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ECO
DELLE VALU VALDESI
Siç. FEYROT Arturo
Via C. Cabella R2/5
16122 GENOVA
Sellimanale
della Chiesa Valdese
Anno 108 - Num. 13 j ABBQNAMENTI | L. 3.000 per l’interno Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70 1 TORRE PELLICE - 26 Marzo 1971
Una copia Lire 80 L. 4.000 per l’estero Cambio di indirizzo Lire 100 1 Amm.: Via Cavour 1 - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
L’EVANGELO E I SUOI FRUTTI
Forse non è inutile, dopo il commento di Gino Conte (intitolato L’Evangelo
e la realtà e pubblicato nel numero
scorso) all’articolo con cui ho mosso
certe obiezioni al volumetto del prof.
V. SUBILIA, L’Evangelo della contestazione, riprendere alcuni punti della
controversia, illustrarli di più e spiegarli meglio, nella speranza di riuscire
almeno a chiarire il nocciolo della questione e a individuare il vero motivo
dell'eventuale dissenso.
IUn primo rilievo critico di Gino
Conte nei confronti del mio arti* colo è questo; la « genericità » (da
me lamentata) dell’opera del prof. Subilia rispecchia quella dell’Evangelo;
dato che (come io stesso ho riconosciuto, e ora ribadisco) il discorso svolto
ne L’Evangelo della contestazione è fedele al messaggio evangelico, se si giudica (come ho giudicato) « generico » il
primo, si giudica per ciò stesso « generico » anche il secondo; dando del « generico » aH’opera del prof. Subilla dopo
averne ammesso la sostanziale fedeltà
all’Evangelo, in pratica si dà del « generico » all’Evangelo. Ma l’Evangelo
non è generico se non per gli increduli;
così pure non lo è il discorso de L’Evangelo della contestazione.
Rispondo con un’osservazione di carattere generale e un argomento di carattere specifico. L’osservazione di carattere generale è la seguente: In linea
di principio è abbastanza temerario accostare con tanta naturalezza e familiarità un discorso teologico qualsiasi
(ripeto: qualsiasi) con il discorso del
Nuovo Testamento. Gino Conte istituisce tra il discorso svolto ne L’Evangelo
della contestazione e quello del Nuovo
Testamento un rapporto così stretto
che i due discorsi finiscono per essere
considerati intercambiabili: si passa
dall’uno all’altro con grande facilità,
con troppa disinvoltura, come se fossero graiiüezz,c clic si rlcopiono a vicenda. A me pare che qui sarebbe stata
opportuna una maggiore moderazione,
un maggior senso della misura, una
più viva coscienza della distanza che
corre tra il Nuovo Testamento e noi
con le nostre teologie (di qualunque
tipo e orientamento). Con ciò non si
vuol dire che tutte le teologie si equivalgono, ma si vuol dire che nessuna
equivale al Nuovo Testamento. Neppure la migliore, la più fedele, la più
ispirata, la più illuminante delle teologie può mai essere equiparata o
scambiata, anche solo per analogia, col
Nuovo Testamento. Essere fedeli al
Nuovo Testamento non significa essere
uguali al Nuovo Testamento! Bisogna
vigilare su questo punto, perché certe
volte confondiamo fedeltà con identità
e supponendoci o anche essendo fedeli
all’Evangelo finiamo per immedesirnarci con esso. La nostra stessa ubbidienza può giocarci dei brutti tiri, creando
in noi l’illusione di essere una cosa
sola col Nuovo Testamento. Tutti sappiamo, invece, che ogni nostro discorso
teologico è solo una approssimazione,
un tentativo più o meno riuscito secondo la misura della sua fedeltà, ma comunque sempre e solo un discorso
umano da collocare non accanto ma
sotto il Nuovo Testamento, che resta
infinitamente più grande, più vero, più
giusto. Nessun discorso teologico esaurisce il discorso del Nuovo Testamento
e può quindi stare alla pari con esso.
Il Nuovo Testamento non ha confronti,
la sua posizione è unica. La teologia,
qualunque essa sia, appartiene a un
piano qualitativamente diverso, inferiore, secondario, umano, ecclesiastico,
mentre il Nuovo Testamento appartiene al piano della Parola di Dio e della
rivelazione.
Dopo questo invito alla vigilanza affinché la nostra buona coscienza teologica non ci induca in tentazione, ecco
l’argomento di carattere specifico. Io
ho obiettato a L’Evengelo della contestazione di essere « generico ». Conte
domanda: Ma come può essere considerato « generico » se risulta biblicamente fondato? Vorrebbe dire che
l’Evangelo stesso è «generico» — e
questo non può essere —. Difatti, non
può essere: il Nuovo Testamento non
è generico, al contrario è molto concreto, fin troppo! La sua concretezza
incute timore. Chi di noi non ha qualche volta provato un certo timore e
tremore di fronte alla concretezza del
Nuovo Testamento? Questa concretezza non m’è parsa di ritrovarla ne
CONFERENZA A TORRE PELLICE
Domenica 28 marzo, alle ore 16, presso la
Foresteria Valdese di Torre Pellice, il Prof.
Valdo Vinay terrà, nel quadro delle manifestazioni culturali curate dal Collegio Valdese,
una conferenza su : Ecclesiologia e etica politica nel pensiero di Giovanni Calvino.
L’Evangelo della contestazione, non
già per quel che vi si dice ma per quel
che non vi si dice e, a mio avviso, si
dovrebbe dire. La « genericità » dell’opera non dipende da quel che in essa
c’è, ma da quel che manca. Ciò che
essa dice è conforme alla Scrittura, ma
non dice abbastanza. Il discorso è biblico, ma si ferma a metà, resta come
sospeso. Nella Bibbia invece il discorso
non resta mai sospeso. La predicazione
dei profeti,-di Gesù e degli apostoli ha
proprio questa caratteristica: non lasciare l’uomo nell’incertezza sul da
farsi (anche e proprio quando non c’è
altro da fare che credere), indicargli
chiaramente il prossimo passo da compiere, rimuovere tutti i possibili alibi
al suo istinto di conservazione e alla
sua incredulità.
2 Gino Conte osserva che il Nuovo
Testamento non contiene alcun
* esempio di « contestazione strutturale ». L’Evangelo, dunque, contesta
rindividuo, non le strutture, il peccato
personale, non quello strutturale. O meglio: l’Evangelo contesta prima l’individuo, poi le strutture, e queste soltanto in maniera indiretta e mediata.
L’Evangelo contesta direttamente gli
individui e solo indirettamente le strutture. Supponiamo che sia così (il problema è intricatissimo e trattarlo ci
porterebbe lontano: Conte non ha torto in quel che dice, ma anche qui non
dice tutto quel che c’è da dire). Supponiamo dunque che l’Evangelo della
contestazione si rivolga alle singole persone e non anche direttamente alle
strutture. Bisogna allora trame le conseguenze sia sul piano dell’azione pubblica della Chiesa sia sul piano della
vita personale dei cristiani.
Su! piano dell’azione pubblica della
Chiesa, bisognerà rispondere a queste
domande; Stando alle indicazioni del
Nuovo Testamento, bisogna pensare
che la Chiesa ha un compito dì profezia politica ma non un compito di azione politica diretta? Ma può esserci profezia politica che non sfoci in una azione politica? Le questioni di giustizia e
libertà, che così spesso spesso si giocano proprio a livello di strutture, rientrano sì o no nella testimonianza verbale e pratica della Chiesa? La Chiesa
resterà fondamentalmente neutrale ri
spetto alle strutture politiche e sociali
esistenti (qualunque esse siano), non
per complicità ma per sostanziale disinteresse, dato che appartengono a
quel mondo vecchio che comunque «sta
passando via » (I Giov. 2, 17)? In effetti,
se l’Evangelo non promuove una contestazione diretta delle strutture inique
(oltreché dell’iniquità personale), non
si vede come la Chiesa possa evitare di
fungere — forse suo malgrado — da
strumento di conservazione politica.
Può darsi che così debba essere e che
la Chiesa, così facendo, non sia infedele al suo mandato. Il problema va
posto. Bisogna comunque essere consapevoli delle conseguenze di certe nostre posizioni. Se l’Evangelo contesta
l’uomo non bisogna dire che contesta
tutto, perché l’uomo non è tutto. Se
l’Evangelo contesta veramente tutto, allora contesta anche le strutture.
Sul piano della vita personale dei cristiani, non si possono eludere queste
domande: L’Evangelo contesta in primo luogo gli individui, d’accordo. Ma
chi sono questi individui, se non noi
che ci diamo il nome di cristiani? Lasciamo stare le strutture e facciamo
pure il discor.so personale che molti,
infastiditi dal gran parlare che oggi si
fa di strutture, dimostrano di preferire.
Ma allora: Dove sono gli uomini contestati e rivoluzionati dall’Evangelo? Dove siamo? Dove mi ha portato la contestazione dell’E vangelo? In che modo
l’Evangelo mi ha contestato e rivoluzionato? Quale rivolgimento ha portato
nella mia vita? Quali rotture? Quali novità? Latent sanati, diceva Lutero, cioè:
i credenti non sono evidenti, e aveva
ragione. Ma Gesù ha anche parlato di
una città che non può rimanere nascosta e di buone opeie dei suoi discepoli
che gli uomini devono vedere per poter
glorificare Iddio,
3 Secondo Ginoj Conte, io non mi
sarei reso cìì.ìo di formulare i
* miei rilievi in modo tale da « lasciare l’impressione che la verità evangelica acquisti peso e realtà... nella misura in cui si precisa e si realizza storicamente, nella misura in cui prende
forma nelle nostre azioni e nelle nostre
strutture e ristrutturazioni ». Ma chi
ha detto questo? Le impressioni possono essere tante, ma non contano le
impressioni bensì le affermazioni. E le
affermazioni erano e sono queste: che
la verità evangelica non ha da acquistare più peso e realtà di quanto già
non ne abbia. Ne ha già abbastanza!
La verità evangelica ha peso ed è realtà. Siamo noi che non abbiamo né peso
cristiano né realtà cristiana! Siamo noi
che dobbiamo acquistare peso e realtà!
Questo io ho detto: non che VEvangelo
è astratto e noi concreti, ma che l’Evangelo è concreto e noi astratti; l’Evangelo acquista peso e realtà nella misura in cui lo realizzo storicamente ma che iò acquisto peso e realtà nella misura in cui metto in pratica (sempre imperfettamente) l’Evangelo. Ma se non appena si sussurrano
queste cose e si mette avanti l’esigenza
che la Chiesa acquisti peso e realtà,
cioè che lasci veramente che il peso e
la realtà dell’Evangelo determini la sua
esistenza, subito ci si sente rinfacciare
di voler « mutare la fede in visione » o
affermare « il primato della nostra
prassi » — allora vien voglia di tacere
e andare avanti come prima.
« Il primato della nostra prassi », dice Gino Conte. Ma quale prassi? Quale
primato? È proprio questo il primato
che affligge le nostre chiese (oltre a
quello — che però non ci turba — del
pontefice romano)? Q non sarà il primato opposto, e cioè quello della nonprassi, il primato del poco o nulla che
facciamo sia per evangelizzare sia combattere qualche bella battaglia umana
e cristiana (ce ne sono!)?
Quanto alla « pretesa di mutare la
fede in visione », forse che Gesù pretendeva di mutare la fede in visione quando cercava frutto da un certo fico
(Luca 13: 6-9)? Non si tratta di mutar
la fede in visione, ma di mutarla in
opere! Forse che per non mutare la
fede in visione bisogna essere del
tutto sterili? È un mutare la fede
in visione interrogarsi intorno ai frutti dell’ Evangelo — e per il problema che ci interessa: interrogarsi intorno ai frutti dell’Evangelo della contestazione? L’albero non lo si riconosce
forse dai frutti? È o non è cristianamente lecito porre il problema dei frutti dell’Evangelo della contestazione? Se
io Tho posto male, lo si ponga meglio.
Ma lo si ponga!
Paolo Ricca
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiiiiMiiiiiiiiiiiimmiiimiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
«Populorum progressio», Beirut, Uppsala:*tre testi ecumenici presentati e valutati da André Biéler
Una politica della speranza
Le pesanti responsabilità delle Chiese e dei credenti che devono uscire dal
loro provincialismo per realizzare l’univer.salità dell’uomo voluta da Cristo
Il prof. André Biéler, delle facoltà
di teologia di Ginevra e di Losanna,
è anche un noto sociologo, i cui studi
sul pensiero economico e sociale di
Calvino sono conosciuti a livello internazionale.
Egli, per valutare — su richiesta dell’associazione dei seminari di teologia
evangelici del Brasile — « la vocazione dell’uomo nella nuova società planetaria », esamina tre grandi testi ecumenici del nostro tempo e precisamente l’enciclica papale « Populorum
progressio » del 1967, il Rapporto della Conferenza ecumenica sulla Cooperazione mondiale per lo sviluppo, che
ha avuto luogo a Beirut nel 1968 ed
infine il Rapporto della IV Assemblea
di Uppsala del Consiglio Ecumenico
delle Chiese, del luglio 1968.
Ne è venuto un libro dal titolo Une
politique de l’espérance edito in francese da « Labor et fìdes » nel 1970, con
prefazione di Helder Camara, il vescovo del Nordeste brasiliano.
Il nostro scopo, oltre a quello di darne qualche breve e assai lacunoso cenno, è quello di farne conoscere l’esistenza a tutte le comunità, ai singoli
credenti ed ai vari responsabili; si
tratta di una pubblicazione che si inquadra in modo particolarmente efficace per chiarire alle Chiese ed ai credenti i grandi problemi umani e, allo
stesso tempo, per invitarli perentoriamente a interrogarsi « con un autentico realismo spoglio di ogni compiacenza speculativa ».
Il nostro sinodo ha votato all’unanimità la creazione di un fondo di solidarietà che testimoni la partecipazione della Chiesa agli sforzi che vengono
compiuti dal Cec nei riguardi del Terzo Mondo: questo libro costituisce
una utile base per tutti coloro che
« desiderano farsi rinnovare del continuo dalla potenza del Cristo e dal
Suo Spirito Santo da una parte, e dalla realtà dinamica della storia dall’altra ».
I testi consultati rivelano certamente aspetti e atteggiamenti contraddittori, ma Biéler in questo caso ha lasciato deliberatamente da parte ciò
che li contrappone per sottolineare la
urgenza che deve accomunare non solo
i cristiani, ma gli aderenti ad altre religioni e i « laici » allo scopo di dare
un senso alle parole « umanità » e
« fratellanza universale ».
Il Nuovo Testamento precisa quanto l’Antico proclama e cioè che tutta
la creazione e tutta la storia hanno
un’origine, un centro ed una fine: queste fasi ci sono rivelate dall’esistenza
eterna di Dio e dalla sua incarnazione
storica, il Cristo. Egli stesso è il compimento perfetto dell’amore di Dio per
tutti i popoli. All’azione creatrice di
Dio deve rispondere quella partecipe
e a sua volta creatrice delTuomo. Questo costituisce il risveglio dell’uomo
nei riguardi della propria identità, il
compimento della propria umanità: è
insomma la ri.sposta che egli dà a questa vocazione e che fa di lui un uomo
responsabile. Se l’uomo ricerca del
continuo la comunione col Cristo, si
assicura la piena padronanza di una
vera umanità. Ne deriva che lo sviluppo di un solo uomo non è concepibile
senza lo sviluppo di tutti gli altri.
II compito dell’uomo del XX secolo
è quello di sviluppare e di condividere
le ricchezze del mondo affinché tutti
possano beneficiarne c raggiungere la
loro piena statura di uomini. È per
questo che Dio ha affidato all’uomo il
compito grandioso di dominare e assoggettare la natura, a favore dello sviluppo solidale di tutti gli uomini.
Quando la Bibbia dice che Dio ha crea
to l’uomo a sua immagine, è chiaro
che la cosa implica la dominazione
delTuomo sulla natura, ma una dominazione vicariale, assoggettata ai disegni di Dio. In altri termini, il vero sviluppo non consiste nella cultura e nelle ricchezze egoistiche amate per sé
stesse, ma in tutta l’attività umana ed
economica posta al servizio delTuomo.
Per la prima volta nella storia, mercé le nuove possibilità della tecnica,
gli uomini possono considerare l’unità
dell’umanità come una realtà e rivestirsi quindi di una responsabilità collettiva, di ordine politico. Naturalmente la cosa, oltre che per i singoli individui, è altrettanto valevole per i gruppi sociali e per le nazioni. Qggi però i
centri di potere socio-economici, sia alTQvest che all’Est, non sono ancora
controllati dai popoli.
Ad esempio, contro la volontà dei
popoli, vi è ben più denaro disponibile per la guerra e per la sua preparazione, per la conquista dello spazio
che non per la lotta contro la miseria,
contro l’analfabetismo, contro il sottosviluppo, L’uomo stesso è sempre più
manipolato e, da schiavo della natura
qual’era all’inizio, è diventato schiavo
delle società industriali e stanca preda della civiltà dei consumi. Così dicasi per gli altri poteri delTuomo, a
carattere politico e sociale: si sono
corrotti tutti per cui, invece di essere
usati al servizio altrui, servono per
l'altrui sfruttamento. Si tratta di una
vera e propria violenza istituzionalizzata cui si contrappone la violenza rivoluzionaria; sono i flagelli più estesi
nel nostro mondo su tutti i continenti.
Fattori di violenza sono il razzismo,
il nazionalismo, la corsa agli armamenti, i malgoverni, la procreazione
Pierre
(continua a pag. 3)
Dopo Ì3 amai d’interruzione
Riprendono nella Germania
Orientale i rapporti
officiali Stato-Chiese
Berlino-Est (epd) - Dopo un’interruzione di quasi tredici anni, il governo
della Repubblica Democratica Tedesca
(DDR) ha ripreso i rapporti ufficiali con
la rappresentanza generale delle Chiese
evangeliche. Il segretario di Stato per
gli affari ecclesiastici, Seigeswasser, ha
ricevuto il Comitato direttivo della Federazione delle Chiese evangeliche nella DDR, costituita un anno e mezzo fa
(cioè dopo la separazione dal ramo occidentale della Chiesa evangelica in
Germania, TEKD). Secondo un dispaccio dell’agenzia ufficiale ADN, si sono
presi accordi per ulteriori incontri.
Non vengono comunicati particolari
circa il contenuto di questo primo incontro; viene detto soltanto che il presidente della Federazione, il vescovo
Schònherr, ha preso posizione « sui
compiti e sugli scopi della Federazione
delle Chiese evangeliche nella DDR e
su alcuni problemi importanti della vita delle Chiese nella società socialista »,
mentre il Seigeswasser ha illustrato
« il contenuto umanista della politica
interna ed estera della DDR, tesa alla
pace e al socialismo, come pure questioni relative alla responsabilità comune
di marxisti e cristiani nell’edificazione
della società socialista ».
Gli ultimi rapporti ufficiali fra il governo della DDR e rappresentanti accreditati delle Chiese evangeliche nella
DDR risalgono al 1958. In seguito la
segreteria di Stato per gli affari ecclesiastici si era limitata a rapporti diretti con alcune direzioni ecclesiastiche e
aveva evitato di riconoscere una rappresentanza ecclesiastica generale.
Insuperabili i contrasti
ideologici, riconoscono
cristiani e marxisti ma la
collaborazione resta necessaria
Greifswald (epd) - Secondo una relazione, pubblicata dal quotidiano tedesco orientale « Neues Deutschland », su
un colloquio fra il vescovo evangelico
di Greifswald, Friedrich Wilhelm Krummacher e il segretario di stato della Repubblica Democratica Tedesca (DDR),
Seigeswasser, il Krummacher ha definito insuperabili i contrasti ideologici
fra cristiani e marxisti. Tuttavia, malgrado questa realtà, gli uni e gli altri
sono responsabili della edificazione sociale ed economica, della pace e della
giustizia. Perché questa collaborazione
sia fruttuosa è necessario che gli uni e
gli altri tengano reciprocamente conto
dei presupposti fondamentali dai quali partono. Il vescovo Krummacher ha
ricordato che da parte marxista si è
garantito ai cristiani che essi avrebbero
il loro posto « nel nostro Stato socialista, nell’edificazione del nostro ordinamento economico e politico, nella comunità umana ».
Da parte sua il segretario di Stato
Seigeswasser ha ricordato che nella società socialista si richiede a tutti la disponibilità alla collaborazione, alla pianificazione comune e alla corresponsabilità di governo.
A quest’incontro fra Krummacher e
Seigeswasser hanno preso parte pure
membri delle direzioni ecclesiastiche e
pastori delle Chiese evangeliche nazionali di Greifswald e del Mecklemburgo,
come pure rappresentanti delle Chiese
evangeliche libere e un portavoce dei
vecchio-cattolici.
iiiimiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiimiiiiiiiiiiMi
I luterani sudafricani chiedano
Un convegno sui diritti
deii’uomo
Johannesburg (bip) - Nel corso dell’assemblea biennale della Federazione
delle Chiese evangeliche luterane nell’Africa Australe è stata decisa la convocazione di un convegno sui diritti
delTuomo, nell’ottobre prossimo.
Durante la prima visita ufficiale di
un segretario generale della Federazione luterana mondiale (FLM) in questa
parte del continente nero, il past. André Appel ha riferito, nel corso della
riunione di tre giorni a Johannesburg,
circa le decisioni prese dalla FLM nella
sua assemblea di Évian-les-Bains, la
scorsa estate. Egli ha precisato che in
modo specialissimo l’assemblea ha chiamato le 82 Chiese membro a prendere
posizione in merito ai diritti delTuomo,
a studiare con urgenza il problema razziale delle minoranze sociali e a garantire la comunità ecclesiastica multirazziale.
2
pag. Z
N. 13 — 26 marzo 1971
L’ATTUALITA’ TEOLOGICA
Glowpnni mieGGe, uomo di PRoniieRR
in margine al processo a un obiettore di coscienza
2 - Una teologia di livello accademico Lesegesi di Romani 13
secondo studenti in teologia di Zurigo
incarnata nelle comunità
Giovanni Miegge è stato, più che un
accademico, un uomo di chiesa. Se si
facesse un bilancio delle sue pubblicazioni, la mole delle pagine ad uso delle comunità sarebbe di gran lunga
maggiore di quelle di livello universitario. Anche queste ultime, poi, sono
scritte in un linguaggio vivo ed accessibile anche ai non specialisti. Questo
dono è tutt’altro che frequente. Se
Miegge non l’avesse avuto non sarebbe
forse neanche riuscito a scrivere gli innumerevoli articoli sui giornali della
chiesa, né gli opuscoli di attualità degli anni '40, né i catechismi e i testi
per Tistruzione religiosa, né il Dizionario Biblico, ora ripubblicato da Feltrinelli, a .cui ha dato la sua opera paziente di coordinamento senza la quale
difficilmente avrebbe potuto veder la
luce; e nemmeno — chi lo sapeva? —
i due opuscoletti contenenti racconti
per bambini: « Il campanaro » e « La
casa distrutta ».
Vorremmo, però, presentare alcuni
aspetti della sua teologia ricorrendo
ad opere scientifiche, per mostrare come, anche in quelle, le comunità coi
loro problemi fossero il principale destinatario del lavoro di Miegge.
Fede cristiana
e spiritualismo
Questo problema fa subito correre il
pensiero di chi ha conosciuto Miegge
all’opuscolo su Protestantesimo e spiritualismo del 1941, in cui si allaccia
un dialogo col filosofo Piero Martinetti. Non è inutile ricordare, anche se la
Claudiana ha ripubblicato lo scritto
nella Piccola Collana Moderna, le differenze che Miegge sottolinea fra protestantesimo e spiritualismo, appunto,
in questo e in altri scritti: il protestantesimo conosce Dio come Signore che
si rivela, in un momento preciso della
storia, nella persona del suo Figliolo;
10 sniritualismo conosce Dio attraverso l’intuizione umana di un essere supremo, di natura spirituale, il quale
non interviene nella storia ma nella
coscienza, dandole uno slancio mistico, per il quale sono utili gli insegnamenti di Gesù, ma non la sua persona,
e attraverso il quale l’anima si sente
in comunione^ con la divinità. Nel protestantesimo si crede nel contesto della chiesa; nello spiritualismo ognuno
può credere per conto suo. La chiesa
ha una sua organizzazione giuridica e
un culto; la coscienza spiritualista può
esprimersi anche senza culto né regole riconosciute .
Si potrebbe pensare che questo discorso avesse un puro interesse dottrinale e scientifico, ma che passasse
sopra la tesffi delle chiese. Invece, no.
Sappiamo tutti quale componente esista anche oggi nella fede di non pochi
membri di chiesa, che si può avvicinare a una visione più o meno rudimentalmente spiritualista. Miegge dedica,
pure nel 1941, un opuscolo, di impostazione affine a quella dello studio su
Martinetti e lo spiritualismo filosofico, ai credenti spiritualisteggianti delle comunità. Timidi credenti è il titolo
dell’opuscolo e la qualifica data a chi
non si sente di accettare integralmente la rivelazione biblica del Signore
Gesù Cristo e accoglie il pastore in
visita dicendo che magari va poco al
culto, ma crede in Dio più di tanti che
ci vanno.
In altra occasione, poi, scrivendo
Per una fede nel 1952 (un anno assai
denso di produzione per Miegge: quasi l’anno d’oro in mezzo al decennio
d’oro ’46-'57 in cui escono tutte le pubblicazioni di maggior impegno dal Lutero al Dizionario Biblico), egli noterà
che il messaggio cristiano non è solo
un messaggio di valori spirituali: irriducibilità della vita dello spirito a
quella fisiologica, assoluta esigenza
morale, interiorità della coscienza, autonomia della cultura, del linguaggio,
dell’arte, della fede. È altresì un messaggio che respinge i lati negativi dello spiritualismo come la fuga dal mondo e dalla lotta contro i mali concreti,
anche quando sono del prossimo (o
soprattutto!).
L’opposizione fra protestantesimo e
spiritualismo porta, dunque, ancora
una volta, Miegge nella lotta ai residui
di protestantesimo liberale e di illuminismo presenti nelle comunità valdesi.
La demitologizzazione
del Nuovo Testamento
C’è, però, nelle comunità, anche il
pericolo opposto di considerare la
Bibbia e soprattutto il Nuovo Testamento come un tutto uniforme, infallibile e indiscutibile. In risposta a questa tendenza, ugualmente ancora presente nel nostro tempo, Miegge pubblica nel '56 il volume L’Evangelo e il
mito nel pensiero di Rudolf Biiltmann,
con un’analisi assai più equilibrata di
tante altre pur venute più tardi.
È noto che « dcmitologizzare il Nuovo Testamento » vuol dire esprimerne
11 contenuto senza ricorrere all’immagine del mondo a tre piani: cieli, terra e acque sotto la terra, che avevano
gli antichi; immagine dietro alla qua
le stavano pure tutte le creature mitologiche di cui la Bibbia non nega
resistenza ma solo l’indipendenza da
Dio. Bultmann ritiene che la categoria
sulla base della quale si può superare
questo linguaggio è quella dell’appello
alla decisione che ci viene dal Nuovo
Testamento. Il discorso di Miegge è
lungo e complesso — si tratta forse,
qui, del libro più difficile che abbia
scritto —. Ci sembra di poter riassurnere la sua posizione nei seguenti punti: 1) l’esigenza della demitologizzazione è reale e non può essere vista come
l’inizio di una demolizione sacrilega di
tutto il messaggio cristiano; le difficoltà che hanno molti uomini moderni
nell’accettarlo sono spesso dovute alla
sua formulazione in parte mitica più
che alla sua essenza; 2) tuttavia non si
può coinvolgere tutto il messaggio in
questo lavoro teologico: la morte e la
risurrezione di Cristo non sono demitologizzabili; 3) non ci si può nemmeno illudere di compiere la demitologizzazione una volta per tutte: oggi ci sono altri miti, più comprensibili, dei
quali occorre servirsi per farsi capire:
anche questi domani tramonteranno;
4) l’appello alla decisione è un’esigenza non eludibile del Nuovo Testamento; ma è necessario altrettanto riconoscere Chi rivolge l’appello. Forzando un po’, possiamo forse dire che la
demitologizpzione ci deve far riconoscere il Cristo più che l’appello alla
decisione.
Il problema della demitologizzazione
è dunque innnanzitutto un problema
di predicazione; lo stesso saggio del
Miegge si presenta come tentativo di
predicazione all’esterno delle nostre
chiese ed è pubblicato non dalla Claudiana per i pastori valdesi, ma da Comunità per la cultura laica italiana,
come già Per una fede.
L'Evangelo e la notura
Fra i vari aspetti del pensiero teologico di Miegge vorremmo ancora sottolineare la sua sensibilità per il problema della natura che ci circonda.
Dobbiamo dire che questo è praticamente ignorato dalla predicazione protestante, in cui si parla molto di Dio.
dell’uomo e dei loro rapporti (peccato,
redenzione, ravvedimento, rapporti
umani ecc.), ma si ignora tranquillamente che l’uomo vive in mezzo ad una
natura di cui si dice semplicemente
che è stata creata: Genesi 1. Ma sembra che dalla creazione ad oggi il creato abbia solo la funzione di mezzo per
soddisfare i bisogni terrestri dell’uomo,
ma non c’entri più per niente coi problemi della fede.
Nel suo ultimo culto radio .Miegge
ringraziava Iddio in preghiera « per
l’immensità dei mari, per la maestà dei
monti, per la pace dei campi e dei boschi » (era il 6 agosto 1961; culto trasmesso postumo, centrato sull’inizio
delle ferie). Una simile preghiera è piuttosto infrequente nei nostri culti.
Il creato non sta a dimostrare resistenza di Dio come voleva la teologia
naturale cattolica. Ma i contadini vaidesi vivono la loro fede legati alla terra. Non si può ignorare la terra, dunque. Sono del 194Í: l’anno degli opusco
li, due di questi sul problema: L'eredità dei padri e Sotto il sole, come pure
un articolo de « La Luce » su L’unità
della vita: l’uomo è legato alla natura
perché come conseguenza del peccato,
anch’essa « geme ed è in travaglio »
(Rom. 8: 22); ed aspetta, altresì, la
redenzione,
I rapporti dell’uomo con la natura
sono regolati da una precisa impostazione teologica. Ad esempio il dominio
dato da Dio sugli animali è lontano
dalla comunione con loro espressa dalle religioni che ne vietano Tabbattirnento e comandano un regime vegetariano, ma anche dal disprezzo e dalTindilferenza occidentale moderna verso
quelli da macellazione. È Dio che è
padrone degli animali, non l’uomo, se
non in via subordinata. La macellazione è una conseguenza della caduta.
Il regime di Genesi 1 è vegetariano.
Ma anche la natura nel suo insieme:
piante e minerali, o l’universo intero,
hanno un loro posto specifico nel contesto del Patto e dei rapporti di Dio
con gli uomini. Hanno un loro valore,
sono stati creati « buoni »; non è possibile una svalutazione del mondo che
ritenga l’uomo come unico essere valido e razionale sulla terra. Ma sono
stati creati: non sono di natura divina;
le forze dell’universo sono sottoposte
a Dio. Questo vale anche per il problema del male e della sofferenza. La
voce di Dio è più forte: « Basta che
usciamo dalla vita artificiale delle nostre città, basta che ci abbandoniamo
al fascino di una pura mattina di primavera, o alla pace di un pomeriggio
autunnale, perché sentiamo risorgere
in noi, da insondabili profondità la biblica allegrezza per la magnificenza delle opere di Dio. Anche la morte, sempre in agguato dietro ogni cespuglio, si
cela pudicamente, per non turbare
l’inno alla vita che risuona in ogni stormire di fronda, in ogni mormorio di
ruscello, in ogni canto di giovane innamorato. Percepire quest’inno alla vita
non è segno di minore sapienza, che
tendere l’orecchio, con morbosa esclusività, al gemito della morte che gli fa
da grave, ma non indegno contrappunto » (Per una fede, pag. 156).
In questa creazione l’uomo è stato
chiamato a esercitare la sua sovranità
per conto di Dio. Questo pensiero è
piuttosto inquietante che confortante.
Infatti « l’opera di reazionalizzazione
compiuta delTuomo nel mondo, con la
distruzione spietata di intere specie di
animali, la sterilizzazione di immense
plaghe boschive, lo sperpero delle riserve di combustibile accumulate durante le epoche geologiche, è troppo simile al gioco spensierato e crudele di
un cattivo fanciullo, o alla fatua prodigalità di un arricchito, perché possa
ispirare fiducia» (ivi, pag. 161).
L’uomo, dunque, è forse lo scopo, ma
non la speranza delia creazione. La sua
speranza è la redenzione, in cui molti
problemi angosciosi si chiarificano o,
per lo meno, perdono la tragicità del
presente, cedendo il posto ad un tranquillo ottimismo, ispirato all’attesa del
giorno in cui, come al principio, l’Iddio
di Gesù Cristo sarà ogni cosa in tutti.
M. C. Tron
iiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiniiinmiii iiiiiiiiimmiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiimimimiiniuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiim
Meditando la Fede, all’avvicinarsi della Pasqua
Immortalità o resurrezione?
La Claudiana publdica. per la Piccola collana teologica, uno studio del prof. Menoud dell'Università di Neuchâtel sulPimmortalità delTanima concezione greco-pagana, e sulla resurrezione. promessa e speranza donataci in Cristo. Dice il prof. Menoud nella prefazione del
suo libro: «Za speranza cristiana nella resurrezione dei morti non è né la formulazione religiosa delVidea filosofica che Vanima e immortale. né la credenza nella semplice rivivificazione dei cadaveri sotterrati, ma è la certezza del credente che la comunione con il Cristo. iniziata nella presente esistenza, raggiungerà la sua pienezza nel regno di Dio ». L’idea
deirimmortalità delLanima e la fede nella resurrezione dei morti .sono due concezioni assolutamente diverse, tra le quali bisogna operare
una scelta: n la fede e la speranza cristiana
sono fondate su Gesù Cristo, morto e risorto,
i l quanto la sua resurrezione annuncia e garantisce quella di coloro che credono in lui;
questa è runica e sufficiente consolazione delVEvangelo. ed é una consolazione in Cristo ».
Lo studio del }>rof. Menoud si articola in
tre capitoli principali: 1) l’immortalità dell'aniina. cioè la speranza greca: 2) la resurrezione della carne, cioè la speranza ebraica: 3)
la resurrezione della persona, cioè la .‘speranza cristiana. F/gli mette a confronto il pensiero greco e il pensiero del Nuovo Testamento,
secondo il quale coloro che si sono addormentati nella pace dì Cristo attendono, in comunione con lui. che Egli li ri.suscili nel giorno
glorio.so del suo avvento: jiarla di che cosa
significhi la resurrezione con Cristo, dello stato intermedio di attesa tra la morte e la resurrezione finale, della sorte dei non credenti,
fondandosi esclusivamente sulle parole di Gesù e su passi delle epistole di Paolo.
« Se C'è una fede, una speranza ed una con
solazione per gli uomini, è perché Cristo li ha
amati sin dalla fondazione del mondo, — scrive il prof. Menoud nella conclusione del suo
studio — è disceso per amore sino alla loro
miseria per donare loro la vita, li rivestirà di
un corpo nuovo ad immagine del suo corpo di
gloria )).
Qualche anno fa sul nostro giornale era apparso un dibattito sulla questione della resurrezione dei morti, sulTinimorlalità deU’anima,
sulla sorte dei credenti oltre la tomba, dal
quale era emersa una notevole confusione di
idee in proposito nella mente dei credenti del
giorno d’oggi. La lettura di questo libretto sereno lineare e strettamente evangelico è atta
a chiarire le nostre idee e a renderci fermi nella speranza della resurrezione in Cristo, senza
vagaliondare paganeggiando. Come ben si esprime il prof. Menoud: « è strano che la certezza della resurrezione, così chiaramente espressa nel Nuovo Testamento, sia stala soppiantata ai nostri giorni da tante idee vaghe, e confuse: accade così che si prodigano frasi banali
e vane anziché predicare la consolazione efficace che è in Gesù Cristo: Io sono la resurrezione e la vita, chi crede in me anche se
muoia vivrà, c chiunque vive e crede in me
non morrà mai ».
NelTavvieinarsi della Pa.'^qua ognuno potrel>l)C rimeditare con coscienza e profondità
la propria fede seguendo le pagine di questo
opuscolo illuminante, che ci riporla al centro,
al cuore stes.so delTEvangelo: e forse allora la
grande festa cristiana avrebl>e per noi veramente tutto il suo incommensurabile valore.
Edina Rìbet
PtituppE H. Me.noud - Dopo la morie: immortalità o resurrezione?, Claudiana. Torino 1970. p. 72. L. 600.
Recentemente V« Evangelischer Pressedienst » (epd), il servizio stampa protestante svizzero, ha pubblicato due documenti interessanti: il primo è la
<< lettera aperta >> che 89 studenti della
Facolta di teologia dell’Università di
¿ungo e sei assistenti della medesima
hanno inviato alla VI sezione giudiziaria di Zurigo, e alla stampa, in seguito
al processo contro un obiettore di coscienza; ecco il testo di questa « lettera
aperta »:
Il 27 gennaio 1971 si è tenuto, dinanzi alla Sezione 6 del Tribunale di Zurigo, un processo contro un obiettore di coscienza. Nella sentenza il giudice ha opposto agli argomenti delroccLisato il testo neotestamentario
Romani 13: 1-7, i cui primi versetti
suonano: « Ogni persona sia sottoposta alle autorità superiori; perché non
V è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono sono ordinate da Dio:
sicché chi resìste all’autorità, si oppone all’ordine di Dio... ».
Siccome i partecipanti a un seminario di Nuovo Testamento, all’Università di Zurigo, lo stesso giorno si sono
occupati del medesimo testo, si vedono indotti a prendere posizione circa
l’utilizzazione di questo testo in un
processo militare.
Nel testo è detto che ogni autorità
e da Dio. Quale detentore di una posizione di potere statale, quale regime
totalitario non ode con piacere una
simile affermazione? Secondo Paolo
anche il governo moscovita è un’autorità divina, un governo che opprime le
minoranze religiose nel proprio territorio e tiene schiavi militarmente altri popoli. Anche il governo di Atene,
che calpesta i diritti dell’uomo e recentemente ha espulso dal paese la
Croce Rossa Internazionale, può richiamarsi a questo testo per affermare di avere un’investitura divina; e ciò
vale pure per il governo spagnolo, che
vuol ridurre alla ’ragione’ con i mezzi
brutali di una dittatura poliziesca una
minoranza etnica.
Di fronte a questi regimi totalitari,
ci mette in netto disagio il pensiero
che siano tutti « da Dio ». Anche le
esperienze storiche ci inducono a porci la domanda se anche il regime hitleriano e la monarchia assoluta di diritto divino in Francia sono stati « da
Dio ». Ma allora, tutti coloro che in
quanto cristiani hanno opposto resistenza, hanno agito contro un ordinamento divino? Non hanno invece agito appunto come cristiani, coloro che
hanno considerato la resistenza come
un dovere?
Vediamo quindi dalla storia che deve essere considerata estremamente
problematica l’esigenza posta da Paolo quando chiede di considerare ogni
autorità come divinamente legittimata, e altrettanto problematico e pericoloso risulta il fatto che un rappresentante dell’autorità politica si valga oggi di questo testo in una sentenza.
Queste considerazioni sono confermate se consideriamo il testo da un
punto di vista teologico. Esso è una
istruzione etica alla comunità, come
ne troviamo nel Nuovo Testamento anche in riferimento ad altri aspetti della vita e della comunità. Sarà illuminante una breve osservazione di queste istruzioni.
Ad es. nella prima epistola ai Corinzi (11: 3-10) Paolo si esprime sui rapporti fra uomini e donne nell’ambito
del culto e scrive: « Voglio che sappiate che il capo di ogni uomo è Cristo,
che il capo della donna è l’uomo... ogni
donna che prega o profetizza senza
avere il capo coperto da un velo, fa disonore al suo capo... Quanto all’uomo,
egli non deve velarsi il capo, essendo
immagine e gloria di Dio; ma la donna è la gloria dell’uomo, perché l’uomo
non viene dalla donna, ma la donna
dall’uomo, eie. ». Chi, leggendo questo
testo nel XX secolo, non vede subito
chiaro che esso è superato? Qppurc
dovremmo ancora pensare che una
donna, la quale partecipa al culto senza velo, pecca contro l’ordine della
creazione, come Paolo accenna? Problemi simili sorgono dinanzi ad altre
esortazioni paoliniche, si vedano ad
esempio quelle rivolte agli schiavi
(1 Corinzi 7: 20-24).
I passi citati mostrano che dobbiamo saggiare molto criticamente le
esortazioni che Paolo rivolge alle comunità, anziché trasporle semplicemente nel nostro tempo; tanto più se
teniamo presenti le conseguenze negative che questi lesti hanno determinalo nella storia della Chiesa.
Questo vaglio critico deve includere
anche un’analisi della situazione storica, culturale e religiosa nella quale sono stati scritti questi testi. L’indagine
sul Nuovo Testamento ha messo in luce Ire elementi importanti nel contesto cui ci riferiamo:
1. Tulli i testi citati sono siali
scritti in un’epoca nella quale le comunità cristiane credevano che la fine
del mondo fosse alle porte. Con la fine
del mondo Cristo doveva iniziare il
suo regno definitivo c a questo regno
di Cristo era tesa tutta rattcnzionc.
Sappiamo oggi che quest’attesa di
Paolo era ingannevole.
2. Da un punto di vista storicoreligioso possiamo constatare che Paolo, in Rornani 13, utilizza elementi exiiacristiani, con una argomentazione
quale si può ritrovare nel giudaismo
della diaspora. Non ci troviamo dunque di fronte ad affermazioni propriarnente « cristiane », bensì alla esposizione di quanto al tempo di Paolo vigeva ed era riconosciuto come « decoroso », oggi diremmo « correttamente
borghese ».
3. Come gli altri testi dell’istruzione alla comunità, nei capitoli 12-15 dell’epistola ai Romani, anche il nostro
testo si trova sotto il titolo generale
formulato in Rom. 12: 1-2: si tratta in
fondo del servizio del cristiano nella
realtà quotidiana del mondo. Come tale servizio si configuri, è cosa che va
vagliata di nuovo in ogni situazione
storica, naturalmente non in base a ciò
che « il mondo », cioè i poteri politici
o gli ordinamenti morali correnti considerano opportuno o giusto.
In contrasto con l’esplicito tenore di
Romani 13, ma obbedendo in tal modo
al vero intento che Paolo esprime in
Rornani 12: 1-2, ciò oggi deve appunto
significare che per amore dell’uomo è
comandato non di assoggettarsi agli
ordinamenti di uno Stato o di un’autorità, ma di opporre loro resistenza,
quando essi sono disumani.
In conclusione, e riassumendo, riteniarno che sia in base alle esperienze
storico-politiche sia per ragioni teologiche dobbiamo rifiutare che oggi un
testo del Nuovo Testamento come Romani 13: 1-7 sia addotto in un processo militare, esattamente come non è
giusto richiamarsi semplicemente a
un singolo passo biblico per giustificare l’obiezione di coscienza.
La risposta
del prof. Ebeling
Il fascicolo successivo dell’epd riferiva che, riuniti in seduta il 13 febbraio
scorso, i profes.-inri /ìelln PruroItZ, d; tor,.
logia avevano deciso, dopo discussione,
di non sottoscrivere questa « lettera
aperta » che, scaturita da un seminario
di Nuovo Testamento, era stata sottoposta anche a loro con la proposta
di firmarla. In seguito il quotidiano
« Neue Zürcher Zeitung » ha pubblicato
uno scritto del prof. Gerhard Ebeling,
attualmente docente dì teologia sistematica a Zurigo; si tratta della risposta negativa da lui data a coloro che
sollecitavano la sua firma:
1. Non è consigliabile farsi coinvolgere in una protesta relativa a circostanze sulle quali non viene data altra
informazione che quella contenuta nelle prime due frasi della Loro lettera
aperta. Non conosco né le circostanze
del processo né la giustificazione della
sentenza né il contesto nel quale è stato citato il passo Romani 13: 1-7. Senza conoscere questi elementi, partecipare a tale dichiarazione sareltbe un
atto di superficiale leggerezza.
2. Da un punto di vista teologico il
testo della lettera aperta mi pare debole, per non usare espressioni più dure. Se i partecipanti a un seminario di
Nuovo Testamento vogliono istruire la
opinione pubblica in riferimento a un
caso concreto, in base alle loro fresche
conoscenze esegetiche, dovrebbe risultare con qualche chiarezza che cosa
possiamo imparare, teologicamente,
dal testo biblico, tenuto conto della necessaria differenziazione storica concreta. Dalla Loro lettera aperta si può
soltanto dedurre l’idea che in fondo
Romani 13: 1-7 sia ormai inutilizzabile. Non intendo a nessun costo soggiacere al sospetto che io condivida tale
opinione. Perciò non posso far altro
che constatare con dolore che, anche
qualora il modo di utilizzare Rom. 13
sia stato nella fattispecie davvero così
grossolano come affermano, la Loro
lettera aperta non è che un esempio
ulteriore di grossolanità. E ciò va rimproverato a dei teologi anche più fortemente che a dei non teologi.
3. Siccome, in guanto straniero, godo nella Svizzera del diritto d’ospitalità, non mi compete partecipare ad
azioni di politica interna. Ciò non
esclude una pubblica presa di posizione animata da responsabilità teologica;
ma in tal caso essa dovrebbe essere
foi'inulata e fondata in modo tale da
mantenersi al di sopra del sospetto di
non essere altro che una pura e semplice azione politica. Ad un’azione di
questo genere, poi, proprio i Tedeschi
che soggiornano nella Svizzera dovrebbero avere il tatto di rinunciare. Mi
dispiace — e mi rende diffidente —
che palesemente la maggioranza degli
studenti impegnati in questa azione
siano del Tedeschi, i quali manifestamente non hanno molto chiaro quale
riserbo convenga alla loro situazione.
Gerhard Ebei.tng
3
26 marzo 1971 — N.13
pag. 3
Le Chiese a confronto con le religioni; l’INDUISMO Una politica della speranza
Un millenario processo religioso che porta
religione vedica, attraverso il bramanesimo,
molteplici, spesse piò spiritnali, dell'indoismo odierno
dall' antica
alle forme
(segue da pag. 1)
irresponsabile, che in un modo o nell'altro sono contrari all'universalità
dell’uomo ed al suo realizzarsi.
L’induismo conta oggi intorno ai 300
milioni di fedeli. In senso proprio l’induismo rappresenta, rispetto alle sue
origini e alla storia delle religioni che
lo precedono, qualche cosa di analogo
a quello che il protestantesimo è rispetto alle religioni che lo precedono.
Come abbiamo il susseguirsi al giudaismo del cristianesimo e poi, nell’ambitj del cristianesimo, la riforma, così in
India abbiamo dapprima la religione
vedica, poi quella braminica e infine
l’induismo.
* * *
La religione vedica fu importala dagli Arii che invasero l’India dal nord intorno al 1500 a. C. Essa risale al 3000,
forse al 4000 a.C. Trasmessa oralmente
per alcuni millenni, fu messa per
iscritto, in sanscrito, nel testo dei Veda
a iiartire dal 1300. Originalmente le relijhone vedica era relativamente semplice, non aveva il concetto di kharma,
attribuiva resistenza del mondo a un
Assoluto da cui discendono anche gli
dei. I primi tre sono Agni,_Indra e Varona. Col tempo l’Assolufo prende il
nome di Brahman, in parte trasformatosi nell’universo e in parte rimasto
lontano, al disopra e che ha la facoltà
di produrre altri universi. Il Brahman
non è oggetto di culto; lo sono invece
gli dei che da esso derivano. Sorge una
nuova triade; Brama, Siva e Visnu.
Brama è l’artefice ordinatore (non creatore) del mondo, Visnu rappresenta
principalmente la conservazione. Siva
la distruzione. Ognuno ha però anche
altre mansioni, talvolta contrastanti,
che svolge incarnandosi in diversi modi. Si tratta di dei mortali. Il più longevo è Brama, la cui vita è stabilita in
poco più di 311.000 miliardi di anni, corrispondente alla durata del mondo presente, il quale alla fine ricadrebbe nell’eternità.
* * *
Dopo alcuni secoli, radicandosi in India, la religione diventa anche ordinamento sociale. Ai Veda si aggiungono
altri scritti, i Brahman (1000 a.C.) e le
Upanisad (800 a. C.) che sono dottrine
segrete, e sorge il bramanesimo, per
opera della casta sacerdotale che si è
venuta formando. La società viene divisa in caste e sottocaste. La prima è
appunto quella dei Bramini, i sacerdoti
ed è ereditaria. La seconda è quella dei
guerrieri; seguono quelle degli agricoltori, dei commercianti e poi altre fino
aH’ultima degli intoccabili, i paria. Il
passaggio da una casta all’altra avviene solo attraverso la reincarnazione.
All’antica semplicità della religione
vedica, con culti all’aperto e senza immagini, si sostituiscono riti minuziosi
e complicati; i sacrifici, che costituivano un’offerta, assumono una portata
magica, sorgono templi e santuari fastosi. Gli dei — Brama, Siva e Visnu —
assumono, nelle statue che li rappresentano, sembianze diverse e fantastiche che raffigurano le incarnazioni attraverso cui operano nel mondo: appaiono come uomini con più teste o
più volti o più paia di braccia, cavalcano oche, topi, elefanti o altri animali,
talvolta assumono loro stessi sembianze di animali o si presentano come eroi,
guerrieri, asceti e sotto ognuna di queste forme hanno i loro santuari, i loro
culti, le loro Feste religiose, le loro sagre. Ciò fa pensare in qualche modo al
culto dei santi, alle molte chiese cristiane dedicate a un santo a cui vengono attribuite peculiari attività o mansioni, e offerti riti e feste speciali.
Anche i concetti religiosi cambiano.
Entra l’idea della reincarnazione (metejnpsicosi) e la possibilità della conoscenza dell’assoluto attraverso la vita
ascetica e la conquista deU’illuminazione mediante la meditazione e l’estasi.
Per certe correnti, il kharma (la legge
della retribuzione, comune al buddismo pur con significato un po’ diverso)
è la legge suprema e impersonale, valida anche in assenza di Dio.
Intorno al principio dell’era cristiana
avviene una nuova trasformazione,
espressa in nuovi voluminosi scritti, di
cui una parte ha avuto particolare risonanza e sta in qualche modo alla base
di questa riforma. Si tratta della Bhagavadgita (300 d. C.), ed è in questo
tempo che nasce il vero e proprio indntsnìo. Esso conserva il culto degli antichi dei: di solito uno solo, o Siva o
Visnu, che viene appunto considerato
unico dio, eccelso, onnipotente, assumendo una configurazione sempre meno pagana, sempre più spirituale.
Su questa specie di riforma, nascono,
come è pure accaduto in seno al protestantesimo, diversi e numerosi orientamenti, illustrati e sostenuti nei secoli
successivi e fino ad oggi da scritti di
varia mole e importanza. Le varie correnti e sette che ne sono derivate sono
considerate da molti indù come faccie
diverse della stessa religione, partendo
da una loro idea secondo cui la verità
può essere concepita da individui diversi in modi diversi a seconda delle
proprie capacità e tendenze.
Prevale in generale il monoteismo
(con culti Sivaiti e Visnuiti). All'interno del monoteismo vi sono posizioni
monistiche, che richiamano il pensiero
cristiano di « Dio tutto in tutti », o posizioni dualistiche dove Dio-spirito è separato dalla materia. C’è chi vede Dio
come unità essenziale presente nel Dio
indù e nel Dio di Maometto. Si trova affermata la totale diversità di Dio e la
predestinazione delle anime da parte di
Dio. C’è chi ritiene che la conoscenza
di Dio è una grazia concessa da Dio,
per cui la via della salvezza sta tutta
nell’abbandono a Dio, nella fiducia. Per
i più rimane valida la legge del Kharma
e la trasmigrazione delle anime. Talvolta appare così assoluta da eclissare
Dio. C’è chi sostiene una idea trinitaria: Dio, le anime, il mondo inanimato.
Anime e mondo inanimato sono il corpo di Dio, ma non sono né identici a
Dio né confusi con esso. C’è chi, attribuendo particolare importanza al
Kharma, vede nelTascesi e nella meditazione l’unica via per la conquista dell’assoluto, della salvezza, che rimane
la meta dell’esistenza. In quest9 contesto hanno grande peso gli esercizi ascetici (yoga). Per mezzo di certi atteggiamenti e movimenti del corpo lo
yoga tende a far conseguire nella meditazione una concentrazione del pensiero tale da permettere all’individuo
di superare il proprio stato normale
sia fisico che spirituale; ciò si estrinseca talvolta nel fachirismo e talaltra
nell’estasi che consente un distacco
temporaneo dell’anima dal corpo e la
percezione di elementi ultraterreni.
C’è infine chi vede la via della salvezza
nella rinuncia totale assoluta, anche di
un solo vestito e vive nudo.
Anche la salvezza finale è variamente
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii tiiiiiiiiiiiimiimMiMiiiiiiiiiiiniiiimiiiiiiimiiiiniiiiiiiiniiiiiiiiii
Ma cosa deve dunque fare l’uomo
contro queste forze oscure che lo distolgono da Dio e fanno di lui « l’oggetto delle sue passioni non padroneggiate, personali, politiche o nazionali »? La risposta non può essere che
una: ritrovare Cristo. Cristo che si
schiera dalla parte dei diseredati e degli oppressi contro « potenze e principati ». Cristo ci trasforma e questa
trasformazione deve avere necessariamente un carattere politico. Essa ci
conduce infatti a lottare per colmare
il fosso sempre più profondo fra i ricchi e i poveri, contro ogni negazione
della dignità e libertà umana, contro
la corsa agli armamenti. La vocazione
dell’uomo in Cristo rende irrisorio le
differenze etniche, nazionalistiche, linguistiche, culturali, confessionali, che
possono dividere gli uomini. Cristo rivela la struttura fondamentale della
umanità, che è la sua cattolicità (universalità). E questa cattolicità deha
umanità sarà pienamente manifestata
nei tempi ultimi.
Se la Chiesa è fedele all’insegnamento di Cristo, se si sente continuamente rinnovata dallo Spirito Santo, deve
a sua volta manifestarsi con un continuo rinnovamento di tutte le relazioni
umane: in essa TUonio nuovo manifesta quaggiù il suo Regno. Questa nuova vita ecclesiale comporta, di conseguenza, sia un rinnovamento dei rapporti individuali dei cristiani fra loro,
all’interno della comunità, e sia una
partecipazione di questa comunità c
dei suoi singoli membri al più vasto
combattimento che Cristo prosegue all’esterno per il globale rinnovamento
della società e del mondo.
La Chiesa dovrà quindi scoprire e
analizzare tutte le forme di violenza, a
tutti i livelli, specie quelle nascoste o
,1,11111,nini,iiiiiiiiiiiimiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii'iiii'>''i''iii'i''''iiiiniiiiiiiiiimiiii
intesa: per molti, in analogia col pensiero cristiano, essa si avvera in un soggiorno eterno deH’anima in presenza
dell’Assoluto. Per altri invece la felicità
ultima è soltanto lo .svincolo dell’anima
da ogni cosa terrena, per altri ancora
l’annullamento dell’individuo che si
confonde con lo Spinto Universale.
* *
Concludendo notiamo che, oltre alla
relativa somiglianza del ciclo storico
che sfocia nell’induismo con quello che
sfocia nella riforma, vi sono alcuni
punti che presentano qualche analogia
di diversa natura. Ad es. nel bramanesimo, la moglie di Siva, la dea Kalì
dalle sembianze allucinanti, la quale
come nemica dei demoni esige sacrifici
umani, fa pensare alla destinazione al
rogo degli eretici per salvare le loro
anime dall’inferno. Così la vita ascetica come vita di santificazione richiama
alla mente talune regole monastiche
cristiane. Su di un altro piano sono da
rilevare la credenza in un’anima personale, l’idea della salvezza come meta
finale, la sua attuazione in presenza di
Dio il concetto ili tempo e di eternità.
Infine la tendenza delle ultime sette
a sfrondare la religione da riti e miti
paganeggianti, lo slorzo di molti maestri (guru), di teologi per dare un .senso più profonde e spirituale e impegnativo alla religione indicano l’esigenm di un continuo riesame delle proprie posizioni, di un atteggiamento cioè
comune al cristianesimo che potrebbe
far sentire una fratellanza capace ' '
condurre a un .iialogo.
Gustavo A. Comba
di
Ma chi sono questi Valdesi?
Una raccolta, seria e non apologetica, di saggi sulla storia ^ ^ul preUna riflessione sul significato delle minoranze per la Chiesa
sente
Sempre con una certa titubanza ci
accingiamo alla lettura di quei volumi che presentano la storia valdese, e
l’opera della nostra Chiesa, ai lettori
stranieri, perché non di rado ci è accaduto di imbatterci in pagine apologetiche, nelle quali il ricordo della fedeltà dei Padri e la testimonianza dei
figli nei vari campi vengono cantati
non proprio ad maiorem gloriam Dei
(alla gloria di Dio!), ma ai fini di quel
contributo pecuniario dei fratelli stranieri che la tradizionale e congenita
avarizia dell’Israele delle Alpi rende
necessario ed inevitabile.
Una lieta sorpresa ed una gradita
eccezione costituisce pertanto il volume edito da Wolfgang Erk: Waldenser.
Geschichte und Gegenwart. (Verlag O.
Lembeck - Frankfurt am Main - 1971,
pp. 261), con la collaborazione di Valdo ViNAY, Tullio Vinay, J. Ai.berto
SoGGiN, Hans-JÜRGEN Quest.
Il nostro professore di Storia della
Chiesa alla Facoltà di Teologia di Roma presenta ai lettori di lingua germanica la storia del movimento e della
Chiesa Valdese. Egli risale alla complessa personalità di Friedrich Reiser,
che nella diaspora valdese di lingua te
desca del XV secolo rappresenta un
punto di contatto di straordinario interesse tra il movimento valdese e
quello bussita (problemi di teologia
sociologia e razza).
L’impostazione di questa « storia
valdese » di Valdo Vinay è profondamente originale; non tanto narrazione
di fatti, quanto sintesi; così egli cerca
di dare in poche pagine il significato
dell’adesione dei Valdesi alla Riforma;
analizza la loro tradizione liturgica, la
evoluzione della loro Confessione di
fede. Dalla ecclesiologia riformata dei
Valdesi, il Vinay passa all’esame dell’origine e del significato del movimento valdese in Italia a partire dal Risorgimento.
I vari aspetti del problema ecumenico in Italia sono acutamente analizzati; due saggi interessanti .sono dedicati alla educazione cristiana in Italia
ed alla responsabilità degli evangelici.
Alle varie correnti teologiche in seno alla Chiesa Valdese nel due ultimi
secoli è riservato un saggio sereno ed
obicttivo.
J. Alberto Soggin, in un saggio degno di meditazione: Betrachtiingeu
zum Waldensertum am Rio de la Piata
(sottotitolo: Hundert Jahre Waldenserkirche) rievoca brevemente la storia
di queste colonie c sottolinea la necessità del passaggio a nuove forme di vita associata, ad una nuova ecclesiologia. È il problema che, in realtà, non
è solo proprio delle « colonie valdesi ».
Fino a che punto il mito della carne
e del sangue può costituire un vincolo
ecclesiastico? Fedeltà alla « piccola
patria » o obbedienza alla vocazione
dello Spirito Santo?
Con immutato amore non disgiunto da quella lucidità di visione che
impedisce al profeta di diventare un
visionario, Tullio \ inay chiarisce ai
lettori l’ispirazione di Agape, cioè l’agape di Cristo, e pre.senta il Servizio
Cristiano in Riesi che di questo « amore »• vuol essere in umiltà una manifestazione concreta.
Abbiamo brevemente segnalato questa presentazione della Storia della
Chiesa Valdese nel passato e nel presente, oltreché per il valore del suo
contenuto, anche per il breve saggio
— una diecina di pagine — che lo conclude: Bedeutung der Mmderheiten
far die Kirche. (Significato delle minoranze per la Chiesa). Lo abbiamo letto
con profondo interesse e con non meno profondo senso di umiliazione.
Hans-Jürgen Quest analizza \a situazione della Chiesa nel corso di questo
secolo. La Chiesa cristiana è diventata
e sempre più diventa una Chiesa minoritaria. « L'avvio ad una nuova fase
della storia dell’umanità non avviene
più sotto il segno del cristianesimo »;
anzi « l’emancipazione dal Cristianesimo » appare quasi un fenomeno irreversibile. Non ha più alcun senso parlare di civiltà cristiana, e non sembra
più possibile che la fede cristiana possa essere per una società futura il connotato di una sua precisa consapevolezza. Di fronte a questa crisi sempre
più manifesta si hanno tre atteggiamenti in seno alla Chiesa.
« Gli uni cercano di far una resistenza più tenace che mai .sulla linea interna della fede della Chiesa e della pratica della pietà; per timore delle novità si rifiutano ad ogni aperta spiegaz.ione con i nuovi sviluppi ». Le parrocchie si chiudono in sé, e si sviluppa in loro una esplicita coscienza minoritaria: la sensazione di essere delle isole in un mare in tempesta.
D’altro lato vi sono gruppi « numericamente ancora relativamente piccoli », i quali operano come partigiani;
il loro impegno non sernbra disgiunto
da « una rinunzia quasi gioiosa alla
tradizione ecclesiastica»', per loro «la
eredità cristiana dev'esser rifusa per
poter esser travasata nelle manifestazioni della vita dell’età della tecnica».
Accanto alla ufficialità minoritaria
della Chiesa parrocchiale, ed a quella
dei « piccoli gruppi » comunitari, il
Nostro accenna ad una terza forma di
vita minoritaria: gli organismi direttivi delle istituzioni ecclesiastiche, che
discutono, deliberano, emanano circolari ed hanno una crescente produzione cartacea, « la quale tuttavia ha una
sempre minor risonanza nell opinione
pubblica ».
La crisi della « grande Chiesa » si accompagna ovviamente ad un rinnovato
interesse per le minoranze. Diciamo
rinnovato, perché la Chiesa, nella sua
storia, volente o nolente, ha spesso dovuto accettare un confronto con le
minoranze nel suo seno; talvolta le è
riuscito di assorbirle (San Francesco),
talvolta le ha scomunicate (Valdo).
Storia di ieri, e, con qualche sfumatura, di oggi; ieri eretici, oggi fratelli
separati.
Il problema fondamentale, ieri come oggi, è la contestazione che alla
Chiesa, « alla grande Chiesa costituita
competa la rivendicazione al possesso della verità »; rivendicazione alla
quale la Chiesa ha sacrificato la « dinamica della verità » e con ogni mezzo ha cercato la pace nell’unità. Quale è oggi il dovere di una « minoranza ecclesiastica e cristiana? ».
H. J. Quest premette che la minoranza deve anzitutto evitare un grave pericolo: quello di diventare una setta,
cioè di « non più rivolgere la propria
esperienza di verità come una domanda [rivolta] alla Chiesa, ma di foggiarsi nel ghetto una propria esistenza
quanto più possibile non molestata ».
Un pericolo reale, che costituisce un
vero e proprio tradimento della funzione della minoranza, che nella chiusura o nell’evasione rinunzia al suo
compito specifico di contestazione nei
confronti della Grande-Chiesa.
La minoranza religiosa ha quindi il
dovere irrinunciabile di ricordare alla Chiesa che proprio la Chiesa « ha
cominciato il suo cammino nella storia come minoranza », ed ha tradito
la purezza della fede « per l’amore dell’unità della Chiesa dell’impero»
(Dalla Chiesa di Costantino alla Chiesa dell’impero di Hitler!).
Ed il dovere di ricordare che « l’unità della dottrina ecclesiastica fu sempre edifizio e finzione che poggiaiw
sul fondamento di specifiche ideologie storiche ».
Come si possono concepire oggi
queste minoranze vive? Per/7. J. Quest
si deve oggi parlare di caposaldi in vista di un balzo in avanti: tipi esemplari che non sono utopistici, ma concreti. « L'assunzione di una responsabilità sociale non è un hobby casuale
o la manifestazione di una decadenza
nella ideologie; non è altro che una
forma adeguata al nostro tempo, come lo fu nel passato il lavoro per ’ordine dei Cistercensi ».
È un lavoro di pionieri « che non
ammette tutela ». Ancora e sempre
occorre ribadire che la Chiesa del futuro arà una Chiesa minoritaria.
Ed il Nostro conclude: « Il nostro
sguardo è rivolto ad Agape c Riesi.
Ambedue potrebbero essere caposaldi
minoritari per la Chiesa di domani.
\gape e Riesi: un esempio ». Il nostro
sguardo!
L. A. Vai MAL
più o meno inconfessate che nessuno
osa denunciare perché vengono esercitate sotto la copertura del mantenimento dell’ordine e della legalità a
vantaggio di determinati individui o
gruppi sociali e razziali; deve denunciarle al pari dell’inazione e del conservatorismo che consentono la creazione o il perpetuarsi di queste forme
di violenza.
Ma nel contempo la Chiesa non può
identificarsi con un ordine politico o
sociale esistente, col pretesto che esso
sarebbe l’espressione della volontà divina. Essa non può infatti riconoscere
in un ordinamento presente o futuro
se non una tappa nella storia, imperfetta e sempre riformabile, senza carattere definitivo, senza carattere religioso o sacro, ed in nessun caso identificabile con la volontà integrale di
Dio quale essa si esprime nell’avvento
del Suo Regno.
La Chiesa, in un mondo devastato
da una moltitudine di opposti interessi di ogni genere, deve prefigurare la
comunità umana rinnovata nella misura in cui essa è stata rinnovata da
Cristo: essa non potrà mai ripiegarsi
né diventare fine a sé stessa; non potrà mai trovare la sua unità interna
se non combattendo all’esterno per l’unità degli uomini contro tutte le realtà
che li dividono.
Ma la Chiesa deve innanzi tutto riconoscere — per essere perdonata e rinnovata — la sua inclinazione a distruggere, assieme ad altri, eiò che Dio costruisce. Essa propende (e qui l’accordo dei documenti esaminati è totale)
a farsi contaminare da tutte le forme
di degradazione che infieriscono nel
mondo: essa deve riconoscere la sua
piena colpevolezza, colpevolezza dovuta alla vulnerabilità alle forze del male da parte dei singoli credenti che
così conferiscono alla Chiesa una grande fragilità. Ma le possibilità di azione dei credenti sono assai più forti di
quanto essi non immaginino: è solo
la loro inerzia e la loro debolezza che
impedisce loro di assumere le iniziative necessarie e di ottenere quei risultati che potrebbero avere.
Altro grave handicap è quello della
grande difficoltà delle chiese a uscire
dal loro provincialismo, che le tiene
chiuse nei ristretti ambiti dei loro interessi locali mentre, secondo la Scrittura, dovrebbero superare questa concezione provinciale con quella della
partecipazione a una comunità mondiale responsabile e giusta per tutti. A
causa della loro fede nel Regno di Dio
che viene i cristiani devono assolutamente partecipare alla lotta di milioni di esseri per una maggior giustizia
sociale c per lo sviluppo mondiale: il
loro deve essere un esame critico e un
impegno immediato... Solo con l’allargarsi della sua visione dal piano locale
a quello universale la Chiesa potrà
pentirsi della sua ristrettezza, e non si
accontenterà più, per la sua azione, di
un orizzonte limitato e assumerà tutte
le sue responsabilità.
Quali prospettive pratiche, e urgenti, si possono trarre per le attuali generazioni? Il cristiano deve partire dal
concetto che la terra è una e non si
possono scusare le ineguaglianze sia
fra le nazioni che all’interno di es.se.
Qccorre creare una volontà comune di
cambiamento di quelle strutture cco
Chiese in vendita
Londra (liip). - Circa 700 chiese saranno poste in vendila entro i prossimi
dicci anni in Gran Bretagna, dato che
questi edifici sono ormai in disuso. Oltre trenta chiese anglicane sono state
dichiarate superflue. In certi casi, queste chiese saranno adibite a centri di
gioventù, a biblioteche ed altri consimili usi.
nomiche e politiche che impediscono
lo sviluppo solidale dei gruppi sociali
e delle nazioni. Qccorre un’azione sempre più in comune fra tutti i membri
della società e della Chiesa. Anche nella diversità delle varie dottrine, Dio
ci chiama a lavorare con Lui, e tutti
assieme, al di sopra dei nazionalismi
c dei provincialismi, per la costituzione di una .società planetaria coerente
ed organica. Le Chiese dovranno essere le prime a dare l’esempio facendo
« scoppiare » le loro strutture nazionali e confessionali. Esse, in sostanza,
devono giocare un ruolo internazionale
decisivo.
È tutto ciò troppo utopistico, troppo ottimistico? Biéler conclude che è
un «ottimismo tragico», che non si fa
illusioni sulle possibilità di insuccesso
cui va incontro; ma è un ottimismo
che si fonda sulla certezza della vittoria finale promessa da Cristo. Se la
Chiesa è fedele al suo Signore, essa diventa il motore più potente di progresso reale c di sviluppo autentico
che possa conoscere qualunque società
volta a raggiungere la sua vera umanità.
Pierre
4
pag. 4
N. 13 — 26 marzo 1971
Suirarrivo del francese alle Valli
e su qualche altro argomento storico e linguistico
Una analisi sulla diffusione delinostro settimanale
Chi legge r«Eco-Luce)) e chi no
« Les Barbes ès Valées, en leur conversation ordinaire, et en plusieurs de
leurs escrits usoyent d’un langage entrcmeslé de celui des Valées, et des
pays circonvoisins. Mais en leurs lointains voyages ils usoyent du langage
plus entendu au pays, auquel ils se
trouvoyent ». Così Pierre Gilles nella
sua Histoire Ecclésiastique des Eglises
Vaudoises de l'an 1160 au 1643, al cap.
II (citato dall’edizione moderna di Pinerolo, del 1881). E oltre, al cap. VII:
« ...considéraos combien est nécessaire
la lecture bien entendue de l’Escriture
sainete, à toutes sortes de personnes
et qu’ils ne l’avoyent encore en leur
langue sinon escrite à la main par
leurs Pasteurs, qui nonobstant leur diligence n’en pouvoyent pas fournir à
tous suffisamment, ils (i Valdesi) firent
traduire et imprimer en langue française la Sainete Bible à leurs despens... ». E fu la Bibbia di Olivetano.
Passiamo ora a Jean Léger, il quale
nella sua Histoire Générale des Eglises Evangéliques des Vallées de Piémont; ou Vaudoises, nel cap. XXXIII
del Primo Libro racconta che « deux
grands changements arrivèrent aux
Vallées l’an 1630...: une horrible peste.,
en moissonna les trois quarts, ou du
moins plus des deux tiers des habitaos, et ne leur laissa que deux de
leurs Pasteurs de 15 qu’il y en avoit...
il fallut donc avoir recours en France,
et surtout à Genève, pour redonner
des Pasteurs aux restes de ces pauvres troupeaus. Mais il fut impossible
d’en recouvrer un seul pour prêcher
en la langue Italienne en laquelle préchoient auparavant tous les Ministres
défunts (car ils étaient tous originaires
des Vallées et préchoient tous en Italien, langue bien entenduë par tous
ces peuples, quoy qu'entr’eus en leur
langue vulgaire ils pratiquent encore
en la plus part des lieus, le vieus langage Vaudois, tel que vous Lavés veu
dans les pièces Originaires que nous
avons rapportées cy-devant tant de
leur Doctrine, que de leur Discipline)
langue qui leur est aussi d’autant plus
necessaire (je parle de l’Italienne) que
tous les actes publics, s’y doivent faire
et s’y font en Italien. Il fut donc force,
ou de demeurer sans Pasteurs,, ou de
s’accomoder avec les François, ce qui
fut aise à ceus qui se rencontrèrent
dans les Vallées de Peyrouse, et
S. Martin, et la partie de la Vallée de
Lucerne qui comme celles-là, voisine
avec la France: mais fort incommode
aux Eglises de la Valleé de Lucerne
plus proches de Thurin... L’autre grand
changement qui survint aux Vallées...
c’est que le Roy (di Francia), par le
moyen du Cardinal de Richelieu, s’en
rendit le Maitre... ».
Questi tre passi danno un’idea sommaria della storia linguistica delle
Valli Valdesi: una lingua valdese, assai adattabile (sappiamo che appartiene alla lingua d’oc, più tardi generalmente conosciuta come provenzale),
un’antica conoscenza di molte lingue,
fra le quali due, il francese e l’italiano, presero gradatamente il sopravvento, senza mai far scomparire completamente la lingua locale. Come osserva giustamente anche Ilia Grisf.t
nel suo La parlata provenzaleggiante
di Inverso Pinasca (Torino) e la penetrazione del Piemontese in Val Perosa
e Val San Martino (Torino, 1966), il
francese doveva essere abbastanza ben
conosciuto se i Valdesi finanziarono la'
Bibbia di Olivetano. È possibile che
per un po’ di tempo, almeno nella parte delle Valli che dipendeva dal Duca
di Savoia o come si diceva dalla Corte di Torino, l’italiano abbia avuto più
importanza. Erano tempi in cui l’italiano era una lingua europea, in cui i
Valdesi ritenevano di avere una missione verso l’Italia e la predicazione
anche cattolica si faceva in italiano,
né si dimentichi la situazione internazionale: gli amici dei Valdesi, l’Inghilterra, i Paesi Bassi e la Svizzera formavano una specie di cintura intorno
alla Francia, che appunto era saldata
dal Ducato di Savoia e dai Valdesi che
abitavano nelle sue terre al di qua delle Alpi. Peraltro Leger racconta nella
sua autobiografia (in fondo aW’Histoire) d’una sua pubblica e normale
predica fatta a San Giovanni in francese (sia pure, come specifica, per far
piacere a dei forestieri) e mostra una
ottima conoscenza del piemontese. E
un dato duraturo della storia valdese,
risalente forse al Medio Evo, un duplice atteggiamento verso la Francia:
di attrazione e di ostilità, e pare che
il periodo in cui le Valli si integrarono maggiormente al Piemonte, il XVIII
secolo, è quello stesso in cui più si
aficrmarono la lingua e la cultura
fiance.se: si pensi alla canzone delI’Assietta e ai pastori volterriani; e il periodo del predominio del francese —
dati dalla p»ste del 1630 o no — pare
quello in cui si costituisce maggiormente una società valdese parallela a
quella circostante e convivente.
* * *
Tutto questo discorso trae origine
dalla constatazione che c’è un vezzo
di dire che i Valdesi vennero in Italia,
qui, al tempo di Valdo, quando non si
dice addirittura al tempo della Riforma, e che vi importarono il francese
al tempo della Riforma, o soltanto dopo la peste. Questo vezzo trae origine
forse da una polemica anti-valdese, ma
è incoraggiato dai Valdesi stessi i quali, per quanto riguarda il francese, temono che si metta in dubbio la loro
italianità. Si vedano la Storia dei Vaidesi di Ernesto Comba e Luigi Santini
(4‘ ed. riveduta, Torino 1966) e di quest’ultimo Il Valdismo ieri e oggi (Torino 1965), e si veda anche Corrado
Grassi, Correnti e contrasti di lingua
e cultura nelle Valli cisalpine di parlata provenzale e franco-provenzale.
Parte I (Torino 1958).
L’autore di quest’ultimo interessante studio guida un’équipe di ricercatori che ci faran presto conoscere meglio le parlate provenzali o eccitane e
franco-provenzali che ci interessano; e
c’è una ripresa di interesse per lo studio dell’antico valdese. Sarebbe importante che qualcuno studiasse la storia
delle lingue italiana e francese alle
Valli.
Dice anche Gilles della cura che i
Valdesi mettevano nell’insegnare le
lingue. I problemi storico-linguistici a
cui si è accennato avrebbero un interesse relativo se non ci facessero pensare che è ben tempo che si affronti
il problema linguistico oggi alle Valli.
iiiiiiiiimiiiiiiiiiiiimiiiniiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiii
È bene valorizzare i patois, è bene insegnare l’inglese. Non c’è un problema
dell’italiano. C’è oggi innanzitutto il
problema di far vivere il francese. Cattolici, Valdesi e in generale tutti coloro che hanno interesse per le Valli
possono concordare su questo punto,
collaborare e trarne vantaggio. La diffusione della scuola media, dove è generale l’insegnamento del francese,
può far fare un passo avanti. Ma non
basta.
Il patois ha un caratteristico modo
verbale, che esprime il dubbio e la
possibilità nel passato. Così si dirà furo per « forse era », « sarà stato »,
« probabilmente era ». Bella espressione dello spirito ipercritico dei Valdesi.
Forse era vero tutto quel che ho scritto. Ma ora sarebbe bello che gli abitanti delle Valli Valdesi uscissero dal
dubbio amletico per quel che riguarda il loro avvenire, l’avvenire della loro società civile, e lo prendessero nelle loro mani.
Gustavo Malan
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiimiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiii
Il direttore de «L’Eco del Ctiisone » risponde al prof. A. Armand Hugon
Per una storia valdese ecumenica
La critica che il prof. A. Armand Ilugon
ha scritto sul libro di S. Bessone sulla Val
S. Martino, da noi pubblicata sul n. 11 e
inviata come lettera aperta pure a « L’Eco
del Chisone », ha avuto questa risposta del direttore del settimanale cattolico, Vittorio Morero:
La natura del nostro giornale, aperto a
lutti i problemi e pienamente consenziente
con una linea ecumenica ormai affermata, ci
obbligano a pubblicare l’intervento del prof.
Augusto Armand Hugon, che ci ha scritto
anche per conto della Società di Studi Valdesi
di cui è presidente.
Da parte nostra ci pare comunque di poter
osservare quanto segue :
1) Ci pare che don Bessone abbia voluto soprattutto pubblicare degli studi e delle
ricerche compiute da altri in epoche diverse
dalla nostra. Avrebbe certamente fatto meglio
a scrivere in maniera più autonoma, vagliando
con severità i dati e le conclusioni a cui era
giunto don Sallen il quale ha ricercato e ha
scritto in epoca in cui anche i valdesi scrivevano con una terminologia polemica ed apologetica. Anche la bibliografia avrebbe potuto essere ¡>iù completa, non tralasciando contributi recenti dì cattolici che hanno scritto
sui valdesi.
2 ) L’ecumenismo e l’atteggiamento fondamentale del Vaticano II in questa materia,
(continua a pag. 6)
Interroghiamo il documento fornitoci
dalla Direzione; la prima domanda è
la seguente: ci dica la cifra di abbonati per parrocchia; tra parentesi mettiamo il numero dei nuclei familiari;
risposte:
Torre Pellice 181 (790); San Giovanni
114 (675); Rorà 14 (131); Bobbio Pellice 36 (265); Villar Pellice 42 (345); Angrogna 28 (250); San Secondo 68 (199)-,
Prarostino 87 (234); Pinerolo 122 (499);
San Germano 170 (405); Pramollo 51
(128); Villar Perosa 28 090); Pomaretto 180 (487); Riclaretto 24 (172); Frali
57 (119); Ferrerò 64 (122); Rodoretto 7
(39); Massello 24 (63).
Dall analisi, seppure approssimativa
per la non sempre esatta cifra dei nuclei familiari. Ferrerò tiene la palma
del maggior numero di abbonati in
proporzione alle famiglie; seguono Frali, Massello, Pramollo, San Germano
Pomaretto, Pinerolo, Prarostino, Saii
Secondo e poi a distanza Bobbio, Villar
Pellice, Angrogna, Villar Perosa, Riclaretto.
Per le comunità della zona vicino a
Torre Pellice la vicinanza della Claudiana o dei negozi dove si vende l’EcoLuce costituisce un’attenuante ma non
una giustificazione del basso numero di
abbonati, conoscendo approssimativamente la media delle vendite nella
zona.
Quali le ragioni, le cause vere della
differenza così marcata tra una parrocchia e l’altra, anche nella stessa Val
Pellice? Visto che il giornale, seppure
con le critiche che si possono fare nel
suo insieme, ha un interesse notevole
per tutti anche sotto il profilo della
cronaca, come mai non aggancia certe
comunità mentre altre sì?
Curiosità: il documento interpellato
ci dice che in proporzione ai nuclei familiari il numero più alto di nuovi abbonati quest’anno è attribuito a Prarostino: il numero maggiore di morosi è
a Pinerolo, mentre il numero delle disdette in proporzione ai nuovi abbo
I lettori}ci scrivono
STORIOGRAFIA
SERIAMENTE ECUMENICA
Signor direttore,
L’intervento del prof. Augusto Armand
Hugon (pubblicato sul n. 11) fornisce lo
spunto per alcune riflessioni sulla storiografìa recente e passata relativa alle vicende
religiose del pinerolese.
Anzitutto, esso impone un giudizio in
generale (e non solo limitato al libro di
don Bessone) sulla storiografia di parte
cattolica. Non si può non convenire che la
situazione confessionale ha portato in passalo i non abbondanti storici cattolici locali ad assumere una funzione di difesa ed
illustrazione delle particolari posizioni della loro Chiesa, in un’ottica apologetica,
perciò sovente deformando anche materialmente il racconto degli eventi storici; e
ciò non solo da parte di persone che raccontavano fatti a loro contemporanei o
poco precedenti (Ferrerie, Rorengo, ecc.),
ma anche da studiosi delFinizio di questo
secolo, come il Caffaro, considerato dai
cattolici il loro massimo storico per la
ricchissima e documentatissima opera sulla chiesa pinerolese, ma agiografica e parziale. Dopo il Caffaro, comunque, il mondo cattolico pinerolese ha solo avuto ripetitori o volgarizzatori delle storie precedenti, e sono mancati ricercatori che abbiano portato avanti scientificamente, in
un confronto delle fonti, lo studio del passato.
Potrebbe bensì osservarsi, e giustamente, che anche gli storici di parte valdese
esprimono sovente posizioni altrettanto predei XVII secolo (Leger, Gilles, Perrìn, ecc.)
concelte. e che la prospettiva apologetica
è ben presente nelle storie del Monastìer,
del Muston e del Comba del XIX e del
XX secolo. Occorre tuttavia prendere alto
che, mentre la storiografia cattolica si è
fermata alla ripetizione con poche variazioni dei Caffaro e dei suoi predecessori,
gli studiosi valdesi hanno in questi ultimi
decenni iniziato per primi un lavoro veramente scientifico di ripensamento e di studio delle fonti del passato, dai cui risultati un ricercatore serio non può assolutamente prescindere. E mentre gli archivi
cattolici (alcuni dei quali ricchi di documenti preziosi) giacciono nel disordine, praticamente inutilizzabili ai ricercatori (solo
da poco si è iniziato l’ordinamento e la classificazione di alcuni archivi), per contro
il mondo valdese ha avuto studiosi della
levatura di Arturo Pascal, Teofilo G. Pons,
Augusto Armand-Hugon, Giovanni Gönnet,
Giovanni Jalla, e ha, attorno alla Società
di Studi Valdesi, organizzato un lavoro
dovizioso e fecondo.
Se ciò risponde a realtà, conseguono alcune osservazioni:
1) Una .storiografia di parte cattolica
di nuovo tipo non è .soltanto (o tanto) questione dì espressioni poco ecumeniche, che
ripetono meccanicamente lo schema buonicattivi in una visione partigiano c settaria
(un’opera di depurazione del linguaggio
non sarebbe difficile), quanto della necessità di ripensare del tutto la storia del
passato, non più con preoccupazioni di difesa, ma obbligati, secondo le efficaci
espressioni di Armand-Hugon, « a ripescare le vere fonti, a ricorrere a diligenti confronti, ad operare di critica ed analisi per
poter risalire il meglio possibile alla verità » : un lavoro umile, metodico, pazien
te, che porti a riscoprire volta per volta
tanti pezzi del mosaico storico. Il nuovo
linguaggio seguirà ai nuovi contenuti.
2) Storia « obiettivamente fedele ed
ecumenicamente serena » (secondo Tespressione del « Direttorio ecumenico della
Diocesi di Pinerolo ») significa in particolare leggere il lassato evitando di porsi in atteggiamenti incompatibili con la ricerca della verità.
Il primo atteggia ìento errato è quello
(ancora variamente iMffuso nel mondo cattolico ma anche in quello valdese) di mettere tutto il torto d’ una parte e tutta la
ragione dalPaltra: gii uni cattivi ignoranti, ribelli, corrotti, superbi, fanatici; gli
altri probi, devoti, obbedienti, cari a Dio.
Non meno perico-fso è l’atteggiamento
di chi vorrebbe, pe: un malinteso spirito
ecumenico, minimizzare irenicamente tutto, e cercare nel pa -ato solo gli elementi
positivi e di unioni- Una riflessione sin- .
cera e profonda sul ’passato ha invece valori liberatorio di tarai pregiudizi che conserviamo sovente a livello inconscio. Sarebbe strana la ricliiesla di perdono, che
nel (( Direttorio ecumenico della Diocesi di
Pinerolo » i cattolici rivolgono ai valdesi,
se poi essi non sapc-.-ero a quali fatti specifici si riferisca tale richiesta.
Un terzo atteggiamento inaccettabile è
Tapplicare al passato il metodo degli opposti estremismi, caro al Ministro Restivo,
mettendo sullo stesso piano persecutori e
perseguitati, la violenza di chi si difende
e quella di chi aggredisce. Occorre invece non aver paura di affermare, da parte
cattolica, che, salvo ristretti periodi (come gli anni dal Des Adrets e del primo
Lesdiguières in valle di Pragelato), la ragione di Stato è sempre stata dalla parte
cattolica, la quale con sopraffazioni e intolleranze ha affermato la propria legittimità giuridica negandola all'altra parte.
3) In conclusione, vogliamo esprimere il nostro più completo e totale consenso all'appello di Armand-Hugon ad un
diverso modo di scrivere la storia della
nostra terra. Ci pare di riconoscere proprio
nel professor Armand-Hugon uno di quegli
storici valdesi che hanno iniziato a scrivere « una storia, scientificamente valida,
obiettivamente fedele ed ecumenicamente
•serena »; e ci rallegra la sua dichiarazione
di disponibilità con gli studiosi cattolici
(quando ci saranno!) per collaborare con
essi.
Aggiungiamo che. mentre finora la trasposizione dello steccalo confessionale al
modo di fare la storia della Chiesa ha implicalo che si costruissero più storie separale, le storie dei valdesi e quelle dei cattolici, raccontate da storici aderenti alla
singola chiesa nella prospettiva esclusiva
della medesima, ci j)are invece giunto il
momento per una storia complessiva c
globale, mirando ad una conoscenza scientifica delle forme di vita religiosa che si
sono succedute nel tempo nella nostra
terra.
Bona Pazk Beda
Gabrielea Nevache Marini
VALDESI IMPEGNATI
Un lettore, da Pomaretto:
Signor direttore.
Dopo aver letto quanto scrivono il prof.
A. Armand-Hugon ed il Sig. F. P. Massa
su <c L Eco-Luce » del 12 corr., approfitto
ancora una volta della Sua ospitalità per
raccontare ai lettori un piccolo episodio
che, in un certo senso, pur nella diversità
degli argomenti trattati, può ricollegarsi
con i sopracitati scritti.
La sera del 15 febbraio scorso, nel clima
delle celebrazioni del XVII Febbraio, venne organizzata dalla chiesa di Pomaretto.
in collaborazione con un gruppo di Pentecostali di Venaria Reale, una riunione per
la diffusione della Bibbia. Questa manifestazione, pur nella sua semplicità, fu veramente ben riuscita. Al termine della riunione, ero veramente soddisfatto nel rilevare che era stato trattato unicamente l’argomento (c diffusione della Bibbia », senza le
solite ingerenze cui siamo ormai abituati.
Per cui, mentre mi avviavo verso l’uscita
del cinema che per l’occasione ci aveva
ospitati, non potevo fare a meno di esprimere a mia moglie la mia soddisfazione
per quanto avevo udito.
Ma. ahimè!, la mia soddisfazione era di
breve durata: aH’uscita era ad attenderci
un buon valdese, uno di quei valdesi « impegnati » che la Bibbia la conoscono bene:
di quelli che, della Bibbia, hanno sempre
pronto un passo fatto su misura a sostegno
delle loro teorie; dì quelli che affermano di
non riconoscere altra bandiera se non quella dell’amore di Cristo; di quelli che inorridiscono al pensiero che la generazione dei
loro padri abbia potuto alzare il braccio
destro nel segno dì una dittatura, ma, per
contro, sono pronti ad alzare il braccio sinistro nel segno di una nuova dittatura di
altro colore.
Dunque, questo bravo valdese, che pure
aveva assistito alla riunione, distribuiva
un ciclostilato il cui contenuto, poiché incitava alla violenza, non mi pare fosse, per
la verità, dei più ispirati a principi di amore cristiano. L’articolo Pinerolo: ferma risposta alle provocazioni fasciste, riportato
in 4® pagina de « L’Eco-Luce » del 26 febbraio, può dare un’idea circa il contenuto
del suddetto ciclostilalo: l’anonimo articolista si è infatti ispirato al volantino in
questione, omettendo ovviamente le espressioni più (( garbate e cristiane ».
L’episodio che ho raccontato mi offre lo
spunto per ribadire che, finche per dei
« buoni cristiani » e dei « valdesi impegnati », la lezione imparala ad una riunione
per la diffusione della Bibbia consiste in
incitamento alla violenza, non potremo certo sperare in un mondo migliore.
Personalmente, come antifascista ed cxpartigiano, devo purtroppo riconoscere che,
ad oltre 25 anni dalla liberazione, siamo
più che mai lontani da quegli ideali di libertà che, in una tragica sera del marzo
’44, sognavo osservando sgomento e disperalo le conseguenze della violenza scatenata: il mio piccolo borgo natio dato alle
fiamme, due zìi ed un cugino trucidati, la
mia veccliia casa paterna saccheggiata.
A questo punto, desidero porre a Lei,
signor direttore, una domanda: .se la stampa evangelica si preoccupasse di informare un po’ meno politicamente e un po’ piii
crisliananieiite i leltori. non pensa che essa potrebbe diventare un valido strumento
jjerchc i valdesi imparino a meglio considerare i pericoli che comporla l’appoggio
dato alla violenza, da <¡ualsiasi parte essa
provenga?
Guido Baret
nati è più alto a Ferrerò, Torre Pellice
San Secondo, Villar Pellice, Riclaretto!
Nel mondo e nella diaspora: L’EcoLuce raggiunge un po’ tutto il mondo:
il documento ci annuncia alcune cifre
interessanti: 40 abbonati nel Sud America, 12 in Inghilterra, 95 in Isvizzera
3J negli U.S.A. e Canada e in in numero minore in altre nazioni; nella diaspora italiana in proporzione al numero delle famiglie Cuneo ha 20 abbonati di cui 8 nuovi quest’anno e la zona di
Cuneo è in fondo curata dalla Chiesa Battista. Seguono sempre nelle
proporzioni indicate: Bordighera, San
Remo, Aosta, Genova. Torino ha il maggior numero di abbonati morosi; qui è
però aumentato il numero delle vendite alla porta delle chiese.
Il numero degli abbonati s’aggira
sui tremila tra Valli, evangelizzazione
e il resto del mondo.
CRITICHE E PRQPQSTE
Rinnoviamo in questa sede l’invito al
comitato di redazione perché prosegua
nella linea intrapresa e cioè: rendere
gli articoli accessibili al lettore più
sprovveduto, accorciando gli articoli e
comunque con sottotitoli, in modo che
la prima pagina soprattutto, sempre
molto ricca di idee, sia letta la maggior numero di lettori. Curare i titoli
talvolta difficili che non invitano alla
lettura del’ testo.
Invitiamo le Unioni, o gruppi responsabili, anziani e diaconi in occasioni
delle visite a incoraggiare la lettura e
l’abbonamento al settimanale Eco-Luce,
soprattutto alle Valli. Parimenti invitiamo gli stessi gruppi a formare dei responsabili per la cronaca, articoli, problemi che possano interessare il lettore, dando così uno scopo a elementi
della chiesa che potrebbero interessarsi al problema. Gli stessi gruppi possono effettuare un’inchiesta sulle ragioni del rifiuto del giornale ed inviarle
all’Ecoiuce. Certo il giornale non potrà rispondere ai desiderata di tutti,
perché allora sarebbe infedele alla sua
missione. L’evangelo deve toccare tutti
gli aspetti della vita dell’uomo, nessuno
escluso; il giornale Eco-Luce perciò
sotto questo aspetto non può tradire
l’Evangelo di Gesù Cristo. G. B.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimim!ii! iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Doni Eco-Luce
Da Genova: Alberto Durane! 500: Alice
Molinari 2.000.
Da Milano: Giulio Rivoìr 1.000; Giordano
Bonomi 500; Mariangela Marzio Coucourde
1.000; Adriana Tagliabue 1.000: Anna Leonardi 500; Stellina Fabbri 2.000.
Da Roma: H. A. Wirlh 7.000; Giovanni
Giuliani 500.
Grazie!
( continua )
Casa Valdese
di Vallecrosia
COLONIA MARINA per bambine e bambini dai 6 ai 12 anni.
Turno unico: 1 luglio - 28 luglio. Direttore: Maestro Edgardo Paschetto. Quota globale: L. 28.000.
CAMPO CADETTI per ragazze e ragazzi
dal 13 ai 16 anni.
Turno unico: 12 luglio - 31 luglio. Direttore: Pastore Marco Ayassot. Quota globale:
L. 25.000.
I posti in Colonia e al Campo cadetti sono
limitali. Affrettatevi a chiedere e rispedire il
modulo di iscrizione.
Evitate il rischio di vedere i vostri ragazzi
esclusi da un benefico soggiorno marino!
Documenti sanitari e corredo.
Chiedere informazioni dettagliate alla Direzione della Casa Valdese, 18019 Vallecrosia
(Imperia).
I congiunti deH'Insegnante
Adelina Peyronel
ringraziano tutti coloro che hanno
manifestato la loro simpatia in occasione della dipartenza della loro cara.
« L’Iddio mio mi verrà incontro
con la sua benignità ».
(Salmo 59: 10).
Pinerolo, 25 marzo 1971.
RINGRAZIAMENTO
L’8 marzo il Signore richiamava
a Sé
Luigia Codino
ved. Codino
di anni 83
La famiglia, nel darne l’annunzio,
ringrazia sentitamente tutti coloro
che hanno preso parte al suo dolore.
Un ringraziamento particolare al past.
Ayassot, al dott. Ros, ai compagni di
lavoro di Ettore, all’Unione delle madri, alla famiglia Gardiol, ad Alma
Avondetto e a Yvonne Romano, le
quali sono state di grande aiuto durante i lunghi anni di infermità.
5
26 marzo 1971 — N.13
pag. 5
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
Chiesa cattolica e Consiglio ecumenico
Un dibattito alla Foresteria di Torre Pellice
Ivrea
Come si sa, il Consiglio Ecumenico
delle Chiese, costiUiito nel 1948, è una
organizzazione che deve servire alle
Chiese come strumento per la loro conoscenza reciproca e per la loro collaborazione in vista dell'unità di tutti i
cristiani. Di esso fanno parte attualmente 240 chiese (protestanti, ortodosse, vecchio-cattoliche, ecc.), comprendenti più di 380 milioni di cristiani.
La Chiesa Cattolica non ne fa parte,
ma dopo il Concilio Vaticano II i contatti e la collaborazione tra questa e
il Consiglio Ecumenico si sono fatti
sempre più stretti, così da far sorgere
la questione se non sia giunto il momento che anche la Chiesa Cattolica
entri nel Consiglio Ecumenico. Su questa questione le Chiese che già fanno
parte del CEC sono state invitate a
dare il loro parere; anche noi dunque
dobbiamo pronunciarci.
Domenica 14 marzo l’Unione Femminile di Torre Pellice e l’UCDG hann(j organizzato una tavola rotonda, che
è stata un'utile introduzione alla discussione di questo problema nelle
nostre Chiese.
Hanno parlato il Past. Paolo Ricca,
Don Mario Polastro, il Dr. Ezio Borgarello e il Prof. Riccardo Gay.
Paolo Ricca ha scritto sulla questione un parere documentato e chiarificatore, che è stato pubblicato in questi giorni dalla Claudiana, nella collana « Attualità Protestante ». In questo
libretto egli si pronuncia in modo favorevole all’ingresso della Chiesa Cattolica nel CEC. La cosa gli ha già procurato parecchie critiche.
Nel suo intervento, egli ha quindi
precisato il suo pensiero: dire sì all’ingresso della Chiesa Cattolica nel CEC
non significa dire sì alla Chiesa Cattolica. Il CEC è un « luogo di incontro »:
le Chiese che ne fanno parte non devono rinunciare alla loro dottrina e alla loro costituzione, e non devono imporre nulla alle altre Chiese. Ma la comunione che esse realizzano è un atto
di speranza, di apertura verso ciò che
« Dio può creare nel corso di una storia che non ci appartiene, ma appartiene a lui ».
Certo, vi è anche la possibilità che,
con l’ingresso della Chiesa Cattolica,
il CEC si cattolicizzi. Lo si potrà vedere da due segni: 1) «Se crescerà la
tendenza delle Chiese a essere Chiese
del consenso. Chiese che consacrano la
lealtà piuttosto elle cuniestarla »;
2) « Se il cristianesimo continuerà a
essere interpretato essenzialmente come una religione sacramentale ».
Ma vi è anche la possibilità opposta,
cioè che la Chiesa Cattolica diventi
ecumenica; la sua « cattolicità » sarebbe allora vera cattolicità, nel significato originale di « universalità ».
Don Polastro, sacerdote a San Lazzaro, nella zona operaia di Pinerolo, è
soprattutto preoccupato di ciò che il
mondo, la gente che non va al culto,
che non partecipa ai dibattiti e non
legge i giornali ecclesiastici, può capire di un problema come quello dell’ingresso della Chiesa Cattolica nel
CEC; è evidente infatti, che questo
problema interessa ben poco la base.
Ma se interessa poco, è perché finora
i rapporti ecumenici sono stati quasi
soltanto ad alto livello, e le comunità
non ne sono state informate. Inoltre si
è perso tempo; negli ultimi 10 anni non
si è saputo effettuare un autentico confronto delle rispettive posizioni: Vittorio Subilia ha fornito una presentazione del cattolicesimo in cui i cattolici
più aperti non si riconoscevano; d’altra
parte, nessun teologo cattolico gli ha
saputo o voluto dare una risposta che
fosse a livello del suo impegno. Dal
canto loro, gli uomini di « Gioventù
Evangelica » hanno offerto un’interpretazione sociologica della convergenza
ecumenica, che è in gran parte valida,
ma che teologicamente è fin troppo dipendente dalle analisi di Subilia.
L’unico modo per ricuperare il tempo perduto, è di compiere nelle comunità dei precisi gesti, che siano una risposta evangelica ai problemi e alle sfide del mondo.
Don Polastro ha ricordato la partenza di Abramo e la partenza dall’Egitto,
come esempio di ciò che è richiesto a
tutte le Chiese nella situazione attuale.
La prima partenza significa l’abbandono delle nostre sicurezze, del complesso di maggioranza per i cattolici, del
complesso di minoranza ( « siamo i migliori ») per gli evangelici.
La seconda partenza vuol dire « uscire dalla sistemazione nella schiavitù »,
Sabato 3 aprile, ore 21
nel Tempio di Torre Pellice
Concerto corale
e di organo
Jugendkantorei della Chiesa della
Risurrezione, Essen, diretta da
Ursula van den Busch
Musiche di J. S. Bach, Scheidt,
Schein, Kodàlj, Reda
svincolarsi dai legami con il sistema
capitalistico in cui viviamo. « Pensiamo a tutta l’eredità che abbiamo nella
nostra pietà, nella nostra predicazione:
un certo concetto di ordine, l’idea del
credente pulito, che è quello che non si
immischia troppo, che è quello che non
lotta troppo, che quando sente dire
"lotta di classe” storce il naso ».
Se le comunità si metteranno insieme in questo movimento, « per vedere
insieme, come atto di obbedienza al comune Signore, quali sono le strade che
egli ci indica », il CEC potrà anche servire, a patto che sappia rispecchiare la
realtà di base.
Terminando, Don Polastro ha indicato tre problemi: 1) Di dove vengono i
finanziamenti del CEC. Quali sono le
eventuali forze politiche ed economiche che stanno dietro; 2) come potrà
esprimersi nel CEC il « dissenso », sia
cattolico sia protestante; 3) nel « rapporto dei sei » non ci sono le linee future dell’ecumenismo.
« E allora — egli ha concluso — l’ingresso eventuale della Chiesa Cattolica
mi interessa soltanto se ciò che si fa in
alto ha un corrispondente nelle nostre
comunità, o meglio se a un certo punto
non sarà più necessario dire alto e basso, ma la Chiesa sarà veramente il popolo di Dio, che, servito dai ministeri,
dirà al mondo la speranza che ha ricevuto, la speranza del suo Signore ».
Queste preoccupazioni sono state riprese dagli interventi del Dr. Borgarello e del Prof. Gay, il quale ha espresso il timore che, dopo tanti ritardi, si
abbia ora fretta di concludere, mentre
le comunità non sono sufficientemente
informate e sensibilizzate a una decisione come quella dell’ingresso della
Chiesa Cattolica nel CEC. Qccorre dunque un profondo lavoro di base e uno
sviluppo deH’informazione.
b. r.
llllllllllllllllllllllllllllimilllllllllllllllllllllllllllllllIIIIIIIII|||||||||H|||||||||||!||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||!!j!i|||||||
Educazione sessuale in Val Pellice
II Dr. Emilio Fattori, nella seduta del Consiglio Comunale di Luserna S. Giovanni del18 marzo 1971. mi ha rivolto parecchie accuse a causa di un mio articolo pubblicato sulVEco-Luce del 12-2-’71, in cui mi permettevo
di rispondere ad alcune affermazioni approvate da quel Consiglio Comunale a proposito del
corso di educazione sessuale per genitori in
Val .Pellice.
Mi semiira che. in questa questione, i problemi siano due: 1) La responsabilità del Consiglio di Valle ìielPorganizzazione del corso;
2) L'opportunità di un corso di educazione
sessuale in Val Pellice.
Per quanto riguarda il primo problema, riconosco volentieri che il mio articolo conteneva unMncsaltezza : Pìniziativa della riunione del 12-1-1971. in cui i genitori dovevano
discutere rorgaiiizzazìone del corso, non fu
presa dal Consiglio di Valle come tale, ma dal
Servizio sociale dello stesso, in collaborazione
con il Circolo dei Genitori della Scuola Media di Torre Pellice. Per altro, quanto a inesattezze c a interpretazioni ca|)ziose del mio
pensiero, rintervenlo del Dr. Fattori ne contiene tante e tali, che sarebbe troppo lungo
rispondergli in dettaglio. Rimane legittimo il
sospetto che il caso non sarebbe stalo sollevalo
con tanto ardore, se non fosse stata in gioco
reiezione de! Presidente del Consiglio di Valle. avvenuta il 4 febbraio, con il risultato che
si cono.sce.
A me però preme di più il secondo problema. L organizzazione di un corso di educazione
sessuale non è una cosa facile; si tratta di superare le diffidenze e i pregiudizi tradizionali
verso tale tipo di problemi, se si vuole che
Piniziativa serva veramente alla popolazione e
non si limiti a raggiungere un ristretto gruppo di élite.
Ora. la dichiarazione approvata dal Consìglio di Luserna S. Giovanni, lungi dal distinguere la questione procedurale (secondo me
secondaria) dallo scopo dell’iniziativa (su cui
un giudizio positivo poteva anche essere
espresso), conteneva una tale massa di riserve
e di insinuazioni, da rappresentare un incoraggiamento bclPe buono a stare alla larga
dall'iniziativa. Perciò ho ritenuto di dover difendere il progetto del corso di educazione sessuale, tanto più che la dichiarazione si appellava alle « convinzioni evangeliche delle famiglie un altro pesante equivoco, perché
sì sa benissimo che per molli le « convinzioni
evangeliche » vogliono dire parlare il meno
possibile della realtà sessuale c, nei confronti dei figli, non parlarne mai.
Ora il corso è felicemente iniziato, con
grande affiuenza dì pubblico; il corso è promosso ufficialmente — ora la notizia è esatta — dal Consiglio di Valle. Non rimane ohe
augurare che il corso raggiunga il suo scopo,
per una maggiore informazione su questi problemi e per quella formazione completa della
personalità dei ragazzi che. voglio sperare, è
nel desiderio di tutti.
Bruno Rostacno
Nelle piccole comunità della diaspora evangelica, anche le commemorazioni tradizionali,
come quella del XVI l Febbraio, hanno dimensioni più modeste, in una cornice che non
è quella delle Valli Valdesi dove pure avvengono oggi, da quanto si legge, cose nuove e
stimolanti in vista di una maggiore fedeltà
ai compiti che il Signore ci affida in questa
nostra generazione.
Nella chiesa di Ivrea abbiamo celebrato un
culto commemorativo con celebrazione della
Santa Cena domenica 15 Febbraio. Ci siamo
raccolti nella meditazione delle parole di
Gesù ; « ÌSon temere, o piccai gregge; poiché
al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno ».
L’ascolto di queste parole ci ha guidato nella
rievocazione di alcuni avvenimenti del passato e ci ha dato modo di pensare alla nostra
responsabilità oggi, sia pure come piccola minoranza evangelica, chiamata ad una testimonianza senza complessi di inferiorità o di superiorità, ma nella ricerca di una più visibile fedeltà cristiana.
L'agape fraterna, preparata con cura dalrUnione femminile, ha riunito una cinquantina dì commensali nella sala della comunità.
Abbiamo avuto il piacere di accogliere in
mezzo a noi, già nel culto mattutino, la Professoressa Marcella Gay, membro della Tavola
Valdese, con la sua mamma, un tempo residenti ad Ivrea e membri della nostra comunità. Avevamo richiesto alla Sig.na Marcella
Gay di commentare un ordine del giorno sinodale riguardante la vita ed il rinnovamento
delle nostre comunità. Il commento fu seguito con attenzione dai presenti anche perché
ogni tanto faceva un riferimento ai problemi
della Tavola Valdese, problemi che non mancano mai e che richiedono impegno e speranza. Anche per rariioni di tempo, il dibattito non fu ampio e fedele al testo come lo
avremmo desiderato; soprattutto non riuscì
ad affrontare da vicino le questioni che erano
state sollevate. Tuttavia rincontro è stato
buono oltre che interessante; lo ricordiamo in
questa breve cronaca, ringraziando sentitamente le due ospiti pinerolesi alle quali inviamo il
nostro amichevole saluto.
La colletta al ci''io fu interamente dedicata al saldo del « o.cficit » della Tavola Valdese per quanto rigu i da la comunità di Ivrea.
______Lina delle sorelh? anziane della nostra comunità, Odille Corneflio ved. Bazzani, è giunta al termine della ua vita terrena, avendo
posto la sua fede nel Signore della risurrezione. È stata circondata da cure ed affetti
fino alla fine. La ricordiamo e porgiamo ai
eongiunti pensieri di simpatia e di speranza
cristiana.
— Il culto del 7 marzo è stato presieduto
dal Past. Giorgio Bxuchard, già Pastore di
questa comunità. Lo ringraziamo della sua visita. Domenica 28 marzo il culto sarà presieduto dal Past. Gino Conte, mentre il Past. Rostan visiterà la comunità di Torino (Via Nomaglio).
— È nato il 3 marzo il piccolo Andrea, di
Virgilio e Sandra Brey. Un cordiale augurio
a lui ed ai genitori felici.
— La famiglia della nostra sorella in fede
Jolanda Fabiole di Carenia è stata colpita da
un grave lutto con la perdita dell’unico figlio
Remigio, vittima di un incidente stradale,
all’età di 28 anni. A tutti ; familiari giunga
il nostro pensiero fraterno c soprattutto la divina consolazione.
— La scuola domenicale, insieme con un
piccolo gruppo di cadetti, ita inviato la somma di L. 80.000 quale offerta alla missionaria Laura Nisbet per il lavoro delle scuole domenicali nel Gabon. La colletta per le vittime
della inondazione nel Pakistan ha fornito la
somma di L. 62.800.
— Ringraziamo sentitamente il Past. Paolo Ricca il quale ha trascorso una serata con
noi per parlarci dell’eventuale richiesta della
Chiesa cattolica romana di entrare nel Consiglio Ecumenico delle Chiese. Una cinquantina
di persone erano presenti, compresi alcuni rappresentanti della locale comunità dei Fratelli.
A LUSERNA SAN GIOVANNI
Incontro di coppie miste
Sul problema dei matrimoni misti le nostre comunità hanno già espresso o stanno per
esprimere la loro posizione. Mentre la discussione si sta svolgendo, è bene che si conosca l’iniziativa di alcune 'coppie miste, delle
valli, le quali si riuniscono ogni mese (da
gennaio), con pastori e sacerdoti, per affrontare i problemi che si pongono concretamente nella loro esperienza familiare.
Questo gruppo è sorto dalla consapevolezza
che la diversità di confessione nella famiglia
non può essere minimizzata e neanche accettata staticamente, come un problema chiuso
(« ognuno si tiene la sua religione »), ma dev’essere un’occasione per approfondire la propria Cede, basata sulla meditazione comune
dell’Evangelo. Questo approfondimento avviene più facilmente se le coppie non sono isolate, ma si ritrovano per scambiarsi le proprie
esperienze e cercare insieme una soluzione ai
propri problemi.
Il gruppo non intende isolarsi dalle comunità, ma soltanto contribuire alla chiarificazione della situazione dei matrimoni interconfessionali e alla ricerca di una soluzione evangelica.
La prossima riunione del gruppo avrà luogo sabato 27 morso 1971 alle ore 21, Jiella sala
comunale di Luserna S. Giovanni. Essa è
aperta non soltanto a tutte le coppie miste,
ma anche a lutti coloro che si interessano del
problema.
.................................
Personalia
Domenica 21 marzo si sono sposati
a Bobbio Pollice Adriana Prochet e
Bruno Bellion. I nostri au^ri più fraterni a questa nuova coppia pastorale,
per la vita insieme, nel comune servizio fra noi.
L'assemblea di Verena dinanzi al prnblema
della carenza contributiva della chiesa
Riserve critiche sui «tagli» operati dalla Tavola riguardo alle spese
Abbiamo ricevuto, indirizzata a noi oltre
che al delegato della Tavola per il III Distretto, al presidente della Commissione del
III Distretto e a « Nuovi Tempi », questa lettera scritta in data 15 marzo dal past. Eugenio Rivoir, per conto dell’assemblea di chiesa
di Verona:
Cari amici e fratelli,
ieri una assemblea di chiesa della comunità
evangelica valdese di Verona ha — tra gli
altri argomenti — preso atto di una comunicazione della Tavola Valdese, secondo la quale sono stati operati alcuni tagli « nelle spese
federali e in quelle per il giornale Nuovi
Tempi » (lettera circolare del 20 gennaio
1971). La questione era stata discussa in consiglio di chiesa e portata dal consiglio in assemblea perché si potesse sentire il parere della comunità.
L’assemblea mi ha — a stragrande maggioranza e con un solo voto contrario — impegnato a scrivere una lettera con queste considerazioni che di seguito vi comunico.
1) Siamo grati a coloro che ci hanno fatto
vedere in modo estremamente concreto che
l’indifferenza in campo finanziario di molti (e
anche nostra) porta a delle conseguenze. Se da
una parte questo ci fa confessare la nostra
mancanza di coerenza con i discorsi che facciamo, d’altra parte ci fa vedere che ci sono
delle persone che non si limitano ad aspettare che altri dicano, ma fanno. Se questo discorso ha un senso, questo vuol dire per noi
che ci impegnarne ad un riesame dei nostri
contributi per il lavoro comune (e cioè daremo di più di quel che abbiamo dato finora,
che è poco); e questo vuol dire anche che
vi ringraziamo perché avete preso dei provvedimenti e li avete comunicati.
2) Siamo però in completo disaccordo sui
provvedimenti che avete preso. Infatti non
possiamo non constatare che i primi tagli che
avete effettuato sono stati nei confronti dei
lavori nuovi. Questo significa per noi che questi lavori sono visti come dei riempitivi, che
si fanno se si può (e se no si tagliano). I tagli
nelle spese federali hanno avuto per molti di
noi il significato dì un non volere andare
avanti con speranza in una direzione diversa,
oppure di andare avanti ma senza slancio. Anche i tagli per Nuovi Tempi, strumento discusso e combattuto in molte comunità, non
ci sono piaciuti (e non ci è piaciuto che i primi tagli fossero quelli). Siccome queste opere
so>io recenti, è probabile che queste decisioni
non susciteranno molte reazioni; non ci sono
infatti qui tradizioni già ben radicate da combattere, non ci sono posizioni ferme e stabilite da buttar giù. È insomma, ci è sembrato,
la soluzione più semplice. Non ci pare ebe
questa sia, necessariamente, la soluzione migliore (che accetta i rischi delle cose che sono
discusse).
Vorrei che consideraste che queste parole
non vi sono dette semplicemente per dire di
no con spirito critico. Si tratta di una risposta alla vostra comunicazione; e, meglio, di
una prima risposta. Ci proponiamo di riprendere il discorso con voi in occasione dell’esame
del bilancio che la Tavola ci comunicherà, con
Findicazione della proposta di preventivo per
l’anno prossimo.
In attesa di questa occasione rinnovata di
dialogo con voi, vi saluto fraternamente a
nome deU’assemblea della comunità di Verona.
Eugenio Rivoir
Non sta a noi rispondere a una critica mossa a una decisione presa dalla Tavola Valdese.
Ma è peccato che sia giunta evidentemente
troppo tardi, per poter essere presa in considerazione nelVassemhlea di chiesa di Verona
del 14 corr., la circolare del Moderatore in
data 10 marzo, nella quale si dava notizia che
nel mese di aprile, vista la situazione contributiva, gli assegni al personale della Chiesa
avrebbero subito una riduzione una tantum
(per un importo che, tra Valtro, supera la riduzione complessiva del contributo alla FCEI
e di quello a n Nuovi Terr^pi». Ci pare che
questa decisione tolga peso alVargomentazione
critica, né possa essere considerata « la soluzione più semplice ».
red.
MiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiixiiiifififiii'ii'i'iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiniiiiiiiiiiiiii
Il "tema" del 17 febbraio in Val d'Angrogna,
quest'anno, è stato la diaconia nella Chiesa
Come; già da alcuni anni a questa parte il
17 Febbraio ad Angrogna ha avuto un tema
intorno a cui si è svolta la manifestazione
centrale nel Tempio del Capoluogo. Ferme restando le altre parti della « festa » (falò, corteo, pranzo e serata), il tema è stato quello
della diaconia nella Chiesa, nel quadro della
campagna a favore dell’Ospedale di Torre
Pellice. Gli alunni delle Scuole elementari
hanno presentato in varie scenette la storia, i
problemi e l’attuale situazione di alcuni Istituti. Grandi cartelloni, preparati dagli stessi
bambini, con fotografie e dati cronologici e
statistici, messi lungo le pareti del Tempio,
hanno completato e integrato la presentazione
delle varie opere. La preparazione di tutto
questo ha implicato per i bambini un interessante lavoro di ricerca preventiva che ha sviluppato l’interesse dei più piccoli per le nostre
opere diaconali. Le scenette presentate dai
bambini sono state intervallate da canti della
Comunità, della Corale e dei bambini stessi e
il Past. Coisson ha concluso la manifestazione
con un messaggio ancora centrato sullo stesso
tema. Tutto ben riuscito grazie all’impegno di
tutti coloro che .sono stati coinvolti nel lavoro
di preparazione e di presentazione. Ci auguriamo che questo aggancio alla storia recente
della nostra Diaconia, abbia contribuito a sensibilizzare la comunità tutta a questo importante problema. Il pranzo comunitario, unico
quest’anno per tutta la Valle, in spirito di serena fraternità, ha raccolto una settantina di
jiartecipanti : pochi gli angrognini residenti,
molli gli amici e gli ex angrognini, con cui
molto ci siamo rallegrati. Ottimo il pranzo
grazie all’impegno di chi lo ha organizzato e
dei suoi collaboratori che ancora vivamente
ringraziamo. La serata era stata affidata all’Unione dei Jourdans che ha presentato la
commedia in tre atti : « Quel grand’uomo di
papà », ben recitata e molto applaudita. Negli intervalli ha cantato la Corale e si è esibito il Sig. Gianpiero Saccaggi, nolo ormai,
anche fuori dei nostri ambienti, per le sue
doti canore. Un vivo apprezzamento per l’impegno da tutti dimostrato per la buona riuscita della serata.
Accennando brevemente ad altre notizie,
ricordiamo l'attività della Filodrammatica che
ha replicato a San Giovanni, Torre Pellice e
Bobbio il suo « Nemico del popolo » di Ibsen.
L’ottimo livello di recitazione raggiunto, compatibilmente con la struttura dilettanti.stica
del gruppo, nonché la sorprendente attualità
del tema proposto dal dramma (scritto nel
18821), hanno suscitato ovunque vivi consensi e positivi apprezzamenti.
— Il 7 Marzo, giornata della gioventù, ad
Angrogna Cap. il culto è stato presieduto da
un gruppo di giovani che ha riscos.so pienamente Fapprovazione della Comunità, per la
serietà con cui ha saputo portare il messaggio
evangelico e la sua testimonianza personale.
— Il 9 Marzo abbiamo avuto la gradita visita del missionario Sig. Ellenberg. Non mollo numero.si, purtroppo, i partecipanti, ma
estremamente interessante la presentazione del
tema (il Lessouto). resa più viva dalTuso di
mezzi audio-visivi.
— Da Bologna ci giunge inaspettata la notizia del decesso di Bice Errerà, figlia della
Sig.ra Clotilde Pons Errerà. Alla Sig.ra Errerà
e ai suoi familiari desideriamo esprimere la
nostra viva partecipazione al dolore della separazione, fiduciosi però nelle promesse di
vita e resurrezione in Cristo. Le nostre più
vive condoglianze pure rivolgiamo alla famiglia Odin e in particolare al babbo Bartolomeo Odin dei Raggio per la dipartenza della
figlia Yvonne in Dionisi, avvenuta in Roma,
dopo lunga sofferenza.
— Ci rallegriamo vivamente con Laurina
e Venenzio Canonico per la nascita recente
della loro primogenita Barbara.
— In questi ultimi tempi molte sono state
le famiglie che hanno avuto un malato in
casa o all’ospedale ; esprimiamo per tutti Fan
gurio di un pronto ristabilimento.
Pomaretto
Appello speciale per la Scuola Latina
Alla fine di marzo un anziano o un responsabile, accompagnati da studenti della Scuola
Latina, passeranno nelle case per raccogliere
una generosa offerta per il benemerito Istituto.
Nomina di anziani e responsabili
In ogni qu’irtiere saranno eletti gli anziani
ed i responsabili, la sera del sabato 3 aprile,
vigilia delle Palme ; tre anziani alla LausaMasselli; 4 anziani e quattro responsabili per
Pomaretto; quattro anziani e quattro responsabili per Perosa; tre anziani e tre responsabili per ITnverso. I requisiti sono; sana pietà
evangelica, senso del servizio gioioso per la
chiesa, attiva partecipazione alle adunanze
compresa quella mensile del Concistoro e responsabili.
Visita di un missionario
Siamo grati al pastore missionario Ellenberger per la giornata del 13 marzo trascorsa
alla Scuola Latina e la sera con la comunità.
Il suo messaggio, le notizie e quanto ci ha
detto e mostrato dell’Africa sono stati molto
apprezzati. Non dimenticheremo: l’uomo delle
caverne che non teme lo spazio e<l il tempo;
Tuomo banlii che riflette, medita e non teme
il tempo; Tuamo bianco che appartiene al terzo mondo, secondo gli africani, e che ha
paura del tempo, sempre teso, divorato dall'ansia, alla ricerca dì ciò che non potrà mai
trovare se non troverà la vera comunione col
Signore.
L'augurio d'una rinnovala consacrazione al
Signore per coniugi Luciano De Gregorio e
Elena Gardiol. sposatisi il 14-3-*71.
Raccolta carta
Sabato 3 aprile i calecumcnì passeranno nelle case per la raccolta della carta.
Domenica 28 marzo il prof. Valdo Vinay
predicherà a Pomaretto al culto del mattino.
I culti della .settimana santa: Giovedì 8
aprile, ore 20.30 a Pomaretto e venerdì alle
20,30 al Clot Inverso.
Domenica di Pasqua: cullo alle 10.
6
pag. 6
NT. 13 — 26 marzo 1971
I NOSTRI GIORNI
UOMINI, FATTI, SITUAZIONI
Razzismo,
male disonorante
Nei giorni scorsi, e precisamente il
21 marzo, si è celebrata la giornata internazionale della lotta contro il razzismo, nel più vasto quadro dell’anno
1971 che l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha proclamato « anno internazionale di lotta contro il razzismo e la
discriminazione razziale ».
Ricorderemo ai lettori che la scelta
del 21 marzo è dovuta al fatto che in
tale giorno, nel 1960, la polizia sudafricana (bianca) aprì il fuoco durante
una dimostrazione di africani a Sharpeville, facendone una strage.
In un suo messaggio, il segretario
generale deli'ONU, Thant, ha ricordato che il male del razzismo continua a
disonorare le coscienze deH’umanità.
Noi siamo cittadini del mondo — egli
ha detto — ed in quanto tali dobbiamo sostenere tutte quelle organizzazioni internazionali che si battono per
affrettare la totale eliminazione della
discriminazione razziale in tutte le sue
forme e manifestazioni.
Di razzismi, infatti, ve ne sono tanti: quello « di colore », tipico negli
Stati sudafricani, in Giappone, contro
minoranze di altri colori; quello politico che non ammette né discute idee
diverse; quello economico e sociale instaurato dal vecchio imperialismo e
rafforzato dal neocolonialismo; quello
xenofobo, verso gli immigrati (vedi
Svizzera); quello regionale, fra « nordisti » e « sudisti » (e qui non occorre
cercare fuori Italia per constatarlo);
quello antisemita che ha provocato sei
milioni di morti durante il nazifascismo, e che permane in parecchi paesi, fra cui anche quelli dell’Europa
orientale. A questo proposito occorre
dire che proprio in questi giorni l'atteggiamento deirUrss nei riguardi degli ebrei che desiderano espatriare per
Nuovi crimini
in Sud Vietnam
(A.F.P.) - Un comunicato della Commissione di denuncia dei crimini di
guerra americani per il Vietnam del
sud rivela l’esistenza di nuove “gabbie
di tigre” nella prigione di Cay-Dua,
nell’isola di Phu-Quoc.
« Questa prigione è un inferno —
denuncia la commissione —: nel 1967
contava duemila prigionieri; oggi ne
annovera 28 mila. Essa è protetta da
uno sbarramento elettrico, da campi minati, da dieci tiratori scelti dotati di
mitragliatrici ed è custodita da nove
battaglioni di poliziotti. I prigionieri
mangiano, dormono e fanno i loro bisogni nelle celle, dove sono costretti a
rimanere accovacciati. Il cibo è composto da riso e da pesce avariato. Vengono praticate le più barbare torture:
bruciature sulla pelle del ventre, prelevamento di pezzi di pelle, aghi conficcati sotto le unghie e negli organi
genitali, chiodi piantati nelle tibie ».
Le gabbie di tigre sono a cielo aperto e
hanno 4 metri quadri di superficie.
La commissione, concludendo il suo
rapporto, lancia un appello « a tutti
gli uomini pensosi della giustizia nel
mondo agli avvocati, ai magistrati, ai
religiosi, a tutti coloro che amano la
pace e la libertà » affinché essi denuncino « queste prigioni-mattatoi per patrioti ». Il comunicato ricorda anche
che gli Stati Uniti destinano decine di
milioni di dollari a titolo di aiuto al sistema penitenziario sud-vietnamita.
(La commissione fa un dettagliato e
raccapricciante elenco che va dal maggio al settembre 1970, in cui risultano
morti 44 prigionieri fra torture e sparatorie, oltre a centinaia di feriti).
andare in Israele è mutato: sono stati infatti rilasciati parecchi permessi
di espatrio ed è stato pure precisato
che quando la pace verrà instaurata
in Medio Oriente, non vi saranno più
limiti per il loro espatrio.
Come dice giustamente Pierre Parai — presidente francese del Movimento contro il razzismo, l'antisemitismo e per la pace — in un suo scritto su « Le Monde », il razzismo è nato
e dimora nella storia, è un espediente
col quale i governanti gettano su altri
le responsabilità delle proprie colpe.
L’istinto di aggressività vecchio come
la bestia umana, lo genera. Il fanatismo religio.so e l’ingiustizia sociale lo
sviluppano e lo attizzano. La carta del
mondo, ove oltre due miliardi e mezzo di persone non riescono a mangiare secondo la loro fame, è in gran parte una carta razzista.
Con la recente decisione del Consiglio ecumenico delle Chiese di appoggiare alcuni movimenti che si battono
contro la discriminazione e l’oppressione razziale, questo argomento — in
verità non molto dibattuto fra noi in
passato — ha senza dubbio rivelato la
sua tragica attualità ed urgenza.
Ci auguriamo vivamente che la suddetta decisione e la circostanza dell’anno internazionale contro il razzismo, oltre ad offrire a ciascuno di noi
serio motivo per un esame di coscienza, costituiscano un indilazionabile
sprone per i genitori e per tutti i responsabili della gioventù ad affrontare e a parlare coi ragazzi di questo
problema che rimane oggi una delle
più grosse macchie dell’uomo.
Occorre chiarire e proclamare una
volta per' sempre che le varie teorie
razziste non hanno il minimo fondamento scientifico o religioso: di razze
ce n’è una sola, quella umana. Tutto
il resto è una pura invenzione di cervelli malati di miti, di pregiudizi, di
egoismo, di sete di potere e di denaro
che, dando un carattere pseudo scientifico o pseudo religioso al loro modo
di ragionare, hanno dato un alone di
legalità, perfino di moralità, a situazioni che degradano assai più chi le
impone di coloro che le subiscono.
Solo in questo modo, con radicali
mutati atteggiamenti, a partire da un
piano locale, contro ogni esclusivismo
razziale, sociale e politico ci è lecito
sperare in un futuro meno crudele e
meno ingiusto.
Colonnelli (e affini)
Com’è noto, quando i colonnelli fecero il loro colpo di stato in Grecia
pensarono subito ad organizzare dei
campo di deportazione per i prigionieri
politici, campi che sono stati impiantati nell’isola di Leros e a Oropos.
Ora, secondo un dispaccio dell’agenzia A.F.P. il segretario di stato greco
per l’informazione, a quattro anni di
distanza dal colpo, ha annunciato che
essi verranno chiusi verso la fine di
aprile. Egli ha precisato che dei trecento « comunisti » (per i colonnelli, come
per tutte le dittature di destra gli oppositori politici sono sempre e solo comunisti) che sono ancora internati in
detti campi, duecentotrenta/quaranta
verranno liberati. Quanto agli altri, verranno inviati in residenza coatta in
certi villaggi, ove potranno vivere in
esilio colle famiglie.
Per quanto riguarda gli altri confinati, attualmente dislocati in vari villaggi e isole della Grecia, e fra cui risultano parecchi ufficiali realisti ed ex
deputati centristi, pare che la loro posizione verrà esaminata caso per caso
e che verrà deciso della loro sorte di
conseguenza.
Riteniamo assai interessante riportare qui un concetto espresso dal suddetto ministro, che certo rifiette il pensiero governativo e che chiarisce ulteriormente il concetto di « governo forte » salvatore della patria e del benessere dei cittadini. Quando il segretario
di stato è stato interrogato su un recente decreto-legge che accomuna i
« delitti di stampa » a quelli commessi
dai « trafficanti di droga » e i « mediatori », ha precisato che « allo stesso
modo in cui un trafficante di droga intossica il corpo, il giornalista può intossicare Tanima... ».
E visto che parliamo di colonnelli,
fermiamo un momento l’attenzione sui
fatti recenti e recentissimi che stanno
succedendo da noi, anche se siamo
certi che 1’eversione di destra non è in
grado di rovesciare il nostro ordinamento democratico. E chiaro comunr¿ie
minmiiiiiiiiiiiiiimiMiiiiiiiiiiiMiiimM iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Per una storia valdese ecumenica
(segue da pag. 4)
che tutti i cattolici debbono accettare se vogliono essere fedeli alla Chiesa, non ci obbligano a costruire una storia che non sia più
una storia preferendo un accomodamento diplomatico, bensì ci impegnano a valutare
quello che è accaduto diffidando di certe fonti,
cattoliche e valdesi, che a una critica testuale
corretta risultano essere non delle fonti storiche pure ma una maniera di fare la storia o,
se si vuole, testimonianze di un certo modo
di polemizzare e di fare apologia, e soprattutto usando criteri teologici e filosofici veramente conciliari.
3) Per evitare delle vere e j>roprie contraddizioni fra ciò che si afferma e ciò che in
realtà succede, occorre misurare i propri atteggiamenti con quanto la comunità sta elaborando e portando avanti. Si tratta di evitare sia le cosidette « fughe in avanti » (verso
le quali si reclama sempre un massimo di severità) sia le fughe in retromarcia per le quali non è legittima una qualche privilegiata
presunzione di verità e di opportunità. Noi
abbiamo considerato legittimo l’intervento del
vescovo nei confronti di un bollettino parrocchiale, fatto ritirare dalla circolazione, perché
non ritenuto consòno con le responsabilità di
tutta la comunità pinerolese; alla stessa maniera diciamo che un libro del genere andava
esaminato dalPUfficio di pastorale ecumenica,
non per diffidenza verso le persone dell’autore
e dell’editore, ma semplicemente per inserire
nella linea comune anche il legittimo e laborioso contributo di chi ama la sua terra
e desidera farla conoscere nel suo contesto storico e religioso.
4) Ci sembra di dover dire al prof. Hugon che, mentre apprezziamo molte cose del
suo intervento, riteniamo l’ultima parte del
suo scritto ancora troppo trionfalista e apologetica per riconoscervi una tesi storica veramente fondata e severa.
L’appello del Direttorio ecumenico della
diocesi di Pinerolo riconosce la necessità di
una revisione storica scientificamente valida,
proprio perché le soddisfazioni in questa materia non sono finora venute né da una parte
né dall’altra, anche se la buona volontà non
manca e la coscienza cristiana di tutti lo
vuole.
5) Infine possiamo dire che questa di
scussione riguarda soltanto la seconda parte
del libro, il quale comprende oltre alla parte
prima (le preistoria) di grande interesse, una
terza parte sulla condizione sociale ed economica della valle, e la quarta parte, opera
diretta di don Bessonc (guida turistico-alpinistica) dove possiamo ammirare la competenza
e la passione di un autentico alpinista. Per
questo contributo il libro conserva una sua
piena validità. v. m.
che tinche 1 Ittilia hn i suoi « colonnelli » ed affini. Altro che opposti estremismi! Basti pensare agli arresti di ex
militari, basti pensare alla famigerata
manifestazione di Roma coi manifesti
inneggianti alla Grecia attuale ed esecranti la « democrazia infetta ». Sappiamo tutti che alla manifestazione, oltre
al « comandante » ricercato (con comodo) dalla polizia e di cui ci ripugna
persino fare il nome, oltre a un noto
picchiatore fascista, ha partecipato il
gen. De Lorenzo (toh! chi si rivede),
e, cosa assai più grave, due ex capi di
stato maggiore delle forze armate. Sorge più che legittimo il pensiero che questi ultimi abbiano lasciato non indifferenti « eredità » in certi ambienti militari.
Ecco perché riteniamo necessario ed
urgente che, oltre a una sollecita e seria inchiesta che giunga a colpire organizzatori, mandanti e finanziatori del
mancato colpo di stato, si debba procedere ad una profonda riforma dell’esercito, tutt’ora escluso da quelle essenziali norme democratiche (il grado
può tutto!) atte ad evitare la monopolizzazione e Tindottrinamento a senso
unico di centinaia di migliaia di giovani.
Roberto Peyrot
Si è svolta una serie di manifestazioni indette a Roma
dalla Lega per il Riconoscimento della Obiezione di Coscienza
Urge il varo di una legge
(ma il progetto all’esame è inaccettabile)
Dal pomeriggio del 9 marzo alla sera deiril u. s. si è tenuta a Roma una
serie di manifestazioni indetta dalla
Lega per il Riconoscimento della Qbiezione di Coscienza (presso M.I.R., via
Rasella 155, 00187 Roma).
L obiettivo era di ammonire i senatori della Commissione difesa ad approvare sollecitamente una legge sull’obiezione di coscienza che accolga i
principi basilari espressi nella Dichiarazione programmatica della Lega
stessa:
a) la effettiva regolamentazione di
tutti i casi di obiezione di coscienza
senza accertamenti sulla natura della
medesima;
b) la creazione di uno o più servizi civili aH’interno o all’estero non armati, alternativi al servizio militare;
c) l'automaticità della sospensione
della chiamata alle armi dell’obiettore,
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
DOVE VA LA .IUGOSLAVIA?
« In un appello drammatico all’unità, ammonendo che lo straniero si rallegrerebbe d’un indebolimento della Jugoslavia, di colpo il maresciallo Tito ha
portato la discussione sulle modificazioni di struttura del paese (discussione da tempo iniziatasi, ed oggi divenuta febbrile) su un piano di ampio contesto internazionale.
Il progetto di modifica della Costituzione, presentato il 28 c. a. ed affidato
alla discussione pubblica per la durata
di due mesi, prevede di dare una larga
autonomia, sia economica che politica,
alle sei Repubbliche e alle due province
di Kosovo e di Voivodina. I poteri della
Federazione verranno ridotti al massimo.
Il maresciallo Tito conserverà senza
dubbio la guida del paese fino al suo
ultimo soffio di vita. Ma, alla sua morte, la direzione delio Stato verrà assunta da un presidium di 14 membri, due
per ogni Repubblica e uno per ogni
provincia. E intanto, già a partire dalla
fine del prossimo crosto, il presidium
comincerà a funz.i nare, alleggerendo
COSI il 78enne Tito o ima parte delle sue
fatiche.
Quale ufficio dov ebbe avere questa
presidenza collettix ■:? Secondo le intenzioni dell’ideatore (che è lo stesso maresciallo), la presidenza collettiva dovrebbe funzionare come un organo direttivo che impongo l’unità fra gli interessi contraddiU: ci delle nazioni e
delle Repubbliche, -dto sembra preoccupato soprattutto d’assicurare la sopravvivenza del suo Stato. Egli sa che
la Jugoslavia, col suo sistema di autogestione, disturba hi osca ed anche qualcuno dei suoi alleati, e che questi sarebbero i primi aa approfittare d’una
disintegrazione del paese dopo la sua
morte.
Tuttavia l’idea che la Jugoslavia debba esser sottoposta ad una presidenza
collettiva autoritaria, non è riuscita
fino ad oggi ad imporsi. La maggioranza degli uomini politici jugoslavi appoggia la tesi inversa e cioè: che più
le Repubbliche saranno indipendenti,
meno confitti vi .saranno e più forte
sarà anche l’unità ». Precisamente sembra delinearsi una maggioranza favorevole alla creazione d’un Parlamento
dal quale la presidenza collettiva dovrebbe dipendere.
In ogni caso « la decentralizzazione
sarebbe accompagnata da una importante liberalizzazione dell’economia. In
avvenire la Federazione non sosterrà
più finanziariamente i progetti delle
Repubbliche (a parte nelle regioni sottosviluppate). Praticamente le Repubbliche godranno d’una totale autonomia, mentre la Federazione si accontenterà di vegliare sul mantenimento del
sistema di autogestione e sull’unità delle regole economiche, per evitare il rischio d’un separatismo delle Repubbliche in compartimenti stagni (Oltre a
garantire il mercato comune jugoslavo,
la Federazione manterrà la suprema
gestione della politica estera e della difesa militare). L’autogestione, che è il
fondamento del sistema jugoslavo, sarà al centro d’una grande conferenza a
Serajevo (maggio c. a.), conferenza già
due volte rinviata a causa di discordie
ideologie Pie.
Sembra ora che, preoccupandosi di
mantenere, anzi di rinforzare ulteriormente il potere operaio nella nuova
struttura del paese (struttura che conferirà grande autorità alle sedi locali e
regionali), si abbia la molto seria intenzione di legalizzare il diritto di sciopero. In certa misura, questo diritto di
sciopero costituisce un paradosso, dal
momento che sono gli operai stessi ad
eleggere Uberamente le direzioni delle
loro imprese. (...) Lo Stato jugoslavo
appare così sempre meno interventi.jta
(nell’economia e sociologia proprie).
concedendo anzi libertà di movimento
alle imprese.
Insomma affiorano iniziative e riforme profonde in serie, che non sembrano muoversi nella direzione d’un allineamento sul sistema sovietico: al contrario, esse sembrano volerne respingere gli ultimi residui ».
Questo articolo (pubblicato da Henri Hartig sul « Journal de Genève » del
20-21/3/’71) è particolarmente interessante, nell’imminenza della visita del
maresciallo Tito in Italia.
LA SCOMUNICA
« L’ arcivescovo d’ Asuncion, mons.
Ismael Raion, ha annunciato (giovedì
18 c.) che il ministro paraguayano degl'interni, Sabino Montanoro, e il capo
della polizia generale Fernando Britez,
sono colpiti da scomunica. Egli infatti
considera i due uomini responsabili del
rapimento, avvenuto in Paraguay, d’un
prete uruguayano, il rev. P. Monzon,
nonché delle manifestazioni d’ostilità
contro il vescovo ausiliario di Montevideo, mons Andres Rubio, quando questi venne ad Asuncion a chiedere la liberazione del prete ».
Questa breve comunicazione, apparsa su « Le Monde » del 20 c., è accompagnata dalla seguente precisazione.
« La chiesa paraguayana ha preso molte volte posizione contro il regime del
generale Stroessner (cfr. “La Luce”
del 12 c.). Il 18-12-’70 la conferenza episcopale pubblicava una dichiarazione
molto dura, in cui denunciava le estorsioni commesse dalla polizia, le ingiustizie sociali, gli attentati ad ogni specie di libertà d’espressione ».
La notizia d’una vera e propria scomunica, in pieno sec. XX, non è cosa di
tutti i giorni. E la chiesa cattolica ottimamente ne fa uso, a nostro parere, in
situazioni così gravi... Ma allora, messi
su questa strada, perché non estenderne l’uso ad altre situazioni non meno
gravi che sono (chi ne dubita?) pur
tanto numerose? Ci limitiamo a citare
il primo esempio che ci viene in mente: quello della situazione della Repubblica di Haiti, dove il feroce presidente François Duvalier, il cosiddetto
« papà Doc », esercita da 13 anni la sua
incredibile dittatura. E tanto più che
tale dittatura è aggravata da un’ideologia bestialmente blasfema contro la
chiesa cattolica, anzi contro il cristianesimo in generale.
Se ne vuole una prova? Citiamo in
proposito la seguente parafrasi della
preghiera domenicale (che, per non allontanarci in nulla dal testo, riportiamo nella sua lezione francese originale): «Notre Doc qui êtes au Palais National pour la vie, que votre nom soit
béni par les générations présentes et futures, que votre volonté soit faite à
Port-au-Prince et en province. Donneznous aujourd’hui notre nouvelle Haïti,
ne pardonnez jamais les offenses des
apatrides qui bavent chaque jour sur
notre patrie ».
(Dal « Catechismo della rivoluzione »,
piccolo libro diffuso ovunque nella Repubblica di Haiti; riportato da « Le
Monde Diplomatique » del febbraio ’71).
iiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!iii>ii>iiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiii
Santo Domingo (Relazioni Religiose) - Il settimanale ge.suita che si pubblica nella Repubblica Dominicana, « Estudios Sociales », in
uno dei suoi ultimi numeri rileva che nel paese il movimento per la emancipazione femminile procede mollo lentamente. La supremazia
del maschio (« maschismo ») è in declino, si
afferma nella rivista, ma le donne sono ancora molto lontane dalla parità di diritti. Nella Repubhiica Dominicana le donne hanno ottenuto il libero ingresso negli uffici statali
solo nel 1940. La situazione è tale, afferma la
rivista gesuita, che una donna può essere nominata governatrice di una provincia ma non
può amministrare il suo patrimonio domestico.
dal momento della presentazione della
domanda;
d) l’istituzione di una commissione
composta da civili con l’unico compito
di ascoltare e destinare l’obiettore ad
un servizio alternativo di pubblica utilità, tenuto conto delle sue attitudini
ed aspirazioni;
e) il valore sostitutivo e non punitivo del servizio civile.
È stato denunziato all’opinione pubblica il progetto di legge che invece i
senatori stanno varando. La Lega ha
giudicato tale progetto « superficiale e
vessatorio ». Esso prevede tra l’altro i
punti seguenti:
— si richiede che l’obiettore, prima
del servizio militare, abbia « fatto
in precedenza manifesta professione » di pacifismo (occorreranno i
certificati del commissario di P.S. e
del parroco?);
— l’obiezione è ammessa solo fino al
31 dicembre dell’anno precedente
alla chiamata di leva (si può essere
pacifisti solo in tempo di pace e solo fino ai 21 anni);
— è il ministro della difesa che decide
se il giovane può essere obiettore
o no;
— l’ennesima commissione, composta
anche da militari, accerterà la sincerità degli obiettori (come farà?
con una macchina della verità?);
— si discrimina tra cittadini buoni
che fanno il servizio militare e quelli cattivi che fanno il servizio civile: per i cattivi, 8 mesi di più e
sempre alle dipendenze del ministro della difesa.
I pacifici manifestanti (alcune centinaia) erano membri dei gruppi paci!';
sti e no, aderenti alla Lega, e delle Federazioni giovanili dei partiti democratici e delle AGLI, provenienti da
ogni parte d’Italia.
La manifestazione è consistita in
pubbliche assemblee, volantinaggio,
proiezioni, happening; numerosi obiettori hanno dato la loro testimonianza.
La Pubblica Sicurezza ha ostacolatoin tutti i modi la manifestazione, negando le autorizzazioni, chiudendo le
vie di accesso al Senato, e giungendo
a sciogliere con là forza un gruppo ut
manifestanti, procedendo anche a fermi ingiustificati che sono stati stigmatizzati dai parlamentari dei partiti democratici con interrogazioni al Ministro degli Interni,
Nell’Assemblea conclusiva si è ribadita l’opposizione ad una legge che
non risolve i problemi reali degli obiettori, e l’impegno ad ottenere miglioramenti sostanziali. Altre manifestazioni
sono previste per la metà di aprile, al
momento del passaggio in aula del
progetto di legge. H. V.
MiiiMiiiiiimiiiiimiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiMiimiiiiiiiiF
Viaggio in Terra Santa
II tentativo più volte effettuato negli anni
passati di organizzare un viaggio in Terra Santa sembra che possa quest'anno essere iinaìmente realizzato. Già avevamo resi attenti Ì
lettori deiravviso negli anni passati che sarebliero state necessarie trattative con organizzazioni cattoliche competenti, dato Tesiguonumero di persone che nel nostro mondo evangelico s’interessano ad iniziative del genere.
Abbiamo adesso potuto stipulare un accordo di
m.assima con la (c Organizzazione diocesana di
pellegrinaggi » di Milano e da parte cattolica ci accompagnerà propabilmente il noto*
biblista mons. Galbiati, da parte protestante
il prof. Soggin. Il viaggio si svolgerà in un
arco di 10 giorni, dal 3 al 12 settembre, da
Milano a Milano, con un prezzo che s’aggirorà, tutto compreso, sulle L. 170.000. Un opuscolo sarà presto a disposizione degì'inleressati.
che potranno sollecitarlo scrivendo al prof.
Alberto Soggin, via Pietro Cossa 42. 00193
Roma, allegando L. 100 in francobolli jier lespese.
Le ragioni per un viaggio del genere sono
multiple : vi è chi vuole fare un pellegrinaggio nel senso più ampio o più ristretto del termine, vi è chi pre ferisce conoscere la realtà
israeliana ed araba e del Vicino Oriente in
generale, oggi. A tutti questi scopi si oppon-^
gono ovvie limitazioni di spazio (meta saranno Israele ed i territori arabi occupati) e di
tempo. Vi è chi persegue ragioni proprie in
un viaggio del genere. Di questi scopi multipli sì terrà il dovuto conto, com'è ovvio,
sempre nei limiti delle possibilità.
L'organizzazione tecnica verrà affidala alla
f( Duomo, Viaggi e Turismo, s.p.a. » dì Milano, che ci riserva 25-30 posti. Ulteriori notìzie e dettagli verranno dati nell'opuscolo
citato.
A. S.
AVVISI ECONOMICI
CERCASI inserviente fìssa per Convitto Mascliile Valdese di Torre Pellice 10066 (Torino). Scrivere o telefonare al (0121) 91230.
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (Torino}