persuasi che lo vedevano vivente. Poiché, se alcuni attribuiscono quelle apparizioni del Cristo a delle allucinazioni, nessun storiografo serio può negare che i discepoli di Gesù sono stati convinti di aver visto il Risuscitato.
Tutti questi son fatti che appartengono alia storia; ma ciò che non appartiene più alla storia, ciò che appartiene alla fede, è il significato che si dà a quei fatti, è la conclusione che se ne trae. Chi era dunque quell’uomo CHE HA PRODOTTO SUI SUOI CONTEMPORANEI UN’ IMPRESSIONE COSÌ PROFONDA E CHE HA AVUTO NELLA STORIA DEL MONDO UNA PARTE COSI STRAORDINARIA?
Era egli — come hanno detto alcuni -—un dolce sognatore, un sognatore geniale che ha pronunziato parole svegliami nell’anima umana una eco profonda? Strano sognatore quello, il di cui sogno ha prodotto una umanità nuova !
Era egli semplicemente un grande genio morale e religioso che, in mezzo a molte superstizioni, ha recato agli uomini un sublime ideale ?
Oppure dobbiamo noi riconoscere in lui l'essere che ci rivela ad un tempo il senso della nostra vita e il significato della storia e dell'umanità, colui che può trasformare gli individui e le società umane, la manifestazione stessa di Dio sulla terra?
Signori, per rispondere con qualche chiarezza a queste domande, bisogna necessariamente partire da un punto che ci sia comune. Qualunque siano le vostre convinzioni personali, voi siete degli spiriti indipendenti, entusiasti per la bellezza morale; sono dunque persuaso che v’è un punto sul quale siamo tutti d’accordo: siamo d’accordo nella nostra ammirazione per la bellezza morale di Gesù di Nazaret. Siamo d’accordo per salutare in lui un amico dei poveri e degli umili, uno di coloro che non hanno esitato a far fronte ai potenti delia sua epoca e a denunziare le loro iniquità ; uno di quelli altresì che non si sono accontentati di pronunziare delle belle parole, ma che vi hanno realmente conformata la loro vita; una delle più nobili personalità che siano comparse fra gli uomini. Su questo punto siamo d’accordo non solo fra noi, ma altresì coi principali rappresentanti della democrazia moderna. Renan — il quale pure non era un democratico, ma che possedeva ad un grado elevatissimo il senso della bellezza — termina la sua Vita di Gesù con queste parole: «Qualunque possano essere i fenomeni inattesi del futuro, Gesù non sarà superato ; tutti i secoli proclameranno che, tra i figliuoli degli uomini, nessuno è nato più grande di Gesù ». Più vicino a noi, tra coloro ai quali non si può rifiutare il nome di democratico, G. Séailles, in un articolo intitolato «Perchè i dogmi non rinascono», scrive: « Per quanto poco sappiamo della storia reale di Gesù' di Nazaret, scaturisce da quelle pagine una nobile figura morale la cui influenza non cesserà di farsi sentire, una pura coscienza che, nel suo geniale candore, al di là dei pregiudizi della sua razza e delle proprie illusioni, scopre e ci rivela il secreto di ogni coscienza umana».
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E ancora. E’ il presidente, 0 l’ex presidente, della Federazióne dei liberi-pensatori francesi, Ferdinando Buisson, il quale termina le sue conferenze sulla religione, la morale e la scienza con queste parole : « L’omaggio che io rifiuto a tutte le ortodossie, non lo rifiuto all’uomo la cui voce, dal fondo dei secoli, mi chiama alla pienezza della libertà, m’inizia alla plenitudine della vita spirituale. La sua dottrina e la sua vita, che non si distinguono l’una dall’altra, rifanno in me la medesima rivoluzione ch’esse hanno compiuto nel mondo: esse mi Strappano all’egoismo, mi sollevano al di sopra di me stesso, esse mi obbligano a vedere e a udire, negli intimi penetrali del mio essere. Ciò Che non avevo saputo o voluto scoprirvi; esse danno uno scopo e un senso nuovo alla vita umana; esse mi persuadono finalmente a preferire a tutte le forinole queste due imagini — d’incomparabile potenza appunto perchè non sono e non possono essere che imagini — Dio nostro padre e gli uomini nostri fratelli... Con quell’uomo io mi sento in comunione di spirito al disopra di tutta la storia » (1).
In tutti questi omaggi resi a Gesù di Nazaret, io constato con gioia che vi è un punto comune sul quale siamo tutti d’accordo.
« * »
Partendo da questo punto comune, mi sarà più facile dirvi perchè vado più lontano. L’attitudine DI QUEGL! UOMINI CHE SALUTANO in Gesù Cristo la più alta personalità MORALE DELLA STORIA E CHE RIFIUTANO DI SEGUIRLO NELLE SUE AFFERMAZIONI RELIGIOSE o che per lo meno lo seguono in modo incompleto, che rifiutano di riconoscere in lui la manifestazione di Dio sulla terra, mi pare 1NSUFFICENTE, ANZI CONTRADITTOR1A. Voglio cercare lealmente di dirvene il perchè.
(x) E’ qui il luogo di ricordare l’omaggio reso al Cristo dal nostro grande democratico Giuseppe Mazzini.
« Era l'anima più piena d’amore, più santamente virtuosa, più ¡spirata da Dio e dall'Avvenire, che gli uomini abbiano salutata. su questa terra : Gesù. Ei s'incurvò sul mondo incadaverito e gli mormorò lina parola di fede. Su quel fango — che non serbava più d'uomo se non l'aspetto ed i moti — ci proferì alcune parole ignote lino a quel giorno : amore, sacrificio, orìgine celeste. E il cadavere si levò. E una nuova vita si diffuse per entro a quel fango che la Filosofia aveva tentato invano di rianimare. Da quel fango uscì il mondo cristiano, mondo di libertà e d'eguaglianza: uscì X'Uomo, immagine, precursore di Dio. Gesù moriva. Ei non aveva, come disse Lamennais, chiesto agli uomini per salvarli se non una croce e la morte su quella. Ma prima di morire egli annunziava al popolo la buona novella; a quelli che gli chiedevano dond'ei ¡’avesse, egli rispondeva: da Dio padre; e dall'alto della croce ei lo invocava due volte. Però, dall'alto di quella croce incominciava per lui la vittoria ; e tuttavia dura >.
Essa è INSUFFICENTE perchè, per me, Gesù non è soltanto la più alta personalità morale che noi conosciamo; egli è la personalità morale perfetta e, per adoperare una espressione abituale, egli è il modello della santità perfetta. Con ciò non intendo un qualche essere fuori delia natura, un qualche personaggio da sacrestia o da vetrata di chiesa; intendo dire ch’egli è il tipo perfetto dell’uomo in tutta la sua bontà e in tutta la sua energia; colui il quale non solo non è stato Superato ma che non può essere superato.
Per parlare cosi — mi direte voi — bisognerebbe conoscere tutta la sua storia, sapere tutto ciò che ha fatto e tutto ciò che ha detto ; e voi non lo sapete. Mi basta, Signori, l’impressione che su di me Gesù produce quando leggo gli Evangeli ; mi basta l’impressione ch’egli ha prodotta su quanti l’hanno conosciuto ; e sopratutto mi basta constatare questo fatto meraviglioso, questo fatto unico nella storia: l’armonia assoluta della sua vita. Me ne appello alla vostra esperienza. Non è forse vero che le più alte coscienze sono quelle che portano sempre su di esse qualche cicatrice? Gesù non ne porta alcuna. Le coscienze più delicate sono quelle che hanno il più alto ideale e che soffrono più dolorosamente delle loro colpe; i migliori sono quelli che si pentono più amaramente: Gesù non si è mai pentito. Certo aveva un alto ideale colui che diceva ai suoi discepoli : « Siate perfetti come Dio è perfetto ». E non era un cieco, non era un soddisfatto colui che narrava il sanguinoso apologo della pagliuzza e della trave : « Ipocrita, togli prima la trave che è nell’occhio tuo, e poi penserai a togliere la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello». Ebbene! colui che così parlava non ha mai pronunciato su se stesso una parola di condanna e neppure una parola di rimpianto. Egli ha recato agli uomini il più alto ideale ed ha sempre avuto la coscienza d’essere all’altezza di quell’ideale. Per spiegare un fatto simile, bisogna supporre o ch’egli sia stato un incosciente (e chi ardirebbe sostenerlo?), oppure, ch’egli sia stato l’uomo morale perfetto. Per me. Signori, questo fatto, che scaturisce dall’Evangelo con una certezza assoluta, basta per mettere Gesù infinitamente al disopra del resto degli uomini.
Non basta. Allorquando si vuole giudicare un uomo, bisogna pure tener conto della testimonianza ch’egli ha resa a se stesso.
Si parla molto oggigiorno degli operai eo-scienli. E sono lungi dal canzonare questa espressione. Un operaio cosciente è un operaio che ha coscienza della sua dignità, della sua missione e dei suoi diritti. E volesse Iddio
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che tutti fossero coscienti ! Ma se Gesù è stato una delle più elette personalità morali della storia, bisogna bene concedere che anche lui sia stato cosciente, e bisogna tener conto di ciò ch’egli ha pensato di se stesso. Ora è incontestabile che Gesù si è chiamato Figlio di Dio e Messia.
So benissimo che questi termini sono diventati per voi difficili a capirsi. Di solito essi suscitano idee che erano assolutamente estranee allo spirito del Cristo. Non appena li pronunziamo, tutta la metafisica del Medio Evo e del Cattolicismo viene evocata dal nostro pensiero. Il Figlio di Dio! appena ho pronunziato quella parola, voi senza dubbio avete visto apparire la seconda persona della Trinità, un essere soprannaturale, incomprensibile, che ha soltanto l’apparenza d’un uomo, un Dio che cammina in mezzo agli uomini. Gesù Cristo non ha mai conosciuto quel dogma della Trinità, che viene in realtà dalla filosofia greca, e non vi ha mai pensato. Egli è stato veramente un uomo; un uomo che ha conosciuto le nostre sofferenze e le nostre angoscia, che ha pianto come noi, « simile a noi in ogni cosa, dice uno scrittore del Nuovo '¡estamento, salvochè nel peccato » ; egli è stato veramente un uomo, ed è per questo ch’ei parla alle nostre coscienze e ai nostri cuori. A mio parere, uno dei grandi errori del Cattolicismo è stato di misconoscere questa umanità di Gesù Cristo.
Ma, in pari tempo, mi pare incontestabile ch’egli ha avuto coscienza d’essere più che un uomo. Gesù sente in lui la persona di qualcuno più grande di lui e ch’egli chiama suo Padre: «Io e il Padre siamo uno», diceva. Gesù ha avuto coscienza d’essere un uomo nel quale Dio ha vissuto e per mezzo del quale Dio si è manifestato. E, dopo tutto, che cosa c’è di straordinario a che Dio si sia mostrato in un uomo? Se Dio è la Bontà Suprema e l’intelligenza Suprema, s’egli ha come noi un cuore e una volontà, che cosa v’è di straordinario a che ci sia apparso in un uomo il quale, in un certo senso, ci fa vedere il Suo cuore e la Sua volontà? Ad ogni modo, è certo che questo fu il pensiero del Cristo : Gesù Cristo ha avuto coscienza d’essere un uomo e d’essere, nello stesso tempo, la manifestazione di Dio.
* * «
E ciò che mi pare contradittorio, è di riconoscere in Gesù Cristo una delle più alte personalità morali che siano vissute fra gli uomini e di pensare, nello stesso tempo, ch’egli
abbia potuto nutrire riguardo a se medesimo cosi enormi illusioni; ciò che mi pare contradittorio è di stimare Gesù abbastanza intelligente per recarci un sublime ideale morale, abbastanza grande per vivere questo ideale... e intanto di non credere in Lui. Ho detto pur ora che, a mio parere, uno dei più grandi errori del Cattolicismo è stato di misconoscere l’umanità di Gesù Cristo. Mi sarà lecito esprimere tutto il mio pensiero e dirvi anche, in tutta franchezza, che, a mio parere, uno dei grandi errori del libero pensiero è stato di misconoscere la divinità di Gesù Cristo. Vi ho detto che Gesù si era altresì chiamato il Messia. Ecco un’altra parola che ci riesce difficile ad intendere. Un Messia: ciò evoca nella maggior parte d’infra noi l’idea d’un buon tiranno che pretende salvarci nostro malgrado, che pretende sopratutto sottometterci alla sua autorità. E gli uomini moderni non vogliono più saperne di simili salvatori.
Signori, lasciatemi dirvi che neppur io voglio saperne. Ma Gesù non ha mai voluto essere il Messia in quel senso. Per lui, quel termine significava semplicemente l’inviato di Dio, che ci reca, per salvarci dal male e dalle iniquità che pesano su di noi, la potenza dei suo Spirito liberatore. E in questo senso — che corrisponde ai vero pensiero del Cristo — io stimo che noi abbiamo ancora bisogno del Messia. Gli oratori socialisti amano dire al popolo : « La salvezza è in voi ». Io mi associo a questa dichiarazione. Si, la salvezza è in noi ; non è nel clero, non è in un buon tiranno, non è neppure in un buon Parlamento; è in noi, nella nostra energia, nella nostra moralità, nella nostra vera fraternità. D’accordo dunque ; ma alla condizione di soggiungere che, ciò nonostante, siamo degli uomini, esposti a tutte le miserie e a tutte le piccinerie umane. Basta guardare intorno a noi, o, più semplicemente ancora, in noi stessi, per constatare quello che siamo. Abbiamo bisogno d'una luce interiore che ci additi la via della liberazione, abbiamo bisogno d’una forza che ci aiuti a camminarvi. Gesù Cristo ha voluto essere, e credo ch’egli sia stato, questa luce e questa forza.
Ma questo termine, il Messia, evocava sopratutto nello spirito di Gesù il pensiero della sua opera sociale. E qui ancora, qui sopratutto, bisogna che io traduca in lingua moderna il linguaggio del primo secolo. Gesù non ha voluto soltanto essere un Salvatore individuale o, secondo il termine adoperato di solito, « il Salvatore della nostra anima » ; egli non ha voluto soltanto portarci la speranza che saremo felici in un altro mondo, dopo la
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nostra morte. Mi preme dichiararlo francamente, Signori, io credo nella vita futura, io credo alla salvezza nell'Ai di là e mi sentirei profondamente infelice se non vi credessi. Ma il Cristo ha voluto stabilire sulla terra ciò ch'egli chiamava il Regno di Dio e che noi chiameremmo oggi la Città di Giustizia ; egli ha voluto fondare tra gli uomini una società giusta, fraterna e morale. Un altro oratore vi diceva, quindici giorni fa, che la religione dell’avvenire dovrà essere una religione sociale, non nel senso eh’essa ci recherà un piano completo di organizzazione economica — ogni organizzazione economica deve adattarsi a determinate circostanze storiche — ma nei senso ch’essa ci recherà lo Spirito informatore, della migliore organizzazione sociale. Questa religione dell’avvenire corrisponde precisamente alla religione del Cristo. Gesù Cristo ha voluto essere questo « Spirito informatore ».
Ecco appunto, diranno alcuni, dove appariscono evidenti le illusioni e le utopie del Cristo. Sono ormai passati due mila anni e dov’è questa società nuova?
Io riconosco esplicitamente ch’essa non può essere identificata con alcuna delle chiese tuttora esistenti. Ma pure essa ha cominciato in tutte le riforme sociali, in tutte le opere di giustizia e di amore che lo Spirito del Cristo ha suggerito ; ha cominciato specialmente nel cuore e nella vita di quanti sono stati i suoi veri discepoli.
Ma intanto dov’è?
A coloro che fanno questa domanda risponderò citando ancora delle parole di Ferdinando Buisson : « Ci vuol altro perchè il genere umano possa dire seriamente, ch’egli è stanco dell’Evangelo di Gesù e che vuole qualcosa di meglio. Egli non lo conosce ; non ha avuto agio di sentirlo, non ha avuto la forza per applicarlo; il poco che ne ha raccolto gli è pervenuto attraverso il denso strato delle superstizioni accumulate; in quanto a metterlo in opera nella società umana, si è appena incominciato. Abbiamo tutto da fare, sì, quasi tutto — e voi lo sapete ! — per organizzare sulla terra quel < regno dei cieli » di cui il giovane ispirato di Nazaret ardi tracciare con mano profetica il primo abbozzo. Una gran parte dell’opera sua è ancora così nuova che la si potrebbe credere inedita. Chissà se la via più breve per giungere alla religione, o alla irreligione, dell’avvenire — e, se il Buisson intende con quest’ultima parola la religione senza dogmi e senza riti obbligatòri, poco m’importa il nome — chissà se questa via più breve non consisterà nel tornare alle fonti e nello scoprire a nuovo quella cosa pro
fondamente originale e ardita che fu la religione o l’irreligione di Gesù!». .
Faccio mie completamente queste parole di un libero-pensatore a condizione di soggiungere che, in questa religione dell’avvenire — che dopo tutto, sotto le forme del passato, è stata, nel fondo della loro coscienza, la religione se non delle chiese almeno di tutti i veri cristiani — la persona di Gesù occuperà più che mai il posto centrale. Ma ancora una volta mi pare che — allorquando si traggono da queste parole tutte le loro conseguenze, allorquando si fondano su Gesù tali speranze — non si può, senza contraddirsi, non riconoscere in lui ciò ch’egli ha voluto essere : l’inviato e la manifestazione stessa di Dio fra gli uomini.
» 5 *
Rimane, Signori, un altro punto che per me ha un’importanza decisiva. Vi sono due fatti di capitale importanza i quali dominano tutto l’Evangelo e di cui non è lecito non tener conto quando si cerca chi è Gesù. Questi due fatti sono la croce e la risurrezione. Dall’interpretazione data a questi due fatti dipende evidentemente ciò che Gesù è per noi.
Non v’ha dubbio che Gesù è morto sulla croce. Ma perchè è morto? Gabriele Séailles scrive ancora: « Il Gesù della coscienza moderna è anzitutto il Gesù della Passione, Pan-nunziatore di verità nuove, il profeta del Dio padre e della fraternità, il giusto che — per aver denunciati gli errori tradizionali e fatto appello alla coscienza umana — ha provocato contro di sè la congiui di questo mondo : preti ricchi e farisei».
Ammettiamo pure tutto questo, ma ciò non va in fondo alla questione. Gesù è egli morto semplicemente perchè, in seguito al suo insegnamento, era in qualche modo costretto a questo supplizio, non potendo sfuggirvi senza rinnegare le sue idee? Io non vengo a difendere le interpretazioni metafisiche date dai teologi del Medio Evo al sacrificio di Gesù Cristo; come il dogma della Trinità, queste spiegazioni sono in armonia colle idee filosofiche della loro epoca e mi pare legittimo che ogni secolo si sforzi di adattare quelle spiegazioni alla sua particolare mentalità. Io mi pongo semplicemente in faccia agli Evangeli. Orbene, un fatto per me innegabile che vien fuori dal racconto evangelico è questo : Gesù ha preveduto la sua morte ed ha marciato volontariamente verso di essa; egli è morto
a ai tutte le potenze , principi del popolo,
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coll’intima certezza che questa morte era un dono di sé stesso necessario alla salvezza dell’umanità.
Rileggete là scena tragica del giardino degli Ulivi, quella scena che, secondo Gabriele Séail-les, non ha potuto essere inventata per ciò stesso «ch’essa, contraddicendo l’idea del Messia trionfante, era rimasta viva nella memoria dei suoi discepoli e s’imponeva al loro ricordo ». In un’ora d’angoscia ineffabile, Gesù lancia quel grido che tanti infelici da quel momento, hanno ripetuto nelle ore dolorose : « Padre ! s’egli è possibile, passi questo calice lungi da me senza che io lo beva»! Ma perchè non sarebbe possibile ? Gesù non ha che da andarsene ; Giuda ed i suoi accoliti non ci sono ancora ; nessuno gli sbarra la strada. Basta leggere q uesta parola dell’ Evangelo per sentire che, s’egli non se ne va, non è per orgoglio, non è per la fierezza delle sue idee ; ciò che lo avvince al supplizio, di cui egli pur ora ha scorto tutto l’orrore, è l’amor suo per l’umanità ; ei muore perchè ama ; ei muore perchè quel dono di sè stesso è necessario per compiere l’opera sua sino alla fine. La sua morte è un atto di solidarietà. Lui stesso 10 aveva detto in una impressionante immagine che gli Evangeli ci hanno conservata : « Se il granello di frumento, buttato in terra, non muore, riman solo; ma se muore porta molto frutto ».
E l’esperienza dei cristiani è venuta a confermare questa certezza intima che il Cristo portava in sè sulla sua croce. E' certo, difatti, che è davanti al Cristo crocifisso che i cuori afflitti hanno trovato il coraggio e la speranza e le coscienze turbate hanno trovato il perdono. E’ davanti al Cristo crocifisso che, per una coincidenza straordinaria, le più alte coscienze morali ai pari degli uomini caduti oiù in basso hanno imparato ad odiare il male : non solamente le iniquità commesse dagli altri, ma le loro proprie colpe. E’ davanti al Cristo crocifisso che l’umanità ha imparato ad amare e a credere nell’amore. « La vista di quel crocifisso per amore, dice Carlo Wagner, ha dato ai cuori afflitti più coraggio che non ne abbiano dato i più bei consigli della sapienza ».
»**
Il secondo fatto di capitale importanza è LA risurrezione. Prendendo questo fatto nelle sue linee essenziali, senza entrare in spiegazioni che mi sento incapace di darvi sul modo in cui ha potuto compiersi, è certo che, per gli apostoli di Gesù Cristo, esso costituiva una realtà. E’certo eh’essi ebbero la
convinzione d’avere veduto il loro Maestro risuscitato e d’essersi intrattenuti con lui. E non è meno certo che la fondazione della Chiesa cristiana riposa su questa convinzione. Allucinazione! esclamano non gli storiografi, che si accontentano di constatare il fatto senza spiegarlo, ma certi filosofi positivisti che lo spiegano in quel modo. Liberi sono di pretendere che la fondazione del Cristianesimo riposi sopra un soffio, un nulla ; e sarebbe letteralmente « un soffio, un nulla », poiché Renan attribuisce questa allucinazione dei discepoli a una corrente d’aria che fece sbattere un uscio. Ma questa spiegazione non spiega nulla; essa non spiega come mai degli uomini scoraggiati e depressi hanno potuto essere trasformati da una corrente d’ària.
Tutta la questione sta qui : Credete voi che la trasformazione morale dei discepoli del Cristo, che ha segnato l' inizio della trasformazione morale dell’umanità, riposi sopra un’allucinazione oppure ch’essa riposi sopra una realtà? In quanto a me non esito a scegliere. E per quanto mi senta trasportato nel campo dell’invisibile e dell’incomprensibile, io saluto nella risurrezione di Gesù Cristo il primo trionfo di colui che ha dato sè stesso per amore.
***
Finalmente, signori, v’è un ultimo fatto che contribuisce a dare al Cristo una funzione affatto speciale, quale non l’ha avuta alcun altro fondatore di religioni. Ma questo è un fatto di carattere intimo eh’ io posso soltanto indicarvi in poche parole e che vi prego di considerare con la vostra intelligenza non solo, ma con quella «intuizione del cuore» di cui parla Pascal.
Alludo al POSTO CHE OCCUPA GESÙ CRISTO non dico nella vita di tutti coloro che sono stati battezzati e che portano il nome di cristiani ; e nemmeno, dico, nella vita di tutti i discepoli di Gesù Cristo — perchè io non nego questo appellativo di discepoli del Cristo a quanti lo considerano come l’ispiratore della loro vita morale — ; parlo del posto che occupa Gesù Cristo nelle anime veramente religiose. Egli è per codeste anime non soltanto un Maestro lontano, che ha vissuto in altri tempi e di cui esse vogliono osservare i precetti; egli è uno spirito tutt’ora vivente di cui sentono in esse la presenza. Lutero esprimeva questa esperienza nel suo stile originale: «Se qualcuno picchiasse al mio petto e mi chiedesse: Chi è li dentro? gli risponderei: Non è Martino Lutero, è il Signor
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Gesù Cristo». E già molti secoli prima, il più grande discepolo di Gesù Cristo, l’apostolo Pàolo, aveva detto : « Non sono pili io che vivo; è il Cristo che vive in me».
Certo, si può essere del parere che trattasi semplicemente di una impressione mistica, risultante dall’amore che queste persone portano al Cristo. Ma, per le anime religiose, questa impressione è l’esperienza dei loro migliori momenti; essa diventa la fonte stessa della loro vita, l’intima certezza sulla quale essi fondano la loro fede. Come dice Wilfredo Monod : « Questa esperienza pone al di fuori di ogni pericolo il centro di gravità dell'anima evangelica. Perchè il Cristianesimo essenziale consiste in un certo modo di essere e dì sentire e di reagire, in un orientamento interiore, nella qualità generica di una persona morale che riflette la personalità spirituale del ('risto Gesù ».
Bisogna concludere. Voi avete il diritto di chiedermi: E lei, che cosa dice di Gesù Cristo, che cosa è egli per lei ? E’ un uomo o un Dio?
Signori, non vi risponderò con una definizione teologica ; non mi proverò a rinchiudere in una formola l’ineffabile. Il mio posto è semplicemente fra gli umili discepoli i quali si sforzano di vivere di realtà e non di formule. Gesù Cristo, per me, è anzitutto colui che m’ha conquistato mediante la sua grandezza morale. E’ colui che, appunto per mezzo di codesta grandezza, m’ha rivelato le lacune e le colpe della mia vita e che mi ha recato, mediante la sua croce, la certezza del perdono e dell’amore del Padre.
E’ anche colui che mi ha rivelato i destini dell’umanità, che mi ha insegnato a non rassegnarmi di fronte alle sofferenze e alle miserie dei miei simili, che mi costringe ad amarli e che mi permette di credere al trionfo della giustizia e dell’amore. E’colui che, di fronte alla morte, accende in me, con la sua
risurrezione, l’invincibile speranza. E’colui che si tiene vicino a me nelle mie ore d’angoscia per rialzarmi e fortificarmi e nelle mie ore di letizia per illuminarmi e richiamarmi all’umiltà. E’colui per mezzo del quale Dio viene a me e per mezzo del quale io vado a Dio.
E, se occorre riassumere questo in un’ultima parola, io dico con un filosofo cristiano del secolo xix: «Gesù Cristo è l’essere che ho incontrato nella mia via, col quale ho lottato, dal quale sono stato vinto e che ormai non sono più libero di non amare e di non seguire fino alla morte» (Carlo Secrétan).
• * *
Signore e signori, ho finito ; non mi rimane che da ringraziarvi per avermi ascoltato con tanta pazienza in un argomento così serio. Non ho affatto la pretesa d’aver risolto il problema del Cristo. Spero anzi avervi mostrato che il problema è insolubile e eh’esso ci oltrepassa : è forse questa la prova migliore che il Cristo oltrepassa l’umanità.
Vi ho esposto lealmente le ragioni della mia fede. Dio mi guardi dallo scomunicare coloro che non pensano come me. Mi ricordo che il mio Maestro diceva: «Tutte le bestemmie contro il Figliuol dell’Uomo saranno perdonate; solo le bestemmie contro lo Spirito non possono essere perdonate». Ciò significava, in lingua moderna, che è lecito sbagliarsi riguardo alla persona del Cristo e che i soli delitti imperdonabili sono i delitti contro la propria coscienza. L’essenziale è una questione pratica: bisogna seguire lealmente i lumi della propria'coscienza.
Ma, allorquando abbiamo trovato in Gesù Cristo la ragion d’essere e la speranza della nostra vita, siamo felici di annunziarlo a uomini che noi rispettiamo.
Ecco perchè sono venuto a parlarvene — semplicemente — come un uomo parla a degli uomini. Ho detto.
A. Quièvreux.
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LA RIFORMA DELLA FAMIGLIA
I.
Nelle democrazie, 1 ’ importanza dei problemi che riguardano la famiglia ya aumentando. Di fronte a questo individualismo che si agita e monta, se la famiglia, che deve servirgli come di contropeso, non sarà la potenza saggiamente e liberalmente conservatrice, essa diverrà lo strumento delle reazioni più pericolose e tenaci. E se, disgraziatamente, la sua influenza venisse a mancare, o meglio, fosse menomata — poiché la famiglia è una di quelle cose che non possono distruggersi tutt’afìàtto — l’ordine sociale mancherebbe all’istante delle sue assise naturali, e le forze politiche si vedrebbero da sole incapaci a mantenerlo. La famiglia, questo problema perenne, è sopratutto il problema dei tempi e dei paesi democratici.
Ora sta il fatto, che purtroppo non ha bisogno di dimostrazione, che la famiglia è in crisi un po’ dovunque ; credo perciò doveroso preoccuparsi della sua riforma. Oh! certo io non potrò mai convenire con.quegli spiriti chimerici, quando non sono perversi, che pretendono migliorar la famiglia, cacciandola nella via delle innovazioni, ché anzi io credo che più che ad ogni altro istituto, convenga alla famiglia la massima del Machiavelli : « Non si riforma un’istituzione che riportandola verso i suoi principi».
Ma qual’è il principio della famigliai E forse una specie di sanzione accordata dallo Stato e dalla Religione agli istinti più o meno inferiori dell’essere umano? Arrossisco di aver posto una simile domanda, ma bisognava pure proporla dacché il senso morale d’una parte degli uomini è ancora cosi ottuso da renderla necessaria. Se la famiglia non fosse che questo, le anime più nobili e più generose ne rifuggirebbero fieramente ed assumerebbero a divisa l’antico verso di Omero: «Vivere senza sposa e morir senza figli ! » Non a questo si è ispirato il cristianesimo, e se esso ha proposto ad anime eccezionali come pure in casi eccezionali; il tipo dell’ascetismo assoluto, ha nel tempo stesso glorificato la famiglia, l’ha aperta a tutti, non come un rifugio tollerato per i deboli, ma come un santuario consécralo per i forti.
CoSi dunque il principio della famiglia, e del matrimonio che ne è la base, non deve punto
ricercarsi in queste bassure su cui non avrei voluto neppure attrarre il vostro sguardo. Lo troveremo forse nella paternità ? Ah ! fra le umane altezze la paternità è delle più sublimi, ed è pensando ad essa che Paolo esclamava : « Piego le ginocchia dinanzi al Padre da cui ogni paternità nei cieli e sulla terra procede! »(i). La paternità è una cima, eppure essa non è alta abbastanza, non è su di essa che l’umana famiglia ha posto il suo trono : è, se volete lo scabello glorioso su cui poggia i piedi, ma non è il suo seggio reale.
Qual’è dunque il principio dell’umana faglia? La paternità è certo un fatto capitale, ma estrinseco e che, di conseguenza, non può costituire l’intima essenza dell’unione degli sposi. Interroghiamo la ragione, interroghiamo il cuore : — la ragione, con la legge che presiede alle relazioni fra persona e persona, la legge cioè della finalità e non della utilità; il cuore, con la legge che presiede a tutti i grandi affetti, all’amicizia come all'amore, la legge dei dono di se stesso: — la ragione e il cuore ci rispondono indicandoci l’essenza della famiglia nel legale, fondamentalmente morale, che unisce per sempre, come in un solo essere, un uomo ed una donna.
Interroghiamo ora la Bibbia: noi vediamo quanta profonda filosofia si celi in quelle pagine poco meditate della Genesi : vi assistiamo allo sviluppo armonioso e progressivo della creazione materiale, a questo sbocciar dell’uomo, spirito nella carne, carne nello spirito, che corona sulla terra tutta l’opera del pensiero creatore. Ebbene, la Genesi ci parla della creazione della donna e dello sdoppiamento dell’umana natura nella sua parte virile e ragionevole e nella sua parte femminile ed affettiva. La Genesi ci trasporta in quel che chiama l’Eden.
Che di strano che l’umanità abbia avuto inizio nell’Eden? E’ bene dirlo subito, io non starò qui a rivendicare nei suoi dettagli il valore storico di questa scena. Ma ragionevolmente nulla le si può opporre, poiché è ben necessario che all’origine delle specie qualcosa di straordinario sia accaduto nel mondo, e, prodigio per prodigio, io preferisco il racconto della Bibbia alle ipotesi di certi sapienti. Ma
(») Efesini, II, I4-I5-
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nel tempo stesso io non ignoro che quando si parla dei misteri dell’origine e della fine, inaccessibili alla nostra ragione, alla nostra immaginazione, a tutte le nostre facoltà nello stato attuale, la Genesi e l’Apocalisse si servono di simboli che non dobbiamo certo prendere alla lettera, per tema di rimpicciolir le cose non meno reali, ma più grandi che la lettera ci rivela, presentandocele dietro un velo.
Eccoci dunque con Adamo ed Evanell’Eden: questa scena ci dice innanzi tutto che noi siamo in regioni ideali per la natura umana, ed, ancora una volta, che nulla v’ha di comune con gli istinti dell’essere inferiore e decaduto. Noi siamo nell’Eden : la natura umana ci apparisce non completa, ma meravigliosamente abbozzata in colui $he più propriamente ha ritenuto il nome di uomo, sulla cui fronte si riflette la possa del pensiero e là volontà. L’apostolo san Paolo, commentando inconsciamente Mosè, ci dice che l’uomo è la testa della donna (1). Miratelo questo capo che presiedè e che comanda ! Sotto il suo sguardo profondo la creazione si svolge : essa apparisce nei suoi esseri più perfetti, quelli che più si accostano all’uomo, gli animali. Le labbra di Adamo si agitano, egli li chiama. O filosofia! Ecco la differenza fra l’uomo e il bruto: la parola!
L’uomo dette al creato il nome. Io ritenne nel suo pensiero, lo dominò ; eppure, malgrado tale potenza, tale intelligenza, l’uomo non era felice. Adamo non trovava un aiuto simile a sè ; la sua ragione cercava la vita, il suo capo si chinava sul cuore. E’ allora che comincia la seconda scena del dramma della Genesi.
L’uomo è preso da profondo sonno. Lasciamo ancor noi un istante la veglia e addormentiamo noi pure i nostri sensi, entriamo in questa intuizione diretta, in questa contemplazione profonda, in questa estasi intellettuale e razionale in cui il mondo appare nelle sue profondità, nelle sue radici : « Adamo fu preso da profondo sonno ! » E’ là, al principio delle cose e non nel mondò che noi abitiamo, è là che si opera per la durata dei secoli lo sdoppiamento primitivo della natura umana.
La donna non è un essere estraneo all’uomo : non sarà un soffio diverso dal suo ad animarla, non sarà formata, come lui, nell’argilla, di sostanze inferiori ; essa ne sarà come il raggio della coscienza, e, per parlare con san Paolo, il fulgore della sua gloria. « La donna — egli dice — è la gloria dell’uomo » (2). Essa sarà lo splendore dell’uomo, ma non della sua
fronte : questa è sede del pensiero. Ah ! questo splendore, questa fiamma, questa gloria, ripeto, si sprigionerà dal cuore ; in esso il racconto della Genesi ce ne mostra il focolare. E «piando la produzione misteriosa è compiuta, la natura umana è compiuta anch’essa ed il Creatore può entrare, su questo globo almeno, nel suo trionfo e nel suo riposo; l’uomo esiste ora tutto intero, testa e cuore: il cuore che si serve del capo per pensare, il capo che si serve del cuore per amare; il cuore ed il capo, l’uomo e la donna che vanno a congiungersi in un’armonia superiore, per non avere che un solo nome. « Nel giorno in cui l’Eterno li creò — dice lo storico ispirato — li chiamò con un solo nome : Adam, l’uomo ! » (1). Questa è la prima pagina della Bibbia, che forse noi non abbiamo mai letta con seria attenzione.
E’ per la sintesi armoniosa del pensiero che predomina nell’uomo e dell’affetto che predomina nella donna, è per l’unione della testa e del cuore, condizione e principio dell’unione dell’uomo e della donna, che va ad erigersi l’edificio così dolce e cosi augusto della famiglia. Ma, badate, con esso è l’edificio di tutta la società, perchè la società è uno sviluppo della famiglia. Che cos’è infatti una patria se non dei focolari riuniti, che cos’è una patria se non una famiglia più grande? Ebbene nella patria, come nella famiglia, si ritrovano le due grandi influenze : il capo che pensa ed il cuore che anta, il capo ed il cuore che devono pensare, amare, agire insieme; e quando essi si separano, guai alle società in cui l’influenza dell’uomo e quella della donna non son più solamente distinte, ma ostili ! Di queste due forze, l’una non distruggerà l’altra, perchè non si può distruggere la natura, ma esse combatteranno la peggiore delle guerre civili ! In tutti i focolari, in tutti i ritrovi, nei santuari di tutte le chiese e fin nei consigli degli Stati, ovunque voi vedrete la potenza affettiva, la potenza morale, la potenza religiosa, troppo spesso annebbiate e sviate nella donna, far fronte ed alle volte respingere la potenza scientifica, liberale, progressiva, personificate nell’uomo.
IL
Ed ora, signori, dal tipo che abbiamo contemplato, volgiamoci verso la realtà : abbiamo Vanità o abbiamo il dualistnot Certo, la realtà non sempre è diversa o contraria all’ideale, ma bisogna pur dire che in una parte della società, l’unità Spirituale del focolare dome(x) I Conni. XI, 3.
(a) I Conni. XI, 7.
(1) Genesi, V, ».
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stico non è forte abbastanza e, per riflesso fatale, l'unità stessa della società ne è minata. E* questa un'affermazione che intendo provare: lo provo considerando la famiglia in due periodi principali, prima e dopo il matrimonio.
Prima del matrimonio', ecco due giovani che non si conoscono affatto, Ovvero, se la vicinanza o l’intimità dei loro genitori ha fatto si che si conoscessero, ignorano l’avvenire che li attende, mentre sono predestinati l’uno per l'altro, lo credo, malgrado l’abuso che ne hanno fatto certi teologi, a questa predestinazione giusta e ragionevole in cui la libertà di Dio non opprime la libertà dell’uomo. A parte però il mondo del mistero, io credo, o piuttosto constato ogni giorno la predestinazione nell’ordine della natura. Così è di piante, di animali, di faune e flore il cui posto è ben fissato in una contrada del globo o in una età geologica; e in un ordine più modesto in apparenza, ma realmente di assai più capitale importanza, così è di anime che, per quanto facciano, non potranno mai svilupparsi l’una senza l’altra. Guai a quelle anime che non si incontrano o s’incontrano male. — Questi giovani son dunque predestinati l’uno per l’altro : come son preparati l’uno per l’altro? Il giovane è la testa : ciò che occorre coltivare in lui sono i doni che ha ricevuto con maggiore abbondanza, la ragione; ma anche il cuore, poiché si è sempre proclivi a cader dalla parte più debole, e d’altronde il cuore è il punto di contatto per cui l’uomo potrà un giorno, nell’ordine morale e domestico, armonizzare con la donna.
Ebbene, domando, l’educazione che oggi viene impartita ai giovani è tale da sviluppar sempre in essi, nella misura in cui sarebbe necessario, il cuore ed i sentimenti affettuosi ? Io formulo questa domanda e mi si risponde : la scienza! Nessuno potrà mai essere più di me fiero, geloso della scienza, ma a patto che essa sia completa, che non si mutili da se stessa e che, come scienza, non prescinda mai dalla vita. La scienza non è soltanto l’osservazione o Pesperimer.to della natura visibile : non è solo la nomenclatura delle cose esterne : lo spirito vale, almeno, quanto la materia e anche esso, non v’è da dubitarne, offre un soggetto ben ricco di studi vari e positivi. Senza dubbio i nostri giovani studiano la storia insieme alle scienze naturali ed astratte e non sarò certo io a maledir la storia, ma bisogna concepirla come i grandi storici, che assurgevano dai fatti alle idee e dalle idee all’anima di un popolo ed ai suoi destini nell’avvenire. Questa è la vera storia. Potrà forse concepirsi la ra
gione senza la coscienza, senza il cuore, senza l’immaginazione stessa? Si potrà mai porre da un canto l’astrazione, dall’altro la vita? Che forse il pensiero che deve pervadere tutto l’essere umano come sangue generoso, segue il suo corso normale quando, preso per cosi dire da vertigine, affluisce tutto al cervello còme un’ebbezza folle o come un’apoplessia che uccide? Questa è la scienza che io non voglio per i nostri figli, ed è precisamente questa a cui troppo spesso vengono condannati nei belli, fecondi, decisivi anni della giovinezza!
Si dice: v’è la religione! La religione ha il suo posto nell’insegnamento, nell’educazione; è come il contrappeso alla scienza troppo astratta e troppo esclusivista. Ma la religione si presenta troppo spesso al giovane sotto forme o con uno spirito ch’egli non può accettare, o ch’egli accetta tutt’al più come una tradizione famigliare che non si discute, ma con cui non si vive neppure. Ah ! si sa bène, la verità divina non varia per variar di tempi e di luoghi : ciò che è verità al di qua dei Pirenei, non può esser certo errore nell’altro versante. Ma vi sono forme di verità predestinate a questo o a quel luogo, a tali o tali altri secoli, e la forma religiosa che occorre oggi ai giovani francesi colti e virili non è punto quella ch’ebbe la sua ragion d’essere nel medio evo e di cui nè l’Italia nè la Spagna vogliono sentir più parlare.
La religione dunque, seppur vi è affatto, sarà come una casella a sè, chiusa ed oscura, nel cervello del giovane; non passerà come un soffio libero e possente sulla sua anima e sulla sua vita.
Ma vi è la- morale! La morale? Io ritengo, signori, che sia grave errore il pensare che solo la religione divida gli spiriti e che la morale li unisca. Se si parla delia morale che la natura ha impresso nel fondo della nostra coscienza, non-ve n’è che una sola; ma questo libro delia coscienza è come tutti i libri sacri : vi si vede spesso solo ciò che vi si vuol vedere. Per questo le morali positive variano col variare delle religioni positive. Per non citar che grandi esempi, non v’è forse oggi, nell’ora stessa in cui parlo, il sofisma stupido e infame, e ciononpertanto accettato da una gran massa di persone, il sofisma delle due morali, l’una per gl’individui, l’altra per la collettività? E nell’ordine individuale non si parla forse, signori, di una morale per l’uomo e di un’altra per la donna?
Son luoghi comuni questi, è vero, ma la stessa vostra approvazione mi dice che occorre insistervi su finché essi sieno passati dalla ret-torica nelle coscienze, e dalla coscienza nelle
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azioni ! Deve pur giungere ii giorno in cui si possa dire a tutti, ai popoli come agli individui: Non mentire !, senza che possa rispondersi che in politica la menzogna è l’arma legittima dei governanti e dei governati ! Deve pur giungere il giorno in cui non si dirà più agli individui : Non rubare !, mentre le nazioni si gloriano delle conquiste; deve pur giungere il giorno in cui romicidio collettivo, quando non fosse imposto dalla più dura delle necessità e dalla più terribile e sacra delle giustizie, abbia ad esser punito, non dicoegualmente, ma assai più severamente dell’assassinio individuale!
Ho detto anche: una stessa morale per l’uomo e per là donna. E’ questo il punto più delicato, ma nel tempo stesso il più decisivo per i costumi contemporanei. Perchè, quando non v’è che una misura di verità ed una misura di giustizia per l’uomo e per la donna, devono esservi dinanzi all’opinione fuorviata due misure di castità? La colpa di una donna è per essa, agli occhi di tutti, un obbrobrio, una ruina, una condanna alla morte morale. La stessa colpa, commessa dall’uomo, non è per lui ragione di detrimento o di vergogna, che anzi troppo spesso se ne gloria come se non avesse coscienza di aver la santa virilità se non per il fatto stesso e nella misura che ne abusa! E la stessa fedeltà misteriosa, ma giusta, che si debbono i fidanzati prima di congiungersi, non è forse giudicata con criteri contraddittori ed ineguali ? Chi è quel giovane che abbia ancora in petto qualche fibra umana, che non esiga da colei che sceglie a sua fidanzata, che domani farà sua sposa, l’integrità gelosa, implacabile, di tutto il suo passato? Ma sono altrettanto numerosi coloro che si sentono obbligati alla reciprocanza? O che forse molli non sorrideranno scettici e beffardi per le pretese d’una simile morale, morale di mistico o di asceta? Vedete dunque che la morale non supplisce sempre a ciò che manca alla religione, per servire di antidoto ad una scienza incompleta e falsata.
Ecco pertanto il giovane, un giovane nobile sotto molti rapporti, eccolo guasto da un lato per il sensualismo, dall’altro per l’astrazione, mentre è chiamato a comprendere un cuore, e qual cuore!, ad amarlo, a rispettarlo, a coltivarlo pure, poiché in realtà, come nel racconto della Bibbia, prima d’essere appieno la sposa dell’uomo, la donna ne deve essere la discepola e la figlia.
Se questa è la preparazione del giovane, quale sarà quella della fanciulla? Il suo cuore, nell’ambiente famigliare, sotto gli sguardi del padre e della madre, nelle intime confidenze
con i fratelli e con le sorelle, fiorirà forse da solo, come una di quelle piante di felici paesi che non han bisogno dello sforzo umano e a cui bastano soltanto la rugiada ed il sole. Ma la sua ragione, come sarà coltivata? Ecco quanto scriveva Fénelon nel xvn secolo nei suo Trai tato dell'educazione delle giovani'. « Nulla è più negletto dell’educazione delle fanciulle. Le abitùdini ed il capriccio della madre ne dispongono sovente a piacere : si dà per assioma che debba darsi a questo sesso poca istruzione». La società del xix secolo ha progredito notevolmente da quella del xvn, in modo da non meritar la critica che di questa faceva il grande arcivescovo? Sentiamo quel ch’egli aggiunge, poche pagine appresso: « La superstizione è molto a temere nella donna, e nulla può sradicarla o prevenirla più di una solida istruzione. Abituate le fanciulle, troppo credule per natura, a non prestar fede alla leggera a certe storie fantasiose e a non praticare certe devozioni, frutto di uno zelo indiscreto, prima che la Chiesa non le abbia approvate». Fénelon non poteva certo supporre che coloro che pretendono essere i rappresentanti della Chiesa avrebbero approvato un giorno tali storie e simili .devozioni.
Non è, o signori, sviluppar l’intelligenza delle giovani stiracchiare le loro facoltà in senso contrario alla loro attitudine, verso cose che non possono comprendere ; non se ne arricchisce la memoria, non se ne nobilita ii pensiero col sovraccaricarle di una massa di fatti e d’idee incomprese. Generalmente parlando, nelle case di educazione in cui esse vengono formate, si preparano delle donne che sappiano, quando il momento sarà giunto, associarsi alla ragione di un uomo, essere le confidenti e le consigliere dei suoi pensieri, delle sue letture, dei suoi lavori? Vengono loro, sovratutto, apprese credenze e pratiche religiose a cui il loro fratello prima, il loro sposo più tardi possano prender parte senza arrossire di sé stessi e senza farsi violenza?
Queste due esistenze così poco preparate l’una per l’altra, il caso, poiché questa volta non posso dir la provvidenza, il caso le avvicina un giorno; un capriccio o un calcolo — quale vai meglio dei due, o, piuttosto, quale dei due è peggiore? — un capriccio o un calcolo li unisce, ed è su ciò che si pretende edificare la sublime trilogia: l’individuo, la famiglia, la società ! Mi si dirà forse : Ma essi si amano. E chiamerete questo : amore, nel senso profondo, morale, cristiano di questa grande parola? Chiamerete questo: amore? Perchè su questa roccia senza terriccio, su questa sabbia sprovvista di acque, un fiore
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effimero è spuntato, un fiore che nella sua apparenza può trarre in inganno uno sguardo distratto, ma che è senza splendore, senza profumo, senza durata, voi affermerete che. si amano? Rimirate dopo qualche anno e vedrete che cosa ne sarà di questa unione!
III.
Lo sposo ha compiuto degli sforzi su se stesso, ha voluto riconquistare il suo proprio cuore per conservar quello della sua sposa. Ebbene, quando alla fine di queste giornate estenuanti delle nostre città industriali e democratiche, quando l’uomo sfinito per la lotta contro i suoi simili e contro se stesso, rientra, vincitore o vinto ma ferito sempre nel focolare domestico, egli pensa gioioso alle due o tre ore di pace, di balsamo pel suo pensiero e pel suo cuore. E sente risvegliarsi in sé quanto v’è di più profondo nel nostro essere - più profondo della scienza, della politica, degli affari, del lavoro, del tumulto della vita moderna- le sante aspirazióni dell’umana natura. Attira sulle sue ginocchia il più piccolo dei figliuoli, e il piccolo innocente ne carezza con le manine festanti - perchè sono pure - la faccia ; dolci manine, esse carezzano le rughe della sua fronte, le cicatrici delle sue ferite, ed il padre respira l’alito del suo bambino come un soffio paradisiaco, ascolta rapito quel chiacchierio ingenuo e sublime che è per metà linguaggio umano e per metà è ancora linguaggio d’angiolo. Poi, al mite chiarore della lampada, parla alla sua sposa cercando di evocare, di fronte al presente si bello e si puro, le visioni gravi eppur felici dell’avvenire. Ma la donna non lo ascolta, o solo traverso le sue proprie preoccupazioni; ella non pensa neppure nè al presente nè all’avvenire dei suoi bambini. Se egli apre un libro di storia, di filosofia, di poesia, la storia, la poesia, la filosofìa li dividono e la donna non vuol partecipare, spiritualmente almeno,a quelle letture. Se apre l’Evangelo, lo interpretano diversamente: se apre un giornale, neppure il giornale possono leggere in comune!
E’ storia questa, disgraziatamente, signori: una pagina di storia più terribile ancora di quelle delle nostre discordie civili e dei nostri disastri in guerra !
11 marito ritornerà ancora al focolare domestico, ma meno gioiosamente dapprima, meno frequentemente poi; quindi, invece di quelle visioni d’innocenza e di pace, non so quali reminiscenze del suo passato o delle sue letture, le cortigiane d’Atene o le baiadere
dell’india s’impossesseranno del suo spirito; poi, infine, si domanderà fatalmente : « Ghe cos’è, in fondo, il matrimonio? Che significato ha una unione registrata in un contratto legale o consacrata da una benedizione religiosa, quando degli abissi separano per sempre le anime?» Ah! signori, se quest’uomo non è un eroe, si metterà alla fine per una via, in cui non voglio seguirlo.
Ed ora là sposa. Potrei mostrarcela anche essa in balia delle stesse seduzioni e delle medesime aberrazioni. Non lo farò: non voglio mostrarvi se non le tinte più gravi e più dolorose di questo quadro. La suppongo dunque che lotti con ogni energia, malgrado le lacune della sua educazione, per riavvicinare il suo spirito e la sua coscienza alla coscienza ed alio spirito del marito. Purtroppo però è precisamente nel suo spirito e nella sua coscienza che troverà delle barriere alla sua volontà. Poiché se in essa v’è, non dirò la superstizione, ma la fede ; se ha dei principi ben determinati, fissi, radicati nell’anima, con cui Siudicare del dovere e dell’eternità, e, per riesso inevitabile, delle cose del presente, della pratica e dei dettagli dell’esistenza ; se, dico, per i convincimenti del suo spirito e per i dettami della sua coscienza, non può superare una certa barriera, che cosa sarà di lei? Da chi può sperar consiglio nelle dubbiezze che riguardano la propria condotta o quella dei suoi figli ? Da chi attingerà luce, consolazione, forza nelle lotte interne che la donna conosce più dell’uomo, e nelle quali, pertanto, l’uomo è il suo sostegno naturale, provvidenziale? So bene ch’ella ha ricevuto da Dio i tre doni della purezza, della tenerezza, della pazienza ; la donna ama di più perchè è più pura, e sa meglio soffrire perchè sa meglio amare. Ma, appunto perchè soggiace a questa legge dell'amore, la donna ha bisogno d’appoggiarsi ad un essere più forte, di ritrovare nell’ordine spirituale colui che, in tale ordine sovrattutto, è il suo capo, la sua testa ; se tale appoggio non lo troverà nel suo marito, se il suo marito non sa condividerne le preoccupazioni religiose e morali, tale appoggio, ripeto, essa lo cercherà altrove. Sarà il prete cattolico o il pastore protestante ; o, se non lo troverà in alcuno dei ministri ufficiali del cristianesimo, lo cercherà in una coscienza religiosa o filosofica, in un uomo forte, grave e puro, che ella stessa consacrerà con le sue preghiere e con le sue lacrime per farne il confidente della sua coscienza.
Per quanto legittima sia questa risoluzione della donna veramente incompresa, a lungo e dolorosamente contraddetta, di questa donna
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di cui sembra che la Scrittura parli sotto l’immagine di Sion ridotta in cattività, dalle gote inondate di lacrime, et tacrymae ejus in ma-xillis ejus, e volgentesi indietro, et conversa est retrorsum, quasi a riguardare un passato che non fu che un sogno e che non toma più ; per quanto sacra sia la disperazione della sposa, della madre, lasciata sola nella sua coscienza, sulla cuna dei suoi figli, dopo questo, ditemi, esiste ancora il matrimonio? Il marito non avrà più che un cadavere : il cuore, la cosciepza, l’anima della donna sua sono altrove per sempre ! L’educazione dei figli non l’interesserà più, o piuttosto, signori — ecco come finisce questo dramma pauroso — il divorzio morale degli sposi si completa col divorzio nell’educazione dei figli. I maschi seguiranno il padre, le femmine la madre; ovvero ciascuno di essi subirà una divisione in sé medesimo, e là dualità che ho indicata negli sposi si ritroverà nei figliuoli. Maschi o femmine, serberanno sempre di questa educazione contradittoria, oh ! non dirò tanta fede: la fede è cosa troppo alta e pura, ma tanta superstizione, quanta basti per non aver più il pensiero libero per tutta la vita, per renderli incapaci per sempre di una risoluzione energica e decisiva nei grandi e solenni momenti della esistenza, il matrimonio, il dolore, la morte; e, nel tempo stesso, ne serberanno tanto dubbio quanto basti per non credere mai fermamente e gioiosamente alla religione che essi praticano, o che, almeno, non hanno il coraggio di ripudiare. Ecco dunque che sotto ogni forma si manifesta questo dualismo che ci tormenta, che ci divide, e che, se non ce ne guarderemo bene, ci ucciderà; esso è il grande nemico !
IV.
Ed ora, signori, bisognerebbe indicare il rimedio. Vi ho molto parlato di cristianesimo ; permettetemi che, per finire, vi conduca ad un focolare pagano, poiché esso è pure il nostro. Il cristianesimo è una sintesi, e lungi dal rigettarli, esso fa appello a tutti gli elementi morali e religiosi dei culti inferiori dell’umanità. Noi non veniamo solo dalla Giudea per il tramite degli apostoli e dei discepoli, noi discendiamo dai Celti, dai Romani e dai Greci, noi apparteniamo alla vecchia ed aristocratica famiglia degli Arii. Ora in ogni famiglia di Arii, sulle spiagge del Mediterraneo come sulle rive de) Gange, v’era in ogni casa un altare, e su di esso un fuoco: guai alla famiglia in cui il fuoco, che doveva ardere giorno e notte, si fosse spento, anche
per un’ora sola. Dinanzi a questo altare, ravvivando questa fiamma, stava un uomo, il padre di famiglia. E’ lui il sacerdote domestico, che versa le libazioni, immola le vittime, celebra i riti e canta gl’inni degli antenati. Il giorno in cui il padre di famiglia — poiché questo nome pater, presso i Romani e presso i Greci, nome di dignità, di sovranità, di sacerdozio, egli lo aveva anche prima del matrimonio — quel giorno in cui vorrà prendersi una compagna, egli l’allontanerà dal focolare e dal culto della casa paterna, e la introdurrà con cerimonia solenne nella dimora e nella religione eh’essa dovrà d’ora innanzi condividere con lui.
Questo altare, chi l’ha rovesciato? Chi ha spento quel fuoco ? Chi ha fatto tacere quegli inni ? Ah ! non mi dite che è stato il cristianesimo! Il cristianesimo ha tutto spiritualizzato ma non ha nulla distrutto. La mina è venuta da un’altra parte: è insita a questa crisi formidabile che traversiamo e che nessuno può prevedere come finirà. Oggi non abbiamo più la religione domestica : abbiamo una religione individuale, e se interrogherete uno ad uno i membri della famiglia, o i migliori fra essi, voi troverete nel santuario intimo della coscienza una fiamma o almeno una scintilla; ma non v’è più l’altare domestico innanzi a cui si preghi o si canti in comune, ovvero, se ve n’è ancor uno, è un altare furtivo dove, nell’assenza del padre, la madre timidamente raccoglie’ i suoi bimbi. Badate, vi sono due cristianesimi, l’uno virile, l’altro femminile o meglio effeminato ; questo secondo potrà forse sopprimere, ma non potrà mai sostituire quell’altro!
Vi offro il rimedio, signori! Rialzate l’altare della famiglia, riprendete il vostro sacerdozio, abbiate la forza di credere, d’insegnare, di pregare, di riunire attorno a voi la vostra sposa, i vostri figli. Ma quale religione, mi domanderete? Quella che la vostra coscienza avrà scelta ; fosse anche la più incompleta, la peggiore fra tutte, sarà sempre meglio che nulla !
Io preferisco, per mio conto, il negro dell’A-frica prosternato dinanzi al suo feticcio, all 'uomo che ha perduto tutto, sia o no per sua colpa, che va tastoni nella notte, che sta sull’orlo del nulla ! Quel feticcio è un pezzo informe di legno, è una radica secca... quel che vorrete : ma che un raggio dell’umana coscienza vi si rifletta un giorno, che una luce e che una rugiada di rivelazione dall’alto vi cada sù, e il legno secco e mutilo germoglierà come sul Carmelo, ed esso fiorirà, esso fruttificherà Jé-hovah!
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BILYCHNIS
Si, la religione più umile, ma una religione! Però non occorre risuscitare gli antichi culti, per quanti benefici possano aver recato al loro tempo ; non occorre idearne di nuovi : l'ultima tappa della luce fra gli uomini è il crislianesitHO. Vero è che lo stesso cristianesimo può ascendere di splendore in splendore, ma esso non potrà esser superato giammai ; si perfezionerà nel concetto che ne hanno gli uomini, nella realizzazione che essi ne fanno, ma, lo ripeto, esso non cangerà di
natura, non cesserà d’essere il cristianesimo: Gesù Cristo ieri, oggi, domani!
Giovani, uomini, sposi e padri formatevi dunque un cristianesimo così stabile, così tenero, così religioso che avvinca la vostra donna e i vostri figli ; formatevi un cristianesimo così illuminato, così virile, così progressista per restarvi yoi stessi, per credervi, per praticarlo con essi!
Padre Giacinto Loyson.
PAGINE SCELTE:
ANATOLIA
I. La pianura della Cilicia.
Se in marzo dall’interno dell’Asia Minore o dalle coste occidentali entrate nella pianura delia Cilicia, vi sembrerà di esser stati trasportati improvvisamente nel cuore della primavera. I fichi che mandavano fuori le prime gemme di un verde chiaro ad Efeso e nella vallata del Nicandro, lì invece sono già ricoperti tutti di larghe foglie che risplendono deliziosamente al sole; l’asfodelo che fiorisce lussoriosamente anche in aprile nella pianura di Troia e sulle colline delle rovine di Efeso, è già appassito nei campi di Soli-Pompeio-polis (la città di rovine, che giace sulle rive del mare non lontano da Mersina) e gli anemoni, delizia degli occhi nella valle del Meandro e nei dintorni di Efeso nella prima gloria di colore, fioriscono fin dai gennaio nei piani della Cilicia. Il pioppo dell’Asia Minore con il suo snello e argenteo fusto, e che dà in fraterna rivalità con i minareti la fisonomia caratteristica all’Anatolia, nelle città come nei villaggi, è qui molto più sviluppato, molto di più che a Konich o ad Angora ; sulle antiche e verdeggianti colonne di Pompeiopolis il fiore dell’«albero di Giuda» fa brillare il suo rosso cupo. La neve di rado cade su questa calda pianura. Quando la primavera sarà più avanzata, sui campi di grano e sulle piantagioni di cotone apparirà una lussureggiante fioritura, ma allora i campi manderanno bagliori di fuoco sotto un calore insopportabile e la febbre mieterà in ogni parte.
II. Le porte del mondo occidentale.
La nostra attenzione, un giorno, su quella ampia pianura, fu fortemente richiamata da uno spettacolo che è dato di rado ammirare ; in aria, in alto, si libravano enormi colonne di cicogne che avanzavano, venendo dal mare. Erano le cicogne dell’Asia Minora e dell’ Europa nel loro cammino verso il nord, dall’Africa. Erano entrate attraverso la vallata del Nilo e la vallata del Giordano per la via di Antiochia, nella Siria ; avevano probabilmente volato sopra il golfo di Alessandretta e s’apprestavano ora a volare sulla catena del Tauro : alcuni gruppi intanto si rifocillavano negli ampi ed umidi campi ; altri si abbandonavano a degli stupendi voli nell’aria, altri infine salpavano calmi e compatti verso i passi del Tauro. Chi aveva mostrato agli uccelli questo cammino, che è la strada dei grandi re dell’Est, la strada di Alessandro Magno e dei Cesari, la strada dei crociati e delle schiere mussulmane? Fu forse la strada umana fatta per seguire il preistorico sentiero degli uccelli di passaggio ? Non ascoltammo talvolta nello stormire dei venti sopra la solitaria pianura cilicia come l’eterno ritmo della trasmigrazione? E, dopo, dove l'impiantito di un’antica strada romana corre attraverso un antiocheno campo d’orzo al di là della strada moderna, non trovammo noi le tracce di un abitante della Cilicia che errò per il mondo tante generazioni fa, che andò dalla Siria, dal sud verso il nord attraverso il Tauro, e dall’Asia
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PER LA CULTURA DELL’ANIMA
Minore nell’est, verso l’Europa, nell’occidente, attraverso il continente e il mare?
L’impressióne che la pianura della Cilicia sia stata il luogo degli scambi internazionali fin da tempo immemorabile si prova ancora più fortemente nella città di san Paolo, in Tarso. Poco più resta allo scoperto dell’antica Tarso ; ma quando gli indigeni cercano, scavando, nel suolo dell’antica città, presso la «Porta di san Paolo», le «antiche pietre lavorate», trovano terracotte e monete del tempo di san Paolo. E sopra tutto, la posizione geografica per gli scambi internazionali è sempre la stessa come nell’età dei grandi scambi religiosi. Come oggi due diverse civiltà islamitiche, la turca e l’araba, confinano nel piano della Cilicia. cosi anche nel passato la stessa regione fu là soglia di due civiltà, il ponte che univa due mondi.
Da uno dei, punti più elevati della moderna Tarso, dalla ròcca dell’antica città voi spaziate con l’occhio in ogni direzione sulla immensa pianura e volgendovi a sud voi avete alla vostra sinistra, dietro le azzurre alture di Amanus e dietro alle ultime ramificazioni delle altre catene siriache nascoste dai vapori, il mondo semitico. Dietro a voi, ma alla vostra destra, si stende con una imponente grandiosità la catena interminabile del Tauro con il suo famoso « passaggio », così importante nella storia, chiamato le Porle della Cilicia, e dietro ad esse si stende il mondo della civiltà romano-ellenistica. Qualunque cosa che giunga dalla Siria e dal Giordano e sia diretta verso Efeso e Corinto deve passare attraverso queste Porte, oppure solcare le onde del Mediterraneo lungo la costa occidentale. Attraverso queste Porte giungevano le lame di Damasco e il balsamo di Gerico; attraverso queste Porte arrivò il Logos, che era divenuto uomo in Galilea e divenne poi di nuovo Spirito per tutto il genere umano.
III. Paolo e Kant.
Due giovani anatolici che avevano ricevuto la loro educazione nell’eccellente Istituto di san Paolo fondato dagli americani a Tarso,
ci furono guida nella loro città nativa. Quando ci ponemmo a tavola con loro in una piccola locanda, uno di essi, credendo forse di farmi un vero complimento, mi disse: «Voi avete Kant!». Ma io gli risposi, non convenzionalmente, ma perchè avevo sentito aleggiare lo spirito di Paolo sulla solitaria pianura della Cilicia, quando avevo visto passare le schiere degli uccelli emigratori e quando sulla rocca di Tarso avevo scorto i « Passi » della Siria e della Cilicia: «Voi avete Paolo.!». E senza dubbio è proprio così ! Che Tarso abbia il suo san Paolo e che san Paolo venga da Tarso non è un puro caso. L’apostolo delle genti viene da un classico centro di scambi internazionali e la sua stessa casa fu per lui fin dalla fanciullezza un microcosmo, nel quale le forze del grande cosmo* antico del mondo mediterraneo erano tutte rappresentate.
Il mondo mediterraneo è il mondo di san Paolo!
IV. Il mondo dell'albero di olivo è il mondo di san Paolo !
Gli antenati di quest’albero stillavano benedizione sui popoli.
Davanti all’occhio dello storico gran numero di sforzi umani verso una più alta civiltà appaiono coronati di rami d’olivo. L’albero di Omero, di Sofocle, il simbolo vivente dell’unità del mondo mediterraneo orientale, \'albero d'olivo, è anche l’albero della Bibbia, del Vecchio come del nuovo Testamento,e nei nomi : Monte degli Ulivi e Getsemani (mulino per l’olio), come nei titoli e nei nomi venerandi di Messia, di Cristo (= l'unto), l’influenza dell’ulivo si estende alle più profonde associazioni e alle più sublimi parole della nostra tradizione religiosa (i). Deismann: Paulus.
(t) La zona di coltura dell’olivo coincide quasi esattamente, nota il Deismann, con la regione della Diaspora giudaica, diffusasi intorno alle coste del Mediterraneo.
La zona dell’ulivo, ad eccezione della Tunisia, dell’Algeria e del Marocco, coincide quasi esattamente con la carta dei viaggi missionari di san Paolo ; notevole la coincidenza fra l'assenza quasi completa dell'olivo in Egitto c la fortuita assenza dell’opera missionaria di Paolo in Egitto.
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BILYCHN1S
L’ORATORIA
creazione di bellezza e consacrazione d’una vita.
L'oratoria è una prova vivente dell’opera di Dio e porta il suo suggello. Dio ha fatto perfette tutte le cose, coprendole con il manto della bellezza, perchè la bellezza è il pensiero divino per eccellenza. L’oratoria è anche essa un dono di Dio.
Tutte le cose, finché sono in cammino verso la loro perfezione, sono rozze; cosi, finché non spuntano i fiori" e i grappoli non pendano dai rami, non può mostrare la vite il fine a cui serve. Dio è un Dio di bellezza e la bellezza è in tutte le cose il punto verso il quale si avvia il loro processo di sviluppo: nella bellezza ogni cosa raggiunge la propria perfezione.
Una forza vivente che fa sue, nell’arte della parola, tutte le risorse della fantasia, tutte le ispirazioni del sentimento, tutto ciò che vi è di potente, di efficace, di espressivo nel corpo, nella voce, negli occhi, nel gesto, in tutto l’uomo che s’agita e vive, è il riflesso del pensiero e dell’opera divina. Ed ecco perchè non v’è concezione così falsa e dannosa quanto quella dei retori e dei parolai, che l’arte della parola, V oratoria, sia una cosa artificiosa, nutrita indifferentemente di bagatelle e di cose serie, splendida bolla di sapone che s’elevi ondeggiante e graziosa dinanzi agli occhi sorpresi di un uditorio affaccendato, in cerca di effetti e di emozioni transitorie.
No: ben lungi dall’essere una cosa cosi meschina, l’oratoria è la consacrazione di tutto l’uomo ai più nobili propositi ai quali egli possa dedicarsi: educare ed ispirare i contemporanei, mediante tutto ciò chi vi è nel
pensiero, mediante tutto ciò che vi è nel sentimento, mediante tutto cièche vi è in ognuno di loro, penetrando nelle anime attraverso le vie del gusto e della bellezza!
H. W. Beecher, On Or a tory.
PREGHIERE
Dio della lodola i
« Guardate gli uccelli del cielo...»
Gksù.
Dio della lodola, di cui il canto è una preghièra, con essa l’anima mia canta e sale a Te !
Che sa essa dell’impressione che su di noi produce? —- Nulla.
Che cosa succede nei suo essere fremente allorquando — ebbra di luce e spersa nelle pianure azzurre — essa lancia quei gridi che a noi paiono alleluia? — Impossibile di saperlo.
Ma cosi siam noi fatti. Quel canto ci parla. Nostro malgrado, c’ ispira e ci trasporta. Esso si eleva e si spande sui campi, sui solchi ove il contadino fatica, dove maturan le messi. Al quadro del lavoro umano esso aggiunge un segno di speranza. Con quella voce che sale, tutto il creato «che geme e travaglia» gravita verso la luce. I germi oscuri dormono sotto la terra; gli abbozzi di vita e di pensiero sonnecchiano nei limbo delle anime nostre come dei neonati nelle loro culle bianche ; tutto quanto cerca, si sforza, aspira è riassunto in questa ascensione e in queste ali agitate.
Sostieni i nostri cuori! Su tutte le nostre lotte, sui nostri dolori, anche sui nostri lutti, lascia librarsi la dolce e divina speranza, o Dio della lodola ! Così sia.
Carlo Wagner.
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L’ETERNO CONFLITTO
SACERDOZIO E PROFETISMO
Il programma della rinnovata rubrica « Per la coltura dell’anima », pubblicato con il titolo « Dalle prediche all’arte! » nel fascicolo di gennaio da un gruppo di ecclesiastici a cui era stata affidata, dopo un’intesa cordiale, la redazione stessa della parte pratica della nostra Rivista (che si propone un ampio lavoro di diffusione degli studi religiosi ed insieme di risveglio della coscienza religiosa in Italia) ha sollevato, con nostra sorpresa, delle vivaci critiche negli ambienti clericali.
Il profondo sentimento religioso, la visione netta delle difficoltà dell’opera di un rinnovamento della coscienza nazionale nel fuoco di una più fresca vita religiosa, il molteplice e assiduo lavoro potrebbero essere la migliore delle risposte da parte dei nostri amici. Ma poiché queste critiche rivelano tutta una mentalità ed una attitudine ben definita, irreducibili sia alle nostre come a quelle dei nostri amici, ci sembra opportuno di mettere in evidenza, sia pur brevemente per ora, le due concezioni opposte della vita religiosa in genere e del cristianesimo in particolare che sono implicite cosi nelle critiche clericali come nel programma della « Per la coltura dell’anima ».
I redattori hanno parlato più volte di spirito profetico e di entusiasmo eroico, di gioia e di ottimismo cristiano per indicare o per descrivere nella maniera meno inadeguata il tono fondamentale della loro vita religiosa e la missione a cui si sentono chiamati. Ciò ha sollevato naturalmente delle proteste e dei ghigni. Essi hanno parlato come hanno par
lato un tempo i veri cristiani e come dovrebbero parlare anch’oggi lutti i cristiani. La loro non è una vana presunzione: la Chiesa è opera dello Spirito ed esso abita in ogni fedele.
Inoltre i Redattori parlavano il linguaggio corrente religioso che si riallaccia all’uso più antico e tradizionale: i critici clericaleggianti intendono la parola « profeta » nel suo significato ristretto, etimologicamente falso, e si esprimono con la diffidenza tradizionale del-l’ecclesiasticismo gerarchico verso un nemico vinto, ma non soggiogato. Come si vede, i clericali parlano il gergo della teologia che ignora la storia e con i preconcetti dell’assolutismo ecclesiastico ; i Redattori invece, il linguaggio della storia e della vita religiosa.
I primi vogliono ignorare la storia del cristianesimo primitivo — società carismatica ed entusiastica —, l’importanza del governo dello spirito e dell’ispirazione individuale nella vita armonica della comunità cristiana, l’eterna lotta fra l’elemento sacerdotale, ritualista, conservatore, giuridico, accentratore e l’elemento profetico, elemento rinnovatore ed ispiratore. Imbevuti di intellettualismo, o, meglio, inceppati negli schemi della teologia scolastica, portati a fare di un elemento storico, esteriore, secondario quale l’organizzazione ecclesiastica, il centro, il fulcro, la fonte stessa della vita religiosa cristiana, non riescono a comprendere le profonde realtà che sottostanno alla Chiesa e la rendono una società religiosa. La norma giuridica o la definizione teologica non sono che espressioni provvisorie, inadeguate, analogiche dei rapporti fra i membri della società religiosa e fra questi e Dio, e di quelle
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verità ineffabili che sono come gli astri del cielo cristiano. Essi dimenticano che se nel cristianesimo ha finito col trionfare la gerarchia, la norma giuridica, la definizione teologica, ciò è perchè il cristianesimo divenendo la religione delle folle ha dovuto abdicare le sue libere forze creatrici dinanzi alla necessaria materializzazione dei suoi organi di diffusione. Solo così, forse, era possibile superare una crisi. Ma col tempo si è perduto il senso della funzione originale dell’accentramento gerarchico ed esso ha preso, aiutato dalle circostanze, uno sviluppo indipendente nel senso dell’assolutismo spirituale. Ma per questo stesso la forza creatrice del cristianesimo incanalata, trattenuta dalle preoccupazioni del passato, dell'uniformità e del convenzionalismo veniva a mano a mano diminuendo.
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Un’altra illusione di cui sono vittima i nostri critici è lo scambio fra la visione del mondo delle idee e quello della realtà vivente.
Un sistema teologico, come quello tomistico, può rinserrare e disporre armonicamente, in linee e in rapporti definitivi, il contenuto intellettuale della dottrina cattolica del sec. xm. Le idee, in un tal sistema, raggiungono il massimo della loro intelligibilità e luminosità e si fissano sub specie aeternitatìs nel glorioso cielo dell’astrazione. Quando un sistema ha raggiunto una tale stabilità e luminosità non è concepibile che possano apparire in esso dei mutamenti e delle oscurità: l’edificio è edificato per l’eternità!
Così, per un teologo non possono sorgere nuove questioni, nuovi problemi.
Ma quando concepiamo invece il cristianesimo per quello che realmente è, e non lo confondiamo con una traduzione intellettualistica di alcuni suoi elementi ; quando lo consideriamo da un punto di vista religioso, esso ci appare come un organismo animato da un soffio animatore, un organismo che cresce continuamente attraverso potenti assimilazioni, che si dirige su sempre nuovi campi di attività per estendere la sua influenza e che nei suoi fortunati tentativi e nelle sue gloriose esplicazioni acquista una maggiore coscienza della grandezza del suo fine e della complessità della sua opera. Ed ecco come la sua vita è per forza di cose attualità, come per ogni organismo, e come egli si trovi a dover risolvere continuamente dei problemi, cioè, ad affrontare, a superare nuove complesse ed inattese situazioni. La trama continuamente rinnovantesi della vita politica, scientifica, mo
rale pongono il vero e cosciente cristiano di fronte a dei rapporti nuovi, sia perchè gli è impossibile di separarsi intieramente dalla vita che pulsa intorno a lui e dentro di lui, come vorrebbe un ecclesiasticismo fanatico, sia perchè egli vuole di fatto essere il « sale del mondo » e perchè illuminato dallo Spirito che non « deve spegnere » s’avvia ad assimilare quanto di buono e di sano crea il lavoro ininterrotto della società umana. Poiché la vita è in continua trasformazione, ma ricca, egli, che ha la luce, deve muoversi con essa. Dovrà invece credere che tutto è già fatto, tutto definito, tutto predisposto? Dovrà il cristiano chiudersi in un desolante pessimismo o in un separatismo pieno di maledizioni ? Dovrà attendere che la sua stessa sensibilità morale, il suo orientamento, le sue esperienze gli sieno suggerite daU’a«/bn74 ecclesiastica ? Dovrà rassegnarsi a non trafficare mai il suo tesoro spirituale? Dovrà credere che il mondo in cui vive è il migliore dei mondi possibili, che il cristianesimo ha fatto tutto quello che poteva fare, che il male che ci circonda è fatale e che la migliore attitudine spirituale di fronte ad esso è la rassegnazione e l’obbe-dienzal Ma c’è una autorità ecclesiastica che ha una risposta per tutti i mali, per tutte le ansietà, per tutte le situazioni possibili, capace di vincere tutte le difficoltà con un energico comando militare IV.' obbedienza cieca, V eterno pupillalo clericale avranno la forza, dopo di avere spenta ogni energia individuale, disconosciuta la varietà armonica delle ispirazioni nella società cristiana, soffocato il vigile senso della responsabilità verso tutti i mali, isolato i cristiani in uno oscuro chiuso, con un sol ordine di far nascere la coscienza del male e la forza di applicare il decreto-rimedio ?
Come potrà giungere fino all’olimpica autorità ecclesiastica la coscienza dei bisogni e delle difficoltà dei fedeli, se si è spento l’organo che li trasmette?
I «Redattori »notavano alcuni dei mali di cui soffre la vita cristiana in Italia, indicavano alcuni problemi, accennavano a delle soluzioni. Ma essi parlavano non per criticare, ma per invitare a rimediare e sopratutto ad aprire un più largo orizzonte alla vita religiosa italiana.
Ciò è sembrato una profanazione ed un atto di ribellione. Ed è ben naturale questo grave giudizio in chi crede che appunto perchè un’autorità centrale divinizzata nelleorigini come nel fine ha tutto definito e regna incontrastata e vigile sul gregge addormentato, la Chiesa abbia raggiunto da troppo lungo tempo il suo perfetto equilibrio. Però chi crede che la vita della Chiesa sia tutto un
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NOTE E COMMENTI
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governo, un’amministrazione, che lo spirito del cristianesimo sia lo spirito di un conservatorismo ristretto amante del pacifico possesso, deilo staiti quo, non ha mai compreso ciò che è il cristianesimo e quale è la sua missione. E’ un cristianesimo di paurosi o di arrivisti. Qual cosa più rinnovatrice della predicazione del Regno di Dio, fermento del cristianesimo?
I « Redattori » presupponevano semplice-mente il carattere speciale della vita religiosa, del cristianesimo e della Chiesa come riducibile nè a un sistema chiuso d’idee, nè a pure norme giuridiche, e si ponevano da un punto di vista dinamico e non statico. La reazione imperante ora nei circoli ecclesiastici romani non è una ragione sufficiente per considerare come unicamente valido e legittimo il punto di vista degli integralisti cattolici, i quali, in lotta contro un preteso pericolo soggettivista ed individualista, hanno esaltato fino all’assurdo, togliendogli così ogni base nella realtà, il principio à’autorità.
* * *
Anche nelle critiche mosse alla conferenza del Monod « Una domanda attuale », è facile scorgere gli stessi equivoci e le stesse presupposizioni intellettualistiche. Il Monod non parlava certo agli studenti laici di Losanna come teologo; egli voleva solo insistere, di fronte ad un uditorio in cui le preoccupazioni e le pretese boriose della scienza ponevano un ostacolo e un principio de non recevoir all’accettazione delle dottrine di Gesù, su alcuni aspetti più simpatici, più vivi, più concreti, più intuitivi della persona e dell’opera di Gesù.
A giovani che trovavano uno scandalo o un’occasione di riso nelle astratte formule teologiche egli voleva mostrare che la realtà religiosa si muove al di là, profonda e ampia come un oceano, delle fragili ed incomplete definizioni dell’antica speculazione teologica, e com’esse hanno solo un semplice valore strumentale e non sono che l’espressione di un tentativo di certe età, di certe scuole, di certi temperamenti per comprendere l’ineffabile della persona e dell’opera redentrice del Salvatore, tentativo legittimo quanto quello più profondo dei mistici. Egli ha voluto commentare praticamente il detto, che conoscere Cristo è semplicemente conoscere i suoi benefizi. Questo soffio spirituale, mistico che anima tutta la con ferenza, fa sì che il conferenziere non si muova precisamente lungo gli aridi solchi della teologia tradizionale. Egli si pone nel centro stesso
delle cose. Qual meraviglia, se un intellettualista, se un antiquario di formule conciliari non senta il sapore del suo gergo teologico, a sua volta eredità da una filosofia superata e dimenticata!
E se questo intellettualista, per giunta, è cosi ingenuo da scambiare i prodotti, i giri sottili e tortuosi della sua speculazione per la realtà, non comprenderà davvero come il Monod si preoccupi poco di cercare, calcando le vecchie orme, « chi è il Cristo » ma si curi anzitutto di sapere «<;//e cosa egli è per noi », e griderà scandalizzato : « Ecco, che il Cristo non possiede più nell’umanità una personalità oggettiva!». Fórse il contadino che riposa nelle ore calde dell’estate sotto l’ombra d’un albero amico e non conosce, anzi, non si preoccupa affatto di conoscere il nóme scientifico della specie e della famiglia dell’albero, ma ne apprezza i benefici e sospira a lui quando il caldo comincia a tormentarlo nel suo rude lavoro, lo conosce meno dell’erudito e curioso botanico che per caso s’imbatte in quello ? Non c'è forse delle realtà interiori, spirituali, una conoscenza più profonda, la conoscenza m istica ?
Ciò che importa, quanto al Cristo, è l’assimilazione personale della sua dottrina e l’identificazione dello spirito del fedele col suo Spirito, il rinnovamento dell’esperienza fondamentale di Paolo : « Non sono oramai più io che vivo, ma è il Cristo che vive in me». Il maestro del cristiano diviene allora lo stesso spirito del Cristo. E allora le formule che valgono più ? Non sono esse stesse il portato di querele senza fine e di abili compromessi, che non formano certo una delle pagine più belle della storia della Chiesa?
» » «
F. De Pressensé
merita di essere ricordato. Noi particolarmente, che della verità e della giustizia ci siamo fatto un culto, dobbiamo ricordare il cavaliere della verità e della giustizia. La famosa leggenda del San Graal, i cui cavalieri si trovavano sempre ovunque fosse una causa buona da sostenere o una ingiustizia da riparare, ha avuto in Francis de Pressensé una personificazione.
Con i suoi articoli, con le conferenze, con l’azione molteplice, instancabile, solerte di presidente della Lega per i Diritti dell’Uomo egli ha combattuto sempre per i più grandi ideali,
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egli è stato il difensore naturale di tutti gli oppressi. Così gli Armeni, i Macedoni, i Finlandesi, i Russi, gli Ebrei, tutti i popoli, tutti i diritti conculcati, lo ebbero generoso paladino. E lo ebbe paladino la Francia stessa per il suo onore, combattendovi col Picquart la più nobile e la più bella delle battaglie, che costituisce anche la più bella pagina della vita dei de Pressensé. L’affare Dreyfus è ancor recente perchè necessiti ricordarlo. I due campioni della verità in questo affare tragico e glorioso, che seppero imporre alla Francia di fare ammenda d’un grande errore e di ripararlo dinanzi al mondo, sono stati colti contemporaneamente dalla morte, come se questa non avesse voluto separare quel che l’eroismo per la giustizia aveva congiunto.
L’affare Dreyfus doveva avere sul de Pressensé una grande influenza. Gli valse a fargli comprendere la iniquità di un assetto economico qual’è l’attuale e, considerando più profondamente, anche dell’assetto sociale, che aveva proprio la più grave colpa contro l’in
nocente deportato all’isola del' Diavolo. Fu così che egli, assertore d’ogni libertà, fu socialista di un socialismo eminentemente umano ed internazionale. Poiché — come scriveva A. Dunois ne\V Hutnaniti— «Pressensé non era soltanto una coscienza, egli era un gran cuore ».
Non dimentichiamo, commemorando quest’uomo, che egli fu il vero iniziatore della separazione dello Stato dalla Chiesa in Francia, poiché, deputato nel 1903, presentava alla Camera un completo progetto in proposito, da cui più tardi il Briand traeva gli elementi essenziali per la famosa legge, con cui la Francia scuoteva alfine un giogo secolare.
Per due ragioni dunque noi ricordiamo e ricorderemo Francis de Pressensé : come vindice di ogni umano diritto e come combattente in prima linea per la liberazione della Francia dalla servitù di una Chiesa. Anche questa del resto era una battaglia per la libertà : per la più grande delle libertà, quella dello spirito.
E. Rutili.
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TRA UBRI 4
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CHI FU IGNAZIO DI LOYOLA?
EL fondatore dei gesuiti ben poco avevamo sino ad ora appreso dalia storia. La quale, particolarmente per ciò che riguarda la vita di costui fino al cinquantesimo anno di età, era rimasta perfettamente chiusa. Ogni documento sulla nascita, sulla paternità, sulla cultura, sullo sviluppo morale, sulle azioni di quest’uomo, sembrava scomparso definitivamente. Ciò ingenerava nei cultori di storia, anche i più modesti, un dubbio grave che la figura del fondatore dei gesuiti non fosse quella di un uomo dalla dirittura morale
non comune, che anzi sotto le apparenze con cui era giunto a noi si celasse
l’equivoco.
Di Ignazio sapevamo appena quello che i gesuiti ci avevano detto. Nato — così si afferma — dalla nobile famiglia dei Loyola, prima fu addetto alla corte del re di Spagna, poi si diede al mestiere delle armi. Difendendo strenuamente Pamplo.ia contro i francesi, fu ferito gravemente. Durante la cura, gli capitò di leggere alcuni libri di pietà che influirono talmente su di lui da indurlo ad intraprendere il cammino della perfezione. Di fatti, appena guarito, si recò al santuario di Monserrato, appèse le armi dinanzi all' immagine della Madonna e donò le sue ricche vesti ad un povero, quindi a Manresa, dove vivendo di elemosina, nel digiuno e nella preghiera, fra cilizi e privazioni d’ogni genere, avrebbe avuto da Dio visioni e comunicazioni preziose, cosicché egli, che era quasi un illetterato, potè comporre il famoso libro degli esercizi. Poi ritornò a scuola ad apprender le nozioni di grammatica insieme coi bambini, dopo di Che si dette alla predicazione ed alla propaganda prima nella Spagna, poi a Parigi, dove con altri compagni di università gettò le fondamenta dell'ordine gesuitico che gli riuscì più tardi di fare approvare in Roma da papa Paolo III.
Questo, in succinto, quel che i gesuiti ci avevano raccontato di lui. Sembra però che la storia, quella vera, cominci ora ad esercitar le sue vendette e a rivelarci che le cose narrateci o non contengono ombra di verità o siano da interpretarsi in maniera direttamente opposta a quella dataci ad intendere. Di queste
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vendette della storia abbiamo sotto gli occhi un saggio importantissimo nel libro di Sigismondo Pey Ordeix, El Padre Mir e Ignacio de Loyola^faAxXà* 1913. Imprenta Libertad, 31). L’interessante di questo libro è che esso contiene in riassunto i risultati a cui era giunto il famoso storico Padre Miguel Mir, gesuita anch’esso, segretario dell’Accademia di Spagna, morto in disgrazia della Compagnia nel 1910. Il Mir scrivendo la Storia interna, della Compagnia di Gesù era riuscito a rievocare in gran parte la vera figura di Ignazio ed in questo ha avuto un buon continuatóre nel Pey Ordeix, uno fra i più noti cultori di scienze storiche in Spagna, che ha potuto rintracciare molti documenti arricchendo notevolmente e conducendo a termine le indagini del padre Mir. Il volume di cui ci occupiamo ora non è che un saggio, poiché l'autóre annunzia due grossi volumi dal titolo Risurrezione storica di Sant'Ignazio di Loyola i quali, a giudicare dal libro già datoci, saranno di capitale importanza sull’argomento.
Diamo ora un rapido cenno delle risultanze storiche, in contrapposto allo schizzo fornitoci dai gesuiti, rivelate dal libro del Pey Ordeix. Ignazio dunque nacque nelle scuderie del signor di Loyola, ove abitava la servitù, e che erano vicine ma separate dalla casa signorile. Ciò è incontestabile ed è lo stesso Ignazio che lo confessò ai suoi segretari e che questi ci trasmisero. Ora, dato anche il costume spagnuolo, è inammissibile che la padrona del castello abbia scelto per partorire l’abitazione dei domestici : sarebbe ridicolo il supporlo. Ciò induce a credere che la madre d'Ignazio non fosse la signora del luogo : ed in caso gli sia stato padre il signore di Loyola Bertrando Yáñez, è da ritenersi che questi l’abbia procreato non dalla sua moglie legittima ma da qualche fantesca. Di questa nascita oscura una riprova è nell’enormità del fatto che Ignazio in nessuna delle sue infinite carte dedica una parola sola a ricordar sua madre e neppur suo padre. Del resto non si sa precisamente nemmeno il nome della madre. In alcuni documenti essa è chiamata Maria Sonez, in altri Marina Sánchez. Gli storici d’Ignazio, riferendosi alle sue parole, lo dicono ultimo di tredici fratelli, altri di undici. Ebbene, fino ad ora, non si è potuto trovar traccia che di soli otto figli del signor di Loyola, compreso Ignazio. Di quel che si riferisce a costui tutto è sparito. Mancano i testamenti del supposto padre e della supposta madre: manca persino la data di nascita, non se ne conosce neppur l’anno (1491 o 1495) e non si sa precisamente quale fosse il suo vero nome poiché appare a diverse riprese con nomi diversi : Ignazio, Iñigo, Giovanni di cui egli si servì volta a volta per sfuggire a vari mandati di cattura e rendersi irriconoscibile.
Le storie gesuitiche raccontano che, ancora ragazzo, lo richiese e lo ebbe dal padre il cassiere del re Giovanni de Velasquez, che, non avendo figli, voleva adottarlo e che con questo Ignazio passò alla corte come paggio dei reali. Nessun documento di questo incarico a corte. In quanto al cassiere si è accertato che egli aveva la bellezza di undici figli, molti dei quali nati prima d’Ignazio.
Un dato importante, appositamente o per ignoranza taciuto dai gesuiti, è che nel 1515, cioè a 20 o 24 anni, Ignazio era chierico da qualche tempo. Ciò appare chiaro da un documento da cui si rileva che nella primavera del 1515 il Corregidor (governatore) di Guipúzcoa aveva iniziato un processo criminale contro Ignazio ed un suo fratello parroco. Non è dichiarato il genere del delitto che viene solo qualificato di «grave e sleale».
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Alla giustizia civile Ignazio si sottrasse ricorrendo al foro ecclesiastico e costituendosi al vescovo di Pamplona. V’è da ritenere che questo fatto sia stato taciuto ad arte dai gesuiti, perchè esso non solo contrasterebbe col loro racconto di Ignazio soldato anzi ufficiale nella guerra dei comuni, ma lo priverebbe di una delle glorie principalissime qual’è quella di avere scritto il libro degli esercizi — che del resto non si sa con certezza se sia farina del suo sacco — in latino, mentre, a quanto dicono, non conosceva questa lingua. I gesuiti ricorrevano, a spiegar ciò, all’assistenza anzi al dettato di Dio, al miracolo. Ora se Ignazio era chierico in età ancor giovane doveva aver conoscenza del latino. E’ ridicolo ogni asserto in contrario, come è ridicolo mostrarcelo per ridarne in età matura sui banchi di scuola con i ragazzetti.
In quanto all’eroismo d'Ignazio come militare ce lo narrano cosi : Avanzandosi i francesi su Pamplona, Ignazio con ¡‘suoi si chiusero nel castello decisi a resistere, nonostante Che l’alcaide (castellano o governatore) propendesse per la resa. Durante l'attacco, Ignazio, dall’alto della torre, arringava i difensori, la spada alla mano, di fronte all’artiglieria nemica. Fu allora che, colpito da una granata, cadde di lassù fin dentro al fossato del castello rompendosi una gamba e restando tutto malconcio. Di fronte a questa narrazione eroica, sta il fatto che comandava in quel tempo il castello di Pamplona un certo Herrera, che comandò più tardi quello di Fuentarrabia, il quale fu costretto alla resa dalla codardia dei suoi capitani e dei soldati che si ammutinarono e lo tradirono. Fu anzi un parente d’Ignazio, un tal Mercato, l’iniziatore della fuga di Pamplona e dell'abbandono della città ai francesi. E fra i principalissimi fautori di questi furono gli Xavier (Saverio), Cioè il padre, i fratelli ed altri parenti di San Francesco Saverio (uno dei primissimi compagni d’Ignazio), i quali nella restaurazione furono condannati a morte ed alla confisca dei beni come rei di lesa maestà ed eccettuati dall’amnistia.
A questo punto accadrebbe la famosa conversione d’Ignazio. Conversione? Non parrebbe troppo secondo la storia. Infatti nella stessa Manresa, là città delle visioni celesti, fu oggetto di mormorazioni e tempeste violentissime per le sue relazioni continue con donne, poiché pare che Ignazio avesse al gentil sesso riservato le sue preferenze di propagandista. Certo si è che egli fu costretto a fuggirsene da quella città, dove avevasi creato un cenacolo di donne, che dal nome suo (allora si serviva di quello di litigo) venivano indicate dal popolo col nomignolo di «Inigas». La principale di queste donne, Inés Pascual, gli offrì allora come alloggio una sua casa a Barcellona, ove si affrettò a raggiungerlo e dove Ignazio riceveva buon numero di donne della aristocrazia — ricordo qui incidentalmente che uno degli avvertimenti d’Ignazio ai suoi confratelli, come ci afferma il padre Gonzàles de la Camara, era di non entrare in familiarità con donne se queste non fossero state molto illustri --e dava loro gli esercizi. Nè si contentò di donne del mondo ma entrò, non sappiamo come nè con quale autorità, in relazione con monache di clausura. Ciò provocò nuove tempeste e nuove gravi accuse contro di lui, che dovette cambiar aria nuovamente e fuggirsene in Alcalà.
In questa città le cose non volsero meglio. Fu anzi qui che l'inquisizione, che da vario tempo gli teneva gli occhi addosso come sospetto di far parte attiva della setta degli Illuminati, cominciò un serio processo contro di lui. Infatti ai-
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cune delle testimonianze raccolte dagli inquisitori starebbero a dimostrare che in realtà Ignazio ed i suoi amici erano tutt'altro che buoni cattolici. C’è, ad esempio, la deposizione di Maria de la Fior, che è da sola un formidabile atto di accusa. Fra l'altro Ignazio avrebbe detto alla teste che alcuni pensieri Che il confessore di lei aveva ritenuto colpa grave, non solo non costituivano affatto materia di peccato, ma che anzi erano... buoni pensieri. Altra volta le aveva ripetuto che non avrebbe dovuto riferire al confessore ciò che passava fra Ignazio ed i suoi e le loro catechizzate. E' illustrato inoltre come le donne fossero tratte a lui e prese da follia isterica. Riferisco, a questo proposito, le parole del processo: «Disse che quando le veniva in pensiero di parlare con Iñigo, e non poteva farlo subito, le veniva un’oppressione come le si coprisse il cuore, finché non gli avesse parlato ; e che ha sentito dire ad Iñigo ed a Callisto (Calixto Sa il quale scappò più tardi in America con una donna) che essi han fatto voto di castità che eran sicuri di se e certi di non peccare anche se qualcuno di essi avesse dormito in una camera con una donzella... Ed una volta la teste era venuta nella determinazione di andarsene insieme a Callisto a far vita eremitica. Poi riferì questo al suo confessore: e di tale confessione Ignazio la riprese acremente». Da notare qui che gli Illuminati ebbero in costume di girare il mondo a coppie, uniti con una donna, come faceva ad esempio la beata Francesca Hernández la vera fondatrice della Compagnia di Gesù con il suo Mediano, Maria Nuñez col suo Diaz, ecc. Inoltre Maria de la Fior dichiarò: «Quando Ignazio od i suoi parlano con lei o con altre donne si fanno molto dappresso a queste : tanto dappresso e cosi confidenzialmente le trattano come se fossero loro mariti ». L’autore aggiunge a questo punto una nota, riportando quel che scrive il celebre teòlogo Melchior Cano, che al suo tempo « si scopri che uno [dei gesuiti] poneva le mani nel petto di una ragazza che confessava e si scusò dicendo che lo fa ceva per vedere se era riuscito ad uccidere le sue passioni ». Finalmente la teste aggiunge che «quando dovevano partirsene col Callisto lei e la sua cugina Anna de Benavente, il Callisto ed Iñigo dissero loro che se durante il viaggio qualcuno le avesse sollecitate ad atti impudichi, non vi avessero acconsentito per il loro onore ; ma se qualcuno le avesse defiorate senza loro volontà esse non commetterebbero alcun peccato che anzi avrebbero maggior merito nel servizio di Dio...». Varie altre donne interrogate risposero concordi che da quando frequentavano Ignazio e si affidavano a lui erano spesso colte da isterismo, mal di madre, e da smanie in modo tale che si voltolavano sul pavimento e si percuotevano il petto e perdevano la conoscenza.
Malgrado tali risultanze, Ignazio fu salvo per la bontà degli inquisitori che considerarono la sua propaganda come una scappatella giovanile, facendogli però divieto assoluto di continuare ulteriormente in essa. A ciò Ignazio non sì piegò, che anzi visto che in Alcalá, dove egli diceva essersi recato per frequentare l'Università, non spirava più buon vento, si trasferì, sempre col pretesto degli studi, a Salamanca. Qui ricominciò le sue pratiche ed i suoi tentativi di proselitismo e fu arrestato di nuovo insieme con qualche suo adepto. Gli riuscì a fuggir di prigione e fu fortuna per lui. In contumacia fu condannato a morte e bruciato in effìgie il 24 luglio 1530.
Non sentendosi più sicuro in terreno spagnuolo dove veniva ricercato in
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ogni canto, Ignazio si rifugiò in Francia, a Parigi. Qui finalmente, dopo una diecina di anni di studi nelle diverse università, riesce a conseguire, il titolo dottorale. Reso più furbo dal passato, si offre alla Inquisizione come confidente passando da un tratto da reo ad agente segreto dell’inquisizione stessa. Curiosa coincidenza: la fuga d'Ignazio è contemporanea allo sbandamento degli illuminati in Spagna ed alla fine dell’attività esterna di questa setta. Sotto le nuove spoglie d’inquisitore era più facile ad Ignazio perseguire i suoi scopi, così gli è possibile a Parigi aggregarsi a soci altri quattro spaglinoli Lainez, Salmerón, Xavier e Bobadilla che il 15 agosto 1534 si vincolarono con giuramento nella chiesa di Montmartre. Pare, da quanto dicono gli stessi gesuiti, che Ignazio abbia fornito denunzie e preso parte attiva alla preparazione della strage di san Bartolomeo. Ma non vi assistette di persona. ( suoi amici eransi già dispersi in vari luoghi impegnandosi a ritrovarsi tutti in Venezia per i primi del 1537 insieme ad Ignazio, che, sicuro sotto la nuova sua qualità di agente inquisitoriale, si era avventurato di nuovo in Spagna a raccogliere i beni di due suoi affiliati, il Làinez e io Xavier e per altri scopi non bene accertati. Anche in questa nuova apparizione non mancò di destar sospetti, particolarmente a Valenza, sempre per ragioni di donne. Di questo abbiamo un testimonio di fede non dubbia, san Tommaso di Villanova vescovo di quella città, il quale fra le accuse che si facevano ai seguaci d’Ignazio dice che una era « che comunicavano molto in casa con donne e che si facevan signori della casa dove conversavano. E questo era stato notato particolarmente in maestro Inigo, quando tu qui da principio... e che queste conversazioni producevano molto scandalo; e in particolare l’insegnar che facevano del Silentium illud et Secretimi che li faceva somigliar molto agli illuminati ».
A Venezia dove Ignazio si affrettò a raggiungere i compagni e dove riuscì con i suoi a sottrarsi alle indagini sospettose del governo della Serenissima col pretesto che attendevano il momento opportuno per imbarcarsi per Gerusalemme come pellegrini, l’ordine gesuitico cominciò a costituirsi formalmente. Vi professarono Ignazio, Fabro, Làinez, Xavier, Coduri, Salmerón, Hoces, Jayo, Rodri-guez, Bobadilla e Broct. A questi occorre aggiungere Diego Càceres allora a Parigi. Questi, meno 1'Hoces, morto nel frattempo e lo Xavier assente, nel 1539 firmavano la domanda di far parte della Compagnia di Gesù, che veniva approvata formalmente il 25 marzo 1540 da Paolo III con molte restrizioni, fra cui quella che i membri della frateria non avrebbero potuto sorpassare il numero di sessanta. I nuovi frati che, occorre ripeterlo, mostravano di far voto solenne di obbedienza al papa, ricevuta la bolla pontificia ed esaminatala attentamente, il 4 marzo 1541, in congregazione secreta, firmarono l’accettazione della bolla stessa con la condizione di « ritenere o ripudiare, confermare o alterare le cose in essa contenute secondo parrà loro più opportuno ». Con questa condizione secreta, meravigliosa prova di malafede, cominciava la sua vita ufficiale la Compagnia di Gesù, di cui naturalmente Ignazio veniva eletto generale.
Questo lo schizzo molto sommario della vita d’Ignazio fino ai cinquantanni. Glie ne rimanevano a vivere una quindicina, che non furono meglio spesi. Non ci occupiamo ora di questo ultimo periodo della sua esistenza. Ci basta aver dato ai lettori un sunto delle risultanze storiche quali appaiono dal libro del Pey
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Ordeix. Ricorderemo soltanto della vita delia Compagnia di Gesti dopo che fu approvata, che uno dei suoi primi membri che abbiamo già nominato, il Càceres, esercitò indubbiamente il mestiere di spione per conto dei francesi contro i suoi compatrioti spagnuoli nelle guerre fra Francesco I e Carlo V. E si hanno indizi documentari — e speriamo che le ricerche storiche già iniziate facciano luce piena su questo puntò — che lo stesso Ignazio fu un organizzatore ed uno sfrut tatore dello spionaggio militare internazionale.
E, per finire, accenneremo alla unica « Gesuitessa professa » che conti la Compagnia. Fra le donne con cui Ignazio ebbe relazione in Barcellona vi fu una ricchissima dama, allora ancor giovane, Isabella Roser, la quale prestò ogni sorta di favore, di aiuto, di assistenza ad Ignazio fino a fornirlo spesse volte di denaro e ad inviargli grosse somme quando era a Parigi, per aiutarlo nei suoi studi. Lo stesso, fondata la Compagnia, ella fece con quei gesuiti che passavano per Barcellona. Morto il marito di lei, Ignazio, che ne teneva di mira le ricchezze, fece in modo da indurla a recarsi a Roma, dove ella venne con una ancella ed una amica e supplicò il Papa che le permettesse di vivere in religione e di far la sua professione religiosa sotto la regola della Compagnia. Ciò le venne accordato. Per un paio di anni le cose non andarono male. Poi cominciarono gli screzi e le divergenze a cagione del denaro. La Roser aveva fatto testamento a favore d’Ignazio e ciò, è naturale, non garbava affatto ai parenti di lei che si vedevano defraudati. Queste cose si riseppero al di fuori provocando un grave scandalo. In breve: Ignazio non seppe rinunciare all’eredità, dimenticò quanto la disgraziata Roser aveva fatto per lui e per i suoi compagni e la cacciò, dopo tanti anni di sfruttamento, dalla Compagnia. L'aveva conosciuta ricca, giovane, felice, la discacciava rovinata, vecchia, coperta di ridicolo.
Dopo ciò possiamo ripeterci ancora la domanda: chi fu Ignazio di Loyola? Un suo confratello della prima ora, il Bobadilla, lo disse « Maligno sofista»; papa Paolo IV lo chiamò «Tiranno»; «Ipocrita degno della forca» gli aveva detto in viso sulla piazza di Alcalá Lope de Mendoza nel 1526; «Impostore», gli avevano ripetuto i domenicani di Salamanca nel 1527 e il celebre teologo, già nominato, Melchior Cano lo aveva definito « Precursore deU’Antieristo ». Più tardi, quando i documenti che potevano comprométterlo erano stati distrutti o nascosti, lo dissero « Santo » e lo posero sugli altari. La Compagnia aveva fatto fortuna.
Ernesto Rutili.
L’UOMO E
Sir Oliver Lodge, il rettore dell’università di Birmingham, è uno dei più rinomati scienziati del mondo. Essendo credente, si è occupato molto delle relazioni della scienza con la religione cristiana, e su tale argomento ha tenuto discorsi notevoli e scritto molti libri, tra i quali sono da ricordarsi i seguenti : Problemi moderni (Modem Problems), Ragione e credenza (Reason and Belief), La sostanza
L’UNIVERSO
della Tede (The Substance of Faith), e Catechismo per genitori e maestri (A Catechisti! for Parents and Teachers). Tutte queste opere sono state lodate dalla stampa e meritano di essere lette e ponderate. Il libro che ora presentiamo alla considerazione dei nostri lettori è uno dei più importanti (1). Di esso il Times
(«) Man and (Mverre by Sir Oliver Lodge. 1913.
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di Londra dice : « Tutto quel che mira ad abbattere l’idea che il concetto scientifico del móndo sia incompatibile con quello religioso e spirituale è da accogliersi con piacere, in vista dei maggiori interessi dell’umanità..; è impossibile non simpatizzare col genuino fervore col quale l’autore si consacra a ciò Jie egli chiama la sua presente missione». E il Daily Telegraph dice : « È un libro eccellente che dovrebb’essere un buono stimolo per molte menti ». E anche il Guardian, giornale religioso rappresentante la parte più viva dei clero della Chiesa anglicana, dice : « Non possiamo chiudere questo notevole libro senza ringraziare di tutto cuore il suo distinto autore dello splendido coraggio col quale si è sforzato d’essere fedele ai fatti dell’ordine spirituale come egli li vede».
Non è un libro di gran mole : sono 284 pagine facili a leggersi. Ñon potremo accettare tutte le conclusioni dell’autore, ma seguiremo con vivo interesse il suo ragionamento, e nel maggior numero delle questioni che s’impongono all’attenzione dei cristiani più seri lo troveremo tanto cristiano quanto scienziato.
Scopo di questo articolo è di fare, per quanto sarà possibile, un’esatta esposizione del contenuto di quest’opera e al tempo stesso un po’ di critica riguardo alcuni punti in cui crediamo che il Lodge sia caduto in errore. L’oliera è divisa in quattro parti. La prima tratta di Scienza e Fede, la seconda Dell’immorla-lilà dell'anima, la terza di Scienza e Cristianesimo e la quarta di Cullo c Servizio divino.
Non è mia intenzione di occuparmi molto di quest’ultima parte perchè interessa principalmente i membri della Chiesa anglicana, sof-fermandovisi l’autore a far la critica di alcune delle sue dottrine e pratiche e a presentare consigli per una loro riforma.
L’autore ci dice nella prefazione quale è il suo scopo. Eccolo :
« Chiunque vive in un periodo di risveglio religioso e riconosce che gli esseri umani sono fra gli agenti consci ed effettivi d’un procedimento di evoluzione, ha l’obbligo di fare quanto può per suscitare un sentimento più vivo del mistero e dell’infinità dell’universo, e per condurre ad un riconoscimento più ampio del fatto della capacità e responsabilità umana; — capacità di promuovere un più chiaro intendimento della possibilità di guidare la razza umana verso un destino che a mano a mano cresce, e responsabilità per la parte che ognuno deve avere nel preparare la via per il regno che viene».
Questo è uno scopo alto e nobile, e vedremo che cosa ha fatto l’autore per raggiungerlo.
Nella prima parte egli cerca di esprimere nel modo più chiaro il forte contrasto che vi è stato nel passato fra gl'insegnamenti della scienza ortodossa e quelli della religione ortodossa. I lettori sanno abbastanza di questo contrasto: il Lodge non lo attenua, ma dice giustamente : « Tuttavia dobbiamo riconoscere che fra gli uomini di scienza ve ne sono stati
SIR OLIVER LODGE
[Elliot & Fry, London W. — Copyright].
molti i quali accettavano senza riserva i fatti e i postulati della scienza ed anche i credi della chiesa, e non tenevano i due ordini di idee separati nella loro mente come i compartimenti incomunicabili di un bastimento, ma vedevano chiaramente in essi un elemento che li concilia e li fonde».
Parlando degli scienziati, Sir Oliver confessa che « un vasto tratto di cognizioni può essere stato ignorato da loro, il quale, quando sarà stato esplorato, farà una rivoluzione nelle loro opinioni speculative »; e, mentre ammette che ogni biologo nutre la speranza di scoprire un giorno l’origine della vita, afferma che fino ad ora nessuna traccia di vita è stata scoperta, che non sia proceduta da vita antece-
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dente, e, rivolgendosi ai suoi collaboratori nella scienza, esclama: < Confessiamo come scienziati, che della vera origine anche della cosa più semplice non sappiamo nulla. La sabbia è della roccia ridotta in polvere e si possono formare delle roccie colia sabbia compatta; ma questo non spiega l’origine, ma parla anzi d’infinità ».
L’esistenza di Dio.
Sir Oliver crede in un Dio personale. Vero è che egli si serve, qua e là di espressioni die fanno pensare ad un panteismo. Per esempio, parla, a pagina 11S, dei modo in cui l’universo costante, fermo, e perseverante tratta i peccati. A pagina 126 ci dice che il solo rimedio per il disaccordo fra l’uomo e Dio è quello di accordarsi coW universo. Di più, a pagina 142 leggiamo: «Io posso immaginare che i falli infernali di Nerone e della Santa Inquisizione fossero ripugnanti e nauseanti al-V universo in un grado quasi insopportabile»; ma chi spiegasse queste espressioni come prova del panteismo, come è inleso ordinariamente, sbaglierebbe. Lo stesso Lodge dice: « Vi sono diverse specie di panteismo: Che il Tutto sia una manifestazione, una rivelazione di Dio; — che esso sia (in un certo modo oscuro e difficile ad intendersi) in qualche senso Dio stesso, può concedersi ; ma che cosa include il Tutto? Sarebbe un Tutto stranissimo quello che comprendesse montagne, alberi, le forze della natura, e l’universo visibile e materiale soltanto, ed escludesse quella intelligenza, quella volontà, quelle emozioni, quella individualità q personalità che riconosciamo in noi stessi. È possibile che Iddio non possegga queste qualità che troviamo in noi?» Altrove egli dice: «Non si neghi alla Deità alcun attributo degno. Nell’ antropomorfismo sono molti errori, ma vi è anche una verità. Dobbiamo ammettere l’esistenza nell’universo di tulli quei degni attributi che- come quello della personalità — appartengono all’uomo: essi appartengono quindi al Tutto».
A pagina 38 troviamo queste parole : « Crede alcuno che la perizia del castoro, l’istinto dell’ape, il genio di un uomo, abbiano avuto la loro origine per il caso e che si possa spiegare la loro presenza con la trasmissione e con il mero supravvivere ? Quale lotta per la esistenza potrebbe spiegare l’avvento di un Beethoven ? Quale lacrimosa necessità di guadagnare il pane come autore di drammi avrebbe potuto bastare a produrre uno Shakespeare? Queste cose sono troppo alte per la scienza del tipo ortodosso ; stia dunque in silenzio e
non neghi niente nell’universo finché abbia almeno fatto uno sforzo onesto per comprendere il Tutto».
Avevamo già cominciato questo articolo, quando Sir Oliver pronunziò, a Birmingham, il suo discorso come presidente della British Associatici) of Science ; eccone la chiusa : « Siamo sordi e ciechi all'immanente grandezza attorno a noi, se non vediamo abbastanza per apprezzare il tutto,-e per riconoscere nel tessuto panno dell’esistenza che vien fuori continua-mente dal telaio in un progresso infinito verso la perfezione, il vestimento sempre crescente di un Dio trascendentale».
11 Miracolo.
Il Lodge dice bene che il miracolo può essere inteso in quattro diversi sensi. Può essere un portento naturale, ma insolito ; un intervento di esseri viventi, ma sconosciuti ; l’utilizzazione, da parte di un potere mentale o spirituale, di leggi ignote ; o può essere l’intervento diretto della Deità. Egli fa in proposito due domande: i° Si deve credere al dominio di leggi irrefragabili? 20 Si deve credere in una direzione spirituale? E benché questi due principi sembrino, ad alcuni, contradirsi, egli non trova difficoltà nell’accettarli entrambi. Egli crede in una forza divina che dirige le operazioni della natura, e illustra questa sua credenza con l’esperienza : < Come la mente possa agire sopra la materia», dice l’autore, « quest’è ora un problema che ci rende perplessi. La vitalità è evidentemente l’intermediario: un animale può compiere azioni e produrre cambiamenti che la meccanica non può predire, e che, senza l’intervento dell’animale non sarebbero accaduti... La vita non è energia, bensì la direttrice di essa e della materia. Le operazioni degl’ingegneri e degli architetti producono ponti, moli e edifici che manifestano mente e disegno. L’energia organica necessaria all’operazione è portata dai lavoratori nei vasi del cibo, ed essi dirigono quell’energia in modo d’esercitare una forza propulsiva e compiere il lavoro; ma è lamente dell’architetto o dell’ingegnere che controlla tutto e se non chiamiamo la intera operazione un miracolo, ciò è semplicemente perchè è cosa alla quale siamo tanto avvezzi. La mente determina. La vita dirige. L’universo materiale è dominato da questi agenti i quali utilizzano l’energia che trovano a loro disposizione, la dirigono, nella via desiderata ».
Nel trattare del miracolo in relazione con la religione, l’autore osserva : « Forse dovremmo
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riconoscere che un essere umano possa, forse inevitabilmente, essere dotato di facoltà e poteri che oltrepassano lo scopo presente della razza, — facoltà e poteri non pienamente intelligibili nè a se stesso nè ad alcun altro. In un uomo di genio non intravediamo forse l’esistenza di poteri eccezionali? Nessuno può spiegare, nè rendere probabile, a priori, l’esistenza di un fanciullo prodigio capace di operazioni, nella musica e nell’aritmetica, superiori alla capacità di quasi ogni adulto. 11 genio combinato con la santità può compiere ciò che per gli uomini ordinari è miracolo». Ed aggiunge : « Se un dato profeta abbia o non abbia potere straordinario, è una questione che dev’essere decisa dai fatti ». Il che mi sembra ragionevole.
La Preghiera.
Molti scienziati — tra cui, cospicuo, il prof. Tyndall — hanno avuto un’idea errata delle vedute cristiane riguardo la preghiera. Essi hanno supposto che i credenti con la preghiera vogliano forzare la mano del Creatore, violare le sue leggi e far prevalere la loro volontà sopra la sua. Hanno preso la preghiera come una specie di magìa o come l’opera di un prestigiatore. Vero è che vi sono dei cristiani che hanno un tale concetto della preghiera, ma non sono cristiani intelligenti. D'altronde sbagliano coloro che vogliono limitare il beneficio della preghiera alla sua influenza soggettiva. La preghiera, secondo l’ammaestramento di Cristo e dei suoi apostoli, confermato dall’esperienza di migliaia di credenti, giova non soltanto per la sua infiuenza soggettiva, sopra colui che prega, ma anche per ottenere benefici oggettivi da Dio. Eppure i cristiani bene istruiti nelle S. Scritture non pensano di imporre la propria volontà a quella di Dio, anzi per loro la preghiera è una consultazione con Dio, proprio come un figlio fa con un padre benevolo e amato, ed egli è incoraggiato a ciò fare dai comando del padre, dai propri istinti e dalla propria esperienza. V’é senza dubbio un abuso della preghiera fra gli ignoranti e i superstiziosi, ma coloro che dubitano della sua efficacia dovrebbero rendersi conto dei fatti che abbondano in suo favore. Per esempio, Giorgio Mfiller di Bristol, durante la sua vita, ricevette per il suo orfanotrofio lire 24,720,725 senza chiedere un soldo ad alcuno, se non a Dio. Egli manteneva ed educava 2000 bambini e spendeva ogni anno lire 625.000. Eppure era un uomo semplice, senza posizione nella società ed ai più sconosciuto. Se vi è qual
che scettico che sia disposto a spiegare un tale fenomeno mediante altre cause dette naturali, senza ricorrere alla preghiera, si provi egli a fare un’opera simile e si convincerà presto del suo errore. L’orfanotrofio esiste ancor oggi, e continua a sostenersi nella stessa maniera, ora che il suo fondatore è morto.
Ma ritorniamo al nostro autore. Egli critica le parole del prof. Tyndall contro la preghiera per la pioggia, e dimostra che una tale preghiera può essere ragionevole. Essa non è necessariamente contro le leggi di natura più che non sia l’ordine dato al giardiniere di inafiìare il giardino. Egli dice : « Non è inconcepibile che in qualche epoca futura gli uomini possano acquistare qualche controllo sopra il tempo, non in una maniera indiretta soltanto, come si fa ora col tagliare alberi e stornare i fiumi, ma direttamente, in tal caso le preghiere per la pioggia diverrebbero naturali, ma sarebbero indirizzate non a Dio, bensì all'ufficio meteorologico ... Si potrà allora conservare un’altitudine di pia rassegnazione osservando che l’ufficio centrale sa meglio di noi come fare ; ma una tale altitudine sarebbe giustamente giudicata supina e fatalistica, se ci trovassimo in grande bisogno, e certamente, ad un livello più alto sarebbe lutt’altro che filiale ».
Più avanti, a pagina 41, l'autore dice : «Noi stessi possiamo rispondere ad alcuni generi di preghiere . . . ; noi stessi possiamo cambiare il corso della natura inanimata, facendo si che i deserti divengano abitabili, e che i luoghi abitabili divengano deserti. Non con lo spezzare le leggi facciamo questo (non si può rompere una legge di natura, giacché essa non è fragile e nello sforzarci di romperla, rompiamo soltanto noi stessi) anzi col-I’ ubbidienza ad esse. Occorre che operiamo in armonia colla legge ; possiamo far questo, e lo facciamo, e per mezzo di noi opera la Deità ». Per il Lodge, la questione della preghiera è da decidersi per mezzo dell’esperienza, - e su questo soggetto egli conclude con una parola che i credenti dovrebbero prendere a cuore. Egli dice: «Sembra che gli uomini religiosi stiano perdendo la loro fede nella preghiera : essi pensano che chiedere qualche cosa a Dio sia contro la scienza. Possono avere ragione; vi può essere un’attitudine più nobile, quella di non chiedere nulla di specifico, ma soltanto l’acquiescenza ». (Interrompo il professore per dire che una tale attitudine sarebbe contro il pensiero di Cristo). « Se gli uomini santi credono così, hanno senza dubbio ragione, ma nonostante tutto quello che la scienza ordinaria ha da dire in contrario ri-
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mane /a possibilità che un’atliludine più da fanciullo possa provarsi più vera e più in armonia con tulle le cose . . . Perchè siamo cosi increduli? Anche in fatto di medicina, per esempio, non è veramente assurdo di dire che prendere le droghe senza pregare sia tanto sciocco quanto pregare senza servirsi dette droghe ».
Nella seconda parte della sua opera. Fautore tratta dell’
Immortalità dell’anima.
Non è nostra intenzione di trattenere a lungo il lettore su questa parte, perchè dobbiamo occuparci più diffusamente della terza, e del resto l’autore non ci dice molto di nuovo su questo soggetto. Tuttavia sarà bene notare la sua ferma convinzione nella persistenza della vita oltre la tomba, e che l’anima umana non dev’essere confusa col suo strumento materiale, il corpo. Egli scrive (p. 78) : « L’anima è quel principio governante che è responsabile della nostra espressione principale e della costruzione del corpo, sotto le restrizioni di condizioni fisiche e dei nostri antenati. Nel suo sviluppo più alto include anche sentimento, intelligenza e volontà, ed è il depositario dell'esperienza mentale. Il corpo è il suo ¡strumento od organo, che ha la capacità di ricevere e trasmettere impressioni fisiche, e di influenzare e di essere influenzata dalla materia e dall’energia. Quando adunque il corpo viene distrutto, l’anima sparisce dalla nostra conoscenza ; quando il corpo diviene difettoso, la funzione è ostacolata e la reazione fisica dell’anima diviene debole e imperfetta. Perciò è sorto il popolare errore che l’anima di una persona uccisa, o di un monco o paralitico, sia stata distrutta o danneggiata, mentre in realtà soltanto il suo strumento (o la sua manifestazione) può essere reso incapace »... Il cervello è presentemente Porgano del nostro pensiero, ma ciò non vuol dire che il cervello generi o produca il pensiero, che l’ispirazione sia un processo fisiologico, o che ogni creatura nell’ universo che pensa debba possedere un cervello... Quando il cavo telegrafico nell’oceano sktlantico si ruppe nel 1858, la comunicazione fra l’Inghilterra e l’America fu subito spezzata, ma quel fatto non cagionò la distruzione nè dell’ Inghilterra nè dell’America. Sembra necessario accentuare questa verità elementare, perchè si ritiene che il contrario tagli la radice di ogni ragione generale fin‘ora addotta in favore della sopravvivenza ».
L’autore continua adducendo ragioni in favore dell’immortalità dell’anima, togliendole
dalla telepatia, dall’automatismo, dalla facoltà subliminale, dal genio e dalla patologia mentale.
Il peccato e la riconciliazione con Dio.
Nella terza parte dell’opera, che tratta della scienza e del cristianesimo, non ci troviamo d’accordo col nostro autore in alcuni punti. Qui si entra più particolarmente nel campo della teologia, e non ci meravigliamo che il Lodge appaia più bravo e soddisfacente come scienziato che come teologo. Nel suo sesto capitolo s’incontrano delle dichiarazioni che, quando furono pronunziate in una conferenza, provocarono una critica dèi Vescovo di Winchester sx\W'llibbcrl Journal\ nel suo settimo capitolo, l'autore le modifica e praticamente ammette che il suo critico aveva ragione. In qualche passo egli parla del peccato come sogliono parlarne soltanto persone che non hanno studialo ponderatamente tutto il soggetto. A pagina 124 combatte contro un’ombra, quando dice che Iddio non ha sentito ira contro l’uomo che stava facendo sforzi ciechi, rizzandosi e cadendo, per uscire dal fango degli attributi bestiali al godimento di quelli umani ». Chi contradirebbe una tale dichiarazione? Ma quello sforzo non è l’idea che la Bibbia dà del peccato, e nel rispondere ai suoi critici il Lodge praticamente concede ciò nel dire (pag. 140): « Ognuno sa che questo mondo non è fatto di acqua di rose; le cose che sono accadute e che accadono in esso sono spaventevoli. Bisogna riconoscere la forza dell’esperienza espressa nelle esclamazioni in Luca 12: 5, e in Ebrei io: 31 ;... e mi rallegro dell'opportunità di diffondermi un poco sul soggetto del peccato e dell’ ira Divina, che è stato trattato troppo brevemente e troppo superficialmente nel capitolo sesto ». E più avanti (pag. 140) dice: « lo son certo che ciò che si può senza irriverenza chiamare fiera ira contro il peccato e anche contro una certa classe di peccatori è un attributo Divino ».
Nel capitolo sesto l’autore parla molto contro quella teoria della riconciliazione con Dio (espiazione) che egli suppone sia la dottrina ortodossa. Ma anche qui egli combatte contro un’ombra. Fra i molti aspetti della grande dottrina della riconciliazione con Dio, ossia l’opera redentrice di Cristo, egli sceglie per le sue osservazioni quello che, benché abbia qualche relazione con la verità, non è conservato dai teologi più illuminati di oggi. Quell’idea che Iddio sia furibondo e che Cristo come una terza persona distinta da lui,
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sia, nella sua compassione, intervenuto per renderlo disposto a salvare l’uomo, può avere posto nelle menti degl’ignoranti, ma non è tenuta dai credenti intelligenti : nel combatterla il Lodge fa come chi si fabbrica un uomo di paglia per poi avere il piacere di abbatterlo. La ignoranza teologica del Lodge si rivela in questa dichiarazione in cui egli crede di esprimere la idea degli ortodossi (p. 120): « Cosi la speranza di una più alta umanità ci è tolta acciocché i peccati dell’uomo siano espiati in una maniera sovraumana e un Dio iracondo sia rappacificato ». Dev’essere veramente cieco quell’uomo il quale non vede che la fede nell’opera redentrice di Cristo — anche quando quella fede si è trovata unita a poca intelligenza — è stata sempre e ovunque la forza più grande che il mondo abbia conosciuto nel raggiungimento della più alta umanità. Se Cristo non fosse che un uomo, e la sua personalità non fosse unica, avrebbero ragione coloro che si oppongono al suo sacrificio ; ma così non è : secondo le S. Scritture è Iddio stesso che, in qualche maniera maravigliosa, soffre e si sacrifica. Nel Nuovo Testamento non abbiamo un Dio furibondo placato da un uomo, bensì un Dio che è amore. « Iddio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito figliuolo, ecc. ».
Ma è un piacere notare che anche Sir Oliver Lodge, in altre pagine, accetta l’essenza della dottrina cristiana riguardo l’opera redentrice del Cristo. Egli riconosce almeno un germe di verità nella dottrina delle soflérenze vicarie di Cristo, e dice : « L’essenza della verità contenuta in essa sembrerebbe questa, cioè che il còmpito responsabile dell’evoluzione — lo sforzo humanam condere genlem — non poteva essere intrapreso e portato alla perfezione neanche dalla Deità senza serie soflérenze e una pazienza agonizzante ». Ed aggiunge : « la genuinità della sofferenza divina, non importa quanto sia inevitabile, è stata riconosciuta sempre come una rivelazione dell’amore divino e paterno». Sebbene l’autore non voglia ammettere che le softerenze di Cristo siano vicariamente penali o propiziatorie, nelle sue parole : « Il peccato della creatura produce soflérenze nel Creatore », abbiamo l’essenza della dottrina dell’espiazione. Quella dottrina è come una .montagna di verità con molti aspetti ; una fotografia può essere una giusta rappresentazione di qualcuno di quegli aspetti, ma sarebbe falsissima se fosse presa come una fotografia della intera montagna ; ciò che ha destato l’opposizione di Sir Oliver Lodge è un aspetto solo, che egli ha preso per una veduta della montagna intiera.
Concludiamo queste osservazioni riproducendo dal libro due pensieri che faranno piacere a tutti i veri credenti. Leggiamo a pagina 149 : « Vi è evidentemente qualche cosa d’unico nella maestà di Gesù come il Cristo, qualcosa che lo innalza al di sopra della natura o della condizione dell’uomo; e la buona volontà con la quale un tale essere ha preso la nostra natura e ha vissuto come uomo povero, e sj è messo di fronte alla certezza orribile di una morte crudele, per poter aiutare personalmente coloro che egli chiama i suoi fratelli, è un cespite della nostra razza il quale, per quanto sia mascherato e coperto di accrescimenti estranei, tuttavia risplende attraverso ogni coperta e la sua fragranza penetra in tutti i particolari della vita ordinaria ».
E a pag. 1S4 egli fa questa testimonianza: « Io credo che l’elemento più essenziale nel cristianesimo è il suo concetto di un Dio umano; di un Dio primieramente non separato dall'universo, non al di fuori nè distinto da esso ma immanente in esso; tuttavia non solamente immanente ma attualmente incarnato in esso e rivelato nella incarnazione ».
Siamo grati a Sir Oliver Lodge di questo libro, e vorremmo che fosse letto attentamente da tutti coloro che pensano, ma specie da coloro che credono che la scienza moderna sia incompatibile con la religione di Cristo come è rivelata nei documenti primitivi.
U'orthing, Inghilterra.
N. 11. Shaw.
IL DESTINO DEL DARWINISMO.
Certo il destino scientifico di Giuseppe Sergi (1) è strettamente legato a quello della dottrina darwinista, la quale oggi sconta le glorie eccessive della troppa autorità di cui ha goduto anche per parte nostra sino a un quindicennio fa. Oggi, non solo per questa o quella frazione della scala zoologica, ma per l’uomo essa ha perduto vigore di persuasione. Il darwinismo ha dovuto abdicare al diritto
(1) Prendiamo queste pagine dal medaglione che Paolo Orano ha l'atto di Giuseppe Sergi nel suo terzo volume de / Moderni. (Treycs, Milano 1914. Pag. 350. !.. 4. Rivolgersi alla Libreria ■ Bilychnis •}.
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di spiegare l’uomo antropologico. Io aggiungo anche per sempre.
Ma anche in tale faccenda e cioè trattandosi di crisi del darwinismo, le esagerazioni sono state molte. Quel povero Darwin ! Quante non glie ne han fatte dire, quale parte non gli hanno fatto rappresentare i malevoli, gli inintelligenti, ogni sorta di avversari per partito preso o per fatua e facile seguacità! Da prima si gridò, si scrisse, si predicò — e si predicò dai pulpiti — contro il bestiologo enorme che voleva aver dimostrata la derivazione dell’uomo dalla scimmia. Darwin non ha mai detto questo, ma tant’è ; la sua fama erostratica, specie nel torpido mondo italiano d'una trentina d’anni fa, era sigillata da una simile definizione. Nè è bastato che qualche valentuomo s’affannasse a resistere a un tale errore o, almeno, ad una tale esagerazione. Gli antidarwinisti hanno continuato a sfrenarsi contro il tristo zoologo inglese che metteva il gorilla al posto di Dio. e ci fu persino un avversatore del genere, il quale andò tanto oltre da dire che Darwin soltanto fosse degno, della dottrina, perchè se un uomo scimmione v’era, era lui e il suo ritratto di gorilloide ne è segno indiscutibile ! Povero Darwin ! È vero. I grossi orbitali gittano sopra la luce nascosta degli occhi buoni attenti aspettanti due cespi di grossi peli ; il naso massiccio è aperto da due camuse narici rotonde e le labbra spesse ricordano l’espansione greve del muso qua-drumanesco tutto circondato da una gorgiera irta, molto, oh molto in carattere! Davvero, dinanzi al ritratto di questo osservatore, ho subito sovente l’impressione di qualche cosa che si trasfigurasse, come se il genio della modernità avesse avuto bisogno di risalire e di chiudersi a vigilare nella sagoma facciale della preumanità, donde ha guardato, salvo da ogni brivido, da ogni tremito di lineamenti raffinati dall’evoluzione, le onde i precipizi le fughe i disperdimenti dell’immenso fiume della specie.
Poi la polemica ha assunto un’ altra forma, partendo da un’esigenza diversa. L’evoluzione di Darwin non può non negare la creazione, e la lotta per la vita la provvidenza. Darwin è un ateo: dalli all’ateo! Che scienza poteva essere quella che spiegava lo smeraldo delle primavere, la varietà dei mille e mille esseri, l’ascensione dell’uomo con uno oscuro sforzo di cellule che cecamente finiscono per geminarsi, di anelli che passivamente finiscono per moltiplicarsi, di branchiette che diventano polmoni, di pinne che si fanno appendici articolate, zampetto, aiucce, braccia ! Scienza di una bassa coscienza, scienza senza religione,
scienza senza finalità, negazione di principi! e di missioni, formulazione miope che prescindeva dal millenario consenso degli uomini d’essere e di sentirsi e di credersi un’altra cosa dall'animalità della scala zoologica.
Anche a Dio ed alla Provvidenza divina Darwin non aveva pensato molto. A dire il vero la critica malevolmente censoria ha costretto lo scienziato ad entrare un po’, un pochino soltanto, nella questione, a sistema compiuto. Darwin aveva un’anima serena, un’anima neutra tra l’azzurro gelido del nord e l’azzurro illividito dal sole del sud. Era l’uomo che diceva: — Ma! A questo non avevo pensato, pensatamente pensato, come oggi si direbbe. Quel che io ho voluto dire e spiegare non è partito da una preoccupazione di principi! estremi e contradditori!. Chi sa! Potrebbe darsi che fosse tutto quel che voi credete o volete credere. Ma un uomo di scienza tratta materiali di scienza; ma un biologo, preso dall’interesse di considerare i passaggi dell’organarsi anatomico della specie, non può uscire dall’anatomia della specie e dalle ragioni molto plausibili che le avvicinano le soriano e le figliano le une dalle altre spesso con una tangibile prova. È questione d’intendersi su quel che sia « prova ». Le mie prove son queste, la loro sfera è limitata alla scala dei movimenti, il gorgoglio languido delle masse monocellulari, la motilità iniziale degli organismi autonomi più semplici e poi l’agitarsi lento, lo strisciare, il serpeggiare, il nuotare, il camminare, il volare, su, su. Ñon c’è pósto per la sistematica preocupazione del creazionismo nell’orbita dell’indagine che porta a capire le forme somatiche e le difese specifiche con la legge dei movimenti. Si trova sempre e dappertutto l’ineluttabile esercizio che disorganizza per riorganizzare e variare e suddividere e specificare ogn’ora più gli organi, e l’organo che si protegge sempre meglio per la difesa e s’avvia ad armarsi per la conquista, una volta che snodandosi sulla rupe o nell’erba, scivolando nell’acqua, saltando volando arrampicandosi, abbia acquistato la sensazione e cioè la sua « prova a sè » della sicurezza di vivere.
Leggete l’epistolario di Darwin. Ce n’è abbastanza per capire e per convincersi dell’ineffabile serenità dell’anima di Darwin. Troppo lontano, troppo estraneo alle febbri ed agli agghiacciamenti che han nome di fede o di scetticismo. Ond’è eh’ egli non ha sentito il bisogno di correggere l’opera sua. L’indagine: ecco la sua arte; la seriazione: ecco la sua scienza. Ma una seriazione dinamica, non già quella statica che immobilizzava nella classi-
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ficazione e isolava gli individui, le specie, i generi, le famiglie, gli ordini, i tipi, i regni. Egli ha trovato una legge di vita che s’è fatta a mano a mano, sotto l’indagine, legge di vita, da sèi a poco a poco, senza sforzo, che ha riunito, che una sola cosa ha fatto dell’essere con la specie e della specie con l’ambiente, con il mezzo preciso di lotta, che ha messo in rilievo la subordinazione dei caratteri somatici al tipo di lotta, che ha fatto naturalmente senza sforzo dell’animalità una corrente indistinta omogenea, che nella necessità del sopravvivere, e per essa,-è venuta distinguendosi ed eterogenizzandosi.
Darwin ha creduto di leggere nel l’agitazione della vita che un dinamismo morfologico la domini o addirittura la costituisca, il differenziarsi continuo che altri, non lui, badiamo, vedrà come ascensivo o magari progressivo.
Oggi la polemica ha tutt’altra intonazione. Ho detto che è più sincera ; son molto più nudrite e più alte le coscienze onde prorompe. Ma non è sorta nel cervello di l.oeb quattro anni fa nel Congresso di Ginevra. Da una quindicina d’anni e più tutti coloro di noi che vivono l’acceleramento speculativo dell'epoca, sentivamo che il darwinismo è anch’esso un tentativo. Oggi dinanzi alla riaffermazione dei dubbi e delle critiche al darwinismo, non ci stupiamo. La scienza è un tentativo, un tentativo reso possibile delle armi del microscopio, della comparazione e delle conoscenze generali più assicurate <ii fisiologia delle specie. Ugo de Vries formula quel che sia pur vagantemente, non poteva non essere meditato, presentito dieci e anche più anni fa. Il darwinismo dei filosofi, dei generaiizzatori e peggio dei facilisti, ha finito il suo ciclo. Sociologie psicologi ed economisti s’accordano nel dichiararsi estranei alla classica dimostrazione darwiniana, perchè lo spirito umano ha la propria separata sfera di fatti e di leggi e cosi le società umane, in cui il ritmo o il tumulto dei rapporti è regolato da quel di più che gli uomini associati hanno, l’artificio creatore dell’utensile che si fa strumento di produzione, causa di distanziamenti, determinatore di dislivelli. Per quel che poi riguarda la sociologia, non v'ha più bisogno di ripetere che le sue pretese e le sue speranze biologiche orga-11 ¡ciste darwiniste sono fallite e per sempre.
Insomma il darwinismo è già nella svecchiata intelligenza contemporanea un episodio scientifico. Ecco che si parla di principi! creativi, discontinui, non più evolutivi, ma rivoluzionativi c tutti proprii all’animalità. Ecco i discepoli di Hàckel alzarsi ad obbiettare al maestro tedesco — colui che veniva chiamato,
quando noi eravamo di primo pelo : il più robusto ramo della quercia darwiniana — fatti che sono dubbi se non sono negazioni schiaccianti. S’allontana tutta la scienza sociale dalla evoluzione così spenceriana che darwiniana e germina, fremendo e minacciando nel sottosuolo dottrinario del Historiografía, un criterio niente contro ogni inframettenza di sociologismo evoluzionistico nonché di biologismo darwiniano nei « fatti che son fattura degli uomini » e nelle loro spiegazioni.
La filosofia nuova ha voltato le spalle a Darwin ed a Spencer, alla sociologia, all’evoluzione, al positivismo.
Passi per Spencer e per il positivismo, nato male e troppo presto asservito ad una quantità d’usi pratici diretti ed immediati, filosofia omnibus a tutto beneficio dei semplicisti della penna e della cattedra, a tutto danno dei semplici. Ma bisogna pur chiedersi, con la mano sul cuore, se sia lecito e giusto ed onesto mettere Darwin e il darwinismo nel mucchio. Darwin è il biologo, lo zoologo, il naturalista puro e schietto. In fondo, la portata che s’é attribuita dalla maggioranza degli studiosi al darwinismo, al pari della negazione e del rifiuto accanito che gli si sono opposti, dicono che, se Darwin ha potuto agitare in mezzo secolo tutto questo po’ po’ d'ardore, non lo si può credere destinato a cancellarsi così facilmente dal materiale della cultura moderna, e che tutti, qual più qual meno, dobbiamo allo « stimolo darwiniano » un po’ della nostra, sia pur non darwiniana, evoluzione intellettuale. Checché si dica, la seconda metà del secolo decimonono è, nell’indagine naturalistica, l’epoca di Darwin, come nella vita sociale quella del socialismo. Due tentativi, non riusciti, ma superbi e memorandi ambedue. E mi pare, da onesto lettore dell’opera di Carlo Darwin e di quella che se n’è determinata, che i nostri posteri, a cominciare dai novelli uomini di scienza e noi — dico anche noi — dovremo tornar sopra alla dottrina che racchiude. Il periodo presente è di revisionismo. Darwin vi perderà in dimensioni ; ma quel che resterà sarà fecondo d’una scienza ancora;
Paolo Orano.
PEDAGOGIA E RELIGIONE.
Intorno a questo argomento diamo il pensiero di Giovanni Gentile, come si legge nell’ultimo fascicolo di La Critica (20 marzo 1914) là dove parla del volume di Giuseppe Lombardo-Radice: «Teoria e storia dell’educa-
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zione. - Il lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale ».
« Io ho altra volta sostenuto — scrive il Gentile (pag. 152) — la necessità d’un insegnamento religioso determinato nella scuola elementare, come la forma più congrua, per lo spirito del fanciullo, di quella filosofia, che in una cultura veramente umana non può essere trascurata ; e ho combattuto perciò l’ideale della scuola laica concepita come scuola neutra, propugnando la scuola laica filosofica, che per essere tale deve cominciare ad essere religiosa. Anche il L.-R. dice che la nostra filosofia, l’idealismo immanente, è una religione: e che la scuola non può essere neutra, ma deve essese “ via alla religione nostra ”. Ma egli ritiene che la religione di questa scuola possa e debba essere soltanto arte, scienza, storia, geografia, matematica, tutti gli insegnamenti, o la cultura come organismo : anche la religione de’ padri, ma non nella forma schematica e fredda de) catechismo, ma nelle sue più calde espressioni poetiche, lette e studiate con un maestro, che con lo.studio filosofico e storico delle religioni, abbia già appreso il rispetto di esse. Ottima idea, senza dubbio; ina soltanto, per me, come rimedio all’inconveniente di non avere, di non poter avere per cause politiche, che non hanno niente che vedere col merito della questione didattica, un vero e proprio insegnamento religioso. Perchè è verissimo che tutta la cultura è religiosa, per uno dei suoi aspetti essenziali (v. la mia Didattica, p. li, cap. 3); ma è anche vero che il centro della religiosità di quella cultura organica, che il L.-R. bene vagheggia, non può essere che l’idea di Dio, o, se si preferisce. dell’assoluto come reale e presente. Basta l>erciò la lettura di passi del Vangelo o di un inno del Manzoni? Ecco il punto, lo noto che la poesia si può leggere in due modi : o riflettendo che è poesia ; e allora non s’intende, non si gusta, non ci commuove, non ci educa. O immergendoci nel mondo della poesia, come in un sogno, da cui più tardi ci sveglieremo ; e soltanto allora la poesia vive nel nostro spirito. I! Vangelo va letto con lo spirito del vangelista; Manzoni non s’intende, non si sente, se non si passa attraverso lo spirito del Manzoni. E allora la poesia è una religione determinata! — Ma non è catechismo. — E’e non è catechismo: catechismo diventa nella scuola che analizza grammaticalmente e metricamente e fa parafrasare e mandare a mente e ripetere la poesia. Non è catechismo in quanto vera vita spirituale come può essere e dev’essere — almeno in teoria, giacché si badi che anche dello studio della poesia qui si discorre
in teoria! — anche il catechismo bene spiegato e fatto sentire al cuore fanciulletto nella solennità de’suoi insegnamenti e nella tenerezza de’ suoi moniti ». G. Gentile.
dT
Una conclusione circa l’immanentismo.
Noi abbiamo studiato il sistema dello Schuppe rilevandone le lìnee generali e determinando i rapporti eh’esso ha con gli altri astri della Pleiade Immanente (1). Quale la conclusione del nostro studio? Mi pare che risulti abbastanza chiara dai cenni critici che precedono : la filosofia dell’immanenza non ci dà della realtà e della vita una concezione adeguata alle esigenze del nostro spirito. Lo Schuppe accenna in vari luoghi agli oscuri problemi, davanti ai quali s’arrestano necessariamente l’indagine gnoseologica e l'indagine elica : ma sono sempre indicazioni fatte alla sfuggita e totalmente dimenticate quando torna comodo dimenticarle e contradirsi, sopratutto quando si tratta di determinare la natura della coscienza generica. Anche in questo caso egli ha cura d’avvertire il lettore che non si tratta di speculazione, ma d’una fredda determinazione scientifica, d’un «brutale* Faktum»\ io credo invece che egli abbia fatto delia metafisica, e della cattiva metafisica ; tanto cattiva, che perfino fra i suoi seguaci c’è chi non ne vuole sapere. Ciò che è un «fatto brutale», è il fatto che, in omaggio a questo fittizio concetto della coscienza generica, lo Schuppe ha dovuto riguardare come chimerico tutto ciò che i bisogni morali e religiosi dell’uomo richiederanno sempre : la libertà morale, l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima: di modo che il suo sistema, come parecchi sistèmi idealistici del secolo passato, è riuscito, in fondo in fondo, una specie di naturalismo o materialismo idealistico, che del vecchio materialismo ripudia la materia, ina ne accetta le conseguenze più gravi. Che cos’importa che la Realtà, 1’ Essere vero ed originario sia la materia o sia la coscienza, se, in ogni caso, quest’Essere è destinato ad assorbire e distruggere continuamente le proprie creature, se l’universo non è che una « fantasmagoria dell’infinito eterno Proteo»?
Il Rehmke riconosce esplicitamente che il problema dell’io non è cosi chiaro come altri
(x) AURELIO Pklazza, Guglielmo Schufi/e e la filotO/ìa delFImmaueuM, Milano, Libreria Ediiricc Milanese, 1914, pag. «od — L. 3.50.
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potrebbe far credere: « la vita dell’anima prima della nascita dell’uomo è per noi — egli dice — un mistero cosi profondo come la vita dell’anima dopo la morte dell’uomo». Dopo una confessione di questo genere, la logica vorrebbe almeno che si andasse un po’ guardinghi nelle affermazioni sulla natura e sul destino dell’anima ; invece, voltate la pagina, ed il Rehmke è già lì pronto ad assicurarvi che immortale è soltanto la coscienza o l’anima universale,non l’anima dell’uomo : questa muore col corpo! Nello Schuppe la contradizione dà meno nell’occhio, ma non è meno reale. E queste contradizioni io non me le so spiegare ; io non riesco a capire come, dopo aver riconosciuto la propria ignoranza, si possa trattare con cosi inumana indifferenza i bisogni più profondi e incoercibili dello spirito umano. Se almeno l’insoddisfazione del sentimento fosse compensata da una maggiore soddisfazione dell’intelletto ! Tutt’altro. Se l’anima individuale è un enigma, la coscienza generica è la quintessenza di tutti gli enigmi ; il centro di tutti i nostri pensieri è e sarà sempre il nostro io individuale : una coscienza generica, una coscienza universale ed impersonale è impossibile a concepirsi.
In un passo, già citato, dell 'Etica, lo Schuppe afferma che la morte è soltanto la soppressione « d’ogni unilateralità ed imperfezione dell’immagine del mondo, di tutto il particolare coloramento subiettivo della medesima, condizionato dai limiti necessariamente contenuti nella concrezione spaziale e temporale». Quest’affermazione non ha un senso reale se non dal punto di vista dello spiritualismo; solo ammettendo senza equivoci l’immortalità dell’anima, le parole dello Schuppe diventano comprensibili, ed acquistano anzi un grande e nobile significato: la vita che noi viviamo su questa terra non è la vera vita, ma un passaggio ed una preparazione alla vera vita.
Aurelio Pelazza.
I classici del libero pensiero.
Ardita ma opportuna iniziativa, che merita plauso ed a cui auguriamo successo, è quella della Editoriale Galileo Galilei di Roma, che ha cominciato la pubblicazione, in eleganti volumi solidamente rilegati in tela, dei classici del libero pensiero. Non facciano meraviglia la nostra simpatia ed il nostro augurio. Scaturiscono spontanei dal concetto che noi abbiamo della vita religiosa, che deve essere
continua ricerca e perfezionamento ¡jerénne, e dal culto che professiamo per la serietà scientifica. Poiché il libero pensiero non è davvero negazione d’ogni concetto spiritualista, ma opposizione a tutte le degenerazioni d’ogni filosofia e d’ogni confessione in dogmatismi o in ecclesiasticismi. dominatori irragionevoli e coartatoti della libertà spirituale. E, per quanto riguarda la serietà scientifica, crediamo fermamente che siano parimenti deplorevoli gli adoratori inconsci dei più validi assertori del libero pensiero, e i loro detrattori per partito preso o che giudicano dei loro studi e delle loro conclusioni attraverso le sapienti quanto dif-famatrici riduzioni ai minimi termini di qualche trattateli© di filosofia o di teologia.
Per questo, fautori od avversari del libero pensiero, purché in buona fede, dovrebbero accogliere con particolare interesse la nuova collezione. Tanto più in quanto essa non si limiterà a darci opere degli scrittori più noti, ma ha il merito di trarre dall’oblio ingiusto molti fra i più celebrati autori dell’antichità ed anche di tempi recenti di qualunque scuola e di qualsiasi lingua. Così il programma della prima serie (12 volumi), contiene dei greci: La Scuola d’ Elea ed Eraclito ; dei latini : Marco Aurelio e Lucrezio; e poi Spinoza, Buonarroti, Pomponazzi, La Mettrie, Diderot,Strauss, Guyan, Reade.
Fra i nomi dei collaboratori, che cureranno la pubblicazione dei volumi, leggiamo quelli di Ettore Romagnoli, E. Troilo, .Ettore Cic-cotti, G. Sergi, R. Ardigò, A. Labriola, G. Papini, ecc.
Che le promesse contenute nel programma saranno realizzate, è buona caparra il primo volume, ora pubblicato, che contiene la traduzione italiana del libro di B. F. Strauss. L'anlùa e la. nuova fede, con l’ introduzione di E. Littrè. In questo libro, il famoso autore della Vita dì Gesù, portando agli estremi la sua concezione positivista, giunge a conclusióni radicalissime. Il trattato ha quattro parti : nelle prime due si contiene un riassunto degli argomenti contro i dogmi e le tradizioni su cui si basano, e contro la personalità di Dio e l’immortalità dell’anima, deducendone che n>'n vi possa essere altra religione per l'individuo che il senso di dipendenza dall’universo. Nelle altre due parti si dà un concetto dei mondo e delia vita, tratto, secondo lo Strauss, dalla scienza moderna. Per il concetto del cosmo egli si serve principalmente della teoria di Laplace sull’origine del sistema solare, e di quella di Darwin sull’origine degli esseri organici. Da questi presupposti trae come conseguenza che ogni azione morale sia un de-
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terminar sé stesso secondo l’idea della specie, realizzandola in sè e rispettandola negli altri.
Questo il contenuto del libro. Al momento della pubblicazione, nel 1872. questa opera produsse in Germania un rumore enorme e violente discussioni, dovute alla notorietà dello scrittore ed alle teorie affermate. Ma anche allora fu facilmente rilevato che, in fondo, il massimo problema-non era stato toccato e che una concezione come quella del Laplace o come quella di Darwin non infirmavano affatto il concetto di Dio, che anzi non era possibile, data l’unità del mondo, ammetterne come causa, se l’effetto deve essere già contenuto in essa, la forza cieca della materia. Da una causa puramente materiale potevano scaturire lo spirilo, la coscienza?
I .a stessa obbiezione si affaccia anche oggi ed ha lo stesso valore di quarant’anni fa, mal-Ì;rado il progresso degli studi. Ma quarant’anni a come oggi, anche il concetto spiritualista era informe e degeneralo. Lo stesso Strauss non aveva-saputo affrancarsi dalla figurazione chiesastica di Dio, un essere antropomorfo, parto fantastico di novelliere. Cosi non aveva saputo scindere ne) cristianesimo, in ogni fede, ciò che ne è l’essenza, la spiritualità pura e serena, e la base morale, non fatta di terrori e di spaventi ma precisamente di responsabilità di fronte all’ordine della natura ed al suo or* dinatore, da ciò che teologastri biliosi o mistici vaneggianti vi hanno accollato.
Così l’opera dello Strauss è più ammirevole come opera di reazione energica contro tali degenerameli ti, che come creazione filosofica. Ci 3 però non le toglie valore poiché i problemi accennati o trattati in questo volume saranno sempre quelli che agiteranno lo spirito umano, affannato sempre nella ricerca della verità, e perchè questo libro resterà primo insigne tentativo di un raccordo della speculazione filosofica con le scienze naturali.
“LOGOS”
Abbiamo ricevuto il i° fascicolo di questa nuova Rivista internazionale di filosofia, direna da B. Varisco e A. Bonucci.
« Gli studi filosofici — scrive la Redazione — vanno riprendendo, anzi già ripresero, anche tra noi, un buon avviamento. E non mancano riviste, alcune inolio ben fatte, che li facililino. Ma la nostra, per la sua internazionalità se non per altro, ha una sua caratteristica, e quindi anche un suo ufficio, speciali ; non entra in concorrenza con altre; ma può fare qualcosa che non potrebb’essere fatta da nessun’altra.
« Il titolo ne determinai’ indirizzo in genere ; costruire la filosofia significa, per noi : arrivare con l’indagine fin dove la ragione ci può condurre. Ma la determinazione dell’indirizzo è larga. Escludiamo le abborracciature fatte senza riguardo all’esigenza razionale; ma, dentro i limili segnati da quell’esigenza, la-sceremo a chi voglia farsi nostro collaboratore, la stessa libertà che rivendichiamo per noi».
Ecco il sommario del 10 fascicolo :
Prime linee di una teoria dei fenomeni di B. Variscox Torme della mistica di Giorgio Mehlis-, I soggetti come unità primitive di /< Carabellese; Il divenire naturale e fa sua prevedibililà di Hans Driesch'. Logose Mito nella Teologia e nella Filosofia della Religione di Ernst Troeltsch ; Recensioni.
La Rivista consterà di un volume annuale di 3 fascicoli, ed ogni fascicolo di 112 pagine.
Abbonamento al voi. L. 6. Un fascicolo separato L. 3. Rivolgersi a Bertelli e Verando, Editori. Perugia.
■■ Abbiamo pubblicato con commozione l’articolo del prof. N. I L Shaw: fu da lui preparato per Bilychnis in giorni molto tristi, quando, dopo un periodo di ansia vivissima, veniva colpito dalla perdila della diletta figliuola. Da uomo di fede resistetle al colpo, e continuò il suo lavoro, finché è venuta — haimè troppo presto! — anche l’ora sua. E noi abbiamo perduto in lui. che seguiva con pratica simpatia l'opera di Bilychnis, un amico leale un collaboratore operoso ed intelligente. ■■
GIUSEPPE V. GERMANI; gerente responsabile.
Roma. Tipografia dell’Unione Editrice, via Federico Cesi. 45
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BiLYCHNIS. FASCICOLO DI MARZO 1914
1
PRIMO FASCICOLO D’ARTE DI “BILYCHNIS,,
DEDICATO AL NUOVO TEMPIO VALDESE DI ROMA
Un giudizio sul nostro FASCICOLO D’ARTE.
«Je suis certain que le prof. P. Paschetto compte en France des amis et des admirateurs. C’est non seulement à eux mais à tout le public religieux de langue française que je recommande très chaleureusement le premier cahier d’art de Bilychnis. Ils y trouveront de nombreuses photographies, reproductions et dessins des décorations et des vitraux exécutés par Paolo Paschetto pour la nouvelle grande église vaudoise de Rome. Les décorations de l’abside, des nefs, des galeries sont d’une grande sobriété, d’une parfaite élégance, d’une rare distinction. Le seize vitraux surtout sont remarquables. M. Paschetto semble avoir suivi le conseil de M. Burnand: «S'inspirer des anciennes églises, appliquer à nos conditions actuelles toutes les formes, toutes les combinaisons et toutes les beautés que nous ont léguées les vieilles et poétiques choses d’autrefois».
Ces « vieilles .et poétiques choses d’autrefois » Paolo Paschetto a été les chercher plus loin encore que dans les vieilles églises : dans les catacombes dé Rome et dans la Bible. Voici la liste des merveilleux vitraux reproII fascicolo costa L.
duits dans le cahier d’an : L Le buisson ardent: l’affirmalion (le Dieu. — IL Le monogramme chrétien : l'affirmation du Verbe. — III. La colombe: l’aspiration de l’âme vers Dieu. — IV. Le lys: là promesse que l’âme verra Dieu. — V. L’Agneau : la réconciliation de l’âme humaine avec Diu. — VI. L’ancre: 1‘espérance est l'ancre de l’âme. — VIL La lampe: la foi. — VIII. La palme : la victoire de la foi. — IX. L’arche: le baptême. — X. La coupe et le pain : la Sainte-Cène. — XI et XII. Le bon pasteur et le phare: Vie chrétienne : les fidèles marchent sans crainte dans les pâturages et dans la lumière. — XIII et XIV. La vigne et le chandelier : Vie chrétienne : les fidèles doivent, en demeurant en Christ, marcher dans la perfection. — XV et XVI. L’aigle et le paon : La vie éternelle : le rajeunissement du chrétien se poursuit dans l’éternité. Chaque symbole est commenté par un passage biblique approprié.
Le cahier d’art imprimé sur papier de luxe, avec une belle ‘ couverture ornée du chandelier de P Eglise vaudoise d’Italie, est tout à fait réussi ».
(Dalla Rivisia di Parigî:
Zxr Christiatiitmc MÎal, Marzo 1914, pag. ai©).
2 (Estero L. 2.50).
Rivolgersi al Prof. Lodovico Paschetto. Via Crescenzio, 2 - Roma.
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PVBBLICAZIONI -VARIC • • S 83 —83 "83
BOLLETTINO A-RICHICSTA
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BILYCHNIS. FASCICOLO DI MARZO 1914
“BILYCHNIS” NEL 1914
I 12 fascicoli dell’intera annata comporranno due grossi volumi di oltre 400 pagine ciascuno, riccamente illustrati.
Abbonaménto annuo per l’Italia L. 5
per l’estero L. 8 — Un fascicolo L. 1
L'abbonamento si può pagare anche a quote semestrali di L. 2.50 per l’Italia e L. 4 per l’estero
PREMI Al NOSTRI ABBONATI
1. La Direzione della « Biblioteca di Studi Religiosi» offrirà in dono interamente gratuito ai nostri abbonati libri di sua edizione, ora in preparazione.
22« La stessa Direzione concederà agli abbonati fortissimi ribassi per le pubblicazioni ch’esse ha in deposito e di cui daremo la lista sulle pagine verdi di Bilychnis.
3. Stiamo organizzando una Biblioteca Circolante per lo studiò della Religióne (storia, critica, filosofìa della religione). Agli’abbonati di Bitychnis sarà concesso l’uso gratuito della Biblioteca, di cui pubblicheremo prèsto il regolamento.
Inviare cartoline vaglia al
Prof. LODOVICO PASCHETTO
Via Crescenzio, 2 - ROM fi
I NOSTRI LETTORI IN AMERICA
sono avvertiti che i seguenti nostri Agenti volontari sono autorizzati a ricevere gli abbonamenti a Bilychnis
Rev. ANGELO DI DOMENICA
301, George Sf. NEW HAVEN, Conn. U. S. A.
per gli Stati Uniti e il Canada.
Big. JAIME C. QUARLES
Casilla del Correo, 136 MONTEVIDEO, Uruguay
per l'Uruguay e la Repubblica Argentina.
LE DUE ANNATE di Bilychnis 1912 e 19I3, due bei volumi di 600 pagine
ciascuno, riccamente illustrati, sono in vendita ai seguenti prezzi : l’annata 19T2 (rara) L. 6 in Italia e L. 8 all’estero; l’annata 1913 L. 4 in Italia e L. 6 all’estero
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BILYCHNIS. FASCICOLO DI MARZO 1914
III , r
LIBRERIA EDITRICE “BILYCHNIS,, ---------------------------------------Informiamo i nostri lettori elle abbiamo organizzato un servizio di libreria per i nostri abbonati ed amici, i quali da oggi potranno rivolgersi a noi per l’acquisto di libri di qualunque edizione in Italia e all’estero, compresi i libri di cui parliamo nella Rivista.
Servizio sollecito.
Non diamo corso alle richieste se non sono accompagnate dal relativo importo anticipato.
I committenti dall'estero aggiungano le spese di posta.
Accorderemo speciali facilitazioni a chi ci procurerà per il 1914 un nuovo abbonato a Ilitychnis.
• • NOVITÀ ® s
PAUL VALLOTTON
LA GRANDE AURORE
Volume in-S® di pag. 459
L. 3.50 (Aggiungere per il porto 0.40).
Vedine recensione in Bilychnis di gennaio 1914 pag. 67
KANSO OUTCHIMOURA
La crise d’âme d’un Japonais
COMMENT JE SUIS DEVENU CHRÉTIEN?
Pagine 220
L.- 3 (Aggiungere per il porto 0.25).
Vedi recensione di questo interessantissimo libro in questo fascicolo di Bilychnis, pag. 153
SALVATORE M INOCCHI
IL PANTEON ORIGINI DEL CRISTIANESIMO Grosso volume di pag. 40S L. 6 franco dì porto.
Indice: Parte prima: Il Tempio: I Profeti — La legge — La costituzione teocratica — — Misteri dell’oriente — Ellenismo — Giudaismo — La pienezza dei tempi.
Parte seconda: Il Cristo: Dalla legge al Vangelo — Dal mito alla storia — L’ammonitore (Giovanni Battista) — Il Profeta — La fine.
H. LHOTZKY
L’ANIMA DEL FANCIULLO
Pag. 230 L. 3
Vedine alcune pagine in questo fascicolo di Bilychnis a pag. 137
Annunziamo con piacere la traduzione italiana della celebratissima opera:
ERWIN ROHDE
PSICHE
Culto delle anime e fede nell'immortalità presso i Greci PARTE PRIMA
Voi. di pag. 340. L. 5 (aggiungere L. 0.25 pel porto)
È uscito il III volume de
I MODERNI
Medaglioni di PAOLO ORANO Volume di pag. 350. L. 4 (aggiungere L. 0.25 pel porto).
Nel quale il nostro chiaro collaboratore tratteggia magistralmente le figure di Onorato di Mirabeau. — G. Fed. Herbart. — Antonio Rosmini. — Ruggero Bonghi. — Leone Gambetta. — Giovanni Bovio. — Andrea Costa. — Giuseppe Sergi. — Tullio Martello. — Benedetto Croce. — Arturo Labriola. — Ewin Szabò.
Di ciascun autore è dato il ritratto in fototipia
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B1LYCHNIS. FASCICOLO DI MARZO 1914
ETUDES SUR MONTAIGNE
par M. DELL' ISOLA
Volume di pag. 150. L. 2.50
Due libri su OSTIA
l’antico porto di Roma, sul quale i recenti scavi hanno attratto l’attenzione 'universale.
1. Dante Vàgli eri: OSTIA, cenni storici e guida. Voi. di 150 pag. con 5 tavole e 24 figure. . -....................L. 4
2. Lo». Paschetto: Ostia-colonia romana; cenni storici e guida. Volumetto di 40 pag. con 1 pianta generale e 48 incisioni. L. 1
GIUSEPPI-: SAITTA
La personalità di Dio e la filosofia dell’ immanenza
Saggio storico filosofico
Pag. 50 grandi. L. 3
GIUSEPPE FERRARI
La mente di G. D. Romaqnosi
(BIBLIOTECA DI FILOSOFIA CONTEMPORANEA)
Pag. 160. L. 2.50
MIGUEL DE UNAMUNO
Del sentimento tragico della vita
Parte Prima
(BIBLIOTECA DI FILOSOFIA CONTEMPORANEA)
Sommario: 1. Del sentimento tragico della vita — 2. Salute e malattia — 3. L’ansia d'immortalità — 4. L’essenza del cattoli-cis.-no — 5. La dissoluzione razionale — 6. Nel fondo dell’abisso.
Pag. 142. Prezzo L. 2.50
È uscito:
IL VANGELO DI CAGLIOSTRO
IL GRAN COFTO
con un proemio di Pericle Maruzzi su la vita di Cagliostro e su i Liberi Muratori del secolo XVIII. Elegante volume fregiato del ritratto di Cagliostro...........L. 3
Dèi prof. CAMILLO TRI VERO, autóre di La Teoria dei Bisogni, di II Problema del Bene, ecc. verso la metà di marzo uscirà: Nuova Critica della Morale Kantiana in relazione alla Teoria dei Bisogni
GASTON RIOU
flux écoutes de la France qui vient
Sixième éd. Paris, 1913. Pag. 330.
L. 3.50 (aggiungere 0,20 per il porto).
Indice: I. L’ennui de Boudda. Deux voyages: Arles. Valenciennes. — II. Les arcsboutants du sanctuaire. Quatre livres témoins.: Un livre du comte Albert de Mun. Un livre d’André Mater. Un livre de Paul Sabatier. Un livre de Julien de Narfon. Le bilan du modernisme. — III. Crise ou décadence. Orientation actuelle de la littérature française. Lettrés aux «Jeunes de France».
GLI EDGHGELIE GLI RITI DEGLI APOSTOLI
Ultima Versione riveduta. — Roma, 19x3.
Rilegato. Pag. 260. Una copia affrancata in Italia L. 0.65 estero L. 0.80
EDOARDO TAGLI ALATELA
il divino nell’educazione
saggi di pedagogia
Rag. 127. L. 1.50
EDO A R DO TAGLIA LATEL A
TOLSTOI E LU SAVIEZZA INFANTILE
Pag. 96. L. 1
PAOLO ORANO
ALTORILIEVI
Federico Svevo — Richelieu — Voci d’Abruzzo — Sicilia — Il mistero sardo — La mente di Roma — Ad Metalla — Il sermone della vallata.
Pag. 240. L. 3.50
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BILYCHNIS. FASCICOLO DI MARZO 1914
V
E. S. GREW
LO SVILUPPO DI UN PIANETA
Torino, 1914- Pag. 450. L. 6 (aggiungere L. 0.25 pel porto).
Indice: La formazione di sistemi solari — L’origine dei satelliti — Sfere che si raffreddano — Analogie planetarie — L’interno della Terra — La forma della Terra solida — L’azione vulcanica — L’atmosfera — Il mare antico — Gl’inizi della vita, ecc. — Età e clima — L’influenza della vita — Successione geologica — Sviluppo organico — Il regno animale — La durata dell’uomo.
A. DI DOMENICA
for Christian Workers The Italian Helper
Parte I. Conversazioni — Parte 11. Grammatica. — Appendice: Parte liturgica — Rilegato pag. 140. L. 2.50. Brochure 1.75
Il bel volumetto è stato preparato per aiutare i Ministri evangelici di lingua inglese, che s’interessano degli emigranti italiani, a comprendere gl’italiani stessi e la loro lingua.
VVILFRED MONOD
DÉLIVRANCES
(SERMONS)
L. 3.5,0 (Aggiùngere 0.30 per porto).
Indice'. Autels — «Ecce homo!» — Les pauvres — Suivre — Le monde — «O mes enfants» — L’aiguille et le chameau — La guerre — « Beaucoup des justes » — Servir — Soffrir pour la communauté — «Crois-tu aux prophètes? — Le Christ spirituel.
W. RAUSCHENBUSCH
Pour Dieu et pour le peuple
PRIÈRES DU RÉVEIL SOCIAL
Traduzione dall’inglese.
L. 2.50. (Aggiùngere 0.25 per portò).
Questo libro di preghiere è stato un avvenimento in America. « Esso penetra in molte famiglie, ricche e povere e contribuisce forse più delle altre opere dotte dell’autore, a modificare l’orientamento della spiritualità, della pietà. La liturgia dei tempi nuovi va elaborandosi silenziosamente nella tormenta sociale... I giorni vengono! i giorni si avanzano!». (E. G.).
ESPERIENCES SOCIALES
(CONFÉRENCES)
L. 3.50. (Aggiùngere 0.30 per porto).
Tables des matières: Le christianisme et l'art, par André Michel — L’Évangile et la société antique aux premiers siècles, par Eug. de Paye — L’Evangile et la question sociale, par G. Chamorel — L’Evangile et les divisions de la chrétienté, par Marc Boegner — L’Evangile et l’immortalité, par E. Gonnelle — L’Evangile et l’Est rème-Orient, par Raoul Allier. — L’Evangile et le monde païen, par G. Lauga — Un peuple sauvé par l’Evangile, par Jean Bianquis.
L. SALVATORELLI
Introduzione bibliografica alla Scienza delle Religioni
Roma, 1914. 8° grande pag. 1S0.
L. 5
Indice: Opere generali —Storia della Scienza — Metodologia — Fenomenologia : Magia., Culto. Rappresentazioni religiose. Cultura e religione — Storia della religione : Scuola filologica (li naturalismo). Sistemi astrali. Sistemi Fallici. Maoismo. Scuola antropologica — Teismo preanimistico. Scuola sociologica.
L. SALVATORELLI
Saggi di storia e politica religiosa
Città di Castello, 1914- 8° grande, pag. 290.
L. 4.50
Indice: L’«Orpheus» di S. Reinach — Religione, civiltà ed arte — Maometto e l’IsIam — Diritto e morale dell’IsIam — La storia della Chiesa Ant. di M. Duchesne — La cattolicità della Chiesa primitiva secondo Pierre Batiffol— Gli apologeti greci del ¡1 secolo — La politica religiosa degl’imperatori romani e la vittoria'del cristianesimo sotto Costantino, ecc. — Il presente e l’avvenire del modernismo in Italia — La Politica di Pio X — La personalità di Pio X — Filosofia e religione nell’Italia contemporanea.
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VI
BILYCHNIS. FASCICOLO DI MARZO 1914
GIOVANNI COSTA
L’IMPERATORE DALMATA
C. VALERIUS DIOCLETIANUS
Roma, 1912. Pagine 250.
L. 5
Indice: I. L’avviamento all’impero — II. Guerre e repressioni — III. I^a riforma costituzionale e governativa — IV. La difesa dell’impero nelle province — La difesa dell’impero nell’esercito — VI. La restaurazione religiosa — VII. L’impronta dell’epoca — Vili. La « quies Augustorum » — IX. L’uomo e l’opera sua, ecc.
BENITO MUSSOLINI
GIOVANNI HUSS
IL VERIDICO
Collezione storica dei martiri del libero pensiero
Pag. 120. L. 0.80 estero L. 1
I FIORETTI del glorioso messere santo Francesco e de’ suoi frati
a cura di G. L. PASSERINI .Seconda edizione riveduta. — G. C. Sansoni, ed., Firenze. Elegante edizione di pagine 200
L. 2
A. MANARES1
L’Impero Romano e il Cristianesimo
Bocca, 1913. Pag. 600. L. 12
ARTURO PASCAL
la Società e la Chiesa in Piemonte nel Secolo XDI considerate in se stesse e nei rapporti colla Riforma Pinerolo, 1912. Pag. 60.
L. 1
LA GUARDIA DEL CUORE ed altre omelie
del Dott. ALFREDO TAGLI ALATELA
Bel volume di 340 pagine contenente 50 omelie e abbozzi di conferenze su soggetti di attualità. Utile ai predicatori.
Prezzo L. 4
A. CAUSSE
Les prophètes d Israël
ET LES RELIGIONS DE L’ORIENT
Essai sur les origines du monothéisme universaliste
Pag. 330. L. 8.50
Indice: Le iahvisme populaire — Les premiers prophètes. La lutte contre le syncrétisme et la civilisation — Ainos, Osée (lahv, Dieu de Justice) — Esaïe, Nichée (lahvèe, le saint d’Israél) — Le iahvisme syncrétique et la réforme deutéronomique — Jérémie (L’individualisme religieux) — Ezéchiel (L’évolution du iahvisme pendant l’exil) — La prophétie deutéro-ésaîaque (lahvé, le Dieu universel) — Le monothéisme des. prophètes et le monothéisme oriental.
NOVITÀ
GIOVANNI JALLA
STORIA
DELLA RIFORMA IN PIEMONTE
Fino alla morte di Emanuele Filiberto (1517-1580)
Grosso volume di pag. 400 con 19 illustrazioni fuori testo.
L. 5 (aggiungere L. 0.30 pel porto).
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BILYCHNIS. FASCÌCOLO DI MARZO 1914
VII
OCCASIONE FAVOREVOLISSIMA
PER ACQUISTO DI LIBRI A PREZZI RIDOTTI
Non diamo corso alle richieste non accompagnate da relativo importo.
/?/ nostri lettori che hanno pagato l’abbonamento a BILYCHNIS pel 1914 e che faranno acquisto per almeno ¡5 lire di libri, scegliendo/! tra i qui sotto elencati, accorderemo le seguenti facilitazioni:
I- Maggiore riduzione del 10°/o sui prezzi già ridotti;
2. Pagamento della somma a rate mensili di L. 3.
Il porto è a nostro carico. Per le ordinazioni dall* Estero le spese di posta sono a càrico dei committenti. Faremo la spedizione dei volumi non appena ci sarà pervenuta la prima rata.
GIULIO VITALI
LEONE TOLSTOI
Con ritratto, bibliografia e lotterà autografa dell'autore
L’uomo — Là sua religione — Il rinnovamento della società — Il rinnovamento della famiglia — La missione dell’arte.
VOI. di 250 pag. L. 2 per L. 1.25
« La miglior cosa che si sia scritta in Italia su Leone Tolstoi è questo volume di Giulio Vitali ». (/Z Secolo).
ROMOLO MURRI
L’ANTICLERICALISMO
Origine, natura, metodo e scopi pratici
Un voi;, .di pag. too L. 1.25 per L. 0.75
SOEDERBLOM
LE RELIGIONI DEL MONDO
Traduzione, Introd. e appendice del* dott. Aschenbrödel
L’universalità della religione. - I. L’umanità non civilizzata. - II. La civiltà spirituale superiore : 1® Cina, 2® india, 30 Occidente. 111. Le religioni superiori: 1® La religione cinese e l’induismo : a) Cina - b) India — 2° Giudaismo e Parsismo — 30 Buddhismo, Cristianesimo ed Islam : a) Islam - b) Padda e Cristo.
Appendici: I. Statistica delle religioni. -IL Epilogo dell’opera del Sòderblom « La vie future» - III. Fisonomie religiose (Fisonomía di Gesù - Fisonomía del primitivo cristianesimo).
Voi. di pag. 125 L. 1.25 per L. 1 —
LUIGI SALVATORELLI
IL SIGNIFICATO DI “NAZARENO”
Prezzo L. 1.50 per L. 1 —
Opere di Giorgio Tyrrel
Medioevalismo. Risposta al cardinale Mereier.
Volume di pag. 250. L. 2.50 per L. 1.50 Da Dio o dagli uomini ? L. 1 per L. 0.50 Lettera confidenziale ad un Professore d’antropologia. Prefazione di A. Borgese. Traduzione di Piero Giacosa. Con ritratto ed autografò; L. 0.60 per L. 0.30.
Cediamo i tre volumi complessivamente per L. 2.10
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Vili
B1LYCHNIS. FASCICOLO DI MARZO 1914
Due opuscoli sul Fogazzaro
i. dì Pio Molajoni: A. Fogazzaro. Il pensatore, l’artista, l’uomo. L. o.óo pér L. 0.30
2. di Raffaello Piccoli: A. Fogazzaro.
L. o.6o per L. 0.30.
Cediamo I due opuscoli insieme per L. 0.50
Lettere di un prete modernista
Voi. grande di pagine 300 3-5<> per L. 2
Così scrisse di questo volume la Nuova Antologia: «....In esse è fatta brevemente
la storia del movimento modernista in Italia e degli ostacoli eh’esso ha incontrato special-mente in Roma. Su le Sacre Congregazioni, su gli ordini religiosi, su la gerarchia, su l’organizzazione interna della Chiesa vi sono particolari vivi e pittoreschi. Le velleità di riforma di Leone XIli, gli atti di Pio X vi sono narrati con efficacia : seguono profili dei modernisti italiani più noti. Ma quello che traspare da tutto il volume, scritto con forza, è l’inquietudine profonda d’una parte del giovane clero italiano, il soffio religioso rinnovatore e anche distruttore, la fede non diremo in un cattolicismo, ma in un cristianesimo che non sarà forse il primitivo, al quale l’autore si richiama, ma che può divenire una forza sociale potente. Questo libro è un sintomo ».
AGOSTINO LANZILLO
GIORGIO SOREL
Con una lettera autoblogr., blbllogr. ritratto e autografo
Voi; di 120 pag. L. i per L. 0.70
« Il volumetto su Sorel l’ho letto d’un fiato, con grande soddisfazione. Mi è riuscito anche, in più punti, istruttivo ». Benedetto Croce.
GIOVANNI AMENDOLA
La volontà è il bene
(ETICA E RELIGIONE)
Voi. di pag. 70 L. 0.75 per L. 0.50
« Poche pagine, ma fortemente pensate, nelle quali l’A; delinea una sua concezione dell’etica ...» (Cultura Filosofica).
Socialismo e Religione
I. Discussioni e polemiche Intorno al Socialismo Cristiano
Fra Cristiani e Socialisti : F. Perroni-G. Quadrotta — Il punto divista socialista: I. Bo-noini — I due Cristianesimi: F. Turati — Im parola di un conservatore cristiano: A. Fogazzaro — 11 punto di contatto fra Cristianesimo e Socialismo: D. Spadoni — Dal Cristianesimo al Socialismo: D. Spadoni — L'opinione di un socialista religioso: G. Rensi — L’opinione di un socialista areligioso: F. Paoloni — L’opinione di un socialista ateo: A. Giorgio-F. Ciccotii — I « preti socialisti » del Reggiano: G. Zibordi — Il socialismo di fronte al Cristianesimo. Un esempio pratico: G. Zibordi — Clero e Socialismo: S. Minocchi — Dalla sacrestia al socialismo: R. Levoni-G. Trampolini.
il. Cristianesimo, Socialismo 0 la nuova coscienza religiosa
L’essenza del Cristianesimo — Il Vangelo c la sua interpretazione: G. Quadrotta — Cristianesimo, socialismo e modernismo: F. terroni — Socialismo cristiano: F. Lenzi-G. Avolio — // Socialismo e Dio: G. Rensi — Gesù: G. Quadrotta.
Voi. di pag. 200 L. 1.50 per L. 1 —
EMANUELE KANT
Il Fondamento della fletafisiGa dei Costumi
Prima traduzione Italiane di N. Palanga Prefazione di Bernardino Varlsco
Voi. di pag. xx-140 L. 2 per L. 1.25
IL NUOVO TESTAMENTO
Versione di Mons. MARTINI
Edizione Popolare. L. 0.40
ALFRED LOISY
Compendio dei “Vangeli Sinottici„
e delle
" Semplici riflessioni intorno al Sillabo e all* Enciclica Pascendi „
Con ritratto e biografìa dell’Autore. L. 1 —
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B1LYCHNIS. FASCICOLO D! MARZO 1914
IX
GIUSEPPE RENS1
sic E>ar non
METAFISICA E POESIA
Breve elogio della contraddizione — Pro e contro la Logica — La corsa alla Morte.
Primo interludio: L’ Edera — Il Saluto —• Incessi! patuit Dea — Il Plenilunio — La Fata — Grata vice veris — Raggio di sole.
Teoria dell’immoralità — Scorcio di filosofìa della storia — I.a Pagina e la Vita.
Secondo interludio: Ozymandias — Boopis Athena — Elena — Dryadesque — Sorores — Nel tempio — Pange Lingua — Ballata senese — La musica — L’ultima brama.
1-a metafisica del Terrenioto — Paradossi imperialisti — Dottrina popolare e dottrina
. economica dell’idealismo — Sulla Vita e sulla Morte.
Terzo interludio: Preludio per album — All’Olmo di Custoza — Al Fumo — Sonetti buddistici: i. Kama; 2. Samsara — Sensazione romana.
Nietzsche o Budda? — Il Bovarismo metafisico — Da Nietzsche a Dio — Il rinnovamento religioso contemporaneo — Pensieri di edificazione morale e religiosa.
Quarto interludio: L’anima socchiusa — La Cedra — Sine Labe — Gli occhi e la voce — La lama e la guaina — Il minatóre e il sole — L’imperituro amore — La vetta — Omnia Vanitas.
I Dialoghi dei Morii.
1. Torquemada-Giuliano l’Apostata — 2. Dio-tima-Orazio Marsilio Ficino — 3. Aritho-Anando — 4. Leocares-Didimo — Callinico.
Volume di circa 350 pag. L. 3.50 per L. 2 —
Opuscoli vari:
1. Th. Neal: Vico e l’immanenza.
L. 0.75 per...............L. 0 50
2. M. I.OSACCO : Razionalismo e Intuizionismo. L. 1 per..........L. 0.60
3. G. Papi ni : La Toscana e la Filosofia italiana. L. 0.50 per . . . L. 0.30
4. G. Rensi : Il passaggio da Kant al1* idealismo assoluto in Etica. L. 0.50
per ........... L. 0.30
5. Th. Neal; Giovanni Vailati. L. 0.50 per ........ . . . L. 0.30
6. Massimiliano di Sassonia e Pio X intorno alla questione dell’Unione delle Chiese. L. 1 per. . . . L. 0.60
7. Bald. Labanca : La Riforma del Secolo XVI ed il celibato chiesastico
L. 0.40
8. Franz Wenck : Spirito e spiriti nel Nuovo Testamento L. 0.75 per. L. 0.50
Gli 8 opuscoli complessivamente L. 3 —
G. E. NEWMAN
Il cardinale Newman
Volume di pagine 342. L. 4 per L. 2.50
ENRICO CARLO LEA
FORZA E SUPERSTIZIONE
Grande voi. di pag. 610. L. 12 per L. 6.50
HARALD HÓFFDING
Filosofia della Religione
Grande voi. di pag. 38S. L. io per L. 5.25
The programme of Modernisti)
Bel voi. rilegato di pag. 290. L. 6.50
ERNESTO COMBA
LA RELIGIONE CRISTIANA
Compendio delle verità fondamentali delia religione cristiana. Corso d’istruzione catechetica. Elegante volumetto di pag. 160
L. 1 per L. 0.80
Opere del prof. Calogero Vitanza
Spiriti e- forme del divino in M. Rapisardi.
Vói. di pag. 176. L. 150 per L. 1.15
La leggenda del «descensus Christi ad infero*»
L. 1.50 per L. 0.90
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X
BILYCHNIS. FASCICOLO DI MARZO' 1914
TEODORO FLOURNOY
SPIRITISMO E PSICOLOGIA
Versione di Cario Battistella
Voi. di pag. 513. L. 5 Per L. 3.50
NORMAN ANGELE
LA GRANDE ILLUSIONE
Con proemio di A. Cervesato
Voi. di pag. XXVii-313. L. 2.50 per !.. 1.75
C. FLAMMARION
LUMEN
Trad. dl M. G. Paolucd con prêt, dl F. Zlnganopoll
Vol. di pag. Lii-219. Prezzo L. 2.50 per L. 1.75
F. M. MYERS
La personalità umana e la sua sopramenza
I. Voi. di pag. xi-268. L. 2.50
IL Voi. di pag. 329. L. 2.50
I due volumi per L. 3.50
Opere di Romolo Murri
La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi.
L. 2.50 per L. 2 —
La politica clericale e la democrazia
L. 2.50 per L. 2 —
Il partito radicale e il radicalismo italiano
L. 1 per L. 0.75
Il cristianesimo e la religione di domani
L. 1 per L. 0.75
Opere del prof. Igino Petrone
La filosofia politica contemporanea
L. 2.50 per L. 2 —
I limiti del determinismo scientifico
L. 2 per L. 1.75
Opere di Salvatore Minocchi
La Genesi, tradotta e commentata con discussioni critiche su la Cosmogonia biblica, ri Paradiso terrestre, i Patriarchi, il Diluvio, la Dispersione dei popoli. Due voi. in-8*. Prezzo E. 6.25 per L. 5.
/^> Profezie d'Isaia, tradotte e commentate con una introduzione storica e critica, in-8* grande. Prezzo L. 6 per 4.75.
I Salmi, tradotti e commentati. In-16. Prezzo L. 4.50 per 3-50Ztf ¡.amenfazioni di Geremia, tradotte e commentate, con uno studio sulla poesia elegiaca nell’antico Oriente. 111-32°. Prezzo L. 1.25 per L. 1.
Im crisi odierna del catolicismo in Germania. L. 1.50 per r.20. .
Libri pervenuti alla Redazione
MONTEFIORE, Gesù di Nazareth nel pensiero ebraico con temporaneo — A. F. For-miggini, Genova,. 1913. L. 2.50.
E. BUONAIUTI-N. TURCHI, L'isola di smeraldo. — Torino, Bocca, 1914» pag- 220, L. 3.50.
Il Pimandro, di ERMETE TRIMEGISTO. Versione di G. Bonanni. — Todi, Casa Atanor, 1913. Pag. 1S0, L. 3.
FRANZ CUMONT, Les mistères de Miihra. IIIw°éd., con 28,fig. e una carta. Pag. 25S. L. 8.
Nel Primo centenario della morte di Giambattista Bodoni, scritti di T. Grandi, C. Ratta (¿« Stampa e la Riforma), G. Busnelli, A. Malacrida. — Torino 1913.
TANCREDI CANONICO, Note intime. — Città di Castello, 1910.
GIORGIO DEL VECCHIO, // concetto del Diritto. I11-S0, pag. 150, L. 4. — Editore N. Zanichelli, Bologna, 1912.
DOTT. INNOCENZO CALDERONE, La r incarnazione (Inchiesta internazionale). Ottavo, pag. 350, L. 5. — Milano,- 1913.
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Bl LYCHNIS. FASCICOLO DI MARZO 1914
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C. VITANZA, La leggenda del «Descensus Christi ad inferos» (Saggio critico). — Nicosia, 1911.
EM. BOCH, Le tre forme supreme dell’essere. — Roma, 1913.
SAMUEL Me. GERALD. Rinascita, storia di una conversione dal cattolicismo Romano. Versione it. di Carlo M. Ferreri. — Roma, 1913. Pag. 1,80, prezzo L. 1.25.
GIOSUÈ’ SALATIELLO, Caterina da Siena, studio storico, psicologico letterario. — Palermo, 1913. Pag. 160, L. 2.
PRINCE GIOVANNI BORGHESE, L’Italie Moderne. — Paris, E. Flammarion, 1913. Pag. 330. L. 3-5OENRICO CAPORALI, La natura secondo Pitagora. — Casa Ed. «Atanòr», Todi, 1914. Pag. 190, L. 2.50.
GLI EVANGELI EGLI ATTI DEGLI APOSTOLI. Versione riveduta. — Roma, 1913.
E. S. GREW, Lo sviluppo dì un pianeta. — Torino, Bocca, 1914. Pag. 450, L. 6.
PAOLO ORANO, Cristo e Quirino (Il problema del cristianesimo), 3' ediz. — Firenze, 1911. Pag. 300, L. 3.
PAOLO ORANO, Altorilievi. — Ancona, Puccini, 1913. Pag. 240, L. 3.50.
L. CENTONZE, Papi, Turchi e Crociate. — Palermo, 1912.
S. TOMMASO D’AQUINO, Trattalo della pietra filosofale, preceduto da una introduzione e seguito da un trattato del medesimo autore su l’arte dell’alchimia... — Todi, Casa «Atan«r», 1913. Edizione assai elegante, pag. 135. L. 3.
ARTURO PASCAL, La Società e la Chiesa in Piemonte nel secolo XVI. — Pinerolo, 1912.
ANDRÉ TOW1ANSKI, Fragmenls, a cura di Attilio Begey. — Roma, 1913.
CALOGERO VITANZA, Spiriti e forme del divino nella poesia- di M. Rapisardi. Conferenze. — Nicosia, 1913- Pag- «76, L. 1.50.
G. TRICCA, L’automatismo nella penombra della civiltà. — Sansepolcró, 1913. Pag. So, L. r.
UMBERTO TRI A, Il pensiero del Giannone. — Città di' Castellò, 1913.
TUTTI GLI AMICI DELLA RIVISTA FARANNO ACQUISTO DEL PRIMO FASCICOLO D’ARTE
EDITO DA "BILYCHNIS" SU.»
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B1LYCHNIS. FASCICOLO DI MARZO 1914
BIBLIOTECA DI STUDI RELIGIOSI
Diretta ed edita dal Dott. D. G. WHITTINGHILL
BATTISTI
Volume di pagine 200 — Prezzo Lire 1.50
(JV. & della Serie)
INDICE DEL VOLUME:
Cenni storici (del Dr. D. G. Whittinghill) : Il nome «Battista». — I precursori spirituali. — Gli Anabattisti. — I Mennoniti. — I Battisti moderni. — I Battisti nella Gran Brettagna. — I Battisti in America. — I Battisti negli altri paesi. — I Battisti italiani. — Il contributo dato dai Battisti alla civiltà moderna.
Credenze Battiste (del Dr. È. Y. Mullins): Introduzione. — Le scritture. — Iddio. — La Provvidenza. — La caduta dell’uomo. — L’elezione. — Il mediatore. — Lo Spirito Santo. — La rigenerazione. — Il pentimento. — La fede. — La giustificazione. — La santificazione. — La perseveranza dei santi. — Il regno di Dio. — I.a seconda venuta di Cristo. — La risurrezione. — Il Giudizio. — La Chiesa. — Il battesimo. — La santa cena. — Il giorno del Signore. — Libertà di coscienza. — Le missioni. — L’educazione o l’istruzione. — il servizio sociale. — Il paradiso e l’inferno.
Il Battesimo (del Dr. G. B. Taylor): Il vocabolo greco Bawrifrw. — I lessici. — Esame dei passi. — Il battesimo di Giovanni. — Il battesimo dell’eunuco. — Il battesimo e la purificazione. — I tremila battezzati. — Il battesimo figurativo. — L’uso simbolico di — L’importanza delia forma. — Lutero e Calvino. — La Didaché. — Gli abusi nella pratica del battesimo. — Chi può .essere battezzato? — Il battesimo dei bambini. — li battesimo di famiglie. — I figliuoli «santi»; — Il battesimo e la circoncisione. — Inefficacia del battesimo dei bambini. — Gli errori dottrinali che accompagnano il battesimo dei bambini. — Il battesimo dei bambini e la chiesa di Stato. — l'Battisti perseguitati. — Passi biblici addotti in difesa del battesimo dei bambini.
Questo volume si spedisce in dono agli abbonati di " Bllychnis „ vecchi e nuovi.
N. i. Cristianesimo e Critica (Scritti di vari autori). Si spedisce gratis a richiesta.
N. 2. Il Pergamo ossia Manuale di Omiletica del prof. N. H. Shaw. — Volume di pag. 304. - Prezzo L. 2. 50.
N. 4. Verso la fede : Scritti originali di noti autori italiani. Voi. di pag. 223. Si spedisce gratis ai nostri abbonati.
N. 5. Il Cristianesimo alla prova (Scritti di autori vari). Voi. di pag. 128. Sì spedisce gratis a richiesta.
N. 6. La scuola delia Chiesa del Dr. Everette Gill. Voi. di pag. 160. Prezzo L. 1.25.
Rivolgersi all’^f/dri?.- Dr. D. G. Whittinghill, Via Crescenzio, 2 - Roma.
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FRONTESPIZI
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO TRIMESTRALE Guglielmo Quadrotta, Editore ROMA - VIA DELLE COPPELLE, 3
Per lo studio della Scienza delle Religioni
L'opera di Luigi Salvatorelli : Introduzione Bibliografica alla Scienza delle Religioni, è un prezioso strumento di lavoro, che fino ad ora non esisteva per gli studi di scienza delle religioni. Qualche cosa di simile aveva fatto il Jordan nella sua Comparative religion; ma per un campo più ristretto, in maniera molto meno ampia e compiuta, con scopi in gran parte differenti, e sopratutto con ordinamento completamente diverso e senza quella sistematicità necessaria ad opere di tal genere.
L'autore ha voluto riunire in questo libro l'indicazione bibliografica delle opere di una qualche importanza riguardanti la scienza delle religioni in generale, da quando tale scienza ha incominciato ad assumere quello sviluppo che l'ha portato alle altezze oggi raggiunte, vale a dire dal 1870 alFincirca. - . .
Egli però ha voluto fare qualche cosa di molto più che una semplice bibliografia. Delle opere citate ha dato un sunto, talvolta amplissimo, e sempre sufficiente ad avere una esatta nozione del loro contenuto, a comprendere la loro importanza per la scienza delle religioni ed il posto da esse occupato nello sviluppo di questa. Inoltre, egli ha diviso la bibliografia, in varie sezioni corrispondenti alle diverse parti della disciplina (opere generali, metodologia, fenomenologia religiosa, storia della religione, cioè: origine, forme iniziali e sviluppo della religione in generale); e dentro’ ciascuna 'di queste sezioni ha introdoto delle suddivisioni molteplici e particolareggiate, ma che d'altra parte non recano alcun nocumento alla chiarezza dell'insieme.' In tal modo l’organamento della bibliografia corrisponde a quello della disciplina stessa, e poiché d'altra parte entro ogni paragrafo le opere sono disposte in ordine cronologico, il lettore ha innanzi a sé l'intero organismo della scienza delle religioni nella -sua storia e nel suo presente, visto a traverso le opere in cui esso si è realizzato e si è svolto e in cui vive attualmente.
Così per chiarire meglio l'indole del libro con qualche esempio, nella parte della metodologia, l’autore passa in rassegna i vari metodi, vale
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a dire i diversi indirizzi e le diverse'scuole che si sono affermate nel campo della scienza delle religioni : la scuola filologica, ¡’antropologica, la sociologia, eoe.; e, per ciascuna di queste, dà l’indicazione delle opere che le fondarono, di quelle che le proseguirono, delle altre che le combatterono. Nella parte della fenomenologia si dà notizia particolareggiata e precisa, prima delle opere che passano in rassegna l'insieme dei fenomeni religiosi, poi di quelle dedicate a gruppi particolari di fenomeni religiosi, infine delle opere riguardanti singoli fenomeni, ordinate secondo un raggruppamento razionale dei fenomeni stessi.
In sostanza si può dire che questo libro costituisce un organo indispensabile d’informazioni e di ricerche per gli specialisti, mentre d'altra parte è eminentemente adatto a dare una notizia precisa ed approfondita* della disciplina a chi abbia qualche interesse per questa ed a fornire in proposito indicazioni a chiunque ne abbia bisogno.
, LUIGI SALVATORELLI
lolroiluziBBB llliliwft alla Stienza itili Milioni
INTRODUZIONE
§ 1. Le varie discipline nel campo degli studi religiosi. - § 2. Contenuto della rassegna.
Capo I.
OPERE GENERALI.
§ 3. Varie categorie di opere generali. — § 4. Enciclopedie generali. — § 5. Enciclocedie speciali. — § 6. Periodici. — § 7. Repertori bibliografici. — § 8. Manuali di scienza delle religioni. — § 9. Introduzioni alla scienza delle religioni. — § 10. Manuali di storia delle religioni.
Capo II.
STORIA DELLA SCIENZA.
§ 11. Osservazioni generali. — S 12. Storie generali. — § 13. Storie della disciplina in periodi speciali. — § 14. Storie della disciplina in singoli paesi.
Capo III.
METODOLOGIA.
§ 15. Divisione della materia. — .1) TEORIA DELLA SCIENZA. — § 16. Teoria generale. — § 17. Scienza e filosofia delia religione. — § 18. Discipline ausiliare. — lì) METODICA PROPRIAMENTE DETTA. — § 19. Divisione della materia. — I. Metodica generale. — § 20. Opere generali. — § 21. Il metodo comparativo. — 8 22. Altre questioni metodologiche. — IL I diversi indirizzi. — § 23. Metodi e sistemi. — § 24. Metodo filologico. — a) Esposizioni. — § 25. Metodo fifologico. — b) Obbiezioni. — § 26. Metodo antropologico. — a)
Inviare vaglia a Guglielmo Quadrotta, edit., Via delle Cappelle, 3 - Roma.
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Esposizioni. — § 27. Metodo antropologico — à) Obbiezioni. — § 28. Metodo antropologico. — c) Risposta alle obbiezioni. — § 29. Metodo del « Kulturkreise ». — § 30. Metodo psicologico. — § 31. Metodo sociologico. — a) Esposizioni. — § 32. Metodo sociologico. — b) Obbiezioni. — § 33. Metodo storico.
Capo IV.
FENOMENOLOGIA.
§ 34. Divisione della materia. — A) OPERE INTRODUTTIVE. — § 35. Opere intorno la mentalità dei selvaggi. — R) FENOMENOLOGIA GENERALE. — § 36. - C) FENOMENOLOGIA DEI PRIMITIVI. -§ 37. — Ó) FENOMENOLOGIA PARZIALE.■— § 38. — E) FENOMENOLOGIA SPECIALE. — § 39. Divisione della materia. — 1. Magia. —- § 40. Magia in generale. — § 4L Storia della magia. — IL Culto. — § 42. Divisione della materia. — 1*) Trattazioni generali.
§ 43. Mito e rito. — 2°) Gruppi di riti. — § 44. I riti di passaggio. — ìr) Ititi speciali. — § 45. Il sacrifìcio. — § 46. Là divinazione. — 4°) Oggetti di culto — § 47. Feticismo. — § 48. Dentrolatria. — § 49. Zoolatria. — § 50. Astrolatria (ed Astrologia). — § 51. Pirolatría. — § 52. Monismo. — 5®) Attori del culto. — § 53. Il sacerdozio. — §54. Associazioni di culto. — 6°) § 55. Luoghi di culto. — III. Rappresentazioni religiose. Io) Preanimismo. — § 56. Concezioni di iforze personali: manìa, ecc. — 2°) Animismo. — § 57. Trattazioni generali. — § 58. Trattazioni particolari. — 3°) Mitologia. — § 59. Trattazioni generali. — § 60. Trattazioni partieoi ri. — 4°) Simboli. § 61. Propagazione dei simboli. — 5°) Divinila. — § 62. Formazione della divinità. — § 63. Divinità particolari. — 6°) Altre rappreseli-taziopi religiose. — § 64. Il numero. — IV. Cultura e religione. 1®) Cultura materiale. — § 65. Religione e vita economica. — 2°) Cultura spirituale. — § 66. Religione e arte. — § 67. Religione e scienza. — 3°) Vita morale e sociale. — § 68. Trattazioni generali. — § 69. Religione e diritto. — § 70 Tab*u. — § 71 Ascetismo. — § 72. Totemismo. — § 73. Esogamia. — § 74. Matrimonio e vita famigliare.
Capo V.
STORIA DELLA RELIGIONE.
§75. Divisione della materia. A) ESSENZA, ORIGINE E SVOLGIMENTO DELLA RELIGIONE. — § 76. R) TEORIE SULLE FORME ORIGINARIE DELLA RELIGIOSITÀ'. — § 77. Rassegna delle varie teorie. — I. Scuola filologica. Il naturismo. — § 78. La formazione linguistica dei miti. La malattia del lignaggio di Max Müller. — § 79. Le teorie filologiche di Kuhn, Bréal, Sayce. — § 80. Il naturismo. — § 81. Lenoteismo di Max .Müller. — § 82. Esposizioni e critiche del sistema filologico. — § 83. Critiche dell’enoteismo di Max Müller. — IL Sistemi astrali. — § 84. Il panbabilolismo. — § 85. Il neomitolo-gismo tedesco. — § 86. Altri sistemi astrali. — § 87. Il datti lismo panmediterraneo del -Milani. — III. Sistemi fallaci. — IV. § 88. Monismo. — § 89. Il monismo spenceriano. — § 90. Il monismo antropologico di Grant Allen. — § 91. Il monismo psicologico del Caspari. — V. Scuola antropologica. — § 92. La teoria antropologica in generale. — § 93. Feticismo. — § 94. Animismo. — § 95. Naturismo.
• § 96. Totemismo. — § 97. Tabo. — § 98. Freanimismo. — VI. Teismo preanimistico. — § 99. — VII. Scuola sociologica. — § 100. Esposizione della teoria sociologica francese. — § 101. Critiche della teoria sociologica — C) GRADI DELL'EVOLUZIONE RELIGIOSA. CLASInviare vaglia a Guglielmo Quadrotta, edit., Via delle Coppelle, 3 - Roma.
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B1I.YCHN1S, .28 FEBBRAIO 1914.
SIFICAZIONI RAZIONALI DELLA RELIGIONE. — S 102. Osservazione preliminare. — I. Scuola filologica. — IL S 103. — Scuola •antropologica. — § 104. Animismo e naturismo. — § 105. Preanimismo — III. § 10C>. Teismo.
Indite degli autori e delle materie.
Volume in 8° grande di pag. 200
Ivii'O Cinque
(Fino al 31 marzo Lire 4,50, franco di porto)
NOTE'REbbE TOlTCRIAbl
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