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BILYCHNIS
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Anno IX. - Fasc. III.
ROMA - MARZO 1920
Volume XV. 3
SOMMARIO
G. A. Colonna di Cesarò: La guerra europea dal punto di vista spirituale pag. 161.
G. FERRETTI: Le fedi, le idee e la condotta » 174
D. PROVENZAL: Un miracolo di Dio » 192
G. E. MEILLE : Psicologia di combattenti
cristiani.....................................»196
Per la cultura dell’anima:
A. FATTORI: Confessione .......... »212
[Il buon Samaritano - Tav. Ira le p. 212-213)
Cronache:
QUINTO TOSATTl : Politica vaticana e azione cattolica.............pag. 221
Tra libri e riviste:
R. CORSO : Etnografia e folk-lore ( I ) . . . . . > 228 m. : Filosofia morale (II) .......... » 231 Recensioni: Filosofia e religione (A. TlLGHER) Storia del cristianesimo (QUI QUONDAM) —
Varia (GIOVANNI COSTA) ........ >236
Note e commenti.
V. CENTO: Sulla questione della scuola libera . . » 2|5
(•••) Per lo studio delle religioni ....... » 219
Letture ed appunti......................................
Nuove pubblicazióni .......... » 242
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Il fascicolo prossimo, che uscirà in aprile, conterrà sei tavole con la riproduzione delle più importanti opere religiose del celebre pittore svizzero Eugenio Burnand e testo illustrativo di Paolo Arcari che si è compiaciuto di studiare per i nostri lettori gli «atteggiamenti della pittura religiosa » del grande maestro svizzero. Una tavola speciale sarà riservata ad un lavoro assolutamente inedito — / pastori (notte di Natale) — gentilmente concesso alla nostra rivista.
Completeranno il fascicolo uno studio su I momenti del pensiero italiano di F. MOMIGLIANO, una memoria di Carlo Pascal : Superstizioni e magie alla corte neroniana, un articolo in cui G. Luzzi si domanda se ad uno studente del XX secolo sia possibile ancora di esser cristiano, ecc. ecc.
Non mancheranno le rubriche fisse, le rassegne bibliografiche una nota di G. Costa su religione e spiritualità all'esposizione di belle arti in Roma, recensioni di A. Tilgher, M. Puglisi, Qui quondam, ecc.
I librai sono pregati di prenotarsi se intendono avere un numero maggiore di copie del consueto.
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Libreria Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - ROMA, 33
PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
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Delle nuove pubblicazioni, appartenenti al ciclo degli studi di cui si occupa la rivista, faremo tm brevissimo cenno nel darne 1* annuncio, qualora gli editori alle copie da tenere in deposito aggiungano una in omaggio. Solo pubblicando questo cenno bibliografico assumiamo la responsabilità dell’indicazione dell’opera.
I prezzi segnati non subiscono aumenti e le spedizioni sono franche di porto. Per gl’invìi sotto fascia, raccomandati, aggiungere cent. 30.
La libreria si incarica di qualsiasi ordinazione di libri in Italia ed all’estero. Essa è Tunica rappresentante in Italia della University oj Chicago Press, il cui catalogo viene spedito gratis a richiesta.
Delle opere segnate con asterisco esistono ancora pochissimi esemplari.
CULTURA DELL’ANIMA
Borsari R. : Guardando il sole 2 —
Buri VV. : Sermoni e allocuzioni.......... 2 —
GRATRY A.: Le sorgenti, con prefazione di G. Semeria 4,50 Monod W. : Silence et prière 6 — — Il vit............ 6 —- Il régnera......6 —
— Délivrances . . . . 5 — — L’Evangile du rojaume 5 — Vienot J. : Paroles françaises Erononcées a 1’ oratoire du ouvre ...... 2,50 Wagner C.: L'ami . . . 7 — — Le vie simple . . . 5 — — A travers le prisme du temps ....... 4,50 - J ustice . . . . . . 6 — — Discours religieux . 4 —
FILOSOFIA
Della Seta U.: G. Mazzini pen"
satore . . . . 10 —
Della Seta U.: Filosofia morale (Vol. I e II) . . 15 —
Ferretti G.: Il numero e i fanciulli. capitolo d’una didattica dell’inventività. 2 —
È uno dei vari aspetti sotto cui il nostro egregio collaboratore
vede il problema dcH’cducazionc filosofica, dell’autocoscienza, dell’autonomia morale; far convergere anche l’insegnamento del numero a questo fine, non renderlo, come tanti insegnamenti, vano od inutile. E le bello pagine in cui egli dimostra come si debba fare si leggono non solo con interesse, ma con diletto.
Von Hugel F.: Religione ed i illusione ...... 1 — !
Losacco M.: Razionalismo e Intuizionismo . . . 1 —Papini G.: Il tragico quotidiano ....... 5,50 !
— Crepuscolo dei filosofi 3,50 j
Rensi G.: Sic et non (meta-1 fisica e poesia) . . . 3,50 !
Troilo E.: G. Bruno . . 2 —
GUERRA E ATTUALITÀ
Andreìef L.: Sotto il giogo della guerra . . . . 3,50 “ E un libro di guerra che. ha sopratutto il carattere della sincerità. E un documento dell'e^ poca terribile che abbiamo attraversato, in cui ogni eroismo, ogni ferocia, ogni dolore ha trovato il suo esempio „
(A. Faggi nel Marzocco).
Bois H.: La guerre et la bonne conscience................0,70
Ciarlantini: Problemi dell’Alto Adige ....... 3,50
Ghelli S.: La maschera dell’Austria . . . . . 6 Kolpinska A.: I precursori della rivoluzione russa 6 —
L’A. stessa à dichiarato il metodo del suo lavoro, metodo di antologìa o di mosaico e à con ciò tributato a sè stessa la maggior lode. Piuttosto che .un’opera di storico assimilatore, essa à fatto opera di espositore coscienzioso di quanti ne* due .ultimi secoli segnarono le tappe essenziali dello sviluppo della Russia. Gl’Italiani leggano e meditino le pagine della K.; ciò li esimerà forse dai vaniloqui retorici degli estremisti di tutti i partiti.
Maranelli e Salvemini: La questione dell'Adriatico. 6 —
Murri R. : L’ anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pratici) . . . . 1,25
MURRI R. : Guerra e religione, Voi. I. Il sangue e l’altare
MURRI R. : Guerra e religione. Voi. II. L’imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa . . . . . ... 2 —
4
— n
Libreria Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
Puccini M.: Come ho visto il
Friuli ....... 5 — Senizza G.: Storia e diritti di
Fiume' italiana ... i —
Soffici A.: Kobilek (giornale di battaglia)............3,50
Stapfer: Les leçons de la guerre 4 —
Wilson: La nuova libertà. 4 — Wilson : Un soldat sans peur et sans reproche (en mémoire de André Cornet-Auquier).
i,39| Zanotti-Bianco IL e Calli A.: ,
La pace di Versailles, note e documenti (con 20 carte .etnografiche e politiche) io —
Consigliamo a quanti vogliono essere edotti sobriamente e fon-j damentalmente dei problemi sollevati, risolti o... lasciati insoluti dal Trattato di Versailles, questo
volume che, corredato dì numerose c nitide carte geografiche, 1 liceo dì statistiche e compilato I su documenti,, tende a. formare una concezione politica nuova di I frónte alla vecchia che momentaneamente à prevalso.
La Chiesa e 1 nuovi tempi 3,50 |
Raccolta di scritti originali di ' Giovanni Pioli - Romolo Murri - | Giovanni E. Meille - Ugo Ianni I - Mario Falchi - Mario Rossi -“ Qui Quondam „ - Antonino De Stefano - Alfredo Tagliatatela. !
LETTERATURA
Afcari P. : Amici . . . . 2 —
Chjni M. : F. Mistral . . 2—
Della Seta U.: Morale, Diritto ì e Politica internazionale nel-, la mente di G. Mazzini. !
L5O I Dell’Isola M.: Etudes sur Mon-, taigne ....... 2,50
Jahicr P.: Ragazzo . . 3.50
Brevi, ma vive pagine di vita vissuta, scrìtte in uno stile che à i tratti duri, ma incisivi di alcune xilografie e che par più che dipingere trarre dal marmo dell’esposizione fredda la vitalità della statua, fc tutto perfuso di una spiritualità fremente e d’una poesia dolorosa che in una prosa tutta speciale è più espressiva talvolta della stessa poesia.
I Lanzillo A.: Giorgio Sorel, r — | Papini G.: Parole e sangue.
3,50
Sheldon C.: Crocifisso! romanzo religioso sociale tradotto da E.Taglialatela. 2 —
Soffici A.: Scoperte e massacri ................5 —
Vitanza C.: Spiriti e forme del divino nella poesia di M. Ra-pisardi (conferenze). 1,50
RELIGIONE E STORIA
Agresti A. : A. Lincoln . 2 —
Barbagallo C.: Giuliano l’apostata .................2 —
Buonaiuti E.: S. Agostino 2 — » » S. Girolamo 2 —
CHIMINELLI P. : Gesù di Nazareth .... (in ristampa}
— Il Padrenostro e il mondo moderno . ................. 3 —
S. Caterina da Siena: Libro della Divina Dottrina, volgarmente detto « Dialogo della Divina Provvidenza » a curadi Matilde Fiorini 5,50 Cumont F.: Le religioni orientali nel paganesimo romano ........ 4 — Di Soragna A.: Profezie di Isaia, figlio di Amos. 5 — Gautier L.: Introduction a l’Ancien Testament. 2 volumi ..............z. . 26 —
— La Loi dans l’ancienne alliance ....... 2,25
Janni U.: Il dogma dell’Eucaristia e la ragione cristiana 1,25
Lea H. Ch.: Storia della confessione auricolare e delle indulgenze nella chiesa latina (versione di Pia Cre-monini), 2 volumi . 36 —
- Le origini del potere tem- j potale dei papi . . . 5 — |
I Loisy A. : La Rcligion. 5 — I — Mors et vita . . . . 2,25 ; — Epitre aux Galates. 3,60 j — La paix des nations . 1,50 < Ottolenghi R.: I farisei anti-| chi e moderni. . . . 4 —
Paladino G.: Opuscoli e let-| tere di Riformatoci italiani i del Cinquecento . . . 5,50 1
PETTAZZONI R. : La religione primitiva in Sardegna 6 —
Salvatorelli L.: Introduzione bibliografica alla scienza delle Religioni . . . . . 5 — — «LaBibbia»Introduzione al-l’Antico e Nuovo 'restamento .......... 12.50 — Il significato di < Nazareno » ....... 1,50
TYRREL G.: Autobiografia*e 'Biografia (per cura di M.
D. Petre).. . . . . . 15 —
A i nostri abbonati non mo-• rosi L. 10,50 franco di porlo.
Lettera confidenziale ad un professore d’antropologia °.5°
Vitanza C.: La leggenda de1 « Descensus Christi ad inferos • . . . . . . . 1,50
Wenck F.: Spirito e spiriti nel Nuovo Testamento. 0,75
X. La Bibbia e la Critica. 2 —
X. Lettere di un prete modernista ...... 3,50
Nuovo Testamento, tradotto e corredato di note e di prefazioni dal prof. G. Lazzi 1,80
Nuovo Testamento e Salmi (e-dizione Fides et Amor) 3 1 Vangeli e gli Atti degli Apostoli (edizione Fides- et A. mor) ........ 1,80
1 Salmi (Edizione Fides et Amor) ...... 1,80
Giobbe, tradotto da G. Buzzi 1,80
VARIA
Cadetti A. : Con quali sentimenti sono tornato dalla guerra ....... 1,50
Martinelli: Per la vittoria morale ........ 3,50
Papini G.: Chiudiamo le scuole
1 —
Scarpa A.: La scuola delle mummie . . . . . 1 —
Del Vecchio G.: Effetti morali del terremoto in Calabria secondo F. M. Pagano . 2 —
Pioli G.: Educhiamo i nostri padroni . . . .. . . 2.50
5
— in
ESTRATTI DELLA RIVISTA “ BILYCHNIS „
I Serie .„■■■■■
i. Amendola Eva: II pen- । siero religioso c filosofico, di, F. Dostoicvsky (con tavola fuori testo: ritratto del D. disegnato da P. Paschetto).
1917- P- 40.............2 —
2. Bernardo (ira) da Quin-1 avalle: L’avvenire sccon-do l’insegnamento di Gesù. 1917» P-43..............0.80
3. Biondolillo Francesco: La religiosità di Teofilo Folengo (con 1 disegno). 19x2, p. 12....................0,40
4. Biondolillo Francesco: Per la religiosità di F. Petrarca (con una tavola). 1913. pagine 9 ....... 0,40
5. Cappelletti Licurgo: Il Conclave del 1774 e la Satira a Roma. 1918, p. io. 0.50
6. Cento Vincenzo: Colloquio con Renato Serra. 1918, p. 11...................0,60
7. Chiapponi Alessandro: Con tro l’identificazione della filosofìa e delia storia e pei diritti della critica. 1918, p. 12 . . . . . . . 0.60
8. Corso Raffaele: Ultime vestigia della- lapidazione (con 2 disegni originali di P. Paschetto). 1917, pagine 11...........(esaurito)
9. Corso Raffaele: Lo studio dei riti nuziali. 1917, pagine 9..................0,40
re. Corso Raffaele: Deus Plu-vius (saggio di mitologia popolare). 1918, p. 13. 0.75
11. Costa Giovanni: La battaglia di Costantino a Ponte Miìvio (con due tavole c due disegni). 1913, p. 14. 1,50
i2. Costa Giovanni: Critica c tradizione. Osservazioni sul-, la politica e sulla religione di Costantino. 1914. pagine 23.................. 1,50
13. Costa Giovanni: Impero romano e cristianesimo (con due tav.). 1915, p. 49. 2 —
14. Costa Giovanni: Il «Christus » della « Cines ». 1917.
p. lì ... . . *. . 0,30
15. Crespi Angelo: Il problema dell’educazione (introduzione). 1912, p. ix. (esaurito)
16. -Crespi Angelo: L’evolu-1 zione della religiosità nell'in- I dividilo. 1913, p. 14. 0.50
17. De Stefano Antonino: Le origini dei Frati Gaudenti.
1915. P- 26.......... 1,50
18. De. Stefano Antonino: I Tedeschi e l'eresia medievale in Italia. 1916, pagine 17................1 —
19. De Stefano Antonino: Delle origini dei « poveri lombardi » c di alcuni gruppi valdesi. 1917, p. 23. 1 —
20. Fallo! T.: Sulla soglia (considerazioni sull’«/ ài là) . (con una tavola i. t„ disegno di P. Paschetto). 1916, p. 14 ....... 0,50
21. Fasulo Aristarco: Pel IV centenario della Riforma. 1917. p. 18 . . . . . 0,50
22. Fasulo Aristarco: Brevi motivi dima grande sinfonia (Della Provvidenza). 1918, p. 16 . . . . . 0,50
23. Formichi Carlo: Cenni sulle più antiche religioni dell'india - (con suggerimenti bibliografici). 1917, pagine 15 ................. 1 —
24. Fornari F.: Inumazione e cremazione (con quattro tavole). 1912, p. 6 . . . 1 —
25. Gabeliini M. A.: Olindo Giierrini: l’uomo e l’artista.
1918, p. 17 . . . .. . 0,50
26. Gambaro Angelo: Crisi Contemporanea. 1912, pagine 7 ....... 0,30
27. Ghignoni P. A.: Lettera a R. Murri (A proposito di Cristianesimi e guerra). 1916. p. 9 ...... (esaurito)
28. Giretti Edoardo: Perchè sono per la guerra. 1915, p. 11 ....... 0,50
29. Giulio-Benso Luisa: « La vita è un sogno » di Arturo Farinelli. 19x7, p. 16. 0,50
30. Giulio-Benso Luisa: Lamennais c Mazzini (con una tavola f. t.: ritratto del Lamennais). 1918, p. 40. 1,50
31. Giulio-Benso Luisa: Il sentimento religioso nell’opera di Alfredo Oriani. 1918, P-43 ...... 1.50
32. Lanzillo Agostino: Il soldato e l'eroe (Frammenti di psicologia di guerra).
1918, p. 25 . . . (esaurito)
33. Lattes Dante: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico. 1918, p. 21. 1,25
34. Lenzi Furio: L’autocefalia della Chiesa di Salona (con undici illustrazioni). 1912, p. 16............ 1 —
35. Lenzi Furio: Di alcune medaglie religiose del iv secolo (con una tavola e quattro disegni). 1913» pagine 21 ...... 1,50
36. Leopoid H.: Le memorie apostoliche a Roma e i recenti scavi di S. Sebastiano (con una tavola). 1916, pagine 14 ...... 0,40
37. Luzzi Giovanni: L’opera Spenccriana. 1912. pagine 7 ............. . . 0,30
38. Masini Enrico: La’ liberazione di Gerusalemme. Salmo. 19x7, p. 2 . . 0,25
39. Meille Giovanni E.: Il cristiano nella vita pubblica. ^13. P- 3ì in-320. . 0,25
40. Meille Giovanni e Ada: Gianavello. Scene valdesi in quattro atti. (Disegni e xilografie di P. A. Paschetto), 1918. p. 67. 2,50
41. Minocchi Salvatore: I miti babilonesi e le origini della gnosi. 1914, p. 43 . . 1,50
42. Momigliano Felice: Il giudaismo di ieri e di domani. 1916, p. 16..............0,60
43. Müller Alphons Victor: A-gostino Favaroni (f 1443) (generale dell’ordine Agostiniano) e la teologia di Lutero. 1914, p. 17 . 0,50
44. Murri Romolo: L'individuo e la storia (A proposito di Cristianesimo e guerra). 1915, p. 12..............0.50
45. Murri Romolo: La reli-Eione nel l’insegna mento pub
lico in Italia. 1915, pagine 22.............. 0,75
46. Murri Romolo: La « Religione » di Alfredo Loisy. 1918, p. 16 . . ; . . 1,25
6
IV —
47- Murri Romolo: Gl'Italiani c la libertà religiosa nel secolo xvii. 1918, p. io. 0.50
48. Muttinelli Ferruccio: li profilo intellettuale di San Agostino. 1917, p. 8. 0.40
49. Nazzari R.: Le concezioni idealistiche del male. 1918, p. 16..................... 1 —
• Pensieri del Pascal .IH. Tre fedi (Montaigne, Pascal, Alfred de Vigny) (con due tavole fuori testo). 1914, pagine 30 ...... 1,50 66. Provcnzal Dino: Giuoco fatto. 1917, p. 12 . . 0,40 ! 67. Provcnzal Dino: L’anima religiosa di un eroe. 1918,
P- 12 ....... o,75
68. Puglisi Mario: Il problema moiale nelle religioni primitive. 1915, p. 36 . . . 1 — j 69. Puglisi Mario: Le fonti religiose del problema • del male. 1917, p. 97 . . 2 —
170. Puglisi Mario: Realtà e idealità religiosa (a proposito di un nuovo libro di A. Loisy). 1918, p. 13 1 —
71 Quadrotta Guglielmo: Religione Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Sa-landra (con ritratto e una lettera di Antonio Salan-dra). 1916, p. 31 . . 1 —72. Qui Quondam: Visione di Natale. Frammento (con otto disegni di P. Paschctto) 1916, p. 7...... 0,50
73. Qui Quondam: Carducci e il Cristianesimo in un libro di G. Papini, 1918, pagine 11, ...... 0,50
74. Qui Quondam: La Carriola (La bruettc) Dalle Mu-sardiscs di Rostand (con due disegni di Paolo Paschctto). 1918, p. 5 . 0,40
75. Rc-Bartlett: Il Cristianesimo e le chiese. 1918, pagine io ... . (esaurito)
76. Rendei Harris: I tre «Misteri» cristiani di Wood-brooke (Introduzione e note di Mario Rossi) (con un di- ! segno di P. Paschctto). 1914 . p. 27, in-320 . . . . 0,50
77. Rcnsi Giuseppe: La ragione e la guerra. 1917, pagine 27 ...... 0,75
78. Rósazza Mario: Del metodo nello studio della storia delle religioni. 1912, pagine 7. . . . . (esaurito)
79. Rosazza Mario: La religione del nulla (Il Buddismo) • (con sei disegni). 1913 . . . . . (esaurito)
80. Rossi Mario: Verso il Conclave. 1913, p. 4 . . . 0,25
50. Ncal T.: Maino de Biran.
19x4. P- 9.............0.50
51. Orano Paolo: La rinascita dell’anima. 1912. p. 9. 0,50
52. Orano Paolo: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita cd un ritratto). 1915, p. 19. . 1 —
53. Orano Paolo: Gesù c la Guerra. 1915, p. 11. 0,50
54. Orano Paolo: Il Papa a Congresso. 1916, p. 12 0,75
55. Orano Paolo: La nuova coscienza religiosa in Italia.
1917, p. 19 . / . . . 0,50
56. Orr James: La Scienza e la Fede Cristiana (secondo I il punto di vista conciliato-rista). 1912, p. 25 . . 0,25 1
57. Pascal Arturo: Antonio Ca-1 racciolo: Vescovo di Troycs.
1915. P- 39...........1 —
58. Pioli Giovanni: Marcel Hé-bert (con ritratto cd un autografo). 1916, p. 23. 1 —
59. Pioli Giovanni: Inghilterra di ieri, di oggi, di domani. Esperienze e previsioni (con sei tavole). 1917, p. 57 1,50
60. Pioli Giovanni: La fede e l’immortalità nel • Mors et vita 1» di Alfredo Loisy (con ritratto del Loisy). 1917, p. 22 . . . . . 0,60
61. Pioli Giovanni: Morale e religione nelle opere di Sha- | kespearc (con cinque tavole) 1 1918, p. 46 . . . . . 2 —
62. Pioli Giovanni: Il catto-licismo tedesco c il « centro cattolico ». 1918, p. 21 1,25
63. Pioli Giovanni: Lo spirito della Riforma e quello della Germania contemporanea.
19x8, p. ìi . . . . . 0,501
64. Pons Silvio: La nuova ' crociata dei bambini. 1,914) p. 6..............(esaurito.
65. Pons Silvio: Saggi Pa-scaliani. I. Il pensiero politico e sociale del Pascal.
II. Voltaire giudice dei
| 81. Rossi Mario: La chimica del Cristianesimo (conferenza religiosa). 1916, pagine 9 ....... 0,50
82. Rossi Mario: Esperienze religiose contemporanee. 1918, p. 13...............0,50
83. Rossi Mario: La « Cacciata della morto » a mezza quaresima in un sinodo boemo
- del ’300 (Note folkloriche).
. 1918. p. 8 . . . . . 0,50
84. Rossi Mario: I sofismi sulla guerra e la difesa della nostra latinità (Guerra di religione o guerra economica?). 1918, p. 17 . . . 0,50
85. Rostan C.: Lo stato delle anime dopo la morte secondo il libro XI dell’Odis-sea, 1912, p. 8 . (esaurito)
86. Rostan C.: Le idee religiose di Pindaro. 1914, pagine 9. . . . (esaurito)
87. Rostan C.: L’oltretomba nel libro VI dell’. Eneide».
1916, p. 15 . . . . . 0,50
88. Rubbiani Ferruccio: Mazzini e Gioberti. 1915, pagine 15 ... . (esaurito)
89. Rubbiani Ferruccio: Un .modernista del Risorgimento (Il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga). 1917, pagine 23 ..... . 0,60
90. Rutili Ernesto: Vitalità c Vita nel Cattolicismo (I e II). Cronache Cattoliche per gli anni 19x2-1913 (esaurito)
91. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita nel Cattolicismo’(III.
IV, V). Cronache cattoliche per gli anni 1913,0 1914 (tre fascicoli di pagine complessive 52) ...... 1,50
92. Rutili Ernesto: La soppressione dei gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi. 1914, pagine 6. . . . . ." . . 0,40
93. Sacchini Giovanni: li Vitalismo. 1914, p. 12 0.50
94. Salatiello Giosuè: Il misticismo di Caterina da Siena (con una tavola). 1912, p. xo . . . . . 0,50
95. Salatiello Giosuè: L’umanesimo di Caterina da Siena. 1914, p. io. . . . . 0,50
7
96. Salvatorelli Luigi: La storia del Cristianesimo ed i suoi rapporti con la storia civile. 1913. p. io . . 0,50
97. Scaduto Francesco: Indipendenza dello Stato e libertà della Chiesa. 1913, p. 25 in-320. .... 0,25
98. Taglialatela Alfredo: Fu il Pascoli poeta cristiano? (con ritratto del Pascoli c 4 disegni di P. Paschetto). 1912, p.n..............o.75
99. Taglialatela Alfredo: Il sogno di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 4 disegni originali di Paolo Pa-' schetto). 1912» p. 8 . 0,25
100. Taglialatela Eduardo: Morale e religione. 1916, pagine 40 . . . . . 1 —
101. Taglialatela Eduardo: Lo insegnamento religioso secondo odierni pedagogisti italiani. 1916. p. 9 . . 0,50
102. Tanfani Liv.o: Il fine dell'educazione nella scuola dei gesuiti. 1918, p. 27 0,75
103. Tosatti Quinto: Giordano Bruno (con ritratto del Bruno: disegno di P. Paschetto). 1917- p. 19 • • • ■ ■ 1 —
104. Trivero Camillo: La ragione e la guerra. 1917. pagine 15.................0,40
105. Tucci Paolo: La guerra nelle grandi parole di Gesù.
1916, p. 27.......... 1 —
106. Tucci Paolo: Il Cristianesimo e la storia (A proposito di Cristianesimo e guerra). 1917, p. 9 . 0.50
107. Vitanza Calogero: Studi Commodianei. 1. Gli Anticristi e l’Anticristo nel « Carmen apologeticum » di Com-m odia no. II. Commodiano Doccta? 1915, p. 15. . 0,75
108. Vitanza Calogero: L’eresia di Dante. 1915, pagine 13 ..... . 0,60
109. Vitanza Calogero: Satana nella dottrina della redenzione. 1916, p. 19 1 —
no. Wigley Raffaele: I metodi della speranza (Psicologia religiosa). 1913, pagine 14 ... . (esaurito)
in. Wigley Raffaele: L’autorità del Cristo (Psicologia religiosa). 1915, p. 39. 1 —== II Seirie =====
1. Fattori Agostino: Pensieri dell’ora (Leggendo il <« Colloquio con Renato Serra • di Vincenzo Cento). 1919. pagine 13.............0.50
2. Di Rubba Domenico: La fede religiosa di Woodrow Wilson. 1919. p. 29 . . . 0,50
3. Fra Masseo da Pratoverde : Intermezzo sacramentale (A proposito di Unione delle Chiese Cristiane). 1919. pagine 17................0.75
4. Dell'Isola M. e Provenzal Dino: C’è una spiegazione logica della vita? 1919, p. 12 0.60
5. Billia Michelangelo? Il vero uomo. 1919, p. 7 . . 0,50
6. Rossi Mario: Religione e religioni in Italia secondo l’ultimo censimento. 1919, pagine 13 . . . . . . 0.50
7. Cadorna Carla: I ritrovi spirituali di Viterbo nel 1541. 19X9. P- 7.............°.5O
8. Masini Enrico: Epistola ai fratelli di buona volontà. 1919. p. 11.................0,50
9. Marchi Giovanni: Il « Confiteor » dei giovani. 1919, p. 8................ 0,50
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11. Tucci Paolo: La guerra eia pace nel pensiero di Lutero. 1919, p. 31 . . 1.50
12. Pavolini Paolo Emilio: Poesia religiosa polacca, 1919, pagine 8..............0,50
13. Pioli Giovanni: In memoria del P. Pietro Gazzola. 1919, P- 15 ...... 1.50
14. Provenzal Dino: Ascensione eroica. 1919, p. 14. 0,80
15. Rensi Giuseppe: Metafisica e lirica. 1919. p. 15 . . 1 —
16. Falchi Mario: C’è una spiegazione logica della vita? 1919 p. 8 ........ 0,40
17. Costa Giovanni: Giove ed Ercole (contributi allo studio della religione romana nell’impero), con quattro tavole. 1919, p. 27 . . 2 —
18. (•••) Mancanze di garanzie nello Schema e nel nuovo Codice di diritto canonico e saggio su le fonti. 1920 P- 52 ....... 3 —
19. Della Seta Ugo: La visione morale della vita in Leonardo da Vinci. 1919, pa," gine 31 ...... 2 —
20. Lesca Giuseppe: Sensi e pensieri religiosi nella poesia di Arturo Graf (con due tàsvole). 1914-1919, pagine 40 2 —
21. Nazzari Rinaldo: Intelletto e ragione. 1919, p. 15. 1 —
22. Ferretti Gino: I.e fedi, le idee e la condotta. 1919, pagine 50 ...... 2 —
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— VI —
“IL TESTIMONIO”
RIVISTA MENSILE DELLE CHIESE BATTISTE ITALIANE
ANNO XXXVII
DIREZIONE : ARISTARCO FASULO
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AMMINISTRAZIONE: BENIAMINO FODERA
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BILYCI-INI5
rivista di sTvdi religiosi
EDITA- DALLA-FACOLTA- DELLA-SCVOL A-Js» ZSSS&JEOLOGICA- BATTISTA-DI-ROMA
Anno IX-Fasc. 111.ROMA - MARZO 1920,Vol. XV. 3
LÀ GUERRA EUROPEA DAL
PUNTO DI VISTA SPIRITUALE
acciamo, per una volta tanto, astrazione da tutti i diversi punti di vista, dai quali lo storico, l’uomo di Stato, il filosofo o lo stratega possono considerare la recente conflagrazione europea; il primo ne studia le vicende e le ricollega ai precedenti di ciascuna nazione in guerra; il secondo guarda il giuoco politicò che l’ha guidata, 1' azione dell’intelligenza umana sulle forze che la natura ha scatenate ; il terzo analizza i valori morali che la guerra ha messi in luce o distrutti, e la psicologia
dei popoli che la lotta ha affratellati o divisi; così l’artista sente, della guerra, la
bellezza epica, e F economista ne valuta gli effetti finanziari e le ripercussioni sociali, e lo stratega ne contempla gli elementi tecnici.
Contempliamo invece la conflagrazione da un punto di vista affatto nuovo, come manifestazione cioè della vita dell'umanità, come episodio della vita di questo grande essere che è l’umanità, ossia considerandola nei riguardi dell’umanità col medesimo
(1) Questo studio fu scritto nel principio del 1917. quando la guerra era in piena violenza, e non fu allora pubblicato per ragioni ovvie Oggi è stato aggiornato per quanto riguarda i tempi perchè la guerra appartiene già al passato. Per il resto è rimasto quaFcra. con la sola aggiunta della citazione di un articolo di Papini comparso sul a fine del 1917 e troppo rispondente ai concetti che qui sono svolti per non essere in questo studio richiamato. (Àr. d. A.}.
Sebbene ci fossimo proposti di non parlare più della guerra europea facciamo eccezione per quest'articolo dcll'on. di Ccsarò che ci sembra esamini il grande fenomeno da un nuovo punto di vista. (N. d. D.).
(«H
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criterio, col quale certuni interpretano le fiabe, che il folk-Ujre ha pazientemente raccolto dàlie tradizioni popolari, nei riguardi dell'uomo.
Queste storie di fate, dicono certuni, non sono racconti fantastici imbastiti senza ragione, o, come pare talvolta, senza costrutto; reliquie della sapienza popolare del tempo, in cui si era agli albori dell'umanità terrestre, in cui l’uomo era comparso da poco sulla faccia della Terra, e il suo raziocinio non aveva ancora appreso ad armonizzarsi con la parte meramente animale del suo essere, nè la cosciènza aveva ancora soffocato quel senso di convivenza con le forze naturali che determina lo istinto, le fiabe rappresentano le lotte che si svolgevano nel campo dell’interiorità dell’uomo. L’uomo, l’individuo umano, era il teatro, nel quale si svolgevano le vicende narrate dalle fiabe fra personaggi che rappresentavano i diversi principi dell'uomo stesso, se per principi s’intendono il suo fisico, il suo sentimento, la sua coscienza, la sua intelligenza, tutti insomma i centri di forze materiali e psichiche che si agitano fatalmente in lui.
Consideriamo allo stesso modo la conflagrazione europea, come una fiaba spaventosa che si è svolta in seno all’umanità, guardando l’umanità non come una collettività, ma come un individuo, come il Grande Uomo. l’Adamo della Genesi, che, solo, e androgino, è signore della Terra.
Nell’intimo dell’individuo umano la guerra fra i suoi varí principi si combatte ancora oggi; le lotte interne, i conflitti fra ragione e passione, fra la carne e lo spirito, fra la costituzione fisica e i morbi che ne minano la vigoria, fra il senso dell’io dominatore e le abitudini e le convenzioni che resistono, fra la volontà dèlio spirito e l’inerzia del temperamento, sono ancora il seguito di quei conflitti che le fiabe narravano ingenuamente agli uomini bambini, e continuano a narrare oggi ai bambini degli uomini. Anche sulla scena di un teatro, quando vediamo recitare una tragedia o una commedia che rappresenta il dramma di un’anima, assistiamo appunto a uña lotta fra i vari principi dell’uomo; ma questi principi nell'eroe del dramma li veniamo a conoscere per la prima volta nel momento della crisi, che è proprio il momento che l'artista si è fermato a ritrarre, e li vediamo quali l’evoluzione, la società, l’educazione li hanno in lui, nell’eroe, determinati, ognuno cioè a quel dato grado di sviluppo e d'intensità, al quale è giunto nel momento in cui scoppia la crisi. Il dramma così non avrebbe che un valore puramente plastico, e se noi ne comprendiamo il significato, è perchè per analogia con esperienze -fatte in noi stessi conosciamo già la genesi di ognuno di quei principi, sicché al dramma siamo in grado di aggiungere, traendola da noi, la storia dello sviluppo di tutti quei principi, che si ritrovano nell'eroe e dànno ragione delle sue passioni, della sua logica, dei suoi vizi e delle sue virtù. Ogni uomo è un « tipo », in quanto rappresenta un caso nel quale i diversi principi umani sono giunti a punti differenti del suo sviluppo; nel cosmo di ogni individuo, i suoi principi stanno, nei diversi gradi delle loro evoluzioni, come la costellazione degli astrologi, a influire sulla sorte della sua vita. Ma per comprendere il significato della sua vita, bisogna conoscerne la storia.
E la storia di ogni uomo, è come la storia dell'uomo; ogni individuo, prima di giungere al punto della vita in cui può dire di vivere la vita veramente sua, recapi-
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fola un passato. Se è vero, secondo teorie moderne, che nel periodo prenatale, ogni uomo recapitola l’evoluzione delle, forme viventi che precedono l'umanità, è altrettanto vero che dalla nascita alla maturità recapitola l’evoluzióne intellettuale e morale della sua umanità, sino a che, fruttò di uri mondo di esperienze passate, si affaccia alla vita propria. Dante, trascorsa l’infanzia nella quale la coscienza è appena in formazione, allorché iniziò il cumulo di esperienze giovanili che gli facevano rifare i passi della gioventù umana, sentì di entrare in quella che chiamò Vita Nova, la quale, a Sua volta, lo trasformò e lo plasmò e lo preparò all;, .grande esperienza che fu veramente-suà, e che, come egli stesso ha detto, cominciò col suo tren-tacinquesino anno, « nel mezzo del cammin di nostra vita ».
Ogni passo che l’individuo fa nel proprio processo educativo, ripete una delie conquiste fatte dall’umanità nel suo cammino dall'animalità al raziocinio, è oltre; conquiste rappresentate dall'acquisto dei diversi nuovi principi che mano mano venivano ad elevare l’uomo e a farlo re della Terra.
Gli antichi, che facevano corrispondere gli eventi delle vicende umane coi moti dei cieli chiedevano infatti, perchè la natura umana fosse potenzialmente perfetta, che i sette spiriti planetari avessero per turno ispirato l’uomo, e ciascuno tre volte, una volta cioè per ciascuno dei tre mondi, spirituale, animale o stellare, e materiale, che comprende il creato. Ventuno cicli insomma, ossia tre volte sette cieli, doveva percorrere l’uomo prima di essere completo. Della quale sapienza antica si rispettano inconsapevolmente ancor oggi i dettati, quando la Chiesa cattolica pone a sette anni il principio dell’età della, ragione, e il legislatore a quattordici anni l’età minima richiesta per la validità delle testimonianze, e a ventuno anno la fine dell’età minore, e. l’acquisto della capacità giuridica e politica.
Ora è caratteristico delle leggi dell’evoluzione, che il progresso conseguito in ogni ciclo non si comunica al ciclo successivo dal punto culminante raggiunto, ma deve al contrario soggiacere prima al periodo della parabola discendente, sicché il nuovo ciclo parta dallo stessa punto iniziale del primo, e cominci il suo svolgimento facendo una completa recapitolazione del passato con questo solo di diverso, che porta in sè il germe potenziale del nuovo acquisto, che lo ispira e che all’ultimo sboccia in un breve periodo proprio.
Tutta l’evoluzione, per esempio, rappresentata dalla immensa varietà del regno vegetale, costituisce il ponte fra il cristallo e l’animale; ma non è la forma più evoluta delle piante quella che più si avvicina alla forma meno evoluta dell’animale, perchè il ciclo evolutivo del regno vegetale nulla ha che vedere con quella del regno animale. Il primo però porta innanzi la cellula organica, finché dalle sue capacità puramente vegetative essa ne acquista altre potenzialmente animali. Alla fine dell'evoluzione del vegetale, la cellula, forma iniziale della pianta, è divenuta forma iniziale dell’animale, ed è il micrococco il vegetale cbp più è affine alla protoameba. Il ciclo vegetale e l'animale partono pertanto dal medesimo principio, dal medesimo punto di partenza che però per il secondo ha facoltà potenziali nuove che per il primo non aveva.
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A questo modo di procedere della Natura si deve, se nella vita degli uomini, e più nella vita dell’umanità, che nel suo svolgimento attraverso i secoli offre maggior campo all’osservazione, si ritrovano spesso certe ripetizioni che a prima vista paiono inesplicabili, perchè non sembrano rappresentare o portar seco nulla di nuovo, nulla di migliorato, nulla di più evoluto; e invece proprio questi ricorsi sono i proemi di capitolo nuovi nel libro della Storia.
Il Vico li rilevò forse per il primo; il principio dei ricorsi storici costituisce un elemento essenziale della sua dottrina o, come la chiamava, della sua «scienza nuova ». Egli vide come il cammino di ogni singolo popolo non costituisca un’azione isolata verso una civiltà destinata a morire con la nazione che l'ha creata, ma al contrario faccia parte di tutto l’orgànico processo evolutivo degli uomini, processo che egli vedeva svolgersi sotto l’intelligente guida della Provvidenza, sicché a volta a volta or questo, or quel popolo veniva chiamato al compito di portar innanzi l’incivilimento dell’umanità, e con ogni ripresa di quest’opera ricorrevano le forme iniziali di reggimento sociale per le quali l’uomo,. affinandosi e perfezionandosi, raggiungeva i gradini più alti di civiltà e di cultura per tentare ulteriori ascese.
Del resto questi ricorsi non si verificano soltanto nella storia dell’umanità; non è raro ritrovarli nella vita dei singoli uomini. Basti considerare quanto spesso un uomo, che, tempratosi nelle lotte della vita, sembri esser divenuto padrone, del suo $?, si trova invece trascinato, a riprendere la dolorosa via delle esperienze che conduce alla conoscenza, ogni volta a una più profonda conoscenza, di sé stesso.
Già bambino, all’età di due anni e mezzo, o tre, l'uomo pare immedesimarsi per la prima volta col suo sè ; cg’i cessa di parlare di sè medesimo in terza persona, e adopera per la prima volta il termine io. Ma questo suo io, man mano che cresce, sembra sdoppiarsi, sfaldarsi; l’uomo sente di essere complesso, e sperimenta le intime contraddizioni che sono in lui, le lotte interne che egli sostiene contro sè stesso. Lo muovono da una parte i sentimenti, gli affetti, le passioni; in altro senso lo spinge il raziocinio; le esperienze poi temprano in lui una coscienza, che parla più forte così dei sentimenti come della ragione. Eppure tanto il suo intimo sentimento, quanto il suo raziocinio, quanto la sua coscienza sono tutti essenzialmente suoi, hanno tutti ugualmente diritto a chiamarsi il suo io, il suo sè, e intanto v'è nell’uomo un sè che è ancora più profondo di quelli, perchè assiste a queste lotte che si svolgono fra sentimenti, e ragione, e coscienza, e le sente in sè e ne soffre.
Questo è perchè, come già con la civiltà nella evoluzione degli uomini, così con l’educazione nella vita di ogni individuo, l’io dell’uomo si va specificando; l'anima si divide, comparisce quella che i filosofi chiamarono anima senziente, e poi comparisce la ragionevole, e infine la cosciente, e, quando tutte e tre si sono sviluppate, rimane il principio dell’io umano che vuole coordinarle e armonizzarle, per la maggiore perfezione dell’uomo.
E resta pure talvolta l’aspirazione ad ascensioni ulteriori, verso le sfere dello spirito, verso il regno della intuizione, nel quale la ragione stessa vacilla dinanzi alle cognizioni dirette e la logica pericola dinanzi a nuove leggi di realtà trascenden-
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tali. Superato il mondo materiale, e quello psichico, l’uomo talora anela a quello spirituale, e, a dispetto del raziocinio che lo nega, lo va invocando.
Hanno questi diversi principi dell’uomo sedi specifiche nell’organismo suo? Sono essi localizzati nel suo essere? L’uomo non lo può sapere; egli avverte la loro successione daH’imperio che or uno or l'altro prende su di lui, ma altro di essi non sa.
Nella vita dell’umanità invece, che è la storia della Terra, il successivo sviluppo dei vari pincipi dell’uomo è segnato dal susseguirsi delle diverse civiltà, a ognuna delle quali è stata legata l’egemonia del rispettivo popolo sugli altri, sicché nella umanità ogni principio trae origine da un determinato popolo ed è al medesimo in particolar modo legato. Di guisa che, mentre nell'individuo umano le fasi della sua evoluzione sembrano succedersi soltanto nel tempo, nell’umanità essi si’ succedono sì nel tempo che nello spazio, e la comparsa di una nuova civiltà non implica la morte di una civiltà precedente, ma semplicemente il trasferimento daU’una all'altra del centro di maggior propulsione e di maggior pregresso.
Così, mentre nell’uomo anima senziente, anima ragionevole e anima cosciente si sono sviluppate una appresso dell'altra, l’anima dell’umanità, il complesso di sentimenti, pensieri e desideri che armonizzano i diritti e i doveri degli uomini in un regime di convivenza sociale, si è elaborata attraverso forme che, in seno a popoli diversi, hanno continuato a perpetuare le correnti delle rispettive loro forze, e coesistono. ,
A Roma si formò il diritto privato; e ancora oggi il Corpus Juris è il maggiore monumento giuridico esistente; a Londra, attraverso le vicissitudini della nazione inglese, si è formato il diritto pubblico; e Parigi fu il centro, dove con i moti della Rivoluzione francese, si formò la coscienza dei diritti dell’uomo. È perciò sintomatico che in questa guerra, or ora terminata, e che può dirsi la prima guerra veramente mondiale che si sia combattuta sulla terra, Roma, Parigi e Londra, i tre centri cioè che furono culle' delle tre grandi branche del giure, nei quali si formò la coscienza del diritto del cittaoino, del diritto dell’uomo e del diritto della nazione, si sieno trovate unite nella lotta, come è caratteristico di questa lotta che la Germania, da canto suo, non comprenda, e non riesca sinceramente a darsi ragione della forza e della intensità dello sdegno suscitato in Italia, in Francia e in Inghilterra dalle sue disinvolte violazioni di diritti privati e pubblici garantiti, da trattati e da convenzioni.
La Germania infatti non ha preso che piccola parte alla creazione del diritto; e la Germania perciò non può comprendere che violare i canoni del diritto equivale ad attentare alla ragion d’essere stessa delle nazioni sue nemiche, ed è stato quindi il mezzo più atto a scuotere queste ultime dal loro sopore pacifista e a indurre nelle loro popolazioni il convincimento che la loro esistenza era in pericolo.
Ma che cosa ha rappresentato dunque la Germania in questa lotta, e che cosa la Russia? Se guardiamo la storia, vediamo comparire i Germanici e divenire invadenti ogni qualvolta in Europa c’è un impero mondiale da- abbattere; furono essi, con le invasioni dei loro Goti, Eruli, Franchi, Borgognoni e delle altre genti di loro
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razza. Che andarono scuotendo l’impero romano sino a farlo Crollare per far sorgere dalle rovine di esso una nuova umanità con nuove coscienze nazionali e individuali
È la Germania oggi, che dopo lunga competizione di concorrenza politica e commerciale, ha scatenato nel mondo una guerra, la quale, sfrondata dei minori conflitti che attorno a essa si sono coagulati, ridotta alla sua più semplice espressione, si è risoluta in un tentativo di abbattere l'impero' britannico. L’Inghilterra oggi ripete la storia di Roma.
Roma andò allargando i propri domini fino a conquistare tutto il mondo noto agli antichi e a farne un impero che impresse la civiltà latina sulle popolazioni barbare delle razze più svariate, e la cui costituzione era peculiare per le larghe autonomie concesse e per il rispetto serbato alla individualità dei popoli soggetti.
E .l’Inghilterra è stata parimenti lo strumento di penetrazione della civiltà moderna fin nei centri più oscuri e più reconditi del mondo selvaggio moderno, e i possedimenti che formano il suo colossale impero sono caratterizzati dal loro regime di quasi indipendenza che li fa apparire alleati, e federati, più che colonie, della Madre Patria.
La somiglianza che corre fra Inghilterra e Roma antica è tanto notevole, che è stata rilevata frequentemente. Mille peculiarità, proprie della nazione come dell’individuo, vanno a consacrare questa somiglianza, dall’albagia che dà all’uomo bri tanni cus il convincimento di essere superiore agli uomini di altre razze, così come il civis romanus sum dinotava un pari sentimento di orgoglio nel Romano, alla passione per il bagno, per la ginnastica, per gli sports; per gli sports sopratutto, per i Mi che in Roma erano parte della celebrazione delle feste religiose, e che in Inghilterra hanno tanta importanza nell’educazione dei giovani da conferire in una università forse maggior prestigio allo studente vincitore di una regata o di una sfida di cricket, che non a quello che abbia superato brillantemente gli esami.
Roma crebbe, divenne potente e ricca, e decadde. La ricchezza, gli agi, il lusso furono le cause dirette della sua decadenza; le legioni non si reclutarono più fra i romani, ma fra le popolazioni soggette, e più tardi ancora, quando un popolo barbaro minacciava d'invadere con le sue orde il territorio dell’impero, Roma trovò che. al sistema sanguinoso di opporre agl’invasori legioni proprie era preferibile l’altro di pagare altri popoli barbari perchè scendessero in campo a combattere i primi.
L'Inghilterra non è ancora su questa via: l'esempio di questa guerra ha dimostrato come essa sappia scuotersi e affrontare i sacrifizi e i pericoli necessari a combattere per la causa della propria libertà. In altri tempi però essa non avrebbe avuto bisogno di scuotersi. Il fatto che essa ha atteso più di un anno dallo scoppio della guerra prima di pensare a prendere misure di guerra serie, c a imporsi l'onere del servizio militare obbligatorio, dimostra che il benessere e l’agio l’avevano già abituata a concepire la guerra come un'impresa, nella quale una nazione può anche limitare il principale campo della sua partecipazione al finanziamento degli eserciti delle nazioni alleate.
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Ma se la Storia mostra i tedeschi accaniti oggi contro l’impero britannico quanto lo furono un tempo contro quello romano, dobbiamo tuttavia risalire a epoche più remote se vogliamo ritrovare il fenomeno della evoluzione umana di cui oggi per via della Germania si svolge la replica. Bisogna risalire ai tempi quando la luce della civiltà, lungi dall’essere diffusa per il mondo, era a volta a volta patrimonio esclusivo di un popolo che la custodiva gelosamente fino a tramandarla ad altro popolo, il quale, trasformandola, le dava nuovo splendore, e la muoveva innanzi di un passo per la via del progresso umano.
Tre grandi epoche di cultura, l'antichissima indiana, la persiana, e quella che fiorì in Caldea e in Egitto, avevano non soltanto portato l’uomo a un grado notevolissimo di civiltà, ma avevano pure cominciato a diffondere questa civiltà fra le popolazioni bianche che le vie del mare mettevano a maggior contatto con i centri del-l’Oriente.
Ma all’uomo mancava un elemento per poter progredire oltre; egli rimaneva sempre 1’ « essere di natura » che era stato agli inizi, si sentiva sempre parte di un tutto, e non individuo completo e indipendente. La sua comunione con la natura gli dava intuiti e aspirazioni che a noi oggi sono sconosciute, e che allora invece alimentavano le varie forme di divinazione e di profezia; per essa egli aveva cognizioni che gli scaturivano nell’intimo suo, e che oggi non si possono acquistare che per studio e lavoro; ma in compenso non si sentiva pienamente individuo, isolato dagli altri e dal mondo, padrone e responsabile di sè. La responsabilità delle sue azioni era comune alla sua famiglia e alla sua tribù; le parentele si contraevano possibilmente entro l’ambito della famiglia per non alterarne il sangue; l’uomo, se anche non si sentiva più parte della natura, si sentiva pur sempre parte-di un tutto, della famiglia, o della tribù, o della stirpe. Mancava in lui il principio individualistico, il sè con che il sentimento della propria responsabilità è condizione essenziale al progresso etico dell’uomo.
Questo principio invece si andò formando e sviluppando in un piccolo popolo, che appunto per il valore dell'elemento di cui era portatore, ha avuto nella storia dell'umanità una parte altrettanto grande, pei* quanto era esiguo il numero della sua gente : il popolo ebraico.
L’ebreo sviluppò il principio della individualità; il singolo si sentiva un tutto a sè; la persona acquistò valore in sè e per sè, e non come membro di un nucleo sociale. Di questa peculiarità degli ebrei fu espressione la loro religione, che, in luogo della forma politeista in cui degenerava presso altri popoli il panteismo delle altre fedi, assunse volgarmente la forma del più rigido monoteismo. Z, il nome divino, era simbolo dell’uomo retto, era la lettera che ancora oggi ricorre in quasi tutte le lingue ariane per dinotare l’uomo che parli di sè, io, I, ich, ia, io; il Dio degli ebrei era il Dio del principio dell’io umano, il Dio della individualità umana.
Siccome però l’uomo non poteva evidentemente acquistare questa individualità altro che chiudendo la porta a quelle ispirazioni intuitive che lo collegavano, al pari degli animali, alla Madre natura e che gli davano il senso di essere parte di
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un tutto, e non un tutto a sè, così questo stesso principio dell’io, che elevò il pensiero ebraico ad altezze sublimi, condusse anche gli ebrei a chiudersi in sè stessi, nell’egoismo più stretto, nella preoccupazione di sè, del proprio .benessere materiale, e quindi li ha portati alla concezione materialistica delle cose. Gli ebrei, gli apostoli del monoteismo, i portatori del principio dell'io umano, i convinti di essere il popolo eletto del Signore, divennero i mercatanti più abili, più insinuanti, più interessati. Col commercio e per il commercio essi penetrarono fra le genti più diverse, e ancora ai giorni nostri dopo quasi due millenni dalla loro dispersione essi dànno prova della speciale loro capacità di penetrare e raccogliere le fila del movimento finanziario del mondo. E con la ricerca del tornaconto economico diffondono la fede nell’attesa di un Messia, redentore dell’Umanità, di un Messia il quale, come ha acutamente rilevato il Negri (i) nel suo studio sull’idea messianica, non è stato sempre concepito come il predicatore dell'amore, della mansuetudine e della fratellanza, ma al contrario è stato per lungo tempo profetizzato come il Signore degli eserciti, che sgominerebbe i nemici d'Israele e restaurerebbe sul mondo il regno degli ebrei, come un conquistatore, dunque, e un dominatore.
Gli ebrei sono andati dispersi per il mondo; materialmente essi si trovano sparpagliati fra le nazioni della terra, e di essi una parte si lascia lentamente, ma costantemente, assimilare dai diversi popoli fra i quali vive, sicché pochi individui, fra le classi più evolute non israelitiche, sono oggi tuttavia completamente immuni da infusioni di sangue semitico.
Moralmente, il pensiero ebraico, dando un’impronta vigorosa alla cultura nata dalle tre antichissime civiltà orientali, che intanto erano culminate in quella ellenica, ha creato l’umanità occidentale, nella cui mente, scienza e pensiero hanno potuto compiere meravigliose conquiste.
È stato questo il destino — o la missione? — del popolo ebraico, che fecondando l’umanità si va perdendo in essa, malgrado le ostilità, e talora gli odi, che incontra da ogni parte.
Se oggi al Tedesco si è rivelato, in occasione della guerra, il cumulo di odio che in ogni parte e presso ogni gente egli aveva accumulato contro di sè, non deve ciò recargli sorpresa, perchè il fenomeno germanico dei nostri tempi ripete il fenomeno ebraico dell’antichità.
I tedeschi incarnano il principio dell’io; tutta la loro filosofia, tutto il loro pensiero ha proclamato la sovranità dell’io umano, e schiere di scrittori tedeschi hanno affermato che è nel tedesco che il principio dell’io meglio s’impersona. I mistici tedeschi predicano che dopo la formazione dell’anima dell’uomo attraverso le civiltà italiana, francese e inglese, è la civiltà germanica^ la Ich kuliur, la civiltà dell’io, quella che è chiamata a coordinare le forze psichiche di quest’anima. E la guerra ha rivelato nel Governo e nel popolo tedesco doti ammirevoli di forza organizzatrice con la quale essi hanno cercato di dominare le forze più disordinate, ma più geniali, dei popoli anglo-franco-italiani.
(i) Gaetano Negri, Rumori mondani, capitolo su « L’Idea messianica nella decadenza del popolo ebraico».
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Che importava per i tedeschi se in questa lotta violavano trattati o calpestavano diritti? il culto dell’io non ha il dovere d’imporsi? non trascende forse ogni diritto? Salus publica suprema lex, e il popolo germanico si sente investito di una missione verso l’umanità, e vuole compierla a costo di ricorrere al ferro e al fuoco.
Ecco dunque che il popolo tedesco, il quale, come l’ebraico, con paziente, tenace, indefesso, insinuante lavoro era riuscito a penetrare ovunque, e ovunque aveva con il commercio e con il culto dei suoi interessi economici portato anche il culto del nome germanico, ecco questo popolo acquistare la convinzione di essere il «popolo eletto » e di avere la missione di dirigere il mondo.
Il suo Messia? L’imperatore guerriero, che esso attende da secoli; perchè da secoli corre in Germania la leggenda che il bene amato e grande sovrano dei tedeschi, Federico Barbarossa, non sia veramente morto, ma dorma in sotterranea grotta il sonno dell’attesa, fin quando spunterà il giorno del risveglio, nel quale egli condurrà il suo popolo alla vittoria e alla conquista del mondo!
Ecco la forza che ha sostenuto la Germania in guerra!
L'impressione che la storia del popolo tedesco sia quasi un ricorso odierno di quella antica del .popolo ebraico, viene del resto ancora confermata dalla curiosa analogia che esiste fra un mito che si riconnette ai principi del Cristianesimo e un altro che appartiene al ciclo delle saghe germaniche.
Il giudaismo venne, dòpo le tre antichissime civiltà umane che elaborarono nell'uomo le sue tre anime, ad affermare l’io del medesimo, affermazione la quale s’incardina sulla nascita di Gesù, che immedesimava in sè l’uomo e l’io divino. Ed ecco che, ad adorare il divino bambino, il neonato principio della personalità umana accorrono, rappresentanti delle.tre antiche civiltà, i tre Magi, e gli recano omaggio e a Lui si assoggettano. L'uomo, divenuto padrone di sè medesimo, perde allora contatto con la divinità della natura; con la nascita di Gesù, con l'affermazione cioè dell’io umano, si spezzano i vincoli che tenevano l’uomo in comunione col Tutto, e si chiude la porta per la quale potevano giungere a lui le ispirazioni divine: dopo Gesù, infatti, Israele non ha più profeti.
Nella razza tedesca, le tre anime elaborate dalle precedenti civiltà operano per il trionfo dell’io; esse lo aspettano; esse attendono la venuta deWhomo germanicus che lo rechi. Una di esse guarda il passato dell’umanità, da cui è uscito l’uomo presente, che è dotato bensì dell’anima ragionevole, ma non ha la coscienza ancora perfetta, e solo nell’avvenire può sperare di averla; perchè soltanto l’affermazione dell’io potrà condurre a siffatta perfezione, sicché le tre anime, guardando il passato, il presente, e il futuro, filano intanto il destino dell’uomo, e attendono, attendono l'eroe Sigfrido, simbolo della nuova razza germanica, portatore dell’io, con la quale finiscono i contatti col mondo divino, e muoiono, per gli uomini, gli Dei.
Il Crepuscolo degli Dei è il poema lirico che celebra questo avvenimento: Wagner lo apre con un prologo, nel quale le tre Nome filano e compongono un canapo. Ed ecco si spezza il canapo, e le Nome cantano:
Si rompe! si rompe! si rompe!
Finita è la sapienza.
Da noi non verrà più profezia.
Giù! verso il mare; giù!
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E le Nome spariscono, e con loro il dono profetico dell’uomo. La scena si. rischiara, appare Sigfrido che ha liberato Brunnhilde.
Ora di questa affinità di valore storico fra germanici ed ebrei, parrebbe quasi che le sparse membra del popolo d’Israele abbiano oggi, se è permessa l’apparen-temente contraddittoria espressione, inconsapevole coscienza; perchè è un fatto strano, un fatto inesplicabile per chi non lo contempli alla luce delle considerazioni svolte sinora, ma indiscutibile, che la Germania, la quale ovunque ha raccolto ostilità e odio, in un solo popolo ha trovato disinteressato appoggio e sincera simpatia, negli avanzi, sopravvissuti a quasi due millenni di oppressione, dell’antico popolo ebraico.
Non ostante, infatti, l'antisemitismo che fino all’ultimo ha regnato in Germania dove gli ebrei erano esclusi dalle' migliori sfere sociali, e dai gradi dell'esercito, e, tranne rarissime eccezioni che del resto furono oggetto di generali commenti e meraviglie, dal Governo, grande parte dell'elemento israelitico ha simpatizzato con la Germania. In Russia gli ebrei costituivano i veicoli della propaganda tedescofila; in Polonia formavano addirittura un forte aggruppamento nazionale, che parla un dialetto germanico, X'jiddisch {judisch, giudeo) e si appoggiava apertamente alla Germania; nella Francia stessa, i centri israelitici sono stati ripetutamente, e anche prima della guerra, indiziati di lavorare per un riavvicinamento franco-tedesco. L’Alta Finanza in genere, la Finanza internazionale che è prevalentemente in mano d'israeliti, si è in questa guerra nuovamente rivelata la naturale alleata dell'impero germanico.
È l’affinità fra l’antico movimento ebraico, c quello moderno tedesco, che malgrado il disprezzo che i tedeschi non lasciano di ostentare per gli ebrei, ha spinto tanta parte di questi a simpatizzare per quelli.
Seguirà ora il popolo germanico lo stesso destino di quello ebraico? o ne compirà la medesima missione?
Bisogna, in questo esame, essere sereni. Non perchè la guerra fu provocata dalla Germania, frutto della prepotenza sua e dèi suo disprezzo di ogni giustizia, può negarsi al popolo tedesco un suo particolare compito nel mondo. Il disegno, che taluni hanno attribuito alla Quadruplice Alleanza, di volere schiacciare la Germania, era altrettanto assurdo dal punto di vista materiale — perchè non si elimina dalla faccia del mondo una nazione come la tedesca, viva, vitale e forte — quanto sarebbe stata immorale dal punto di vista etico, perchè la Germania deve portare al progresso umano il suo peculiare contributo, del quale sarebbe criminoso spogliare l'umanità.
I tedeschi dunque, nè più nè meno degli altri popoli, debbono svolgere una loro missione; quale sia questa missione, abbiamo visto; per essa i tedeschi vanno effiet-tivamente subendo un processo di dispersione, assai somigliante, non nella forma, ma nella sostanza a quella degli ebrei. Non è infatti la dispersione di un popolo disfatto e perseguitato, che si dissemina per il mondo; è anzi una diramazione, per via di conquiste, di emigrazioni o di infiltrazioni, di numerose propagini che presto perdono però ogni contatto col ceppo paterno, e si lasciano assimilare da altri popoli.
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Questo destino dei tedeschi è dimostrato dalla Storia: ovunque le popolazioni germaniche, con le loro invasioni o le loro conquiste, hanno lasciato parte di loro gente, questa si è fusa con la popolazione indigena, e, perdendo ogni vestigio della propria nazionalità, ha dato nuovo sangue e nuova vigoria a razze e a civiltà vecchie. Nessuna traccia è infatti più rimasta del sangue teutonico nelle popolazioni latine d’Italia, di Francia e di Spagna, le quali, d’altro canto, senza l’infusione del sangue barbaro, non avrebbero potuto far rifiorire la tramontata coltura romana nelle civiltà neo-latine.
È sintomatica questa proprietà del tedesco, tanto cosciente del proprio io. di perdere tuttavia il sentimento della sua nazionalità e di assimilarsi completamente alle nazionalità fra le quali vive, a dimostrare quasi che l’individualità umana, l’io dell'uomo, non può esistere ed essere di per sè stante, ma deve vivere attraverso le ànime umane.
E l’errore germanico, l'eresia che ha provocato questa guerra, è stato di non aver compreso questa verità, e di aver creduto che la Germania potesse e dovesse sottomettere il resto dell’umanità, invece di essere un elemento di armonia in seno alla medesima, come se fosse possibile alla personalità dell’uomo .di essere al di fuori e al di sopra delia sua anima, anziché in essa come principio coordinatore delle forze della medesima. Sicché la Germania ha creduto di poter dominare il mondo e ha sognato la signoria della Terra e l’asservimento del genere umano; e alla realizzazione di questo sogno si è preparata per decenni ed è andata convergendo tutte le sue forze e le sue attività; e a questo stesso fine ha pure organizzato la sua attività economica fino a creare il più vasto congegno commerciale che si sia mài visto. Fatale errore di orgoglio che essa dovrà scontare!
Anche gli ebrei, è vero, furono e sono commercianti; però la loro attività commerciale nacque, quando già si era compiuto il loro ciclo nazionale; nei tempi’belli infatti d’Israele essi erano agricoltori e pastori; e non fu che con l’inizio della loro dispersione, ossia del loro lavoro di penetrazione nel mondo, che ebbe principio la loro operosità mercantile. La Germania invece ha voluto con le armi del commercio lavorare alla propria storia nazionale e ha invece avverato la profezia di Nietsche secondo la quale la costituzione dell’ impero tedesco era la fine della civiltà germanica, perché è bastato infatti un trentennio di imperialismo per veder declinare la coltura tedesca.
Invano, pertanto, si è sforzata la Germania di vincere questa guerra. Non la poteva vincere; la sua vittoria avrebbe contrastato con le leggi naturali dell’evoluzione dell'uomo. E nemmeno poteva la guerra eliminare la Germania dalla faccia della Terra, perchè la sua eliminazione sarebbe in non minore contrasto con quelle leggi. Il coordinamento delle forze morali della Germania con quelle delle tre grandi nazioni uscite dall’impero romano, questa è la meta verso la quale stiamo camminando, e che la guerra stessa, che apparentemente separava e divideva i popoli avversari, è andata invece in realtà già attuando.
Di questo coordinamento, infatti, sotto la pressione delle necessità della guerra, si sono già visti taluni segni: gli sforzi della Quadruplice, tumultuari e disordinati,
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non soltanto si sono man mano andati armonizzando in modo da avvicinarsi a un massimo di rendimento, ma tutta la vita interna degli Stati coalizzati, sì nel campo sociale che in quello economico, si è andata organizzando, e i popoli hanno appreso l'educazione della disciplina e del sacrifizio, e il rispetto per l’autorità che prima erano privilegio del popolo germanico; mentre nel campo tedesco i principi democratici della sovranità popolare sono venuti lentamente alla superficie c hanno posto sul tappeto i loro postulati, e imposto i loro canoni fino a determinare il crollo delle due dinastie dei Hohenzollern e degli Absburgo con tutte le altre minori che pullulavano in Germania.
I coalizzati hanno imparato dalla loro principale avversaria che non v’è libertà senza rigore; la Germania che non v’è autorità senza rispetto per la libertà; i primi dalla seconda hanno preso lo stimolo di produrre e operare per non cadere in un benessere parassitario che li metta alla mercè dei popoli più sapientemente organizzatori: la seconda ha involato ai primi i principi di nazionalità, e in base a essi ha ricostituito il regno di Polonia e preparato la costituzione di Stati nazionali jugoslavi, ucraini e altri, in vera e piena concorrenza col programma consimile della Quadruplice.
E mentre i due gruppi belligeranti, combattendosi, scambievolmente hanno dato e hanno preso, hanno entrambi accolto, con le legislazioni straordinarie per la requisizione dei generi alimentari, dei mezzi di trasporto, e delle terre incolte, per la mobilitazione civile, per la limitazione dei consumi, per tassazioni equivalenti a parziali confische, quei principi del socialismo di Stato, che da tempo inutilmente chiedevano di essere introdotti neH’ordinamento statale e sociale delle nazioni.
Qualunque sia dunque la conseguenza della guerra dal punto di vista dei mutamenti territoriali e nazionali, che ne derivano e ne deriveranno, il suo effetto sul campo morale è segnato da un progresso generale dell’uomo e dell’umanità, progresso, di cui naturalmente non si possono scorgere i sintomi immediatamente, ma che si manifesterà a gradò a grado, con lo sparire o l’attenuarsi dei rancori, degli odii e dei dolori dei vinti, e dello spirito di prepotenza, degli appetiti e delle violenze dei vincitori, che costituiscono fatalmente il primo e più diretto, ma più transitorio, risultato della guerra.
Dalla guerra gli uomini sono usciti più completi, perchè più forti di disciplina interna, di intimo coordinamento, di propria personalità, sicché saranno fra breve in grado di riprendere la via dell’ascesa verso le sfere più alte, che stanno al di sopra della mente e dell'intelligenza. Le regioni dell’intuizione e dell’ispirazione diretta, che essi conoscevano un tempo, quando si sentivano in comunione con la gran Madre Naturale delle quali avevano perduto il contatto in cambio dell’acquisto di personalità proprie, si apriranno nuovamente a loro, ed essi vi penetreranno, non più con l’inconsapevolezza dell'istinto, ma con la coscienza forte e completa di sè stessi. A questi uomini, l’elemento slavo, che costituisce il più giovane fra i popoli ariani, e proprio per via di questa sua gioventù ha le caratteristiche dei po-
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poli primitivi, potrà portare il suo misticismo e le sue facoltà chiaroveggenti senza andar incontro ai fenomeni di follia o d’ingenuità che hanno caratterizzato i primi tentativi della Russia di reggersi da sola con metodi e forme occidentali.
Sarà giunta allora l'ora degli slavi. Con essi lo spirito puro tornerà a regnare sugli uomini al di sopra della loro mente, e l’umanità compirà nuovi progressi nel cammino della sua evoluzione.
Nell’antichità, affermatosi negli uomini col popolo ebraico, dopo le tre remotissime civiltà orientali, il principio dell’io, della personalità, cominciò a nascere anche il sentimento dell’uguaglianza fra gli uomini; l’individuo cominciò a emanciparsi dai vincoli di sangue e di famiglia; e sentì di appartenere a una sola famiglia umana; spuntò insomma nel cuore umano quel sentimento di amore, che ha distrutto le caste è affratellato gli uomini, e che ha trovato con la nascita del Cristo la sua più viva espressione.
Affermato che nuovamente si sarà, dopo le tre civiltà occidentali, con l’educazione della guerra, il principio dell’io, della personalità umana, risorgerà, per virtù degli slavi, nel cuore degli uomini, questo sentimento di amore, ma non sarà più un sentimento bambino, nato da poco, fiammella incerta ancora ed esitante, che anzi risorgerà grande e divina.
Sicché Giovanni Papini, in un ammirevole suo scritto su « la missione russa » considerando Tolstoi e Dostoiewski come due profondi conoscitori della vera Russia, ha potuto scrivere: « Per l’uno e per l’altro il popolo russo era, nella sua essenza, il popolo cristiano, il popolo che doveva rappresentare e diffondere e stabilire nel mondo l’epoca dell’amore perfetto e universale. La Russia, per loro, è, in tutto il suo corpo, con tutte le sue membra immense fatta di umiliati, sacrificati e torturati, un secondo Cristo che deve annunciare alla Terra, per l’ultima volta, la necessità dell’amore se vogliamo davvero esser redenti dall'inferno ch’è la nostra vita presente costruito sul peccato e sull'odio » (i).
Giustamente ha osservato dunque un grande mistico contemporaneo, lo Steiner che ha un profondo significato il fatto, che i popoli occidentali celebrino come loro maggior festa il Natale, mentre gli slavi dànno maggior solennità alla Pasqua. Il Natale infatti ricorda la nascita di Gesù, la Pasqua la resurrezione di Cristo.
G. A. Colonna di Cesarò.
(i) Giovanni Papini, La missione russa, pubblicata sul Resto del Carlino, di Bologna, del 7 ottobre 1917.
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'Contfaua.-ione e fine : vedi Bifycknif fase. di Febbraio 1910, p. 99)
18. - L’AUTOCOSCIENZA, O LA FONTE
Basta, infatti, la presenza dell’autocoscienza, perchè viga la moralità.
E chiarirsi questo punto, approfondire il concetto dell’autocoscienza è, come nei cenni su lo sviluppo del metodo filosofico v’ho invitato a riflettere, è avviare davvero il proprio orientamento rispetto all'educazione morale, come a tutti ì problemi de lo spirito.
L’autocoscienza: pensate: l'io che si afferma e che intanto si distingue da tutto ciò che pone in relazione a sè come suo oggetto. Proprio in questo giudizio di identità e di distinzione, che afferma l’individualità, e l’afferma come pensiero, come la forma de l’universalità e come il principio d’ogni relazione è il segreto di ogni sviluppo del conoscere e del volere.
Lo stesso soggetto uno, infatti, che si contrappone un oggetto e si fa sensibilità, è ragione e volere. La realtà che si sdoppia in soggetto e oggetto, pensiero ed essere, si dichiara, come pensiero, la condizione dell’essere, il principio rispetto al principiato, è mentre pone la legge dell’essere si attua essa stessa come valore che subordina l’essere, come libertà.
Io sono, e tutto ciò che può essere mio oggetto è mio e non è me. Sono in quanto mi dò un oggetto, un limite, e in quanto me ne distinguo, lo supero. Il mio metodo sarà della rinnovata, moltiplicata posizione dell’oggetto: Io mi farò le qualità, il. tempo e lo spazio... mi frammenterò in momenti d’individuazione... d’oggettivazione. E sarà della appropriazione, della identificazione con una oggettività sempre più vasta e complessa, e intanto della superazione, della rinuncia alla piena identificazione con qualsiasi oggetto. Io non mi mantengo io che in quanto nel mio agire mi realizzi di continuo come principio e mai mi sommerga nel principiato: realizzi la mia libertà, la mia infinità.
Devo affermarmi individuo e sono pensiero, devo farmi qualcosa, e nulla può adeguarmi. Sono in quanto pongo. Devo agire.
Io stesso sono essenzialmente l'imperativo dell’azione. E la forma del mio agire è il pensiero, la stessa ragione con che mi configuro a mondo nel conoscere.
Il mio illusorio identificarmi coi limiti ch’io mi posso dare è il male. Io non sono nè l’immediatezza dei miei impulsi, ne l’immediatezza de la simpatia ;
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sono l’identità, la permanenza, la connessione, l’ordine, il sistema, il pensiero che vuole per sè porre, moltiplicare e in sè comporre e avvalorare l’essere ; sono l'assolutezza del pensiero ch’è volontà d’infinito, e che non si fa limitato contenuto di pensiero che per attuare la propria concreta universalità.
Sono la contraddizione che ha lo sforzo de la conciliazione come metodo ; la libertà che ha, ne la sua stessa assolutezza e infinità, la sua legge.
Chi dunque mi potrebbe «formare »? Chi, quale altra individuazione de la mia profonda realtà, potrebbe presumersi indispensabile alla mia educazione? La mia volontà come volontà, la mia azione come azione appunto dell’io, dell’autocoscienza principiante con la universalità sua, con la sua esigenza .d'infinito valore, è la mia moralità.
Io sono un io che giudica un me ed un mondo : e alla cui attività legisla-rice il piacere, l’utilità individuale o comune, la simpatia, la felicità — e in qualsiasi forma il risultato — si dimostrano non coincidere col suo essere, ma elementi subordinati.
In questa distinzione, in siffatto sdoppiamento, il mio io, un soggetto che nel momento empirico del mio conoscere, disperdendomi ne le distinzioni oggettive, negli stati oggettivati, non posso cogliere, afferma la sua consistenza : quél dover essere che in me si oppone all’essere è la coscienza come coscienza non d’altro che di se stessa, d’una sua propria realtà che non si lascia ridurre ad impressioni, ad associazione meccanica di stati, a risultato di empiriche cause.... •— anzi distinguendosene e ponendosi come Principio, rispetto a principiati, come universale rispetto al particolare, infinito rispetto al finito, giustifica — soltanto essa — la mia attitudine morale: l’autonomia.
19. - LA SAGGEZZA DEGLI IGNORANTI
Perchè l’anima vive questo senso, avvien che difenda la religione di fronte a la scienza: con che fa indirettamente una difesa di spirito filosofico della propria realtà e autonomia. Questo senso, in genere, si esprime, quando, dichiarandosi insufficiente la scienza empirica, le si cerca una superazione nei misteri de la fede o nei metodi filosofici: si postula una fonte di più vera, intima illuminazione che l’empirismo non sia. E il soggetto che non riesca a cogliersi se non empiricamente, come particolare, e che sia per altro incapace di vivere mistica-mente la pròpria dialettica realtà, pone l’universale, che in lui vige, come oggetto trascendente.
Ma, anche così, il Dio fatto soltanto trascendente è una forma di dichiarazione dei divino immanente a la coscienza morale: che a traverso i suoi Dei sostiene in realtà da sè se medesima. (E la maggiore potenza dei grandi rive-
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latori non ¡'abbiamo appunto trovata ne la loro virtù di trasportare gli animi, oltre le insufficienze del discorso, ne la intima pienezza de la realtà spirituale?)
Come che, nelle sue prime ingenue riflessioni, l'anima possa fare esterna'a sè la sua legge, esterni i rivelatori, la sua stessa intima attività è la fonte de la legge- Le religioni non dànno autorità alla coscienza morale, più che questa agli dei che configura e trasfigura. Sempre la voce della coscienza è in ultima analisi la regola. Anche oltre le frammentarie o sistematiche riflessioni d'ordine filosofico. Di quanto, spesso, la nòstra pratica è superiore a le nostre teorie !
Che meraviglia, dunque, se, dopo aver trascritta a suo modo l’esperienza inorale, mostrando l’azione in cui la buona volontà dell'uomo si attui non poter essere se non quella in cui la ragione sia fine a se stessa (e in cui perciò la massima dell'agire possa riuscir di norma ad ogni essere ragionevole), il trascendentale Kant può dichiarare con sicurezza che « anche la comune ragione umana conviene pienamente in ciò nel suo giudizio pratico, ed essa ha sempre dinanzi a sè questo principio e, sebbene non lo concepisca in una forma universale, ne usa come di criterio?».
Non ha forse dato da pensare anche a voi, che appena — già nei primi giorni di vita — il bambino può fissare più che il semplice momento, egli già vede in ogni singolo atto un’assoluta norma de ¡'agire: universalizza e richiama gli altri a la legge? Già il dovere è il suo piacere... Non sa nomare Dio e già inizialmente afferma la forma de l’azione etica...
E ne la stessa irrequietezza del cuore infantile, che lo trae a sempre più complicate conquiste, non è già viva l’esigenza a l’azione etica come un ritrovarsi dell'io nel superarsi di continuo? Non c’è questa più che kantianamente statica, dialetticamente dinamica attualità de la ragione: la volontà d'infinitarsi del finito, in cui il dovere s'invera come momento dell’espansione de l’amore e de la potenza?
Epperò, già poteva soggiungere il non avventato Kant che il concetto della volontà buona, come quello che già si trova nella sana intelligènza naturale, piuttosto che d'essere insegnato ha bisogno d'essere rischiarato. E anzi nelle cose pratiche la forza di giudizio dell’uomo comune è tale che questi può cogliere nel segno... meglio del filosofo... il quale «mentre non può basarsi che sul principio su cui si basa 1 uomo comune » può essere sviato da una folla di inadeguate considerazioni...
Da tutti, invero, e sempre anche dai fanciulli e... da coloro che fanno « popolo» è vissuta ne l’autocoscienza la necessaria distinzione fra ciò che di fatto può essere, e quel che appare dovere idealmente essere, tra il contenuto relativo e la forma stessa dell'autocoscienza. In tutti la coscienza vive se stessa non come semplice spettatrice, teatro di forze, ma come legislatrice.
E appunto per la sua stessa essenziale immanenza e semplicità, l'attitudine morale è sempre del dominio di tutti.
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L'autocoscienza — il pensiero — è l'umana azione di cui ogni produzione culturale è una forma. E lo sviluppo de la conoscenza è attività come interiore conquista e sistemazione di relazioni vieppiù complesse. Per la sua via si fan sempre più difficili i problemi. E ristretto si fa il numero dei dotti che possono proporseli e risolverli.
Ma in quella forma di attività che riguarda i rapporti de la nostra persona con le situazioni e con gli altri, ci basta, ad attuare la buona volontà, riportarci in attornila semplice forma costante dell’io, a quella esigenza di unità, di universalità, di infinità, di cui si fa consistente l'autocoscienza. Quale che sia l’angustia della coscienza, del me e del suo mondo, l’autocoscienza può dunque sempre esplicare, col suo essenziale valore se pure ne l’ambito di povere relazioni, la sua buona intenzione, la sua moralità.
20. - L’EQUIVOCO INTELLETTUALISTA
Rendersi conto di ciò può avere una tutt’altf oche scarsa importanza pedagogica.
Già Socrate poneva in una maniera decisiva per la riflessione filosofica ulteriore il problema morale, cercando la virtù nel pensiero. Pure, egli doveva ancora esser tratto a riporre la virtù non propriamente nel pensiero, ma nei pensieri, non nell’universale, ma negli universali, non nella ragione, ma nelle ragioni.
E così la sua tesi gli riusciva indimostrabile. Tutte le irresoluzioni dei dialoghi platonici, che accordano anche l’opinione poter guidare moralmente la condotta e che s'intricano senza successo ne la questione de l'insegnabilità de la virtù, son la conseguenza di quel primo equivoco fondamentale, che più tardi nella chiesa conduceva alla fiducia educativa mediante il credo e i catechismi, nel tomismo al determinismo del bene e che, ancora a distanza millenaria, Her-bart, col suo realismo, riereditava a vano esercizio dei pedagogisti intorno al rapporto tra conoscenza e volontà, e che già ne l’illuminismo manteneva una illegittima e delusiva speranza ne là « scienza » educatrice.
Ma come, soggettivando lo spazio, Kant sconfiggeva il realismo volgare ne la sua ultima rocca, così veniva a. mettere a nudo il lato debole di questo intellettualismo morale, espressione anch'esso di realismo. Da. le ragioni egli riportava la fonte' de la moralità a la ragione, all’operosità (quali che fossero la materia del conoscere e l'ambito delle sue particolari idee) della esigenza di idea, di universalità.
E non forse l'eificacia di quella esigenza nella stessa scienza naturalistica, ne le sue leggi, e la sua espressione come appunto volontà di riconoscer la legge, poteva mantener apparenza di vita e verità a l’illusione illuministica?
Ma, con la dichiarazione trascendentale kantiana, la moralità — nel giudizio e la volontà e libertà morale — poteva ormai venire, a consapevolezza con la sua essenziale superiorità a le scienze e a le religioni positive, ai credi ed ai sistemi relativi di conoscenze.
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La forma, la formatività dello spirito, essendo essa la legislatrice, qualsiasi sua espressione — qualsiasi forma positiva de la coltura — veniva a rientrare nel prodotto da lei e nel giudicabile da lei, diveniva inessenziale alla di lei validità ed efficacia. La moralità non è le ragioni — Filosofìa o Religione — è là ragione vigente ne la semplicità sua (Beati mundi corde!) in ogni coscienza.
21. - CULTURA E MORALITÀ
Ma mentre nessun contenuto, nessun prodotto della cultura si mostrava assolutamente condizionante rispetto a la moralità, con Kant la cultura stessa si rivelava dovere. Non si nasce uomini, ma si diventa: la coscienza come forma deve cercarsi un dispiegamento a se stessa vieppiù adeguato ne la sua concreta e storica esperienza.
Così, per altro, la relazione tra la volontà (la forma, la ragione) e il conoscere (le conoscenze) diventava di libertà. Non un mondo oggettivo (natura platonica, idea) imponentesi come tale, col suo determinismo al volere, ma la volontà, costruente sempre più adeguatamente come formativa autocoscienza, come cultura, il suo mondo oggettivo, la radice de lo sviluppo in virtù.
E sempre, infatti, e in ogni forma di cultura, e nella moralità, si ha da fare con uno sforzo verso l’autocoscienza. Ma appunto i nostri pensieri, i nostri sforzi culturali non contribuiranno alla nostra moralità che in quanto la coscienza in quelli si spieghi e riconosca (si dichiari a se stessa come volontà dell'oc soluto).
E gli sviluppi filosofici, scientifici, poetici e mistici e religiosi giovano in quanto aiutino l’io a ritrovar se stesso dovunque la sua forma viga, negli altri e nel mondo, sicché la sua non rimanga un’astratta o una deviata volontà d’assoluto.
Là cultura in ogni sua forma assume così un positivo valore etico : essa costituendo il progressivo concreto infinitarsi dell’uomo; essa mezzo ad alzare con sempre maggiore consapevolezza e coerenza, dal piano de la sensibilità, de l’empirismo, de la vita siiperficiale e illusoria, a la vera vita.
Come autocoscienza, infatti —- soggetto e oggetto, pensiero ed essere, finito e infinito — l'uomo è insieme l’io superficiale e l’io profondo di cui parlano i mistici e che, sino ad oggi, il metodo trascendentale e il dialettico meglio ci permettono d’intendere.
Come finito, egli è una molteplicità, che è e non è lui, di qualità oggetti-vate, me e mondo, eppure sentite come in rapporto a sè; di appetiti, di interessi sensibili, nella cui sfera la sua irrequietezza è senza tregua: che non pare possibile in essa (’appagamento de la sua infinità.
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Ma già in quanto sensibilità (e lo vide Aristotele) egli è una volontà di slargarsi come mondo che, così, positivamente s’infinita. Ed è già, nel suo appetito di piacere, etica esigenza e affermazione d’assoluto valore.
L’ appetito di sensibile piacere si farà di una infinita felicità, di una beatitudine, ne la cui ricerca la sua soggettività verrà sviluppando una cultura, una consapevolezza, che lo renderà capace di ascesi, di sacrifizio, di eroismo. Per la sua via, attraverso ai suoi ostacoli, si renderanno, inadeguate le c udizioni meramente edonistiche, o capricciosamente simpatetiche, o solo giurie camente uni-versaleggianti dell’anima.
La sua sensibilità sarà momento di un ardóre di conoscere e agire e trasformare il mondo in conoscenza per cui sempre più sarà soggettivato il mondo e si renderà meglio concreta l’universalità dell’anima e la libertà. « Lo ignorante, chiariva Hegel, non è libero, perchè gli sta di contro un mondo estraneo, un di sopra, un di fuori da cui dipende... E la sete de la conoscenza dai più bassi gradi al più alto de le vedute filosofiche proviene dallo sforzo di togliere quella relazióne di non libertà, di appropriarsi il mondo nel concetto e nella ragione... ». In una ragione che è sempre pratica ed etica.
Si ripetè spesso che la conoscenza, la cultura, non offrano che mezzi alla moralità, e che non educhino se non opportunamente rivolte a fine morale. Ma non sono le vere — non verbalistiche — conoscenze, volute e sviluppate e conquistate dall'anima, una esplicazione in un certo ambito di quella esigenza d’autocoscienza, o di moralità, che estesa a tutta la vita, fa interamente morali?
Ha torto lo scientismo, che estrania l’anima (isolandola ne la sfera delle conoscenze < oggettive »), a la più intima meditazione di se stessa. E poi presume di educare mediante il sapere. Ma gli uomini di certo si sono sempre migliorati e miglioreranno con lo sviluppo de la loro conoscenza di se stessi, del mondo spirituale, nel loro fattivo partecipare alle varie forme della cultura. Gli stessi rivelatori religiosi promuovono più che novella, direttiva riformativa conoscenza? Legge, Illuminazione, Evangelio.
Il progresso morale, come attuazione meglio adeguata in tutte le sfere de la vita e della cultura della forma morale, non può derivare che dallo sviluppo della potenza critica della ragione nell’esercizio concreto della volontà.
22. - L’EQUIVOCO VOLONTARISTA
Vero è che già la psicologia antica contrapponeva il conoscere al volere, e poi le passioni a la volontà.
E si sostiene anche oggi, sempre dal punto di vista dell’empirismo psicologico, che i mezzi per l'educazione morale sien diversi da quelli per l’educa-
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zìone intellettuale, cosi come il sentimento, in cui si radica il volere, e il volere differiscono dal pensiero.
Si adduce: non le massime, non i ragionamenti, ma il dare l'esempio che suggestiona, il Creare certe condizioni favorevoli all'entrata in gioco e all'esercizio di taluni sentimenti, il fare agire... giova”all’educazione morale. Non vale predicare l’amore, ma amare chi si voglia rendere amorevole, o spietrare il suo cuore, aprirlo alla pietà nel contatto con chi atrocemente soffra... Non vale predicar la pazienza, ma impegnare in opere che interessino e avviino esse, di fatto, abitudini di pazienza?..
Se non che argomenti di questo genere colpiscono là pretesa dell'educazione morale mediante procedimenti verbalistici, non. mediante la conoscenza.
Certo, anche nel campo della conoscenza teorica, ad esempio, della natura, non valgono le definizioni, le formule... ma la diretta esperienza, il fare, il costruire e ricostruire, quali momenti di riflessióne.
E come sarebbe altrimenti nel campo della conoscenza di sè?
L'autocoscienza non può vigere mai sempre Che come soggetto d'un oggetto, universale d'un particolare, unità d’un molteplice, come attività razionalmente formatrice di un'intuizione, di una esperienza. Non si può conoscere che così. Ma allora il dare esempi, il promuovere emozioni... non è appunto il suscitare, moltiplicare, ampliare l'adeguata materia alla conoscenza morale?
Invocar la via del sentimento ha altro significato che invitare a conoscersi e far che altri si conosca per la via appropriata, sperimentando? E sì, per difetto di vera esperienza o di viva fantasia che integri le lacune dell'esperienza, rimane spesso duro il nostro cuore. Ma sentire la pietà, l'amore, il valore de la pazienza, è appunto avanzare in conoscenza, in autocoscienza. Chi non avrà davvero sperimentato che il valore del piacevole, avrà con ciò in sè avviata la massima universale — etica — de l’edonismo, de l'utilitarismo egoistico... E chi avrà vissuto intensamente il valore de lo sforzo, de la simpatia, de la pietà, de l'amore... avrà in sè avviato i sistemi etici del perfezionismo, della giustizia, della solidarietà... Perchè vive di quelle esperienze, la nostra vita morale si cruccia e si potenzia di questi contrasti ideali.
Ma e nel caso della « vita morale » come della « vita intellettuale » si esplica pur sempre un conoscere ch'è un immedesimarsi, un togliere l’oggetto, l'altro, come estraneo a sè, e rifarlo in sè: renderlo la legge «sua » e nostra, la nostra intelligibilità e il nostro sentire: la realtà, l’affermazione del nostro trascendentale io: il nostro valore.
E proprio in colui che più contribuì a far posto ne la moderna psicologia a la categoria del sentimento, in J. J. Rousseau, stava forse il sentimento a significar altro che, in reazione al sensismo illuministico, l’intima indeducibile realtà della coscienza di sè?
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E se è qualcosa, il sentimento (lo intravide Aristotele) è appunto l'attività dell’io che avverte se stessa, la propria forma, il suo decorso, come valore. E cioè la concreta coscienza di sè : nella essenzialità e insieme nella storicità sua. È l'avvertimento che ha l'io di sè insieme come infinito, come trascendentale volontà e come esplicazione, qualificazione limitata, storica, concreta e così at-tuosa, di quella volontà. È la conscia intimità dei criteri della volontà a la volontà, ne la loro evidenza immediata. E nel carattere de l'immediatezza è la ragione dei contrasti affettivi e dei così delti contrasti fra il piacere e il dovere, fra « i sentimenti » e quel più profondo sentimento anch’esso di sè ch'è la ragione... Come momenti de la cui vita tutti i giudizi son di valore.
E alla sua volta si può dare altro valore che di categoria astratta alla « volontà»? Già la stessa psicologia moderna ha cominciato-a seriamente dubitare, in base all'analisi morfologica, d’un elemento tendenziale a sè non riducibile a sentimento, così come l’antica psicologia da un punto di vista prevalentemente funzionale aveva fatto del sentimento un momento de la volontà. Ma bisogna andare più in fondo.
Se l'autocoscienza è un porsi ch’è un distinguersi e insieme un corriferire, se è e non può mantenersi che come passaggio, alterazione per la reimmedesimazione, si intenderà non potersi ,dare momento di conoscenza che non sia azione. E rilevare che la volontà si sviluppa sul terreno delle emozioni, non è daccapo, se non riconoscere che essa è l’atto della storica coscienza di sè.
La volontà è l’io che compone e oggettiva a volta a volta in un unico significato concreto, secondo la sua essenzial forma, i suoi molteplici e storici significati.
La molteplicità è infatti sempre, ne la coscienza, molteplicità d’una unità. E se l’< elemento » non è la sensazione, e non è il sentimento nè la tendenza, non è neanche il « riflesso ». L’elemento è l’unità della coscienza e della vita che si dirompe, si moltiplica, si accresce, da e in se medesima.
Certo un’autocoscienza « aggiunta » a un gioco di sentimenti e di riflessi non potrebbe avere alcuna efficacia pratica. Ma di mezzi appropriati per darle indiretta efficacia, vanamente, in questo caso si parlerebbe, parlandosene pur sempre... da un'autocoscienza destinata a rimanere come non volontà essa stessa, come non essa stessa-emozione, paralitica spettatrice.
A tener presente che l'autocoscienza è essa l'unica ed identica realtà del Conoscere, del Valutare e del Volere, anche i momenti in apparenza più irrazionali e meccanici dell’educazione potranno adeguatamente appercepirsi e favorirsi.
Anche il far acquistare un’abitudine, ad esempio, è forse altra cosa dal promuovere in altri, mediante il suo esperimentare, una sua più adeguata coscienza
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di sè? Un procedimene per pensarsi davvero in tutta la sua possibile effettuale realtà?
L’osservare, lo sperimentare ci rende capaci di sommettere tecnicamente la natura alla nostra idea rivolgendo ai nostri fini le leggi delle sue ripetizioni, le abitudini che già essa ha.. E acquistare delle abitudini non è usare dell’espe rienza, della tecnica, nel campo di quella natura che più diciamo nostra, a meglio volgerla ài servigio dell'idea?
C’è nei due casi una conoscenza che si fa, che è azione; un soggetto che si oppone ui oggetto, ma che nel realizzarsi e per realizzarsi come pensiero risolve in sè l'oggetto.
Non ha la stessa psicologia sperimentale messo in luce il valore condizionante del cosciente proposito e l’insufficienza de le costrizioni esterne, per l’efficacia de l'esercizio? E alla sua volta chi più non voglia riflettere, controllarsi, superarsi di continuo, decade, in -una disumanata abitudine, da vita di conoscenza e di moralità.
Non mai l'abitudine, come tale — un’abitudine che non sia momento d'autocoscienza — può giovare moralmente. E ne sapeva qualche cosa già lo stesso Aristotele, che pure non senza giustificazione riformava il socratico concetto intellettualista de la virtù. Non giova che l’abitudine radicata ne l’aspirazione e fatta momento di ragione, di quella volontà di universale di che Socrate voleva difendere l'effettualità.
In verità, agire è pensare ed educare all’azione, e all'azione sempre più adeguatamente storicamente, morale, di là da la semplice genèrica moralità de la buona intenzione: è promuovere sul serio in sè e negli altri, combattendo l’errore verbalista o intellettualista, non questa o quella forma di esperienza e di cultura, ma tutta la cultura: cultura come ascensione di conquiste, di superazioni, nel pieno dispiegarsi, in signoria del me e del mondo, delia formativa attività de l’autocoscienza.
23. - VERSO L’ANIMA NUOVA
Che le nostre scuole non « formino > abbastanza dal punto di vista morale, non significa che in esse fa difetto il pensiero?
E che quella forma de la cultura ch’è la vita religiosa non sia mai fatta in esse oggetto di seria riflessione, non sta forse a conferma di un tal difetto?
La nostra scuola è ancora assai dommatica. La cultura raggiunta da la nostra società vi si squaderna» non foss’altro, con formalistica uniformità, nei suoi sistemi fatti: non, o in troppo arbitrari limiti, come personale ricreativa inven-tività, come fare: come pensiero. Così essa disvoglia e disanima.
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Ma potrebbe senz'altro darle l'anima la religione quale nuovo dommatismo, quale nuova, e in ógni senso più recisa, negazione del soggetto?
Come può pensarsi, poi, a una tal soluzióne, quando si insiste per elevare la cultura generale e scientifica del popolo ? Mentre infatti è aduggiata dai vecchi metodi di spirito eteronomo, questa nostra scuola, come la nostra vita, è sempre più pervasa dalla scienza : da una scienza che non calcola se non oggetti e rapporti di oggettiva necessità e che, comunque,-dà l’illusione di costituire, col suo stesso essere, una critica di certe... < illusioni >. E cerne un insegnamento religioso non ne sarebbe vanificato? E che serietà poi potrebbe avere un tale insegnamento ne la nostra scuola media, di spirito critico umanistico e scientifico, nonostante il generale dommatismo dei suoi piani e metodi? Così com’è, di certo la nostra scuola non sa dimostrare ad ogni io tutto il valóre de la sua propria realtà: l’assolutezza non del fatto, ma de lo spirito. Significa ciò tuttavia che convenga e che si possa cercare il rimedio in un insegnamento religioso o in un determinato sistema, filosofico?
E possiamo, sia pure, in queste condizioni, riprendere senz’altro la soluzióne classica e umanistica che oggi il Gentile risviluppa ne lo spirito de {’idealismo? La religione per tutto il popolo e ne la scuola del popolo, è la filosofia per le menti più critiche, per. gli eletti de la « classe dirigente » e per la loro scuola? Poiché religione e filosofia non differiscono che come metodo, due metodi, l’uno d’eteronomia, l’altro d’autonomia, dovrebbero succedersi in questo caso ne lo sviluppo del nostro sistema di scuole. Ma c’è davvero oggi quel popolo che sia disposto in massa a rimanere senza turbamento cori la sua educazione religiosa in patriarcale tutela? O se piuttosto, coerentemente allo spirito di autocoscienza e di autonomia nel sapere cui si avviano e devono avviarsi sempre più tutte le classi del popolo, si tentasse di riformare dall’intimo ogni grado de la scuola? E se, così, anche la cultura religiosa, salvandosi quel che v’è di essenziale ne l’interesse religioso, potesse divenire ne la scuola —- in ogni scuola — momento di autorivelazione de lo spirito a s.è stesso?
Se insomma, ogni grado della scuola volessimo innalzare davvero a scuola di •. umanità? >
Poi che il sempre più comprensivo dispiegarsi de l’autocoscienza fa l'umanità e la moralità dell’uomo, non dovremmo soprattutto, per rendere la scuola educativa ^davvero d’ogni uomo, di tutto il popolo, fare che la scuola riuscisse, a ogni suo momento, esercizio di autocoscienza ne la progressiva conquista de la cultura? E darle così la sua anima? Non dovrebbe a ogni momento de la vita scolastica potenziarsi la coscienza del valore de lo spirito?
Or se, intanto, da un lato si facesse vivere la scienza non nei suoi risultati, ma nel metodo, nelle sue ipotesi fondamentali, nei suoi procedimenti astrattivi,
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e dall'altro si esercitasse in rapporto con la vita e con le sue artistiche espressioni la riflessione su le intime, assolute esigènze morali, non si avvierebbe l'alzarsi dell’anima dal piano della consapevolezza del reale come natura, escludente lo spirito, a quello de la sua consapevolezza come spirito con a suo momento e costruzione sua la natura?
E se, in connessione con lo approfondimento de la vita, de le sue esigenze morali, e con le espressioni de l’arte ed anche con lo studio e con la contemplazione de la natura, si facessero vivi — oltre la stessa angustia del campo morale — quei problemi e quelle mistiche aspirazioni concernenti tutto l’essere e tutta la vita che di sè iniziano le religioni e le filosofie?
La scuola, non sarebbe allora la scienza fatta, la morale fatta, la religione fatta, la filosofia fatta: cioè in ogni caso il dogma, la negazione del soggetto: ma proprio il soggetto.
I diversi momenti della vita scolastica, mentre ora sono quasi sempre per gli scolari un uscir di sè e un dissennarsi, un astrarre dalla vita e dai suoi moventi, si trasfigurerebbero in un rientrare in sè.
La scuola ha avuto il suo tempo del dogma e della deduzione e della induzione. Ora non il dogma scientifico o religioso o letterario, non i metodi de la logica astratta, ma da le viva dialettica spirituale, ma la ricerca dell'assoluto nel relativo, dell’infinito nel finito e dell’assoluto e dell’infinito nel farsi, della verità nell’inverarsi può solo, di sè avvalorando ogni altro metodo, fare la scuola moralmente adeguata al tempo nostro.
L'autocoscienza attiva in ogni campo: questa la scuola integrale di moralità. E in questa attività sarebbe assicurata la sostanza de le religioni. Se l'autocoscienza è la fonte, non dalie religioni e dalle filosofie alla coscienza morale si dovrebbe procedere, ma dalla coscienza morale — e non soltanto morale, anzi da la coscienza come ponitrice del Valore, del dover essere in ogni campo : anche de la scienza e de l’arte — a lo sviluppo della cultura in genere e della religione e filosofia.
Un tal procedere potrebbe attuarsi ove la cultura si svolgesse ne la scuola come non notizia, non sistema e regola, ma sviluppo dei propri problemi degli scolari e di quei problemi a problemi de la storia umana. E per ogni età: di nessuna età della vita è proprio, ma di tutte può esser proprio il problema de la vita. E può con le sue forze e ritrovandosi ne le espressioni di adeguati momenti storici affrontarlo e risolverlo nel modo a sè adatto ogni età uomo fa sempre, in ogni età, lo sappia o no, filosofìa. L'umana ragionevolezza
(z) Particolari in questo senso darò in un prossimo saggio su Pinventività etica e religiosa del fanciullo.
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può porre a sè medesima via via il significato de la vita non come soluzione .arbitraria, ma come problema, non come immobilità o progresso nel significato a dispetto de l'immobilità de la forma, ma come progresso di essenza e di forma.
24. - MITO E SCUOLA
Ho detto : una scuola che si rinnovasse potrebbe in sè avvalorare la sostanza de le religioni. La nostra scuola come espressione dei nostro pensiero moderno non può fare essa educazione religiosa: cioè non può farsi confessionale. E il compromesso della facoltativa giustaposta confessionalità, accordata da una legge recente, non può giovarle. Il suo spirito è il pensiero, l'autorivelazione, non la eterorivelazione.
Ma essa che anche nel suo grado elementare ha voluto svilupparsi a scuola educativa, capace, cioè, di bastare a sè stessa, non può più disinteressarsi de la religione.
E se la religione non può entrar in lei come confessione, catechismo, culto, essa deve entrarvi come mito, poesia e storia. Deve entrarvi con la potenza di verità dei miti, de l’arte e degli sviluppi storici, e senza la potenza di schiavitù ch’è nei miti assunti a definitive, adeguate espressioni, a finiti sostituti de l’infinito.
E non sempre, dei resto, volenti o nolenti, le religioni si sono svolte e fatte efficaci come arte e filosofia? Forme anch’esse del pensiero, che instancabile circola per le sue forme.
O forse — già ve lo sento dire — mancherebbe così un solido terreno a l’anima fanciulla che vuol costruire — come i popoli fanciulli — per l’eternità? Che vuole e deve incondizionatamente fidare? Che vuole non le parole ma la parola? E che la sua fiducia ne l’autocoscienza legislatrice è tratta a riporre in altri i quali più le dicano ch'essa non sappia, di sè?
Ma per l’appunto essa costruisce e vuol costruire, l’anima fanciulla, il mito e l’arte, che non sono più poesia che verità: — È bello, è verol
E che mar dura più eterno e più certo, da la fanciullezza a l’altre età de la vita, de la poesia che essenzialmente esprime le aspirazioni del vivere?
E non forse perchè poeta si conquista la fiducia dell’anima il più vero rivelatore?
Che, in verità — ripensate Kant sul principio morale che non s’insegna ! — dell’ideale non tanto importa che sia dommatizzato o teorizzato, quanto che sia messo in rilievo, che sia accentuato, esposto, reso esplicito ne la ricchezza delle sue determinazioni, a perfetto specchio dell’anima.
E non anche oggi, senza che chiese e sacerdoti, ministeri e maestri se lo propongano, l’arte adempierai medesimo ufficio di accomunante rivelazione che
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le antiche rivelazioni mìtiche, coi loro simboli? I quali, alla lor volta, nei limiti in cui siano ancora vitali, non sono la vissuta poesia del credente?
Ogni grande poeta sente e interdétta in un certo modo, per tutta una collettività d'uomini di cui è poeta, il valore di sè e della vita e del mondo... Nella poesia è già la religione e la filosofìa.... E sempre essa fa lieta vendetta dei vari empirismi e praticismi ! Essa, l’espressione teorica più liberà de la sog gettività.
Ma non basta: nella scuola che noi vogliamo, come espressione del nostro pensiero, se non può entrare il rivelatore, devono entrare con la poesia le grandi e vive personalità dei rivelatori, devono entrare coi miti in cui l’anima faccia la prima esplicitazione dei suoi valori. E deve entrare con essi la vita e lo sviluppo de le religioni come esercizio de la intima cosciènza di sè. E poeti dei poeti i mistici potenzieranno di infinita riflessione, di sublime sincerità gli atti più semplici della vita.
Non, così, un pur sempre dogmatico insegnamento religioso « aconfessionale >, ma un simpatetico e storico, e pertanto filosofico accostamento de l’ànima a le fonti de la religiosa creatività ; un rappresentare le religioni, farne vivere i problemi, reimmaginare le soluzioni, sentire la serietà e sostanzialità del loro sforzo. E un rafforzarsi e articolarsi, ne la storia religiosa come critica ascensione, dei più intimi motivi de la storia individuale. Un ravvivare a traverso le accese parole dei rivelatori autorevoli l’autorità de l’intima coscienza. Anche l'altrui ispirazione e l'esempio come mezzo d'autonomia l Non una storia assistita soltanto e che, facendo smarrire l’anima in astratte possibilità tutte relative, le toglierebbe di aderire a la realtà sua: ma storia partecipata con impegno dell’intimità propria, nei limiti delle sue esigenze, con un relativare come concreto superare, positivo conquistare (i).
E di certo, ci sarà sempre chi vorrà più fidarsi che vedere coi propri occhi, chi vorrà più rimettersi ad altri che fare da sè, più oggettivare che soggettivare, ma svolgendo col nuovo spirito di filosofica consapevolezza anche la cultura religiosa, la scuola nazionale di tutti i gradi potrà costringere ad elevarsi anche il livello di vita sincera e personale de le chiese e dei loro adepti e alimentare una volontà non di semplice tolleranza, ma di stima, e di intesa su ^essenziale fra tutti gli animi sincèri) nel popolo. Spirito di liberazione dai formalismi, e di fratellanza ne la buona volontà.
Lo stesso spirito di eteronomia degli affigliati a le chiese sarebbe per questa via spinto a purificarsi in ¡spirito di amorosa libera scelta. Il rapporto di fede
(i) Come questa partecipazione possa compiersi ne la scuola, ho mostrato in vani saggi, , e?c™?*?..nc L’educazione degli educatori {Rassegna Pedagogica. 10x3) e ne L'alfabeto e i fanciulli, Libreria della Voce, Roma.
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sarebbe ravvivato nel significato suo di intima costruzione e di responsabilità personale. Non forse l’eteronomia già quasi trapassa in autonomia, chi faccia sua in unione d’amore l’altrui legge?
Le grandi parole mitiche manterrebbero intanto per ogni anima, con un catartico valore, il serio valore che già loro seppe Platone: di espressioni imaginóse per esigenze cui il discorso non giunga ancora a rendere giustificate a la coscienza ma che ne rappresentino i vivi postulati. E la stessa relatività dei miti, sarebbe invito d’incondizionato abbandono non alla lettera, ma allo spiritò de la verità. ' 25. - SCUOLA B FILOSOFIA
Intanto via via, oltre la sua forma religiosa, il pensiero avvierebbe. Secondo le forze dei giovani, la sua direttamente filosofica articolazione.
Filosofia non quale avviamento a la scienza e alla storia, come la voleva Condillac, nè < coronamento » quale l’ha avuta la nostra scuola classica, dai gesuiti ad oggi : ma come riflessione sul farsi e durante il farsi de la cultura e come vivo progressivo trasporto, così, da l’ingenuo oggettivismo volgare al sempre più critico e intimo possesso de la spirituale realtà da ognuno vissuta.
La nostra scuola ha di fatto, con la religione, esclusa da sé la filosofia. Ha fatto posto ai pensieri e ai frammenti de la vita, ha escluso il pensiero e la vita. Ha cioè escluso da sè, di fatto — tutta invasata da un suo momento — l'autocoscienza di quello spirito dal quale pure, soltanto, traeva la sua ragion d'essere. Essa manca d’anima perchè è di fatto amente.
Persino in quelle classi dove pur si parla di filosofia, a prescindere da la iniziativa eccezionale di qualche maestro, non c'è che la psicologia empirica, la logica formale, e un’etica con queste basi. Non c’è dunque la filosofia. Ci sono qui ancora i pensieri, non il pensiero. Anche in filosofia, come nel campo de la religione, la nostra scuola ha voluto essere agnostica. Ha voluto limitarsi al certo con che finiva coi dare per certa senza discussione una ben povera veduta filosofica: lo scientismo.
Ci vorrebbe dunque un’altra, c una cert’altra filosofia? No, basterebbe io spirito della filosofia: ch’è fede nel pensiero, nell’intimità all'uomo dei suoi criteri, e nella volontà di porre e risolvere col pensiero i problemi de la vita.
Non si tratta, di certo, di sostituire una filosofia a la religione, che sarebbe come volere una religione filosofica. La filosofia non è contenuto e risultato che possa conservare valore alcuno fuori del movimento del pensiero.
E non è necessaria una nuova filosofia ad uso delle scuole, quale, poniamo, s’è pensato di poter improgrammare qualche filosofo di Francia: con un pertinace residuo, forse, di quella mentalità non storica per cui, liberatasi da la rive-
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lazione, la scuola rivoluzionaria si pensava di potere dirigere e nazionalmente unificare la condotta con l'insegnare un dogma scientifico e un dogma politicogiuridico. Gli errori scolastici sono errori filosofici!
Ci vuole, non una filosofia, ma, quale che sia la filosofìa propria di chi insegni, il filosofare: e perchè si mantenga davvero vivo il filosofare, la storia, non quale compendioso sviluppo ma anche lettura come dei' testi dei rivelatori, e come dei poeti, dei grandi filosofi : i quali oh come sanno parlare anch’essi al «cuore» d'ogni uomo! .
È delle varie filosofie come dei diversi momenti di sviluppo di un’equa- ' zione: passaggi che gli uni menano agli altri, e questi dichiarano quelli... Appunto perchè la filosofia è il movimento del pensiero. E il maestro l’avrà fatto, comunque, lo sforzo filosofico del suo tempo. E quale che sia la sua filosofia, se egli avrà proceduto nella scuola filosoficamente sarà stato non inutile percorso il cammino da lui fatto compiere. E il movimento da lui iniziato avrà in sè il rimedio alla sua unilateralità. La sete mantenuta viva de la verità, e la intima articolazione de le profonde esigenze che, con la vera e propria filosofia, mito e poesia avranno avviato, spingeranno a concezioni sempre più chiare ed efficacemente confortanti di quella realtà in atto de l’io che fa la moralità, e che intanto tutto il processo degli studi e de la vita avrà fatto e farà sempre meglio vivere ne l’evidenza sua. E quali che siano nei vari individui le forme de la verità, non invano ne sarà vìvo lo spirito. Nè l’unità de le coscienze e de la vita d'un popolo — la vera comunità — può esser fatta da l’uniformità, anzi dal movimento che vive dei sinceri contrasti. E per volere l’eguale e il certo noi la scuola laica abbiamo convertito in iscuola amorfa, areligiosa, apolitica, afilosofica, amorale. Noi vogliamo la scuoia in cui si possa errare, del movimento del pensiero, cioè dell'azione umana sempre, della moralità.
26. - LA NUOVA CULTURA DE LA FORMA
Bisognerebbe insomma, che, per ogni via, in ogni momento de la vita scolastica, trovasse riconoscimento — e venisse arsì coltivato — quello spirito di fiducia, di iniziativa, di realtà del soggetto, che configura i simboli de le religioni e che si sforza di farsi concetto ne le filosofie e che fa il significato de la pratica.
Lo sviluppo di questo spirito — della vita come costruttività dell’idea — sarebbe la cultura e la vita filosoficamente vissuta, al di sopra de le formule confessionali e anche al)'infuori delle formali, logiche articolazioni e sistemazioni, e tuttavia con la sua adeguata potenza d’orientamento.
Di certo, intendo la vostra obbiezione, la scienza e la filosofìa e la storia, come sviluppo sistematico eòi suoi momenti critici e negativi possono momen-
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rancamente smarrire, sbigottire la coscienza. Esse sono infatti la relatività degli esseri, dei pensieri, delle istituzioni. E non già forse de la ricerca e de lo sviluppo della verità, ma di una verità beatifica e pratica, del suo possesso, ha bisogno l’anima? Ma, ripeto, questa verità o sarà l’intima vissuta coscienza o non ci sarà fonte da cui si possa farla scaturire.
Ma nel vivere la cultura come sviluppo,, come ricreazione, l'anima già si attua come fonte essa, come potenza consistente, superstante al fluire e dissolversi de le costruzioni proprie: vive la sua infinità come realtà della relatività dei propri mondi: tocca il trascendentale fondo del suo essere; e le giova lo stesso profondarsi ne la suprema disperazione, che è anche la via stretta a la suprema raccolta e accensione di tutte le forze proprie. Le giova perdersi per ritrovarsi. Si scopre davvero mistica e filosofica: il suo mondo davvero si slarga d'un’ampiczza senza confini: nei relativarsi di tutti i valori si dichiara la sua più originale nobiltà.
E non forse, di fatto, di là da tutte le raziocinazioni e le misteriose dom-matizzazioni in cui se ne vorrebbe cercare il fondamento, non forse, ne la trascendentalità sua, mistico e estatico è ogni atto morale? C’è sempre ne l’agire supremamente etico un elemento di identificazione ineffabile con l’assoluto, e di superazione, nella stessa volontà di ragione, di pensiero, della finitudine dei pensieri e dei sistemi di pensieri. C’è un’ostinazione di fede, di abbandono e di remissione a la profondità d'un Io o d'un Dio eh’è oltre i nomi perchè è il fondo stesso dell’essere nel quale troviamo forza e nel quale ci si sprofonda. Oipbra ch’è essa luce in cui impallidiscono le parziali luci. E forse i più alti e decisivi momenti de la moralità son de la vita rinunziata che pur si continua, de la vita disperata e dissensata che tuttavia persevera: dell’anima amante che si pensa inutile, avvilita e tradita, e che pur sempre ama.
Quelli che vogliono con puro cuore l'educazione religiosa non chiedono in fondo se non che si apra alle anime -la via a una siffatta elevazione. Areligiosa è l’anima che non s'affonda oltre la propria superficie e così non giunge a vivere — trascinata èssa veramente, dalla torbida fiumana del relativo —- non giunge a vivere la vita come lacerante antinomia, e però come appello a la sua più profonda essenza, radice de l'unità. E il solo reale ateismo non è il metafisico — quello che è momento de la viva volontà d’assoluto nell’anima che costruisce la sua realtà — è l'ateismo morale di cui tanto spesso l'assolutismo religioso, col suo morto formalismo, è causa non ultima.
In verità, quali che sieno i nostri dogmi e le nostre «opere religiose, ciascuno di noi determina come speranza e come operosità pratica il suo più o meno definito, limitato Dio.
Ma chi veramente vuole la religione anela a preservare le coscienze, che
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non considerino il finito e il relativo — questo aspetto del reale — come tutto il reale. E ricorre a la religione per la vita morale perchè questa implica appunto la realtà de l’assoluto, de l’infinito.
Ma allora non va dimenticato, anche da quelli che, vivi nell’anima, trovano per conto proprio l’adeguato alimento a la loro spirituale volontà in una religione positiva, che quel che possa premere anche a loro — per quanto si faccia allettante l’illusione intellettualista — non può essere l’insegnamento del dogma, un catechismo, ma la cultura di quella vita interiore che costruiva i dogmi: — quel rientrare in sè che è appunto un far reale Dio.
Non di catechistiche certezze ha bisogno l’anima, ma di sentirsi anima. E lo sviluppo del pensiero, la storia de la cultura come vissuta storia interiore — mentre favorirà quelle crisi scettiche de la coscienza religiosa che sono ormai inevitabili ad ogni coscienza che viva, in qualsiasi forma, la vita moderna, mentre farà chiara la relatività de le religioni — darà all'anima, che avrà intanto approfondita l’interiorità propria, quel profondo e simpatetico senso de la essen-zial verità di tutto lo sviluppo religioso del genere umano, che spesso il brusco contatto con la scienza e con la vita distrugge in chi fu mantenuto, « preservato » nel chiuso d’una sola, ed essa solo assoluta! religione.
Le religiose personalità eroiche cresceranno anzi il loro valore quanto più sieno sentite umane, e quanto più sia sentito in ogni uomo l’assoluto: la loro esperienza e vita- acquisterà tutta la verità essenziale del mito e de la poesia, quando sarà visto perenne il loro significato, se pure relativo il loro pensiero, inadeguato il .loro linguaggio.
Non si può adorar Dio che in ispiritò e verità. E in fondo, l’esigenza del 1‘epoca moderna a scartare la Rivelazione non è che questa esigenza di salvare veramente il Divino, l'assoluto valore, riconoscendo relative tutte le possibili forme storiche de la sua espressione.
Non conviene, in fine, anche il credente che umani, per entrare ne la storia umana, dovettero farsi gli Dei? Ma nemmeno ne la modernistica « evoluzione* del dogma, quale formula unica suscettibile di sviluppi diversi di significato ne le varie anime, può essere la via adeguata a quella « comunione > umana nel cui valore le chiese insistono e della cui attuazione si fan privilegio. La via è ne la evoluzione del pensiero che liberi in ispiritò di verità mostrando inessenziali le formule.
Non si può anzi meglio salvare il Divino che per una attitudine razionale che sia una riflessiva forma di quella interiore attitudine che perennemente i Mistici, quali che fossero le loro amorevoli indulgenze, opposero al formalismo de le chiese: far cercare nell’autocoscienza in atto la forma.
Una educazione che voglia essere integralmente umana, deve sviluppare la mistica aspirazióne ad affermare là sua forma — l’assolutezza del valóre — del-
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l'anima sospesa nel relativo, in filosofico esercizio dell'Autocosciènza che non si fermi ad alcun interesse e conoscenza, ad alcun « dogma » particolare come a suo definitivo limite, e non ismarrisca mai la vocazione sua di esplicarsi come volontà d’infinito in ogni cosa ed atto.
L’educazione formale, la ginnastica mentale, che la scuola si arroga di promuovere, rimarrà cèrto il più bizantino degli artifizi, e i suoi effetti saran negativi in fatto di elevazione etica de la vita, sinché non si attui come convergenza di tutti gli esercizi, gli sforzi educativi, a far vivacemente operosa l’autocoscienza de la essenzial forma e potenza de lo spirito: della trascendentale assolutezza dell’io, de la sua dialettica divina vita còme del vivo significato del conoscere, del valutare e dell’agire: sinché non avrà, sopra ogni altra, sviluppata l’esigenza a vivere col più consapevole sforzo ogni momento de la vita in piena esplicazione di quella forma de le forme, unità d'individuale e universale, di relativo e assoluto — libertà ne la legge — eh’è la coscienza di sé.
La scuola deve si, infatti, formare « salde » coscienze. Ma la saldezza de la coscienza non è che l’indovamento suo nel punto interiore in cui tutto diviene mobile e instabile, ricreabile, inverabile da la coscienza stessa. Qui è la romantica verità de la esigenza classica. Posato davvero non diviene se non chi in sé posi. Il positivo della vita non è che questo. Non è saldo se non chi non possa farsi che nello stesso movimento ascensivo il terreno per il suo piede. E. non per altra saldezza si fonda la moralità.
Nella misura in cui l’educazione formale giungerà ad assumere ne la scuola questo senso e questo corso, si avrà la « formazione », in adeguata concretezza di cultura, di quella Autocoscienza che è l’uomo stesso; si faran reali di tutta la loro essenziale realtà, per quanto dalla scuola possa dipendere, gli dei e le idee ; si farà morale la condotta, si avrà quella scuola libera che pare si voglia oggi inseguire in nuovi estrinseci cambiamenti di forma e servitù. Perchè si avrà la ginnastica dell’intero e intimo movimento de lo spirito, di quella forma che è l’io che si sa e si ignora, si gode e si tormenta, si fa problema e soluzioni, e così si sviluppa, in dialettica vita, ne l'assolutezza e relatività, limitazione e infinità — libertà, iniziativa e fede — sua.
Gino Ferretti.
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UN MIRACOLO DI DIO(I)
che me e le reti e
e prime due ore del viaggio (andavo nella città nativa a esercitar, con la scheda, il mio pezzettino di sovranità)erano passate benone, in compagnia di un amico col quale avevo chiacchierato di letteratura, di politica e anche di cose serie.
Ma dopo, che noia! Poiché non volevo .dormire per la paura di assiderarmi, m’ero levato in piedi e guardavo il finestrino: la notte senza stelle, era, per il vetro, come lo strato d'argento vivo per lo specchio : nel vetro non vedevo riflesso il ir ine tremolante. Che noia, che noia!
Canterellavo mentalmente vecchi motivi, rievocavo facce di persone quasi dimenticate, leggevo nell’archivio delia memoria elenchi lunghissimi di nomi, ma mi annoiavo lo stesso.
La noia mi fa sempre pensare all’inutilità della vita; e allora sorge spesso l'idea che il fine, l’utilità, la ragione si scopriranno un giorno, quando saremo anime sole, all’aurora di un’altra esistenza.
Così parlavo fra me di vita c di morte e mi pareva che il viaggio dalla culla alla tomba fosse lento, monotono e vano nè più nè meno che il viaggio da Teramo a Livorno, tran, tran, tran, tran, tran, tran, diciotto ore di seguito per andare a buttare un cartoncino in un mucchio d'altri cartoncini dentro un bussolotto di legno.
Due frasi mi ronzavan nel capo: una di Ardengo Soffici e l’altra di Arrigo Heine.
« Il più gran miracolo », diceva Soffici, « che abbia fatto Iddio è d'aver fatto parlar tanto di sè senza essere mai esistito ». « Io non sono proprio credente in un’altra vita », diceva Heine, « ma non mi meraviglierebbe che il buon Dio, dopo la morte, ci serbasse anche questa bella sorpresa ».
Palleggiavo quelle due frasi, l’una cinica e l’altra scettica, l’una gelata di disperazione e l’altra sfavillante di malizia e cercavo di tradurle in parole meno colorate, ma più giuste.
Specialmente il detto di Soffici mi faceva male, perchè sentivo il sofisma, ma avevo troppo sonno per poterlo sbucciare e mettere a nudo. La proposizione era spiritosissima, ma come si poteva attribuire un miracolo a un Dio inesistente? Bravo! Lo spirito consisteva appunto in questo. E l’arguzia di Heine appariva ncll’indicare
(r) Con questa bella pagina del nostro chiaro collaboratore mettiamo fine alla discussione simpatica sorta sul suo Giuoco /alto (N. d. D.).
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UN MIRACOLO DI MO
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un paradisetto bell'e preparato pei non credenti, mentre s’era sempre sentito dire che chi non credeva dovesse andar nei regni bui. Vero è che per i credenti certi di Dio c’era un paradiso certo e per i dubbiosi come Heine un paradiso probabile. Giustizia perfetta.
Ma tanto Heine che Soffici s’erano trovati improvvisamente davanti il formidabile problema « com’è nato l’universo >> e, ignoranti come tutti gli uomini da Adamo ad oggi, hanno riso della propria ignoranza, coprendola con le facezie. Io invece, ch’ero solo e anche nel vetro vedevo me solo, non avevo voglia di girandolar paradossi di quelli che solleticano gl'intellettuali e scandalizzano le signore: volevo un po' di verità.
Dopo aver meditato a lungo mi parve di sentire nel tran tran del carrozzone il principio di una risposta.
— 0 tu — mi diceva il treno — che vuoi scoprir l'origine del grandissimo universo in cui vivi, sapresti dirmi, per caso, la ragione del moto di questa piccola prigione che ti porta via? Avanti: chi è, secondo te, che fa muovere il treno?
—-‘ Oh bella! Il macchinista, il fuochista...
— Niente affatto: costoro obbediscono a un ordine.
— Va bene: vuol dire che la responsabilità risale al ministro dei trasporti, al direttore delle ferrovie...
— Neppur per sogno. Essi non avrebbero mai ordinato ai treni di muoversi senza una forte ragione.
—- Ebbe', questo s’intende: il treno va per uso dei viaggiatori.
— E nemmeno questo è vero, perchè se i viaggiatori non ci sono il treno cammina ugualmente.
— Oh insomma — gridai — giacché ho sempre torto io, a quanto pare, dimmelo tu perchè corri affannandoti e rombando in questa notte di vento mentre potresti accovacciarti in qualche stazione.
— Io? E che rie so, io? Se io vado, vuol dire che qualcuno mi spinge, ma questo qualcuno non è facile a trovare. Il ministro c’entra per qualcosa — e un po’ anche i deputati — ma è il ministro che fa costruir le ferrovie per aver i voti dai deputati oppure sono i deputati che approvano la costruzione delle ferrovie per far piacere al ministro? chi sa? — poi ci deve entrare anche il commercio, ma non so se le linee ferroviarie si fanno per aumentare il traffico o se invece il commercio si sviluppa, dove ci son più ferrovie... Cose complicate, insomma, ma a che serve porsi tante domande? Io vado e basta; e vado anche dormendo come ora che russo e sbuffo, sbuffo e russo vedendo a tratti nel sogno san Giorgio Stephenson e il dio Dionigi Papin.
Mi buttai a sedere e anch'io mi addormentai a poco a poco, senza sognare.
•
A Livorno godetti la cara ospitalità del mio primo amico, di colui che sognò, con me a sedici anni, il rinnovamento del mondo e la giustizia sociale e la fratellanza umana.
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BILYCHNIS
Dopo desinare parlammo molto, lui ed io, evocando ricordi. Assai più ricordi che . speranze, perchè noi speriamo poco, ormai: l’avvenire è dei nostri figliuoli. La signora dell’amico si compiaceva vedendoci così fraternamente uniti: forse cominciava a credere nell’amicizia, sentimento che le donne per lo più ignorano o deridono.
— Dimmi un po’ — saltò su l’amico improvvisamente: — hai ancora l’ubbia di fissarti ogni tanto sulle idee di Dio, sopravvivenza, eternità ecc. ecc. come quando eravamo giovani?
— Peggio di prima.
— Benissimo! Sei incorreggibile.
— Avrai ragione tu, ma che vuoi? Ieri in treno, per esempio, non so come, ma il formidabile problema mi si è presentato davanti ed io lì a mulinare, a stillarmi il cervello, a soffrire.
— Ma sei curioso! Non vedi che il tuo errore è fondamentale? Tu parli di un « problema formidabile ». Qui è l’errore. Una questione non priva d'interesse, sì, forse, ma formidabile... perchè? A che servirebbe la soluzione?
— A che servirebbe ? Dici sul serio? Io se riuscissi a sapere quello che sarà di me dopo la morte, vivrei in modo tutto diverso, cambierei ogni mio giudizio, vedrei con altri occhi uomini e cose...
— Ma no, ma- no, ina no! Tra i credenti come tra i miscredenti ci sono persone oneste e disoneste, puritani e libertini, cuori semplici e farisei. La fede non muta nulla e non ha mai mutato nulla nella pratica della vita umana. Io che non credo sono onesto come tu che dubiti e come il nostro amico X che è fervidamen.te religioso.
Cercai protezione nella signora', ma lei era d’accordo cól marito.
— Io — mi disse — a Dio non ci penso mai: non ho tempo: la casa, i bambini, le preoccupazioni di famiglia mi assorbono tutta. Quanto alla mia vita... oh essa è la medesima di vent’anni fa, quando andavo in chiesa e prima di addormentarmi interrogavo scrupolosamente l'anima mia.
— Sia pure — ammisi io — ma non le viene mai la curiosità, almeno, di • sapere la causa dell’universo?
— La curiosità?... Sì, qualche volta; ma poiché ho sempre tante cose da fare mi distraggo facilmente da quel pensiero molesto e tiro avanti.
— Brava! — sorrise il marito. — Tiriamo avanti.
M’accorsi che’ anche loro — l'amico e sua moglie— parlavano, su per giù, come il treno e guardai i bambini.
— Son troppo buoni questi figliuoli — dissi all’amico. — Gli altri giorni, quando non ci sono invitati, non possono esser così.
I tre bambini risero e la mamma li carezzò con lo sguardo.
— Sono tre birichini — disse la mamma: — per fortuna, di lei hanno soggezione, se no sentirebbe che musica!
Il discorso volse allora sui bambini e sull’educazione. Seppi che quei tre figlioletti non avevano avuto alcuna educazione religiosa: credevano all’esistenza di un
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UN MIRACOLO DI DIO *95
Dio in cielo così, semplicemente, come avevano cognizione dell’esistenza di un re in Roma, ma come non scrivevano mài al re così non parlavano mai a Dio ed erano buoni o cattivi (secondo i giorni) senza che nella loro condotta ci fosse mai alcuna determinazione suggerita da timori o speranze oltremondani.
* ♦ *
Quando, un’ora più tardi, ricapitolai dentro di me tutta la conversazione, rivedendo con gli occhi della mente quelle cinque figure intorno alla mer.sa ospitalo, mi sembrò che mi si rivelasse un miracolo.
Iddio è un padre, un pastore, un re. Ma anche il più buono dei pastori, il più affettuoso dei padri, il più saggio dei re chiede riconoscenza e sottomissione dal gregge, dalla figliolanza, dai sudditi. Dio, invece, non chiede di essere amato, nè è conosciuto e neppur pensato per ispargerc le sue grazie: una famiglia può vivere felice nella concordia, nel lavoro, nella virtù, illuminata dall’ intelligenza, riscaldata dall’amore ed il Padre, che vede, anche se gli occhi delle creature non si levino al cielo, continua a diffondere benedizioni, ad aprir fonti di gioia.
Se noi chiamiamo miracoloso tutto ciò che supera e trascende la natura umana, quale miracolo più miracoloso di questo? Certo è più grande di quello scoperto da Soffici, per la vita di molta gente. E poi? alla fine della vita? Forse la «sorpresa » di Heine: forse il premio a chi ha compiuto il bene senza la furbesca intenzione di collocare le buone azioni al mille per cento.
Quando salivo in treno per tornare a casa, venni a sapere che il mio voto era stato annullato. Prima di tutto avevo sbagliato scrivendo il cognome di preferenza da una sola parte del cartoncino; secondariamente avevo sbagliato scrivendo ac-, canto al cognome anche il nome; e finalmente — giacché la mia era una lista « bloccata », — io non avevo diritto a un nome preferenziale.
Così me ne tornavo dal mio esame elettorale con una triplice bocciatura. Pazienza! Non era sempre speso bene un viaggio di diciotto ore, per avere potuto assistere ad un nuovo miracolo del buon Dio? .
Dino Provenzal.
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PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
NOTE E DOCUMENTI
(Continuazione, „vedi Bilyclinis di Gennaio 1920, pàg. 33) (x>
IV. — I CRISTIANI
La « Federazione Studenti » - La Bibbia - La Preghiera - L’A! di là - Sviluppo e approfondimento della Vita spirituale.
L’ansia sociale - Considerazioni sulla chiesa - Fraternità interconfessionale - Religiosità moderna, ma pur sempre cristocentrica.
Valore dell'esistenza attuale in funzione della felicità - Problemi del dopo-guerra - Vette morali e spirituali - Conclusione.
Abbiamo terminato il terzo capitolo del nostro studio annunziandone un quarto. Questo, che sarà anche l’ultimo, è destinato ad analizzare la mentalità religiosa, ed in parti-colar modo il credo cristiano, dei nostri giovani eroi. Accingiamoci senz’altro all’opera ed anzitutto consideriamo un po’ da vicino l'ambiente spirituale in cui molte volte è nata e sempre si è sviluppata la loro coscienza religiosa.
LA «FEDERAZIONE STUDENTI»
La prima educazione cristiana dei giovani di cui ci occupiamo è molto varia; alcuni di essi sono stati educati in famiglie pie, altri in famiglie dalla pietà meno viva; la loro adolescenza è trascorsa in contatto più o meno intimo colia vita e coll’attività di qualche chiesa; tutti però, giunti agli studi superiori ed universitari, sono venuti,-per varie circostanze, in contatto colla consorella francese di quella che in Italia si chiama:
(x) Di questo studio sono stati pubblicati: il cao. Ini fase, di settembre-ottobre »9x8; il cap. II nel fase, di gennaio, febbraio c aprile 19x9; il c p. Ili nel fase, di ottobre, novembre e dicembre 1919 e gennaio 1920.
<’ Federazione Studenti per la cultura religiosa » (2).
Quella Federazione creata per loro e da loro resa vivente, quella Federazione diventata carne della loro carne e sangue dei loro sangue, non solo soddisfa i loro bisogni intellettuali più alti ed i loro più nobili bisogni morali, ma costituisce veramente il vincolo spirituale che con maggior forza li tiene uniti. In essa trovano quello che tutti i giovani apprezzano nel campo religioso: la passione nella ricerca della verità, la sincerità, la libertà di pensiero, l’assenza assòluta di preconcetti in tale ricerca. E così, in seno alla «Federazione», respirando nell’atmosfera di energia e di fede, i nostri giovani diventano dei cristiani ¡ quali conservano bensì ciascuno le caratteristiche della personalità propria, ma costituiscono pur tuttavia, presi nel loro assieme, un tipo speciale, un tipo nuovo, un simpaticissimo tipo moderno di cristiano libero, cosciente, àrdente.
Ruggero Allier entra contemporaneamente (1907) nell’università e nell'Associazione giovanile parigina che fa capo alla « Federazione». In essa-egli cerca non solo un ambiente per l’incontro piacevole con dei corniti Del V Congresso nazionale della Federa-zù ne italiana, tenutosi in Roma dal 4 ali’8 dello se >rso gennaio, sorto state già pubblicate notizie in Bi’ychnis, numero .di febbraio X920.
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pagni onesti, ma di essa vuol farsene lo strumento di un’opera spirituale tra gli studenti del Quartiere latino. Egli sente la responsabilità che — in mezzo ad una gioventù alle prese con tutti i problemi della vita intellettuale e morale, la quale sta cercando delle convinzioni che possano aiutarla a servire davvero la patria e l’umanità — grava su coloro che hanno il privilegio di sapere ciò che credono e perchè lo credono. Allier avrebbe voluto che l’Associazione di Parigi fosse sempre più una libera scuola di forti convinzioni. Per questo egli stima necessario d’organizzare, in seno all’Associazione degli studi seri e allo sforzo per organizzare tali studi egli contribuisce con tutti i suoi mezzi.
Questo interesse per là Federazione studenti non diminuisce quando egli, chiamato sotto le armi, compie il suo servizio militare -ad Albertville (1911 >. Continuamente, nelle sue lettere, egli chiede notizie sul lavoro iniziato dal)'Associazione parigina tra gli studenti del quartiere latino, ed interroga avidamente sulla natura delle adunanze, sulla loro riuscita, sugli argomenti svolti e discussi.
L’anno dopo, mentre segue i corsi di allievo ufficiale a Grenoble, egli partecipa attivamente ai lavori della locale sezione della Federazione studenti, preoccupandosi, più che delle questioni interne, dell’irradiamento della vita di tale sezione nell’insieme della vita studentesca della città.
Terminato il servizio militare e tornato a Parigi (1913), Allier riprende il suo posto nella « Federazione » e ricomincia ad insistere sulla necessità per io studente di lavorare a) progresso sociale, al miglioramento ininterrotto delle condizioni materiali e morali degli operai, alla soluzione dei conflitti tra le classi.
• « «
Anche Giovanni Fontaine Vìve entra in contatto còlla « Federazione » non appena inizia gli studi universitari a Lione. Mentre segue i corsi della facoltà di lettere, poi di quella di legge, egli trova in quel)’ambiente di entusiasmo spirituale e di libertà di pensiero la fede religiosa che aveva tanto cercata. Il Congresso della Federazione tenutosi appunto in quegli anni a Lione provoca in lui una crisi violenta, uno di quegli sconvolgimenti ai quali andava soggetta la sua ardente natura. Così egli formula, dopo la crisi, lo scopo sacro che ha ormai dato alla sua vita: « Cristo e Francia per cui saprò morire ».
Passano pochi anni. Nel febbraio 1916 il rombo dei cannoni di Verdun chiama Fóntaine Vive verso la fornace ardente. Egli vi si pre
para con tutte le sue energie, temprandole ancora nei ricòrdi evocati dall’anniversario del Congresso di Lione:
Il Congresso terminava; stanco, sbalordito, rotolato di luce in luce come un sasso da un torrente, mi lasciavo cascare, l’ultima mattina, sopra uno degli ultimi banchi della chiesa e lì, con tutta l’anima mia, perdutamente, io pregavo; le voci salivano verso la volta, tremanti, commosse; riconobbi quella di Aeschimann il quale pregava per gl’increduli e una forza irresistibile mi spinse a dire queste semplici parole in cui riassunsi tutto — invocazione, consacrazione, amore— : < Mio Dio, noi ti preghiamo per la Francia ». E due anni dopo, ecco che .questa semplice frase (sarei stato incapace di dire di più) ha preso vita di nuovo, ha servito di base per le meditazióni di tutti i nostri consoci ed io rimango confuso di riconoscenza infinita verso Colui il quale ha voluto che quella semplice parola germogliasse, crescesse e servisse a fare una briciola del pane di vita che tra noi Ci distribuiamo.
Non sono dunque nè i discorsi, nè le affermazioni veementi del mio cuore che sono sopravissuti, ma quella semplice preghiera che avrebbe potuto essere balbuziata da un bambino; divina prova che non i granelli che noi seminiamo portano le spighe, ma quelli che Dio semina per mezzo nostro. Divina lezione di modestia e di fiducia in Dio !
• • •.
Nel novembre 1907 Giovanni Monod si iscriveva come studente nella Facoltà teologica di Parigi e subito diventava uno dei membri più attivi e più devoti della Federazione. In uno dei frammenti piamente conservati dalla sua famiglia egli così ne parla :
La Federazione! Ne ho goduto; ne ho approfittato. Essa mi ha dato molto, senza che me ne accorgessi. Quando
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si vive sempre in un bel paese o in un ambiente interessante non ci si bada molto. Bisogna essersene andati per capire il privilegio che si aveva, l'incanto di una regione, le qualità, l'affetto di un amico. Ho goduto così dei Congressi, del Semeur, del segretariato centrale, da egoista, da ingrato. Vorrei essere ancora studente, membro della Federazione, vorrei non esserne escluso col mio ingresso nella carriera, vorrei fare qualcosa per essa.
• • •
Anche Giovanni Klingebiel, iniziati gli studi universitari, partecipa all’attività del Gruppo studenti cristiani di Bordeaux e assiste di poi a vari congressi nazionali. Sempre più compenetrato delle idee della Federazione, sempre più invaghito delle ragioni di credere e di amare che animano i suoi amici, egli dirige l’Associazione di Bordeaux con un’autorità morale piena di grazia e di dolcezza. Egli appieno realizza quel principio d’azione col quale, nel 1911. ei riassumeva il programma della sua vita e nel quale il bisogno di affermare la propria personalità era formulato collo stesso calore col quale veniva espresso il bisogno di donarsi:
In ogni circostanza prendi, di fronte alle cose, l'atteggiamento che meglio esprime la tua volontà di salute, di vita semplice, affettuosa, entusiasta, feconda.
Appare dunque cosa assai naturale che, oltre che ai suoi parenti, Klingebiel abbia dedicato «ai suoi amici, membri della Federazione studenti » le mirabili pagine dei « Qua derni » dai quali già abbiamo estratte tante parole di vira.
• • •
Il giovane A. A. aveva preso contatto col movimento d’idee della « Federazione » sin dà quando era ancora uno studente liceale. Passato all’Università, ei non cessò mai di consacrare molta parte del suo cuore e del suo tempo alla « Federazione » e, allo scoppio della guerra, era presidente dell’/Associazione di Lione.
Con quale serietà e con quale entusiasmo
egli avesse assunto tale carica si rileva dalla seguente lettera:
18 Giugno 1914Le mie nuove funzioni mi danno molto da fare ; ma è qualcosa che davvero appassiona, il potere incarnare un po' del proprio ideale c il potersi buttare, con tutta la propria gioventù, in un compito sì magnifico. Già noi prepariamo per l’anno prossimo una serie di studi accuratamente elaborati sulla vita di Gesù e cerchiamo di demolire, senza provocar disastri, molteplici costruzioni che altro più non erano se non facciate. È duro lottare contro la forza d’inerzia e di tradizionalismo che s’insediano anche nelle associazioni composte di giovani, ma qual gioia se se ne potesse fare qualcosa di più libero, di sempre più sincero, più .giovanile e più profondo!
Questo entusiasmo e questo amore per un movimento d’idee in cui A. A. trovava ad un tempo un cosi grande còmpito, un cosi grande ideale e cosi buoni amici, si accrebbero ancora durante la lunga separazione imposta dalia guerra. Un messaggio intimo di addio, scritto al momento della partenza pel fronte, contiene in proposito queste righe molto significative :
Maggio 1915.
... Se allargo la cerchia delle anime il cui contatto mi fu prezioso, se cerco al di fuori della famiglia quelli il cui carattere o il cui pensiero hanno orientato e guidato la mia personalità di adolescente, è tutta una pleiade di amici che saluto e ringrazio. Ve ne sono dei giovani e dei vecchi, dei cattolici e dei non credenti, ma, devo dirlo, si riannodano quasi tutti da vicino o da lontano a quel magnifico movimento degli « Studenti cristiani > di cui amavo la sincerità, la larghezza di vedute e di pensiero. Non posso dire tutti i loro nomi. Sono troppi...
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LA BIBBIA
Per quanto « moderna » possa definirsi la mentalità religiosa dei nostri giovani amici, essa purtuttavia sprofonda le sue radici in una intima pietà personale e trae la sua linfa dal «Libro» che, attraverso tanti secoli, ha nutrito spiritualmente i cristiani di tutte le chiese.
Membri della «Federazione Studenti», i nostri eroi, come i loro padri, sono gli uomini della Bibbia.
• • •
Pur non conoscendone il nome, indoviniamo subito un assiduo lettore del Libro sacro nel giovane che scrive quanto segue:
La parola rimane vera, per quanto incomprensibile essa sia agli occhi degli uomini: «Non v’è che una speranza, quella alla quale vi ha chiamati la vocazione che avete ricevuta.». .Oh ! adempiere il proprio compito sino all’ultimo, anche senza comprendere, ma sicuri e fiduciosi! Rileggo i racconti del Get-semane e delle sofferenze del Salvatore. « La vittoria che vince il mondo è la nostra fede ». Più presso a té; mio Dio ! è l’inno di tutti coloro che il Maestro associa alle sue sofferenze e alla sua vittoria.
• • •
E così scrive Alfredo Casali«:
Castelsarrasin, i° Aprile 1915.
... Il mio caporale essendo in licenza, sono io che lo sostituisco e devo « fare la chiama » ; inutile dunque rientrare in caserma prima delle ore 20,15. Approfitto di quei momenti per leggere e meditare il mio Nuovo Testamento.
• • •
Analogo è il caso di A. A.:
16 Marzo 1915.
Sono ancora salito ier l’altro sulla mia « collina ispirata », più luminosa che mai tra l’oro delle ginestre e l'ideale purezza dei cielo. Ho riletto quasi tutto il Vangelo di Marco e ho cercato di ricavarne il midollo. M’è parso che tutto
il pensiero di Gesù potesse riassumersi in questa formoia : L'Eterno guarda al cuore. Poco importa il giudizio del mondo, poco importano le forme della pietà, poco importano gli accidenti della vita, poco importa la felicità stessa; — che un uomo abbia la vita, ch'egli abbia la chiara visione della sua grandezza e della sua bellezza, ch’egli viva e faccia vivere, — avrà adempiuto la sua missione, sarà nell’ordine.
♦ ♦ •
Spigoliamo nella corrispondenza di Andrea Cornet Auquier:
26 Ottobre 1914.
Mandatemi, per favore, un Nuovo Testamento coi Salmi, la più piccola edizione possibile...
Il suo desiderio dev’esser stato subito soddisfatto poiché leggiamo in data 15 novembre 1914:
Leggo spesso il Nuovo Testamento; quello .piccolino mandatomi da Yvonne e Teresa non mi lascia mai. Stamane mi sono fermato a questo versetto : « Io vi lascio pace, io vi dò la mia pace. Non ve la dò come il mondo la dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si spaventi >. Ciò m’è bastato. Con Gesù ci si sente così al sicuro l
E ancora, il giorno dopo Natale:
26 Dicembre 1914.
Dopo tutto ci siamo accorti che ieri era festa : anzitutto, a forza di ripeterlo, si è finito col crederlo ; eppoi ci si sentiva più soli e più tristi, più desiderosi di vita di famiglia e di pace; ma altresì in comunione più intima coi cari assenti. Ho letto il capo II dell’Evan-gelo di S. Luca...
• • •
Klingebiel legge quasi quotidianamente la Bibbia, e in certi giorni riporta integralmente nei suoi «Quaderni» i passi che maggiormente hanno nutrito il suo spirito; e sono.
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BILYCHNXS
ne! 1914, quasi sempre passi delle lettere di S. Paolo, ciò che attesta una lettura regolare e « seguita » di una data parte del sacro libro.
Il 26 ottobre 1915 egli scrive:
Alla luce degli eventi, certe pagine dei nostri libri familiari — della Bibbia o di qualsiasi altro — ci appaiono ad un tratto in tutta la loro ricchezza e in tutto il loro significato.
Ecco un frammento del salmo che ho scoperto stamane:
Non ponete la vostra fiducia nella violenza.
Non ponete una vana speranza nella rapina.
Se le vostre ricchezze abbondano
Non legate ad esse il vostro cuore.
— Dio ha detto una volta,
Ed ho sentito la Sua voce ancora: « La forza è di Dio ».
— A te pure, o Signore, la misericordia.
Renderai ad ognuno secondo le sue opere.
E nell’ultima pagina dell’ultimo quaderno dì Klingebiel è ricopiato un altro Salmo, il 46’:
Domenica, 24 Settembre 1916.
Promessa :
Venite, contemplate le opere del-l’Eterno, i prodigi ch’egli compie sulla terra.
Ei fa cessare la letta sino alle estremità del mondo,
Ei rompe gli archi e infrange le lance, Egli arde nel fuoco le macchine di guerra.
< Fermatevi dic'egli, e sappiate che io son Dio.
Io domino le nazioni e la terra».
L’Eterno degli eserciti è con noi.
Il Dio di Giacobbe è il nostro supremo rifugio.
• ♦ ♦ ♦
Nella corrispondenza di Gustavo Escande ricorrono spessissimo accenni alle sue lettere
bibliche. La forza che lo sostiene non gli è data per miracolo; egli la cerca con perseveranza nel libro sacro :
Tolone, Ottobre 1914.
Nella nostra sala di lettura studio la mia Bibbia e torno in caserma forte di una forza nuova pel lavoro dell’indo-marii... .
... Alle ore 17 sono libero. Se non mi reco in città, vado a sdraiarmi sulla spiaggia, tiro fuori il mio Nuovo Testamento e Io medito. Se sapeste la forza ch’io ne traggo!...
Questo Nuovo Testamento è il suo compagno inseparabile:
M'è difficilissimo vivere qui giorno dopo giorno, sentire sempre le medesime conversazioni senza ricevere alcun nutrimento spirituale. Per fortuna il mio Nuovo Testamento mi accompagna dovunque.
E ancora :
Mi sento molto solo, ma il mio Nuovo Testamento mi dà forza. Dio non mi abbandonerà. Questi tempi sono gravi, perciò ho bisogno d’essere vicino al mio Dio. E Lo benedico per il privilegio che ho di conoscerLo.
Qualche giorno dopo, il 7 novembre, ritorna sull’argomento:
Ho cucito un taschino nel mio cappotto e vi tengo il mio Nuovo Testamento durante le marce; nei momenti di alt, presto ne leggo alcuni versetti. L’ho già letto due volte per intero. Non puoi immaginarti quale forza io ne tragga; mi sento meravigliosamente sostenuto in mezzo a tutte le tentazioni che m’assalgono in questo ambiente corrotto.
La serietà colla quale egli « medita» — cioè •gli ragiona — sulle sue letture bibliche può illustrarsi in questo brano che fa parte degli ultimi, appunti da Escande tracciati rapida
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mente, nervosamente negli ultimi giorni della sua vita:
23 Marzo 1915, ore 15 Culto personale.
Salmi 81, 82 è 83. Difatti, la eausa profonda della guerra stà nell’allontanamento dell’uomo da Dio (Salmo 81, v. 12). Il versetto 13 spiega perché Dio ha lasciato che si facesse questa guerra. Egli non l’ha voluta. Giorno verrà in cui gli uomini comprenderanno che, al di sopra di essi, vi è Dio (Salmo 83, v. 19).
Dalla Bibbia Escande trae dunque non solo il conforto pel suo cuore, ma la soddisfazione per la sua intelligenza. La Bibbia lo aiuta a risolvere i più grandi «perchè».
LA PREGHIERA
Chi nutre l’anima sua nella lettura della Bibbia si sente irresistibilmente spinto a pregare. Escande non solo piega, ma prega palesemente e, se alcuni dei suoi compagni lo deridono, altri lo approvano. Egli scrive:
Dei feriti mi dicevano in questi giorni: * Colóro che sanno pregare, lo facciano senza vergogna » ; tra loro vi erano degli increduli. La morte, che li ha rasentati ad ogni secondo, ha loro turbata la coscienza.
Guardiamo a Colui che può darci la fiducia, la forza e la calma necessarie alle anime nostre.
Il 24 giugno 1915 Fontaìne Vive sale alle trincee e la sua vita spirituale intima s’arricchisce sempre più :
Prego maggiormente, prego meglio dacché sono qui, e ricavo dalia preghiera una inalterabile fiducia, una fiducia serena per quanto mi riguarda e per quanto riguarda la nostra causa.
• • •
Uomo di preghiera è anche Andrea Cornei Auquier:
io Settembre 1914...Mi sento circondato di preghiere e prego molto per tutti voi...
Nella sua lettera del 24 settembre, egli racconta alla famiglia un interessànte e commovente episodio di fraternità cristiana:
Un capitano mio amico molto cattolico e molto pio diceva l’altro giorno che, prima di ogni combattimento, egli pregava. Il maggiore osservò che quello non era il momento e che avrebbe fatto meglio di prendere le sue disposizioni. L’altro rispose: « Ciò non.m’impedisce di comandare, di prendere le mie disposizioni e di combattere, d’altra parte mi sento piò forte». Allora ho detto: « Capitano, faccio come voi ed anch’io mi sento meglio».
E Maurizio Barrès (i) commenta:
«Ecco due credenti, dirà il lettore; ce ne « furono sempre. Certo ; ma essi sono di re-« ligione diversa, eppure si accordano. Su che « cosa ? Sopra un fatto. Che cos’è 1? preghiera « per quei due soldati ? Ci dicono che è qualcosa che li rende più forti, che li fa star «bene. L’avevamo già letto; ma questi due « lo ripetono in base ad esperienze loro pro-« prie ».
Altri accenni alla preghiera troviamo nella corrispondenza del capitano Auquier.
In data 25 ottobre 1914 egli scrive:
Stanotte sono di servizio in trincea. Notte magnifica, colla luna. Ah! Come sarà bello pregare per voi.
E il giorno di Capodanno 1915:
L’ora mia non è ancora venuta ; verrà forse; la mia sola preghiera è eh essa mi trovi pronto. Non prego più per me, prego per gli altri, per voi, specialmente per te, mammina cara. La mia preghiera è ardente, fervida, appassionata; chiedo a Dio di rendervi calmi e coraggiosi, checché succeda...
Un altro giovane che non solo legge, ma prega, è Alfredo Eugenio Casalis:
(:) Nel suo volume-. Lei /•»■:.illes, spirituellcs ce la France.
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BILYCHN'IS
17 Gennaio 1915.
Come si sente ii bisogno di rientrare in se stessi dopo qualche tempo-di vita in caserma; ci si lascia talmente andare alla deriva e ci s'abitua tanto a vivere al di fuori di qualsiasi comunione vera col nostro Maestro, a pregare con parole e con forinole soltanto ! Oh ! coloro che lo possono, che ne hanno la comodità e le forze, preghino per tutti coloro che non possono farlo.
Ancora : 1
Courcelles-sur-Aire,
27 Aprile 1915.
Oh la mancanza di pace per pregare come si conviene.
Prega per me, e domanda a Dio di darmi la pazienza necessaria per aspettare, in questo momento, l’ora di andare al fuoco, e per aspettar bene.
E non v'ha dubbio alcuno che il caro giovane avesse «aspettato bene». Un ufficiale superiore, partecipando alla famiglia, la morte in battaglia di Casalis, cosi incominciava la sua lettera:
12 Maggio 1915.
Avevo incaricato vostro figlio di farvi sapere con quale gioia l’avevo accolto al battaglione ; ed abbiamo avuto, a varie riprese, l'occasione di pregare insieme. Avevo tosto apprezzato tutto ciò che quel modesto nascondeva in fatto di bontà, di coraggio calmo e tranquillo e di valore intellettuale e morale.
Tre giorni dopo, anche quel maggiore veniva ucciso da una granata nella trincea di prima linea.
• • •
Ma i documenti più interessanti e più « spirituali » che abbiamo raccolto sulle abitudini di preghiera dei giovani combattenti di cui ci occupiamo non sono quelli che precedono, ma bensì quelli che seguono.
Se i nostri giovani conservano la vecchia < consuetudine, essi hanno della preghiera un concetto nuovo che ne fa l’atto più energico della vita intima del Cristiano. L’orazione co
stituisce per loro non una vacua giaculatoria, e neppure un alto di accattonaggio morale, ma costituisce invece una rigida disciplina il cui scopo è l’allenamento religioso del credente.
Sentiamo che cosa ha da dirci in proposito Andrea Cornet Auquier:
15 Gennaio 1914
E cosi difficile di pregar bene in campagna, si ha così poco tempo per sè, si è continuamente disturbati. M’è successo di cascar dal sonno e di ad ¿tormentai mi mentre pregavo; destandomi la nòtte, continuavo a pregare e mi riaddormentavo da capo. Ma Dio comprende ciò, non è vero? E poi a me pare che la preghiera sia qualcosa di costante.
Egli sa bene, Lui, che, se non posso pregarlo colle labbra, lo prego nel cuore tutto il giorno.
Egli conosce i miei desideri più cari, i miei voti più ardenti ed Egli sa che, anche se non formulati con parole, essi salgono sempre dal mio cuore verso di Lui, e che soltanto perchè credo in Lui oso nutrire, quei desideri e ardisco formulare quei voti.
• ■ *
Ancora più esplicito è il giovane A. A.:
3 Marzo 1914.
Dobbiamo lungamente e regolarmente pregare. Bisogna che, nella nostra vita, la preghiera preceda ogni cosa; non importa se qualche giorno non ho il tempo di leggere; innanzi tutto io debbo pregare. Faccio tutti i giorni questa esperienza: ogni giornata vale ciò che vale la preghiera della sera o quella del mattino. Se, spesse volte, le nostre preghiere sembrano non produrre nulla, posso tuttavia darti il consiglio di continuarle con fede e umiltà; la preghiera allora produrrà immancabilmente il suo effetto, Che non è di cambiare le disposizioni di Dio a nostro riguardò -
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PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
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perchè Dio è sempre amore — ma di trasformare le nostre disposizioni riguardo a Dio.
E scrivendo alla sorella:
13 Maggio 1915.
V’è modo di < riposarsi in Dio»; di riprender forza e coraggio in Lui senza che occorrano prolungate devozioni; tanto è vero che la religione, funzione vitale e regolare, è lungi da quell’insieme di strane emozioni e di vibrazioni nervose che certuni ci rappresentano.
Pregare vuol dire semplicemente riprender coscienza del proprio ideale, precisarlo e, in presenza di Dio, epurare la propria volontà sino a renderla unicamente invaghita c desiderosa di quell’ideale.
11 più categorico di tutti è, su questo argomento, il Casalis:
Montauban, 7 aprile 1915.
Non credere — perchè tu ed altri rimanete indietro, senza partecipare alla lotta — non credere d’essere inutile. Tutt’altro. V’è una cosa che puoi compiere : pregare. Prega per coloro che sono partiti e che hanno bisogno di essere sostenuti. Prega per coloro che soffrono... Prega il Maestro di mandare operai per le sue messi. La preghiera è una lotta; essa dev’essere una battaglia, nella quale riusciamo a vincere i nostri desideri, i nostri impulsi, e di-, ciamo a Dio: Tu meglio di noi, sai quello che ci conviene; dacci di rimettere ogni cosa nelle tue mani, sapendo che la tua volontà, qualunque essa sia, è una volontà d’amore infinito.
...Prega ancora al posto di coloro che combattono e che non possono — loro — trovare il modo di pregare come si conviene.
Sul medesimo argomento ei ritorna di proposito, scrivendo qualche giorno dopo ad un amico. Anzi, nel parlare della preghiera, Casalis traccia a grandi linee una- sintesi acuta e prettamente moderna delia psicologica del perdono e dell’energia spirituale che ne deriva.
28 Aprile 1915.
La preghiera! Ne abbiamo già parlato, ma l’argomento è inesauribile. Non insisto sulla preghiera d’intercessione per gli altrieh'essi sappiano piegarsi alla volontà d’amore infinito-del Padre e che la visione del dovere da compiere sia per essi sempre più viva e sempre più chiara.
Voglio piuttosto accennare alia preghiera per noi medesimi.
Dobbiamo pregare per essere perdonati. E il perdono consiste anzitutto nella distruzione delle abitudini, delle associazioni d’idee che si formano in noi per paralizzarci. Insomma dobbiamo chiedere a Dio di rinnovare del continuo la nostra libertà...
V’è più di questo nel perdono: credere che Dio è amore implica Ch’Egli può soffrire, ed effettivamente soffre, di ciascuna delle nostre cadute, come gioisce delle nostre gioie e dei nostri successi. Dobbiamo umiliarci di far/o soffrire ed entrare in comunione colla sua sofferenza.
Chiediamo delle forze a Dio... Ricordati la parola rivolta a Gedeone : « Va colla forza che hai > ; essa è certamente vera anche per noi. Siamo forti, ma lo ignoriamo, spesso volontariamente; abbiamo paura di quella forza che è in noi, perchè, se l'utilizzassimo a dovere, essa ci condurrebbe forse dove non vogliamo andare. Chiediamo al Padre di poter conoscere questa forza e di saperla utilizzare in modo di portarla al massimo rendimento.
Neppure sappiamo utilizzare il subcosciente nella preghiera, in cui esso
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occupa, io credo, un grande posto (cfr. Romani 8-26 a 31 e per l’interpretazione I Corinzi 14-1 a 26). Ancora non afferro bene il pieno significato di quésto fatto, te lo accenno soltanto.
Quando un giovane è animato da tali sentimenti non c’è da stupirsi che possa e sappia pregare come prega Casalis:
Domenica, 18 Aprile 1915.
... Ho talvolta paura della pace che sento in me, perchè troppo spesso essa è debolezza, rassegnazione, invece di essere la coscienza piena d’un dovere certo e d’una forza reale. E spesse volte così prego per me e per quelli ch’io amo :
« Signore, nostro Dio, nostro buon Padre, agita le nostre anime, perchè esse non siano come acque dormenti. Non permettere che ci addormentiamo in una sicurezza traditrice, in una quiete inerte, credendo che quella è la Pace. Dài, invece, alle anime nostre la facoltà di soffrire intensamente, nella comunione di ogni dolore, la facoltà di ribellarsi dinanzi ad ogni ingiustizia, di fremere alla chiamata di ogni causa nobile e santa. Signore Iddio, il nostro Cristo, tuo Figlio, ha sofferto. Egli ha pianto sulla morte del suo amico. Ha pianto sul tuo popolo ribelle. Ha pianto sull’opera sua che minacciava di finire assieme alla sua vita terrestre. Ma egli ha vissuto abbastanza intensamente e umanamente per dirci, a noi, uomini: “ Io sono la vita. ” Deh fai, Signore, che le anime nostre siano viventi. Allora la pace tua scenderà su di esse, non più come la neve che addormenta ed agghiaccia, ma come il calore del sole che ravviva la linfa nelle vene della terra. Signore, la tua Pace sia con noi ; la Pace tua e non la pace degli uomini. Così sia ».
L’AL DI LÀ
Continuando a leggere «con intelletto di amore» la corrispondenza dei giovani combattenti cristiani, ci sembrano meritare una menzione speciale le pagine in cui essi espongono, sia pur di passata, il loro concetto sull’«Al di là». Già nel capitolo III, e più precisamente nel paragrafo « Ore grigie e Pace interiore» (1), noi abbiamo osservato i morituri porsi davanti al fatto brutale della loro « fine » e prendere, di fronte a questo fatto, un atteggiamento sublime di serenità e di fiducia.
In questo paragrafo invece, gli eroici giovani ci andranno esponendo i particolari delle loro credenze relative alla vita dopo la morte e ci faranno conoscere in quale modo essi si raffigurano l’oltre-tomba.
Anche a questo riguardo constateremo quanto già abbiamo detto poco più sopra riguardo alla preghiera.
I giovani nostri mantengono ferma l’antica fede nella sopravvivenza dell’anima, ma tale fede essi armonizzano con le idealità della loro epoca, coi bisogni profondi della coscienza moderna, purificandola, sublimandola, spiritualizzandola. Si ripete cioè il medesimo fenomeno di conservazione e di restaurazione già da noi più sopra constatato.
• * ♦
C’è anzitutto, nella coscienza dei nostri giovani, la piena consapevolezza della reale esistenza della vita futura. È commovente rileggere il racconto della fine del giovane Adolfo Cuche. Già vi abbiamo accennato nel primo capitolo di questo nostro lavoro (2); ma giova aggiungere qualche particolare :
Arrivando al posto di soccorso il moribondo disse : « Fate di me ciò che credete ; so che non uscirò vivo di qui ». Poi, dopo un istante di silenzio, soggiunse : « Credo nella risurrezione e nella vita eterna». Poco dopo, diceva al chirurgo : « Non prenderti tanta pena; è finito».
Il medico che l’assisteva scrive: «L’ho trattato come un fratello. Abbiamo discorso insieme finch’egli rimase cosciente. Egli m’ha parlato dei suoi, e specialmente di Dio, in cui aveva posto tutta la sua fiducia e al quale si era completamente abbandonato. Nelle ultime sue parole, intravedeva nitidamente la vita futura, nella quale, riconoscendo la grati) Vedi BUychnis di ottobre 19x9.
. (2) Vedi Bilyehnis di s.-ttcmbrc-ottobrc 191«,
>30-
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vità delle sue ferite, ei si preparava ad entrare ».
Il bisogno d’una simile fede è vigorosamente affermato da Giovanni Massip. Si sente l’uomo che parla d’una esperienza personale:
3 Gennaio 1915.
Non ho mai sentito come adesso la necessità di una fede. Allorquando, in seguito ad eventi nè previsti nè voluti, ci si trova davanti alla morte, si è turbati a motivo della poca nostra preparazione per affrontarla. Tutti noi giovani abbiamo vissuto sino ad oggi senza preoccuparci del domani.
Abbiamo lasciato che il nostro corpo prendesse a poco a poco il sopravvento sull’anima nostra sino a soffocarla, o almeno sino a velarla e ci accorgiamo ad un tratto che ciò per cui si viveva, il centro delle nostre speranze, dei nostri piaceri e del nostro orgoglio era perituro e stava forse per perire. Quale desolante constatazione! Per conto mio ho passato nottate terribili in cui non vedevo nel mio avvenire alcuna luce, alcuna speranza. Ho dovuto lottare perchè la luce venisse ad imporre silenzio in me all'orgoglio ch'è l’unico ostacolo alla vera vita. Ho cercato. Ho trovato. Non ch’io abbia distrutto in me il vecchio uomo, il quale altro non desidera se non vivere la propria vita; ma perchè mi sono rassegnato al sacrificio diuturno che costituisce il fondo dell’esistenza.,.
• • •
Nelle lettere dell’Auquier la nota dominante, quando parla dell’ « Al di là », è la fede nella ricostituzione in cielo della famiglia terrena:
6 Gennaio 1915.
Quanto m’ha addolorato la morte del capitano Braun l Ecco una morte assai
più dolorosa di quel che non sarebbe la mia...
Siamo privilegiati, perchè io non ho nè moglie nè bambini... e poi noi abbiamo la certezza di rivederci, nel caso piacesse a Dio di separarci momentaneamente...
E ancora :
17 Gennaio 1915.
...Vi stringo tutti sul mio cuore raccomandandovi a Dio. La sua bontà verso di noi sembra impossibile a misurarsi. Per parte mia, mi limito a dirgli : «La tua volontà sia fatta», perch’egli sa tanto meglio di me ciò ch'è il mio bene e la speranza di rivederci presso a Lui è una tale consolazione...
Fontaine Vive ha sull’al di là un concetto più profondo: i credenti trapassati parteci-cipano ancora in ispirito all’azione buona che si continua sulla terra.
Egli stesso — riassnmendo il discorso di addio da lui pronunciato, prima di partire per il fronte, davanti ai suoi amici del cenacolo interconfessionale del campo di Dragui-gnan — cosi si esprime:
Non coloro che partono per sempre sono da compiangere nè devono dolersi, perchè essi partecipano, sin dal loro passaggio nel regno celeste, alla pace di Dio; anzi, quanto più s’avvicina l’ora fatale, una strana e miraco-. Iosa calma va facendosi nelle loro anime; esse si raccolgono, si purificano, esse si pacificano e sono pronte in tal modo a rispondere serenamente all’appello dell’Al di là. Quelli che piangono, quelli che avranno bisogno delle consolazioni divine, sono quelli che resteranno, quelli che non avranno per sostenerli nè la letizia della lotta per la Causa, nè la divina effusione che comincia diggià a irradiare nelle nostre anime la luce dell'ignoto.
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Quelli sono che avranno bisogno della divina presenza, di sentire che tutto non è finito, poiché avranno l’integrità del dolore e non la gioia suprema del sacrificio.
Perciò, noi che siamo tutta la loro gioia e tutta la loro angoscia ricordiamo loro che, se la legge divina ci strappa alla terra, un’eterna felicità ci è promessa; che i nostri morti non sono morti, ma ch’essi vivono e che li rivedremo; no, non sono morti; ma, dalle altitudini dove non hanno accesso i viventi, le anime loro continuano a fecondare sulla terra i germi della vita e i loro ricordi proseguono nel generare nuovi sacrifici...
Il medesimo concetto viene da Fontaine Vive esposto, in modo ancora più suggestivo, in una sua lettera alla fidanzata:
Per raggiungere la mia mèta immutabile, devo subire dei rinunciamenti, devo spogliarmi progressivamente di tutto ciò ch’è umano, e anche morire senz’essere giunto alla vera vita cristiana. Ma, negli altri cicli di vita, non abbiamo noi la consolante certezza di giungere un giorno alle beatitudini dell’opera compiuta?
• • • •••*••
Non dimentichiamo giammai che ci siamo amati all'ombra della Croce di Risurrezione. Poi, quando verrà l’ora della separazione, colui che precederà l’altro nel divino Regno gli dirà: « Non attristarti, compì l’opera comune e, se il dolore t'opprime, ripeti il grido di guerra, ma questa volta tu ne sai la risposta : « E poi dopo ? > — Dopo ri-convinceremo l’opera intrapresa ; vi sono per noi- varie dimore nella Casa del nostro padre.
• • ■
Questo concetto dell’oltretomba — che inerita ¿’esser rilevato sebbene non soddisfi appieno la nostra coscienza dì credenti moderni
— lo ritroviamo nella corrispondenza di Alfredo Casalis (x).
C’è innanzi tutto l’affermazione della sopravvivenza dell’anima :
Castelsarrasin, 17 Marzo 1915.
Mi sento pieno d’una speranza illimitata che — al di là della morte — mi fa intravedere l’inizio d’una vita rinnovata, magnifica.
Poi c’è l’idea esposta dal Fontaine Vive della collaborazione spirituale dei trapassati coi loro fratelli rimasti sulla terra :
21 Marzo 1915.
Al presente, tutti siamo in servizio comandato ; il nostro servizio è sacro. Forse saremo chiamati a restar soli: quelli che saranno partiti saranno ancora con noi e il ricordo del loro sferzo rimarrà. D’altronde, essi vivranno nella luce che gli occhi nostri non percepiscono ancora, vicinissimi a noi. E sempre noi saremo intimamente uniti, allorquando saremo una cosa sola in Lui, noi in Lui, Lui in noi...
E su questo concetto Casalis torna, esponendolo con maggior chiarezza, pochi giorni dopo :
7 Aprile 1915.
Partiamo adesso ! Parto con gioia, al pensiero che finalmente potrò fare qualche cosa...
Non ho paura di morire. Ora posso dirlo con tutta sincerità: ho fatto il sacrificio della mia vita. Posso compierlo senza alcun timore.
Anzitutto, io so che morire significa incominciare a vivere. Non già vivere
(x) Per quanto non abbiamo sottomano dei documenti per dimostrarlo, sappiamo che parecchi dei nostri giovani avevano accolto anche questa verità spirituale: che l'anima, nel progressivo contatto con Dio, sempre più s’affina e si perfeziona e può quindi essere fatta partecipe dell’attività divina in un piano supcriore a quello rappresentato dalla terra attuale.
Vedi in proposito l’opuscolo di T. Fa Hot : Sulla soglia edito dalla libreria di Bilychnis.
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in un'eterna felicità, ma vivere davvero. Credo che i morti vivono presso i vivi, invisibili ma presenti ; e sono forse essi che Dio ci manda, in risposta alle nostre preghiere, perchè il loro spirito, che è il suo spirito, ci guidi e ci animi.
E poi io spero aver lasciato dietro di me, in alcune anime, dei germi che germoglieranno nel giorno del Signore. E tutto ciò per cui ho vissuto, tutto ciò che ho voluto essere e fare, tutto questo, io lo sento, rivivrà, non perirà...
Ti parlo della morte perchè ci penso, perchè tutto il mio sforzo sta nel prepararmi ..a riceverla, dal momento che essa è possibile. Ma ho fede nella vita, fede in Dio. « Non temere, credi solamente >, Anche tu : abbi fiducia;
In tale sua fede — dello sviluppo, nell'attività altrui, dei germi spirituali da lui depesti sulla terra — Casalis trova la forza per affrontare il supremo sacrificio:
Roclincourt, 5 Maggio 1915.
Un’ora grave sta per sopraggiungere. Domani o dopodomani attaccheremo; bisognerà slanciarsi alla baionetta e l’assalto sarà tremendo, perchè non si tratta più di portar via una trincea, ma si tratta di realizzare un’avanzata di parecchi chilometri. Se ci resto, sappiate che sarò morto senza timore e in pace... Domando una cosa: che quelle poche energie consacrate al bene ch’erano in me possano rifrangersi su coloro che m’hanno amato e ch’io ho amato, su tutti i miei compagni d’ideale e di lavoro.
SVILUPPO E APPROFONDIMENTO DELL’INTIMA VITA SPIRITUALE
La notevole maturità spirituale di cui fanno fede i brani di lettere ora trascritti non è certamente l’effetto della vita militare in cui sono entrati i nostri giovani. Non v’ha dubbio che
la loro vitalità spirituale non appartiene a quella categoria d’improvvise emozioni religiose — molto superficiali e di molto breve durata — che, ai contatto immediato del pericolo, sono fiorite e, con la sparizione de! medesimo pericolo, si sono spente. Non vi ha dubbio che, anche senza la guerra, i nostri giovani erano e sarebbero rimasti profondamente religiosi e sinceramente cristiani.
Ci sembra, d’altra parte, evidente - che, sulla loro religiosità, la vita militare abbia esercitato una particolare influenza. Ad essa devesi, secondo noi, il soffio di realtà e di modernità che rianima e rinnova tutta la loro vita spirituale intima e la rende sempre più profonda, sempre più elevata e più pura.
Essi — abbiamo detto — erano e restano cristiani ; si sente però, nella scaturigine della loro anima, ch’essi sono passati per la caserma e per la trincea.
• • •
Questo pensiero, da noi malamente espresso, trova una mirabile illustrazione nei programma di vita contenuto nel taccuino di appunti di Giorgio Teyssaire:
Non temere la realtà, guardarla in faccia.
Non transigere nè in parole nè in atti. Mostrare agli altri qualcosa di luminoso, un carattere fermo, una volontà chiara e libera, che ubbidisce ad una ragione indipendente. Per questo occorre lavorare, occorre sentire la superiorità del proprio cuore e del proprio spirito.
Questa superiorità dev’essere intesa nel senso proprio del termine: G. Teyssaire stima che bisogna mettersi al di sopra — non degli altri—giammai pensiero fu più lontano dalla sua mente — ma della contingenza dei fatti. Il nostro essere interiore non dev’essere alla mercè degli eventi. Per questo, ancora una volta, occorre il coraggio di vedere:
In generale si considera la guerra come uno stato di cose passeggero, dal quale si spera d’uscire immune per ricominciare la solita vita. Ora ciò non è esatto. Ed è appunto per la rivelazione di questa dura verità che la guerra può esser per noi un « mezzo di rinnovamento ». Essa c’invita, nella sua
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BILYCHNIS
brutalità, ad essere subito e sempre ciò che vogliamo essere.
Leggesi ancora nel quinterno degli appunti :
Bisogna avere il coraggio, in ogni momento del giorno, d’essere quello che si è, di affermarsi davanti ad ogni cosa. Per questo, conviene, qui, avere costantemente il senso della vita del soldato, il sentimento che si è anzitutto soldati. Esser pronto subiettivaménte : è questo il mezzo migliore d’esser sempre lo stesso e di non esporsi alle debolezze ed allo scoramento.
Essere pronto subiettivainente, ecco dunque l’essenziale!
Più avanti questo pensiero è illuminato e sviluppato :
In generale, bisognerebbe abituarsi maggiormente all’idea della morte, essere pronti nel significato religioso del termine.
• • •
Nelle retrovie, la sera della Pentecoste 19x5, Giovanni Fontaine Vive ebbe una dolce ora d’estasi mistica:
Sono andato a passeggiare sopra una strada che si perde nella prateria verso A. : chiamiamola « il sentiero della Preghiera». Faceva già scuro; tornando al villaggio, sono stato come avvolto dal dubbio ed, ho tremato. Ho sofferto della medesima angoscia religiosa che m'ha assalito altre volte. Ma quando ho afferrato il mio dubbio e l’ho posto davanti ai miei occhi, un'onda di preghiera m’ha circondalo. Già ero tra le prime capanne del villaggio; sono-tornato sui miei passi e sulla strada crepuscolare, dritto nella luce della sera, offrendo al Dio sconosciuto il mio corpo teso vèrso di lui e l’anima mia che a-vevo presa nelle mie mani come un fascio di fiori, ho elevato verso di Lui una fervida preghiera e mi sono sentito confortato.
Quest’ora d’intensa vitalità religiosa ha segnato per sempre là sua impronta nell’esistenza di Giovanni Fontaine Vive. Lo sentiamo nelle parole che il 16 marzo 1916, nella zona di Verdun, egli scrive preparandosi a salire a Malancourt:
Tutto è pronto. I miei uomini parlali poco, ma sono risoluti. In quanto a me ho tanto inciampato e vacillato nella mia vita che Dio mi darà il posto che giudicherà conveniente. Riceva egli quel povero peccatore ch’io sono, lo riceva nonostante le sue molte mancanze ; avrei tanto desiderato esser buono, esser puro, esser forte...
• • •
Analoga è l’esperienza di Giovanni Mas-sip:
Agosto 1914.
La questione religiosa mi preoccupa sempre più e le consacro i miei pochi istanti liberi. La caserma mi fa veder molte cose. Mi fa toccar con mano come il Cristo sia necessario agli uomini e come senza di Lui tutto Sia morte:
Più tardi, attraverso la vita di caserma, egli rievocherà, scrivendo a! pastore Viel, le sue prime esperienze, anzi ancora semplici emozioni religiose:
Siamo nel mese di maggio e spesse volte io penso, per affinità colla primavera che dovunque profonde i suoi colori, all’altra primavera doli’anima mia, quando, istruito da voi nelle bellezze dell'evangelo, io nacqui a quella vita spirituale che, sulla terra, fa di noi dei sudditi del Regno. Ricordo con gioia le prime emozioni religiose e le lacrime versate leggendo il Libro sacro e penso anche al tempio della via Romiguière* e al convito in cui ero ospite del Cristo ed al quale assistevo curióso e tremante.
Cari ricordi, voi costituite ciò che v’ha di più dolce e di più bello nella
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mia vita, ne formate la parte incorruttibile, siete le mie vere ricchezze. E quando, in mezzo ai pericoli che mi circondano, penso aUa morte, io mi dico che, s’ella venisse, sarebbe Cristo che verrebbe a prendermi per condurmi al divino banchetto del Regno perchè, dopo averlo presentito nella Cena della terra, io possa vederlo nel suo semplice splendore e, alla mensa Ch’Egli presiede, nutrirmi della Sua verità.
Anche nella corrispondenza di Escandc troviamo accenni a simili emozioni religiose rese più gravi, più coscienti, dalla vita militare :
...Il giorno di Natale, la mia compagnia era di picchetto. Ero disperato di passare il Natale. rinchiuso in caserma e di non poter assistere alla festa nella sala di lettura. Per fortuna, potei farmi sostituire da un < bleu » della classe 15 ed unirmi agli amici della via Chabannes. La festa, affatto intima, raccolse un centinaio di persone.
Non c’era l’albero, ma la sala graziosamente decorata. Un breve culto su questa parola : « Emanuele, Dio con noi » ; poi i pastori presenti, di cui due mobilitati, rivolsero parole d’incoraggiamento ai militari isolati o prossimi alla partenza. Natale 1914 sarà per me un giorno memorabile : il mio primo Natale passato sotto le armi, alla vigilia della partenza... Che sarà per me l’anno 1915? Dio solo lo sa; ma dal momento che mi confido in Lui, perchè temerei cosa alcuna ?
Assetato d’ideale, Escande non credeva che le circostanze lo dispensassero dal lavoro intimo pel suo perfezionamento’ individuale. A sua madre, che gli faceva un’osservazióne, egli scriveva il 20 marzo 1915 :
Grazie di avermi additato un progresso da compiere. Ne approfitterò.
• • •
Alla base della vita interiore di Giovanni Klingebiel era una fede personalissima e quindi robustissima. .Egli davvero « viveva » le sue credenze ; giudicava debole e vana una fede non operante e che non immergesse l’uomo, come un lievito, in mezzo alla società e alle sue miserie. In questa azione e nelle sue ripercussioni, ei scorgeva la pietra di paragone della verità del sentimento e dell’idea che lo facevano agire...
Diamo un esempio della profondità della vita spirituale di Klingebiel : il suo concetto del dolore. Due volte, nei suoi « Quaderni », ei ritorna su questo argomento:
l° Aprile 1914.
Getsemane :
Il luogo del vero sacrificio è Getsemane e non il Gòlgota : « Padre ! se è possibile che questo calice passi lungi da me; però, non la mia volontà, ma la tua >.
Sofferenza terribile, più terribile dell’altra. Ma è nell'ardente crogiolo di questa sofferenza ch’è concepita la gioia di Pasqua: questa gioia, che porta in sè il dolore, fa la grandezza del dolore stesso.
Questa è davvero la nostra esperienza : che ogni vera gioia è partorita nel dolore. La sofferenza del Venerdì Santo è assai più vicina a noi e assai più intelligibile della gioia. Constatiamo ogni giorno che il dolore è inevitabile e necessario ; esso esprime quella morte ai peccato alla quale c’invita là morte del Cristo. Ma, con la morte del Cristo, la sofferenza nòstra ha valore soltanto per la risurrezione alla vita dello spirito ch’essa annunzia.
15 marzo 1915.
— Nel crogiolo del dolore, bisogna che diventiamo degli uomini nuovi.
— Il dolore; mette alla prova' la nostra fede; c’inizia alla carità; ci rendè attenti alla speranza.
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BILYCHNIS
— Il dolore è una delle fonti dell'eroismo e l’eroismo dev’essere l’architrave della nostra vita.
— Questo dolore, questa sofferenza contenuta che si sente sulla Francia, deve avere questo risultato almeno: che non viviamo da vili. Per coloro che non partecipano, alla battaglia, resta possibile l'eroismo-della vita quotidiana...
È però nella corrispondenza del Casàlis che noi troviamo una documentazione completa e commovente del lavorio interiore prodotto dalle esperienze della vita di caserma e di trincea.
Pochi giorni dopo la sua mobilitazione egli scrive :
Courcelles-sur-Aire, 13 Aprile J915. , ... Rimpiangere non serve a nulla. Il mio cuore è ricolmo di cose che amerei dire a coloro che soffrono, che piangono, che aspettano, che sperano.
Per me, la vita militare ha tutto semplificato. Le cose hanno preso il lóro vero valore, il loro pieno significato. Certe difficoltà, che mi parevano quasi insormontabili sono scomparse. Certi sacrifizi intellettuali, ch’io credevo di non potere giammai acconsentire, si sono effettuati quasi da soli, senza dolore. E mi rimane una vitalità nuova, un bisogno intenso d’attività. E, sopra tutto, la pace.
E due settimane più tardi ;
26 Aprile.
Non ho nulla da raccontarvi. La mia vita è vuota, fatta di esercizi poco interessanti e sopratutto di riposo. Ma questa è l'apparenza soltanto. Mi sento vivere ardentemente, intensamente,giammai avevo vissuto con una tale acuità sino ad oggi, anche da borghese. Succede in me un’ebullizione di sentimenti e d’idee. Certo è che, dopo, io non sarò più lo stesso di prima.
Sul medesimo argomento egli torna il giorno successivo :
27 Aprile.
Tu non puoi rappresentarti l’intensità della mia vita in questo momento, in queste ore di riposo, ore benedette della mia vita, in cui il lavoro voluto, fissato in formole e in crogioli tradizionali, è stato sostituito dal libero sviluppo dell’anima mia.
Avevo spesso sognata quest’ora in cui entrerei nella realtà. Ma non credevo ch’essa sarebbe venuta così presto ed ora ne godo profondamente.
L’unica cosa ch'io rimpiango è di non avere abbastanza tempo per coordinare i miei pensieri. Ciò si farà naturalmente, a poco a poco, e i legami tra le mie idee saranno allora vitali, organici e non più artificiali.
In che modo e sino a qual punto Casalis fosse «entrato nella realtà» appare dalla lettera che segue:
Roclincourt, 3 maggio 1915.
Sono lieto di fare in questo momento parecchie esperienze.
La prima è l’esperienza degli uomini. In queste ore in cui ad ogni istante si espone la vita, essi mostransi quali sono. Tutte le maschere cadono e resta l’uomo. In tal modo si fa la conoscenza delle, anime in condizioni che senza dubbio non si rinnoveranno più.
La seconda è l’esperienza della « comunione dei santi ». Mai come adesso m’ero sentito così vicino ai miei e a tutti coloro che amo; giammai avrei creduto che, malgrado le distanze, potessimo essere uniti così da vicino a coloro che lottano con noi. E ciò mi ha condótto alla più bella di queste tre esperienze: al valore unico e meraviglioso della preghiera.
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PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
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Ed ecco l’effetto spirituale di questa triplice esperienza:
5 Maggio 1915.
Voi mi augurate di ricavare un beneficio da questa prova. Vi ringrazio. Già mi sento cambiare. L’essere astratto ch’era in me cade un pezzo alia volta. Molte realtà dell’ordine spirituale che altro non erano se non fantasmi sono diventate carne e vita per mezzo d’una esperienza ad ogni istante rinnovata. Imparo a vivere.
• • •
« Imparare a vivere ! » Non è forse questo l’ideale supremo a cui deve tendere ogni
sforzo di elevazióne religiosa, di perfezionamento morale? Imparare a vivere certo vale più assai che imparare a morire; e appunto il Cristianesimo assume un aspetto nuovo e diventa davvero l’energia che trasforma, che fa cadere una dopo l’altra tutte le astrazioni, allorquando si afferra nella sua essenza un principio che non insegna tanto a morirà una bella morte « in ¡stato di grazia », quanto a vivere « in istato di grazia » una buona vita !
Tanto più che, imparando a vivere alla scuola del cristianesimo, s’impara anche, come naturale conseguenza, a morire. Ed i nostri giovani sono morti come hanno vissuto ed hanno vissuto come sono morti !
Giovanni E. Meille.
{Continua}.
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PERI5G/DVRA DELL'ANIMAn
CONFESSIONE
a Vincenzo Cento
Tu hai scritto (i): «Tollerateci, voi. dunque, « qui Daini possidetis: aiutateci a tro-« var la luce che non abbiamo, che sempre ci « brilla c mai afferriamo; ma non presu-« mete di regalarci la vostra, quella che voi, « io non dico comodamente, ma certo pla-« cidamente accogliete come luce ». Ho bisogno di dirti come abbia trovato la luce, perchè anch’io un tempo non molto lontano, dissi, se non proprio così, cose nella sostanza molto simili a queste. Tuttavia cercavo, con volontà ferma, Dio nella storia degli uomini, nel corso degli astri; ed avevo anch'io la luce che appare c spare, che brillla e si nasconde.
Mi balenava, talvolta, alla mente: « si o nasconde per burlarmi, o sono io che la « perdo appena trovata? ». Pur tuttavia san Giovanni dice: « la luce illumina ogni « uomo che viene al mondo». Come, dunque?
Non basta che ci sia la luce, occorre anche che ci siano gli occhi dell’anima attenta e vigile, volonterosa e forte, che, se ha il dubbio, vuol risolverlo, se cade sa che. purché voglia, si rialzerà. Perchè c’è, sì un’ombra in cui l'anima cade, umbra morlis, ma c’è anche nell’anima una forza insopprimibile, una voce che chiama, un impeto alato che ci spinge ad uscirne; tanto che specie nel principio, ci vuol più sforzo a stare nel male che uscirne. Vero è
(x) Vedi BilycLnis, 15 maggio 19x9. p. 394, 395.
che poi. a mano a mano, accade il contrario.
Ma la voce, anche se per lungo tempo tace, anche se si fa sentire a intervalli di tempo lontanissimi, c’è, non è morta, non muore, c basta il suono d'una campana, un tramonto, il pigolìo del passero, l’aprirsi d’un fiore, un nonnulla, perchè essa si faccia risentire ed urli il suo desidciio di luce. Perchè non basta che gli occhi vedano, bisogna che il cuore consenta.
Pure prima ch’io vedessi non un anno è passato: negli ultimi anni «’Università — ormai lontani — mi cominciò come un malessere morale (ti giuro, e tu che mi conosci fin d’allora mi sci testimone, che mente era più alieno dalla mia natura che occuparmi dell'esistenza di Dio): voci, richiami, ammonimenti, rimproveri della coscienza, a quando a quando; nè ¿0 sulle prime ci badavo. Poi, preso di petto, non potei sfug-S're e cominciai a pensare e volli risalire a io « per forza d’ingegno », vedere le sue opere, studiarle, criticarle; e non m’accorgevo che, se ricercavo la luce, cioè Dio, dovevo anche ammettere che la sua sapienza è infinita e che trascende non che la mia piccola anima, quella dei più grandi sapienti.
« Come incomprensibili, o Signore, le tue « opere e veri i tuoi giudizi » fu già scritto se non erro.
Mi accorsi più tardi che era stoltezza: volevo arrivare a veder chiari i disegni di Dio c le Sue orme nella natura e negli uomini ed esclamare poi. tronfio e soddisfatto
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IL BUON SAMARITANO
[Dipinto eseguilo dal figlio di E. Burnand su di una composizione del padre, offerto dal prof. J. Monnier per la decorazione della sala evangelica di St.-Quentin, trafugato dai Tedeschi nel 1918]
(da A'o* tanctaaires dèi'attà di A. Monod).
[1920-111]
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PER LA CULTURA DELL’ANIMA
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« Dio c'è, ho visto itsuo disegno nel mondo. Io comprendo Dio ». Ora questo era superbia, a dir poco; le mie ricerche furono interrotte: la torre di Babele del mio pensiero s’era alzata di poco; se avessi insistito nel proseguire avrei meritato il castigo di Lucifero. Mi fu risparmiato e, forse, so a chi debbo questo bene.
Sentii confusamente allora quel che, molto più tardi lessi; paroled’unadonnache non so chi sia, profonde ed acute: « il prin-« cipale difetto dei giovani educati col me-•1 todo esclusivamente intellettuale è la « mancanza d’umiltà: si abitua il fanciullo « a contare sopra le proprie forze e lo si . priva del solo vero soccorso, la preghiera. « eh'è la sola via di procurarci quello che non ■ troviamo in noi... ». Ma già anche sant’A-gostino aveva scritto (citato dallo Smiles): <• Volete diventar grandi? allora cominciate ■ dall'esser piccoli. Desiderate di costruire ■ un vasto ed alto edificio? allora pensate <■ prima ai Comandamenti dell’umiltà ». Ora, io non presumevo certo di diventare grande"nè di costruire un vasto ed alto edificio, ma di esseri tranquillo, sì. di far cessare, una buona volta, quel tremito interiore che'm’assaliva, che non mi dava gioia nel male (che pur tentavo cóme per ribellarmi a quei giogo soave), quell’inquietudine che mi rendeva penosi i giórni e le notti.
« E il mio cuore è inquieto finche non riposi in Te », son parole di sant’Agosti no, che lo sapeva pei' prova.
Vedi, dunque, che non mi si è presentata « la vita dello spirito composta e simme-« trica » e quella luce (purtroppo è mia la colpa, e sotto ne intenderai le ragioni, se non complete ancora) non è stata nè < comodamente », nè - placidamente » accolta, se quest’ansia c questa fatica hanno origine. in me, tra il 1908 e il 1910.
La sesta Beatitudine dice: « Beati i puri “ di cuore, perchè vedranno Dio ».
Bisognava evidentemente cambiar strada: non presumere d’incontrar Dio fuori di noi, ma scendere dentro di noi; farsi piccoli per cercare e trovare l’Altissimo.
• ♦ •
Hai ricordato la parola dantesca: nasce..... a guisa di rampollo a piè del vero il dubbio : ed è natura che al sommo piego noi di collo in collo.
E bene hai aggiunto che quelle parole sembrano » incise nella pietà » ; perciò convieni
con lui che la natura stessa ci spinge direttamente al sommo vero, alla verità unica. E chi ci impedisce di seguire la natura, umilmente, se non la mente nostra pretensiósa e superba, che vuol tutto sapere e non vuol confessare che ci sono dei limiti che è vano tentar di varcare ?
« L’intelletto umano contempla alcuni • aspetti del vero, non può tutti da sè com-« prenderli, ma può quel che manca in->< tegrare con certe norme di senso comune • o di tradizione». (Tommaseo).
Vinto quest’ostacolo che ci pone la mente, ce n’è un altro che ci oppone l’abitudine inveterata. La madre di un mio caro amico, che anche tu conosci attraverso le mie parole, un giorno parlava di Dìo e desiderava che il figlio, presente con me al colloquio, ne riconoscesse l'esistenza e la potenza. E il figlio rispose una parola profonda: « Mamma mia, sarà come tu dici, ma biso-« gnerebbe diventar morali ».
Anch’egli viveva la vita che abbiamo vissuto io e tu, quella di tutti i giovani che si dicono « per bene », senza fini c senza leggi interne! e sentiva che se riconosceva la luce non bisognava camminar più nelle tenebre; bisognava, in una parola, esser logici, chè non si può lodar Dio con le parole e negarlo e vituperarlo coi fatti.
Carlo De Borden ha lucidamente esposto questo stato d’animo: « I più grandi ingegni si fermano qui — (cioè non riescono a sondare l’abisso a cui l'anima s’affaccia e si fermano a scrutare e a spiegare le apparenze: si trastullano, insomma, «con la scorza delle cose senza giammai sperare di raggiungere l’intima polpa») —s'intende co’ lumi sem-« plicemente umani — o ciò è necessario; • poiché sarebbe somma ingiustizia che la •< verità fosse il privilegio del genio e che il « resto dei mortali dovesse credervi sulla « parola di pochi uomini anzi che su quella • di Dio.
« Adunque, fintanto che non si crede « nella parola di Lui, ancorché si creda nella * sua esistenza, tatto è dubbio, incertezza - e ridda di opinioni... Egli esige da noi < ben più che un po’ d’onestà legale ed ela-•' stica; più altresì che l’ammirazione, sia •• pure eloquente, della sua opera; più in-'• fine che non pensamenti e cognizioni, per « quanto utile ed alta sia la scienza ed amo-rosa l’indagine.
« ...Quanto poi alla vita che menavo, « ne dirò solo questo, ch'ella era, sì, degna * e onorata agli occhi degli uomini; ma agli - occhi di Dio!... ».
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BILYCHNIS
Ricominciando: quel che sopratutto ci ritrae dalia fede non è la confessione della divinità — alla quale, volenti o nolenti, pur che abbiano occhi, siam trascinati — ma la pratica severa della vita, ma la « ri-« pugnanza al sacrificio di tutte le cose - belle e gioiose che mi' pareva dovesse « impormi il ritorno alla fede »come scrive Paolo Claudel. È l'uomo vecchio che contrasta col nuovo; e • la battaglia interiore dello spirito è brutale come quella esterna ■ degli uomini » scrive il Rimbaud. Bisogna combattere virilmente e vincere.
Il dubbio persistente, il dubbio fine a se stesso non produce che « frutti di cenere e tosco ».
Scrive lo Smiles: * Un uomo può ragio-• nare troppo, e ponderare le migliaia di < probabilità sia 'dall’uno come dall’altro ■ lato, ma non compiere un atto od una de-• cisione. Il sapere è in tal guisa un freno all’azione, la volontà deve operare nella « luce dello spirito e dell’intelletto, e l’a-« nima allora spicca in piena vita ed a-« zione ». E più oltre: « la buona volontà • non è sufficiente, perchè non sempre pro-■ duce buoni effetti; molto più efficace e • l’azione perseverante.» E ancora più oltre: • Dobbiamo lavorare, fidando che qualcuno <« dei buoni semi da noi gettati nel terreno attecchisca e si svolga in frutti di benes-< sere ».
Ti chiami • esploratore ■ ma l’esploratore ha un fine da raggiungere, una meta dove vuole arrivare, un punto dove sa che giungerà; altrimenti, perdonami, non è esploratore, è semplicemente uno che va a spasso tranquillo tranquillo, piano piano.
un po’ distratto, un po' curiosando, un po’ osservando. E se gli capita qualche novità degna di nota. bene, se non gli capita torna ugualmente, a sera, verso la nota casa, mangia col solito appetito e dorme senza affanno.
Senti, tanto per chiudere, qualch’altra parola del De Borden: « A chiunque vorrà » convertirsi io dirò, che qualora se ne senta > il coraggio, si renda a Dio senza indugio: « si getti in lui, s’ci può, come uno si getta " a nuoto nel mare, e Dio lo custodirà e troncherà in lui ogni interna discussione; l’edificio delle negazioni e dei dubbi che । gravava sull’anima, crolla allora d’un ■ tratto, senza che ci se n’accorga, poiché « ciò che era necessario fu fatto. Se uno < non osa. se non vuole sul serio, se è •1 fiacco e irresoluto, come dei resto è il < caso di quasi tutti, non c’è che da pregare «e leggere un passo del Vangelo o degli <• atti degli Apostoli in un qualunque libro «di pietà. A ogni pagina, a ogni versetto « non si sentono che parole sublimi e d’una ■ maestà che non è umana. Se l'effetto « non è immediato, ciò significa che non c’è • buona volontà, che ancora si fa ostacolo • a Dio ».
Forse la via migliore per giungere a Dio è rimanere « in plenitudine luminis -è quella di riformare l’uomo vecchio, con prudente coraggio e senza indugi soverchi; nella lampada così preparata Dio farà scendere il suo olio
che non si estinguerà più.
Assisi, settembre 1919.
Agostino Fattori.
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SULLA QUESTIONE DELLA SCUOLA LIBERA10
I.
L'argomento è in pieno fervore di discussione; dai campi più elevati delle dottrine è sceso a quelli più bassi, ma anche più sensibilmente tangibili, dei fatti; dalle accese discussioni dei congressi è passato alle violenti diatribe dei comizi; dalla cattedra è sbalzato alla piazza; da posizione di problema culturale — quale fu ? nella impostata al congresso di Pisa dal odignola — s’è trasformato in piattaforma elettorale è in problema parlamentare.
• Scuola libera •: la frase è bella, fa presa su quel generoso quanto ingenuo pubblico, sempre pronto a battersi per ogni « libertà * — senza troppo indagare, se sotto le pieghe del suo manto si asconda, per avventura lo scheletro di una tirannia; sempre fiero d’accodarsi alle schiere dei ribelli', — senza preoccuparsi se certe ribellioni non mascherino talvolta i più autentici c meno liberi ritorni.
In realtà, il vessillo della « scuola jibera • è agitato dalle parti più opposte, e ne' signi(x) Iniziamo con questo numero una cronaca «li vita scolastica, che potrà essere bimestrale, trimestrale o quadrimestrale, a seconda del bisogno, cronaca che dovrà mettere al corrente i lettori. «Ielle idee, dello tendenze, delle correnti spirituali, quali si delincano nel movimento scolastico; non quindi degli avvenimenti spiccioli. L’abbiamo affidata al nostro chiaro collaboratore proí. V. Cento, che delle questioni scolastiche è stato sempre profondo e amoroso conoscitore. (N. d. D.).
ficati più stridenti; sì, che l’attualità dei suo porsi, c del suo logico risolversi, tocca ora il parossismo; in quanto, gli estrinsici contatti tattici, il convergere di alcune situazioni pratiche, l'inevitabile interferire di persone, di critiche c programmi, conducano a una situazione singolarmente strana, e. dal punto di vista culturale e nazionale, pericolosa.
E poiché, appunto, l’identità dell’insegna può effettivamente trarre in inganno, e spingere a credere trattarsi di identità di smercio d’idee; poiché la confusione, per i motivi accennati, va diffondendosi un po' dappertutto; sì. che anche uomini sereni, spiriti nazionalmente liberi, non riescono a districarsi dal viluppo; non sarà inopportuno, io penso, di sgombrare il terreno dagli equivoci più grossolani; e mostrare in quale diverso (anzi, opposto) significato la bandiera della « scuola libera • sia sventolata.
« Scuola libera ■» secondo certi novissimi patrocinatori a tempera politica — dietro a’ quali come agente motore ed effettiva determinatrice d’indirizzo è la organizzazione chiesastica, — vorrebbe dire, non la scuola svincolata dall’arbitrio de’ governi e affrancata dall'insipienza de’ burocrati; ma la scuola inspirata al criterio di sètta, fatta mancipia di voleri c poteri extra-nazionali o super-nazionali.
Non la libertà dello spirito è fine di co-testi. ma il suo asservimento. L’educando per cotcstoro. infatti, è nulla più che il
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BXLYCHNIS
puro oggetto, la « materia », che si deve « plasmare », secondo una legge estranea alla sua coscienza, e trascendente la sua volontà; piegare a una dottrina precostituita; che non è, dunque, il farsi stesso del pensiero, a traverso la storia umana — ch'è storia di errori e di deviazioni; ma, anche, di conquiste e di superamenti — anzi, il suo solidificarsi nella inerte dottrina da apprendere.
Concezione, codesta, indubbiamente inspirata a obbliqui interessi di parte, e strumento di conquista, più che conquista essa stessa; ma vincolata, anche, a una certa buffa pedagogia delle materie e dell’oggetto, trionfalmente importata di Francia, insieme agli « immortali principi' » e dom-maticamente imposta sotto gli auspicii di quella filosofìa positivista, alla quale, di positivo, non è restato — ahimè! — ehe la sua insufficienza filosofica.
Può' parere ad alcuno strano questo ragguaglio della - scuola libera » secondo lo spirito clericale, alla scuola più apparentemente ad e^so spirito antitetica.
Ma, per poco che si spinga l’occhio traverso le grinze di quella • scuola laica », che si ama proclamare la più bella conquista de! pensiero moderno, se ne scorgerà la singolare rassomiglianza.
Sotto il vessillo della scuola laica si schierarono, e si schierano quanti vivono ancora sotto l’impulso della esasperazione antireligiosa, meglio che anticlericale; che nell'anticlericalismo, comunque, vedono, non l'austera volontà dell’autonomia dello Stato, del suo assoluto diritto a dominare i rapporti politici tra gli individui che lo compongono, senza che poteri estranei possano in nessun modo limitarne, nel suo campo, l'agire; ma la conquista di uno strumento, per affermare una ideologia contro un'altra ideologia, e imporre il dominio di una sètta contro un'altra sètta.
Sì, che la stessa immanente antitesi all’autonomia dello spirito, che caratterizzò — e caratterizza — il- tessuto organico, ineliminabile, della scuola liberoclericale; si riscontra, in realtà, nella scuola laica, che ha dominato incontrastata in Italia, fino al rifiorire della pedagogia dello spirito. E contro la scuola laica — non. serenamente aconfessionale, ma quasi sempre banalmente irreligiosa; goffamente guardinga d’una pseudo-neutralità che vietava nelle scuole si pronunciasse persino il nome di Dio, (e ostentava scriverlo, superbo atto prometeico!, col d minu
scolo...); dom mattamente devota a ideologie astratte, culminanti, con A. Comte, in una specie di rcligionismo laico, con le sue formule e i suoi donimi e, persino; il suo culto — contro la scuola laica, io dicevo, ebbe buon giuoco la scuola « confessionale » che potè gridare in nome, precisamente, di quella • libertà », per cui la scuola laica, contro di essa, s’ora costituita. Giuoco di reazioni» dunque, di tendenze politiche e di interessi di sètte, in cui la scuota — cioè lò spirito dell’educando —, che avrebbe dovuto essere nel primo piano, diventa semplice strumento pei’ l’affermazione di parte. Così che, sotto il pungolo della tirannia laicista — e per il fascinante ricordo d’un dominio altrepassato, ma non mai rinnegato; cui, anzi, ricorre ora con passione più veementemente nostalgica; — ecco la Chiesa farsi sostenitrice, con un’enorme inversione di valori teorici e storici, d*lla a scuola libera ».
Equivoco formidabile; nel quale, tuttavia, incagliano uomini manchevoli, sì, di vera cultura, ma provvisti di quel belletto, o infarinatura erudita, che li fa autorevoli nel mondo dell’incompetenza, che è il mondo della maggioranza; sì, che la dottrina della pseudo-scuola libera minaccia di diventare, appunto, la dottrina della maggioranza, con sommo pericolo della autentica libertà della scuola e degli individui, e della integrità dello Stato.
Che cosa voglia essere, infatti, nell'intendimento della Chiesa, e del partito ehe se ne fa il portavoce politico, « scuola libera », si potrebbe arguire senz’altro, riandando a quel che la scuola sia stata, quando la Chiesa ne aveva l’assoluto monopolio: e. cioè» la scuola più rigidamente e intransigentemente dommatica, di cui la storia ci abbia dato esempio. Ed è ben curioso che l'umanità sia sempre disposta a plàcidamente scordare, a distrattamente ricalcare le orme sanguinanti, che han segnato il suo millenare travaglio di liberazione! Galileo e Bruno appartengono pure all’età moderna..'.
«Se lo Stato fosse cattolico — nota acutamente il Gentile — e, professando esso la religione cattolica, si sottoponesse alla direzione suprema del capo della cattolicità, è chiaro che il cattolico alla tesi della libertà d'insegnamento sostituirebbe, come sostituì sempre che si avverò co-testa condizione, la tesi opposta ».
Ma i pigri di mente possono anche risparmiarsi il fastidio di guardare indietro.
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NOTE E COMMENTI
Basta seguire, con diligenza, le discussioni e le proteste delle organizzazioni dei fogli clericali, per averne la riprova lampante.
La < scuola libera » deve servire, per i clericali, nè più nè meno che come lo strumento immediato per la realizzazione della più pura scuola « confessionale »; anzi.se vogliamo stare a uno scrittore della più autorevole, e più autorevolmente inspirata, loro rivista — La Civiltà Cattolica, Quad. di ottobre 1912 —- essa è la • scuola confessionale » sic et simpliciter.
Stimo utile, ad ammaestramento ed am; monimento, riprodurre i cinque caratteri essenziali, che. secondo lo stesso scrittore, dovrebbe avere la scuola libero-confessionale:
i° L'insegnamento religioso deve essere la materia principale d’istruzione.
20 La religione deve informare per guisa tutto l’insegnamento, che nulla vi occorra di meno conforme alle sue dottrine, e tutto concorra a farle stimare e amare dagli scolari.
30 Le pratiche religiose debbono farsi in comune dalla scolaresca: la preghiera prima e dopo la scuola, l’ascoltare la S. Messa, l'accostarsi ai Sacramenti, ecc.
40 Gli istitutori debbono essere credenti. e precedere coll'esempio gli scolari nell’adempimento dei doveri religiosi.
50 L'ordinamento religioso e morale della scuola deve dipendere dalla direzione od ispezione dell’autorità ecclesiastica.
— Programma chiaro, non è vero?
Può darsi che gli attuali portabandiera clericali vogliano e sappiano essere men chiari e più cauti; ma la sostanza, per chi non voglia chiudere gli occhi, non muta, perchè non pud mutare. E spiace vedere che alcuni spiriti liberi servano a un intento, volutamente nebuloso e intricato nella sua dialettica spicciola, ma prescisó e inderogabile nella sua finalità sostanziale.
II.
Significato assolutamente opposto ha » Scuola libera », nel pensièro dei sostenitori della libertà della cultura, come tale dei quali il più insigne rappresentante, è Giovanni Gentile. Qui, la libertà della scuola è concepita nient’altro che come la stessa libertà dello spirito; come il porsi di esso, in assoluta autonomia, ripetendo quasi nel suo sviluppo lo sviluppo della umanità; sì, che il farsi della umanità sia
il farsi stesso dello spirito. Autonomia, è da intendersi subito, che non. è arbitrio o scapricciamento incomposto, ma legge: anzi, la legge stessa dello spirito, il quale è, a un tempo, libertà creatrice della legge, e autorità che la impone. Ma, la legge dello spirito, se veramente vuol essere tale, non può attingere il suo dover essere che dallo spirito stesso, dal suo svolgersi come attività storica e psicologcia; e non da. un dovere esterno a codesta attività e imposto, come credo dommatico, da una autorità estrinseca, che ne disegni lo svolgersi e ne predetermini * resultali.
' Il movimento per la •; scuola libera », in questo campo, ha per iscopo, non l'affiliazione della scuola, e dell’alunno, a un dato sistèma di pensiero o, molto- meno, a un partito o sètta; anzi, la liberazione dell’individuo da ogni idolo esterno alla sua coscienza; l'affrancamento della scuola da quei vincoli burocratici e politici, da quel tecnicismo e formalismo tutt’affatto « ministeriale », che ne impaccia il funzionamento; costringe il sapere in ischemi artificiosi; soffoca la personale iniziativa del maestro — che nella scuola è tutto — ; sgretola la cultura, (che è unità, sistema di concetti, edificio), in mucchi dispersi di nozioni e di materie.
Programma eccellente, senza dubbio; al quale noi, preso così nella sua formulazione teorica, sottoscriviamo a piene mani.
Ma, ci si consenta, per quanto riguarda la sua specifica determinazione nella « scuola libera », qualche osservazione.
Che tra le due concezioni di « scuola libera » vi sia, non un semplice contrasto, ma una vera e propria opposizione, risulta ormai evidente.
Che, tuttavia, l'identità dell’insegna in-Seneri in menti non scaltrite alle indagini el pensiero, c avvezze a seguire il suono, meglio che il sènso delle parole, una certa confusione, è cosa altrettanto evidente.
Orbene: chi di codesta confusione pu giovarsi — e si giova di fatto — non Ser i metodi di lotta, ma per il fine im^,; iato da raggiungere — se non i.ricn:11* meno nettamente nazionali? • realiz??"
« Uomini di poca fede — ammdunai**à Gentile — di che temete voi? »érienz an" Di-questo: che il realizzar$i|Ss^ * alle cauto, e non esclusivanyv*in religioni• ,ofctc superiore conqqtAft^ata da una esix* Poli’ premesse <*♦’ .osa, ma
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BILYCHNIS
verso il politicantismo di porta-bandiera arrivisti o settari. La Nazione, lo Stato, non è uno spirito puro, nè un’entità a-stratta; è vita, e vita sociale e politica. Nella quale, gli errori, gli equivoci, i deviamenti hanno spesso più valore — come influenza immediatamente dctcrminatri-cc — che non la verità e le diritture.
Lo Stato non perirà, siamo d’accordo; ma può avere oscurata la sua visione; può indebolirsi; e, come per un cinquantesimo è stato preda dei furbi — c v’eran purtroppo uomini di troppa fede, che di nulla mostravan di temere; poiché a nulla contrastavano — così, nessuno potrebbe assicurarci che non divenisse ancora preda di sètte; che smarrisse la conscienza del suo essere; che cessasse, insomma, di essere quello che. a traverso infinite lotte, è riuscito a diventare: Stato Nazionale.
Perchè la conscienza dell’assoluto valore dello Stato non si oscuri, è necessario, non soltanto ch’essa viva nello spirito di una ¿lite intellettuale; ma che essa agisca nello spirito della maggioranza. Perciò, la scuola ha da esser nè più nè meno che » nazionale »; ha da esser, cioè, la vera conscienza illuminatrice della Nazione; ha da diffonderne il senso dei bisogni, chiarirne i fini, e spingerli a conseguirli con avveduta risolutezza.
Lo Stato non deve servire a nessuna particolare filosofìa — conio non deve imporre nessuna religione —; ma ha, esso stesso, una sua dottrina, che è la sua stessa ragion d'essere; e. cioè, la sua assoluta autonomia; il suo assoluto diritto a reggersi c a regolare destini nazionali contro qualsiasi potere esterno, al di sopra di ogni forma di governo, di ogni competizione di parte, di ogni filosofìa o confessione religiosa. Dottrina, che nella scuola deve trovare il suo naturai campo di compenetrazione e di affermazione nei singoli individui: poiché la libertà dei singoli è subordinata a quella dello Stato. Solo se lo Stato è libero e forte; se non schiavo, cioè, di r‘ forze esterne o di sètte interne, può garan-gai.
eleni-laica, Italia, fi-spirito. E serenamene pre banalr guardinga u u. vietava nelle scuòio sino il nome di Dio, (e osveu.» superbo atto prometeico!, còl
tire a’ suoi cittadini il pieno sviluppo della loro personalità; può permettere i contrasti d’idee filosofico-rehgiosc, o di tendenze sociali-politiche; può trasformare c unificare questi stessi contrasti nella superiore visione del bene nazionale.
« Scuola nazionale - dunque; non, Dio ci liberi, governativa o burocratica; ma scuola nazionalmente Ubera; che è senz'altro la «scuola libera» propugnata da molti nòstri uomini culti; ma con questo in più. o di diverso: che, pur permettendo lo sviluppo sinceramente e integralmente umano del giovane, garantisca, con la coltivazione deil’wowo, i caratteri essenziali del suo essere di cittadino, che, pur permettendo che dal seno della Nazione si esprimano contrasti, si dibattano idee, si affermino tendenze; non ammetta però, col beneficio dell'equivoco, che fra le sue pieghe si asconda, c si legittimi, l’insidia degli avversari dello Stato Nazionale; c cioè: assoluta-mente autonomo.
Vincenzo Cento
Nota. — Nella prossima cronaca informerò i lettori di lìilvehnis del movimento — il quale va sempre piti guadagnando in intensità. Se non proprio in diffusione — che tende a ricondurre la scuola a* suoi fini illuminatamente nazionali c culturali; liberandola dai viluppi settari e svincolandola dalle pastoie burocratiche. In esso, il concetto di « scuola libera • — nel miglior senso, anzi, nell’unico vero possibile — è direttamente accolto e difeso. Annuncio, fin d’ora, che il Gruppo d'Azione per la Scuola »azionale, costituitosi accanto a Aa nostra Scuola* di Milano, quasi coronamento della sua sessennale attiviti, si è fuso col Fascio per la educazione nazionale, che fa capo a L’Educazione nazionale.
E l’unificarsi de’ due movimenti, che ripetevano in comune, in sostanza, le origini c lo spirito animatore, darà nuovo impulso alla corrente che intende agire nella scuola e per la scuola, come espressione del più alto valore nazionale. V. C.
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NOTE E COMMENTI
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PER LO STUDIO DELLE RELIGIONI
Siamo lieti di dare ai nostri lettori il sunto di un’importante corso di « introduzione allo studio delle religioni • tenuto dal prof. V. Macchierò delia R. Università di Napoli al circolo universitario per la cultura religiosa, che sarà pubblicato in volume dall'Associazionc stessa c apparirà pure negli Studi storici di religione c filosofia che vedranno ben presto la luce in quella
Il corso che potrebbe intitolarsi più propriamente « Teoria generale della religione come esperienza • fu preceduto da una lezione introduttiva che trattò dei rapporti tra la credenza religiosa c lo studio delle religioni, mostrando come questo fatto è un potente ausilio a quella, poiché a mezzo della testimonianza storica attua un vero processo di univcrsalizzazione storica della fede. TI corso vero e proprio, diviso in tre parti, trattò: i° della essenza della religione: 20 della formazione delle religioni: 30 delia attuazione della religione. Più precisamente:
i° L’attività religiosa investe e anima l'intiero spirito, informando anche le altre sue attività non propriamente religiose e special mente l’attività fantastica (arte) c l'attività razionale (filosofia). Il fenomeno religioso ha dunque una vastità quasi infinita, alla quale si aggiunge una non minore varietà. Se non che nella molteplicità c'è l’unità costituita da un determinato impulso o stimolo che è l’origine stessa della religione.
Attraverso la critica delle teorie più importanti si arriva, dialetticamente alla conclusione che la religione è un’attività che ha il suo fondamento nel nostro stesso pensiero c ha lo scopo di realizzare un rapporto tra l’uomo e il divino, che l’uomo intuisce e constata in sè stesso c fuori di sè stesso: la religione è dunque la esperienza immediata c personale dell'assoluto. Da questa concezione della religione come esperienza, derivano i seguenti corollari: a) se la religione è esperienza l’impulso a questa esperienza non può venire che dalla volontà:non crede dunque.
chi non vuol credere, e non trova Dio chi non vuol cercarlo; ¿>) in quanto è esperienza la religione sta in gran parte fuori del razionale o si attua per intuizione mistica, con ricca fenomenologia subliminale, dando origine a manifestazioni, che dal punto di vista conoscitivo, appaiono assurde ma che acquistano il loro pieno valore dal punto di vista dell'esperienza; t?) come esperienza la religione si differenzia dalla filosofia che è conoscenza c si pone come attività spirituale distinta dalle due altre attività: razionale (filosofia) e fantastica (arte); rf) se la religione è esperienza, le varie formazioni storiche religiose costituiscono una serie di esperienze, in cui ogni ulteriore esperienza supera ed integra le precedenti, per modo che l'ultima è la più piena e la più adeguata. E poiché la ultima delle grandi religioni storiche è il Cristianesimo questo appare come la reli-S'onc più adeguata in cui l’esperienza di
io è la più vera.
2° L’esperienza di Dio che l'uomo realizza non può essere integrale, ma sempre parziale c relativa all'individuo stesso: nelle mentalità inferiori e nei popoli primitivi, può specialmente essere refati va a quei bisogni materiali o spirituali per cui l’uomo cerca Dio. Così si forma una serie di concezioni individualistiche di Dio che attraverso la rappresentazione fantastica (mito) porta alla concezione degli dei agrari. Le divinità politeistiche sono dunque pci-sonificazioni degli attributi divini in quanto l’uomo li esperimenta c la formazione religiosa politeistica è la rappresentazione mitica e fantastica della esperienza religiosa collettiva di un popolo o di una stirpe.
I.’esperienza religiosa può essere originaria o personale oppure può essere rogo-:-lata e determinata da un'altra esperien;al anteriore che il soggetto rielabora e rcaliz.11' in se stesso: le religioni si dividono. dunq«‘ta a) in religioni nelle quali l'esperienz'aa" attua liberamente, salvo l’influsso di’. a“c dizioni e di abitudini; b) in religioni--lot.. quali essa è determinata da una esp«A P011’
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iniziale che la tradizione attribuisce a una persona determinata (storica o mitica), e che si perpetua canonicamente ; questa esperienza iniziale è ciò che in linguaggio ortodosso si chiama rivelazione: per cui le religioni si dividono in rivelate (giudaismo, cristianesimo, buddismo, mazdeismo. orfismo, islamismo) e non rivelate (feticismo, animismo, politeismo).
Le religioni rivelate hanno le seguenti peculiarità che mancano alle religioni non i¡velate e che sono dovute a queste loro speciale formazione: a) il domina, che è il mezzo per cui il contenuto della esperienza iniziale si trasmette canonicamente e si realizza nel credente; ò) il libro sacro, che è la somma delle dottrine, dei miti, delle credenze che derivano direttamente dall'esperienza iniziale; e) la chiesa spirituale che è l’unione di colóro che accfettano'-c che è la rielaborazione, fuori o contro la tradizione, della esperienza iniziale; e) la teologia, che è la scienza del divino impostata sul fondamento della esperienza iniziale. Con la mediazione della teologia dalle religioni rivelate si originano la filosofia e la morale: così che per la storia della, civiltà le religioni rivelate, hanno una importanza assai supcriore a quella delle religioni non rivelate.
3° L’esperienza religiosa è regolata dal rito, che la prepara, la regola, e la attua, mediante atti e parole consacrati dalla
tradizione, con tanto maggiore efficacia Stianto più santo e augusto è il contenuto el simbolo spirituale. Il rito può essere individuale, frutto delle abitudini o delle tendenze dell’individuo che cerca e trova un suo rito personale, oppure collettivo e regolato da una tradizione ecclesiastica: in questo secondo caso, il mito prende nome di culto. Il culto può essere del tutto identico al rito e può differenziarsene per taluni particolari tecnici e pratici chi l’individuo non potrebbe attuare, arricchendosi di un contenuto suggestivo ed emotivo che il rito individuale non ha: perciò l’esperienza religiosa appare più piena e più ficca quando si attua mediante il culto che non mediante il rito e molto spesso esso senza l'aiuto del culto è impossibile. La chiesa è quell'istituto che attua mediante il culto l’esperienza religiosa collettiva e ne conserva e ne tramanda le regole- Nessuna religione può attuarsi socialmente senza il culto e senza la chiesa, istituti necessari perchè la religione individuale, sia o non sia rituale, sia esercitata da una collettività: più necessarie essi sono nelle religioni rivelate, dove spesso taluni atti rituali (p. es. l’eucaristia) si connettono per tradizione alla stessa esperienza iniziale o a chi la realizzò, e in tutti i casi sono un potente mezzo per tramandare la esperienza iniziale.
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POLITICA VATICANA E AZIONE CATTOLICA
LA DIPLOMAZIA PONTIFICIA
La creazione di nuove rappresentanze diplomatiche presso la Santa Sede si è molto intensificata in questi ultimi tempi, e le fortune della diplomazia pontifìcia appaiono rinnovate. Le nazioni sorte dallo sgretolamento degli Imperi centrali chiedono ai Vaticano il loro battesimo, e nella ricerca di trovare appoggi e puntelli, i nuovi Stati che si sentono assai deboli cercano ed invocano aiuto dovunque possono sperare di trovarlo.
Agli inizi del 19x9, scrive sinteticamente il corrispondente vaticano del Resto del Carlino, delle antiche c tradizionali Ambasciate presso la Santa Sede non ne esisteva che una. quella della Spagna, la quale, del resto, non ha mai spezzato, ni pure ai tempi di Mcndizabol, di D'Espartero, di Prim e di Serrano, i suoi rapporti diplomatici col Vaticano. Scomparsa ormai da parecchi anni l’Ambasciata francese; soppressa quella portoghese; inabissatasi con la catastrofe di Vittorio Veneto quella della dinastia degli Absburgo, l’alba del X920 trova le fortune della diplomazia pontificia confortevolmente rinverdite. La trasformazione delle due Legazioni del Brasile c del Perù in Ambasciate restituisce in certo modo i quadri diplomatici della rappresentanze presso la Santa Sede alle condizioni in cui si trovavano in seguito alla rottura con la Francia. D’altro canto, dalla Senna arrivano approcci ricolmi di lusinghiere speranze e alla vecchia Ambasciata portoghese, dopo l’cffimerointerregno, è succeduta una regolare Legazione. I rappresentanti accreditati della Prussia e della Baviera, dopo il più che quadriennale ritiro di Lugano, hanno rioccupato le loro sedi nella città eterna e la
scomparsa Ambasciata austriaca ha già generato, per fenomeno di scissiparità, le legazioni della Czeco-Slovacchia e della Jugoslavia, a cui succederanno tra poco due altre Legazioni, sorelle 0... sorellastre, quelle cioè dell'Austria tedesca e dell’Ungheria. Si aggiungano la legazione polacca, di recentissima istituzione, affidata a uh ex-professore della università svizzera di Friburgo, il dottore De Kowolsky e quell» del Venezuela, testé ripristinata dopo un lungo periodo di sospensiva dei rapporti diplomatici; si prenda nota dei rappresentanti officiosi che la Finlandia e la Lituania hanno inviato a tutela dei toro interessi religiosi presso la Santa Sede; non si dimentichi l’opera che l’abate Lucaci u sta attualmente spiegando in Roma, per l'instaurazione di rapporti regolari fra Vaticano e Rumenta; e si avrà modo di constatare realmente che la pace si inaugura per la politica internazionale del cattolicismo, sotto i più lieti auspici.
Questa almeno è l'apparenza, perchè non si deve dimenticare che trattasi soltanto di successi diplomatici che ben poco hanno a che fare con la vita religiosa. Anzi non poche sono le insidie che minacciano nei nuovi Stati la disciplina della Chiesa. Il recentissimo movimento del clero cze-co-slovacco è un indizio ed un monito. Come nella vita economica, così in tutte, le manifestazioni culturali non sono pochi i mali che nascono dall'improvviso pullulare di piccoli Stati, dove nazionalità molteplici sono in lotta, con interessi antitetici, e dove tutto è subordinato alle passioni nazionalistiche scatenate ih lotte senza alcun freno. Per ora questa politica vaticana ha l’apparenza gloriosa, ma
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non è detto chi sarà, in definitiva, a ritrarne vantaggio.
Negli stessi ambienti vaticani esistono preoccupazioni a! riguardo, e non sono pochi quelli che pensano che finora i successi sono soltanto apparenti e ricordano molto da vicino ciò che avvenne all'epoca di Leone XIII,e di Rampolla.
Sono stati annunziati nella stampa quotidiana vari movimenti diplomatici vaticani alcuni esatti e altri non veri; a quanto ci risulta però soltanto due nomine hanno una qualche speciale importanza politica. Monsignor Schioppi, già uditore presso la Nunziatura di Monaco di Baviera, si recherà. per ora in qualità di incaricato di affari, a Budapest, iniziando così una rappresentanza diretta della S. Sede presso il Governo ungherese.
Monsignor Dolci, del quale si era parlato come di possibile successore del cardinale Valfrè di Bonzo alla Nunziatura di Vienna, ritornerà alla carica particolarmente importante in questo momento, di delegato apostolico a Costantinopoli essendo egli persona bene accetta alle autorità ottomane, presso le quali sembra abbia fatto buona prova durante il periodo della guerra.
IL PADRE GENOCCHI IN UCRAINA
Una missione importantissima, e che si ricollega evidentemente alla preoccupazione da parte della S. Sede di fronte-ai nazionalismi dei nuovi Stati dell'Europa centrale, è quella di cui è stato incaricato l'illustre P. Giovanni Genocchi in Ucraina. Nessuno a Roma ignora la figura nobilissima di questo dotto e pio religioso, che dopo avere speso parecchi anni nelle missioni in Australia, era stato incaricato «la Leone XIII di importanti e delicati incarichi a Costantinopoli e in Oriente. Sotto il pontificato di Pio X, durante rinfuriare della lotta antimodernista, il Genocchi era stato oggetto di molte diffidenze e di sorde avversioni, ed era stato messo in disparte. Ora la S. Sede, dovendo procedere ad una nomina per un posto particolarmente difficile, e dove si impone grande larghezza di vedute e singolare conoscenza di uomini e di cose, ha scelto il P. Genocchi. e la scelta non poteva essere migliore.
P. Genocchi recasi in Ucrania come visitatore apostolico. Le condizioni di quel paese sono quanto mai confuse: a
Kiew c Odessa vi «'• un Governo federato con i bolscevici» di Mosca; una parte del paese è occupato dai polacchi ; l’antica Galizia austriaca, gran parte della quale è abitata da forte maggioranza di ruteni (sinonimo di ucraini), è stata dalla Conferenza di Parigi assegnata alla Polonia; infine vi è un Governo nazionale ucraino, costituitosi dopo la partenza delle truppe tedesche che occupavano il paese prima del •crollo degli Imperi centrali, che tiene tuttora una parte del territorio; per non parlare infine dei panrussi che non ammettono alcuna separazione nè distinzione tra Ucraina e Grande Russia.
Già altra volta accennai in Bilychnts al fatto che l’arcivescovo di Leopoli, Schcptisky, che fu già torturato e deportato dai russi quando invasero la Galizia nel 19.15, è considerato dagli ucràini ruteni come un eroe della loro nazionalità, c come i ruteni stessi vedano di malocchio la eccessiva simpatia della S. Sede verso i polacchi, che essi considerano come loro oppressori. Per non parlare tacila recente nomina di ben due cardinali polacchi, in Polonia è un continuo succedersi di cerimonie religiose e nazionaliste, a cui partecipano .con gran pompa i Capi della repubblica ed il legato pontificio Mons. Ratti, accusato di essere troppo ligio ai nazionalisti polacchi e di compromettere la imparzialità della Santa Sede.
La nomina del P. Genocchi dovrebbe servire a ristabilire l'equilibrio. Sappiamo che il Genocchi si recherà prima di tutto a Varsavia, e poi, a seconda delle circostanze, comincierà la sua visita della Galizia ed Ucraina. Come è noto, i ruteni sono quasi tutti cattolici di rito orientale, rito a cui tengono molto per differenziarsi sopratutto dai polacchi, cattolici di rito latino. Invece nell’ucraina, che faceva parte dell’impero russo, i cattolici non sono che una minoranza che forma vàri nuclei sparsi per l’immenso paese, e sono di rito latino (non essendo ammesso dalla legge russa czarista che un cristiano di rito greco non appartenesse alla Chiesa ortodossa). Pare che in quelle regioni la disciplina del clero lasci molto a desiderare, e che tuttavia, cessate ormai le persecuzioni del S. Sinodo russo contro il cattolicismo, si delinei in varie parti dell’ucraina un certo movimento verso la Chiesa cattolica.
Jn Galizia invece l’ostilità contro i polacchi e la pretesa di questi ultimi di far
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coincidere il cattolicismo co) loro nazionalismo hanno dato luogo ad uno stato di cose molto difficile per il cattolicismo. Comunque il P. Gcnocchi ha certamente coltura e tatto più che sufficienti per adempiere l'incarico ricevuto che per ora è di visitatore apostolico, ma potrà divenire poi una vera c propria legazione, non appena si sia schiarito il caos politico di quelle disgraziate regioni. Per ogni buon fine la S. Sede ha appunto lasciato la massima libertà al Gcnocchi nelle relazioni che non potrà non avere necessariamente con tutti i Governi di fatto esistenti in Ucraina, bolscevichi compresi.
P. Genocchi è anche latore di forti somme da distribuire in soccorso dei poveri dell’Europa centrale devastata dalla guerra.
LA RIPRESA FRANCO-VATICANA
Come annunziammo fin dal numero di dicembre, la questione della ripresa dei rapporti diplomatici franco-vaticani non era più che questione di giorni, e la nomina di Deschanel a Presidente della repubblica ha eliminato gli ultimi ostacoli.
Il governo ha presentato il progetto di legge per stanziare i fondi occorrenti per la rappresentanza presso il Vaticano, e tutto fa ritenere che la legge passerà.
Appena Deschanel è stato investito della carica presidenziale, il Papa si è affrettato a inviargli un entusiastico telegramma di felicitazione,.intonando il motivo della pace religiosa da stabilire in Francia. Nella sua risposta Deschanel si è ben guardato daL riprendere questo accenno, e infatti anche la relazione del progetto di legge presentata alla Camera, si ferma soltanto sulla necessità per la Francia di essere rappresentata dove si trattano interessi che la riguardano nel campo della politica intemazionale, ed esclude assolutamente che la nuova ripresa porti attentato alle leggi laiche. Insemina un puro matrimonio di convenienza.
In realtà più che della pace religiosa, che non è affatto turbata in Francia, i cattolici francesi si preoccupano della pace tra la Repubblica c il Vaticano, ed anzi è da notarsi che le maggiori pressioni in tal senso vengono anche da ambienti tutt’altro che cattolici, c più che sul terreno della politica ecclesiastica della repubblica, le mire sono nel campo della politica estera. Non occorre far notare come l’entrare in questa via potrebbe
essere per la S. Sede sorgente di apparenti soddisfazioni d’amor proprio, ma insieme di danni reali pel cattolicismo. Tuttavia è ormai chiaro che il Vaticano va mettendo ogni giorno più in evidenza il suo punto debole: quello cioè di essere così desideroso di riallacciare i rapporti con Parigi da essere disposto a qualunque concessione.
Il Vaticano di Benedetto XV conosce lo stato di animo formatosi in Francia verso la Curia durante la guerra. Vuole riscattare innanzi tutto l’accusa di aver avuto troppa fede nella vittoria degli Imperi centrali: a questo si deve attribuire il moltiplicarsi di avances sul tipo del telegramma del Papa a Deschanel. ed il proposito di inscenare le prossime feste per la canonizzazione di Giovanna d’Arco con tanta solennità da dimostrare in modo palese l’attaccamento della S. Sede verso la nobilissima Gallorum gens.
Non è però da escludersi che alle Camere francesi, specialmente al Senato, il nuovo progetto di legge non debba incontrare forti opposizioni. Lo stesso Briand. il quale è fautore della ripresa, ha recentemente dichiarato: «Il Vaticano si contenti di una missione straordinaria, cioè dell’invio d’un uomo politico francese per trattare le questioni del giorno, ma per ora niente Ambasciata, niente Nunziatura; se ne parlerà a suo tempo ».
Tanto più, aggiungiamo noi, che è finita la guerra c la Conferenza della pace anché, e perciò non c’è per la Repubblica l'urgenza di concludere definitivamente un matrimonio indissolubile: non potrebbero bastare relazioni amichevoli?
Il Vaticano però fece già sapere a suo tempo che esigeva la ripresa di regolari rapporti diplomatici, ed essendo disposto a concedere molto alla. Francia, riuscirà forse a spuntarla.
I repubblicani francesi si contenteranno 'in tal caso di esigere garanzie per l’attuazione del programma: « A Roma senza passare per Canossa ».
Tra i molti nomi che già si fanno per le due nuove ambasciate di Roma e Parigi, i più quotati sono rispettivamente monsignor Corretti e Charles Bcnoist. Ma ci sembrano indicazioni premature.
BOLSCEVISMO NERO?
Abbiamo avuto un sintomatico indizio della prevalenza estremista nel P. P. I. in ciò che è avvenuto recentemente durante
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gli scioperi del Bergamasco. Il giornale cattolico L'Eco di' Bergamo, ispirato direttamente dal vescovo, commentando quegli scioperi, scriveva:
A favorire desideri smodati e voglie eccessive, a valorizzare una interpretazione esagerata e falsa del motto: La terra ai contadini, a far credere giustificate certe pretese poco conciliabili coi diritti dei proprietari, se anche conciliabili coi vantaggi dei lavoratori, hanno contribuito non poco i sistemi di propaganda, tutt*altro che ponderati, prudenti e cristiani, di alcuni almeno dei propagandisti e dei capi-lega dell’ufficio del lavoro.
Ma anche le Unioni o Leghe od Uffici del lavoro, come la Con federazione nazionale e gli altri organismi centrali cui aderiscono, devono ispirarsi nella loro organizzazione, e più ancora nella loro azione, ai principi cristiani ed essere improntate allo spirito cristiano. Ora,infatti, che è stata sciolta 1* Unione economi co-soci ale, simili associazioni, ner l’indirizzo programmatico e per lo spirito cristiano, aderiscono localmente, nelle singole diocesi, alla Giunta diocesana.
Anche le Leghe, le Unioni, gli Uffici del lavoro debbono avere e seguire un indirizzo ed uno spirito cristiano...
La risposta a questo articolo non si è fatta attendere molto. Domenica 23 febbraio si riunirono tutti gli esponenti maggiori della Confederazione bianca, e la seduta fu presieduta dall'on. Grandi. La discussione movimentatissima si chiuse con un ordine del giorno nettamente estre-mista, redatto con frasario sindacalista, nel quale dopo aver
... constatato che l’Ufficio del lavoro di Ber-' gamo rappresenta uno degli organismi locali più potenti del proletariato cristiano organizzato di Italia, i convenuti plaudono fraternamente alle direttive e alle attività di questo Ufficio del lavoro, approvano il programma cconomico-sociale dell’ufficio stesso che ritengono consono perfettamente alle direttive della Con federazione italiana dei lavo: atori e conforme alle norme della cristiana sociologia.
Dunque anche le organizzazioni del Bergamasco, che sono le più importanti d’Italia, entrano decisamente nella corrente Miglioli. Ciò avrà grande importanza nel prossimo conflitto di tendenze che indubbiamente avverrà al congresso di Napoli:
Infine notiamo anche in questo episodio di Bergamo emergere l’equivoco da cui non può uscire il P. P., poiché mentre si proclama confessionale, invece le organiz
zazioni a lui aderenti c da lui dirette sono localmente subordinate alle Giunte diocesane. Quel partito, che non fa professione di catto!icismo, praticamente è per metà clericale, per metà agnostico. Però gli organizzatori riuniti a Bergamo hanno evidentemente sconfessato il vescovo. Per ora il Vaticano tace; ma se avverranno altri fatti analoghi, seguiterà a tacere?
MIGLIGLI ALL’ATTACCO
Intanto senza nemmeno aspettare la apertura del Congresso, Miglioli ha mosso risolutamente all'attacco.
AH'CIniM Cattolica di Firenze, che aveva dedicato all’on. Miglioli una serie di articoli in cui lo attaccava per il suo socialismo che rappresentava, secondo il giornale fiorentino,- una -eresia nel campo sociale non meno che il protestantesimo in quello religioso dal punto di vista cattolico, il deputato cremonése risponde con una lunga lettera di confutazione.
L’on. Miglioli comincia affermando di non avere affatto mutato nessuna delle idee esposte al Congresso di Bologna, e di non essere disposto a mutarle adesso che stanno diventando patrimonio anche dei suoi oppositori, di quelli che urlavano a Bologna contro di esse.
« Affermo — egli continua — l’avvento delle classi lavoratrici al potere; la necessità di un distacco nostro, pieno e reciso, dalle frazioni liberali; un programma certamente ardito, che non esclude forme di espropriazione; una crisi del regime statale, coll’inizio della crisi del militarismo rafforzato dalla guerra. Finalmente ho affermato che il Partito popolare o diverrà il partito per il proletariato cristiano o svanirà. Nulla, nulla di tutto questo modifico; e parecchie delle mie affermazioni non si discutono più ».
Della forma mentis dell'avv. Callegari direttore deH'C7m¿¿ cattolica e dei suoi seguaci più o meno liberalizzanti e nazio-nalistizzanti l’on. Miglioli ravvisa una prova nella loro condotta di fronte alla guerra:
« Sicuro: la guerra è stata il crogiuolo che ha vagliato anche le dottrine. Ciascun cristiano ha fatto rilucere nella guerra se e come e quanto fosse cristiano. O se in lui più .era radicato il... patriottismo che il cristianesimo; più la tradizione, che lo vincolava al carro dei dirigenti, alla loro politica squisitamente liberale in ogni sua
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esplicazione, che non il germe di quella Virtù, la quale si eleva sulle nequizie della guerra, abborre dalle ragioni della guerra pur rivestite di retorica nazionalista ed oggi sola può operare come reagente benefico ai mah della guerra? Nella guerra, ciascuno ha svelato inconsciamente la sua vera natura e la sua coltura, la sua religiosità; e chi è stato per la guerra, con la Ìùerra. anche se talora reticente o dissi* ente, ma inietto di essa, ormai possiamo testimoniare che è stato d’una natura per nulla democratica, d’una cultura prettamente borghese e liberale, d’una religiosità assai poco cristiana.
« Chi ha peccato colla guerra ha il destino di non potersi neppure ricredere; chi ha peccato di pensiero o di calcolo, non di entusiasmo c di passione che hanno spesso la potenza purificatrice della generosità! Ed è così che voi. come tanti del Partito popolare, come i grandi giornali del - trust» rimanete inchiodati ai vostri amori ed ai vostri odi antichi; vi agitate confusi contro tutto un mondo che si vendica, rivendica e distrugge e rinnova; legati a uomini, legati a partiti, ad interessi e classi che sono travolti c superati, vi sforzate invano di apparire quelli che non potrete essere mai, cioè col popolo, mentre il popolo è così lontano da tutti voi nella volontà e nella sua mirabile ascesa con-Suistatrice. Bisogna mettervi un istante avanti alle masse, perchè balzi questo tremendo distacco.
« Ed ecco qui la crisi che tocca il Partito popolare. È tutta qui, profonda. Voi vi scagliate contro di me, contro i cosidetti «estremisti», perchè misurate l’inanità vostra ad affermarla ed a sedarla. Difatti essa è in voi. anzi vi contorcete sotto i colpi di una realtà soffocatrice; il Partito, quasi per disegno provvidenziale, sta affondando sempre più le radici nel seno del proletariato, donde trarre la virtù e la forza vivificatrici. Non parlate dunque di distacchi o di scissioni: non è scissione il taglio del ramo secco dall’albero robusto e rigoglioso.
• Ed io in questa battaglia vittoriosa del partito nostro mi sento pieno di ardore e di fede, non ostante le vostre scomuniche. A proposito delle quali, vogliate dunque concedermi, senza rancore, clic io non m’inchini pur vestendomi della più rassegnata umiltà ».
Il direttore dell’UniM Cattolica ha risposto con un articolo nel quale, dopo aver
difeso la posizione dei cattolici moderati che aderirono alla guerra, investe Miglioli con violenza:
< Quando noi vi vediamo alle porte del Congresso di Bologna, un poco come Enrico IV a Canossa, e poi subito atteggiato a ribelle nel Partito e capo dei ribelli, come il sire tedesco, noi assentiamo alla vostra messa in mora, che v’intiinarono la Direzione del Partito, il Corriere d'Italia, il Popolo Nuovo...
« Eh! onorevole Miglioli, per poca competenza che abbiamo nel socialismo degli altri e nel vostro, comunque enunciato e gabellato, pensiamo, vediamo e affermiamo che voi conoscete la dottrina cristiana, il cattolicismo, la mo»ale e la teologia troppo superficialmente per sentenziare sulla legittimità del connubio, per sacrificare, com’è implicito, al sindacalismo vostro e non vostro, la proprietà privata e collettiva, la famiglia, l’autorità, la giustizia, che sono cose non del liberalismo, ma della società ordinata da Dio ».
E termina paragonando Miglioli a Lamen-nais cd a Murri, anzi a Tyrrell, il quale protestante, gesuita poi, modernista da ultimo, morì fuori della Chiesa perchè era rimasto protestante, pur diventando prete cattolico.
«Miglioli aderisce al socialismo, attende la rivoluzione per far trionfare e applicare le sue teorie. Codesto è materialismo politico. Noi invincibilmente siamo al polo opposto. Perchè, dunque, invece di valersi degli organismi nostri, un tempo dell'unione Popolare e ora del P. P. il Miglioli non fa strada colle sue forze, non fa partito da sè e vuol restare con noi retrivi dell’azione cattolica e sociale? Badi che pei cattolici il codice immutabile è la Rerum Novarum, non il socialismo collettivista o sindacalista ».
Ritorna l’equivoco in cui si dibatte il P. P. Questo partito si dichiara aconfessionale, ma insieme i suoi dirigenti parlano dell’enciclica Rerum Novarum come di un codice immutabile!
Il Corriere d'Italia, si è associato alla intimazione deH’Uwt/d Cattolica, ma crediamo che nonostante la baldanza dei due organi, Miglioli sia il più forte, e non si presenterà affatto al Congresso come accusato. Tutt’altro. Tanto più che Don Sturzo, se pure tenta imbrigliare il troppo focoso Miglioli, in fondo è più con lui che con Mèda e compagni.
Se l’anno scorso a Bologna;; Miglioli
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parve umilmente chiedere il diritto di cittadinanza nel partito, quest'anno probabilmente chiederà ad altri ragione della loro presenza. A Napoli dunque avremo battaglia: Miglioli non solo ha preso posizione, ma è già mosso all’attacco.
IL PARTITO POPOLARE AL BIVIO
L’aspettativa per il prossimo Congresso del Partito Popolare Italiano è grande non soltanto per ciò che dovrà stabilire per le questioni sociali, ma anche per l’indirizzo politico che è di somma urgenza per il partito che sia finalmente definito. Il modo con cui il Partito si è comportato nella seconda incarnazione del ministero Nitti ha aggravato l’equivoco.
La discussione sull’indirizzo parlamentare del P. P. fu aperta da Filippo Meda il quale in un articolo della sua rivista Civitas, riprodotto nel Corriere (Vitalia del 18 febbraio, sostiene essere imminente un periodo di vita parlamentare in cui occorrerà decidersi per una energica azione di governo.
Si porrà quindi il dilemma al Partito Popolare : o collaborarc ajla ricomposizione del Ministero, o prepararsi allo scioglimento della Camera e a prossime elezioni generali.
I deputati del P. P. non possono più gingillarsi a discutere alla vigilia di ogni voto se devono votare sì o no. Occorre invece affrontare il problema se l’attuale Camera debba funzionare. Se si ritiene di no, il P. P. non ha che da passare all’opposizione: l’opposizione sua c dei socialisti porrà qualunque Governo in minoranza.
In caso contrario vi sono due alternative: o contribuire a compiere stabilmente la maggioranza senza partecipare al Ministero, esigendone garanzie programmatiche secondo le contingenze; oppure dare alcuni uomini come. collaboratori a Nitti. Comunque decidasi, occorre che il. Partito senta e comprenda le sue responsabilità, e le affronti virilmente ponendo fine alle attuali incertezze.
Al dilemma di Meda la sera dopo ha risposto sullo stesso Corriere d'Italia un anonimo che il giornale qualifica come uno dei più autorevoli amici, e ohe probabilmente esprime con molta approssimazione le idee del segretariato politico del P. P. I. ' L’anonimo incomincia col notare che una pregiudiziale anticollaborazionista nel
Partito popolare non c’è. Ma, .si chiede poi, ora come ora, sono gli « organi fondamentali » del Partito stesso disposti alla collaborazione? E da recenti manifestazioni ed indizi trova che no. Vi è la difficoltà della Spolitica internazionale. Il Partito popo-tre e il suo gruppo si sono mostrati risolutamente ostili alla politica di Versailles, e chiedono la revisione del trattato. Ma anche questa difficoltà forse non regge molto. Perchè Fon. Nitti espose, nel suo ultimo discorso alla Camera, criteri di una nuova e diversa politica internazionale di pace, i quali ebbero specialmente l’assenso c gli applausi dei cattolici e qualche cosa, di mutato c’è sopratutto nell’atteggiamento dell'Inghilterra verso la Germania e la Russia.
Più gravi sono le difficoltà di ordine interno e pai lamentare, che l’autorevole anonimo solleva. La lacuna principale dell’articolo del Meda è che in esso si parla di necessità di collaborazione, senza dire su quali basi programmatiche ciò possa avvenire. Ora i cattolici possono proporsi di salvare la baracca parlamentare, ma devono soprattutto voler salvare l’anima loro. Invece i partiti liberali, i quali costituiscono ancora la quasi metà della Camera, non si sono sin qui polarizzati nè verso una corrente programmatica di idee, nè verso una coalizione di persone. È possibile trovare, con quella tale maggioranza liberale., punti programmatici di convergenza?
Per discutere bisogna venire ai particolari. Vi sono esigenze del P. P. !.. le quali riguardano esso solo, e ’ ne costituiscono quasi le caratteristiche, come, ad esempio, almeno per il modo col quale eventualmente verrebbe chiesta, la libertà di insegnamento. Ora non è impossibile che su tale argomento si faccia subito una coalizione dei socialisti con gli altri partiti della Camera contro i popolari.
Altre questioni, come quella del riconoscimento giuridico delle classi, o del decentramento sulla base delle regioni da ricostituire, potrebbero formare la base di un accordo. Ma che" cosa pensano recisamente intorno ad esse gli altri partiti?
Resta in tutta la sua gravità la domanda posta dall’on. Meda: vogliamo che questa Camera funzioni, che una maggioranza di Governo possa costituirsi, o ci proponiamo di andare incontro a nuove elezioni ? E con Juale probabilità, ir. questo secondo caso, i risultato diverso? L'anonimo la ripete.
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ma per girarla ai liberali, all’indirizzo dei quali scrive:
< Rafforzate la vostra' compagine. Trovate la'vostra linea programmatica, raccoglietevi, sù" di un’idea positiva e concreta nei riguardi di tutte quelle questioni che oggi ci assillano... e allora — ma soltanto allora — potremo cominciare a discutere ».
Evidentemente questo articolo è di diretta ispirazione della direzione del Partito, perchè le direttive da esso indicate sono state seguite durante l’ultima crisi ministeriale. Infatti Don Sturzo ha presentato a Nitti una lista di nove punti programmatici come condizione dei popolari per entrare nel ministero.
Nitti naturalmente non li ha accettati, sopratutto per il carattere confessionale di alcuni punti, e i popolari sono restati fuori, ciò che non vuol dire però che essi voteranno contro il ministero.
Ma i popolari col loro assentarsi dal secondo ministero Nitti non hanno risolta la questione, bensì guadagnato tempo.
C’è nel partito un equivoco fondamentale che dovrà essere affrontato nel Congresso di Nàpoli se il partito cui ha arriso tanta fortuna elettorale non vuole condannarsi alla sterilità.
Vi sono puri conservatori cattolici come Meda, e cristiano-sociali non diciamo come Miglioli, ma come Tovini. Berlini e altri.
Nel gruppo parlamentare prevale la corrente mediana (da media, non da Meda\) ma non così tra le masse da cui il partito trae le ragioni di vita. Don Sturzo lo ha capito e per evitare di compromettere il partito ha abilmente tagliato i ponti per aspettare il Congresso.
Questa ci sembra l’interpretazione da dare alla formulazione dei nove punti che non erano realmente condizioni per entrare nel ministero, ma pretesto per rimanere fuori. Quando si vuole entrare i programmi si discutono a quattrocchi, non si mettono in piazza.
Questa è la posizione parlamentare del P. P. e delle sue varie tendenze, che ci siamo limitati a riassumere con la maggiore obiettività possibile, c poiché per ora è assolutamente oscura la via su cui si porrà il P. P., sarà meglio prima di fare pro-nostici, attendere il Congresso, dal quale però, almeno così in generale, può dirsi che uscirà notevolmente rafforzata la corrente di sinistra. Si può insomma prevedere che se trionferà una tendenza media, questa risulterà più da opportuni temperamenti posti agli ardori dei più accesi che da concessioni fatte dalla parte conservatrice. E in questo senso metterà alla prova ancora una volta la sua abilità l’accorto Don Sturzo.
Quinto Tosatti.
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ETNOGRAFIA E FOLK-LORE
I.
Il mito della pietrificazione. — Le ricerche toponomastiche, abbandonate dal novello metodo storiografico avvalentesi delle fonti scritte, tornano in voga nel campo del «folklore»; che richiamando l’attenzione degli studiosi sul patrimonio tradizionale, dal canto alla leggenda, dalla credenza al costume, non poteva trascurare i nomi delle cose e dei luoghi, dei paesi e dei paesaggi, dei monti e dei boschi, dei macigni e delle grotte, dei torrenti e delle fontane. Scnonchè in tale ripresa d’indagine, il folklorista è lontano dai criteri che guidarono, dopo il Rinascimento, e specialmente nei secoli xvu e xvin. gli etimologisti, che credettero di poter rifare e ricostruire coll’analisi dei nomi e dei termini locali la storia prima ed oscura dei popoli e dei territori. I documenti toponomastici hanno, in etnografia, quel valore che comunemente si assegna alla leggenda, e in generale ad ogni documento tradizionale; che, spogliato delle sue impronte locali ed accidentali, ed esaminato col metodo comparativo, rivela più che elementi di verità storica, espressioni ed atteggiamenti del pensiero plebeo, variabile da regione a regione, sotto il differente influsso dei motivi esterni ed interni.
Uno dei demopsicologi che più appassionatamente si sono rivolti alla toponomastica è Giovanni Pansa; il quale conti-' nua a far tesoro dei termini vernacoli locali per scrutarvi le vestigia delle antichissime pratiche religiose. Conoscitore profondo e completo delia regione del Gran Sasso, egli l’esplora in ogni angolo, in
ogni caverna, preparando un volume, che ha per titolo: La pietra bruta nel linguaggio e nella credenza popolare in Abruzzo. Un saggio di questo lavoro egli pubblica nel-VEthnos (Bollettino della Società di etnografia e tradizioni popolari di Bari), trattando deile « Pietrificazioni miracolose ». e cioè di quelle leggende che riguardano il tramutamento in sasso di uomini, di animali e di piante per opera della divinità sdegnata, è che più che nel ciclo del miracolo, rientrano in quello mìtico. I tre massi, sulla via di Arsoli, al confine laziale della Marsica, raffiguranti un uomo, una donna e un cane; le numerose stalattiti della grotta di S. Martino, a Scanno, rappresentanti i vari atteggiamenti e i mobili del santo; le « pietre grosse » attestanti al viandante della valle forconese' la conversione in pietre dei mietitori che ingiuriarono S. Eusanio; lo smisurato macigno che, presso Cocullo ha l’aspetto d’una lupa, detta volgarmente di S. Domenico, dimostrano il concetto, passato dalla mitologia pagana in quella cristiana, secondo cui chi viola il Srccetto o il comandamento divino è, il più elle volte, tramutato in sasso. Questo concetto però, è di ordine secondario, èssendosi formato lentamente, e lentamente sostituito a quello primitivo del * sacro timore delle pietre », che dà origine e forma al culto dei monti e delle roccie, per effetto della a visione suggestiva » che opera sull'animo del volgo c lo porta alla personificazione, all’antropomorfismo, che coi Greci fece di tutte le montagne degli esseri divini, e di cui il ricordo è nella Theogonia di Esiodo e nella Cosmogonia di Sancho-niatone.
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TRA LIBRI B RIVISTE
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Ma indipendentemente da questo processo antropomorfico, che è il risultato evolutivo dcH’animismo. luminosamente illustrato dal Tylor; molte e molte leggende locali, specialmente di quelle appartenenti al mito della pietrificazione, tanto comuni nella tradizione popolare e in quella agiografica, non sono che il risultato della localizzazione di racconti, che passando da popolo a popolo e da regione a regione, si fermano in un determinato luogo, specialmente ove trovino nell'ambiente e nel paesaggio (come nel caso degli scogli c dei macigni a forme umane) gli elementi che rispondono al loro contenuto. Ond’è che spesso il racconto toponomastico ha soltanto un valore esplicativo, come quello dame ricordato in questa rivista (1917* IVI, narrante di S. Patrizio nell’ Irlanda, e di S. Onorato in Francia, che, cambiano in sassi i molti rettili che infestano il paese; e non già un carattere animistico, della stessa natura di quelle impressioni che spingono i valligiani, secondo il Marro, a vedere nelle roccie, nei ceppi d’albero, figure d’uomini o d’animali, fantastici o reali, sovente in movimento.
La leggenda dei tesori. — Lo scrittore abruzzese ha il torto di risalire, nello studio demopsicologico, molto lontano nel tempo, e di vedere in ogni racconto, in ogni nome, in ogni scena ed in ogni rito 1'« uomo primitivo», la « religione primitiva », la ■ psiche primitiva ». Tate difetto è evidente nella nota sulle « Reliquie del mito argo-nautico nella tradizione abruzzese» («Folklore calabrese », anno IV, 1918, nn. 7-12),. con la quale egli pretende di poter riportare al ciclo del toson d’oro quelle varie e multiformi leggende che hanno per oggetto i tesori o le « trovata re », consistenti in una chioccia coi pulcini, iiruna ca-Sra, in un vitello, in una statuaria un leone i oro, o anche in una pelle di animale ripiena di oro. L* impresa degli Argonauti fu tra le più diffuse e decantate fin dai tempi di Omero (x«at|MXouCa). Passò attraverso il mondo latino con Apollonio di Rodi, Valerio Fiacco e il pseudo Orfeo Siv sec. d. C.) ed estese le sue propaggini ino al mito cristiano. La presenza infatti dei tesori affidati alla custodia del diavolo, prese il sopravvento nelle letterature superstiziose del m. c. e s’innestò alla leggenda popolare, come eco fantastica dei tesori incantati dell’antica Roma. Nella tradizione abruzzese il tesoro è guardato dal
diavolo ed è raffigurato per lo più da un vitello d'oro,-pur riaccostamcnto a! vello della favola. Si sente nel saggio delPansa lo sforzo dell’erudito che tenta il riavvicinamento tra la forma antica e quella attuale, senza pensare che un buon numero di tali leggende.che in etnografia diciamo « plutoniche », si riferiscono per l’origine, al medioevo, e propriamente ai tempo delle piraterie saraceno nella Sicilia e nella Calabria, e a quello delle invasioni barbariche nel Frin ì e nel Veneto, allorquando incalzati dallo straniero predone. i naturali nascondevano ogni loro ricchezza nel sottosuolo, in pentole, in saccocce di pelle, contrassegnando le località. Col volger degli anni e delle generazioni sorgono le leggende, incorporandosi l’elemento superstizioso. Talvolta, poi, il racconto è una pura importazione, che trovando l’ambiente favorevole, si fissa, o. come diccsi, si localizza in un determinato paesaggio. Se il Pansa invece di fermarsi alla tradizione orale, avesse esteso le indagini alle cerimonie superstiziose, avrebbe sceverato tra i vari clementi che concorrono alla formazione di tali miti, quelli primitivi e quelli secondari, quelli pagani e prepagani e quelli storici, accidentali, locali, e quelli magici e quelli animistici. Nella Calabria, p. és., chi desidera impossessarsi del tesoro, che a I ongobucco e a Cassano consiste in una gallina con quindici pulcini d’oro, deve sfidare in silenzio il serpentesche lo custodisce, soffrire le spire del rettile avviticchiato al suo corpo; ovvero immolare un montone o un vitello, o sgozzare un bambino, battendo il fegato della creatura contro un sasso. Queste o simili ordalie, anziché al culto delle forze telluriche, come vuole il Dorsa (La credenza greco-latina. nella Calabria, 1884, p. 24), fanno riandare coll’idea ai riti magici; tuttora in vigóre ad opera degli stregoni e delle maliarde, che sanno indovinare i luoghi ove giacciono i tesori e sanno indicare le pratiche per conquistarli.
La leggenda dì Palinuro. — Se Gaetano Amalfi avesse potuto cogliere gli elementi toponomastici della leggenda pietosa del nocchiero di Enea sul capo Palinuro, avrebbe dato al folklore partenopeo, di cui è conoscitore sapiente, un prezioso contributo. Nonpertanto, non è scevra d’interesse la nota ch’egli consacra, nel Folklore calabrese, (anno v, 1919, nn. 1-6), al racconto del frigio nocchiero, di cui pare non si sia occupato alcuno degli studiosi della
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BILYCHNIS
tradizione virgiliana, nemmeno il Compare tti nell’opera Virgilio nel Medio Evo. e che. a prestare fede alle informazioni, sarebbe tuttavia viva nella memoria delle genti del luogo. Il pilota della nave di Enea, a nome Palinuro, partito dalla Libia, sia perchè vinto dal sonno, sia perchè intento ad osservare le stelle, non si accorge del pericolo c precipita in mare, con nella mano un pezzo de) timone infranto. Dopo aver viaggiato, a nuoto, per tre giorni, sull’alba del quarto, mentre cerca guadagnare la itala terra già avvistata, viene ucciso dagli abitanti del promontorio che lo scambiano per un mostro marino. Afflitti, di lì a poco, dalla pestilenza, quei popoli ricorrono all’oracolo, il quale consiglia loro di placarci mani dell’ucciso Palinuro. Onde poi, insieme con la consacrazione del bosco, oggi detto della Bruca, l'elevazione di un tumulo per la celebrazione dei « sacra ». L’Amai fi opina con Giuseppe Antonini (La Lucania, discorso VII, pp. 355-399, Napoli, 1795), che descrive i luoghi della leggenda e gli avanzi del cenotafio, che questo sia stato rizzato «dalla superstizione di quei vicini antichi popoli », che concepivano « agitate e turbate » le anime dei trapassati violentemente, per assumere poi carattere espiatorio. Il sepolcro doveva esser vuoto, come quelli eretti da Enea a Deifobo.da Andromeda ad Ettore, da Ulisse sul promontorio Pachino ad Ecuba; altrimenti Palinuro non sarebbe apparso ad Enea pregandolo di coprire i suoi resti, o il luogo ove egli aveva esalato lo spirito, con un po’ di terra, secondo il rito religioso, largamente praticato nell’antichità.
Eripe me his invicle malie, aut tu inibì terrai» Injìce, namque potes.
Per la toponomastica calabrese. — Al concetto classico della toponomastica mostra di voler ritornare il signor M. De Gar-zani con lo studio dei « nomi di città, di paesi, di villaggi, per trarre una qualsiasi (!) conclusione storica sui popoli antichi che vi abitarono: sulla legge e sui costumi che ne regolarono 4o stato sociale e la famiglia; sulla religione, suìl’agricoltura, sulle arti, sulle lettere, sulle scienze che determinarono le relazioni di buona vicinanza, di reciproca difesa ne’ comuni pericoli, di scambio industriale e commerciale fra le città finitime, fra la madre patria e le colonie, fra le diverse repubbliche italiote e l’eterna Roma ». Il lavoro ( « Bollettino della Società Calabrese di Storia Pa
tria » anno I, nn. 3-4, pp. 35-441 anno II, nn. 1-2, 3-6; 28-31;. 39-49) è già alla terza puntata e non ancora permette di apprezzare il c metodo rigorosamente scientifico e praticamente (!) sicuro », di cui lo autore fa sfoggio; come non permette di « leggere • nel dialetto calabrese « la mescolanza delle razze, donde, forte e ardita, emerse, allo splendore della civiltà, la nostra stirpe », e di comprendere « la formazione della lingua vernacolare (!) », risalendo « attraverso le vicende morfologiche e storiche della parola », « alla onomastica urbica e locale ». Sono curiosamente impaziente di vedere completato lo studio, che, a giudicare dai tre saggi dati alla luce, appare ingombro di erudizione confusionaria ed anche saltuaria, ove si consideri che lo scrittore mentre esalta il Comparetti, il Morosi e il Pellegrini, dimentica Luigi Bruzzano, il fondatore ’ della « Calabria », e G. B. Moscato; mentre ricorda i « Canti dèi popolo reggino » di Mario Mandatari. dimentica le raccolte fatte da altri studiosi, che rivolsero l’attenzione alle tradizioni orali ed alie usanze, come Giovanni De Giacomo, G. B. Marzano ed altri; e pur pensando all’« esame comparativo dei diversi dialetti » regionali (giacché. secondo lui, le « varianti fonetiche della parola caratteri zzano (!) usi è' costumi » ), trascura quello delle credenze e delle consuetudini, che ebbero anche nel sottoscritto un illustratore; e pur vagheggiando l’idea d'un « vocabolario dialettale scientificamente condotto ». sull’esempio di quello etimologico frammentario del Muià (c perchè non sull’esempio di quelli inediti del Moscato e del marzano?), mostra di non distinguere tra dialetto e vernacolo, e di non conoscere l’importanza UcH'Zrfio-tikon, di cui, per quanto riguarda la materia erotica, ho dato un brèvissimo saggio. Solando nel vastissimo campo delle
ate plebee e furbesche della regione calabrese ( « Anthropophyteia » Vili volume, 19x1, pp. 149 e seg.).
Il culto del morti. — Partendo dall’idea che la storia dei riti funerqrì è legata a quella delle credenze, Raffaello Battaglia ( « Il culto dei morti nel tempo e nello spazio ». wAV Alabarda. I, 1919, pp. 337-345) intraprende una fuggevole corsa attraverso i popoli antichi e gli attuali incivili per dimostrare che la concezione mitologica dell’altro mondo e dell'altra vita abbia ispirato c generato nel mondo urna-
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no le consuetudini di inumare il cadavere, di esporlo, d’incenerirlo; nonché quelle di corredare il morto delle sue suppellettili ed armi, di fornirlo di viveri e di una barchetta; di collocarlo in posizione rannicchiata.
Il Battaglia, pur ammettendo che alcuni riti funerari sono in relazione coll’ambiente geografico in cui si svolgono, si dimostra un animista convinto, tanto da lasciare nel silenzio le altre interpretazioni dei differenti riti speciali, per attenersi a quella da lui professata. Il seppellimento in posizione rannicchiata è spiegato da alcuni coll'idea di adagiare il corpo nel seno della madre terra in quella posizione che ebbe nel seno della genitrice, prima di venire alla luce; mentr e per altri simboleggia il riposo o il sonno; c per altri ancora rivela un principio economico, per la mancanza di aree funerarie, e cioè Quello del minimo mezzo, e per altri, poi, manifestai! timore dei superstiti, che ricorrono al legamento del defunto. Il canotto che, secondo alcuni studiosi, si depone sulla tomba perchè
l’estinto se ne possa servire nel suo fatale andare; per altri invece è un oggetto tabù, che si porta sul sepolcro per evitare il danno che potrebbe arrecare ai vivi. Ecco perchè, osservano i sostenitori della teoria del contagio, esso si pone capovolto sulla tomba, mentre le armi e gli arnesi si collocano infranti accanto al cadavere.
Nonostante le varie ed opposte spiegazioni, i riti della morte si presentano nella scienza oscuri e misteriosi. E forse, per intenderli giova non soltanto l’indagine sul modo come il selvaggio concepisce il mondo ultraterreno, ma anche quello sulle consuetudini della sua vita reale. Le due indagini, quella mitologica e psicologica e quella sociològica ed etnografica, ci offriranno la chiave per spiegare pratiche e cerimonie, di cui non si è riusciti finora a comprendere il valore e il significato. È sperabile che il Battaglia voglia tener conto dei risultati recenti della scienza nelle sue ulteriori indagini sui riti funebri.
Raffaei e Corso.
FILOSOFIA MORALE
II.
La filosofia francese. — Capita oggi spesso agli storici della filosofia di essere assai più filosofi che storici ; di affrettarsi cioè a vedere nelle filosofie che essi studiano, non quel determinato sistema di pensiero che la personalità storica del filosofo studiato definisce, ma un momento di quel processo del pensiero che fa capo alla loro filosofia ; sicché quello che è oggetto della loro storia perde facilmente i suoi caratteri individuali e si riduce tutto ad alcune anticipazioni o intuizioni le quali la collocano nel solco della filosofia che si fa, e poi all’incomprensione, nel filosofo stesso, della portata ulteriore di quel principio conquistato e ai contrasti ed alle contraddizioni che ne sorgono.
Il che non è illegittimo se non in quanto contraddice a quel principio stesso che i filosofi più recenti pongono, secondo il quale la filosofia è storia; il quale porta bensì che lo storico della filosofia debba essere un filosofo.
ma anche che il filosofo debba essere uno storico. In altre parole, per far la storia di un filosofo senza tradurla in un breve capitolo di una filosofia teoretica è necessario estendere,il quadro di quella filosofia che si racconta, includere in essa la personalità storica dell’autore e in questa la cultura e quella storia più vasta, nazionale e scientifica, della quale egli è un momento.
Sotto questo aspeito Victor Delbos è un ottimo storico della filosofia. Egli individua i filosofi che ci racconta, perchè conosce assai bene tutta la storia del pensiero della quale essi fanno parte e tutto quel complesso di storia più vasta che vale a restituire ai processo storico la sua lentezza di fiume che scorre in piano ed accoglie le acque di molti fiumi.
Senonchè qualche cosa ci sarebbe da ridire sul titolo di questo volume: La Philosophie Française (Paris, Plon-Nourrit, 1919). Perchè di filosofia francese si può a pena parlare, dovendo essa tanto, da Descartes ad Augusto
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BILYCHNÍS
Comte, ad altre filosofie; all’italiana prima, poi all’inglese e poi alla tedesca; ed essendo, da filosofo a filosofo, il suo corso determinato dall’influenza del pensiero di altri filosofi non francesi che in una storia generale della filosofia occuperebbero l’intervallo. Ma questi riferimenti non sono ignoti al Delbos, che li segnala a loro luogo, contento di dare un largo e comprensivo compendio dell’atteggiamento e del pensiero filosofico dei singoli autori da lui esaminati. I quali, così, ci si presentano con un nesso dialettico; ma che è preso da'.io svolgimento generale del processò filosofico europeo negii ultimi secoli.
C’è qualche carattere generale che sia proprio dei filosofi francesi e che permetta di parlare di una filosofia francese, come di una famiglia, e di più generazioni in essa, di pensatori legati insieme da un carattere proprio? L’A. se lo chiede, esaminando nel primo capitolo i caratteri generali della filosofia francese ; ma la sua conclusione è, in fondo, negativa. Egli la definisce una filosofia di buon senso, di chiarezza, di fiducia serena nella ragione e nelle sue attitudini conoscitive, di tendenza a vedere, nell’attività del pensiero, l’umanità e lo spirito al disopra delle sue opere, sollecita, sempre, d’essere una filosofia della pratica, o dell’azione. Ma questi sono caratteri generali della filosofia e possono essere attribuiti anche agli inglesi, ad es., ed agli italiani ; e non influiscono certo sul valore delle dottrine in se stesse, mentre possono giovare ad intendere la filosofìa come espressione del genio e del carattere nazionale di un popolo.
Alla redazione del volume attendeva l'autore, quando la morte lo colse, sulle traccie di lezioni da lui tenute alla Sorbona; sicché esso, nella sua redazione definitiva, è opera di allievi ed amici (primo Maurizio Blondel, il taciturno filosofo de Action, che ha premesso anche una prefazione); e manca, purtroppo, Io studio dei filosofi più recenti.
La filosofia della libertà. — Nel suo lavoro che ha questo titolo, e del quale la casa Laterza dà alle stampe uña ouona traduzione di Ugo Tommasini, Rudolf Steiner espone un rigido idealismo monistico, secondo una sua concezione alquanto angusta e venata di superstite naturalismo. (Già il monismo ultracoerente ci par sempre intriso di naturalismo ; uno stato d’animo scientifico che sopravvive allo scientismo sistematico).
Ma là unità e l’interesse del volume non stanno tanto nella esposizione generale della gnoseologia dell’A. e del suo idealismo quanto
nelle non molte pagine che. di esso, giustificano più propriamente il titolo. Lo. S., dopo aver stabilito tre momenti della conoscenza, la sensazione, dalla quale discende il realismo empirico, la percezione, da cui deriva analogicamente il realismo metafisico, il pensiero puro o lo spirito, assegna una simile serie di momenti al mondo della volontà: istinto, o attività naturale, la ragione riflessa (autorità, imitazione, ecc.) e il movente ’ideale. Nei due primi momenti l’uomo è agito (ci si permetta il neologismo) dalla natura o da altri uomini); solo nel terzo egli ha in sè la ragione del suo volere, è il suo volere.
«Se l’intuizione concettuale (il contenuto ideale) del mio atto volitivo si presenta prima della sua percezione, allora il contenuto della mia azione individuale è il risultato di una determinazione ideale. La ragione per cui dalla somma di tutte le intuizióni a me possibili estraggo proprio quell’una non si può ricercare in un oggetto della percezione, ma sta nella mutua dipendenza, puramente ideale, dei membri del mio sistema di idee. In altre parole, per il mio volere non posso trovare alcun elemento determinante nel mondo della percezione, ma solo nel mondo delle idee».
‘Lo Steiner distingue poi, per ciascun atto volitivo, il motivo e la molla spìngente. Il primo è la causa determinante momentanea del volere, la seconda è la causa determinante permanente nell’individuo, il carattere. Per intendere questa distinzione, la quale permette allo S. di dare, nell’etica pratica, una grande importanza al carattere dell’individuo e di chiamare il suo sistema individualismo elico, converrebbe seguire l'ingegnosa combinazione che egli fa di percezione e pensiero, nell’attività delio spirito, e l'importanza che ha nel suo processo volitivo la fantasia morale, la figurazione, ideale insieme e percettiva, dell’ azione concreta e dei suoi scopi.
Con il carattere, egli introduce ancora una specie di naturalità e di passività nel processo del volere; méntre poi rivendica eloquentemente l’originalità, la unità, cioè la libertà di ógni atto volitivo che sia veramente tale: e che muove, non da percezioni, e da rappresentazioni che ondeggiano innanzi allo spirilo come modelli determinanti dell’agire pratico, ma dalla intuizione, .dal pensiero puro ; che corrisponderebbe alla autoctisi del Gentile.
Questa dottrina tende a conciliare 1’ unità ideale dello spirito con la varietà infinita delle concrete determinazioni libere ; è un tentativo di luce, fatto da un uomo il quale ha una
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vasta cultura medica e psicologica, sulla dialettica della coscienza morale.
Si intende dopo ciò in che senso lo S. polemizzi con la legalità morale e formale. La categoria del dovete non esiste per lui se non come metodo pedagogico per indurre ad agire moralmente uomini privi di autonomia, bisognosi di una legge esteriore. Ma la loro non è vera moralità, perchè è attaccata dal di-fuori allo spirito, imposizione, abitudine, non volontà personale, non può quindi farsi signoreggiare dalla personalità. E non è difficile trovare un riscontro fra questa dottrina e la mistica cristiana platoneggiante.
Etica idealistica. — Veramente è un poco difficile discernere in questo volume di Lello Vivante, che si intitola: Principi di etica, i lineamenti di un sistema di dottrina della morale. Il Vivante, che non ammette l’etica precettistica, o normativa, sa bene che l’etica è, semplicemente, filosofia; dottrina dello spirito, per il quale fare è a un tempo conoscere, e viceversa. Ma fra il lettore e lo scrittore, che è acuto e personale e suggestivo, si impegna, fin dal principio dell’interessante volume, una specie di dibattito. E mentre il secondo si ostina a parlar di etica, il primo vorrebbe che egli precisasse, innanzi tutto, la sua dottrina, la teoretica della conoscenza e dello spirito.
Perchè, sin dalle prime pagine, il Vivante-pone fra sè e l’idealismo che ci è noto una differenza di non poco conto. Infatti egli assume come data all’ infuori dello spirito una materia, che è bensì un minimo, ma è, per suo conto; e non esclude la possibilità che tutto finisca, negando cosi allo spirito la indistruttibile ed infinita originalità, ponendolo a caso-, e assegna al tempo una realtà fuori dello spirito. Ma sono affermazioni, nel libro, incidentali, che il V. non ha cura di giustificare e dedurre logicamente ; sicché pòi si rimane sempre perplessi dinanzi al procedimento con il quale egli deduce l’etica idea-. listicamente.
Ma forse anche nella sua etica è possibile vedere l’influsso di quella prima sconcertante affermazione ; se non che ciò è rimesso al lettore. Il Vivante, infatti, nello spiegare l'atto dello Spirito, cóme posizione di valore, azione, eticità, dà una grande importanza a una specie di anelito, che è nello spirito, verso infinite possibilità di attuazione che si traduce in una infinita assunzione, nell'atto medesimo, di tutte le creature, di tutti gli infiniti modi e momenti del reale. E ciò gli apre la via ad osservazioni e dilucidazioni di alto interesse;
come, ad es., la sua spiegazione della.carità, atto puro ed originario di amore, il quale assume in sè tutte le creature, procede e sgorga quasi direttamente da quella originalità dell’atto, o dell’essere spirituale, che è assoluta unità ed identità; e gli permette di correggere. ad es., la formula comune : ama gli altri come te stesso ; poiché non c'è un amore di sè che possa essere norma e tipo. Ma converrebbe dire : ama gli altri in te. cioè ama gli altri e te in quella universale assunzione dell’essere come bontà ed unità in cui il valore particolare di quel « te » dilegua e tu ti affermi come tutto, uno con tutti nella divinità.
Ma questa infinita possibile assunzione del finito, questo definire l’atto per qualche cosa che è postulato ed implicito e tende ad essere, può anche ricordarci quella tal materia della quale il V. dice che nessuno spirito è senza ; e che è probabilmente, nel pensiero di lui, come in quello della filosofia clàssica della materia, principio di individuazione. E questa realtà irreducibile, perchè extraspirituale, dell’individuazione la si riscontra anche in altri punti di vista dell’A. ; ad es., nella eticità che egli riscontra in talune forme di affermazione illimitata e dionisiaca dell’individuo, come, ad es., nella voluttà ; nella cura gelosa che l’individuo ha della sua conservazione ed accrescimento, nel preferire il possibile e l’inattuale all’atto e nell'assoggettare questo a quello, come fa, ad es., l’avaro, che annulla le sue ricchezze, come attuale godimento, per godere solo del loro accrescersi, accumularsi, riservarsi ad una infinita possibilità di attrazioni future.
Il dovere, che per lui sembra rimanere come dottrina centrale della eticità, è « il fare, in ogni occasione, il più e il meglio secondo le proprie forze, ed anzi oltre le proprie forze», nel senso che «si debbono creare nell’atto le nostre forze e non soltanto confidare in quelle che sicuramente possediamo e di cui ci dà affidamento la passata esperienza »; il che può essere forse interpretato, per dirla in termini idealistici, come l’autocoscienza del divenire, come attuale libertà e creazione e autoctisi ; ma ci ricorda anche lo slrebcn uni des Slre-bens Willcn che è il principiò implicito del romanticismo tedesco, e ci ricorda un poco tutto il romanticismo, con le sue divinizzazioni della natura in noi, e l'infinita assunzione del mondo come principio di individualità, da Novalis a Nietzsche.
E questo diciamo riferendo e quasi dubitando; poiché la filosofia del V. ci sembra in uno stadio di formazione e di riflessione in-
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tenore dialettica; e si può attendere con curiosità e simpatia le ulteriori esplicazioni che egli vorrà darcene.
Romanticismo. — Nel volume che Barbara Allason dedica a Carolina Schlegel gl. S’., Studio sui romanticismo tedesco. Bari, . Laterza, 1919) — volume che, per l’alto interesse della figura, studiata e del movimento di idee del quale essa fu il centro e per la viva passione animatrice che la A. mette nella sua rievocazione, si legge con vivo interesse —- noi assistiamo a tutto lo svolgersi e fiorire dèi romanticismo tedesco.
Nel 1789 Guglielmo Schlegel conobbe a Gottinga, in casa Michaelis, una giovane vedova, intelligente ed amabile, piena di curiosità spirituale e di un gusto squisito per la poesia semplice delle cose e la grande poesia degli artisti, e se ne innamorò. Ma la donna aveva il suo cuore altrove, e il rapporto fra i due restadi buona amicizia. Nel 1792 le truppe francesi che entrano a Magonza e vi proclamano una effimera repubblica, trovano Carolina in casa di amici. Essa si accende per l’idea repubblicana, partecipa alla piccola rivoltinone, si dà, dopo un ballo, a un giovane ufficiale francese, che la rènde madre (del matrimonio le era restata una bambina allora di cinque anni). Caduta la breve repubblica, C. è imprigionata e, per evitare la vergogna e il disonore alla figlia, pensa ai suicidio. Guglielmo Schlegel accorre, riesce a liberarla dalla prigione, la conduce in una piccola cittadina presso Lipsia, dove potrà vivere nascosta, e la affida al fratello Federico, che studiava a Lipsia ; e fra questo e la donna nasce una pura amicizia alla quale egli professa di dovere l’essere divenuto, di giovane irrequieto e sensuale, il pensoso tormentatore delio spirito dai cui scritti sorge il romanticismo. Nel luglio 1796 Guglielmo sposa C. e la loro casa diviene il focolare dei romantici. Tieck, Novalis, Schleiermacher e il giovane Schelling ne sono assidui frequentatori ed amici ed insieme si pensa e si battaglia. Nel 1S03, C., aiutandola Goethe, divorzia da Schlegel e poco appresso sposa Schelling, con il quale vive in intima comunione di pensiero e di lavoro, sino al sett. 1809, quando muore, a 46 anni.
C’è una intima armonia fra l’animo di questa donna e le ispirazioni fondamentali del romanticismo che. per l’influenza di lei, sembrano essersi chiarite nell’animo dei principali teorizzatori ed aver acquistato in essi la forza dolce e profonda di comunione nella stessa fede. Ma l’unità dura poco, quasi quanto la
breve pienezza di vita della rapsoda. Questa stessa, del resto, dopo la morte della figlia Augusta, di 16 anni (1803), sembra essersi elevata nel suo raccolto dolore in un pensiero religioso più avido di maggior consistenza, preludendo al ritorno di Federico Schlegel e di parecchi altri romantici al cat-tolicismo.
Definire in che consistesse la speciale forma di religiosità dei romantici, nel più stretto significato storico della parola, da Novalis a Schelling, è parso sempre difficile. La filosofia di Kant e più ancora quella di Fichte avevano condotto ad un vivace senso della interiorità del divino; ma all’immane sforzo di raccoglimento trascendentale nell’«? segue una reazione; il tentativo di una più vivace effusione nella natura, vista ormai con gli occhi nuovi di quella luce di interiorità, trasfigurata e quasi divinizzata ; un ritorno a Spinoza, attraverso Goethe, ma ricco, per questo passaggio, di possente emozione lirica. La dura religione del dovere, di Kant, diviene la religione dell’amore. Il Dio che è in noi, nel mondo velato della nostra legge morale, è anche nella natura, e nella nostra natura. Schleiermacher teorizza la religione in questo senso di unità cosmica, che investe tutta la vita; altri, come Federico Schlegel in Lu-cinda, la esalta nella gioiosa sensualità, intrisa di nostalgia di una più possente conquista della realtà per il tramite dei sensi ; conquista alla quale mira tutta l’effusione lirica della filosofìa di Schelling e della poesia di Novalis.
Ma là sognata conquista era in parte dispersione, e l’arricchimento dell’«?, nella interiore coscienza della sua unità vivente, in cui il pensiero si fa azione, e mondo, diviene, nell’insofferenza della dura disciplina necessaria, nostalgia, Sehnsuchl, intimamente dolorosa perchè incapace di affermare quello a che pure si aspira. Di qui l’insoddisfazione e il rapido disperdersi del romanticismo e il pessimismo di Schopenhauer e il ritorno, con Hegel, ad una più austera disciplina di pensiero e l’esaltazione, sull’individuo, della ragione che si fa storia nello Stato, esteriore e storica unità accentratrice delle coscienze che il romanticismo aveva aperto alle tentazioni di un misticismo, in fondo, individualistico e tendente ad evadere dalla storia.
La guerra e lo spirito. — Un volumetto di I. Sbgond (Za guerre mondiale et la vie sfnrituelle.Paris, Alcan) è forse il più notevole contributo della filosofìa francese alla comprensione filosòfica della guerra. I più noti filosofi francesi hanno avuto, in questi
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ultimi anni, assai più cura d’esser francesi che filosofi. Bergson si è limitato a vedere nella guerra francese Velan vital e nella tedesca una materializzazione dello spirito, una di quelle vie sènza uscita in cui questo si caccia quando sbaglia direzione. E. Boutroux ha messo la sordina al suo idealismo da salotto, pur così fine e suggestivo, ed ha cercato di imbruttire quanto era possibile agli occhi dei suoi connazionali il volto dèlia filosofia tedesca.
Il Segond, benché cautamente e con molte involuzioni e reticenze, fa di meglio. Muovendo dal bergsonismo, egli cerca di interpretare la guerra, tutta la guerra, non 'come una specie di gara in cui lo spirito abbia distribuito alle varie nazioni la loro parte, quasi a marionette, ma come un processo interiore della coscienza umana, che è insieme e sempre coscienza di singoli individui e coscienza di universa umanità.
La dialettica spirituale della guerra che egli — quanta faticosa enfasi nel suo stile ! — cerca di descrivere è quindi la dialettica eterna dello spirito, che si afferma fra negazioni e contrasti, ma che non può essere razionalizzata in un tipo genèrico ed intesa mediante categorie astratte ; bensì deve essere esaminata e compresa nei suoi propri moventi e nel suo corso e nei fini dichiarati od impliciti, come storia attuale, fuori della quale non c’è nulla, come concreta immediatezza del reale.
Ed allora ne apparisce insieme la fatalità e la libertà. Le amicizie e le inimicizie sono, nella coscienza dei popoli, figurazioni ideali dei contrasti intimi. Il tedesco dell’apologetica di guerra, brutale, violento, crudele, negatore di umanità e avido di dominio, è anche nelle latebre profonde della mia coscienza di combattènte. Io lo traggo dalla preistoria oscura dèlia mia latente barbarie per esaltarmi alla lotta ed insieme per dominarmi, con una più alta coscienza dei valori umani. Nel mio odio per lui, mi libero dal germa-nesimo che è in me stesso, nell’amicizia che mi lega ai connazionali e ai più cari combattenti affermo, attraverso alla violenza ed al sacrificio, il principio di una più alta amicizia, nella quale accoglierò anche i nemici, perchè essi sono umanità.
Notevole è la critica dei così detti fini di guerra dell’Intesa, tanto nobili ed alti e generosi nella loro formulazione bellica e cosi duramente smentiti, in parte, nelle trattative di pace.
Quei fini ideali non erano che la astratta proiezione ideologica di un momento spirituale, che nella guerra cercava il superaménto
della guèrra. Ma essi non esistono astratti e beati in sè, come idee platoniche che dovessero miracolosamente umanarsi ai congresso di Parigi ; e l’immaginarli così fatti fu l’illusione e l’errore di una invecchiata ideologia democratica. Esistono bensì come concreti moventi, ma nella complessa dialettica delle concrete determinazioni storiche dei singoli popoli ; nel cui spirito vive e si agita il desidèrio della giustizia e della fraternità universale, ma insieme con tutte le altre aspirazioni e passioni che costituiscono il carattere e il genio dei singoli popoli. Clemenceau, sulle rovine dell’opera di Bismarck.
Il filosofo guarda e sorride. Egli riconcilia i vincitori ed i vinti, nella comune barbarie e nella comune spiritualità che la agita e la preci-pitaverso il gesto impetuoso e la crisi risolutiva. Nella stessa ampiezza mondiale della presente guerra, nel più acuto sforzo che la cultura ha imposto alle coscienze per accettarla e darle una valutazione umana, nell’esperienza dolorosa della rovina immane e del durar della guerra oltre la guerra, sono alcuni degli elementi i quali ci giovano ad intendere la realtà storica nella quale ancora viviamo come momento unico e indefinibile e pregnante dello spirito umano che si cerca, della realtà, oscura e sanguinosa, la quale si veste di una luce di pensiero.
La Società delle nazioni (Una teoria cattolica). — Dalla Francia ci viene il ricordo. Già nella prima metà dèi secolo xix un italiano, un gesuita, il P. Taparelli d’Azeglio, aveva costruito di tutto punto una « società delle nazioni » nel suo celebre « Saggio teoretico di diritto naturale». Evoca il ricordo un francese, mons. Julien, vescovo di Arras ( La sociéti des nati&ns. Une théorie calholique. Bloud et Gay ed., Paris, 1919). Il lavoro del Taparelli è il documento forse più interessante e sistematico del giusnaturalismo scolastico; costruito tutto d’un pezzo, freddo nella sua nudità astratta, puro intelligibile, che, per la sua realizzazione storica, si affidava tutto allo sviluppo della ragione umana assistita e diretta dalla fede e si adattava benissimo alle sante alleanze, al compito storico, anche in Italia, del cattolico impero d’Austria, all’opera saggia e paterna di autorità che un poco alla volta, sotto la guida dei teòlogi e dei filosofi della Chiesa, comprendessero meglio la duplice rivelazione, naturale e soprannaturale; largita agli uomini.
Nessun senso, nel gesuita scolastico e nel suo tardivo interprete, della storicità, del divenire. della nuova coscienza umana che an-
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dava ricostituendo le nazioni e foggiando le democrazie moderne. E questo mentre la fremente anima di Mazzini si elevava anche essa, non ad una astratta costruzione giuridica di società delle nazioni, ma all’accordo ed alla fusione di energie costruttive, erompenti dall’anima ridestata delle nazioni nella Giovane Europa.
Che tanto mondo dividesse allora il gesuita della Civiltà Cattolica che all’ombra della Cattedra di S. Pietro costruiva ancora un impeccabile edificio astratto di sillogismi e il cospiratore italiano irrequieto esule a Londra, si spiega. Più strano è che oggi la teoria del Taparelli possa esserci ricordata — dopo tanta guerra e tanta storia e il primo tentativo storico già fatto di una società delle nazioni — senza pure un presentimento della provvidenza immanente del Vico;Jquesto é un poco più strano. m.
RIPJOFIAE RELIGIONE
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Luciano Roure, Lo spiritismo davanti alla Scienza e alla Religione. Novissimo studio critico. Traduzione ed aggiunte del professor AntoniojManini. Milano, Vita e Pensiero, 1920. in-8®, pp. VIII-375.
Chi ha già una qualche pratica delle cosiddette scienze psichiche si dispensi pure dall’aprire questo volume, chè, tanto, non c’imparerà nulla che già non sappia. Chi, invece, ancora non siasi arrischiato ad entrare in quel vero labirinto dello spirito umano che è lo studio dei fenomeni cosiddetto spiritici, troverà nel libro del Roure una guida elementare, ma sufficientemente esatta ed aggiornata. Il libro del Roure s’intitola alquanto pomposamente Studio critico, ma, a dir vero, quello di cui si lamenta l’assenza è proprio la critica, a meno che per critica non s'intenda una continua espressione di diffidenza verso l’autenticità dei fenomeni, un continuo mettere in guardia il lettore verso i trucchi dei medium*. Nondimeno l'autore non nega la realtà obbiettiva dei fenomeni spiritici, l’accetta anzi, e secondo gl'insegnamenti della Chiesa cattolica, inclina a vedervi l’opra di spiriti maligni. In conlusione, il Roure lascia il problema dello spiritismo
allo stato in cui l'aveva trovato, senza farlo avanzare d’un passo verso la soluzione.
E verso la soluzione non avanzerà mai. fino a che questi fenomeni, della cui realtà obbiettiva ormai non è più serio dubitare, non si decideranno a studiarli con tutta l’attenzione che meritano i filosofi ed i psicològi, strappandoli alle mani degli spiritisti, metafisici, faciloni ed ignoranti, che prendono il materialismo di Bùchner e l’evoluzione di Spencer per l’ultima parola della filosofìa moderna, e degli scienziati materialisti per i quali tutto è vibrazione nervosa e che si riempiono ogni momento la bocca con la parola tozza, da essi concepita come una specie di fluido o gas tanto tenue da essere impercettibile, ma corporeo ed esteso nello spazio. Kant,. Schelling, Hegel, Schopenhauer studiarono con diligenza e amore questi curiosissimi fenomeni, cercando interpretarli alla luce della loro filosofia. È tempo che i filo-• sofi riprendano la buona tradizione di questi grandi maestri, sottoponendo a esame fenomeni che finora han resistito a qualunque tentativo di spiegazione; E probabilmente, non si riuscirà mai a capire nulla, fino a che non si parta dal punto di vista àc\V idealismo trascendente-, che spazio e tempo non sono cose in sè. ma intuizioni pure del nostro spirito, nostri modi di vedere in cui proiettiamo e collochiamo materia e corpi, fenomeni anch’essi del nostro spirito e non realtà estrasoggettiva.
Fu da questo punto di vista che Schopenhauer si collocò per spiegare i fenomeni spiritici o. come diceva lui, magici, e il suo saggio rimane ancora quanto di meglio abbia£tentato la filosofia in questo camp© assai poco esplorato dai filosofi e terribilmente oscuro c misterioso.
Adriano Tilgher.
Godchot, La Fontaine et saint-Augusti*. Paris, A. Michel, 1919, p. 334. ìrs. 4.5» Ricerca sottile e curiosa intorno ai nessi e alle relazioni fra due uomini d'indole, vita, abitudini mentali, operosità cosi diverse da far parere quasi impossibile ogni r accostamento.
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L'A.» tenendo conto sopra tutto del secondo periodo della vita del favolista famoso, riesce tuttavia al suo proposito di comparazione con gusto e naturalezza.
Certo il poeta che quasi unicamente si conosce, massime fuori di Francia, q.-.alc favolista famoso c qua e là licenzioso, facile nello stile come nella vita, va qui parecchio dimenticato, prendendosi di preferenza in esame gli atteggiamenti suoi ne! periodo che potrebbe chiamarsi della sua attività religiosa, dopo la spirituale rivoluzione prodotta in lui dagli avvenimenti di Port-Koyal.
Da Port-Royal a S. Agostino è breve il passo; o meglio, chi dice l’uno dice l'altro — almeno storicamente —- e così si capisce come sia nato il libro del col. Godchot.
Il quale, nel raffrontare i due uomini trova modo di avvicinarne ad essi un altro. Indovinate: Frane. Rabelais. Naturalmente, qua e là il G. giuoca d'ingegno; non tanto tuttavia che ¡1 parallelo non gli riesca piccante e gustoso.
Già tutto il libro del G. è piccante c gustoso, scritto deliziosamente e fortemente.
Interessantissimo il capitolo sulla prima Scarte della vita di S. Agostino, giusto e proondo nella sua inesorabilità. Leggendolo, noi pensiamo due cose. La prima: che bisognerebbe usare la stessa inesorabilità analizzando tutta la vita del Santo Dottore perchè ce ne risultasse un ritratto dal vero, e non una delle solite oleografie. La se-’ conda: che, se davvero il Santo Dottore potè giungere alla perfezione, che è nel primi passi come negli ultimi giustizia e bontà, egli dovè trasformarsi tutto; trasformarsi, e non solo modificarsi, perchè nella sua età di giovane e d’uomo fu cattivo e ingiusto, il che vuol dire ben più e peggio di quel che si dice comunemente: sensuale.
.£11 libro del G. ha un carattere che sembra anacronistico in questi nostri giorni di
arrabbiata lotta perula vita: è un -libro scritto con la lucida calma consentita^ da tempi di pace. La lucida calma del G. ci fa bene e male: bene, perchè ci riposa: male, perchè ci ¿lesta invidia.
Qui quondam.
P. Jahibr, Ragazzo. Roma, La Voce (quaderno n. 37)4x919, p- 133.. L. 3,50.
Nqnìèjunfromanzo,[non sembra unafpa-ginaì’autobiografica, non è un raccontò di impressioni, ma è certamente una pagina di vita vivacemente vissuta e vivacemente vera, senza retorica è senza lenocinli di stile; perciò appunto artisticamente c naturalmente bella. Pochi capitoli, scritti in una lingua che à tutte le irregolarità e le espressioni dell'anima che sente, pochi quadri che a grandi tratti, a grandi pennellate vi si imprimono negli occhi e non vi lasciano più. E in queste poche pagine una commozione sincera, una spiritualità intensa, una sincerità senza pari in concetti ed in parole: ecco il libro dello Jahicr.
Quale sia il capitolo più bello non saprei dire perchè tutti sono belli, ma se dovessi scegliere forse sceglierei il primo, sebbene a comprenderlo bene occorra leggerlo o meglio rileggerlo... per ultimo. In esso vi è tutta l’anima del ragazzo, stavo per dire di P. Jahier, convulsa dal dolore, rotta dal singhiozzo, rattristata dal ricordo e se il lettore non la sente vuol dire che non capi-scciniente o non à cuore.
Giovanni Costa.
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Salutiamo con vero piacere la pubblicazione della già annunciata rivista italiana di egittologia e papirologia Aegyptus diretta da A. Calderini con l’assistenza di E. Breccia. P. De Francisci e Giulio Farina. Il primo fascicolo contiene: G. Luminoso, < Lettere a! prof. Calderini»; G. Farina, • I popoli del mare »; V. Arangio Ruiz, . Applicazione del diritto giustinianeo in Egitto »; A. Calderini, * Ricerche sul regime «ielle acque nell’Egitto greco-romano », M. Morsa, « Un nuovo prossimo volume di papiri della Soc. Ita!. »; P. de Francisci, « R P. Jandanae 62. p. 71 ». Inoltre un ricchissimo notiziario, recensioni, bibliografia, ecc. Ci riserviamo di parlare di quegli articoli o di quelle notizie che più interessano i nostri lettori: per ora plaudiamo al coraggioso tentativo e promettiamo di conceder ai bcnenieriti studiosi tutto il nostro appoggio.
Un’altra pubblicazione che salutiamo pure se non come nuova, come quasi nuova staremmo per dire come risorta, è Religio, che esce ora ne! suo secondo fascicolo (n. 3-4 dei maggio-agosto 1919), di cui abbandona la direzione Nicola Turchi che viene sostituito da Giulio Farina. Ne diamo il sommario augurando alla nuova direzione di non- incontrare gli ostacoli e le difficoltà che à incontrato la precedente: G. Farina, «La religione dell'antico Egitto», S. Ferri, • Il carattere originario del collegio degli Esegeti in Atene »; E. Roggeri. ” La simpatia lunare nell'agricoltura latina»; Note critiche; Rassegna di archeologia religiosa : G. Costa; Bollettini: G. Farina; G. Levi della Vida.
Si è incominciato a pubblicare nel gennaio scorso una rivista, edita dall’istituto biblico pontificio, intitolata Biblica, che si propone di seguire con articoli originali, note, notizie e bibliografia il movimento della scienza bìblica. Il primo fascicolo a cui ànno collaborato A. Vaccari, T. B. Frey, L. Fonck ed altri promette bene, anche per le ricche note bibliografiche e pei- le numerose recensioni. Gli articoli sono scritti in italiano, francese, spagnuolo. tedesco ed inglese, oltre che in latino. Di essi faremo menzione, quando sarà il caso, nella nostra rassegna di studi biblici.
Salutiamo con piacere la riapparizione de La nostra scuola, rivista quindicinale che viene edita dal Vallecchi con la collabo-razione dei più vìvaci, dei più battaglieri, dei più tonaci riformatori della scuola nostra. La seguiremo con vero interesse e pìaud iremo a tutte quelle iniziative che ci sembreranno utili all’intento di rinnovare l’insegnamento e la scuola in un senso veramente e spiritualmente fattivo.
Sebbene fatto con idee forse eccessivamente ristrette, segnaliamo nella Reime des Jeunes un buon articolo di A. Cherei sull'idealismo anticattolico di Edgardo Quinet.
Nel Vessillo israelitico del 31 gennaio segnaliamo un fiero articolo di Max Nordau
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contro l’accusa lanciata da molti interessati a pescare nel torbido che bolscevismo e semitismo sia una stessa cosa.
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Noi seguiamo con vivo interesse tutto il movimento spirituale che tende a. fronteggiare la viva pressione materialistica, ricca di volgarità e di brutalità, che opprime nel momento attuale la società. E facciamo quindi eco a Ettore Fabictti che nell’Azione del io febbraio protestava contro il cinematografo corruttore, additando i ricchi campi cui può estendersi l’attività degli autori per trarne argomenti educativi e morali che non siano noiosi; come plaudiamo alia invettive che Senex nella Revue des Jeunes del 25 gennaio lanciava contro l’abbrutimento della danza, non per ripudiarla, ma per « liberarla, essa che è la più spirituale delle arti, dal materialismo e dall'oscenità«.
In The Student Movement del febbraio 1920 il sig. C. Gay. segretario generale della federazione degli studenti per la cultura religiosa in Italia, dà un ragguaglio dello stato del movimento nelle principali città nostre ed espone le difficoltà che si oppongono ad una più rapida cd efficace propaganda, la quale deve essere favorita da tutti gli altri comitati nel modo più intenso.
Nella Rivista d'Italia del 15 gennaio Scorso il nostro egregio collaboratore G. Quadrotta esamina in un lungo e interessante articolo i rapporti tra .la Gran Bretagna e la Chiesa cattolica che egli ritiene giustamente formino « uno degli aspetti più singolari della politica di Benedetto XV ».
Le sue conclusioni sono che ormai i rapporti stessi a sono più vicini al loro naturale esaurimento. La politica vaticana gravita con tutta la sua forza verso la Francia ».
« La Sede Apostolica, isolata politica-mente, potrà trarre dalla storia recente l’ammonimento a ritrovare, per il bene dell’umanità, nelle sorgenti cristiane le ragioni dell> sua missione, che potrà essere di luce e conforto agli spiriti c di elevazione morale della società, soltanto se la rinuncia ad ogni dominio politico sarà sincera c reale.
«Se la Gran Bretagna, attraverso là breve
èd intensa esperienza diplomatica del periodo guerresco ne’ suoi rapporti con la Chiesa cattolica, avrà tratto la convinzione — come sembra — di contribuire a restituire alla Sede Apostolica la sua funzione religiosa, la missione straordinaria inglese presso il Pontefice, se pure ha dovuto subire qualche scacco da parte della gerarchia ecclesiastica, non sarà stata senza frutto c senza risultato per la salvezza dei valori religiosi c morali dell’umanità ».
H. Valentino nel M creare de Franca del i° dicembre scorso si occupa della filosofia del l’india in relazione al problema del Nirvana tentando di dare una soluzione alla nozione di questo, secondo i risultati della critica e della filosofia più recenti e soprattutto sulle tracce di Lcfcadio Hearn e di Huxley. La ricerca è interessante, ma non mi pare assolutamente concludente.
La indagine che la E.- Boismoreau nella stessa rivista su Claire Ferchaud la «veggente » di Loublande è un’importante documentazione di tal genere di fenomeni religiosi e dell’influsso che esercitano su essi gli agenti esteriori. I lettori ricorderanno che la visionaria aveva veduto il Sacro cuore di Gesù che le avrebbe imposto di comunicare alcuni suoi ordini di carattere politico-religioso per rigenerare la Fraucia^e l'umanità: preghiera, penitenza, riconoscimento del suo potere e apparizione del Sacro cuore sulla bandiera francese. Fortunatamente le stesse autorità ecclesiastiche ànno soffocato questa nascente superstizione.
P. Aurelio Marini fa su La scuola cattolica del i° febbraio la storia della rinascita dell» vita conventuale nella Chiesa anglicana, la quale porta quindi alla « romanizzazione dell’anglicanesimo». Difatti in pochi anni 5 comunità si sono sottomesse alla Chiesa Romana, « Possa — dice il Marini — la loro attività spiegarsi sopratutto nel campo immenso della riunione della Chiesa e contribuire al poderoso movimento unitario, di cui è eloquente indizio (anche se merita le nostre riserve) la World’s ConfeVcnce, la quale ha raccolto tante nobili adesioni in America e in Europa ».
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Nella Volontà del gennaio u. s. Vico Giambi parlando della poca fortuna del protestantesimo in Italia e del suo carattere spesso straniero che avrebbe potuto mutare se esso avesse trovato più largo consenso nel nostro paese, accenna al (atto che vi è « qualche esempio notevolissimo che le cose vanno realmente mutando » e cita per 1' appunto la nostra rivista come una delle a più squisitamente italiane • per la <. grande larghezza di criteri • e la ricca collaborazione di studiosi, anche liberi » [del quale riconoscimento pur sapendo di meritarlo, gli siamo veramente grati]. Il Giambi trova che il protestantesimo per gl’italiani colti è ormai superato, perchè essi di un problema di fede e di credenza non fanno che un problema di cultura e di filosofia; mentre per gl'italiani poco colti o di facile emozione lirica il protestantesimo è povero di esperienza e non offre una guida sicura e nuova, che non obblighi a un faticoso sforzo personale di ricerca, come fa il catto-licismo. E vero che ora può dirsi si abbia un accordo tra le confessioni cristiane che vedono nella nuova interpretazione del cristianesimo un comune avversario. E potrebbe darsi in ogni modo che proprio in Italia si abbia « un’esplosione di un nuovo spirito di libertà e dì unità religiosa. La coscienza italiana accenna a ridestarsi; e troverà dinanzi a sè un magnifico compito ».
M. Orza, del cui interessante opuscolo sul P. p. I. abbiamo già parlato, a proposito di apprezzamenti fatti dal nostro collaboratore Guglielmo Quadrotta, sul partito stesso, ritorna nel Carattere del 20 gennaio sullo stesso argomento con alcune vivaci osservazioni che i lettori faranno bene di leggere.
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Il Fat maoista del Giornale d’Italia del 6 gennaio commenta con molta simpatia per la nostra rivista, del che gli siam grati (parentesi a parte!) l'articolo del nostro Meillc « Perchè devono sfiorire le rose? » insorgendo giustamente contro quelle pseudo restaurazioni religiose che, distrutte razionalmente le basi della fede, vorrebbero far risorgere il cristianesimo su elementi pessimisti filosofici.
• ♦ •
Ci sembra interessante segnalare l'azione che svolge 1’« Associazione delle donne ebree per il lavoro di cultura in Palestina a a prò' della formazione di un tipo femminile ebraico in Palestina Secondo una corrispondenza da Roma oXV Israel, ciò si verrebbe effettuando ne! seguente modo.
Prima di tutto si vorrebbe vedere una donna ebrea attaccata al suolo, alle sorgenti della vita e alla base del possesso nazionale.. Questo senso di possesso nazionale non può essere acquistato che nella Palestina, dove la donna ebrea sarebbe in casa sua; c il solo tipo che può mettere radice nel suolo è quello di chi si senta parte della madre terra e di quella porzione che gli appartiene. La Lega delle donne ebree La creato una casa colonica Chincreth sul Lago di Galilea; educa una schiera di ragazze ebree che saranno il prototipo della futura donna ebrea.
Non è molto facile di trasformare la cittadina in contadina, poiché ciò è contrario all’ordine stabilito delle cose; ma quello che sembra impossibile altrove può riuscire nella Palestina, dove fi-ragazze ebree, per l’esempio dei giovani, si accingono a! lavoro nazionale con un ardore e uno spirito di sacrifizio che non può nascere se non dal più puro amore dell’ideale. Sarà privilegio della Lega sostenere, nutrire quest’ideale. Nel desiderio di creare industrie domestiche per le donne ebree della Palestina la Lega ha creato intanto un certo numero di scuole di merletti. E poiché questo tentativo è Stato ispirato dagli sforzi fatti dalla scuola di arti e mestieri e Be zak-1 > di Gerusalemme, per creare un’arte ebraica, jon c’è forse ragione di sperare che la buona stella che vegliò alla nascita del Bezalel sia star.-pure presente allorché da parte della Lega si iniziò l’industria dei merletti?
Se pensiamo aH'espcrienza secolare nella tessitura dei tappeti che diede alle donne dell’Asia Minore e della Persia un’abilità tradizionale in questo loro ramo, non dobbiamo aspettarci che la dònna ebrea della Palestina possa dare troppo presto la sua impronta speciale ai prodotti della sua mano; però i risultati ottenuti finora danno speranze di un bell’avvenire.
Nel Nuovo Convito del dicembre u. s. leggiamo due interessanti articoli lumeggiatiti l’anima ed il pensiero di due uomini la cui energia spirituale è uno dei massimi elementi delle energie culturali umane : Walt Whilman e Alfredo Óriani. Gli articoli sono dovuti a Luigi Gamberale e Giulio Urbini.
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Notizie importanti sul movimento femminile cattolico in Italia danno in Vita e Pensiero (20 novembre 1919) Agostino Gemelli c Francesco Olgiati.
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Nello stesso fascicolo della medesima rivista. E. Vercesi espone quanto è stato già fatto c quanto si dovrebbe fare per un riavvicinamento internazionale deicattolici.
• » ♦
Nel fascicolo del 20 dicembre della stessa rivista, A. Gemelli, sotto il titolo Nostalgie cristiane, studia la sete dell’ infinito, che si manifesta in molti scrittori contemporanei, nel Duhamcl, nello Psi-chari, nel Papini e nel Baumann. Segnaliamo l’articolo, riservandoci di ritornare sull'argomento.
• » ♦
Un nuovo articolo di Giovanni Papini nel Resto del Carlino, Non esistono cristiani ? in cui si propugna ancora il rovesciamento dei valori attuali a pro’ di quelli cristiani, viene a darci ragione in quel che dicemmo nel fascicolo ultimo del 1919, a proposito di un articolo di E. Buonaiuti — non essere stata mai l’Italia cristiana — laddove l’articolista sosteneva che in Italia più che altrove, il cristianesimo « fissò le sue più alte espressioni, artistiche, intellettuali e disciplinari ». Siamo perciò d’accordo col Papini.
Tolta dunque la parentesi francescana la storia del Vangelo in Italia è una storia di sconfitte — sconfitte tanto più grandi proprio quanto sembraron trionfi. La propagazione delle fondamentali verità cristiane nell'anima «Poggi ha dunque tutti i pericoli e tutte le attrazioni d’un’impresa assolutamente nuova. Nuova, sopratutto, quando si pensi che non si tratta ormai di scrivere parafrasi c commenti dei testi evangelici, ma di far entrare nello spirito degli uomini, e nella loro vita quotidiana, quelle verità che sono, dopo l’ultimo esperienze, le sole che possono salvare noi stessi e il mondo.
Non siamo invece d’accordo con la Nuova Libertà che giudicando l’articolo peggiore dell’altro, rimprovera al Papini di aver dimenticato la democrazia italiana come movimento - profondamente cristiano e cristianamente rinnovatore ». Si dimen
tica che questo, come il modernismo, fu movimento intellettualista e non « càrdie© », come direbbe l'Unamuno.
* * *
p'un’importantc scoperta rende conto il giornale arabo Al Abram. Nel Sudan fu trovato un cimitero rqgale risalente all’epoca del grande imperò etiopico. I monumenti rinvenutivi, ànno permesso di colmare la lacuna storica che dominava i! periodo di Tuhafa (668 a. Cr., — fine del se- • colo iv), durante il quale si sapeva solo che avevano regnato in Etiopia dei re, senza dati sul regno, la successione, ecc. Ora tutto è-stato chiarito e si sono avuti pure elementi che ci fanno conoscere lo svolgimento artistico del paese. Per effetto delle nuove scoperte, il re Ncstesia, non è contemporaneo di Cambise, ma visse due secoli dopo. (La Minerva, 39. 641).
• ♦ ♦
Contro la bassa media degli stipendi degl’insegnanti americani insorge la Nalion del 30 ottobre, dimostrando che gli aspiranti alla carriera dell’insegnamento diminuiscono ogni giorno più, per le infelici condizioni economiche loro fatte, sicché, vi è un reale pericolo che la scuola americana ne debba soffrire notevolmente. (La Minerva. 39. 707).
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A Giorgio Pollteo, di cui parlerà tra breve nella nostra rivista Erminio Troilo, dedica una breve nota A. Renda nel Nuovo Convito del novembre u. s.
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Nel numero del 30 dicembre u. s. de La Fiamma, il nostro chiaro collaboratore prof. Raffaele Corso con un breve, quanto vivace e interessante articolo, propugna la formazione di un museo di etnografia nazionale, mettendo in valore per gli studiosi e per il pubblico colto, la magnifica raccolta che Lamberto Loria à lasciato morendo, frutto delle sue pazienti e mirabili ricerche. E noi uniamo la nostra alla sua voce, perchè Arduino Colasanti compia finalmente questo antico voto di tanti studiosi e dia anche all’Italia quello che le manca, anche in quésto campo, per essere all’altezza di tante altre nazioni. Una sua recentissima circolare fa bene sperare sui suoi propositi, onde attendiamo di vederli presto concretati in fatti.
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Nella Revue de Théologie et de philosophie (luglio-ottobre 1919) Pierre Bovel studia l’origine del sentimento religioso invece che nelle specie, nell'individuo, venendo alla conclusione che più che di «divinizzare» i genitori, si tratterebbe di 0 paterni zzare » Dio e di vedere quindi nell'adorazione filiale il prototipo dei sentimenti religiosi e l'origine dei dogmi teologici. Il bambino amerebbe dapprima la madre, temerebbe il padre, quindi amore e timore pei- costui darebbero il rispetto — stadio intermedio —. Sorgerebbe infine la concezione di Dio e l’affetto per lui come di figlio a padre.
Anche in Francia la questione scolastica è... sul tappeto. Quelli dei nostri lettori che se ne occupano, faranno bene di leggere nella Revue des Jcunes del 25 dicembre u." s., l’articolo di Th. Mamage * L’esprit nouveau à l’école ».
Giustino Boson, nella nuova rivista valdostana Augusta Praetoria pubblica una singolare descrizione di Roma, fatta da un geografo arabo del xn sec. Isaac ben al--Husain. La breve descrizione, sinora inedita, à qualche tratto originale e non comune agli altri geografi che conosciamo: un accenno ad una colonna in S. Pietro, la • cui base di giacinto rosso risplende, tanto che là notte si vede; un altro accenno al taglio e distribuzione di capelli del papa, che è molto confuso nelle origini per poterne dare una spiegazione attendibile.
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Segnaliamo ncH’JHonc del 3 gennaio u.s. un bellissimo articolo del nostro egregio collaboratore Felice Momigliano sul ritorno di Ernesto Renan e nel numero del 31 gennaio un sunto della lezione Stato e Chiesa nella dottrina mazziniana, ultima delle conferenze assegnate all’on. professore Giuseppe Macaggi. Il corso di lezioni mazziniane sarà seguito e completato dal nostro collaboratore prof. Giuseppe Rensi.
NUOVE PUBBLICAZIONI (,)
IL Chossat, La guerre et la paix, d’après le droit naturel chrétien avec Préface par J. delà Prière. Bloud et Gay, Paris, 19'18, pag. 224.
Una delle tante pubblicazioni di carattere teologico che tendono a giustificare la posizione della Chiesa e del catìolicismo di fronte alla guerra e bandire quel risibilissimo verbo che è la guerra ■ giusta »!
M. Legendre, La paix prochaine et la Mission des Alliés. Bloud et Gay, Paris 1918, pag. 241.
Uno dei soliti libri che ormai à fatto il suo tempo. La pace è venuta e tutti i bei propositi di giustizia e di missione punitiva da’ parte degli alleati sono andati in fumo; la realtà si è manifestata tutt’altra.
(1) Delle opere meno importanti o non attinenti ai nostri studi, pervenute alla direzione, faremo cenno in questa rubrica dopo l’annuncio; delle altre, oltre l'indicazione in queste pagine, sarà dato ragguaglio nelle rassegne relative o in recensioni speciali.
Non sarebbe tempo di dimenticare adesso simili opere... d'occasione? *
E. Pessina, Cronografia francescana, Napoli, Tip. Vitale, 19x8, p. 35. L. 1.50.
Quadro cronologico della vita di S. Francesco, desunto dalle opere più note ed apprezzate: come tale è forse inutile, ma va segnalato perchè non à pretese-ed è francescanamente umile.
G. Del Vecchio, Effetti morali del terremoto in Calabria secóndo Francesco Mario Pagano, Bologna, Accad. scienze. Istituto (Estr.). p. 23. L. 2.
Interessante pubblicazione di uno scritto ormai dimenticato di Francesco Mario Pagano sugli effetti morali del terremoto Calabro del 1783,che il prof. Del Vecchio illustra confrontandolo con le esperienze purtroppo vive e recenti del terremoto del rqoS.
F. Del Greco, Sulla questione dell’assenza di « rimorso » nei delinquenti, Nocera Ini., p. 14- Estr.
Brevi note comprensive, con intenti sopratutto
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LETTURE ED APPUNTI
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pratici su una questione in parte già studiata, ma in parte ancor da sottoporre a diligenti ricerche.
F. Del Greco, Gli anormali del « pensiero » Bologna, p. 16. Estr.
Anche queste sono note f ugge voli e quasi riassuntive, ma ànno maggior ampiezza e maggior profondità delle precedenti: gli anormali del « pensiero > sono, studiati tanto nelle loro differenti specie, quanto nelle conseguenze della loro deviazione.
G. Le Bidois, L'honneur au miroir de nos lettres, Essai s de psyc balogie et. de morale, Paris, Lib. Garnicr Fr., 0.396. frs. 6..
G. Ballerini. Matrimonio e divorzio di fronte ai vecchi c nuovi divorzisti. 7* edizione. Milano, «Vita c Pensiero», 1919 (problemi femifi. voi. n. 2), p. So. L. 1.50.
Opuscolo divulgativo contro il divorzio. Non vi sono novità d’idee, ma chiarezza d’esposizione e convinzione radicata del male che farebl>c la progettata riforma del Codice. I principi da cui le conclusioni sono tratte sono principalmente dogmatici.
V. Zanolinf, Il vescovo di Trento e il governo austriaco durante la guerra europea, Milano,«Vita e Pensiero », 1919p. 274.L.5,50.
Meda, Storie brevi. Milano, «Vita e Pensiero». 1920, p. 170. L. 3.25.
Raccolta di conferenze, scritti, articoli già pubblicati in diverse date. Si rileggono con piacere, anche se non si dividano completamente le idee dell’egregio leader cattolico.
L. Rourc, Lo spiritismo davanti alla scienza e alla religione. Milano, «Vita c Pensiero». 1920, p. 375. L. 5,75 [cfr. p. 236^
B. Galbiati, Il cardinale di Milano. Milano, «Vita e Pensiero». 1920, p. 48. !.. 1,50.
G. Salvemini, La politica estera di Francesco Crispi (Quaderni deila «Voce», n. 36). Roma, «La Voce», 1920, p. 93. L. 3.
Note storiche interessanti, anche se non dispensino dal conoscer meglio e maggiormente la vita e la f jura di Crispi. Questi vi è abbassato di fronte alla opinione generale: ne e messa in luce l’impulsività e la debolezza diplomatica; ma quel che non si abbasserà mai nell'uomo di Stato siciliano è l’alto senso di patriottismo, che manca invece in politici e politicanti.
G. Salvemini, Il ministro della mala vita (Quaderni della «Voce», n. 34). Roma. « La Voce», 1919, p. 136. L. 3.
Seconda edizione' dell’or mai classico opuscolo
an ti gioii iti ano che, oltre ad essere una bella pagina di storia viva e recente, è una buona opera per la rinnovazione della nostra coscienza politica c dei nostri istituti parlamentari.
Il palio di Roma: scritti di G. Amendola, G. A. Borgese, U. Ojetti, A. Torre, cor. prefazione di Francesco Ruftìni (Quaderni della «Voce», n. 38). Roma, «La Voce», 1919.
P 154- L. 3,50..
Varrà per la storia: speriamo documenti la buona fede di coloro che vollero il patto di Roma, ma quel che non documenterà mai è la loro sapienza politica e il loro senso patriottico.
P. Jahier, Ragazzo (Quaderni della Voce numero 37). Roma, «La Voce». 1919,0.133, I- 3.50 [cfr. p. 237].
A. Kolpinska, / precursori della rivoluzione russa con un saggio su l’anima della Russia di N. Berdiaev c un’appendice su la Russia e il principio di nazionalità di U. Zanotti-Bianco (Coll. La Giovine Europa). Roma, « La Voce», 19x9. p. 271. L. 6.
U. Zanotti-Bianco-e A. Caffi, La pace dì Versailles, note e documenti (con 20 carte etnografiche e politiche). Roma, «La Voce». 19x9. p. 250. L. xo.
Lavoro di informazione ed orientamento sulle questioni che ànno condotto al trattato di Versailles e ne sono state provocate. Corredato di carte e di dati statistici recherà ottimo servizio a quanti vogliono essere informati di tutti i problemi che la guerra e la pace ànno sollevato, anche se tutte le idee degli autori non siano condivise.
Opuscoli dell'VaiTÀ, «La Voce», 19x9: nn. 1-5. La rappresentanza proporzionale * dell’avv. Boscolo -- Che cosa vogliamo -Il problema burocratico - A. De Viti de Marco, Problemi del dopo guerra - Capo-retto, di un cittadino veneto. Ciascuno lire 0,70.
Opuscoli brevi, ma non per ciò meno curati di opere anche voluminose e di autori illustri; ragguagliano i volonterosi dei maggiori problemi del momento e si raccomandano per la loro intrinseca bontà ed il loro mite prezzo.
M. Billia, Se le leggi economiche patiscano eccezione. Firenze, Estr. Atti Acc. Georgo-fili, 19x9, p. 15.
Breve memoria sul problema proposto dal titolo; esso viene risolto negativamente, anche se si ammetta che patiscano violenza per necessità d’ordine superiore.
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BttYCHNJS
/ progrom contro gli Ebrei in Russia e in Ungheria nelì'a. 1919. Roma, Tip. La Speranza, p. 23.
Questa terribile descrizione dei program contro gli Ebrei in Russia e in Ungheria nel 19x9, è veramente impressionante. Se è vera e gli Alleati non fanno nuli.-» per far cessare tali e tante carneficine, si à veramente la controprova contro tutte le ideologie che la guerra non è opera di giustizia, ma semplicemente di... interesse.
In memoria di Francesco Foni ari, Roma, P- 35Ìì un pietoso quanto degnissimo ricordo che la famiglia del compianto archeologo dedica agli amici, pubblicandone le necrologie, i discorsi tenuti ai suoi funerali, le commemorazioni e la lista delle pubblicazioni, e di ciò tutti le siamo grati. Sul testo, perciò, non abbiamo da fare che rimpianti, tanto più che la stima che avevamo per il giovane e valente studioso, per il modesto lavoratore, per il buon cittadino che tutti piangemmo e piangiamo ci vieta di criticare aspramente come vorremmo, le inopportune e false affermazioni di quanti delia sua memoria si servono per inscenare le solite proteste antitedeschc, divenute di moda anche dinanzi ai feretri!
Seminando in Italia - la Parola >. Roma. 1920, p. 19.
La benemerita Società biblica britannica e forestiera ci trasmet te questa relazione della sua opera, nel 1920. Le poche pagine che la contengono si leggono con piacere e con gusto e sono istruttive per la diffusione della Bibbia: chi desidera averle, non à che rivolgersi a piazza Venezia, «*.
G. Mondata, Nos indigènte niobi lisés. Paris. Sóc. Miss, évang., 1920, p. 148, fase. 3.
Interessante esposizione sugl’indigeni delle colonie francesi accorsi in aiuto della madre patria, dimostratisi in numero notevole « cristiani e cristiani protestanti » c veramente rigenerati dàll’evangelo. Il volumetto è ricco di illustrazioni c documenti.
A. Gossct, Une glorieuse mutilée, Notre Dame de Brebières, Albert (Somme).
Pubblicazione con disegni e fotoincisioni sulla chiesa di Albert, distrutta dai tedeschi, ed ora in via di risurrezione por mezzo delle offerte dei cattolici francesi. Si vende appunto a beneficio dell’opera di ricostruzione.
L’opera dell' Y. M. C. A. presso l'esercito italiano - Che cos'è la Y. M. C. A., ecc. Pubblicazioni di propaganda delia direzione generale della Y. M. C. A.
Opuscoli di propaganda che mettono in bella luce l'opera grandiosa e nobile svolta dalla Y. M. C. A. in Italia durante la guerra e quello che si propone di svolgere naxionalmcnte anche in seguito.
R. S. Pietas adversus Ecclesiam, lamentazióni di un laico. Torino, 1917, p. 40.
Opuscolo di critica a molte opere difettose o biasimevoli della Chiesa cattolica, con intenti di riforma amorevole e non di dissidenza.
.Vos sanctuaires dévastés. notes, photographies et statistiques réunies par A. Monod, pasteur. Paris, 1919, p. 42 (testo), p. 30 (illustrazioni) e 5 tav. statistiche. Frs. 3,50.
Questa pubblicazione oggettiva e documentaria che il Comitato d’unione protestante di Francia à edito, dimostra con le parole, con l’imagine e con le cifre i dolorosi e gravi danni che la Francia protestante à subito durante l’ultima guerra. Ne abbiamo tolto la tavola di questo fascicolo.
A. Valez, Nos pasteurs au feu. Comité prot. Français, 1920, p. 48.
Seconda lista delle perdite fatte dalla Francia protestante dal-19x4 al 19x9, con cenni biografici e ritratti de’ caduti, seguita da una lista generale e da una lista delle famiglie pastorali sacrificate.
Il Lettore.
ROCCO POLESE, gerente responsabile.
Roma - Tipografia dell'Unione Editrice - Via Federico Ceri,
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RII YCHNIS Rivista mensile di studi religiosi
*■»**■* < < 4 FONDATA NEL 1912 ► > ►
CRITICA BIBLICA STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA •> PEDAGOGIA FILOSOFIA RELIGIOSA MORALE QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL' ESTERO
REDAZIONE: Prof. LODOVICO PaSCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma. D. G. WHITTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 10; Per l’Estero, L. 15 ; Un fascicolo, L. 1,50 (Per gli Stati Uniti e per il Canada è autorizzato ad esigere gli abbonamenti il Rev. A. Di Domenica. B. D. Pastor, 1414 Caslle Ave, Phlladelphia. Pa. (U. S. A.)].
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Id. col Testimonio, rivista mensile delle chiese battista italiane, L. 13,50.
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Nel 1920 pubblicheremo, tra gli
P. E. Pavolini, La religione degli antichi Finni.
F. De Sarlo, L'opera filosofica e scientifica di E. Haeckel (con ritratto).
E. Troilo, La filosofia di Giorgio Politeo (con ritratto).
G. Lesca, Filosofia e religione nella poesia di G. Pascoli.
M. Rossi, Lutero.
A. De Stefano, La riforma religiosa di Arnaldo da Brescia.
Fr. Giulio, La filosofia di Benedetto Croce.
G. TUCCI, A proposito dei rapporti fra cristianesimo e buddismo.
A. Renda, Incompetenza della psicologia nello studio dei valori.
A. Renda. Le riduzioni dei valori.
A. Ch ¡appelli, La critica del Nuovo Testamento nel XX secolo.
C. Fornichi, Paul Deussen nella vita e nelle opere.
L. Salvatorelli, Lo Stato nel pensiero cristiano del II e III secolo.
Ci ànno pur assicurato il loro contributo
Tilgher, Dino Provenzal, A. Tagliatatela. Per la . ...... . », ,
concorso Fra Masseo da Pratoverde. G. Luzzi, A. Tagliatatela ed altri. Umberto Nani, partito recentemente per la Jugoslavia e la Czecoslovacchia, ci trasmetterà delle interessanti corrispondenze sul movimento religioso in quei paesi. _____
altri, i seguenti articoli:
G. Pioli, Uomini e cose d'Inghilterra (note).
— L'unità nelle scienze, in filosofia morale e religione.
P. Orano, / cattolici in Parlamento.
Il problema della scuola.
G. Costa, Il valore storico della « passio S. Fe-licioni ».
G. Rensi, Il Lavoro.
— La Storia.
M. Puglisi, Franz Brentano (con ritratto).
— I misteri pagani e il mistero cristiano.
U. Della Seta, Un riformatore: Senofane di Colofone.
A. VascONI, Una lettera inedita di Tancredi Canonico.
R. Pettazzoni, Il problema del zoroastrismo.
G. Levi della Vida, Recenti studi su Maometto e sulle origini dell'IsIam.
i proti. G. Levi della Vida, A. Calderini, Adriano cultura dell’anima ci anno promesso il loro
L'Amministrazione ricerca copie del fascicolo del febbraio 1919 che contraccambierà con pubblicazioni di sua edizione del valore di L. 2.
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ISTITUTO PER LA PROPAGANDA
-----------DELLA CULTURA ITALIANA-------------------------------Campidoglio, 5 - ROMA - Telefono 78-47
Presidente Onorario: IL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
Consiglio Direttivo
FERDINANDO MARTINI, Presidente — UBALDO COMANDIMI, Vice Presidente A. F. FORMIGGINI, Consigliere Delegato.
Commissione di Consulenza: Biagi - Cirincione • Cordino - Croce - Einaudi - Manzini
L’Istituto si propone di
intensificare in Italia e di far nota all'estero la vita intellettuale italiana;
favorire il sorgere e lo svilupparsi di librerie biblioteche, scuole librarie e d’arti grafiche;
promuovere traduzioni delle opere più rappresentative del pensiero italiano; istituire premi e borse di studio per scrittori, librai, artieri del libro;
diffondere largamente nel mondo le sue pubblicazioni, tradotte in più lingue, attuando con messi finora intentati un vastissimo piano, che, approvato da una commissione di eminenti personalità nominata dal Ministro dell’ Interno, avrebbe dovuto essere svolto sotto gli auspici del cessato Sottosegretariato per la propaganda all'Estero.
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Gli studenti, gli insegnanti di qualunque grado, le persone colte in generale, hanno l’obbligo morale e la massima utilità pratica a contribuire allo sviluppo di questa iniziativa che metterà in valore nel mondo il pensiero e il lavoro degli Italiani.
Gli industriali potranno fare annunzi sulla rivista e sulle altre pubblicazioni dell’istituto. Se poi disporranno che queste siano mandate in dono in loro nome alla loro clientela fruiranno di una speciale e gratuita pubblicità sulla copertina delle pubbicazioni stesse.
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