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BIBLIOTECA VALDESE
TORRE PILLICE
DELLE VALLI VALDESI
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno X( VI - Nuni. 13
Una copia Lire 40
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TORRE PELLICE — 1 Aprile 1966
Ammiri. Claudiana Torre Pellice - C.CP. 2-17557
Archi
di trionfo
(nostro servizio particolare)
GERUSALEMME, primo giorno di
Passah. - Giornata agitata, oggi, in
città; da parecchio tempo non c’era
tanto fermento e gli occupanti sono
sul chi vive, come ogni volta che questa popolazione inquieta si muove e si
esalta. Finora, tuttavia, non ci sono
stati disordini.
La settimana di Passah è dunque
cominciata in un’atmosfera particolarmente vivace, se non tesa. Abbiamo già avuto occasione, in passato,
di descrivere i riti israeliti, nel ricordo
deiTamarezza del servaggio e della
« uscita » verso la libertà e la terra
promessa. E’ straordinario come questa celebrazione « risorgimentale » sia
profondamente radicata e sentita nelTanima ebraica, fin neirintimo della
famiglia, nel solenne e gioioso pasto
pasquale: lo spiega senz’altro la componente religiosa, la certezza dell’agire del Dio d’Israele, Jahvèh, nella storia passata e — lo si attende — in
quella presente e futura. Questi, poi,
sono anni in cui tale attesa s’è acuita
in modo singolare.
Ma ciò che rende particolarmente
eccitato quest’inizio della settimana
di Passah. è un fatto di cronaca avvenuto in mattinata. E’ giunto in
città quel Gesù di Nazareth, di cui
le cronache palestinesi già hanno dovuto ripetutamente occuparsi negli
ultimi anni. Secondo alcuifi, è la prima volta che viene nella capitale; è
comunque la prima volta che ci viene
in niodo cosi pubblico. Anzi, a detta
di .guanti lo conoscono,» .il sup atieggiamento odierno ha contra.stato in
modo stridente con quello ohe ha conservato sinora, desideroso di evitare al
massimo la pubblicità (con risultati
mediocri, del resto); ed è stato proprio questo nuovo atteggiamento a
suscitare l’entusiasmo con cui tanti
l’hanno accolto: quasi che infine rispondesse alle aspettative latenti nel
cuore di molti.
I pareri su quest’uomo, originario di
una cittadina del Nord galileo, sono
disparatissimi. Non si può certo dire
che sia amato e rispettato dall’élite
politica e religiosa, anzi si paria di
una .specie di « lega santa » di capi
collaborazionisti (sadducei e molti anziani), dell’alto clero e dei farisei rigoristi ; a loro discapito bisogna riconoscere che quest’uomo, nei suoi discorsi, non li ha davvero risparmiati,
quasi leggesse loro dentro, e ne ha
stigmatizzato ipocrisie e cecità. La
gente avverte nelle sue parole una
strana autorità, che non si esprime in
passione politica o in moralismo altero, sebbene abbia una presa formidabile sulla vita concreta del singolo
e della società. Insomma, è per noi
difficile comprenderne la genuina ispirazione ; coloro che meditano le Scritture ebraiche e i fanatici fra 1 suoi
discepoli dicono che ha l’autorità di
Jahvèh, ohe ne è rinviato (qui dicono
il Messia, cioè l’Unto, il Consacrato,
CONTINUA
IN SETTIMA PAGINA
UNA CORRISPONDENZA DEL MODERATORE GIAMPICCOLI
la prima sessione sed-americana
del Sinodo Valdese
I lavori dell’assemblea, in una unilà rispettosa delle autonomie locali e delle esigenze diverse di una missione comune
Il 7 marzo si è costituita, nel tempio
di Vaidense (Uruguay) la prima sessione sudamericana del Sinodo Valdese: sotto la presidenza del pastore
Giovanni Tron di Montevideo, la sessione sinodale ha proseguito i suoi lavori fino al 10 marzo, svolgendo un
nutrito ordine del giorno. Per chi,
giunto dall’Europa e abituato ai lavori del Sinodo sessione europea, assisteva per la prima volta ad un Sinodo Valdese ohe non era quello di
Torre Pellice, il momento della costituzione della sessione sinodale è stato particolarmente ìmpressivo ! Qui
non si dà molta importanza alle forme; ma nel momendo in qui ho portato il saluto e l’augurio della sessione europea, ho avuto l’impressione
che si avvertisse assai chiaramente
rimportanza storica di questo momento.
Non si tratta tanto di- una dichiarazione di indipendenza o di liberazione da impacci « colonialisti », quanto dello sviluppo logico e promettente
della vita della Chiesa Valdese: essa
vive ora nei suoi due rami europeo e
sudamericano, in una unità rispettosa delle autonomie locali e delle
esigenze diverse di una missione comune, unità di cui il Sinodo è segno
evidente, come espressione del patto
che lega le nostre Chiese di qua e di
là dell’Atlantico.
Il Sinodc ha lavorato assai intensamente e si può senz’altro affermare
che il suo lavoro è stato di buona
qualità; del resto Tesperienza di un
lavoro di tipo sinodale è venuta affinandosi attraverso anni in cui la
Conferenza Distrettuale doveva in
pratica affrontare problemi e dibattiti di tipo decisamente sinodale. I lavori erano condotti con orario molto stretto: dalle 8,15 alle 12,30, dalle
14,30 alle 19,30, con i soliti classici
intervalli. Ma la solerte guida del presidente non permetteva cihe si divagasse troppo, ed ha tenuto i lavori ad
im ritmo assai serrato. Tutte le sere
erano altresì, occupate: corpo pastorale, conferenze pubbliche, assai seguite anche dal pubblico.
Prima di costituirsi in sessione sinodale, fu la Conferenza distrettuale
a riunirsi: ciò era necessario per due
ragioni. Anzitutto perchè a norma
degli « estatutos » della Federazione
delle Chiese ValJesi. rioplatensi. Túni
co organo riconosciuto dallo Stato
uruguayano è per l’appunto la conferenza distrettuale, ohe ha capacità
giuridica di deliberare secondo i suoi
statuti nonché di nominare la Commissione esecutiva, ohe la rappresenta davanti allo Stato. Per questa ragione prima si è costituita la Conferenza che ha poi lasciato il posto alla
sessione sinoidale. Alla fine dei lavori
si è nuovamente riunita la Conferenze, per confermare formalmente, cioè
per dare veste giuridica di fronte allo
Stato, alle deliberazione sinodali, soprattutto per quanto concerne le elezioni. Certo può sembrare assai strano che una Conferenza debba debba
sanzionare i deliberati del Sinodo :
ma finché Fattuale regolamentazione
dei rapporti con lo Stato non potrà
essere modificata, ciò è formalmente
necessario.
Il secondo problema che la Conferenza doveva affrontare pregiudizialmente era quello delle deputazioni sinodali. E’ noto (si ricordino in proposito le discussioni alla sessione sinodale europea dell’agosto scorso)
ohe la regione rioplatense ha messo in
prova un ordinamento di tipo presbiterale, che prevedeva le deputazioni al Sinodo composte solo da rappresentanti dei Presbiteri. La sessione
eùropea aveva rilevato la necessità
che anche le Chiese autonome locali
CONTINUA
IN OTTAVA PAGINA
ihiiiimiiiiiiiiiiiiiiii
III iimiiiiiimmiMiiiiii
iiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiimiiimiiiiiiiiiimimiiimiMiiim
iimiiliiiiiiiHiiiiiiii
Quo vadis, Canterbury?
Sua Santità e Sua Grazia si sono incontrate, Sua Santità e Sua Grazia si sono abbracciate. Non credo che sia stato TEterno a «fare » questo giorno; è stato per me un giorno
di dolore, anche se non mi abbandono alle
piazzale di alcuni britannici, che sono state
compiacentemente sottolineate.
Non mi soffermo — giornali e radiotelevi.
sione ne hanno dato ampia notizia — sul fol.
clore della visita, sulla pia genericità dei numerosi discorsi scambiati; e non mi si dica
che, da una parte e dall’altra, si è onestamen.
te rilevato che ciò che divide, nel campo
della dottrina come in quello dell’organizzazione e della prassi ecclesiastica, è ancora
ben reale : dir questo sta diventando la formula iniziale — e generica -— che viene tosto superata nel giubilo per i buoni sentimenti c le fraterne disposizioni che felicemente
già uniscono. Si può essere mezzi uniti e
mezzi divisi?
Quanto al documento comune .firmato a
l’arcivescovo Ramsey, anche qui abbonda lo zucchero e il sorriso. Di concreto c’è
il riconoscimento, invero non peregrino,
del nuovo clima; e soprattutto il progetto di una commissione mista di studio, sia
su questioni strettamente teologiche sia su
« difficoltà pratiche ». Quanto a quest’ultimo punto, il solo concretamente rilevante, è
^‘Questo è il giorno che VEterno ha
fatto : festeggiamo e rallegriamoci in esso!,, (dice l’Osservatore Romano, ma non siamo d’accordo)
A TRIESTE
Un gioiello
romanico
pro les fan le
La basilica di San Silvestro^ a
Trieste, è un piccolo gioiello architettonico. Appartenente alla comunità riformata elvetica della cit
tà, ospita pure la locale comunità
valdese. In quinta pagina il Pastore Umberto Beri presenta questa
luogo di culto evangelico che ha
bisogno di opere di restauro.
(Foto Astra, Trieste)
in sé neutro : un dibattito teologico può es•sere positivo o negativo, fecondo o confondente o comunque insignificante, a seconda
del modo con cui è impostato. Speriamo dunque che il « clima » non determini questo
dialogo in un senso banalmente superficiale;
non è una speranza che le circostanze appoggino molto.
Due note, ancora. Anzitutto, con mossa
maestra. Paolo VI ha promulgato, quasi alla
vigilia della visita del primate anglicano, la
{( istruzione » sui matrimoni misti, cogliendo
vari piccioni con una fava : 1) ha tranciato
la questione, pur con un certo « sfumato »...
pastorale -— trionfo dell’« ipotesi » di ottaviana memoria! — in modo rigidamente cattolico (e su questa coerenza, niente da dire);
2) ha promulgato un documento unilaterale,
togliendo così proprio alla vigilia, la sola
punta concreta che potesse avere la visita
anglicana : era stato infatti detto ripetuta»
mente che il problema dei matrimoni misti
sarebbe stato uno dei punti centrali dell’incontro, e invece Sua Grazia si è trovato di
fronte al fatto compiuto; 3) in tal modo si
è svuotato di ogni concreto valore bilaterale
la visita, liducendola in fondo a una visita
di omaggio, simile — ma più pubblica e orchestrata — a quella resa dall’arciv. Fisher
a Giovanni XXIII; malgrado l’estremo tatto
usato nei confronti dell’arcivescovo nella sua
tournée vaticana e romana, era chiaro che le
due figure, pur sedute accanto, non erano
sullo stesso piano.
In secondo luogo, l’elasticità fisica e spirituale del primate anglicano mi pare essere
stala sottoposta a prova severa. Sempre «L'Osservatore Romano» (26-3-’66), riferisce con
evidente compiacimento la visita cui è stato
guidato nella basilica vaticana, insistendo
sulle pie tappe: «Nella Cappella del Ss.mo
Sacramento Sua Grazia l’Arcivescovo Ramsey
si genufletteva in prolungata, fervida ed edificante preghiera. Lo stesso gesto di devota
pietà egli compiva poi dinanzi all’altare della Madonna del Perpetuo Soccorso, dove pure si tratteneva in profondo raccoglimento
tra la commozione dei presenti. Dopo l’atto dì
devozione alla Madre di Dio, il corteo si dirigeva alla Cappella dove sono l’altare e la
tomba di S. Gregorio Magno (il pontefice che
inviò S. Agostino primo arcivescovo di Canterbury) (...) Anche dinanzi alla tomba dì
S. Gregorio I l’Arcivescovo si soffermava in
preghiera. Dopo aver attraversato la parte
centrale della Basilica, TArcivescovo scendedeva (...) nelle Grotte Vaticane e si recava
nella Cappella Clementina, dove s’intratteneva in nuova, prolungata meditazione e prece
sulla tomba del Prìncipe degli Apostoli, Reso
omaggio all’antistante sepolcro del Servo dì
Dio Pio XII, Sua Grazia l’Arcivescovo sì
portava presso il sarcofago che racchiude le
venerate Spoglie del Servo di Dio Giovanni XXIII e ivi deponeva un cuscino di fiori
bianchi (...) Genuflesso presso l’arca del Papa
che indisse il Concìlio Ecumenico Vaticano lì, l’Arcivescovo rimase a lungo in preghiera ». ,
Come può un uomo, la cui confessione di fede è, moderatamente, calvinista,
genuflettersi davanti al « Ss.mo Sacramento »
(questa idolatrica materializzazione della presenza di Cristo sottoposta al potere ecclesiastico e sacerdotale)? o davanti a un altare,
per di più elevato alla Madonna del Perpetuo
Soccorso (che i profeti d’Israele avrebbero
senza ambagi qualificato Astarte)? come può
pregare su una tomba? non si rende conto di
ciò che, magari malgrado il suo sentimento, lascia comprendere? Sono dolorosamente
ferito da quest’atteggiamento : o è terribilmente superficiale, diplomatico, « gentile e
comprensivo », o esprime un’impostazione cristiana che sarebbe grave se fosse effettivamente condivisa dalla maggioranza dell’angliennesimo.
La Comunione anglicana si trova oggi a un
bivio; finora i due elementi che in essa coesistono di fatto (singolare empirismo inglese!),
senza una vera — e impossibile — fusione dì
fondo, quello cattolico e quello protestante,
si sono con alterne vicende equilibrati; oggi,
sotto la spinta congiunta di un disorientamento teologico protestante e di un caltolice.
simo in dinamica ripresa (aggiornamento
teologico, liturgico, sociale, ecc.) la componente cattolica sembra veder salire le sue
azioni. Occorre che l’anglicanesimo sappia
che è dì fronte a una scelta decisiva (e non
saranno documenti come quello firmato a S.
Paolo fuori le mura a farglielo sentire); e che
si renda conto, in quest’ora decisiva, quanto
sia intimamente illusoria la sua aspirazione
e la sua pretesa di essere la «chiesa-ponte»
fra le confessioni cristiane. Gesù ha usato
molte immagini per definirsi; non ha mai
detto: Io sono il Ponte,
CONTINUA
IN OTTAVA PAGINA
SERA
in terza pagina, rievochiamo la figura di
Carlo Lupo; pubblichiamo pure alcune sue
liriche tratte da a L’attesa ii,* quella che qui
segue è stata letta, nella sua ultima parte,
dal Moderatore Neri Giampiccoli nel corso
del servizio funebre celebrato a Como.
cJn’ora di pace.
La sera si è rischiarata.
Fiocchi di nubi rosate
passano alti e dileguano.
Le creste dei monti
traspaiono tra le nebbie.
Silenzio.
Nel prato già verde
camminano tre galline
una bianca e due brune.
Oltre la fila dei salici
un lavoratore è intento a zappare.
Il tetto rosso della cascina lontana
appare tra gli alberi.
Nella mia stanza
la luce del tramonto
colora di riposo
gli oggetti che la vestono.
Penso alla stanchezza umana.
Verrà il giorno
in cui andremo sereni
su per gli alti pascoli
verso l’ultimo orizzonte.
(Questa vita
di continua pena ed errore
sarà finita.
Un’altra comincerà
in cui cammineremo
per sentieri di pace e di libertà
col cuore puro e sazio.
Serenità e gioia
saranno il nostro pane.
ta*ri«ttE&scetiza'‘”' -i- -o
sarà il nostro inalienabile dono.
Il male non sarà più.
Gli uomini saranno felici.
Non conosceranno più affanni
e timori e schiavitù e separazioni
e sofferenza senza remissione
ed invocazione non corrisposta.
Il cuore dell’uomo
sarà colmo di luce
come il fondo del mare
dalle acque che lo coprono.
Forse questo nuovo mondo
non sarà molto diverso
da questo che ci è stato dato come
Diversi saremo noi [dimora.
con occhi nuovi ed un’anima pura.
La lampada del corpo è l’occhio
se l’occhio tuo è sano
tutto il tuo corpo sarà illuminato.
Cosi la luce che è in noi
è luce e significato
per ciò che è fuori di noi.
Tu serba in cuor tuo
la speranza, la pace e la riconoscen
Nelle ore [za.
di totale solitudine e silenzio
il tuo pensiero corra più chiaro e
alla meta eterna. [spedito
Avanti con fiducia
sinché avremo la forza,
anche poca.
Dopo la terra ci avvolgerà
nel suo manto pietoso
in un sonno perfetto,
sinché il creatore
vorrà richiamarci in vita
un’altra vita
non questa.
Questa povera guasta e corrotta
sarà trasformata nell’altra
integra giusta perfetta.
Allora vedremo con occhi nuovi
e conosceremo ciò che ora vediamo
[in modo oscuro
come in uno specchio d’acqua
[torbida.
Tra questa vita di parvenza
e l’altra di verità
vi è di mezzo il mistero profondo.
Questa è come un seme
che non è vivificato
se prima non muore.
Io aspetto con fiducia
verità e pace.
E non solo per me
perchè ogni altra vita
dimora e pulsa in me.
2
pag. 2
N. 13 — 1 aprile 1966
Il ^allo canta per tutti
é. 4 lì
“Non conosco quesfuomo,,
Indetta
per il 2 aprile
nelle
Chiese V aldesi
E Pietro disse : « Non conosco quest’uomo ».
E noi. Forse siamo coraggiosi, e abbiamo il diritto di dire « Non mi vergogno dell’Evangelo » ; e forse non
proviamo paura. Ma se ora quest’uomo, questo Gesù di Nazareth miserabile e abbattuto apparisse sulla soglia della porta, passasse davanti a
noi e ci guardasse bruscamente, vi
sarebbe uno solo fra noi a non dover
piangere amaramente? a essere protetto contro lo sguardo di Cristo?
Pensa alle ore frequenti in cui hai
incontrato il Cristo, miserabile e abbattuto, « senza bellezza né splendore », disprezzato dagli altri, setto la
forma del tuo prossimo disgraziato.
Non era co.sì, quando un poveraccio
ti rivolgeva una richiesta? quando un
uomo respinto ti chiamava in aiuto?
quando un uomo forse ripugnante,
forse condannato a ragione dagli altri uomini, cercava rifugio da te? non
c’era Gesù Cristo stesso, dietro di lui,
a chiederti una testimonianza? E non
è forse successo sovente, per rispetti
umani, o per timore, o semplicemente per indifferenza e amore del tuo
comodo, che hai fatto coro con gli
altri dichiarando : « Non conosco quest’uomo »? Cristo ti guarda — e sai
allora che non si trattava di un piccolo avvenimento senza importanza;
sai ohe non era senza importanza
l’uomo che ti ha domandato se eri discepolo di Gesù di Nazareth. Gesù
Cristo stesso ti ha fatto questa domanda, sotto forma di quest’uomo
miserabile. Ed è il Cristo ohe hai ripudiato con questa breve frase: «Non
conosco quest’uomo ».
Ed è ancora di Cristo, di nessun
altro, ohe si tratta nel tuo atteggiamento nei confronti della Chiesa,
questa povera Chiesa abbattuta dalle sue colpe ancor più che dai suoi
nemici. Ricorda quante volte l’hai ripudiata, in quante conversazioni, con
le tue parole e con i tuoi silenzi, hai
rinnegato la tua solidarietà con questa Chiesa e con i suoi servitori coperti di addebiti giusti o falsi. « Non
mi occupo di queste cose » — « Non
conosco quest’uomo». Eppure sapevi
che era cosa che ti riguardava, sentivi in fondo al tuo cuore che era tuo
dovere testimoniare; ma cedevi alla
paura di avere noie e dicevi : « Non
ne vale la pena ».
Colui che oggi si avvicina alla mensa santa deve aver ben chiaro questo : è esposto allo sguardo di Gesù
di Nazareth. Passa davanti a voi, ora,
volge la testa, vi guarda. Nessima parola uamana può far si che questo
sguardo vi tocchi come la folgore. Ma
possa toccarvi, affinchè le vostre lacrime sgorghino e non abbiate più
tempo di pensare a tutto ciò che avviene fuori, alla malvagità, alla stupidità, aH’aridità, alla durezza di
cuore degli altri uomini, alla colpevolezza della Chiesa e del pKqpolo, alla sofferenza e al regno della morte
su questa terra. Possa toccarvi, affinchè siate obbligati a pensare a voi
stessi, e versiate su voi stessi lacrime
amare. E’ lo sguardo di un innocente
messo a morte, che sulla via del sacrificio passa davanti a voi — voi che
dovreste morire. Il suo scardo ci
trafigge e ci fa dire, dall’intimo : « Sono io che dovrei espiare». Ma egli
prosegue il suo cammino, è inchiodato alla croce, e siamo liberati, mentre
im innocente è messo a morte — un
innocente di cui abbiamo detto :
« Non conosco quest’uomo ». E’ lo
sguardo del benefattore, da cui non
abbiamo ricevute altro che del bene,
sempre pronto a venire in aiuto, mano sempre aperta, labbra sempre affettuose, e che mai ha respinto nessuno di coloro che venivano a lui.
« Ha fatto del bene a tutti noi » — e
aH’imprcwiso pensiamo a questa o
quell’ora della nostra vita in cui non
abbiamo saputo fare altro che dire, in
parole o in atti, di quel Cristo infelice a cui dobbiamo tutto: «Non conosco quest’ucmo».
TRE GIORNI AD AGAPE
23-25 APRILE
E’ uno sguardo ohe svela tutto.
« Tutto è nudo e scoperto davanti ai
suoi occhi» (Ebr. 4: 13). Non serve a
nulla difendersi, addurre circostanze
attenuanti. ’Tutta la nostra vecchia
fedeltà, tutte le nostre opere non servono a nulla. Continuano a risonare
queste sole parole : « Non conosco
quest’uomo ».
Amaramente piangente : tale è la
Chiesa di Gesù Cristo. Solo chi è stato toccato dallo sguardo di Cristo —
ciel Cristo in marcia verso il sacrificio, inchiodato sulla croce per tutti
gli uomini e ohe ci guarda tutti — solo quegli può comprendere perchè
nella Chiesa si parla tanto di peccato
e perchè i nostri cantici della Passione sono cos'i pieni di quest’amaro
rientrare in noi stessi : « ^no io che
dovrei espiare ». Chi non è stato raggiunto da questo sguardo, come potrebbe capirlo? Ma chi egli guarda in
questo modo, che altro potrebbe fare
se non piangere amaramente?
Non dimenticate, però, ohe quando
lo sguardo di Cristo si posò su di lui,
Pietro sentì ridestarsi un ricordo: «E
Pietro si ricordò», dice Tevangelista.
Pietro pensa a una parola di Gesù e
la sua vergogna diviene molto maggiore. Lui che si è vergognato di quest’ucmo, non può ora che vergognarsi
di Se stesso. Gesù gliel’aveva annunciato : « Ecco ohe cosa ti accadrà ».
Quand’era ancora fedele, pieno d’ardore, il Signore aveva già penetrato,
chiaro come il sole, la sua debolezza:
« Prima che oggi il gallo canti, mi
avrai rirmegato tre volte ».
Ma questo sguardo, coisi evocatore
d’un ricordo, non era uno sguardo di
giudizio e di condanna. Piangendo
amaramente, Pietro lo sente: è uno
sguardo di grazia; sotto questo sguar
do, ricorda : lui, il ¡.Signore rinnegato,
aveva già annunciato il mio rinnegamento, lo sapeva feià prima; e benché già lo sapesse, questa prescienza
non Tha distolto dal seguire, per me,
la via del sacrificio. Questa prescienza cos', perfettamente precisa: quest’uomo mi rinnegherà, quest’uomo
dirà — proprio nel momento in cui
mi disporrò a subire per lui la sofferenza suprema —: «Non conosco
quest’uomo » ; questa prescienza, Gesù
già Taveva quando, nel corso dell’ultimo pasto, diede a Pietro il pane e
il vino dicendogli : « Questo è il mio
corpo dato p)er te, questo è il mio sangue versato per te, questa è la mia
morte sofferta per te». (...) e questo
ora è confermato: non si lascia distogliere dal suo sacrificio in seguito
al rinnegamento, ma prosegue la sua
marcia verso il carcere, il tribunale, il
Golgotha.
Cosi, in queste lagrime amare, già
era racchiuso il germe della consolazione. Non sono già più lagrime senza speranza. E’ una tristezza su se
stesso, ma non è già più una tristezza
« a morte », è una tristezza secondo
Dio. « Poiché la tristezza secondo Dio
produce un ravvedimento che conduce alla salvezza e dal quale non c’è niù
da pentirsi» (II Cor. '7: 10). Pasqua
è già presente, quando Gesù di Nazareth dà la S. Cena a Pietro che lo
rinnegherà un’ora dopo. Pasqua è già
presente, oggi, per chi piange amaramente considerando Gesù Cristo, per
ohi non si sottrae allo sguardo di Cristo ma anzi vi si abbandona (...). E allora egli viene, e ci offre di nuovo la
santa cena e ci dice, a noi miseri:
« Io vivo, e voi pure vivrete »
Helmut Gollwitzer
(Da « La joie de Dieu »)
La domenica
della gioventù
La Tavola Valdese ha indicato la Domenica delle Palme^ 3 aprile^ come « domenica
della gioventù », certo perche in parecchie
delle nostre comunità, nelle Valli Valdesi in
particolare, è questo il giorno in cui i cate~
eumeni professano pubblicamente la loro fede. Il past. Giorgio Bouchard (Via Pavone
n. 2/A, Bmchette ■ Torino, c.c.p. 2/27476),
segretario nazionale della Federazione Unioni
Valdesi, esprime Così il senso di questa « domenica » e le esigenze del nostro organismo
giovanile.
La FUV sta cercando di sviluppare
al massimo il suo lavoro in vista di
una seria formazione evangelica delle
giovani generazioni : ma spesso vede
le sue possibilità di lavoro limitate o
bloccate dalla esiguità dei mezzi finanziari di cui dispone.
Le direzioni in cui il nostro lavoro
giovanile ha bisogno di essere fortemente sviluppato sono infatti le seguenti :
— partecipazione di massa ai campi
ed agli incontri: fin’ora, i nostri
campi sono stati prevalentemente
frequentati da una certa élite,
mentre gli strati più poveri hanno
scarse possibilità di parteciparvi :
per rendere possibile la partecipazione dei più poveri ai campi ed
agli incontri bisogna poter offrire
un fortissimo numero di borse che
coprano una parte delle spese;
— invio di giovani promettenti
perdere queste preziose occasioni
per aiutare i nostri giovani più seri
a conoscere il protestantesimo internazionale, le sue idee e i suoi
problemi : in particolare, cerchiamo di offrire occasioni di questo
genere ai giovani che si vanno orientando verso il ministero pastorale. Ma i costi dei viaggi all’estero
sono proibitivi, e possono essere
affrontati scio con un forte sussidio finanziario da parte della FUV.
— nella nostra gioventù v’è crescente
richiesta di quaderni di studio di
carattere formativo: la FUV prevede la stamioa di parecchi quaderni (di studi biblici, di storia valdese, di attualità), ma dovrebbe poterli stampare rapidamente e a
basso prezzo, in modo da assicurarne la massima diffusione possibile, e Taccessibilità a tutte le
borse.
Accanto a questo v’è la normale attività giovanile, costituita dai con
vegni, dalle visite, dalla stampa di
« Gioventù Evangelica » : attività che
sono tutte assicurate col nostro normale bilancio.
Siamo prefondamente persuasi che
il lavoro giovanile possa e debba essere intensificato ed esteso, e che questa intensificazione sia necessaria per
il bene futuro della nostra chiesa: ed
è per questo che ci rivolgiamo alla
chiesa, nella viva speranza di ricevere
campi o manifestazioni evangeli- da voi un aiuto ed un inooraggiamer
che all’estero : le possibilità in que- to, in occasione di questa prossima
sto senso si vanno sempre più mol- « domenica della gioventù ».
tiplicando,- e la FUV vorrebbe non Giorgio Bouchard
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I poveri del nostro tempo
Due settimane fa, su questo giornale, il Dott. Vingiano ha rivolto un appassionato appello a prendere sul serio il problema degli emigrati. Ma io
temo che, nonostante tutto, l’appello
resti pressocchè inascoltato, come è
già accaduto altre volte. Le obiezioni
ad occuparsi seriamente degli emigrati, anche se non vengono dette apertamente, sono infatti molte e massiccie.
Credo dunque che valga la pena di
riesaminare tutta la questione e di
cercare di vedere, alla luce dei fatti,
quale valere possano avere queste
obiezioni.
Trascurando quelle meno serie e
legate alle simpatie o antipatie personali, esse sono, mi pare, principalmente tre: l’emigrazione è un fatto
naturale, storico ,anche utile, contro
il quale è assurdo opporsi; gli emigrati, andando all’estero, rientrano
nella sfera di competenza di altre
Chiese evangeliche, mentre le nostre
Chiese in Italia debbono dedicare i
loro sforzi ai loro particolari oroblemi; i Cernitati per gli emigranti (e
tutti i Comitati) sono inutili, se non
dannosi e Tunica vera opera da svolgere è auella fatta personalmente a
diretto contatto con gli emigrati stessi.
Prendiamo oggi in considerazione
la prima obiezione, di carattere, come si usa dire, sociologico. Secondo
questo punto di vista, l’emigrazione è
Tespressicne di un fatto storico, della
creazione di una nuova civiltà multinazionale e cittadina, in cui confluiscono,
anche materialmente, le vecchie e
ormai superate comunità nazionali e
agricole. E, come tutto ciò che è storico, questo fatto è anche economicarnente positivo : è bene che l’eccesso
di popolazione di un Paese si riversi
in im altro, che milioni di persone, che
altrimenti soffrirebbero la fame o sarebbero a carico delle finanze oub
l nostri emigrati: dalla “vai»
vola di sicurezza,, giolittiana
alia conquista confessionale
ai servizio senza secondi fini
Raduno di comunità evangeiiche
Facendo seguito al riuscito incontro delTl-2 maggio dell’anno scorso. Agape organizza un raduno, a partire dal pomeriggio
del 23 aprile, sabato, fino al pomeriggio del
lunedi 25 aprile (giornata festiva). Si offre così Toccasione di passare ad .Agape
due giornate piene, in un incontro di evangelici pioven'enti da varie eomunità del
nord Italia, di diverse denominazioni.
Il tema delTincontro sarà: « Una predicazione per il nostro tempo ». Partendo dalTesame costruttivo e critico di alcune pre.
dirazioni ascoltate in questi ultimi tempi,
si cercherà di ri.spondere alla domanda di
fondo: die importanza ba. per la nostra
vita di cristiani, la predicazione die ogni
domenica ascoltiamo in cbie.sa? Se questa
non risponde alle nostre esigenze, non ci
sostiene nella nostra vita quotidiana, da
cosa dipende? Generalmente i predicatori
sono ben preparati, sia per quanto riguarda
la conoscenza biblica, sia per la capacità
di esporre diiaramente un jtensiero, sia per
la conoscenza che hanno degli uomini. La
ragione di una certa insoddisfazione è più
profonda. Ma dove? Cercberenio di rispondere a questa domanda.
Il programma di massima
prevede :
— Sabato: ore 16 partenza in autopullman
riservato da Torino. Arrivo ad Agape,
cena, serata introduttiva, presentazioni.
— Domenica : presentazione delTargomento e delle predicazioni tipo. Ore 10,30
partecipazione al cullo nella cbiesa di
Frali. Nel pomeriggio breve passeggiala
seguita dallo studio e discussione sulle
predicazioni tipo; in serata seguiranno
le discu.s.sioni.
— Lunedi: Nella mattina continuano le discussioni in vista di una formulazion..
comdusiva. Nel pomeriggio di lunedi 25
partenza in autopullman, arrivo a Torino in tempo utile per rientrare in serata.
— Co-,sto: Lire 2.80q per persona, più lire
,300 di iscrizione. Le iscrizioni individua,
li si ricevono ad Agape, le iscrizioni di
gruppo presso gli organizzatori di ciascun gruppo.
bliche, possano invece guadagnarsi da
vivere ed inviare in Patria rimesse,
il cui ammontare è secondo soio a
quello del turismo. Non solo, ma Temigrazione è anche un fatto politicamente e religiosamente positivo, è
quella « valvola di sicurezza » di cui
già parlava Giolitti, quell’incontro, se
non quelia conquista, confessionale,
di cui paria,va un recente Pontefice.
In .sostanza, se l’emigrazione è un
fatto naturale e, sotto molti aspetti,
anche positive, perchè lamentarsi di
essa? Al massimo si può cercare di
facilitarne la fase di transizione con
poche misure di competenza dei Governi, e, in alcuni pochissimi oasi, delie Chiese.
Ora. come andremo vedendo in
questi articoli, Temigrazione attuale,
a differenza di quella « americana » di
un tempo, nel ricordo (e nei redditi)
della quale vivono evidentemente ancora molte persone, non è sempre un
fatto positivo, neppure economicamente e sociologicamente parlando.
Ma a me pare che Terrore fondamentale di questo modo di pensare
stia nel fatto di considerare gli emigranti come unità statistiche, partepanti, che lo vogliano o meno, agli
eventi di una storia ineluttabile, dominata da un fato cieco (o logico),
comunque questo fato venga chiamato, anziché, come essi sono, uomini
e donne per i quali Cristo è morto,
fratelli che sono tra i poveri del nostro tempo.
Ogni epoca ha avuto i suoi poveri,
che non sono necejsariamente e solo poveri in denaro, ma lo sono perchè non hanno potenza e sono quindi vittime delie potenze che dominano ii mondo.
Così è stato dei contadini ai tempo
del Rinascimento e maie ha fatto, in
taluni Paesi, la Riforma ad opprimerli e, in altri, ad occuparsene solo
superficialmente; così è stato degli
cperai al tempo della rivoluzione industriale e malissimo ha fatto la
Chiesa a trascurare, nonostante i ripetuti avvertimenti, nuesto problema,
e noi ne portiamo le conseguenze.
Ora ,in questo nostro tempo, gli emigrati sono poveri, cioè .senza potenza, in primo iuogo, perchè vengono da una situazione di difficoltà economica e, talvolta, anche culturale e
sociale. Deve essere infatti ben chiaro che, fatta qualche eccezione, una
persona non emigra di sua libera
scelta, ma è forzata, contro la sua
volontà e sempre sperando in un prossimo ritorno, a prendere questa decisione dalla impossibilità di vivere là
dove si trova, cioè perchè è vittima di
una situazione, ohe lo opprime e di
cui non è responsabile. E, alla crisi
e alla impreparazione della partenza,
si aggiunge il modo caotico nel quale Temigrazione ora avviene. Vi sono
dei Paesi africani che hanno offerto
(tramite appositi Comitati!) a Paesi
industriaiizzati la loro mano d’opera,
ma alla condizione precisa che essa
venisse istruita in cempiti specifici
e rinviata quindi in Patria per essere
adibita a quegli stesci cempiti, nei
quadro di una programmaz'.one economica generaie. E questa è una emigrazione scuola, ohe comporta dei sacrifici, ma che in definitiva è utiie
a tutti.
Ma è anche una emigrazione straordinaria, perchè invece la norma sta
agli antipodi di questo sistema; la
norma è che il siciliano o il piemontese parta con ia sua vaiigetta, il più
delle volte senza informazioni attendibili sul tipo e condizioni di lavoro e
di vita, che lo attendono e se ne vada
in un Paese di cui non conosce, probabilmente, neppure la lingua e vi
cerchi un posto di lavoro « qualunque ». Il risultato, anche se certo non
voluto da coloro che hanno introdotto la libera circolazione della mano
d opera, è che quella persona, con
tutti i suoi precedenti di impreparazione tecnica e culturale, si trovi improvvisamente immessa nel ferreo sistema delle civiltà altamente industrializzate e, in questo sistema, sia
« naturalmente » respinta al margine e adibita a quei compiti di manovalanza, che nessuno vuole e in cui
non impara niente. E a ciò si aggiungono tutte le mille piccole e grandi
difficoltà « naturali », riguardo alla
casa ,al vitto, alla famiglia, alla scuola dei figli e cesi via. A ciò si aggiunge, soprattutto, il fatto ohe egli
è e si sente tolto a forza dalla sua
comunità di origine, primitiva e antistorica quanto si vuole, ma pur sempre comunità effettiva, che egli non
ritrova in quel mondo «déraciné»,
materializzato e laicizzato, che non è
certo uno dei migliori risultati della
civiltà moderna.
Per cui è comprensibile ohe egli alTestero si senta, anche se ora ha un
po’ di denaro, abbandonato da tutti
di fronte a un ambiente ostile (anche
Se invece è solo indifferente), con la
convinzione di poter contare solo su
se stesso e che tutte le Istituzioni,
Organizzazioni, Comitati e Chiese
fanno parte di quel « sistema », che
ha provocato le sue difficoltà (anche
se affermano di volerle risolvere).
Donde il suo sospetto di essere sfruttato da tutti, donde lo scarso successo di quei non pochi propagandisti
religiosi, politici e sindacali, ohe si
aggirano nel suo mondo, donde la alta percentuale di malattie nervose, di
« psicopatie da solitudine », constatate tra gli emigranti.
L’emigrato è dunque veramente
uno tra i poveri del nostro tempo, è
un « senza potenza » ; lo è alla parten
za, lo è e lo resta per un periodo -di
tempo mentre è all’estero lo è spe:.,
so, se ritorna nel suo ambiente di oi-igine.
Ora mi pare che la Chiesa non possa limitarsi a dire che tutto ciò è
inevitabile (ammesse che lo sia), eòi e
la storia degli uomini è deminata oa
fatti economici e sociali ineluttabid,
contro i quali è vano opporsi.
La Chiesa è invece chiamata, come
ben ricordava, il Congresso Evangf.’:;co, a pronunciarsi sui fatti e le ope-'e
di questo mondo, ad opporsi al m; :•
dovunque e comunque esso si ma: :festi e, in ogni caso, a mettersi dai" i
parte di coioro che ne sono le viti:me, dalla parte dei senza potenza, dei
poveri. E non tanto da. quella degli t x
poveri, dei poveri ormai organizzaci
in potenti partiti, sindacati ed istitiizioni ,che ,tra l’altro, della Chiesa non
sanno che farsi (se non per strume
talizzaria), ma di queiii che sono p-1veri ora, che ora sono e si sentono le
vittime delia macchina sociale.
Perchè è anche soltanto la Chie.s-;,
fondata e vivente di una grazia gr;ituita e non meritata, che può dare
a questi poveri il vero aiuto di ci;i
hanno bisogno, un aiuto da povero a
povero, da senza potenza a senza pc.tenza, un aiuto veramente gra^'uito,
che può essere anche solo fatto rii
attiva comprensione del problema.
La Chiesa, cioè ciascuno di noi, pulì
e dovrebbe, mi pare, anche nella sua
povertà prendere posizione chiaramente di fronte al problema della emigrazione, portarvi, se avviene, il
suo aiuto materiale, incoraggiare altri più ricchi a fare altrettanto e a
farlo bene, ma soprattutto la Chiesa
può e deve dimostrare agli emigrati
che il messaggio di Cristo è radicalmente diverso da quello di tutte le
altre ideologie, di tutte le potenze che
riemipiono il mondo. Occorre che questi emigrati, che non vengono al Sinodo, che non eleavcno nessuno, ohe
non incrementano le nostre statistiche sappiano di essere compresi e
aiutati, e amati, finalmente, senza
nessun secondo scopo, anzi, proprio
pterchè non « servono » a niente, proprio perchè non sono un « centro di
potere », o un « gruppo di pressione »,
come poeticamente si va dicendo di
altri. E occorre che questo venga fatto adesso ; dopo, quando anche gli
emigrati fossero una potenza, non
avrebbero più bisogno di noi; si ricorderebbero solo, come altri fanno,
che la Chiesa era assente al momento della crisi.
In prossimi articoli vedremo più
concretamente quanti sono e dove sono questi emigrati, quali siano in dettaglio le loro possibilità e le loro difficoltà, quale possa essere il nostro
punto di vista sul fatto sociale della
emigrazione, che cosa la Chiesa abbia
fatto e cosa abbia da fare. Ma intanto io vorrei pregare Teventuale lettore di queste righe di voler tenere
presente che il problema della emigrazione è un problema che si pone
a lui personalmente, sia egli torinese
o siciliano, tedesco o svizzero, emigrato o installato, un problema dalla
cui avvenuta o mancata soluzione dipenderanno in futuro molte cose, che
ciò gli piaccia o meno.
Pierluigi Jalla
3
1 aprile 1966 — N. 13
pag. 3
CARLO LUPO, TESTIMONE E PASTORE
Oltre la grande liberazione
Compagno dì viaggio
E’ quasi impossibile ripensare agli
anni della permanenza (e del ministerio) di Lupo a Bergamo, senza provare un insieme di sentimenti diversi,
senza essere afferrati da una gamma
di ricordi straordinariamente ricca,
senza sfaccettarne il rimpianto sotto
mille aspetti. Forse può sembrare strano che una personalità in un certo
senso così massiccia e definita come
quella di Lupo lasci in chi l’ha conosciuto e frequentato un ricordo di
questo tipo. In un certo senso, infatti,
tutto ciò che egli diceva e faceva era,
inconfondibilmente, di Lupo: portava per così dire il suo sigillo. Ma d’altra parte tutto ciò che egli diceva e
faceva era tale da suscitare sempre,
nell’animo dell’ascoltatore attento, risonanze diverse, a volte contrastanti,
sempre profonde, e da aprire al tempo stesso interrogativi e illuminazioni,
orizzonti di ricerca e scelte definitive.
Si andava da lui non per visitare un
infermo o per consolare un afflitto: si
andava da lui per comunicare con un
« compagno di viaggio » (come egli
amava definire il prossimo), per confrontare delle convinzioni, per porre
degli interrogativi, per studiare, pensare insieme, e tutto ciò non si svolgeva
mai sul piano dell’astratto, dell’esercizio cerebrale, poiché egli aveva il dono di abbattere le false costruzioni dell’intellettualismo con una sola di
quelle sue parole così impregnate di
realtà profonda, autentica: con lui non
era possibile la schermaglia intellettuale: subito ti rovesciava con un in
ESAUDIMENTI
Domandava Ja forza
per pois- compiere la sua opera
ha rie.'ViHo la debolezza
perdio imparasse ad ubbidire.
Domandava la ricchezza
per poter essere felice
ha ricevuto la povertà
perche potesse essere saggio.
Domandava il successo
per avere [“ammirazione degli uomini
ha ricevuto il fallimento
perchè sentisse il bisogno di Dio.
Domandava la salute
per poter lare cose grandi
ha ricevuto Tinfermità
perchè potesse fare cose vere. * ^
Non ricevette nulla
di ciò che domandava
ma ebbe tutto quello che Tanimo suo
oscuramente cercava.
terrogativo rovente. E molte volte si
andava da lui proprio quando urgeva
il bisogno di liberarsi dalle parole e
toccare il loro fondo, la loro verità vivente e pulsante.
E’ molto difficile fare un bilancio
del ministero di Lupo a Bergamo, perchè è stato un ministero nascosto, un
ministero alle radici della comunità.
Sarà sempre difficile dire di quanto e
di che cosa questa comunità sia debitrice a Lupo, perchè Lupo è vissuto
non ai margini di essa, ma negli strati
profondi di essa, come quei pensieri
nascosti che sono in noi, che ci determinano ad agire e che pure rimangono spesso nel nostro inconscio e sfuggono alla nostra valutazione. Ma chi
lo ebbe per amico e consigliere in quegli anni si rende conto oggi che in
questa comunità, nei suoi caratteri,
nella sua fisionomia particolare. Lupo
vive, non solo perchè è ricordato con
amore, con ammirazione e gratitudine,^
ma perchè egli ha contribuito a far sì
che la comunità acquistasse coscienza
di se .stessa, imparasse a mutare le
proprie scelte, a valutare i propri^ limiti e a riconoscere i propri doni. E
certamente uno dei motivi per cui lo
ricordiamo con particolare riconoscenza, è quello di essere stato compagno fraterno del nostro Moderatore
IN TE
Lavorare per onorare Te
Amare per conoscere Te
Credere per vedere Te
Gioire per ringraziare T,
Soffrire per ubbidire a Te
Morire per riposare in Te.
durante i suoi quattordici anni di ministero qui a Bergamo, in un servizio
amorevolmente reciproco che certo è
stato benedetto non solo per entrambi,
ma per la comunità che aveva il privilegio di questa continua, anche se
talvolta segreta o dimenticata, collaborazione e intercessione.
Quali ricordi citare? Sarebbero troppi. Ne basta uno solo, ed è un ricordo
non mio ma di tutti. Quando, di tanto in tanto, fuori della sala di riunione del Gruppo del Vangelo vedevamo
la portantina di legno appoggiata per
terra, ci dicevamo l’un l’altro: « C’è
Lupo! » e quell’oggetto che denunciava solo una. situazione di dolore e di
sofferenza diventava per noi un messaggero di gioia: di là dall’uscio avremmo trovato lui, sulla poltrona, col
suo sorriso profondo, il suo sguardo
penetrante, la parola pronta a combattere per Cristo.
Ora non ha più bisogno di quell’oggetto: la grande liberazione è giunto. Siamo noi gli infermi. E sappiamo
che lui è di là dall’uscio, ad attenderci,
come ebbe a scrivere una volta:
<( ... Ci sarà, io credo, un grande incontro, un incontra liberato, senza catene, fatto solo di amore sovranamente libero... ci riconosceremo tutti, io, te
e tutti gli altri, tutti liberati... ».
Rita Gay
A Como, nolla
0 noi crogiolo
forza degli anni
della sofferenza
Carlo Lupo tornò a Como nell’autunno del 1963. Era stato molto perplesso di lasciare Bergamo dove aveva passato ben 14 anni e dove nonostante il suo male che lo aveva costretto airimmobilità, imponendogli
di lasciare il pastorato, aveva continuato ad esercitare un ministero molto fecondo, non solo nell’ambito della
Chiesa (chi del III distretto non ricorda i convegni pastorali che periodicamente si raccoglievano attorno a
lui?), ma anche negli ambienti culturali della città dove fondò il « Convegno degli amici », al quale dedicò
tutte le sue forze restanti.
Ma nonostante la sua perplessità,
tornò a Como, dove la figlia, Prof.
Graziella, inserita com’è negli ambienti ospedalieri, lo aspettava per poterlo meglio assistere e curare.
Anche a Como egli aveva una schiera di conoscenti ed amici. Aveva svolto a Como un ministero pastorale di
11 anni: dal 1938 al 1949; gli anni
duri della guerra e poi della resistenza; poi, finita la guerra, gli anni delle
conferenze, dei dibattiti. Quanti a
Como non ricordano il Pastore Lupo
alle conferenze dell’YMCA?! A Como
era perciò ben conosciuto e quando
nella Comunità si seppe che era tornato fra noi, ci si rallegrò e si cominciò a visitarlo regolarmente; si organizzarono ben presto riunioni di quel
« Gruppo del Vangelo » che egli stesso aveva fondato anni prima e che
in troppe delle nostre Comunità non
è stato ancora compreso o comunque
è trascurato.
E’ bene che lo si dica chiaramente:
se Carlo Lupo aveva dato moltissimo
negli undici anni della guerra, alla
Comunità di Como, tuttavia in questi due anni e mezzo ci ha dato forse
molto di più. Mi spiego: era immerso
in una continua soflierenza fisica, che
non lo lasciava mai; una sofferenza
che non ha mai accettata con supina
rassegnazione; poche ore al giorno gli
restavano per incontrare il fratello o
i fratelli, ed in quelle poche ore, in
quei pochi momenti, sapeva concentrare l’essenziale e donare tutto se
stesso, portando un messaggio estremamente lucido, e attuale, sempre
nuovo e sorprendente. Chiunque andava a fargli visita, usciva dalla sua
casa arricchito, tanto che quasi non
ci si rendeva conto di trovarci davanti ad un uomo che soffriva molto.
Eppure non si vei^ognava di parlarci di questa sua sofferenza; così
nelle predicazioni ai culti con S. Cena
da lui tenuti l’anno scorso a Pasqua
ed a Natale in casa sua. Ed una predicazione sofferta ci diede nello studio
che presentò in gennaio ad un folto
gruppo di comaschi, sull’« obiezione di
coscienza », studio di cui abbiamo la
fortuna di possedere la registrazione.
Infine neU’ultima riunione del « gruppo del Vangelo », svoltasi il 3 febbraio
in casa Lupo, trattò la parabola del
fariseo e del pubblicano. Anche qui,
un messaggio vivo e penetrante ci resta nel ricordo, quel messaggio che
sempre turba, ci toglie alle nostre sicurezze e mette in questione tutta la
nostra esistenza.
La morte improvvisa, inattesa di
Carlo Lupo, è stato l’ultimo messaggio che egli ci ha lasciato, un duro
colpo che nessuno si aspettava (qualcuno dei comaschi confessò « credevamo che non dovesse morire mai...»)
e che pure è stato considerato da molti di noi, come un appello estremo ad
ascoltare quella chiamata divina che
giorno per giorno c4 chiede di donare
la nostra vita alTaltro con amore, di
incontrare l’altro come fosse il Signore in person.a finché c’è tempo. La sua
morte improvMs che ci ha privato di
un amico e di usi testimone fedele, è
stato forse 1 aj lello più impressionante venutoci c alla sua jiersona, ad
.approfittare g.iori;^o4per giorno delle
occasioni di incontrare il fratello e
donarsi a lui finché c’è tempo, finché
resta un’occasione, anche la minima,
onorando nel fratello la presenza stessa del Signore Gesù.
La stampa cittadina, sia cattolica
che laica, ha voluto rendere una testimonianza fraterna, a Carlo Lupo, ricordandone la figura. « L’Ordine »,
quotidiano cattolico comasco, in un
articolo di prima pagina intitolato :
« MEDAGLIE - Il cero », scrive tra
l’altro : « si è consumato lentamente
come un cero, il pastore Lupo : diremmo usando le parole di Claudel,
come un cero in mezzo al coro a gloria di Dio. Pregava e pensava, aveva
grande carità, accoppiava alla cultura
la gentilezza del tratto, e non conosceva amarezza nella divergenza o di
idea o di giudizio. Con lui scompare
da Como una presenza che aveva un
valore, e noi perdiamo un’amicizia che
nel ricordo era preziosa. E preziosa
rimane perchè, nel regno della Luce,
in cui il desiderio della pace e la carità nella ricerca si placano. Tessersi
capiti e amati diventa eterno ».
Thomas Soggin
Lo scrittore, il poeta
Carlo Lupo ha sempre amato la penna, e
a sfogliare le annate della nostra stampa periodica s incontra sovente la sua brma fin
dagli anni di « Gioventù Cristiana ». Discorsi
e studi suoi sono stati spesso pubblicati dalla
Claudiana, e ricordiamo in particolare « Età
della crisi e vocazione cristiana », « Chi ha
ragione?», «Presenza solidale»: quesCultimo poneva in termini nuovi il problema delTevangelizzazione oggi. Infine, nel 1962, la
Claudiana pubblicava « L’attesa », una bella
raccolta di liriche che Luigi Santini dosi presentava:
Vi sono diversi modi d’accostarsi a una
raccolta di poesie ed al suo autore; C. Lupo
ci indica da se quello valido, ed è utile ricordarlo, prima di intraprendere la lettura:
Attorno/ad ogni creatura/splende la luce
dell’eterno mistero./Compagno/è per questo
che mi avvicino a te/come se andassi/al
convegno di Dio (« Convegno »).
Anche a una prima lettura, subito, ci avvediamo d’essere qui invitati ”al convegno di
Dio”: Vintuizione poetica, infatti, costantemente si risolve in colloquio, mentre si precisa la relazione fra Dio e la creatura. Per
tale ragione, non per altre, questa poesia è
davvero ’’religiosa”: Tu/non puoi sfuggire/
all’amore di Dio, leggeremo in una di quelle
brevi, pietrose composizioni, concluse nel volgere di pochi versi, che hanno il taglio ed il
sapore di una illuminazione, d’una intuizione
annotata subito, nell’immediatezza della percezione.
Questo articolo è stato pubblicato, a cura
delia nostra comunità comasca, su ”La Provincia” di Como (1-3-1966).
Sabato, nella Chiesa Valdese, hanno avuto luogo i funerali del Pastore Valdese Carlo
Lupo, figura ben nota in molti ambienti della nostra Città.
Uomo di vasta cultura teologica, filosofica
e letteraria, scrittore dallo stile originale, lascia pagine di prosa e di poesia religiosa,
profonde ed ispirate.
Una folla non soltanto di correligionari di
Como, ma anche di amici e conoscenti di
varie città e della Svizzera, ha partecipato
al servizio religioso.
Di origine piemontese, nato a Torino il
17 agosto 1895, fu durante la guerra del
1915-18 — alla quale partecipò come ufficiale, riportando delle gravi ferite — che egli,
nel crogiuolo delle sofferenze e al contatto
della dura realtà del dolore, passò per una
profonda crisi religiosa e decise dì consacrare la sua esistenza al servizio di Dio e degli
uomini Tornato alla vita civile, abbracciò
gli studi di teologia. Dopo un soggiorno di
perfezionamento all’estero, iniziò il suo ministerio nella Chiesa Valdese, neU’anno 1923
e occupò successivamente le sedi di : Orsara
di Puglia, Torino, Coazze, Sampierdarena,
Como, Bergamo.
A motivo dei suoi rari doni di predicatore, dovunque egli attirava uditori provenienti da vari orizzonti, i quali rimanevano
molto spesso legati a lui da sentimenti di
profonda riconoscenza per quello che avevano ricevuto dalla sua parola.
Carlo Lupo svolse a Como un ministerio
pastorale di 11 anni dal 1938 al 1949. Volle
fare del culto domenicale un vero centro
di vita comunitaria che fosse ispirato dalla
Parola di Dio come fonte viva di rinnova
SALVEZZA
Essere salvato
non significa
essere perfetto
ma avere conosciuto
l’amore perfetto
di Dio.
Questo carattere fondamentale della poetica
di C. Lupo solo a tratti affiora scopertamente,
ma è costante; là dove scompare, la poesia
cede il passo alla meditazione pastorale, al
soliloquio, all’esortazione eloquente. L’attimo
è « segno d’eternità », « una invocazione d’eternità »; esso ha tale una carica di vita che
è « l’attimo eterno », « un momento eterno »
nel quale Dio fa irruzione, s’incarna per
sempre, nel nostro mondo.
Leggiamo: Ed al termine della mia giornata/benedico/il mio inestinguibile amore/
per questa terra/perchè esso mi ha insegnato/
che lo spirito tuo/è nel cuore del mondo.
(« Nel cuore del mondo »). Accade qui di osservare come il paesaggio evocato sia tutto
interiore; le due sole composizioni che danno
spazio a quadri di cose, di questa terra, sono
di grande bellezza: appunti rapidi, trascrizioni visive intense, precise nel rendere la « fissità delle cose »; e poi il ritorno alla realtà
vera, che conta: « Penso alla stanchezza urnana... » (« Sera »).
Se da un lato il poeta rifiuta d’indugiare
su facili motivi pittorici, d’un lirismo diffuso su le cose, d’altro lato sa contenere, disciplinare qiielVautobiografismo interiore al quale approdano di norma le anime religiose. E
qui potrebbe prendere avvìo un discorso sulla
poesia ’’protestante”, che caratteri proprii pur
deve averli, (ed essi affiorano nella poetica
di C. Lupo).
CONTINUA
IN QUARTA PAGINA
mento spirituale. Non solo : fondò l’attività
dei « Gruppi del Vangelo » per lo studio comunitario della Parola di Dio, attività diffusasi per tutte le Chiese Valdesi in Italia. La
sua casa era sempre aperta a tutti coloro,
evangelici o no, che avevano bisogno di aiuto, di consiglio, di conforto, di consolazione.
Come affermò il Moderatore della Chiesa
Valdesi, Neri Giampiccoli, che ha presieduto
il servizio funebre : « Per Lui l’incontro con
ogni essere bisognoso dì comprensione, d’incoraggiamento, di una parola di speranza,
era come l’incontro col Suo Signore e Maestro Gesù ».
Pertanto il suo ministero pastorale si estese
sempre al di fuori dei confini della sua Chic,
sa, non per spirito di proselitismo, ma per
una profonda vocazione ecumenica che lo
portava a comprendere gli uomini, qualunque fosse la loro appartenenza confessionale
o politica. Per questa ragione, nel giro di
pochi anni si formò una vasta cerchia di amici, i quali hanno testimoniato la loro devota
stima in occasione del servizio funebre.
Malgrado che le sue forze cominciassero a
declinare, per un male inesorabile che lo
aveva colpito al principio dell’ultima guerra,
la comunità evangelica di Bergamo volle
averlo come suo direttore spirituale. Pure in
quella città il suo ministerio fu molto fecondo. non solo nell’ambito della Chiesa, ma
anche negli ambienti culturali dove Egli fondò il « Convegno degli amici », al quale dedicò le sue ultime forze, anche quando, costretto all’immobilità, dovette rinunciare al
pastorato. Nel 1963 egli era ritornato nella
nostra città, presso la figlia. Prof. Dott. Graziella Lupo, ben nota per la sua ati’vità professionale nell’Ospedale Sant’Anna.
Ed è in mezzo a noi che egli ha cessato
il suo pellegrinaggio terrestre con la serenità
e la luminosa visione del ritorno alla Patria
Celeste, che lo aveva sempre sorretto.
La sua vita così dolorosamente provata, è
stata un dono di ogni giorno a tutti coloro
che hanno avuto la benedizione d’incontrarlo. Infatti fino alla fine, chiunque andasse a fargli visita, usciva dalla sua casa
portando con sè un arricchimento spirituale.
Pertanto la luce dell’amore divino di cui
Egli è stato fedele testimone, non si spegne
con la sua scomparsa.
LA LEZIONE DEL PASTORE LUPO
La notizia della morte del pastore
Carlo Lupo ha colto di sorpresa i
suoi amici non meno di quanto avrebbe potuto fare l’annunzio di una improvvisa sciagura. Ripensando infatti
alla sua lunga esperienza di credente
e di pastore non possiamo considerare
la sua scomparsa un fatto di cronaca
sia pure doloroso.
Nel caso suo siamo in presenza non
solo di im credente che dopo lunga
malattia chiude gli occhi alla luce o
di im pastore emerito ohe giunge al
termine di una missione feconda anche se dolorosa. In lui perdiamo — familiari, conoscenti, fratelli in fede —
più che un compagno d’esistenza e di
vocazione, im amico ed im collega,
perdiamo una voce amica, una presenza insostituibile. Certo ogni uomo è
una presenza insostituibile, Tabbiamo
imparato da lui ! Ogni creatura è una
voce amica, ma nel caso suo si tratta
La via della croce, via di umiltà : non è demissione, rinuncia, sconfitta, ma sobria, esatta misura del proprio compito e dei propri limiti.
di altro, si tratta della nostra testimonianza stessa.
Ci fosse chiesto di definire con alcimi nomi, esistenze tipiche, caratteristiche peculiari il periodo ohe dalla
grande guerra giunge sino al termine
della seconda, non esiteremo a collocare, accanto a Ernesto Comba, Paolo
Bosio e Giovanni Miegge, Carlo Lupo.
Egli ha infatti vissuto accanto ad essi,
e distinguendosi da essi, una esperienza singola di eccezionale significato e
come l’eredità dei suoi colleghi summenzionati permane viva ed attuale
nella realtà della nostra comunità, cosi permane non solo attuale e viva, ma
insostituibile la su» esperienza.
Per molti giovani fra noi egli è poco
più che un nome associato ad alcune
liriche difficili e spesso enigmatiche,
per molti anziani è im ricordo carico
di rimpianto e di nostalgia per un
momento particolarmente intenso nella nostra vita giovanile valdese. Accade cosli perchè viviamo nella chiesa
secondo pensieri del mondo; solo chi
fa, viaggia, parla, scrive è vivo, afferma la sua presenza, esiste insomma
nella mente e nel pensiero degli altri.
Ridotto a non poter fare in questo
modo, a non poter essere qui e là, a
non poter comunicare e discutere, Carlo Lupo era inesorabilmente condannato a non esistere.
tà e nella vita più di molti di noi abili
nel fare e nel dire, attivi e produttivi.
Egli apparteneva alla categoria dei
credenti che rappresentano le radici
della chiesa. Mentre noi predichiamo
e scriviamo, partecipiamo ad assemblee e costruiamo, tutto alla luce del
giorno, in supierflcie come i rami degli
alberi che in questa stagione si vanno
coprendo di foglie e fiori, egli viveva
come una delle radici sotterranee della nostra comunità. Ohi si accorge della morte delle redici? I viandanti distratti o gli innamorati sognatori, il
contadino interessato o il ragazzo in
cerca di nidi? Nessuno, alTinfuori dell’albero stesso che non riceve più la
sua forza.
Di questo tipK) è appunto la nostra
sorpresa nelTapprendere la sua scomGìorgio Toum
CONTINUA
IN QUARTA PAGINA
4
pag. 4
N. 13 — 1 aprile 1966
La lezione
del Pastore Lupo
SEGUE DALLA TERZA PAGINA
parsa: l’avvertire, improvviso e doloroso, un senso di privazione, di vuoto, di
mancanza. Carlo Lupo ha infatti incarnato in questi decenni della sua
esistenza, non per merito o volontà
sua, ma per misteriosa disposizione del
Signore, due esperienze fondamentali
nella vita della fede : il cammino della
croce come via di impotenza e il silenzio della propria impotenza come appello alltuniltà. Non siamo in grado di
tracciare il suo itinerario spirituale
dalle esperienze della guerra sino al
pastorato attraverso la malattia, dal
pastorato attivo al silenzio, lui solo
avrebbe potuto farlo. Un fatto è però
evidente in questo lungo cammino ; si
è trattato di un apprendistato esemplare (non per il carattere soggettivo
del credente ma oggettivamente), condotto sotto i nostri occhi, di ciò ohe significa la croce di Cristo per il credente e per la chiesa. Che significò la
croce per lui se non questo progressivo
cammino verso il fallimento della propria vita, lo spegnersi delle speranze, il
silenzio degli uomini, l’indifferenza dell’ambiente? Egli non era certo preparato a questo ; il giorno deUa sua consa
LIBERAZIOME
Il Signore discende
nel mio peccato
ecco la redenzione.
Il Signore discende
nel caos della mia mente
ecco la chiarezza.
Il Signore discende
nella mia disperazione
ecco la quiete.
Il Signore discende
nella mia morte
ecco la vita.
orazione rappresentava per lui, come
per tutti noi, l’inizio di una vita di attività e per questo viveva : per insegnare, predicare, guidare con là parola e
con l’esempio Rovani, suscitare entusiasmo e servizio. Pronto anche ad affrontare tentazioni e dubbi, ostilità e
indifferenza certo, ma la croce di Cristo è altra cosa. E prendere la croce
non solo come esperienza tragica, crudele, dolorosa della vita, ma fame la
propria vita è esperienza ancor diversa. Fu questo il più segreto ed appassionato interrogativo del suo lungo
cammino verso la morte, o come diceva lui stesso la sua vita da morto. Ma
questo interrogativo non è l’esperienza
singola, personale di un credente-pastore, è I’interrogativo della comunità
nostra, ed è rimasto per anni vivente
fra noi in dolorosa sofferenza : perchè
uomini nati per servire, produrre, lottare, creare, impegnarsi, ed equipaggiati di tutto punto per compiere la loro
missione, si vedono ridotti a tale impotenza e vedono sottratta alle loro
mani la sola ragion d’essere : servire il
Lo scrittore
il poeta
SEGUE DALLA TERZA PAGINA
L abhi'.Aono dei tradizionali canoni dello
’’scrivere in poesia” — dalla rima alla accentuazione sillabica — non è senza pericoli, ed
a volte il pastore-predicatore pub cadere nel
tranello duna prosa ritmica abbondante e
dispersiva: ma di solito la forza dell’ispirazione è tale che il rapporto fra l’intuizione,
l’espressione e la comunicazione è saldo, evidente: il lettore percepisce poesia autentica,
vera, in tante pagine. Ed e poesia impegnata
sui temi di fondo della vita umana: la vita
e la morte, la sofferenza e la gioia, la memoria e l’attesa... V’è una composizione, intitolata appunto ’’L’attesa”, nella quale il passato si risolve nell'aspettativa di « un altro dono... il dono che non conosco ». Questo pensiero — d una vita che ha la sua prospettiva
in Dio. nell’eterno — torna frequentemente,
austera e serena certezza che toglie alla morte il suo dardo, ch’è nella ribellione: Chi accetta serenamente la morte/vive la vita/ nella sua assoluta e gioiosa libertà. (« Fonte di
tenebra »).
Indugiando in questa analisi, di proposito
abbiamo evitato d'accennare a Carlo Lupo
l amico, il compagno, il pastore amato; nulla
si poteva dire che non fosse espresso nei versi di questa raccolta che non ha certo origine
in una mediocre smania letteraria, lensì nella sofferta partecipazione del credente ad una
sorte non facile. Questa è testimonianza e
testamento.
Si legge: La vita/è una pena/di mistero e
di morte/risuscitata/dalla pietà di Dio./Fedelital segreto profondo/della nostra anima./
E’ la cosa più bella/® la più ardua. E si riconosce che tutta una esistenza e qui delineata con una concretezza, una aderenza ai fatti,
che altrimenti si potrebbe solo disperdere nella cronaca biografica. La fatica dell’autore
avrà la sua ricompensa se il lettore avvertito
avrà aperto gli occhi a ”la coscienza della vita”, questo bene che Dio ogni giorno offre
con rinnovato amore. S.
Signore? Il Signore non sa forse utiliz.
zare i suoi doni e i suoi ministri o forse non lo vuole?
Carlo Lupo ha saputo rispondere al
termine della sua esistenza di fede e
del suo ministerio : questo accade perchè il Cristo crocifisso vuole che il suo
corpo permanga, anche in questo secolo di successi e di slanci, di rivoluzioni
e di ideali, un corpo crocifisso.
Ci viene ricordato che la via della risurrezione e della Pentecoste passa attraverso la morte, la nostra impotenza;
ci viene umanamente e visibilmente
annunciato che il tesoro deH’evangelo è nascosto in vasi di terra misera
ed inutile.
Ogni comimità cristiana, e la nostra pure, è sempre in cerca di risultati, di affermazioni, di successi; sogna mezzi, uomini, energie, ma dimentica la croce. Non si tratta di un peccato nostro, caratteristico del nostro
tempo; da Pietre nella notte del Ve
nerdì Santo a Paolo incatenato, i credenti hanno sempre fuggito la croce.
Proprio per ricordarci questo il Signore incarna la sua croce tra noi,
non nei più deboli, ma nei più forti,
non nei timidi, ma nei coraggiosi, non
negli ultimi, ma nei orimi.
Mi interrogo (e sono interrogativi
senza risposta che nascono con dolore
e si formulano a fatica) per cogliere il
messaggio ,la lezione, la voce nascosta
nella agonia fisica di questo nostro
collega e fratello, proprio in questo
ventennio di ricerche ed inquietudini.
Progettiamo riforme e sogniamo risvegli, lanciamo appelli e restauriamo ricordi, e lo facciamo con impegno e dedizione, troppo impegnati forse per
vedere la via della croce, come troono
impegnati a dire e fare eravamo per
inserire questo e altri fratelli nel corpo della nostra chiesa. Siamo una
chiesa missionaria, non un ospizio, abbiamo bisogno di uomini giovani e capaci (per questo ci preoccupiamo dei
nostri futuri pastori carenti di numero e forse di doti), di energie, non di
sofferenze. E polemici quali siamo, divisi nelle nostre opinioni religiose e
missionarie, siamo stranamente simili ed allineati, giovani e anziani, barthiani e ncn barthiani, piatisti ed ecumenici; nessuno vuole che la via del
proprio servizio e la via della chiesa
passi attraverso la croce.
Per ricordarci questo Carlo Lupo ha
vissuto fra noi, per ricordarci che solo
una comunità pronta a morire può
risorgere; lo imparino conservatori e
progressisti.
Forse (ed è ancora un interrogativo
senza risposta sicura) proprio di questa lezione abbisogna la nostra chiesa
negli anni del suo rinnovamento.
La via della croce è però sempre
una via di umiltà. Impreparato a portare l’rjmiliazione della sofferenza dell’impotenza, del silente il giovane pastore Carlo Lupo era altrest (come tutti i credenti) impreparato di fronte
al mistero dell’umiltà.
Quale incarnazione di umiltà, la
sua! Umile non fu mai, nè vinto, e
proprio per questo la lezione che in
lui il Signore ci da è luminosamente
eloquente. Il cammino della croce fu
per lui il cotidiano, rinnovato, volitivo
sforzo di essere e fare e la dolce, ferma, tenace mano di Dio che piegava
all’obbedienza. Uomini naturalmente
sottomessi e deboli, pronti a chinare
il capo e a ritrarsi indietro, non sono
stoffa da umili; sono gli uomini forti
e violenti che entrano nel Regno attraverso la porta stretta.
L’umiltà non è la demissione, la rinuncia. il silenzio, come la croce non
fu nè è sconfitta o smarrimento, è sobrietà di intenti è esatta misura del
proprio cx>mpito. Umile non è colui
che si siede, ma che fa ciò che può e
deve fare, senza voler fare altro o più.
Di questa umiltà abbiamo bisogno
proprio negli anni del nostro rischioso dialogo con evangelici e cattolici,
atei e laicisti, facendo e dicendo non
ciò che vorremmo e pensiamo dover
dire, ma ciò che realmente va detto,
facendo non solo nè soprattutto ciò
che ci piace fare, ma quanto va
fatto.
Ho menzionato spontaneamente poco sopra, e senza intenzione critica,
gli uomini che con Carlo Lutx) mi
sembrano caratterizzare la nostra testimonianza evangelica dal ’14 al ’64.
Potremo dire un giorno con esattezza
quanto e che cesa ognuno di essi ci
ha dato? Ne potremo ritrarre con lucidità e serenità il ritratto umano e
vocazionale leggendo come Dio ha letto nella loro esistenza? Ci hanno insegnato (il Signore ci ha insegnato
servendosi di loro, è più esatto dire)
a fare, a pensare, a organizzare, a parlare; fra tutti gli insegnamenti non
v’ha dubbio ohe il più segreto, difficile ed essenziale fu quello dell’umile
obbedienza della croce di cui fu strumento il pastore Carlo Lupo.
Abbiamo noi saputo leggere e decifrare questi messaggi o come distratti impiegati ce ne stiamo assorti
dinnanzi a un telegrafo che non trasmette più? Giorgio Tourn
Con nostro vivo rincrescimento, e
malgrado il numero doppio, molti contributi devono essere rimandati: ce
ne scusiamo con gli autori, di cui cosi spesso siamo costretti a mettere alla prova la benevola e comprensiva
pazienza. red.
Hitler, i lescflii e i caBolici tedeschi
Manine II Vaticano pubblica parte ilei suol archivi e rifiuta
Il maa oulpa^ cerchiamo tll valutare come e perchè la Chiesa fu fin troppo guardinga o tacque di fronte alla Bestia
Quando si potrà scrivere una vera storia
del Terzo Reich, dei suoi rapporti con la
Chiesa (la Chiesa nelle sue manifestazioni
istituzionali di Chiesa Cattolica, Luterana,
Riformata), quasi certamente il lettore si tro.
vera di fronte allo stesso problema che lo
studioso deve porsi oggi : come mai è stato
possibile che il popolo tedesco, uno dei più
colti d’Europa, abbia potuto sopportare questo regime contro natura? e lo abbia appoggiato e sostenuto oltre ogni limite di umana
ragionevolezza?
Si potrà indubbiamente ricordare l’osservazione di Madame de Staël, la quale, circa
150 anni fa, notava già « il contrasto fra la
indipendenza dei Tedeschi nel campo della
speculazione filosofica e la loro docilità di
fronte alla autorità )).
Si potrà osservare come questa tradizione
di rispettosa acquiescenza di fronte al potere
costituito sembri connaturata allo spirito
germanico.
Il lettore disporrà, indubbiamente, fra alcuni decenni, di maggior copia di documenti; tutti gli archivi saranno aperti all’indagine degli studiosi; ma si ha fin d’ora la sensazione che siamo in presenza di un problema che trascende le possibilità dell’indagine
storica tradizionale.
SCAVARE IN PROFONDITÀ’
I documenti possono e potranno aiutarci
a meglio comprendere, ma ci porteranno
sempre soltanto sulla soglia. Siamo insoddisfatti di quello che conosciamo. Sentiamo
imperiosa la necessità di scavare in profondità per scoprire perchè è stato possibile il
fenomeno Hitler, la sua apparizione ed il suo
fiorire.
Un esempio caratteristico di questa insoddisfazione e di questo anelito ci è stato offerto
dalla pubblicazione e rappresentazione del
noto dramma: Il Vicario, e dalle polemiche
che lo hanno accompagnato. Discutibile sul
piano della validità artistica^ è stato ampiamente discusso sul piano della validità storica.
Comunque la si voglia giudicare, un merito gli va riconosciuto: quello, appunto, di
aver puntualizzato questo stato di fatto : non
riusciamo a capire come tutto ciò sia stato
possibile.
BANDO AGLI EQUIVOCI
Sìa chiaro, a questo punto, che se, ora,
restringeremo questi brevi cenni al campo
più ristretto dell atteggiamento della Chiesa
Cattolica di fronte al Nazismo, ciò non è
dovuto ad un ridicolo '^enso di Schadenfreude,
di maligna gioia del male altrui, ma al semplice fatto che su que to argomento sono state
scritte pagine esemplari e dolorose (Gueis'ter
Lewy: / ¡Nazisti e la Chiesa. Il Saggiatore),
le quali pur prendendo in esame la sola storia dei rapporti tra la Chiesa Cattolica e
il Nazismo, non possono lasciare indifferenti e sereni i lettori protestanti. Privo, invece, di qualsiasi validità, sul piano della critica storica, il volume di
Ll'ICI Ca.stiglione : Pio XII e il Nazismo.
Ed. Boria (con prefazione dì Igino Giovanni),
il quale vuole costituire una polemica risposta al dramma: Il Vicario, ignora qualsiasi
problematica, ed ha il solo merito di contenere molti documenti e la traduzione integrale della nota enciclica : (( Mit brennender
Sorge ».
L’APPRENDISTA STREGONE
Rievocando la figura e l’opera di Adolfo
Hitler si potrebbe esser tentati di evocare la
classica rappresentazione di un medievale
« apprendista stregone », il quale riesca a dar
vita umana alle sfrenate potenze demoniache
e più non riesca a scongiurarne la mostruosa proliferazione. Ma, a prescìndere dal fatto
che non risulta in nessun modo che ¡1 Führer
abbia mai tentato di limitare la diabolica furia di queste forze occulte umane, il problema di fondo rimane; Che ha fatto la Chiesa? quale è stata la sua posizione di fronte
all'apprendista stregone? ha parlato? E, se
ha parlato, cosa ha detto? E se non ha parlato, perchè ha taciuto?
A questi tremendi interrogativi siamo in
grado, oggi, di dare solo risposte approssimative, sui particolari; sul problema di fon
LUIGI CASTIGLIONE - Pio XII e il
nazismo. Boria, Torino 1965, p. 334,
L. 2.500.
GUENTER LEWY - I nazisti e la
chiesa. Il Saggiatore. Milano 1965,
p. 516, L. 2.200.
GUENTER LEWY - L’EgHse catholique et TAllemagne naziste- Stock,
Paris 1965, pp. 358, L. 3.150.
PRIMO MAZZOLARI - La Chiesa, il
fascismo, la guerra. Vallecchi, Firenze 1966, p. 99, L. 800.
do, una risposta è già possibile, ed i documenti che, ancora recentemente sono stati
pubblicati {Atti della S. Sede relativi alla
II guerra mondiale, ampiamente recensiti dal.
r« Osservatore Romano ») non modificano
sensibilmente il giudizio critico finora acquisito.
OCCORRE DISTINGUERE
Occorre anzitutto precisare: la Chiesa cattolica in Germania ha una sua posizione che
non sì può identificare senz’altro con quella
del Vaticano: ì Vescovi tedeschi hanno una
loro posizione di fronte ai miti germanici, che
non coincide sempre e necessariamente con
quella del Papa.
Ricordiamo semplicemente alcuni di questi M idoli » del III Reich : culto dello Stato,
venerazione della gerarchia, esaltazione della
razza, antis^emitismo. mito dcH‘unità del sangue e della cultura.
Quale è stato ralteggiamento della Chiesa
Cattolica in Germania, nei loro confronti?
Sugli studiosi di storia valdese
Lettera aperta a Giorgio Tonrn
Ho letto con vivo piacere su uno degli
ultimi numeri deU’Eco-Luce il suo taccuino
in ricordo di Jean Jalla, e le constatazioni
che ne seguono sulla validità della sua
opera di pubblicista della storia valdese.
Con vivo piacere, ripeto, perebè il simpatico articoleito proviene da Un esponente
qualificato della nostra cultura, e ripropone
il motivo della nostra .storia come elemento formativo e attuale nella vita della nostra chiesa. E aggiungo che è pure confortante prender nota di un rinnovato interesse per la storia valdese, come appare
peraltro da vari sintomi che ci giungono da
varie parti.
Soffermiamoci allora un momentino, poiché la cosa sembra opportuna, ad esaminare dapprima qual'è stato in questo dopoguerra ratteggiamento del nostro mondo
culturale valdese verso la storia del Valdi'smo. E’ amaro doverlo d re, ma salvo poche eccezioni i’atteiggiamento è stato di
disinteresse o di critica; accolte con sopportazione o sufficienza le iniziative della
Società di Studi Valdesi, considerate ben
poco le sue varie pubblicazioni, pressoochè
disertate dai nostri intellettuali le sedute
annuali della Società, in cui si parla di
programmi e di impostazioni e si ascolta
una relazione generalmente interessante.
11 corpo ipastorale valdese, in buona parte, non conosce nulla di storia valdese:
caso mai essa fa comodo qualche volta
aU’cstero, dove in certi ambienti non si
ha più paura di confessare la propria appartenenza alla Chiesa di Valdo o di Arnaud o di Geymonat. Di tutta la massa degli insegnanti evangelici in Italia, elementari o medi o universitari, una percentuale
veramente pietosa si interessa della storia
valdese.
E così nè i corsi di catechismo nè i corsi
di i.struzione religiosa hanno preso in considerazione la possibilità di un insegnamento, seppure breve e facile, della storia nostra : col risultato che oggi le nuove generazioni sono quasi del tutto ignoranti delle
sole linee fondamentali del Valdismo della sua funzione, della sua validità oggi
come ieri.
E intendiamoci bene : nessuno pretende
che un pizzico di storia valdese sia obbligatorio, ma penso che esso potrebbe far
parte di un minimo di dignità, costituire
un modesto biglietto da visita.
Ma quello che è poi doloroso constatare,
è proprio il fatto che è la generazione di
Giorgio Tourn, cinque anni di più o di
meno, quella che ha assunto anche un at
teggiamento critico cattivo e demolitore ne
riguardi della « superata, provinciale, raz
z’sta e agiografiea » storia valdese. Un at
teggiamento di superiorità facile ad assu
mere, e attraverso il quale si crede di es
sere grandi uomini.
Sicché ben altro ne è venuto fuori che
una serie di Jean Jalla o di ricercatori come Jean Jalla! Basta guardarsi intorno e
rendersi conto che il più giovane dei cultori di storia valdese è il sottoscritto alla
bella età di mezzo secolo suonato!
Eppure gli amanti e cultori della storia
valdese e della storia della Riforma in
Italia ci sono: lo hanno dimostrato egregiamente i sette convegni di studiosi dei
movimenti eretici e della Riforma italiana, i quali ogni anno si sono ritrovati a
Torre Pellice, per iniziativa della vecchia
Società di Studi Valdesi: li, in quei convegni a cui erano presenti fior di professori
universitari italiani e stranieri, si è discusso di valdismo, di eresie e di riforma in
un clima di mirabile apertura e di alta
preparazione. Ma lì, in quei convegni, la
nostra « intelligheiitia » valdese è stata
pressocchè sempre assente o mutila, e comunque rappresentala da pochi isolati ! In
un’occasione bellissima come questa per
stabilire un colloquio con l’ambiente ciih
turale italiano, noi siamo stati tranquillamente assenti : proprio quando si predica
che la nostra presenza protestante deve essere .soprattutto impegnata nel campo della
cultura!
Certo, nessuno pretende o chiede oggi
la preparazione anedottica o la conoscenza
genealogica o l'erudizione minuta di un
Jean Jalla: ma che ci sia una problematica
non risolta nella storia del Valdismo, che
vi sia la possibilità di ricerche nuove ed
interessanti, che del lavoro ve ne sia tanto,
nessuno lo può negare.
Questo è però un altro argomento, su cui
si potrà tornare, grato intanto a Giorgio
Tourn di avermi dato l’occasione per sfogarmi un po’, magari con una geremiade
che non conimuoverà nessuno.
Augusto Armnnd-Hugon
Etl anche a questo proposito una ulteriore
precisazione s’impone. Abbiamo accennato alla posizione delle Conferenze episcopali di
Fulda, dei documenti episcopali, delle lettere pastorali ecc. Ma, fino quale punto i Vescovi si sono sentiti liberi, non di fronte a
Hitler, ma di fronte al loro gregge? Fino
a che punto l’interesse economico, politico,
privato dei laici cattolici tedeschi ha condizionato l'azione pastorale dei Vescovi?
UNA STATISTICA
Nell'arehivio diocesano di Passau si trovano i seguenti dati (riferiti in una nota del
volume di Lewy) ohe ci danno un quadro
del movimento ecclesiastico (entrati usciti)
della Chiesa nel decennio 1933-1942. Di fronte ad un totale di circa .36.000 rientrati nella
Chiesa, troviamo un totale di circa 367.000
usciti, con una punta massima nel 1937 di
108.054 usciti dalla Chiesa.
Nel 1933 il Vescovo Bucheberger riteneva
si dovesse evitare « una rottura formale »
col nazismo perchè non era affatto sicuro di
esser seguito da] suo gregge, in simile evenienza. identica era l’opinione di Galen. E
le citazioni potrebbero continuare. La Chiesa non osa prendere posizione sul problema
di tondo; non pronunzia quella parola che
si deve pronunziare « senza che vi sia alcuna
ragione di utilità concreta: semplicemente
perchè è la verità. Se questo qualcosa non
viene detto, l’ordine morale del mondo subisce un colpo le cui conseguenze si superano
più difficilmente di una violazione di questo
ordine con la violenza ».
I vescovi non avevano fiducia nel loro
gregge.
II non aveva fiducia nei suoi vc.scovi.
I vescovi aspettai'ano una parola di coraggio da parte dei laici.
I laici aspettavano la parola profetica dei
loro pastori.
Una cosa è certa : tutto mancò, tranne singole lodevoli eccezioni.
Tutto mancò perfino in occasione delle
« purga» del giugno 1934. In questo spietaic
massacro, i nazisti « eliminarono » anche alcune eminenti personalità del mondo cattolico tedesco; fra di esse quello stesso dottor
Klausener, capo dell’Azione cattolica di Belino, che 6 giorni prima in una grandio-j
adunata di cattolici berlinesi li aveva esorta:;
a rimaner fedeli al popolo ed alla patria r i
aveva approvato il telegramma di impegno .
fedeltà inviato al Führer.
La reazione deU’episcopato cattolico è csratteristica per comprendere la sua posizione,
dapprima regnò il silenzio, poi « la canceló ria della diocesi impartiva le seguenti islr :zioni al clero: ’riguardo agli avvenimenti
delle due ultime settimane mantenere il riserbo necessario e non perdere di vista it
bene della Chiesa intera” » si avallava Ci l
silenzio la calunnia nazista che Klausener i
fosse suicidato. In una sola parrocchia, qtir'
la a cui apparteneva il militante cattoh.
assassinalo, si osò dichiarare dall’alto del p.ie
pìto che Klausener non si era .suicidato. T. i
il Vescovo di Berlino si rivolgeva licnsi d
rettamente a Hitler, ma invocando moti\'
politici (il plebiscito nella Saar cattolica t ]K’ ’
ottenere una dichiarazione ufficiale che Klausener non si era suicidalo. Non .si portai .
alcun giudizio sulla cc purga ». su] massacro-,
si aveva di mira il bene del poiiolo c del'
patria, c l'interesse della Chiesa intera.
UN VECCHIO MITO PAGANO
L indagine storica, a ipiesto punto, ci jn!'.
forse essere di qualche aiuto. Di fronte ai
vecchio mito pagano dello Stalo concepito co
me una manifestazione provvidenziale assunto a norma di feile nella Germania imperiale, i cattolici si erano trovali ¡n una po'-izione di inferiorità. Bismarck era stato sconfitto nella sua guerra contro la Chiesa, nu.
rimaneva .sempre un certo complc.sso di inferiorità, nel campo della Kultur, perseguitala i cattolici, che spesso c volentieri v-enivano considerati con sospetto per le loro relazioni col Vaticano.
Si parva licet..., se cioè è lecito un modesto paragone, spesso i cattolici tedeschi si
sentivano nella loro Germania un po' come i
Valdesi nella nostra Italia: a disagio; avevano l’impressione di non esser mai abbastanza patriotti, di non fare mai abbastanza:
quindi necessità di essere sempre in prini.i
linea, di fare come e più degli altri.
Pertanto, quando Hitler proclamò il dogma dell'unità de! popolo germanico nel sangue e nella cultura e si dichiarò pronto a
firmare un Concordato con la S. Sede, i cattolici tedeschi ed i loro vescovi sottovalutarono il paganesimo del mito hitleriano e videro .soltanto o anzitutto nel concordato il riconoscimento ufficiale dei loro diritti.
Anche qui, si parva licet..., il peccato nostro ci può aiutare a capire il peccato altrui.
IL NOSTRO PECCATO
Quando, dopo il Concordato tra il Duce e
la S. Sede, si cominciò a parlare di una leggina che regolasse i rapporti con la Chiesa
Valdese, progetto che non so quante possibilità d’attuazione abbia mai avuto, non mi
risulta che nessuno ne denunziasse il peccalo
(li origine! E la legge sui culti ammessi,
ftuando fu cono.sciuta, se provocò alcune riserve sul piano tecnico, venne generalmente
accolla dagli Evangelici italiani con un certo
.senso di soddisfazione. « Non siamo più tollerali, ma ammessi... ».
1 ciillolici tedeschi potevano pensare che
era giunta la loro ora: Hitler cattolico, Giibhels cattolico; TAustria cattolica entrava nella Grande Germania!
Si poteva correre il rischio di essere accusati di scarso patriottismo? I vescovi tedeschi
non vollero o non osarono correrlo. Perciò
appoggiarono talora apertamente, talora esi
CONTINUA
IN OTTAVA PAGINA
5
1 aprile 1966 — N. 13
pag. 5
Per riavere un valido strumento di presenza evangelica nella città
La basilica di San Silvestro in Trieste
Costruita nel secolo XI è il più antico tempio della città
Assegnata a varie Confraternite, e per un certo tempo
Cattedrale, fu acquistata nel 1785 dalla Comunità Elvetica della città - La Comunità valdese vi è ospitata fin
dal suo sorgere - I restauri in corso dovrebbero chiudere, per molti anni, la serie che ha avuto inizio nei 1332
In quel tempio suggestivo che racchiude fra le sue mura tanti ricordi
la Chiesa Valdese è ospitata fin dal
suo sorgere, nel dicembre 1918, dalla
comunità di Confessione Elvetica della città.
La Basilica venne costruita in un
tempo imprecisato del secolo XI. Se
vogliamo un riferimento storico, possiamo dire alcuni decenni prima della
nascita di Pietro Valdo.
Una lapide del 1672 ci ricorda, ng
gi ancora, l’importanza del luogo ove
■è costruita. Si tratta, secondo un’antichissima tradizione, del « domicilium »
di Eufemia e Tecla che subirono il
martirio per la fede il 17 novembre
dell’anno 156. Questo ci riporta ai
tempi deirimperatore Valeriane che si
era proposto di distruggere il cristianesimo anche a Trieste. Sempre secondo la tradizione quello diventò il
luogo in cui si riunirono i primi cristiani. Nel IV secolo ai tempi di Costantino imperatore e di Silvestro, vescovo di Roma, fu innalzata una basilica che venne distrutta e che fu sostituita, parecchi secoli più tardi, dall’attuale Basilica.
T primi dati storici sicuri riguardano i restauri di cui la Basilica fu ripetutamente oggetto. Infatti dalle memorie del canonico Cosulich risulta che la
chiesa fu restaurata nel 1332 e consacrata il 17 maggio di quell’anno dal
vescovo fra Pace di Vedano. Il patrizio triestino Antonio Cratey scrive
che, in quegli anni, durante le prediche
di Quaresima si portava in S. Silvestro il pulpito ambulante di S. Giusto.
Si tratta dunque del più antico tempio cristiano della città e che ha
avuto singolari vicende nel corso dei
.secoli.
Nel 1613 la chiesa « per mancanza
di fondi restò negletta e minacciava
rovina ». scrive lo storico Tribel, e allora per preservarla dal crollo il vescovo Ursino de Bertis la assegnava
alla Confraternità del Rosario che la
restaurò c costruì nella stessa delle
tombe per i propri membri defunti.
Nel 1619 due Gesuiti rifugiatisi nella città seppero così bene accattivarsi
le simpatie di Annibaie Bottoni, capo
della Confraternita dei Nobili, che ottennero la licenza di celebrare in quella chiesa. E siccome « ove mettevano
lo zampino introducevano anche il corpaccione », finirono per cacciare i veri
padroni e sostituirsi a loro. Si oppose
la maggioranza dei membri della Confraternita ed anche il Consiglio della
città, ma senza risultati. Ben presto
però i Gesuiti costruirono una chiesa
imponente per conto loro e destinarono S. Silvestro alla confraternita dell’Immacolata Concezione.
Il 13 aprile 1664, giorno di Pasqua,
successe un tumulto con spargimento
di sangue a S. Giusto: la cattedrale
fu chiusa; durante quel tempo S. Silvestro fungeva da Cattedrale e tale la
designarono i Gesuiti scrivendo su una
lapide che resiste tuttora all’usura del
tempo « Primum Temphim et Cathédrale ».
Attribuita successivamente ad altre
tre Confraternite, la chiesa venne chiusa e sconsacrata nell’anno 1784!
L’anno seguente, ai tempi dell’imperatore Giuseppe II, S. Silvestro fu posta con altre chiese e cappelle della città, ritenute superflue, a pubblico incan
to al prezzo fiscale di 1550 fiorini. Venne aggiudicata alla Comunità Elvetica
per il prezzo di 2120 fiorini. Che gli
evangelici avessero comperato un Basilica e Cattedrale, sia pure chiusa al
culto e sconsacrata, era uno scandalo
che non si poteva tollerare. Che la
chiesa di S. Andrea fosse trasformata
in osteria e quella dei SiS. Martiri, la
più antica della città con S. Silvestro,
venisse adibita a magazzino di merci,
non aveva alcuna importanza, ma che
una chiesa cattolica diventasse proprietà della Comunità Elvetica e fosse riconsacrata al « Dio Trino Ottimo Massimo, presente in Cristo Salvatore » era
un affronto assolutamente intollerabile. Furono pertanto messi in atto i ca
Sorge la Comunilà elvelica...
^ hi erano quegli elvetici che avevano vinto una battaglia così impegnativa e si erano aggiudicati quella
chiesa per una somma che nessunaltro
si era sentito di offrire?
Gente modesta che aveva abbandonato le proprie natie montagne, ovp la
vita era grama, ed era giunta a Trieste
verso la metà del ’700, quando l’imperatrice Maria Teresa aveva con le sue
« franchigie e privilegi » promosso la
immigrazione delle genti di ogni paese,
che con un lavoro indefesso avrebbero
poi fatto della città Temporio dell’Adriatico.
11 primo a giungere, nel 1751, fu
Ignazio Bianchi professante « la confessione elvetica riformata », seguito
tosto da Gasparo Griot, entrambi grigionesi, caffettieri e pasticceri che aprirono una modesta bottega in contrada
Piazza Piccola, dietro la Loggia municipale. Seguirono altri caffettieri ed
osti che, con un lavoro ostinato, si
crearono solide posizioni finanziarie.
11 loro successo chiamò altri connazionali a Trieste. Essi incominciarono subito a tenere delle riunioni religiose.
...6
quella valdese
Evidentemente, con gli eventi del
1918, la Comunità Elvetica venne
a trovarsi separata da Vienna. D’altra
parte la Chiesa Valdese si preoccupa
di essere presente in quella città diventata italiana. Nel dicembre 1918 il pastore Francesco Rostan giunge a Trieste e vi resta fino a Pasqua dell’anno
successivo; il suo posto è quindi preso
da Davide Revel. Il 1® ottobre 1919
giunge a Trieste il pastore Guglielmo
Del Pesco che vi rimarrà per quasi
trent’anni e cioè fino alla sua elezione
La comunità valdese fu ben presto
una chiesa « saldamente organizzata »
che si costituisce come tale, la domenica 21 giugno 1920, con 60 membri
comunicanti e una popolazione di un
centinaio di anime. La scuola domenicale, leggiamo ancora nel primo rapporto annuo, ha 35 iscritti; 12 catecumeni hanno ricevuto l’istruzione religiosa ed è stata anche organizzata una
Unione Femminile.
villi più sottili ed i gesuitismi più subdoli per far naufragare la cosa. Gli Elvetici, con una pazienza ed una costanza esemplari, superarono ad una ad
una tutte le difficoltà e le ridicole restrizioni che si volevano imporre riguardo all’uso, o megho al non uso di
certe porte, del campanile e delle campane. Anche la proposta svantaggiosa
di una permuta fra S. Silvestro e la
chiesa « del Christo » venne respinta.
Il 1“ gennaio 1926 un terremoto di
una certa violenza fece apparire delle
crepe preoccupanti nel venerando edificio, che venne immediatamente chiuso al culto. I lavori di restauro ebbero
la durata di 18 mesi, fino al maggio
1928.
Finalmente una dichiarazione, redatta con fermezza dal console inglese
della città che si appellava ai « rescritti tolleranti deli’Augusto Sovrano »,
appianò definitivamente tutte le difficoltà.
privatamente, in casa di Rodolfo Ferdinando luvalta, uno dei fondatori e
capo della corauintà.
Nell’ottobre dei 1781 Giuseppe II
pubblicò il suo famoso Editto di Tolleranza, che scatenò contro di lui « i
fulmini e il veleno dei preti », come
dice il Tribel, che permise però alla
comunità di Confessione Elvetica di
organizzarsi meglio e di aprire una
cappella sulla piazzetta di S. Giacomo.
Il 2 ottobre 1786 fu finalmente possibile aprire al culto riformato S. Silvestro « con immenso concorso di tutte le religioni ed in presenza del Eccelso Governo e dei Dicasteri della
città ».
« La S. Bibbia, dice uno storico, divenne l’ornamento di questo tempio
venerando, la liturgia regola delle preci comuni; una tavola semplice per
ramministrazione dei sacramenti. Il
servizio divino viene tenuto tanto in
lingua tedesca quanto nell’idioma italiano ». La comunità dipendeva dalla
Sopraintendenza di Confessione Elvetica in Vienna ed era diretta dal Presbiterio.
Più che un restauro, si trattò di una
riscoperta dell’antica chiesa che,
per interessamento del pastore Guglielmo Del Pesco, e sotto la guida esperta
della Sovrintendenza ai Monumenti,
venne liberata da tutte le sovrastrutture barocche che restauri precedenti avevano accumulato. Riapparve così la
graziosa chiesa come doveva presentarsi dopo i restauri del 1332. Un anonimo così si esprime : « la piccola ed
umile chiesa di S. Silvestro, che fino
ad ieri sfuggiva allo sguardo, è divenuta oggi un gioiello della nostra città
vecchia, uno di quegli antichi gioielfi
dei quali è pregio non il valore intrinseco della materia, ma la grazia e la
stessa umiltà ».
11 culto di riconsacrazione della domenica 6 maggio 1928, presieduto dal
vice moderatore della Tavola Valdese,
coincideva con rinsediamento del nuovo parroco. Erano presenti, oltre ai
membri della comunità, le autorità cittadine. Il culto serale raggruppava i
rappresentanti di tutte le chiese della
città e fu celebrato « nello spirito di
Losanna e di Stoccolma ». Una sola
assente : la chiesa romana. Però il vescovo di Trieste e Capodistria, il dott.
Luigi Fogar, aveva fatto rispondere al
pastore ringraziando «.per il gentilissimo pensiero», assicurandolo delle sue
preghiere. La cerimonia si chiuse con
la benedizione invocata dai sette ministri presenti; tre valdesi, un aglicano,
un luterano, un metodista e un ortodosso.
I giornali palarono ampiamente di
quell’evento. La sola nota stonata pervenne da « Vita Nuova », il settimanale di Azione Cattolica, che nel suo n.
420 scrisse tra l’altro : « l’antica chiesa cattolica edificata sull’area dove abitavano le martiri cattohche Eufemia e
Tecla, intitolata al papa cattolico S.
Silvestro, rubata con sacrilego decreto
dall’imperatore Giuseppe II e venduta
ai protestanti calvinisti Svizzeri e da
questi ceduta in affitto agli eretici vaidesi, venne domenica riaperta al culto
protestante dopo il completo restauro
che le diede l’austero carattere di un
tempo. Ci auguriamo che la festa d’arte e i ricordi del cattoheesimo, di cui
sono permeati il-suolo e le mura del
venerando tempio, facciano riflettere
i nostri aberrati fratelli e li riconducano alla casa patema dalla quale la ribellione li ha allontanati ».
Appello alla solidarietà
di tutti gli evangelici
Oggi, nuovamente, si è costretti a
parlare di restauri a S. Silvestro.
Alcuni pericolosi cedimenti, alla fine del 1963, rivelarono che il vetusto
edificio non poggiava su fondamenta
solide. Questo rendeva la stabilità dell’edificio molto precaria. Nel gennaio
1964 la chiòsa doveva essere chiusa al
culto. I lavori di restauro che esigevano minuziosi progetti e grande serietà
di intenti venivano iniziati nel settembre del 1965 e sono tuttora in corso. Si
è così riaccesa in tutti la viva speranza
di rivedere aperta al culto l’antica Basilica.
Aderendo ad una richiesta del Presbiterio Elvetico, la Commissione del
III Distretto, d’intesa con la Tavola
Valdese, ha deliberato di invitare tutte
le comunità del terzo Distretto a destinare, per i restauri di S. Silvestro, la
colletta che verrà fatta al culto di Pasqua. E’ un piccolo e doveroso segno
di solidarietà che noi Valdesi desideriamo dare alla Comunità Elvetica di
Trieste che ci ospita da tanti anni. Anche se la cifra che raccoglieremo sarà
pur sempre modesta in rapporto alle
necessità, vogliamo sperare che questo
segno di solidarietà dia nel futuro abbondanti frutti nel campo della comune testimonianza e del comune servizio che come chiesa vogliamo rendere al nostro Signore.
Un invito alla solidarietà ci permettiamo di rivolgere anche a tutti i triestini — e sono molto numerosi — che
vivono in altre città come pure a tutti
gli amici legati alla vecchia Basilica dai
ricordi di un tempo, forse anche remoto, ma che sono sempre vivi per le
esperienze vissute fra quelle mura venerande.
Tutti possono servirsi del c.c.p. numero 11/1194 intestato alla Comunità
Elvetica (Via Torrebianca 41) specificando la causale del versamento. I doni sono ricevuti, con riconoscenza, anche dal pastore.
Umberto Beri
a Moderatore, nell’autunno del 1948.
La comunità nascente è costituita da
« un piccolo nucleo ». Prima aneora
che intervenga la convenzione che regolerà i rapporti fra le due chiese Riformate presenti a Trieste, il Presbiterio, con un atto di solidarietà e di generosità veramente ecumenica, mise a
completa disposizione dell’opera valdese la sua chiesa che in forza degli
eventi era chiusa temporaneamente al
culto. Infatti il parroco elvetico Schalaudek dalla fine del 1919 all’ottobre
del 1924 fungeva anche da amministratore della Comunità Augustana e predicava nella chiesa di Piazza Evangelica.
NOTE di
LETTURA
Il volto del Protestantesimo francese
Per quanto i rapporti tra la Chiesa Valdese e il Protestantesimo francese non siano
purtroppo oggi cosi stretti come per il passato, la conoscenza della sua storia e della
sua vita costituiscono sempre un motivo di
profondo interesse; e non si può d'altra parte rinnegare l’influenza secolare esercitata
dalla cultura e dalla vita religiosa del Protestantesimo francese sul nostro mondo
valdese, o trascurare la straordinaria affinità
di certi problemi di natura sociale e teologica.
A quanti sono pensosi su questi problemi
segnaliamo di Pierre Lestringant, professore
alla Facoltà Libera di teologia protestante
di Parigi, un documentato ed interessante
volume di 214 pagine: Visage du Protestantisme Français (con una introduzione del pa
store P. Bourguet (presidente del Consiglio
nazionale della Chiesa Riformata di Francia),
edito nella collezione : Les cahiers de Réveil
(Tournon . Ardèche) Fr. 6,50.
E’ un volume indispensabile per chiunque voglia conoscere (c comprendere) la situazione del Protestantesimo francese, oggi.
Accade a questa storia, quello che accade
alla storia valdese : conosciamo questi movimenti in quanto essi hanno di eroico : la
storia dei Padri, il periodo delle persecuzioni. Poi, la nostra storia (o meglio: la nostra conoscenza e il nostro interesse) si ferma col periodo grigio dell’illuminismo ed
arriviamo, per quanto ci concerne, al ’48
senza aver le idee molto chiare. Per il protestantesimo francese, la scena è più ampia,
i problemi più complessi, ma. fondamental
mente la situazione non è molto dissimile.
Pierre Lestringant, docente di teologia pratica,
ci dà in questo volume, che uno storico di
professione potrebbe invidiare, uno strumento prezioso per colmare que.sta lacuna. Ecco
gli argomenti trattati: 1) geografia e fisionomia sociale del Protestantesimo francese, oggi (interpretazione deU'ercdità protestante ante-rivoluzione francese, struttura ..ociale, e
sua evoluzione, del protestantesimo francese).
2) La Chiesa Riformata e l'elaborazione dei
suoi caratteri fondamentali (Scisma delle
Chiese riformate di Francia — La predicazione metodista — Le Chiese libere — Il
darbismo —■ La riconciliazione). 3) La Chiesa luterana in terra di Francia. 4) Le Chiese
Battiste.
L.A.V.
Is
6
pag. 6
N. 13 — 1 aprile 1966
L'Evangelo e l'ateo
L’unica risposta che la Chiesa può dare oggi all’ateo è questa :
riformarsi costantemente secondo la norma viva dell’Evangelo,
Dice Paul Valéry che oggi lo scontro ideologico non è tra credenti ed atei, ma tra coloro che credono che credere abbia un senso
e quelli che credono che non lo abbia. Non
mi sento di accettare questo giudizio perchè la fede neU’Evangelo è altra cosa, diversa, da un credere che valga la pena di avere
una fede. Infatti non crediamo nell’Evangelo perchè crediamo che valga la pena di credere, ma crediamo che valga la pena di credere perchè siamo stati toccati dalla Grazia
che ci ha rivelato un certo insieme di scritti
come Evangelo. Solo per mezzo della Grazia
l'Evangelo acquista un senso, un significato
ed ha, pertanto, senso e significato credere
in Esso. Non ha senso il credere in generale perchè, in genere, il credere in generale
non è che carica emotiva e passionale con la
quale rivestiamo idee non ben digerite e capite. Se queste idee fossero ben capite, non
avremmo bisogno di credere in esse, ma ci
convincerebbero. Ci convincerebbero nella
misura in cui possiamo essere convinti da
qualche cosa di umano, cioè nella piena coscienza che tutto ciò che è umano è un assurdo e che tutto ciò che capita nella storia
non ha senso alcuno.
Se veramente dovessi scegliere tra quelli
che credono che credere abbia un senso e
quelli che non ci credono, mi metterei tra
questi ultimi. Infatti non credo nè all’uomo (che è sempre un ipocrita, verso se stesso e verso gli altri), nè al passato della storia umana (quel pesante passato che non è
certo glorioso, salvo — forse — solo per
quei popoli che non hanno storia!), nè al
futuro della storia umana (quel futuro che
dà ancora le vertigini a tanta gente, ma che
riposa solo sull’illusione dell’idea di progresso — quale progresso, poi? — intesa come
panacea universale). Per fortuna, oggi, gli
uomini cominciano a non più essere nè conservatori (il peso del passato!), nè rivoluzionari (le vertigini del futuro!).
Perciò non credo che si possano dividere
gli uomini in credenti ed in atei, perchè, per
l’Evangelo, non ci sono credenti o atei come
non ci sono greci o giudei, liberi o schiavi.
L'ateo non è un cuore indurito : è una possibilità dell’Evangelo, un uomo che io devo
vedere come un possibile destinatario della
Rivelazione. Io stesso sono ateo, nella misura in cui riaffiora in me il mio eterno uomo
naturale che cova in me. Io stesso sono un
ateo in atto, ogni volta che l’Evangelo diventa per me questione religiosa, filosofica,
storica, sociale, politica o culturale in genere. L’Evangelo, infatti, non è una questione;
se lo è non è più Buon Annunzio, ma —
appunto — questione storica di coloro che
credono che sia buon annunzio. Sennonché,
che l’Evangelo sia Buon Annunzio non dipende dalla credenza degli uomini. Non è
perchè ci sono uomini che credono che l’Evangelo sia buon annunzio, che l’Evangelo
è Buon Annunzio. E’ piuttosto vero il contrario : quando l’Evangelo si annunzia come
Buona Novella a qualcuno, questo qualcuno
diventa un credente. L’Evangelo di Gesù
Cristo è il primo, la fede è seconda. C’è prima l’annimzio (quando c’è) e, poi, c’è la
risposta. Perciò non credo nella Chiesa, non
credo nel Cristianesimo, non credo in Dio.
Cos’è la Chiesa? Un’organizzazione umana.
Cos’è il Cristianesimo? Un complesso di dottrine vetuste ed onuste (non certo di glorie)
lasciate in deposito nei secoli da certi uomini che, in genere, le hanno formulate ma
non realizzate. Cos’è Dio? Un concetto, un
mito, un miraggio, un’alienazione dell’uomo.
Non è il Dio della religione che ha fatto gli
uomini, sono gli uomini che han fatto il Dio
della Religione. Credere pertanto in queste
cose è un assurdo. Sono scontate da tempo,
queste cose, giustamente scontate. Sono il
prodotto ormai decrepito degli uomini che
di esse avevano fatto il primo motivo della
loro vita.
Ma i primi cristiani non avevano fatto
cosi! I primi cristiani non credevano nella
Chiesa (che, come organizzazione, venne solo
dopo Costantino), non credevano nel Cristianesimo (che, come prodotto culturale, venne
anch’esso assai tardi, dopo il connubio — non
sempre casto — della fede nell’Evangelo con
la filosefia), man credevano in Dio (quel Dio
di Abramo, Isacco e Giacobbe che non diceva più nulla a nessuno, o quel coacervo
di dei dell’Olimpo che aveva cessato un qual,
siasi senso per i Greci ed i Romani). I primi
cristiani furono eolwo che-risposero alla-chi*,
mata deU’Evangelo (ed in questo senso soltanto fu chiesa), e la scoperta di Dio come
Padre fu una scoperta successiva di coloro
che, prima, si eran sentiti dire dal Figliuolo:
« tu seguimi ».
La religione non conduce alla croce : è la
croce che fa il credente. La fede requisisce
il pensiero: « amerai il Signore Iddio tuo
con tutta l’anima tua ». La fede è risposta e
non fonda pertanto proprio niente : quando
vuol fondare qualche cosa si rivela precaria,
instabile in questo mondo in cammino, sospesa com’è al ben volere di Dio, svelata a
metà dal Cristo. Perciò, nei confronti dell’ateo, il credente nn può che esser,- un testimone, peraltro mai all’altezza del suo compito, dell’amore di Cristo : non un testimone
dell’esistenza di Dio. Per l’ateo il credente
può essere solo lo specchio che gli rimanda
l'immagine ingrandita della sua smisurata
ambizione prometeica; il credente è bruciato da quel fuoco che, invano, l’uomo moderno —• come Prometeo — cerca di carpire
lontano, fuori di sè.
Ben vengano quindi le critiche della religione dell’età presente, come la marxista o
la nichilista. Sono segni di non-conformismo
c pongono fine a quell'era nefasta in cui
troppo a lungo politica e religione da un
lato e religione deU'uomo e religione di Cristo dall’altro sono state confuse.
La critica marxista della religione è il ten.
tativo più serio fatto finora per spoliticizzare
la religione e per rendere veramente profana
(senza residui sacrali e mitici) la politica.
Il marxismo nou è una eresia cristiana nata
dal fallimento del Cristianesimo sul piano
cnminciando con l’impegnare la
lotta contro la «religione»
dell’impegno sociale, ma ha il merito di aver
denunziato e svelalo i rapporti nascosti che
intercorrono tra religione (e quindi anche tra
Cristianesimo) e manifestazioni di dominio
dell’uomo sull’uomo. Col pretesto del doveroso riconoscimento del dominio di Dio sugli uomini si giustificava e si avallava il dominio degli uomini sugli uomini e del denaro
sulle cose. Dio, infatti, essendo un concetto
non dominava affatto, ma era dominato dal
pensiero degli uomini : il pensiero è appunto
lo strumento di dominio sui concetti. Senonche la fede è risposta non pensiero, ed è
risposta ad un Appello -che viene non da un
concetto ma da Cristo Gesù, Dio ma uomo,
Vivente ma morto sulla croce, uccìso dagli
uomini ma proprio perciò non dominato, assoggettato dagli uomini. Se Cristo fi>sse stato
un concetto degli uomini non avrebbero avuto bisogno di ucciderlo.
E* il Cristianesimo, sono ì cristiani che
spesso, quasi sempre ne han fatto un concetto, perciò lo hanno dominato e dominandolo sono morti loro alla fede. L’ateo, paradossalmente, rifiuta Cristo perchè non lo può
dominare. Certo tra ateo e credente rimane
un insanabile conflitto, come rimane tra cristiano e marxista. Ma non è il conflitto teorico tra due concetti : esistenza o inesistenza
di Dio. E’ il conflitto tra due concezioni diverse della libertà deU’uomo. Per il marxismo
la libertà si forgia la strada attraverso le
pene e le fatiche e l’uomo si umanizza umanizzando la sua natura per mezzo delle scienze e delle tecniche. Per l’Evangelo, invece, la
libertà discende da Colui che è il Liberatore dalla morte e dal peccato e questa libertà fa esplodere la ferrea necessità del mondo
e libera l’uomo perchè l’uomo si umanizza
lasciando che la Parola di Dio si umanizzi,
per mezzo del .suo amore e della sua obbedienza, nelle sue sofferenze e nella sua resurrezione.
L’altra critica della r-eligione è quella nichilista di Nietzsche. Anche questa è giusta.
Perchè non si può negare che non c’è ntilla
di comune tra la potenza dell’Evangelo quale Cristo l’ha rivelata e quella vita ordinata,
filistea, pigra e paternalistica (la fede nel
Buon Padre Celeste!) in cui consiste l’esistenza borghese quale venti secoli di cristia
nesimo hanno prodotto e quale Nietzsche denunzia nelle sue opere. In Nietzsche l’uomo
moderno non vive più la sua vita in relazione con queirUno-Unico che è Cristo ma vuol
vivere la sua vita in relazione con quell’uno-unico che è se stesso e perciò non trova altro che il Caos ed il Caso, > non può
far alti*o che aggrapparsi a qualunque cosa
per non naufragare (nasce così l’illusione
che valga la pena di credere) salvo poi a scoprire il Nulla della sua esistenza (per Nietzsche fu la follia in cui finì). Il Nulla e
l’eterno ritorno di tutte le cose sono le scoperte dell’uomo moderno esistenzial-nìchilista. Eterno ritorno dei fallimenti umani, dei
naufragi dei nostri progetti, delle itroci mostruosità della storia...
Le .'inee che precedono mi sono state ispirate dalla lettura di un agile volumetto che
Gabriel Ph. Widmer ha pubblicato per i tipi
di Labor et Fides dal titolo « L’Evangile et
l’athée ». Non è una confutazione dell’ateismo. Non è nemmeno un libro polemico nè
verso l’ateismo, nè verso la pseudo-fede degli
pseudo-cristiani. E’ piuttosto un confronto :
non tra due fedi (in Dio e nel non-Dio) ma
tra le varie fedi umane (anche l’ateismo è
una fede) e i’Evangelo. Qual’è la conclusione
che Widmer trae alla fine del suo libro?
Di fronte alla dottrina del nichilismo ed
alla sua tesi dell’eterno ritorno pessimistico « niente di nuovo sotto il sole ») il
credente crede che tutto è compiuto perchè
dal giorno deH’incarnazione della Parola di
Dio in Cristo nulla sfugge, per la fede, alla
Signoria di Cristo e del Suo Verbo. Non ci
sarà quindi un eterno ritorno di tutte le
miserie umane. E di fronte alla dottrina mar.
xista ed al suo inebriamento del futuro il
credente sa che lutto deve ancora essere com.
piuto da parte delLuomo, in risposta al compimento di Dio in Cristo. L’unica risposta
pertanto che oggi la Chiesa possa dare all’ateismo è questa : riformarsi. Ecclesia reformata et semper reformanda.
i Roberto Jouvenal
GABRIEL-Ph. WIDMER - L’Evangiie
et Tathée. Labor et Fides, Genève
1965, p. 165, L. 1.800.
'^‘‘Personaggi,, dimenticati : Foste, e altri
Il SUO prossimo
Come nella vita quotidiana, anche nella Scrittura ci sono dei « personaggi » che s’impongono di prepotenza, s’accaparrano l’attenzione e
relegano nell’ombra altre creature che pur sono vive, vere per una loro
concretezza. Tutti ricordano la vedova di Sarepta e il profeta Elia, ma
ben poco hanno da dire per quel figlio della vedova che pure si trovò
coinvolto neH’esperimento. Anche i due fratelli apostoli-pescatori sono
interessanti, ma al padre che fu piantato in asso nessuno ci pensa, come
nessuno s’occupa di quei poveri servitori che girano da matti per mettere a tavola della gente per il gran convito... Inutile seguitare, meglio è
fermarsi su un’altra delle parabole più conosciute, quella « del buon
samaritano» (Luca 10: 25-37).
Anche qui abbiamo «un personaggio» dimenticato: l’oste. In
sostanza è il solo che vediamo al suo posto, nel quadro normale della
sua attività; riceve i viaggiatori, si prende cura di loro, e si fa pagare.
Eppure v’è in questo oste della parabola, come nel suo rapporto semplice
e schietto col samaritano, una ricchezza d’umanità fiduciosa che ammiriamo: da albergatore si fa infermiere, riceve un acconto e sulla parola
del soccorritore non discute; senza parere, entra nella scìa del samaritano e collabora con lui.
Ed eccoci al meschino che sbadatamente a volte consideriamo solo
quanto una cavia utile per l’esperimento: l’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico. Ricorda un po’ il « conservo » della parabola del
servitore spietato, quel tale che fu preso a pugni e quasi strangolato ;
davanti all’onnipotente presenza del padrone ed alla superba malvagità
dello spietato, non finisce come uno straccio sbattuto in un angolo? Così
il nostro malcapitato viaggiatore, che s’ebbe un fracco di legnate e fu
lasciato come un fraccurado sulla strada maestra. Eppure, ed è qui che
intravediamo una luce imprevista, all’uomo infortunato e soccorso — a
questo non identificato — Gesù Cristo assegna un compito di testimonianza: è lui che indica chi sia il prossimo!
Infatti, avrete notato l’uso bivalente del termine « prossimo »; al
dottore della legge che aveva domandato: « E chi è il mio prossimo? »,
il Maestro per risposta indica il buon samaritano. Egli è stato il prossimo
di colui che s’imbatté nei ladroni. Una risposta straordinaria, ch’è un
invito « ad essere il prossimo di qualcuno », a non porre questioni sottili ed eludenti, perchè siamo chiamati a essere indicati come il prossimo
piuttosto che a indicarlo. (O forse tutt’e due le possibilità sono valide?).
Comunque, questo tratto singolare non va dimenticato: sono le persone nell’ombra, le figure minori che sembrano fare da contorno o da
pretesto, quelle che sono scelte a indicare « chi » sia il prossimo. E’ per
tale ragione che noi testimoniamo che Cristo è il nostro prossimo, e nel
a vai e fa’ TU il simigliante » riconosciamo quel vivere « in Cristo » che
ci vuole « prossimo » d’altre creature.
Luigi Santini
miiimNMiiimnMHiiiMiiiitiiiimimimNiiiiiHiKiiiiiHKmiimiiuiiiiiiiiiiii
' Il II iiiiiminiiuiiiiiiimii 11111111111:11111111111111111111:11111111111111111111111111
iiiinniiiimiiiiiM
UNA VALDESE IN ISRAELE > 4
A Gerusalemme, e ne! deserte
Nell’articolo precedente vi abbiamo
dato notizie della Galilea mentre ora
vi parlerò del nostro ■viaggio nel deserto e a Gerusalemme.
La strada che ci condux» a Gemsar
lemme è tortuosa perchè sale a 800
metri d’altitudine. Lungo la strada
molte pietre, pini e eucaliptus e qua e
là delle automobili blindate, carri armati, con le ruote in aria, arrugginiti stanno lì a ricordare la liberar
zione del paese e ancora di tanto in
tanto delle lapidi commemorative di
caduti per l’indipendenza.
Prima di arrivare a Gerusalemme
andiamo a Ramat-Rachel, punto di
vista sulla frontiera di dove si vede
a qualche Km. Bethlehem che è in
Giordania. Piccola borgata con case
quadrate a tetto piano; una piccola
strada bianca conduce da Bethlehem
a Gerusalemme; tutto è rimasto come 2000 anni fa e sarebbe facile rappresentarsi Gesù su di un asinelio
che arriva col suo drapi^llo di discepoli sul monte degli ulivi; ma pure
una differenza c’è: si vedono delle
piccole fessure nel terreno, di dove
spuntano le mitragliatrici degli arabi
che fanno la guardia. Lasciamo quest’angolo di Israele per entrare in Gerusalemme: grandi paiazz' e vicino,
piccole case di legno dove gli Immigranti vengono accolti ed aspettano
Ultime tappe; la capitale divisa - il Neghev
Eiiat, porta del sud - Le miniere di re Salomone
iMiiiiiiMiMiiiimimi
UN ROMANZO
PER LA MAFIA
Segnaliamo ai aostri lettori : La Mafioso,
romanzo di Alberto Denti di Pirajno (ed,
Longanesi) L. 1.800. Un romanzo che non
è un capolavoro: l’ambiguità dell’azione, che
oscilla tra verismo e pseudo-romanticismo,
tra documentario e fantasticheria, provoca
squilibri, introduce divagazioni che appesantiscono il racconto. Ciò nonostante, il libro
è interessante, contiene pagine finissime di
notazioni psicologiche sullo « spirito » e sull’ambiente nel quale è nata e fiorisce o vivacchia la Mafia. L’autore non vuol difendere la Mafia, ma cerca di comprenderla,
non per amore di una causa, ma perchè egli
ama questa terra e questi uomini, irretiti
da vincoli e tradizioni secolari. 11 contrasto
tra isola e continente, tra Palermo e Roma :
il continente, vivo, dinamico, con la grande
metropoli corrotta che manda i suoi candidati a racimolare voti nell’isola, chiusa e
muta, misera e orgogliosa...; la Mafia che
cerca di adeguarsi ai tempi ed ai costumi...;
la Chiesa, coi suoi santuari, i suoi pellegrinaggi..., costituiscono il quadro dell’azione
ed hanno ispirato le pagine più riuscite del
romanzo e ricche di ispirazione.
L.A.V.
ohe nuove case siano costruite per entrarne in possesso. Visitiamo nei
dintorni il nuovo ospedale di Gerusalemme, uno dei più belli e moderni
d’Oriente, con 600 letti; la sinagoga
di quest’ospedale possiede i celebri
« vitraux » di Chagall che rappresentano le 12 tribù d’Israele. Visitiamo
ancora l’imiversità di Gerusalemme
tutta nuova, con sale di lezione munite di microfoni e aria condizionata;
in questa università si studia in ebraico e si parla l’ebraico. Quindi ci dirigiamo al mausoleo, costnütp recentemente unicamente in memoria dei
sei milioni di ebrei, periti durante l’ultima guerra: grandi pietre tombali
che formano il pavimento con le
iscrizioni : Bergen, Dachau, Ravensbriick. Auschwiz, ecc. La fiamma perenne si consuma in mezzo a questa
stanza, costruita di pietre naturali,
posate le une sopra le altre e all’entrata una grande porta massiccia,
con sculture moderne di ferro, che
rappresentano le torture. Sotto questa
stanza il museo, che ricorda la vita
degli ebrei, l’antisemitismo dal 1936
alla fine della guerra con fotografie,
lettere, pezzi di giornali e anche reliquie appartenute a dei martiri. Dopo
questa triste visita ritorniamo a Gerusalemme che è divisa in due da un
muro; la parte antica in Giordania e
la parte moderna in Israele; peccato,
non possiamo recarci in Giordania,
dove ci sarebbero le cose che ci interessano maggiormente: Monte degli
ulivi, giardino del Getzemani, Golgota,
il tempio, eoe... e ci accontentiamo di
vederle di lontano.
Andiamo a visitare il Monte Sion,
dove si trova, secondo la tradizione,
la tomba del Re Davide e ima magnifica chiesa tenuta dai padri francescani detta la chiesa della Dormizione, di stile romano.
In una casa viciiina, saliamo dei
gradini di pietra e arriviamo nella
«camera alta» dove Gesù fece !’ultima cena con gli apostoli e dove
questi rice vettero lo Spirito Santo ;
è una stanza semplice, grande con
delle finestre alte donde si può vedere Gerusalemme; accanto alla camera alta, si trova una casa; là abitava Marco evangelista.
Partiamo quindi da Gerusalemme
per avviarci verso Beer-sheva (7 pozzi) dove c’è il pozzo di Abramo e
dove il patriarca veniva a cercare l’acqua: Beer-sheva è la capitale del deserto: fondata sulla sabbia, esisia possiede palazzi moderni ; è stupendo
vedere con quale rapidità si è sviluppata, quando si pensa che cinque-sei
anni fa c’eràno soltanto alcune case e tende ed ora è una grande città.
Di là entriamo nel deserto di sabbia per incominciare, con steppa, arbusti mezzi secchi, e di tanto in tanto
incontriamo un’accampamento di Beduini, che vivono sotto tenda e pascolano i loro cammelli, le loro capre
e alle volte qualche mucca ; ci domandiamo cosa possono mangiare queste
bestie, e come degli uomini possono
vivere in un caldo simile e con grande penuria di acqua.
Poi entriamo nel Neghev, un deserto particolare nel suo aspetto, perchè fatto di pietre, montagne di pietre, antichi vulcani pieni di pietre,
pietre dappertutto; è desolante! e
tutto è così nudo, non un albero, non
un germoglio, delle statue Immense,
formate dagli strati di pietra, con
colori che variano dal giallo-oro al
rosa, viola, blu, verde. Il tutto è magnifico! Da strada continua tortuosa,
sale e scende, e poi risale e ridiscende
ancora, sempre fra le pietre, piramidi altissime, un sole bruciante e un
cielo blu, quasi bianco, a motivo del
calore; il vento soffia, un vento caldo
che fa volteggiare la sabbia e cl toglie il respiro. Ad una curva un grido
« Oh ! un lago » ma aJiimè ! è un miraggio: infatti, per effetto del calore,
un leggero vapore esce dalla terra ed
è riflesso dal cielo, ohe produce nella
lontananza una sorte di nebbia blu.
Così continuiamo per 250 Ito. E>i
tanto in tanto una stazione di benzina con un piccolo negozia, molto primitivo, e corriamo a cercare da bere:
infatti fa tanto caldo che non pensiamo a mangiare, ma solo Uaoqua conta. Ed ecco finalmente, in lontananza una bella distesa blu; no, non è
più un miraggio... è il Mar Rosso, magnifico, dall’aoqua di un blu intenso
e limpido ohe ci consente di vedere
il fondo del mare; è popolato ^ moL
ti pesci multicolori, di coralli e di
orsi marini, eoe... Là c’è Eiiat, la città
più a Sud d’Israele, il porto d’Israele
sul Mar Rosso. La città non ha nulla di speciale: grandi palazzi vicino
a ville, case di legno; c’è un po’ di
tutto e anche qui fa molto caldo; è
un sollievo di potersi tuffare nel mare Rosso e ci si resterebbe volentieri
tutto il giorno. Qui abbòamo dormito sulla spiaggia, all’aria libera con
il cielo stellato per soffitto e il fruscio del mare per cullarci; la sveglia
è per le cinque del mattino e rii>ar
tiamo alla scoperta del deserto; ’3
miniere del Re Salomone, immeri -.i
pilastri naturali di pietra che sei ' ivano da forni per fare sciogliere il
rame ; infatti in questa regione fi
estrae il rame dalle pietre (ne c<> itengono molto) ancora oggi, ma c n
mezzi diversi da quelli dei tempi oel
Re Salomone. Quindi visitiamo u: a
antica città romana costruita in m; zzo al deserto ma su di una collii: a,
Avolad; in quei tempi aveva deU’.'Cqua perchè c’era una sorgente vicir, i.
Poi si parte per il mare Mort /:
qui la tem,peratura raggiunge la t? ù
alta gradazione mai avuta nel nost o
viaggio, fa molto caldo e umido, e
siamo a 385 m al disotto del liveLo
del mare. La vita è dura e poi ci
sono molte zanzare e pericolo ancora
di malaria. La natura è veramer) e
tropicale : alberi con fiori di colori
vivi, piccoli arbusti, e montagne ai
pietre bianche, perchè calcaree e contenenti molto sale; ai piedi di queste
montagne il mar Morto di colore
grigio-blu: le sue acque sono dense
come deH’olio perchè ricche di minerali di tutti i generi e di un odore di
zolfo piuttosto sgradevole; un bagno
in quest’acqua non è molto piacevole
ma... è per noi interessante; infatti
è impossibile nuotare, bisogna lasciarsi galleggiare seduti come in poltrona; e i pesci non possono viverci.
Dopo questo bagno, abbiamo apprezzato l’acqua fresca e pura che esce
fra le roccie, dalla sorgente detta
del Re Davide, dove il Re Saul si era
nascosto e dove Davide, avendolo trovato addormentato, tagliò un pezzo
del suo mantello; come è riconfortante vedere quest’angolo verde in
tanta siccità.
Visitiamo ancora il forte romano
di Massada con i resti delle fondamenta del palazzo di Erode dove
stanno facendo scavi archeologici importanti. Di qui ritorniamo a Beersheva, ©d eccoci contente di tutto
quello che abbiamo potuto vedere, ma
contente pure di avere un po’ meno
caldo e meno sete.
Eravamo stanche, sporche, sempre
fra sabbia e pietra, ma che bellezza
persino in questa natura fatta solo
di pietre, e che grandezza, che forza
in questi monti in questo paese pure
così arido.
(Questo piccolo viaggio in Israele è
finito; siamo ritornate contente della
nostra esperienza e di tutto quello
che abbiamo visto: ricorderemo con
gioia la terra dove Gesù è vissuto e
che ci ha consentito di riscoprire il
messaggio del Salvatore- e se una
volta ne avrete l’oooasione, andateci
pure voi, chè questo paese è interessante e ricco di storia.
Giovanna Laetsch
7
1 aprile 1966 — N. 13
pag. 7
BiLANCIO
DEL CONCILIO
L'aggiornamento
ecclesiologico :
I laici e la gerarchia
Il Vaticano II non è stato solo «il
Concilio dei vescovi » ma anche, e in
misura davvero notevole, « il Concilio
dei laici ». E’ anzi la prima volta nella
storia della Chiesa cattolica che in un
suo ccncilio la questione del laicato è
stata oggetto di una trattazione specifica. Il Vaticano II, attraverso amnie
e ai imate discussioni, ha elaboralo
una vera e propria, anche se succinta,
teologia del laicato,-, portando »cosi a
compimento quel processo di rivalutazione della figura e della funzione del
laicato nella Chiesa che era in corso
già da alcuni decenni nelle correnti
più vive della teologia cattolica e che
Pio XII in particolare aveva approvato e incoraggiato.
Finora, com’è noto, ia dottrina e la
vita della Chiesa cattolica erano impostate in modo tipicamente clericale,
0 meglio la loro componente clericale veniva costantemente accentuata.il
popolo dei fedeli era considerato più
come oggetto che come soggetto dell’azione della Chiesa. Doveva soprattutto ubbidire, facendosi docile esecutore degli ordini impartiti dal clero.
Al limite vigeva una identificazione
quasi totale tra Chiesa e gerarchia,
per cui il laicato appariva quasi come
un’appendice della Chiesa, con mansioni tutt’al più ausillarie nei confronti della gerarchia.
SUPERAMENTO
SENZA ROTTURA
Il Concilio ha criticato e corretto
una tale concezione della Chiesa e del
laicato. La Chiesa di Cristo — si legge nel cap. 2 del De Ecclesia — non
è in primo' luogo una gerarchia ma
un popolo, di cui fanno parte integrante tutti i credenti in Cristo, che
ha Cristo per capo e, per condizione,
la dignità e la libertà dei figli di Dio,
nei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio (par. 9). Questo popolo è un popolo di sacerdoti : il battesimo è una vera ordinazione sacerdotale e tutti i battezzati partecipano
dell’un icf'i sacerdozio di Cristo. Anche
1 laici, dunque, sono sacerdoti, in virtù de’ d.Tttesimo e della rigenerazione
per .'-j 'Spirito Santo: viene affermato
if. sacerdozio universale „dei,.
(par. lij), uno dei oàvàllì' di 'bàttiigÌìa'
di Lutero ! La realtà della Chiesa è
cos', presente nel laicato che la famiglia cristiana. « potrebbe chiamarsi
Chiesa domestica» (par. 11). Lo Spirito Santo agisce nel popolo dei credenti distribuendovi i suoi molteplici
doni (o carismi) e l’Autorità ecclesiastica, cui spetta il giudizio sulla loro
genuinità, deve soprattutto badare a
non estinguere lo Spirito (par. 12).
Il laico è dunque membro organico
e responsabile della Chiesa, popolo di
Dio. La sua dignità e i suoi compiti
sono esposti nel cap. 4 del De Ecclesia
e in un apposite Decreto sull’Apostolato dei Laici. Intanto si afferma che
« i sacri Pastori... sanno di non essere
stati istituiti da Cristo per assumersi
da soli tutto il peso della missione
salvifica della Chiesa verso il mondo,
ma che il loro eccelso ufficio è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro
ministeri e carismi» (par. 30). Anche i
laici infatti sono resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale
di Cristo (par. 31. 34, 35, 36) ed è appunto dalla loro unione con Cristo o
dal fatto di aver ricevuto i carismi deL
lo Spirito Santo che i laici derivano il
dovere e il diritto airapostolato'. L’apostolato dei laici è auindi partecipazione alla stessa missione salvifica della Chiesa, di cui ogni laico è « testimonio e insieme vivo strumento »
(par. 33): nella Chiesa c’è diversità di
ministeri ma unità di missione. La diversità dei ministeri non implica una
disuguaglianza fra chi li esercita, anzi
« vige fra tutti una vera uguaglianza
riguardo alla dignità e all’azione co
mune a tutti i fedeli neU’edificare il
Corpo di Cristo» (par. 32).
La missione dei laici nel mondo è
duplice : in primo luogo essi devono
evangelizzare, cioè annunziare Cristo
con la testimonianza della vita e con
la parola 'par. 35), affinchè «la forza
del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale» (ivi): la
evangelizziazione nel mondo, pur essendo affidata in modo speciale al clero, è uno di quei settori in cui « l’apostolato dei laici e U ministero pastorale si completano a vicenda » ( Decreto sull’Apostolato dei Laici, par. 6). In
tal modo i laici cooperano « alla dlla1 azione e aH’incremento del Regno di
Cristo nel mondo» (par. 35). In secondo luogo, i laici devono «illuminare e
ordinare tutte le coise temporali... in
modo che siano sempre fatte secondo
Cristo » (par. 31), devono consacrare a
Dio il mondo (par. 34), devono animare e perfezionare l’ordine temporale
con lo spirito evangelico « affinchè il
mondo sia imbevuto dello Spirito di
Cristo» (par. 36) e «l’ordine temporale venga instaurato in Cristo» (Decreto sull’Apostolato dei Laici, par. 7).
Neiradempimento di questa missione
i laici « hanno il posto di primo piano» (par. 36).
quali I RAPPORTI
FRA GERARCHIA E LAICATO?
In questo contesto, come si configurano i rapporti tra gerarchia e laicato?
Il Concilio li ha definiti in termini di
serviào reciproco. La gerarchia non
è chiamata a dominare sui fedeli ma
a, servirli : « i potori della Chiesa, sul1 esempio di Cristo, si servano fra loro
e servano gli altri fedeli » (par. 32; cfr.
par. 24). I membri della gerarchia lungi dal tenere i laici in una condizione
di supina sottomissione e di inferiorità vocazionale, « riconoscano e promuova-no la dignità e la responsabilità
^i laici nella Chiesa... lascino loro
libertà e campo di agire, anzi li incoraggino perchè intraprendano delle
opere anche di propria iniziativa », affinchè sia fortificato in loro « il senso
della propria responsabilità » (par. 37).
Nessun dispotismo, nessun autoritarismo da parte della gerarchia nei confronti dei laici : il vescovo dev’essere
Tanto che nel De Ecclesia vengono riferite al vescovo delle affermazioni
che il Nuovo Testamento riferisce
esclusivamente a Cristo (ad esempio,
al par. 27, il testo Ebrei 5: 1-2). L’opera
di Cristo e quella del vescovo coincidono a tal punto che non si vede come
la partecipazione dei laici all’opera di
Cristo Re, Profeta e Sommo Sacerdote
possa configurarsi altrimenti che come
una partecipazione all’opera del vescovo, un’integrazione nell’opera del vescovo.
L’UNIONE CON CRISTO
PASSA PER IL VESCOVO
Si, certo, anche il laicato cattolico è
profeta, re e sacerdote, ma solo in
quanto è unito al vescovo, nella cui
persona il Signore Gesù Cristo è presente in mezzo ai credenti e la cui
opera di insegnamento, governo e santificazione è l’opera di Cristo stesso
Profeta, Re e Sommo Sacerdote. Per
Si afferma che i rapporti fra gerarchia e
laicato sono di reciproco servigio, sono
** rapporti famigliari,, olnon hurooraiici
Un **saoerdoxio universale,, di tipo cat~
tolico, cioè fondamontalmento cierìcaìe
anzitutto «padre» dei suoi fedeli. Ma
anche nessun paternalismo : i laici devono poter ravvisare nel vescovo un
loro fratello: come hanno Cristo per
fratello, « così anche hanno per fratelli i membri della gerarchia » par. 32),
I rapporti tra gerarchia e laicato non
sono dunque tanto rapporti di carattere amministrativo e burocratico, da
sudditi, quanto « rapporti familiari »
(par. 37), da padre a figlio, da fratello
a fratello. Non si deve, in conseguenza,
più avere da un lato una gerarchia
che parla e comanda e dall’altro un
laicato ohe tace e ubbidisce ma al contrario tra gerarchia e laip-to deve av-,,
vennp «un continuo dialógo» (DeerS'
to sull’Apostolato dei Laici, par. 25).
Come si vede, il Concilio ha compiuto una rivalutaziane del laicato davvero consistente, sia sul piano dottrinale
che sul piano pratico, insìstendo sull’unità del popolo di Dio (pur nella diversità dei ministeri), sull’unità del
sacerdozio cristiano (pur nella distinzione fondamentale tra il sacerdozio
dei fedeli e quello della gerarchia),
sulla responsabilità di tutti nella missione della Chiesa (pur nelle diverse
« specializzazioni » nel comune servizio), sui rapporti di fraternità, di reciproca fiducia e di collaborazione che
devono sussistere nella Chiesa (pur
nel rispetto del suo ordinamento gerarchico). I laici non sono solo il
ponte o l’anello di cengiunzione tra la
Chiesa gerarchica e il mondo ma realizzano nel modo loro proprio la nresenza stessa della Chiesa cattolica nel
mondo. La Chiesa si individua anche
nel laicato, il monopolio clericale della
realtà e della missione della Chiesa è
stato superato.
UN CLERICALISMO
DILATATO?
Significa, questo, ohe la dottrina cattolica della Chiesa, dopo il Vaticano
II, non è più clericale, come lo è stata
per tanti secoli e che Roma ha infine
accolto ed attuato nel suo seno la dottrina biblica del sacerdozio universale
dei credenti? Dobbiamo ritenere che,
dopo la riabilitazione del laicato compiuta dai Concilio, non vi sono più, su
questo piunto almeno, differenze sostanziali tra cattolicesimo e protestantesimo? La posizione del laico nella
Chiesa cattolica è oggi più o meno
uguale a quella che il laico deve avere
in una Chiesa evangelica? Per poter
rispondere a queste domande, occorre
esaminare più da vicino la dottrina
conciliare del laicato, precisandone i
presupposti e situandola nei contesto
generale della dottrina della Chiesa.
Come s’è detto, il fondamento teologico della rivalutazione del laicato
cattolico avvenuta col Concilio è costituito dalla partecipazione dei laici all’ufficio sacerdotale, profetico e regale
di Cristo, cioè dalla loro unione con
Cristo Sommo Sacerdote, Profeta e
Re. Ma come avviene questa partecipazione dei laici alLopera sacerdotale,
profetica e regale di Cristo? E che cosa
significa « unione con Cristo » nel contesto della dottrina conciliare della
Chiesa? Abbiamo già visto in un precedente articolo, come i vescovi, in
virtù della consacrazione episcopale
« in modo eminente e visibile svolgono
il ruolo di Cristo stesso Maestro, Pastore e Sommo Sacerdote e agiscono
in sua vece» (De Ecclesia, par. 21): il
il vescovo cioè personifica Cristo, ne
è il vicario in ogni diocesi e ne esercita
l’ufficio profetico, regale e sacerdotale.
Non è che il vescovo si sostituisca a
Cristo, ma piuttosto si identifica con
Lui, ne è la vivente personificazione.
questo si dichiara che i laici « devono
tenersi uniti ai Vescovi come la Chiesa
a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al
Padre » (par. 27) : l’unione dei laici con
Cristo passa per il vescovo, o meglio,
liunione tra i laici e Cristo viene assunta in quella t'a i laici e il vescovo.
Non stupisce affatto che l’unione dei
laici con i membri della gerarchia venga considerata « im elemento essenziale» dell’apostolaio cattolico (Decreto
sull’Apostolato tfííi Laici, par. 23) : è essenziale appuntr; perchè è nell’unione
con la gerarchia che si concretizza ner
i laici la loro uni. me con Cristo, è nel, l’ùifipine col suo '^ae itolaico
trova non solo lal|igittiinazione ma la
sorgente stessa dtel suo apostolato.
Espressioni evangeliche come « unione
( dei laici ) con Cristo » e « partecipazione (dei la,ici) all'ufficio profetico, re.
gale e sacci dotale di Cristo » subiscono, nei contesto della dottrina conciliare sulla Chiesa fin processo di clericaUzzazione centràto sul vescovo ed
acquistano cos è un contenuto ben diverso da quello ohe esse hanno nella
teologia evangelioa. C’è somiglianza di
cspressicni ma diversità di contenuto.
Rispondendo ai quesiti posti dianzi,
diremo che, malgrado la rivalutazione
dei laici compiuto dal Concilio, Tecclesiologia cattolica resta fondamentalmente clericale. La' distinzione tra clero e laicato non viene accentuata, certo : anche qui si tende a sottolineare
ciò che unisce, non ciò che divide. Ma
Il sacerdozio dei laici e quello della gerarchia differiscono « non solo di grado
ma di essenza» (De Ecclesia, par. 10),
sono dunque qualitativamente diversi.
La gerarchia resta mediatrice tra il
Signore e i laici : non solo di fronte al
mondo, ma anche di fronte ai propri
fedeli, i vescovi sono « rappresentanti
di Cristo» (par. 37) e i laici devono
riconoscere in essi «i loro Superiori»
(ivi). I laici, di fronte ai vescovi, non
sono rappresentanti di Cristo. I laici
cattolici, anche dopo il ConciUo, non
hanno alcuna autorità neUa Chiesa
Anche il tentativo, di chiara ispirazione evangelica, di ripristinare il carattere comunitario della vita della
Chiesa impostando i rapporti tra laicato e gerarchia su basi di fraternità,
collaborazione e mutuo rispetto, non
può dirsi veramente riuscito. Se è vero
infatti ohe la gerarchia è chiamata a
servire i laici (e non solo a servirsi di
essi), è anche vero che i laici restano
« sudditi » della gerarchia (par. 27). E
se è vero che 1 laici devono ravvisare
nei membri della gerarchia i loro « fratelli» (e non solo i loro superiori), è
anche vero che i laici non sono dichiarati fratelli dei vescovi ma loro «figlbi
(par. 27). Non c’è dunque reciprocità
in questi rapporti fraterni tra laicato
e gerarchia, E se non c’è reciprocità,
come vi può essere vera fraternità?
Non è il caso qui di ricordare la parola
di Gesù: «Voi siete tutti fratelli. E
non chiamate alcuno sulla terra vostro padre, perchè uno solo è il Padre
vostro, quello che è nei cieU» (Matteo 23: 8-9)? Il tentativo conciliare di
tornare a una concezione veramente
comunitaria della Chiesa, senza scardinare il suo ordinamento gerarchico,
non è riuscito e non poteva riuscire.
«VOI SIETE
TUTTI FRATELLI»
Il principio evangelico della fraternità nella Chiesa esige non solo che i
laici considerino i pastori come loro
fratelli ma anche che i pastori ocjnsiderinq i laici come fratelli (e non come
« figli »). Si può ancora notare, per inciso, ohe questa mancanza di reciprocità si registra non solo nei rapporti
tra gerarchia e laicato*, ma anche nei
rapporti tra i vari gradi della gerarchia
stessa (papa e vescovi; vescovi e sacerdoti). Ad esempio, non vi è reciprocità nei rapporti tra papa e vescovi. Il
papa chiama i vescovi « fratelli », ma
i vescovi non chiamano « fratello » il
papa : lo chiamano « Padre » o « Santo
Padre » o « Sua Santità ». Già Lutero
— giova ricordarlo — lo aveva notato :
« Oggi — scrive Martin Lutero negli
” Articoli di Smalcalda ” — nessun vescovo osa chiamare il papa ’’ fratello
mio ”, come avveniva un tempo ; bisogna invece ohe i vescovi e anche i
re e gli imperatori lo chiamino il loro
” grazioso Sovrano E questo non lo
vògliamo, iiè doblfiamo, ne possiamo in
coscienza approvare. Lo faccia chi
vuole, ma non saremo noi ».
Po'ssiamo concludere questa rapida
analisi della dottrina conciliare sul
laicato affermando ohe il Vaticano II,
rivalutando la figura e la funzione del
laico nella Ohiesa, ha instaurato im
nuovo equilibrio nei rapporti tra gerarchia e laicato. Certe posizioni cattoliche tradizionali sono state in parte almeno superate: la Ohiesa non è più
identificata con la gerarchia e la missione della Ohiesa non è più monopolizzata dal clero: anche i laici sono
Chiesa e partecipano a pieno diritto,
come membri adulti e responsabili, alla
sua missione. D’altra parte, gli elementi fondamentali della concezione
cattolica della Chiesa restano inalterati: resta ia mediazione gerarchica
della salvezza e dell’apostolato stesso e
viene anzi accentuata l’identità tra
l’C'pera di Cristo e l’opera della gerarchia ; resta la differenza qualitativa tra
clero e laicato ; resta la subordinazione
teclcgica e giuridica del laicato alla
gerarchia
Riassumendo, si potrebbe dire : è avvenuta, con il Vaticano II, una notevole e rallegrante rivalutazione del laicato cattolico; ma non è avvenuta la
sua emancipazione. Non è avvenuto,
dunque, proprio ciò che la Riforma
protestante, in obbedienza alla testimonianza biblica, volle ed attuò.
Paolo Ricca
“attualità protestante,,
È uscito il primo numero della nuova Collana della CLAUDIANA :
Alfredo Sonelli
LA MESSA IN ITALIANO
pag. 32
L. 100
Qual e il valcwe e la portata delle innovazioni alla messa cattolica decise dal Concilio
Vaticano il.*' Che cosa e cambiato? Possiamo oggi ancora dire — con i Riformatori —
che la messa e un’obesa a Gesù Cristo? O dobbiamo ritenere superata tale critica’
Con particolare competenza e con grande chiarezza, l’autore analizza la messa la sollopone alla critica dell’Evangelo e dà una risposta esauriente alle nostre domande
Esce in Aprile il numero 2:
LUIGI SANTINI: I PROTESTANTI E IL COMUNISMO
L. 100
posizioni
Troppi cristiani accettano ciecamente — senza alcuna revisione critica - L nc
piu estreme dell’uno o dell’altro blocco (Occidentale o Comunista). E’ possibile indivi
tiuare una linea di serena critica al comunismo, libera da oscuri timorifda preconcetti
0 da interessi di parte e dettata unicamente dalla fedeltà alla parola di Dio’ L’autore
e dell opinione che ciò non sia solo possibile, ma doveroso e ne traccia ¡ pùnti
essenziali in uno spirilo di grande obiettività. ^
Archi
di trionfo
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
U- •3Í ---
che dovrebbe raicchiudere in sè in
modo perfetto i tre ministeri particolari in cui si manifesta la consacrazione a Dio: Profeta, Sacerdote, Re),
come dicevamo, 1 capi sono decisamente contro di lui, per morivi religiosi e politici insieme; la massa palestinese si è interessata ma non si è
impegnata: certo, ne ha visti sorgere —^ e cadere —■ tanti di questi « messia », negli ultimi decenni ; e poi questo Gesù è una figura sconcertante,
non ha nulla in comune nè con la
pietà religiosa, rigorosa e precisa, dei
settari farisei, nè con la passione politica e la decisione d’azicne degli « zeloti », come qui chiamano i partigiani
religiosi in grazia del quali il paese è
in continuo fermento e molte strade
sono malsicure. Solo un gruppo dì
adepti, che via via si è assottigliato,
specie negli ultimi mesi, gli è rimasto
fedele e lo se^e, costituendo una
specie di comunità itinerante; non si
sa bene come vivano, ma pare che alcuni di loro mantengano il gru¡ppo,
specie alcune donne.
Quale è stafo il nostro stupore, stamane, quando ci siamo trovati di fronte a una vera manifestazione di massa. C’era, è vero, tanta gente a guardare dalia finestra — e pare ohe i
caipi siano stati in gran movimento,
oggi, per decidere come neutralizzare
rimportuno che ora osa attaccarli
nella stessa capitale (ha messo tra
l’altro per aria il mercato a cui è ridotta la piazza antistante al tempio,
gridando che riducevano « la casa dei
Padre suo. casa di preghiera, in una
spelonca di ladroni»!). Tuttavia quelli che si accalcavano limgo il suo passaggio, no*n erano solo quattro gatti
scalmanati, si sentiva un possente moto di speranza nella folla.
Eppure... la scena era tutt’altro che
pandiosa. Abituati come siamo agli
ingressi trionfali dei grandi di spada,
di governo e di tiara, alle scorte di
gua,rdie motocicliste, alle chilometriche berline d’ordinanza, ai i>ennacchi,
alla retorica dei discorsi d’obbligo, ai
gran sorrisi fotogenici, alle alte uniformi, ecc.; oppure al tifo scomposto
per qualche vedetta dello sport o dello spettacolo, ci chiedevamo che cosa
poteva attrarre in quell’ometto qualunque, vestito dimessamente, in una
usatissima vecchia 500 racimolata, pare, in un borgo della provincia (va a
piedi, in generale; per economia, e
per incontrare la gente); si aveva più
voglia di fotopafare la folla che lui...
Una folla agitata, lieta, che agitava
rami di palme in una manifestazione
spontanea che ci ha lasciato sbalorditi ; ce n’erano che stendevano i loro
rnantelli per terra, in seigno di omaggio, davanti alla sua macchinetta e
altri gli facevano con i rami di palma archi di trionfo che lo seguivano,
vivi, metro per metro. Ci dicevano che
quei particolari per noi insignificanti
o strani, erano invece carichi di significato : ouello che stava avvenendo,
era il compiersi di secolari profezie,
giunpva fra i suoi, nella sua città, un
re diverso dagli altri, « mansueto e
umile », eppure re ^me nessun, altro
mal è stato nè sarà; per questo giubilavano in questo modo, e gridavano
una loro acclamazione religio-sa;
« Osannà », Tevviva messianico.
Poi c’è stata la scenata davanti al
tempio. Ma non pare che Gesù abbia
velleità politiche, il che ha relativamente rassicurato gli occupanti: senza un capo, la folla non si abbandonerà a colpi di testa. E a cogliere i
discorsi nei caffè, stasera, si sente che
molti sono delusi, c’è ohi brontola che
tutto finisce in ima bolla di sapone,
che non si è saputa cogliere l’occasione; e fonti bene informate affermano
che i capi sono ben decisi a sfruttare
questa delusione per chiudere una
volta per tutte la bocca indiscreta di
questo strano perturbatore della pubblica quiete.
Tuttavia, non ho detto bene, definendolo un ometto qualunque. Certo,
il suo aspetto non potrebbe essere oiù
modesto e dimesso; a incontrarlo per
strada, nessuno lo noterebbe. E’ proprio uno della strada, un laico qualunque, sebbene si dica che sbalordisca tutti con la sua conoscenza profonda, intensa, delle Scritture ebraiche. Eppure, proprio nel suo aspetto
dimesso, colpiva: serio, senza smagfianti sorrisi; raccolto, senza sbracciarsi in gesti di saluto, nè benedizioni, senza profondersi in manate e abbracci; silenzioso, non ha ceduto alla
retorica dei discorsi; assorto, ma non
distante: il suo sguardo penetrava,
non scorreva solo sulla folla: l’ho sentito ner un attimo nel mio e forse è
questa Timpressione più profonda e
sconcertante di questa singolare giornata. Gli facevano festa, ma non pareva allegro: chi gli stava vicino dice
che a un certo punto ha persino pianto : non per sè. dicono, ma per la
gente, per la città, per il popolo. E
forse ho intuito che cosa la gente intende dicendo che ha « autorità » : è
libero, sa quel che vuole, sa dove va; è
inerme e tutto pare suo.
Ma perchè è venuto a cacciarsi in
quella che ha tutta l’aria di essere una
trappola?
g. c.
8
pag. 8
1 aprile 1966 — N. 13
La prima sessione
sud - americana dei Sinodo
Quo vadis, Canterbury ?
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
concorressero alla formazione del Sinodo, con carattere primario. La Commissione esecutiva o Mesa (Tavola)
sudamericana aveva previsto due possitxilità: ovvero la composizione del
Sinodo unicamente attraverso i presbiteri, ovvero deputazione diretta
delle Chiese maggiori e completamento del numero dei deputati laici attraverso nomina presbiteriale. Dopo un
attento dibattito, si è deciso per la
seconda soluzione .accettando quindi
la questione di principio sollevata dalla sessione europea. Il Sinodo è stato
composto da 9 deputati delle Chiese,
6 deputati dei Presbiteri, oltre ai membri ex officio : in totale 20 membri,
pari numero con i pastori e assistenti
di chiesa presenti. La soluzione ha
avuto carattere transitorio: infatti
solo le nove chiese indicate dalla
Commissione Esecutiva avevano provveduto a nominare il proprio deputato direttamente al Sinodo; ma le
altre Chiese non erano sufficientemente rappresentate.
Sul problema dei presbiteri si ritornerà in un altro articolo, ma intanto
è da segnalare che la sessione sinodale ha fermato la sua attenzione sul
problema della Chiesa locale, autonoma o no. Infatti la situazione è a
questo pri^sito assai diversa che in
Europa: vi sono Chiese locali, o costituite come si chiamano qui di preferenza, che risultano essere piuttosto
un conglobamento di chiese; esse
hanno una estensione territoriale
spesso assai vasta, numerosi luoghi di
culto, una popolazione dispersa in
gruppi più o meno grandi spesso a notevole distanza chilometrica. Il Sinodo ha deciso di avviare imo studio
completo sul problema della Chiesa
locale, sulla eventuale suddivisione di
chiese territorialmente troppo vaste,
sul concetto di chiesa autonoma, che
appare chiaro. Soltanto dopo questo studio e le precisazioni che ne
verranno sarà possibile vedere più
chiaramente il modo di composizione
della sessione sinodale: ma se si vorrà mantenere la parità di numero tra
pastori e laici, il problema non sarà
semplice, perchè qui esistono più chiese, che potrebbero aver diritto alla
deputazione sinodale, che pastori.
Un’altra deliberazione della massima importanza presa dalla sessione
sinodale è stata quella relativa alla
costituzione unitaria, di cui si narla
ormai da molti anni. Fnohè non ci
sarà ima nuova costituzione unica
tra i due rami della Chiesa Valdese,
che sia segno di unità reale, il problema dell’ordinamento comune e dello
stesso funzionamento del Sinodo in
due sessioni non sarà chiaro nè possibile. Perciò la sessione sinodale ha accelerato i tempi, approvando in linea
di massima i primi sette articoli già
elaborati nel 1960 e 1961 dalla commissione per la Costituzione unitaria. Ne rinrodurremo il testo più tardi, con altri documenti sinodali, ma
intanto vai la pena di segnalare che
qui è stato accolto favorevolmente il
principio affermato nell’art. 1 del progetto : vale a dire il ripristino del
l’antica dizione costituzionale, per cui
sono le singole Chiese autonome che
vengono a costituire tra loro, per il
patto d’unione che le lega in un solo
corpo, la Chiesa Evangelica Valdese
e non la Chiesa ohe, come organismo
denominazionale unitario, si suddivide
nelle singole comunità locali.
La sessione europea del Sinodo, nell’agosto scorso, aveva omesso di nominare a nuovo la Commissione ner la
costituzione unitaria, che quindi risultava decaduta non avendo riferito.
La sessione sudamericana ha provveduto nominando la seguente commissione, che dovrà essere ratificata o
meno dalla sessione europea: Neri
Giampiocoli, presidente, Wilfrido Artus, Héctor Berger, Norberto Berton,
Aldo Comba, Giorgio Peyrot, Alberto
Ribet. Poiché si spera ohe almeno due
sudamericani possano essere in Europa nei prossimi mesi, è la ritenere
che la Commissione possa procedere
rapidamente nei suoi lavori, che sono
ormai indifferibili ed urgenti.
Infine si è proceduto alla elezione
della Mesa sudamericana, che di fron
te allo Stato continua a chiamars
Commissione esecutiva: Wilfrido Ar
tus, presidente (moderatore), Giovan
ni Tron, vice-presidente (vice-modera
tore), H. Berger, M. Dalmas, E. Piene
membri. La Commissione d’esame
che quest’anno era presieduta dal pastore R. Ribeiro ed ha svolto un vasto
lavoro, sarà presieduta l’anno prossimo dal past. Carlos Delmonte.
(continua)
Neri Giampiccoli
" imiiiiiiiiiiimiiiiiiimiiimiiiuiiiiiiiiiiiiHiiiini'
Vorrei poiermi fermare qui. Ma sempre il
solerte « Osservatore Romano » (24.3.’66), ri.
ferendo sul primo incontro fra il pontefice
romano e il primate anglicano, svoltosi nella
Cappella Sistina, nota nel lungo elenco delle
personalità presenti : « Nell’altro gruppo erano i Ministri delle comunità cristiane non
cattoliche in Roma^ con l’Archimandrita ortodosso Máximos; il Decano della Facoltà di
Teologia valdese, Prof. Vinay; i Pastori luterano, scozzese, metodisti, valdesi, battisti di
Roma; due delegazioni delle parrocchie anglicana di Via del Babuino ed episcopaliana
di Via Nazionale; nonché delle parrocchie
metodista, scozzese, valdese e battista di Roma ». Parecchi lettori trasecoleranno come ho
trasecolato io. Lasciamo ovviamente alle altre c< comunità cristiane non cattoliche » di
discutere le loro posizioni. Ma deve essere
posto il problema : quale veste avevano gli
Segnalazioni dell’tiTicio
di collocamento di Zurigo
— Governante, con catpacità personali e di
cucina, per coniugi soli, con conoscenza
lingua inglese, richiesta se altamente qualificala. Salario 600 fr. sv. = 85.000
Primavera-estate: Vermont (USA) - Autunno-inverno: Zurigo. Assunzione immediata
con conseguente partenza per gli USA.
— Quattro cucitrici a macchina richieste da
casa di confezioni a San Gallo ; «e qualificate salario discreto, se principianti possibilità di seguire un apprendistato. Poissibilità
di alloggio. Appoggio da parte del gruppo
evangelico di lingua italiana di S. Gallo.
Richieste da inviare con urgenza al Dr.
Eynard ■ Manesseslr. 66 - 8003 - Zurigo (attenzione: lettera semplice, non raccomandala; affranc. in L. 901.
intervenuti valdesi? il Consìglio della Facoltà di Teologia, la Tavola Valdese, le Assemblee dì Chiesa lomane hanno essi delegato
questi fratelli a rappresentarci in Vaticano?
Se così fosse, in Sinodo dovrebbe essere posta, in modo molto serio, la questione della
fiducia. Se invece tali organi non fossero stati
consultati, tanto maggiore apparirebbe la responsabilità di questi fratelli che ci hanno
rappresentato ufficialmente... senza rappresen.
tarci affatto; qui non si tratta più della libertà di opinione, che nessuno intende iugulare : una partecipazione come questa non
può comunque apparire di carattere personale e noi protestiamo nel modo più reciso
nel vederci coinvolti, senza saperlo, in una
iniziativa che deploriamo profondamente.
Cerco di comprendere le ragioni per cui
questi fratelli, questi pastori, questi responsabili hanno contribuito alla coreografia della
Sistina e al disorientamento delle nostre comunità; non le vedo. Se c’era un occasione
in cui — proprio se invitati — la nostra assenza sarebbe stata la sola genuina presenza
riformata, era questa; ho cercato di esporre
sopra il perchè.
Non mancherà chi mi accuserà, una volta
di più, di essere grettamente reazionario, integrista, ecc.; accuse che non vengono provate, e da cui non mi sento toccato. Attristato sì, poiché è pur opera del Separatore
se, in nome di un preteso amore fraterno, di
una sedicente comprensione cristiaiia, coloro
che sono veramente fratelli si mettono a parlare lingue diver.se, a pensare pensieri contrastanti.
.No, non è questo il giorno che i’Eterno ha
fatto, e noi non possiamo festeggiare e rallegrarci in esso. Gino Conte
RADIO-TV DELIA SMERA ITAIIAM
Domenica 3 aprile; ore 9,15, conversazione evangelica alla radio (pastore
Guido Rivoir); ore 22 circa, alla T.
V., « La Parola del Signore » (pastore
Guido Rivoir).
DALLE NOSTRE COMUNITÀ
POMARETTO
Recentemente abbiamo celebrato il servizio
funebre di Tron Beniamino, deceduto all’età
di 81 anni. Anziano di Rodoretto, per lungo
tempo, insegnante nelle scuole quartierali.
régent de paroisse, egli lascia una buona testimonianza di fedeltà e di amore per la sua
chiesa. Alla famiglia esprimiamo la nostra
fraterna simpatia.
Ricordiamo le prossime riunioni :
— Giovedì 7 aprile, ore 20,30, culto con
S. Cena al centro.
— Venerdì 8, ore 10, culto con S. Cena
al Clot Inverso.
— La sera di Pasqua, alle 20,30, nel teatro la filodrammatica valdese di Marsiglia
presenterà un interessante programma di recito a beneficio della Scuola materna
Ricordiamo alla comunità l’urgenza del
versamento dell’ultima busta, mancando ancora una forte cifra per raggiungere la mèta.
iiiiimiiiiiiimimiiii
Culto radio
ore 7,30
Domenica 3 Aprile
Pastore MARIO SBAPFI
Roma
Venerdì 8 Aprile
Domenica 10 Aprile
Pastore MARIO SBAFFI
Roma
A.l.C.E. 17 APRILE 1966
Convegno di Prìmaverii a Piuerolo
(locali della Chiesa Valdese)
Il Movimento di Coopeirazione Educati
va di Torino, apiposilamente invitato, pre
senterà pro.grammi e realizzazio-ni secondo
l’indirizzo metodologico FRETNET. Le con
versazioni, tutte a carattere pratico ed esem
plificativo intpiadrate a risolvere alcimi dei
grossi preblemi della scuola d’oggi, inte
cessano gli insegnanti di scuola d’o,gni gra
do ed i candidati ai cencorsi magistrali
Pregrammi della giornata: ore 10; culto
con la Comunità d,i Pinerolo; ore 11: pre
sentazione teorica del lavoro; ore 12 : pran
zo in comune; ere 14,30: esperimenti, ri
chieste e dibattito.
Il Comitato Nazionale delVAlCE
.miiiiimmi'HiiiiimiimiHHMinMimiixMiiiiiimMimiiiMtiMii
Hitler, i vescovi
ed i cattolici tedeschi
SEGUE DALLA QUARTA PAGINA
tanti tutte le iniziative revanchiste di Hitler
e in tutte trovarono qualcosa che giustificava
11 loro atteggiamento; perciò chiusero gli occhi di fronte a troppe iniquità del grande
stregone.
UN ARIDO ELENCO
14 ottobre 1933 :
Hitler annuncia il ritiro della Germania
dalla Società delle Nazioni e fissa, per il
12 novembre, plebiscito ed elezioni di un
nuovo parlamento. I Vescovi consigliano un
voto favorevole nel plebiscito; il 95 per cento
dei voti sono positivi!
13 gennaio 1935:
Plebiscito per il ritorno della Saar alla
Germania. I Vescovi danno la loro collaborazione. Verranno recitati in chiesa tre Pater
Noster e tre Ave Maria... perchè l’esito del
plebiscito nella Saar costituisca una benedizione per il nostro popolo tedesco >•
7 marzo 1936 :
I soldati dell’esercito tedesco, che Hitler ha
ricostituito violando il trattato di pace, occu.
pano la zona smilitarizzata del Reno; il
29 marzo dello stesso anno un nuovo plebiscito sanziona con il 98,8 per cento l'operato
del Führer! I Vescovi danno il loro appoggio.
12 marzo 1938:
L'esercito di Hitler entra in Austria; il
10 aprile un nuovo plebiscito sanzionava l'im.
presa con il 99,08 per cento dei voti favorevoli! Il cardinale di Vienna fu così apertamente favorevole da esser richiamato a
Roma per spiegazioni,
lo ottobre 1938:
Occupazione del territorio dei Sudeti; le
campane suonano a festa; i Vescovi rivolgono preghiere di ringraziamento all'Onnipotente.
Si trattava di fondare il Grande Impero
Germanico, di unire tutti i figli di una stessa razz.i in una sola patria, con una sola fede ; quella di Hitler. Non avendo osato opporsi al mito sovrannaturale della Patria, la
Chiesa non poteva opporsi con successo sul
piano della fede.
Ed è questo l'aspetto più doloro.so di questa storia : il silenzio, l'interminabile discussione iuUa valutazione giuridica dfcll'azione
della Chiesa, Pinterpretazione sottile dei provvedimenti e delle misure ecclesiastiche, il rifiuto di assumere una posizione precìsa ; un
si che non è mai un sì, ed un no che può
anche diventare un sì...
Forse dovremo ritornare su questo aspetto,
perchè lunga è la vìa e già troppo lunga
questa che avrebbe dovuto essere una recensione. L. A. Vaimal
LUSERNA S- GIOVANNI
Dipartenze. — Alcune famiglie della comunità sono state duramente provate, in que.
ste ultime settimane, con la separazione da
persone amate. Agli Airali, dopo grandi sofferenze, è deceduta la nostra sorella Bruna
Ponte in Cremona in età di 41 anni; ai Naz.
zarotti inferiori, il Signore ha richiamato a
Sè in età di 67 anni la nostra sorella Maria
Ricca. Diecine e di ;cinè di candide cuffie
valdesi ricorderanno q lungo ancora l’opera
delle sue agili dita é le spirituali esortazioni
. che accompagnavano ogni consegna di lavoro. Alla Cartera la nostra giovane catecùmena Lidia Bastia, che avrebbe dovuto fare
nei prossimi giorni la sua prima comunione,
dopo lapida inesorabile malattia, è serenamente, fiduciosamente ritornata al suo Signore sul finire del suo 15® anno.
Abbiamo pure appreso, con vivo dolore,
la notizia della dipartenza a Como, dopo lun.
ghissima paziente sollerenza, del pastore
Carlo Lupo, fedele amico della comunità che
gli aveva dato la sua eletta compagna.
A queste e a tutte le famiglie provate, in
questi tempi, dal dolore della separazione da
persone amate, ancora la nostra solidale simpatia nella radiosa luce dell’evangeJo di Pasqua.
Nuovi focolari. — Tra sabato e domenica
ultimi, tre giovani coppie di sposi hanno celebrato il loro matrimonio nel nostro tempio:
Dino Caisson da Angrogna con Margherita
Beltramo; Umberto Gras da Bobbio con Wanda Pons e Giovanni Felice Aghemo da Torino con Luciana Rivoira.
Ai felici sposi i nostri rinnovati auguri di
lunga felicità nella benedizione del Signore.
Visite benefiche. — Un vivo, riconoscente
arrivederci al dinamico direttore del Castagneto di Villar Pellice Alberto Lazier per la
sua visita, insieme alla sua compagna, e la
sua chiara e forte predicazione che ci auguriamo di ascoltare nuovamente fra breve.
— Ottima serata con la proiezione di un
riuscitissimo film a colori sulla vita del nostro Collegio Valdese ci è stata offerta domenica sera 27 corr. dal presidente dell’Associazione Amici del Collegio, Doti. Gardiol,
accompagnato dal preside Prof. A. Armand
Hugon. Ancora grazie vivissime.
E la stessa domenica, una buona rappresentanza della nostra Unione Femminile presieduta dalla sua Yvonne Alilo, in visita alle
sorelle della Lega Femminile Torinese ha
trascorso, negli accoglienti locali di Via Noraaglio, una giornata di cui serba il più gra.
lo ricordo. Ottimo culto presieduto in quella
cappella dal pastore Gino Conte; fraterna
agape in comune con le colleghe cittadine;
messaggio della presidente torinese Sig.na
Ive Pons; interessante conferenza della Doti.
Françoise Poirier sull'opera di Riesi; imman.
cabile apprezzatissima tazza di thè e visita
al nuovo Ostello di via Pio V. Una giornata
ben riempita, per la quale le nostre sorelle
rinnovano il loro vivo ringraziamento al Pastore Conte e famiglia, alla Presidente della
Lega Femminile, a tutte le sorelle che hanno circondato di tante affettuose premure le
nostre visitatrici, e in un modo particolare
al gruppo di Via Nomaglio.
Culti della Settimana Santa. — Domenica
delle Palme, ore 10,30 : culto con cònfermazìone dei catecumeni; Giovedì Santo, ore 21:
culto con celebrazione della S. Cena; Venerdì Santo, ore 21 : culto di celebrazione della
passione di Cristo; Domenica di Pasqua,
ore 10 : culto con prima comunione dei catecumeni.
Convocazione. — Il Concistoro è convocato in seduta venerdì 8 aprile ore 21 al presbiterio per un incontro con i confermandi.
j
VILLAR PEROSA
Ottima anche quest’anno la nostra cele
brazione del 17 malgrado il tempo pioviggi
noso. Il 16 sera accensione dei falò in tutti
i quartieri e sono proprio stati questi falò,
a ispirare un nobile scritto, che abbiamo letto
con commozione dovuto alla penna dì un’in
segnante cattolica del Villar che ha avuto ed
ha parecchi allievi valdesi.
Il 17, culto solenne nella cappella affollata; molte sorelle indossano il costume valdese. Il Pastore predica sul testo : « La verità vi farà liberi »; la Corale canta con sentimento: «0 mon pays! ». Dopo la Santa
Cena alcuni bimbi della Scuola Domenicale
ci declamano con bravura alcune poesie
ineggianti al 17.
Alle 13 agape fraterna presso il ristorante
Olivero. Malgrado i tempi difficili siamo la
bella cifra di 97. Vengono applauditi calorosamente i messaggi inviati daH’avv. Gianni Agnelli, daH’ing. Colla e dall’Unione di
Marsiglia. AUa frutta prendono la parola il
Pastore, seguito dagli ospiti : il Pastore Bellion, il sindaco di Inverso Pinasca, cav. Olivero e il vice sindaco di Villar, sig. Siccardi
che ci danno apprezzati messaggi.
Quindi la Corale si raggruppa al centro
del salone e ci dà un bel concerto. Dopo un
po’ altre voci si aggiungono, così il pomeriggio scorre piacevolmente fra canti e conversari.
La serata è il degno coronamento della
giornata. La nostra Corale vi prende parte
attiva e i cadetti e i giovani si cimentano in
vari numeri e rievocazioni storiche, il che
c permette di udire nuove voci ricche di buona volontà e che hanno cosi modo di dare
un saggio dei loro talenti.
Corso trombettieri. — Diretto come di con.
sueto dal nostro caro amico il maestro Stöber, ha avuto luogo dal 20 al 27 febbraio.
I trombettieri sono ormai, nelle nostre
Valli, una cinquantina, divisi in cinque
gruppi. Purtroppo, in questo momento, una
ventina sono assenti per il servizio militare
o per ragioni di studio o di lavoro. In compenso alcuni giovanissimi prendono il loro
posto pur essendo ancora alle loro prime
armi.
Una lode particolare ha meritato il gruppo di Prarostino, in quanto è il più numeroso e perchè conta, come membri attivi, lo
stesso Pastore e ben due anziani del suo Con.
cistoro!
Ringraziamo sentitamente da queste colonne, i Pastori che ci hanno visitati e che hanno tenuto uno studio, nonché le nostre volontarie della cucina che, con .spirito di dedizione ci hanno preparato ogni sera delle
ottime cene alle quali i presenti hanno sempre fatto onore.
II campo si è chiuso con un appropriato
sermone de] Pastore Magri e con una serata musicale d’appello nel tempio di Pinerolo.
SAN SECONDO
— Sabato 5 marzo l’Unione Giovanile ha
ricevuto la gradita visita di una quarantina
di giovani di Villar Pellice, accompagnati
dall’instancabile presidente Enrico Bouissa.
Dopo la parte religiosa ed i discorsi di circostanza si è passati ai giuochi che si sono
protratti fin dopo la mezzanotte.
— Domenica 13 marzo la nostra Unione
Femminile ha trascorso il pomeriggio a Villar Pellice, dove è stata accolta molto frater.
uamente dal pastore Micol e Signora, nonché da un buon gruppo di mamme di quella chiesa. Prima di rientrare a S, Secondo
le nostre sorelle hanno visitato il ( astagneto
e la Casa delle Diaconesse. Riniioviamo la
nostra riconoscenza a tutti.
— Sabato e domenica 12 e 13 marzo la
Filodrammatica-Corale, costituita da attori
giovani e... meno giovani ha rappresentato
con lusinghiero successo il lavoro teatrale di
Manzari : «I morti non pagano tas.se».
Tale recita è stata ripetuta a V'odiar Pellice, .sabato 26 marzo.
— Giovedì 17 marzo nel cimitero di San
Secondo sono stati deposti i resti mortali di
Aiine-Marie Balmas in Perino^ deceduta a
Parigi all’età di anni 32.
Desideriamo rinnovare alla famiglia in
lutto l'espressione della nostra sincera simpatia cristiana, ricordando che Dio non è ITddio dei morti, ma dei viventi.
— I culti del 12 e 27 marzo sono stali
rispettivamente presieduti dal Cand. Theol.
Luciano Deodato e dal Pastore Teodoro Magri. Li ringraziamo vivamente per la loro
fattiva preziosa collaborazione.
il
-Sabiilo 5 c. m. FUnione Giovanile ha
ricevuto la gradita visita dei giovani dell’Unione della comunità di Ferrerò, accompagnati dal Pastore Sig. Rivoira e Signora.
Abbiamo trascorso alcune ore in simpatica
comunione fraterna e mentre diciamo grazie al Pa.store Rivoira per il messaggio altuale che ci ha rivolto esprimiamo la nostra
viva gratitudine a tutti questi nostri ami* i
e diciamo loro arrivederci.
Martedì 15 c. m. nella sala delle attività
il missionario svizzero Sig. Cui Subllia ci
ha dato un’interessante conferenza illustrata da bellissime diapositive a colori sull’opera ch’egli compie nella lontana Zambia
e particolarmente presso i minatori di quella regione che lavorano nelle miniere d’oro
nei pressi di Johannesburg. Ringraziamo
sentitamente questo fratello per le notizie
dateci e per la sua visita ed invochianio
su di lui, sulla sua famiglia e sull’opera
ch’egli svolge le benedizioni del Signore.
Direttore resp. : Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
n. 175, 8-7-1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (Tc)
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A Londra T8 febbraio alTetà di 34
anni è deceduto a casa sua senza sofferenze il Signor
Bartolomeo Tommaso
Long
vedovo di Hélène Adèle Long, oriundi
di Pramollo. Il servizio funebre è
stato celebrato dal Pastore Nicod
della Chiesa Svizzera. Il Signor Long
era residente a Londra da molti anni.
La figlia Elvira annuncia la triste notizia ai parenti e conoscenti alle Valli Valdesi.
A Canterbury l’8 febbraio scorso de- .'i
cedeva improvvisamente il Signor ■
Giacomo Long
di anni 79, dopo aver sentito la notizia della morte del cugino a Londra.
Il Signor Long e la vedova Elisa Coucourde sono di Inverso Pinasca, essi
pure da molti anni in Inghilterra. La
vedova, il figlio, le figlie e la cognata
Elvira Hopkins Coucourde ne danno
la triste notizia ai parenti e conoscenti alle Valli Valdesi.
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