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RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
Anno VI : : Fasc. IV. APRILE 1917
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 30 APRILE 1917
DAL SOMMARIO : Giovanni Pioli : Morale e religione nelle òpere di Shakespeare - ÈVA AMENDOLA: 11 pensiero religioso e filosofico di F Dostoievsky - FERRUCCIO RUBBIANI : Un modernista del Risorgimento - MARIO ROSAZZA: ' Il ritorno di Macchiavelli ' - MARIO FALCHI : Morta la Democrazia ? - ENRICO MONNIER : Alla luce dell’ Invisibile - TRA LIBRI E RIVISTE : GIOVANNI Costa : Religioni del Mondo classico (III) - m. : Rassegna di filosofia religiosa (XIII), ecc.
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo fi fi
------- Via Crescenzio, 2 - ROMA -----D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore per I* Estero
------- Via del Babitino, 107 - ROMA -AMMINISTRAZIONE
Via Crescenzio, 2 - ROMA
ABBONAMENTO ANNUO
Per l’Italia L. 5. Per l’Estero L. 8.
Un fascìcolo L. 1.
Si pubblica la fine di ogni mese
in fascicoli di almeno 64 pagine.
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Non dispiacerà ai nostri lettori di constatare che // decreto luogotenenziale del 12 aprile u. s. sulla limitazione dei numero delle pagine dei giornali e delle riviste, non ci costringe a venir meno neppur oggi alla promessa contenuta nel frontespizio della Rivista:
almeno 64 pagine.
Se oggi possiamo rimanere a questa cifra gii è perchè ieri fummo generosi e offrimmo molto più dei promesso.
/ nostri lettori vorranno prenderne buona nota e se per caso -non avessero fatto ancora ii loro dovere... non tardino oltre.
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È uscito il 2° volume Sella serie Guerra e Religione di Romolo Murri col titolo:
IMPERIALISMO ECCLESIASTICO
E DEMOCRAZIA RELIGIOSA
Ecco l'indice dei capitoli:
Introduzione - La teologia e la gerarchia hanno negato lo spirito — Lo spirito e gli idoli - II culto del Papato — Storia recente. Tre Papi — Il culto della Bibbia - II nuovo fariseismo - La Chiesa Romana e il N. T. - Il culto dello Stato - La religione degl' Italiani - Da che parte è il Vaticano? - Perchè il Vaticano è neutrale - Cerchiamo Dio.
Il volume, di 116 pagine, con artistica copertina di Paolo Paschetto, si vende’ al prezzo di L. 2
Rivolgersi alla Libreria Editrice BlLYCHNIS, Via Crescenzio, 2 - Roma.
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EDITA DALLA FACOLTA D^zLIa SCVOLA TEOLOGICA BATI J STA
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SOMMARIO:
Giovanni Pioli: Morale e religione nelle opere di Shakespeare. . Pag. 253
Illustrazióne : Ritratto di Shakespeare (Tav. tra le pag. 256 e 257)
Èva Amendola: Il pensiero religioso e filosofico di F. Dostoievsky. II. Luce, speranza, gioia, estasi....... . ....... » 262
FERRUCCIO Rubbiani: Un modernista del Risorgimento......» 278
Mario Rosazza : “ Il ritorno di Machiavelli ”.......... > 287
Mario Falchi: Morta la Democrazia?........... » 293
PER LA CULTURA DELL’ANIMA:
ENRICO Monnier: Alla luce dell’invisibile ...... • . . » 299
TRA LIBRI E RIVISTE:
Giovanni Costa : Religioni del mondo classico (III) : Alessandro-Sole - Feticci ricoperti di chiodi - Deificazione de’ Sovrani - Divinità celtiche - Iside -Istar all’inferno - Misteri - Mitriacismo - Mitriacismo in Spagna - Pollicino, Aci e Galatea - Purificazioni - Redenzione - Religione come fattore nella storia degl’imperi - Simbolo del culto solare - Il trionfatore romano . . . . . _> ........ ............... » 305
m. : Rassegna di filosofia religiosa (XIII) : Guerra e immortalità - La tradizione cattolica e la guerra - L'amore non è tutto - Socialismo e materialismo
-Estetica e germanesimo- Storia della scienza - Théodule Ribot . . . . » 313
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Siamo lieti di annunziare ai nostri lettori che il Dottor D. G. Whittinghill, Editore della Biblioteca di Studi Religiosi, ha pubblicato in questi giorni un bel volume eh’è destinato ad avere senza dubbio un ottimo successo:
LÀ CHIESA E I NUOVI TEMPI
E una raccolta di dieci scritti originali dovuti alla penna di Giovanni Pioli - Romolo Murri - Giovanni E. Meille -Ugo Janni - Mario Falchi - Mario Rossi - «Qui Quondam » -Antonino De Stefano - Alfredo Taglialatela.
I soggetti trattati, preceduti da una vivace introduzione dell*Editore, sono tutti vivissimi:
Chiesa e Chiese - Chiesa e Stato - Chiesa è Questione sociale - Chiesa e Filosofia - Chiesa e Scienza - Chiesa e Critica (2 studi) - Chiesa e Sacerdozio - Chiesa ed Eresia - Chiesa e Morale.
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Il bel volume con significativa copertina artistica di PAOLO Pa-SCHETTO, si compone di pagine xxxi-307 e costa Lire 3.50.
Per speciale accordo avuto Coll'Editore Dott. D. G. Whittinghill gli abbonati di Bilychnis possono averlo franco di porto per Lire 3.
Rivolgersi al! Amministrazione della Rivista.
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MORALE E RELIGIONE
NELLE OPERE DI SHAKESPEARE
(SAGGIO CRITICO)
« Iinmodcrata, incredibilia, nimisa Ita, sempir ' cupiebat ».
(Sallustio, Catilinaria).
L’elogio funebre di Shakespeare
recento anni or sono, il 23 aprile 1616, l’anima
più universale e più umana del mondo moderno, che la Natura sembrò aver suscitata per raccogliere, in una coscienza sintetica le proprie innumerevoli policromatiche manifestazioni, prendeva il volo da quelle membra che aveva informato cinquantadue anni’ prima, presso le medesime sponde flessuose dell’Avon, e faceva ritorno a quella terra ove l’uomo «si risveglia dai suoi magnifici sogni, e trova che i suoi sogni sono ancora lì e che nulla è passato eccetto i> suo sonno ».
E nel medesimo giorno s’involava alla Terra il secondo più originale scrittore dell’Europa moderna, il grande ed amabile Cervantes; e l’Umanità perdeva quasi nel medesimo istante due geni dei più rappresentativi, è stato fatto non dall’una o dall'altra voce.
scuola, nazione, ma, con solo poche note discordanti, dall'umanità tutta dopo di lui. Raccogliere alcuni accenti da questo concerto polifono è forse la migliore preparazione per approssimarsi alla visione diretta e introdursi alla comprensione di questa apparizione della coscienza cosmica, di questa incarnazione dell’umanità.
« Sembra che Shakespeare — scriveva di già A. Pope nel 1733 — abbia co-cosciuto il mondo con- l’intuizione ed abbia penetrato con uno sguardo sino al
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fondo della natura umana. Efgli è forse il solo scrittore che autorizzi l’audace opinione che non solo si nasce poeti, ma anche filosofi ed uomini di mondo ».
« La caratteristica che più colpisce in Shakespeare — scriveva W. Hazlitt nel 1818 — è la generalità del suo spirito, il suo potere di communicare con qualunque anima. Egli si rassomiglia a qualunque altro: solo, egli si rassomiglia a lutti gli altri. Egli fece girare dinanzi a sé la sfera terrestre, còme per diletto, e osservò le generazioni umane e gl’individui mentre passavano sotto il suo sguardo, con i loro differenti interessi, vizi, virtù, passioni, follie, azioni e motivi: quelli ad essi noti, non meno che quelli di cui non si rendevano conto ».
Non altrimenti, per John Keats: « Il Genio di Shakespeare consistè in una innata universalità... Per lui fu agevole ciò che per altri è il sommo sforzo»: e per I. Hare (1877). « Shakespeare scorre col suo sguardo dal Cielo alla Terra e dalla Terra al Cielo: tutta la natura è sua ancella. Nessun poeta può competere con lui, per il numero di versi, che, secondo il detto di Bacone: “ arrivano al nostro cuore e si mescolano fra le nostre occupazioni ” ».
Più ancora, per Emerson (1844) • « Shakespeare rappresenta L’orizzonte al di là del quale, al presente, noi non possiamo spingere lo sguardo »; e per un altro americano, Walt 'Whitman (1898) « Sakespeare sta da solo, e non fa maraviglia se ha così ammaliato il Mondo ».
E più recentemente W. Jaggard, il più gran bibliografo shakespeariano, deponeva sulla sua tomba nell’introduzione a più di diecimila volumi shakespeariani, l’omaggio all’uomo che «conobbe l’anima dell’uomo meglio di quanto a qualunque mortale sia concesso, con tutte le sue luci e ombre, tempeste e passioni... Egli fu assiduo di taverne con Falstaff; con Rosalinda illuminò i sentieri boscosi delle Ardenne, e col buffone del re Lear interrogò la sorte dei reietti; mentre con Ariel e con Puck folleggiò per ogni dove. La sua visione penetrò l’eternità, e con Amleto si spinse oltre la tomba: egli ponderò non senza ironia le responsabilità dei principi, mise a nudo gl’intrighi degli astuti e svelò le artificiosità dei cortigiani. Benché le sue simpatie fossero vaste quanto il mondo, nessuna, o quasi, ne provò per i ciarlatani, gl’insinceri, i demagoghi e la plebaglia sudicia. La sua umanità cementò tutti gli uomini in una sola famiglia «con un solo ritocco di natura ». Tutti i ranghi, le professioni, i gradi sociali, le occupazioni, furono nelle sue mani come dei fantocci destinati a guadagnare la nostra ammirazione, simpatia o riprovazióne, a seconda che egli tirava questi o quei fili. « Tutta la scena mondiale », quale apparve al suo sguardo, con la sua ampiezza e incessante varietà, servì ad ornare i suoi intrecci. Come Prospero, egli potè considerare le esistenze terrene come bubbole e sogni: ma le figure che incedono, marciano, danzano o strisciano sul suo palcoscenico sono esseri viventi, più reali di molti che noi abbiamo conosciuto in carne ed ossa: creature maestose o meschine, gioconde o passionali, ma sempre maravigliose. Che esse esultino o soffrano, ci muovano al riso o al pianto, sempre ci additano una morale 0 illustrano una narrazione; ispirano, adornano o rivestono una commedia o una tragedia — legate dall'ironia in un dramma umano — ed in tal modo compongono ed abbracciano tutta la vita umana, la grande ignota finalità. E questo primo cittadino di sì vasto impero ci appare
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in vero quale eterna incarnazione di tutto ciò che nella natura e nell’opera dell’uomo è più nobile e grande».
Eppure questo coro potente di voci che acclamano in Shakespeare il più umano il più rappresentativo dei poeti, si decompone in mille voci discordi dinanzi alla questione: Quale fu la concezione morale e religiosa che Shakespeare ebbe della vita?
È egli possibile utilizzare l’opera shakespeariana a vantaggio dell’una o dell'altra interpretazione dei valori morali e del significato della vita, ovvero la sua- grande anima, sì sincera e tersa e profonda come un mare tranquillo e senza fondò, non fa altro che rinviare, quale lucido specchio, tutto quello che in essa si riflette, senza parzialità per alcun raggio e colore? L'eco di alcune delle voci che han preso parte pro o contra in questa dibattuta questione, darà un'idea della sua importanza centrale nell'interpretazione dell’opera di Shakespeare, e ci preparerà e disporrà ad affrontare con cautela e modestia l'arduo argomento, suggerendoci anche fin dal principio l’atteggiamento più adatto.
Ecco anzitutto un filosofo negare a Shakespeare la coerenza sistematica delle idee: « Se in Shakespeare — scrive David Hume — venga considerato l’uomo che visse in un periodo rude, e privo d’istruzione, egli può essere riguardato come un prodigio... Ciò che egli coglie spesso, per così dire, come per ispirazione, sono le proprietà caratteristiche del sentimento, riferentisi ad un solo tipo; ma quanto a mantenersi per qualche tempo su di una linea conveniente di raziocinio, egli ñon vi riesce... ». Ma ecco una scrittrice, Elizabeth Montagu, opporgli in modo reciso: « Noi siamo proclivi a considerare in Shakespeare solo il poeta; ma egli è certamente uno dei più grandi filosofi morali che sia mai vissuto ».
Ed egualmente l'Hallam: «... Altri possono esser sublimi come lui, ed altri più patetici...; altri possono avere schivato alcuni dei suoi difetti: ma la filosofia di Shakespeare, la sua intimità nel ricercare e nel frugare e trarre alla luce i secreti del cuore umano... è cosa tutta sua ».
E il Carlyle, nel suo L’Eroe come Poeta'. « Shakespeare è il principe dei poeti... Tutto considerato, io non conosco altra persona di eguale potenza di visione e facoltà di pensiero; e calma profonda... Se egli fu indifferente a " credi ”, a teologie e a partiti, non oserei per questo chiamarlo scettico, ©privo di patriottismo. Se ben poco ci dice della sua fede, ciò è, dopo tutto, effètto della sua stessa grandezza».
Negli scrittori più vicini a noi, il contrasto diviene ancora più acuto e assoluto. Ecco ad esempio il giudizio che dei gusti morali di Shakespeare dà il reverendo Cecil: « Bisogna riconoscere che i gusti di Shakespeare sono bassi e licenziosi. Non già che quando egli si propone di presentarci un carattere nobile e virtuoso non riesca a mettervi dentro tutta la sua anima..., ma egli non Si trova nel suo centro meglio che con Falstaff. Invano si cercherebbe tra i suoi drammi brillare un carattere grande, virtuoso, religioso. Un personaggio, il cuore e i gusti del quale fossero modellati sulla Bibbia, lo muoverebbe semplicemente a,nausea». E con lui si accorda il Lardner: « Shakespeare non si propone alcuno scopo morale: egli sagrifica la virtù ogni qualvolta gli fa comodo. Suo grande scopo è di dilettare: e quanto a quella giustizia retributiva che pervade le umane vicende, egli non ne fa conto alcuno ».
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Al che il Fort Newton contrappone: « Non v’è alcun bisogno che ci si dica che Shakespeaie non è intenzionalmente e per professione un maestro spirituale: ma egli è un’anima grande, innamorata della vita, un artista sovrano dotato del potere di dipingere la vita, come egli la vide e la sentì, con colori che si addicono alla sua bellezza e alla sua orridezza, al sub aspetto umoristico e tragico. È vero che égli non ha alcun credo da presentarsi nè domma da difendere: ma è questo appunto che rende la sua testimonianza al significato spirituale della vita così impressionante, così autorevole: poiché la profondità e la forza della sua introspezione diviene, per virtù della lucidità e veracità sua, un testimone della verità, che l’essenza onnipotente, che sta a fondo dell’universo, è buona... ».
In particolare sulla religiosità di Shakespeare il conflitto è tuttóra ardente: e benché lo spettacolo di esso ci occuperà ampiamente nelle prossime pagine, gli squilli dei due opposti campi risuonano di già nelle contrarie affermazioni, del Birch che vede la religione « trattata da Shakespeare con minore rispetto perfino di Marlowe », e del Kingsley che asserisce di « avere attinto più Cristianesimo pratico dalla lettura dei drammi di Shakespeare che da qualunque predica mai ascoltata »; dell’Huntly Carter che scorge « dapertutto nei drammi di Shakespeare chiare indicazioni della sua fede nel Cristianesimo » e indizi ovvi « del suo atteggiamento favorevole verso la religione ortodossa», e del Saintsbury e dello Stedman che proclamano: «Su di un solo soggetto, la religione, la bocca'di Shakespeare è quasi muta: benché le poche espressioni con cui ha Sfiorato l’argomento mostrino che ciò non dipese da sua incapacità di trattarlo: è sui confini del mondo invisibile della verità spirituale che la visione di Shakespeare vien meno, ed il genio, che altrimenti sarebbe stato universale, si arresta, e ‘batte in ritirata, sconcertato e a mani vuote... ».
Fra tanta discordanza d’interpretazione, di cui le voci qui espresse sono solo un saggio e un’anticipazione, è necessario, per orientarci, definire bene il significato del: problema e la portata dei suoi termini: delimitare il senso nel quale è intesa là domanda della concezione morale e religiosa della vita in Shakespeare, e dire in che modo la sua persona e i suoi sentimenti personali siano coinvolti nell’oggetto della ricerca.
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Porre il quesito delle idee morali e religiose di Shakespeare da un punto di vista storico e biografico, è entrare in un labirinto senza uscita, od esporsi ad un infecondo lavoro di critica e di tortura di scarse e brevi testimonianze, nelle quali ognuno finirà per leggere e trovare quelle idee e giudizi che inconsciamente 1 si è già formati dalla lettura delle sue opere, o peggio ancora, quelle idee e quei sentimenti pei quali si hanno preferenze o alle quali si desidera di addurre il tributo della testimonianza del poeta.
Shakespeare invero non scrisse un giornale dei suoi sentimenti come Pepys, non recitò le sue « Confessioni » come Sant’Agostino e Rousseau, non ebbe alcun Boswell che scrivesse la sua biografia: e quando si è discusso sulla probabile auten-
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ticità dell'episodio giovanile della sottrazione di selvaggina, e di irregolarità di carattere morale, quando si è ponderato sull’appellativo di «gentile» con cui i suoi contemporanei si accordano a caratterizzarlo, quando si sono fatte tutte le induzioni possibili sulla fortuna da lui accumulata e'sulla forma in cui fu spesa, e si sono tratte tutte le conseguenze positive dall’argomento negativo del silenzio, o quasi, dei suoi contemporanei, si è costretti a riconoscere, che quello che del suo spirito, del suo pensiero, del suo atteggiamento teorico e pratico verso la vita e i suoi misteri non può esser letto nella incosciente autobiografia dei suoi drammi, è vano cercarlo altrove.
Eppure si è preteso di attribuire un valore definitivo alle parole con cui si apre il testamento autentico di Shakespeare, da lui firmato nella sua residenza in Strat-ford-on-Avon pochi mesi prima della sua morte. Esse sono: « In nóme di Dio, Amen! Io, Guglielmo Shackspeare (sic) di Stratford-upon-Avon... affido la mia anima alle mani di Dio mio Creatore, sperando e fermamente credendo, per i soli meriti di Gesù Cristo mio Salvatore di esser fatto partecipe della vita eterna, e' affido il mio corpo alla terra di cui è formato...». Ma, come osserva Sidney Lee, il migliore e più recente biografo del poeta, « questo esordio religioso del testamento è redatto nella ordinaria fraseologia testamentaria, benché in forma alquanto ampia, e non può fornire certo il bandolo per discoprire le opinioni religiose personali di lui. Che se il testamento della sua nipote, l’unico che ci sia giunto, della sua famiglia, non-ha altra confessione religiosa che l’interiezione: « Dio sia benedetto! », d’altra parte alcuni degli amici di Shakespeare fanno nei loro testamenti menzione più esplicita della loro fiduciosa speranza di salvezza, e della «certa remissione e perdono delle loro colpe, per i meriti della Seconda Persona (della Trinità); Gesù Cristo».
Tuttavia, lasciando ora intatta la questione della religiosità e moralità di Shakespeare artista, cioè della sua opera, espressione prammatistica della concezione della vita da lui effettivamente vissuta, è innegabile che il suo testamento documenta la sua adesione almeno formale e sociale ai principi fondamentali del Cristianesimo, come il suo battesimo nella chiesa parrocchiale di Stratford-on-Avon (appartenente alla «Chiesa Stabilita», o Evangelica, di Stato) nella quale fece anche battezzare i suoi tre figli, fece da padrino al figlio di uno dei suoi amici, e ove furono sepolti i suoi genitori e fu egli stesso sepolto nell’interno della chiesa, anzi vicino all’altare, e dopo di lui i suoi quattro immediati'congiunti, documenta la sua formale adesione alla « Chiesa Stabilita » nata dallo Scisma di Enrico Vili.
Che i genitori di Shakespeare fossero cattolici e che il testamento del padre di lui — sulla cui genuinità si è molto discusso — mostri che costui morì cattolico, non è argomento di alcun valore in quel periodo storico in cui appunto avvenne il trapasso dell’Inghilterra dal Cattolicismo alla Chiesa Protestante di Stato: e quanto all’affermazione incidentale trovata fra alcuni rozzi appunti di un « clergyman » della Chiesa Inglese, circa un secolo dopo la morte di Shakespeare, che costui « morì Papista » (cioè cattolico), oltreché essa non è corroborata dà alcun’altra testimonianza, più vicina di tempo alla morte del poeta ed emessa-
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da persona residente almeno nella medesima provincia, è inoltre inconciliabile coi fatti sopra accennati.
È vero che i propugnatori della cattolicità di Shakespeare — specie l’Orato-riano Padre H. S. Bowden, ed il Gesuita Padre Stanislao Boswin — si sforzano di corroborare la loro tesi, trasferendo la questione dal campo storico biografico a quello critico, e chiedendo argomenti di carattere interno, ai drammi del poeta, ma con ciò essi stessi convengono — quale che sia il vantaggio della nuova posizione — che la controversia sulla qualità del Cristianesimo di Shakespeare, e quella ancora più fondamentale della concezione religiosa — o irreligiosa? o areligiosa? — di lui non può porsi utilmente nel senso delle idee e sentimenti da lui professati, ma nel senso che solo ha un valore per noi, del «finis operis», cioè della testimonianza e del contributo, espresso dalla sua opera artistica.
Ma fare appello ai drammi shakespeariani perchè ci rivelino in modo coordinato, organico, sicuro ed esplicito i sentimenti e le fedi morali e religiose del loro autore sarebbe disconoscere la caratteristica stessa individuante del suo genio, la universalità e la umanità. La sua costituzione drammatica lo predestinò a rappresentare e interpretare con una veracità grafica ogni sórta di sentimenti, di emozioni, di atteggiamenti dello spirito. La sua capacità di identificarsi volta a volta con tutte le situazioni e gli stati d’animo dei suoi personaggi, con i loro sentimenti e punti di vista, come fa sì che egli non possa venire parodiato — perchè si fa fare egli stesso la propria parodia da altri personaggi — così sconcerta ogni tentativo di ridurre a sistema coerente le concezioni morali e religiose espresse dalle creature di sua invenzione. Il suo genio drammatico non si lascia guidare da norme, da principi, da proverbi o da dommi, esso non professa e non crede se non ciò che vede, ed è solo la sua esperienza immediata che fornisce alla sua visione alcuni universali, tanto meno riducibili a canoni, a norme, a concezioni dottrinali, quanto più il suo occhio ha scandagliato le profondità del cuore umano, illuminato dalla luce della sua magica simpatia. Noi siamo tentati, è vero, di sospettare che sia stato l’uso sapiente di qualche risolvente analizzatore, l’applicazione del prisma rifrangente di qualche formola filosofica, il lampo istantàneo di qualche principio radioso, che gli ha rivelato ciò che si ascondeva nelle latebre profonde dei figli dell’uòmo e che non era oggetto della sua conoscenza immediata: ma dimentichiamo, allora, che ogni giorno ed ogni ora, dalle circostanze più comuni della vita e dalle azioni degli esseri umani più comuni, si sprigiona una tale profusione di impressioni, di confessioni, di moniti, di rivelazioni, che i più acuti e pronti spiriti riescono ad afferrarne soltanto una minima frazione; e che per quelli stessi che noi chiamiamo geni della visione, dell'intuizione, della morale, della scienza della religione, resta sempre vero che « vi sono più cose in cielo ed in terra, di quelle che possano venir sognate dalla loro filosofia ».
Una non piccola parte delle migliaia di volumi scritti su Shakespeare (la sola biblioteca shakespeariana di Birmingham ne possiede circa dieci mila) rappresenta gli sforzi inani di uomini troppo « Cristiani » o « Cattolici », « Irreligiosi » o « Areligiósi », « Deterministi » o « Liberisti », « Utilitaristi », « Edonisti », « Mistici », «Materialisti» e «Spiritualisti», ma troppo poco * uomini» nel senso del: «homo
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sum, et humanum nihil a me alienum puto ». Ma Sakespeare elude ogni tentativo settario di sequestro nell’una o nell’altra delle caselle « belle e fatte » delle cate gorie e delle formole.
Che se anche questi tentativi fossero riusciti, e l’uno e l’altro dei torturatori di quest’altra « Bibbia » dell’umanità avesse potuto dimostrare che la propria interpretazione era là genuina e ortodossa, sarebbe sempre rimasto véro che un « credo » religioso, morale o politico, è la voce di una communità più che di un genio: e che le « differenze specifiche », costituitive dell’« individuum ineffabile », avrebbero sempre mantenuto il velo dinanzi al sacrario, occultando il focolare sempre ardente della luce e del calore.
Dinanzi alla galleria variopinta dei personaggi shakespeariani — tutti « uomini », ma nessuno « eroe » — tipici di atteggiamenti morali, politici, religiosi diversi ed opposti, non sono possibili che due atteggiamenti ragionevoli: o indurre un sincretismo scettico, 0 ammettere che lo spirito dell'artista fu veramente quel « portavoce della Natura »; « quello specchio fedele dei costumi e della vita »; « quell’anima la più ampia e comprensiva fra i moderni e forse anche fra gli antichi poeti »; « quell’uomo che la Natura stessa aveva foggiato per criticare se stessa », quale, con molti altri. Ben Johnson e Pope, Hohnson e Dryden lo hanno definito.
E non v’è livrea o etichetta o « credo » con cui si voglia cucinarlo « maledettamente, da una-sola parte, come un uovo mal cotto», di cui non possa ottenersi la « reductio ad absurdum » solo col presentare un altro Shakespeare vestito con diversi panni, ma tolti pur sempre dalla sua inesauribile guardaroba.
Basta, per esempio, dare una scorsa al volume di Franz Lutgenau: « Shakespeare als philasopk »; Leipzig, 1909, il tentativo più elaborato di sistemare le idee di Shakespeare nei tre periodi « dell’ingenuo Teismo e Dualismo », « dello Scetticismo », e « del Panteismo », per costatare come Shakespeare si burli di questa ingenua mania di classificazione, condannando l’autore a fare la critica più spietata della propria sistemazione, imponendogli cioè di cercare in uno stesso dramma, ad esempio nell'« Amleto », le citazioni' a sostegno della sua teoria delle tre fasi di pensiero.
Se Cordelia scongiura gli Dei pietosi a salvare la grande follia dell’infelice padre, Gloster nello stesso dramma fa stridere la nota dell’empietà nel: « Quel che le mosche sono per sfrenati fanciulli siam* noi per gli Dei: ci uccidono per sollazzo »: mentre per Edgar: « Gli Dei sono giusti, e dei nostri vizi accarezzati fanno strumento per torturarci ». Se in « Measure of Measure » il dramma in cui Shakespeare più si avvicina alla trattazione diretta del problema morale, si fosse tentato di vedere in Angelo, nel giudice inflessibile che crede al carattere assoluto dei principi morali e ristabilisce la pena capitale per le più leggere violazioni della morale sessuale, il campione a cui Shakespeare affida la personificazione della sua concezione morale. Isabella ci si erige di fronte, con la sua replica fulminea alla sua dichiarazione di amore: « Anche, mio fratello amò Giuliétta; eppure tu mi dici che egli deve esser punito con la morte », sarà allora Isabella la eroina di Shakespeare? Ce lo vieta la crudeltà dei suoi improperi contro il fratello Claudio che, appassionato di vita la invoca: « Dolce sorella: fammi vivere »; l'epigramma
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che aduna più ironia che simpatia su quest’angelo poco femminile: «Chè Isabella viva casta e il fratello muoia. Più che il fratello vale la castità nostra », e la condotta a cui si lascia indurre nel seguito della commedia:
Senza ancora inoltrarsi nella critica dettagliata dell'atteggiamento di chi ricerca il «sistema» filosofico, morale, religioso di Shakespeare, possiamo di già vedere spuntare sulle labbra leggermente ironiche di colui che fu « il più raro dei fenomeni: un uomo completo », le paiole del « Vicario Savoiardo» di Rousseau: « Je ne suis pas un grand philosophe et je me soucie peu de l’être, mais j’ai quelquefois du bon sens et j’aime toujours la vérité ». Dovremmo perciò rinun- ziare a conoscere quale sia, in senso largo, la concezione o almeno l’orientamento spirituale Che si distacca dall’opera di Shakespeare, riguardo ai problemi fondamentali della vita e dèlia morte, e l’enimma dell’esistenza umana, il mistero dei grandi e tragici con flitti tra il fato e il volere, la ragione e le passioni, e la soluzione di questo mistero: in breve, la religione della uas opera artistica?
Tale rinunzia implicherebbe una critica e una condanna radicale dell’uomo e dell’artista sovrano, ed un’affermazione troppo audace per essere osata: cioè che un’opera d’arte possa non essere che una fotografia oggettiva di. costumi; senza che l’artista trasparisca attraverso la scelta, la sintesi, l'animazione delle sue creature: ed implicherebbe l’assurdo, che sia possibile camminare senza alcuna direzione, vivere senza alcun senso, operare senza incarnare alcuna norma, produrre dei capolavori senza che essi portino l’impronta dell'anima dell'artefice che in essi si espresse. In qual modo allora, e da che punto di vista abborderemo il problema ?
Alcune considerazioni e alcuni « assaggi » ci serviranno a pórre la questione « au point », a liberarci da posizioni false od equivoche, e a circoscrivere la nostra ricerca.
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Anzitutto stabiliamo fin da ora il canone, che non è, ad es., la religione professata dai personaggi di Shakespeare il criterio plausibile delle sue preferenze, bensì V influenza 'detta religione da essi professata, sulla loro condotta. Ne'consegue, che benché l’uno ó l'altro dei personaggi shakespeariani parli degli Dei o eli Dio, dei cattivi spiriti o di Satana, degli angeli, del Cielo e dell’inferno e degli spiriti venuti da un altro mondo, se queste idee non avranno alcuna influenza sostanziale sulla sua rappresentazione della vita, nè saranno usate organicamente dal poèta per adunare luce intorno ai misteri dei tragici conflitti della vita e della morte, bisognerà dire che fu solo una necessità oggettiva e non una scelta soggettiva quella che lo indusse a presentare i suoi personaggi medioevali e a farli parlare ed agire, nel lóro ambiente morale e religioso: in altri termini, il suo potrà essere un cattolicismo o un Cristianesimo storico, romantico e artistico, ma non una fede della mente e del cuore.
Ci troviamo quindi nella necessità di tracciare un quadro sommario delle condizioni morali e religiose dell’età di Shakespeare, per intravedere e valutare
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MORALE E RELIGIONE NELLE OPERE DI SHAKESPEARE
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l’influenza oggettiva e soggettiva da esse esercitata sui suoi drammi, e poter giudicare a questa stregua le pretese di attribuire al loro autore preferenze morali e religiose professale dall'uno o l'altro dei suoi personaggi. Se da questo esame e da questa critica risulterà che dall’opera di Shakespeare esula, sia la morale fatta di antipatie per l’uno o l’altro degli aspetti della natura umana, sia la religione fatta di formule e dommi e d’interventi trascendentali, ci resterà allora da affrontare il compito più costruttivo, e ricercare quale sia lo spirito e la concezione generale proclamata dai drammi e specie dalle grandi tragedie, e quale sia, la voce che si leva su dall'eloquente testimonianza di una schiera tipica di viandanti e di combattenti nelle grandi vie e nelle forti lotte della vita, o almeno le impressioni potenti che lo spettacolo drammatico imprime sul nostro spirito. Analizzando questa impressione, ci troveremo forse di fronte a quegli elementi primitivi, a quelle emozioni elementari, a quella dilatazione del nostro essere e intensificazione del ritmo della vita, che costituiscono il fondo e la stoffa della nostra vita morale e religiosa: e ci verrà fatto di esclamare con Miranda: « Quanto è bella l’umanità!» e di scoprire ala bellezza giornaliera-della vita».
(Continua)
Giovanni Pioli.
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IL PENSIERO RELIGIOSO E FILOSOFICO DI F. DOSTOIEVSKY
(Cootinuaziooc. Vedi Bilychnie, fasckolo di marzo 1917, pagina 202)
PARTE SECONDA
Luce, speranza, gioia, estasi...
La vita è un paradiso, ma gli uomini non lo sanno e non vogliono saperlo.
(I Fratelli Karamasoff).
a comprensióne della vita, voi dite, è più interessante della vita stessa; la conoscenza delle leggi della felicità più preziosa della felicità stessa. » — « Ecco gli errori che bisogna combattere e contro i quali io voglio lottare ».
(Il Sogno di un uomo ridicolo).
« Ma come potrei lare a meno di credere? ho veduto la Verità e non l'ho inventata con l'intelletto, ma l’ho veduta, l’ho
veduta e la sua viva immagine ha riempito per sempre l’anima mia. L’ho veduta così semplice e bella come ammetto sia impossibile agli uomini vederla sulla terra. Ed è appunto per questo che gli uomini mi deridono ed esclamano: — È un sogno, una fantasmagoria,- un'allucinazione! — Eppure sono orgoglioso. Sia pure un sogno: cos’è un sogno? E la nostra vita non è forse soltanto’ un sogno? Dirò anche di più. Il mio sogno non si realizzerà mai? Che importa? Io continuerò a predicare ugualmente. E tuttavia sarebbe così semplice la realizzazione! Sarebbe la cosa di un giorno, di un’ora. Basterebbe che ciascuno amasse tutti gli altri più di se stesso. È il più importante ed è tutto. Dopo di questo non occorre più nulla. E questo non è che una vecchia verità ripetuta miliardi di volte senza però che formi codice in nessun luogo ». (// Sogno di un uomo ridicolo).
♦ * *
a Una grande idea è quasi sempre un sentimento che troppo a lungo rimane senza definizione. So soltanto che quella è la sorgente da cui fluisce "la vita vivente", cioè non la vita cerebrale e non quella ideata, ma la vita serena e mai noiosa; di modo che l’idea superiore, da cui essa scaturisce, è assolutamente necessaria ».
(L‘ Adolescente).
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• * *
« Il silenzio della terra era come immerso nel silenzio del cielo, il mistero della terra toccava il mistero delle stelle... Alioscia stava guardando intorno a sè e ad un tratto cadde per terra come fulminato. Non sapeva perchè baciasse la terra, non si rendeva conto perchè avesse la voglia irresistibile di baciarla, di baciarla tutta quanta; la baciava piangendo, singhiozzando e bagnandola delle sue lagrime è giurando di amarla, di amarla per l'eternità. " Bagna la terra colle lagrime della gioia tua e amala per l’eternità " ecco che cosa passò per la sua anima. E perchè piangeva perfino alla vista di quelle stelle che gli brillavano dall’abisso e non “ si vergognava della sua estasi? ” Era come se i fili invisibili di tutti quei mondi innumerevoli si fossero congiunti ad un tratto nell’anima sua ed “ essa tremasse di quel contatto cogli altri mondi ”, Voleva perdonare a tutti e tutto e chiedere perdono. Oh, non per sè, ma per tutti e di tutto, " per me altri < hiederanno ”, così sentì nell’anima sua.
Ma ogni istante sentiva in un modo meraviglioso e concreto come se qualche’ cosa di fermo e di stabile, come se quella volta celeste fosse discesa fino all’anima sua, come se qualche idea cominciasse a dominare nel suo intelletto per tutta la vita e per l’eternità. Era caduto a terra giovane debole e si era alzato lottatore fermo per tutta la vita e lo sentì e ne ebbe coscienza nell'attimo stesso della sua estasi e mai, mai più durante la sua vita Alioscia potè dimenticare quell’attimo. *' Qualcuno ha visitato l'anima mia in quell’ora ”, diceva egli poi con parole piene d! ferma fede ». (/ Fra»
* * *
« Ebbi in un modo dèi tutto inaspettato per me un sogno e mai ne ebbi uno uguale. Nella pinacoteca di Dresda c’è un quadro di Claude-Lorrain, che il catalogo definisce A ci e Galalea; io invece lo chiamo sempre II secolo d’oro, non so perchè. L’avevo rivisto anche ora, tre giorni fa, passando per Dresda e lo notai ancora una volta. Sognai appunto di questo quadro, ma come se fosse una strana favola. Però non so esattamente che cosa sognai, era qualche cosa come quel quadro, un angoli» dell’Arcipelago greco, ma l’epoca era come se fosse tre mila anni fa; onde azzurre che pareva carezzassero isole e roccie; una. riva fiorente, un panorama incantevole nello slondo, il sole che tramontava ed attirava; non si può rendere tutto con parole. Questa era la tua culla, o civiltà europea, ed il pensiero di tutto ciò riempiva la mia anima di nostalgia. Qui era il paradiso terrestre dell’umanità: gli dèi scendevano dai cieli e nascevano uomini... Oh, qui vivevano uomini belli! si alzavano e si coricavano felici ed innocenti, i prati ed i boschi risonavano delle loro canzoni e delle loro grida di allegria, la grande esuberanza di forze vergini era tutto amóre e gioia ingenua.. Il sole li bagnava di caldo e di luce, godendo di vedere i suoi figli belli!... Oh sogno meraviglioso, oh grandioso errore dell’umanità! Il secolo d’oro la più inverosimile di tutte le illusioni, per la quale gli uomini davano la loro vita e tutte le loro forze, per la quale morivano e s’uccidevano i profeti, senza la quale i popoli non vogliono vivere e non possono neppur morire! E tutta questa sen-
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sazione io l’ho vissuta in sogno; roccie e mare e raggi obliqui del sole che tramonta: tutto questo io quasi lo vedevo ancora quando mi svegliai ed aprii gli occhi bagnati di lagrime. Mi ricordo che io ero felice. La sensazione di una felicità ancora ignota a me passò attraverso il mio cuore, fino al dolore; era questo l’amore per tutta l’umanità ».
(L’Adolescente).
• ♦ ♦
« Vi sono momenti che durano pochissimo, non più di cinque o sei secondi, in cui voi ad un tratto sentite la presenza dail'armonia eterna. Ciò non è umano e non dico nemmeno che sia divino, ma l’uomo nella sua forma umana non là potrebbe sostenere. È questo un sentimento chiaro ed indiscutibile. Come se ad un tratto si avesse la sensazione di tutto l’universo e si dovesse dire: sì, questo è vero; Iddio, quando creò il. mondo, alla fine di ogni giorno di creazione disse: “ Questa è la verità, questo è il bene ”. Questo... questo non è commozione, ma soltanto così, pura gioia. Voi non perdonate nulla, perchè non vi è più nulla da perdonare. E non è che voi amate tutto; qui si tratta di qualche cosa più alto dell’amore! È terribile che tutto sia così terribilmente chiaro: è la gioia, la gioia! Se questi momenti durano più di cinque secondi, l'anima non può sopportarli e deve sparire. In questi cinque secondi io vivo una vita intera e per essi darei tutta là mia vita. Per poter sopportare tutto ciò per dieci secondi bisogna cambiarsi fisicamente. Io penso che l’uomo deve cessare di procreare figli. A che prò figli, a che prò lo sviluppo, se lo scopo è raggiunto? Nel Vangelo sta scritto che dopo là risurrezione non si procreeranno più figli! ma saranno tutti come gli angeli di Dio ». (GK Ossessionali}.
« * *
« Ogni cosa mi dà la sensazione del divino. Vedete il ragno sul muro? lo guardo e gli sono grato, perché si muove ». (GK Ossessionali}.
• ♦ ♦
« Chi insegnerà che tutti Sono buoni renderà il mondo perfetto ».
« Chi l’insegnava fu crocifisso ».
« Egli verrà ed il suo nome sarà Uomo-Dio ».
« Dio-Uomo ».
« Uomo-Dio, ecco la differenza! »
(Gli Ossessionati).
• ♦ •
« L'uomo temo la morte, perchè ama la vita.
« Questo è vile, la vita è angoscia e l’uomo è disgraziato. Ora tutto è dolore e paura, l’uomo ama la vita, perchè ama il dolore e l’angoscia. Ma verrà il nuovo uomo, felice e superbo. Colui per cui sarà lo stesso vivere o non vivere, colui sarà l’uomo nuovo. Chi avrà vinto il dolore e la paura, colui sarà Iddio. E non vi sarà altro Dio! » — « Dunque quell'altro Dio esiste, secondo Lei?
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— « Egli non esiste, però Egli è. Nel sasso non vi è dolore, ma nella paura del sasso vi è dolore. Iddio è il dolore della paura della morte. Chi avrà vinto il dolore e la paura, colui stesso diventerà Dio. Allora verrà la nuova vita, il nuovo uomo e tutto sarà rinnovato... Allora la storia si dividerà in due parti: dal gorilla fino alla distruzione di Dio e dalla distruzione di Dio fino alla trasformazione fisica della terra e dell’uomo. L’uomo diventerà Dio e si cambierà fisicamente. L’Universo sarà cambiato e gli atti, i pensieri ed i sentimenti si cambieranno. Come credete che si sarà cambiato allora l’uomo? » (GW Ossessionati).
* * «
« Voi amate i bimbi?
« Sì li amo — rispose Kiriloff.
« Dunque amate anche la vita? »
« Sì, amo la vita, ebbene? »
« E perchè allora avete deciso di suicidarvi? »
« Ebbene, sono due cose diverse. La vita è una cosa da per sè. La vita è, ma la morte non v’è affatto»;
« Voi avete cominciato a credere nella futura vita eterna? »
« No, non nella vita eterna futura, ma nella vita eterna di qua giù. Vi sono momenti, e voi raggiungete questi momenti, in cui il tempo si ferma ad un tratto, allóra tutto è eterno».
« Voi sperate di arrivare ad un tale momento? »
•Sì». Ossessionali).
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« Lei venne da me non per sentire misere parole, ma per amarmi, perchè la donna appunto nell'amore trova la risurrezione e la salvezza da qualunque rovina e la rinascita non può manifestarsi in altro modo che in questo ».
(Il Sotterraneo).
* • *
« Il silenzio è sempre bello e l’uomo che tace è più bello dell’uomo che parla ».
(L'Adolescente).
* » *
»e II Cristo, caro mio, perdonerà tutto, perdonerà anche la tua bestemmia, perdonerà anche cose peggiori. Il Cristo è il Padre, il Cristo non tradisce, ed il suo splendore persiste nel buio più intenso ». (L’Adolescente).
« « *
« Umiliati, uòmo superbo! Lavora, uomo ozioso! »
(Discorso su Pusckin).
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« No, la coscienza segreta del potere è inesprimibilmente più piacente del dominio aperto». z . (L'Adolescente).
* * *
« Non ho bisogno di denaro, o meglio i denari non mi servono, neanche il potere; ho bisogno soltanto di ciò che si acquista per mezzo del potere e che non si può acquistare in nessun modo senza il potere: cioè la coscienza solitaria e tranquilla della forza! Ecco la più completa definizione della libertà, che il mondo cerca con tanta ansia! Libertà! Ho scritto, finalmente, questa grande parola... Sì, la coscienza solitaria della forza è incantevole e bella. Ho la forza e sono tranquillo. I tuoni sono nelle mani di Giove eppure vedi, egli è tranquillo; senti tu forse che egli tuòni spesso? L'imbecille penserà che egli stia dormendo. E metti a) post,ó di Giove qualche uomo di lettere o qualche donna cretina, quanti, quanti tuoni avremo allora! »
(L’Adolescente).
• ♦ ♦
« Non siete stati voi a dirmi che anche se vi si dimostrassi matematicamente che la verità è aH’infuori di Cristo, voi avreste preferito di rimanere piuttosto con Cristo che con la verità? » (L'Adolescente).
~ * * *
« Ho pensato ieri ad un quadro. Gli artisti rappresentano sempre il Cristo se? condo i racconti del Vangelo; io lo dipingerei diversamente: lo rappresenterei solo; —- i suoi discepoli per forza lo lasciavano ogni tanto solo — lascerei con lui solo un piccolo bimbo. Il bimbo gioca accanto a Lui; può darsi che gli racconti qualche cosa nel suo linguaggio di bimbo e il Cristo lo ascolta; ma, ecco, ora Egli è immerso nei suoi pensieri; la sua mano è rimasta involontariamente come in un oblio sul capo biondo del bimbo. Cristo guarda lontano innanzi a sè, guarda l’orizzonte: un’idea immensa come tutto l’universo traspare dal suo sguardo; il suo viso è triste. Il bimbo tace, si è appoggiato sulle sue ginocchia e,sostenendo colla mano la guancia, ha alzato la testolina; è pensieroso, come talvolta diventano pensierosi i bimbi. Lo guarda fissamente. Il sole tramonta... Ecco il mio quadro! Voi siete innocenti e tutta la vostra perfezione sta nella vostra innocenza ». (L’Idiota)
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« Si meravigliava come mai i bimbi da me capissero tutto e da lui nulla e poi si metteva a deridermi, quando gli dicevo che noi due non possiamo insegnare niente . ai bambini, ma che loro insegnano a noi. Per mezzo dei bimbi l’anima guarisce ».
(L’Idiota).
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« Gli uomini sono stati creati per la felicità e colui che è perfettamente felice è addirittura degno di dire a se stesso: " Ho compiuto il comandamento di Dio qui sulla terra ”. Tutti i giusti, tutti i santi, tutti i martiri sono stati tutti felici ».
(I Fratelli Karamasoff).
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« Ama prostrarti sulla terra e baciarla. Bacia la terra, e amala senza stancart i, senza saziarti, ama tutti, ama tutto; cerca queste estasi e questa follia. Bagna la terra colle lagrime della tua gioia e ama queste-tue lagrime; non vergognarti di questa estasi; abbila cara, perchè è un grande dono di Dio e non concesso a molti, ma solo ai pochi eletti ». (/ Fratelli Karamasoff).
* » ♦
« Tu lavori per tutto l’universo, per il futuro. Non cercare mai un premio, perchè tu hai una grande ricompensa su questa terra: la tua gioia spirituale che solo il giusto possiede ». (7 Fratelli Karamasoff).
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« Senza un’idea superiore non può esistere nè un uomo nè una nazione. E vi è una sola idea superiore sulla terrà: l’idea della immortalità dell’anima umana, perchè tutte le altre idee superiori di [cui può vivere l’uomo sorgono soltanto da questa idea». . (j)ai Diari0 di Uno scrittore).
* * *
« Sappiate che non vi è niente di più alto., di più forte, di più sano, di più utile per l’avvenire nella vita di qualche buon ricordo, e tanto più s’esso appartiene ancora alla infanzia, alla casa paterna. Si parla molto della vostra educazione, ma ecco che un bel ricordo, un ricordo sacro conservato dalla infanzia è, forse, la migliore educazione. Se si può raccogliere nella vita molti di tali ricordi l’uomo è salvato per tutta la vita. E anche se soltanto un solo buon ricordo rimanga con noi nel nostro cuore, questo pure potrà servire qualche volta per la nostra salvezza ».
- (Z Ragazzi).
» * ♦
« Il supremo pensiero russo è di trovare una sintesi che riconcili tutte le idèe ». {Delitto e Castigo).
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« Quando l’uomo intero raggiungerà la felicità, non esisterà più il tempo, perchè non ce ne sarà più bisogno. È un pensiero giusto ». Ossessionati).
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« L’uomo è infelice perchè non sa che è felice: soltanto per questo. Ecco, questo è tutto, tutto! Chi lo saprà, sarà felice nel medesimo istante ».
(Gli Ossessionali).
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« A volte non potevo non pensare come mai l'uomo possa vivere senza Dio e se questo sarebbe mai possibile. Il mio cuore decideva sempre che ciò fosse impossibile, però per un certo periodo può darsi che sia possibile... Anzi per me non esiste neppure il dubbiò, che questo tempo venga; ma a questo punto mi si parava dinanzi Un altro quadro...
« M'immaginavo — cominciò con un sorriso pensieroso — che la battaglia fosse finita e la lotta quietata. Dopo le maledizioni, dopo il fango e dopo i fischi pareva fosse subentrata la quiete e gli uomini fossero rimasti soli, come desideravano: la grande idea di una volta li avesse abbandonati; la grande sorgente di forze che finora li aveva nutriti e riscaldati, stesse per sparire, come quel sole maestoso del quadro di Claude Lorrain, e tutto ciò come se fosse l’ultimo giorno dell'umanità. Ecco che ad un tratto gli uomini comprendono di esser rimasti perfettamente soli e subito sentono di esser orfani. Caro ragazzo mio, io non ho mai potuto immaginare gli uomini ingrati ed istupiditi; gli uomini diventati orfani si sarebbero subito stretti l’uno all’altro, vicini vicini e con più amore; si sarebbero presi per la mano avendo capito ora soltanto che sono tutto l’uno per l'altro! Sarebbe sparita la grande idea dell'immortalità e bisognerebbe sostituirla; e tutta l’esuberanza immensa dell'amore di prima per Dio, che era Vimmortalità, si verserebbe sulla natura, sull'universo, sugli uomini, su qualùnque piccola erba. I loro cuori si sarebbero infiammati di un amore sfrenato per la terra e la vita, di un amore sempre più grande man mano che avrebbero riconosciuto la finalità ed il carattere passeggero di questa vita, e sarebbe un amore del tutto speciale, non più l’amore di prima. Comincerebbero ad osservare la natura ed a scoprirvi tali fenomeni e tali segreti che mai prima neppur sospettavano, perchè guarderebbero la natura con occhi nuovi, collo sguardo dell’amante che guarda l’amata. Svegliandosi gli uomini si bacerebbero l’un l'altro affrettandosi ad amare sapendo che i loro giorni sono contati, che questo è tutto quello che posseggono. Lavorerebbero l’uno per l’altro e ognuno cederebbe agli altri il suo avere e questo solo lo renderebbe felice. Il bimbo saprebbe e sentirebbe che ogni uomo .sulla terra gli è padre e madre. “ Forse domani è l’ultimo mio giorno ”, penserebbe ognuno guardando il sole al tramonto; se io morrò rimarranno loro tutti e dopo di loro i figli e questo pensiero che altri rimarranno amandosi lo stesso e tremando l’uno per l'altro sostituiiebbe l’idea dell'incontro dopo la morte. Oh, allora gli uomini s’affretterebbero ad amare per spegnere la grande tristezza dei loro cuori. Sarebbero orgogliosi e coraggiosi nel loro intimo, diventerebbero timidi l'uno di fronte all'altro; tremerebbero per la vita e la felicità altrui. Diventerebbero affabili reciprocamente e non se ne vergognerebbero come ora, ma l’uno accarezzerebbe l’altro come si carezzano i bimbi. Incontrandosi si guardereb-
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bero con uno sguardo profondo ed intelligente e nei loro sguardi vi sarebbe amore e tristezza..;
« Mio caro -r egli s'interruppe ad un tratto con un sorriso — questa è pura lan-tasia, anzi la più inverosimile fantasia, ma troppo spesso ebbi questa visione, per< hè io possa vivere tutta la mia vita senza questa idea. Non parlo della mia lede: la mia fede è grande, io sono teista, un teista filosofo, come tutta la nostra generazione. Io fantastico solamente così... ed è strano che io così pensando evochi sempre quella visione di Heine: “ Cristo sul mare Baltico ”. Non posso fare a meno di Lui, non posso fare a meno di immaginarmelo, finalmente, in mezzo agli uomini diventati orfani. Egli viene da loro, stende le mani verso di loro e dice: “ Come avete potuto dimenticarmi?” E qui caderebbe il velo dagli occhi di tutti e si leverebbe un inno grandioso e trionfante alla nuova ed ultima risurrezione».
(Gli Ossessionati).
* « «
« Vergine-Madonna è la nostra terra-madre umida, e grande è la gioia che l’uomo ne risente. Ed ogni tristezza terrena ed ogni lagrima terrena si tiasformano in gioia e quando avrai bagnato la terra colle tue lagrime, subito ti rallegrerai di tutto. E ogni tristezza tua sparirà, questa è la mia profezia. —- Così egli disse e la sua parola mi andò dritta al cuore. Cominciai da allora a piangere e a baciare la terra, quando mi inginocchiavo. Mio caro, io ti dico: non vi è nulla di doloroso in quelle lagrime. Tu piangi senza avere nessun dolore speciale: è lo stesso* le tue lagrime sgorgano per la sola gioia. Le lagrime sgorgano da sè. Me ne vado, ogni tanto, sola in riva al lago: da un lato vi è il nostro convento, dall’altro, la nostra montagna ripida. Salgo su questa montagna, volgo il viso verso l’Oriente, mi getto sulla terra e piango, piango, e non so per quanto tempo piango e non mi ricordo allora di nulla e allora non so nulla ». Ossessionati). •
« Perchè cercare ed annoiare la gente che non vi vogliono? Non è meglio romperla con tutti? »
« E poi, dove si va? » egli chiese con viso austero guardando in terra.
« Rimanere con se stessi, con sè! Lasciare gli altri e rifugiarsi presso se stesso! Con sè, con sè solo! Ecco la mia idea ». (Delitto e Castigo).
♦ ♦ ♦
« Debbo essere muto cogli uomini. Il più vile dei vizi è il buttarsi al collo degli uomini ». (Delitto e Castigo).
« « *
« Che fare? Romperla quando bisogna romperla, una volta per sempre e nien-t’altro, e prendere su di sè la sofferenza! Come? Non capisci? Lo capirai poi... Libertà e potere, ma più di tutto potere!. Su ogni creatura tremante e su tutto quel formicaio, che sono gli uomini. Ecco lo scopo! » (Delitto e Castigo).
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« La mia « idea » consiste appunto in questo, che mi lascino in pace... La libertà -personale, cioè la mia propria libertà anzi tutto e più di questo non voglio
sapere ».
« Predicate dunque la tranquillità della vacca sazia? »
« Ebbene, sia così. La vacca non dà offesa a nessuno. Non debbo nulla a nessuno, pago alla società denaro sotto torma di tasse per non essere nè derubato, nè aggredito., nè ucciso e più di questo nessuno osi chiedere da me. Io personalmente magari sarò di altre idee e magari avrò voglia di servire l’umanità e lo farò e forse lo farò dieci volte meglio di- tutti i predicatori; però non voglio che alcuno osi chiederlo da me, forzarmi: è libertà mia, anche se non volessi alzare un dito. Correre incontro agli altri e buttarsi al collo di ogni primo venuto e struggersi il cuore con lagrime di commozione, questo è soltanto una moda. E perchè mai debbo amare assolutamente il mio prossimo e la vostra umanità futura, che non vedrò mai, che neanche saprà di me e che a sua volta si cambierà in cenere senza lasciare nessuna traccia e nessun ricordo di sè? (il tempo qui non significa nulla), quando la terra a sua volta si cambierà ih un sasso ghiacciato e girerà nello spaziò senza aria con una quantità infinita di simili sassi ghiacciati; cosa dunque più sciocca di questa non si può neppure immaginare! Ecco la vostra dottrina! Ditemi, perchè io dovrei essere assolutamente grato a qualcuno, se tutto non dura che un attimo? »
{Delitto e Castigo).
♦ ♦ *
«Fra le altre cose rimase impensierito dal fatto che nel suo stato epilettico vi era una data gradazione di eccitamento quasi prima dell’attacco (solo però /quando l’attacco lo colpiva in piena coscienza): cioè ad un tratto in mezzo allo smarrimento, al buio dell’anima, alla depressione, il suo cervello a momenti quasi s’infiammava e con uno slancio straordinario tutte le sue forze vitali si tendevano. In tali momenti brevissimi come baleni, la sensazione della vita, l’autocoscienza, diventavano dièci volte più forti. L’intelligenza, il cuore si illuminavano di una luce straordinaria; tutte le agitazioni si pacificavano come per incanto, si trasform-vano in una pace divina, piena si speranza e di una chiara ed armoniosa gioia, piena di saggezza e di uno scopo finale. Ma questi momenti, questi baleni non erano che il presentimento di quel secondo finale, (mai più di un secondo} col quale cominciava l’attacco stesso. Questo secondo era, certo, insopportabile. Ripensandoci su poi, già guarito, egli spesso diceva a se stesso: Dunque questi baleni della sensazione di una autocoscienza superiore e quindi anche di una “esistenza superiore” che sono, se non malattia, interruzione dello stato normale? e se così è, allora, non dovrebbe questa “ esistenza superiore ” essere considerata piuttosto come una forma bassa di esistenza? E nondimeno giunsi alla fine ad una conclusione paradossale: “ E che importa, se tutto ciò è malattia? ”. Conclusi poi: “ Che importa che questo sia una tensione anormale, se il risultato stesso, se il momento della sensazione, ricordata ed analizzata già allo stato di salute, si
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presenta come armonia e bellezza nel grado più alto, se essa dà un sentimento mai provato prima né sospettato, un sentimento di pienezza di vita, di misura, di completa riconciliazione e di unione estatica religiosa colla "più alta sintesi di vita?”. . . ..
Queste constatazioni nebulose parevano a lui assai comprensibili, sebbene ancora troppo deboli di espressione. Però non dubitava e non poteva neppure ammettere il dubbio sul fatto, che questo in realtà fosse "bellezza e preghiera”. Era, in realtà, "la sintesi suprema di vita”. Perchè davvero non erano visioni solite che egli vedeva nel sogno in quel momento, visioni anormali ed inesistenti come quelle che appaiono dopo il "gascisc” e l’oppio e guastano l’intelligenza e l’anima. Se ne rendeva ben conto, cessato l’attacco. Questi momenti erano appunto null’altro che uno Sforzo straordinario dell’autocoscienza e, se bisognava'esprimere questo stato con una parola sola, dell’autocoscienza e nello stesso tempo di un’autosensazione spontànea al massimo grado. Se in questo secondo, cioè all’estremo momento cosciente, prima dell’attacco gli riusciva di dire a se stesso in modo chiaro e cosciente: “ Sì, per questo momento si può dare tutta la vita! ”, in questo caso, certamente, quel momento valeva da per sè tutta una vita. Però non poteva garantire che la forma verbale della sua conclusione fosse giusta: lo stordimento, il buio dell’anima, l'idiotismo, che seguivano questi "momenti superiori” erano presenti alla mente sua. Si capisce, non avrebbe potuto discutere tutto ciò seriamente, in conclusione, nel suo apprezzamento di questo momento c’era senza dubbio implicito qualche sbaglio, ma nondimeno la realtà della sensazione gli dava un po’ da pensare. Ed infatti che fare allora della realtà? Non era dunque un fatto, non aveva egli stesso avuto la possibilità di dirsi in quello stesso secondo, grazie alla felicità senza limiti provata così pienamente, che questo attimo valeva una vita intiera? "In quell’attimo ”, egli disse una volta ad un suo amico. " è evidente la parola straordinaria che non esisterà più il tempo’'. “Puòdarsi, egli aggiunge sorridendo, che questo sia quello stesso secondo, nel quale non fece a tempo a vuotarsi la brocca rovesciata contenente l’acqua dell'epilettico Maometto; questi però aveva avuto il tempo di visitare nello stesso secondo tutte le abitazioni da Allah
{L’Idiota).
♦ ♦ ♦
« Capii ad un tratto che là mia devozione all'idea, non libera affatto me, essere morale ed intelligente, dall'obbligo di rendere felice praticamente almeno una sola creatura umana durante la mia vita». {L‘ Adolescente).
♦ ♦ •
« Rendere pienamente felice una creatura almeno in qualcosa durante la nostra esistenza, ma in modo pratico, cioè realmente, io metterei ciò come comandamento per ogni uòmo nella pienezza delle sue forze. L'uomo superiore ed intelligente, seguendo l’idea superiore, si distrae, dimentica l'essenziale, diventa ridicolo, ca-Driccioso e freddo, direi quasi stupido e non soltanto nella vita pratica, ma lo di-
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venta alla fine anche nelle sue teorie. Di modo che l’obbligo di darsi alla vita pratica e di rendere felice almeno una sola creatura umana farebbe in realtà del bene al benefattore stesso: lo correggerebbe e lo renderebbe più fresco ».
(L’Adolescente).
* * ♦
« È dunque possibile essere realmente infelice? E che cosa sono dunque la mia disgrazia ed il mio dolore, se io sono capace di essere felice? Sapete, non capisco come si possa passare dinanzi l’albero e non essere felice di vederlo! Parlare con un uomo e non essere felice di amarlo! Sì, solo non so esprimermi... e quante belle cose vi sono ad ogni passo, tante che perfino l’uomo il più basso le riconosce! Guardate il bimbo, guardate l’aurora di Dio, guardate gli occhi che vi guardano e vi amano... ». (L’Zdw/a).
♦ * *
« Domandate, domandate agli uomini come ognuno di loro intende la felicità. Siate pure sicuri, che Colombo era felice non già quando scoprì l’America, ma quando stava per scoprirla; siate sicuri che il momento culminante della sua felicità fu, forse, proprio tre giorni prima della scoperta del Nuovo Mondo, quando l’equipaggio si rivoltò contro di lui e nella disperazione, stava quasi per far ritornare la nave in Europa! Qui non si tratta del Nuovo Mondo che può anche sparire. Colombo morì senza averlo quasi conosciuto ed in realtà senza sapere di averlo scoperto. Qui si tratta della vita, della sola vita e dell’eterno e continuo scoprire se stesso e non della scoperta di un nuovo pezzo di terra solamente ». (L’Idiota).
« Vi sono certi incontri anche fra persone che non si sono mài conosciute, che ài primo incontrarsi con lo sguardo sentono viva e reciproca simpatia, così ad un tratto, improvvisamente, prima di avere detto una parola ».
(Delitto c Castigo).
♦ ♦ *
« Or ora stavo, qui seduto e sai che cosa dicevo fra me? « Anche se io non credessi • alla vita, anche se perdessi la fede in una donna amata, anche se perdessi la fede nell’ordine delle cose e se fossi persuaso che tutto invece è un caos disordinato, maledetto e diabolico e tutti gli orrori del disinganno umano dovessero colpirmi, vorrei vivere lo stésso ed una volta appressatomi al calice non lo lascerei, finché non l'avessi vuotato del tutto! Però verso i treni'anni certo butterei via il calice anche se non l’avessi terminato e me n’andrei, non so dove. Ma sino ai miei tren-t’anni, lo so di sicuro, la mia gioventù vincerà tutto —ógni disinganno, ogni ribrezzo della vita. Mi sono chiesto molte volte: c’è al mondo una tale disperazione che possa vincere in me questa sete di vita —• questa sete violenta ed indecente? — ed ho concluso che pare di no, cioè, ripeto, fino a trentanni, ma poi io stesso non
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vorrò più, così mi pare. Questa sete di vita cèrti piagnucoloni-moralisti, specialmente poeti, la chiamano vile — questa sete di vita è proprio una caratteristica dei Karamasoff, questo desiderio di vita nonostante tutto, per forza, è anche in te; ma perchè è vile tutto ciò? Sul nostro pianeta c’è ancora tròppa forza centrifuga. Bisogna vivere ed io vivo anche se fosse contro logica. Ebbene, voglio che sia così; anche se non credo all’ordine delle cose, mi sono care le fogliette gommose che si aprono in primavera, mi è caro il cielo azzurro, mi è caro qualche uomo al quale, lo crederesti, non saprei dire perchè voglio bene. Mi è caro qualche atto eroico di colui nel quale forse non avevo più fède già da un pezzo, e neppure nel fondo del cuore stimavo. Mi pare che tutti debbano anzi tutto amare la vita su questa terra».
— « Amare la vita più del suo senso ? »
— « Assolutamente sì, amarla prima di ogni logica, come tu dici; assolutaménte prima di ogni logica e soltanto allora se ne capirà il senso ».
(Z Fratelli Karamasoff).
• ♦ •
« La mia famiglia, le mie due figlie ed il mio figlio, il mio erede dunque.. Morirò e chi dunque li amerà? E mentre sono vivo, chi dunque oltre a loro amerà un miserabile come sono io? Ad una cosa grandiosa ha pensato il Signore per ogni uomo della mia specie. Perchè bisognava che qualcheduno amasse anche un uomo della mia specie...». (1 Ragazzi).
« * «
« All’improvviso uno strano sentimento di grande e sacra gelosia m’infiammò il cuore: " Io amo, io posso amare soltanto quella terra che ho abbandonata, sulla quale il mio sangue è caduto a goccie ed io, ingrato, con un colpo al cuore ho spento la mia vita. Ma mai e poi mai ho cessato d’amare la terra e perfino quella notte, quando l’abbandonai l’amavo forse più tormentosamente che mai. Vi è del tormento su questa nuova terra? Sulla nostra terra noi possiamo amare in realtà»solo col tormento e solo per mezzo del tormento. Voglio il tormento per amare. Io voglio, io bramo in questo istante-di baciare, baciare con lagrime solo quella terra che ho lasciata e non voglio la vita su altri mondi ». (7Z sogTO di u„ Mmo ridlòoloy
♦ ♦ *
« Se tu stesso avrai peccato e sarai triste a causa della morte o a causa dei tuoi peccati, gioisci per l’altro, pel giusto, gioisci, chè se anche hai peccato, egli invece è giusto e non ha peccato ». (Z Fratelli Karamasoff}.
♦ ♦ ♦
« L’essenza del sentimento religioso non si lascia imprigionare in nessun ragionamento, in nessun atto o crimine ed in nessun ateismo. C’è in questo sentimento qualche cosa che sfugge e tutti gli ateismi ne parleranno sempre male a proposito ».
(L'Idiota).
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* * *
« Molti ora non credono in Dio. Ma, dimmi, tu che hai vissuto all’estero, è vero ciò che un ubbriaco mi disse, che da noi in Russia ve ne sono più che nelle altre terre di quelli che non credono in Dio? " A noi, disse, questo riesce più facile, perchè siamo più avanti”». ■ . (L'Idiota).
♦ * *
« Qui non si tratta del tempo, ma di voi stessi. Diventate il sole, tutti vi vedranno. Il sole deve anzitutto essere sole ». (Delitto e Castigo).
« « *
« Ecco, disse la contadina, quale è la gioia della madre quando per la prima volta nota il sorriso del suo piccino, tale è anche la gioia di Dio ogni volta che Egli dal cielo vede, che un peccatore s’inginocchia per pregare dal profondo del suo cuore ».
(L'Idiota).
* • *
« Fratelli, non temete il peccato degli uomini, amate l’uomo anche nel suo peccato, perchè un tale amòre s’avvicina all’amore di Dio che è più alto dell’amóre terreno. Amate ogni creatura divina e tutto l’universo; ogni granello di sabbia, ogni fogliolina, ogni raggio divino amate. Amate le bestie, amate le piante, amate ogni cosa. Se amerai ogni cosa, potrai capire il mistero divino di tutte le cose. E sorgerà in te, alla fine, l’amore per tutto il mondo, un amore universale, cosmico ».
(I Fratelli Karamasoff).
♦ ♦ »
« Fratelli, l’amore è un maestro, ma bisogna saperlo conquistare, perchè è difficile di meritarlo; lo si ottiene a caro prezzo e con grande fatica e dopo lungo tempo, perchè bisogna amare non per l'opportunità del momento, ma per tutta la vita. Ognuno può ¿amare occasionalmente, anche l’assassino».
(I Fratelli Karafàasoff).
* ♦ *
« Un giovane, fratello mio, chiedeva perdono agli uccelli; pare che ciò non abbia senso, ma è la verità, perchè tutto è come un oceano, tutto cammina e viene in contatto; se tocchi un punto, ne risente un altro punto dell’universo. Che sia follia chiedere perdono agli uccelli? Se tu stesso fossi più vicino a Dio di quello che sei ora, la vita sarebbe più facile anche per gli uccelli, per ogni bimbo, per ogni bestia ch’è accanto a te. Tutto è come un oceano, te lo ripeto. Se tu fossi più vicino a Dio, adoreresti anche gli uccelli, tormentato da un amore cosmico, come in estasi e pregheresti che anche gli uccelli ti perdonassero il tuo peccato; Che ti sia cara la tua estasi, anche se appaia senza senso agli uomini ».
(I Fratelli Karamasoff).
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IL PENSIERO RELIGIOSO E FILOSOFICO DI F. DOSTOIEVSKY
* * ♦
« Oh, come i figli del sole, di quel sole erano belli! Mai avevo veduto sulla nostra terra uguale bellezza. Forse soltanto nei nostri fanciulli di tenerissima età òvvi un lontano riflesso di quella bellezza. Gli occhi di quegli uomini felici lucevano di un dolce splendore. I loro volti radiavano un’intelligenza luminosa e una tranquilla coscienza; le loro voci e le loro parole erano serene e gioiose, come voci è parole di fanciulli. Non avevano nessun tempio, ma una reale unione, viva e continua, col gran tutto dell’universo; non avevano religione, ma la ferma coscienza che, quando la gioia terrestre avrà raggiunto tutti i confini della natura terrestre, sarà allora per i vivi ed i morti un estendersi infinito dell’unione coll'anima universale ».
• (Il Sogno di un uomo ridicolo).
• ♦ •
« Questi idealisti, questi uomini migliori, si ravvisano subilo. L'uomo migliore — secondo l’idea del popolo — è quello che non si è inchinato dinanzi la' tentazione materiale, colui che senza tregua cerca il lavoro per Dio, che ama la verità e, quando occorre, si alza per servirla, abbandonando la casa e la famiglia e sacrificando la vita ». (7Z Diario di uno scrittore).
« * «
« L'Università senza dubbio dovrebbe essere accessibile a tutte le donne e a tutti i futuri scienziati e alle persone semplicemente colte, ma poi dopo l’università bisogna sposarsi e avere figli. Nel mondo finora non è stato inventato nulla di più intelligente che il fare dei figlioli e perciò quanto più tu avrai preparato per questo la tua intelligenza, tanto meglio sarà ». (/z Diario di un0 scriUore).
« * «
« Ammettendo sinceramente e completamente la cultura superiore della donna con tutti i diritti che essa le dà, la Russia farebbe un passo immenso e originale davanti a tutta l'Europa nell’alta impresa del rinnovamento dell’uomo ».
(Il Diario di uno scrittore).
♦ * ♦
« Amici miei, chiedete a Dio l’allegrià. Siate allegri come i bimbi, come gli uccelli celesti. E che non vi turbi il peccato umano nelle vostre azioni. Non temiate che esso.possa distruggere la vostra azione. Non dite: Il peccato è forte; è facile cadere in errore e renderci colpevoli, immaginandoci per giunta di fare qualche cosa di grande e bello ». (/ Fratelli Karamasoff).
s ***
« In verità vi. dico: sulla terra noi erriamo e se non tosse dinanzi a noi l’immagine preziosa del Cristo, noi saremmo persi e ci perderemmo del tutto come il genere umano prima del diluvio. Molto è ignoto a noi, sulla terra, ma ci è concessa la mi-
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steriòsa e saera sensazione del nostro legame vivente con un altro mondo, col mondo superiore delle altezze, e le origini dei nostri pensieri e sentimenti non stanno qui, ma in quei mondi. Ecco perchè i filosofi dicono: l’ambiente cattivo è forte e noi siamo solitari ed impotenti, l'ambiente cattivo ci distruggerà! Evitate, figli miei, tale scoraggiamento. C’è un’unica salvezza: prendi te stesso e fatti responsabile per tutto il peccato umano. Amico, sai, è davvero così: appena tu con tutta sincerità ti renderai responsabile per tutti e per tutto, subito vedrai che le cose davvero stanno così e Che in realtà tu sei colpevole per tutti e per tutto. Se invece tu sbatti sulle spalle degli altri la tua propria pigrizia e la tua impotehza, sarai pieno di orgoglio di Satana e ti lagnerai di Dio. Credo sia così l’orgoglio di Satana: è difficile a capirlo sulla terra e perciò dicono che è impossibile capire l’essenza delle cose qui sulla terra. Iddio ha preso i semi degli altri mondi e li ha seminati su questa terra e vi ha il suo giardino; in esso cresce tutto ciò che vi ha potuto prosperare, ma ciò che è cresciuto vive ed è vivo soltanto grazie alla relazione che ha con gli altri mondi misteriosi. Se questo sentimento s'indebolisce e si distrugge in te, muore ciò che è cresciuto in te. Allora diventi indifferente alla vita e l’odierai ».
(I Fratelli Karamasoff).
« « «
« Già il socialismo ha corroso l’Europa; se tardiamo troppo, esso demolirà tutto ». (Dalle Lettere dell’autore).
♦ ♦ *
« Nessun popolo si è mai costruito in base alla scienza e alla ragione; non vi è stato mai un tale esempio, eccetto forse per istinto e per stupidità. Il socialismo, secondo il suo intimo significato, è già un ateismo, perchè appunto ha .proclamato in prima linea, che esso è una costituzione atea e che intende fondarsi esclusivamente sui principi della scienza e della ragione. Ora la ragione e la scienza dal principio dei secoli hanno adempiuto soltanto un compito secondario e subdolo e così sarà fino alla fine dei secoli. I popoli si formano e si muovono grazie ad un’altra forza che li comanda e li domina, ma l'origine di questa forza è sconosciuta ed inesplicabile. Questa forza è la forza del desiderio inappagato di giungere alla fine e nello stesso tempo è una forza che nega la finalità. È questa la forza dell’affermazione continua ed ininterrotta dell'esistenza e la negazione della morte. — " Lo spirito della vita ” come dice il Vangelo — " i fiumi d'acqua vivente ché possono esaurirsi ”, come minaccia l’Apocalisse. Il principio estetico, come dicono i filosofi, il principio morale, come loro stessi lo chiamano. La ricerca di Dio, come io lo chiamo nel modo più semplice. Lo scopo di ogni movimento progressista di un popolo in qualsiasi epoca della sua esistenza è unicamente la ricerca di Dio, del suo Dio, assolutamente Suo proprio e la fede in Lui come in un Dio unico e vero è la personalità sintetica di tutto il popolo visto dal principio alla fine ». jgg; Ossessionati).
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IL PENSIERO RELIGIOSO E FILOSOFICO DI F. DOSTOJEVSKY
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* ♦ *
« La vita vivente deve essere qualche cosa di molto semplice; — la più ordinaria e percettibile, è la vita di ogni giorno e di ogni minuto; è talmente semplice che non si può credere che essa sia così semplice e perciò è naturale che vi passiamo dinanzi durante migliaia di anni senza accorgercene e senza riconoscerla ».
(L’Adolescente).
♦ * ♦
« La generosità della gioventù è deliziosa, ma non vale un centesimo. Perchè non vale? Perchè s’è acquistata a buon mercato, si è ottenuta senza che si sia. vissuto; si tratta direi quasi delle “ prime impressioni della esistenza ”, Ma vi vorrei vedere al lavoro quotidiano! Una generosità a buon mercato è sempre facile e perfino è facile di dare la vita; non costa niente, quando il sangue bolle e le forze sovrabbondano e vi è il desiderio del bel gesto!
No, ma ecco; prendete un eroismo di generosità difficile, tranquilla, silenziosa, senza splendóre, cól peso del disprezzo pubblico. Una generosità dove ci sia molto sacrificio e neppure un briciolo di gloria, dove voi, uomo brillante, dovete apparire dinanzi a tutti quale vigliacco, mentre siete il più onesto di tutti gli uomini sulla terra —- ecco, siete capaci di un tale eroismo? — no, scommetto, vi rifiutereste! »
(Crotcaia. La Mite).
* ■* *
«Bisogna dunque essere impersonale per essere felice? La salute sta dunque nel sopprimersi? Nient’affatto, dico io, non solo non bisognerebbe sopprimersi, ma bisognerebbe anzi diventare una personalità in un' grado maggiore di quello in cui si diviene nell’occidente. Mi capite? Il sacrificio volontario, con piena coscienza e libero di ogni sforzo, il sacrificio di se stesso per il bene di tutti è secondo me l’indice di un maggiore sviluppo della personalità, della sua superiorità, di un possesso completo di se stesso, di un maggiore libero arbitrio... Una personalità fortemente sviluppata, convinta perfettamente del suo diritto d’essere una personalità, non avendo nulla a temere per se stessa, non può fare nulla per se stessa, cioè non può servire nessun altro scopo che quello di sacrificarsi per gli altri affinchè tutti gli altri diventino delle personalità ugualmente libere e felici.
Questa è la legge della natura ». (Dal Diario di uno scrittore).
Èva Amendola.
Al prossimo fascicolo là III Parte: Dal poema
in prosa « Il grande Inquisitore ».
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UN MODERNISTA DEL RISORGIMENTO
(II Marchese Carlo Guerrieri Gonzaga)
AU’on. Alfredo Ber tesi, che io ammiro modesto e valente, questo studio è dedicato.
E memorie e le lettere di Carlo Guerrieri Gonzaga che Alessandro Luzio con solerte cura ha pubblicato presso la casa editrice Lapi di Città di Castello non sono soltanto un documento sentimentale di più offerto allo studioso della storia del nostro Risorgimento perchè abbia, con le passioni femminili di Mazzini, di Garibaldi, con gli amori di Gonfalonieri e degli altri, quella compiuta visione degli uomini di un'epoca che s’allarghi oltre la ricerca aneddotica e la curiosità saccente. Di uo
mini che abbiano completata la loro attività alla tepida penombra d'un amore corrisposto o l'abbiano corrosa più cocentemente al fuoco d’un desiderio insoddisfatto è piena la vita d’ogni tempo e di ogni luogo, ma di uomini che hanno sofferto e lacrimato combattendo e vincendo, per un’idea che fecondò la nostra vita civile, sui dolori e su le lacrime dei quali noi andiamo costruendo tuttora con alterna vicenda, ma sempre con identica fede, la nostra sistemazione ideale, conoscere tutta l’interezza del caràttere, la completa umanità, non è inutile e vana cosa. Chè siamo meno inclini d’un tempo a concepire l’eroe, come il santo, troppo al di fuori della normalità delle leggi psicologiche e morali e sentimentalmente più adatti — dopo che abbiamo eliminato dalla cultura e dalla vita la partigianeria e il settarismo d’ogni genere — a riconoscere i valori spirituali pur sotto la specie dell’esperienza comune, ad ammirare cioè don Giovanni Bosco o l’abate Antonio Rosmini non meno di San Francesco d’Assisi e di San Tommaso d’Aquino.
Se mi proponessi perciò di mostrare come la vita del Guerrieri Gonzaga si inserisca nella linea umana del nostro Risorgimento non mi costerebbe tròppa fatica farlo dietro la guida di queste sue memorie e di queste sue lettere. Ma il merito di questa pubblicazione è un altro: ha ricordato un uomo del quale non è inutile sia parlato da noi che coltiviamo gli studi religiosi.
Già nel Corriere. della Sera dell’u aprile 1913, all’indomani della sua morte, scriveva il Luzio: « Dopo la campagna del '66 si die’ tutto alla politica militante, fu deputato per due legislature di Guastalla e Gonzaga; collaborò attivamente a molti giornali, al Diritto specialmente, portando nelle lotte parlamentari una serenità, un’indipendenza, un acume critico più unici che rari in quell’epoca romo-
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UN-MODERNISTA DEL RISORGIMENTO
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rosa e violenta di contese e d’intrighi. De' suoi scritti, naufragati nelle collezioni di giornali nazionali ed esteri (fra cui la Gazzella d’Augusta) mi piace esumare un opuscolo originale: quelle lettere di un italiano a un tedesco, stampate anonime dal Barbera nel 1878 (1) che furono un grido di sincerità e di ammonimento a’ vecchi partiti, perchè, desistendo da sterili gare, aprissero gli òcchi su la “realtà presente” sentissero una buona volta i veri bisogni della nuova Italia, uscita fuori dalla rivoluzione. — Cianciando di libertà, egli esclamava, vìviamo senza avvedercene sotto l’impero di dogmi e di formule: e rinneghiamo per la forma l’essenza del governo libero. — Amico del Villari, del Sennino, inculcava sopra tutto il dovere di occuparsi delle classi meno agiate-, di lenirne le sofferenze, di curarne l’elevazione materiale e morale. Predicando con l’esempio, mostrò nel suo Palidano come abbia ad esplicarsi l'affettuosa spontanea sollecitudine del ricco per gli umili.
«Mentre caldeggiava quella bonifica dell’agro mantovano-reggiano, che ha operato un vero rivolgimento nella proprietà fondiaria della più fertile plaga pagana, apriva a sue spese un Asilo pe’ bambini de’ villici, che l’amavano e onoravano come padre. Soggiornando là molta parte dell’anno, diffondeva a piene mani la beneficenza su’ poveri, secondato da un angelico parroco, don Sante Cappelli, in cui il Guerrieri, che aveva un giorno, con poca fortuna, vagheggiata l’elezione popolare de’ curati, trovò incarnato un ideale di sacerdote, compreso pienamente del suo ministero. L’arciprete modesto, balzato da un romanzo del Fogazzaro nella vita reale, il patrizio ribelle al Vaticano si davano la mano fraternamente nell’assistere i bisognosi, con delicatezza evangelica, che ne’ beneficati destava gratitudine e devozione indelebili ».
A leggere un po’ in fondo a questo profilo morale del Guerrieri Gonzaga — la citazione anche se lunga di uno che l'ha conosciuto da vicino era necessaria e il Luzio è un esperto conoscitore — ci si trova dunque un fervore di opere veramente evangelico, quale in verità non fu insolito negli uomini della nobiltà, della ricca borghesia e del clero più intellettualmente libero che fiorirono nell’ombra delle cospirazioni pel nostro riscatto, fervore che oggi è di tanta maggiore ammirazione degno quanto più e gli uni e gli altri — parte trincerandosi in uno sdegnoso egoismo di casta, parte affannandosi esclusivamente dietro il tornaconto materiale, parte temendo le ansie di una vita di sacrificio e di abnegazione — hanno perduto non soltanto ogni reale contatto con quella parte più numerosa della società che forma la classe dei meno abbienti, ma vanno perdendo affatto ogni ragione di accostar visi.
Ci si trova anche un fervore di idealità quali soltanto chi era alieno dalle rumorose boutades della politica militante, chi faceva tesoro delle esperienze altrui e delle proprie, prima per sè, poi, maturato il pensiero e tratte saldamente le conclusioni, per gli altri, nel solo desiderio di bene, di sempre maggior bene — ognuno di noi ha conosciuti di questi uomini largamente benefici del loro denaro che ebbero nella loro anima quando un consiglio generoso nei nostri dubbi angoscianti.
(1) Dopo il 18 marzo 1876: Lettere di un italiano, ecc. Roma, Tip. Barbèra.
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quando una pietosa commiserazione per le nostre miserie morali — poteva coltivare. Il Guerrieri Gonzaga si « sottrasse francamente — dice il Luzio — nel 1859 all'influsso mazziniano, entrando risolutamente nel grande partito cavouriano », ma non c’è dubbio che — come doveva avvenire a chi s’era bagnato dell’idealismo dell'agitatore genovese — la sua anima restò mazziniana, anche attraverso al realismo della politica cavouriana. Esso fu perciò un vittorioso nella politica, a paragone di tanti che, apparentemente più fortunati di lui, lasciarono traccie nella storia politica e parlamentare dei nostri cinquant'anni di regno, perchè non dal successo momentaneo, non dal ricordo della storia ufficiale, arida e fredda opera cui sono costretti i novissimi amanuensi stipendiati degli archivi e delle segreterie, si può fermare la vittoria morale d’un uomo, ma dal consenso' intimo dell’anima d’una nazione, e dalla sicura coscienza di non avere prostituito nell'adattamento quotidiano la verità che è anima delle cose cui s’è posto fede ed amore. Non so se si possa dire che l’anima della nazione abbia espresso il suo consenso ai convincimenti che furono con pochissimi della sinistra, cioè dei suoi, con parecchi della destra, di Carlo Guerrieri Gonzaga, non so neanche se gli si possa far onore nel credere, che questo consenso pretendesse immediato. Fu troppo esperto tesaurizzatore delle forze morali latenti, per non essere persuaso che non inutilmente si getta il seme che l’avvenire maturerà. L’essenziale è seminare perchè Dio volle la terra feconda e pose nel seme la virtù di germogliare. Certo dovette crucciarlo però l'insensibilità delle classi colte e dirigenti al problema che egli vedeva nettamente proposto alla sagacia della nuova vita nazionale, problema al quale ritornò con la sua modestia di cristiano e .con la sua tenacia di cospiratore mazziniano ogni volta che si minacciava di darne una soluzione errata, problema al quale converrà sia riportata — se pure si vuole darle una spiegazione — la storia del nostro risorgimento nella sua linea essenziale. Voglio dire il problema tra la Chiesa e lo Stato. Mazzini l’aveva visto nel suo aspetto religioso, la coscienza cristiana che si eleva nella sua universalità sopra i limiti segnati dal pontificato romano e spezzando i vincoli materiali d’una concezione temporalistica e perciò necessariamente incompleta si ritrova nella sua religiosità su la via di Dio, del Cristo, della tradizione cristiana per ritornare a combattere fortificata per la sua terra e per il suo tempo; Gioberti e Rosmini, pur nel fervore patriottico del primo e nella serena equità del secondo, l’avevano visto da un punto di vista esclusivamente cattolico romano, Cavour s’era sforzato di sintetizzarne la sua visione strettamente giuridica nella formola celebre che dopo più di mezzo secolo di prova non ha finito coll’accontentare alcuno e la destra s’era proposta di riattaccarsi a lui, mentre la sinistra — salve poche eccezioni — non seppe tener fede ai propositi che la guidarono ad accettare la eredità della destra, propositi che potevano essere di integrazione e dei quali non lievi accenni erano contenuti nel famoso discórso-programma di Stradella. Carlo Guerrièri Gonzaga, mazziniano »per educazione, cristiano per temperamento e per tradizione, politico per la necessità delle nuove forme di operosità civile, compì per suo conto l'opera di integrazione e vide il problema nella sua giusta misura, che era cioè un problema religioso e politico insieme. Non fu quindi nel problema specifico e capitale nè con la destra nè con la sinistra e confermò con la sua saggezza
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la verità che la soluzione della nostra questione politica non è l’opera esclusiva di alcun partito, poiché questi sanno difficilmente mantenere la loro tradizione dottrinaria all’infuori delle influenze di circostanze e di adattamenti < he essi, quando non favoriscono, subiscono in posizioni che non hanno create, ma d’una complessa coscienza di italianità alla educazione della quale hanno con eguale valore contribuito, il sangue dei martiri e le nostre forze culturali, cosciènza che è di tutti e può essere di nessuno se il parlamentarismo sopraffà e fa tacere le voci che domandano continuità di intenti e sforzo di travaglio interiore, riattaccandosi là dove esso non può —■ fatalmente — arrivare.
Vuol dire che per sentire interamente il problema italiano bisogna aver sofferto per l’Italia il carcere o l’esilio, aver combattuto pel riscatto di lei sul campo di battaglia e vigilare, con tale tesoro di tradizione e di storia, non soltanto allo schiudersi della sua vita civile, ma al suo progredire e al suo farsi, senza bisogno di mettersi a predicare la propria integrità che si deturpa nell'interno della casa, o sulle piazze — quelle metaforiche dei libri 0 dei giornali non sono meno pericolose delle reali — ad esporre sistemi e teorie che coprono magari nella euritmia dello schema e nella fosforescenza della forma la fallacia degli uomini. La vita civile deve essere vissuta utilmente giorno per giorno, così nelle umili cose che la compongono come nelle grandi, senza iattanza e senza spezzature, con profonda convinzione, con fermezza e continuità, con quel senso di responsabilità che è religioso quando non soltanto mira a giustificare il presente ma ad assicurare ancora l'avvenire. Mi pare che la vita pratica del Guerrieri Gonzaga, dia in questo senso un singolare esempio di probità. Di primissimi seguaci entusiasti di Garibaldi partecipò ai fatti d’armi di Luino, di Morazzone (1), esule in Isvizzera si vide escluso da tutte le amnistie anteriori al 1857 ed ebbe sotto sequestro dell’Austria tutti i suoi beni, dopo il 1866 succeduto all’epoca eroica il tempo delle sistemazioni politiche e diplomatiche — ahi quante volte fallaci! — il solco tracciato dal lampo della sua spada non restò invano aperto ad attendere che il seme vi fosse gettato. L’opera sua di deputato, la sua modesta — perchè non tenne mai a passare come uno dei pontefici della opinione pubblica — di scrittore fu volta a questo: che i sacrifici e l’eroismo non fossero stati invano.
Forse fu colpa sua se mantenne fede all’idealismo mazziniano che vide incom-, pietà l’opera del risorgimento finché restava insoluto il più grave, l’essenziale problema, quello di Roma? I ministri positivi e realisti del nuovo regno italico volevano arrivare a Roma attraverso le contrattazioni diplomatiche — ci fu un momento nel quale tutta la bellezza e l’importanza del nuovo fatto nazionale, parve dovessero offuscarsi nell'offerta graziosa che ne sarebbe fatta dal governo francese — e non s’accorgevano che poteva mancare loro il fulcro del nuovo ordinamento civile, la coscienza del popolo. Mazzini aveva intravista ed affermata la necessità che il volere del popolo d’Italia giustificasse ed esaltasse la fermezza del gesto del governo, i mazziniani — non importa se questi non capissero più le cospirazioni e
(1) Cfr. il § 4 delle Memorie.
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la repubblica perchè anche nella forma monarchica e costituzionale da essi accettata lo spirito che portavano era lo stesso — ebbero il merito di persuadere all'Italia che la presa di Roma non era esclusivamente l’annessione di una nuova zona di terra. C’era ben altro nel fato che ci spingeva verso l’antica capitale del mondò, aveva detto l’apostolo e il profeta nella sua predicazione e il suo pensiero era trasceso in una" forma di misticismo religioso dove ogni forma di religione storica era eliminata. Toccava a quelli cui quest’alito di religiosità aveva mossi su la via della rigenerazione civile, ai discepoli di Mazzini, di correggere i difetti della visione del maestro, dandole quel senso storico che gli era sfuggito. Mazzini aveva detto: « Solo il concetto religioso è capace di trasformare le tendenze e gli uomini. Coloro che tendono ad un’opera rigeneratrice, a migliorare, cioè, politicamente e quindi moralmente gli uomini, s’illudono di riuscirvi esigliando il concetto religioso da loro lavoro. Far senza della religione è un indirizzo falso e dannoso; falso perchè il pensiero religioso è la respirazione dell'umanità, anima, vita, coscienza e manifestazione ad un tempo, perchè conduce alla degenerazione dei popoli. Giacché il pensiero religioso inalza e purifica l’individuo,' dissecca le sorgenti dell’egoismo, mutando centro all'attività e trasportandolo all’infuori: crea per l'uomo quella teorica del dovere ch’è madre al sacrificio, che fu ispiratrice di grandi e nobili cose, che sarà tale pur sempre; teorica sublime che ravvicina l'uomo e Dio, toglie in prestito alla natura divina una scintilla d'onnipotenza, varca, d’un balzo gli ostacoli, fa del palco del martire scala al trionfo e supera l’angusta imperfetta dottrina dei diritti, di quanto la legge supera una fra le sue conseguenze » (i). Così aveva detto Mazzini ed era molto e magnifico. Come ha notato Arnaldo Della Torre (2) la predicazione mazziniana ravvivò dappertutto il sentimento della religiosità e a lei si deve in gran parte, « direttamente o per contraccolpo, quel carattere quasi diremmo di misticismo che distingue il periodo precursore della rivoluzione italiana». Senonchè essa non rientrava che indirettamente nel problema storico-politico creato dalla nuova situazione. I neoguelfi pei quali il papa doveva essere il capo politico dell'Italia liberata dal giogo straniero e i neo-ghibellini che pretendevano ogni autorità politica fosse tolta al papa potevano rifarsi a quella dottrina religiosa. Ma i neoguelfi nel fatto specialmente storico politico avevano torto, tuttavia non si poteva dire agli italiani che erano vissuti per tanti secoli di storia nella tradizione del cattolicismo, cioè d’una forma positiva di religione, così semplicemente come diceva Mazzini: « Il Papato deve perire, perchè ha falsato la pròpria missione e rinnegato padre e figli ad un tempo e padre e figli gli maledicono. Il Papato ha ucciso la fede sotto un materialismo più assai funesto e abbietto di quello del xvm secolo, dacché quest’ultimo aveva almeno il coraggio della negazione, mentre il materialismo papale procede ravvolto nel mantello gesuitico. Il Papato ha soffocato l’amore in un mare di sangue. Il Papato ha preteso schiacciare la libertà del mondo e sarà schiacciato da essa ». Naturale quindi che tale giustizia sommaria non re(1) Cfr. l’articolo^ Fette e Avvenire ritenuto dal Mazzini il migliore delle cose sue di argomento religioso.
(2) Il Cristianesimo in Italia dai filosofisti ai modernisti, pag. 103.
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stasse se non nel programma di quei fanatici che non sapevano spiegarsi per esempio, la tolleranza religiosa che Mazzini aveva, dimostrato nel suo breve ma glorioso passaggio al governo della Repubblica romana e che rimasero irreducibilmente fuori dalla vita politica italiana. Nello stesso ordine ma in diverso senso si andavano ponendo i problemi di questa fino al 1870 e dopo.
♦ » ♦
Carlo Guerrieri Gonzaga è forse uno dei pochi uomini rappresentativi di questa fedele schiera che ha seguite le vicende della politica italiana con occhio sereno e spirito vigile. Sul Diritto ¡dell’u aprile 1875 c’è un articolo suo « Religione e politica » che conserva ancora un vivo carattere di attualità e che non deve andare perduto.
« Ci è stato detto che non dobbiamo far grandi quistioni piccole. Mi pare dover soggiungere che non dobbiamo nemmeno lusingarci di potere, a comodo nostro, impicciolire questioni grandi per se stesse, e ch'e i secoli hanno maturato, affidando all’età nostra ed al paese nostro il compito di farle progredire verso la loro soluzione.
« La quistione ecclesiastica ha aspetti religiosi e aspetti politici. Vi sono anime mistiche e profondamente religiose, che rifuggono dall’occuparsene, perchè nella quistione odierna religione’e politica s’intrecciano insieme. Questa pare a loro una vera profanazione. Altri uomini vi sono della patria, della civiltà e della scienza tenerissimi, i quali rifulgono occuparsene, perchè alieni da qualsiasi contatto con questioni religiose; A me pare, che gli uni e gli altri abbiano un concetto inadeguato; quelli della religione, che troppo spiritualizzano; gli altri della politica e della civiltà, reputando queste ormai sciolte affatto dagli antichi loro vincoli colle religioni e colle Chiese. Credo poi, che non si giungerà a rendersi giusto conto della questione ecclesiastica, quale la si agita ai giorni nostri, finché gli uomini sinceramente religiosi non ne considereranno anche gli aspetti patriottici, civili, politici, e finché i patriotti e gli uomini politici non vorranno por mente al problema religioso.
« A me sembra che l’opinione pubblica possa dirsi fuorviata quand’essa accoglie troppo facilmente certe formule di assoluta separazione teorica e pratica, tra la religione e la politica, tra la Chiesa e lo Stato. Sono formule troppo semplici e troppo vaghe per adattarsi al fenomeno più complesso, che ci sia nella storia umana. Si pretende, io credo, di separare l’inseparabile.
« Il problema propriamente religioso, contenuto nella odierna questione ecclesiastica, si presenta facilmente agli occhi degli osservatori impazienti, come una mera manifestazione di quella lotta che esiste, dacché mondo è mondo, tra le tendenze alla credulità e le tendenze antiche della ragione umana. La qual cosa è avvertita presto da tutti. Ma sono egualmente osservate e tenute in conto le note, direi così, caratteristiche dello stesso problema quale ci si presenta ora in condii zioni diverse e sotto aspetti diversi da quelli delle passate età. Non credo che ci sia stata altra epoca nella storia, in cui vi fossero affermazioni dommatico-religiose pili audaci delle presenti, in cui si siano udite in nome della ragione pura e della ragione sorretta dalle scienze storiche e naturali, negazioni più audaci e più auto-
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revoli. Abbiamo il papa infallibile da un lato, dall’altro una falange di filosofi e di scienziati, discordi nei loro sistemi, nelle loro ipotesi, ma concordi nel demolire le tradizionali credenze. Nei paesi cattolici come il nostro, vi è un abisso spaventevole tra le dottrine fanatiche del Papato e le negazioni fredde, ma non inascoltate, degli-scienziati e dei filosofi increduli. Quell’abisso, che in altri paesi è, se non colmato reso però meno profondo dall’agitarsi di molte sette e di molte'scuole religiose o filosofiche, nel nostro paese è, a mala pena, ingombro dallo scetticismo (ironico-gesuitico) di molti uomini colti e dall’indifferenza superstiziosa delle moltitudini ignoranti. 1
«Ma in questo stagno qualcosa si muove. Noi abbiamo colle libere nostre istituzioni, collo spettacolo delle rivoluzioni politiche, agitato il paese nostro. Ebbene, molta gente spaventata si va mano mano accostando al partito estremo della credulità, capitanato dal papa, mentre molti altri, senza convincimenti, senza studi, per ribrezzo delle* dottrine e delle pretensioni papali, si gettano addirittura all’estremo opposto; e niegano cinicamente ciò, di cui non intendono il significato. La incredulità di costoro è immorale, perchè scompagnata da' ogni fatica di mente, da quell’alta idealità morale, che ogni sistema scientifico e filosofico attinge alle pure sorgenti della meditazione. Or bene da noi i cristiani non si accorgono, come il papa, avendo ridotto all’assurdo tutta la loro tradizione, la compromette irreparabilmente. Non avvertono, che, ostinandosi a rimanere essi pure in un edificio, che i gesuiti hanno splendidamente addobbato ma profondamente scavato e minato, essi corrono rischio di rimanervi sepolti sotto le rovine: martiri di una fede, che non è la loro.
« Dall’altro lato, i nostri filosofi e i nostri scienziati sogliono guardare dall’alto della loro olimpica serenità questo confuso agitarsi di questioni e di passioni religiose. Essi sorridono e nel loro sorriso ci è qualche cosa che sembra applaudire le assurdità papali, siccome quelle, che vengono in soccorso alla loro opera di demolizione. Ed avrebbero ragione di sorridere, se si trattasse di una disputa accademica. Ma, essi, uomini positivi, e sperimentatori sagaci e pazienti, non possono ragionevolmente fare astrazioni dal mondo reale e sociale, nel quale vivono. Non possono, mi pare, non accorgersi dello spazio vastissimo, vuoi del mondo fìsico vuoi del mondo morale, occupato tuttora dalla Chiesa cattolica, dalle sue tradizioni, dai suoi monumenti, dal suo culto, dalle sue fondazioni, dai suoi istituti, dalle sue dottrine. Hanno essi dimenticato il nil humani a me alienum puloì oppure il caso dell’astronomo antico caduto nella fossa, mentre stava assorto nella contemplazione del firmamento.
« Questi nostri Prometei dovrebbero sentire la loro solidarietà con tutte quelle manifestazioni minori della libertà intellettuale, che si sono tradotte e si traducono in opposizioni parziali al Giove del Vaticano.
« A me pare che, guardato da questo ‘lato, il problema religioso, contenuto nell’odierna questione ecclesiastica, abbia qualche importanza.
« Scendendo a toccare degli aspetti politici della questione, alcuni di essi sono aspetti della nostra politica interna, altri invece della politica internazionale.
« La politica interna ecclesiastica si riassume nel quesito dei rapporti tra Stato e Chiesa nel regno. Bisogna avvertire, prima di tutto, che la Chiesa cattolica, che
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noi abbiamo conosciuta alcuni lustri or sono, non è più la stessa. La politica l’ha penetrata tutta quanta, un colpo di Stato l’ha trasformata nella sua costituzione e nei suoi domini, la trasformazione decretata dal Concilio, va via via compiendosi ed affermandosi nell’ordine dei fatti e delle idee. Il suo codice detto di Stato, non è altro che la negazione dottrinaria di tutte le dottrine nostre civili e politiche; la condanna delle nostre migliori aspirazioni. I vescovi ed i parroci, che rappresentavano fra noi la Chiesa cattolica, ora pretendono rappresentarla, ma non rappresentano che l’arbitrio papale. Essi non hanno più autorità loro propria ed autonoma; sono ciechi strumenti di un sovrano estero, dai cui cenni moralmente e gerarchicamente dipendono.
« Avrei capito l’alto significato politico di una concessione fatta dallo Stato alla Chiesa cattolica, che, ritiratasi dal terreno politico, si fosse mostrata disposta a consacrarsi ad una missione di carità religiosa. Se la Chiesa avesse disarmato per la prima, lo Stato nostro avrebbe potuto imitarla. Ma la nostra via è ormai segnata ad ógni passo, dalla traccia di un nostro disinganno.
«Volevano entrare in Roma, prima col consenso del Pontefice poi coi mezzi morali e cogli accordi della Francia. Ognuno sa come ci siamo entrati. Abbiamo creduto, spogliando il pontificato d’ogni cura terrena, di richiamarlo ad una missione spirituale di pace e di concordia. Egli ci ha fulminati tutti quanti dal re al semplice soldato.
« Ha dichiarata eretica la vostra formula di «libera Chiesa in libero Stato»; ma nello stesso tempo se n’è giovato per nominare alle vostre sedi vescovili sacerdoti, non benemeriti della religione o della patria, ma benemeriti della reazione e dei privilegi sacerdotali.
« La missione di questi vescovi che non vogliono nemmeno riconoscere lo Stato nostro, non può essere altra che la seguente: organare, con artificio, una setta di aristocratici e di plebei, insieme confusi, ostile alla patria, e pronta ad ogni impresa contro lo Stato (i).
« Noi abbiamo sacrificato il decorò, la dignità della monarchia e dello Stato ad una chimerica conciliazione. Io credo che molta della forza delle istituzioni politiche stia nel loro prestigio, credo che il menomarlo, l’avvilirlo, sia pure dinanzi al papa, equivalga a prepararne la rovina. A me pare, che la nazionale sovranità debba rimanere indivisa, non solo a parole e nello Statuto, ma nei fatti. Allo Stato appartiene circoscrivere con precisione i limiti delle libertà ecclesiastiche e non lasciarle crescere all’altezza di privilegi sovrani. Lo Stato, spogliandosi degli antichi diritti suoi, non doveva, almeno, regalare alla Chiesa diritti non suoi. Intendo parlare di quelle ingerenze nelle cose ecclesiastiche, che non solo sono inerenti alla qualità di membro di qualsiasi società, ma che hanno per loro una remota, ma autorevole tradizione.
(1) Quando io preparavo questo studio sul Guerrieri-Gonzaga, non erano avvenuti alcuni fatti in relazione a recenti avvenimenti che dànno a queste parole del nostro un vivissimo senso di attualità. I fatti a cui alludo se non sono noti al pubblico oggi lo saranno allo storico di domani, ond’è opportuno che li richiami qui.
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« Lo Stato ha un dovere morale, una missione morale da compiere. Lo Stato italiano è sacro pei secolari sacrifici sostenuti dalla nazione per fondarlo. La Chiesa tutti la confessano corrottissima. È strano che l’ufficio di questa Chiesa si reputi più sublime di quello dello Stato italiano, sospiro di tanti pensatori, di tanti martiri ».
Il lettore mi saprà grato se ho riportato nella sua parte sostanziale l’articolo non breve del Diritto. Prima di tutto, perchè esso ha ancora un immenso valore attuale, in secondo luogo, perchè nessuno avrebbe pensato di rimuoverlo dalla collezione .di quel giornale o dalla piccola edizione non venale, che — insieme ad altri scritti del Qsterrieri Gonzaga — fu fatta a Firenze nel 1875 (1), mentre in questa materia, noi viviamo da qualche tempo di accatto. C'è tutto il succo del pensiero del Nostro — un uomo di infinito buon senso e di straordinario spirito pratico — quindi*un pensiero non lambiccato attraverso ai filtri di una erudizione e di una scienza improvvisata, ma sgorgante su dalla immediata esperienza di una vivente realtà storica. Forse che negli atteggiamenti politici ha minore importanza questo spirito puro e giocondo attraverso al quale parla l’anima di un popolo, della cultura politica — materiata di fatti e di nozioni, ma non di esperienze — nella quale traspare il volere personale, ma non la passione per una idea ed una tradizione? Vi prego di esaminare le vicende politiche della nostra storia recente d’Italia rinnovata nei suoi uomini e nei suoi avvenimenti più rappresentativi per rispondere. C'è anche nell’articolo del Diritto la spiegazione delle posizioni assunte dal Guerrieri Gonzaga nella sua carriera parlamentare, posizioni non eminenti, perchè mancava in lui la stoffa per salire ai fastigi del governo, l’adattamento macchia vellico, ma sempre significativo. Ho accennato alla sua disciplinata, ma vigile e personale partecipazione alla sinistra, egli fu tuttavia quasi solo a sostenere una campagna nobile ed alta a favore della elezione popolare dei parroci, che se sostenuta, come sarebbe stato necessario, da uomini di governo pronti a cogliere le esigenze spirituali delle popolazioni avrebbe portata una notevole rivoluzione nella vita ecclesiastica del secolo xix, riportandoci alle origini cristiane e risparmiando all’Italia delle defezioni religiose le quali non hanno valso certamente a sollevare i costumi delle nostre genti del popolo. Non sfuggono allo storico non superficiale del nostro risorgimento i punti di attacco di questa sua campagna: gli scritti riformatori del Lambruschini, il libro del Rosmini sulle piaghe della Cnesa, la Riforma cattolica del Gioberti inquadrano sufficientemente questa sua particolare attività; a noi, che siamo passati attraverso alla esperienza modernistica e sentiamo spiritualmente di potervici attardare con una lieve speranza nostalgica che a momenti si adombra di malinconia e di rimpianto, non sfugge che egli abbia prevenuto quello che i modernisti avrebbero chiesto con una simpatica, e franca baldanza parecchi anni dopo.
(La fine al prossimo fascicolo). Ferruccio Rubbiani.
(x) I parroci eletti e la questione ecclesiastica. Firenze, Stab. di Giuseppe Civelli, 1873.
Nella seconda parte di questo studio, che verrà pubblicata nel prossimo fascicolo, il nostro collaboratore s’intrattiene su l’opera che il Gonzaga svolse perchè nel diritto pubblico italiano fosse riconosciuto al popolo dei fedeli la facoltà di eleggersi Parroci degni.
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Francesco De Sanctis, nel suo insuperato capitolo saggio su Machiavelli, avverte che questi è stato sempre giudicato dal Principe, piccolo libro, «che ha gittato nell’ombra le altre sue opere ». « E questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e scientifico, ma nel suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un codice della tirannia, fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi e il successo loda l’opera. E hanno chiamato «machiavellismo» questa dottrina. Molte difese sonosi fatte di questo libro, ingegnosissime, attribuendosi all’ autore 3uesta o quella intenzione più o meno lo-evole. Così n’è uscita una discussione limitata e un Machiavelli rimpiccinito »'.
Si vuole ora provare, con un recentissimo libro, che il Segretario della seconda repubblica fiorentina è ritornato, come altre volte, al mondo, ma esule dalla sua patria. E questo libro, che giustamente fu detto « di passione e di intelligenza », mi offre l’occasione, rompendo un silenzio di un'anno e mezzo, di manifestare alcune mie osservazioni, in gran parte collimanti col pensiero del Mariani (i) e che forse recheranno scandalo nelle anime di taluni lettori di questa rivista.
E forse mi addurranno un poco di vituperio; ma non sono queste ragioni sufficienti per togliermi la penna di mano,tanto più che è dovuta all'esilio dall'Italia del «machiavellismo» l’amarezza saggia ad òsso affine, qui espressa da Qui quondam nel fascicolo dello scorso settembre. Nel fatto cosa è mai il punto di partenza del machiavellismo se non, per usare parole di Qui quondam, l’esame « con amaro, sconforto e trepida diffidenza... delle nostre enormi deficienze e delle nostre imperdonabili colpe » compiuto in pieno Rinascimento da Machiavelli?
« Fra tanto fiore di civiltà — nota F.
(x) Mario Mariani, Il ritorno di Machiavelli. Studi sulla catastrofe europea. Società editoriale italiana, Milano, 1916, pag? 326.
De Sanctis — e in tanta apparenza di forza e di grandezza mise lo sguardo acuto Niccolò Machiavelli, e vide la malattia dove altri vedevano la più prospera salute. Quello che oggi diciamo "decadenza,, egli disse corruttela, e base di tutte le sue speculazioni fu questo fatto: la corruttela della razza italiana, anzi latina, e la sanità della germanica ». Queste parole l’autore della « Storia della letteratura italiana » .scriveva quando era ancor fresca a Santena la calce del sepolcro di quegli che -segnò forse l’ultimo ritorno del vero machiavellismo in Italia. E il machiavellismo si chiama anche oggi: politica realistica. Realpolitik; per ciò appunto potrei sentirmi rimproverare: che c’entra la politica in questa nostra pacifica casa destinata agli studi religiosi e non alle gare politiche, che c’entrano le vostre discussioni politiche con le nostre aspirazioni religiose? C’entrano, come si potrà vedere da quegli che vorrà continuare a leggere le cose da me meditate nel dolore e scritte con queirintima angoscia, con la quale anche fu scritto il suo libro da Mario Mariani. Egli dice moltissime verità, molte constatazioni vere ha compiute Qui quondam. Benedetto Croce ha denudate molte idee che si volevano far credere vergini ed erano da conio; e tutti in quest’opera aspra e severa trovarono ambascia e dolore nell’atto di compierla. Neppure io posso sottrarmi a tale necessario dolore, di dire il vero durante questa guerra, che, secondo gli antimachiavellici, doveva servire alla risurrezione di tutte le virtù morali e civili dei paesi così detti latini.
Strano, anche Machiavelli, per beffardo e licenzioso che fosse, anche lui « pensoso e inquieto in mezzo a quel carnevale italiano, giudicava quella corruttela da un punto di vista più alto (che non al riferirsi alle glorie del passato). « Essa era non altro che lo stesso medio evo in putrefazione, morto già nella coscienza, vivo ancora nelle forme e nelle istituzioni. E perciò, non che pensasse di ricondurre indietro l’Italia e
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di restaurare il medio evo, concorse alla sua' demolizione » (i).
Se è vero, come lo è, che la storia non offre ricorsi, come mostrò la filosofìa moderna, ch’è un progresso di quella del Vico, machiavellico, pure essa presenta delle a-nalogie formidabili, degli stadi intermedi fra l’uno e l’altro periodo che hanno dei caratteri generali comuni. Il tempo del Segretario e il tempo di Bethmann Holl-weg presentano questo di comune: che tutti e due contengono una corruttela, posseggono un passato in decomposizione, diciamo pure la parola più esatta, in putrefazione. Allora era il medio evo, ora è la democrazia, l’astrattismo del secolo XVIII, l’umanitarismo. Salvo che il medio evo era durato di più; perchè le idee che lo costituivano, malgrado ogni apparenza in contrario, er^no assai più universali che non quelle dell’umanitarismo.
Nel fatto, è certo che noi assistiamo oggi alla putrefazione della democrazia (nel senso specifico che comunemente si attribuisce a questa parola) e che essa è già morta nella coscienza, sebbene sia viva ancora nelle forme e nelle istituzioni. Lasciamo pure da parte per ora l’ostentazione
(i) A questo parrebbe contrastare il cap. I del libro III dei Discorsi: « a volere che una. setta o Una repubblica viva lungamente, è necessario ritrarla spesso verso il suo principiò». Ma ciò non è, sia perchè il Machiavelli non ha mai inteso di far risorgere gli ordini medievali, come, ad es., il Savonarola, neppure quando era segretario della repubblica; sia perchè nel citato capitolo egli si riferisce a società in pieno sviluppo c non ancora tali da farne sembrare inevitabile e certa la prossima ruina. .Nella terza parte della trilogia machiavellica, ossia I selle libri dell’arte della guerra, è detto espressamente (libro I®): « Roma... mentre ch’ella fu bene ordinata, che fu -infino a’ Gracchi... ». Col suo intuito finissimo non avrebbe mai fatto vedere un Cesare Augusto premuroso di ritrarre la repubblica romana al suo principio; si bene egli mostra a ciò intenti Camillo, i due Deci, Scevola, Attilio Regolo e Marco Regolo, perchè dopo questi • non si vide alcun simile esempio: e benché in Roma sorgessero i due Catoni, fu tanta distanza da quello a loro, e intra loro dall’uno all’altro, «rimasero «Isoli, che non poterono con gli esempi buoni fare alcuna opera buona ». Ciò fu veduto anche dal Rosmini che nella sua Filosofia Politica (op. I, cap. VI), commentando la regola machiavellica, le dà appunto valore, perchè contribuisce a « prolungare » quelli che chiama primo e secondo periodo, « quello delle fondazioni e quello delle legislazioni, della vita degli stati, rinnovandoli prima che volgano al loro decadimento ».
fiorando di immoralismo, il pessimismo, irreligiosità beffarda del Mariani; egli vissuto per circa un decennio in Germania, quale corrispondente della gazzetta democratica Il Secolo, ci offre col suo libro la prova che la democrazia si putrefà. Il suo libro potrebbe essere la palinodia di molti democratici. Egli, che vorrebbe col suo cuore latino e con la sua mente tedesca, come egli dice, una politica realistica, machiavellica, recita un confiteor meraviglioso; identifica, con rimorso eloquentemente manifestato, la democrazia con l’astrattismo, con l’ideologismo, con il pacifismo umanitario dolciastro e sonnacchioso; reagisce violentemente contro il quotidiano propinamento di sonnifere droghe dalla democrazia perpetrato abbondevolmente anche in tempo di guerra.
Ecco la famosa, terribile, immensa cosa che a molti aprì gli occhi, che prima non volevano vedere: «gli ideologi non sanno più a qual santo votarsi. Adoperano il vecchio dizionario, s’ostinano a dipanare le vecchie idee, ma senza fede ormai, senza speranza. Sentono che intorno a loro un mondo è crollato sotto i colpi dei cannoni tedeschi, delle bombe tedesche, dei siluri tedeschi e s’aggirano anfanando tra le macerie per creare una parola nuova, un nuovo vangelo. E non lo trovano ».
Un mondo è crollato. Troppa fretta: è morto nelle coscienze; vive nelle forme e nelle istituzioni.,
‘ Ma cosa è, adunque, questo machiavellismo che dissolvè periodi di storia umana,, che sgretola faticose costruzioni intellettuali, che mina istituzioni, che fa esplodere edifici ritenuti eterni e perfetti, che giudica e condanna con imperturbabilità minossiana uomini e cose? É’ il realismo, lo spirito della realtà, che è l'universo e l’individuo, Dio e creatura. Questo realismo tota gloria nostra futi: e non è più, perchè se ancora lo fosse, certo la guerra nostra, italiana di oggi, o non sarebbe stata, o non sarebbe avvenuta nei modi e nelle frome con la quale fu dichiarata. Ed ecco il perchè dell’angoscia di Qui quondam nel riconoscere che la nostra guerra non adduce nessuna di quelle tante provvidenze vantate dagli incitatori all’uso di Bar Ko-chebà. Il machiavellismo è un’idea universale e concreta immessa nella vita politica di uno Stato, il quale tutte le sue attività converge all'attuazione di essa. < La patria del Machiavelli è una divinità (leggi universalità), superiore anche alla moralità e alla legge. A quel modo che il Dio degli
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ascetici assorbiva in sè l’individuo — dice F. De Sanctis — e in nome di Dio gl’inquisitori bruciavano gli eretici; per la patria tutto era lecito, e le azioni, che nella vita privata sono delitti, diventavano magnanime nella vita pubblica. Ragion di Stato e salute pubblica erano .le forinole volgari, nelle quali si esprimeva questo dritto della patria, superiore ad ogni dritto... I dritti dell’uomo non entravano ancora nel codice della libertà ». Inesorabile (i). Il secolo xviii e la democrazia hanno proclamati i diritti dell’uomo e li hanno codificati e di essi hanno informato le loro istituzioni. Ma che ci'fa vedere la guerra? La diminuito capitis dei Parlamenti, la tendenza manifestata dai più scalmanati democratici alle leggi d’eccezione ed alla dittatura, la censura non limitata alle sole notizie militari e diplomatiche ma estesa ad ogni notazione d’idee discorde dall’ ufficiale o del governo, gli esercizi provvisori S;Ii internamenti, l’invocazione alle fuci-azioni, alle persecuzioni civili, l’imposizione di una ortodossia governativa, la corrosione della proprietà privata, la violazione permanente e costante della libertà di coscienza e di scienza. E queste sono soltanto le prove esterne della putrefazione della democrazia.
E non segnano ancora l'attuazione del machiavellismo, che in sè non contiene simili immoralità: che son cose immorali quelle che abbiamo enumerate, come che violazioni di uno stato giuridico di fatto che non s'ha il coraggio di proclamare a-brogato. Osservando questo stato di cose in dissoluzione, questo sistema corrosivo e disastroso, si pensa che il carnevale italico e la corruttela dei tempi di Machiavelli erano pari pari con le varie invasioni straniere le quali soltanto furono vinte quanto appo noi risorsero gli spiriti machiavellici
(i) Ecco, d’altronde, una definizione, molto vicina all’esattezza, del machiavellismo, data dallo stesso Segretario (Arte della guerra. Libro I): « Onorate e premiare le virtù, non dispregiare la povertà, stimare i morii e gli ordini della disciplina militare, costringere i cittadini ad amare'Funo l’altro, a -vivere senza Sette, a stimare meno il privato ch.e il. pubblico ». Si noti la parola in corsivo. Costrizione o coazione ? Ohibò ! Come sarebbero possibili in uno stato dove si onori e si premii la virtù: Vuol dire che i cittadini saranuo obbligati ad amarsi dall'eccellenza degli ordinamenti civili, e dal loro universale posporre il privato al al collettivo.
Ciò che in realtà è successo e succede.
e il segretario rinacque e ritornò in Cavour. E si pensa ancora col Machiavelli che una società in putrefazione non può essere richiamata alle origini per la sua freschezza e piena efficienza, ma che è meglio seguiti nel suo fatale andare; sino a che non sorga il nuovo ordine di cose, le quali, dal modo col quale saranno pensate e disposte, daranno il segno della vigoria e della sanità spirituale e politica di un popolo, della nostra gente.
Infinitamente più morale il machiavellismo che l’astrattismo democratico moderno: anche se è praticato pienamente dalla nazione tedesca e non dalla nostra. Non lasciamoci spaventare dalle idiote consuetudini verbali, ma osserviamo le cose a faccia a faccia; che cosa è il machiavellismo ridomando? Antonio Rosmini che di filosofia politica ha pubblicato un grosso volume, nel quale qua e là è mal-celata la sua adesione al Machiavelli, forse perchè in questo ordine di idee non poteva non sentire l’influenza di Giambattista Vico, a un -dato punto dice: < Questa disperazione dell’umana bontà e virtù si ravvisa principalmente negli storici di que’ periodi di tempo, ne’ quali la corruzione ed i vizi traboccarono. Chi non sente il triste di quella irremediabile disperazione in tutte le parole di Tacito?... Quanto poi al Machiavelli e al Guicciardini, essi sono lo scandalo della cristiana letteratura: essi appartengono al mondo pagano, in cui vissero collo spirito, e di cui S’appropriarono i sentimenti e i desolanti affetti ». Parole forti: e sì. Machiavelli fu scandalo perchè appunto visse in tempi di corruzione e di vizii, ed ebbe da natura la missione di riconoscerli, di additarli, di mostrare la via di guarirsene, nella politica realistica. Ed è missione dolorosa e piena di intimo cruccio: quale sarà il mondo ch’io vorrò sostituire a quello ch’io condanno? Ma niente dubbi, niente chiacchiere, risolutezza. Proprio quella incisiva risolutezza che Rosmini, forse inconsapevolmente fedelissimo seguace ed interprete di Machiavelli, pone a capo della sua teorica politica. E con essa da una esatta definizione del machiavellismo: « si miri a conservare e fortificare ciò che costituisce l’esistenza o sostanza della società, anche a costo di dover trascurare ciò che ne forma l’accidentale finimento »; e questo lo chiama il primo, o fondamentale, proprio criterio politico.
E ancora; ecco G. Vico che ci dice meravigliosamente cos’è il machiavellismo:
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e E’ aurea la diflìnizione ch’Ulpiano (1) assegna dell’equità civile: ch’ella è " pro-babUisquaedam ratio non omnibus hominibus naturaliter cognita (com’è l’equità naturale), sed paucis tantum qui prudentia, usu, doctrina praediti didicerunt quae ad socie-tatis humanae conservationem sunt necessaria ”; la quale in bell’italiano si chiama " ragion di Stato ” ». Attenti alla parola conservationem.
Quando noi s’era ancora nel periodo della neutralità e su per le gazzette e giù nei trivi e nei caffè e nelle piazze fervevano le polemiche e le discussioni sulla necessità o della guerra o della neutralità, e l’incompostezza era generale, uno scrittore del Corriere della Sera, l’organo magno deH’antimachiavellismo italiano, affermò che il nostro intervento era necessario perchè la nostra guerra era difensiva, preventiva, anche se proclamata da noi. C’è del Machiavelli in questa affermazione; e se cosi fosse stato si sarebbe, tutte le altre cose convergenti a quest'unico fine, compiuta cosa utile, necessaria, machiavellica, di conservazione. Ma tutte le altre cose erano convergenti a quest'unico fine perchè eravamo pieni di astrazioni, di uto-Sie, perchè si sperava ancora nel diritto elle genti, nell'antimilitarismo, nell’ultima guerra, ci si affannava per altri popoli e per altri Stati, perchè ci si dilaniava in lotte intestine e in criminose astiosità personali, perchè si facevano dimostrazioni invece di costruire trincee ai confini ed invece di addestrare uomini alle (irmi, perchè eravamo disarmati, discordi, proclivi alle suggestioni straniere.
E tutti questi perchè erano dovuti a che in Italia la politica era fatta non dagli uomini che per prudentia, usu, doctrina, potevano con la coscienza esatta dei fatti e delle circostanze di tempo e di luogo mostrare le vie della conservazione ed attuare cose atte alla grandezza della Patria, ma V equità civile, la ragione di Stato, erano deferite ai meno responsabili, ai giornalisti, alle folle, ai partiti, ai politicanti, ai dimostranti, agli avvocati delle utopie, agli urlanti contro le spese improduttive. Ed ecco che ho mostrato un altro aspetto della ruina della democrazia.
Anche la Germania attuò la guerra diti) Che questa definizione sia del Vico medesimo? Fausto Niccoli™, l’ultimo e più diligente annotatore, editore della Scienza Nuova assevera di non averla incontrata in alcun modo e in nessun luogo d’IJl-piano. Comunque essa è succo del Principe.
fensiva, preventiva, è inutile negarlo, dopo la politica di accerchiamento di Edoardo VII e di Delcassé; il Mariani le attribuisce questo intento della guerra preventiva, perchè là rivive Machiavelli. Quale deve essere il machiavellismo di oggi? « Considerare l’enorme conflitto che ci avvolge e travolge come il cozzo di due forze. E volere essere i più forti. II.resto è Quatsck 1».
L’autore del nostro libro fa professione di immoralismo e di pessimismo. Abbiamo veduta la natura di questo pessimismo» che è poi il realismo sano. Ma neanche il suo immoralismo ci deve impensierire, se è di quello imputato all’autore del Principe. Lasciamo andare i caratteri esterni degli episodi storici ch’egli ci narra, che sono fondamentalmente analoghi a quelli degli atti di tutti i .grandi politici, Cavour compreso. Si domanda: è la politica criterio morale? L’esperienza e la dottrina che in ultima analisi sono la stessa cosa, negano: e affermano che la morale è la norma individuale, e la politica è la norma delle società. La prima è Vequità naturale di Vico della celebre Degnità cen-todecima citata, e che è cognita a tutti gli uomini: ma l’altra è Vequità civile, la quale in bell’italiano è dei pochi, è delle aristocrazie dell’ingegno, a cui va deferito il governo delle società umane.
Per non aver fatte sue queste idee precise, vere e concrete, la democrazia muore e si disfà. E tutto ciò aveva preveduto il teorico del liberalismo, Vincenzo Gioberti, che del Machiavelli e del Vico s’era fatto, nel suo Rinnovamento Civile, carne della sua carne e sangue del suo sangue. Ai fatti: è arcinoto, ad esempio che le spese militari della Francia erano da vari lustri quasi pari, e in qualche anno superiori, a quelle della Germania. Scoppia la guerra europea, e la Francia giustifica le sue sconfitte con la tremenda preparazione germanica e con la sua pacifica impreparazione. In Germania dovè è vivo lo spirito realistico e machiavellico si spendeva bene per creare uno strumento di guerra che sarebbe stato utile al momento e nelle circostanze volute; in Francia si spendeva lo stesso e si creava uno strumento men saldo e mal visto dal popolo, e come provarono le inchieste si rubavano le centinaia di milioni. Dunque infinitamente più morale l’onestà amministrativa dei dirigenti machiavel-• lici tedeschi (lasciamo andare la leggenda... della tradizione machiavellica degli Ho henzollern) che l’umanitarismo pacifista delle verbose e... ladre consorterie francesi.
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Dunque l’immoralismo tedesco era perla salute della Patria e di tutti, era morale, era equità civile sorretta dalla equità naturale (onestà degli amministratori); il moralismo, l’astrattismo francese era peggio che immorale, criminoso, perchè lasciava la Patria- indifesa e ad essa attentava la continua violazione dell’equità naturale nei singoli che facevano numerosissime leggi.
Ma ancora altre cose ci spiegava il machiavellismo; è nota la XCII Degnità di Vico, implicita nel Principe e nei Discorsi: < I deboli vogliono le leggi; i potenti le ricusano; gli ambiziosi, per farsi séguito, le promuovono; i principi, per eguagliare i potenti co' deboli, le proteggono ». E’ la storia di Roma ed è la storia della Germania degli ultimi cento anni: storia ispirata alle vere e profonde e sane attitudini politiche dello spirito umano. Quale è la conseguenza di una tale massima — ch’è liberale malgrado ogni appariscenza verbale — applicata metodicamente e machiavellicamente?
Questa, ad esempio: che tutto il popolo Sermanico, d’ogni classe, d’ogni religione, 'ogni partito, d’ogni setta, è'tutto stretto, unito, concorde nel suo volere la vittoria e nel sobbarcarsi a sacrifici inauditi, malgrado tutte le chiacchiere delle nostre gazzette guerrafondaie. Ascoltate il Mariani: « La saggezza della politica finanziaria degli Hohenzollern e il loro contegno verso la classi povere, è un tratto caratteristico che si comincia a delincare con Federico Guglielmo e seguita poi sempre traverso la storia, tanto che anche oggi gli stessi socialisti che si battono per le idée di conquista degli Hohenzollern, vi dichiarano: Intanto bisogna anche considerare le nostre condizioni economiche; noi siamo bene amministrati dal nostro governo; Dio ne scampi e liberi dovessimo cadere sotto un'amministrazione straniera, noi stessi, noi, gli operai, torneremmo un secolo addietro. Qual'è quella nazione che. abbia di tanto progredito da poter dare a ogni operaio il bagno in casa, l'acqua calda e il termosifone? »
Con tutta la sua immensa fortuna la Francia possedeva la peggiore legislazione sociale e la Germania la migliore: l'una era democratica e non liberale, l’altra era ed è machiavellica. Lodi al nemico le mie, come quelle del Mariani e di dieci altri: necessarie dopo le sciocchezze delle moltitudini avvelenate dai giornali: e poi non si calunnia il nemico che si vuol vincere
(questo l’ha detto il repubblicano onorevole Cappa); e poi io penso machiavellicamente col Vico: « E’ proprietà de’ forti gli acquisti fatti, con virtù non rilasciare per infingardaggine, ma, o per necessità o per utilità, rimetterne a poco a poco e quanto meno essi possano ».
Nelle quali grandi parole è tutto il segreto e la immensa importanza dell'invito tedesco alle trattative di pace:. il primo barlume di speranza in questa notte di disperazione.
Entriamo più addentro nell’argomento. Abbiamo accennato alla stupefacente analogia del tempo nostro col tempo nel auale viveva il Machiavelli: allora moriva medio evo, ora muore la democrazia. Ed anche allora come ora, di contro alla morte è la vita, davanti « ciascuna negazione sorge un'affermazione ». Sorgeva allora « tra l’impero e la città o il feudo, un nuovo ente, la nazione, alla quale il Machiavelli assegnava i suoi caratteri distintivi: la razza, la lingua, la storia, i confini ». Noi oggi possiamo aggiungere, la religione; e ce l’aggiungeva di fatto anche il Segretario. Del quale era fedele seguace e discepolo* Federico II, il quale proclamava: « ciascuno in Prussia deve essere padrone di andare in paradiso a modo suo ».
Se ad un superficiale osservatore il machiavellismo appare soltanto, come realtà, quegli che voglia approfondirlo e veramente assimilarlo e seguirlo, deve esaminare le circostanze del tempo in cui ebbe a pensare ed a scrivere il grande italiano.' La corruttela, oggetto del suo realistico pessimismo, era anche e più dell’istituto chiesastico: e la critica e la rivolta contro questa torma della corruttela italiana non era soltanto di lui, era universale. Critica e rivolta che portarono a due riforme: la nordica, o protestante e quella latina del concilio tridentino. Ma la prima aveva per contenuto universale l'autonomia della coscienza, la seconda il rinvigorito sogno della teocrazia universale del medio evo. Dal cozzo di queste due tendenze nacquero le libertà pubbliche, le lotte della libertà di coscienza, la proclamazione dell’indi-Ì>ende.nza della scienza dalla religione — fi-osofia non più ancella della teologia —, la autonomia stessa della nazione dalla religione. Insomma nel machiavellismo, inteso nel senso più lato, era il germe del liberalismo. anche nel senso più lato, che comprende e scienza e politica, storia e religione. Perchè io intendo di dire che come
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la constatazione della putrefazione del medioevo non ammetteva di conseguenza la negazione delle varie attività dello spirito. che sono ab aeterno e fra le quali, si voglia o non si voglia, è l’attività religiosa; così la constatazione della dissoluzione democratica non implica la negazione del liberalismo ch'è la moderna forma dell’attività sociale, la quale non si sogna, ad esempio di negare i «diritti dell’uomo». E’ insomma, incominciato per il liberalismo, un suo ritorno macchiavellicq alle origini, dopo molte dispendiose esperienze.
Nel fatto, quanto di aspirazione all’umana bontà, alla carità (r elemento fondamentale dell’equità naturale degli uomini) la innata conoscenza intuitiva dell’universale, l’imperativo categorico, altro non sono che la religione. Se la crisi generale del rinascimento portò alle crisi degli istituti giuridici, statali ed ecclesiastici, e cominciò a fóndere le razze forti in nazioni, recò anche necessariamente in pari tempo la crisi della religione e la risolse nel senso indicato dalle attitudini peculiari e i caratteri specifici di razza e di storia di ogni singola nazione. ' Nessuna volle non credere, perchè ciò non poteva fare, nè poteva andare contro lo spirito; sì bene ciascuna volle credere a suo modo, a seconda delle sue più o. meno limitate aspirazioni. Come il medio evo non cominciò con Teodorico, così il liberalismo non comincia con la proclamazione dei diritti dell’uomo: e se il machiavellismo non uccise, la religione, nemmeno il liberalismo che succederà alla democrazia la ucciderà. Perchè machiavellismo e liberalismo sono in fondo la stessa cosa o almeno il secondo procede dal primo per. diretta progenitura, ed è arricchito di tutta la sapienza e di tutta l’esperienza che vari secoli di machiavellismo hanno donato all'umanità.
Quésto è certo: la religione del periodo liberale, del periodo in cui sarà (a seconda della previsione del Gioberti) 'una società retta dall’aristocrazia dell’ingegno (che possiederà l’equità civile) e formata da una medianità operosa (che possiederà l’equità naturale), la religione, affermo, di tale periodo, superiore a quello degli astrattismi, sarà nuova e diversa dall'esistente, ma pur sempre conforme alla na
tura intrinseca delle nazioni più forti. Anche per l’ulteriore vita della religione è ne cessano il machiavellismo: e mi pare d’avere già scritto qualcosa in proposito su questa rivista.
• • «
Non intendo ora entrare ex professo nella politica di guerra come il nostro Mariani, al quale rimando i lettori, augurandogliele, per il bene d’Italia, molte centinaia di migliaia.
Ora è stata lanciata l’idea della pace, in Ìuesto tristissimo tragico volgere d’anno.
l’idea della pace, come che sentita dalle ingannate moltitudini straziate, è di quelle irrefrenabili ed irresistibili. Su questo positivo e concreto problema, non gli irresponsabili, i giornalisti, i fornitori, i frodatori, i simoniaci, gli utopisti della pace perpetua, dell’ ultima guerra, debbono pronunziarsi. Ma i popoli interi e i lóro governi.. I ministri. Auguro che ih loro scenda in quest’ora terribile lo spirito creatore di Machiavelli, e che l’esule ritorni alla sua patria.
Prudens futuri tempori* exilum caliginosa notte premi! Deus.
Avvolgano pure i preposti alla nostra sorte nazionale di una prudente caligine compatta i loro piani, per renderli più efficaci; ma siano machiavellici, realistici. Precisamente, sieno diversi di quafido ubbidendo agli utopisti del disarmo hanno gittata la patria nell’orrenda fornace.
Agli amici dico: cristiani e machiavellici, cristiani e cittadini, per una aristocrazia di pensiero, per la patria rispettata e amata tutti i giorni, da tutti noi. anche nelle più umili cure. Patria diminuita è religione diminuita; patria vinta è religione vinta. Siamo degni del nostro Machiavelli per la patria dei nostri figli (1).
Ottaviana, Natale 1916,
Mario Rosazza.
(1) Nel mentre correggo le bozze le speianze di una prossima pace apparirebbero tramontate. Ma l’idea non già. È di quelle che operano nel profondo delle moltitudini silenziose e sofferenti. E malgrado l’apparente tramonto non ho proprio nulla da mutare a quanto scrissi, soffrendo, nella notte dello scorso Natale.
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Morta, la democrazia ?
ibera tribuna per ogni onesta opinione dovuta a convincimento personale, questa rivista ha però delle direttive ideali che ritiene derivate dal modo di sentire del Cristo. Perciò concetti come quelli svolti, con densità di pensiero, non v’è dubbio, nei due articoli qui pubblicati da Agostino Lanzillo e da Mario Rosazza, sotto il titolo rispettivamente di: ^ideologia dell’ottimismo (i), e II ritorno di Machiavelli (2), non possono e non debbono passare inosservati. È giusto ed è doveroso che « ratio cum ratrone concertet », e che, in contrapposto, si faccia udire anche il pensiero contrastante, affinchè nei
lettori non si ingeneri il convincimento che, quella ch’è la tesi dei due egregi scrittori, possa anche essere la tesi della Rivista.
, Perciò, avendomi il Direttore gentilmente passato le bozze di stampa dei due articoli, ben volentieri ho accettato di dire alcune cose che, ne sono convinto, troveranno eco di consentimento in molti dei nostri lettori.
Con ragionamento derivato da due fonti di pensiero diverse, il Lanzillo ed il Rosazza giungono alla stessa conclusione, cioè che lo sconvolgimento mondiale cui assistiamo segna il naufragio della democrazia; il fallimento, lo smarrimento la evanescenza di quel complesso di « ideologie » e di « astrattismi » che si era soliti di assegnare come contenuto del vocabolo diventato in questi ultimi cento anni bandiera politica e bandiera sociale.
Quantunque un esame analitico dei due articoli mostrerebbe, credo, i punti vulnerabili del ragionamento in essi svolto; pure non è mio intendimento di far questo, anche per tema che una discussione di idee possa apparire polemica personale; dalla quale rifuggo, fra l’altro, perchè, pur non conoscendo individualmente gli autori, ammiro in essi i pensatori poderosi. Inoltre la polemina ordinariamente approda a poco; il suo argomentare facilmente degenera in dialettica e in logomachia. Ora la verità è luce; basta farla brillare; se essa è davvero rischiarante, ogni organo mentale normale la percepirà senza bisogno di trarre sciabolate nelle tenebre.
E quella ch’io vedo come verità, e che come tale mi propongo di difendere in alcune, brevi chiose, è questa, che lo sconvolgimento attuale, tra le lacrime, il sangue e le rovine, segna, non la morte, ma la vivissima speranza della democrazia; che attraverso ad esso avviene l'affermazione e la proclamazione dei- più cari e confortevoli ideali della democrazia; che le « ideologie », alla rude prova, appariscono salde e sane
(1) Vedi Bilychnis, Marzo 19x7, p. 188.
(2) Vedi nel presente fascicolo a pag. 287.
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« idee », e gli « astrattismi democratici » appariscono « la più viva realtà » per lo spirito umano dell’età nostra; e se per sostenere questi asserti dovrò parlare degli scritti accennati, sarà solo per inquadrare bene la quistione e per lumeggiare il pensiero filosofico che conduce molti alle sconsolate conclusioni di cui si fecero eco il Lanzillo ed il Rosazza.
La democrazia ha fatto fallimento?.
Ma quale democrazia? C’è una democrazia politica, e c’è una democrazia sociale; e di queste ci sono poi forme che si sono fissate in speciali momenti Storici e in particolari atteggiamenti di partiti e dilazioni, presentando a volta a volta anche delle vere degenerazioni del pensiero democratico, del pensiero cioè che esprime ascensione di pòpolo verso assetti politici ed economici che siano sempre più la risultante del concorso del maggior numero possibile di individualità umane consapevoli di sè stesse.
Abbiamo per anni ed anni, su pèr le colonne dei maggiori organi Socialisti, assistito alla enunciazione di un così detto pensiero democratico che esprimeva certezza di felicità umana da raggiungere su questa terra. Si ragionava sillogisticamente; l’assetto economico democratico-sociale doveva recare la soppressione delle difficoltà economiche, e quindi la sparizione del delitto, inteso questo come semplice frutto di un ordinamento sociale sbagliato: di più la scienza doveva sopprimere il dolore; ne aveva la capacità, e il nuovo regime democratico gliene avrebbe fornito i mezzi; dopo ciò doveva seguire la felicità sulla terra; quella felicità che le religioni, e specialmente la religione cristiana, avevano relegato nei cieli: e doveva seguire « con-seguenzialmente », come la scatolina di mentine viene giù dal distribuitore automatico dopo la introduzione del pezzo da due soldi.
Ora, se questa è la democrazia, ha ragione il Lanzillo nel dichiararne il fallimento. Ma temo molto, che anche col più abile sforzo dialettico, si riesca ad identificare questa mirifica e grossolana visione, che astraeva dalle grandi e tragiche realtà umane, la colpa ed il dolore, ad identificarla, dico, col pensiero democratico. Col pensiero democratico politico, anzitutto, che vuol rendere i popoli arbitri —s’intendano sempre in senso relativo le parole esprimenti le grandi cose — dei propri destini; e col pensiero democratico sociale, che alla concorrenza sfrenata dei commerci e delle industrie, all’egoismo economico, si sforza di sostituire il sentimento della solidarietà sociale, che solo è capace di provocare lo sviluppo dello spirito di sacrifizio. Il quale spirito di sacrifizio il Lanzillo bene scorge ed apprezza, ma gli apparisce fuori dell’orbita della democrazia; mentre noi democratici, che il pensiero democratico sentiamo scaturire dalla sorgènte limpida è fresca dal Vangelo di Cristo, riteniamo essere quello lo spirito essenziale della democrazia.
Quelle dimostrazioni, quegli studi a tesi ottimista che, pur non dicendolo, il Lanzillo viene ad attaccare con ferrea e sicura argomentazione, e che furono il pasto del pubblico socialista, specialmente in Francia ed in Italia, sono in massima parte derivazione del pensiero filosofico del secolo xvin; pensiero antispiritualista, il quale per qualche punto secondario di affinità, per qualche circostanza di con-
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MORTA, LA DEMOCRAZIA?
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comitanza storica si trovò a fare cammino colia idea democratica, ma che non è punto ad essa unito, e tanto meno con essa confondibile;
Certo nella tendenza della democrazia c’è un Impulso ottimista, nel senso di avere fede incrollabile in una perfettibilità dell'individuo e della società man man che si attuino assetti politici e sociali che rendano possibile la vita morale, e che si porga a quanti più si può un minino di benessere e di felicità, sia in riguardo ai mezzi economici di esistenza, sia in riguardo allo sviluppo colturale della mente, sia in riguardo al formarsi di una vita di famiglia. Certo nella tendenza democratica c’è questo; ma esso sta in contrapposto, non colle realtà del dolore e della colpa, ma in contrapposto di una visione fatalistica della vita; in contrapposto colla concezione « zoologica » della società umana, per cui a questa è applicata senz’altro la legge della lotta per l’esistenza.' La quale ormai, anche nel campo degli animali e delle piante, pur con molti risultati sicuri e veri, ha dato le mosse a non poche illazioni ed argomentazioni errate; come del resto dimostrano le correzioni che ha dovuto subire, e subisce sempre più, la dottrina darwinistica.
Se di fronte alla così detta ideologia dell’ottimismo, intesa come felicità proposta e raggiungibile meccanicamente, il Lanzillo pone le grandi -realtà del dolore e della colpa — in una parola, del male, nel campo fisico e nel campo morale — io, per conto mio, sento di sottoscrivere alle sue conclusioni. Ma se di fronte alla idea dell’ottimismo, intesa come capacità e possibilità dell’uomo e della società di crearsi condizioni di vita individuale è collettiva che agevolino la eliminazione di tante e tante cause per cui l’uomo fu ed è tormentatore di sè stesso, il Lanzillo pone una presunta fatale realtà di lotta per la esistenza, agente come causa essenziale in tutta la compagine umana, allora non posso in alcun modo accettare le conclusioni sue, nè in linea di valutazione filosofica da alto della società umana, nè tanto meno in riguardo dello sconvolgimento che ora travolge il mondo intero.
E mi pare questo, di una concezione della società umana come governata fatalmente e irrimediabilmente dalla legge della lotta per là vita, l’errore fondamentale del Lanzillo e di quanti come lui, e per analogo svolgimento di pensiero, vennero a riguardare l’ora presente come quella del tramonto democratico. Da questa concezione derivano in linea subordinata valutazioni esagerate di fenomeni di degenerazione, gravi, ma non essenziali, come il fenomeno del maltusianismo; e valutazioni erronee, a mio avviso, come quelle che egli ci offre del classicismo, come strumento per comprendere la vita, e del cattolicismo romano come forza propulsiva della storia.
Il maltusianismo è male sociale provocato da un sentimento egoistico, nella maggior parte dei casi privo di qualsiasi valore morale; ma ehi si attarda eccessivamente su di esso per trarne deduzioni di carattere filosofico e sociologico generale implicanti conseguenze e contraccolpi profondi ed essenziali, dimentica forse che esso è fenomeno tempestivo ed esiguo di fronte a quello ben altrimenti imponente, concomitan!e e incessante che è l'aumento rapido della popolazione dell'Europa e del móndo civile, verificatosi dall’epoca napoleonica fino a noi attraverso un intero secolo, cioè dal principio appunto del periodo storico, che, col diffondersi irresisti-
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bile dell’idea democratica, vide tolte di mezzo tante delle cause che erano di ostacolo ad un normale svilupparsi della specie umana.
Quel poco che noi sappiamo di notizie demografiche, nelle varie èpoche storiche, man maño che ci si allontana dai tempi più recenti, e nelle varie civiltà, non è tale da escludere che il fenomeno — astrazione fatta dalla teoria e dal nome — non si sia verificato in altre età, e in altre forme. Sicché il voler fare di esso quasi un argomento decisivo per ferire anche moralmente la democrazia, mi sembra davvero un volére provare troppo con troppo poco.
Quanto al classicismo merita di essere rilevato che il mondo antico era un mondo / che per idee e per costituti sociali era davvero antidemocratico. In esso il Lanzillo, e molti con lui, trovano la esistenza di un principio educativo che era vincolo saldo per la società. ‘
Non è però troppo difficile l’osservare che il concetto ottimista della felicità e del godimento, — il quale, se mai, la democrazia estende a tutta la umanità — era nel classicismo; ma vi era ristretto alla schiera degli eletti. La idealità classica comprendeva una accettazione scettica e fatalistica della realtà del male, corretta per una « élite » poltrona ed indifferente dalla possibilità di godere la vita il più intensamente possibile. E appunto questa visione della vita era tarlo roditore del mondo antico; col quale perì, senza speranza di risurrezione, un modo di intendere la vita e la società che era durato per migliaia d’anni, attraverso a varie civiltà etniche, rese però incapaci di diventare o di produrre la civiltà umana.
Perì abbattuto il classicismo, come sistema o legame sociale, appena fu investito dal soffio ardente delle nuove « idee cristiane » — non le idee del « cattolicismo », stampiamocelo bene nella mente una volta per tutte! — Il cristianesimo, se reca nella vita il severo e fecondo metodo del sacrificio, ha della vita stessa un ideale ottimista; non nel senso facilone e balordo — ripeto — che veniva e viene espo-s sto su tanti organi del socialismo nostrano, ma nel senso di un’ascensione verso l’aspra vetta attraverso a fatiche e travagli ed atti di abnegazione; nel senso profondamente democratico della solidarietà degli umani in questa ascesa; un ideale ottimista, che il Maestro caratterizzava con una storica parola, rimasta parola d’ordine attraverso i secoli, anche nelle ore più tetre della storia dell'umanità; « io vedevo Satana cadere dal cielo a guisa di folgore ».
Fu questa e questa rimane la forza rinnovatrice e cementatrice sociale, non i peculiari istituti cattolici, derivati dal paganesimo, quali il sacerdozio, il monachiSmo e l’altre cose che il Lanzillo vede come costituenti « una delle forze propulsive più benemerite della storia ».
Non è balenato alla mente così acuta dello scrittore sindacalista il sospetto che è forse appunto a queste esagerazioni e degenerazioni della idea cristiana, che in gran parte si deve se, per reazione, lo spirito umano andò verso idee opposte e localizzò la felicità umana nel tempo e nello spazio contemplandola come corollario della attuazione di determinati schemi ideologici? Perchè, se questa «forza propulsiva » del cattolicismo romano, ridotta agli istituti che appunto sono fuori
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dell'ideale prettamente evangelico, la poniamo in presenza della bufera che si è ora abbattuta sulla umanità', come la sentiamo vana ed impotente!
In presenza della bufera che travolge gli uomini, l’ideale di fraternità e di solidarietà del Critso diventa l’aspirazione di tutti; e si comprende che là, e solo là, lo spirito umano stanco ed affannato troverà requie. Ma la « forza propulsiva » che sembra sedurre la mente del Lanzillo, cioè l’istituto chiesastico papale> guardatela dunque in cospètto dello sconvolgimento mondiale! Si può dire di essa quello che il Carducci diceva di una rievocazione medievale nel fiero e selvaggio tumulto della Grande RivoluzióneLa fésca torre in quel tumulto pare.
Sperso nel mezzodì notturno uccello.
* • *
Ma la morte della democrazia viene, annunciata anche in nome del « machiavellismo »; cioè in nenie della « realtà politica ».
Ahimè! di realtà politica — e il ricordo di vergogna ancor ne dura — sentimmo troppp parlare due anni fa in momenti memorabili, aveva allora brutti nomi che la coscienza popolare ha già bollato. Pure non voglio credere che quella realtà là abbia da fare con questo « ritorno di Machiavelli »; voglio ritenére che siamo qui per molti nel vero tormento di spirito che è dettato da uno stimolo patriottico sovreccitato.
Parrebbe dunque che stesse per fare ritorno il senso della realtà politica, e che quindi la democrazia fosse giunta a morte!
Via; se il senso della «realtà politica », quello cioè che dovremmo pure, avere, fosse davvero questo, ossia coordinazione fredda, calcolata, disciplinare, che sottomette tutti e tutto all'ente Stato, come questo è intuito e voluto da una ristretta schiera di aristocratici del sapere e del potere; se fosse davvero quello che vediamo concretato nella idealità politica e sociale germanica, credo che invece di « ritorno di Machiavelli » si potrebbe meglio parlare di « seconda morte del suo ideale »,
Ho Ietto molte giustificazioni che, per amore letterario o per malinteso senso patriottico, si sono scritte del Principe e di quello che si è convenuto di chiamare « machiavellismo »; ma più ho letto e più — indulgendo alle buone intenzioni degli scrittori — ho concluso che la coscienza mondiale, condannando queirideale, anche se fra quei che condannavano c’èrano dei padre Zappata, giudicava rettamente e secondo « realtà », se la realtà è qui qualche cosa che riguarda le ragioni essenziali e gli interessi veri della vita nazionale e sociale.
La coscienza cristiana, e la coscienza umana moderna, che fu nutrita e cresciuta di principi cristiani — come è il caso per tanta e tanta gente che si ritiene fuori di ogni influenza religiosa — sentono entrambe che vi sono cose più sublimi di quelle che dà la guerra, anche se combattuta per causa giusta; ma pure la coscienza cristiana e la coscienza umana dei nostri tempi sentono che, se v’è in questo momento per l’anima un raggio, di luce e di conforto, esso^èjappunto in ciò che la
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nostra gente non combatte per la così detta «realtà politica», ma combatte precisamente perchè di quella realtà lì non vuoi saperne; combatte perchè sente che gli unici ideali/ i quali possano ancora attenuare la repugnanzà nostra pei campi della strage, sono gli ideali di libertà dei popoli, di diritto delle genti, di giustizia è di solidarietà fra gli uomini, che sono l’intima, bruciante passione della democrazia.
Sì, o sconsolati adoratori della « realtà politica »!
Il sentimento che lo Stato è tal cosa che, se richiede anche il sacrificio dei più cari e santi ideali morali, questo deve farsi; il sentimento che tutto e tutti sono materia nelle mani del « principe », e che questo, per la maggior grandezza e potenza dello Stato, guardando all’avversario, deve o accarezzarlo — finché non può fare altrimenti — o sopprimerlo, questo sentimento la coscienza mondiale (possiamo dirlo oramai) l’ha pesato e l’ha trovato calante; e pur sapendo quanto doloroso sarebbe stato rescindere questo cancro dal corpo della società moderna non ha esitato.
La vita della democrazia è arrestata, è spenta? Ma via, dunque! Guardate in tutti i sensi su questa terra insanguinata; questa entità, creduta morta, è più viva di prima.
Essa vibra nelle parole ispirate del presidente Wilson, come in quelle argute e profonde di Loyd George; essa è nei proclami del popolo russo, come in quelli di tante altre genti coinvolte nolenti nell’immane conflitto. In tutte quelle voci che vengono dai quattro angoli della terra vibra la protesta della coscienza di una umanità che sente ormai, attraverso al più fiero e crudele turbine di guerra che sia mai stato, che essa sarà democratica, o non sarà!
Nella parola dei capi come in quella dei militi che penano nella trincea, e che solo a tale patto accettano il terribile compito, è come l’eco di una decisione solenne, proclamante, contro ogni tendenza « machiavellica », che l’umanità vuole ormai che libertà, giustizia, diritto, solidarietà dei popoli, fraternità degli umani siano, non delle ideologie, non delle astrazioni, come li pretende uno scetticismo sconsolato, ma degli ideali in processo di continuo divenire, degli ideali verso i quali i popoli sono avviati, sapendo che si conseguono con una severa disciplina di sacrificio, e sapendo che le due terribili realtà umane ond'è cosparsa la via, dolore cioè e colpa, se non possono togliersi, si possono e si debbono diminuire per quel tanto che il diminuirle è in potere dell'uomo.
Morta, la democrazia?
Orsù, salutate la democrazia di tutto il mondo; la quale guarda al domani con sicurezza; perchè il domani è ben suo in tutti i paesi! In tutti, sì, « etiam in Germania »!
Mario Falchi.
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PERI5G/0VRA DELL'ÀNIMA
ALLA LUCE DELL’IN VISIBILE(,)
L'afflizione lieve del presente produce in noi un peso sempre maggiore di gloria eterna, quando guardiamo non al Visibile ma all’invisibile; perchè il Visibile è nel tempo; l’invisibile è eterno.
(II Corinzi, 4/17 c 18).
ieve, l’afflizione del presente? Chi di noi avrebbe il diritto di dirlo? Noi che vediamo sparire tante giovani vite, scavarsi nei cuori tanti abissi che nulla colmerà, noi che assistiamo col pensiero allo spavento delle battaglie e misuriamo l’angoscia contenuta in una sóla di quelle agonie che a migliaia si svolgono negli ospedali — sappiamo bene che non sono lievi le sofferenze del presente. E anzi saremmo tentati di escla-mare: Chi ha pronunziato quelle parole non aveva riflettuto
a quel che diceva; era un uomojsuperficiale.
Ma chi ha detto ciò era l'apostolo Paolo. Ei sapeva cos’è la sofferenza. Uomo d’una sensibilità iremente, aveva conosciute le varie forme del dolore morale, dal sentimento del peccato spinto al parossismo, sino alle lacerazioni causate dall'ingratitudine umana e dall'abbandono.
Egli, che aveva rinunziato a tutto per seguire il Cristo, e vivendo nella miseria, aveva rotto i vincoli che lo legavano alla sua famiglia e al suo popolo, aveva trascorsa la sua vita ad affrontare il pericolo, sentendo sempre la morte sospesa sul suo capo e, circondato dal disprezzo, aveva trovato, persino tra i suoi figli spirituali, la diffidenza seminata dai suoi avversari — e oltre a tutto Ciò del continu oosta-colato nel suo compito dalla debolezza fisica — S. Paolo non conobbe alcuna delle gioie dell’esistenza e ne approfondì tutti i dolori. Disse egli stesso che la sua vita (*)
(*) Discorso pronunziato a Parigi il 18 aprile 1915.
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era una morte continua: «Siamo dati alla morte ogni giorno per causa di Te»; e altrove: « Sempre, ovunque, portiamo nella nostra carne la morte di Gesù ».
La natura stessa non aveva per lui quegli incanti che consolano di tanti mali. Quando si chinava sul mondo, era per ascoltare il sospiro che saliva dai suoi abissi — quel lamento che esala dalle cose e dagli esseri — lamento cupo della natura sottoposta al deperimento e alla morte, grido di dolore dell'umanità schiava del peccato e tormentata dalla sofferenza.
Se mai un uomo ha approfondito il mistero dell’angoscia universale, è proprio lui. Orbene, egli ha considerato il dolore e lo ha messo in uno dei piatti della bilancia, nell’altro ha messo, la gloria a venire ed ha dichiarato che la bilancia s'inclinava dal lato della gloria.
Così, ei non ha messo le gioie della terra in bilancia col dolore. Non ha detto che quaggiù la felicità aveva il sopravvento sulla sofferenza; che, malgrado tutto, la vita era buona. Così dicono quegli ottimisti i quali si persuadono che tutto va bene perchè non sono mai stati malati. Essi, poiché il dolore non ha visitato il loro focolare, hanno un cuore egoista, indifferente alla pena degli altri e che non sa che sia soffrire. Quelle persone non sanno quello che dicono. Sappiamo oggi — e, se non lo sapevamo àncora, la guerra ci ha aperto gli occhi — che quaggiù la gioia non ha il sopravvento sul dolore. « Paragonate, esclamava Schopenhauer, paragonate il dolore della gazzella mangiata dal leone e la gioia del leone che la divora, e dite da qual lato pende la bilancia ». E il grande dotto che ha consacrata l'intera vita allo studio del mondo degli insetti, il Fabre, concludeva le sue lunghe ricerche dicendo: « La verità è abbominevole ». Quaggiù/ le ombre e le luci sono mescolate. Ma infine l’ombra ha il sopravvento: la notte viene. « L'ultimo atto è cruento, diceva Pascal, per quanto bella sia la commedia in tutto il rimanente: vi si getta infine della terra sulla testa, e tutto è detto per sempre ».
E se, nel corso della vita, alcune gioie hanno preceduto i dolori,'il dolore ch’è venuto poi è stato più grande di tutta la gioia che l’aveva preceduto. D’altronde, come posso io lasciarmi afferrare l’anima dalla gioia, quando questa gioia, che è mia, ha per condizione il dolore altrui? Ora, su questa terra in cui tutti gli esseri sono legati, v’è una spaventevole solidarietà della felicità degli uni e dell’infelicità degli altri. Questo fatto è riconosciuto in tanti proverbi popolari, eppure ci si guarda bene dal pensarci. Si fa bene: si soffrirebbe troppo. Questa pallottola, invece di colpire il nostro figlio, ch’era forse preso di mira, ha colpito il suo vicino; non siete voi, è un'altra madre che piange; potete voi non sentire nella vostr'anima, per quanto grata essa sia, il contraccolpo del suo dolore?
Ci si dice tuttavia: Non dimenticate che, dopo tutto, il mondo va verso il meglio. L’evoluzione si fa nella sofferenza e per mezzo della sofferenza. Il dolore è l'assillo che torza l’uomo a progredire, e-senza il quale ei resterebbe inerte.
V’è qualcosa di molto grande e di mólto sacro in questo sfòrzo per cui il pensiero divino lotta per svincolarsi a poco a poco dalla materia, e partorisce nel dolore un universo di lui degno.
Oggi stesso non è forse evidente che, attraverso le tombe, camminiamo verso un avvenire di giustizia?
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PER LA CULTURA DELL’ÀNIMA 301
Lo credo con tutta l’anima mia. Credo all’avvenire poiché credo in Dio. Ma la considerazione dell'avvenire non basta, da sola, a scusare l’orrore del presente. L’avvenire sarà bello, voi dite? Ma ciò mi restituirà i miei cari? I dolori del passato chi li riparerà? chi asciugherà le lacrime versate? chi colmerà il vuoto scavato dal lutto nelle anime?
La Germania dice: Più la guerra sarà rude, più sarà umana. Essa pretende fondare sul massacro la pace universale. Ma, quando le si parla in questo modo, la coscienza cristiana si ribella. Uh tale linguaggio le pare abbominevole, ed essa ha ragione.
A quei teorici che dicono: Aspettate! il mondo progredisce, si vedrà più tardi il risultato di tutte queste sofferenze, diciamo: Con quale diritto paragonate voi dei dolori che conosciamo con delle conseguenze che non conosciamo? Distrugga lo scultore dieci volte, venti volte l’opera da lui abbozzata, e ricominci; sia pure! ei distrugge un’argilla inerte; ma qui si tratta d’esseri viventi: occorre che vi sia, per tutte le loro sofferenze, una riparazione. Un Dio che sacrificherebbe le sue creature attuali alla felicità delle sue creature avvenire non sarebbe il Dio del Vangelo. Si vedono filantropi i quali, avendo edificato la loro ricchezza sulla rovina altrui, sull’usura, sullo sfruttamento della miseria delle donne, cercano di far dimenticare le origini impure di questa ricchezza coi benefici che largiscono alla società.
Con tutte quelle saluti sciupate, con tutte quelle rovine si fa della ricchezza,-della prosperità e della gioia. Metta un materialista sulla bilancia quel benessere e.la sofferenza umana che ne rappresenta il prezzo, sia pure! In quanto a noi, cristiani, non così cercheremo di giustificare il dolore; non paragoneremo il nostro Dio a quel tipo di benefattore: distoglieremo i nostri occhi da questo mondo decaduto, il quale progredisce soltanto elevandosi su delle rovine, e guarderemo dalla parte dell’invisibile per cercare, alle nostre sofferenze e a quelle degli altri, la sola consolazione efficace.
Fratelli miei, il progresso — per quanto reale esso sia, malgrado le buone ragioni che oggi si avrebbero di metterlo in dubbio — non basta a legittimare la sofferenza umana. Occorre una riparazione per tutti i dolori immeritati di questo immenso universo. Occorre che un giorno essi vengano annientati dalla gloria divina.
Questo noi affermiamo, allorquando proclamiamo la realtà dell’invisibile. Diciamo allora che, al disopra di questo mondo in cui il progresso si fa per mezzo del dolore, v’è un altro mondo in cui il bene si fa con del bene, e non più con del male, e che un giorno questo mondo qui sarà assorbito e trasfigurato da quello là. Gli è perchè S. Paolo ha davanti agli occhi questa visione di gloria, ch'egli chiama « lievi » le sofferenze del presente. Lievi esse sono se si guarda non al presente, ma all’eternità. Lo sono perchè sono creatrici di vita eterna e di gloria, . perchè, come dice S. Paolo, esse producono un peso sempre crescente di gloria eterna.
Tale è l’azione della sofferenza, quand’è la sanzione del peccato.
Il dolore afferra le anime; esso brucia col ferro rovente le loro piaghe; distrugge a poco a poco i germi del male che le rodevano; fa loro scorgere i propri errori, le riconduce a Dio. « Nella loro distretta, dice il Salmo, essi gridarono all’Éterno,
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ed Egli li liberò dalle loro angoscie ». E, guariti dalle conseguenze del male, da quella « buona sofferenza » di cui parlava uno di essi, hanno benedetto la prova che li ha colpiti. Così parlando, rivedo una nobilissima figura di cristiano — un soldato del ’70 — che mi raccontava una storia. Sino allora indifferente e frivolo, una granata gli aveva rotta una gamba. Immobilizzato sopra un letto d'ospedale durante lunghi giórni e notti più lunghe ancora, aveva meditato sul problema dell'esistenza, e quello scettico aveva ritrovato la fede della sua infanzia. Con. un fervore nuovo s’era attaccato al Salvatore. « E da quel giorno, diceva, sono felice ». E benediceva la prova che, pur rendendolo infermo, gli aveva aperto il cielo.
Quante volte s’è rinnovata codesta esperienza! Quante volte il dolore ha compiuto la sua funzione di messaggero divino: quante volte, prendendo per mano coloro che si smarrivano, li ha rimessi sulla strada del cielo! Non è questo forse ciò che voleva dirmi quel soldato ferito, esclamando: «In questa guerra, ciascuno di noi ha ritrovato il suo Dio? » Non è questo forse ciò che voleva dire, quella mirabile cristiana di cui parla il Racconto d'una Suora, la quale affermava che, se Dio le proponesse di ricominciare la propria vita, senza il dolóre che l'aveva infranta, essa non vorrebbe!
Vi stupite di questo eroismo. Eppure! Voi stessi non siete forse una testimonianza viva di quest'azióne santificante del dolore?
Un tempo forse trascorrevate Una di quelle esistenze corrette, esenti da biasimo, ma prive, d'irradiamento, come ce ne son tante. Vivevate per voi stessi; eravate forse duri per gli altri; oppure eravate peggio: indifferenti. Avevate delle autentiche qualità morali, ma a queste qualità mancava l’aureola. Allora il dolore è venuto. Vi ha insegnato la bontà. Vi ha allargato il cuore. Ed ora voi pensate agli altri. Sino allóra, eravate degli esseri incompleti, ignoravate l’essenziale della vita; non avevate sofferto. Quindi le anime dei vostri fratelli rimanevano per voi chiuse. Il dolore, è Stato detto, è la parola d'ordine tra le anime. In sua mancanza, rimanevate murati in voi stessi. Ora, quella parola d'ordine la possedete: ecco perchè, sul vostro cammino, la simpatia si desta; ecco perchè gli altri si sentono attratti verso di voi; ecco perchè vi fanno le loro confidenze quando soffrono; ecco perchè possedete ora il meraviglioso privilegio di consolare. Questo secreto, stimate voi di averlo pagato troppo caro? E non sentite voi che, nella vostra vita, d’or’innanzi consacrata al bene degli altri, la bilancia s'inclina sempre più dalla parte della gloria eterna?
Un giorno. Erma, il profeta cristiano del secondo secolo, fu rapito in estasi e- vide la città santa, la Gerusalemme celeste, che stava costruendosi dagli angeli. Ei vide gl’inviati divini che andavano pei viottoli, cercando pietre, poi scalpellandole, squadrandole finché prendessero una forma appropriata al disegno della costruzione. Così la città eterna di Dio si costruisce nel mondo con delle anime che hanno sofferto. Quando la prova s’abbatte su di voi, e ch'essa vi toglie una parte di voi stessi, non guardate a ciò che si strugge e cade in polvere: pensate alla forma definitiva, al capolavoro immortale che sta per scaturire da quell’opera di apparente distruzione. Le sofferenze del presente producono in noi un peso sempre maggiore di gloria eterna!
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So che v'è il rovescio della medaglia. Talora la sofferenza allontana da Dio: Specialmente la sofferenza fisica, perchè paralizza l’anima. Essa fornisce all’incredulità terribili argomenti. Oggi stesso, essa fa dei santi: essa fa anche dei ribelli. E come li comprendiamo coloro che non possono credere, perchè soffrono troppo.
Così, alla virtù santificante della prova, si può opporre l’esempio dei cuori che essa ha esacerbati, deviati, allontanali da Dio.
Gli è che il dolore non è buono in se stesso. Esso è buono nella misura in cui, rendendo a un essere il senso dell’invisibile, ristabilisce il contatto tra quell'essere e le realtà eterne. Esso si giustifica soltanto alla luce dell’al di là. E capisco che si ribellino, quelli che si rifiutano ad ammettere le riparazioni dell'avvenire.
Ma quando l’anima, divenuta veggente attraverso le lacrime, scorge quel mondo di splendori che le apparenze della terra le avevano sino allora nascosto ingannando la sua sete di felicità — quando vede la Terra Promessa, così lontana sino allora, così irreale, allargarsi davanti ai suoi occhi, mentre si spegne il luccicchio fittizio e passeggero delle cose materiali — è finito allora di dubitare, è finito di maledire; l’anima soffre ancoratola soffre adorando, perchè sa che l'amore di Dio è più forte del male e più forte della morte.
Tutti non giùngono a vedere. Però quelli che vorrebbero vedere e che, nonostante tutti i loro sforzi, non distinguono, nelle loro tenebre, il chiarore nascente del cielo, possono fortificare la loro fede al contatto di coloro che vedono. S. Paolo vedeva, e per questo ha potuto dire: « Le sofferenze del presente non son degne d’essere paragonate alla gloria a venire ». Adolfo Monod vedeva e per questo ha potuto dire in mezzo alle sue sofferenze: « 0 Dio, che sei amore, che nulla ci bai fatto, nulla ci fai e nulla ci farai se non per amore, come potrei abbastanza renderti grazie? » Pascal vedeva e per questo ha potuto esclamare: « Gioia, gioia, gioia, pianti di gioia! ».
Vedevano, tutti quei credenti degli antichi giorni, di cui la lettera agli Ebrei ci dice ch’essi sono passati quaggiù cogli occhi fissi sulla patria eterna. Vedevano, tutti gli eroi della fede, tutti i profeti del Regno di Dio. Vedevano; e voi vedrete com’essi.
Intanto, bisogna pazientare, e ciò è duro spesse volte. Sulla terra, la nostra conoscenza è limitata. Degli effetti che vediamo, ci sono molte cause che ci sfuggono. Vi è dovunque dell’inadempiuto; e, se il dolore lavora a creare delle anime, la maggior parte dei suoi frutti matureranno soltanto alla luce del cielo. Quaggiù vediamo i fili della trama che s’incrociano; ma non sappiamo nè d’onde vengono, nè dove mettono capo.
Perciò non vogliamo misconoscere l'elemento tragico della vita. Non diremo come il savio antico: « Dolore, non sei che una parola! » perchè sappiamo che il dolore è una tragica realtà, ma sappiamo che il dolore ha il tempo contato. Ciò che non passerà giammai, è la felicità che ci è destinata: quella felicità trova la sua espressione nella comunione del Padre; e la comunione del Padre è eterna.
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Noi crediamo che Dio regnerà. Affermiamo che, fra le lacrime e la morte, nella polvere dei cimiteri, la giustizia germoglierà: Ma-raffermiamo, perchè crediamo al mondo superiore in cui .sin d’ora essa regna. L’affermiamo in nome dell’invisibile, in nome del Dio d’amore. L’orizzonte della terra non basta alla nostra speranza. Guardiamo dal lato di quell’universo spirituale dóve, sin d’ora., tutte le lacrime sono asciugate, tutti i dolori son riparati. Ah! Dio ce li scopra, fratelli miei, quegli orizzonti meravigliosi! Ch'egli restituisca, a voi che l'avete visto oscurarsi nel corso della vita, il senso dell’invisibile! Sforzatevi di riconquistarlo. Lo potete e lo dovete! La preghiera vi riaprirà quel mondo in cui è così dolce vivere. Essa v’innalzerà in quelle regioni in cui l'anima, contusa dalla vita, rinasce alla gioia e alla speranza sotto il soffio misterioso che. viene dall'Alto. Di questi colloqui con Dio voi porterete attraverso la vita un riflesso luminoso, presagio della gloria celeste che sarà un giorno il vostro retaggio. E sarete, voi che avete sofferto, dei consolatori di anime, perchè saprete rivelare ai vostri fratelli, oppressi dalla sofferenza d’un mondo effimero, lo splendore dell’invisibile che è eterno.
Enrico Monnier.
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RELIGIONI DEL MONDO CLASSICO
in.
1. G. Blüm nella Revue archéologique (24.94) a proposito di una testa marmorea del museo di Bologna, ritorna con qualche nuova notizia e qualche nuovo commento sulla questione del culto d'Alessandro-* Sole. Pei- lui la raffigurazione del Sole così frequente nei misteri mitriaci rimonta, indipendentemente dà quella di Alessandro, ad un tipo speciale dell’imagine del demone solare. Su di essa poi l’iconografia di Alessandro esercita un’efficacia che forse non è stata ancora abbastanza bene valutata e che devesi riconoscere come avvenuta grazie alla facilità con cui il sovrano macedone era rappresentato come Helios. La figura tipica di questo, poi, è dovuta a Charès, l’autore del colosso di di Rodi, eretto nel 280, un’imitazione del quale molto' probabilmente deve riconoscersi nell’Alessandro Capitolino i cui tratti convengono così alla figura del Sole come a quella di Alessandro.
2. Anthropologie (2 7. in) R. Verneau
riprende, a proposito della statua lignea di Hindenburg, che deve essere inchiodata,* l’esame della questione dei feticci coperti di chiodi [cfr. questo boli. 1,5] che trovansi nei musei d’Europa e ne studia alcuni dei negri di I.oango (Africa equatoriale), esistenti nel museo d'etnografia del Tro-cadero. [Se ne possono vedere molti simili nel nostro museo etnografico e preistorico]. Premesso un cenno sul feticismo e sul suo carattere animistico e superstizioso e sulle
funzioni sociali che esercitano i feticisti pubblici (medici, sacerdoti, indovini) e sulle loro speculazioni, e dopo aver studiato particolarmente alcuni esemplari (feticci umani e animali), il Verneau tenta di spie-Sare l’abitudine di coprire di chiodi questi eticci. Che i chiodi debbano uguagliarsi ad un’offerta qualsiasi di cibarie, di oggetti di lusso e così via, non pare possibile. Il primitivo fa sicuramente questo con il suo idolo e quando non si voglia limitarsi ai selvaggi si può ricordare quanto avviene ancora in paesi pur cattolici (nelle Canarie, nel Belgio). Ma non pare che questo carattere possano Yivestire dei chiodi volgarissimi posti a migliaia sul feticcio. .Ricordando quanto egli sostenne sin dal 1890 nel suo lavoro sulle Razze umane il V. ritiene che il chiodo conficcato nell’idolo serva a ricordare; Ì»er effetto della sensazione dolorosa, a preghiera del fedele che domanda qualchecosa. Così in Bretagna, le nubili Siantano sul naso della statua di legno
i S. Guirec uno spillo perchè il santo procuri loro un marito. La stessa cosa si riscontra nel Belgio in numerosi alberi: il tiglio di Soleilmont, a Cilly, ne à 70.000: il contadino belga « inchioda » in esso la sua malattia. Si potrebbe obbiettare che è strano far del male a colui dal quale si vuol ottenere qualchecosa, ma' non bisogna dimenticare che la forza è la migliore e più efficace suaditrice — sopratutto nelle menti primitive — di un dato fatto’. T buoni forse possono essere trattati bene, ma i
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cattivi — così nei Loango, come presso altri popoli — vanno trattati male, onde la necessità di rendersi favorevoli in modo speciale gli spiriti malvagi. Se lo spirito da loro pregato non li esaudisce, si rivolgono ad un altro, rivale e più potente, e, se non ànno di meglio, lo battono, dopo essersi ubbriacati per farsi coraggio. Quest'idea della correzione delle divinità che non si piegano jdla volontà del fedele è frequente anche ne' popoli civilizzati. J. Chalon racconta che sua nonna metteva la statua di S. Antonio di Padova < in penitenza », testa a basso e piedi.in alto, quando essa, che ne era devotissima, non riusciva a trovare un oggetto perduto e la teneva così sin quando l’oggetto non era ritrovato. [I Sardi castigano i Santi in questo modo: ne invocano il nome e fanno quindi il gesto di tirare l’invocato dal cielo nella propria berretta; ne chiudono poi la bocca per non lasciarne ^fuggire alcuno, e la calpestano ferocemente. Nel sud d’Italia ù frequente l’uso di voltare contro la parete la statua dei santi che si tengono in casa, quando il santo non à soddisfatto il fedele].
L’A. conclude traendo delle conseguenze dal suo studio per il feticcio Hindenburg e ammettendo che non certo per tutti i conficcatori, ma per molti dei più semplici, sopratutto, il chiodo confitto non avrà differente scopo di quello che ànno i chiodi negli alberi dei contadini belgi/ gli spilli delle ragazze bretoni e gli usi dei Loango.
3 .'A. E. R. Boak nel Classical Journal (u. 293) esaminando brevemente « la base teoretica della deificazione de’ sovrani nell’antichità» e pur riconoscendone il carattere orientale, sostiene esserne il fondamento teoretico perfettamente greco. E ciò non solo per le opinioni teologiche greche che riconoscevano il semidio come un mezzo di legame tra l’uomo e la divinità, ma ancor più per un principio filosofico che rese possibile al razionalismo più recente di accettare la deificazione come una via di conciliazione tra le idee individualistiche e autonomistiche più antiche e le necessità assolutistiche che la nuova filosofìa riconosceva come unicamente possibili, dato lo stato di anarchia dei tempi immediatamente anteriori ad Alessandro. Questi principi erano sostenuti da Aristotele, che li derivava da Platone; Isocrate stesso aveva assunto una posizione simile. Il riconoscimento
quindi della capacità politica di un individuo a reggere uno Stato non poteva avvenire se non venivano considerati i suoi atti come quelli di una divinità e per conseguenza come tali accettati dai più riottosi.
Così da Alessandro il Grande, attraverso tutto l’ellenismo ed al suo più autentico successore, l’impero romano, da Cesare a Diocleziano l’idea si fa strada e si impone su queste basi; anzi si può dire che con la monarchia cristiana e fino ai nostri tempi con l’assolutismo per grazia di Dio, Si è imposto l’assolutismo platonico che identifica il sovrano con la ragion d’essere dello Stato.
4 . Due interessanti articoli su divinità celtiche troviamo nella Revue archeologi-que (24. 182 e 205). Il primo dovuto a E. Babelon, tende ad identificare con molta sicurezza di risultati in una statuetta del Gabinetto des Médailles di Parigi la dea Maia, madre prima e poi paredra di Mercurio, identificata in Gallia con Ro-smerta e rappresentata anche in altre opere artistiche.
Il secondo di J. Loth studia con novità di conclusioni e dopo sagaci ricerche la funzione del dio celtico Lug, esaminando dapprima le ipotesi contrarie di J. Rhys per cui Lug non è che il Sole, e di Arbois de Jubainville per cui egli è ben identificato con Mercurio. Ora i’A., prendendo in esame le etimologie, .la saga irlandese e le tiadizioni letterarie ed epigrafiche romane, è condotto ad ammettere che se è indiscutibile il significato di luce, di splendore e simili che deve riconoscersi nel tema Lug, è altrettanto sicura la connessione della divinità stessa con la Terra. Un'istituzione certa che rampolla dalla sua leggenda, secondo i redattori cristiani delle saghe irlandesi, è quella della festa che porta il suo nome, Lugnasad, che aveva luogo il 1® agosto, giorno che porta ancor oggi tale denominazione ne' paesi di lingua gaelica. Essa sarebbe stata istituita da Lug in onore di Tailtiu, sua nutrice, morta il 1® agosto, ed onorata da Lug con l’istituzione di un’assemblea commemorativa, con giuochi e con banchetti. La festa era di rigore se si voleva avere benefici agricoli, fluviali, politici, onde la divinità celebrata 'devesi credere avesse carattere ctonico. Tailtiu non c Ìuindi probabilmente che sinonimo di rogan-agosto, che era presso i Bretoni ed i Gaeli il principio dell'autunno, e che
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significava la terra produttrice, la terra feconda, la terra madre. Essa era confusa in alcune leggende con l’Irlanda.
Lug, adunque, a malgrado dei suoi attributi di dio della luce è pure un dio della terra e sappiamo bene come fosse stretta la relazione tra gli dei della terra e quelli del celo, onde uno stesso dio può essere tanto ctonio che celeste: Lug è indubbiamente tra questi. I Lugoves che troviamo citati tra le divinità celtiche non sono dei Mercuri, ossia un plurale di Lug, ma piuttosto delle divinità femminili, delle matres.
Concludendo Lug non dispare dal culto celtico con le conquiste romane, anche se, mentre rimane testimonianza- di Lu-govi, di lui non si à cenno formale. Egli viene identificato difatti con Mercurio, perchè i Romàni furono colpiti da alcune sue attribuzioni come dio delle arti, della medicina, dell'industria, del commercio, e i Galli, con la facilità d'adattamento che aveva il culto celtico, accettarono l’identificazione onde il culto di Mercurio si diffuse e si accrebbe. A Lione (Lug-dunum) là festa celebrata in onore d’Augusto cade proprio il i° agosto (Lug-nasad, come vedemmo, ancor oggi in Irlanda). [Si noti la felice coincidenza tra la festa gallica e l’inizio del mensis felicissimus, dai Romani consacrato ad Augusto e fe-steggiatissimo, coincidenza indubbiamente ricercata dai sacerdoti ed uomini politici della Gallia e naturalmente bene accetta a RomaJ. Al .tempo di Tiberio poi troviamo un’iscrizione Mercurio (Lugus?) Augusto et Maiae (Tailtiu?) Augustae.
Perciò Maia o Rosmerta è associata al culto di Lug, è una delle matres, compagne di Mercurio, e porta spesso il cornucopia per simboleggiare la terra e Copia Claudia Augusta Lugudunum è detta la colonia di Lugdunum, associando il culto della teira feconda a quello di Lug, in omaggio indubbiamente ai voti dei Galli.
Ora mentre molto probabilmente le Maiae non sono cheidentiche alle Lugovi, Rosmerta, la compagna di Mercurio, è facilmente identificabile con Tailtiu-Trogan, perchè l’etimologia del nome ci dice che essa è la grande provveditrice, colei che fa fare o accrescere un gran peculio. Il che ci svela l’identità, dei culti dei Celti gallici e di quelli irlandesi. Un’ultima prova del culto della terra in Irlanda è il culto àeW'omphalos, di cui si ànno ampie testimonianze, mentre in
Gallia se ne trovano poche, qualche parola (nav = ant. ted. naba»quellointorno a cui tutto gira, ombilico, perciò, forse) e il fatto che a Carnunto i Druidi si radunavano ogni anno in un luogo consacrato che era Vomphalos' della Gallia (Caes., de bell, gali., VI. 13-10).
5. Nella Revue de philologie (40.55) G. Lafaye si occupa a lungo della litania greca d’Iside edita da Grenfell e Hunt nel’’XI voi. dei papiri d’Ossirinco, recentemente pubblicato. Egli riproduce il testo della litania, accompagnandolo con una traduzione e con un commento esegetico e critico. Il documento, che si è conservato disgraziatamente incompleto e lacunoso, è del ir sec. d. Cr., probabilmente.
Il suo interesse dal punto di vista cultuale è dato dalla citazione dei luoghi di Egitto e fuori Egitto in cui la dea era adorata. e per quanto le prime colonne del manoscritto siano perdute, nei 67 nomi di città che si conservano nella lista rimastaci vi sono molti che erano sinora sconosciuti ed altri che permetteranno identificazioni sinora impossibili. Invece per le località fuori d’Egitto non si può dire altrettanto: non solo l'A. omette santuari noti ed importanti, ma procede con un disordine tale che non si può trovare nella sua litania alcun principio direttivo. Unicamente 12 delle località citate ci erano, forse, sconosciute come centri isiaci.
Per quel «che riguarda poi i soprannomi, gli epitteti, le identificazioni di Iside con altre divinità, noi notiamo nell’A. una certa negligènza ed un bisogno di riempire i vuoti dovuti alla sua ignoranza dei culti speciali locali, con attribuzioni generiche, non di rado desunte dal ricco repertorio egiziano, senza assicurarsi se quel che diceva fosse per lo meno qualchecosa di più caratteristico e neppure se fosse perfettamente appropriato. Certo è notevole che a Roma egli denomini la dea (se la lettura è esatta) «guerriera » (Sharia) come a Memfi e presso le Amazoni e forse anche più importante che sul Dindimo sia chiamata« Tri via» se vi si è ben letto e che in Persia sia detta « Latina » (Aatróm).
Segue poi una lista di lodi con ripetizioni sempre più crescenti in versetti ognor Ì»iù lunghi, in modo da dare una partico-are intonazione ai recitatori a voce alta.
Anche qui .sembra mancar l’ordine e l’indirizzo, per quanto non si possa esser molto esigenti a questo proposito in componimenti del genere. Poche novità d’altra
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parte il nuovo documento ci apporta sul culto d'Iside; e come atto di fede, se può dimostrarci la fierezza del« credente sulla potenza e l’estensione dell’impero della dea, benché esso si mostri poco edotto dell’oriente, dell’occidente, pure per la sua ingenuità ci offre un documento del come sì pensasse ih Egitto sull'estensione del culto isiaco fuori di esso.
Secondo il Lafaye, un altro contributo importante offre il papiro e cioè la prova che esso è compilato secondo i dettami rettorici dèi tempo: ciò egli prova con il confronto tra la nuova litania e quelle conservateci da Apuleio, in forma' naturalmente più letteraria e più ordinata. Di ciò però non è il caso di trattenerci qui, tanto più che non mi sembrano molto convincenti le idee dell’A.
6. Per l’interesse che desta la seguente comunicazione fatta aJYAcadímte des inscriptions et belles-letlres il 4 febbraio 1916 (C. R. 1916. 53) ne riporto quasi integralmente l'oggetto.
Si tratta di una scoperta fatta da S. Lang-don, professore d'assiriologia a Oxford. Essa concerne la leggenda della discesa di Istar all’inferno che è uno dei più interes-: santi documenti della mitologia babilonese e che ci è nota per mezzo d’una copia dell’epoca di Assurbanipal. La dea scendendo all'inferno passa per sette porte e ad ogni stazione i custodi le tolgono una parte delle vesti. Mentre essa è all'inferno, sulla terra è sospesa tutta la generazione. Se non che Samas prega Ea di creare un messaggero che richiami la dea, la quale rifà il precedente cammino ed è rivestita così come fu svestita. Le ultime righe della leggenda sono oscure; pure essa è importantissima perchè ci offre delle preziose conoscenze sugl’inferi,'quali erano secondo le concezioni babilonesi, che possono paragonarsi a quelle dei Giudei sullo Scheol.
La scoperta del Langdon viene però a mettere in forse l’origine babilonese del mito: ed ecco come. Egli scrive:
« Su di una tavoletta della collezione Nippur del Museo di Filadelfia, il cui retto è svanito, mentre il rovescio è interamente conservato, ò letto l’originale d’una parte del famoso poema della discesa di Istar all’inferno. Il rovescio comincia a metà del racconto, ove la dea domanda al portiere d’aprire le porte dell'infeino e continua con la narrazione del passaggio pei le prime tre porte. La prima linea della scena della quarta porta termina il brano, che certa
mente continuava su altre due tavolette. La parte da me Ietta corrisponde alle linee 1-51 della versione semitica.
« Il poema è redatto in sumeriano e non vi è dubbio che questo non corrisponda perfettamente alla versione semitica di Rawl. IV, 31. Il documento è dell’epoca della dinastia d’Isin (verso il 2100 a. Cr.). Ecco dunque un altro capolavoro semitico che è stato quasi letteralmente copiato sul poema sumeriano».
Ne conseguirebbe, al dire dello stesso Langdon, che i semiti di Babilonia, invece d’essere gli autori, sarebbero i semplici traduttori e trasmettitori dell’epopea di Gilgames, d’Etana, del Paradiso terrestre, del diluvio, del 1 acconto della discesa di Istar all’inferno, ecc.
Coloro che penseranno che questa grave conclusione — disse lo Scheil terminando la comunicazione — è poco verosimile, saranno propensi a ritenere con l’Halévy che il sumeriano non è una lingua rappresentativa d’una razza, ma un sistema perfezionato di scrittura ideografica di cui si servivano i semiti tradizionalisti della bassa Babilonia.
7. .Tolgo dalla Revue archéoìogique (24. 142), perchè non ò dinanzi a me la rivista inglese da cui la notizia è tratta, e perchè mi sembra sia prezzo dell’opera portare la cosa a conoscenza degli studiosi, cui, in questi anni di confusione politica e scientifica, può essere sfuggita, com’è sfuggita a me, l’interessante informazione che Salomone Reinach dà sulla scorta di Sir W. Ramsay della scoperta di due santuari asiatici, ove si praticavano quei mistèri, sulla relazione tra i quali e S. Paolo si è tanto scritto e discusso.
Il primo è quello di Apollo a Claros ed il secondo quello di Men in Antiochia. Qui si è messa alla luce una vasta sala, di iniziazione (?), avente al centro una costruzione ovale simile a.\V impluvium d’ùn atrio romano, che sembra esser stato il lacus d’un rito battesimale. Il dio si imaginava assistesse al battesimo, perchè di fronte alla depressione si è trovato un seggio di marmo con dorsale, dedicato a Men, probabilmente nel iv sec. d. Cr. Il Ramsay ritiene che qui si tratti d’un’imitazione del battesimo cristiano, destinata a far concorrenza al nuovo culto.
Più importante è la scoperta, fatta a Colofone, di iscrizioni che ricordano le visite fatte dai rappresentanti stranieri all’oracolo di Apollo in Claros. Queste de-
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legazioni erano accompagnate da cori ! giovanili piaschili e femminili: i delegati seosrpixot) erano pure dei misti. Ora a proposito di ciò, si trovano due esempi di una espressione molto singolare: due teopropi jLViiSévTes tvt^aTtuaav ; un teopropo ««paXa^òv rà uvarzota ¡'»«^àrtuaev. Quest’ultima parola, evidentemente rituale, si trova nella lettera di S. Paolo ai Colossesi (2. 18) in un luogo oscuro che à imbarazzato molto i commentatori. Ciò proverebbe che S. Paolo conosceva il'linguaggio dèi misteri asiàtici, anzi, secondo il Ramsay, il passaggio, che il Reinach, cionondimeno, e pur nella traduzione del Reuss, confessa di non capire, si spiegherebbe così: l’apostolo si troverebbe contro un iniziato che avrebbe turbato la Chiesa colossese, introducendovi gl’insegnamenti non spirituali dei misteri; la qual cosa, nella mente del santo, implicherebbe condanna dei misteri pagani e nello stesso tempo conoscenza di questi misteri./ (Il Ramsay a questo proposito crede di poter con ciò dimostrare falsa l’ipotesi del Loisy che S. Paolo si fosse convertito ai misteri pagani, ciò che il Reinach nega sia stato mai detto dal Loisy). Dunque crap«>.a^etv xà {Auarxpta sarebbe l’equivalente di ricevere dal ierofante le
cose e le parole mistiche! La fase ulteriore della cerimonia sarebbe detta cu^arcóicv e l’insieme è espresso con la parola ì«ct<X<w {/.ycTÌota. Dunque con ty^axeuscv parrebbe doversi intendere la posa del piede su di un soglio, simboleggiante la nuova ’vita dell’iniziato. L’iscrizione di Clarosèdel 150 circa: la parola usata 100 anni
E»rima da Paolo, doveva appartenere al inguaggio dei misteri asiatici, forse frigi.
8. Un’interessante scopèrta per la non mai abbastanza studiata storia del mitria-cismo, è stata fatta in Ostia da G. Calza che ne riferisce nelle Notizie degli scavi
P- 324.sgg.).
Si tratta di un santuario mitriaco, che Srobabilmente era stato anteriormente adetto ad un altro culto di cui non si d in grado di stabilire le caratteristiche. Il santuario à i due podia laterali consueti, la fossetta per il sàngue dèi sacrificio ed una notevole edicqlà in muratura, costituita da una base piena, su cui si sviluppa una nicchia vuota. Nella faccia esterna della base appaiono due.ermette in marmo, l’una k riproduceste un tipo non ben definito di Bacco barbato, coronato di pampini e con vittae sulle spalle »; l’altra una « testina muliebre coronata anch’essa di pampini (?),
ma tutta chiusa nel rivestimento di stucco bianco n per esigenze di culto e per necessità statiche, causate dal cattivo stato della testina. Sopra le ermette un graffito poco chiaramente leggibile darebbe una lista di nomi di schiavi, in maggioranza non romani, seguita in tre casi da una parola che, secondo la lettura Paribeni-Calza, sarebbe forse BINV e che quindi potrebbe interpretarsi come allusiva alle libazioni di vino, non infrequenti nel culto mitriaco. Dopo di essa vi sarebbe indicata in denari la quantità offerta.
Innanzi all’edicola, un’ara quadrata con nel centro un foro che l’attraversa per largo, circondato da una corona d’alloro e con sopra un’iscrizione: M. Lollianus Callinicus È ater, aratn deo do{no) de (dii). Questo Lol-ano è già conosciuto da un’altra iscrizione posta « sopra un pezzo di epistilio od architrave probabilmente spettante ad una edicola », nella quale è cenno del dono di un Signum Arimanium ossia «Signum dei Arimanii », fatto da un credente, mentre questo Loiliano era pater.
L’edicola pare escludere l’attacco in essa d’un rilievo mitriaco, ciò che è sintomatico, e quindi secondo l’editore si dovrebbe pensare alla dedica del santuario al dio Arimane, del quale si à ricordo in iscrizioni mitriache.
Un altro frammento di lastra opistografa trovata poco lungi ed in parte non restituibile ricorda lo stesso... Lollid}no Calli-nico ed un M. Caer[ellius Hiero]nimus, probabilmente, ed altri sacerdoti Solis come dedicanti un thronum.
Quasi ciò non bastasse, si nota sull’ara stessa un’iscrizione che dovrebbe appartenere alla primitiva sua destinazione, poiché Ossa porta segni evidenti d’un adattamento posteriore al culto solare; essa dice: [a]quae salviae Hercli sacr(um>). Ora, si tratta delle aquae Salviae (Tre fontane) della via Laurentina nominata nel martirologio di Adone del 362 ? Come devesi intendere la costruzione in quest’epigrafe? Ecco altrettante incognite da unire alle precedenti, risultanti dallo studio del mitreo, sulle quali ci proponiamo di ritornare.
9. D’un altro mitreo, disgraziatamente non scavato di proposito, ma scoperto per caso e messo alla luce momentaneamente e senza metodo e, dopo, sacrificato sotto una costruzione moderna, di quello di Merida (Spagna) à parlato P. Paris in Revue archéolog., 25.1 sgg.), cogliendo l’oc-
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castone di riesaminare e raggruppare tutti i resti del mitriacismo in Spagna. La quale fino alla pubblicazione dell’opera maggiore del Cumont poteva esserne dichiarata povera, mentre ora non si può sostenere altrettanto. I nuovi scavi non ànno, è vero, modificato di molto le 'conclusioni cui era venuto già lo scienziato belga, ma ànno pur portato qualche interessante contributo allo studio del mitriacismo. Grazie alla firma di uno scultore greco del 155 d. Cr., Demetrio, si è potuto anche datare il monumento e riconoscervi, tra le altre, due statue notevoli di Mitra, una vestita ed una nuda, due statue di Cronos, una delle quali è interessante per il fatto che si aggiunge alle rarissime che portano il dio stretto nelle spire del serpente, in modo però da lasciarne scoperto il sesso, che il Cumont riteneva in generale dovesse essere nascosto per mostrare che il Tempo non era sottoposto alle leggi naturali e che èra stato procreato solo; sisòn rinvenute inoltre una statua di Venere, una di Nettuno, una di Mercurio, l’apparizione delle quali non è singolare in un mitreose non per laprima, e due statue femminili acefale in cui si potrebbero vedere delle divinità locali, secondo il Paris [mentre per me si potrebbe benissimo vedervi delle credenti benemerite del culto e associate ad esso, poiché si dimentica ormai con troppa facilità, come dissi altra volta in questo stesso bollettino, che dopo l’iscrizione di Tripoli non può più essere ammessa, ‘come sostiene ancora l’A., l’opinione del Cumont che dal culto mitriaco fossero escluse le donne].
10. Nell’Archivio stor. per la Sic . orient. (13.208 sgg.) N. Rapisarda studia la genesi e lo svolgimento del mito di Polifemo, Aci e Galatea, sostenendone l’origine sicula, sulla quale si sarebbe sovrapposta la leggenda greca. Nella prima parte del suo studiò, ivi pubblicato, esaminando le località del territorio di Acireale, che entrano a far parte del mito, tenta di mostrarne l’importanza per lo sviluppo della tradizione indigena; quindi considera la forma naturalistica locale della leggenda, quale può esser dedotta dai diversi strati del mito greco e per ultimo esamina la figura di Galatea, che identifica con Afrodite, e conclude affermando che gli « elementi, i... caratteri interni e sopratutto l’indispensabile fattore topologico, ci autorizzano ad ammettere un vetustissimo sostrato mitico e cultuale pregreco, rife-rentesi alla nostra sorgente sulfurea ed al
suo Circostante bosco, su cui poi si sbizzarrì la fantasia dei poeti greci e romani » (p. 228).
Attendiamo la seconda parte dello studio per accertarne la solidità costruttiva, poiché nella ricerca della tradizione indigena — che per noi è indiscutibile — l’A. non c'è sembrato assolutamente convincente.
11. Una nuova iscrizione, recentemente scoperta a Thuburbo Majus (Africa) permette ad A. Merlin (C. R. Acad. Inscr. et bell, lettr., 1916. 262) di accennare breve; mente, ma succosamente, alle prescrizioni rituali sulle purificazioni necessarie per entrare in alcuni templi di divinità greche o latine. Questa però è la prima volta che troviamo tra le epigrafi latine un documento del genere. Ecco l’iscrizione: lussu Domini I Aesculapi L(ucius) Numisius L(uci) f(ilius) | ritaìis | podium de | suo jecit. | Quisq(uis) intra | podium ad\scendere vo\let, a muliere, asuilla, | a faba, aton\sore, a bali\neo commu¡ne custodita/ triduo, | can-cellos | calciatus | inlrare notilo.
Probabilmente queste costrizioni e purificazioni nel culto dell’ Esculapio latino, benché sia noto qualchecosa di simile per quello greco, forse per effetto d’influssi orientali, derivano, in Africa, dalla sua origine, punica; egli non è che l’Eschmun latinizzato.
La continenza sessuale era. comune a molti culti e necessaria per entrare in un santuario di Lindo o in un tempio di Men Turannos in Attica. L’interdizione di certi cibi è pure frequente: qui la carne di porco e la fava, che era consacrata al dio. L'astinenza dal ferro del barbiere e dal bagno comune, à altre origini: il ferro macchia l’individuo, l’acqua lo purifica, ma deve essere quella prescritta, onde in Africa per alcuni culti orientali latinizzati si trovavano nei santuari cisterne destinate alle abluzioni di rito. È frequente la prescrizione riguardante i calzari, soltanto in alcuni templi è parziale: non si può entrare, cioè, con calzari di cuoio di porco (lalysos) o si Eiuò accedervi solamente con calzari di eltro o della pelle delle vittime (Andania).
12. Alla seduta del 17 marzo 1916 del-V Académie d’inscriptions et belles lettres (C. R. 1916. 134) J. Toutain à fatto una breve quanto importante comunicazione sull'idea religiosa della redenzione, quale ci appare nota anche ai pagani, esaminando un rito poco conosciuto dell’antichità classica. In alcune città, cioè, del mondo greco e romano (Curio di Cipro,
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Terracina, Marsiglia) si precipitava ogni anno una vittima umana dall’alto d’un promontorio roccioso in mare. Da Fozio e Suida apprendiamo che l’infelice vittima era considerata come il salvatore, il redentore dei suoi concitta.dini. Il termine impiegato nel testo conservatoci dai due lessicografi bizantini, per spiegare il senso d’un tale sacrificio, è proprio quello con cui i cristiani greci designavano la redenzione. Il T. conclude, quindi, che l’idea religiosa della redenzione di tutto un gruppo d’uomini mediante le sofferenze e la morte d’un solo non è stata dunque estranea al paganismo antico. [Il termine cui allude il Toutain, senza citarlo, deve essere che si può riscontrare nei due autori da lui citati (si cfr. anche ?appaz¿c ibidem). Per la cosa si veda anche Rohde, Psiche, p. 41 r. A questo proposito giova qui ricordare un importante articolo di K. Cirilli, pubblicato nella Revue anlhrofologique del 1914 (p. 31 x sgg.), secondo cui il sacrificio di M. Curzio, gettatosi nella voragine del foro, non sarebbe altro che una leggenda sorta dal rito di offerta alla divinità del lago di un manichino rappresentante un cavaliere armato. Di questa memoria non m’è stato dato ancora di prender cognizione diletta: però, atrraverso il cenno che ne fece il Reinach in Rev. Arch., 24.337, ed i dubbi pur da lui manifestati, ritengo che il lavoro sia importante come indizio di un indirizzo di ricerca che deve esser applicato più largamente di quel che non sia stato fatto sinora alla storia antichissima di Roma, studiata anche dai maggiori con gretto apriorismo e con meschina cultura generale. Io, per esempio, credo che in Curzio debba vedersi per l’appunto una vittima del principio della « redenzione » della collettività da un male, mercè il sacrificio d’un individuo. Mi propongo quindi di ritornare sull’argomento con una indagine più ampia, non appena avrò avuto modo di studiare le conclusioni del Cirilli e di controllarle con i risultati delle ricerche mie su alcuni degli aspetti « storici » assunti dai ricordi « religiosi » di Roma antichissima].
13. Nel Journal of román sludies (5.1) il Bryce si occupa della religione come fattore nella storia degl’imperi, comparando sommariamente la storia politico-religiosa dell’impero romano con quella dell'impero spagnuolo in America, dell’impero russo in Europa, e sopratutto fuori, e dell’impero britannico in India. Stabilite brevemente
la località e .l’individualità de’culti vigenti nelle regioni mediterranee, quando Roma le assoggettò, l’A. riconosce il grande legame politico che costituì per l’impero la religione sotto la forma del culto dei sovrani, come manifestazione della potenza e della grandezza del potere politico; considera l’ebreismo ed il cristianesimo come gli elementi ragionevolmente perseguitati per il carattere antipolitico e disgregativo che assumevano le loro credenze; ma ritiene che il cristianesimo costituì ben presto, divenendo culto ufficiale, un elemento fattivo della resistenza dell'impero ai colpi de’ barbari ed alle cause interne di disfacimento.
Accenniamo, per completare il quadro, benché non entrino nel nostro campo di studi, le conclusioni ulteriori: il cattolicesimo vien riconosciuto per la Spagna- coinè condizione di vitalità e di imposizione per il dominio sull’America del Sud; la figura dello Czar, come capo della religione, è considerata per i vari popoli dell'impero russo come elemento di accentramento, in quanto egli unisce in sè il potere politico e religioso e infine alla dominazione inglese in .India il B. riconosce la vitalità e la fortuna non solo nella larga tolleranza, ma nell’equilibrio religioso stabilito tra le varie credenze, il che fornisce un carattere di somiglianza con l’impero romano ed uno di diversità. Il sovrano inglese è in ogni modo ritenuto da tutti quasi come santo e grazie alla giustizia ed alla pace con cui amministra, è qualchecosa di uguale all’imperatore romano.
14. A proposito di tre punti quasi trian-Solarmente disposti e segnati sulla gamba estra di un satiro raffigurato su un vaso italico ora al museo del Louvre, W. Deonna nella Revue des éltcdes grecques (29. x sgg.) studia sotto il titolo Les solairest questo non infrequente simbolo del culto solare dimostrandone l'origine prettamente solare quale ci è attestata non sólo dalla letteratura indiana antica, ma pur da una sua imagine simbolica in cui l’albero cosmogonico porta sui suoi tre rami un sole, a significare i tre punti dell’apparente corsa quotidiana dell'astro maggiore: il sorgere, lo zenit, il tramonto. Come tutto il simbolismo solare anche i tre dischetti, più o meno variamente foggiati, ànno un carattere profilattico e si trovano su vesti, su armi (corazze'ed elmi), su vasi, su amuleti, dalle origini preistoriche sino nell’ornamentazione medievale (v. su quest’ultima
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Rev. hist. religions, 1915» p. 72). Questo triplice simbolo è spesso accompagnato dalla croce solare formante un segno che si perpetuerà nel M. E. specialmente grazie alla numismatica « qui, par l’intermédiarie des arts gallo-romain et barbare, a conservò tant de symboles celtiques d’origine très reculée » (p. 7) e che ci darà la croce trifogliata cristiana che non è se non la derivazione dell’antica croce solare ornata all'interno dei suoi rami de’ tre dischetti e del trifoglio che è la loro riunione.
Di questo simbolismo solare il Deonna vede rapplicazione ne’ tre globuli segnati sulla gamba del satiro nel cantaro italico, ove la raffigurazione dei disco solare tra un coro di satiri, a quel che pare, danzanti- sembra rappresentarci le danze con cui questi demoni della fertilità salutano, come è ùso di tanti popoli, la venuta dell'astro fecondatore.
15. È noto come, secondo la comune concezione, il trionfatóre romano non sia se non la personificazione di Giove (Preller e Marquardt), mentre alcuni ritengono che egli non sia se non una rappresentazione umana dello stesso dio, datore del trionfo (Strong,' Aust, Wissowa). Solo recentemente qualcuno (Stuart Jones, Gree-nidge) à proposto di considerarlo come una rappresentazione tangibile dell’antico re italico (etrusco). Il Frazer nell’ultima edizione del suo Golden Bough à procurato di fondere queste diverse concezioni, che sono poi, alla fin fine, due, dicendo che il trionfatore era la personificazione di Giove, ma poiché aveva gli attributi del re primitivo, questi doveva personificare Giove. Premesso brevemente ciò, W. War-de Fowler in The Classica/ Revietv (30. 153) riprende brevemente in esame la questione, esaminando i punti di contatto che aveva la pompa trionfale con la pompa circensis e notando come in questa, mentre Giove in persona prendeva parte alla processione, vi fossero pure tra i componenti il console o pretore, con quegli attributi che fanno ad altri ritenere che nel trionfo chi li rivestiva personificasse Giove: ora questa duplicazione di Giove costituirebbe un assurdo. Si aggiunga poi che dall’esame di alcuni passi di scrittori latini o greci e in ¡specie di Livio rileviamo come gli «ornamenta triumphalia» erano degli «ornatus lovis optimi maximi » che erano tenuti sul Campidoglio o sul Palatino per dare maggior santità a chi li rivestiva per la pompa circensis (Campidoglio: tempio di Giove) o per i ludi Apollinares (Palatino: Apollo). E si noti pure che il volto del trionfatore era colorito col minio: ora noi sappiamo pure che l'effigie di Giove, che veniva portata al circo il 15 settembre sulla tensa, era pure tinta di minio. Il che, a quanto pare, si faceva per dare una maggiore espressione alla statua, tanto più che le primitive imagini erano di terra cotta (Plin., n. h. 35. 157) Se non che non è improbabile che la causa prima di tale colori mento consistesse in un ricordo delle primitive usanze belliche e delle danze guerresche per le quali l’uso del minio doveva essere naturale come lo era nelle danze bacchiche (Tib., II, 1, 55). Quindi il trionfatóre non era colorito per imitar Giove, ma piuttosto per ricordo degli usi antichissimi, di fondamento antropologico, che erano anteriori alla forma iconica delle divinità.
La quadriga più che simboleggiare l’identificazione solare di Giove (= Apollo) pare possa rappresentare il cocchio per eccellenza dei re italici primitivi.
Lo scettro sormontato dall’aquila ci raffigura l’umanità del re protetto da Giove, ré degli eserciti (si ricordi l’aquila delle legioni).
Il trionfatore quindi non è la personificazione di Giove, ma un semplice uomo, il che ci é pur provato dai mezzi con cui è salvaguardato dal « fascinus », dal modo con cui i soldati lo acclamano e cantano in suo onore (si ricordi che per ló Stampini i carmi trionfali sono, grazie all’inverecondia de’ loro scherni, mezzod’«antifascinazione»] e dal suggerimento che gli viene fatto di ricordarsi di esser uomo. Del resto nessuno à mai potuto portarci una moneta od un monumento qualsiasi in cui il trionfatore appaia tener invece dello scettro il fulmine: la qual cosa sola metterebbe l'A. nella condizione di riveder le sue conclusioni, tanto più che un luogo di Svetonio (Aug. 94) che sembrerebbe dargli torto egli lo interpreta a ragione come inadatto assolutamente a portar- un argomento di un certo valore contro la sua tesi.
Giovanni Còsta.
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RASSEGNA DI FILOSOFIA RELIGIOSA
XIII.
GUERRA E IMMORTALITÀ
Ha avuto un’ eco anche' in Italia, in una breve polemica Ghignoni-Salvemini nell’Umtò (numeri 5 gennaio, 23 marzo) un dibattito suscitato dall’ultimo romanzo di Paul Bourget: Le sens de la mori. Del romanzo non ci siamo occupati in questa rassegna per il semplice fatto che crediamo inconciliabili ed incompossibili in un lavoro letterario la finzione romanzesca e la dimostrazione filosofica o teologica; e il Bourget dovrebbe decidersi ad interessarci o come romanziere o come apologista del cattolicismo ortodosso. Quando vuol fare le due cose insieme, ci interessa meno come romanziere e non ci persuade come teologo. Già nel suo romanzo precedente: Le Démon du Midi egli ci aveva dato un modernismo che era una contraffazione; e, in una serie di figure che volevano esser tipicamente rappresentative della Francia con temporanea, un defroqué e un cenacolo di novatori, i quali non Sotevano che trarre in inganno chi volesse a essi farsi una qualche idea di quello che è stato il modernismo francese. In Le sens de la mori egli vuol esprimere in un’anima femminile di squisita sensibilità — come il B. sa foggiarne — il contrasto fra la morte, guadagnata sul campo di battaglia, confortata da una salda fede cattolica nella vita futura, e la morte desolata di ogni speranza di ulteriore vita 6ersonale. E fra il marito razionalista e cugino tenente fervidamente cattolico, o meglio, fra le due tombe, la donna del Bourget sceglie la seconda. E sta bene. Le finzioni non si discutono. Esse valgono per l’efficacia con cui ci descrivono l'individuale, non come creazione di simboli dell’universale. I personaggi del romanzo di B. pensano e agiscono a quel modo che fanno non per una logica eterna delle idee ma perchè sono appunto quei dati personaggi che il B. ha creato, nei quali alla
logica delle idee si uniscono la logica del cuore e le varie altre logiche che, fuse insieme in un certo modo ineffabile fanno l’individuo; e perchè gli è piaciuto crearli così. Siamo dunque dinanzi a una tesi espressa da un romanziere, col sussidio della sua arte che,' nel servizio al quale non sa adattarsi, perde di sincerità e di efficacia artistica.
Ma al B. è avvenuto questo: che, mentre la dimostrazione della sua tesi vale quello che vale, l'intenzione ha offeso molti i quali non la pensano come lui; e, in un’ora nella quale tanti figli di Francia, delle Siù diverse ed opposte fedi, muoiono per ¡ Francia, andare a fare una distinzione, a favore dei cattolici o dei credenti nel domina cristiano dell'immortalità, è parso una ingiustizia verso quelli che muoiono non credenti in tale domina; e il Salve-mini scrive: «sento nel suo romanzo una speculazione, per usare la sua parola, tesislica, che mi ripugna per la sua iniquità e volgarità».
Parecchi, in Francia e fuori, hanno criticato il B. Maggiore eco ha avuto una serena ed efficace risposta del Loisy, pubblicata negli Entreticns des nos combatíante devant la guerre, col titolo More el Vita (21, rue Visconti, Paris).
« I credenti, scrive il L.» hanno offerto, e sacrificano come gli altri, la loro esistenza al proprio paese... essi confidano, ulteriormente, di meritare con ciò il cielo Sromesso a quelli che compiono il loro overe fino alla morte. Pace e onore alla loro tomba ». Gli altri anche, i non credenti, « muoiono perchè la Francia viva. Essi credono che il loro sacrificio non è vano, ma che, al contrario, contribuisce alla preservazione di quello che hanno più caro nel mondo. Pace e onore alla loro tomba ».
Nel numero di gennaio della Edirn-bourg Review leggiamo al posto d’onore un interessante articolo sintetico, nel quale, pur senza diretto riferimento alla polemica Bourget-Loisy, la questione del-
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l'immortalità a proposito della morte in guerra è ampiamente e serenamente discussa. Lo scrittore non,è un libero pensatore; egli si colloca, anzi, nel punto di, vista cristiano. Egli sostiene che la fede nell’immortalità è implicita nel gesto di quanti volontariamente e generosamente muoiono per una causa; poiché essi credono egualmente tutti nella realtà e nel valore, oltre la loro effimera esistenza terrena, di questa causa, nel suo pregio, nel quale, perdendo la fragile vita, la riacquistano e la perpetuano. Ora, osserva 1 A. questo valore e questa realtà sopraeminente di beni spirituali, questo adempimento della vita in qualcne cosa di più alto, di più nobile e di più durevole. Questo inverare l’effimero nell’assoluto, è la sostanza viva della speranza cristiana.
Che colui che muore per una idea creda a un tempo di affermare vittoriosamente, al disopra di sé, quell’idea e di salvare la sua esistenza in un altro ordine di realtà non aggiunge al valore del sacrificio. E un’altra cosa e va considerata a parte. Non si tratta più del rapporto moraìe fra la vita fisica e le realtà immortali che credenti e non credenti affermano col sacrificio, ma della fede che si ha intorno alla natura della propria anima e al mondo di là e alla provvidenza divina.
Dell’argomento- si è anche occupata la signorina M. D. Petre, nome noto e caro a tutti gli ammiratori di G. Tyrrell, nel numero di febbraio del Free Catholic. « Quegli che ama la sua vita la perderà ». Miss P.> ricordato l’opposto pensiero dei due scrittori francesi, pone la questione così: «C’è, indubbiamente, nell'attitudine del L. un elemento di positiva ripulsa del cristianesimo tradizionale, che impedisce una mutua intesa fra lui e il credente cristiano. Tuttavia, dall’altra parte, anche egli reclama una fede per sè e per quelli che pensano come lui; e in questa fede non Ìiotrebbe esserci qualche punto di unione ra credenti e non credenti; una unione non ristretta solo all’amore dello stesso paese? >
Dopo aver narrato la morte di tre amici suoi non credenti, il !.. scrive: « Così muoiono uomini dei quali qualcuno insolentemente ha detto che non hanno fede. Dite, se volete, che essi si erano distaccati dagli antichi simboli della fede cristiana. Ma una fede essi sicuramente ebbero profonda e forte e nobile, una fede che essi divisero con i vostri morti e che li rese
tutti fratelli... Vergogna e disgrazia a quelli i quali insinuano che questi non credenti non erano capaci di morir bene. Buona era la loro morte, e buona la loro fede, poiché era una fede di lealtà e di sacrificio ». ' . . ,
A queste parole miss P. avvicina le seguenti, di Giorgio Tyrrell, tolte da uno dei postumi Essays mi Faith and Immor-lalily: ■ Notate che l’appello dell’Evangelo di Cristo non era direttamente al fuoco dell’inferno o ad un’altra vita. Esso era un invito a prepararsi per il regno di Dio e per entrare nella gioia di questo regno; un Cappello alla devozione a una grande causa super-individuale e non egoistica; l’appello a morire ad un sè più basso, particolare, psichico per vivere in un io più pieno, universale e spirituale... Si può dire che l’essenza del cristianesimo è una vita di sacrificio per l’ideale nella condotta, riconosciuto come volontà di Dio c quindi atto a dare tutta quella pace, valore e dignità di vita che viene dal senso di unione con il Potere il quale opera per l’ideale in tutta la natura, e per la giustizia nell'uomo. Questo è il significato del Cristo crocifisso... Quindi, in luogo del fuoco dell’inferno io predicherei la miserabilità della vita individuale dentro e fuori, sopra e sotto, perchè gli uomini sospirassero e gridassero: Chi mi libererà... Dopo tutto, c’è lo spirito in ciascun uomo e non la sola anima (psiche) e lo spirito deve'ri spendere alla sua propria esca ed allettamento con la stessa sicurezza con cui l’anima all’attrazione dei suoi propri obbietti psichici... Io sempre penso, quindi, che Cristo crocifisso è il migliore e più sicuro evangelo per ridestare un mondo senza fede o piuttosto un mondo che è cresciuto oltre gli stretti abiti della sua vecchia fede ».
Miss P. aggiunge che quando prima lesse queste parole del Tyrrell nel manoscritto inedito esse le apparvero come la carta della religione dell’avvenire. E pensa che su questa fede nel valore ideale ed eterno dei beni superumani possa farsi l’accordo fra quanti, credenti o non credenti, vogliono che la presente guerra dia frutto di salvezza spirituale e faccia gli uomini e le nazioni tutte più capaci di mutuo intendimento e di amore.
In Italia nell’Umtà del 5 gennaio G. Sai-vernini aveva preso nettamente posizione, in un breve scritto vivace, per il Loisy, contro Bourget. Se ne è adontato il padre
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A- Ghignoni, il quale—numero 23 marzo — gli scriveva: « La tesi è esagerata. Non è: per incontrare serenamente la morte è necessario esser cattolico, apostolico, romàno, ma: fra uno che crede nella immortalità dell’anima e uno che non ci crede, colui che ci crede ha una gran ragione di incontrarla più serenamente di chi non ci crede, e anche in pratica suole avvenire così ».
E di un’altra cosa il G. si duole, con Sai-vernini! « Ti potrò io nascondere che il gesto del Loisy mi riesce più che mai antipatico, e mi urta come almeno una stranezza, pensando che il Loisy è un prete, fer quanto pòco accetto all’Arcivescovo di arigi e ad altri anche più in su? » E poco appresso aggiunge: «un prete cattolico ». Questa affermazione del G. urta un poco le nostre nozioni storiche; poiché pensavamo che il L. avesse cessato, da parecchi anni, di esser prete ed anche cattolico. Oggi è un « critico razionalista », dice il S., ribadendo, il suo consenso con lui con le .seguenti parole:
« Qui si trovano di fronte due tradizioni di pensiero e di sentimento, anzi addirittura due ‘ religioni Noi, seguaci di Snella religione che si può chiamare stoica-emocratica, rispettiamo profondamente la vostra religione cristiana.
« Ma non possiamo permettervi di affermare che la fede vostra aiuti più voi a morire che la nostra fede non aiuti noi, c protestiamo se cercate di utilizzare questa vostra affermazione infondata per aumentare il numero de’ vostri consenzienti.
« Veramente, innanzi a questa angosciosa tempesta di morte, la gente non letterata ha ben altro da fare che ricercare la migliore edizione del manuale del perfetto moribondo; ognuno muore come sa, e come può, e ¿ome gli capita: e tutti muoiono bene, se muoiono compiendo coscienziosamente il proprio dovere. Ma la discussione non è stata iniziata dal Loisy; è stata iniziata dal romanzatore cattòlico: il critico razionalista non ha assalito, si è difeso. E difendere la propria fede è un dovere».
Il padre G. faceva l’antitesi fra chi crede nell’immortalità dell’anima e chi non ci crede. Il secondo termine è troppo vasto. Il S. corregge, sostituendo ad esso una fede stoico-democratica. Mazzini credeva, ha notato qualcuno, nell'immortalità dell'anima, pur essendo più vicino
di fede agli « stoico-democratici » che al signor Bourget. Altri, come ho indicato, distinguono due fedi: una nelle cose immortali, eterne suscitatrici di personalità e,di coscienze, in modi e limiti e processi dei quali uno solo e un solo momento ci è noto, nell’esperienza del nostro piccolo e labile essere empirico; ed una in’questo mio io immortale; attribuiscono la prima a tutti quelli che muoiono eroicamente per la patria, per la giustizia, per la libertà dei popoli, e — per quel che riguarda la guerra — lasciano da parte la discussione intorno alla seconda che del resto ha, al-l’infuori de’suoi possibili rapporti con la prima, tanto poca importanza.
LA TRADIZIONE CATTOLICA E LA GUERRA
Nel numero gennaio-febbraio 1917 di Coenobium troviamo un articolo a firma G. L. Brezzo sulle «Condizioni di liceità di una guerra secondo la tradizione cattolica ». Secondo il Brezzo la tradizione cattolica non permette le guerre, non solo offensive, ma nemmeno difensive, o almeno la difesa dell’aggredito sarebbe giustificabile solamente se avesse probabilità di successo: se invece: « uno Stato debole (leggi il Belgio} è assalito da uno più forte, e vede che la difesa non può raggiungere il suo scopo, ma servirà solo a maggior danno tanto dei propri cittadini quanto di quelli dello Staio r avversario (quei poveri tedeschi!), non può lecitamente difendersi e preferire la distruzióne al dominio straniero, sebbene ciò paia agli occhi del mondo (e di quel povero illuso che è il card. Mer-cier) il colmo dell’eroismo... ». '
« Se per sottrarre centomila individui ad uno stato più 0 meno penoso di ingiusta soggezione, io faccio una guerra, che costi la vita o l’incolumità a tre o quattro milioni, la mia guerra è illecita ».
Il Brezzo ha anche scoperto che « in antico si faceva la difesa perchè avvenivano stragi, mentre ora le stragi avvengono appunto perchè si fa la difesa »; e ci avverte che <1 il peggio che possa succedere ad uno Stato che assalito non si difenda, nè altri sorga a difenderlo, è che.esso passi sotto il governo dello Stato assalitore. Ora in generale si ritiene che questo sia il libassimo male che ad un popolo possa accadere, perchè esiste il pregiudizio che un Governo non possa essere buono sé non è proprio... Ma per la massima parte dei cittadini
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Governo proprio e Governo straniero per se stessi si equivalgono. Se teniamo presente che al giorno d’oggi tutti i governi europei hanno su per giù lo stesso grado di bontà, comprenderemo come Tesser costretti a passare dall’uno all’altro è ben lungi dal costituire quel male terribile che si ama far credere, ed a cui sarebbe lecito preferire ogni sorta di rovina e la morte stessa ».
Una così cinica concezione della neutralità . non era stata ancora formulata da alcuno; e Coenobium fa torto a una parte dei suoi collaboratori, a cominciare da R. Rolland, macchia le sue pagine, ospitandola.
"L’Unità commenta:
«Quanto alla tradizione cattolica, in essa si trova tutto quel che ci si vuol trovare. In diciannove secoli di cristianesimo non c’è teoria che non sia stata prodotta dagli scrittori cristiani: ed è assai facile scegliere nella letteratura cattolica quel che può servire a una sola tesi, sopprimendo tutto il resto, e far passare questa tesi come la teoria tradizionale del cattolicismo. I gesuiti... vanno a cercare- nella tradizione cattolica anche la sconcia, teoria dell’archivista di Torino: la quale, se fosse davvero la teoria ufficiale del cattolicismo, farebbe della religione cattolica il pili schifoso e disgustoso incitamento alla prepotenza e alla vigliaccheria ».
Questo commento non ci pare esatto. Un nesso intimo c’è fra la tradizione cattolica, presa nel suo insieme, e questa giustificazione della neutralità. Il cattolicismo — e, in questo, non solo non va confuso col cristianesimo, ma gli si oppone radicalmente — è l'applicazione pratica, alla vita umana e alla storia, di una teoria che pone fuori dell’uomo la verità e la divinità e fra la sua coscienza e Dio pone, con mandato divino di governo, l'autorità:' la religiosa Come la civile. Il governo di sè, il self-governement, in questa tradizione cattolica, è inconcepibile. Anche se i cittadini designano, con i sistemi rappresentativi, gli uomini che devono governarli, l’autorità viene a questi da fuori", dall’alto. La libertà politica, che la democrazia ritiene espressione necessaria dell'auto-dominio dello spirito, dell’umanità che fa la sua storia, è, per la tradizione cattolica, un’eresia. Governanti propri o governanti stranieri, padroni sempre è allo stesso modo: e lo spirito, la coscienza, sempre ed egualmente serva. Nello scritto
del Brezzo si nota infatti l’assenza totale di preoccupazioni e di attenzione per quel che riguarda la coscienza umana, la libertà, la dignità^ l’autonomia, il genio proprio di un popolo e l’espressione conforme ad esso, all’infuori di ogni tirannide. Il Belgio o la Francia stanno per essere assoggettate alla brutalità degli ufficiali tedeschi? • Sènza difesa, il peggio sarà una temporanea diminuzione di ricchezza ed un arresto nello sviluppo del commercio: danni certamente spiacevoli ed ingiustamente inflitti, ma che sono un nulla al paragone dei disastri presenti e futuri che derivano dalla guerra difensiva ». E dal punto di • profitti e perdite » il Brezzo può anche aver ragione. Come un cattolico, allievo di gesuiti, sia giunto a sostituire il culto • profitti e perdite » ad ogni considerazione ideale, etica o religiosa, questo si spiega appunto con il carattere essenziale, che abbiamo indicato, della « tradizione » la quale ha fatto del cattolicismo ufficiare un autentico materialismo politico, affine a quello che riscontriamo nell’estremo opposto, nel socialismo.
SOCIALISMO E MATERIALISMO
In uno studio pubblicato nella Rivista delle nazioni latine, numero i° ottobre-1® novembre 1916, Domenico Parodi esaminava la dottrina socialista, segnalando in essa tre elementi diversi c cozzanti: un ideale morale e sociale, umanitaristico, alcune teorie economiche e la nota filosofia della storia nota col nome di materialismo storico.*E da questa incerta e diversa anima gli sembrava di poter dedurre le contraddizioni e la dissoluzione del socialismo internazionale in questa ora decisiva.
Nel numero x® aprile, una scrittrice che mostra larga e sicura conoscenza del pensiero marxista, Anna Vera Eisenstadt, risponde al Parodi che una dottrina unitaria e fondamentale nel socialismo c’è, una concezione della vita e della realtà alla quale non è difficile far risalire tutto il sistema c con la quale spiegare il suo sviluppo storico; e la addita nella inversione dell’idealismo hegeliano compiuta da Marx, nel materialismo.
In notizie autobiografiche e negli scritti scientifici del Marx noi possiamo seguire le origini e gli sviluppi di questa dottrina. Il dualismo era in Kant: accanto alle' forme a priori delle conoscenza l’espe-
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rienza. Fichte e Hegel lo eliminarono dando la preferenza alle prime e fondando l’idealismo subbiettivo. Questa dottrina affascina il giovane Marx e lo domina profondamente, così che dal metodo logico di essa egli non si è mai liberato; ma non ne è contento e reagisce. All’università di Berlino, che frequenta, il Savigny, col suo conservatorismo storico, gli presenta in forma stridente l'insufficienza del)’idealismo a spiegare ed accompagnare la storia. Cercando, egli risale a Schelling; e con lui si rivolge bruscamente dalle idee alla realtà; cerca non questa in quelle, ma quelle in questa. In taluno dei suoi scritti, lo Schelling costruiva una satano-logia, assumendo come filo conduttivo della interpretazione della storia i possenti impulsi ed aspirazioni terrestri che spingono l'uomo all'attività. Questo Satana di Schelling, anima della storia, è il padre del socialismo marxista.
Più tardi Marx studia attentamente i socialisti francesi e in particolare Fourier, la loro critica della società borghese francese, sorta dalla rivoluzione, basata su interessi la cui formulazione in idee astratte affascinava e deviava le classi conservatrici. E dal pensiero che un’idea naufraga sempre quando si stacca troppo dalla realtà, o che ogni idea attuale, espressione di interessi dominanti, tende ad attribuirsi una ampiezza ed una portata maggiori che essa non abbia, era facile giungere ad una conclusione più radicale: che cioè le idee sono e valgono solo come espressioni di interessi e di una realtà sottostante; fallaci e illusorie quando si distaccano da essi, e che quindi vanno sempre misurate e giudicate, con una fredda critica realistica, alla stregua di questi. Donde la conclusione ovvia che la realtà (esterna, oggettiva, materiale) è tutto e le idee semplice soprastruttura. Il materialismo dei socialisti francesi è illustrato ed esaminato da Marx in un capitolo della Heilige FantUie. lavoro che precede di poco il cèlebre Manifesto del 1848, in cui la dottrina del materialismo storico appare definitivamente formulata.
Da allora, osserva la scrittrice, ed io le do pienamente ragione^ « il socialismo, come movimento delle masse, ha conservato intimamente il suo carattere materia-lista ». Infiltrazioni di altra natura, idealistiche o romantiche a cristiane, appariscono sposso nell’opera di questo o quel propagandista; ma esse non hanno mai
avuto influenza durevole sullo spirito delle masse e sono state un poco alla volta rigettate in margine. E ciò spiega molte cose.
L’AMORE NON È TUTTO
Innumerevoli scritti abbiamo veduto, in periodici italiani e stranieri, nei quali si protrae, pur senza la luce di alcun contributo veramente nuovo, la questione sull’atteggiamento dei cristiani che vogliono seguire il Vangelo verso la guerra.
Nel numero di aprile 1917 dello Hibbert Journal, la notissima rivista inglese trimestrale di religione, teologia e filosofia, abbiamo letto un articolo di Costance L. Maynard: L'amore che non è l'adempimento della legge, del quale alcune frasi ci hanno colpito.
L’A. cita alcune parole di un foglietto pacifista intitolato: Perdona, perdona, ama, ama: « Abbiate per i tedeschi esattamente lo stesso sentimento che avete per voi stessi. Lasciate che il dolor di cuore risponda al dolor di cuore, perdonate, simpatizzate, amate, adempite la preghiera di Cristo e siate uno, tutti uno ». Ed egli risponde: « Qui siamo nel centro stesso dell’errore, dove l'amore è posto solo, e non c’è più discriminazione, non criteri di valore, non principii da difendere, non diritto dall’una parte .e torto dall’altra... Questo atteggiamento non è solo stupefacente e storto, esso è positivamente e radicalmente iniquo. Perchè? Perchè esso abroga la legge morale, perchè ignora la distinzione di bene e male, perchè il solo vincolo riconosciuto è quello della simpatia con chi soffre. Il dolore umano deve essere risparmiato, la vita umana è il supremo valore e poco importa che essa sia impiegata nel servizio di Dio o di Satana. Amore, amore, solo l'amore deve Ìiortare il carico della resistenza alle molte orze del male. Giustizia o ingiustizia, libertà o schiavitù, verità o falsità non debbono essere considerate un momento; l’amore è il solo potere da usare, ed esso farà tutto. Povero amore! La sua schiena è presto rotta dal peso che gli si addossa. Questo credere che l’amore sta al disopra di ogni legge è l’errore cui sale la responsabilità di tante vite matrimoniali avvelenate; esso vuol smentire il vecchio canto popolare
Io non potrei amarti tanto, o cara
Se non amassi di più l’onore.
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... Dovunque l’amore, che nel nostro complesso essere sembra davvero nato alla porpora, lascia da parte il santo regno della legge e diviene un despota nel trono del cuore, entra prima la confusione, e quindi la miseria, una miseria così acuta, così sempre presente, così devastatrice, che nulla in terra può esserle pai agonato ».
Anche l’amore che il cristianesimo ci comanda ha una norma e una misura: la legge morale. Essa dirige l’amore e le sue applicazioni pratiche. Essa ci fissa un ordine di mezzi e di scopi mediante il quale la pienezza del bene deve essere raggiunta. E c’è, corrispondente a questa legge morale, un ordine giuridico, un insieme obbligatorio di precetti e di opere, una solidarietà civile e nazionale che il sommo precetto cristiano non annulla/ nei quali solo si attua e si svolge con coerenza pratica ed efficacia. Il Maynard mostra poi facilmente, con citazioni daH’Evangelo, come questo regno della morale e del diritto, della legge civile e di Cesare, della potenza, della guerra è della vendetta, non solo non fu misconosciuto da Cristo, ma fu anzi apertamente riconosciuto ed ammesso e talora con qualche esagerazione di forma (vedi Matt. XXI. 41, Matt. XXVII, 7, Luca XIX 27) spiegabile in ambiente orientale ed avvezzo ai più gravi dispotismi. I a legge deve compiersi; e l'amore che non è compimento della legge non è amore di buona lega.
Il M. definisce quindi — e ci par giustamente —■ questa guerra non come una guerra di religione, o per la religione, ma come una guerra per l’Etica; per il trionfo della legge morale umana sulla, bruta forza. Egli avrebbe potuto forse procedere ad un più acuto esame del concetto di amore: e distinguere l’amore-istinto del romanticismo, anteriore e ripugnante alla legge, dall’amore-volontà pratica dell’universale. che .ha in sè la legge e la compie.
ESTETICA E GERMANESIMO
In un breve articolo del Figaro, 16 aprile, Julien Benda richiama l’attenzione 'dei suoi connazionali sull'influenza sottile di tendenze estetiche di origine prettamente germanica infiltratesi in Francia negli ultimi tempi. Sono le dottrinc.tipiche del romanticismo tedesco del principio del secolo scorso. Il romanticismo ebbe poi largo sviluppo anche in Francia; ma il Benda ritiene che nei romantici classici (ci si perdoni il bisticcio) francesi quello
che esso aveva di propriamente e caratteristicamente germanico fu corretto ed escluso dalle qualità*proprie dello spirito latino. Solo in talune manifestazioni e scuole recenti egli trova la diretta penet.a-zione dell’estetica romantica tedesca. Quel che il B. osserva ha valore anche per là nostra letteratura italiana. Egli segnala, la tendenza di certi scrittori a fondersi con la passione che descrivono, a viverla, non per comprenderla, e con ciò superarla, ma perdendosi in essa e perdendo insieme il potere di giudicare. Così, per rispetto a una data epoca storica, essi tendono a rivivere i battiti di cuore del passato, a immergersi in esso, facendosi uno stato d’animo di ripetizione, che sarebbe poi la vera critica. Ed aitano l'espressione che si tien sempre di qua dalla chiarezza e dalla precisione, imperfetta, saltuaria e quasi indefinita; e preferiscono le opere confuse, oscure, disorganiche; son sempre in cerca non della conoscenza delle cose, ma del mistero delle cose. Misteromani che fanno loro il motto di lacobi: «La mania di spic-?are vi ha fatto lasciare la preda per ombra; voglio dire il reale misterioso per l'intelligibile astratto ». Evitano che il pensiero si fissi in una idea netta; cercano con Novalis il «sentimento di ogni cosa indistinta, l’intuizione magica delle cose • Vogliono essere istintivi, mostrar la passióne nella sua totalità indivisibile, in luogo di analizzarla, suscitar sensazioni, non idee. Amano, come Novalis, i « racconti senza altro legame che quello della associazione delle immagini, come nei sogni le belle espressioni abbondanti, ma senza legame e senza senso ».
Al lettore italiano verranno facilmente al pensiero il « gozzanismo » e l’arte malata di taluni apologisti ed imitatori di Mallarmé e di altri francesi, attraverso ai quali un tardivo romanticismo germanico è venuto fino a noi, offrendo a giovinetti spasimanti per l’originalità il mòdo di distinguersi e di esaltare a se stessi la delicatezza delle loro facoltà poetiche e del loro io. Ma non sarebbe difficile istituire un esame anche più vasto e che, ad es., analizzasse alla luce di un tale criterio l’opera del poeta delle Laudi, grande magnificatore ed esaltatore dell’istinto della passione, e la sua rovinosa influenza non tanto sulla letteratura (che l’Italia della vigilia della guerra non aveva più una sua letteratura) quanto sulla coscienza borghese italiana. .
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STORIA DELLA SCIENZA
Un giovane studioso, Aldo Mieli, pubblica quasi a un tempo (Firenze, Libreria della Voce, 1916-17) appunti critici e bibliografie» Su La storia della scienza in /¡alia (Saggio di bibliografia di storia della scienza), una bibliografia dei suoi Lavori e scrini dal 1906 al 1916, c un primo grosso volume di una Storia generale del pensiero scientifico dalle origini a tutto il secolo XVIII. Esso è primo della serie dedicata ai Prearistotelici, e comprende Le scuole Ionica, Pythagorica ed Eleala.
Significativo è il bisogno di sintesi che mosse il Mieli all^ formidabile impresa. In principio del volume egli pone una pagina autobiografica nella quale è detto: • Negli ultimi anni di liceo, quando per le cognizioni acquistate uno può azzardarsi a stabilire un indirizzo di studi e di ricerche, si impadronì di me un acuto, irrefrenabile desiderio di conoscere e di spiegare l’insieme di tutto il mondo. La tendenza del mio spirito era quella di potere, con l'aiuto di poche premesse, arrivare a collegare fra di loro e comprendere tutti i fenomeni fisici e sociali, artistici e filosofici ». Egli si rivolse dapprima alle matematiche pure alla meccanica razionale ed alla fisica matematica. Deluso da queste si gettò a corpo perduto nella chimica; quindi, per l’influenza specialmente degli scritti di Ernst Mach, alla filosofia delle scienze ed alla teoria della conoscenza. «Ma dalla filosofia breve fu il passo alla storia. Dopo una crisi di scetticismo, determinata dal dogmatismo di scienziati e filosofi moderni, che o costruivano sistemi presuntuosamente universali su pochi dati positivi, o pretendevano elevare a verità indiscusse alcune ipotesi, utili, è vero, ma non perciò meno arbitrarie; dopo aver dubitato di tutta la scienza e di tutte le sue idee fondamentali, rinunziai alla ricerca della spiegazione, razionale o sperimentale, del mondo, sia per mèzzo delle matematiche, o delle scienze fisiche e biologiche, o, infine, della speculazione metafisica, per trovare in esse stesse l’intima ragione della nostra scienza e della nostra filosofia. Come creazioni dello spirito esse si devono rivelare a noi nella loro origine e nel loro sviluppo. Nella storia ci si rende manifesta la loro essenza, la loro direzione futura. E da questo profondo sentimento, dalla ricerca assidua di comprendere lo sviluppo del pensiero scientifico, dalla mancanza infine
di una o più opere che soddisfacessero questo mio desiderio e bisogno, è nata quest’opera... Essa, per lo meno, cerca di permettere a me di aspirare ad una visione di insieme dello sviluppo del pensiero scientifico, e di arrivare ad una soddisfacente compìensione e valutazione delle scienze e della filosofia contemporanea ». 11 compito è gigantesco; e il piano che il Mieli ne traccia lo mostra, se il titolo non bastasse, da solo. Ma il M. vi si accinge con una preparazione, se non adeguata, la maggiore che per uno studioso isolato si possa immaginare, e con una conoscenza nelle linee generali complete di quello che già si è fatto in tal campo. E questo primo volume mostra non solo tali attitudini, ma i vantaggi che da un tale lavoro possono venire ad una più accurata comprensione della storia della filosofia, per tacere d’altro. Poiché, in questo saggiò, le prime ipotesi cosmogoniche e ontologiche della nascente filosofia greca, avvicinate alla curiosità scientifica ed al bisogno di sapere sistemato, in ogni campo dell’esperienza, che la fece nascere, sono rése piu comprensibili e messe quasi nella loro giusta luce, assai meglio che in lavori precedenti di storici defissola filosofia; come appare, per addurre un esempio, nell’esame dello scetticismo di Zenone.
Il tentativo del.M. va, evidentemente, oltre la scienza ed oltre la filosofia; esso cerca di cogliere geneticamente, nel farsi dello spirito umano in universale, attraverso la storia, il significato della vita e del mondo, non quale può apparire a eh si collochi, tangenzialmente, a un punto qualunque dello sviluppo storico e pretenda di farne una sintesi personale e, nella pretesa dell'A., avulso dal processo, definitiva; ma quale si rivela da sè nel fullulare e nello svolgersi parallelo dei-attività creatrice e della riflessione critica, rivissuto dentro il farsi della scienza medesima. Sicché anche e forse innanzi tutto la storia della religione, rifusa nella storia generale dello spirito, dovrebbe dilucidarsi, e apparirci anche essa come un farsi dello spirito, in quello che il suo atteggiamento attivo e riflessivo ha di più vasto e profondo significato e valore, come reazione totale della coscienza all’universo e sintesi, ad ogni momento suprema, del pensato e del fatto.
Ma a questo risultato dell’opera del M., che ce la renderebbe singolarmente preziosa, c’è forse una difficoltà; che ivi la
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storia delle religioni media quasi fa il periodo preistorico delle prime e più grandi invenzioni della tecnica umana, delle quali C'è conservato ricordo nei miti religiosi, e il sorgere della attenzione riflessa e siste-matrice, con la filosofia. E, benché il M., sul suo piano di lavoro, riserbi una prima serie a l’origine delle scienze e le civiltà degli antichi grandi imperi, dubitiamo che il fenomeno religioso abbia per lui l’importanza che ci pare esso dovrebbe avere. A ogni modo, grande sarà il vantaggio di questo geniale e grandioso tentativo di una storia della scienza, anche per gli studiosi dèlia religione; grande come correzione di metodi e suggerimento di sintesi. Poiché uno spirito è, o meglio, si fa, in tutte le sue manifestazioni..
THÉODULE RIBOT
È morto testé, in Francia Théodule Ribot, notissimo psicologo e direttore 'della Revue philosophique, già professore di psicologia sperimentale al Collegio di Francia. Egli incominciò col far conoscere in Francia la psicologia associazionista inglese (La psy-chologie anglaise contemporaine, 1870) e poi la psicologia sperimentale tedesca (La psicologie allemande conlem por aine, 1879); diresse sino alla sua morte la Revue de philo-sophie, fondata nel 1875, aperta a scrittori di tutte le tendenze; pubblicò una lunga serie di scritti di psicologia sperimentale: Les maladies de la mémotre, 1882; Les ma-ladies de la volonté, 1883; Les maladies de la personalité, 1885; La psyoologie de l'at-tention, 1888; L'évolulion des idées géné-rales, 1898; La psycologie et la logique des
senliments, 1896; Essai sur l'immagi nailon, X900; Essai sur les passione, 1910; Les problèmes de la psyc. affettive, 1912; La vie incqnsciente et les mouvements.
Alcuni di questi scritti, come Le malattie della volontà e La psicologia dell'attenzione furono anche tradotte in italiano. In complesso, notevole è il contributo del R. alla psicologia induttiva e sperimentale, per la molteplicità e la ricchezza dell’osservazione, che egli portò più spesso sui casi patologici, quasi a scuoprire in essi spontaneamente isolate le varie attività psichiche c i loro processi. Scarso, nell’insieme, il valore filosofico, per l’indirizzo positivista che il' R. costantemente seguì e la tendenza costante a ridurre le più alte manifestazioni della vita dello spirito alle inferiori e queste a funzioni dell’organismo fisico: la psicologia alla fisiologia. « Sarebbe necessario — egli scriveva nella introduzione alla psicologia dell'attenzione — di ricondurre le leggi dell’associazione a delle leggi fisiologiche, il meccanismo psicologico al meccanismo cerebrale che lo sorregge; ma siamo ancora assai lontani da questo ideale ».
La più recente filosofia francese, dell’azione e della contingenza e dell'intuizione, lo aveva quindi superato; ma egli potè tranquillamente continuare la sua opera di studioso diligente e sereno dei fatti psichici, l’importanza della quale è per molta parte indipendente dai preconcetti antimetafisici dell’A.
Un’altra grave perdita ha fatto la filosofia francese con Georges Fonsegrive, il quale merita, in queste pagine, più lungo discorso. m.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Róma - Tipografia dell’Unione Editrice, Via Federico Cesi, 45
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