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S'
Anno 115 - N. 39
28 settembre 1979 - L. 300
Spedizione in abbonamento postale
1“ Gruppo bis/70
ARCHrVIO TAVOLA VALI
10066 TORBE FELLICE
ddk valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
Una riflessione biblica in margine alla riapertura delle scuole
Come imparare a vivere?
Pur non vivendo più nella situazione di un popolo-chiesa, bensì nella
tenue diaspora cristiana, la sapienza biblica resta una proposta vera
Proverbi 4 v. 3 e seguenti
I nostri ragazzi tornano a
scuola. A milioni, nel nostro
paese. A molte centinaia di milioni, nel mondo, sebbene anche
in quest’Anno internazionale del
fanciullo altre centinaia di milioni di bambini siano tuttora
privati di una vera formazione,
e molti di loro anche di un’educazione scolastica di base. Luci
e ombre, è dunque un fenomeno grandioso; al di là del suo
carattere abituale, uno dei più
grandiosi, a livello planetario.
Imparano a vivere, i nostri
ragazzi? Sarebbe ipocrita e disonesto rivolgere polemicamente questa domanda alla sola
scuola, per quanto disastrata
sia la nostra. È una domanda
che va rivolta all’intera società
che andiamo costruendo e proponendo loro, e anzitutto a noi
stessi, alle nostre famiglie. Com’è stato per noi alla loro età,
così i nostri ragazzi non si formano soltanto a scuola, ma nella trama multiforme dei loro
rapporti umani, delle loro esperienze quotidiane, vivendo con
noi e vedendoci vivere, ricevendo all’incirca la stessa massa di
informazioni e di sollecitazioni
che riceviamo noi. La nostra responsabilità nei loro confronti,
indiretta e diretta, è dunque
grande.
viamo nell’Israele biblico, salvo
eccezioni, grandi punte di riflessione filosofica, grandi problemi
concepiti e discussi astrattamente; la sua « sapienza » è direttamente riferita alla vita,
svariata e concreta, con le sue
gioie, le sue sofferenze, i suoi
enigmi, i suoi problemi di sussistenza, i rapporti con la natura e i rapporti sociali, la vita
con i suoi miti idolatrici e tentatori, con le decisioni e le scelte che c’impone continuamente,
la vita bella e difficile, goduta e
dolorosa, ardente o triste. Non
è una cultura terra terra. Il fatto è che non c’è altra vita che
questa, la vita di quest'uomo
nell’inscindibile unità della sua
natura e nell’indissolubile unitarietà della sua esperienza vitale. La « praticità » e concretezza
della sapienza d’Israele si radica in questa visione unitaria
dell’uomo e del mondo.
Una sapienza
di vita
In Israele questa responsabilità era vissuta intensamente.
Ne sono documenti i libri della
cosiddetta « letteratura sapienziale », in particolare quella accolta nell’Antico Testamento;
ma in realtà l’intero A.T., anche
quando annuncia le gesta di Dio
nella storia del suo popolo e delle nazioni, anche quando canta
Dio e la sua gloria e bontà, ha
anche sempre questo carattere
didattico, e carattere didattico
ha il culto, annuncio e canto
sono anche sempre meditazione
e insegnamento di vita. Nella
comunità viva, quotidiana,^ del
suo popolo e in quella più ristretta del clan tribale, di villaggio, familiare il giovane israelita impara a vivere. Non sappiamo molto quanto a istituzioni scolastiche, nell’Israele biblico. Indubbiamente, via via che
si evolveva la sua vita sociale
Israele ha avuto scuole, scuole
profetiche, scuole di scrilsi, scuole per l’élite culturale e la classe dirigente. Ma la formazione
di base avveniva largamente a
livello familiare e nel s6d, quel
’circolo’ di villaggio o di quartiere che il Köhler descrive
splendidamente nel suo saggio
su « L’uomo ebraico » e dove
nella libera conversazione, a sera, o a festa, i ’savi’ formulano
con vivacità e in dialogo serrato la loro sapienza di vita. Qui
il giovane impara a vivere, impara questa sapienza di vita che
ha nel « timor dell’Eterno » la
sua radice (Prov. 1/7 etc.), impara a camminare (con bella
plasticità la vita è considerata
una via, un movimento costante, ricco d’incontri e d'esperienze impreviste, di circostanze con
cui misurarsi), e a camminare
con il suo Dio.
Un’unica
realtà indivisa
Ma anche più originale è la
seconda caratteristica della sapienza d’Israele: non ci sono
due scuole, quella quotidiana e
quella domenicale (pardon, sabbatica), quella civile e quella religiosa. Imparasse dai genitori,
dalla vita del villaggio, dallo
scriba nella sinagoga o magari
all’università del Tempio, il giovane israelita — e l’adulto e
l’anziano reimparavano con lui
— imparava il « saper vivere »,
a camminare con Dio. E ciò consisteva essenzialmente nella vita di tutti i giorni; con Dio, alla
sua presenza, con gratitudine e
conseguente responsabilità verso di lui si metteva su e si manteneva famiglia, si arava e si
mieteva, si produceva e si consumava, si cercava e si amministrava giustizia, si godeva l’amore e Tamicizia e la solidarietà, ci si scontrava con l’odio, il
rancore, l’egoismo, la guerra, si
contemplava felici le messi mature e il cielo stellato, si affrontava la grandine e l’alluvione
dell’Madi. Usando termini usuali ma ambigui, si può dire che
tutto il ’sacro’ era profano e
tutto il ’profano’ era sacro; perché non c’era né sacro né profano, bensì l’unica realtà creata
da Dio e resa contradditoria
dalla ribellione dell’uomo. La
sapienza di vita è questa: tutto
il vivere quotidiano è camminare con Dio, anche se per via c’è
qualche ’stazione’ cui fermarsi,
soli o in comunità, ad ascoltare
il Signore, a lodarlo, a invocarlo. Quando l’apostolo Paolo scriveva ai Romani (12/1 s.) che il
vero culto era quello dei loro
« corpi », della loro vita di tutti i giorni, non inventava, ma richiamava a un antico fondamento della fede d’Israele, della sua
particolarissima sapienza di
vita.
Discorso ’archeologico’ sull’Israele biblico? Mutano — e
quanto! — le situazioni, non solo storicamente, ma teologicamente, perché non viviamo più
in un popolo-chiesa, bensì nella
tenue diaspora cristiana in un
mondo che cristiano non è. Eppure la sapienza biblica resta
una proposta vera.
L’insegnamento
di un padre
Leggiamo questo cap. 4 dei
Proverbi, ad es. È un padre che
parla, e da buon papà si preoccupa per il figlio, vuole trasmettergli quel che ha imparato (sarà stato un figlio modello? sembrerebbe, ma i genitori, e gli
adulti in genere, hanno a volte
vuoti di memoria...). In un suo
commento A. Maillot nota che
questo padre desidera che il figlio vada alla scuola degli scribi, piuttosto che frequentare i
Gino Conte
(continua a pag. 2)
MOVIMENTO DI COOPERAZIONE EDUCATIVA
Per una scuola laica
Si tratta di una cultura particolare: è sapienza non teorica,
astratta, bensì di vita. Non tro
Airinterno dello stage organizzato dal Coordinamento Regionale Piemontese MCE per i
giorni 30-31 agosto e 1-2 settembre a Torino, fra i problemi discussi è emerso quello dell’insegnamento della religione nella
scuola di stato.
È sembrato necessario ribadire:
1 ) il principio della laicità della
scuola di stato, in quanto scuola pubblica, che è tenuta al rispetto di tutte le minoranze, come sancito dall’art. 3 della Costituzione: « Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali
e sociali »;
2) il diritto dell’insegnante a
non essere obbligato in nessuna
forma all’insegnamento della religione cattolica;
3) il diritto-dovere dell’insegnante di favorire e tutelare la
formazione autonoma della per
Vita rurale alle Valli
Un’indagine sulla vita rurale delle donne a.lle
Valli valdesi condotta dalla Federazione Femrninile Valdese - pp. 4 e 5. (foto G. Odin)
RESPONSABILITÀ’ DI TESTIMONIANZA
Ora di
perchè
religione:
l’esonero
sonalità del bambino e dell’adolescente nel pieno rispetto dei
suoi sentimenti e della sua realtà culturale ed affettiva, senza
imposizione di alcuno schema
dottrinario e confessionale;
4) l’indipendenza reciproca dello Stato Italiano e della Chiesa
Cattolica come sancito nell’art.
7 della Costituzione « Lo Stato e
la Chiesa Cattolica sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani, mentre nel caso dell’insegnamento della dottrina cattolica, la scuola perde la
propria indipendenza e sovranità
assumendo come « suo fondamento e coronamento » l'insegnamento della religione cattolica.
Riteniamo che i fenomeni religiosi debbano essere considerati, nella scuola di stato, solo
all’interno di indagini a carattere antropologico, sociologico,
storico e che quindi non debbano
esserci né insegnanti, né insegnamento specifico di qualsiasi
religione come formazione, informazione o indottrinamento nelle
scuole di alcun ordine o grado.
Metà settembre: si riaprono le
scuole, e, a quasi trentacinque
anni dalla Liberazione, dopo tutte le speranze suscitate dal Vaticano II, dopo le solenni dichiarazioni dei rappresentanti di un
partito rimasto ininterrottamente al governo, le norme del concordato fascista sono ancora in
vigore e ancora occorre presentare una richiesta scritta per essere esonerati dall’obbligo di seguire le lezioni di quella che così rimane, nei fatti, la « Religione di Stato ».
Parecchi pensano che non sia
più il caso di fare tante storie:
« Se proprio si vuole, non c’è
che da fare una domandina in
carta semplice, e si è a posto;
però un po’ di religione, di morale, di conoscenza biblica non
fa certo male a questi ragazzi così difficili da educare; anzi
è meglio che imparino a conoscere le dottrine seguite dai loro
compagni di scuola, soprattutto
adesso che il Cattolicesimo non
è più quello di una volta, i preti
fanno leggere la Bibbia e sono
molto aperti verso i fratelli separati ». Questo è, più o meno, il
discorso di molti. Mi dispiace,
ma non sono d’accordo. Non è
cosa che va da sé una « domandina » che può far sentire e apparire diversi ai compagni —
almeno fuori delle Valli valdesi
— in un momento dello sviluppo in cui si ha invece bisogno
di essere rassicurati sulla propria normalità comportandosi
« come gli altri ». E tuttavia, per
quanto possa costarci, ricorrere
a questo famoso esonero rimane
un diritto e un dovere, come cristiani e come cittadini. Oltre ad
essere una della scelte che ci
permettono di dire individualmente il nostro rifiuto di rapporti fra stato e chiese che riteniamo sbagliati, in molti casi, e sopprattutto per i più piccoli, è stato (e rimane) uno strumento di
difesa per evitare indottrinamenti, discriminazioni, esperienze
traumatizzanti di affermazioni
contraddittorie, che verrebbero
ad aggiungersi al grave condizionamento che ogni minoranza subisce daH’ambiente esterno. È
tanto più facile fare come gli altri! Tuttavia, Quand’anche tutto
ciò fosse scomparso — ma non
basta leggere la Bibbia in classe
ner fare sparire ogni differenza
fra cattolicesimo e protestantesimo — l’esenzione rimane sempre uno strumento di testimonianza della nostra convinzione
che l’istruzione religiosa è compito delle famiglie e delle chiese,
non della scuola di stato.
Inoltre essa è anche un debito
di chiarezza verso i nostri figli,
perché si sentano su un terreno
definito — che domani faranno
proprio o meno — e non sulle
sabbie mobili di insegnamenti
contraddittorii o di un ecumenismo così generico da diventare
qualunquismo religioso.
Naturalmente, appena essi si
sentano in grado di confrontare le loro convinzioni con quelle
altrui, faranno benissimo a partecipare all’ora di religione, che
può essere un’esperienza viva e
stimolante. Ma anche allora sarebbe meglio, per chiarezza, chiedere in ogni caso l’esonero da un
obbligo in se stesso inaccettabile, e poi, se gli altri li accolgono,
partecipare tranquillamente ad
un dialogo liberamente scelto, in
un reale confronto ecumenico.
Allora potranno magari incontrare credenti che vivono la loro
fede con una coerenza tale da
stimolarli a fare altrettanto, senza più il rischio che l’ammirazione per la persona li induca a
trascurare quel confronto di
qualsiasi dottrina e tradizione
con TEvangelo che è alla base
della nostra fede.
Del resto questo dell’esonero è
un discorso che non riguarda solo gli evangelici. Ritengo che valga per tutti coloro, israeliti, atei,
cattolici, che non accettano il
compromesso concordatario.
Marcella Gay
2
28 settembre 1979
ECHI DEL SINODO
* * I Í I
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Finanze; un discorso chiaro
Il passaggio da aumenti percentuali indifferenziati richiesti anno dopo
anno ad una contribuzione data in relazione al proprio reddito (2-3 per
cento) è condizione necessaria per la soluzione delle nostre finanze
La discussione sinodale si è
svolta principalmente attorno a
due temi: 1) la situazione contributiva e le previsioni di impegni
per il 1979 e per il 1980 e 2) le
contribuzioni ed i metodi contributivi.
Sia il rapporto della Tavola al
Sinodo sia la relazione della
Commissione di Esame (CdE)
hanno fatto notare il divario crescente fra contribuzioni alla
Cassa centrale e spese per il
personale: il divario raggiunge
valori superiori al 10 per cento
nel 1979 e al 17 per cento nel
1980, se si tiene conto che l’aumento dei costi nel 1980 si può
stimare, forse ottimisticamente,
attorno al 15 per cento.
Si creano quindi dei « buchi »
notevoli nella gestione della cassa culto che, come tutti sanno,
riguarda soltanto il personale che
lavora nella chiesa, pastori e
laici. Facoltà di Teologia, Opere
varie della chiesa, ospedali ecc.
hanno delle gestioni separate.
Il rapporto della Tavola, preoccupata per l’andamento finanziario relativo alla cassa Culto,
si chiede « se le chiese non siano arrivate al tetto della loro
capacità o della loro volontà contributiva» ed ancora se «il criterio seguito finora, di proporre
ai distretti e tramite questi alle
chiese degli aummti percentuali
su quanto versato Tanno prima,
sia un criterio ancora valido, o
se non si debba invece rivederlo».
La CdE per parte sua, dopo una
ponderata valutazione, ha affermato che si è assai lontani dal
«tetto» contributivo, in tutti i
distretti della zona italiana (per
le chiese valdesi) e che vi sono
inoltre dei metodi più corretti
di quelli attualmente in uso per
calcolare la distribuzione dei carichi finanziàri fra le chiese ed i
distretti.
Un nuovo metodo
contributivo
Queste valutazioni sono state
discusse, prima del Sinodo ed in
vista del Sinodo, in una riunione
COM-NUOVI TEMPI
Prècisazione
Bene ha fatto E.G. a sottolineare, sul numero del 31 agosto, a
pag. 8, che il sinodo del 1978 .aveva responsabilizzato tutti gli evangelici presenti nella redazione di com-nuovi tempi e non soltanto, come al solito, il pastore.
Curiosamente però le responsabilità appaiono capovolte. Devo perciò precisare, per l’esatta
informazione dei lettori, che la
decisione relativa alla partenza
di Marco Rostan da Roma era
stata senza dubbio prevista da
E.G. (dal momento che lo afferma) e forse da altri suoi amici;
ma che né la redazione di comnuovi tempi né io stesso ne abbiamo avuto' conoscenza prima
dell’aprile di quest’anno, quando cioè erano già stati avviati i
contatti che dovevano condurre
alle proposte che la Federazione
delle chiese evangeliche ha poi
presentato al sinodo a proposito
del servizio stampa.
Al contrario, le difficoltà che
nascevano dalla struttura di lavoro in com-nuovi tempi e che
suggerivano un mio modo diverso di presenza, più indiretto nel
giornale {e quindi anche iin altro
tipo di mio lavoro nella chiesa)
erano ben noti agli evangelici della redazione e allo stesso Marco
Rostan, fin dalla primavera del
1978. Anche la Tavola ne era al
corrente, per mezzo della mia relazione ’78: avevamo anche avuto
un incontro tutti insieme, come la Commissione d’esame di
quest’anno ha potuto facilmente
verificare.
Con questo non intendo esaurire la questione, ma chiarire almeno questo punto relativo alla
« situazione incresciosa » di cui
parla E. G.
Giorgio Girardet
dei cassieri e dei presidenti dei
{Concistori delle chiese delle Valli, ottenendo parecchi consensi.
Esse accolgono anche le indicazioni e le preoccupazioni emerse
nella Conferenza del 2“ Distretto.
Su cosa si basa la convinzione
che vi sia ancora spazio alla generosità delle chiese? Su alcuni
punti, che sintetizziamo brevemente:
1) È giusto che ognuno contribuisca alle necessità della chiesa in proporzione ai propri mezzi (cioè al propri redditi);
2) Questa « proporzionalità »
deve essere in qualche modo
esplicitata, e resa chiara;
3) È possibile ripartire fra i
distretti, e fra le chiese, il carico finanziario totale, utilizzando
i dati resi noti dall’Istituto centrale di Statistica sui redditi medi per persona e per provincia,
e ipotizzando il fatto che i vaidesi siano « italiani medi » (ipotesi molto prudente per la Comnùssione d’esame, che ha suggerito Tipotesi che molti valdesi
siano convinti di essere migliori
della media nazionale...);
4) I conti fatti portano a dimostrare che, con contribuzioni
delTorchne del 3 per cento, i versamenti alla cassa centrale e per
le spese locali— presi nel loro
insieme — potrebbero aumentare da tre a cinque volte, a seconda dei distretti.
Si può quindi concludere che
si è lontani dal « tetto » e che
nello stesso tempo la soluzione
dei nostri problemi finanziari è
possibile ed è soltanto in una
maggiore responsabilizzazione
delle chi^e, ed in una maggiore
sollecitazione a contribuzioni più
equamente e più ragionevolmente proporzionali ai redditi.
In questo senso il Sinodo ha
fatto sue le conclusioni della
CdE, ed ha votato a grande maggioranza due ordini del giorno.
che riportiamo in questa pagina.
Tenendo conto di queste delibere sinodali, occorre quindi che
le chiese, tutte le chiese (e qui
accomuniamo le chiese metodiste e valdesi) rivedano sia i loro
assai prudenti impegni per il
1979, sia quelli per il 1980 sulla
base dei richiami del Sinodo, facendo appello ai membri di chiesa perché considerino la percentuale «attorno al due-tre per cento » come un elemento fondamentale e determinante per decidere
la propria personale contribuzione.
Come questo possa essere fatto dipende dalle situazioni locali. I membri dei Concistori, dei
Consigli di chiesa, i cassieri, i deputati al Sinodo hanno informazioni sufficienti a inquadrare il
problema, e devono utilizzarle
nelle riunioni di quartiere o di
zona, nelle assemblee di chiesa,
nei rapporti personali, facendo
circolare le informazioni e creando di conseguenza una migliore
e maggiore coscienza contributiva.
Un utile
confronto
Quest’anno la CdE ha fornito
a tutti i membri del Sinodo, e
per iscritto, dati esplicativi sul
consuntivo 1978, ivi inclusi i valori degli assegni ai pastori, alle
vedove, ai professori, ai vari impiegati dell’amministrazione, facendo notare da un lato il notevole ed evidente sforzo fatto dalla Tavola per contenere tutte le
spese di amministrazione (viaggi, fìtti, ecc.) sia, d’altra parte, i
valori molto modesti degli assegni.
Ciò per rendere possibile a
ciascun membro di chiesa il confronto con i propri guadagni e
Il Sinodo, presa conoscenza della
situazione contributiva 1978 dà atto
alie chiese deilo sforzo fatto, fa
presente l’importanza di continuare
a migliorare la pratica del versamento mensile da parte dei singoli
membri e delle chiese, invita la
Tavola a non operare dei tagli nei
suoi preventivi per il 1979 e a non
ridurre il personale all’opera nella
Chiesa, invita la Tavola e le Commissioni esecutive a distribuire le
richieste di contribuzione per il 1981
alia cassa centrale tenendo conto
della distribuzione dei redditi medi
e delle spese locali. Considerando
che vi sia ancora ampio spazio per
la generosità delle chiese, le invita
a rivedere i loro impegni per il
1979, in vista della copertura alme
no delle spese per il personale,
ricorda ai membri di chiesa che
la contribuzione deve essere data
in proporzione al proprio reddito,
intendendosi per proporzione una
percentuale attorno al due-tre per
cento (22/SI/79).
Il Sinodo, preso atto che gli impegni delle chiese per il 1980 non
sono sufficienti a coprire le spese
previste per il personale, e convinto
che vi sia ancora margine alla generosità delle chiese, le invita a rivedere i loro impegni. Ricorda anche che il traguardo stabilito dalla
Tavola è inferiore al previsto aumento del costo della vita, e che
ogni superamento del traguardo indicato servirà all’aggiornamento degli assegni ai pastori. (23/SI/79).
per dimostrare come, se tutti daranno realmente in proporzione
ragionevole ai propri redditi, potranno sparire molti assillanti
problemi della gestione ed anche
della testimonianza: quante iniziative anche valide sono fermate e frustrate dalla attuale cronica mancanza di fondi!
Ma vi sono anche altre conseguenze, non meno importanti.
Molti membri di chiesa, che già
danno in ragionevole proporzione ai propri redditi, avendo guadagni praticamente costanti col
passare degli anni (ricordiamo
per esempio i pensionati) non
sono in grado di rispondere alle
richieste di un aumento generalizzato, fatte nel passato. E ne
soffrono. Il nuovo criterio viene
incontro a questi casi. Inoltre,
altri membri di chiesa, pur avendo, redditi discreti o buoni, danno contribuzioni irragionevolmente basse: per questi le richieste di aumento percentuale
generiche, fatte nel passato lasciano il tempo che trovano. Il
nuovo metodo renderà questi
membri più attenti, e si spera
positivamente più attenti, alle loro responsabilità. L’esperienza di
molti cassieri conferma quanto
sopra detto. Non rimane ora che
rivolgere un invito a quanti, fra
i lettori, sono contribuenti un po’
distratti, o magari tanto distratti da dimenticare anche l’esistenza della contribuzione. Questi distratti sono molti, in tutte
le chiese.
CAMPO GIOVANI A ECUMENE
Musica: sentire o ascoltare?
I lavori del Campo Giovani,
che si è tenuto ad Ecumene dal
20 al 26 agosto, hanno avuto inizio con la relazione di Salvatore Cortini sull’analisi del fenomeno musicale formulata dai
campi giovani del 1977 e 1978.
Si è così parlato della necessità di chiarire che cosa si intenda per « musica », del modo di
ascoltarla e di usarla, del rapporto che esiste e che dovrebbe
esistere tra ciò che si ascolta e
chi ascolta.
Alla relazione si è poi aggiunta la lettura del documento finale redatto dall’ultimo Campo
Giovani, che ha fornito così nuovi spunti al dibattito, dibattito
che è proseguito sul tema specifico dell’incontro: Telaborazione di un canzoniere.
L’assemblea è stata quindi interrogata sul metodo da seguire
per giungere a tale elaborazione; sono così emerse due proposte: Tuna di operare una selezione fra le canzoni offerte
dal mercato; l’altra di creare da
noi testi e musica.
Con il proseguire della discussione ci siamo però accorti che
questo progetto, sia seguendo
l’uno che l’altro metodo, andava al di là delle nostre possibilità. Infatti, non solo i partecipanti a questo campo non avevano in maggioranza preso parte a quelli precedenti, ma mancavano anche di una pur minima conoscenza musicale indispensabile sia per « fare della
musica », sia per elaborare un
criterio di scelta.
L’assemblea ha cosi ripiegato
su un progetto meno ambizioso,
che non escludeva la possibilità
di giungere ad elaborare, a lungo termine, qualche cosa di nostro. Tale progetto si articolava
in due momenti: l’uno dedicato
all’ascolto di alcuni brani mu
sicali; l’altro ad una riflessione
comunitaria sull’audizione.
Abbiamo così potuto ascoltare brani tratti da « Stanze di vite quotidiana » di Francesco
Guccmi, ove l’uso della «ballata » rompe con la tradizione
della canzonetta e si ha l’uso
del « maggiore » come tonalità
affermativa e del « minore » come tonalità dolce. Abbiamo poi
ascoltato dello stesso autore
brani tratti da « Radici » ove^
m particolare per alcuni, la musica, ripetitiva, monotona, ossessiva, non ha omogeneità con
le parole e diviene sottofondo
d Ptetesto per dire delle cose.
Abbiamo anche ascoltato brani
tratti da « Rimmel » di Francesco De (jregori in cui i giochi
tra il « minore » e il « maggiore »
danno un senso più profondo e
ricco alla composizione.
Abbiamo infine ascoltato alcune Cantate di Bach, soprattutto per stabilire la profonda differenza tra questo prodotto artistico e la canzonetta, rilevando come Bach abbia costruito
Un monumento sonoro completo in cui l’elemento umano interviene come base armonica:
da una parte la voce è lo strurnento fondamentale come, dal1 altra, lo è il testo; la voce dice
e sostiene. In Bach è sempre vivo e dominante il tema della fede e nella sua opera c’è tutto il
passato e nello stesso tempo la
anticipazione di tutto ciò che
verrà dopo, vale a dire c’è il
senso della rivoluzione permanente.
Tutte queste audizioni sono
state precedute da una introduzione del critico musicale Giaime Pintor, che ha preso parte
al campo come esperto ed il cui
contributo è risultato essenziale per una corretta interpretazione dei brani che via via venivano ascoltati.
La riflessione comunitaria ha
rivelato una difficoltà di autentica comprensione del fenomeno musicale. In proposito
sono emerse due spiegazioni,
Tuna che trovava la ragione di’
CIÒ nella scarsa formazione ed
educazione ricevuta, l’altra nella incapacità di usare l’orecchio,
vale a dire di trasformare le
sensazioni, il « sentire », in « ascolto ». Perché tutti possano
appropriarsi della musica e capirne il linguaggio, i sostenitori della prima tesi hanno affermato la necessità di un impegno per fare di questo prodotto artistico un fatto di massa,
attraverso una appropriata educazione e formaziciie, ed altresì la necessità di una denuncia
del fenomeno musicale quando
questo sia falsa coscienza, sottocultura. I sostenitori della seconda tesi, invece, hanno sottolineato il valore rivoluzionario
della musica, da ricercare proprio nel momento in cui l’uomo
compie il tentativo di comprenderla. La musica stessa avrebbe
in sé la capacità di farsi capire
da tutti ed il vero momento rivoluzionario si attuerebbe nell’istante in cui l’individuo passa dalla sensazione all’ascolto.
La comprensione del fenomeno
musicale resta pertanto affidato
solamente ad uno sforzo di volontà.
Tutti hanno però concordato
nelTafferrnare che nell’ambito
della storia i veri rivolgimenti
sociali, politici ed economici sono avvenuti ed avvengono con
le lotte di liberazione dell’uomo, e la riscoperta della musica
deve essere collegata a queste
lotte, per dar vita ad un uomo
nuovo.
Biancamaria e Monica
Becchino
Per concludere, il Sinodo ha
fornito una serie molto utile di
indicazioni e di indirizzi in materia finanziaria (oltre alle due
delibere qui riportate anche altre
di cui TEco-Luce ha già riferito)
che i responsabili delle chiese e
i singoli membri di chiesa dovranno esaminare attentamente.
Se queste indicazioni saranno
accettate e messe in pratica,
possiamo sperare di risolvere
buona parte dei problemi che ci
stanno davanti.
Gianni Rostan
Come
imparare
a vivere?
(segue da pag. 1 )
santuari cananei, dove le prostitute sacre erano sempre pronte
a formare anche religiosamente
i giovani israeliti: e infatti per
descrivere il rapporto con la
sapienza questo genitore usa un
linguaggio che la nostra traduzione ha a dir poco indebolito...
E come se dicesse, nota il Maillot, che « la vera amante, quella
che non inganna, che non si
rimpiange di aver conosciuta,
che schiude la vita e insegna a
vivere, è la sapienza » — s’intende, questa particolare sapienza biblica. « La vera iniziazione
consiste nelTacquisire la sapienza. Da meditare, nella nostra
epoca di educazione sessuale ».
E questo papà dice ancora:
non si è sàvi naturalmente; abbiamo bisogno di essere guidati, corretti, raddrizzati, per imparare la « sapienza ». Istintivamente,^ non facciamo follie per
lei, la naturalezza’ del viver bene, con « sapienza », è una (nefasta) pia illusione. Soprattutto
perché è « la sapienza misteriosa e occulta » di Dio (1 Cor. 2/7),
non un sano buon senso popolare, ma quella sapienza che è
scandalo e follia, culminando
nella croce di Cristo. Dal principio e fino alla fine abbiamo
bisogno di essere « convertiti »
a questa singolare sapienza di
vita.
Questo papà dice, infine, che
(v. 7) la sapienza sta nell’atto
stesso di acquistare sapienza.
Cioè non si è mai arrivati, si è
sempre in cammino, sempre in
ricerca della « sapienza ». Guai
a chi si credesse arrivato, a chi
credesse di possederla! Sarebbe uno sciocco, e uno sciocco
pericoloso.
Così, mentre i nostri ragazzi
tornano a scuola — reduci di
quel che abbiamo insegnato loro, o meglio di quel che hanno
imparato con noi nelle vacanze — anche noi diciamo con loro a Dio, non per la domenica
ma per l’intera settimana: Signore, tu sei il Maestro, noi gli
alunni; insegnaci a camminare
con te.
Gino Conte
Sottoscrizione
Per onorare la memoria della signorina
Ouinzia Amar
benemerita insegnante e direttrice della Scuola Ebraica di Torino per più di
quaranta anni, è aperta una sottoscrizione in vista della creazione di un
bosco in terra di Israele.
Le adesioni si ricevono presso gli uffici della Comunità Israelitica di Torino
in via Pio V, 12.
3
%
28 settembre 1979
COSA DICONO DI NOI I GIORNALI
ANCORA SU A. NETO
Il Papa in Irlanda
L’annunciato viaggio del papa in Irlanda ha rilanciato sui
giornali la informazione sull’Ulster e su quella guerriglia che
in esso si svolge e che passa,
per i più, come conflitto religioso tra protestanti e cattolici.
In realtà dovrebbe essere nota
la complessità del problema,
che va dagli aspetti storici (il
desiderio dell’Irlanda di una totale indipendenza dalla Gran
Bretagna) a quelli sociali (i
« poveri cattolici » contro i « ricchi protestanti »), il tutto coperto da una accentuazione, certo
eccessiva, di quello che è solo
una cortina fumogena di motivazioni religiose; non sono certo « cattolici » gli assassini delri.R.A., come non sono «protestanti » i fanatici del rev. Paisley.
Bene tuttavia ci pare faccia
A. C. Jemolo, quando sulla
Stampa del 4 agosto rimpiange
che « non sia risuonata alta nel
mondo una voce papale su questa guerra di religione » auspicando che ne sia buona occasione il viaggio papale.
E bene tuttavia fa Arrigo Levi, in una serie di cinque articoli apparsi sullo stesso giornale tra luglio e agosto, a ricordare come « una buona parte delle ingiustizie che Ano a dieci
anni fa opprimevano la minoranza cattolica è stata rimossa » ed a dare adeguato spazio
alle iniziative del protestante
canonico Arlow che in nome dei
principi ecumenici auspica « un
intervento politico (non più militare) del governo inglese per
sbloccare la situazione ».
Secondo Famiglia Cristiana
del 12 agosto anche il primate
cattolico di Irlanda, cardinale
O’Fiaich (la cui sede è ad Armagh nell’Ulster) vede nello sviluppo dei rapporti ecumenici la
principale possibilità per alleggerire la pesante situazione attuale.
Altri giornali avanzano l’ipotesi che il viaggio del papa possa invece creare nuovi problemi
per l’inasprirsi delle posizioni
estremistiche dei fanatici delle
due parti.
* * H«
In materia di ecumenismo
vanno ricordate le informazioni deH’Awenire sui lavori del
Convegno Ecumenico della SAE
alla Mendola, con adeguato rilievo agli interventi di Valdo
Vinay, Renzo Bertalot, Paolo
Ricca e Piero Bensi.
Nello stesso quadro sta anche
un ampio articolo su Taizé e il
suo rettore Roger Schutz su Dimensioni Nuove di agosto; la
notizia data il 18 agosto dall’Avvenire sulla celebrazione di un
rito protestante episcopale (la
ordinazione di un vescovo) nella cattedrale cattolica di Hartford (U.S.A.). E citeremo anche il numero di luglio di Jesus
che, nel tracciare una storia del
cristianesimo tra le due guerre,
ricorda la posizione della Chiesa Confessante, il Sinodo di Barmen e la Dichiarazione conseguente. Nonché uno studio di
Gente Veneta sull’ecumenismo
nella « Redemptor Hominis » ;
ed uno di Gabri Pallacara su
Città Nuova, simbolicamente intitolato: «Unità delle Chiese No al pessimismo ».
E infine il Messaggero Avventista di agosto-settembre che, in
un articolo di Jean Zürcher,
elenca ed illustra ampiamente
ben sette motivi per non far
parte del Consiglio Ecumenico
di Ginevra.
* ^ Iti
In un « Dossier Carter » l’A
vanti! del 5 agosto ospita una
intervista con Giorgio Spini nel
corso della quale una chiave
« religiosa » viene applicata per
spiegare come il raddrizzamento tentato da Carter alla sua politica, con il noto « cambio della guardia» di quasi tutti i suoi
collaboratori, si rifaccia alla
formazione culturale-religiosa di
Carter ed in particolare al concetto protestante di una conversione totale, che può portare
l’uomo a rinnegare tutto il suo
passato, per scegliere una nuova via « per rinnovarsi del tutto
e diventare un uomo buono ».
H: 4 ^
« È una battuta, certo niente
di più»; ma è curioso leggere
sul Corriere del 12 agosto Mario Soldati che dichiara : « Se
De Gasperi, rimanendo beninteso a capo del partito democristiano, si fosse pubblicamente e solennemente convertito alla religione valdese, io avrei votato per lui».
Cosa sarebbe successo della
D.C. se realmente avesse avuto
a sua guida un valdese?
Niso De Michelis
RADIO E TELEVISIONE
Con obiettività
È il caso di segnalare in questa rubrica tre programmi andati in onda di recente alla televisione: il 10 agosto « Comenius », telefilm tedesco; il 17 agosto « 1844, cronaca di uno sciopero » telefilm inglese, trasmessi
ambedue nella stessa serie, una
rassegna televisiva internazionale («Teleclub»); e «La lotta
contro la schiavitù », serie di sei
telefilms anch’essi inglesi, programmati tutti i sabati a partire dal 18 agosto.
Sono programmi di buona fattura, storicamente ben impostati; e possono presentare un ulteriore motivo di interesse.
Il primo è una biografia del pedagogista Komenski (o Comenius, come suonava il suo cognogne latinizzato), vescovo dei Fratelli Boemi; il secondo la cronaca di uno sciopero nelle miniere
di carbone del Nord dell’Inghilterra, che mostra fra la altre
componenti alla lotta contro l’ingiustizia lo stimolo religioso dato dai predicatori metodisti; il
terzo, una dettagliata cronaca
della lotta contro la schiavitù
nel Regno Unito, esamina con
obiettività l’ambiente protestante in cui questa lotta si è svolta:
dalle figure storiche di John
Newton, ex negriero convertitosi e diventato pastore e un famoso predicatore contro gli orrori della schiavitù, e di William
Wilberforce, deputato, che dopo
la sua conversione dedicò la sua
vita e la sua carriera politica all'abolizione della schiavitù fino
' ai pastori. che invfce, trovavano,
per la schiavitù giustificazioni
storiche e teologiche, e alle diverse opinioni in proposito in
seno alla popolazione inglese.
Questa obiettività trae forse la
sua origine dal fatto che i telefilms, uno tedesco e due inglesi,
nascono in ambiente a maggioranza protestante, dove cioè non
si sente l’esigenza di denigrare
i protestanti, né di esaltarli; due
atteggiamenti contrari ma ambedue viziati, e tutti e due possibili quando una maggioranza
parla di una minoranza poco conosciuta. R. Colonna Romano
Un rivoluzionario
figlio di pastore
Agostino Neto, presidente della Repubblica di Angola, morto
recentemente a Mosca, era giustamente considerato dal suo pc>
polo come il simbolo dell’indipendenza nazionale e, a livello
internazionale, come uno dei
maggiori leaders della lotta di liberazione in Africa. Il suo prestigio e la sua autorità contrastavano con la sua natura modesta e riservata; ma dietro questa modestia si nascondeva una
grande sicurezza, il senso della
storia e indubbie capacità politiche. Quella del M.P.L.A. è una
storia travagliatà, seminata di divisioni e di divergenze: se questo movimento, quasi ridotto a
nulla al momento della caduta
della dittatura portoghese, riuscì
a uscire vincitore dalla lotta contro il F.N1.A. e PUNITA e ad assumere il potere della nuova Repubblica Popolare, ciò fu senz’altro per la tenacia, il fiuto politico e la statura morale del suo
presidente. Agostino Neto.
Sul nostro giornale è già stata
ricordata la sua figura di politico, ma vogliamo riprendere il
discorso per sottolineare un
aspetto forse poco noto della sua
biografia e cioè il fatto che era
figlio di un pastore metodista.
Faceva quindi parte della minuscola élite angolana nera. Essere protestante nell’Angola portoghese dominata dall’onnipotente
Chiesa cattolica non doveva essere cosa facile, tant’è vero che
le chiese protestanti — appena
tollerate — venivano accusate di
essere « focolai di sovversione ».
I protestanti angolani erano legati ad ambienti liberali- occidentali e molto presto avevano
intuito la precarietà della presenza portoghese in Angola e in
Africa.
Sia Neto, presidente del
M.P.L.A., che Jonas Savimbi,
presidente della UNITA, e Holden Roberto, capo del F.N.L.A.,
sono stati allievi delle poche missioni protestanti in Angola. Ciò
ha probabilmente contribuito a
formare in loro la coscienza e le
convinzioni nazionalistiche. Se è
vero che la caratteristica principale dell’educazione protestante
è l’acquisizione e lo sviluppo di
una coscienza critica, fondata
sullo studio della Scrittura e
sull’ascolto della Parola, allora
forse non è azzardato mettere
in relazione alcuni tratti salienti della personalità di Neto con
la sua formazione protestante:
oltre al suo fortissimo senso della giustizia, alla sua tenacia e al
suo senso politico, pensiamo alla
sua fermezza nel dirigere il movimento di liberazione in mezzo a
mille difficoltà e inganni (è stato accusato di essere senza pietà
nei confronti degli avversari che
contestavano il suo potere);
d'altra parte cercava sempre di
riportare dalla sua parte quelli
stessi che volevano rovesciarlo,
e questo è segno di una grande
apertura morale.
Neto era rimasto a lungo in
contatto con le chiese protestanti: era stato segretario del vescovo metodista di Luanda, Ralph
Dodge, e grazie a lui ottenne ima
borsa di studio che gli permise
di studiare medicina nelle Università di Lisbona e di Coimbra,
in Portogallo. A Lisbona, incontrò altri studenti venuti dall’Angola. dal Mozambico e dalla Guinea-Bissau che anche loro diventeranno famosi nella lotta di liberazione in Africa: Amilcar Cabrai, Eduardo Modlane, Marcellino Dos Santos, Mario de .Andrade. Dalla loro collaborazione
nello studio, nella riflessione e
nell’attività politica, nacque il
moderno nazionalismo dell’Africa portoghese. Inoltre, essendo a
contatto con l’unico partito di
opposizione al regime fascista di
Salazar — quello comunista —
impararono i principi di base
sui quali costruire una azione
politica incisiva: organizzazione,
disciplina, centralismo. La loro
militanza clandestina nelle file
del Partito comunista portoghese li mette a contatto con l’ideologia socialista. Da quel momento, Agostino Neto rimarrà sem;;
pre scrupolosamente fedele ai
principi del marxismo-leninismo:
è su questa base che egli ha impostato il nuovo Stato angolano
dalla cui direzione, ora, la morte
lo ha improvvisamente tolto.
J. J. Peyronel
I 1
Chiese Avventiste
del Settimo Giorno
ATTIVITÀ’ EDITORIALE
Sempre intensa l’attività editoriale delle Chiese Avventiste: la
rivista « Segni dei tempi », dal
principio di quest’anno, da bimestrale è diventata mensile ed
ha aumentato abbonamenti e
tiratura. Gli abbonati erano 500
sono diventati 1.500; la tiratura
era di 7.000 copie ed ha superato le 20.000.
È uscita la decima edizione di
«Erbe e salute » raggiungendo
le 105.000 copie; è stato ristampato il volume « Alimentazione e
salute » che ha così raggiunto le
40.000 copie. Colla sua terza edizione il volume di Visigalli: «Cristo Ritorna » ha raggiunto le
23.000 copie; è stato lanciato anche il volume « Dio parla ancora
al suo popolo » di Delafield con
5.000 copie. Sta per uscire un
nuovo album da colorare per
le Scuole Domenicali, ed è stata
lanciata una nuova edizione di
« Evangelizzazione laica ».
Per la diffusione di queste
opere si conta sull’attività dei
colportori fissi e di quelli volontari, soprattutto si conta sulla
collaborazione delle comunità.
VILLA AURORA
Si sono chiusi nel giugno scorso i corsi di teologia. Sono così
usciti dallà scuola cinque futuri
pastori che sono partiti per un
anno di perfezionamento degli
studi al seminario avventista di
Collonges, in Isvizzera.
Tre di questi studenti sono
partiti con le loro mogli.
Notizie daii’ltaiia evangeiica
a cura di Alberto Ribet
Sì sta allestendo nei locali di
Villa Aurora un centro di registrazione radio da usare in tutta Italia. È allo studio la creazione di una stazione radio che
interessi tutta la Toscana.
VISITA ALLE VALLI
Nella Chiesa Avventista vi è
un notevole interesse per le Valli Valdesi: si sono radunati a
Torino per una riunione speciale 200 avventisti di Milano, Sesto
San Giovanni e Varedo di ritorno da una visita alle Valli Vaidesi.
Chiesa Apostolica
CONVEGNO
DI GROSSETO
Ha avuto luogo a Grosseto il
Convegno Nazionale annuo. Vi
hanno preso parte 500 persone
in gran parte giovani. Si è sentito un vibrante appello ai presenti a rivivere del continuo del
primo entusiasmo nella fede.
Sono stati consacrati due profeti; una delle funzioni ecclesiastiche presso gli «Apostolici» è
infatti quella dei « profeti »: per
loro i ministeri sono quelli che
l’apostolo Paolo elenca in Efesini 4: 11.
Ancora a Grosseto in una gior
nata con riunioni di risveglio è
stato organizzato un grande concerto; più di 300 persone hanno
ascoltato il «Messia » di Händel
cantato dal Coro Evangelico di
Roma. Tra la prima e la seconda parte il pastore Santonocito
ha presentato al pubblico un vibrante messaggio evangelico.
Chiese dei Fratelli
Il giornale di Torino «La Stampa» pubblica il 7 settembre nella rubrica « Religioni e società »
un articolo di Lamberto Fumo
dal titolo « Le Chiese dei Fratelli, una fede da scoprire». È articolo aperto e abbastanza informato. Non dimentichiamo
l’espansione che hanno le Chiese dei Fratelli nel Piemonte e
nel movimento evangelico italiano. Sono chiese per lo più sorte
al tempo del Risorgimento; oggi
ancora piene di vitalità.
Solo a Torino i « Fratelli » hanno nove comunità.
XV CONVEGNO
DI STUDI BIBLICI
A LESINA (Fg)
È fissato per la settimana fra
il 10 e il 16 settembre. Sono
giornate di intensa attività, si comincia con riunioni di preghiera alle otto del mattino, seguo
no tre studi al mattino e tre al
pomeriggio. La sera sono fissate
riunioni speciali con proiezione
di films, «tavole rotonde » e serate di canti.
Due interessanti disposizioni
tratte dalle istruzioni per i congressisti: i partecipanti sono tenuti a frequentare tutte le riunioni; si invitano le ragazze che
frequentano i corsi, in questa
settimana, a non indossare i pantaloni.
Nella stessa sede hanno avuto
luogo un campo famiglie ed un
campo ragazzi.
Esercito
della Salvezza
« MARINA
DELLA SALVEZZA»
Per lo più si ignora che accanto, e dipendente dall’Esercito della Salvezza, da quasi un
secolo esiste anche una «Marina della Salvezza- (Salvation
Navy).
Nel 1885 erano in funzione in
Gran Bretagna una dozzina di
bastimenti col compito di operare fra i marinai inglesi; quell’anno fu regalato un tre alberi di
35 metri, a vapore che divenne
la nave ammiraglia della flotta
che operava nelle acque inglesi.
Nel 1900 fu regalata una nave
per operare nelle acque della.
Norvegia, che fu il punto di partenza per la « flotta Vikinga ».
Contemporaneamente sorsero le
flotte del Canada e dell’Olanda.
Nel 1930 fu noleggiata una flotta
a Tokio per dare alloggio ai senza tetto in conseguenza della crisi; nel dopoguerra fu noleggiata
una flottiglia per alloggiare ì
profughi della bomba atomica.
In Olanda nel 1930 fu costruita
una nave con una grande tenda
sulla coperta; durante la guerra
divenne « una casa dèi soldato »,
nel 1947 ritornò alla sua funzione di sala per riunioni evangeliche e continuò là sua opera fino al 1960. Navi simili operano
in Francia ed in Alaska. Nel 1971
fu noleggiata una nave per opere di soccorso ai danneggiati dal
ciclone e, nel 1975, la nave Hope,
sezionata, fu trasportata in aereo nel Bangladesh dove continua ancora oggi l’opera di assistenza.
La « Ganadian Staff Band » ha
tenuto il suo concerto nel tempio
Valdese di Torino e nella Chiesa
di Piazza Cavour in Roma. Nella capitale ha partecipato al Culto nella Sala dell’Esercito della
Salvezza, nella Chiesa di Via dei
Bruzi e dato un concerto all’aperto davanti alle Terme di Diocleziano. Una medaglia appositamente coniata fu consegnata a
Roma al capo fanfara a nome
dell’Associazione Bande Nazionali Italiane.
Il Colonnello Yarde è stato invitato a parlare dell’opera dell’Esercito della Salvezza in Italia al Congresso intemazionale
del Rotary Club che ha avuto
luogo ultimamente a Roma.
Alberto Ribet
4
Gli studiosi della società usano dire che
ii « progresso », la vita moderna, sono
prodotti dallo spostamento di masse
sempre più grandi che vanno dalla camp^
gna alla città e che la civiltà passa da un sistema di vita a hase patriarcale a un sistema in cui la tecnica fa scomparire il lavoro
familiare, organizzandolo su vasta scala, in
ambiente laicizzato.
Città e campagna si conlondono,^ si perdono i valori della civiltà rurale (solidarietà,
coesione familiare, rapporto con la natura,
senso del sacro, ecc.) che sono considerati
ora negativi e vengono rifiutati soprattutto
dalle masse contadine. Dice E. Vittorini:
« Sembra che la sopportabilità umana nell’essere contadini... sia giunta al suo limte
estremo... ». È dunque romantico e antistorico valorizzare quella civiltà, cioè quell’insieme di atteggiamenti, riflessioni, maturazioni che hanno appartenuto alla cultura contadina? Oppure quella impronta di saggezza morale che la cultura contadina ha sar
puto mantenere (malgrado il suo sforzo
spasmodico di assorbire la cultura urbana)
ha tuttora un compito da assolvere? Vorremmo porre l’interrogativo attraverso le
inchieste che seguono.
A cura della
Federazione Femminile Valdese
VITA RURALE
nella famiglia patriarcale
u.! ìlei :
Volevamo intervistare una nonnina di 94
anni, assidua all’Unione femminile di Torre Penice, ma visto che si era spostata per
l’estate a ben 1.300 m., ci siamo arrampicate
a cercarla. Siamo arrivate un po’ affannate
e ci accingevamo a fare domande serissime
(la sua vita nella chiesa), quando siamo capitate in un festoso raduno familiare. Erano arrivati parenti dalla Francia e altri del
luogo, fatto sta che in una minuscola cucinetta (di quelle in cui troneggia una stufa
funzionante a tutto vapore e la luce arriva
filtrata da una finestrella appannata) eravamo in dieci e in men che non si dica prendevamo parte a cori alpini cantati ad alta
voce, facendo del nostro meglio per non stonare! Li abbiamo passati tutti, dalla « Montanara » alla « Bergèra » e la nostra vecchietta a ridere e a cantare dicendoci: « Mi pare
d’aver 20 anni! ».
Così l’intervista è andata all’aria, abbiamo
solo potuto sentire, tra un coro e l’altro, che
la nostra amica si è sposata quando ancora
si adoperavano posate e scodelle in legno e
si dormiva su materassi di foglie di meliga.
Però abbiamo potuto constatare quale sia il
posto delle anziane madri nella famiglia ancora patriarcale dei monti: nell’umile casetta
avevano praticato una scala interna in legno
perché non dovesse uscire all’aperto per salire nella camera superiore; nella stanza da
letto che riuniva non so quanti posti, quello della mémè era separato con una paratia in legno. Sempre per la nonna avevano
costruito un gabinetto riparato e i vari figli
e nipoti e pronipoti facevano in modo da
non lasciarla mai sola. Infatti la nostra intervistata era felice, cantava con una vocina alta e sottile e ci ripeteva: « Mi pare di
aver 20 anni! ».
Donne in Val PelHce
La vita di una voita - Al lavoro nei campi col marito - La meccanizzazione rende il lavoro meno
duro - L'esodo dalle campagne e l'emigrazione - Il piacere di guidare un trattore
Una giornata
A. P., anni 51, sposata, una figlia maestra,
un figlio muratore.
— Come svolge la sua giornata?
— La mattina prima cosa vado a mungere, poi preparo il latte, perché vengono a
prenderlo, poi facciamo colazione, do da
mangiare alle galline e ai conigli, poi preparo pranzo perché vengono tutti a mangiare. Dopo pranzo quando fa bello vado a aiutare mio marito nella vigna.
— Quando si è sposata non c’era tutto
il macchinario e lei aveva una funzione particolare. Ora suo marito fa da solo con le
macchine. Era meglio prima o adesso?
— Mah, come lavoro è meglio adesso, si
fatica meno, certo che allora si stava più
Eissieme. La trebbiatura era più faticosa con
quelle trebbiatrici che si portavano nel cortile e richiedevano un mucchio di gente. Io
non trebbiavo perché bisognava far da mangiare per tanti, però c’era anche la soddisfazione di una festicciola in famiglia e con
tutti i vicini che aiutavano. Anche il granturco si raccoglieva a mano, la sera si chiamavano i vicini, sì toglievano le foglie, si legavano le pannocchie in mazzi per l’essiccazione. Anche questo era un ritrovo di gente
ed era occasione per scambiare delle idee.
Alle volte si raccontavano anche barzellette.
Non le ricordo più, sono passati tanti anni.
— A te, piccolo, è capitato a volte di trovarti nel campo con tuo nonno e di aiutarlo?
— Qualche volta.
Corrado Barberis, in « Sociologia
rurale» (Bologna 1965) ricorda
che Luigi Pirandello nelle sue
« Novelle per un anno » ha scelto, per
incarnare la fede, una vecchia contadina che nel sacrificio di un’offerta
esprime il suo diritto a essere ricompensata da Dio. Barberis afferma che
la civiltà contadina è una civiltà pagana, proprio per quel suo legame con
la terra e col cielo, per quella preoccupazione di conciliarsi le forze della
natura da cui trae beneficio e vita.
Ma esiste un unico modo contadino
di vivere il fatto religioso di qualunque denominazione? — si chiede.
Vorremmo poter rispondere: no.
Vorremmo poter dire che la fede non
è, nel mondo valdese, una forma di
utilità. Che anzi, proprio la fede, impone dei compiti. E qui citiamo volentieri il prof. De Quervin, ex docente di teologia pratica all’Università di
Basilea il quale nel capitolo della sua
« Ethik » sul lavoro rurale, dopo aver
considerato i riflessi che la tecnica
ha sul mondo contadino, i problemi
economici e sociali che lo investono
oggi, dice : « Il contadino è colui che
trae dal suolo la pienezza dei doni [di
Dio] e li trasmette agli uomini. Non
trasmette solo éiò che è necessario
per non morir di fame, ma è anche
servitore di Dio che dona alla sua
creatura la pienezza dei suoi doni.
Perciò è affidato in modo particolare
al contadino la cura del suolo e di
ciò che vi cresce. Un popolo senza
contadini rischia di perdere il retto
rapporto col suolo, col paese. Il contadino è dunque più che un lavoratore che nutre gli abitanti del paese
e gli può essere detto che ha un compito particolare da assolvere.
— Ti piace il lavoro dei campi?
— Mica tanto...
—Si dice che una volta si sentiva la gente cantare nei campi e adesso non si sente
più, chissà perché?
_____Io penso che adesso ci sono le macchine che fanno tanto rumore e non si riesce a
cantare. Una volta si faceva a mano, si era
in tanti, si aveva il tempo.
— La vostra figlia è maestra, il vostro figlio è muratore. Siete favorevoli a questa
loro scelta?
— Sarei stata contenta se lavoravano in
campagna. Tra qualche anno non so chi lavorerà la terra. Loro hanno preferito lavorare via perché fanno le loro ore e poi sono
liberi.
— È solo questione di ore o di tipo di lavoro?
— No, a loro piace lavorare in campagna,
infatti ci aiutano quando sono qui, però
vogliono essere a casa la domenica, il sabato, quando c’è le ferie.
— Non sarà anche che gira più danaro
che nella vita contadina?
— Ah beh, questo sì, perché loro sono sicuri di prendere la paga, mentre noi... non
si sa, viene la grandine, il maltempo; come
le bestie, certe volte va bene, altre volte non
rendono mica.
— Trova diversità di mentalità con le donne che abitano qui e non sono valdesi?
— Non c’è differenza nel lavoro di campagna, si parla tutti uguale.
— E il lavoro della donna è considerato
nello stesso modo?
— Questo non so dire, perché non tutti i
cattolici pensano uguale e nemmeno tutti i
valdesi. Lì dipende dalla persona. Perché anche dei valdesi purtroppo ce ne sono che le
donne lavorano lavorano e poi sono anche
sgridate perché non fanno tutto per bene.
collaborare
Sono P. G. di S. Secondo, ho 25 anni, condivido il lavoro con mio marito in agricoltura.
— Ho lavorato 6 anni da impiegata presso un avvocato e presso due ditte. Ora condivido il lavoro con mio marito perché avevamo acquistato delle terre e da solo non ce
la faceva più. Oltretutto ho due bambini e
non avevo a chi affidarli, invece rimanendo
a casa posso guardarli.
Trovo che il lavoro in fabbrica è più o
meno sempre uguale, alla fine del mese si
prende la paga, però non è che uno abbia la
soddisfazione di aver realizzato qualche cosa, invece lavorando qui ogni giorno il lavoro è diverso e poi uno cerca di comprare
macchinari nuovi e quindi realizza qualche
cosa, qualche cosa che ho fatto io stessa, lavorando.
Noi adesso con i macchinari siamo abbastanza a posto. Abbiamo la macchina per
trebbiare il grano, il granoturco, per lavorare il fieno. Abbiamo un maschietto — Marco, 4 anni — e sebbene non sappiamo se farà il nostro lavoro o no, comunque noi speriamo che un giorno prenderà il lavoro di
suo padre, quindi si cerca di avere le cose
più moderne che ci sono, per aiutarlo.
— È solo suo marito che adopera il macchinario e lei parla di collaborazione. In quale maniera lei collabora in questo lavoro
che è quasi tutto meccanizzato?
— Ma io, come macchinario, togliendo le
macchine grandi come quella per mietere il
grano e il granoturco che sono complicate,
quella per il fieno, il trattore, le adopero anch’io. Poi oltre i macchinari abbiamo l’allevamento dei tori; li prendiamo piccoli e
poi li vendiamo. Quando mio marito è stato
via 20 giorni per il tempo del grano, dei tori mi sono occupata io. Ormai mi conoscono. Entro nel recinto e faccio la pulizia. Io
vivo con i miei suoceri, ma nel recinto non
li lascio entrare.
— Lei è coraggiosa, fa la domatrice!
— Eh, le prime volte avevo paura anch’io...
— Insamma lei è contenta del suo lavoro.
Vi sentite più realizzati come coppia adesso
che lavorate insieme, che fate le stesse esperienze?
— Si capisce di più il lavoro dell’altro, la
fatica e tutto. Prima da impiegata venivo a
casa la sera, avevo da lavare, da stirare ecc.
Non mi interessavo per niente del lavoro di
mio marito. Poi col bambino, in cassa integrazione, ho cominciato a fare qualche cosa,
a interessarmi. Pure il discorso tra noi era
piccolo, adesso parliamo, discutiamo tutte
le spese, le cose che facciamo, le cose da
comperare. Si va alle fiere, si discute.
angrognine
Intervista a I. R., anni 65, vedova, senza
figli, abita ad Angrogna che aveva lasciato
a 14 anni (« facevano tutte così per la miseria che c’era ») per recarsi a servizio come
bambinaia.
— Quando da ragazzina ha dovuto lasciare le Valli ha sofferto del distacco? C’erano
dei divertimenti allora alle Valli?
— Intanto sono andata a Roma in una famiglia valdese e questo mi ha molto facilitata. Poi facevo un lavoro che mi piaceva,
la bambinaia. La famiglia in cui lavoravo mi
permetteva di uscire solo per andare al culto e all’unione giovanile dove ho trovato
alcune angrognine (c’era un distacco, una
freddezza tra i giovani delle Valli e quelli
della chiesa valdese di Roma). Sono riconoscente a questa famiglia che mi ha tenuto
come una figlia evitandomi quei pericoli a
cui altre mie compagne nella grande città sono andate incontro.
Qui ad Angrogna, quando ero giovane io,
ci si divertiva in questi modi: al cinema, ma
il cinema era distante, si ballo, ma qui mio
padre me lo proibiva. Al proposito ricordo
che sul ballo, tra valdesi e cattolici non
c’era confusione: impossibile per un valdese
invitare una cattolica e viceversa. Ma mentre per i cattolici il ballo, forse, era l’unica
vera occasione d’incontro giovanile, per noi
valdesi la chiesa ne organizzava altri che
andavano incontro anche alle aspettative delle famiglie: corale, unione giovanile, filodrammatica. Così per le ragazze andare a ballare
era spesso considerato un disonore per la
famiglia della ragazza e anche per la chiesa.
Infatti una volta i matrimoni misti erano
rarissimi ed erano giudicati severamente; il
ballo poteva favorire rincontro tra giovani
di diversa religione che costituiva il disonore. Io per esempio non mi sarei mai sposata con un cattolico — e le occasioni non mi
sono mancate — tanto mi era stato inculcato dai miei genitori l’attaccamento alla mia
religione. E di questo non mi sono mai pentita, anzi sono sempre andata fiera di essere valdese.
emigrare
F. P., anni 82, abitante ad Angrogna, giovanissima è emigrata in Savoia. Tornata nelle Valli si è sposata. È vedova. Si occupa
di giardinaggio.
— Guardando indietro nella sua vita Tessere valdese, fuori delle Valli, ha costituito
una difficoltà o Tha aiutata nel lavoro?
— Ricordo che quando ero in Savoia, in
un ambiente completamente cattolico, tenevo
per me la fede evangelica per paura di essere licenziata. Addirittura, ricordo, che la mia
padrona mi invitava ad andare alla messa
ed io per non dare nell’occhio l’accompagnavo, ma mi sono sempre rifiutata d’intingere la mano nell’acqua santa e pregavo per
conto mio.
Quanto al lavoro, riconosco che non sapevo fare molto, ma i miei genitori mi avevano trasmesso il senso della responsabilità,
del dovere e questo mi è servito tanto che
nell’albergo dove lavoravo ero conosciuta per
« la piccola lavoratrice italiana ». Ecco, sul
mio lavoro mai nessuno ha trovato niente
da ridire; non guardavo l’orologio e lavoravo in continuazione. A detta dei padroni che
mi volevano sempre con loro, mi distinguevo per la precisione e onestà. Anche questo
Tavevo imparato in famiglia.
alle stelle
D. R., marito operaio e contadino, figlio
studente 4° anno di agraria, figlia alla media.
— Lei ha sempre fatto la contadina?
— Ho fatto la contadina fino a 30 anni,
poi sono stata 3 anni in fabbrica, poi mi sono sposata e sono tornata in campagna, perché il lavoro là era molto pesante anche se
le entrate sono superiori.
Quando facevo la contadina prima di andare in fabbrica, guardavo le mucche e mio
padre dietro con l’aratro. Poi sono arrivati
i trattori, il lavoro è meno pericoloso e faticoso, però per compensarlo, bisognerebbe
avere più terre, perché lavorando col trattore non abbiamo più abbastanza entrate ed
è per quello che mio marito è andato in
fabbrica. Avevamo due mucche e non abbiamo potuto comprare prati perché le terre sono alle stelle, sono tutte per l’edilizia, e
noi siamo sempre con due mucche.
— Le piace portare il trattore?
— Ah sì sì!
— Molte lo fanno qui nella zona di Bricherasio?
— Donne ce ne sarebbero molte, ma sono
poche a lavorare la campagna perché vanno in fabbrica e portano più soldi.
— In chiesa andava più da operaia o da
contadina?
— Da contadina prima di sposarmi ero più
libera e andavo volentieri a tutte le attività.
Da operaia c’erano i turni. Poi mi sono sposata e c’erano gli obblighi della famiglia...
— Se tutte partecipassero come lei! Fa
parte dell’Unione Femminile, della Corale...
isolamento
Abbiamo incontrato, nella 'Val Pellice, una
donna di mezza età, sempre vissuta in una
casa isolata in campagna, che non concepisce una vita diversa, pur sentendo tutto il
peso dell’isolamento e della fatica che la inchioda al lavoro dei campi senza lasciarle il
tempo di frequentare riunioni di quartiere
né l’Unione femminile, forse nemmeno la
chiesa. Accetta questa sua fatica quotidiana
con rassegnazione, si lamenta degli aiuti del
governo che non vengono e prevede un avvenire del tutto chiuso:
— I giovani se ne andranno dalla campagna e ì contadini possono sopravvivere solo se hanno un doppio lavoro —. Ma se le si
parla di aiuti domestici, come la lavatrice,
scuote la testa:
— Abbiamo sempre fatto così. — E se
si parla di collegarsi con altri:
— Si vive isolati perché c’è diffidenza tra
famiglia e famiglia e non ci si riunisce più
come un tempo. Sembra che un fato impietoso la costringa a questa esistenza improba, ma non cerca di scuotere il giogo o ribellarsi.
Eppure in questo focolare chiuso sorge
una pianta nuova: una figlia che studia pur
aiutando nei lavori della campagna e domestici, esce dal cerchio dell’isolamento e partecipa a riunioni studentesche; la figlia realizzerà ciò che la madre non ha mai saputo
o potuto fare.
5
ALLE VALLI VALDESI
chiesa e impegno sociaie
Otto e mezza di mattina, suonano alla
porta del presbiterio, c’è una vecchina dai
bei capelli bianchi raccolti sulla nuca, dal vestito a quadretti bianchi e blu. Mette nelle
mani del pastore, quasi furtivamente, un involto di 5 biglietti da 10.000 lire arrotolati.
— Che cos’è?
— È per la chiesa, ho ritirato la mia pensione (saranno in tutto 120.000 lire mensili)
e voglio darne una parte alla chiesa, fra due
mesi ne darò ancora.
Il pastore resta interdetto ma la vecchina
non gli dà il tempo di rispondere, ha già
voltato la schiena e se n’è andata.
« Per la chiesa » aveva detto la vecchina,
ed allora io domando ad un gruppo di donne
delle nostre campagne raccolte intorno a
un tavolo (tutte le età fino agli 80 anni):
— Ma che cos’è la chiesa per voi?
— Nel caos in cui viviamo la chiesa è il
posto in cui ritrovo ciò che mi hanno insegnato i miei genitori, il luogo dove capire il
senso e il valore delle cose — risponde una.
— Chiesa come luogo di culto, ma anche
il luogo d’incontro con i fratelli — aggiunge
un’altra.
— Dovrebbe essere una lampada, ma po
trebbe diventare un lucignolo se non la alimentiamo, dipende da noi che risplenda o
no — continua.
Tutte queste persone attorno al tavolo (si
sono aggiunti parecchi uomini) sono radunate per cercare fondi onde trasformare la
«Miramonti » di Villar Pellice in una casa di
riposo per anziani. Nella zona esiste un ospedale, un asilo per incurabili, ma non una
casa che ospiti quella fascia di persone anziane, sole, che non hanno l’appoggio di una
famiglia, per impedire che vengano sradicate dal loro ambiente. Si è costituito un gruppo di sostenitori per quest’opera intesa come un servizio. Vedo fare progetti, sacrificare tempo, giorni di ferie, offrire lavoro, ricercare eventuali donatori.
Si parla poi del problema inverso, quello
delle ragazze: chiedo se hanno difficoltà ad
accettare l’idea di rimanere al villaggio o
desiderano uscire, attirate dal miraggio della città.
— Effettivamente c’è stato il desiderio di
abbandonare la campagna, ma ora i contadini hanno una vita più facile, il lavoro è
più apprezzato, le case più moderne, gli elettrodomestici e il telefono rendono meno pesante il lavoro domestico, il denaro circola
di più e si nota una netta tendenza al ritorno.
-------Qual e la posizione della donna anziana?
— Certo la differenza di generazione è molto sentita e le donne anziane non sempre
riescono a seguire la mentalità delle giovani;
ma in genere le nonne sono rispettate e non
esiste il problema della ristrettezza della casa che in città butta fuori gli anziani. Dove
i figli lavorano fuori, a orari fissi, esiste la
solitudine degli anziani, ma in generale in
campagna c’è posto per loro e c’è anche il
modo di farli sentire ancora utili.
Donne in Val Germanasca
I ricorfdi cJel tempo in cui si era costrette a vendere il proprio latte - Famiglia, lavoro, leggende, danze, canzoni, dialetto - Cosa vuol dire essere valdesi - Valutazioni diverse della chiesa
due sorelle
Le prime donne con cui ho preso contatti
sono due sorelle, Elena e Anna; la prima
ha circa 90 anni, la seconda è sull’ottantina,
i’ La loro era una famiglia numerosa: nove
f sorelle più i genitori,
i
— Come spiegate che le famiglie di un
tempo fossero ben più grandi di quelle di
oggi?
— Nel nostro caso la spiegazione è semplice: in quei tempi (si parla degli inizi del
secolo) quasi per tutti era importante avere
un erede maschio, qualcuno che « portasse
avanti » il nome della famiglia, si può dire
che i nostri genitori misero al mondo nove
bambine sempre nella speranza di veder
comparire il sospirato maschietto. Ma bisogna dire che allora una famiglia con dieci, dodici figli era normale.
— Pensate che fosse giusto, positivo?
— No, senz’altro. Infatti nessuna di noi
ha ripetuto questa esperienza, una sola è arrivata ad avere tre figli, le altre ne hanno
avuto uno o neppure quello.
— Com’era la vita di allora?
— Voi giovani di adesso non potete capirlo — mi risponde la più anziana —, nemmeno immaginarlo. C’era la miseria, la miseria nera; pensa che tutte le volte che mia
madre partoriva, lasciava appena ne era in
grado il suo bambino alle cure di una vicina e se ne andava in Francia, a piedi. —
Pa una pausa e la sorella approfitta per
continuare: — Andava a fare la balia in
Francia, capisci? Vendeva il suo latte ai figli dei ricchi signori francesi per mandare a
casa qualche soldo. Ha ripetuto per nove
volte il suo viaggio; se ne partiva sola con
il suo sacco giù per la schiena e attraversava a piedi il valico del Col d’Abriès. Rimaneva là finché aveva latte, poi, sempre
a piedi, ritornava.
Questa volta è Elena a parlare; — Un al; tro modo di tirare avanti era vendere un
po’ di burro e di formaggio, al mercato di
Perosa o a quello di Pinerolo. Ci voleva parecchio cammino per arrivare là e non sempre riuscivamo a vendere la nostra roba. —
— Pensa — interviene Anna — che quando compivamo gli anni, per festeggiare, la
mamma ci regalava un uovo sodo di nascosto da nostro padre. La zuppa di grissini o
gli agnolotti si mangiavano solo a Pasqua
i 0- a Natale, se no ancora grazie che ci fosse del pane.
— Che cosa significava per voi la religione, il fatto di essere valdesi?
— La religione è sempre stata il nostro
Sostegno — mi hanno risposto quasi in coro, senza esitare —. Non è facile continuare
a sperare quando tutto va male, se non c’è
la fede a sostenerci; a noi non è mai mancata. Il fatto di essere valdesi è un po’ la
nostra fierezza; quando si andava a lavorare in Francia spesso le famiglie che avevano bisogno di persone di servizio non volevano assumerci perché ci consideravano
• Per preservare l'anonimato, ì nomi indicati in queste interviste sono fittizi.
« eretiche », ma nessuna di noi ha mai rinunciato alla propria fede per questo; eppure avevamo bisogno di lavorare e molto.
— Cosa pensate della nostra chiesa oggi?
Anna sospira. — Non è più come una volta; allora c’era la miseria, ma si era più
uniti. C’era un mucchio di lavoro, ma il
tempo di andare in chiesa la domenica si
trovava, si stava tutti insieme, si parlava,
ci si sentiva vicini. Le chiese di oggi sono
vuote, ci sono le persone della nostra età,
ma i giovani mancano; preferiscono andare a sciare.
Elena interviene: — Secondo me — ammette a malincuore — nemmeno i Pastori
sono più come una volta; allora passavano
spesso a intrattenersi con le famiglie, erano a conoscenza dei problemi di tutti e cercavano veramente di confortarci con la Parola di Dio. Adesso quando sono stata all’ospedale per tre mesi il Pastore non l’ho
nemmeno visto.
— Sarà venuto qualche laico — azzardo.
— Si:, ma non è il Pastore, non è la stessa cosa; non mi pare logico sentirmi dire
che « lui » non ha tempo... Una volta le famiglie erano più numerose, tutte le borgate che adesso cadono a pezzi erano abitate
eppure il Pastore veniva molto spesso; saliva su per la montagna a piedi: adesso hanno l’auto e non li vedi mai.
Rinuncio ad esprimere le mie opinioni
personali e le lascio parlare.
— Poi — è Anna che attacca, con l’aria
di chi ha molte cose da dire — è meraviglioso vedere persone di quell’età così
espansive e pronte a sfogarsi — parlano
sempre di politica; del Cile, del Vietnam, io
non dico che sia sbagliato, ma mi pare che
le cose di qui dovrebbero avere la precedenza. Ci sono tanti guai vicini e vanno a
pensare a quelli lontani!
— Tutto è cambiato in peggio; una volta
c’era la miseria, ma la gente era più buona.
I soldi fanno venire il cuore duro — dichiara con fermezza la sorella. Ci sarebbe molto da dire, ma preferisco andare avanti nell’intervista senza turbarle.
— Comunque la religione conta molto per
voi? Come sono i vostri rapporti con i cattolici?
— Ci è difficile considerarli « fratelli » ;
una volta c’era tra noi un muro invalicabile, c’erano persino cimiteri separati, non si
frequentavano le medesime scuole e chi sposava un cattolico veniva considerato un
rinnegato e viceversa.
— Adesso non la pensiamo certo più così. — afferma con calore.
— Certo è più bello vivere in pace; ma ti
dirò che a me i preti cattolici, le suore e simili... beh, ecco li rispetto, ma non mi vanno tanto giù!
I valori assorbiti durante l’infanzia, posi
Esprimiamo un vivo ringraziamento a: Clementina Bouissa, Maria Luisa Davite, Edi Morinl, Daniela Platone, Anita Simeoni, Maria Tamietti, al
fotografo Guido Odin, alle ordinatrici di questa rassegna e alle contadine
delia Vai Pellice e Val Germanasca
che hanno accettato di esserne le protagoniste.
tivi e negativi, sono ben radicati in loro.
Cambio discorso.
— Tutte e due ve ne siete andate per lavorare. Era normale in quei tempi che una
donna lavorasse anziché stare a casa?
— Solo se in casa non c’era troppo bisogno di lei e se c’era vera necessità; io sono
partita molto giovane per fare la domestica in Francia, e là ho conosciuto mio marito. Anche lui non aveva trovato lavoro
qui ed era emigrato. La vita là era molto
dura ma in due andava meglio e così ci
sposammo. A prezzo di grandi sacrifici abbiamo potuto tornare in Italia e comperarci una casetta.
— Io — questa volta è Anna che parla —
non sono emigrata; ho trovato un lavoro
presso una famiglia a Torino, poi un impiego alla posta; sai allora non ci volevano le
scuole alte e tante storie. Ma quando mi
sono sposata ho smesso.
— Dici che non avevi le scuole alte; ti sarebbe piaciuto studiare?
— Certo — risponde pronta — ero molto
brava in quel poco tempo che ho passato
sui banchi; ho dovuto smettere presto ma
ho continuato a leggere qualunque cosa mi
cadesse tra le mani, sia in francese che in
italiano.
— Legge e scrive francese con molta facilità — mi dice Elena con orgoglio.
— Ho sentito parlare delle leggende che
circolavano una volta; ne ricordate quaicuna?
Si animano entrambe: — La notte nelle
stalle era il nostro divertimento ascoltarle
tante e tante volte; si può dire che per
ogni luogo caratteristico di queste valli ci
fosse una leggenda. Ogni lago, ogni dirupo
aveva la sua. Erano le favole di una volta.
Peccato che molte non le ricordo più.
— Ricordo bene quella del ruscello del
Besé, quella delle « fantine » che lasciarono
le scritte al ponte Raut, e tutte le leggende
sulle streghe.
— Credevate davvero al diavolo e alle
streghe, con tutti i relativi malefìci?
Elena ha un sorriso furbesco. — Sono solo storie e si sapeva; l’unica cosa di cui eravamo certi era la nostra fede in Dio; le
stregonerie sono credenze sciocche — afferma con disprezzo — nessuna strega può sostituirsi a Dio e decidere della vita di qualcuno se Lui non è d’accordo.
— C’erano anche dei valdesi che credevano nel malocchio e in cose di questo genere, allora — interviene la sorella, che vuole essere obiettiva malgrado tutto.
— Ma pochi pochi — borbotta Elena —
le leggende erano storie gentili con le quali
distrarsi.
Ci sono molte cose che colpiscono in queste due sorelle e possono far riflettere; innanzitutto la loro salute e la loro lucidità,
nonostante la vita non facile che hanno
avuto e l’età avanzata, poi la loro fede che
nonostante qualche idea un po’ reazionaria
sui cattolici e sulla politica è molto radicata, semplice e sincera e le ha chiaramente
sorrette in ogni occasione, insieme ad un
saldo buon senso. Continuerei volentieri a
discorrere con loro, ma desidero parlare
anche con qualche donna più giovane. È la
volta di Alma, che ha una cinquantina di
anni circa.
sete d’affetto
— Eravate in molti nella tua famiglia. Alma?
— No, la mia mamma ebbe due sole figlie; a dodici anni di distanza l’una dalTall’altra, pensa. Nella sua famiglia d’origine
erano in quattordici fratelli; lei non ha voluto ripetere l’esperimento. — Che avere
una famiglia numerosa sia un errore è una
convinzione che esprimeranno tutte le amiche intervistate.
— Com’era la tua mamma. Alma?
Si illumina. — Oh, era una santa donna,
sai. Era molto moderna per quei tempi, figurati che diceva già che anche un uomo
deve aiutare in casa.
— Eravate... amiche?
— Posso dire di sì. Sai, si è ammalata di
cancro quando io ero appena adolescente e
l’ho curata per molti anni, le sono stata
sempre vicina e abbiamo parlato di tante
cose.
— Te ne occupavi da sola?
Ha una punta di risentimento. — Sì,, mia
sorella era sposata e pur vivendo in casa
preferiva non occuparsi di malati; io ero
la più giovane, e toccava a me pensare alla
mamma e alle faccende domestiche.
— Quanti anni avevi?
— Quattordici, quindici; sarebbe piaciuto anche a me uscire qualche volta.
— Tuo padre aiutava in casa?
— No, anche se mamma lo sollecitava a
farlo; forse ci avrebbe aiutate, ma si vergognava pensando che gli altri uomini venissero a saperlo. Non dimostrava nemmeno di essere soddisfatto quando cucinavo
qualche piatto un po’ speciale; «se lo mangio è perché mi piace » rispondeva secco
quando chiedevo se era di suo gradimento,
e tutto finiva lì. Non era affettuoso con mia
madre, né con noi ragazze; eppure durante
la sua malattia mamma sarebbe stata contenta di averlo vicino più spesso. Non che
non ci volesse bene, sai; ma si vergognava
di darlo a vedere. Era fatto così.
— Mi dici che tua sorella e tuo cognato
vivevano con voi nei primi tempi del loro
matrimonio; era una convivenza felice?
— A comandare fu sempre mio padre;
era il capo di casa. Loro se ne sono andati
appena hanno potuto.
— Volevi bene a tuo cognato?
— Sì, soprattutto alle nipotino però; me
ne sono sempre occupata molto, dal momento in cui sono nate. — C’è una nota di
fierezza nella sua voce. — Adesso sono alte
ma mi sono sempre affezionate, come figlie.
— Ti sei sposata tardi?
— Sì,, da parecchi anni ero fidanzata con
il mio Anseimo ma in casa c’era sempre
bisogno di me e così rimandavo; una bella
sera mi ha detto « o ti decidi a sposarmi o
ti lascio ». Un mese dopo ci sposammo. —
Arrossisce, invasa da un pudore compiaciuto e tipicamente montanaro.
— Cosa mi dici di te come moglie, come
mamma?
— Sono molto, molto felice — (è un’affermazione un po’ forzata, mi sembra) —
Mio marito ha sempre avuto molte premure, sai? Mi aiuta in casa, cucina, mi fa tutto
quando sono malata. Non si dimentica mai
del mio compleanno, solo che... ho sentito
molto la mancanza di qualche gesto d’amore, di una carezza, di un bacio anche se c’era
qualcuno. Ormai non me ne importa più
niente, o quasi; ma da giovane ero affamata di affetto. Mia mamma era sempre malata, mio padre te Tho descritto e sono cresciuta con una specie di fame di espansioni,
non so se mi spiego. Ma mio marito si vergognava anche lui di certe cose; non di
aiutarmi in casa o con la bambina, ma di
darmi un bacio, specialmente se c’era gente.
È ridicolo, ma ne ho sofferto.
— E con tua figlia come va?
— È tutta la mia vita — lo dice con un
accento appassionato che mi spaventa —
non so cosa farei se mi mancasse (inorridisco); ho cercato di crescerla bene, adesso
ha vent’anni e posso dire di esserci riuscita. Ho sempre voluto che frequentasse buone compagnie, che studiasse, che andasse
al tempio.
— È importante per te il fatto che tua figlia sìa religiosa, che sia una buona valdese?
— La religione è sempre stata importan
te in questa casa; anche mio marito si occupa molto della chiesa, è anziano. Io partecipo attivamente a tutte le attività, bazar,
gite, riunioni, scuola domenicale; è sempre
stato un punto fermo nella mia vita. La fede mi ha sempre soccorsa quando ero in
difficoltà. — Anche questa è un’affermazione comune a tutte le intervistate.
— Approvi che la chiesa si occupi talvolta di politica?
— Senz’altro; è bene che la chiesa sia
schierata al fianco dei più deboli in ogni
occasione e aperta a tutti i problemi. — Le
sue convinzioni sono più «totali» di quelle
delle due anziane sorelle; per lei tutto ciò
che viene dalla chiesa sembra essere indiscutibile.
— Gl sono delle cose nella società moderna che disapprovi in pieno?
— Certo, tante. Innanzitutto i giovani si
sono staccati dalla chiesa e da Dio e questo è male; non c’è più quell’amore per
(continua a pag. 8)
6
28 settembre 1979
cronaca delle valli
h
ALLE VALLI OGGi
'^'^Cultura
valdese^^
Nel presentare sul nostro
giornale la Mostra Artigianato,
tenutasi a Pinerolo circa un mese fa, Marcella Gay ha impostato il problema della "cultura
valdese", se così possiamo chiamarla, da un punto di vista spirituale. Parlava della Claudiana
e dell'Eco delle Valli (due iniziative senz'altro molto caratteristiche della nostra chiesa) e
diceva in sostanza questo: i vaidesi si sono occupati dell'Evangelo cioè del problema della fede ed i tesori della cultura, che
hanno avuto e ricevuto, sono
stati un dono venuto in più, una
grazia aggiunta. Non hanno cercato di essere uomini colti ma
di essere cristiani fedeli e la
ricchezza della cultura è venuta
in più. Dal punto di vista della
fede ha pienamente ragione.
Sempre in tema di "cultura
valdese" vorrei, per parte mia,
guardare le cose da un altro
punto di vista, essenzialmente
storico, sociologico.
Anzitutto c'è o non c'è questa
cultura valdese nelle nostre Valli? Chi dice sì, chi dice no. Vallate di montagna del tutto simili alle altre, la religione diversa non ha lasciato tracce significative nella vita sociale,
nelle strutture. Vallate diverse
dove si avverte una mentalità
che non si trova dappertutto
nell'area alpina, una sensibilità
diversa, il parlare sovente due
lingue, un "non so che" che fa
pensare alla Svizzera. E questa
cultura che c'è stata nel secolo
scorso (e questo non si può negare) c'è ancora oggi?
Personalmente penso che con
buona pace di molti, si possa
rispondere che un certo tipo di
cultura del mondo valdese è esistito in forma rilevante fino
ad alcuni decenni fa ed ha lasciato tracce importanti fino ad
oggi. Quello che sarebbe interessante studiare sono però i
caratteri di questa cultura. Il
problema si è posto alla mia attenzione nel corso dell'estate
quando ne ebbi a discutere con
una équipe televisiva che faceva
un programma sulle "culture
emarginate del Piemonte", fra
le quali avevano inserito, chissà perché anche la realtà valdese.
Lo schema del discorso era
molto chiaro: c'è una cultura
ufficiale, quella delle classi colte, delle città, del potere e c'è
una sotto cultura o contro cultura, quella del popolo, la cultura delle classi sottomesse, vinte. in qualche modo, quella cultura che rivive nel folklore di
tante località e con cui il popolo esprirne la sua protesta, la
sua resistenza al predominio
della Grande Cultura. E folklore vuol dire riti, credenze, balli, musica ecc.
Questo schema vale anche per
noi? La nostra è stata una cultura emarginata dal potere, certo, ma non è stata cultura popolare, è stata cultura in senso pieno; non ha contestato il
potere dal basso rifugiandosi
nel mondo sotterraneo delle
credenze ma dall'alto, era una
cultura superiore a quella che
gestiva da noi il potere. Questa era espressione del Piemonte nobiliare e cattolico, quella
del mondo protestante europeo.
Anche da noi però ci sono
stati gli analfabeti, le credenze
alle "masche" le superstizioni,
il Grand Albert, il ballo e le
canzoni, tutto quel mondo di
fermenti libertari a livello di
popolo e contro cui i pastori
tuonavano. Ed allora come la
mettiamo? Forse la cultura valdese è stata una contro cultura
più che una sottocultura ed una
contro cultura rifiutata dal potere per motivi religiosi e storici, che aveva al suo interno
una dialettica fra Cultura (con
la maiuscola) e realtà contadina, dialettica assente nel mondo circostante. ..
Forse per quésto nessuno nell'area culturali valdese odierna
si interessa al revival popolare
di stile occitano; nessun gruppo giovanile segue la strada del
costume, del ballo, del canto,
e non abbiamo i nostri "Sunaire
Usitans" ma il "Teatro Angro
LEGAMI DI FRATERNITÀ’ TRA I DISCENDENTI DEGLI EMIGRATI
Solo le montagne non s'incontrano
Dopo 50 anni di residenza in
Argentina, non sapevo che esistevano delle famiglie di nome
Beux nel Brasile, ma ecco che la
prima domenica di agosto del
1977 tre persone di presentarono
a casa mia, il cui indirizzo fu
scoperto nella Guida telefonica.
Il maggiore di quei tre uomini
disse di chiamarsi Antonio Bartolomeo Beux (56 anni), un secondo era suo figlio, Edson, ed
il terzo era figlio di una sorella
del primo di nome Ari ThomasBeux. Evidentemente la sorpresa
è stata grande da parte mia e
della mia famiglia. Erano venuti a Buenos Aires in macchina
per affari (sono fotografi di professione).
Abbiamo avuto una corta conversazione (un’ora e mezza appena) perché loro avevano impegni
e sono ripartiti, ma mi scrissero
poi dal Brasile dicendomi che
aspettavano una mia visita a
quel paese.-In febbraio del 1978,
grazie a Dio, ho potuto far loro
quella visita dove abitano, cioè,
a Cascias do Sul nello Stato di
Rio Orando do Sul il più meridionale del Brasile. Lì ho potuto
vedere come vivono e di che si
occupano all’infuori della loro
professione di fotografi. Antonio
Bartolomeo è tesoriere della
chiesa metodista di quella città.
Ho conosciuto diverse famiglie
Beux, tutti nipotini e pronipotini di un certo Bartolomeo Beux
e di tm suo fratello, Stefano.
Vagamente questi nipotini (tra
i 50 ed i 60 anni) hanno saputo
dirmi che quei due fratelli erano venuti al Brasile nell’anno
1876 circa e che erano nati in un
paese di montagna nella provincia di Torino vicino alla frontiera colla Francia.
Naturalmente ho pensato subito che si trattava di Pramollo e
che forse sarebbero della medesima mia linea genealogica, tanto più che un documento trovato fra vecchie carte di detto Bartolomeo dice che era caporale
nelTesercito italiano (a Torino).
Infine, dopo molta corrispondenza, mia nipote Annalisa Coucourde di S. Germano, la quale si è
impegnata assai per ricercare
dati nel Comune e nella chiesa
valdese di Pramollo, in base a
quel documento trovato nel Brasile, scoprì alcuni documenti:
certificati di nascita, di matrimonio e di morte ed è arrivata alla
conclusione che i detti fratelli
Beux, sebbene non siano parenti
nostri, sono certamente di Pramollo, della borgata Sappiats e
non del Beux dove è nato mio
padre, pure lui di nome Bartolomeo.
Nella mia visita al Brasile ho
visto la stima che la gente aveva
per queste famiglie Beux. Uno
dei nipotini di nome Carlo e fratello di Antonio, celebrava il 10
febbraio 1978 il 30° anniversario
del suo matrimonio, la cerimonia religiosa (tempio pieno zeppo) si è svolta nel tempio della
chiesa metodista di Cascias do
Sul. Presente c’era pure un altro
fratello di questi di nome Etelvino Armando pastore della chiesa
metodista centrale nella città di
Passo Fundo (140 chilometri più
al nord di Cascias do Sul).
Nel primo dei due culti a cui
ho avuto la gioia di partecipare,
il pastore (un missionario canadese) mi ha chiesto di dare la
mia testimonianza evangelica;
Tho fatto con poche parole in
lingua spagnola poiché il porto
1« CIRCUITO
Si ricorda che come stabilito nella precedente riunione, l’ASSEMBLEA DI
CIRCUITO è convocata alla Casa Unionista di Torre Penice venerdì 28 settembre alle ore 20.30.
ghese (lingua del Brasile) non mi
era conosciuto, ma molti dei presenti mi hanno detto poi che avevano capito assai bene il mio
parlare.
Insomma 18 giorni dopo queste belle e gioiose esperienze sono ripartito per TArgentina.
Per dare una idea della distanza che c’è da Buenos Aires a Cascias do Sul devo dire che bisogna fare la traversata del Rio de
la Piata in aliscafo (60 chilometri — circa un’ora), prendere un
autobus per Montevideo (Uruguay) 180 chilometri; un altro autobus per Porto Aiegre (Brasile)
850 chilometri e di lì un altro autobus per altri 135 chilometri
per arrivare a Cascias do Sul.
(Ora che abito a Iacinto Arauz
dovrei fare 800 chilometri di più).
Avevo scritto ai Beux dando loro
la data in cui pensavo fare il
viaggio ed ho avuto la gioia di
trovarli a Porto Aiegre al mio
arrivo, mi aspettavano con una
macchina!
Forse i lettori delTEco s’interesseranno poco di questa vicenda certamente molto personale,
ma io che sono quasi 78enne ho
sentito una gioia immensa al conoscere tutta quella gente che
mi trattava colTaffetto semplice
come se fossi della famiglia. Ho
potuto constatare che quei due
Beux dopo un così lungo viaggio
come quello che dev’essere stato in quegli anni, cioè non rapido come si fa oggi con i grandi
piroscafi come quelli della compagnia "C” o in aerei, malgrado
tutto ciò, hanno conservato la
loro fede cristiana e valdese. A
stare a quanto mi è stato detto il
Bartolomeo Beux è stato uno
dei primi a unirsi poi ai metodisti sostituendo il pastore (io lo
chiamerei predicatore laico), non
appena furono giunti, lui e suo
fratello Stefano, a Rio de Janeiro
prima ed a Cascias do Sul poi.
Insomma la nostra corrispondenza continua ed ogni volta che
mi scrivono non tralasciano di
invitarmi a visitarli nuovamente,
non solo, ma ringraziano sempre e vivamente Annalisa Coucourde per il tempo impiegato
nelle sue ricerche; per le fotocopie di documenti che ha mandato; con quei documenti, che
ho tradotto dal francese allo
spagnuolo, hanno potuto costruire una specie di albero genealogico di tutta la famiglia a partire dalla nascita di quei loro avi
che risale alla prima metà del
secolo scorso, quindi varie generazioni.
Per parte mia sono lieto di
averli conosciuti e di essere in
certo modo un trait d’union, ma
soprattutto d’aver fatto quella
gioiosa esperienza. È una prova
di più che sono solo le montagne
che non s’incontrano mai; gli uomini possono sempre incontrarsi mentre Iddio ci dà vita e possiamo amarci nel suo nome anche a migliaia di chilometri di
distanza... e sebbene i secoli passino... siamo nelle mani di Dio.
Clemente Beux
_________PROBLEMI A LUSERNA S. GIOVANNI E PINEROLO
Scuola: ed è subito crisi
E così i genitori degli 86 bambini del plesso scolastico di San
Giovanni a Luserna hanno scioperato. Mercoledì 19 settembre
non hanno mandato i loro figli
a scuola perché gli insegnanti
sono stati ridotti da 10 a 9: un
grave colpo al tempo pieno in
funzione da sei anni. Istituito in
base alla legge 820, di anno in anno viene riconfermato come sperimentazione, per paura di stabilizzare un’esperienza che funziona bene. L’iniziativa è dell’ispettore che, prima di andare in
pensione, ha pensato bene di proporre la sospensione di un posto
di lavoro al tempo pieno, visto
che secondo la sua indagine i
bambini erano pochi. Il solito
criterio adottato per approvare
iniziative scolastiche è quello
_________________DIFFUSIONE NEL PINEROLESE
Questo numero
nelle scuole
Per promuovere l'adozione del nostro giornale questo numero è inviato a tutte le Scuole medie inferiori e superiori e
Istituti professionali del Pinerolese con una lettera ai rispettivi Consigli di Istituto che riproduciamo. Insegnanti, studenti
e genitori attivi nella scuola ne tengano conto!
Nel quadro della Legge regionale 48 « Provvidenze in materia di
promozione e diffusione della cultura e dell’informazione locale » —
che prevede l’abbonamento di due quotidiani di interesse regionale
e di due periodici di interesse locale ai corsi degli Istituti medi inferiori e dei Centri professionali e alle classi degli Istituti medi superiori — desideriamo presentare il settimanale
L’ECO DELLE VALLI VALDESI
ohe è inserito nell’apposito elenco dei periodici predisposto dalla
Regione. Provvediamo perciò all’invio di un numero del settimanale
in diverse copie che speriamo possano essere fatte circolare nella
scuola.
Nella scelta dei periodici di interesse locale nel Comprensorio
Pinerolese in cui è presente in misura rilevante la Chiesa valdese,
confidiamo voglia essere preso in considerazione anche il nostro settimanale che ne è espressione diretta. Riteniamo infatti che la scelta
dell’Eco delle Valli valdesi possa essere strumento per un utile, stimolante e sereno confronto, atto a promuovere uno studio del fatto
religioso e delle sue implicaz'oni che sia pienamente assunto in proprio dalla scuola.
Desideriamo infine segnalare che oltre alle pagine dedicate alla
vita nel Pinerolese con particolare riferimento agli aspetti religiosi,
sociali e culturali, il resto del giornale affronta temi di attualità e di
cultura che possono utilmente servire ad allargare la prospettiva
dall’interesse locale a problemi di ordine generale.
Ringraziando per la cortese attenzione, inviamo un cordiale saluto e l’augurio di un proficuo esperimento.
gna
Giorgio Toum
Torre Pellice, 24 settembre 1979
per il Comitato di redazione
Fianco Giampiccoli direttore
quantitativo. Se i bambini sono
pochi, niente tempo pieno, se sono molti vedremo. Ma la riforma
della scuola (se è ancora possibile sperarla!) non è solo una
questione di numeri, ma di qualità, di servizio complessivo offerto ai bambini, ai genitori, al
quartiere, come spazio in cui si
incrociano le storie dì un po’ tutti quanti. Oltre tutto non è vera
la diminuzione degli iscritti,
perché quest’anno sono aumentati e non ci si può nemmeno basare solo sulle presenze alla
mensa scolastica per stabilire
che i bambini al pomeriggio calano, perché molti vanno a pranzare a casa.
I fatti, comunque, sono in breve questi: a giugno comunicazione ufficiosa circa l’organico che
verrebbe per Tanno ’79-’80 diminuito di un posto; a luglio le nomine ufficiali confermano 5 insegnanti titolari e quattro aggiunti
invece di cinque, nonostante la
ferma opposizione del consiglio
di interclasse ed il parere favorevole espresso precedentemente
dal collegio dei docenti e dal consiglio di circolo. A settembre ì
genitori cominciano a muoversi
attivamente, si fanno incontri
con l’ispettore tecnico a Pinerolo, presente il sindacato e un
incontro col vice provveditore
agli studi. In questi incontri sembra sempre che ci sia molta disponibilità ad accogliere le richieste presentate, naturalmente dopo aver vagato da un ufficio all’altro, da una scala all’altra. In realtà appena tornati a
casa si veniva a sapere che pochi erano d’accordo, che nascevano altri intoppi e così via: la
burocrazia e le clientele sono
davvero stritolanti e fanno parte
di un progetto di ridimensionamento delle esperienze valide di
questi anni e di attacco al minimo spazio aperto dai decreti delegati.
Cosa dire del funzionamento
di questi ultimi? La soppressione di un posto di lavoro a San
Giovanni, parallelamente ad altri
in Val Chisone e Germanasca, è
stata « suggerita » senza consultare nessim organo collegiale e
la cosa continua ad andare avanti nel disprezzo assoluto dei loro
pareri. Alcune sere or sono in
un’intervista al Tg2 il provveditore agli studi di Torino diceva
che una delle cause dell’incerto
funzionamento degli organi collegiali è il fatto che molti considerano la scuola « una cosa
altra da sé ». E come potrebbe
essere altrimenti, visto lo scar
so potere loro delegato e visto
che li si ignora in tutte le loro
decisioni, a meno che non siano
funzionali alla politica scolastica di questi trent’anni, fatta di
rattoppi, di approssimazioni, tira
e molla? In conclusione i genitori di S. Giovanni hanno messo in
pratica ciò che avevano annun
ciato in una lettera al provveditore: o torna il posto con l’insegnante dello scorso anno o i bambini non entreranno nelle aule
scolastiche. Cosa succederà?
B. Peyrot
* * *
Dalla Scuola elementare di Luserna S. Giovanni all’Istituto Magistrale « G. A. Rayneri » di Pinerolo. Anche qui una situazione
di estremo ' disagio denunciata
con chiarezza in una mozione
approvata all’unanimità dal Collegio dei Docenti riunitosi in seduta plenaria il 18 settembre.
Motivo principale di tale disa
gio, oltre ai molti motivi già
denunciati dal Preside dell’Istituto, l’insufficienza di aule e di
personale non docente, disponibili in numero del tutto inadeguato ad una popolazione scolastica che, nel giro di tre anni,
è pressoché raddoppiata.
Se non saranno presi immediati provvedimenti, rendendo
agibili i locali messi a disposizione dal Comune all’ultimo piano di palazzo Vittone, o non saranno assegnati nuovi locali in
Istituti vicini, si dovrà ricorrere
ai doppi turni con tutti i gravi
inconvenienti che tale soluzione
comporterebbe sia per i niolti
studenti pendolari, sia per gli insegnanti itineranti.
I Docenti invitano con fermezza le Autorità Comunali di Pinerolo «... a prendersi carico dei
problemi che gravano sull’Istituto... » facendo altresì presente
che « ...consapevoli delle difficoltà in cui si trova una Amministrazione Comunale, sono pronti
comunque ad affrontare ancora
dei sacrifìci, purché vengano date precise garanzie per un futuro immediato ».
È augurabile che di fronte ad
una così chiara e civile richiesta
le Autorità Comunali e Scolastiche cui la mozione è indirizzata,
prendano con la necessaria sollecitudine i provvedimenti che
loro competono per garantire il
regolare svolgimento del servizio
scolastico, evitando che i Docenti debbano ricorrere ad altri mezzi per giungere alla soluzione di
una situazione insostenibile.
D. Ch.
7
28 settembre 1979
CRONACA DELLE VALLI
'■■■
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i ’t:
SCUOLE VALDESI A TORRE E POMARETTO
Inaugurato
l’anno scolastico
Nei nostri due istituti l’anno
scolastico ha avuto regolarmente inizio il 18 ottobre con due incontri, a Torre ed a Pomaretto,
di alunni, genitori, professori e
Comitato.
Nei due casi, malgrado il pomeriggio lavorativo, Taffluenza è
stata assai rallegrante e l’atmosfera assai distesa.
I presidi hanno fatto la loro
relazione sulTanno trascorso non
senza parlare con... delicatezza
di quegli studenti i cui risultati
non sono stati quelli sperati. Il
preside del liceo di Torre Penice, prof. Ermanno Armand Hugon, ha ricordato un regolamento delle nostre scuole del 1880 il
cui rigore metteva in risalto, talvolta in modo involontariamente
umoristico, il « permissivismo »
attuale!
I presenti hanno tenuto a dire la loro riconoscenza al prof.
Augusto Armand Hugon, che ha
lasciato la presidenza del Liceo
di Torre e che, attualmente, non
è in buona salute. Gli giungano
anche da queste pagine i nostri
più fraterni auguri, nella certezza che il Comitato ed i nostri
istituti potranno ancora contare
su di lui e sul suo consiglio. Abbiamo pensato con riconoscenza anche al Sig. Daniele Ghigo,
presidente uscente del Comitato
del Collegio e della Scuola: Lati
na. Siamo profondamente spiacenti che abbia dovuto lasciare
questo incarico e per le ragioni
che l’hanno indotto a farlo. Il
Comitato, in particolare, tiene a
dire quanto la sua mancanza si
fa sentire.
A Torre, dopo il culto tenuto
dal pastore Giovanni Conte e dopo i discorsi dei presidi, ha parlato anche il dott. Gardiol, quale
presidente dell’associazione Amici del Collegio, invitando i genitori e gli ex alunni ad iscriversi
all’associazione e soprattutto a
sostenere fattivamente i nostri
istituti.
A Pomaretto il culto è stato
tenuto dal pastore Coisson e, dopo alcune parole della preside
prof. Amalia Panero-Geymet, la
signorina Ethel Bonnet ha fatto
vedere ai ragazzi alcune interessantissime diapositive sul Para.guay.
Certamente i genitori avranno
notato i lavori di ripulitura a
tutto lo stabile della Scuola Latina, lavori resi possibili dalla generosità dei fedeli amici esteri;
un grazie alla Signora Marisa
Pons che ha organizzato e seguito i lavori in modo assai efficace
ed intelligente.
Auguri di buon lavoro ai ragazzi e ai professori.
Gv. C.
PRAROSTINO
Durante l’estate la nostra comunità ha vissuto ore di dolore
e ore di gioia;
Lutti: Il 23 giugno è deceduto
il nostro fratello Gönnet Levi
del Bric di Pralarossa, alla bella
età di 92 anni; il 3 luglio è mancato improvvisamente, appena
arrivato da Marsiglia per trascorrere alcuni giorni con i familiari, il nostro fratello Daver
Pierre; l’il settembre, dopo 16
anni di malattia, sopportata con
cristiana pazienza, ha terminato
la sua corsa terrena il nostro
fratello Monnet Remo di Chanforan (Roccapiatta). L’Evangelo
della speranza cristiana è stato
annunziato in queste dolorose
circostanze. Alle famiglie in lutto
rinnoviamo la nostra fraterna
simpatia.
Battesimi. Domenica 9 settembre abbiamo battezzato il piccolo Federico di Bruno e Aurora Avondetto del Ser (Roc), anziano della nostra comunità. Al
piccolo Federico il nostro augurio che possa crescere nella fede
nel Salvatore Gesù Cristo.
Matrimoni: Sabato 8 settembre si sono uniti in matrimonio
i nostri giovani Renzo Avondetto
dell’Allemanda (Collaretto) e
Ivana Gardiol dei Gay, tutti e
due membri della nostra corale.
Ci rallegriamo per la costituzione di questa nuova famiglia cristiana che si stabilisce a Prarostino, e facciamo ancora una volta i nostri migliori auguri per
una vita familiare diretta e benedetta dal Signore.
• Ringraziamo il past. em. Enrico Geymet, i predicatori locali
Flavio Micol di Pomaretto, e Attilio Fornerone, di Prarostino e
lo stud. in teol. Vito Gardiol che
hanno presieduto i culti durante l’assenza del pastore.
CAMBIO DI TELEFONO
• A partire dal 1“ ottobre il
numero di telefono della Chiesa
di Prarostino sarà 500765.
TORRE PELLICE
Domenica 23 settembre è stata battezzata Rivoira Luisella di
Marcello e Mirella Bonjour.
• Miegge Ezio e Gostabel Rosalba si sono uniti in matrimonio: la comunità formula i migliori auguri agli sposi, che si
stabiliranno a S. Giovanni.
• Ringraziamo Claudio Fasquet
che ha presieduto il culto al tempio del Centro, domenica 23 settembre.
• La comunità è riconoscente
a Gianni Genre e Maria Bonafe
de, studenti in teologia, che hanno trascorso questi mesi estivi
a Torre Pellice come aiuto del
pastore.
• Ricordiamo che le Scuole
Domenicali inizieranno sabato 29
(Centro) e domenica 30 (Appiotti e Coppieri), i catechismi venerdì 5 ottobre.
SERVIZIO MEDICO
Comuni di ANGROGNA - TORRE
PELLICE - LUSERNA S. GIOVANNI
- LUSERNETTA - RORA'
Dal 29 settembre al 5 ottobre
Dott. Mlchelin Salomon Ornella
Via Bouissa, 4 - Tel. 91009
Torre Pellice
FARMACIE DI TURNO
festivo e notturno
Torre Pellice
Dai 22 settembre al 12 ottobre
fa servizio la farmacia Internazionale ( dott. Imberti ) Via Arnaud 5 - Tel. 91374.
Luserna San Giovanni
Dal 24 settembre al 7 ottobre
fa servizio la farmacia Vacarlo
( dott.ssa Gaietto ) Via Roma 7 Tel. 90031.
AUTOAMBULANZA
Torre Pellice ; Tel. 90118 - 91.273
Croce verde di Porte tei. 74197
VIGILI DEL FUOCO
Torre Pellice ; Tel. 91.365 - 91.300
Luserna S. G. Tel. 90.884 • 90.205
LUSERNA
SAN GIOVANNI
Il culto di inizio attività avrà
luogo domenica 30 c.m. con la
partecipazione dei ragazzi del
pre-catechismo, del catechismo e
delle loro famiglie.
Sarà presieduto dal pastore
Adamo che consegnerà la Bibbia
ai catecumeni del 1" anno e presenterà i monitori della Scuola
Domenicale.
Sono anche invitati i membri
delle altre attività di chiesa.
• Durante il culto di domenica 16 u.s. hanno celebrato il loro
matrimonio Ivana Trombotto e
Diego Cogno. La comunità presente al culto si è unita ai parenti ed amici degli sposi per partecipare alla loro gioia.
Sabato 22 u.s. pure nel tempio
si sono uniti in matrimonio
Bruna Salvagiot e Giorgio Benigno. La Corale, di cui lo sposo
è membro assiduo, ha abbellito
la cerimonia con un inno che è
stato molto apprezzato.
A questi nuovi focolari giunga
l’augurio di una vita felice e benedetta dal Signore.
• È deceduto il fratello Bertin
Enrico Alberto, di anni 70, della
Cartera. I funerali hanno avuto
luogo giovedì pomeriggio e la salma è stata tumulata nel cimitero di Bricherasio.
Ai parenti in lutto l’espressione della nostra viva solidarietà
cristiana.
S. GERMANO
Negli ultimi tempi tre sorelle
cì hanno lasciato: Elisabetta
Munzi in Ribet, Maddalena Chiavia ved. Martinat e Aline Rostan
ved. Barzaghi. Quest’ultima era
in mezzo a noi per il periodo estivo. Diciamo alle famiglie nel
lutto la nostra sincera simpatia
cristiana dividendo con loro la
speranza nel Salvatore risorto.
• Domenica 23 ha avuto luogo
la giornata della Casa di Riposo.
Malgrado questo incontro non
fosse stato annunciato sull’Eco
per un’involontaria svista del direttore (cosa di cui egli si scusa)
Taffluenza è stata ottima, segno
inequivocabile delTaffetto con il
quale è seguito il lavoro svolto
in quella Casa. Particolarmente
apprezzato lo stand dei lavori
preparati dagli ospiti della Casa.
Non abbiamo bisogno di ricordare che è sempre molto necessario sostenere questo istituto così prezioso per tutte le nostre comunità e per ospiti che
giungono anche da fuori. Chi desiderasse dare un segno concreto
di sostegno può rivolgersi alla
direzione o al pastore Conte,
che forniranno tutte le indicazioni sui lavori in corso o in preparazione.
Un grazie sincero a quanti hanno preso parte alla giornata della Casa di Riposo e al personale
ed agli ospiti della stessa per la
cura con cui Thanno preparata.
POMARETTO
A rallegrare la sua famiglia è
giunta Elena di Micol Eliana e
Jahier Silvio. Un benvenuto alla
neonata e tanti auguri ai genitori.
• Sono stati presentati per essere battezzati: Balma Serena
di Luciano e di Nella Massel;
Coucourde Helen di Giorgio e
Matilde Gascone. Possano questi
bambini crescere in sapienza, in
statura ed in grazia nel cospetto di Dio e nel cospetto degli
uomini.
• Sabato 22 settembre è stato
benedetto il matrimonio di Coucourde Guido e CoUin Ornella.
Che lo Spirito del Signore benedica e guidi questo nuovo focolare. Agli sposi gli auguri della
comunità tutta.
• È deceduto nella sua abitazione in Per osa Argentina, il nostro fratello Poét Alberto, all’età
di anni 69. Il funerale ha avuto
luogo lunedì 24 settembre. Alla
famiglia afflitta la simpatia cristiana di tutta la Comunità.
Assemblea
delle corali
L’assemblea delle corali
è convocata domenica 14
ottobre alle ore 15 nei locali del Tempio di Pinerolo
messi gentilmente a disposizione dalla comunità.
Sono caldamente invitati
a parteciparvi i responsabili e chiunque sia interessato all’attività delle corali.
PROSPETTIVE PER ANGROGNA - 2
Una cooperativa di
giovani per la casa
Nello scorso numero è iniziata, con la pubblicazione di
un articolo («Tornerà a funzionare il vecchio mulino?») sulla
cooperativa agricola d’Angrogna, una serie d’interventi sulle
prospettive sociali di questa valle. Dopo l'articolo di oggi sulla
cooperativa edilizia seguiranno interventi su: viabilità, scuole
e sul prossimo ciclo di manifestazioni culturali, organizzato
dall’amministrazione comunale, a partire dal 20 ottobre.
Quando si seppe che era in
vendita lo volevano in tanti. Naturalmente anche il prete. Ma
ad acquistarlo fu un gruppo di
giovani angrognini che per l’occasione si costituirono in cooperativa. Da allora però sono
sorti non pochi problemi intorno a questo terreno panoramico degli Albarin, di 6.000 m?, vicino al paese e accanto alla strada. I giovani della cooperativa,
intenzionati a fabbricarci su delle case di tipo popolare, commissionarono, ad un noto architetto della Valle, un progetto
concernente quattro villini bifamiliari. L’intenzione era appunto quella da un lato di sbloccare una situazione in cui le giovani coppie devono andarsene
dalla Valle perché in Angrogna
non si trova un ’buco’ e dall’altro offrire un’indicazione diversa rispetto alla solita logica del
’mi faccio la casa tutto da solo’
(che poi non ci si arriva mai se
non indebitandosi sino al collo).
A quel punto, corredato da soluzioni architettoniche moderne, il progetto arrivò sul tavolo
della Commissione Edilizia del
Comune che lo approvò. Si trattava quindi, prima di dare inizio ai lavori, di aspettare i finanziamenti da parte dello Stato per l’edilizia popolare. Ma
una serie di lungaggini burocratiche e soprattutto una mancata conoscenza tecnica in fatto di
cooperative raffreddarono, lentamente, l’entusiasmo dei membri della cooperativa. Subentrò
la rassegnazione e la polvere
cominciò ad accumularsi sul
progetto. Qualcuno uscì dalla
cooperativa. Entrarono altri, anche per garantire il numero legale. Oggi però la cooperativa,
che si trascinava stancamente
da una seduta all’altra senza
mai riuscire a dare inizio ai lavori, ha avuto un sussulto. Sembra infatti che in base ad una
legge approvata ai primi di agosto, nel quadro del piano decennale per l’edilizia, sia possibile,
per le cooperative, accedere entro il 1981 ad un adeguato finanziamento tramite la Regione.
Si tratterebbe quindi di agire, poiché il progetto è già sta
• Ecco alcuni dei prossimi incontri per la comunità: 1° ottobre inizio Corale; domenica 7
ottobre culto per la ripresa di
tutte le attività. Ci auguriamo
che tutti i responsabili possano
prendervi parte.
Sabato 13 ottobre inizio catechismi.
Domenica 14 ottobre, culto di
inizio della Scuola Domenicale.
Importante: a partire da domenica 30 settembre ì culti avranno inizio alle ore 10.30.
Ci rallegriamo con Elsa e Stefano Rivoira per la nascita di
Oriana e con Vanda e Adolfo Rivoira per la nascita di Sara.
• Alcuni membri della comunità hanno partecipato al convegno di Pravernara e ne sono tornati arricchiti. Ci rallegriamo
per questa occasione di incontro
che è stata offerta alle nostre
chiese ed a quelle dei Fratelli.
• Tre studenti in teologia hanno annunciato l'Evangelo nella
nostra comunità: Walter Michelin Salomon e Vito Gardiol che
frequentano il IV anno di studi
e Daniele Garrone che ha terminato Tanno di studio all’estero ed
ora prepara la sua tesi di laurea. Li ringraziamo per la loro
collaborazione.
• Domenica 30 si riunisce il
ConcistorQ' alle 9.30 nella saletta
delle attività.
• Contiamo tra breve parlare
più a lungo del buon esito del
« camp mission biblique » di agosto.
to approvato. Il discorso, per
interpretare la volontà della
cooperativa che, pur avendo i
motori accesi sino ad oggi, non
è riuscita a decollare, interessa
in particolare le giovani coppie
locali. Si sa che pochissime giovani famiglie sono in grado, nei
primi anni del loro matrimonio,
di farsi una casa. È, anzi era
tempo fa, più facile comprare
qualche vecchio rudere e aggiustarselo come una seconda casa. ma non certo per viverci
tutto Tanno. Qui invece si tratta della casa in cui vivere senza pagare per una vita un affitto
'a vuoto’ (semmai a riscatto) e
di disporre, ogni famiglia, su
due piani di uno spazio a dimensione umana, totalmente
immerso nel verde di Angrogna.
Tutte le carte sono in regola.
Si tratta ora di vedere se la cooperativa, aperta anche a nuovi
aderenti, ritroverà la volontà
iniziale di lanciarsi in quest’impresa. Mi sembra che qui si
apra, per molti, una possibilità
nuova,, molto concreta in un
momento di totale crisi dell’edilizia.
Essa potrebbe costituire la
soluzione al problema molto
sentito del poter vivere dove si
è nati; in altre parole, senza andare ad imbottigliarsi in qualche condominio della pianura e
vedere le montagne dal basso.
Ma sapranno i giovani valersi
di questo strumento?
G. Platone
Il Signore è misericordioso: ha posto termine alle sofferenze della nostra cara mamma
Vera Sigillo ved. Pulejo
I figli Massimo e Enzo, le nuore, i
nipoti ne danno il triste annuncio ad
esequie e . tumulazione avvenute a
Bruxelles e Roma.
« Poiché per me il vivere e
Cristo e il morire guadagno »
(Filippesi 1: 21)
AVVISI ECONOMICI
RORA’
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• A cominciare da domenica
30 il culto si terrà nella saletta
delle attività.
• Domenica 30 si riunisce il
gruppo dei giovani per programmare le attività di questo nuovo
anno. È prevista la cena in comune.
• La gita della comunità a Venezia si effettuerà nei giorni 1213-14 ottobre con partenza nel
pomeriggio di venerdì. Iscriversi
subito presso il pastore (telef.
93108).
Hanno collaborato a questo
numero: Giovanni Conte Dino Gardiol - Luigi Marchetti ■ Cipriano Tourn - Giorgio Tourn - Ermanno Genre.
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Comitato di Redazione: Sergio
Aquilante, Dino Cìesch, Marco Davite, Niso De Mìchelis, Giuliana
Gandolfo Pascal, Marcella Gay,
Ermanno Genre, Giuseppe Platone,
Ornella Sbaffi, Liliana VIglielmo.
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FRANCO GIAMPICCOLI
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La Luce ».
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Fondo di solidarieU : ccp 11234101
intestato a « La Luce : fondo di solidarietà ».
La Luce ; Autor. Tribunale di Pinerolo N. 176, 25 marzo 1960.
L'Eco delle Valli Valdesi Reg. Tribunale di Pinerolo N. 175, 8 luglio 1960.
Cooperativa Tipografica Subalpina
Torre Pellice (Torino)
8
8
28 settembre 1979
DAL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE
Nuovo aiuto al Fronte
patriottico dello Zimbabwe
Donne
in Val Germanasca
Come i lettori ricorderanno,
gli aiuti del Consiglio Eciimenico delle Chiese al Fronte patriottico dello Zimbabwe, dati attraverso il Pondo speciale per la
lotta contro il razzismo, sono
stati al centro di ima vivace polemica nell’ambito di diverse
chiese aderenti al CEC (per parte nostra Tavola e Comitato Permanente hanno espresso il loro
appoggio al Comitato Centrale
del CEC lo scorso gennaio e il
Sinodo ha approvato questa presa di posizione - 30/SI/79). Tenendo conto di questa situazione, abbiamo cercato di seguire
le vicende della Rhodesia-Zimbabwe sia dal punto di vista politico che ecumenico, con un articolo sulle elezioni di aprile
(«L’ultima carta di Smith», (19/
11.5.’79) e più recentemente riportando da Réforme un’intervista rilasciata dall’attuale primo ministro (« Muzorewa, vescovo e premier » 33-35/31.8.79).
Giunge ora la notizia di un
nuovo passo del CEC compiuto
a pochi giorni dall’inizio della
Conferenza che si è aperta a
Londra con la partecipazione, oltre che della Gran Bretagna, dell’attuale governo e del Pronte
patriottico. Con ima lettera inviata alle Chiese membro del
CEC, firmata dal presidente del
Comitato Centrale Edward Scott
e dal segretario generale Philip
Potter, il CEC informa di aver
ricevuto dal Pronte patriottico
la richiesta di un contributo per
sostenere le spese logistiche della propria delegazione che non
essendo una delegazione governativa si trova in svantaggio rispetto alle altre per ciò che riguarda la copertura delle spese
date dal governo britannico. Il
CEC informa di aver accettato
tale richiesta e di aver accordato,un dono di 16.000 sterline al
Fronte patriottico prelevandolo
dal Fondo speciale della lotta
contro il razzismo. Nel render
conto di questo passo, il CEC
afferma nella sua lettera di so
Dichiarazione dei CEC
Il Comitato Esecutivo del
CEC, riunito a Bossey dal 10
al 17 settembre
accoglie con soddisfazione
lo svolgersi della Conferenza
costituzionale sullo Zimbabwe
che ha avuto inizio il 7 settembre a Lancaster House a
Londra in seguito alla dichiarazione della Conferenza
del Commonwealth a Lusaka;
ricorda che il Consiglio Ecumenico ha richiesto in diverse occasioni alle sue Chiese membro di sostenere gli
sforzi internazionali in vista
di una soluzione negoziata e
pacifica per lo Zimbabwe tra
tutti i partiti interessati; ricorda inoltre che il Consiglio
Ecumenico ha criticato la soluzione messa in atto unilateralmente, e la relativa costituzione, che contribuiscono al
mantenimento del potere e
dei privilegi della minoranza
bianca;
riconosce che la Conferenza costituzionale sullo Zimbabwe è molto diversa dalle
conferenze costituzionali te
nute nel passato per la decolonizzazione delle colonie britanniche; questo è dovuto alla guerra in corso, al grado
di coinvolgimento internazionale e alla autorità costituzionale, puramente formale, del
governo britannico;
assicura al popolo dello
Zimbabwe, nell’ora di questi
negoziati determinanti per il
suo avvenire, l’intercessione
delle Chiese presenti nella comunità fraterna costituita dal
Consiglio Ecumenico;
domanda al governo del
Regno Unito, al governo in
Zimbabwe/Rhodesia e al Fronte patriottico di operare in
vista di una soluzione globale
che ponga fine alla guerra,
dando l’avvio a una costituzione die accordi a tutti i cittadini gli stessi diritti e garanzie durante il periodo di transizione, un meccanismo adeguato e imparziale per il mantenimento deH’ordine e della
legge, per lo svolgimento e la
supervisione di elezioni.
stenere così concretamente la
soluzione negoziata, pacifica e
con la partecipazione di tutti i
partiti interessati richiesta da
molto tempo per il popolo dello
Zimbabwe e di tener conto altresì dei criteri del Fondo speciale tra cui quello di « curare il rafforzamento della capacità organizzativa di popoli oppressi per ragioni razziali ».
Il Comitato Esecutivo del CEC,
che ha adottato questa decisione, ha anche preso posizione sul
problema Zimbabwe/Rhodesia
con un documento che pubblichiamo qui sopra. In esso è ri
badita la critica del CEC nei
confronti della soluzione trasformistica che ha portato alla nomina del premier Muzorewa
senza per altro risolvere il problema, (si noterà come il documento si rivolga al governo in
— e non al governo dello — Zimbabwe/Rhodesia, non dando
quindi alcuna legittimazione al
governo del vescovo Muzorewa) e si auspica che la Conferenza dì Londra sia una tappa
concreta verso una soluzione
globale ed equa che ponga fine
alla guerra.
F. G.
(
LA SETTIMANA INTERNAZIONALE
Afghanistan insanguinato
a cura di Tullio ViolaJ
Che tutto rislam sia in crisi è un fatto già da tempo ben
noto. Ma non si tratta ormai
più di una crisi relativamente
« fredda », come sembrava fino
a poche settimane fa. Oggi si sa
invece che le sue vittime si contano a diecine di migliaia.
I guerriglieri curdi, oggi arroccati sulle montagne occidentali dell’Iran, contano già migliaia di morti. Ma forse ancor
più numerose sono le vittime,
di cui apprendiamo l'esistenza
negli ultimi giorni, dei gravissimi disordini politici e sociali
dell’Afghanistan.
La rivolta di palazzo nella
quale ha trovato la morte il
presidente Taraki, il « padre sincero di tutti i patrioti » (come
era chiamato), e la presidenza
è passata ad Hafizullah Amin,
primo ministro del medesimo,
ha reso possibile la pubblicazione di un rapporto di « Amnesty
Internazionale », scritto, prima
della rivolta stessa, da due informatori: « dal professore turco Muntaz Soysal e dalla signora Yvonne Terlingen.
Questi due informatori si recarono sul posto, col permesso
delle autorità afghane, ma non
poterono entrare all’interno degli stabilimenti di pena.
Il rapporto dice testualmente:
“La condotta adottata dal governo Taraki è quella d’imprigionare ogni individuo che si
occupi di politica e che venga
considerato come oppositore,
attivo o potenziale, alla politica
del governo stesso”.
Il nuovo capo dello Stato, Amin, ha dichiarato, subito dopo
la rivolta di palazzo, che egli
farà liberare tutti i detenuti "che
sono stati inutilmente arrestati"
(criterio, questo, che lascia ancora il più grande arbitrio). Il
rapporto Amnesty ritiene che
“le violazioni dei diritti umani
non hanno avuto tregua durante il regime Taraki’’ e che tutti
i prigionieri politici sono stati
gettati in carcere senza processo. C’è da chiedersi, considerando il modo in cui Amin si è impadronito del potere, se egli
adotterà un atteggiamento diverso da quello del suo predecessore.
Il rapporto segnala anche che,
nelle prigioni dell'Afghanistan,
sono in uso i più svariati metodi di tortura: bastonate, lapidazioni, uso di elettrodi, strappamento di unghie. Taluni detenuti sono dati per dispersi, ma
gl’informatori dicono non esser
stato loro possibile verificare se
altre persone, sequestrate nel
loro domicilio, sono state sommariamente uccise da reparti
specializzati.
I prigionieri appartengono a
tutte le tendenze politiche, dall’estrema destra religiosa (che è
in stato di ribellione contro i
comunisti del potere) fino alla
estrema sinistra filocinese, passando per personaggi dell’ “ancien régime" repubblicano: membri dell’aristocrazia, insegnanti,
diplomatici, militari, alti funzionari. Ma si trovano anche,
fra i prigionieri, personalità accusate di complotto durante l’estate 1978 e appartenenti, in generale, al cosiddetto “Parcham”
(= "La bandiera”), ramo del
partito democratico e popolare
dell’Afghanistan, che condivideva il potere immediatamente dopo l’apertura della rivoluzione.
Intere famiglie, compresi i bambini, si trovano in prigione.
Il governo Taraki non aveva
procurato ad Amnesty Internazionale l’elenco delle 1300 persone, la cui liberazione era stata annunciata dal governo stesso il 30.4 u. s. Sono invece stati
effettivamente liberati più di 70
donne o bambini appartenenti
all’antica famiglia reale, nell’ottobre 1978, secondo quanto allora venne indicato. Oltre a ciò,
Amnesty pubblica i nomi d’una
diecina di personalità ritenute
uccise in prigione ».
A queste notizie, tenebrose e
che grondano sangue, ne aggiungiamo sommariamente alcune
altre di contenuto essenzialmente politico.
Amin deve, d’ora in poi, fronteggiare la ribellione islamica.
Questa, benché disorganizzata, e
divisa, spinge i propri guerriglieri nella direzione della capitale. Buona parte del territorio sfugge al controllo di Kabul
ed è già nelle mani dei guerriglieri, che si trovano nelle montagne che circondano la città.
Nell’Afghanistan orientale, i
guerriglieri già assediano le ultime piazzeforti delle province
del Paktya e del Khunar (...).
L’esercito, a dispetto di molte diserzioni, resta ancora l’unica forza organizzata. E potentemente armato e inquadrato da
“esperti” sovietici, il cui numero oggi sarebbe prossimo a
5.000 ».
Ma lo stato di cose è estremamente precario e potrebbe,
da una settimana all’altra, precipitare, non sappiamo come.
(Le citazioni sono tolte da
« Le Monde » del 20.9.’79).
(segue da pag. 5)
gli altri che c’era una volta e la
gente non si sopporta più. È colpa anche di tante donne che abbandonano la loro casa per andare a lavorare.
— Tu non hai mai avuto un
lavoro extradomestico?
— Certo, prima di sposarmi e
dopo, quando la bambina è stata più grandicella. Ma quando
mia figlia era appena nata ed io
mi apprestavo a riprendere il
lavoro in fabbrica il mio Anseimo ha' parlato chiaro : « La
bambina è nostra e tu stai in
casa ad allevarla; se i soldi non
bastano vedi di fare qualche
economia in più».
— Dunque non sei stata tu a
scegliere di lasciare la fabbrica.
— No, ti dirò che nei primi
tempi il lavoro mi è mancato;
ma ho capito che il mio uomo
aveva ragione. Così., ho potuto
allevare bene la bambina.
— Pensi che tua figlia, adesso, sia felice, più felice di te
quando eri giovane?
— Non saprei; è sempre piuttosto immusonita, parla poco, i
giovani d’oggi io non li capisco
bene. Mia figlia ha tutto, l’abbiamo fatta studiare, non le è
mai mancato nulla ma sorride
così, poco!
— Ha un ragazzo?
Un velo di disappunto sul viso di Alma.
— Sì, ce l’ha; ha cominciato
presto, troppo presto. Non vogliamo che si sposi giovane, non
vogliamo che ci lasci soli. Neppure mio marito è d’accordo.
Cambio discorso.
— E della cultura della valle,
del dialetto, delle leggende cosa mi dici?
— Che amo le leggende di una
volta, ho diversi vecchi libri nei
quali sono riportate e li tengo
con grande cura; li rileggo e
mi sembra di ritornare bambina, quando i miei nonni le raccontavano. Il dialetto patois,
poi, lo considero la mia unica
vera lingua; è quella che parlo
con mio marito, con la negoziante quando vado a fare la
spesa e con tutti nel paese.
— Anche con tua figlia parli
patois?
— No, con lei no; le ho sempre parlato italiano. Sai, per via
della scuola.
— Ricordi con piacere le danze, le canzoni che erano diffuse
al tempo della tua giovinezza?
— Sì., le danze mi piacciono;
anche se non ho mai ballato
(mio marito non balla) mi piace vedere volteggiare dei bravi
ballerini ed è un peccato che le
danze di qui, come la courento
e la bureo, vadano scomparendo; i giovani ballano come dei
selvaggi, adesso. Le canzoni in
patois poi le conosco tutte.
le sue frustrazioni le ha scaricate su queirunica « bambina »
così amata e custodita e oppressa.
emancipata
— Tu provieni da una famiglia di contadini, hai lavorato la
terra da giovane, eppure tu e
tuo marito avete potuto entrare
in fabbrica e lo avete preferito.
Perché?
— Perché la terra non rende;
non ci sono sovvenzioni per il
contadino a cui muore una vacca o va a male un raccolto, quell’anno crepa di fame. In fabbrica c’è il padrone, ma c’è anche
una paga fissa, sicura. Noi volevamo comprarci un alloggetto
(mi indica quello in cui ci troviamo, pulito e lucidato con
scrupolo quasi eccessivo), avevamo bisogno di denaro. Abbiamo dovuto fare un monte di
economie; per anni ho mangiato soltanto le verdure che mi
coltivavo nell’orto e i conigli
che mi allevavo, neanche i vestiti compravo; me li facevo io
come sapevo. Non è stato facile farci l’alloggio, comprare l’automobile e far studiare la bambina — conclude con orgoglio.
È chiaro che a suo modo si
è realizzata; per tutta la vita ci
sono stati dei « punti fermi » a
guidarla e non si è mai smossa
dalla linea che riteneva giusta.
Credere in Dio, in suo marito,
nella famiglia e nella chiesa ciecamente le ha impedito di porsi degli autentici problemi anche se è piuttosto evidente che
La mia ultima « vittima » è
una donna decisamente giovane,
diversa dalle precedenti; si chiama Magda e ha lasciato la cascinetta paterna per trasferirsi
in città insieme al marito. Lavora come impiegata.
— Non ti piaceva abitare in
campagna?
— No — risponde decisa —
c’era troppo da lavorare e poca
libertà; le bestie vogliono mangiare sempre e la domenica non
puoi mica lasciarle e andare a
far festa. E poi i miei erano oppressivi, volevano sapere dove
andavo, con chi, non potevo
truccarmi o fumare senza che
succedesse il finimondo.
— Eppure oggi sei qui a trovarli.
— Adesso mi accettano di
più, si sono rassegnati a vedermi diversa da come mi vorrebbero. Certo avrebbero preferito
che sposassi un ragazzo di qui.
— Che cosa i»ensi della vita
che la gente conduceva una volta?
— Certo una volta la vita doveva essere difficile. Io non credo comunque che la gente fosse
più buona e più allegra, come
dicono gli anziani, erano semplicemente più passivi ; si rassegnavano e dicevano sempre
di si, le donne specialmente, che
facevano un figlio dopo l’altro
senza ribellarsi.
— Cosa vuol dire per te, Magda, essere vaidese?
— Non molto in verità; vado
poco in chiesa e penso che non
sia fondamentale essere « valdese » quanto essere « cristiana», cioè amare il mio prossimo. Ho molti amici cattolici e
sto bene con loro ; le religioni
sono un’invenzione, una complicazione inventata dagli uomini
per scannarsi tra loro, Dio non
c’entra. Mi vien da ridere se
penso che mio padre ha frequentato una cattolica per sette
o otto anni, quand’era giovane,
e non l’ha sposata perché non
riuscivano ad accordarsi sulla
educazione religiosa da impartire agli eventuali bambini. Eppure una volta c’erano tante di
queste fisime.
— 'Vai d’accordo con tuo marito?
— Sì, credo di poter dire di
sì; ci dividiamo i lavori di casa, abbiamo deciso insieme di
non avere figli per i primi anni
di matrimonio.
— Anche voi, come i vostri
genitori, risparmiate per acquistare un aiioggio, una casa che
sia vostra?
— No, di sicuro; ho visto i
miei rinunciare a tutti gli svaghi per diventare padroni di
quattro mura che fossero «loro » ; mai una gita, un giocattolo in più per noi bambini, tutto
per avere la casa. Preferisco
pagare l’affitto e farmi ogni tanto qualche bella vacanza con
Aldo; voglio godermi la vita finché sono giovane.
— Quando avrai dei figli continuerai a lavorare?
La vedo dubbiosa per la prima volta.
— Non so; in un primo tempo pensavo senz’altro di sì;, ma
adesso non mi pare bello mettere al mondo un piccolo e poi
lasciarlo al nido, poi all’asilo,
quindi al dopo-scuola e così via.
Ho paura che crescerebbe lontano da noi genitori, estraneo.
Se potrò resterò a casa con lui
almeno i primi anni.
Queste sono le donne delle
valli: diversissime tra loro ma
comunque sempre decise, pratiche, pronte. I dialoghi che ho
avuto con queste amiche sono
stati riportati integralmente,
senza correzioni, anche se molte
cose non le condivido mi sono
limitata a tradurre dal patois ciò
che si è detto (i dialoghi si
sono svolti tutti in dialetto).