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SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTIS lE, METOmSTE, VALDESI
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FRANCHEZZA
ECUMENICA
«Il corpo è uno e ha molte membra»
I Corinzi 12,12
T TNITI nella diversità. Questo giornaie ha pubblicato, il 18 dicembre
scorso, un documento sull’ecumenismo
di un gruppo comunitario della chiesa
battista di Firenze che è innanzitutto
una confessione di peccato che parafraserei con queste parole: «Di fronte
alla grande sfida che lo Spirito lancia a
tutte le chiese cristiane per rimettersi in
gioco, per aprirsi all'altro, noi chiesa
battista di Firenze confessiamo di non
essere all’altezza di questa sfida. Confessiamo di non capire dove lo Spirito
vuole guidarci. Confessiamo il nostro
disorientamento». Il documento vuole
anche testimoniare un malessere nei
riguardi della Chiesa cattolica dovuto
al ripetuto autoritarismo dimostrato
dalla sua gerarchia; ai continui pronunciamenti sui grandi temi della vita
in uno stile che non tiene per niente
conto della nostra società moderna,
laica e pluralista. Un documento che
vuole scuotere un ecumenismo che si è
adagiato e che non ha più il coraggio
'i parlar chiaro e senza sottintesi.
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NIFI nella diversità. Per parlare
senza sottintesi bisogna affrontare
subito uno dei maggiori problemi
dell’ecumenismo, il linguaggio. Si usano parole comuni, ma con significati
inconciliabili, suscitando in tal modo
confusione invece che chiarezza. Lo
slogan «uniti nella diversità» è un
esempio emblematico. Un protestante
e un cattolico danno alla parola
«unità» un significato diametralmente
opposto. Nell’ambito cattolico l’unità è
garantita dal papa e quindi essa si realizza soltanto se si giunge a una sottomissione al papa di tutti i cristiani,
protestanti inclusi. Nell’ambito protestante l’unità è il riconoscimento reciproco e quindi la comunione tra chiese
di denominazioni diverse. Stessa analisi può compiersi per la parola «diversità». In ambito cattolico la diversità è
provvisoria, non definitiva. Va quindi
superata in una sintesi superiore. In
ambito protestante la diversità non è
motivo di scandalo se vissuta come dono dello Spirito e quindi non va superata, ma garantita. È pertanto ovvio
che l’uso acritico di questo slogan in
ambiente ecumenico ha spesso mascherato una reale incompatibilità di
significati. Un protestante sostiene che
l’unità è possibile soltanto grazie alla
diversità, un cattolico crede che l’unità
sia da ricercare nonostante la diversità.
Come si esce da questa impasse? Recuperando un dono ecumenico andato
perduto negli ultimi tempi: parlar
chiaro e senza sottintesi.
T TNITI nella diversità. Oltre al grande tema del linguaggio, c’è un altro aspetto che va tenuto in considerazione. In Italia il dialogo ecumenico è
tra l’elefante cattolico e la formica protestante: un elefante dai movimenti
impacciati, generoso, a volte simpatico,
ma non rassicurante; e una formica vanitosa, sempre sospettosa e a volte saggiamente preoccupata. In un contesto
simile il dialogo ecumenico può progredire se si realizzano alcuni presupposti.
Innanzitutto deve essere chiara l’alternativa tra due modi diversi di vivere la
fede; non può essere snobbata la differenza tra Telefante e la formica, se si
vuole salvaguardare la sopravvivenza
di quest’ultima. Inoltre il protestantesimo deve ricominciare a crescere, soprattutto quantitativamente; deve diventare più forte. Infine il cattolicesimo
deve essere disposto a un disarmo unilaterale, a compiere gesti simbolici di
rinuncia degli innumerevoli privilegi
che ha e farsi, quindi, più debole.
Raffaele Volpe
Dalla Russia al Sud-Est asiatico all'America Latina, le crisi colpiscono periodicamente
Crisi finanziarie^ è il turno del Brasile
Il Fondo monetario o «il mercato» non possono regolare da soli il sistema finanziario mondiale
Servono politiche di controllo dei flussi speculativi e dell'insostenibile debito del Terzo Mondo
GIORGIO GUELMANI
DOPO l’entusiasmo del debutto
dell’euro, ecco che tornano a
farsi sentire venti di crisi finanziaria. Questa volta vengono dal Brasile, il gigante economico dell’America Latina, ottava potenza economica del mondo e il più indebitato di tutti (oltre 170 miliardi di
dollari). Il paese delle favelas, dei
meninos da ma, dei sem terra è nel
contempo uno dei «mercati emergenti» più ambiti: ad esempio, si
calcola che il potenziale di vendita
di automobili sia di 24 milioni di
vetture (pari a solo il 15% della popolazione, ma da capogiro se si
pensa che in tutta Europa nel ’98
se ne sono vendute 15 milioni).
Il pretesto che ha scatenato la
crisi è apparentemente banale: l’il
gennaio il governatore del grande
stato di Minas Gerais, Itamar Franco (ex presidente federale) ha annunciato che il suo stato avrebbe
chiesto una moratoria nel pagamento del suo debito verso le casse
federali (infatti, per un accordo firmato in novembre col Fondo monetario internazionale, ampie quote dell’immenso debito estero devono essere pagate dagli stati).
Questo annuncio (a cui non erano
certo estranei motivi di ripicca personale tra Franco e il suo successore Fernando Henrique Cardoso, ex
economista marxista passato a capeggiare una composita coalizione
di «destra-centro-sinistra»), ha provocato in rapida successione fughe
di capitali per miliardi, le dimissioni del presidente della Banca centrale brasiliana, la svalutazione del
reai dell’8,9% rispetto al dollaro e
rovinosi crolli della Borsa di San
Paolo, che si sono trasmessi con la
consueta velocità a tutte le Borse
del mondo. Di colpo, venerdì 15
gennaio, il nuovo presidente della
Banca centrale (considerato un socialdemocratico, a differenza del
suo predecessore) ha annunciato la
libera fluttuazione della valuta brasiliana, con ciò ribaltando la linea
adottata negli ultimi quattro anni.
In poche ore il reai si è svalutato
Contrattazioni aila Borsa brasiliana
del 20% rispetto al dollaro, la Borsa
di San Paolo ha registrato un rialzo
del 24%, e anche sulle altre piazze
finanziarie l’euforia ha preso il posto del panico.
In realtà la crisi già covava ed era
stata frettolosamente congelata in
autunno da un intervento degli Usa
e del Fondo monetario internazionale (Fmi), soprattutto per consentire una tranquilla rielezione di
Cardoso, alle presidenziali di ottobre, opposto per le seconda volta
consecutiva a Lula, l’eterno candidato della sinistra. Ancora una volta le turbolenze finanziarie hanno
fatto emergere la faccia oscura delle politiche di «aggiustamento» e
«risanamento» imposte dal Fmi: il
successo pieno ottenuto nel debellare l’inflazione (in quattro anni dal
50% mensile a quasi zero), ottenuto con una politica degli altissimi
tassi d’interesse (il tasso base della
Banca centrale brasiliana è il 36%,
il più alto del mondo) e col mantenimento artificiale di un cambio
fisso col dollaro, è stato pagato a
caro prezzo (recessione, disoccupazione, crollo della spesa sociale,
aumento dell’indebitamento estero, deficit pubblico giunto all’8%
del prodotto interno lordo), e come
sempre dai più poveri (il Brasile
continua ad avere una delle distribuzioni del reddito più ingiuste e
sperequate del mondo).
È molto probabile che Usa e Fmi
riusciranno a rattoppare la situazione concedendo al Brasile nuovi
crediti e dilazioni di pagamento (in
cambio di un maggior controllo
sulla politica economica e nuove
misure di austerità): troppo grande,
infatti, è il rischio che il contagio si
trasmetta al resto dell’America Latina (mercato di sbocco del 30% delle esportazioni Usa) e che ne risen
L'esegeta francese del Nuovo Testamento è morto il 16 gennaio
Oscar Cullmann^ teologo protestante del Novecento
PAOLO RICCA
IL 16 gennaio, a Chamonix, si è spento serenamente Oscar Cullmann,
uno dei maggiori teologi
protestanti del secolo.
Con lui scompare un’epoca. Nato il Alsazia nel
1902, ha percorso quasi
per intero il nostro secolo,
lasciando un segno che rimarrà sia nel campo degli
studi di Nuovo Testamento e della chiesa antica sia
in quello dei rapporti ecumenici. Ha insegnato per
diversi decenni Nuovo
Testamento all’Università
di Basilea, negli anni d’
oro in cui vi insegnavano,
tra gli altri, Karl Barth e
Karl Jaspers. A partire dagli inizi degli Anni 60 è
stato un protagonista del
movimento ecumenico.
Amico fedele e partecipe
della Chiesa valdese, lo è
stato in particolare della
Facoltà di teologia di cui è
diventato professore onorario. Altri scriveranno su
questo giornale per documentare con la dovuta
ampiezza la sua opera e
illustrarne il suo valore.
Qui vorremmo solo accomiatarci da lui con gratitudine accennando a tre
aspetti della cospicua eredità che egli lascia alla
teologia e alla chiesa.
Il primo: Cullmann, come studioso di Nuovo Testamento è stato un esempio di lealtà senza riserve nei confronti del testo biblico. Il testo parla:
non è un insieme di segni
muti che noi dovremmo
far parlare. «Quello che
dice il testo»: ecco l’unica
cosa che conta e che Cullmann cercava con la passione del filologo e l’attenzione del credente.
«Quello che il testo dice»:
non quello che noi diciamo del testo o che gli facciamo dire o che gli impediamo di dire. Cullmann
si è sforzato di non imporre al Nuovo Testamento
una «griglia di lettura»
che gli fosse estranea. Ha
voluto servire il testo, non
servirsene. Ha voluto ascoltare, non parlare.
Secondo aspetto: nei
rapporti con le altre chiese (Cullmann era luterano) e in particolare con il
cattolicesimo, egli è stato
allo stesso tempo molto
ecumenico e molto prote
stante. Di solito, chi è
molto protestante è poco
ecumenico, e viceversa.
Cullmann è riuscito a essere entrambi, con uguale
integrità e intensità. Un
esempio raro.
Terzo aspetto: Cullmann (come l’altro grande esegeta Rudolf Bultmann) è stato un teologo
laico, non pastore. Un
bell’esempio da imitare. È
stato però a lungo anziano di chiesa e non ha mai
separato la ricerca teologica dalla vita della chiesa. Non è un caso che il
suo ultimo libro abbia come tema la preghiera. Come se, prima di lasciarci,
avesse voluto consegnarci
questo messaggio: il senso della teologia è di tradursi in preghiera.
tano i bilanci delle banche Usa
(molto più esposte con l’America
Latina che con la Russia o il SudEst asiatico). Minore dovrebbe essere, invece, l’impatto sull’area
dell’euro (escluse Spagna e Portogallo, che hanno maggiori legami
commerciali col Sud America). Non
c’è da attendersi nessuna soluzione
duratura a questa crisi e alle prossime che esploderanno: negli ultimi
quindici anni, obbedendo ai dogmi
neoliberisti, gli stati hanno fatto a
gara nel ridurre il numero di strumenti a propria disposizione, preferendo affidarsi alle forze di mercato o al Fmi. Ma neanche il Fmi ha
risorse sufficienti per intervenire
dovunque, e sa rispondere al fallimento delle proprie medicine (che
in tutti i continenti hanno risanato
gli indicatori finanziari a prezzo del
degrado delle condizioni di vita di
centinaia di milioni di donne e uomini) solo aumentandone la dose.
Infatti, alle crisi d’insolvenza si risponde solo imponendo ai paesi
coinvolti di stringere la cinghia e
accendendo nuovi debiti per pagare i precedenti: questo non solo ne
fa pagare i prezzi, come sempre, ai
più poveri, ma aggrava ulteriormente l’attuale recessione internazionale e prepara nuove crisi debitorie per il futuro.
Il sistema finanziario mondiale,
dove ogni giorno si muovono freneticamente, alla ricerca del massimo rendimento, migliaia di miliardi di dollari, è come una grande
bolla, un pallone gonfiato che deve
avere sempre una valvola di sfogo:
è illusorio pensare che nelle Borse,
come nella moltiplicazione dei pani e dei pesci, arricchiscano tutti
senza che nessuno ci perda. Solo la
remissione delTormai insostenibile
debito del Terzo Mondo, e l’abbozzo di serie politiche di controllo e
tassazione dei flussi speculativi sarebbero segnali di cambiamento
all’altezza della gravità della situazione. L’Europa a guida socialdemocratica farà qualche passo in
questa direzione? O rimarremo a
guardare chiedendoci a chi toccherà la prossima volta?
. . SCUOLA!
È in gioco la libertà
INTERVISTA A PIERO TROTTA
APA
ECUMENE
UAssemblea del Cec
INSERTO SPECIALE
EDITORIALE»
Istituzioni e «sexgate»
di PIERA EQIDI
COMMENTO
Educare alla cittadinanza
diJEANBAUBÉROT
^^MCHIESE.^^^»
Il giubileo dei bambini
proposta di animazione del Sie
2
PAG. 2 RIFORMA
All’Ascolto Della Parola
VENERDÌ 22 GENNAIO 19Q< VgjS
«Al tempo dei giudici ci fu
nel paese una carestia, e un
uomo di Betlemme di Giuda
andò a stare nelle campagne
di Moab con la moglie e i suoi
due figlL Quest’uomo si chiamava Elimelec, sua moglie,
Naomi, e i suoi due figli, Malon e Chilion; erano Efratei,
di Betlemme di Giuda. Giunsero nelle campagne di Moab
e si stabilirono là.
Elimelec, marito di Naomi,
morì, e lei rimase con i suoi
due figli. Questi sposarono
delle moabite, delle quali
una si chiamava Orpa, e l’altra, Rut; e abitarono là per
circa dieci anni. Poi Malon e
Chilion morirono anch’essi, e
la donna restò priva dei suoi
due figli e del marito.
Allora si alzò con le sue
nuore per tornarsene dalle
campagne di Moab, perché
nelle campagne di Moab aveva sentito dire che il Signore
aveva visitato il suo popolo,
dandogli del pane. Partì
dunque con le sue due nuore
dal luogo dov’era stata, e si
mise in cammino per tornare
nel paese di Giuda.
E Naomi disse alle sue due
nuore: “Andate, tornate ciascuna a casa di sua madre; il
Signore sia buono con voi,
come voi siete state con quelli
che sono morti, e con me! Il
Signore dia a ciascuna di voi
di trovare riposo in casa di
un marito!’’. Le baciò; e quelle si misero a piangere ad alta voce, e le dissero: “No, torneremo con te al tuo popolo’’.
. E Naomi rispose: “Tornate indietro, figlie mie! Perché verreste con me? Ho forse ancora
dei figli nel mio grembo che
possano diventare vostri mariti? Ritorrmte, figlie mie, andate! Io sono troppo vecchia
per risposarmi’’»
(Rut 1, 1-12)
Gli agricoltori rioscivano
a stento a ricavare dal loro lavoro i necessari mezzi di
sostentamento nelle terre intorno alla città di Betlemme.
E Betlehem vuol dire «casa
del pane». La coltura del grano è l’occupazione prevalente. Ma il clima, la siccità, gli
insetti, i roditori, gli uccelli, i
ladri: tutto questo rendeva
molto precaria la vita di quegli agricoltori che vedevano
spesso compromessa la mietitura. Le loro mani indurite e
callose, le schiene piegate
dalla rimozione delle pietre
dalla terra, dal tracciare i solchi e dalla trebbiatura. Il tutto fatto con strumenti rudimentali e primitivi.
Ricordo i contadini di Villa
San Sebastiano degli Anni 50,
costretti a trarre il loro sostentamento da un terreno pietroso e con mezzi rudimentali.
Fu poi la nostra cooperativa a
contribuire a una specie di rivoluzione tecnologica e culturale mettendo a disposizione
trattori moderni acquistati
con contributi del Consiglio
ecumenico delle chiese.
Torniamo all’ambiente del
libro di Rut. Le donne preparavano il cibo. E dovevano
macinare l’orzo, racimolare
la legna, alimentare il fuoco
in un forno di fango da condividere con diverse famiglie.
Ed il semplice atto del potersi
sedere a tavola, dello spezzare il pane con la famiglia era
una specie di conquista, non
scontata, ed era accompagnato da un profondo senso
di gratitudine al Signore. Nella tradizione ebraica il libro
di Rut viene letto nel primo
giorno della festa della Sabuot, che si celebrava alla fine della mietitura, occasione
in cui ci si concedeva pane e
vino a volontà. Un po’ come
succede in certe feste paesane. Il loro «giorno del ringraziamento».
Lì, a Betlemme, c’era una
coppia con due figli: il marito
si chiamava Elimelec, la moglie Naomi o Noemi, e i figli
Malon e Chilion. Una terribile siccità causa una dolorosa
carestia. Le preghiere della
famiglia nulla possono per
rendere fertile un terreno arido. E così tutta la famiglia
PARLARE DI SPERANZA
Come possiamo vivere oggi in maniera che quando la gente ci vede
e ci sente possa concludere, come Rut, «Il tuo Dio sarà il mio Dio»?
VALDO BENECCHI
decide di emigrare a Moab,
nell’est del paese. Avevano
avuto notizia che in quella
zona le piogge erano più generose. E così vi si stabiliscono anche se non posseggono
una terra loro.
L'esperienza
della mobilità
Questo non è uno scenario inconsueto anche nel
nostro tempo. La mobilità è
un fenomeno sempre più diffuso. L’economia di un paese
barcolla, la disoccupazione di
un altro paese cresce e diventa tragedia, in un altro la povertà q la fame uccidono migliaia di bambini, in altri paesi l’instabilità politica, la
guerra, conflitti tribali provocano veri e propri genocidi. E
allora si fugge dalla povertà,
dalla violenza, dal genocidio
verso paesi dove terreni umani, sociali, politici, economici
sono più fertili e dove almeno
la sopravvivenza può essere
garantita. Per questa gente la
mobilità è una scelta obbligata. C’è una mobilità per necessità di lavoro in altra sede
lontano dal luogo di residenza che definiamo «pendolarismo». Per altri la mobilità è la
scelta di ricercare campi più
erbosi, più verdi, con la possibilità di maggiore guadagno
e, quindi, un più alto livello
di benessere. C’è oggi anche
un tipo di mobilità che potremmo definire culturale,
religiosa. Gente che, per usare l’efficace linguaggio di
Paolo, si fa sballottare e portare qui e là da ogni vento di
dottrina, sedotta dall’astuzia,
dalle arti seduttive di personaggi senza scrupoli, religiosi
o politici che siano.
La mobilità dei singoli o
delle masse sta caratterizzando sempre più la nostra società moderna, e non è solo
un fenomeno di passaggio.
Ma ci stiamo altresì accorgendo che questa mobilità si
sta rivelando, come dire, una
specie di gioiello falso nel
senso che ci sono prezzi alti
che stiamo pagando. E non
solo di tipo economico.
Alcuni sociologi ci insegnano che oggi abbiamo sempre
di più una visione «turistica
del mondo», come se fossimo «sempre in transito» e
questo ci rende incapaci di
stringere là dove ci troviamo
delle relazioni significative e
durature. L’appartenenza, la
memoria, le radici sono valori che si vanno perdendo.
Talvolta abbiamo anche della chiesa una visione solo
«turistica»: visite saltuarie,
disimpegnate, senza radici.
Se gettiamo uno sguardo sulla massa di persone che ci
circondano ogni giorno, sulla
metropolitana, per strada,
nei negozi, nello stadio. Solo
volti anonimi, sconosciuti,
persone con cui non abbiamo una storia, non rappresentano di certo un punto di
riferimento per costruire il
nostro futuro. Spesso da
queste persone ci difendiamo, nella folla ci aggiriamo
sospettosi, al massimo con
alcuni riusciamo a fare quattro inutili chiacchiere. Viviamo come se fossimo sempre
in cammino da qualche parte, in viaggio verso qualche
altra parte. Ma poi quando vi
giungiamo molto spesso T
Eden che avevamo immaginato si trasforma in delusione, i sogni sono infranti.
La vita a Moab
La famiglia di Elimelec e
Naomi giungono a Moab,
che considerano un po’ la loro terra promessa. Ma ecco
che i loro figli, secondo la loro
tradizione religiosa, si legano
a delle ragazze sbagliate, perché straniere, pagane, povere.
Poi c’è la malattia che colpisce la famiglia, e poi la morte
che colpisce il padre e i figli.
L’incidenza delle malattie fra
i migranti, i clandestini, gli
sradicati è piuttosto elevato,
forse a causa dello stress, del
forte disagio psicologico, della scarsa nutrizione, della
precaria difesa dal punto di
vista igienico e sanitario o per
altri motivi. E talvolta ciò può
provocare la morte.
A Naomi muoiono i figli e il
marito e poi con le nuore deve affrontare il problema della fame. Naomi deve aver
pensato che Dio aveva qualche vendetta privata contro
di lei. Il racconto di Rut 1 ci
ricorda una delle domande
più inquietanti su Dio: se c’è
un Dio d’amore, perché tutte
queste cose accadono? Spesso noi predicatori, ma anche
noi credenti in genere glissiamo su questa domanda o
diamo una risposta semplicistica, forse anche un po’ sadica: «È la volontà di Dio».
Oppure: «Dio ha bisogno di
lui o di lei nel cielo». Oppure:
«Ora si trova in un posto migliore». Ci sono alcuni che
sostengono la visione di un
Dio severo che distribuisce
giudizi e punizioni.
Ma Rut evita questo genere
di risposte. In questo libro le
sofferenze succedono, ma
non sono indicate particolari
ragioni. Le morti sono riportate, ma non sono spiegate.
In qualche modo Naomi se le
aspettava. I nomi dei suoi figli dicono che essi non erano
proprio dei campioni di salute. Mahlon significa «debole,
malato», e Chilion «finito,
spento»: essi semplicemente
muoiono, come noi moriamo; ma sebbene in alcune
circostanze dia l’impressione
di lamentarsi, e ne avrebbe
motivo, Naomi è in questa
storia davvero un modello di
fede. Con ironia ad un certo
momento suggerisce che il
suo nome non le si addice (v.
20). Possiamo immaginare
che alla sua nascita i suoi felici genitori abbiano esclamato: «Naomi» che significa «o
mia dolcezza». Ed ora lei insiste nell’essere chiamata «Mara», «Triste, amara». Naomi
non si sta né lamentando né
sta brontolando, ma con acutezza sta articolando la sua
rabbia, che non è né muta,
né stoica, davanti al suo Dio.
Nel classico stile biblico, dà
voce alla sua rabbia. Ricordiamo Giobbe o i perché di
molti salmi.
Il ritorno a Betlemme
Naomi ha due nuore. Orpa che si comporta, come dire, normalmente dopo
la morte di suo marito. Resta
a vivere a Moab, che è l’unico
suo punto fermo. Ma Rut coglie di sorpresa Naomi, e probabilmente anche noi, perché resta attaccata a sua suocera. E lo dichiara con sorprendente eloquenza (v. 16).
Rut giunge alla fede in Dio attraverso Naomi. Indubbiamente avrà partecipato ai
culti degli dei moabiti (Chemos e altre divinità), ma ora
professa la sua fede non in
Naomi, ma nel Dio di Naomi.
Tutti noi, in un modo o nell’altro, giungiamo a conoscere e ad amare Dio grazie a
qualcuno. Ma che cosa motiva Rut a far proprio il Dio di
Naomi ?
La conversione nel mondo
antico non era solo basata su
un’esperienza religiosa personale, su un sussulto emotivo o su un convincimento
teologico. In un mondo così
pieno di dei tale decisione
scaturiva da motivazioni pratiche: c’è un altro dio che io
possa invocare per ottenere
la pioggia o la fertilità? C’è un
dio che mi dia il mio pane
quotidiano? Per quanto Rut
abbia potuto capire e vedere,
il Dio di Naomi non si presenta con delle credenziali
imponenti che suscitano impressione in chi ne sente parlare. Ciò che deve aver colpito Rut è che ha sentito dire
che Dio è il campione, il difensore degli oppressi, degli
sradicati. E tutto ciò lo ha ricevuto da Naomi, dal suo
comportamento, dalle sue
scelte, dal modo in cui essa
ha affrontato le vicende della
vita di cui abbiamo parlato.
In Naomi non troviamo
quel genere di colta, articolata, enfatica, e forse apologetica testimonianza che talvolta
le nostre chiese mettono in
mostra nelle loro predicazioni, nei loro documenti. Naomi
non fa neppure una dettagliata narrazione di come Dio
l’abbia benedetta in molteplici modi, di quanti problemi le
abbia risolto, di quanti miracoli abbia compiuto in suo favore. Naomi è «triste, amara»
come lei stessa si definisce.
Ma Naomi con tutte le sue
sventure, con tutta la sua rabbia è una persona piena di
speranza e di fiducia. Forse
non dichiarata, ma vissuta, ricevuta da chi le vive accanto.
Certo la speranza dipende
da Dio e non solo da noi. Ma
Naomi è lungi dall’essere
passiva. Per quanto possa essere severo il suo dolore, non
«“Anche se dicessi: ‘Ale/i,
speranza’, e anche se aves^
stanotte un manto, e partorì,
si dei figli, aspettereste voifl^i,
ché fossero grandi? Rinunci,
reste a sposarvi? No, figi^
mie! Io ho tristezza molto pjj
di voi, perché la mano del
gnore si è stesa contro di mi
Allora esse piansero ad alti
voce di nuovo; e Orpa baciò h
suocera, ma Rut non si stacci
da lei. Naomi disse a Rut: %
co, tua cognata se n’è tornate
al suo popolo e ai suoi dèi;
torna indietro anche tu, corìh
tua cognata!’’. Ma Rut risposa
“Non pregarmi di lasciarti,
per andarmene via da te; pei.
ché dove andrai tu, andrò anch'io; e dove starai tu, io pun
starò; il tuo popolo sarà il miif
popolo, e il tuo Dio sarà il mie
Dio; dove morirai tu, morir!
anch’io, e là sarò sepolta. lisignore mi tratti con il massimi
rigore, se altra cosa che l(|
morte mi separerà da teli
Quando Naomi la vide fermai
mente decisa ad andar con lei,
non gliene parlò più.
Così fecero il viaggio assieme fino al loro arrivo a Betlemme. E quando giunsero t
Betlemme, tutta la città fi
commossa per loro. Le domi
dicevano; “P nrrmrin AInnmir'
“E proprio Naomi?}
E lei rispondeva; “Non mi
chiamate Naomi; chiamateti
Mara, poiché TOnnipotenti
m’ha riempita d’amarezza, b
partii nell’abbondanza, e il Signore mi riconduce spoglia ài
tutto. Perché chiamarmi Nwmi, quando il Signore ha testimoniato contro di me, e l’Onnipotente m’ha resa infelice?.
Così Naomi se ne tornò coi
Rut, la moabita, sua nuora,
venuta dalle campagne di
Moab. Esse giunsero a Betlemme quando si cominciavat
mietere l’orzo» i
(Rut 1,12-221
si sente paralizzata. La sua fede non consiste nel fissarei
suo sguardo verso Torizzontt
attendendo qualche interveK
to dall’alto. (Ìon audacia, con
coraggio fa dei progetti insieme a Rut affinché la sua speranza diventi realtà. Ma tutto
questo è raccontato dagli alti
capitoli. Mi limito al cap. 1 "
un capitolo che ci insegni
molto, che ci offre degli importanti spunti di riflessione.
Offrire speranza
INTANTO Naomi è uni
donna capace di consigliare e di difendere una giovane
donna come Rut. E sappia
mo come oggi sia urgente
imparare a consigliare e a di-,
fendere i giovani in difficolti
Ma forse la domanda centrale che ci giunge dal racconto
di Naomi e della sua famiglia
è questa: come possiamo vivere in maniera che quando
la gente ci vede, ci sente, possa concludere: «Il tuo Dio
sarà il mio Dio»?
Il testo ci rende ancora attenti al fatto che oggi il mondo è pieno di rifugiati, di
gente in fuga e che sfida i pericoli del mare con piccoli a
sgangherate imbarcazioni
che rischiano malattie, epidemie nei campi, in luoghi
malsani mentre i politici con
mille schermaglie decidono
il loro destino. Il racconto ci
insegna che non possiamo
solo rivendicare delle buone
leggi ma che, come testimoni del Dio di Naomi, del po
polo di Israele, di Gesù Cristo
dobbiamo essere pronti, cO;
me sarà Boaz nei confronti
Naomi e delle nuore, ad offrire accoglienza, ma soprattutto speranza.
Una predicazione su Rut ì
dovrebbe secondo me, offrit*j
questi spunti di riflessione
sull’attualità. Ma mi accorgo]
che, scorrendo il testo, quest
spunti mi sono stati suggerii
senza forzature, l’attualità
sgorgata spontanea. Ed allori
non mi resta che dire: hraifi
Sì, Signore fa’ che non ifi
sottragga alla vocazione cW:
oggi tu mi rivolgi in questOi
mondo che ogni giorno m
bisogno di te per dar voce alla propria rabbia e tornare i
parlare di speranza.
La ¡
P
Rie
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pubbli
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PAG. 3 RIFORMA
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Intervista a Piero Trotta, avvocato e membro del Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
Che cosa è veramente ¡n gioco nella riforma della scuola
la forte opposizione delle chiese evangeliche italiane alle proposte del governo sulla parità scolastica e il finanziamento
pubblico della scuola privata si basa soprattutto sulla necessità di tutelare la libertà e il pluralismo dell'insegnamento
EUGENIO BERNARDINI
Riforma delia scuoia, parità
scolastica e il finanziamento
pubblico alla scuola privata figurano fra i temi che dominano da qualche tempo l’agenda politica italiana
e che hanno costituito parte rilevante dei colloqui avuti dal presidente del Consiglio dei ministri,
Massimo D’Alema, nella recente visita in Vaticano. Su questi argomenti abbiamo intervistato Piero Trotta,
avvocato e membro del Consiglio
della Federazione delle chiese evangeliche in Italia.
- Ormai da tempo le chiese evangeliche italiane manifestano pubblicamente una forte opposizione
alle proposte formulate dal governo
sulla, parità scolastica e il finanziamento pubblico delle scuole private
che chiedono la parità. Su quali basi si fonda questa opposizione?
«Credo che la nostra particolare
sensibilità, costruita attraverso le
battaglie che gli evangelici italiani
hanno dovuto combattere nel tempo per conquistare il diritto a vivere
e testimoniare in un contesto libero
e democratico, ci abbia consentito
di comprendere per primi che era
partita una macroscopica operazione clientelare che coinvolgeva alcuni fondamentali principi. In sostanza la gerarchia cattolica, prevalentemente ostile alle forze politiche che
si richiamano alle dottrine socialiste, intendeva approfittare della
conquista della maggioranza parlamentare da parte di una coalizione
nella quale tali forze, alleate ai cattoMdemocratici, avevano un posto
deteiminante, per scambiare un’attenuazione della propria opposizione con il conseguimento di un
obiettivo che avevano lungamente
|érseguito: il pieno finanziamento
pubblico delle scuole private gestite
dalle organizzazioni cattoliche. In
tale quadro già con il governo Prodi
venne elaborato il progetto di legge
che rispondeva pienamente alle
aspettative del mondo cattolico. A
fronte della supina accettazione dello scambio da parte della maggiore
forza politica nata dalla trasformazione del Partito comunista itaiiano,
del sostanziale silenzio dei cosiddetti laici e della deliberata disattenzione (quando non del sostegno) della
stampa sedicente indipendente, la
Federazione delle chiese evangeliche in Italia, il Sinodo delle chiese
valdesi e metodiste e un po’ tutto
l’evangelismo italiano hanno assunto una forte iniziativa. Con numerosi documenti inviati al ministero
della Pubblica istruzione e con l’attiva partecipazione a dibattiti, convegni e manifestazioni abbiamo
contribuito a rendere evidente la
pericolosità e la sostanziale illegittitoità della proposta governativa. Cotoe spesso avviene, la maggior parte
dei mass media ci ha oscurati, ma le
nostre posizioni pervicacemente rioadite e riprese dalla stampa di opposizione hanno finito per essere
dote e hanno contribuito a costruire
tot a^uerrito, anche se minoritario,
movimento di resistenza».
- Ci è chiaro che, dal suo punto di
^^ta, si tratta di un’operazione ille&ttima e clientelare. Ci vuole spieSnre, però, quali sono le ragioni di
^rito della protesta?
«Il fatto che vengono calpestati
alcuni principi costituzionali e alcuni valori fondamentali. L’argomento più noto è che il finanziamento
pubblico violerebbe il principio
contenuto nell’art. 33 della Costituzione, che prevede il diritto dei privati di istituire scuole, ma senza
oneri per lo stato. E si tratta, indubbiamente, di una obiezione fortemente fondata. Ma il fatto più grave
è che fra le condizioni per ottenere
la parità non è prevista la libertà di
insegnamento. Avremmo quindi un
sistema pubblico del quale entrerebbero a far parte scuole 1 cui insegnanti, scelti esclusivamente in funzione della loro adesione ai valori
del cattolicesimo, definiti dalla gerarchia cattolica, e non in relazione
alla loro professionalità, dovranno
improntare a tali valori il loro insegnamento, pena la defenestrazione.
Per fare il primo esempio, correrebbe seri rischi quell’insegnante di
scienze che dimostrasse la propria
adesione alle teorie evoluzionistiche. Così come rischierebbe di perdere il posto l’insegnante di filosofia
che dimenticasse di tenere presente
il rapporto, fissato dal pontefice
nella sua ultima enciclica, tra ricerca filosofica e verità sancita dalla
gerarchia. Ebbene, tali principi sono esattamente opposti a quelli che
caratterizzano l’insegnamento pubblico e che sono sanciti da norme
costituzionali. Inoltre essi limitano
fortemente la libertà dei giovani che
frequentano tali scuole».
- In che senso verrebbe limitata la
libertà degli studenti, se la scelta di
iscriversi a scuole di tale ispirazione
non è certamente imposta?
«A parte la considerazione che a
scegliere sarebbero i genitori e non
gli studenti, va chiarito lo stesso
concetto di libertà. Tra i filosofi e in
particolare tra i filosofi del diritto si
distingue la libertà politica da quella interiore. La prima, che viene definita come “libertà negativa” o “libertà di fare”, si sostanzia nell’assenza di limiti o vincoli che non derivino dalla eguale libertà di tutti. La
seconda, altrimenti detta “autonomia” o “libertà di volere”, non meno rilevante, è quella dei soggetti di
sviluppare il senso critico e di compiere responsabilmente, alla luce di
questo e di una visione completa
della realtà, le scelte fondamentali,
fra le quali spiccano quelle etiche,
politiche, religiose, professionali,
ecc. Tale capacità non è innata, ma
deriva da una serie di elementi, fra i
quali appaiono più rilevanti la formazione scolastica e l’ambiente familiare. In mancanza di questi, si è
in presenza di forme di indottrinamento tese a imporre autoritariamente l’adesione a principi prefissati. Che sia così è dimostrato dalla
storia. I regimi autoritari e ideologicamente condizionati, come quelli
imperanti nell’Urss, nella Germania
nazista e nell’Italia fascista, hanno
sempre avuto grande attenzione alla scuola, che hanno pesantemente
usato come strumento di consenso
sociale, proprio attraverso il controllo sulla classe docente e sui contenuti dell’insegnamento. Abbiamo
visto con quali risultati. La scuola
pubblica italiana è incompatibile
con questa impostazione».
- Tuttavia, viene fortemente o
riunione dei Comitato generate deiia Federazione deiie chiese evangeiiche
Menato che la libertà di scelta si
fonda sul diritto dei genitori di educare ifigli...
«Questo è uno degli argomenti
mistificatori sui quali si è fondata la
propaganda cattolica. L’art. 30 della
Costituzione usa l’espressione “dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare”. Si tratta
di un’espressione tipica del linguaggio giuridico, altrimenti definita come “potestà”, nella quale il
conferimento di un potere è in funzione delTadempimento di un dovere. In termini poveri, è come se il
legislatore avesse affermato: “attribuiamo ai genitori il potere perché
questi possano meglio adempiere il
loro dovere”. Ovviamente tale potere non è assoluto e indiscriminato.
Ciò non significa che lo stato possa
autoritativamente sostituirsi ai genitori, ma non significa nemmeno
che questi possono vantare il diritto di ottenere il pubblico finanziamento per dare corso all’istruzione
e all’educazione dei figli in un contesto in cui siano violate regole fondamentali poste a presidio della libertà dei docenti e dalla stessa corretta pedagogia. Colgo peraltro
nell’atteggiamento del mondo cattolico una pesante contraddizione.
Da una parte infatti la Chiesa cattolica insiste fortemente sull’autonomo diritto della “persona” e chiede
che tale qualità venga attribuita sin
dal concepimento, affinché l’ordinamento appronti ogni necessaria
difesa, anche in contrasto con il diritto della donna sul proprio corpo.
Dall’altro, per perseguire i suoi disegni e interessi, accentua l’indiscriminato potere dei genitori sui
minori fino a affermare che lo stato
deve finanziare ogni loro scelta
educativa. Io credo che lo stato,
adempiuto il dovere, costituzionalmente sancito, di istituire scuole
statali per tutti gli ordini e gradi e
improntato l’insegnamento impartito in tali scuole alla più ampia libertà e al pieno pluralismo, abbia
esaurito il proprio compito. Chi fa
scelte diverse se le paghi».
- Le ragioni da lei esposte sono
chiare. Ma viene obiettato che l’art.
33 della Costituzione si presta a una
diversa lettura...
«Qui siamo al cospetto di un’altra
mistificazione. Il contenuto dell’art.
33 è assolutamente chiaro. Lo stato
ha il dovere di istituire le scuole
pubbliche per tutti i cittadini garantendo, in forza dell’art. 34, la gratuità dell’istruzione inferiore impartita per almeno otto anni. Lo stato
ha inoltre il dovere di dettare le norme generali sull’istruzione. I privati
hanno diritto di istituire scuole senza il correlativo diritto di ottenere il
finanziamento pubblico. Orbene, la
gerarchia cattolica pretende che a
tali principi venga data un’applicazione del tutto anomala. In particolare, si vorrebbe che, nel fissare le
regole generali dell’istruzione, venisse esclusa la libertà di insegnamento dei docenti, lasciando così ai
gestori delle scuole piena facoltà di
scegliere insegnanti del tutto coerenti con la loro scelta ideologica, o
comunque disponibili a subirla, per
guadagnarsi il pane e non perdere il
posto di lavoro. Proprio a tali scuole
lo stato dovrebbe garantire il finanziamento. A giustificazione di tale
posizione si sono recentemente
udite affermazioni che, se non fossero tragiche, sarebbero ridicole. Ad
esempio, in occasione della visita
del presidente del Consiglio in Vaticano, il cardinale Sodano ha sostanzialmente affermato che per “libertà di insegnamento” deve intendersi la libertà dei gestori di istituire
scuole nelle quali insegnino docenti
privi di libertà. E il cardinale Biffi, in
occasione della grandissima manifestazione degli studenti a Roma, ha
pubblicamente sostenuto che la libertà di insegnamento è all’origine
dell’ignoranza e del traviamento dei
giovani a opera di cattivi maestri».
- Alla luce di tali contrasti, variamente sostenuti, e delle stesse posizioni espresse dal ministro della
Pubblica istruzione, l’istruzione
Un momento del Sinodo Ì998
pubblica sembra diventata una sorta
di oggetto misterioso. È possibile
darne una definizione chiara?
«DaÌl’insieme dell’ordinamento
emerge, a mio avviso, con tutta evidenza, che in Italia l’organizzazione
dell’istruzione non è un semplice
servizio pubblico ma una vera e
propria istituzione al pari della difesa e della giustizia. Militano in favore di tale opinione: l’obbligatorietà
della sua organizzazione e della relativa frequenza (con sanzioni a carico dei genitori che si sottraggono
al dovere di garantirla) e la sua finalizzazione a strumento essenziale di
crescita della collettività nazionale e
di sostanziale eguaglianza dei cittadini, in un quadro di attuazione degli obblighi sanciti dal 2° comma
dell’art. 3 della Costituzione. In un
contesto di libertà e democrazia lo
stato non si attribuisce il monopolio dell’educazione, ma lascia spazio ai privati che, tuttavia, non potranno vantare il diritto al finanziamento a carico della collettività.
Fatti analoghi avvengono nell’ambito della giustizia. Lo stato adémpie alla relativa funzione, ma lascia
liberi i privati di ricorrere, nel campo dei diritti disponibili, all’arbitrato. Se tuttavia i cittadini fanno questa scelta provvedono di tasca propria a pagare gli arbitri».
- Può fare una previsione? Secondo lei come andrà a finire?
«Sono sostanzialmente pessimista. La Chiesa cattolica è oggi il più
forte dei poteri forti che vi siano in
Italia. Molti laici sembrano sempre
meno laici e paurosi di isolarsi dal
potere. Alcuni continuano a sostenere orgogliosamente le proprie
idee, ma non sembrano in grado di
fondarvi una battaglia politica. La
stragrande maggioranza delle forze
politiche sembra inconsapevole
della gravità della prospettiva che
sta per aprirsi per l’istruzione pubblica ed è, comunque, ansiosa di
apparire disponibile a favorire in
ogni modo la Chiesa cattolica. Il
mondo della scuola è in agitazione,
ma sostanzialmente si limita a cogliere l’occasione per rivendicare
una crescita dei finanziamenti alla
scuola pubblica. In Parlamento esiste un’opposizione agguerrita (della quale fanno parte quasi tutti i deputati di estrazione evangelica).
che però non sembra in grado di
modificare sostanzialmente gli
equilibri. Credo che alla fine la legge sulla parità si farà con i contenuti richiesti dal mondo cattolico e
con alcune provvidenze di carattere
generale, rinviando alle Regioni e
agli enti locali il finanziamento vero
e proprio. Quanto sta avvenendo in
questi giorni nella Regione Emilia
Romagna, nella quale sta per essere
approvata, con qualche polemica
alTinterno della maggioranza, una
legge di integrale, anche se indiretto, finanziamento, è significativo».
- Rileviamo infine che in occasione della visita del presidente del
Consiglio D’Alema in Vaticano sono
state sollevate alcune critiche sui
suoi comportamenti Qual è stata la
sua impressione?
«Indubbiamente Fon. D’Alema è
apparso molto emozionato e forse
la scelta di portare con sé i figli, in
occasione di una visita di stato, può
apparire inappropriata. Ma si tratta
di fatti veniali e comprensibili in un
uomo che si sentiva sotto esame e
che intendeva creare le condizioni
di massima distensione. Mi hanno
invece sfavorevolmente colpito il
contenuto e il tono delle dichiarazioni. Si è avuta la sensazione che
D’Alema dicesse: “Io e il mio partito stiamo facendo tutto il possibile
per favorire le vostre aspirazioni.
Scusatemi se quel dannato art. 33
della Costituzione ci impedisce di
darvi subito tutto ciò che volete”.
Mi sarei atteso da un presidente del
Consiglio una convinta e orgogliosa
difesa dei fondamentali principi
dell’ordinamento dello stato, un
comportamento più consono all’alto ruolo che riveste. Che differenza
tra tale comportamento e quello tenuto dal presidente della Repubblica in occasione della recente visita
del Pontefice! Nell’infuriare della
polemica sugli interventi vaticani
nella politica italiana, il cattolico
Scalfaro ha pronunziato quel “libera chiesa in libero stato”, dove l’accento veniva chiaramente posto sul
“libero stato”, a significare l’illegittimità di ogni interferenza della
chiesa nella dialettica politica italiana. L’evangelismo italiano, tramite il presidente della Federazione, ha sentito il dovere di esprimergli il proprio apprezzamento».
Piero Trotta, del Consiglio della Fcei
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PAG. 4
RIFORMA
Cultura
venerdì 22 GENNAIO ^q,
In un recente libro di un giovane studioso viene raccontata una lugubre pagina di storia ancora troppo poco nota
La persecuzione nazista e fascista dei Testimoni di Geova
Tra 10.000 e 15.000 le vittime «geoviste» che erano contrassegnate con un triangolo viola. Sono stati perseguitati per il lon ''
pacifismo radicale, il loro rifiuto di prendere le armi e di collaborare in qualunque maniera, anche indiretta, alla guerra
5
PAOLO RICCA
Ct E una pagina della lugubre storia del nazismo e del fascismo ancora
troppo poco nota, forse anche perché qualche storico
l’ha più o meno consapevolmente rimossa: è la pagina
del martirio e della resistenza
dei Testimoni di Geova nella
Germania nazista. Un giovane studioso salernitano ha il
merito di aver rotto il silenzio
su questa vicenda, con un
agile ma documentatissimo
volumetto*, che volentieri
presentiamo ai lettori di Riforma, raccomandandone la
lettura. Certo, rispetto all’olocausto ebraico (circa sei
milioni di vittime), i Testimoni di Geova martiri sotto il
nazismo possono sembrare
relativamente pochi: 10.00015.000 secondo le statistiche
più recenti (p. 14), cioè la
metà circa del totale degli internati nei campi di concentramento. Ma rispetto al numero dei Testimoni di Geova
presenti in Germania e nei
paesi occupati negli anni di
nazismo, si tratta di una cifra
assai elevata. La ragione
principale dell’avversione
nazista nei confronti dei Testimoni di Geova era il loro
pacifismo radicale, il loro rifiuto di prendere le armi e di
collaborare in qualunque
maniera, anche indiretta, alla guerra. Ad esempio, nel
campo di Ravensbruck, una
quindicina di donne Testimoni di Geova (quindi munite del triangolo viola che distingueva questi prigionieri
da tutti gli altri) fùrono giustiziate per essersi rifiutate di
cucire divise militari (p. 10).
Riguardo ai Testimoni di
Geova la propaganda nazista
farneticava ravvisando in loro «emissari del bolscevismo
ebraico» (p. 24).
Fra le tante verità che questo prezioso volumetto mette
in luce, due in particolare
meritano di essere segnalate.
La prima è che i Testimoni di
Geova «furono Tunica religione perseguitata dal nazismo a motivo del proprio
credo» (p. 42). I cristiani di
tutte le confessioni dovrebbero riflettere a lungo sulle
implicazioni di questa semplice e inoppugnabile constatazione. La seconda verità
è che i Testimoni di Geova
furono tra i primi, se non i
Uno dei pannelli della mostra sulla persecuzione nazifascista subita
dai Testimoni di Geova (1998) presentato dagli autori
primi, a denunziare a chiare
lettere, in Germania e all’estero, fin dal 1933 pochi mesi
dopo la presa di potere di Hitler, la progressiva abolizione
dello Stato di diritto, i soprusi
e le violenze di un potere ormai fuori da ogni controllo
democratico, le sue atrocità
indicibili, lo sterminio dei
suoi oppositori e, poi, degli
ebrei, le camere a gas, e così
via. Un libro di denuncia fu
pubblicato da un Testimone
di Geova a Zurigo e poi a Parigi già nel 1938: leggendolo
lo stesso Thomas Mann
provò «un sentimento misto
di disprezzo e di orrore»
(p.20). Non è dunque vero
che mancasse l’informazione
sui misfatti del nazismo:
l’informazione c’era ma veniva ignorata, forse perché proveniente dai Testimoni di
Geova. I quali, comunque, si
comportarono nei confronti
del nazismo molto meglio
delle chiese cristiane, come
scrive giustamente l’autore:
«Se le chiese avessero manifestato la stessa coerenza dei
Testimoni di Geova sarebbero uscite a testa alta dalla seconda guerra mondiale e non
avrebbero dovuto a distanza
di 50 anni dalla fine del conflitto, continuare a fare dichiarazioni di “mea culpa”.
Soprattutto, avrebbero salvato la vita a migliaia, forse a
milioni, di persone» (p. 30).
Come andarono le cose in
Italia? Nel nostro paese i Testimoni, allora, erano poche
centinaia; grazie anche alla
complicità del clero cattolico
essi furono quasi mtti individuati dalla polizia fascista,
arrestati, processati e condannati al confino in sperduti paesini del Centro-Sud. Paradossalmente questa condanna salvò i Testimoni dal
peggio: le SS all’opera nel no
stro paese non fecero in te®
po a rintracciarli e deportai!
in Germania. Solo due Testi
moni italiani subirono il mai,
tirio in Germania.
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nazismo e del fascismo è og«
operante a Salerno un Cen^
di documentazione aperto j
ricercatori e a tutte le persoti
interessate (Salita San Gio
vanni 5, 84135 Salerno). Mol
te testimonianze contenutt
nel volume di Matteo Pierj
provengono da questo Cen
tro. Vi si trova anche il testi
del «Modulo di abiura» clu
veniva sottoposto ai Testinio
ni internati nei lager: quel
che lo firmavano rinnegandi
«la dottrina eretica dei Testi
moni di Geova» venivano ini
mediatamente liberati. Soli
pochi firmarono. Tutti gli aiti
preferirono l’inferno dei lago
e, in molto casi, la morte
piuttosto che abbandonare!
fede. Un esempio per tutti.
...J
La morte di Fabrizio De André
Ricordiamolo pure ma
non tagliamolo a pezzetti
ALBERTO CORSARI
Cf È una canzone di De
André nel suo album
del 1981 intitolata Se ti tagliassero a pezzetti. È quanto
sta rischiando di avvenire,
suo malgrado, proprio con il
ricordo del cantautore. Genovese di nascita, era sardo
d’adozione e residente a Milano. Ma poi, come al solito,
morto un personaggio celebre, si discetta su quanta
porzione della sua opera e
del suo essere vada ad accasarsi a destra e quanta a sinistra, quanto abbia egli frequentato la canonica e quanto abbia concesso alTanticlericalismo. Così si dice che De
André era un anarchico. Definizione giusta ma solo in
quanto abbastanza vaga e indeterminata da farvi rientrare un po’ tutto: ribellismo adolescenziale, schieramento
con gli ultimi, tendenza a
smascherare le ipocrisie della società, antimilitarismo.
Ripetiamo: giusto, ma questi
sono ormai concetti che
molti (troppi) rivendicano
per sé, complice la cosiddetta «fine delle Ideologie», che
in Italia significa soprattutto
confusione totale delle culture e dei valori.
L’anarchico è per molti
versi un militante dell’estrema sinistra; ma atteggiamenti di sovversivismo individualista allignano a destra,
anche nell’estrema. Il rifiuto
della chiesa-struttura è concetto a noi familiare, spesso
libertario, ma poi molti abbandonano la religione convenzionale per inseguire sogni di purezza tra esoterismo, New Age, religioni orientali. Questo De André
non Tha fatto, fortunatamente, ma cionondimeno è
difficile leggere i suoi testi
che parlano di Dio solo come
testi che rivendicano un rapporto più diretto, privo di
mediazioni con il trascendente. Le sue requisitorie
contro Dio sono taglienti
e senza attenuanti; Egli ha
imbrogliato il primo uomo
(«Un blasfemo», in Non al
denaro, non all’amore né al
cielo), «nel giardino incantato lo costrinse a sognare,/ a
ignorare che al mondo c’è il
bene e c’è il male»; anzi, forse non era nemmeno Dio,
«ma qualcuno che per noi
Tha inventato».
E il «Testamento di Tito»,
dalla Buona novella, irride ai
comandamenti con le parole
di un ladrone: certo, si può
sostenere che Tito smaschera in realtà la lettura ipocrita
che i benpensanti hanno fatto del Decalogo, e si può
convenire che egli non si
senta colpevole di avere rubato ai ricchi. Siamo pur
sempre all’interno di una
vulgata condivisibile, da
amabile furfante, epperò legata alle circostanze. Gli
sconfitti, gli ultimi di De André sono tali spesso per vocazione, ma basterebbe uno
scarto nella ruota della fortuna a renderli diversi: la sua è
una galleria di personaggi
pittoreschi, quasi sempre romantici e poetici, che tutti
abbiamo amato e amiamo,
non certo un martirologio.
Non un cristianesimo «alternativo», ma un sano agnosticismo che fa un riferimento
del tutto legittimo all’umanità coinvolgente di Gesù e a
quella di Maria.
Simpatiche canaglie, i cui
valori di schiettezza, generosità e disincanto affascinano il pubblico da più generazioni, compreso me che ho
una quindicina di suoi dischi. Ma senza ideologie: per
De André, che era e resta uno
chansonnier, nel solco del
grande Brassens (a sua volta
si diceva anarchico perché
non legato a nessun sistema
ideologico in senso stretto)
esse non hanno avuto bisogno di morire! erano estranee alle sue corde poetiche,
fatte di personaggi e di situazioni. Perciò vale ricordarlo
come creatore artistico, senza scannarlo per ridurlo in
brani da etichettare.
Con il cantautore genovese scompare una coscienza critica della società
De André ci ha lasciati come abitanti di una città straniera
SERGIO N. TURTULICI
SE n’è andato anche lui.
Dov’è andato spero che
gli sia lieve la terra. Se n’è andato a 59 anni, ancora giovane si dice di uno che muore
alla sua età, giovanissimo per
noi che Tabbiamo amato.
Avevamo 15 o 16 anni quando le sue prime canzoni ci
scaldarono l’intelligenza, ci
graffiarono il cuore. Dopo 40
anni quelle canzoni le ascoltiamo sempre e ci commuovono ancora. Quando uno
come Fabrizio De André se
ne va, si dice, restano le sue
canzoni, i suoi dischi. È vero,
ma intanto lui se n’è andato,
come Battisti Tanno scorso.
Come scrittori, artisti, cineasti che con altri del passato
hanno nutrito, nostri contemporanei, la nostra sensibilità e la cultura e l’umanità
nostra. Fa male vedere quanti se ne stanno andando perché non vediamo attorno a
noi chi li rimpiazzi e vediamo
che la cultura si impoverisce,
la convivenza si degrada.
Quelli come De André se
ne vanno e ci lasciano più
smarriti, come abitanti di
una città straniera, ha detto
Camus, che altro non offre
all’uomo che la sua «tenera
indifferenza». Facile che i
cacciatori di trofei ripetano
con lui il tentativo fatto con
Battisti, classificarlo di destra
o di sinistra. Perché fa lustro
appendere l’immagine di
questo autore entrato nelle
antologie letterarie per le
scuole, la faccia un po’ segnata di cantore italiano dei
Fiori del male, nella galleria
dei ritratti di famiglia. Era nato in una casa della grande
borghesia, quasi nobile, De
André, ed è stato sempre nella vita (ha scritto «La Stampa») schivo e alieno da compromessi come un grande
borghese. Ma da subito decise di vivere diversamente da
come la famiglia si aspettava
da lui, di vivere componendo
e cantando sulla chitarra
canzoni colte, da hastian
contrario per di più, «geniali
ma invendibili», lo avvertì
qualche amico.
la
E infatti per qualche anno
le sue ballate, le sue canzoni
ispirate ai modelli dei «poeti
maledetti» (Villon, Angiolieri), alTEdgar Lee Masters
deWAntologia di Spoon River
(da cui l’album Non al denaro, non all’amore né al cielo,
1971), agli chansonnier francesi non uscirono da ristretti
circoli di estimatori. Poi Mina
gli lanciò «La canzone di Marinella» (ora contenuta in Volume HI, 1968 e nell’esecuzione insieme a Mina in Mi innamoravo di tutto, 1997) e un
mercato più vasto cominciò
ad apprezzare le sue produ
zioni che coniugavano
semplicità della canzone po
polare con la raffinatezza di
testi di grande poesia. E la vena poetica di De André, questo trovatore del ’900, fu subito e coerentemente è rimasta
anticonformista, eretica, graffiante contro il perbenismo di
certa borghesia, il moralismo
immorale, i meccanismi del
dominio che le canzoni mettevano a nudo, nella loro brutalità e stoltezza. Ma la denuncia di quegli atteggiamenti e meccanismi non fu
mai di parte, aveva la forza
della verità, dell’universalità.
Quando il-potere si gonfia
di se stesso, mostrava De André, esso è insieme ingiusto e
ridicolo. Esemplare è la ballata «Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers» (da
Volume 1,1967). Il grande re è
tornato dalla guerra, la sua
terra Tha accolto «cingendolo
d’allor», egli si aspetta che
tutte le donzelle per bene del
regno gli cadano tra le braccia, ma la prima che incontra,
scambiandola per una ragazza virtuosa, conquisa dal fascino regale, è una battona;
«L’è proprio perché voi siete
il sire, fan cinquemila lire. Tè
un prezzo di favor». Le canzoni di De André raccontano
storie d’amore e di morte, di
perdenti, di vinti, il suo universo è popolato di disgraziati della terra: ladri innocenti,
assassini per amore, battone
sfruttate, vecchi professori
che spendono mezza pensione per un po’ d’amore mercenario, giovani nella primavera della vita che cadono in
battaglia; storie ambientate
nei carruggi della «Città vecchia» (da Canzoni, 1974), lungo «le calate dei vecchi moli»,
dove abita un’umanità che fa
.fatica a vivere, la più dolente,
la più vera; nei «campi di grano» dove si combatte e si ammazzano per paura tra «mille
papaveri rossi» («La guerra di
Piero», in Volume III) ragazzi
che hanno lo «stesso identico
umore/ ma la divisa di un altro colore» (e nessuno ha can
tato con altrettanta asciutt
comprensione, senza sbavi
ture retoriche o ideologicb«
stupida inutilità della guena)
nelle lande aspre, remote del
la Sardegna pastorale; nel
praterie americane dove
compie la «pulizia etnica» del
le tribù di pellerossa e il «R»
me Sand Creek» (da Fabrià
De André, 1981) rigurgita df
sangue degli uccisi.
C’era in questo poet
dell’anarchia, dissacratot
delle istituzioni oppressivi
delle chiese dogmatiche
prevaricatrici una pietà poe
tica, un’attenzione dolenl
per i deboli, gli umili in qual
che modo di stampo evangf
lico. Una sua raccolta dd
1970, La buona novella,^
tratta liberamente dai vangai
apocrifi, e qui la poesia tocfl
i vertici più alti, c’è una Malli
assetata d’amore, un Cesi
umanissimo, una lettu«
quasi di marca protestante
Sì, restano le sue canzoni ti
Fabrizio nostro amico fragile
[«Amico fragile» è il titolo d
una canzone del Volume VSj
1975, ndr] . Il Signore lo faccii
riposare in pace, noi lo ritt;
graziamo per quello che'
poeti come lui ci danno.
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Il trattamento dei dati personali si svolgerà in conformità della legge 675/9^
Q
(*) Matteo Pierro; Fra marfi.
rio e resistenza. La persecua»
ne nazista e fascista dei Testi
moni di Geova, Como, Editria
Actac (via Magnano 3c), 1997,p|
95, £ 15.000.
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Í9Í9» venerdì 22 GENNAIO 1999
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barare (Zimbabwe), 3-14 dicembre 1998: Vili Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec)
Guardare Dio con gli occhi delle donne e degli uomini africani
Secondo il teologo N. Barney Pityana, l'orma è una metafora di Dio e «l'Africa è l'orma di Dio». Per la teologia africana
Dio e gli esseri umani sono inestricabilmente uniti così come la nostra umanità è saldamente unita all'umanità altrui
ELIZABETH GREEN
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QUANDO da studentessa
in teologia andai per la
prima volta nel Sud per svolgere uno stage di pratica pastorale fui colpita dal fatto, a
prima vista insignificante,
che per guardare Roma non
mi rivolgevo più verso Sud
bensì verso Nord. Scoprii che
la visione dell’Italia cambia
se la si guarda dal Nord oppure dal Sud. Infatti, la nostra ubicazione geografica
condiziona lo sguardo che
abbiamo sul mondo; basta
cambiare posizione per modificare la percezione della
realtà. Da questo semplice
fatto la teologia femminista,
insieme ad altre teologie della liberazione, hanno creato
tutta una teoria epistemologica e da questo semplice
fatto è vissuta (almeno in
parte) la Vili Assemblea del
Consiglio ecumenico delle
chiese (Cec), tenutasi per la
seconda volta della sua storia
in Africa. Una scelta mirata
per continuare a mostrare
solidarietà con le chiese e i
popoli africani, ma anche
per poter ascoltare, come ha
affermato il segretario generale del Cec, Konrad Kaiser,
«ciò che Dio ci sta dicendo
mediante l’Africa di oggi». E
allora Dio, come si presenta
allo sguardo africano? Qual è
la visione di Dio che l’Africa
offre al mondo?
i Gente che cammina
Viaggiando nello Zimbabwe si è colpiti dalla gente che
cammina. In centro città, in
»periferia, lungo le strade aperte della campagna, la gente cammina. Uomini e donne
che vanno a lavorare, bambini che vanno a scuola, persone che vanno al mercato. Nonostante gli autobus, le macchine, i tassì, la gente cammina. Non è strano quindi che il
teologo N. Barney Pityana
consideri l’orma una metafora di Dio. Di recente infatti
sono stati scoperti sulla costa
occidentale dell’Africa dei
fossili di orme umane, i passi
di qualcuno o di qualcuna
che circa 117.000 anni fa
camminava sul suolo africano. Come si sa, dall’Africa
(«Madre Africa») è nata la
razza umana.
Gli europei, arrivando in
Africa moltissimi secoli dopo
e camminando sullo stesso
suolo, si chiedevano come
mai non esistessero segni di
una vita religiosa. Come mai
un popolo così antico non
aveva prodotto una cultura
religiosa? Come mai gli esploratori venuti da lontano
non trovarono le chiese, i
templi e i luoghi sacri della
propria fede bensì la danza, il
tamburo, il canto? Perché, risponde Pityana, in Africa Dio
è percepito, è concepito in
modo diverso. Per l’Africa di
allora come per l’Africa di oggi, Dio è l’aria che si respira,
la terra che si calpesta, il sudore della propria fronte. Del
Dio visto dall’Africa possiamo veramente dire che in lui
(in lei) «viviamo, ci muoviamo e siamo». Il popolo africano non cammina da solo, a
Camminare nelle sue orme
c’è anche Dio. Non esiste infatti altra evidenza di Dio se
non il suo essere unito all’attività del popolo. E allora, se
Dio cammina col popolo africano ed è unito ad esso in
tutta la sua umanità, allora
tutta l’attività del popolo, il
Suo camminare, il suo soffrite, ogni aspetto della sua vita
quotidiana diventa un atto di
culto, un atto religioso, un
esercizio spirituale.
Concettualmente, sembra
L'Assemblea in seduta plenaria
che siamo lontani mille miglia dal Totalmente Altro, dall’essere supremo, trascendente e solitario per la cui esistenza l’Occidente ha edotto
una serie di «prove» di tutt’altra natura, il «Dio» della teologia bianca in nome del quale l’Africa è stata colonizzata.
«Se tu sapessi chi è che ti
chiede da bere (colui che ha
scoperto le cascate di Vittoria), tu stessa gliene avresti
chiesto, ed egli ti avrebbe dato dell’acqua viva del cristianesimo, del commercio e della civiltà», disse Livingstone
presso le cascate di Mosi u
Thunya. Proseguì (secondo la
ricostruzione immaginaria di
Nusa Dube Shonan^); «Donna, credimi, voi adorate quel
che non conoscete perché la
salvezza viene dai popoli
bianchi. Ma l’ora viene, anzi è
già venuta, che voi tutti dobbiate accettare il cristianesimo, il commercio e la civiltà
che vengono dall’Europa».
«L'Africa è l'orma di Dio»
Comprendere l’Africa, afferma Pityana, membro del
comitato sudafricano per i
diritti umani, significa operare un cambiamento di paradigma rispetto a Dio e alla vita spirituale: «L’Africa è Torma di Dio». Anche per Musine Kanyoro, segretaria generale delTYwca, Dio è un Dio
che cammina in mezzo al popolo come Gesù camminava
di villaggio in villaggio, incontrando la sofferenza umana, guarendo gli ammalati,
facendo del bene. Un Dio debole e vulnerabile. Un Dio la
cui forza e potenza risiedono
proprio nella sua debolezza e
vulnerablità. Un Dio che non
si limita a camminare ma si
mette addirittura a correre,
come ha suggerito il coreano
Kosuke Koyana. Un Dio che
non aspetta che arrivi il figliol prodigo a fargli omaggio
strisciando per terra ma,
commosso (o commossa),
corre ad abbracciarlo. «Un
Dio che corre!» esclama Koyana per poi chiederci: «Come comprendere un Dio che
dal centro corre ai margini?».
Mentre noi cerchiamo di
comprenderlo (magari discutendo sulle proporzioni
di immanenza e di trascendenza in Dio), il margine, la
periferia, il Sud del mondo
ne è già diventato il centro.
Se Dio e Tessere umano sono, secondo lo sguardo africano, così inestricabilmente
uniti, si capisce che un cam
© (Foto Chris Black/WCC)
biamento nel paradigma dell’uno determini un cambiamento nel modo in cui percepiamo l’altro. Infatti l’Africa non considera Tessere
umano un individuo discreto
e solitario, in lotta e in concorrenza con l’altro. Crede
invece che siamo tutti e tutte
collegati gli uni con gli altri.
Ciò che l’apostolo Paolo diceva della chiesa come corpo, l’Africa lo afferma della
umanità intera. La nostra
umanità è unita all’umanità
altmi. L’umanità altmi è implicata nella nostra umanità.
C’è una parola africana che
esprime questo concetto:
«ubuntu». L’«ubuntu» spiega
la straordinaria cordialità dei
nostri ospiti, la disponibilità
con cui i delegati all’Assemblea, provenienti da tutto il
mondo, sono stati accolti, a
prescindere dalla loro etnia,
dal loro paese di origine, dal
loro genere, dalla loro fede,
dal loro orientamento sessuale. Senza rancore, senza
odio, senza condiscendenza.
«Ubuntu» non è solo un concetto, un modo di vedere ma
anche un precetto, un modo
di fare; è «il mettere in pratica la spiritualità africana e
l’integrità morale vissute in
comunità sostenibili». Una
prassi che molti paesi africani, divisi e insanguinati da
conflitti, devono ancora imparare. Una prassi che le
chiese, ascoltando ciò che
Dio diceva loro dall’Africa,
hanno voluto incorporare
nella loro risposta alla questione africana.
Rispondendo alla sessione
plenaria in cui l’Africa aveva
presentato, attraverso parole,
musica, danza e teatro, i problemi e le sfide alle quali il
continente è chiamato a far
fronte, l’Assemblea ha articolato una visione imperniata
sulla solidarietà. Essa invita
le chiese a lavorare accompagnando coloro che hanno pesi troppo pesanti da portare
da soli, eliminando le barriere che ci dividono e ci schiavizzano, fornendo gli strumenti di riconciliazione e di
guarigione. Invito alle chiese
a far propria la prassi delT«ubuntu». In questo modo
l’Africa ha voluto dare il suo
contributo a costruire un cristianesimo non più bianco,
non più imparentato col
commercio e la civiltà, non
più dominato dallo sguardo
teologico del Nord. In questo
modo, l’Africa ha voluto far
riconoscere e valorizzare la
specificità della sua antica
spiritualità. Solo così, ha affermato la teologa del Ghana
Mercy Amba Oduyoye, l’Africa smetterà di «camminare in
punta dei piedi intorno a un
mondo che appartiene a Dio
e che è il patrimonio di tutti».
In questo modo forse anche
noi possiamo metterci in
cammino insieme alle nostre
sorelle e fratelli africani. Insieme con Dio.
Il Festival per celebrare la fine del Decennio ecumenico di solidarietà delle chiese con le donne
Mille donne giunte da tutto il mondo per formare una giara piena d'acqua
DANIELA RAPISARDA*
A Nairobi nel 1988 il Consiglio ecumenico delle
chiese lanciava un Decennio
delle chiese in solidarietà con
le donne. Ad Harare 1998 il
Decennio giungeva alla sua
conclusione. I dieci anni sono passati, ma i molti problemi che segnano la vita delle
donne sono rimasti. Il Decennio non ha risuonato
ovunque con la stessa intensità e non ha portato ovunque le stesse conseguenze: se
alcune chiese hanno risposto
positivamente all’appello che
veniva loro lanciato, altre sono rimaste sorde.
Per riprendere una frase
che ha fatto il giro del mondo: il Decennio delle chiese
in solidarietà con le donne è
stato piuttosto il Decennio
delle donne in solidarietà con
le chiese e il Decennio delle
donne in solidarietà con altre
donne. Ma questa solidarietà,
questo desiderio di legare la
propria lotta a quella delle altre, questo desiderio di trarre
forza le une dalle altre e di
«sognare» insieme una realtà
nuova non è stata una esperienza da poco per chi Tha
vissuta. Questa esperienza
meritava di essere celebrata.
e infatti è stata celebrata ad
Harare (Zimbabwe) dal 27 al
30 novembre scorso con un
Festival che ha visto la partecipazione di circa mille donne provenienti da ogni regione del mondo.
Il Decade Festival può essere riassunto in una immagine: una giara piena d’acqua. L’acqua è un elemento
carico di significati. L’acqua
permette la vita, nell’acqua
cresce la vita, l’acqua rigenera, l’acqua purifica. L’acqua
si è rivelata un simbolo estremamente efficace nel creare
un legame tra eventi che si
sono svolti in tempi e luoghi
diversi: le diverse celebrazioni nazionali per la chiusura
del Decennio, il Festival di
Harare, la stessa Assemblea
generale del Consiglio ecumenico delle chiese. Tale legame ha superato la dimensione del simbolo, impiegato
in diversi luoghi e tempi, ed è
diventato materiale nella misura in cui la stessa acqua
adoperata durante le celebrazioni nazionali è stata portata
ed adoperata ad Harare.
Durante la cerimonia di
apertura del Festival, in una
gioiosa processione scandita
da ritmi africani, le donne
giunte ad Harare da ogni re
gione del mondo sono salite
sul palco della sala delle plenarie e hanno versato la loro
acqua in una giara comune.
La mattina seguente alla stessa giara nove donne hanno
aggiunto «le lacrime» delle
donne di ogni regione del
mondo, accomunate dal triste
destino di essere vittime di
violenza. Chi scrive ha aggiunto alle altre «le lacrime
delle giovani donne di ogni
continente». In nove donne
siamo rimaste sul palco per
assistere e sostenere con la
nostra presenza cinque sorelle che hanno avuto la forza e il
coraggio di raccontare drammatiche storie di violenza subita, dal razzismo all’abuso
da parte di membri del clero,
dalla violenza domestica alla
violenza perpetrata dalle
strutture decisionali delle
chiese. Alla fine di ogni racconto tutte abbiamo ripetuto
«la tua storia è la mia storia, la
tua storia è la nostra storia.
Nelle lacrime ci riconosciamo. Da continente a continente, da paese a paese, attraverso le lacrime guardiamo le
une alle altre. Per queste lacrime rimaniamo insieme e
camminiamo. Camminando
faremo sentire la nostra voce
e diremo che la violenza con
tro le donne è un peccato».
Al triste racconto di storie
di violenza subita ha fatto seguito la narrazione di quattro
storie positive, quattro esempi di come le chiese siano
state, nel corso di questi dieci anni, anche in grado di intraprendere azioni coraggiose in solidarietà con le donne. Abbiamo sentito di come
a Taiwan le chiese si siano
mobilitate per combattere il
traffico di donne.
Un terzo gruppo di persone ha preso la parola nel corso di questa intensa mattinata. Sono stati i «visionari», coloro che hanno voluto condividere con l’assemblea riunita la propria visione, la propria assunzione di impegno
per il futuro. Tra queste persone lo stesso Konrad Kaiser,
Segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese, il quale ha partecipato al
Festival in tutta la sua durata.
Alla stessa giara dell’acqua
e delle lacrime le giovani
donne hanno aggiunto nel
corso di una plenaria da queste gestita, petali di margherite, simbolo del contributo
reale che le giovani sentono
di potere dare al movimento
delle donne. Le giovani donne vogliono essere partner
effettive nell’elaborazione di
pensiero, nella presa di decisioni, nella condivisione della
leadership, nella conduzione
della lotta. Le giovani donne
vogliono essere considerate,
prima ancora che il movimento delle donne di domani, parte integrante del movimento di oggi.
La stessa giara con la stessa
acqua, le lacrime, i petali, la
stessa giara adoperata come
simbolo in momenti di culto
e di studio biblico, è stata
portata all’Assemblea generale del Cec dalle donne che
hanno avuto la fortuna di
partecipare ad entrambi gli
eventi. A queste donne spettava il compito di portare
all’Assemblea, insieme con
l’acqua, le voci, le preoccupazioni, le richieste, gli appelli
delle donne del Festival e
delle donne del mondo. All’Assemblea doveva giocarsi
infatti un’importante partita;
le chiese dovevano decidere
se la solidarietà con le donne
aveva fatto il suo tempo, insieme al Decennio, o se invece doveva essere ribadita come priorità per il Millennio
che si apre davanti a noi.
* componente dell’International Planning Group
del Decade Festival
6
liSálii
ISIl
SALVATORE RICCIARDI
Accettare l’invito delie
chiese olandesi per tenere in Olanda questa Assemblea sarebbe stato naturale: a
50 anni dalla sua fondazione
(Amsterdam 1948), il Consiglio ecumenico delle chiese
(Cec), tornando nel paese che
formalmente l’aveva visto nascere, avrebbe bene solennizzato il proprio giubileo. Si è
invece preferito accettare l’invito delle chiese dello Zimbabwe, e convocare l’Assemblea in Africa, volendo così da
una parte guardare verso il futuro più che verso il passato,
dall’altra manifestare solidarietà e vicinanza a chiese e ad
un paese, anzi ad un continente che fortemente ne ha
bisogno. Una delle ragioni
che hanno fatto propendere
per questa scelta è stato proprio il fatto che il 50“ anniversario del Cec si è trovato a
coincidere con il 50“ anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, e
l’Africa è un posto dove questi
diritti vengono forse più calpestati che altrove.
Lo Zimbabwe in cifre
Nel 1980 il paese ha cessato, con la propria indipendenza, di essere la Rhodesia
del Sud, e ha preso il nome di
Zimbabwe (in shona, una
delle due lingue che vi si parlano oltre l’inglese, significa
paese delle case di pietra). È
un territorio di 390.000 kmq
(l’Italia ne conta 301.000),
con una popolazione di 11,3
milioni di abitanti, due dei
quali vivono nella capitale
Harare (ex Salisbury). 11 tasso
di analfabetismo è del 15%,
quello di disoccupazione del
45%, il reddito annuo pro capite è di 550 dollari Usa (meno di un milione di lire o di
500 euro). L’unità monetaria
è il ZW$ (dollaro zimbabweano). Quanto vale? All’inizio
dell’Assemblea (3 dicembre)
ne occorrevano 34 per comprare un dollaro Usa, alla fine (14 dicembre) ne servivano 40, dopo aver toccato una
punta di 42.
Nel campus dell’Università
(2,5 km per 1,8 km circa), dove tutte le attività si sono
svolte in vari edifici o tende,
dove la gran parte dei 4.500
«invasori» ecumenici era alloggiata, i pasti erano preparati dalla compagnia alberghiera Sheraton, che aveva
assoldato per l’occasione del
personale a giornata, da affiancare ai propri dipendenti: si distinguevano per le divise, non per la cortesia, impeccabile in tutti.
Ci siamo informati circa il
compenso percepito da questo personale «d’occasione»:
30 ZW$ al giorno. Ho fatto un
piccolo giro nel supermercato del campus, per valutare il
potere d’acquisto di questa
paga: 8 ZW$ per un kg di pane, 8,5 per mezzo litro di latte, tra 7 e 11 un kg di frutta,
15 una scatoletta di carne...
In libreria, un’edizione economica della Bibbia costa
170 ZW$.
L’indipendenza non ha
contribuito a migliorare le
condizioni di vita: alle vecchie schiavitù (predominio
dei bianchi e conseguenti
sperequazioni) si sono sostituite o aggiunte le nuove. Il
governo è legato alle multinazionali, e la democrazia è
di facciata: su 150 membri
del Parlamento (a camera
unica), 147 sono del partito
del Presidente, e 20 sono nominati direttamente da lui,
pur avendo diritto di voto come quelli eletti dalla popolazione. A un esercito di 7.000
uomini si affianca una mili
Reportage sulla Vili Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) tenutasi a Harat
«Tornare a Dio, rallegrarsi nella speranza», un inviti,
Spedi
art-2'
incai
al Kilt
L'Edit,
UAssemblea del Cinquantenario si è svolta in Africa, un continente dove i diritti umani vengono amp^
schiaccia le economie locali. Il Decennio di solidarietà con le donne, le tensioni interne, il problerrid^
zia presidenziale di oltre
1.000 soldati.
La maggior parte delle
scuole sono sotto la guida
delle varie chiese cristiane (di
cui fa parte una grande maggioranza della popolazione)
ma non tutte le chiese sono
ancora riuscite a realizzare al
loro interno strutture democratiche o paritarie: le donne
patiscono ancora delle discriminazioni, e fortemente ne
patiscono anche aH’interno
della struttura familiare. Le
condizioni igieniche, la situazione sanitaria e la povertà
sono tali che la vita media è
oggi di 55 anni per gli uomini
e 58 per le donne. La sieropositività è conclamata nel 10%
della popolazione, e l’Aids ha
mietuto non meno di 500 persone la settimana nel ’96 e nel
’97. Se non si riuscirà a fronteggiare in modo serio questa
situazione, nell’arco di 10 anni la prospettiva è di una vita
media di 30 anni per gli uomini e di 32 per le donne.
cercate innanzitutto (anche
se non solo) in se stessa; sa
che deve fare i conti con tre
priorità, con tre sfide: sradicare la povertà, stabilire la
democrazia, ricostruire un
tessuto etico plausibile. Sa
che questo è il compito degli
africani, anche se gli africani
non possono realizzarlo da
soli. Nella sua applauditissima visita all’Assemblea il
presidente del Sud Africa,
Nelson Mandela, ha detto:
«L’Africa sogna un rinascimento africano per superare,
attraverso la ricostruzione e
lo sviluppo, l’eredità di un
passato devastante e per assicurare che la pace, la difesa
dei diritti umani, la democrazia, la crescita e lo sviluppo
siano una realtà per tutti gli
africani... Il Consiglio ecumenico delle chiese, che già ha
manifestato la sua sensibilità
verso questo genere di problemi con il Programma contro il razzisrno (attivo dal
1969), deve aiutarci mostran
la sanità, dell’istruzione, della
prevenzione, ecc. L’impunità
con cui i creditori impongono
la loro politica è una violazione dei diritti umani e una parodia della giustizia.
Il problema
dei diritti umani
Non è la prima volta che il
Cec si è occupato di questo
problema: a Nairobi (Kenia)
nel 1975, aveva affermato:
«La nostra preoccupazione si
fonda sul convincimento che
Dio vuole una società in cui
tutti possano pienamente godere dei diritti umani. Tutti,
infatti, sono creati a immagine di Dio, uguali, infinitamente preziosi agli occhi suoi
e ai nostri...». A Vancouver
(Canada) nel 1983, aveva aggiunto: «Tutti gli esseri umani, senza distinzione, sono individualmente creature di
Dio e membri della comunità
umana. Nel riconciliare l’umanità e la creazione con
effettiva parità tra uomo e
donna, la lotta contro il precoce arruolamento militare...
Il Decennio di solidarietà
L’Assemblea era stata preceduta da un incontro ecumenico di donne credenti
(con la partecipazione di alcuni uomini), per valutare i
risultati, nelle chiese e oltre,
del Decennio di solidarietà
con le donne, che è giunto
quest’anno alla sua conclusione. Il messaggio conclusivo delle donne «ai responsabili delle chiese», ricordando
che viviamo in un mondo caratterizzato dall’abuso del
potere, dall’arroganza dell’
autorità e dalTutilizzo egoistico delle posizioni raggiunte, sottolinea la parola di Gesù: «Non è così tra di voi».
Denunziando il fatto che le
donne hanno spesso, proprio
in quanto tali, sofferto emarginazione, si dichiarano non
più disposte a tollerare che
questo continui ad avvenire
Culto di apertura deH’Assemblea
Lo Zimbabwe, parte
del continente africano
(Foto Peter Williams/WCC)
Non poteva mancare una
giornata interamente dedicata alTAfrica e ai suoi problemi, illustrati con conferenze,
poesie, canti e danze, pezzi
teatrali. L’Africa si considera
come un continente in crisi,
che non ha ancora smaltito le
conseguenze di una colonizzazione che Tha spogliata dei
soldi, delle tradizioni e dell’anima. Gli africani si considerano credenti, convinti che
Dio abiti con loro, cammini
con loro e soffra con loro.
Nessuno se la prende con
Dio per il fatto che soffre. Il
male non «accade», è frutto
di qualcosa: spesso della
malvagità umana e, in fondo,
delle forze di un male diventato realtà metafisica. Secondo il teologo N. Barney Pityana, la fiducia è scossa, perché
sembra che Dio abbia abbandonato l’Africa. Gli africani
hanno organizzato eserciti,
hanno costruito fra loro muri
di divisione, si sono distrutti
in guerre fratricide. I loro capi hanno spesso rubato e
hanno portato all’estero il
denaro sottratto al popolo.
Tuttavia l’Africa non si
piange addosso: sa che le
possibilità di riscatto vanno
do lo stesso impegno nella
nuova e più difficile lotta per
lo sviluppo e per il radicamento della democrazia».
Il problema del debito
internazionale
L’Assemblea del Cinquantenario ha tenuto molto presente, sia pure in maniera
forse un po’ fondamentalista,
le «sette settimane di anni»
(Levitico 20), e l’«anno accettevole del Signore» (Luca 4).
Malgrado l’enfasi forse eccessiva su una indicazione biblica che è dubbio sia stata mai
praticata, mi è parso significativo cbe l’Assemblea mettesse chiaramente in questione la politica del Fondo monetario internazionale (Fmi) e
rivolgesse un pressante appello ai capi delle nazioni del
G8 per cancellare il debito dei
paesi più poveri e metterli in
condizione di affrontare il
nuovo millennio con energie
rinnovate. Non si può tacere
davanti al fatto che paesi
«creditori» obblighino i paesi
«debitori» (le virgolette evidenziano che si tratta di un
debito ormai pagato più volte) a dare priorità al rimborso
del debito prima o invece di
affrontare i costi di una ristrutturazione essenziale alla
sopravvivenza, nei campi del
Dio, Cristo ha riconciliato gli
esseri umani gli uni con gli altri». A Canberra (Australia)
nel 1991, si era espresso così:
«Per l’opera dello Spirito, siamo resi capaci di guardare il
mondo dal punto di vista del
povero e del vulnerabile...».
Ad Harare questa linea è stata
portata avanti ulteriormente,
e l’Assemblea ha rivolto un
forte appello alle chiese perché mantengano desta l’attenzione su questi problemi.
Faccio velocemente qualche
richiamo al documento approvato su questa tematica:
- attenti alla globalizzazione. Questa comporta il pericolo di distruggere la comunità umana, attraverso forme
di sfruttamento economico e
di oppressione politica, indebolendo la possibilità di autodeterminazione dei popoli...
- l’universalità e l’indivisibilità dei diritti umani, e la
necessità di denunciarne le
violazioni e di perseguire i
violatori, che troppo spesso
possono fare affidamento
sull’impunità;
- il rispetto dei diritti umani come fondamento della
pace... e fra questi il rispetto
del diritto di libertà religiosa
(contro intolleranza e proselitismo), la sollecitudine per gli
individui sradicati, il rigetto
del razzismo, la lotta per una
nelle chiese; e sollecitano
azioni concrete per superare
le disparità.
Prima di continuare...
È interessante che questo
messaggio sia affiancato da
un messaggio parallelo, indirizzato ai componenti maschi
dell’Assemblea dagli uomini
che avevano partecipato all’incontro delle donne. Essi
dicono: «Come uomini, non
possiamo nascondere la nostra acquiescenza e complicità nelle sofferenze delle
donne e nella cultura di violenza che le ha determinate.
Chiediamo a tutti (i componenti maschi) di intraprendere un cammino di confessione e di pentimento, e di volgerci a Dio per essere trasformati». Il Decennio dunque ha
dato frutti, ha svegliato delle
coscienze, ha contribuito a
modificare situazioni. Molto
resta ancora da fare. Bisogna
avere il coraggio di farlo.
Mi sono soffermato finora
a descrivere l’ambiente in cui
l’Assemblea si è svolta e alcune delle problematiche scottanti con le quali si è dovuta
confrontare. Forse è il caso di
passare ora ad argomenti di
carattere più strettamente
teologico ed ecumenico; ma
prima vorrei dare ancora
qualche informazione.
Il rapporto
con le chiese locali
Si deve essere grati al Consiglio delle chiese cristiane
nello Zimbabwe e alle singole
chiese per essersi dati da fare
per accoglierci e per essersi
resi disponibili a quei non
abbondanti contatti che una
Assemblea di tale complessità rende possibili. La domenica 6 dicembre, secondo un
programma messo a punto
nella fase preparatoria, siamo
quasi tutti andati in gruppi
più meno numerosi a visitare
delle comunità sia nell’area
di Harare sia più lontano,
portaiKlo i saluti delle nostre
chiese di appartenenza e del
Cec, o predicando.
A me è toccato, con altre
quattro persone, di condividere il culto in un gruppo
dell’Esercito della Salvezza,
nell’estrema periferia Nord
della città. Ho così avuto l’occasione di attraversare in auto
Harare che sostanzialmente,
nel bene e nel male, non è diversa da una città occidentale,
e di arrivare in questa periferia estrema, dove la povertà si
tocca con mano, dove la «case» sono parenti stretti delle
«favelas» brasiliane... La gioiosità, il calore del culto, la premurosa ospitalità dell’ufficiale responsabile e della sua famiglia sono ricordi durevoli.
Per la domenica 13, penultimo giorno dell’Assemblea,
le varie chiese di Harare, ortodosse, cattolica, protestanti, anglicana, hanno avuto
una bella idea. Tenuto presente che le chiese membro '
del Cec non vivono ancora '
una realtà di intercomunione, hanno organizzato tutte
dei culti, delle messe, delle li- i
turgie che hanno avuto luogo
simultaneamente e che prevedevano tutte la celebrazione dell’eucaristia, o cena del
Signore, nelle forme proprie
a ciascuna, in modo che tutti
i componenti dell’Assemblea
fossero liberi di recarsi dove
meglio credevano per vivere
un momento di comunione e
di spiritualità conforme ai
propri desideri.
I «Padare»
Un’Assemblea come quella
del Cec (è capitato anche altrove, per esempio a Graz) è ,
anche un’occasione perché ,
diversi gruppi ecclesiali presentino le proprie attività, le
proprie linee di lavoro, testimonino dei loro orientamenti, dei loro percorsi, delle loro
avventure di fede o di ricerca
umana, che non sempre trovano piena cittadinanza nelle
chiese. Il campus quindi era
anche un’immensa fiera: non
solo perché scultori di pietra
o di legno, o venditori di souvenir e di tessuti ne hanno
fatto il loro mercato all’aperto, ma perché tutti questi
gruppi, associazioni, movimenti, ecc. hanno dato vita,
nei modi più diversi, ad una
vera e propria «fiera delle
possibilità e delle esperienze». Questo è stato definito
con un termine della lingua
shona, «Padare», che vuol dire più o meno la piazza del
mercato, l’«agorà» greca, la
piazza come luogo di ritrovo,
di chiacchiera di confronto e
di informazione.
Originariamente, in lingua
shona, i «dare» sono gli anziani del villaggio che si riuniscono in consiglio, e il «padare» è il luogo dove lo fanno. Questa fiera, costituita da
mostre permanenti, da documentazioni fotografiche, da
momenti di dibattito o di
semplice informazione con o
senza audiovisivi, era organizzata intorno a sei tematiche: giustizia e pace, unità
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Fondato nel 1848
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INCONTRO COMUNITARIO A BRICHERASIO —
Una giornata comunitaria ricca di benedizioni, di fraternità e
di speranza nelTamore di Dio, ha riunito domenica scorsa a
Bricherasio oltre 40 persone del gruppo valdese locale e delle vicine comunità. Culto di Claudio Pasquet, saluto di Anne
Zeli, ottimo pranzo, diapositive sul Sinai di Giorgio Roman
e sul viaggio in Germania di Liliana Chiavia Danna. A Bricherasio, nella saletta inaugurata nel settembre del 1991, si
tengono due culti al mese curati da Lusema e dal 1° e 2° circuito. Davvero una bella giornata che ha compensato la fatica organizzativa: un dono del Signore per tutti i presenti.
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VENERDÌ 22 GENNAIO 1999 ANNO 135 - N. 4 LIRE 2.000 - EURO 1,03
Ha i colori delTiride l’agricoltura che è emersa
sabato scorso dal congresso
provinciale della Confederazione italiana agricoltori che
si è svolto a Torre Pellice. È
un’agricoltura che deve e
vuole dialogare con la società,
con le altre attività produttive,
che può svolgere una funzione sociale. Ma l’iride, si sa,
ha colori tenui e altri brillanti,
alcuni più foschi e altri che
aprono il cuore alla speranza.
Il settore agricolo, forse il primo a dover fare i conti con le
politiche comunitarie, negli
ultimi anni si è trovato spesso
in prima linea: l’esigenza di
garantire prodotti sempre più
salubri e la necessità di contenere le produzioni hanno appesantito il settore di nuova
MONTAGNA E AGRICOLTURA
COLORI
PIERVALDO ROSTAN
burocrazia. E si sa quanto
questa sia difficile da far digerire a chi invece fa della
praticità e della concretezza il
suo credo quotidiano.
Ma l’agricoltura deve anche
fare i conti, specie quella intensiva delle pianure, con la
concorrenza di paesi dove è
normale far lavorare i bambini, dove la paga mensile è abbondantemente sotto i 100
dollari al mese, dove l’uso del
territorio è spregiudicato e
causa di depauperamento. La
mondializzazione dei mercati,
la concorrenza sui prezzi sono
handicap spesso decisivi. Ma
attenzione, accanto all’uso indiscriminato del territorio e di
prodotti chimici, troviamo un
altro insoluto problema, quello delle mutazioni genetiche.
C’è un limite alla ricerca? Va
posto, per evitare di mettere in
mano a pochi il sapere agrico
m:
Regione Piemonte
Un nuovo
rapporto
con i cittadini
La nuova campagna di comunicazione dell’Ufficio regionale relazioni con il pubblico (Uip), che ha il compito
di semplificare il rapporto tra
i cittadini e la pubblica amministrazione, è iniziata la scorsa settimana. «L'iniziativa di
comunicazione istituzionale
delTUrp - ha detto l’assessore al Personale della Regione,
Angelo Burzi - si propone essenzialmente di diffondere
immagine e contenuti corretti
del servizio ai cittadini e agli
operatori, amplificando l’impiego delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni». Una campagna
comunicazionale, come ha
sottolineato anche il presidente della Regione, Enzo Ghigo,
«che è rivolta a una gamma
diversificata di pubblico di riferimento, dai cittadini piemontesi, al pubblico interno
degli uffici regionali, agli
operatori del settore, sia interni al sistema degli Urp regionali sia nazionali». A questo
scopo la Regione ha realizzato diversi materiali a seconda
del pubblico a cui verrà rivolta la comunicazione e in particolare sono state preparate oltre 500.000 copie del pieghevole e un comunicato video.
*La campagna di comunicazione - ha aggiunto Burzi 8vrà il suo naturale sviluppo
nel corso dell’anno, con una
serie di azioni sempre più tese alla modernizzazione della
struttura, come la realizzazione di alcuni supporti multimediali e Tinserimento in rete di informazioni e banche
dati di pubblico interesse».
Secondo il presidente Ghigo
l’Urp dovrà diventare «lo
snodo fondamentale ove si
incontrano i cittadini, con le
loro aspettative, i loro desideri di trasparenza, efficacia e
Pmtecipazione, e le risultanze
dell’attività degli uffici pubblici regionali in loro favore»; speriamo che sia vero.
Anche il Pinerolese organizza le proprie scuole secondo il nuovo «dimensionamento)
Il futuro sarà degli istituti «comprensivi»
CARMELINA MAURIZIO
Se fino a qualche anno fa
gli istituti scolastici comprensivi, cioè i cosiddetti poli
verticali formati da scuola
materna, elementare e media,
erano una realtà poco diffusa
e poco nota a partire dal prossimo anno scolastico 19992000 la realtà scolastica del
Pinerolese sarà costituita prevalentemente proprio dagli
istituti comprensivi. Si tratta
dell’attuazione, avvenuta per
gradi, del piano scolastico di
dimensionamento nell’ambito
circondariale di Pinerolo che
prevede appunto l’accorpamento sotto un’unica dirigenza e con una sola segreteria
dei vari ordini di scuola.
Le polemiche, anche forti,
che caratterizzarono il confronto sul territorio coinvolgendo scuole, famiglie, enti
locali, paiono lontane, dimenticate. Dall’anno prossimo
dunque diventeranno istituti
comprensivi le scuole materne, elementari e medie di Luserna San Giovanni (648 allievi, dirigente Marco Armand Hugon?), Bricherasio
(530 allievi, affidata a Mario
La scuola media di Bricherasio
Tarditi?), le scuole medie
«Brignone» e «San Lazzaro»
di Pinerolo e di Villafranca,
Cavour, Cumiana, Vigone,
Airasca. Sono confermati tutti quelli già esistenti, ovvero
le sedi di Perosa Argentina
(uno dei primi istituti comprensivi del Pinerolese), Torre Pellice, Villar Perosa, tutti
i circoli di Pinerolo.
La popolazione scolastica
interessata alle trasformazioni
in vista del prossimo anno
scolastico è complessivamente di circa 6.000 allievi, quella pinerolese in senso più am
pio, valli e pianura, è intorno
alle 10.000 unità. «L’istituto
comprensivo - dice Renzo
Furlan, dirigente a Perosa Argentina - è certamente una
realtà scolastica interessante,
soprattutto nei territori montani, dove è più evidente la ricaduta positiva anche sull’
utenza. Proprio per questo
però nel dare una valutazione
di questa esperienza dopo due
anni mi sento di dire che è
una modalità non esportabile
altrove, dove diventerebbe
una pura operazione politica.
Nelle nostre zone la costante
perdita di punti di riferimento
per i piccoli Comuni delle
vallate fa sì che l’istituto
comprensivo diventi un punto
di forza. Tuttavia dal punto di
vista della continuità tra i vari
cicli di scuola seppure è vero
che l’istituto comprensivo la
favorisce, ma non per questo
è una trasformazione dell’istituzione scolastica necessaria,
vista la complessità e i problemi che comunque sorgono
nei primi tempi di vita di un
comprensivo».
Anche Mariella Amico, dirigente a Villar Perosa, sostiene che l’istituto comprensivo sia una buona opportunità: «Forse sarebbe stato meglio - dice inoltre Amico essere stati un po’ più preparati. Il primo anno infatti è
davvero molto faticoso per la
dirigenza: inevitabilmente
non si possono conoscere le
varie realtà che vanno a comporre un istituto comprensivo
ugualmente bene, per cui i
primi tempi sono più duri. In
ogni caso la ritengo un’occasione di crescita, che mette di
certo delle risorse in movimento, anche in vista della
prossima autonomia».
Nel 1871 la situazione delle chiese
valdesi (fuori dalle Valli) era la seguente: vi erano 37 chiese con 21 pastori
all’opera, coadiuvati da alcuni evangelisti. Vi sarebbe da aggiungere un centinaio di località minori, che in un modo o
nell’altro erano state raggiunte dalla predicazione, dove vivevano piccoli nuclei
che seguivano la Chiesa valdese; famiglie isolate e singoli valdesi si trovavano
ormai in tutta Italia. Al di fuori delle
Valli i membri ufficialmente iscritti nei
registri (cioè adulti) erano oltre 2.000
con una popolazione totale di circa 4.000
persone. Templi di proprietà ve ne erano
sedici, negli altri luoghi le predicazioni si
tenevano in locali di affitto. Le chiese
principali per numero di membri erano
Venezia (230) poi, nell’ordine, Napoli,
Genova, Livorno, Torino e Milano (tra
100 e 200); superavano i 60 membri Pinerolo, Verona, Firenze (due chiese), Pisa, Rio Marina, Messina e Palermo. Vi
erano trenta scuole elementari con una
IL FILO DEI GIORNI
CONGRESSO
MARIO CIGNONI
sessantina di maestri (soprattutto maestre) e 1.800 alunni per la grande maggioranza cattolici. Le scuole più importanti erano quelle di Livorno e di Rio
Marina che superavano i 200 alunni. La
maggioranza dei valdesi ufficialmente
iscritti era in Toscana, dove Firenze era
la capitale d’Italia (1865-70), ed economicamente le chiese della Toscana da sole rappresentavano un quarto di tutte le
collette italiane.
Matteo Prochet, pastore a Genova,
nuovo presidente del Comitato di evàn-'
gelizzazione, convocò il primo «Congresso evangelico italiano» a Firenze, nel
palazzo Salviati, per il 2-5 aprile 1872.
Fu un evento solenne e memorabile: allora per la prima volta si trovarono insieme i rappresentanti delle chiese sorte in
Italia dalla predicazione valdese. Alcuni,
impediti da varie cause non poterono
partecipare, per cui i presenti furono 64.
Metà erano pastori o dipendenti dell’amministrazione ecclesiastica (candidati,
colportori, evangelisti, maestri) e metà
delegati «laici». Vi erano poi come ospiti
14 pastori protestanti stranieri, di cui sette presbiteriani scozzesi e rappresentanti
delle chiese dei Fratelli. Si incontrarono
allora insieme le radici e i frutti protagonisti dell’evangelizzazione.
Non si trattarono questioni amministrative, ma i temi di fondo dell’evangelizzazione e della fede: la predicazione, il
rapporto tra chiesa e istruzione, il modo
migliore per edificare e consolidare le
' tritìlunità, la preghiera (...).
(da I valdesi in Italia 1848-1870, in Dalle
Valli all’Italia 1848-1998, ed. Claudiana)
lo, la qualità dei prodotti, il
futuro alimentare del pianeta.
Certo questo pare così lontano
dalle nostre piccole aziende
agricòle montane eppure non
è così. La nostra agricoltura è
l’altra faccia della mondializzazione. E, o dovrebbe essere,
quella della produzione di
frutta o formaggio di qualità,
con un mercato non elitario
ma di persone consapevoli; è
un’agricoltura fatta di realizzazioni sul territorio (cooperative, centri di vendita), di costante presenza dell’uomo a
tutela e gestione di versanti altrimenti destinati a morire. È
un’agricoltura che ha ancora
delle potenzialità da esprimere, delle risorse da utilizzare
ma che deve forse riscoprire
una migliore progettualità.
Per la vai Pellice
Docup; oltre
3 miliardi
di contrinuti
Con i primi giorni di gennaio tutti i Comuni interessati
hanno riapprovato le proposte
di intervento da realizzarsi
con fondi europei derivanti
dal cosiddetto Docup che la
Regione aveva diffuso lo scorso anno. In vai Pellice il totale
del contributo erogato ammonta a 3 miliardi e 372 milioni, per 20 interventi: oltre 8
miliardi e 100 milioni il totale
dell’investimento. A Luserna
si realizzerà un percorso ciclabile con un costo di 1.236 milioni, a Bibiana un’area attrezzata a San Bernardo con 425
milioni, a Bricherasio un centro di didattica ambientale a
Santa Caterina per un importo
di quasi 300 milioni, a Bobbio Pellice un rifugio escursionistico a Chiot d’ia Tajà
per 367 milioni. Fra le associazioni spicca la sala polivalente del Concistoro di Villar
Pellice (quasi un miliardo e
mezzo), il rifugio escursionistico alla Vaccera proposto
dall’associazione La Jumarre
(quasi 800 milioni), l’osservatorio astronomico di Lusema
(oltre 300 milioni). Anche il
Cai avrà diversi interventi,
nessuno radicale ma tutti necessari a migliorare l’accoglienza ai rifugi Jervis e Granero e al bivacco Soardi. Importante anche l’intervento
sul centro per la biodiversità
Malva Arnaldi di Bibiana, in
un primo tempo non considerato dalla Regione e successivamente oggetto di un contributo di 220 milioni su un investimento di 557 milioni. Le
imprese turistiche infine riceveranno aiuti significativi: al
Passel si sta creando un’area
ricreativa dal costo di oltre
500 milioni, il ristorante Flipot ha effettuato lavori di ammodernamento per quasi 800
milioni e a Bobbio l’azienda
Paolasso creerà case-appartamento per vacanze investendo
250 milioni; per queste attività
il contributo sarà del 15%.
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PAG. Il
— E Eco Delle Yalu "\àldesi
VENERDÌ 22 GENNAIO
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CAMBI AI VERTICI DELL’ASILO VALDESE — Il comitato dell’Asilo valdese di Lusema San Giovanni (foto), che
ospita una novantina di anziani, è stato profondamente rinnovato; la scorsa settimana si è svolto la prima riunione dopo le nuove nomine; oltre che dal presidente del Concistoro, Paolo Gay, e al pastore Claudio Pasque! il nuovo comitato è composto da Anita Pons, Daniele Varese, Marco Roman, Piero Romano e dal nuovo presidente Sergio Malan.
ANCHE A ANGROGNA FONDI EUROPEI — Con non po
che perplessità sulla scelta dei progetti e con una forte raccomandazione alla comunità montana perché la quota destinata alla promozione turistica si traduca in fatti concreti, a
cominciare dalla segnaletica e dalle cartine-depliant sempre
annunciati ma ancora da realizzare, il Comune di Angrogna
ha approvato il «patto associativo» di collegamento fra i vari comuni per l’avvio dei progetti finanziati con fondi europei sul turismo. A Angrogna due privati hanno ottenuto un
contributo del 15% sull’investimento: al Passel si sta realizzando un centro sportivo e ricreativo, alla Vaccera un rifugio escursionistico. Una buona notizia intanto per il paese:
dalla Regione arriveranno 120 milioni per la fognatura del
Prassuit-Vemé; altri 10 milioni arriveranno invece per la
squadra antincendi boschivi mentre dal Comprensorio alpino sono giunti complessivamente 7 milioni a quei cittadini
che avevano subiti danni dalla selvaggina.
LAVORI A VILLASECCA — Fervono in queste settimane lavori di tutti i generi nell’abitato di Villasecca inferiore e lungo la strada. Un gruppo di volontari ha installato davanti al
tempio un bellissimo marciapiedi in lose e nell’interno è stato completamente rifatto il soffitto in legno, sia a causa delle
numerose fessure che rendevano quasi del tutto inefficace
l’accensione della stufa, sia per rimediare a trattamenti e verniciature fatte in passato, certamente con buone intenzioni
ma non esattamente azzeccate dal punto di vista dell’armonia
con la vetustà dell’edificio. La borgata è stata inoltre dotata
di fogne e si stanno facendo lavori di consolidamento della
strada in alcuni punti in cui c’era stato un cedimento.
POMERIGGIO MUSICALE ALL’UNITRÈ — Un pianista
d’eccezione, Danilo Dellepiane, ha inaugurato la serie dei
«Pomeriggi musicali» del 1999 all’Unitrè di Torre Pellice il
7 gennaio scorso. Un programma di tutto rispetto e un’esecuzione ammirevole: Beethoven (Sonata in mi magg. op.
109), Schubert (due «Momenti musicali» op. 94), Schumann
(Novelletta n. 1, op. 21), Chopin (Sonata in si min. op. 58).
TRASPORTI GRATUITI PER I PORTATORI DI HANDICAP — Presso i Circondari della Provincia di'Torino
(Ivrea, Lanzo, Pinerolo e Susa) dal 1° gennaio è possibile
ottenere, rinnovare o modificare le tessere per l’utilizzo
gratuito della rete di trasporti pubblici extraurbani provinciali da parte di persone portatrici di handicap. Gli abbonamenti dell’anno passato, rilasciati dalla Regione, sono stati
automaticamente prorogati per tutto il 1999 dalla Provincia
che ora è l’ente responsabile (per i trasporti extraurbani) in
luogo della Regione. Questa opportunità riguarda i circa
6.000 possessori di tessera nella Provincia di Torino per i
quali l’ente di Palazzo Cisterna pagherà 1,4 miliardi alle
società di gestione dei trasporti. Il Circondario di Pinerolo
si trova in via dei Rochis 12, c/o Istituto Marie Curie (tei.
0121-393205 e 393174 fax 0121-77843).
UN’ORDINANZA SPEGNE IL RIPETITORE TIM? — Il
sindaco di Lusema, Piergiorgio Ghibò, lo ha annunciato in
margine al Consiglio comunale di venerdì scorso: dopo
aver sentito un legale risultano esserci gli estremi per emettere un’ordinanza di sospensione dell’attività del ripetitore
Tim di Lusema Alta che tante polemiche ha suscitato nelle
ultime settimane. Pochi giorni prima in un serrato confronto
la stessa Tim aveva ammesso: «Solo in presenza di un’ordinanza noi potremmo spegnere il ripetitore». Se il sindaco
agirà sulla base di quanto comunicato al Consiglio, la Tim
installerà un ponte mobile provvisorio. Nel frattempo è già
partita la ricerca per individuare un sito più a monte, fuori
dal centro abitato. Un gruppo di consiglieri regionali dei Ds
ha intanto presentato un’interrogazione in Regione sulla tematica ripetitori telefonici.
MUORE CADENDO DA 1.500 METRI; IL PARACADUTE NON SI E APERTO — Tragedia nei cieli di Cumiana
sabato scorso: un paracadutista comasco. Mauro Manone, di
42 anni, maestro di sci, è morto schiantandosi al suolo dopo
essersi lanciato da un turboelica su cui era salito insieme ad
altri nove colleghi. In un primo momento nessuno si è accorto dell’incidente e i lanci sono proseguiti. Lo sfortunato
sportivo non era particolarmente pratico di paracadutismo;
(si trattava di una passione recente); Manone è caduto a pochi metri dalla pista di decollo degli aerei della scuola di paracadutismo Blu sky: inutile l’intervento dei mezzi del 118.
Ulteriore iniziativa in campo sanitario del Gruppo missioni Cevaa di Torre Pellice
r* I* I * * /* i II* 11^
Solidarietà con i fratelli del Camerún
(
DAVIDE ROSSO
Il Gruppo missioni Cevaa
(Comunità evangelica di
azione apostolica) di Torre
Pellice si sta preparando in
questi giorni a inviare attrezzature all’ospedale evangelico di Ndoungué, nel Camerún
occidentale. Da Torre Pellice
dovrebbero partire tra febbraio e marzo due negatoscopi (gli schermi luminosi che
si usano per vedere in trasparenza le radiografie) e un
buon numero di cestelli per la
sterilizzazione del materiale
chirurgico, questi ultimi offerti dall’Ospedale evangelico di Napoli; questo materiale si andrà ad aggiungere alle
apparecchiature mediche che
arriveranno nello stesso periodo in Camerún offerte dalla Tavola valdese utilizzando
i fondi deH’8%0.
Abbiamo incontrato a Torre
Pellic-e il dott. Marco Tullio
Fiorio, che sta seguendo la
preparazione degli invii e che
a febbraio si recherà in Camerún per verificare che tutte le
apparecchiature arrivino a destinazione e vengano montate
correttamente. «L’attuale invio di attrezzature - dice Horio - è molto importante per
l’ospedale di Ndoungué perché gli permetterà finalmente
di avere una serie di apparecchiature base, come ad esempio un ecotomografo, un microscopio, un letto ginecologico, un elettrocardiografo, una
sedia odontoiatrica e un trapano da dentista che purtroppo
finora non c’erano o erano insufficienti per svolgere la normale attività ospedaliera».
Sala di accettazione in pediatria
- Lei nel ’92 ha trascorso
un periodo come volontario
proprio nell’ospedale di
Ndoungué: qual era la situazione allora e qual è quella di
oggi?
«Quando nel ’92 io e mia
moglie siamo arrivati a Ndougué, dopo che la Cevaa ci
aveva messo in contatto con
la Chiesa del Camerún, siamo
rimasti un po’ sbalestrati: in
ospedale non c’era nulla,
mancava la normale attrezzatura moderna e si lavorava
con strumenti che da noi si
usavano 40 o 50 anni fa.
L’ospedale aveva, e ha tutt’
ora, tre sale operatorie e quattro medici più diversi infermieri specializzati per provvedere al fabbisogno di 3-400
malati (mediamente in Italia il
rapporto è di 10 medici ogni
30 pazienti). I ricoverati devono portarsi le lenzuola,
provvedere da soli al vitto,
pagarsi tutte le analisi e le
medicine, e quindi per esempio si cercava di risparmiare
sugli esami di laboratorio».
La prima italiana nell'albo degli avvocati
Piazza Lidia Poét
CLARA BOUNOUS
A Pinerolo è stata intitolata una piazza a Lidia
Poét, la prima donna italiana
laureatasi in giurisprudenza e
la prima donna iscritta
nell’albo degli avvocati. Un
fatto significativo poiché sono poche le donne a cui si dedica un luogo pubblico, un riconoscimento ufficiale per
aver speso la propria vita al
servizio di una causa civile.
Lidia quest’onore se l’è guadagnato sul campo, poiché in
un’epoca, quella di fine Ottocento, in cui l’avvocatura era
ancora una professione prettamente «maschile» e cercava tenacemente di resistere
alla concorrenza femminile:
secondo i più le professioni
forensi richiedevano doti politiche e pubbliche che poco
si addicevano alle innate attitudini materne e sociali comunemente riconosciute alle
donne. Tali argomentazioni
furono infatti assunte nel
1833 dai giuristi torinesi per
bloccare l’accesso alla professione a Lidia, che si era
regolarmente laureata presso
la facoltà di Giurisprudenza
di Torino, e la obbligarono a
iniziare un percorso irto di
molte difficoltà per dimostrare i suoi diritti contro la mentalità imperante, che non si
era ancora scrollata di dosso
antichi pregiudizi.
Lidia Poét era nata nel 1885
in vai Germanasca, a Traverse, frazione di Ferrerò; era una
ragazza di buona famiglia; padre ricco possidente e sindaco,
madre benestante, 5 fratelli e
due sorelle, di cui uno avvocato, un altro cavaliere ufficiale
e ispettore demaniale. La sua
fu una vita dedicata allo studio e alle opere sociali e filantropiche. «Ero nata per studiare - dichiarò infatti caparbiamente in un’intervista - e non
ho mai fatto altro. In un secolo nel quale le ragazze si occupavano esclusivamente di
trine all’ago e di budini di riso. Fu un male o un bene?
Non so, ma sento che se rinascessi tornerei daccapo». Lidia Poét fece anche parte tra
l’altro del «Comitato prò voto
donne» e durante la prima
guerra mondiale indossò il
camice della Croce Rossa,
per la cui opera ricevette una
medaglia d’argento. Potè
iscriversi regolarmente all’albo solo nel 1920, quando la
legge glielo consentì, ma ormai la sua tarda età non le
permise più di esercitare.
Pinerolo, dove il fratello
Enrico era avvocato, la ospitò
per lunghi anni; qui iniziò a
studiare il latino che adorava,
e fu iscritta fino alla fine dei
suoi giorni alla locale Chiesa
valdese. Pinerolo accolse infine nel 1949 per l’orazione
funebre le sue spoglie mortali, che ora riposano nel cimitero di San Martino. Oggi la
cittadinanza l’ha voluta ricordare pubblicamente con un riconoscimento che onora la
sua figura, quale limpido
esempio di coerenza nello stile di vita, le cui radici affondano nell’educazione valdese
ricevuta in un piccolo villaggio di montagna. Noi la vogliamo inoltre ricordare perché come donna ha saputo
coniugare con intelligenza la
femminilità con la caparbietà
e la determinazione di fronte
a qualsiasi ostacolo, doti rare
anche ai nostri giorni.
- Una situazione difficile
che lei ha potuto constatare
anche in altri suoi successivi
soggiorni a Ndoungué?
«Sì, purtroppo le cose non
sono molto cambiate come ho
verificato anche quando sono
tornato nel ’95 per tenere un
corso di formazione ai medici
dell’ospedale, e poi di nuovo
nel ’98 per verificare quali attrezzature servissero per un
possibile invio di aiuti dall’Italia».
- Perché il suo interessamento per Ndoungé è continuato anche dopo che ha fatto ritorno in Italia?
«Ovviamente, quando tornai nel ’93 cominciai subito a
raccogliere fondi per attrezzature che portai in Camerún
appena potei e che furono pagate in parte anche dall’ospedale di Ndoungué. In Italia ho
trovato persone disposte a
collaborare al miglioramento
di questa struttura africana e a
ottobre dello scorso anno un
medico chirurgo di quell’
ospedale è venuto nel nostro
paese per uno stage nel reparto chirurgico dell’Ospedale
valdese di Torino dove è stato
accolto con amicizia e dove si
è realizzato un “gemellaggio”
che in un prossimo futuro potrà portare a Ndoungué uno o
più medici torinesi. Il medico
camerunese è stato poi ospitato anche a Torre Pellice dal
locale gruppo della Cevaa».
- Un gruppo che tra l’altro
aveva già mandato aiuti a
Ndougué...
«Certo, lo scorso anno erano già state inviate delle lenzuola per il reparto intensivo
e le sale operatorie ma la visi
ta del medico camerunese)
servita anche per poter aven
notizie di prima mano s(
problemi sociali e sanitari j
quel paese che non sono ceiti
pochi. Oggi il gruppo torre!)
sta cercando di raccoglie),
fondi alle Valli per coprirei,
spese dell’acquisto e deirij
viò del materiale in Cameni
e certamente si cercherà di fj
re altrettanto il prossimo an®
quando si preparerà la pressi
ma spedizione».
Alla As110
Ginecologia
nuovo
primario
Dal 1° gennaio il dottori»
ciano Galletto è il nuovo pri
mario di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale «Agnelli
di Pinerolo. Il dottor Galletta
che succede al prof. Paoli
Trompeo, si è specializzati
con il massimo dei voti, iniziando la sua carriera di pei
fezionamento prima in ambii
universitario e in seguito pres
so l’Asl 17 di Saviglianoi
Possano. Autore di numerosi
pubblicazioni scientifiche, i
dottor Luciano Galletto è sti
to fra l’altro responsabile (K
gruppo di lavoro interaziend»
le per lo screening dei tum«
dei collo dell’utero e dell
mammella e sul relativo protocollo terapeutico.
Convegno del T circuito delle chiese
Fede e diaconia
MARCO TULLIO FLORIO
Che cosa sarebbe una
chiesa che si disinteressasse del problema degli anziani diventato così vivo, così
grave, nel nostro tempo? La
stessa domanda si pone a proposito di altri settori del lavoro diaconale, ad esempio i
giovani, il problema dell’
esclusione. Che cosa sarebbe
una chiesa che se ne disinteressasse? Ma se la chiesa deve impegnarsi nella società,
per cercare di sanarne i guasti, di venire incontro alle necessità, e la diaconia evangelica non può essere tale se
non è sostenuta dalla fede,
perché vi è separazione fra
chiesa e diaconia? Perché abbiamo tante opere sociali
(sempre di più, e sempre più
«pesanti») mentre il numero
dei nostri membri di chiesa
diminuisce, e ancor di più il
numero dei membri attivi?
A queste domande cerca di
rispondere il pastore Daniele
Bouchard nell’interessante
relazione introduttiva del
convegno del 1° circuito,
svoltosi il 15 gennaio a Villar
Pellice, sul tema «Evangelicità e -professionalità nelle
nostre opere diaconali». La
prima ragione per cui questo
rapporto è insoddisfaciente
sta nella chiesa. 11 problema
dell’evangelicità delle opere
deve essere posto, ma all’interno del problema dell’evangelicità della chiesa. La nostra difficoltà nell’annunzio
(predicazione) deriva dalla
nostra difficoltà a credere. Le
opere hanno obiettivi molto
più chiari; credere è più difficile che «fare». Ma la diaconia deve essere parte inte
Prer
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altri» (C
Quest
per me
un fond
stimoni
ciproca
l’amore
darlo a
crescita
grante della fede (Matteo 2i
31-40). Non si può privili
giare la professionalità, eli
pure è importante, rispetto al
ia vocazione, nella scelta di
membri dei comitati.
Il discorso si chiude coi
queste valutazioni negativi
ma non con un pessimisi®
assoluto. Il malato non sii
bene, ma ha ancora molli
energie, e può guarire. Unù
teressante dibattito è servito!
confermare e a precisare
cuni aspetti della questioni
Dobbiamo essere disponibJ
a trasformare il nostro impo
gno nel sociale, secondo
esigenze. La chiesa deve sen
tire la sua vocazione missio
naria; il membro di un comi
tato non deve dimenticare
essere un membro di chiesi
Vi dovrebbe essere più spi
zio nella chiesa per gli operi
tori diaconali: perché nonU'
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nioni e
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flettere sulla diaconia all’i®" sH dipi
terno del culto?
In conclusione la nostr*
diaconia e le nostre agenz'
culturali non devono coti!!’
nuare soddisfatte sulla l«tf|
strada, la chiesa deve ritrovi
re la sua vocazione alla testt
monianza e deve nutrire la fi
de di quelli che si impegnali*
nella società.
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INFORMAGIOVANII
VAL PELLICE
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Via Roma 45 - LusernaS-j
Giovanni - 0121/900245
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Lunedì e venerdì ore 14'
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Premetto che, se potessi,
sarei tra quelle persone
che frequentano più di un
gruppo di attività delle nostra
chiesa: andrei aH’Unione
femminile, alla Fgei, allo studio biblico, alle riunioni quartierali... Sono una che ha bisogno di partecipare e di
«sentirsi parte di», a cui piacciono le cose che si fanno
nella comunità, che qualche
volta vorrebbe di più e si impegnerebbe, potesse, a realizzarlo, quel «di più».
Forse esagero, ma sono
dell’idea che frequentare
un’attività avvicini alla comunità, aiuti a sentirsene parte e a amarla «come una famiglia», permettendo per
esempio di conoscerne un po’
più a fondo alcuni membri.
Non sempre il culto offre le
stesse possibilità. Inoltre penso che il confronto con l’altro
sia fondamentale per crescere, per costruirsi un’identità,
anche spirituale. L’altro può
essere specchio e limite di se
stessi, ma anche sostegno e
stimolo e in un’attività in comune è bello scoprirsi compagne e compagni che condividono esperienze e progetti,
difficoltà e soddisfazioni, che
cercano di lavorare su di sé
per evitare spirito di competizioni e invidia, che si impegnano con gioia a mettere in
pratica l’invito di Gesù a
amarsi gli uni gli altri perché
«da questo conosceranno tutti
che siete miei discepoli, se
avrete amore gli uni per gli
altri» (Giov. 13, 35).
Questo dunque rappresenta
per me un gruppo di attività:
un fondamentale luogo di testimonianza, innanzitutto reciproca, in cui sperimentare
l’amore fraterno prima di andarlo a predicare, un luogo di
crescita e di libertà, in cui poter esprimere le proprie opinioni e i propri doni, una pic
cola scuola di quella responsabilità che aiuta a uscire
dall’individualismo che ci caratterizza; insomma una microcomunità, naturalmente
non chiusa in se stessa.
Fatto questo discorso un
po’ terroristico (perché, se è
così impegnativo far parte di
un gruppo e se ci tocca così
nel profondo, la prospettiva
spaventa un po’ anche me), vi
chiedo: i miei argomenti vi
sembrano convincenti per
proporre a qualcuno, giovane
o adulto, di frequentare una
nostra attività? Per esempio,
si può dire a un giovane:
«vieni al coretto, aH’Unione
giovanile, alla Fgei perché
crescerai in responsabilità
amore fraterno e conoscenza
nella comunità»? Credo di
no, non tanto per il o la giovane, quanto perché questa è
una riflessione che si può fare
all’interno del gruppo, partecipandovi, non prima. E allora? Rischiamo l’estinzione?
Riflettendo sulla mia esperienza di giovane (una volta)
partecipante, ho constatato
che dietro a ogni impegno
preso in qualche attività c’è
spesso stato l’invito di qualcuno, adulto o coetaneo che,
come Andrea al fratello Simone, è venuto a dirmi «vieni
a vedere».
Che cosa? Certo, attività
che interessavano o mi divertivano, è importante sapere
cogliere attitudini ed esigenze, ma anche proporsi con entusiasmo potrebbe avere i
suoi effetti, se Filippo è riuscito, insistendo, a convincere
lo scettico Natanaele a incontrare Gesù (Giov. 1, 40-46).
Che fare dunque? È possibile
avere risposte preconfezionate? Ed è proprio facile come
sembra? Penso di no, ma tanto vale provare...
(da Corto Circuito,
n. 2 Natale 1998)
PROTEZIONE CIVILE
AIB ANTINCENDI BOSCHIVI
to la SOTTOSCRIZIONE A PREMI sono stati estratti
Seguenti numeri: 1.401, 1.441» 474, 680, 155,661, 32,441,
1^, 958, 502, 1.215, 949, 783, 406, 1.120, 620, 604, 503,
"144, 53, 1.289, 50, 19, 1.342, 1.436, 9, 1.115, 1.190, 1.356,
116, 221, 233, 1.087, 1.461, 307, 1.468, 827, 386, 350, 848,
pÌ66, 239, 294, 31, 997, 153, 15, 277, 761, 842, 1.385,1.344,
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COLLEGIO VALDESE
via Beckwlth 1 -10066 Torre Pellice
Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni
NON sono chiuse le iscrizioni al
Liceo di Torre Pellice
questo liceo si ottiene:
Il diploma di liceo classico
•Hi diploma di liceo scientifico
il diploma di liceo linguistico europeo, con opzione linlistica letteraria o giuridico-economica.
Sii iscritti al liceo scientifico possono contare, oltre che sul" normali lezioni teoriche di matematica e di informatica,
1 computer per ogni allevo + 2 ore di esercitazioni in latetorio.
tutti gli indirizzi, e non soltanto in quello linguistico, è
ato ampio spazio alle LINGUE E ALLE CULTURE STRANIEQueste, accanto alle normali lezioni in aula, sono stu|ate soprattutto all'estero, per la pratica della lingua, melante soggiorni presso scuole in Svizzera, Francia, Cermaa, Irlanda e Gran Bretagna.
1 retta è di 4.600.000 lire all'anno, suddivisibile ¡n 10 rette
insili di 460.000 lire.
Itti coloro che si iscrivono a qualsiasi indirizzo possono
dere di una borsa di studio assegnata non per meriti scolici ma in base al reddito. Es. con un reddito sotto i 20
pioni annui la borsa assegnata permette di ridurre la retta
‘7.000 lire mensili.
no previste borse di studio anche per i viaggi e i soggiorni studio all'estero. 56 06
La visita del cardinale Carlo M. Martini alla diocesi di Pinerolo
La spiritualità nella chiesa locale
BRUNO CORSANI
I cattolici pinerolesi ricordano, in questo periodo, il
250° anniversario della fondazione del vescovado di Pinerolo. La bolla porta la data
del 23 dicembre 1748, e il
primo vescovo prese possesso
della sua carica il 4 aprile del
1749. Gli storici dicono che
tra le ragioni che contribuirono alla decisione papale, sollecitata tra l’altro dal re Carlo
Emanuele III, c’era la necessità di far fronte alla massiccia presenza valdese nei dintorni di Pinerolo.
L’evento è stato ricordato
sobriamente venerdì 8 gennaio con una presenza eccezionale, quella dell’arci vescovo di Milano, cardinale Carlo
Maria Martini. Prima di occupare la direzione della più
grande diocesi d’Italia monsignor Martini, piemontese, era
stato professore di Scienze bibliche al Pontificio istituto biblico di Roma, quindi rettore
deirUniversità Gregoriana.
Ma oltre che biblista. Martini
è stato sempre sensibile alle
aperture ecumeniche: nel
1989 fu copresidente della
grande adunanza ecumenica
delle chiese europee a Basilea
e ha partecipato, con esperti di
altre confessioni, alla stesura
della II, III, IV edizione del
Nuovo Testamento greco pubblicato dal 1968 in poi dalle
Società bibliche unite, e poi
anche alla XXVII edizione del
«Nestle» (ora Nestle-Aland),
il testo greco più diffuso del
mondo, pubblicata dalla Società biblica tedesca nel 1993.
Il card. Martini ha parlato
nella cattedrale a un foltissimo uditorio, nel quale erano
presenti tutte le autorità cittadine e anche un gruppo di
valdesi con i pastori Paolo
Ribet e Anne Zeli. Il tema
che gli era stato proposto era
«La spiritualità della chiesa
locale». Martini ha preso
spunto dalla I Lettera di Pietro 2, 5: «Come pietre viventi, siete stati edificati per formare una casa spirituale».
Commentando i singoli termini di questo versetto, che
Il cardinale Carlo Maria Martini
(foto Zibecchi)
descrive le caratteristiche e le
funzioni a cui sono chiamati i
credenti in Cristo, Martini si
soffermava, nella sua lucida e
vigorosa conferenza, sul contrasto fra l’immagine delle
pietre e l’aggettivo Con cui
queste sono caratterizzate: vfventi. Dalla pietra viene una
indubbia sensazione di solidità, di fermezza, ma è una
La «Settimana»
alle Valli
Questi gli incontri organizzati in occasione della Settimana di preghiera per l'unità
dei cristiani, che quest'anno
ha per tema il passo dì Apocalisse 21, 3: «Essi saranno i
suoi popoli ed egli sarà il Dio
con loro».
1° circuito: mercoledì 20
gennaio si è tenuto un incontro di preghiera e riflessione
a Torre Pellice, ne! salone
delle Scuole mauriziane, con
la partecipazione del pastore
Gianni Genre e del parroco
don Armando Girardi.
2° circuito: venerdì 22 gennaio alle ore 20,30 si tiene
un incontro interconfessionale nella chiesa cattolica di
San Lazzaro a Pinerolo.
3° circuito: lunedì 25 gennaio, alle ore 20,30, nella
chiesa dell'Oratorio (ex Salesiani) in via Roma a Perosa
Argentina, si terrà un incontro di preghiera e riflessione;
da parte valdese interviene il
candidato al ministero pastorale Errianuelé Fiume.
immagine pericolosa perché
suscita anche l’idea di freddezza, di immobilità, di durezza. Ciò non accade nel testo citato, perché all’immagine della pietra è associato
l’attributo «viventi», con tutto quello che la vita significa:
mobilità, fecondità, capacità
di relazionarsi con gli altri. È
di queste pietre che è composta l’autentica comunità cristiana, la casa spirituale, che
non vuol dire invisibile o immateriale, bensì abitata dallo
Spirito di Dio che dà all’edificio e alle pietre che lo compongono la loro vitalità.
Nella seconda parte del suo
intervento. Martini indicava
che questa realtà di chiesa locale si realizza nelle persone,
nelle istituzioni e opere, nelle
tradizioni locali, nella memoria storica, nella cultura e
nell’arte. E qui non sono
mancati riferimenti ai rapporti con la presenza valdese nel
territorio, vista nell’ottica di
un sano pluralismo ecumenico (monsignor Martini non ha
mancato di segnalare che la
sua diocesi milanese non segue il «rito romano» ma il
«rito ambrosiano», con calendario, libri liturgici, canti particolari segno della possibilità
di pluralismo anche nel cattolicesimo romano).
E singolare che proprio da
un vescovado nato per far
fronte, nel ’700, all’«eresia»
valdese sia partito il movimento per un’impostazione
più fraterna dei preliminari e
della celebrazione del matrimonio fra sposi di diversa
confessione, prassi instaurata
nella diocesi di Pinerolo (guidata allora da monsignor Giachetti) che ha dato luogo, dopo alcuni anni, alla nascita del
Testo comune sulle questioni
matrimoniali, approvato dal
Sinodo valdese e dalla Conferenza episcopale italiana. Auguriamo alla Chiesa cattolica
pinerolese di continuare, sotto
la guida del nuovo vescovo
monsignor Debernardi, su
questo cammino ispirato alla
ricerca della fedeltà biblica,
della carità cristiana e della
fraternità ecumenica.
Un racconto per bambini pubblicato in una collana bilingue
^aquilotto che ha paura dì volare
Nella collana «L’aiguiot»
delle edizioni Kalenda Maia,
curate da Vera Cognazzo, è
uscito il primo volumetto di
una serie di racconti per fanciulli. Questo primo volume,
intitolato Paura di volare,
inaugura una collana destinata a valorizzare la parlata occitana ed è bilingue: italiano e
occitano. In questo caso abbiamo il testo occitano nella
variante della parlata di Bobbio Pellice, una delle più arcaiche e conservative della
vai Pellice. L’introduzione è
di Giovanni Baridon, uno dei
nostri maggiori esperti in bubiarèl.
Il racconto è semplice e destinato a bambini della prima
infanzia. È la storia di un
aquilotto che ha paura di lanciarsi nel vuoto sull’esempio
La Foresteria Valdese
di Torre Pellice
cerca
n 1 cuoco/a
a 1 addetto/a alla sala*
n 1 addetto/a alla ricezione
e segreteria*
*per queste mansioni è richiesta buona conoscenza di
almeno 2 lingue (tedesco ed inglese)
Per maggiori informazioni telefonare al
n. 0121-91801 nei giorni lavorativi dalle 8,30 alle
12,30 entro il 23 gennaio 1999.
Il trattamento dei dati personali si svolgerà in conformità della legge 675/96
dei suoi genitori. L’edizione
si presenta elegantemente in
25 pagine, è riccamente illustrata da Massimiliano Mocchia di Coggiola e in appendice riporta un glossario dei
termini occitani più difficili
da interpretare, una pagina di
«notizie sull’aquila reale» e
una pagina che illustra che
cos’è rOccitania.
E da incoraggiare questa
iniziativa atta a valorizzare la
nostra parlata occitana che
non va dimenticata: ci auguriamo che presto si vedano altri racconti tradotti nelle varianti più arcaiche delle nostre parlate valligiane, come
quella della più alta vai d’Angrogna o come le parlate di
Massello e Riclaretto.
CONCISTORI — Alle
15 di domenica 24 gennaio,
al tempio di Pinerolo, incontro dei Concistori delle
Valli su «Le discipline vaidesi»; relazione del pastore
Franco Becchino.
INCONTRO PASTORALE I DISTRETTO —
Martedì 26 gennaio, alle
9,15, si svolge a Pinerolo
rincontro pastorale del I distretto con meditazione a
cura di G. Crucitti, introduzione di C. Pasquet su «Chi
ha paura nelle valli valdesi
della New Age?».
ASSEMBLEA DEL 3”
CIRCUITO — Venerdì 29
gennaio alle 20,30 si svolgerà a Pomaretto l’assemblea del 3° circuito su «Situazione morale e teologica
delle chiese del 3° circuito».
BOBBIO PELLICE —
Domenica 24 gennaio culto
animato dai catecumeni; al
pomeriggio incontro dell’
Unione femminile. Riunione quartierale all’Inverso
martedì 26 gennaio alle 20.
LUSERNA SAN GIOVANNI — Riunioni quartierali: venerdì 22 gennaio
agli Airali, lunedì 25 a Bricherasio, martedì 26 alle
Vigne. Il Gruppo donne insieme si ritrova venerdì 22
gennaio alle 20,45 al presbiterio.
PERRERO-MANIGLIA — Incontro dell’Unione femminile lunedì 25
gennaio alle 14,30.
PINEROLO — Venerdì
22 alle 20,30 incontro interconfessionale per la Settimana di preghiera per 1’
unità dei cristiani nella chiesa cattolica di San Lazzaro.
POMARETTO — Riunioni quartierali: venerdì 22
ai Maurini alle 20,30, venerdì 29 a Perosa alle ore
20.30. Lunedi 25 gennaio
alle 20,30 all’oratorio di via
Roma incontro ecumenico
per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
PRAMOLLO — Domenica 24 gennaio culto a cura
della scuola domenicale,
con predicazione del pastore Luciano Deodato.
PRAROSTINO — Alle
9 culto al Roc, alle 10,30 a
Roccapiatta, con colletta
devoluta alla Mis.sione contro la lebbra.
SAN SECONDO — Riunione quartierale a Brusiti
mercoledì 27 gennaio alle
20.30.
TORRE PELLICE —
Riunioni quartierali: martedì 26 gennaio alla borgata
Simound, mercoledì 27 a
Bouissa.
VILLAR PELLICE —
Riunioni quartierali: venerdì 22 ai Ciarmis, lunedì
25 a Piantà, venerdì 29 al
Serre. Sabato 30 gennaio alle 21 nel tempio «Jacopo
Ognissanti e le tigri di
Mompracen», lettura teatrale da un testo di Lorenzo
Vitali, sulla vicenda di un
ragazzo nella Resistenza alle valli valdesi; regia e voce
recitante di Fabrizio Dardo.
Per la
pubblicità
su
tei. 0121-323422, fax 0121- 323831
10
PAG. IV
— E Eco Delle Aàlli "^.ldesi
venerdì 22 GENNAIO 1999
V
E uscito l'ultimo libro di Ugo Flavio Piton
«Per pà eisublià»
FEDERICA TOURN
In questi ultimi anni sembrano abbondare in modo
particolare le biografie, i diari, i ricordi della guerra partigiana sulle nostre montagne: a
diversi livelli è rifiorito un interesse diffuso per quel periodo della nostra storia, e così si
spazia dalle memorie degli ex
partigiani alle ricerche e alle
mostre affrontate dalle scuole,
in un lavoro che vede collaborare i testimoni diretti con le
nuove generazioni. Lo scopo
è sempre lo stesso: non dimenticare, perché è soltanto
nello sforzo di un onesto ripercorrere il passato che si
può fondare un costruttivo
presente e futuro democratico.
Ecco, quindi, che Tultimo
libro di Ugo Flavio Piton si
intitola proprio «Per pà eisublià» {per non dimenticare).
Affinché i giovani sappiano e
gli anziani ricordino* e riprende episodi di alcune pagine di storia partigiana delle
nostre valli. Piton illustra innanzitutto le testimonianze di
alcuni dei protagonisti della
Resistenza, a cominciare da
Gustavo Malan con l’esperienza del Pioniere e Bartolomeo Long (Miccou), vicecomandante della brigata «Jervis». Segue il diario di prigionia dell’autore, inedito,
che copre il periodo dall’ottobre 1943, quando Piton insieme ai suoi compagni si
trovava nella base navale di
Stampalia nell’Egeo, fino alla Liberazione del maggio
1945, con il resoconto del
tormentato peregrinare dal
mar Egeo al mare Baltico fino al ritorno a casa.
Concludono il volume i
diari e i ricordi del trombettiere Edoardo Storero di Pinasca, del portaordini Francesco
Severino Talmon di Roure,
dell’intendente della brigata
«Jervis» Emilio Travers (Mite) di Pramollo, e di molti altri. Nel complesso un lavoro
interessante, che include anche diverse fotografie e cartine, basato in gran parte sulle
fonti orali, lodevole nelle intenzioni. Peccato che non eviti qualche ripetuto errore nella grafia dei nomi e anche, a
detta dell’ex staffetta partigiana di San Germano Lilia
Jahier, qualche inesattezza
nel racconto degli avvenimenti.
HOCKEY GHIACCIO
La peggior Valpellice Sparea del campionato ha affrontato
l’ultimo incontro della prima fase della serie A2 di hockey ghiaccio con lo Zoldo uscendo battuta per 11-3. In questo modo la Valpe si è trovata nella seconda fase nel girone con Val Venosta, Como e Asiago. Senza fortuna il Valpellice Sparea nell’esordio in
trasferta della seconda fase della serie A2 di hockey su ghiaccio;
opposti alla favorita per la promozione in Al Val Venosta, i piemontesi hanno retto per 30’ sullo 0-0 grazie sopratutto alla grandi
parate di Rossi, ma, una volta passati in svantaggio per 0-2, hanno
saputo anche agguantare il pareggio prima della fine del secondo
tempo. E finita 3-2.
PALLAVOLO
(*) Ugo Flavio Piton: «Per
pà eisublià» (per non dimenticare). Affinché i giovani sappiano e gli anziani ricordino.
Grafica Valchisone, Perosa Argentina, 1998.
Piton nel 1921 era in Marina
Continua il momento difficile per il Magic Cerutti in B1 femminile: le pinerolesi sono state battute per 3- a Modena e sono
terz’ultimp. Bene invece il Body Cisco che in B2 maschile supera
per 3-0 il Sant’Anna ancora a digiuno di vittorie. Sono ripresi, dopo la pausa natalizia, i campionati minori di pallavolo: in V divisione femminile successo al tie break della formazione del 3S di
Mario Picotto contro il Vbc volley Pinerolo guidato da Monica
Vaschette. Fra le allieve il Biesse ha superato il 3S per 3-0; con
uguali punteggi hanno perso le ragazze del 3S ad opera dell’Avis
Cafasse, le juniores, col Chieri e gli junior con l’Arti e mestieri.
La stessa squadra, nella categoria ragazzi ha superato il 3S per 3l. Nel torneo Baudrino guida la classifica il Villafranca Rotoflex
con 19 punti davanti al Volley Cavour 16, al 3S Pinerolo 14, Pablo Neruda 11, Volley La Torre 3 e Villafranca Junior 0.
CAMPIONATI DI CROSS
Buoni risultati per gli atleti del gmppo sportivo Pomaretto nella
prima prova del campionato Uisp di cross svoltasi domenica alla
Colletta: Patrik Pascal ha vinto fra i ragazzi, Andrea Barrai fra gli
allievi, Ivana Roberto ira le juniores; 2° e 3° posto per Francesca
Ferrerò e Monica Ghigo fra le ragazze, 3° e 4” per Lara Ribet ed
Elena Roberto fra le cadette, 4° per Federico Ribet fra gli esordienti e 16° per Cristiano Micol fra le promesse.
PALLAMANO
Settimana ricca di soddisfazioni per il 3S Pinerolo; a livello
giovanile (che è il settore su cui si concentrano le attenzioni della
società) è stato ottenuto un importante successo, per 16-15
nell’under 16 e un brillante pareggio, 22-22, nell’under 19.
L’under 16 ha affrontato il Regio Parco restando in vantaggio
per tutto l’incontro con 5 reti di Stefano Rivoira, 4 di Revel, 3 di
Polzella, 2 di Bues all’esordio e una di Pascal e Davide Rivoira.
L’under 19 ha affrontato la capolista Casale, accettandone il ritmo elevato senza cedimenti atletici; la gara è sempre stata in bilico fino al pareggio finale. Sugli scudi Rosso (7 reti), Contadin e
Laddomada (6). Le prossime partite vedranno la serie C in casa il
24 gennaio alle 11,30 a Pinerolo, l’under 16 a Rivalla giovedì
25 e r under 19 a Pinerolo il 31 gennaio col Derthona.
Un pieghevole dedicato ai sentieri nei dintorni di Villar Perosa
Itinerari «A passo d^uomo»
A Pinerolo
MILENA MARTINAT
A passo d’uomo. Fino a
qualche decennio fa le
distanze sull’arco alpino erano misurate in base al tempo
di percorrenza non con i mezzi a motore ma secondo il
passo dell’uomo. Oggi l’andare «a passo d’uomo» ha assunto prevalentemente il significato di andare lentamente mentre rappresenta meno il
senso del camminare quotidiano. «A passo d’uomo» è
anche il titolo di un simpatico
pieghevole di itinerari da percorrere a piedi o in bicicletta
nei boschi di Villar Perosa.
Un albero di mele che cammina disegnato sulla prima
pagina stimola la curiosità di
leggerlo e di ammirare le fotografie riportate. Ogni percorso è descritto con cura sia
per coloro che lo percorrono
a piedi sia per coloro che utilizzano la bicicletta da montagna. Sul territorio si può seguire la segnaletica rossa
tracciata su alberi, pietre o su
paletti di legno alti mezzo
metro piantati nel terreno.
Far rivivere sentieri che
hanno visto il passaggio di generazioni e generazioni di persone, recuperare il patrimonio
storico-culturale di una zona
di mezza montagna che ha subito lo spopolamento delle
borgate più alte, valorizzarne
l’aspetto naturalistico: sono
queste le motivazioni che hanno guidato Luca Aimetti nell’ideazione del pieghevole.
«Negli anni, andando in giro
per i sentieri di Villar Perosa
- dice Aimetti - mi appuntavo i bivi, le case, i sentieri che
terminavano nei boschi, descrivevo i passaggi. Mi sono
creato una cartina con una re
te di sentieri che di mese in
mese cresceva. Prendevo questi appunti quando non pensavo ancora al pieghevole, scrivevo per non dimenticare il
sentiero e la passeggiata che
avevo fatto quel giorno: questo perché non esiste più una
cartografia aggiornata dei
sentieri di bassa valle».
Un anno e mezzo fa è nata
l’idea del pieghevole; Luca
Aimetti l’ha proposta al
Gruppo di iniziativa culturale
per Villar Perosa che l’ha accettata. È così iniziato il lavoro, la stampa è stata curata da
Sergio Bonino, le spese coperte dal Comune di Villar
Perosa, i percorsi rivisti insieme da Aimetti e Bonino. Da
un me.se il pieghevole è visibile: molto colorato e chiaro
nelle spiegazioni, ma soprattutto plastificato «perché possa essere un compagno di
viaggio da tenere nello zaino
e non si rovini con l’umidità
o la pioggia» dice Aimetti.
Sono descritti 19 sentieri, 3
itinerari ad anello, indicati 9
percorsi su strade sterrate e 6
su carrozzabili asfaltate.
Ora i sentieri sono segnati,
la più parte è percorribile tutto l’anno (si va dai 500 ai
1.050 metri di quota) consentono di andare in giro agevolmente a piedi o con l’aiuto di
sci, di racchette da neve o con
la bici da montagna. Ma questi sentieri, essendo di media
quota, hanno bisogno, per
mantenersi fruibili e ospitali,
della nostra attenzione e di
manutenzione per eliminare
eventuali rami, erbe o rovi
che renderebbero difficoltoso
il passaggio. Per questo la
proposta dei creatori del progetto è che persone singole,
famiglie o associazioni si
prendano cura di un sentiero
che sarà loro affidato a scadenza annuale. Il pieghevole
è distribuito gratuitamente
dalla biblioteca comunale di
Villar Perosa: «Uno strumento che consente di andare in
giro - dice Luca Airnetti ma speriamo sia anche un
punto di partenza per altre attività». A passo d’uomo possiamo partire alla scoperta
delle borgate, delle miande,
dei bo.schi di Villar Perosa.
Una rassegna
teatrale
per i piccoli
Ritorna a Pinerolo «Di festa teatrando», l’appuntamento con il teatro dedicato ai
giovanissimi da Nonsoloteatro. Teatro in cantiere e La
terra galleggiante. La rassegna, promossa dal Comune
da quattro anni, aveva come
scopo la creazione di momenti di divertimento e aggregazione familiare oltre le
trasmissioni televisive. Il
successo delle precedenti edizioni ha portato alla sua riproposta anche quest’anno.
Cambia la sede che è ora il
teatro Incontro di via Caprilli; gli spettacoli iniziano alle
16, la sala apre alle 15,30.
Prevendita biglietti (posto
unico 6.000 lire) la mattina
dello spettacolo dalle 11 alle
12. La rassegna, iniziata il 10
gennaio prosegue ogni domenica fino al 21 febbraio;
nell’ordine si alterneranno
Instabile Quick con «Zorba il
gatto», Sinequanon nel
«Principe ranocchio», il Teatro del rimbalzo in «E la luna
sorrise», Assondelli Stecchettoni con «Cappuccetti rossi»,
il Teatro bolognese di Romano Danielli con «Il bastone
magico». Zorba e il gatto, lo
spettacolo di domenica prossima, si ispira alla «Storia di
una gabbianella e del gatto
che le insegnò a volare» di
Luis Sepulveda. Il gatto qui
fatica molto a mantenere la
promessa di aiutare la gabbianella a crescere: è un fatto
contro natura e che lo espone
al rischio del ridicolo verso
gli altri gatti. Zorba riuscirà
comunque a diventare adulto
e consapevole.
21 gennaio, giovedì
PINEROLO: Alle 20,45, al
teatro Incontro, per la stagione
di prosa, va in scena «Il riformatore del mondo» di Th.
Bernhard. Ingresso £ 34.000.
Prevendita libreria Volare.
TORRE PELLICE: Alle
ore 15,30, alla Casa valdese,
rUnitrè organizza un concerto
con Daniela Catalano, soprano, Patrizia Manzo, soprano,
Maurizio Spinelli, basso baritono, Roberto Santocchi, pianoforte; verranno proposti brani di Mozart, Rossini, Strauss
e Verdi.
PINEROLO: Per il Cinefórum, alle 20,45, al cinema Italia proiezione del film «L’età
inquieta» di B. Dumont.
22 gennaio, venerdì
PINEROLO: Nella chiesa
di San Giuseppe alle 21 concerto per arpa e violoncello
con Nicola Mosca.
23 gennaio, sabato
TORRE PELLICE: Alle
ore 21, al teatro del Forte, concerto del Quintetto di percussioni dell’Orchestra sinfonica
nazionale della Rai. Musiche
di Carter, Bianchini, Reich,
Peck, Thomas e Bernstein.
PINEROLO: Alle 14,30,
all’auditorium del Liceo scientifico, assemblea pubblica sul
problema lavoro e disoccupazione. Fra i promotori Alp, Arci, Rifondazione comunista.
Comunità di base. Radio
Beckwith.
24 gennaio, domenica
PINEROLO: Al teatro Incontro, alle 16, la compagnia
«Instabile Quick» presenta
«Zorba il gatto», nell’ambito
della rassegna «Di festa teatrando». Ingresso lire 6.000.
TORINO: Al tempio valdese, alle 17,30, Matteo Riboldi
all’organo presenta musiche di
Krebs, Scheidt, Sweelink.
28 gennaio, giovedì
PINEROLO: Per il Cinefo
rum, alle 20,45, al cinema Italia proiezione di «L’albero
delle pere» di F. Archibugi.
TORRE PELLICE: Alla
biblioteca della Casa valdese,
alle 15,30, concerto con Frida
Corrado al piano, musiche di
Schumann, Chopin, Debussy.
29 gennaio, venerdì
TORRE PELLICE: Alle
21, alla Bottega del possibile
l’Associazione pace organizza
una serata sul tema: «Un volto
per la vita; mai più donne sfigurate in Bangladesh». Intervengono il dott. Silvio Falco,
direttore sanitario degli ospedali valdesi di Pomaretto e
Torre Pellice, Michele Romano, direttore della Ong «Cooperazione intemazionale» (Coopi) di Milano, Renata Pisu,
inviata de «La Repubblica».
PINEROLO: Alle 20,45 al
teatro Incontro va in scena «Il
mercante di Venezia» di
Shakespeare. £ 34.000. Prevendita alla libreria Volare.
PINEROLO: Per i «venerdì
del Corelli», alle 21, nella
chiesa di San Giuseppe, concerto del Quintetto Reichs.
Musiche di Mozart, Reichs,
Ibert, Zemlinskij, Mendelssohn. Ingresso libero.
BOBBIO PELLICE: Alle
20,45, nella sala valdese, si
tiene un incontro sul tema:
«La famiglia tra il disagio e
l’indifferenza. Le risorse»,
promosso dalle associazioni
Arcobaleno e Acat Val Pellice-Club degli alcolisti in trattamento.
30 gennaio, sabato
PEROSA ARGENTINA
— Alle 16,30, nella sede della
Comunità montana in via Roma 22, il Centro culturale valdese di Torre Pellice organizza
un incontro con Claudio Tron
che introdurrà il libro di Maria
Luisa Gariglio Genre «La balmo d’Arman».
VALLI
CHISONE • GERMANASCA
Guardia medica:
notturna, prefestiva, festiva:
telefono 167-233111
Guardia farmaceutica:
(turni festivi con orario 8-22)
DOMENiCA 24 GENNAiO
Viiiar Perosa: Farmacia De
Paoli - via Naz. 29, tei. 51017
Ambulanze:
Croce Verde, Perosa: tei. 81000
Croce Verde, Porte : tei. 201454
VAL PELLICE
Guardia medica:
notturna, prefestiva, festiva:
telefono 167-233111
PINEROLO
Guardia medica:
notturna, prefestiva, festiva:
Ospedale civile, tei. 167-233111
Ambulanza:
Croce Verde, tei. 322664
SERVIZIO INFERMIERISTICO
dalle ore 8 alle 17, presso le
sedi dei distretti.
SERVIZIO ELIAMBULANZA
telefono 118
Cinema
TORRE PELLICE — Il
cinema Trento ha in programma, giovedì 21 e venerdì 22,
ore 21,15, He got game di
Speke Lee; sabato 23, ore 20 e
22,15, domenica ore 15,15,
17,45, 20, e 22,15, lunedì e
martedì ore 21,15, La maschera di Zorro.
BARGE — Il cinema Comunale propone, venerdì alle
ore 21, Piccoli maestri; sabato, ore 21, La cena; domenica, ore 15, 17, 19, 21, lunedì,
martedì, mercoledì, giovedì,
ore 21 Così è la vita.
)PORT
TORNEO DI CALCETTO — Il 3S organizza un
torneo di calcetto a cinque
nel periodo febbraio-marzo; è
prevista la partecipazione di
otto squadre che concorreranno per la conquista del trofeo
«Pizzeria Borgo antico». Gli
incontri, nella palestra di Liiserna, si disputeranno nei fine settimana; informazioni in
palestra fra le 15 e le 19 dal
lunedì al venerdì.
TENNIS TAVOLO —
Prima giornata di ritorno per i
campionati; in CI il Valpellice non si lascia sfuggire la
vittoria superando per 5-0 il
Tennis tavolo Torino grazie a
Gay, Malano e Rosso. Ha
vinto anche la squadra di C2
che grazie a 3 punti di Maurizio Migliore e 2 di Sergio
Ghiri ha superato il Ciriè per
5-3; perde invece la DI ad
opera del Sisport Fiat: un
punto a testa per Battaglia,
Picchi e Girardon non sono
sufficienti. Lunedì 25 gennaio
a Torre Pellice, ore 20,30,
derby in D2 fra la squadra A
del Valpellice, prima in classifica e la B, ultima.
L’Eco Delle Valli Valdesi
Via Pio V, 15 -10125 Torino
Tel. 011/655278
Sped. in abb. post./50
Pubblicazione unitaria con Riforma
non può essere venduto separatamente
Reg. Tribunale di Pinerolo n. 175/60
Resp. Franco Giampiccoli
Stampa; La Qhisleriana Mondovì
Una copia L. 2.000
labwe)
rtui
jcalpé
(0, il ti
1 chies
Guardia farmaceutica;
(turni festivi con orario 8-22)
DOMENICA 24 GENNAIO
Luserna San Giovanni: Farmacia Savelloni - Via Slancio
4 - (Luserna Alta), tei. 900223
Ambulanze:
CRI - Torre Pellice, tei. 953355
Croce V. - Bricherasio, tei. 598790
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,abwe) dal 3 al 14 dicembre 1998
f tutti i credenti
icalpestati e il debito internazionale
50^ a rapporto con la Chiesa cattolica
yia chiesa, andare gli uni
Lo gli altri, imparare, testijoniare, vivere la solidarietà,
^singole manifestazioni
«viste erano 349, che sono
Lntate 586 per il fatto che
jpune sono state ripetute in
iìimomenti... Non ho il
(Ulto di quelle che si sono
«¡unte aH'ultimo minuto.
%ta la contemporaneità di
ygste manifestazioni fra Ioli e in alcuni casi la contemoraneità con l’Assemblea
idtje, a meno di «tagliare»
pe sedute, era praticamentopossibile visitarne più di
la decina.
Tensioni
all'interno del Cec
IlCec si definisce fin dalla
la fondazione non una
lesa formata dalla somma
iJe varie chiese membro,
léima «superchiesa»; si dehisce una famiglia o una
¡aternità («fellowship») di
liiese, ciascuna delle quali è
¡conosciuta e accolta per
Cello che è, ed è aiutata a
ere insieme con le altre su
pabase di parità e di rispet0 reciproco. Può capitare
jie questa prospettiva talsita sia un po’ contraddetta
li fatti (accade nelle migliojfamiglie), e che vi sia qualhe tensione.
Non è un mistero per nesbo che le chiese ortodosse,
te già avevano fatto fatica a
(manere nel Cec (vi sono dal
(961) dopo l’Assemblea di
,anbetia, potessero venire
id Barare per comunicare la
brodecisione di abbandoto.Non è stato così. Prima
dteemblea, hanno lasciaailiec la Chiesa della Geori^uella bulgara; la Chiesa
sa ha inviato una rappresa poco impegnativa e
dichiarato che deciderà il
farsi dopo che una comSione paritetica, nominalall’Assemblea, avrà tracio delle linee di lavoro come (nell’arco di tre anni),
ìuesto non ha impedito
me^ di comunicazione iioni, che peraltro hanno
equinamente ignorato
ssemblea, come se un rabidi oltre 4.000 persone in
PPKsentanza di 500 milioni
fedenti fosse una sciocdi dire che la Chiesa
bossa russa, avendo abbonato il Cec dopo l’Asblea di Harare, si sta riav^do alla Chiesa cattoli,™dio 1, domenica 3 genJ). Su questo tornerò più
®per ora vorrei continua
Iparlare di questo problemrtodosso». Che esiste,
b è vero che i delegati
bsetnblea avevano ricepreparazione un opu®di oltre 170 pagine intia «Riflessioni ortodosse
per Harare»; inoltre
®ase di aprile rappresen■di Varie chiese ortodosse
tenuto un loro inb a Salonicco per con»eil da farsi.
Problema ortodosso
b è dunque questo «proOrtodosso»? Tanto per
Sciare non è un proble^odosso, ma un probleb Cec nella sua totalità,
posto principalmenortodossi; ma bisogna
come di un proble* lotti, altrimenti si san'®si incoraggia, anche
^ punto di vista linguijohe una cosa è il Cec,
chiese ortodosse,
^giia tenere presente
^0 cose sono cambiate
®Oo cambiando all’in„«eH’ortodossia, e che
^Cambiamenti hanno le
percussioni sul piano
btico. Per esempio, far
parte del Cec a partire dagli
Anni 60 ha aiutato le chiese
ortodosse, schiacciate da regimi oppressivi, a non sentirsi sole. Il crollo dei muri ha
contribuito a far sentire di
meno questa necessità; e
l’invasione pseudoevangelizzatrice e proselitistica di sette di lontana matrice protestante, che sono andate ad
allargare i loro «mercati» così
come in campo economico
hanno fatto le multinazionali, ha offeso la sensibilità ortodossa... che a livello istituzionale-organizzativo-economico ha avuto anche dei
problemi con la Chiesa cattolica. A ciò va aggiunto che
si deve tenere conto di pressioni interne a quelle chiese,
talvolta piuttosto forti, tra
conservatori e innovatori.
In secondo luogo, le chiese
ortodosse lamentano giustamente di sentirsi sottorappresentate negli organismi
responsabili del Cec. Facendo il conto dei credenti, i 500
milioni che fanno capo al
Cec si dividono grosso modo
in due fette uguali, una ortodossa, l’altra evangelica in
senso ampio (comprendendo anche gli anglicani), ma la
struttura unitaria (nei vari
paesi) delle chiese ortodosse
e quella assai frammentata
delle chiese protestanti fanno sì che gli organismi responsabili, costituiti per rappresentanza di chiese, diano
molto più spazio ai protestanti, emarginando di fatto
gli ortodossi e riducendo il
peso del loro contributo nei
momenti decisionali.
In terzo luogo, non bisogna
tacere che vi sono questioni
teologiche, ecclesiologiche
ed etiche sulle quali ci si trova su due fronti. Per esempio
gli ortodossi non digeriscono
la «riscrittura» della Bibbia
col linguaggio inclusivo, si
oppongono alla parificazione
fra uomini e donne nell’esercizio dei ministeri; dissentono fortemente dalle aperture
che molte chiese evangeliche
mostrano nei confronti degli
omosessuali sostenendo che
queste, anziché offrire alla
società una propria visione
etica radicata nel messaggio
cristiano, fanno proprie visioni etiche dell’Occidente
moderno e trovano il modo
di verniciarle di cristianesimo. Quest’ultima critica viene anche da ambienti che ortodossi non sono.
Sono critiche serie, che obbligano all’ascolto, che richiedono pazienza, apertura,
riflessione; non si possono liquidare come visioni sorpassate. Appunto su queste (e altre) questioni la commissione
paritetica di cui dicevo prima
deve occuparsi e produrre
delle piste di riflessione nello
spazio di tre anni. È troppo
chiedere di non stare solo a
guardare ma di riflettere anche noi, nelle nostre piccole
realtà locali, su questi temi?
La composizione del
nuovo Comitato centrale
Il Comitato centrale del
Cec è composto da 150 persone. Preparare la lista da
proporre al voto dell’Assemblea ha richiesto enorme saggezza, pazienza e disponibilità da parte della Commissione incaricata. Essa ha dovuto compiere una vera e
propria operazione (tutt’altro
che facile) di ingegneria ecumenica per riuscire a comporre la lista in modo che si
sentissero adeguatamente
rappresentati uomini e donne, giovani e non, laici e ministri, ortodossi e protestanti
e anglicani, asiatici e americani e africani e così via (per
Intervento di una delegata durante una seduta plenaria
le cifre vedi riquadro qui sotto). Gli ortodossi hanno raddoppiato (più o meno) la loro
rappresentanza, e sono la
chiesa più rappresentata in
assoluto con il 24,6%. Questo
non risolve tutti i problemi,
ma facilita la soluzione. Va riconosciuto che più voci ortodosse si sono levate nel corso
dell’Assemblea, sia per esprimere il proprio disagio per
le ragioni sopra descritte, sia
per dire a chiare lettere il
proprio desiderio di non
rompere il rapporto col Cec.
Dov'è il centro?
Accennavo alla «lettura italiana» della posizione assunta
dalla Chiesa ortodossa russa.
Questa lettura denuncia resistenza di una mentalità radicata nel nostro paese e ancora
dura a morire, malgrado gli
sforzi sinceri e costruttivi di
molti cattolici; la mentalità
secondo cui le scelte di una
chiesa si valutano in base alla
sua tendenza ad «avvicinarsi»
alla Chiesa cattolica o ad allontanarsene. Il centro, dunque, nell’immaginario collettivo, è radicatamente Roma.
Lo dico con libertà e sofferenza, sapendo che molti cattolici non condividono questa visione e fanno il loro possibile
perché l’impostazione sia
un’altra. Ma l’impresa è difficile; e non è facilitata dai massimi vertici cattolici.
La Chiesa cattolica era rappresentata all’Assemblea con
una delegazione di 23 perso
ne, guidate dal vescovo di
Aberdeen, Mario Conti. Il papa ha inviato all’Assemblea
un messaggio di saluto, felicitandosi per il «giubileo» (diciamo il cinquantenario) del
Cec, ma non perdendo occasione per riferirsi ad un altro
Giubileo, quello del 2000, definendolo «un’occasione particolare per tutti i cristiani di
dare una concreta testimonianza comune». In questa
prospettiva, l’incontro di Harare diventa, nelle parole del
papa, un’«occasione per ringraziare il Signore per il cammino verso il Grande Giubileo del 2000».
Per la sincerità ecumenica,
non si possono tacere due
cose; 1) nessuno si è mai sognato, in ambito protestante
o ortodosso, di considerare
l’Assemblea di Harare una
tappa verso il Grande Giubileo. 2) è assai discutibile che
questo possa essere sentito
come il giubileo «di tutti i
cristiani» e non si facilita
questo sentimento quando
nella Bolla «Incarnationis
mysterium» si rispolvera una
proposta indulgenziale che
non tiene nel più piccolo
conto le problematiche che
hanno scosso la cristianità
del XVI secolo...
Il rapporto
con la Chiesa cattolica
A questo punto va spesa
una parola su questo tema. È
noto che la Chiesa cattolica.
Il nuovo Comitato centrale
Composizione del nuovo Comitato centrale
donne; 39,4%
giovani; 14,7%
laici; 43,3%
Rappresentazione per famiglie di chiese
ortodossi; 24,6%
riformati: 22%
anglicani: 10%
metodisti: 10%
luterani: 8,6%
battisti: 4,7% ,
chiese pentecostali, chiese Indipeiidenti africane,
chiese libere, altre denominazioni e chiese unite
o in via di unione: 6,7% ognuna.
Ripartizione per regione
Europa: 27 membri
Africa: 24 membri
Asia: 24 membri
Nord America: 22 membri
America Latina: 6 membri
Caraibi: 4 membri
Medio Oriente: 1 membro
Pacifico: 5 membri
Onde evitare una soluzione di continuità nei programmi
e in altre attività particolari del Cec, l’Assemblea
ha rieletto 27 membri del Comitato centrale uscente.
dopo il Concilio Vaticano II,
si è impegnata a fondo nell’ecumenismo, e che considera irreversibile questo impegno. Per ciò che riguarda il
Cec, del quale non fa parte,
va detto che essa collabora da
gran tempo (1968) al lavoro
della sezione «Fede e costituzione», e che la sua collaborazione si è sempre andata ampliando, con vantaggio di tutti. Un gruppo di lavoro congiunto è all’opera da tempo,
e poco prima dell’Assemblea
di Harare ha pubblicato un
Rapporto, ricevuto dall’Assemblea, nel quale vengono
messi in evidenza alcuni problemi che concernono la comunione fra le chiese (il riconoscimento del battesimo, la
disciplina dei matrimoni, la
partecipazione cattolica come membro di pieno diritto
in Consigli di chiese nazionali, le relazioni ecumeniche e il
loro impatto sulle discipline
ecclesiastiche): ed alcuni
problemi su cui occorre riflettere insieme (il fondamentalismo, il posto delle
donne nella chiesa, la catechesi ecumenica).
Il Cec oltre il Cec
Nella sua relazione introduttiva, il segretario generale
denunciava l’eccessiva burocratizzazione e istituzionalizzazione del Cec; e il moderatore Aram poneva il problema
del «procedere insieme», che
è più che «stare e rimanere
insieme». L’Assemblea ha discusso e infine approvato la
proposta di andare un po’ al
di là del Cec, costituendo un
luogo d’incontro e di confronto fra chiese che superi
l’attuale situazione di stallo. Il
segretario generale, Konrad
Raiser, ha parlato di un «allargamento del tavolo ecumenico». Che cosa vuol dire? Confermando l’impegno verso il
Cec e la sua composizione attuale, l’Assemblea ha votato
la costituzione di un «Forum»
dove, per dirla in termini protestanti, l’avvenimento prevalga sull’istituzione.
Il Forum è il luogo dove le
chiese membro del Cec (e il
Cec stesso) possono incontrarsi con chiese che per vari
motivi non possono o non
desiderano far parte del Cec
(ortodossi, evangelicali. Chiesa cattolica). Luogo di incontro e di riflessione, dunque, in
cui si spera di incontrarsi nella libertà dello Spirito e cercare insieme le vie dell’ubbidienza. Esso dovrà essere il
meno burocratico possibile e
dotarsi di una modesta organizzazione che serva a farlo
funzionare e non diventi fine
a se stessa. Ogni chiesa dovrà
verificare in che modo e fino
© (Foto Chris Black/WCC)
a che punto si sente invogliata e coinvolta in questo tipo
di collaborazione e di confronto. Ci riuscirà? O non sarà
un’istituzione che ne afiìanca
un’altra?
Il messaggio conclusivo
È costume che Assemblee
come quella di Harare inviino alle chiese un messaggio,
per fare il punto, per indicare una strada, per proporre
obiettivi. Mi limito a riportare la parte finale del testo approvato;
«Noi desideriamo e attendiamo l’unità visibile del corpo di Cristo, riconoscendo i
doni di tutti: giovani e vecchi, uomini e donne, laici e
ministri.
Attendiamo la guarigione
della comunità umana,
l’integrità di tutta la creazione.
Noi crediamo nella forza liberatrice del perdono, che
trasforma l'ostilità in amicizia e spezza la spirale della violenza.
Ci sentiamo sfidati dalla visione di una chiesa capace
di raggiungere tutti, per
condividere, per curare, per
proclamare la buona notizia della redenzione di Dio:
una chiesa segno del regno
e serva del mondo.
Ci sentiamo sfidati dalla visione di una chiesa, popolo
di Dio che cammina insieme, malgrado ogni divisione di razza, genere, età,
cultura, lottando per realizzare la giustizia e la pace, promuovendo l’integrità
della creazione.
Camminiamo insieme come
un popolo che ha fede nella
risurrezione.
Tra le emarginazioni e la disperazione, noi abbracciamo, con gioia e con speranza, la promessa della vita
nella sua pienezza.
Noi camminiamo insieme come un popolo in preghiera.
Fra la confusione e la perdita
di identità, noi riconosciamo i segni del progetto di
Dio che si compie' e attendiamo la venuta del suo
Regno».
E qui veniamo al tema dell’Assemblea; «Tornare a Dio,
rallegrarsi nella speranza».
Forse l’ho poco evidenziato
in queste note, ma esso ha
permeato di sé tutti i lavori
dell’Assemblea, è riecheggiato nelle predicazioni. Si torna
a Dio e ci si rallegra nella speranza quando si riscopre la
possibilità di servirlo e di servirlo insieme, nei campi più
diversi della vita, dove la vita
tende a renderlo assente, dove egli con pazienza si fa strada. Anche per mezzo di noi.
12
PAG. 8 RIFORMA
iPECIALE ASSEM
VENERDÌ 22 GENNAIO n ^Ef
Nonostante la sua importanza mondiale, l'Assemblea di barare è stata praticamente ignorata dalla stampa italiai
L'Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese è stata anche un grande evento mediatili
PAOLO EMILIO LANDI
Lì ASSEMBLEA del ConsiI glio ecumenico delle
chiese (Cec) è un evento mediático importante, a cui prestano attenzione le agenzie di
stampa internazionali di tutto il mondo. Ma come tutti
gli eventi ha due forme di comunicazione, Luna consapevole e strutturata, l’altra estemporanea e imprevista. Le
due riflettono i due aspetti
della riunione di Harare.
Nella sala stampa
Nella sala stampa si mischiano (e spesso si scontrano e si intralciano) giornalisti
navigati e inviati di piccoli
giornali di chiesa. Quest’anno l’impegno dell’organizzazione (sperimentata a Graz
nel ’97) è stato certamente
più difficile. La struttura del
campus dell’Università non
offriva spazi e mezzi adeguati. Così nella sala stampa attrezzata solo di banchi e
qualche sediola, si sono dovuti portare i monitor per seguire la diretta delle plenarie
e i due soli computer disponibili (uno per lo staff, l’altro
per il collegamento Internet).
E poi i «pigeon Holes», le buche delle lettere nelle quali i
colleghi dei 4 continenti si
sono visti riversare quotidianamente tonnellate di carta,
almeno 3 kg a testa tra comunicati, bozze di documenti,
testi di discorsi da tenere o
già tenuti. Purtroppo l’informatizzazione non è ancora di
casa. C’è la giovane malgascia che scarica il suo dischetto con evidente soddisfazione e la più matura congolese che pretende di scrivere il suo articolo sul pc collegato, senza conoscerne
l’uso. C’è il malato telematico tedesco (il suo record: 2
ore al pc comune e una fila di
7 colleghi inferociti), c’è il
suo attempato conterraneo
dotato solo di penna. Insomma, le «mailing list» elettroniche funzionano (58 comunicati stampa) ma si viaggia
ancora su carta. Lì il cuore
della comunicazione consapevole e organizzata ha funzionato con britannica efficienza e cortesia.
Muoversi nella bolgia dell’Assemblea non è stato facile
per nessuno. L’impressione
era di trovarsi in un supermercato molto fornito ma
sparpagliato su un territorio
troppo ampio. La guida e il
passaparola hanno fatto la
differenza. Oltre ai supporti
logistici c’erano gli «steward»,
più di un centinaio, venuti da
tutto il mondo. Non era infrequente sentirsi chiedere; come posso aiutarla?
Le cerimonie
L’unità visibile dei cristiani
diventa visibile appunto, nelle cerimonie. Non solo la predicazione, la letture bibliche,
le preghiere sono state tenute
in molte lingue poco diffuse e
conosciute. Non solo gli inni
riflettevano la mondialità del
movimento ecumenico. Non
solo i volti dei 4.000 e più
partecipanti richiamavano
l’ecumenicità (ecumene =
tutta la terra) dell’Assemblea,
ma i simboli scelti, le azioni
comunicavano questa aspirazione all’unità dei cristiani.
Durante il culto iniziale alcuni delegati hanno portato sul
palco allestito nella grande
tenda piantata nel giardino
deH’università, strumenti
musicali dei loro paesi. Li
hanno mostrati sollevandoli
e poi li hanno depositati su
un altare. Ancora un simbolo: a braccia è stata portata
sul palco una grande croce in
legno, dove al posto del Cristo c’è il continente africano
(un po’ naif come simbolo,
ma pur sempre efficace). E
infine il logo dell’Assemblea,
una figura umana in pietra
pubblico ha accennato » i
che passo di danza. Lai // D3.
africana è esplosa. Due! ‘
hanno certo segnato eli QtOS.
mente la differenza trai '
lore africano e la compaji
e fredda Europa centralej_____^
presentata dagli orgaaj
direttivi del Cec. * T\ I ri
Ma, per uno scherzo dfr
imina-zirìnp Hi cala i'_ :
D
via
luminazione di sala, 1’ o^ha avuti
della testa di Mandela
il volto di Mugabe,
pare sui monitor coniep^
macchia nera e indistìn»! de Bert
le. Forse è questo il ^
«lato oscuro» del suopjj^to’‘®^^'
Uno dei momenti di musica africana durante una seduta pienaria
© (Foto Chris BlackA/VCC)
(la scultura è l’arte per eccellenza in Zimbabwe) con le
gambe e le braccia rivolte
verso il tronco, come se si
stesse per liberare dalle catene. Fin qui i simboli e i modi
di una comunicazione cosciente, costruita e meditata.
Ma l’Assemblea ha comunicato al di là della sua volontà,
e talvolta nonostante essa.
Musica e danze
L’Africa è danza, l’Africa è
musica, tamburi. Se ne sono
sentiti tanti durante le plenarie, soprattutto quella dedicata al continente che ci
ospita. In quell’occasione,
piuttosto che l’ennesima scarica di discorsi più o meno
ispirati, le chiese africane
hanno cercato la via del teatro per comunicare il dibattito sul futuro del continente.
Ma, difficoltà della comuni
cazione, hanno scelto di mischiare suoni e colori africani
con uno stile da teatro politico più di casa a Berlino e a
Mosca negli Anni 20 (e 60)
che da queste parti. Gli attori
che rappresentavano personaggi simbolicamente sociali
(il povero nero anziano, il
giovane irrequieto, il colonialista con tanto di cappellino
da esploratore, il banchiere
in completo grigio scuro, persino Gesù con capelli lunghi
e biondi) si aggiravano per la
sala spargendo proclami. Invece di essere sotto un grande baobab sembrava di trovarsi su una panca delle fabbriche di San Pietroburgo.
Fra i giornali locali soprattutto r«Herald» ha informato
quotidianamente sul Cec,
con articoli sempre più brevi
che assurgevano all’onore
della fotografia e della prima
pagina solo in occasione
dell’arrivo del Presidente, il
«soi disant» compagno (?)
Robert Mugabe. Nel suo discorso ha parlato soprattutto
della questione della ridistribuzione delle terre e del debito, due dei temi scottanti
nel paese. Ma il giornalista
non ha mancato di ritornare
più volte sui Padare (600 incontri organizzati autonomamente dalle chiese e dalle
Ong), sull’omosessualità nella chiesa, per criticare l’apertura del Cec su questo tema.
Nella colonna accanto figurava l’aggiornamento sul caso
Banana, l’ex presidente accusato e condannato di sodomia (è un reato penale indipendentemente dalla consensualità). Attualmente l’anziano ministro di culto è tornato dopo un viaggio non autorizzato in Sud Africa dove
ha incontrato Mandela. Forse
Mugabe, soddisfatto di averlo
distrutto politicamente, gli
eviterà la prigione.
Lo «show» di Mandela
Mandela è arrivato nell’ormai consueto bagno di folla a
fare il suo discorso all’Assemblea. Qui l’inatteso (ma non
troppo) show del vecchio leader ha coinvolto delegati e
partecipanti. La folla lo ha
stretto in un abbraccio soffocante. La gente gridava il suo
nome, cercava se non un
contatto, almeno una foto. E
il simbolo della via africana
alla soluzione dei conflitti
non ha mancato di comunicare la sua gioia sul palco.
Quando è riuscito a salire,
sorretto da due «steward»,
mentre un gruppo musicale
africano intonava un coro e
danzava, anche lui, spalle al
fortemente autocratico
ultime elezioni gli avversa
sono ritirati per protesta) fin^ontrc
entusiasti saluti del
tore dell’Assemblea, Ai «Anzi
trovano così il loro nati nerale '
bilaheiamento mediatj®® ®PP
Anche durante le Pleaf chinod(
l’Assemblea ba comuni(|h l5° C
nonostante tutto le divisi,
che la attraversano. ®
sul palco il vecchio Comi wsi
centrale del Cec cercai
ogni modo di attenuai. ^ ‘
forte contrasto tra lesuell®*^ ^
anime (quella protesta«
quella ortodossa), inplati,P®^>
sono alzati due oratorif
hanno mostrato visibilui
la differenza di punti di#
Il capo delegazione dì
chiesa ortodossa russai# ™’ ®
co in vestito d’ordinanza»,,, P®
- - ^ lebbra. '
ro) ha lanciato accuse a
(la vostra agenda noni
nostra), dall’altro capol
sala, in posizione casi
mente ma significativai# “ P’’®“*®
simmetrica, si alzava!
giovane pastora angli» ‘™®
(nera, con camicia blueì
rgyman) che quasi gridi
non di differenze culti#
teologiche si tratta, mai)
tere. L’Assemblea, coaii
cezione dei delegati oA
si, esplodeva in un appn
scrosciante. In questg
immagini stava il co
che ha sotteso l’inconi
Harare. Infine riprende
sta, le bandiere portai
ragazzi sommergono la
nel culto finale tutti pri
ciano il «recomittmeil
rinnovato impegno a
guire, nonostante tutto,
Secondo
Corsa contro
Konrad Raiser troppo tempo è stato dedicato «a cose secondarie e meno importarti
il tempo per approvare in fretta molte importanti risoluzii
ria?’
«Afféir
dipartìm
it^O”,
' ve la
'4, si 1
lasi tu
gno c
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iche gl
Iella siti
Itabile. r
ngo, I
nostri mi
no stati
non si ha
sionari ir
L’ultima seduta plenaria
dell’Assemblea si è svolta il
14 dicembre. Con molto ritardo sul calendario, i delegati hanno esaminato in fretta e
approvato, senza discussione
o dopo un breve dibattito, diversi ordini del giorno. Sono
state così adottate risoluzioni
sul debito mondiale, sulla
globalizzazione, sullo statuto
di Gerusalemme, sui bambini
soldati e sui diritti della persona. L’Assemblea ha inoltre
approvato il «messaggio conclusivo», nonché direttive di
orientamento generale e
priorità per i prossimi sette
anni. Infine è stato approvato
un progetto per dare seguito
al Decennio di solidarietà
con le donne.
Si è tuttavia trovato il tempo per approvare una mozione presentata da un delegato
della Chiesa mennonita di
Germania che chiedeva di
considerare gli anni 20002010 come il «Decennio: vincere la violenza».
La decisione più contestata
dell’ultimo giorno dell’Assemblea è stata l’elezione del
collegio presidenziale del
Cec: sei uomini e soltanto
due donne, nonostante l’obiettivo del Decennio di aumentare la partecipazione
delle donne nelle strutture
ecclesiastiche. Diversi delegati hanno criticato la lista
sproporzionata dei candidati.
Lennart Henriksson, della
Chiesa della convenzione
Intervento in plenaria della pastora Beatrice Y. Wood
missionaria di Svezia, ha dichiarato con rabbia che i
«magri risultati ottenuti dalle
donne durante il Decennio
sono stati cancellati». I nuovi
presidenti sono:
- per l’Africa: Agnès Abuom, della Chiesa anglicana
del Kenia:
- per l’Asia: Moom Kyu
Kang, della Chiesa presbiteriana della Corea:
- per l’Europa: il metropolita Chrysostomos di Efeso,
Turchia, del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli: il
vescovo Eberhardt Renz, della Chiesa evangelica di Germania (Ekd):
- per l’America Latina-Caraibi: il vescovo Federico J.
Pagura, della Chiesa evangelica metodista d’Argentina:
- per il Medio Oriente: Sua
Santità Mar Ignatios Zakka
Iwas, del Patriarcato ortodosso siriano di Antiochia e di
tutto l’Oriente:
© (Foto Chris Black/WCC)
nato la discriminazione
tro gli omosessuali,
Sherry, presidente della
sa unita del Cristo negli
ha dichiarato: «Il nosW]
scorso a favore dei dirltlii
la persona sarà vuoto
non protesteremo coni
violenza fatta ai nostri '
e alle nostre sorelle offli
suali». Sherry però noi
proposto emendamenti.
Più tardi, quando il
tato di orientamento del
gromma ha propostoci
Cec avvìi uno studio* jl/la co
sessualità umana, il dele ; ■ avere
ortodosso russo Vladiniii
maly ha avvertito che
iniziativa in vista di svilii
re un ordine del giorno
- per il Nord America: Kathryn Bannister, pastore della
Chiesa metodista unita Usa;
- per il Pacifico: il vescovo
Jabez Bryce, Tonga, della
Chiesa anglicana di Aotearoa,
Nuova Zelanda e Polinesia.
La questione dell’omosessualità, affrontata in una dozzina di atelier del «Padare», è
stata accennata in fine pomeriggio. Lamentando che una
risoluzione sui diritti della
persona non avesse menzio
sessuale metterebbe ini _
colo la partecipazione c
dossa al Cec». Il suo ewcj .
mento per cassare il J
mento alla sessualità u«’
è stato respinto. vW ca
In una conferenzast® '.'essere
svoltasi il 14 dicembre, J ' conosc
gretario generale del 'aver rr
Konrad Raiser, ha spi®»one:
che la concentrazione d| ‘ conosc
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temi scottanti
giornata era dovuto
che si era dato troppà
tanza alle questioni org“ Inviare
zative. Alcuni delegai'
detto, soprattutto «di
protestanti dell’Europa 35 Pi
W LL^OLCIL JlLl UC-LI .
dentale», sono «così leg®
le procedure» che «tN
molto difficile adattarsi
to che il Cec abbia un
differente».
®ppur
13
NNAIO14 t/FNERDÌ 22 GENNAIO 1999
Vita Delle Chiese
PAG. 9 RIFORMA
italia^
31 gennaio, giornata della Missione evangelica
Nel 2000 contro la lebbra
pastore Archimede Bertolino illustra le linee d'azione per i
Riesi: molti furono suoi allievi al Servizio cristiano
Serata in musica per ricordare Ines Long
Uba. uueik ’.*•/• . !.. '
cijpross/rr?/ anni di un organismo di assistenza e testimonianza
la
Compaq
FEDERICA TOURN
gl* organi
DI ritorno da un recente
viaggio a Londra, dove
i sala, l'olha avuto dei contatti con 1 reiandela ^ipoi*®^!**!* internazionali del
■lauueia rfcjp'"*—.--------- ----------------
abe, che* 131*11*®®*°”® evangelica contro
tor coraeD®!®!*^*’^’ *^ P”®*°*^° Archimeindistinsiiie Bertolino, segretario per
Ito il Missione stessa,
lei suo Dfcte raccontato alcune novità
tocraticoie***®*^®® *^”* ®**°* ***oontri.
gli avversa " ^ avuto occasione di
r protestai 1'*****”**’”*’® il suo sog
:i del mol?***'*^'*-^
nblea,Ai «Anzitutto il direttore gelerò liatlnerale Trevor Duston, che
o mediai era ®PPO**^ rientrato da Pee le Pleiif chino dove aveva avuto luogo
ì comuii|il 15° Congresso mondiale
to le div&d®!*® 1°**” contro la lebbra,
sano. MeSf*®™* entusiasta per dindio Coirai®* niotivi: intanto, in un’
ec cercaT**®®*®® *^* rappresentanti
attenuai ®ca, il 20% era membro delira le sueì'®^ 1” ®*8*” internazioprotestai» **3l® *^® nostra missione);
a), in piatì, P0*> eome già successo nel
e óratoril***®??*” *1®' Confe
D visibilmé ranza internazionale della
punti di* Tl*** in Danimarca, erano
azione di pra®enti con voce deliberatia russa (il™’ e alcune come relatori,
ardinanzii persone ammalate di
accuse alÌ ™ra- Infine 1 anno 2000 e
nda noni ®*®*° riconosciuto come una
ro capo! i3PPa nella lotta alla lebbra, e
Archimede Bertolino
ione casi
non l’anno in cui sarà risolto
ficativaiM ^ P*nbiema, come aveva analzavai ******^^10 in un primo tempo
* rOms con una previsione poco realistica».
- Qual è il quadro generale
M\&4iffusione della malat
tiaì'f
«Afttma Debra Chand, del
dipartimento “Sviluppo e so)’’, che mentre in India,
¡ve la Missione sorse nel
'4, si lavora alacremente in
tasi tutti gli stati con il sogno del governo, in altri
isi si hanno delle difficoltà
pche gravi, spesso a causa
Iella situazione politica inhabile. Nella Repubblica del
'ongo, per esempio, dove i
nostri missionari europei sono stati sfollati più volte e
non si hanno notizie dei missionari indigeni, o in Indone
ra angii»
icia bluel
nasi grii
ze cultml
itta, mali
lea, coaf
egati 0*1
1 un appi
1 quesW
a il co "
rinconl
iprende
e portai
rgono la
tutti pr(
nittmenl
;gno a p
te tutto,
)ortan
Lizi
sia. In Nepal i missionari europei hanno delle difficoltà
ogni volta che devono rinnovare il visto di soggiorno, e
questo nonostante l’opera
della Missione sia apprezzata
dal governo».
- Qual è la situazione della
Missione oggi?
«Occorrono nuove vocazioni; la Missione ha bisogno di
esperti, ben preparati: medici, infermieri, fisioterapisti.
Bill Hawes, responsabile del
personale, mi ha detto che
sono molti i posti disponibili;
in Italia siamo in contatto
con una giovane credente, fisioterapista, per un’eventuale assunzione. Quanto alle finanze, il direttore del settore
Alan Cray mi ha assicurato
che la situazione, pur non essendo florida, non è disperata, e ha avuto parole di apprezzamento per le offerte
che giungono dall’Italia e ha
ringraziato la Chiesa valdese
e le Adi per il contributo proveniente dall’otto per mille».
- Qual è il compito della
Missione in Italia?
«Visto che l’incidenza della
malattia nel nostro paese è
inesistente, considerando
che su 55 milioni di abitanti
vi saranno un centinaio di
casi nei centri di accoglienza,
il nostro compito è quello di
cercare dei fondi per sostenere la Missione. Oggi abbiamo
un comitato al nord e stiamo
cercando di formarne un altro al centro; per la Giornata
cii
Il Centro diaconale
«La Noce» Istituto valdese
Opera che promuove e gestisce in Palermo
iniziative di carattere educativo e sociale
cerca
Direttore/a
nazionef
ssuali.l
Ite dellaif
sto neg
«Il nostri
dei diritti
vuoto® 0 Cui affidare, a partire dalla metà dell'anno 2000, la gestione
attualmente comprende: scuola dell'infanzia, scuola eienostri W Wi,entare, comunità alloggio 8-14 anni, cas famiglia 0-5 anni, servizio
felle Otiti al riabilitazione per disabili, servizio educativo domiciliare, centro sociaperò n® '®per famiglie, laboratori educativi e foresteria,
lamenti, H Nell'esercizio delle sue funzioni il/la Direttore/a dovrà interagire con
ndoill^ 8' organi de Centro (Comitato generale e Comitato esecutivo).
tposto d Corofter/sfiche e competenze
studio* Il/la candidato/a deve:
la, il dell - avere capacità di dirigere un'organizzazione complessa, integrata
nel tessuto cittadino e nella realtà delle chiese evangeliche italiane e
Straniere, che gestisce i servizi sociali anche in collegamento con
pubbliche amministrazioni;
■ essere in grado di progettare e di pianificare le strategie di sviluppo
dei vari servizi;
■ Saper gestire i propri compiti in un quadro di coinvolgimento e di
Collaborazione con il personale dipendente;
■ essere disponibile ad ampliare le proprie competenze e ad approfondire la propria formazione.
U/la candidato/a deve inoltre:
essere membro di chiesa evangelica;
■ Conoscere e condividere i principi della diaconia evangelica;
■ aver maturato esperienze nei settori specifici e/o esperienze di geha spi* h elicine;
zionedi' ' conoscere almeno una lingua straniera.
nell’***! hn incarico rà preceduto da un adeguato periodo di inserimento e il
iMitn al* ’*i*®niento previsto è analogo al trattamento diaconale della Chiesa
roppa '*” ‘^"9®*'®° valdese.
ioni 0t&, inviare entro il 28 febbraio dettagliato curriculum a:
delega*' Presidente del Centro Diaconale «La Noce»
to «di *'*’ n- Via Giovanni Evangelista Di Blasi, 12
Europa * '“135 Palermo - fax n. 091-6820118- e-mail: c.d.lanoce@mclink.it
così le?®^ ' *>ppure a:
thè ’ Moderatore della Tavola valdese - Via Firenze, 38
Vladimil
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lattarsi^ 00184 Roma - fax n. 06-47885308 - email: tvmode@tin.it
bia un
,
Brnento dei dati personali si svolgerà in conformità alte disposizioni della legge 675/96.
mondiale della lotta contro la
lebbra, il 31 gennaio, abbiamo mandato alle chiese una
lettera sollecitando almeno
una colletta per sostenere la
Missione. Inoltre stiamo organizzando per il prossimo
marzo un convegno a Grosseto a cui parteciperà Debra
Chand. Per quanto mi riguarda, essendo entrato in emeritazione l’ottobre scorso, posso dedicare tutto il mio tempo alla Missione e sono disponibile a recarmi nelle
chiese per illustrare il suo lavoro nel mondo».
- Che cos’è di preciso la
Missione e come porta avanti
il suo compito?
«Il compito della Missione,
come è stato ribadito al Congresso, è venire incontro nel
nome del Signore ai bisogni
fisici, mentali, sociali, spirituali delle persone e delle comunità svantaggiate a causa
della lebbra, ponendosi al loro servizio, per sostenere la
dignità umana e sradicare la
lebbra. Per realizzare questo
impegno, la Missione prepara un nucleo di personale cristiano impegnato, altamente
qualificato, fiessibile; cerca
inoltre di sviluppare una
piattaforma di sostegno internazionale attraverso rincontro dei comitati nazionali
e di aumentare la collaborazione delle chiese sul campo
di lavoro, per prepararle a
impegnarsi nel lavoro integrato e nelle iniziative medico-sanitarie. È importante
che un servizio di alto livello
continui a essere assicurato
anche nelle zone in cui il livello endemico è basso».
La Missione evangelica
contro la lebbra pubblica un
Notiziario, che è inviato gratuitamente; per riceverlo, richiederlo a Medi, via Rismondo 10/a, 05100 Terni
(tei. 0744-811218; e-mail; arpe@seinet.it). Per le offerte,
ccp n. 12278057; conto corrente bancario n. 959, Banco
San Paolo di Torino, Agenzia
di Luserna San Giovanni (To).
KLAUS UNGENECK
La sera del 4 gennaio ha
avuto luogo a Riesi una
manifestazione molto simpatica e commovente; 9 ex allievi di Ines Long Alabiso hanno
offerto un piccolo concerto
in memoria della loro maestra, a cinque anni dalla sua
scomparsa. Hanno scelto il
periodo delle vacanze natalizie perché questi giovani, frequentando varie università,
sono ormai sparpagliati per
tutta l’Italia. E così futuri ingegneri, professori e dottori
hanno spolverato le loro capacità da musicisti per rendere omaggio alla loro maestra Ines. La sala della scuola
elementare del Lago, dove da
alcuni anni è ospitato il pianoforte a coda del Comune,
era gremita di gente. L’amministrazione comunale,
rappresentata dal sindaco
Giuseppe Miccichè, ha conferito a Rocco Alabiso, il marito di Ines, una targa di riconoscenza ricordando in un
breve discorso quello che
Ines ha dato a generazioni di
ragazzi e ragazze di Riesi,
cioè la musica. Forse, ha detto U sindaco, tra poco avremo
a Riesi una via che porta il
nome di Ines Long Alabiso.
È stato significativo che
questi giovani e queste giovani abbiano ricordato Ines,
valdese figlia di un pastore
valdese, in modo evangelico,
cioè con un concerto per noi
oggi. È stato il ricordo di una
persona scomparsa, al tempo stesso la manifestazione
che quello che Ines ha seminato e curato, continua a
crescere, continua a essere
una ricchezza di Riesi. Ines e
Rocco avevano raggiunto
Tullio Vinay nel 1965. Per 20
anni avevano lavorato al Servizio cristiano, Rocco occupandosi delTagricoltura, Ines
della casa e dell’insegnamento della musica nella
scuola materna e nella scuola elementare del Monte degli ulivi. Molte persone di
Riesi, che hanno frequentato
le nostre scuole, ricordano la
musica con gli strumenti
Orff. Il compositore novecentesco Cari Orff, autore dei
famosi Carmina Burana, a
Servizio Cristiano
Opera che promuove e gestisce in Riesi
iniziative di carattere educativo e sociale
cerca
Direttore/a
a cui affidare, a partire dallo metà dell'anno 2000, la gestione dell'opera che attualmente comprende: scuola per l'infanzia, scuola elementare,
gruppo residente, consultorio medico-socio-assistenziale, foresteria.
Nell'esercizio delle sue funzioni il/la Direttore/a dovrà interagire con
gli organi del Servizio Cristiano (Comitato generale. Comitato esecutivo, Gruppo di senrizio. Gruppo residente).
Caratteristiche e competenze
Il/la candidato/a deve:
- avere capacità di dirigere un'organizzazione complessa, integrata
nel tessuto cittadino e nella realtà delle chiese evangeliche italiane e
straniere, che gestisce i servizi Sociali anche in collegamento con
pubbliche amministrazioni;
essere in grado di progettare e di pianificare le strategie di sviluppo
dei vari servizi;
- saper gestire i propri compiti in un quadro di coinvolgimento e di
collaborazione con il personale dipendente;
- essere disponibile ad ampliare le proprie competenze e ad approfondire la propria formazione.
Il/la candidato/a deve inoltre:
- essere membro di chiesa evangelica;
- conoscere e condividere i principi della diaconia evangelica;
- aver maturato esperienze nei settori specifici e/o esperienze di gestione;
- conoscere almeno una lingua straniera.
L incarico sarà preceduto da un adeguato periodo di inserimento e il
trattamento previsto è analogo al trattamento diaconale della Chiesa
evangelica valdese.
Inviare entro il 28 febbraio dettagliato curriculum a:
Presidente del Comitato Generale Servizio Cristiano
Via Monte degli Ulivi, 6
93016- Riesi ¡CLj
faxn. 0934-928123
oppure a:
Moderatore della Tavola valdese -Via Firenze, 38
00184 Roma - fax n. 06-47885308 - email: tvmade@tin.it
Il trattamento dei dati personali si svolgerà in conformità alle disposizioni della legge 675/96,
veva sviluppato un particolare metodo per l’insegnamento della musica nelle scuole; i
bambini suonano flauti, xilofoni, metallofoni e strumenti a percussione, cioè
strumenti che possono essere suonati senza preparazione particolare. Tutti li possono suonare e acquistano,
suonando, una conoscenza
base della musica. Ines era
una maestra nell’uso di questo metodo. Oltre a questi
impegni, Ines ha dato ai ragazzi più promettenti lezioni
private di flauto e di pianoforte, scoprendo in questo
modo alcuni veri talenti, come il pubblico della serata
musicale del 4 gennaio ha
potuto sentire.
Ci auguriamo che Ines con
il suo impegno e il suo amore
per i ragazzi di Riesi non sia
soltanto un ricordo, ma un
esempio per noi oggi. I bambini e le bambine di Riesi
hanno bisogno di cura, di stimoli, di offerte culturali per
potersi orientare in questo
paese dell’interno della Sicilia
con le sue difficoltà economiche e sociali. Ines aveva messo a disposizione le sue conoscenze della musica, altri
avranno altre cose da offrire.
Al Servizio cristiano abbiamo
ricominciato a usare gli strumenti Orff che Ines, con l’aiuto degli amici esteri, aveva
raccolto. I ragazzi e le ragazze
della nostra scuola si divertono e imparano molte cose.
Agenda
23 gennaio
CINISELLO BALSAMO —Alle ore 17,30, presso il Centro
culturale «Jacopo Lombardini» (via Montegrappa 62/b), lo
psicologo Romano Madrea tiene il secondo «Incontro con
Gesù», dedicato alla figura di Nicodemo (Giovanni 3,1-21).
BERGAMO —Alle ore 17,30, nella sala conferenze del Centro culturale protestante (via Tasso 55), il past. Salvatore
Ricciardi tiene il terzo dei sei incontri di studio sulla Lettera
ai Romani, dedicato a:à<Tutti hanno peccato» (1,18; 4,25).
24 gennaio
TORINO —Alle ore 17,30, nel tempio valdese di corso Vittorio Emanuele II23, per il ciclo «Musica e preghiera», l’organista Matteo Riboldi esegue musiche di Krebs, Scheidt,
Sweelinck. Per informazioni telefonare allo 011-6692838.
CAGLIARI — Le attività della «Settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani», organizzate dall’arcidiocesi della
Chiesa cattolica, dalla Chiesa ortodossa di Quartu
Sant’Elena e dalla Chiesa battista si chiudono con una celebrazione ecumenica presso la parrocchia Madonna della
Strada, Via de Murtis (Mulinu Becciu) alle ore 18.
IO
PONTE IN VALTELLINA (So) — Alle 20,30, nella chiesa di
San Maurizio, si tiene una conversazione del pastore Alfredo Berlendis sul tema; «La Bibbia nella chiesa».
TORINO — Alle ore 15,30, nella sala del Palazzo dell’Antico
macello di Po (via Matteo Pescatore 7), viene prèsentato il
manifesto «Per uno Stato e una scuola laica». Intervengono
Attilio Tempestini, Enzo Marzo, Michelangelo Bovero, Carlo Ottino, Carlo Augusto Viano.
26 gennaio
IVREA — Alle ore 21, nei locali della Chiesa valdese in via
Torino 217, per il ciclo di studi sulla bioetica, il dott. Rossetti parla sul tema; «Ricerche sull’embrione umano». Per
ulteriori informazioni telefonare allo 0125-631960.
28 gennaio
TORINO — Alle ore 16 e alle 20,45, nella sala valdese di via
Pio V 15 (1° p.), si tiene l’incontro inaugurale del corso di
formazione sul tema: «Bioetica e coscienza cristiana». Intervengono i dott. Franco Piccotti e Lea Vinay e il past. Giuseppe Platone. Per informazioni tei. 011-6692838.
BERGAMO — Alle ore 17,30, nella sala conferenze del
Centro culturale protestante (via Tasso 55, p. 1“), il pastore
Salvatore Ricciardi tiene il quarto di sei incontri dedicati
alla Lettera ai Romani, sul tema: «Giustificati per fede abbiamo pace con Dio; 5,1-8,39».
MILANO — Alle ore 17, presso il Centro culturale protestante (sala libreria Claudiana, via Sforza 12/a), il prof. Ugo
Gastaldi parla sul tema: «Autocomprensione della chiesa e
“secolarizzazione” del cristianesimo nei primi secoli», per
il ciclo di incontri dedicati al pensiero cristiano antico.
TORINO — Alle ore 15, presso la sede decentrata della biblioteca Erik Peterson (via Martini 4b), il prof. Gabriele De
Rosa presenta il proprio libro «Tempo religioso e tempo
storico, voi. Ili» (Edizioni di storia e letteratura, 1998).
I
f^dio e teleoisione
CULTO EVANGELICO: ogni domenica mattina alle 7,27 sul
primo programma radiofonico della Rai, predicazione e
notizie dal mondo evangelico italiano ed estero, appuntamenti e commenti di attualità.
PROTESTANTESIMO: rubrica televisiva di Raidue a cura
della Federazione delle chiese evangeliche in Italia trasmessa a domeniche alterne alle 23,40 circa e, in replica il
lunedì della settimana seguente alle ore 9,15 circa. Domenica 24 gennaio andrà in onda: «Ebrei, cristiani: un invito
al dialogo»; «Musicando: un incontro con il compositore
Luigi Bonafede»; «Incontri: rubrica biblica». La replica sarà
trasmessa lunedì 1° febbraio alle ore 9,15 circa
AIA^RTENZA: i programmi relativi a questa rubrica vanno
inoltrati 15 giorni prima del venerdì di uscita del settimanale.
14
PAG. 10 RIFORMA
VENERDÌ 22 GENNAIO
vener
Riforma
Istituzioni e «sexgate
Piera Egidi
»
Se c’è un’immagine che ha fatto il giro del mondo e ci ha
lasciati sgomenti, è quella dei deputati democratici che,
dopo il voto per Vimpeachment del presidente Clinton,
escono correndo dal Parlamento, giù dalla scalinata, per
parlare attraverso i mass media con la gente. Bisogna, negli Stati Uniti come da noi, nella globalizzazione della politica e nella crisi mondiale dei sistemi politici che ci hanno
governati dal dopoguerra a oggi, uscire dal Palazzo e ricominciare daccapo a parlarci l’un l’altro.
11 processo a Clinton ora approdato al Senato è per noi
europei inquietante e incomprensibile poiché, popoli segnati da dure prove della storia, abbiamo compreso che la
«repubblica dei ñlosofl» così come la «repubblica dei santi»
è un traguardo, un orizzonte da tener sempre presente e
verso cui sforzarsi di andare, ma non può essere una verità
inverata. La condizione di errore e di peccato in cui versa
dall’origine tutta l’umanità e che inñcia anche l’azione migliore, anche quella fatta con le migliori intenzioni, intride
di sé ogni attività umana, e tanto più ciò che è prassi per
eccellenza: la vita politica, la più «peccaminosa» delle attività. Nella città non c’è e non ci può essere un giusto, neanche uno. E ben lo sanno i credenti che svolgono con timore
e tremore la responsabilità dell’azione politica e della respubllca, la necessità dell’agire e dello scegliere, il sì e il no.
Il popolo americano è un popolo «giovane», e lì sta la sua
forza, ma anche la sua «semplicità». È un popolo che si è
fatto guidare talora in decisioni gravi e in guerre che ci
preoccupano e che non abbiamo condiviso, ma è anche un
popolo che in due conflitti mondiali e epocali, quando si è
trovato di fronte al Umlte della scelta, ha saputo decidere,
con grave tributo di sangue, per la libertà. È un popolo fatto
per la stragrande maggioranza dai più poveri di tutto il
mondo, e noi italiani sappiamo quanti nostri emigrati ha
accolto quando «partiva il bastimento per terre assai lontane». Essere un popolo giovane e di poveri spesso non fa distinguere con i sottili ragionamenti di cui siamo principi
noi, padri del diritto, che ci portiamo talmente tanto il peso
della cultura e della storia da essere in grado di fare e disfare verbalmente ogni ipotesi e ogni soluzione, e intanto restare tragicamente Immobili. Essere giovani significa sempre essere portati più per l’emotività e l’intervento diretto
che non per la riflessione sull’esito delle proprie azioni. C’è
una responsabilità storica che il popolo americano ha in
questa fase cruciale e che sembra cominciare a capire, almeno con l’atteggiamento di indijfferenza e di distacco con
cui pare stia seguendo l’iter del «sexgate», ed è la responsabilità delle sue istituzioni nei confronti del mondo intero.
Certo, tutti sappiamo che sempre «il re è nudo»; che sotto il manto di qualsivoglia autorità umana si cela un essere
che nasce, che muore, che si ammala, che pecca e che soffre come ogni altro essere umano. Ma le istituzioni, quelle
democratiche, quelle che rappresentano ed esprimono attraverso libere decisioni i cittadini, hanno una «sacralità»
intrinseca, basata proprio sull’esercizio della libertà e responsabilità collettiva, che è follia e autodistruzione minare. La lotta politica, quando si fa, come è avvenuto negli
Usa, con colpi «sotto la cintura», appartiene più al campo
della guerra che a quello della polis, e porta a esiti disastrosi e suicidi per la convivenza comune. Questo sarebbe
tragico in qualsivoglia piccolo paese del mondo. Ma quali
responsabilità planetarie ha oggi la superpotenza? O dovremo forse rimpiangere tutti l’equilibro del terrore?
Le chiese e le comunità religiose hanno assunto un ruolo
sempre più fondamentale per la pace, in questo scorcio di
millennio, impegnate come sono nel dialogo e nella testimonianza, e consapevoli ciascuna deU’ineluttabilità umana
del «peccato», compreso il peccato delle istituzioni, laiche e
religiose. Figuriamoci il peccato sessuale, che interessa la
legge interiore della coscienza e dei rapporti affettivi. Se si
scende su questo piano, bene che vada si finisce a torte in
faccia, se non a palate di escrementi, come pare stia avvenendo, nei colpi e contraccolpi del «sexgate» americano.
Una domanda: che cosa ha detto Gesù Cristo all’adultera
quando scribi e farisei l’hanno condotta davanti a lui per
lapidarla? Ma prima non voleva rispondere, e continuava a
scrivere pensosamente sulla sabbia.
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Croce, Paolo Fabbri, Fulvio Ferrarlo, Giuseppe Ficara, Giorgio GardioI, Maurizio
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DIRETTORA RESPONSABILE Al SENSI DI LEGGE: Piera Egidi.
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Riforma è ii nuovo titolo della testata La Luce registrata dal Tribunale di Pinerolo con il n. 176 del l'gennaio 1951. Le modifiche
sono state registrate il 5 marzo 1993.
Il numero 3 del 15 gennaio 1999 è stato spedito dall'Ufficio CMP
Nord di Torino, via Cebrosa 5, mercoledì 13 gennaio 1999.
1998
Associata alla
Unione stampa
periodica italiana
Parla ¡1 sociologo protestante francese Jean Baubérot
Educare alla cittadinanza
Diventare cittadini nella propria scuola o quartiere: i risultati
di una esperienza nel sistema educativo pubblico francese
Jean Baubérot, storico e sociologo, docente all’«École pratique
des hautes études» presso la Sorbona di Parigi, è stato per un anno
responsabile di un progetto del ministero della Pubblica istruzionefrancese sull’educazione alla cittadinanza. Il progetto, promosso dal ministro Ségolène Royal, riguardava l'intero iter della scuola pubblica, dalla materna al Liceo. Riprendiamo dal settimanale
«Réforme» (19-25 novembre 1998) un’intervista a Jean Baubérot
(a cura di Marie-Louise Bernasconi) su questa esperienza.
- Può definire il progetto
sulla cittadinanza nell’ambito
del sistema educativo?
«Si tratta di morale pubblica, quella che è legata al vivere insieme e che fonda la società civile in una democrazia
moderna: definire i doveri nei
confronti degli altri e della società, ridare significato alla
legge anche se ciò porta a
porre anche il problema dell’obiezione di coscienza e
della trasgressione a volte necessaria. Ebbene, i ragazzi
non hanno più questa cultura
della legge e pertanto ignorano quando e perché la trasgrediscono. Così, i piccoli atti, non punibili, di maleducazione come sputare per terra,
parlare contemporaneamente ad altri, gridare nei corridoi... influiscono sulla qualità
della vita nella scuola, sulla
qualità del lavoro degli insegnanti e degli alunni, sulla
qualità delle relazioni. Si rileva una “sorpresa culturale” di
fronte all’intervento della legge: il ragazzo che ignora i divieti non capisce che egli
commette un atto grave, che
c’è una vittima che ne patisce, che egli è sottomesso alla
legge che punisce. Occorre
renderlo corresponsabile della qualità della vita a scuola.
Infatti, all’interno della
struttura scolastica, che è un
luogo di diritti e di doveri, si
pone la questione delle forme
di democrazia da inventare. I
conflitti diventano positivi se
esistono strutture di mediazione, come dimostrano esperienze in atto come quella
del Mir (Movimento internazionale della riconciliazione),
nato nell’ambito del mondo
protestante. Del resto, il dispositivo di mediazione messo in atto nei licei difficili migliora molto non solo la qualità di vita ma anche, e in modo spettacolare e rapido, il
rendimento scolastico. Per
quei ragazzi che ignorano la
legge, il termine “cittadino”
non significa gran che all’inizio, soprattutto se lo si riallaccia a delle istituzioni. Ma si
tratta di farne prima di tutto
dei cittadini nella propria
scuola, nel proprio quartiere,
nei propri luoghi abituali di
vita, quindi di allargare l’iniziativa alla città, al paese,
all’Europa. L’idea di Ségolène
Royal è di partire da iniziative
Avrà inizio domani in tutto il mondo la settimana
di preghiera per l’unità dei
cristiani. Molte chiese cattoliche, ortodosse e protestanti
sparse un po’ dovunque, sono
impegnate in diverse iniziative: veglie di preghiera, canti,
tavole rotonde, conferenze.
Qui in Italia mi sembra che
stiamo vivendo un periodo di
profonda stanchezza ecumenica. Nonostante i richiami
che sono stati fatti negli anni
scorsi, anche da questo microfono, la settimana di gennaio è praticamente l’unico
momento di incontro fra cattolici e protestanti, fatte salve
alcune notevoli eccezioni. E
non alludo, ovviamente, agli
addetti ai lavori: teologi, preti,
pastori i quali per vari motivi
di tanto in tanto si ritrovano.
Ma penso al popolo dei credenti: le parrocchie cattoliche, le comunità evangeliche
che tutte paiono ormai cadute
“a raso terra”, quelle più modeste, quelle che costituiscono la pasta del tessuto sociale, per poi giungere alla sintesi e alla globalizzazione».
- Qual era il suo ruolo in
questo progetto politico?
«Un ruolo modesto: individuare i luoghi dove esistono
già esperienze interessanti,
incoraggiarle, valorizzarle
dando loro una certa esemplarità, e non imporre“ex
nihilo” iniziative a partire dal
ministero. Questo implica un
dialogo con gli insegnanti reticenti rispetto a questo modo di procedere. Dovevo
inoltre individuare gli insuccessi di queste nuove attività.
Ma gli insegnanti hanno un
notevole intuito del limite da
non superare tra morale pubblica e non rispetto della libertà di coscienza».
- Ci può illustrare un’iniziativa ben riuscita?
«Ad esempio, il teatro “cittadino”, il teatro-forum., che
piace molto agli studenti liceali: la maschera, come nella
Grecia antica o in Africa, permette di reinventare e di reinterpretare situazioni note
senza mettere in piazza la
propria vita personale. Se tali
iniziative “cittadine” hanno
10 scopo di combattere la violenza e l’inciviltà, esse sono
per me una risposta anticipata agli effetti del computer e
delle nuove tecnologie che
entrano a scuola e creano un
rischio di solitudine e di passività; ora, ogni mediazione,
ogni esperienza di teatro-forum, insiste sulla relazione
con l’altro, sulla relazione col
corpo, sul rapporto con il linguaggio pubblico, e crea un
equilibrio essenziale rispetto
alla civiltà multimediale».
- Quali difficoltà ha incontrato in questa funzione?
«Siamo incastrati tra l’incudine amministrativa e il martello mediático. L’amministrazione del ministero, che
rimane in piedi qualunque sia
11 ministro in carica, si situa in
una logica differente e in un
tempo molto lento. Basti dire
che il contenuto di una circolare viene deciso dal gabinetto ministeriale, ma viene redatto dall’amministrazione:
così che le idee interessanti
diventano molto meno stimolanti dopo essere state tradotte in linguaggio amministrati
vo! Dall’altra parte, il martello
mediático, che agisce in un
tempo molto veloce esige delle novità ogni tre giorni. Il politico, lì incastrato, fa fatica a
gestire questa contraddizione.
D’altronde, introdurre cambiamenti in un sistema democratico che comprende mille
luoghi di decisione è più difficile che in un sistema autoritario; intanto, la società civile
manifesta un’impazienza legittima. (...) Bisognerebbe
spiegare queste difficoltà intrinseche al processo democratico affinché l’opinione capisca perché cambiamenti veloci sono impossibili».
- Può fare un bilancio di
quest’anno?
«Ho voluto evidenziare la
coerenza tra tre aspetti dell’educazione alla cittadinanza. Prima di tutto l’educazione civica che, dal giugno 1999,
diventerà materia obbligatoria di insegnamento, a cura
dell’insegnante di storia.
Avrei auspicato che i docenti
di storia di una classe fossero
incaricati dell’istruzione civica in un’altra classe, ma mi è
stato obiettato che non bisogna moltiplicare oltre il numero di insegnanti in una singola classe. Poi, l’aspetto delle
esperienze sul campo: mediazione, teatro-forum... Il terzo
aspetto, dove rimane molto
da fare, consiste nel dare una
dimensione di educazione alla cittadinanza alle varie discipline. (...) Bisogna inoltre
praticare il dibattito, mettere
in discussione dilemmi morali complessi, confrontare scelte diverse... Sono convinto
che così facendo si ridarebbe
senso alla scuola; infatti, gli
alunni non sanno più perché
vi passano tanti anni e vi
spendono tante energie!».
- Quale insegnamento trae
dalla Sua esperienza?
«Essere nel mondo dell’agire politico è una funzione dove non è più possibile vedere
solo la pertinenza intellettuale di un’idea, ma dove si è costretti a vedere contemporaneamente la sua fattibilità e
la sua possibilità di essere
compresa dall’opinione. Occorre dunque mescolare contemporaneamente la pertinenza intellettuale e la pertinenza sociale, mentre normalmente il docente universitario le dissocia nel tempo.
Penso anche che la scuola
debba interpellare la società
globale; Non formeremo dei
cittadini a conto-corrente
della società se ovunque altrove i valori di cittadinanza
vengono negati. I nostri figli
saranno quello che la società
ne avrà fatto».
Leggo
cembre
nbttà
probier
Italia stato poco laico ¿pò
Lo storico Massimo L. Sai.
vadori, in occasione della vi- ®
sita del presidente del Consi. ''‘**^* ®
glio D’AJema al papa (8 gej. quanto s
naio), esprime in un’intervj.
sta di Pier Giorgio Betti lì
proprie considera'zioni in stìuhi ne
materia' di laicità. «Il laicisnuj pennessi
- spiega - ha combattuto alla Ghie:
passato non la fede religiosa, I nip
ma la pretesa della religione
e delle chiese cristiane, so.iaricorda
prattutto quella cattolica, | loto lead
imporre la propria verità linei 1947,
tutti come verità unica eas- tuente, i
soluta, al limite anche confe neanche
forza dello stato, cui si chic- te, allont
deva di essere confessionale sconfìtto
(...). Il laicismo modernoi 3)1 de
sorto dalla constatazione del Parlarne:
dato di fatto storico che i mo- non solo
di di concepire la verità sono sti prob
molteplici e che l’imposizio. contro e
ne di una verità unica anche ampio di
a chi non crede in essa solfo- ria; altrin
ca la libertà di tutti». E sul- derare uj
l’Italia: «Lo stato italiano ì e cortesi
stato veramente laico soltan- mile liner
to nel periodo liberale. Dopo 4) Em
di allora, il carattere laico maggiore
dello stato è stato sowertito sitàdiun
o limitato. Il fascismo cosimi erangelic
uno stato che era per essenze fenda idi
antilaico, in quanto per tu minoranz
verso basato sul monopolio sociali, ei
ideologico e per l’altro si rali del r
un’alleanza di mutuo soste-: emargina
gno con la Chiesa cattolica, troefuori
che si espresse nei Patti late- «redismo
ranensi con i quali la Chiese odi destre
venne messa in una posizio-^ Amassi
ne di privilegio. L’ingloba degBifalia
mento nella Costituzione iti elemmìi
pubblicana dei Patti latea i sulla ¿sa
nensi ha infetto una ferita el
carattere propriamente laid
dello stato democratico».
IL GAZZETTINO
Quale parità
Il deputato repubblicani
Gianantonio Mazzocchin interviene (29 dicembre) suinanziamento e parità scolastica. «Il finanziamento all
scuola non statale - scrivenon è un mistero né un tabi
nemmeno per i laici preseci
in Parlamento, consapevoi'
che in tutti questi anni si sii
no finanziati, in modo insufficiente, anche scuole materne comunali, private e religiose proprio perché assolvevano a un ruolo pubblico
supplivano alla mancanze
dello stato». Altra cosa è il i
segno di legge (ora fermo
Senato) sulla «parità», petil
quale lo stato «può dare sole
aiuti a tutti gli studenti,
favorire il loro diritto allo si
dio, in qualunque scuola
qualunque tendenza».
-<1
PIERO bensì
nella più totale apatia e indifferenza nei confronti dei rapporti con gli altri.
Ricordo gli entusiasmi degli
Anni Sessanta e Settanta,
quando per la prima volta le
Chiesa cattolica incominciava
a aprirsi al dialogo. Eravamo
tanti, da una parte e dall’altra,
con il grande desiderio di incontrarci per conoscerci. Oggi
tutto questo è passato (ripeto:
con alcune eccezioni) e il dialogo si trascina stancamente,
per lo più nei limiti ristretti di
questa Settimana. Non sarà
un segnale che dobbiamo cogliere? Forse (è'soltanto una
ipotesi che azzardo) è giunto
il momento di parlarci francamente non solo delle cose che
ci uniscono, e che più o meno
tutti conosciamo, ma proprio
delle cose che ci dividono,
spesso profondamente. Non a
livello di teologi (cosa che già
avviene) ma a livello del popolo credente. Per esempio:
noi ci ritroveremo nei giorni
prossimi per pregare per
l’unità; ma siamo ben certi di
chiedere al Signore la stessa
cosa? Che visione hanno i cattolici dell’unità? Che visioni
ne hanno i protestanti? Co®
pure quando parliamo
«Chiesa» pensiamo alla stessi
realtà o a realtà diverse? E co»
di seguito.
Abbiamo imparato in qu®
sti trent’anni a parlarci
fratelli, senza astio, senz.a po_
lemiche. Se questo è vert
dobbiamo essere capaci O'
affrontare, senza pregiudizi®
senza fondamentalismi, i n®'
di biblici teologici e ecclesie'
logici presenti nel nostri
cammino ecumenico. E alle
ra saremo anche in grado
compiere insieme alcuni g®
sti profetici che il mondo ®
attende dai credenti.
(Rubrica «Un fatto, un cof>>
mento» della trasmissione^'
Radiouno «Culto evangeli^,
curata dalla Federazione de>
chiese evangeliche in Italia ae
data in onda domenica 17g®“
naio).
RIFC
a
15
22 GENNAIO 1999
Pagina Dei Lettori
PAG. 1 1 RIFORMA
iHi| Un movimento
evangelico
Leggo sul n. 48 dell’11 dicembre scorso di Riforma
l'artìcolo di Piero Trotta sul
problema della parità tra
Incuoia pubblica e privata e
;0 laico juila posizione tenuta dalmo L s 11’®“' Domenico Maselli, che
le delia S'mi Pa"’® ampiamente condidel CnnNisii’i^®- Aggiungerei solo
un'imeni D cmquant anni circa di
0 Betti y egemonia e potere democria'zioni i stiatii nemmeno la De si era
11 laicism peimessa di concedere tanto
battuSÌaChiesa cattolica,
e religiosa, 2) I nipotini di Togliatti, coa religioni D’A|ema, farebbero bene
ìtiane, so. a ricordarsi quanto capitò al
ittolic’a, |lom leader dopo la votazione
ia verità) nel m Assemblea Costimica e as-tuente, delTart. 7c: venne,
che coni neanche tanto elegantemen:ui si chic, te, allontanato dal governo e
ifessionale sconfitto poi politicamente,
lodernoi 3) I deputati evangelici in
azione del;'Parlamento farebbero bene
) che i me non solo ad astenersi su que^erità som sti problemi, ma a votare
mposizie contro e a promuovere un
lica anche ampio dibattito sulla mateessa solfo, ria; altrimenti sono da consi:ti». E sul. derare ugualmente complici
italiano! e corresponsabili di una siico soltan mile linea politica,
rale. Dopo 4) Emerge con sempre
tere laico maggiore chiarezza la necessowertiti sità di un movimento politico
no costruì erangelico autonomo che dier essenz) fenda idiritti e le ragioni delle
to per ut minoranze religiose, etniche,
mnopolii sociali, economiche e cultuTaltro SI tali del nostro paese, degli
tuo soste, emarginati e dei minimi, concattolict troefoori del tanto decantato
Patti late «realismo politico», di sinistra
la Chiesi odidèstra che sia.
ia posino- Il iMssiccio astensionismo
' ingm™' de^'itafiani alle varie tornate
uzione», e/effoiali la dice ormai lunga
tti lateiI sulla disaffezione e il disintela fenta a
ente laici
resse che la maggioranza dei
cittadini prova verso questo
tipo di politica, senza principi, valori e tensione ideali; e il
trasformismo di D’Alema
non è certamente migliore di
quello dei tanti ex o post democristiani, anzi è certamente peggiore, per motivi che
qui sarebbe lungo elencare.
Di qui la necessità di fornire
agli italiani, come protestanti
ed evangelici, un’alternativa
politica credibile, seria, in
grado di fornire loro delle
buone istituzioni civili, oltreché religiose.
Arturo A. Cericola-Troia
i Insofferenze
di oggi
Leggendo la lettera di Lorenzo Scornaienchi [Riforma
n. 1, 1° gennaio), mi sono domandata se è molto giovane o
molto vecchio per avere visto
un’Italia dei luoghi comuni
nella réclame delle pagine
gialle. Penso molto giovane
perché altrimenti saprebbe
che il nordico che chiede silenzio perché domani va a lavorare, forse un operaio o impiegato Fiat, è con il 60% di
probabilità o forse più figlio
di uno dei tanti che sono venuti dal Sud trent’anni fa e
che di nome non fa Pautasso
0 Barbero, ma Esposito o Macaiuso. La presa in giro mi pare comunque garbata e non
priva di risvolti «bossiani»: è
più che noto che per molti
meridionali i settentrionali
sono quei tontoioni che passano la vita a lavorare perché
non hanno doti di intelligenza e di prontezza di spirito.
Inoltre che altro potrebbero
fare se non lavorare dato che
non sanno godersi la vita, approfittare delle gioie che essa
offre? Per molto tempo in effetti i malviventi nella mentalità comune di molta gente
erano meridionali, non perché poveri o cattivi, ma soltanto perché i settentrionali
non sono all’altezza di fare un
buon malvivente. È stato con
dichiarata soddisfazione che i
settentrionali si sono sentiti
in pari con il resto d’Italia
quando è stato scoperto che
una pericolosa banda di rapinatori di banche (e occasionalmente mi pare di ricordare anche assassini) era capeggiata da un Cavallero, piemontese puro sangue. Finalmente si poteva dire: visto
che anche noi siamo capaci
di rapinare banche? Caso mai
se risentimento c’è verso il
Sud è per la sensazione che
talvolta la stessa legge sia applicata diversamente sotto un
certo parallelo.
A parte gli scherzi, mi stupisce la riflessione di Scornaienchi perché mi sembra tanto
foori tempo: oggi il problema
è un’altro. Nell’immaginario
collettivo i cattivi non sono
più i siciliani, i calabresi o i
camorristi napoletani, sono i
croati, gli albanesi, gli africani, i marocchini e via discorrendo. Solo ieri in treno un tizio, stupendosi che rispondessi in piemontese a una sua
osservazione, si è lamentato
che ormai siamo soltanto più
pochi a parlarlo e si è scagliato contro «l’invasione» ma, si
tranquillizzi Scornaienchi,
troppo vecchio o troppo giovane per saperlo, non dei fratelli del Sud, soltanto degli extracomunitari tutti malavitosi,
spacciatori di droga e protettori di prostitute!
Il discorso se si vuole è lo
stesso di quarant’anni fa, anzi molto più grave. Nel mirino però oggi c’è altra gente. A
parte il fatto che la rottamazione non dovrebbe avere
riempito l’Italia di auto: le
auto c’erano già e forse fra i
loro difetti oltre all’inquinamento, allo stress per le code
ai semafori e per trovare un
itico».
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della prima copia del giornale.
posto auto (proprio sotto casa o posto di lavoro) c’è anche l’isolamento del viaggiatore che non sente da che
parte spiri il vento dei brontolii, delle proteste e - ahimè
- dell’intolleranza.
Giuliana GayEynard
Pinerolo
il La sorella
Santina Perini
È quasi un mese che è venuta meno la sorella Santa
Perini, vedova Agnello, membro della Chiesa evangelica di
Scicli. Essa è mancata all’affetto dei suoi, è venuta meno
al particolare legame della
sorella Annetta e del cognato
Santoro con i quali per un
lungo periodo ha condiviso
vita e casa in comune e solidale affetto.
Santina Perini, che in gioventù si sentì chiamata al servizio del Signore tra le diaconesse a Torre Pellice, dovette
poi lasciare per la improvvisa
perdita della sorella Cadigia.
Santina, Cadigia e Lucia Zullo, ved. Ribet di Orsara di Puglia, furono insieme diaconesse a Torre Pellice.
Conosciuta come persona
semplice, di poche parole,
ma avveduta e saggia, fu anche persona intelligente, attiva e coerente come la Marta
del Vangelo. Il Signore l’ha
voluta a sé dopo un periodo
di malferma salute. Fortemente legata alla sua fede
evangelica, le era particolarmente cara e di conforto la
lettura della Bibbia, che ascoltava dalla sorella Annetta
e assieme pregava, sulla scorta consolidata de «Il Cenacolo» e di «Un giorno una parola». Nelle nostre frequenti visite era significativo leggere e
pregare, anche dietro sua lodevole richiesta che amava
chiamare «il culto». La richiesta era accolta con piacere e
la si eseguiva con amore, dal
momento che veniva da un’
anima sincera e chiaramente
legata all’amore di Dio. Per
essa Santina era di stimolo e
di, esempio per quanti in
quelle fqlici circostanze le
erano accanto.
Oggi, anche se è trascorso
del tempo, desideriamo testimoniare di Santina Perini ripetendo il canto della speranza cristiana: «O beati su nel
cielo i redenti del Signore».
Emola e Arcangelo Pino
Scicli
Valli Nostre anno 2000
1999
Caletutufio tielle chítase faidesí e nwUHiist*r
Ì.iì cidvnttrivr nttttthds et métift.tdisle
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contatto, improrogabilmente entro il prossimo 26 febbraio, con
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Nuovi indirizzi
La diacona Wilma William comunica il suo indirizzo: piazzale Garda 9a, 00050 Santa Severa (Rm).
Il n. telefonico del past. Pietro Ciaravella è 055-288143.
Annate di riviste
Sono a disposizione di chi le desidera annate Nev 1979-1981
e di Protestantesimo 1970-1989, e 1994. Si tratta di un lascito di
una biblioteca di una sorella. Rivolgersi al past. Enos Mannelli,
via P. Togliatti 23, 64025 Pineto (Te), tei. 085-9491588.
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via Porro Lambertenghi, 28
20159 Milano
Nella collana «Piccola bilbiioteca teologica» è uscito il n. 46
Klaus Douglass
Gioia di credere
pp. 288, L. 36.000, cod. 299
Non C’è nessuno che non crede. In genere le persone, oggi,
non credono poco ma spesso
troppo - e spesso cose errate.
Non basta sapere qualcosa su
Dio, ma bisogna trovare e coltivare una relazione viva con
Lui e con la sua comunità.
VIA PRINCIPE TOMMASO, 1 -10125 TORINO
TÉL 011/668.98.04 - FAX 011/650.43.94 - C.C.P. 20780102
http-y/www.arpnet.lt/~valdese/claudlan.htm
RINGRAZIAMENTO
«Le tenebre stanno passando,
e già risplende la vera luce»
I Giov. 2, 8
La moglie Evelina Salma, il figlio Adriano con la moglie Michela
Beux e figli Prisca e Jacopo, la
sorella llda ved. Ferrier e famiglia,
la cognata Emida Mourglia e famiglia annunciano la scomparsa di
Valdo Giaiero
di anni 84
avvenuta il 6 gennaio ed esprimono riconoscenza a quanti sono
stati loro vicini con affettuosa solidarietà. I funerali si sono svolti
presso la casa in borgata Palaiset
l’8 gennaio con la prediacazione
della pastora Lucilla Peyrot.
Inverso Rinasca, 9 gennaio 1999
RINGRAZIAMENTO
«La mia grazia ti basta»
Il Corinzi 12, 9
Il Signore ha richiamato a sé,
all’età di 92 anni
Giovanna Margherita Long
ved. Sarò
Lo annunciano la figlia Paola
con il marito Bruno Mathieu e i figli Marco, Patrizia con Paolo Carbonatto e i piccoli tanto amati Annapaola e Federico, le sorelle Susanna e Caterina e parenti tutti.
Si ringrazia in modo particolare
la dottoressa Ornella Michelin Salomon, la direzione e il personale
tutto dell’Asilo valdese di San
Giovanni dove è stata accolta con
tanto calore e amore.
Eventuali offerte all’Asilo valdese di San Giovanni.
Torre Pellice, 18 gennaio 1999
RINGRAZIAMENTO
«Il Signore è il mio pastore
nulla mi mancherà»
Salmo 32, 1
I familiari del compianto
Alessio Gay
di anni 94
Commossi e riconoscenti ringraziano di cuore tutti coloro che
con presenza, scritti e parole di
contorto hanno preso parte al loro dolore.
Un ringraziamento particolare
al personale medico e paramedico del Rifugio Re Carlo Alberto e
ai pastori Pasquet e Taglierò.
Luserna San Giovanni
22 gennaio 1999
16
PAG. 12 RIFORMA
VENERDÌ 22 GENNAIO 1999
Una proposta del Sie in vista della prossima «Settimana della libertà»
Un giubileo di giustizia per i bambini
/ più piccoli membri delle chiese evangeliche possono essere coinvolti in modo
appropriato anche nella riflessione e nella celebrazione del culto comunitario
Il Servizio istruzione e educazione (Sie)
della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) ha pensato quest’anno
di offrire alle nostre chiese, tramite le pagine di Riforma, del materiale liturgico
che possa essere utilizzato per coinvolgere le bambine e i bambini nella celebrazione della «Settimana della libertà». La
Settimana della libertà è infatti un appuntamento per cui le nostre chiese spendono molto impegno ed energia, organizzando, oltre ai culti, conferenze, concerti,
manifestazioni sul tema proposto dalla
Federazione; perché allora, ci siamo chiesti, non coinvolgere anche i più piccoli
membri delle nostre chiese in questa occasione di riflessione e di lode?
Il materiale che proponiamo è pensato
per un culto (o almeno per una sua parte) con la partecipazione delle bambirìe e
dei bambini, ma può essere utilizzato
anche (o al posto, anche se ci preme che
le bambine e i bambini siano pienamente coinvolti nel momento centrale della
vita comunitaria, cioè appunto il culto)
in un incontro di scuola domenicale. Auspichiamo infatti che l'utilizzo del materiale che trovate in questa pagina sia il
più possibile elastico: lo si può (si deve!)
modificare e adattare a seconda delle esigenze, dell’uso che se ne vuol fare, del numero e dell’età delle bambine e dei bambini, del tipo di comunità; questo compito è affidato a monitrici e monitori, pastore e pastori, che dovranno usare la loro creatività per renderlo adatto alla loro
situazione, sperando che incontri il loro
favore.
Pareri, suggerimenti, critiche e proposte si possono inviare al Sie, via Porro
Lambertenghi 28, 20159 Milano. Chiediamo in particolare a chi lo userà di farcelo sapere in modo da avere un riscontro del nostro lavoro.
Il materiale è stato preparato da Francesca Giaccone, Marco Cisoia, Ursel Koenigsmann (e con un buon suggerimento
di Giuseppe Platone). Esso è composto da
un racconto sulla legge del giubileo basato su Levitico 25 (pensato per i bambini
più grandi); una riflessione, anch’essa
sotto forma di racconto, sulla parabola
del contadino ricco (Luca 12,16-20), per i
bambini più piccoli; una preghierd; un
canto; una preghiera comunitaria;
un ’azione simbolica.
Per dare un segno concreto di come è
possibile operare in un’ottica di giustizia
proponiamo che venga, in occasione di
questo culto, presentato e sostenuto
l’operato della Ctm (Cooperativa Terzo
Mondo). La Ctm è una cooperativa senza
scopo di lucro che importa e diffonde
prodotti dell’emisfero Sud del mondo e
garantisce dei prezzi equi decisi dagli
stessi produttori in base ai costi reali di
produzione. La comunità potrebbe offrire una tazza di tè «equo e solidale» a tutti
i fratelli e a tutte le sorelle presenti e allestire un piccolo banchetto con prodotti
alimentari e artigianali come avviene già
in diverse chiese.
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La legge data a Mosè
Questo racconto è una breve
presentazione di che cosa è la legge del giubileo di cui ci parla
Levitico 25. È ovviamente semplificato rispetto al lungo testo
biblico e sottolinea in modo
particolare due aspetti della
legge del giubileo: la restituzione della, terra e della casa a coloro che le avevano perdute per
essere caduti in povertà, e la liberazione degli schiavi. Essendo un argomento piuttosto complesso si rivolge ai più grandi tra i
ragazzi della scuola domenicale.
Molto tempo fa Dio decise
di liberare il suo popolo,
Israele, che era schiavo in
Egitto e di dargli un paese.
Chiamò Mosè e gli disse che
lui doveva guidare il suo popolo fuori dall’Egitto e portarlo nella terra promessa.
Quando furono usciti dall’Egitto, Dio diede a Mosè
molte leggi perché tutti potessero vivere felici nella
nuova terra e nel paese regnasse la giustizia. Queste
leggi Dio le ha date a Mosè in
cima a un monte che si chiama Sinai.
Tra tutte queste leggi ce
n’era una molto speciale: la
legge del giubileo. La parola
giubileo ci fa pensare a una
festa. E, in effetti, questa legge, che Dio ha dato a Mosè,
era proprio un motivo di festa per il popolo d’Israele,
specialmente per le persone
più povere. Anzi, è difficile
dire se fosse più una legge o
più una festa!
Ma che cosa diceva questa
legge che era anche una festa? Diceva che ogni cinquant’anni, per il popolo di
Israele doveva esserci un anno speciale, un anno che doveva chiamarsi appunto giubileo. Se, per esempio, una
persona, per qualche motivo,
aveva dovuto vendere la sua
casa o il suo terreno, magari
perché era diventata povera e
aveva bisogno di soldi,
nell’anno del giubileo la sua
casa e il suo terreno ritorna
vano suoi e questa persona
poteva ricominciare la sua vita come prima.
A volte però capitava che
una persona diventasse così
povera, che non le bastava
nemmeno vendere la casa e
tutto ciò che possedeva, e doveva andare a lavorare come
servo per un’altra persona. E
allora questa legge diceva che
anche chi aveva dovuto andare a lavorare come servo,
nell’anno del giubileo poteva
ritornare libero e riavere di
nuovo la sua casa.
Dio, infatti, sapeva bene
che a volte nella vita degli esseri umani le cose vanno male e che può capitare che si
diventi poveri, magari perché
si viene ingannati da qualcuno, o magari semplicemente
perché si è sfortunati e la
grandine distrugge tutto il
raccolto e non rimane più
nulla per vivere. Sapendo
questo, Dio ha voluto dare al
suo popolo questa legge in
modo che, ogni cinquant’anni, tutti i poveri avessero la
possibilità di ricevere indietro tutto ciò che avevano e di
ricominciare una nuova vita.
Che cosa voleva dire questa
legge? Voleva dire che nessuna terra poteva essere venduta per sempre, perché la terra
non è degli esseri umani, la
terra è di Dio. E voleva dire
che nessuno poteva diventare
servo di qualcun altro per
sempre, perché tutti sono servi solo di Dio; Dio li aveva liberati quando erano schiavi
in Egitto non perché diventassero servi di qualcun altro, ma
perché fossero persone libere.
Questa è la legge del giubileo, questa è la festa del giubileo, una festa che iniziava
con suoni di tromba e canti
di gioia, perché tutti i poveri
tornavano nelle loro case e
nelle loro famiglie, liberi da
debiti e servitù, perché Dio
non vuole che ci siano né poveri, né schiavi.
Dio, aprici
Quésta preghiera è pensata
come risposta alla lettura
della parabola del contadino
ricco e al breve racconto con
cui la parabola è stata attualizzata.
Dio nostro, ti ringraziamo per tutte le persone che
vivono insieme a noi.
È bello avere una famiglia ed è bello avere buoni
amici. È bello viveré insieme a delle persone con le
quali ci intendiamo.
Non è invece per niente
bello quando ognuno pensa solo per se stesso/a,
quando tutti vogliono solo
ricevere, ma non vogliono
dare niente in cambio.
Ti preghiamo: aiutaci a
pensare un po’ meno al nostro vantaggio, aprici gli occhi, perché invece di guardare con invidia coloro che
stanno meglio di noi, impariamo a guardare con compassione coloro che stanno
peggio di noi.
Aiutaci a capire come è
bello condividere con le
sorelle e i fratelli ciò che si
ha. Amen.
Un'azione per coinvolgere tutta la comunità
L’azione simbolica, che si
può fare durante il culto
coinvolgendo tutta la comunità, è riferita a una attualizzazione della legge del giubileo. Come è noto, diverse organizzazioni internazionali,
tra cui il Consiglio ecumenico delle chiese, hanno chiesto che l’anno 2000 porti a
una riduzione del debito che
molti paesi poveri haimo nei
confronti degli organismi finanziari internazionali. Un
grosso problema è che gli interessi che i paesi indebitati
devono pagare fanno aumentare notevolmente, anno
dopo anno, il debito stesso.
Esso quindi si moltiplica nel
corso del tempo e raggiunge
somme che i paesi indebitati
non sono in grado di pagare.
In questo modo il debito diventa una catena che impedisce lo sviluppo economico
e sociale di questi paesi.
Per attirare l’attenzione
della comunità su questo
problema e allo stesso tempo
coinvolgere anche le bambine e i bambini, proponiamo
cbe nel culto trovi spazio
un’azione simbolica. A questo scopo occorre costruire
una catena fatta di anelli di
carta (ogni anello potrebbe
essere formato da una striscia
di carta o cartoncino alto cm
15 e lungo cm 60 circa) lunga
diversi metri (si deve pensare
che tutte le persone presenti
al culto, messe in fila o a semicerchio, la devono poter
sorreggere in mano). Su ogni
anello della catena può venire scritto il nome di uno dei
paesi indebitati, che può poi
essere letto a voce alta accompagnato dall’importo del
debito e/o da qualche breve
notizia su alcuni di questi
paesi (sull’opuscolo pubblicato dalla Fcei in occasione
della settimana della libertà
1999 si trova un elenco dei
paesi gravemente indebitati,
dei paesi mediamente indebitati e dei paesi poco indebitati). La catena così ottenuta
simboleggia il debito e indica
che esso «incatena» il paese
indebitato impedendone lo
sviluppo e facendo quindi
crescere la povertà dei suoi
abitanti.
A un certo punto, durante il
culto, la catena viene distesa
in modo che ognuno ne abbia
una parte in mano; l’azione
simbolica consiste nello spezzare, tutti insieme, la catena
del debito estero dei paesi
poveri del nostro pianeta, così come la legge del giubileo
prevede che tutti i debiti di
ogni singolo membro del popolo d’Israele vengano annullati. Come «segnale» che indichi il momento in cui bisogna
spezzare la catena si può usare un canto, una lettura bibli
ca (per esempio Luca 4, 16
21), un suono (il giubileo bl
blico iniziava con un suono di
tromba), e altro ancora.
Come sfondo dell’intera
azione simbolica potrebbe
essere predisposto un grande
planisfero da sistemare in
modo visibile dall’intera comunità; a tale scopo sarebbe
preferibile utilizzare la «carta
di Peters» che tiene conto
delle diverse proporzioni tra i
paesi del mondo a differenza
di quelle tradizionali in cui
l’Europa appare molto più
grande di quello che è rispetto agli altri continenti. Questa
carta può essere ordinata nelle librerie o richiesta direttamente all’Asal (Via Tacito 10,
00193 Roma, tel.06-32 3 5389,
fax 06-3235388).
Una preghiera costruita intorno al simbolo del pane
Come preghiera comunitaria
proponiamo una preghiera che
utilizza il simbolo del pane.
Il pane è ciò che Gesù nel
Padre Nostro ci invita a chiedere ogni giorno come bene
necessario per la nostra vita.
Se chi vive nei paesi ricchi si
accontentasse del necessario
anziché circondarsi del superfluo, non sarebbe necessaria
la legge del giubileo perché
nessuno sarebbe povero e costretto a indebitarsi o a lavorare come schiavo.
Il pane è anche ciò che Gesù
ha spezzato con i suoi discepoli nell’ultima cena, come
S J n I j j j j rn ■"■fi" j □
1.
2.
3.
4.
Di so-lo pa-ne
E se di pa-ne
U—na cer-tez-za
E -gli è ve-nu-to a
l’uomo non vi-vrà,
proprio non ce n'è.
Cristo ce la da:
sla-re in mezzo a noi.
ma di pa—ro—la di Di---o
di—vi—de—re—mo del nos-irò
non sia-mo so—li nel mon~do
uo—mo Ira gli uo-mi—ni, Di—o
Di-—0
nos-tro
mon-do
Di—o
r UT [j
I ■'( Lj/ L/ V
A
r
$
w
AI
-le
-lu
Al—le—lui-a, al-le---luia allelui—a.
al----------le...........lu-----ia
al....le-lui-a al-le------lu...—ia
Al.......le...
Al-—le-lu-ia
al-le
0/0'n
-lu------------ia
-lu-ia alle-hi—ia
Al-----le-lu----ia al-le
segno del fatto che egli ha voluto condividere la nostra
umanità.
Si prepara un cartellone su
cui si disegna una grande forma di pane sotto la scritta;
«Signore fa che io sappia
condividere...» e tanti cartoncini ritagliati a forma di chicco di grano (uno per ogni
persona presente al culto). Il
cartellone viene appeso in un
luogo ben visibile dalla comunità e a ogni fratello e
ogni sorella vengono distribuiti un cartoncino e una
penna; sul cartoncino ognuno dovrà scrivere ciò che
vuole condividere con gli altri
completando così la frase
scritta sul cartellone. Raccogliendo poi i «chicchi di grano» di tutti si formerà un unico pane, incollandoli sul cartellone.
Per introdurre la preghiera
comunitaria proponiamo che
qualcuno, oltre a spiegare come si svolgerà l’azione, legga
una preghiera:
Signore, noi viviamo in una
situazione privilegiata: abbiamo tutto il necessario per
la nostra esistenza, anzi molto di ciò che abbiamo è superfluo e sovrabbondante.
Molte persone, invece, non
hanno neanche il necessario
per vivere.
Ti chiediamo. Signore, aiu
taci a condividere del nostro
con chi non ne ha, affinché
ogni donna e ogni uomo possa vivere una vita dignitosa e
veramente libera.
Nel nome di Gesù, amen.
Si può anche utilizzare
l’antica preghiera (riferita alla
Cena del Signore, ma utilizzabile anche in questo conte
sto) della Didachè, un’antica
istruzione cristiana:
Come questo pane, prima
disperso sulle colline, raccolto
è diventato uno,
così anche la tua chiesa'si
raccolga dalle estremità della
terra nel tuo regno;
poiché tua è la gloria e la
potenza per sempre. Amen.
/
un
sm
in
str
str
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chi
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