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BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Anno IX. - Fasc. Vili
ROMA - AGOSTO 1920
Volume XVI. 2
SOMMARIO
UMBERTO BRAUZZI: La bufera: (Anàlisi di un solitario della politica) .... pag.
R1NALDO NAZZARI : L'esistenza di Dio e il problema del male......
L. GIULIO BENSO: Sofia Bisi Albini.
(Ritratto tra le pag. Ili e 112)
Per la cultura dell'anima:
UGO DELLA SETA ; Il valore della vita - La saggezza
Cronache:
QUINTO TOSATTI e X. Y. W.: Politica vaticana e azione cattolica .........
La vita dello spirito nella letteratura: A. TlLGHER: M. de Unamuno (profilo) . . . ,
Rassegne:
Qÿ m.: Filosofia morale (IH) ........ 131
■ Fra chiese e cenacoli........ 136
99 Letture ed appunti - Cose nostre. ... 141
qq I Tra libri e riviste:
J. SOAVI: A propos d’un livre recent, “Anthologie protestante française1 ........ 147
D. LATTES: Il contributo ebraico alla civiltà . . 149
L. SCHWARZ : La tripartizióne dell’organismo Sociale secondo lo Steiner ......... 155
Recensioni:...........................158
123 । Storia del Cristianesimo - Psicologia religiosa -Morale - Filosofia e religione - Varia.
127 | Nuove pubblicazioni ........ 163
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RII YCMNR RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
DIlu I VnilUM < < „ „ FONDATA NEL 1912 <■ > >
CRITICA BIBLICA STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA - PEDAGOGIA FILOSOFIA RELIGIOSA MORALE - QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO - LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL' ESTERO
REDAZIONE: Prof. Lodovico PASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma. D. G. WhiTTJNGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 10; Per ¡'Estero, L. 15; Un fascicolo, L. 1,50
(Per gli Siali Unii! e per il Canada è autorizzato ad esigere gli abbonamenti i! Rev. A. Di Domenica, B. D. Pastor, 1414 Calile Ave, Phlladelphla, Pa. (U. S. A.)).
Abbonamento annuo cumulativo col Testimonio, rivista mensile delle chiese battiste italiane, L. 13,50.
Id. con Fede e Vita, rivista della federazione studenti per la cultura religiosa, L. 12,50
Corrispondenti e collaboratori sono pregati d’indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “ BILYCHNIS ” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gli articoli firmati vincolano unicamente l'opinione dei loro autori.
I manoscritti non si restituiscono.
I collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conoscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d’opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
Nei prossimi numeri pubblicheremo:
P. E. PavOLINI, La religione degli antichi Finni.
F. De SaRLO, L'opera filosofica e scientifica di E. Haeckel (con ritratto).
E. Troilo, La filosofia di Giorgio Politeo (con ritratto).
G. Lesca, Filosofia e religione nella poesia di G. Pascoli.
M. Rossi, Lutero.
A. De Stefano, La riforma religiosa di Arnaldo da Brescia.
Fr. Giulio, La filosofia di Benedetto Croce.
A. Renda, Incompetenza della psicologia nello studio dei valori.
A. Renda. Le riduzioni dei valori.
A. Chiappelli, La critica del Nuovo Testamento nel XX secolo.
C. Formichi , PaulDeussen nella vita e nelle opere.
L. Salvatorelli, Lo Stato nel pensiero cristiano del II e III secolo.
G. Pioli, Uomini e cose d'Inghilterra (note).
— L'unità nelle scienze, in filosofia morale e religione,
P. Orano, / cattolici in Parlamento.
— Il problema della scuola.
G. Costa, Il valore storico della « passio S. Fe~ licioni ».
G. Rensi, Il Lavoro.
— La Storia,
M. Puglisi, Franz Brentano (con ritrattò).
— I misteri pagani e il mistero cristiano.
U. Della Seta, Un riformatore: Senofane di Colofone.
A. Vasconi, Una lettera inedita di Tancredi Canonico.
R. Pettazzoni, Il problema del zoroastrismoG. Levi della Vida, Recenti studi su Maometto e sulle origini del!Islam.
F. Bri del, Vinet, profeta della libertà.
Ci anno pur assicurato il loro contributo i proff. A. Calderini, Adriano Tilgher, Dino Provenza!, A. Tagliatatela. Per la cattura dell'anima ci anno promesso il loro concorso Fra Masseo da Pratoverde, G. Luzzi, A. Tagliatatela ed altri.
L'Amministrazione ricerca copie del fascicolo del febbraio 1919 che contraccambierà con pubblicazioni di sua edizione'del valore di L. 2.
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Libreria Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - ROMA, 33
RII VfHMIQ RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI -* 11^1 IO fondata nel 1912 -Pubblica scritti originali di critica, storia e filosofia religiose — Accurate relazioni sui più notevoli movimenti religiosi contemporanei in Italia e all'Estero — Notizie delle più importanti pubblicazioni e dei più recenti risultati delle ricerche scientifiche nel campo della critica biblica, della storia del Cristianesimo e storia delle religioni — Inchieste sulla variazione dell*esperienza religiosa contemporanea — Tratta con larghezza di vedute questioni vive. — Pagine per la cultura dell’anima (sermoni, preghiere, spigolature); Cronache di Politica vaticana ed azione cattolica, di Vita e pensiero ebraico ; Rassegne bibliografiche di Critica biblica. Filosofia religiosa, Psicologia e storia religiosa, Religioni classiche, Religioni primitive ed etnografia religiosa, ecc., oltre un ricco Notiziario ed un accurato spoglio della Stampa Italiana.
Abbonamento per l'Italia: annuo L. 10; semestr. L. 5,50; per l'Estero: L. 15 Annate arretrate L. 10 ciascuna, escluso il 1912 e 1913 quasi esauriti Collezione intera (1912-1919) L. 100 - Annualmente 2 voi. di 400 pag. ciascuno
PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
CULTURA DELL'ANIMA :Von HOgel F.: Religione ed illusione ...... i —
Borsari R.: Guardandoli solelLosacco M.: Razionalismo e 2 — Intuizionismo ... i —
Burt W. : Sermoni e allocuzióni .......... 2 —
GRATRY A.: Le sorgenti, con prefazione di G. Semeria 5,40 ,
Monod W.: L’Evangile du Royaume ...............6,501
— Délivrances .... 6,501
— Il régnera..........6 — I
— Il vit . ...... . 6 — — Silence et prière ... 6 —
Vienot J. : Paroles françaises Erononçées a F oratoire du ouvre..................2,50 i
Wagner C.: L’ami . . . 7 — — Justice ...... 6 — Rivista Propheta (Unica annata 1914) ........5 —
FILOSOFIA
Délia Seta U. : G. Mazzini pensatóre . ■. . . . . 10 —
Della Seta U. : Filosofia morale (Vol. I e II) . . 15 —
Ferretti G.: Il numero e i fanciulli, capitolo d’una didattica dell’inventività. 2 —
Ferretti G.: L’Alfabeto e i fanciulli ......... 2 — |
Panini G.: Il tragico quotidiano ....... 5,50
— Crepuscolo dei filosofi 3,50 Rensi G.: Sic et non (metafisica e poesia) . . . 3,50
Tagliatatela E.: Giovanni Locke educatore. Studio critico seguito da 2 opuscoli pedagogici del Locke (per la ¡»rima volta tradotto in ita-iano) ......... 4 —
GUERRA E ATTUALITÀ
Andreief L.: Sotto il giogo della guerra . . . . 3,50
Bois H.: La guerre et la benne conscience . . . . . 0,70
Brauzzi U.: La questione sociale ......... 1 —
Ciarlantini: Problemi dell’Alto
Adige ....... 3,50 ■
Ghelli S.: La maschera del- j l’Austria . . . . . 6 — '
Kolpinska A.: 1 precursori della rivoluzione russa 6 —
I.’A. stessa à dichiarato il metodo del suo lavoro, metodo di antologia o di mosaico e à con ciò tributate a sè stessa la maggior lode. Piuttosto che un'opera di storico assi odiatore, essa à fatto opera di espositore coscienzioso di quanti ne* due ultimi i secoli segnarono le tappe essenziali dello sviluppo della Russia. Gl’Italiani leggano e meditino le pagine della K.; ciò li esimerà forse dai vaniloqui retorici degli ! estremisti di tutti i partiti.
• Maranelli e Salvemini: La questione dell'Adriatico. 6 —
Murri R. : L’anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pratici) . . . . 1,25 ! MURRI R. : Guerra e religione, Voi. I. Il sangue e l’altare
2 —
! MURRI R. : Guerra e religione.
Vol. II. L'imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa .................2 —
¡ Puccini M.: Come ho visto il
Friuli ....... 5 —-! Scarfoglio : L’Italia, la Iugoslavia e la questione dalmata
0.25
Senizza G.: Storia e diritti di Fiume italiana . . . 1 —
Soffici A.: Kobilek (giornale di battaglia) . . . . . 3,50 Stapfer: Les leçons de la guerre
4 —
Wilson: La nuova libertà. 4 —
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ita!. 15-IV-20).
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Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali
(Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ita!. 15-1V-20).
Wilson : Un soldat sans peur et sans reproche (en mémoire de André Cornet-Anquier).
1.30
ZANOTTI-BIANCO e CAFFI A.: La pace di Versailles,] note e documenti (con 20 carte etnografiche e politiche) 10 —
RELIGIONE E STORIA
Agresti A.: A. Lincoln . 2 — Buonaiuti E.: S. Agostino 2—
'•î S. Girolamo 2 — Cappelletti''La Riforma 6 — CHIMINELLI P. : Gesù di Nazareth . . ; .•(in ristampa)
La Chiesa e i nuovi tempi 3,50
Raccolta di scritti originali di Giovanni Pioli - Romolo Murri -Giovanni E. Meille - Ugo Ianni - Mario Falchi - Mario Rossi Qui Quondam „ - Antonino De Stefano - Alfredo Tagliatatela.
LETTERATURA
Arcari P. : Amiel . . . . 2 —
Brauzzi U. : I Luciferi . 5.—
Chini M. : F. Mistral . . 2 —
I — Il Padrenostro e il mondo moderno ....... 3 —
Costa G.: Politica e religione nell’impero romano. . 2Cumont F.: Le religioni orientali nel paganesimo romano . ....... 6,50
Di Soragna A.: Profezie di
Isaia, figlio di Amos. 7,50 I Gautier L. : La Loi dans l’ancienne alliance . . . 2,25 ! Janni U.: Il dogma dell’Eucari-stia eia ragione cristiana 1,25
Della Seta U.: Morale, Diritto — Le origini del potere tem-e Politica internazionale nel- potale dei papi ... 5 —
la mente di G. Mazzini. ;
1.50
Dell’Isola M.: Etudes sur Montaigne ....... 2,50
Gallarati Scotti T. : La vita di A. Fogazzaro . . . . . io —
Jahier.P.: Ragazzo . . 3,50
Brevi, ma vive pagine di vita vissuta, scritte in uno stile che à
LOIS Y A.: Jesus et la tradition
évangélique..........4 —
—- La Religion. . . . . 5 — —- Mors et vita . . . . 2,25 — Epitre aux Galates. 3,60 — La paix des nations . 1,50 Ottolenghi R.: I farisei antichi e moderni . . . . 4 —
i tratti duri, ma incisivi di alcune xilografie e che par più che dipingere trarre dà! marmo dell'esposizione fredda la vitalità della statua. È tutto perfuso di una spiritualità fremente e d’una poesia dolorosa che in una prosa tutta speciale è più espressiva talvolta della stessa poesia.
Lanzillo A.: Giorgio Sorèl. 1 — Fanzini A.: Il libro di lettura per le scuole popolari. 2 —
Papini G.: Parole e sangue.
3.50 Sheldon C.: Crocifisso! romanzo religioso sociale tra-dotto da E.Taglialatela. 2 — Soffici A.: Scoperte e massacri (Scritti sull’arte) 5 — Vitanza C.: Spiriti é forme del ' divino nella poesia di M. Ra- ! pisardi (conferenza). 1,501
PETTAZZONI R. : La religione primitiva in Sardegna
6 — I
Salvatorelli L.: Introduzione bibliografica alla scienza delle Religioni..... 5 —
—«LaBibbia»Introduzione al-l’Antico e Nuovo Testamento .......... - 12,50 — Il significato di ■ Nazareno » ....... 1,50
TYRREL G. : Autobiografìa e Biografia (per cura di M.
D. Petre) ...... 15 —
A i nostri abbonali non morosi L. 10,50 franco di porto. Tyrrel G. : Lettera confidenziale ad un professore d’antropologia ...... 0,50 Vitanza C.: La leggenda del « Descensus Christi ad in-féros • . . . . . . . 1,501
| Wenck F.: Spirito e spiriti nel N.uovo Testamento. 0,75 X. Là Bibbia e la Critica. - 2 — X. Lettere di un prete modernista ...............3,50
Nuovo Testamento, tradotto e corredato di note e di prefazioni dal prof. G. Luzzi 1,80 Nuovo Testamento e Salmi (e-dizione Fides et Amor) 3 — I Vangeli e gli Atti degli Apostoli (edizióne Fides et A mór) ........ 1,80
I Salmi (Edizione Fides et Amor)............... . 1,80
Giobbe, tradotto dà G. Luzzi
i 1.80
Ianni U.: Il culto cristiano rivendicato contro la degenerazione romana . . . . 1 — Tagliatatela E.: L’educazione nella Chiesa dei primi secoli
3»5O
-Taylor G. B.: Il Battesimo 0,50
VARIA
Cadetti A. : Con quali sentimenti sono tornato dalla guerra . ...... 1,50 Del Vecchio G.: Effetti inorali del terremoto in Calabria secondo F. M. Pagano . 2 — Lombardo Radice G:. Clericali e massoni di fronte al problema della scuola. . . 2 — Martinelli: Per la vittoria mo-rale • ....... 3-5°
Majer Rizzoli E: Fratelli e sorelle (Libro di guerra 1915-1918) . . ..... . . 4,50
Menano F.: Croci di legno 3,50 Niccolini E.: I contadini e la terra...................2,50
Papini G.: Esperienza futurista 3.50
— Le memorie d'iddio . 3 — — Chiudiamo le scuole 1 — Pioli G.: Educhiamo i nostri padroni ’. . ... . . 2.50
Provenza! D.: Carta bollata da due lire..... . .... . i —
Scarpa A.: La scuola delle mùmmie ..... x —
Bonavia C.: La tenda c la notte ..................3,50
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Ill' —
ESTRATTI DELLA RIVISTA “ BILYCHNIS „
I Serie —.—=
i. Amendola Èva:. Il pen-1 siero religioso e filosofico di * F. Dostoievsky (con tavola : fuori testo: ritratto del D. disegnato da P. Paschetto).
1917, p. 40 . . . Esaurito
2. Bernardo (fra) da Quin-tavalle: L’avvenire secondo {'insegnamento di Gesù- ' 1917, p.43.............0,80;
3. Biondolillo Francesco: La • religiosità di Teofilo Fo- i lengo (con 1 disegno). 1912, p. 12 ................. 0,40 •
4. Biondolillo Francesco: Per la religiosità di F. Petrarca (con una tavola). 1913, pagine 9..................0,40
5. Cappelletti Licurgo: Il Conclave del X774 c la Satira a Roma. 1918, p. io. 0,50
6. Cento Vincenzo: Colloquio con Renato Serra. 1918, p. 11 ....... 0,60
7. Chiappelli Alessandro: Con tro l'identificazione della filosofia e della storia e pei diritti della critica. 1918, p. 12 ..................0,60
8. Corso Raffaele: Ultime vestigia della lapidazione (con 2 disegni originali di
P. Paschetto). 1917, pa-! gine 11 . . . . . Esaurito ■ 9- Corso Raffaele: Lo studio i dei riti nuziali. 1917, pagine 9 ...... . 0,40 ! io. Corso Raffaele: Deus Plu-vius (saggio di mitologia popolare). 19x8, p. X3. 0,75 11. Costa Giovanni: La battaglia di Costantino a Ponte Milvio (con due tavole e.due disegni). 1913, p. 14. 1,50 12. Costa Giovanni: Critica e
tradizione. Osservazioni sul- ' la politica e sulla religione ! di Costantino. 19x4, pa- ■ gine 23 . . ... . 1,50 !
13. Costa Giovanni: Impero romano e cristianesimo (con duetav.). 1915, p. 49. 2 —
14. Costa Giovanni: Il « Chri-stus » della «Cines». 1917.
p. il................ 0,30 i
15. Crespi Angelo: Il problema dell’educazione (introduzio-1 ne). 1912, p. 11. Esaurito'
16. Crespi Angelo: L’evoluzione della religiosità nell’individuo. 1913, p. 14. 0,50
17. De Stefano Antonino: Le origini dei Frati Gaudenti.
1915. P- 26 . . . . . 1,50
18. De Stefano Antonino: I Tedeschi e l’erésia medievale in Italia. 1916, pa* gine 17 ..... . 1 — 19. De Stefano Antonino: Delle origini dei « poveri lombardi » e di alcuni gruppi valdesi. 1917. P- 23. 1 —
20. Fallot T.: Sulla soglia (considerazioni sull'a/ di là) (con una tavola f. t., disegno di P. Paschetto). 1916.
P- 14 • • • • ■ • • 0.50
21. Fasulo Aristarco: Pel IV centenario della Riforma.
1917, p. 18 . . . . .’ 0,50
22. Fasulo Aristarco: Brevi motivi d'una grande sinfonia (Della Provvidenza).
1918, p. 16...........0,50
23. Formichi Carlo: Cenni sulle più antiche religioni dell'india (con suggerimenti bibliografici). ’ 1917, pagine 15 .............. . 1 —
24. Fornari F.: Inumazione e cremazione (con quattro tavole). 1912, p. 6 . Esaurito
25. Gabelli ni M. A.: Olindo Guerrini: l’uòmo e l’artista.
1918, p. 17.......... 0,^0
26. Gambaro Angelo: Crisi Contemporanea. 1912, pagine 7 . . ............. 0,30
27. Ghigno» P. A.: Lettera a | R. Murri (A proposito di Cri-1 stianesim'ì e guerri). 1916. I p. 9................. Esaurito :
28. Giretti Edoardo: Perchè I sono per la guerra. 1915, p. 11..............Esaurito
29. Giulio-Benso Luisa: «La vita è un sogno > di Arturo | Farinelli. 1917, p. 16. 0,50 ,
30. Giulio-Benso Luisa: La- ' mennais e Mazzini (con una !
• tavola fi t.: ritratto del La- ; mennais). 1918, p. 40. 1,50 :■
31. Giulio-Benso Luisa: Il sen- . timento religioso nell’opera | di Alfredo Oriani. 1918, j p- 43 • • ■ ■ • • 1.50 Ì
32.. Lanzillo Agostino: Il soldato e l’eroe (Frammenti di psicologia di guerra).
1918, p. 25 . . . Esaurito
33. Lattes Dante: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico. 1918, p. 21. 1,25
34. Lenzi Furio: L'autocefalia delia Chiesa di Salona (con undici illustrazioni). 1912, p. 16 . . . . . i —
35. Lenzi Furio:- Di alcune medaglie religiose del iv secolo (con una tavola e quattro disegni). 1913, pagine 21 ..... . 1,50
36. Leopo.d H.: Le memorie apostoliche a Roma e i recenti scavi di S. Sebastiano (con una tavola). 1916, pagine 14- ...... 0,40
37. Luzzi Giovanni: L’opera Spenceriana. 1912, pagine 7 . . . . . < . . 0,30
38. Masini Enrico: La liberazione di Gerusalemme. Salmo, 1917, p. 2 . . 0,25
39. Meille Giovanni E.: Il cristiano nella vita pubblica. 19x3, p. 31 in-320. . 0,25
40. Meille Giovanni e Ada: Gianavello. Scene valdesi in quattro atti. (Disegni e xilografie di P. A. Paschetto), 19184?. 67. Esaurito
41. Minocchi Salvatore: I miti ' babilonesi e le origini della gnosi. 1914, p. 43 . . 1,50
42. Momigliano Felice: Il giudaismo di ieri e di domani. 1916, p. 16 . . . . . 0,60
43. Muller Alphons Victor: A-gostino Favaroni (f 1443) (generale- dell’ordine .Agostiniano) e la teologia di Lutero. 1914, p. 17 . 0.50
44. Murri Romolo: L’individuo e la storia- (A proposito di Cristianesimo e guerra). 1915- p. 12 . . . . . 0,50
45. Murri Romolo: La reli-{ione nell’insegnamento pub
lico in Italia. 1915, pagine 22 ..... . 0,75
46. Murri Romolo: La « Religione • di Alfredo Loisy. 1918, p. 16 . .... 1,25
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione deU’Ass. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20).
6
—
IV —
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Llb. Ita!. 15-IV-20).
47. Murri Romolo: Gl'Italiani I e la libertà religiosa nel secolo xvn. 1918, p. io. 0,50
48. Mulinelli Ferruccio: 11 Ìrofilo intellettuale di San
gostino. 1917* P- 0'4°
49. Nazzari R.: Le concezioni idealistiche del male. 1918.
p. 16................. J —
50. Neal T.: Maine de Biran.
1914. P- 9 • • • ■ - 0,50
51. Orano Paolo: La rinascita dell'anima. 1912. p. 9. 0,50
52. Orano Paolo: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita ed un ritratto). 1915, p. 19. . x —
53. Orano Paolo: Gesù e la Guerra. 19x5, p. xx. 0,50
54. Orano Pàolo: Il Papa a Congresso. 1916. p. 12 0,75
55. Orano Paolo: La nuova coscienza religiosa in Italia.
1917, p. 19 . . . . . 0,50
56. Orr James: La Scienza e la Fede Cristiana (secondo il punto di vista conciliato-rista). 1912, p. 25 . . 0,25
57. Pascal Arturo: Antonio Caracciolo: Vescovo di Troyes.
1915. p. 39 • • • • • 1 —
58. Pioli Giovanni: Marcel Hé-bert (con ritratto ed un autografo). 1916, p. 23. x —
59. Pioli Giovanni: Inghilterra di ieri, di oggi, di domani. Esperienze e previsioni (con sei tavole). 19x7, p. 57 1,50
60. Pioli Giovanni: La fede e l’immortalità nel < Mors et vita ■ di Alfredo Loisy (con ritratto del Loisy).
1917. p. 22 . . . . . 0,60
61. Pioli Giovanni: Morale e religione nelle opere di Shakespeare (con cinque tavole) 1918, p. 46 . . . . . 2 —
62. Pioli Giovanni: Il catto-licismo tedesco c il « centro cattolico ». 1918, p. 21 1,25
63. Pioli Giovanni: Lo spirito della Riforma e quello della Germania contemporanea.
1918, p. xx . . . . . 0,50
64. Pons Silvio: La nuova crociata dei bambini. 1914)
p. 6 Esaurito
65. Pons Silvio: Saggi Pa-scaliani. I. Il pensiero politico e sociale del Pascal.
II. Voltaire giudice dei
• Pensieri del Pascal »III. Tre fedi (Montaigne, Pascal, Alfred de Vigny) (con due tavole fuori testo). 1914, pagine 30 ...... 1,50
66. Provenzal Dino: Giuoco fatto. 1917, p. 12 . . 0,40
67. Provenzal Dino: L'ànima religiosa di un eroe. 1918, p. 12 ...... . 0,75
68. Puglisi Mario: Il problema morale nelle religióni primitive. 1915, p. 36 . . . 1 —
69. Puglisi Mario: Le fonti religiose del problema del male.. 1917, p. 97 Esaurito
70. Puglisi Mario: Realtà e idealità religiosa (a proposito di un nuovo libro di
A. Loisy). 1918» p. 13 x —
71 Quadrotta. Guglielmo: Religione Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Sa-landra (con ritratto e una lettera di Antonio Salan-dra). 19x6, p. 31 . . 1 —
72. Qui Quondam: Visione di Natale. Frammento (con otto disegni di P. Paschetto) 1916, p. 7. . . . . . 0,50
73. - Q«> Quondam: Carducci e il Cristianesimo in un libro di G. Papini. 19x8, pagine 11 ..... . 0,50
74. Qui Quondam: La Carriola (La bruette) Dalle Mu-sardises di Rostand (con due disegni di Paolo Paschetto). 1918, p. 5 . 0,40
75. Re-Bartlett: Il Cristianesimo e le chiese. 1918, pagine io . . . . Esaurito
76. Rendei Harris: I tre « Misteri » cristiani di Wood-brooke (Introduzióne e note di Mario Rossi) (con un disegno di P. Paschetto). 1914 p. 27, in-32® . . . . 0,50
77. Rensi Giuseppe: La ragione e la guerra. 1917, pagine 27 ...... 0,75
78. Rosazza Mario: Del metodo nello studio della storia delle religioni. 1912, pagine 7.............. Esaurito
79. Rosazza Mario: La reli-5ione del nulla (Il Bud-ismo) (con sei disegni).
1913.............. Esaurito
80. Rossi Mario: Verso il Conclave. 1913, p. 4 . . . 0,251
81. Rossi Mario: La chimica del Cristianesimo (conferenza religiosa). 1916, pagine 9 ...... . 0,50
82. Rossi Mario: Esperienze religiose contemporance. 1918, p. 13 . . . . . 0,50
83. Rossi Mario: La « Cacciata della morte » a mézza quaresima in un sinodo boemo del '300 (Note folkloriche). X9X8. p. 8 .... . 0,50
84; Rossi Mario: I sofismi sulla guerra e la difesa della nostra latinità (Guerra di religione o guèrra economica?). 1918, p. 17 . . . 0,50
85. Rostan C.: Lo stato delle anime dopo la morte secondo il libro XI dell'Odis-sca, 1912, p. 8 . Esaurito
86. Rostan C.: Le idee religiose di Pindaro. 1914» pagine 9. . . . Esaurito
87. Rostan C.: L’oltretomba nel libro VI dell’« Eneide ». 1916, p. 15..............0,50
88. Rubbiani Ferruccio: Mazzini e Gioberti. 19x5, pagine 15 . . Esaurito
89. Rubbiani Ferruccio: Un modernista del Risorgimento (Il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga). 19x7, pagine 23 ...... 0,60
90. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita nel Cattolicismo (I c ' II). Cronache Cattoliche per
gli anni 19x2-1913 Esaurito
91. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita nel Cattolicismo (III, IV, V). Cronache cattoliche per gli anni X913 e 1914 (tre fascicoli di pagine complessive 52) . . . . . . 1,50
92. Rutili,. Ernesto: La soppressione dei gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi. 1914, pagine 6 ....................0,40
93- Sacchini Giovanni: Il Vitalismo. 1914, p. 12 0,50
94. Salatiello Giosuè: Il misticismo di Caterina da Siena (con una tavola). 1912, p. io . . . . . 0,50
95. Salatiello Giosuè : L’umanesimo di Caterina da Siena. 1914» p. io............0,50
7
— V —
96. Salvatorelli Luigi: La storia del Cristianesimo ed i suoi rapporti con la storia civile. 1913, p. io Esaurito
97* Scaduto Francesco: Indipendenza dello Stato e libertà della Chiesa. 1913, p. 25 in-320............0.25
98- Taglialatela Alfredo: Fu il Pascoli poeta cristiano? (con ritratto del Pascoli e 4 disegni di P. Paschetto). 1912, p. 11 . . .... . o,75
99. Taglialatela Alfredo: Il sogno di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 4 disegni originali di Paolo Paschetto). 1912, p. 8 . 0,25
100. Taglialatela Eduardo: Morale c religione. 1916, p. 40 11. Fattori Agostino: Pensieri dell’ora (Leggendo il « Collo-Ìuio con Renato Serra » di inccnzo Cento). 1919, pagine 13.................0,50
2. Di Rubba Domenico: La fede religiosa di Woodrow Wilson. 1919, p. 29 . . . 0,50
3. Fra Masseo da Prato verde : Intermezzo sacramentale (A proposito di Unione delle Chiese Cristiane). 1919, pàgine 17 ..... . 0,75
4. Dell’Isola M. e Provenzal Dino: C’è una spiegazione logica della vita? 1919, p. 12 0,60
5. Billia Michelangelo: Il vero uomo. 1919, p. 7 . . 0,50
6. Rossi Mario: Religione e religioni in Italia secondo l’ultimo censimento. 1919, pagine 13 . . . . . .. 0,50
7. Cadorna Carla: I ritrovi spirituali di Viterbo nel 1541. 1919. p. 7 • • • • • 0,50
8. Masini Enrico: Epistola ai fratelli di buona volontà. 191:9, P- 11...................0.50
9. Marchi Giovanni: Il « Confiteor « dei giovani. 1919, p. 8 ........ 0,50
io. Qui Quondam: Dopo-guerra nel clero. 1919. P- 14- 0.60
11. Tucci Paolo: La guerra eia pace nel pensiero di Luterò. 1919, p. 31 . . 1,50
13. Pavolini Paolo Emilio : Poesia religiosa polacca, 1919, pagine 8 ...... 0,50
101. Taglialatela Eduardo: Lo insegnamento religioso secondo odierni ' pedagogisti italiani. 1916, p. 9 . . 0,50
102. Tanfanl Livio: Il - fine dell’educazione nella scuola dei gesuiti. 1918, p. 27 0,75
103. Tosatti Quinto: Giordano Bruno (con ritratto del Bruno: disegno di P. Paschetto).
1917- P- 19 . . . . . 1 —
104. Trivero Camillo: La ragione e la guerra. 1917,9.150,40
105. Tucci Paolo:. La guerra nelle grandi paròle di Gesù.
1916. p. 27.......... 1 —
106. Tucci Paolo: Il Cristia- • nesimo e la storia (A prò-1 posito di Cristianesimo.. c guerra). 1917, p. 9 . 0,501
========== II Serie =====
13. Piòli Giovanni: In memoria del P. Pietro Gazzola. 1919, P- 15* • ..............r.5°
14. Provenzal Dino: Ascensione eroica. 1919, p. 14. 0,80
15. Rensi Giuseppe: Metafisica e lirica. 1919, p. 15 . . 1 — 16. Falchi Mario: C’è una spiegazione logica della vita? 1919 p. 8 ...... . . 0,40 i7.~Costa Giovanni : Giove ed
Ercole (contributi allo studio della religione romana nell’impero), con quattro tavole. 1919, p. 27 ... 2— 18. (*♦*) Mancanze di garanzie nello Schema e nel nuovo Codice di diritto canonico c saggio su le fonti. 1920 P- 52.............• 3 —
19. Della Seta Ugo: La visione morale della vita in Leonardo da Vinci. 1919, pa, gine 31 ...... 2—.
20. Lesca Giuseppe: Sensi e pensieri religiosi nella poesia di Arturo Graf (con due tavole). 1914-1919, pagine 40
2 — 21. Nazzari Rinaldo: Intelletto e ragione. 1919, p. 15. 1 — 22. Ferretti Gino: I.e fedi, le idee e la condotta. 191.9, pagine 50 ...... 2 — 23. Cento Vincenzo: L’Essenza del Modernismo . . 3 — 24. Minocchi Salvatore: Un disinganno della scienza biblica ? (I papiri aramaici di Biofantina)....... 1 —
107. Vitanza Calogero:,. Studi Commodianei. 1. Gli Anticristi e l'Anticristo nel « Carmen apologeticum » di Com-modiano. II. Commodiano Doceta? 1915, p. 15 . . 0,75 iq8. Vitanza Calogero: L’eresia di Dante. 1915, pagine 13 ... . Esaurito
109. Vitanza Calogero: Satana nella dottrina della redenzione. 1916, p. 19 1 — no. Wigley Raffaele: I metodi della speranza (Psicologia religiósa). 1913, pagine; 14........... Esaurito
ni. Wigley Raffaele: L’autorità del Cristo (Psicologia religiósa). 1915, p. 39, 1 —
25. Corso Raffaele: La rinascita della superstizione nell’ultima guerra .... 1.50
26. Colonna di Cesarò G. A.: La guerra europea dal punto di vista spirituale . . 1,50
27. Arcari P.: Atteggiamenti della pittura religiósa di Eugenio Burnand . . . . 1,50
28. Luzzi G.: A uno studente del sec. XX è egli ancora possibile d’essere cristiano?
1 —
29. Momigliano F.: 1 momenti del pensiero italiano (dalla Scolastica alla Rinascenza)
1.50
30. Thompson Fr.: Il veltro del cielo (Versionedi M. Praz) 1.50
31. Tucci G. : A proposito dei rapporti fra Cristianesimo e Buddhismo ...... 1,50
32. Mueller V. A.: G. Perez di Valenza O. S. A. vescovo di Chrysopoli e la teologia di Luterò.............. . .. 1,50
33. Troubetzkoi E.: L’utopia bolscevica ed il movimento religioso in Russia. . . 1,50
34. Momigliano F. : L’ educazione religiosa di G. Mazzini pag- io ....... . 1,50
35. Formichi C. : La dottriha idealistica delle «Upanishad» pag. 16 . . . . . . . . 2 —
36. Corso Raffaele: Folklore Biblico pag. 16 ... 2 —
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. - • (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-1V-20).
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Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20).
The University of Chicago Press - Chicago (Illinois)
ESTRATTO DEL CATALOGO (continuazione e fine)
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RELIGIONE
The university of Chicago publications in religious education.
Edited by Ernest D. Burton, Shailer Mathews, and Therodore G. Soares.
Constructive Studios. (Classified according to age arid grade).
The Sunday Kindergarten: Game, Gift, and Story. By Carries. Ferris. Teacher’s Manual, xxvi-272 pages, 12®, cloth.......doll. 1.50
Permanent equipment for each pupil ............. 1.50
Temporary material for each pupil ............. 0,50
Illustrated Story Leaflets. . . . . 0,75 Child Religion in Song and Story. By
Georgia L. Chamberlin and Mary Root Kern.
First Book. The Child in His
World. (Teacher’s Manual) . . . 1.25 Second Book. Walks with Jesus
in His Home Country. (Teacher's
Manual) . . . . ...... . 1.25 I
An Introduction to the Bible for Teachers of Children. By Georgia L. Chamberlin. A Manual for Teachers of children from nine to ele--ven years of age. xxxvin-206 pages. 120 cloth .'.......1.00 I
The Books of the Holy By Georgia L. Chamberlin. A notebook to be used by the children in connection with An Introduction to the Bible for Teachers of Children. Illustrated. 100 pages. 8°. paper . 0.35
The Life of Jesus. By Herbert W. Gates. (Teacher's Manual) xvm-156 pages, i6°. cloth ...... 0.75
Old Testament Story. By Charles H. Corbett. (Teacher’s Manual) xiv-216 pages. i2°. cloth . . . . 1.00
The Story of Paul of Tarsus. By Louise Warren Atkinson. (Teacher’s Manual) xxxiv-194 pages, 12«», cloth .... . . . . . ■ . . i.00
Heroes of Israel. By Theodore G. Soares. (Teacher's Manual) xxx-240 pages, 120. cloth ...... r.oo
Studies in the Gospel According to Mark. By Ernest De Witt Burton. xxx-248 pages, 12®, cloth . . 1.00
Studies in the First Book of Samuel. By Herbert L. Willett, xxxvm306 pages. i2°, cloth ...... 1,00
The Life of Christ. By Isaac Bronson Burgess. Adapted from The Life of Christ, by Burton and Mathews. 308 pages, 8°, paper . . 0.90
The Hebrew Prophets, or Patriots and Leaders of Israel. By Georgia L. Chamberlin, xvin-238 pages, 8°.
paper ............ 0,90
A Short History of Christianity in the Apostolic Age. By George H.
Gilbert, x-240 pages, 8°, paper . 0,90
The Life of Christ. By Ernest De Witt Burton and Shailer Mathews. 302 pages, 8®, cloth . . . 1.25
The Problems of Boyhood. By Franklin W. Johnson, xxvi-130 pages, 120.'paper .......... 0.70
Lives Worth Living. By Emily C. Peabody, xiv-188 pages, 12®. paper . . . . . ...... . . 0,70
The third and Fourth Generation: An Introduction to Heredity. By Elliot R. Downing, xii-164 pa-ges. 12°. paper .......... 0,70
Sodai Duties from the Christian Point of View. By Charles R.
Henderson, xiv-332 pages, 12®, cloth . . . . . . ■. . .... 1.25
Christianity and Its Bible. By Henry F. Waring, xxn-370 pages, 12°, cloth . . . . ............i ,25
Christian Faith for Men of Today. By Ezra Albert Cook, xiv-260 pages, 12°, cloth ....... ... j .25
Great Men of the Christian Church.
By Williston Walker, x-378 pages, 120, cloth ......... 1,25
Religiuos Education in the Family. By Henry F. Cope, xn-296 pages, 120, cloth ...... ... 1,25
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— VII —
Principles and methods of religious education.
The City Institute for Religious Teachers. By Walter Scott Athearn. XTV-152 pages. 16®, cloth doll. .0,75
A Survey of Religious Education in the Local Church. By William C. Bower, xvi-178 pages, 16®. cloth . 1,25
The Sunday-School Building and Its Equipment. With 42 figures. By Herbert F. Evans, xvi-116 pages, 16®, cloth................. 0,75
Recreation and the Church. By Herbert W. Gates, xiv-186 pages, 16®, cloth .....'..................1,00
The Church School of Citizenship. By
Allan Hoben. x-178 pages. 16®. cloth .......................... 1,00
Graded Social Service for the Sunday School. By William N. Hutchins. xn-136 pages, 16«, cloth . . 0,75
The Dramatization of Bible Stories.
By Elizabeth E. Miller, xiv-162 pages, 16®. cloth............... 1.00
Handwork in 'Religious Education. By Addie Grace Wardle, xviii-142 pages, 16®, cloth ...... 1.00 |
Handbooks of ethics and religion.
The Religions of the World. By George A. Barton, x-332 pages; 12°, cloth. (Revised edition in press.) . 1,50
The Psychology of Religion. By Geor- . ge A. Coe. xvm-366 pages, 120, cloth ......................1,50
The Origin and Growth of the Hebrew Religion. By Henry T. Fowler. xvi-1 go pages, 12°, cloth . . 1,00
The Story of the New Testament. By Edgar J. Goodspeed, xii-150 pages, 12°. cloth........... 1,00
How the Bible Grew; By Frank Grant Lewis. 240 pages, 12®. cloth ........... . . 1,50
The Ethics of the Old Testament. By Hinckley G. Mitchell, x-418 pages, 12®, cloth . .......2.00
The Spread of Christianity in the Modern World. By Edward C. Moore. xii-354 pages, crown 8®, cloth . 2,00
The Life of Paul. By Benjamin W. Robinson, xiv-250 pages. 12®. Cloth ............ 1,25
Outline Bible-Study Courses (The American Institute of Sacred Literature).
Four Letters of the Apostle Paul. With map. By Ernest D. Burton. 20 pages, royal 8®, paper ...... 0,50
The Life of the ’Christ. With map. By Ernest D. Burton. 72 pages, royal 8®, paper '........... . 0,50
The Origin and Teaching of the New Testament Books. By Ernest D. Burton and Fred Merrifield.
102 pages, 12®. paper ...... 0,50
The Origin and Religious Teaching of the Old Testament Books. By Georgia L. Chamberlin. 70 pages royal 8®. paper . . . .........0.50
The Gospel of John. By Edgar J. Goodspeed. 44 pages, 12®. paper . 0,50
The Foreshadowings of the Christ. By William Rainey Harper. 68 pages, royal 8®. paper ; ; . . . . . 0,50
The Work of the Old Testament Priests.
By William Rainey Harper. 46 pages, royal 8®. paper........0,50
The Work of the Old Testament Sages.
By William Rainey Harper. 70 pages, royal 8®, paper ...... 0,50
The Message of Jesus to Our Modern Life. By Shailer Mathews. 98 pages, 12®, paper... . ........0,50
The Social and Ethical Teachings of Jesus. By Shailer Mathews. 66 pages, royal 8®, paper . . . . ... 0.50
The Problem of Suffering in the Old Testament. By J. M. Powis Smith.
12®, paper .......... 0,50
The Universal Element in the Psalter.
By J. M. Powis Smith. 40 pages, royal 8®, paper...............0.50
The Message of the Prophets of Israel to the Twentieth Century. By Herbert L. Willett. 98 pages' 12®, paper ........... 0,50
The Book of Revelation. By Shirley
J. Case. 38 pages, 12®, paper . . . 0.50
The Realities of the Christian Religion.
By Gerald B. Smith and Theodore G. Soares. 58 pages, 12®. paper . . . . . , ...... 0.50
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Asa. Tip. Ut». Ital. 15-IV-20).
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— vm —
RACCOLTA STALL $
di opere destinate all’educazione sessuale | j
Versione dall* inglese con prefazione del prof. PIO FOÀ ò
PUREZZA e VERITÀ | j
Quello che il RAGAZZO DEVE SAPERE - Silvano Stali. .... Ó
. . .. Salvare i fanciulli dall’ignoranza, renderli capaci di sfuggire il vizio, A
liberarli dal pericolo di far del male a sè stessi ed agli altri- A
Quello che il GIOVANOTTO DEVE SAPERE - Silvano Stali. ©
... È dedicato ai giovani che debbono vivere puri e forti. ©
Quello che il GIOVANE MARITO DEVE SAPERE - Silvano Stali. 9
... È dedicato alla santità della casa, alla purezza e alla felicità del O marito e della moglie e al benessere dèlie loro creature. ©
Quello che l’UOMO DI 45 ANNI DEVE SAPERE - Silvano^Stall. 9
. .. Conoscenze necessarie per affrontare con intelligente saggezza questo Q
periodo di trasformazione. Q
Quello che la FANCIULLA DEVE SAPERE - Maria Wood Alien. $
... È giusto ed è possibile impartire un’ istruzione pura, la quale non conta- t mini l’anima infantile, ma anzi le sia preziosa salvaguardia per l’avvenire. ?
Quello che la GIOVANE DEVE SAPERE - Maria Wood Alien. X
. . . Ogni linea è’Jstata scritta dal cuore di una madre che prega in X silenzio affinchè questa lettura sia di aiuto, di conforto, di incoraggia- X mento alle giovani... T
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Questo libro è dedicato alle giovani mogli che vogliono guidare verso J un alto destino' sè stesse, i loro mariti e le loro creature. a
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BILYCHNI5
rivistadi sTvdi religiosi
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ANNO IX - Fasc. Vili. ROMA - AGOSTO 1920
Vol.XVI.2
LA BUFERA
(analisi di un solitario della politica'»
Il ritardo nella pubblicazione del presente fascicolo è dovuto al mancato invio della carta da parte delle cartiere.
. . vj, v.« vùvisj uni vara uane
condizioni economiche, tra poco, nessuna legge sarà più inviolabile e noi ci troveremo nel vortice della bufera, nella lotta di tutti gli egoismi sfrenati, sulle rovine dei q uali dovrà alfine ergersi la società nuova.
Fuggevole chimera, e arida e vuota, fu quella che dominò le coscienze per quasi un secolo, convinte che una istruzione elementare diffusa, una sufficiente istruzione professionale avrebbero costituito il viatico unicamente necessario per costruire la
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— Vili —
RACCOLTA STALL di opere destinate all’educazione sessuale
Versione dall’inglese con prefazione del prof. PIO FOÀ
PUREZZA e VERITÀ
Quello che il RAGAZZO DEVE SAPERE - Silvano Stali.
. . ..Salvarci fanciulli dall'ignoranza, renderli capaci di sfuggire il vizio, liberarli dal pericolo di far del male a sè stessi ed agli altri.
Quello che il GIOVANOTTO DEVE SAPERE - Silvano Stali.
... È dedicato ai giovani che debbono vivere puri e forti.
Quello che il GIOVANE MARITO DEVE SAPERE - Silvano Stali.
... E dedicato alla santità della casa, alla purezza e alla felicità del marito e della moglie e al benessere delle loro creature.
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Anno IX - Fasc. Vili.
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ROMA - AGOSTO 1920 Vol. XVI. 2
LA BUFERA
(analisi di un solitario della politica)
consolidati, non può
ievole a presagirsi lo sconvolgimento della società tra poco volger di tempo poiché le forze ancor vive dell’attuale forma di consorzio non ad altro tendono, sia pure inconsapevolmente, che ad accelerarne la fine; non ostacolate nel loro fatale svolgimento se non dalla tradizione cattolica da un lato, e dall’altro, ma più debolmente, dalle previsioni di taluni spiriti evoluti, i quali finora non han governo che su poche intelligenze, isolate dalle folle. Chè la conservatrice rete d’interessi, che già parvero ritenersi più un mezzo atto a frenare durabilmente lo scatenarsi del cozzo finale, sì anzi deve considerarsi quale affettatrice, e acceleratrice perciò, dei sentimenti egoistici che lottano appunto per impadronirsi della gestione di quella rete, affine di esercitare la loro nuova funzione ordinatrice.
E poiché ormai ogni azione, la stessa regola morale anzi, vuoisi derivata dalle condizioni economiche, tra poco, nessuna legge sarà più inviolabile e noi ci troveremo nel vortice della bufera, nella lotta di tutti gli egoismi sfrenati, sulle rovine dei q uali dovrà alfine ergersi la società nuova.
Fuggevole chimera, e arida e vuota, fu quella che dominò le coscienze per quasi un secolo, convinte che una istruzione elementare diffusa, una sufficiente istruzione professionale avrebbero costituito il Viatico unicamente necessario per costruire la
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BILYCHNIS
norma della vita morale e materiale dell’uomo. E non parlo già del più grossolano e rigido materialismo, che pure informò tanta- parte della nostra scuola, ma altresì di quel vacuo, pesante, illimitato idealismo, che non è scienza e non è fede, che non ha un vero valore ideale, non un valore intellettuale e tanto meno pratico ed utilitario, ma che pur tuttavia pare un anelito, è un gemito senza fine, come il grido disperato dello spirito che naufraga nella materia.
Le premure degli organizzatóri del popolo furono rivolte al corpo, non solo quelle che avevan di mira una giusta distribuzione di pane, senza del quale necessariamente ogni ideale convertesi in sasso, ma altresì quelle che avevano per ¡scopo la elevazione del proletariato affine di prepararlo al dominio, e in realtà lo han fatto schiavo di sè stesso, precludendogli il varco alla spirituale elevazione sua.
La classe borghese, dominata dal positivismo scolastico e pratico, imbevuta, tutt’al più, della filosofia dell’energia, ossia dei nervi invece che della mente, ha voluto insignorirsi della società con tutti i mezzi suggeritile dal più variopinto utilitarismo e quando questi più non bastarono, essa s’infinse democratica e perfino socialistica, irritando vieppiù le classi operaie ormai esperte a ogni giuoco: e ora si raccomanda con mal dissimulata ansietà e con ¡spaventata fede al militarismo da essa voluto e dovuto creare a difesa e gloria del proprio capitale oltre che della nazione;
Impossibile perciò, imperando tali sentimenti, che l'attuale società si salvi, impossibile, anzi, le è impedire che l'uragano di tutti gli egoismi non si scateni e scuota in caotico sommovimento le colonne basilari, non solo del viver civile, ma altresì quelle, già putride, del reciproco rispetto che non è più fondato sulla stima ma sull’interesse, non più dettato dall’ammirazione ma dal tornaconto.
L’antica fonte di abnegazione non ancora disseccata, in ¡specie nelle infime Classi del popolo, s’è convertita però naturalmente in odiò contro le classi fortunate, odio che non prorompe alla lotta immediata per la impellente necessità di fondere in un unico fascio tutte le energie ribelli alla ingiustizia ed indi lanciarle al travolgimento delle leggi e dei poteri, e al privilegio, con l’illusione o con la fede di sostituirli, migliorandoli, con altri poteri e con altre leggi.
Ma in realtà, sotto la potenza dell’egoismo trionfante, ogni fede,ogni luce si spegno.
Il catolicismo medesimo — come pratica di vita — ha subito da molto, da troppo tempo, l’influsso del materialismo onde ormai è inquinato, sicché l’infinito appare ai più dei sedicenti cristiani un'astrazione irreale, un vuoto in cui sol si vedono gli oggetti palpabili. La vita dello spirito è inaridita.
Il catolicismo e il cristianesimo servono ai più come una bandiera politica, a molti di salvagente riservato ai momenti più critici, tra i quali primo il transito nel mondo di là, transito in cui, chi ha idolatrato le proprie passioni, vuol nondimeno salvare l'egoismo dello spirito, se uno spirito v’è; a pochi veramente serve — e raramente — come fónte di vita pratica.
La illogicità dei cristiani non consiste tanto nella contraddizione tra i principi e la vita professata quanto nella tranquillità di coscienza con la quale colora
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LA BUFERA
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che dovrebbero vivere come missionari dell'amore si tramutano in servi dell’egoismo. Da tale tranquillità traspare la più evidente confessione di materialismo, di utilitarismo da cui sono dominati, traspare la negazione più profonda dei principi medesimi donde si dicono inspirati e che loro anzi servono da sozzo richiamo e difesa della loro azione immorale.
Il cristianesimo, così inquinato, non serve ormai più a dirigere i popoli verso una vita migliore, di qua e di là della vita terrena.
La. donna, la madre medesima, la sposa, la sorella, che pure quasi generalmente sono state educate tra la casa e il santuario, non v’è caso si rallegri di un atto generoso, veramente disinteressato, del suo caro, non v’è mai caso che lodi il figlio delle proprie viscere se questi si senta trasportato ad amare il prossimo come se stesso, ma quasi sempre ce la sentiamo attorno per ricordarci che amare è soffrire, ed essa non vuole che noi soffriamo, che la vita è una lotta, ed essa altro non brama se non apprestarci e affilarci le armi per la vittoria. La vittoria che uccide un nostro fratello. Chi di queste donne insegna veramente l’amore, la vittoria sopra sè stessi, perchè l’umanità vittoriosa sia addestrata a superare la terribile prova cui è destinata? Chi di esse, in nome degl’interessi di famiglia, in nome del proprio amore, non sospinge all'orgoglio, alla ingratitudine, al disprezzo dei puri sentimenti della coscienza, all’ingiustizia? E come la donna può pretendere un’umanità migliore se la passione tanto l'accieca da sconoscere praticamente la religione di cui' blandamente si dice seguace?
Grandi onde di mare rivoltano or qua or là il cuore degli uomini a seconda sian mossi dalla cupidigia della prosperità nel fortunale 0 dalla paura dell’avversità nella quiete della ricchezza. La cupidigia e la paura, sfrenate da spiriti rilasciati, abbandonati da ogni senso morale, sono i venti impetuosi dal cui urto verrà sferrata la tempesta. Della quale sarebbe ormai vano deprecarne l’avvento, se i sentimenti inspiratori della vita permarranno quelli or ora tratteggiati, poiché evidentemente essi non potranno che acuirsi irritandosi nello scambievole contrasto.
Nè è a presagirsi un’attenuazione di questo per la considerazione della inanità d’una guerra sociale distruttrice: chi di coloro che ha in mano il potere non si reputa sicuro di domare col sangue, quando che sia, una rivolta, una rivoluzione?
Quanti, perfino, non si augurano quello che chiamano un atto di energia del governo, atto di energia che, in parole chiare, vuol significare repressione, sangue, tirannia? Chi del proletariato non si ritiene sicuro della vittoria in una lotta, anche cruenta? Ma frattanto nessuno pensa alla sterilità, almeno, di quella vittoria che avesse portato alla dittatura proletaria, ancora non esperta del maneggio delicato della cosa pubblica, di quella vittoria che avesse inasprito la dittatura plutocrática militaristica, ignara tanto della psicologia umana da ritenere possibile il suo prosperare in uni società vinta, calpesta, non doma.
La sfrenata libertà individuale s'è convertita in tanta licenza morale da rèndere quasi mitico l'uomo che inspiri veramente tutta la vita sua alla luce di una coscienza disinteressata; la sfrenata libertà individuale non ha trovato alcun limite
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•alla propria passione poiché più nessuna virtù morale, nessuna fede ideale s’era salvata dall’avidità dell’egoismo che, per trionfare, fuorché sé stesso, ha distrutto tutti gli altari della vita: religione, patria, umanità, sacrifìcio.
E la tenebra avvolge le menti, la passione sugge i cuori, il materialismo affoga la civiltà.
Nel popolo altra gioia non v’è se non quella che proviene da un lauto banchetto e da un vistoso vestiario; nella borghesia altra gioia non v’è sé non quella che proviene da favolosi guadagni o da superbe affermazioni personali che vorrebbero apparire lampi d’intelligenza e non sono che fiammate d’orgoglio: insensibile questo alle miserie altrui, sol curante d’indorare le proprie. L’aristocrazia, fracida e putrida, balla ancora il suo moderno internazionale tango con la borghesia arricchita sopra il vulcanico terreno che sta per ¡sprofondarsi; gli scienziati medesimi, assai più allettati dalle gioie della vita sensuale che da quelle del sapere severo, assai più abbagliati dallo splendore di chincaglieria delle onorificenze, che non dalla lucè della verità, si piegano volentieri ad indulgere ai vizi della moderna società .negando poi alfine la fiamma da cui dapprima, in un abbandono generoso, furono presi. Tutti adorano un dio: il denaro, poiché con questo presumono di soddisfare le avidità da cui son tiranneggiati, un dio che marcia al fragore plaudente dell’orgoglio, dell’invidia, dell’avarizia, della dissipazione, dell’allettante fantasia che ai migliori fa balenare le serene gioie di una vita senza pensieri. Ma quel denaro è sempre lo stesso, è sempre la medesima convezione, la stessa illusione umana che invano lo prodigherà ad acquistare i frutti del lavoro, che vanno scomparendo dai mercati poiché il lavoro medesimo, fattosi più ricercato e più costoso, non basta a servire l'oro sempre più incapace a soddisfare i bisogni dell’uomo. II lavoro, la vera ricchezza cioè, il mezzo con il quale ciascun individuo deve comprarsi la vita, diviene sempre più raro quanto più la moneta abbonda.
Eppure la lotta non è già più tanta pei; procurarsi occupazione quanta per radunare denaro che basti a lavorare di meno, a non lavorare più. Il mondo gira vorticosamente intorno a questo circolo vizioso senza accorgersi che alfine ciascuno di noi dovrà diventare, un giorno non troppo lontano, un cannibale, se non vorrà rinunziare alla vanità, all'avidità, alla poltroneria propria.
Che cosa è sfuggito a Marx nel calcolo suo della vita avvenire? Che cosà è sfuggito a. Backunine? Che cosa a Fourier e ad Augusto Comte?
Là vita.
Essi han considerato i fenomeni sociali con la medesima freddezza con la quale avrebbero compilato la teoria chimica delle valenze, hanno sezionato l'armonia della vita presumendo di sviscerarne i segreti-, come un bambino potrebbe credere di aver svelato i segreti di una sinfonia rivelandoli quali effetti degli ottoni e delle bocche che loro davan fiato, accorgendosi forse del direttore d’orchestra, ma non sospettando, nemmeno, il non veduto autore della musica.
Che cos'è l’inspirazione? Non sfugge essa alla concreta disamina? Sezionare il fiore, rivelare la qùalità e la quantità delle sostanze di cui è composto, non è
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certo opera difficile; ma chi sa dirmi il perchè della sua vita? Eppure taluni chimici possono presumere di avere svelato il perchè della sua esistenza da quando hanno potuto sezionarla e numerarne gli elementi. In realtà, invece, ad essi sfuggiva il segreto della vita quanto più pretendevano di averlo svelato.
Ma quanti, traditi dalle parvenze, non si sono cullati nella fiducia che ponendosi sotto la direzione di un chimico sociale, la vita non solo fosse ad essi rivelata, ma dovesse necessariamente perfezionarsi con la semplice modificazione e sostituzione degli elementi apparenti ?
E di mano in mano l’umanità, illusa, si è mossa dietro il bagliore delle corruscanti fiamme artificiali della officina meccanica e chimica della umanità.
Domani si accorgerà che la chimica e la meccanica non sono tutta la vita, ma una delle forme esteriori della materia. Ma intanto?
Intanto l’illusione, che tanto bene coincide con l'egoismo, accelererà il ritmo della bufera. Il nembo già si è addensato sull’orizzonte e il vento impetuoso lo spinge verso di noi che già vediamo oscurarsi l’occhio del sole.
La gran folla vagabonderà domani sulle vie e sulle piazze tumultuando, la gran folla, in cui si sono venute spegnendo le fiammelle di bontà che in essa balenavano, come belva furente, impazzita, non domata, si getterà sul primo ostacolo che le si parerà dinanzi, senza più nella sua furia distinguere ciò che le è d'impedir mento e ciò che le è di giovamento. Chi l’ha titillata, chi in buona o in mala fede l’ha scatenata contro l'ingiustizia imperante, paventa già fin d’ora nel suo cuore le conseguenze del proprio inconsiderato impulso ed è incapace di rendersene padrone, poiché il linguaggio del cuore, quello che era stato schernito allorché si trattava di analizzare a* freddo le azioni degli uomini, non può più per essi, coerentemente, tornare in onore: ed essi stessi tanto sono ormai schiavi del gelido loro ragionamento, senz'anima, da non trovarvi più fiamma nè fede per un ideale puro. Morranno schiavi dell'egoismo che hanno alimentato.
Dall'altra parte, dai cosidetti partiti d’ordine, ascolto più spesso parole rabbiose di violenza che non parole savie di persuasione. I borghesi, da troppo tempo allontanatisi dalla vita del popolo, sono impotenti a comprenderne il linguaggio, a intenderne la stessa forza, la stessa violenza. Quanto più sparuti di numero nelle loro adunanze, tanto più in èssi prevalgono propositi biechi. Eppure il loro gelido pensiero dovrebbe invitarli a ragionare, dovrebbe persuaderli che, in un urto, i più forti, i più maneschi, saranno i vincitori, e che la lotta, condotta in un campo esclusivo di contrasti materiali, si risolverà per essi in una ben dura sconfitta.
Oh! Le armi! Chi crede più alla potenza delle armi ? E ammessa una vittoria effimera chi può seriamente cullarsi nell'idea che la pace sociale sia fatta?
Dunque, siamo disgraziati tanto da essere costretti in questo enorme girone dantesco, la terra, senz’altra visione fuorché quella dell’eterno tormento?
Siamo però noi stessi che ce lo siamo procurato. Non abbiamo preteso dalla vita più di quello che legittimamente ci sarebbe spettato, non abbiamo così leso ir diritto altrui, provocandone le ire, l’odio, le reazioni? Non abbiamo negato, in
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ima comoda frenesia pseudo-scientifica, valore allo spirito? Se era giusto e necessario, per qualsiasi studio, risolare i fenomeni che costituivano il nostro campo d’osservazione, dopo aver studiato le cause operanti isolatamente, avremmo dovuto assurgere alle più vaste e remote cause, da cui derivano le infinite combinazioni della vita, così interferenti, così connesse fra di loro da una sapienza inesausta che supera noi e che, se si chiama natura, è tanto intelligente da confondersi con' Dio, se si chiama Dio, è così imperscrutabile e insieme così luminoso che la nostra più viva intelligenza, dopo esserne stata abbagliata, deve inchinarglisi e servirlo. Servirlo perchè noi sentiamo la sua legge, il suo comando nel cuore. Gl'impeti di bene che, pur nel turbamento dei nostri sensi, sentiamo, perchè? Perchè gli slanci di altruismo se materia bruta siamo', governata esclusivamente dalle leggi dell’interesse economico? Per qual privato interesse posso io esser tratto a scrivere, a suscitarmi odiosità, rivalità, rancori, quando il luminoso fascino dell'arte dovrebbe attrarmi e offrirmi materia tanta di soddisfazione, di ambizione personale? Noi obbediamo a una legge, a una norma che ci è stata scritta nel cuore fin prima della nascita nostra, e che sentiamo pura dominatrice dell'intelletto, se questi non è stato offuscato e, peggio, ottenebrato dalle impurità delle passioni, se questi non è stato accecato da quei vizi che pur Dante, nei suoi trentacinque anni, fecero smarrire in uria selva oscura.
Ma, al contrario di Dante, noi permaniamo a rimaner nel foco delle passioni, nel loco d'ogni luce muto, evitando deliberatamente ogni raggio che ci rischiari la tenebra fitta in cui naufraghiamo.
Da un lato ascolto, in un cieco furore di sovvertimento, eccitamenti a scioperi, che, nel disagio angoscioso di tanto popolo, senza riuscire a migliorare effettivamente l’egoismo delle classi scioperanti, peggiorano le condizioni generali, sicché, nell’accrescimento della miseria comune, più esasperato sia l’animo che sospinge alla rivoluzione... ma la ricostruzione poi, chi si sentirà in animo di condurla, quando tutti gli odi saranno scatenati, tutte le aberrazioni al loro culmine?
Dall’altro lato non si ascoltano inviti amorevoli a ragionare, a dimostrare fattivamente come solo una ricostruzione sia possibile: quella che, mentre tenta di far isboccare nelle nuove forme di assètto sociale le forze vive della società, insieme promuove, con ogni mezzo lecito, l'educazione dell'animo, il sentimento della generosità, il senso di una vita diversa di questa in cui ci dibattiamo, di una vita non soltanto migliore quaggiù, ma di una vita di là dal confine della carne, della vita cioè spirituale.
Invece, se un mezzo tenta la società per resistere al ciclone che paventa questo mezzo è esclusivamente materiale: si apprestano guardie regie, milizie civiche da contrapporre all'urto delle milizie socialìstiche ed anàrchiche, senza accorgerci, gli uni e gii altri, che noi riponiamo la ragione solo nella forza del pugno e che, con cieca deliberazione, ai più violenti e ai più materialmente, numericamente forti, è serbata la vittòria.
Misera vittoria.
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Immaginate la vittoria del cosidetto partito dell'ordine?
Per il largo uso delle armi impiegate, prima in talune città, nella nazione tutta dipoi, è soffocato nel sangue un largo moto rivoluzionario. Tra le punture della fame crescente e dell'odio dei vinti, non domi» rivoluzionari, i reazionari piu accaniti, che finora hanno avuto timore di mostrarsi troppo, non avranno più ritegno e cercheranno di sfruttare la triste vittoria a loro esclusivo profitto. Ciò che immediatamente porterà alla scissione i vittoriosi, quelli cioè che nella lotta civile avran pagato di persona e quelli invece che vilmente avranno atteso l’esito nelle loro ricche tane. Nel dissidio i già vinti — numerosi, fatti belve dàlia vendetta, più astuti dalla dura esperienza, con l’aiuto anche delle forze similari straniere, mentre la fame raggrinzerà terribilmente lo stomaco non rendendo più paurosa la morte, mentre il lavoro sèmpre più scarso rarefarà la produzione, mentre il ricco, oblioso del pericolo, insulterà vieppiù la miseria nell'orgia — abilmente sapranno trarne partito per una tremenda rivincita contro la quale più non saranno bastevoli e sicure nè baionette nè mitragliatrici, nè cannoni, nè velivoli, poiché più non si troverà- chi sarà disposto a usarne contro il popolo insorgente all'illusione di trovar ristoro alla fame e all'avidità, sia di dovizie che di cibarie. A che sarà valsa la prima vittoria se non a incrudelire gli animi tutti e a peggiorare le condizioni comuni?
Immaginiamo anche una vittoria proletaria attraverso il sangue. Anche qui l'ira pel conteso successo, esacerbando gli animi, incrudelirà sulle vittime e sugli averi di queste, rendendo anche i proletari malati di quel succhionismo, di quel parassitismo che finora han rimproverato alla borghesia. Mangeranno non più del proprio lavoro, quanto delle poche riserve ancora dagli agricoltori e dagli industriali accumulate. Consumeranno le ultime energie nel concedersi ancora il lusso delle ferrovie, dei servizi postali, dell’illuminazione. Poi anche i servizi pubblici verran meno, ma lo stato generale d'irrequietezza, di incertezza, di rivolta, permarrà. Troppo i sobillatori han, per riuscire, vellicato le male tendenze dei ceti operai: aggravandosi il serpeggiare continuo di scioperi sporadici, ma concatenati, scoppiarti qua e là, ormai forse senza più volontà degli antichi promotori, si afferma fin d’ora l'avidità insaziata delle classi nuove, congiunta a una molto minore attività lavoratrice, avidità che si tramuterà in una rapida devastazione di benijdi qualsiasi natura, in un saccheggiamento sistematico degli approvvigionamenti. La vittoria verrà celebrata così; seppur anche, dopo il cozzo, timorosi i proletari di veder risorgere la dittatura militare e menomata la propria, non inseviranno crudelmente sulle persone avverse, e, peggio, su quelle che volessero ricondurre a saggezza le folle, probabilmente su chi oggi crede di dominarle, e ne è invece lo schiavo.
. La produzione naturalmente diminuita per l'aumentato disio degli spassi e per la illusione che il mondo, con la nuova sistemazione» possa fare a meno della antica fatica, noi vedremmo gli uomini, alla fine, anche della medesima classe, lanciarsi gli uni contro gli altri a contendersi la miseria degli ultimi tozzi di pane. Ci troveremmo dinanzi alla più terribile catastrofe materiale e morale. Dopo di
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che,f dopo cioè’quellc qualsiansi conseguenze politiche e sociali che ne fossero provenute, nello stato più abietto, moralmente e materialmente — denutrizione, livore, disordine — l'umanità punita dovrebbe riprendere faticosamente l'eterno suo cammino, tentando di riprodurre, sotto la guida dei più animosi o sotto la tirannia di pochissimi, l'antica forma di società, solo allora, forse, se non economicamente, moralmente di poco migliorata.
Il feroce egoismo delle nazioni avrà contribuito efficacemente al disastro: ciascuna di esse corre al proprio apparente profitto, senza curarsi delle condizioni dei popoli vicini, i quali, alla lor volta, nella disperazione, saranno i focolai della rivolta anche presso coloro che oggi si ritengono sicuri di grassi guadagni alle spese altrui. Intanto la malattia degli spiriti e delle lor opre — tutto nel mondo è intimamente connesso — sospinge, con moto più o meno accelerato ma perenne, le nazioni, senza quasi eccezione, a diminuire, invece che a intensificare con la massima energia, la produzione agricola e industriale, sospinge all’aumento, talvolta allo sperpero, invece che alla massima economia, dei consumi.
Possibile che l’egoismo abbia così accecato ciascun uomo da togliergli intera la retta vista della luce? Ammetto che, in tanta tenebra di passioni, dinanzi alla visione dei disastri minaccianti l’umanità, molti pensino a salvar solo sè stessi, ma come mai non si accorgono dell’assurdità di salvar solo sè quando la società naufraga, quando per egoismo ciascuno è segnato a dito e per proprio interesse è pronto a denunziare il fratello?
Io voglio che gli uomini si destino alla voce, al grido d’amore; ma mi meraviglio che non si siano almeno destati alla voce del loro interesse particolare, alla voce della ragione.
Questa infatti, dopo matura disamina, avrebbe chiaramente dimostrato alle loro menti borghesi o proletarie che condurre violentemente gli uni contro gli altri la lotta, pur da natura insita nella esistenza di ciascuno di noi, porta diretta-mente a una ecatombe più funesta della terribile guerra appena terminata, senza nemmeno il minimo visibile vantaggio... A che prò’ allora difendere con la spada o coi denti il diritto o il preteso diritto del proprio capitale o del proprio lavoro? Uomini, ragioniamo.
Ammettiamo per un momento che pochissimi riescano a godersi, col terrore, il frutto delle fatiche proprie ed altrui: essi non potranno altrimenti mantenersi gli effimeri beni per cui a vicenda si dilaniano se non, in una ignobile combutta di padroni e di servi, terrorizzando terrorizzati. E che questa sia la china per la quale van mettendosi, a contrastare le sempre più minacciose agitazioni proletarie, talune associazioni o consorterie — che, sotto il pretesto più o meno sincero di difendere l’ordine, la civiltà, la libertà, il progresso, mentre tendono a costituire organizzazioni intitolate all’antibolscevismo che non conoscono, in realtà son pronte a irreggimentare gli arditi, i bravacci del potere da sguinzagliare .contro la marmaglia che è la feccia di ogni partito estremo — lo stanno a dimostrare le tante leghe sorte in questo periodo nelle nostre città, leghe in cui vorrebbero confon-
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dersi anche le disorganizzate classi medie a difesa di non si sa bene qual potere, quale idea, quale fede.
Questa in realtà loro manca e vi sopperiscono o con l’incentivo di ventilati beni economici o con la bruta forza, che sarà esclusivamente fomite di violenza.
La via di salvezza è lunga e perigliosa: io la scorgo soltanto in un fervido apostolato di amore fraterno, illuminato da quella gran luce che di là da questa c'indica un’altra patria di cui tutti siamo cittadini.
Se tutti fossero persuasi dell'esistenza della vita oltre tomba, corrispondente ai risultati ottenuti in questa, sé fossero convinti che soltanto nell’amore fattivo e scambievole è il segreto del progresso e della pace dei cuori, come per incanto la società rinnoverebbesi. Ma pochi son gli animi preparati ad intendere il verbo di amore, e questi non così ardenti da sacrificar tutto per la diffusione e l'attuazione dei suoi principi, cosicché il progresso morale e spirituale è stato sopravanzato e soffocato dall’avidità dei beni economici e sensuali. Occorre perciò rinsaldare in una fede universale le fedi individuali: bagliori oggi precorrenti la nuova aurora. Dare di queste fedi le prove possibili, diffondere in tutti gli animi pronti i semi della novella buona, sospingerli all'azione pura e disinteressata a prò’ di tutti. Questa pratica quotidiana convincerà molte coscienze, anche talune delle più rozze, ad affidarsi serenamente a chi avrà dimostrato di non agire per secondi fini, ma esclusivamente per umanità e per giustizia.
A cominciare mille occasioni son buone: ad esempio proporrei, come ho proposto nel piccolo centro dove attualmente vivo, di istituire dei fasci apolitici — i cui aderenti sian uomini pochi, almeno da principio, di qualsiasi, anche avverso, colore politico, ma noti per sentimento di umanità non disgiunto da opportuna fermezza — per adoperarsi acchè, in eventuali perturbamenti d’indole economica o politica, non vada almeno smarrito il senso di umanità che l’uomo deve all’uomo sicché non si debbano deplorare nè assurdi vandalismi, .né riprovevoli eccessi contro le persone.
Questi uomini, convinti della diffusa malattia spirituale odierna, non appartenenti a partiti o, se ascrittivi, non inariditi dalla passione di parte, chiamati per innata propensione a svolgere la loro missione in un periodo tanto travagliato, non sobillati da recondite cupidigie, mentre, nell’inviperimento attuale delle avidità e delle ire per le quali così spesso trascendesi ad atti inconsulti, imporrebbero a sé una disciplina, una norma di condotta per cui essi medesimi sarebbero alieni da qualunque crudeltà, si porrebbero a contatto con il popolo, lo seguirebbero, se già favorevolmente conosciuti, nei tumulti, dove agirebbero da pacificatori temperando la vulcanità degli irriflessivi e degli irresponsabili.
Naturalmente tali intese, tali fasci che s’irrobustirebbero. Oltreché per l’esercizio della loro azione pratica, altresì con lo studio dei fenomeni spirituali, mentre si manterrebbero dapprima nell’orbita dell’apoliticità — almeno nel senso largo della parola, evitando di portare, tome sodalizi, il proprio parere nelle questioni di ordine esclusivamente economico o politico — chè sarebbe un gettare olio rovente sulle
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piaghe vive — restringerebbero la loro funzione permanente all'educazione del popolo, all'ingentilimento del costume, alla formazione di una coscienza morale e ampiamente religiosa dei ricchi e dei poveri, dei proletari e dei borghesi. La loro funzione eventuale consisterà nell’arginare, nel letto ior naturale di contesa politica od economica, i dissidi che potessero insorgere fra cittadini e cittadini, fra cittadini e autorità.
In tal maniera, mentre non verrebbe negato, ma anzi agevolato, il naturale processo economico.e politico, con il conseguente lor gioco di partiti, si richiamerebbero vivamente, ardentemente tutte le popolazioni al senso della ragione, alla valutazione serena di conseguenze per tutti dannose, e il seme di una fede più pura di quella che Ora bùlica nei cuori umani troverà piti facile àdito poi in animi meno induriti sicché non impossibile divenga il resistere alla bufera minacciante di trasformarsi in ciclone e di provvedere poi alla ricostruzione di quanto la brutal violenza avesse fatto scempio.
Per animi più ardenti e pronti io ritengo opportuno lo iscriversi specialmente a quelle associazioni proletarie di indole economica che or pullulano dappertutto. Essi, in qualsiasi occasione, dovrebbero portare la loro parola infiammata e viva, dimodoché conosciuti dapprima come uomini sinceri, puri, scevri di ambizione, più facilmente potessero poi condurre le lotte sociali, spostandole dal terreno del materialismo storico e del conseguente odio e della vendetta delle classi, sul principio della giustizia e dell’amore, che mentre nulla toglierebbero alla realtà delle nuove conquiste proletarie, conferirebbero ad esse disciplina, dignità, nonché a tutte le- folle, il senso della solidarietà umana, della giustizia e della religione universale, per cui ogni vita è sacra come una missione; per cui ogni corpo, nell’aspra fatica quotidiana, deve ascendere fino alle altezze dello spirito.
Umberto Brauzzi.
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L’ESISTENZA DI DIO E IL
PROBLEMA DEL MALE ::
£ l'ideale del sapere è la verità, l’ideale della vita non può essere che il bene, sotto qualunque forma venga concepito. Ma la vita implica, nella sua comprensione, anche il sapere, quasi una sfera più limitata; onde il bene dovrebbe essere, conseguentemente, preposto al vero, quale termine ultimo (il Bene) di ogni opposizione dialettica, teorica e pratica. 0, almeno, anche se il bene e il vero dovessero essere considerati come irriducibili l’un l'altro, non sarà, però, mai possibile
supporre il bene subordinato al vero.
Si dica pure che la verità ha valore per se stèssa e che, quindi, potrebbe essere, essa medesima, il bene supremo, il quale è inconcepibile all’infuori della verità; ma con ciò, non che infirmare la preminenza logica del bene, si. viene inconsapevolmente a ribadirla. Infatti, che significa asserire che la verità ha valore
per se stessa se non riconoscere resistenza o la necessità di un dover essere, in rapporto al quale è commisurato il valore di ogni essere (e, quindi, il suo diritto all’esistenza), anche quello della verità, in quanto èssa partecipa o s’identifica con quell’ideale? E un ideale che ha valore per sè, non subordinabile ad altro (anche se non fosse l’unico ideale), è certamente il bene. È superfluo aggiungere che se l’ideale fosse, per- supposto, subordinabile ad altro, esso cesserebbe, per diritto, di essere il bene supremo, il quale sarebbe trasferito ipso iure in quel altro. Ogni forma di agatologismo metafìsico o gnoseologico, che si limiti a questa posizione di principio, è pienamente giustificata e sfida ogni obiezione dal punto di vista della comprensione intellettiva. Il bene sovrasta al vero (Gioberti).
Pure, si domanda allora: anche se la verità debba assumersi come subordinata al bene, come si spiega il rapporto? Un rapporto di coordinazione fra i due
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è da escludere, perchè ogni coordinazione logica suppone un concetto ulteriore sopraordinato; e nulla può essere, come dicemmo, preposto al bene, senza falsarne il significato. D’altronde, è pure da escludere una subordinazione del vero al bene, perchè, se la verità esiste, significa che essa vale per la spiegazione della realtà, quindi realtà è bene.
Il concetto di valore unifica le sfere, apparentemente diverse, del bene e del vero coincidenti nella ragione assoluta; per cui, se, logicamente considerati, i due concetti sono in rapporto di subordinazione (il vero al bene), gnos? ©logicamente esprimono due aspetti di una medesima idea suprema, in cui la finalità è immanente a se stessa \auto-telos). Il bene» direbbe lo Spaventa, è l’oggettività del vero (i). Non del vero astratto, ma del vero accertato attraverso la mediazione. Il bene che è unità di ragione e fatto, cui è insito lo sforzo del soggetto che realizza se stesso, e con ciò crea un valore morale. Il valore d’un oggetto non consiste propriamente nella sua desiderabilità (Ehrenfels), e neppure nella forza di determinazione con cui si afferma nella lotta dei motivi (Meinong), ma nella sua partecipazione al vero bene, il bene che non ha il meglio (2) sopra di sè, ma si possiede nella conoscenza di sè.
Che non ha fine, e sè in sè misura.
L’importanza di tale unificazione è capitale per l’etica; chè solo su questo fondamento può istituirsi una salda concezione razionale, agatologica e deontologica insieme; soltanto così è resa inesorabile la condanna di ogni sistema morale edonistico, utilitaristico e prammatistico.
Non solo, ma non meno insostenibile appare ogni forma di etica che, al pari della kantiana, pretenda fondare la validità deH’obbligazione in una legislazione universale, di cui non sia necessaria prima la giustificazione del bene, perchè è essa stessa (l’obbligazione) il bene supremo. Poiché, malgrado ogni artificio logico, nel tentativo veramente acrobatico d’invertire il rapporto di subordinazione si riesce sempre alla stessa conclusione: o la legge morale volatilizza nel vacuo di un’astrazione che non obbliga effettivamente; oppure essa legge postula o, introduce di frodo quel bene oggettivo da cui vorrebbe prescindere, e nel quale soltanto attinge vera forza deontologica.
Ora che il vero e il bene si sono dimostrati coincidere in uno, risplende più pura la luce dell'universale, che è ragion pratica in quanto nega e riassume in sè la particolarità e l’esclusività dei fini egoistici utilitari, se pur meritano essi il nome di fini. Chè non può essere vero fine là, dove l’oggetto ha valore soltanto rispetto a un termine che lo asservisce a mezzo (piacere, felicità, ecc.) e, quindi, lo nega come fine.
(1) «Come ragione che conosce e vuole se stessa» Spaventa, Logica e metafisica. p. 446. Laterza, 1911. I! Gioberti affermò la preminenza dell’Etica, in quanto «determina quei sommo bene, che è lo scopo pratico comune a ciascuna (scienza), onde tutte muovono come da loro principio, e a cui tutte rinvertono, come a loro fine » Del Buono, p. 16.
(2) « Per l'infinito è un non senso la domanda: vi è qualcosa di meglio di ciò che esiste? ». Royce, The religious aspect, p. 445, Boston, 1885.
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l’esistenza di dio e il problema del male
ioi
Agostino, nel noto passo della Città di Dio, ha mirabilmente svolto il principio della carità, in cui il possesso del bene, anziché diminuire, più s'allarga quanto maggióre è il numero dei partecipanti allo spirito della carità stessa, che è vero bene E Dante, nell'episodio di Guido del Duca, il tralignato spirito di Romagna, scopre nei falsi beni utilitari la radice dell’invidia:
O gente umana, perchè poni il core
Là'v’è mestier di consorto divieto?
Purg., XIV. 86.
Perchè s’appuntano i vostri desiri Dove per compagnia parie si scema.
Id.. XV, 49-57È solo per una superficialissima analisi del problema morale che si può asserire l’universalità del comando del male o dell’utile, ih quanto anche il male avrebbe sede nella ragione (i). Analisi in cui sono sostituiti tre pseudo-concetti ai concetti corrispondenti: quello di utile, che, se è riguardato come tale dal soggetto agente, non ha bisogno di comando per essere valorizzato o praticato (è la forma economica); quello di ragione, in cui la ragione non è intesa nel suo significato gnoseologico, teoretico o morale, ma grossolanamente nell’accezione comune di motivo, cagione, necessità pratica. E, infine, il male non si può universalizzare se non altro per questo, che non si può neanche volere come tale, per se stesso; ma solo subordinatamente a fini che — valgano, poi, o ho eticamente — costituiscono il vero movente dell'azione; fini che al soggetto debbono apparire buoni sotto qualche aspetto, dacché egli se li propone! (2).
Dire a un soggetto consapevole di sé c degli scopi della propria attività: tu devi cercare il proprio utile (d'ordinario lo si cerca già anche troppo), è altrettanto inutile quanto sarebbe mostruoso deontologicamente supporre che egli si senta, comunque, obbligato al male per il male, che è sempre, direbbe San Tomaso, preterintenzionale.
II.
Un’altra conseguenza di tale unificazione è quella che ci pone in grado di rispondere una domanda non meno importante: se, cioè, fra le determinazioni del-l’Assoluto, sia anche l’attributo teologico della somma bontà. La risposta non è più dubbia, ora che il vero e il bene si sono veduti compenetrarsi insieme, non astratta-ménte, ma nell’unità di coscienza assoluta (3), che è coscienza autonnicomprensiva, cioè Spirito. E lo spiritò assoluto è Dio.
(1) Come fa il Bensì in La Trascendenza. pp. 312, 372. Bocca, 1914.
(2) «Moral cvil is good hostile to good • (cui dev’essere subordinato). Bosan^uet, The principle of individuality, p. 352 c segg. Macmillan, 1912.
(3) Per intendere bene questa relazione gnoseologica, il lettore potrà riandare all’altro articolo da me pubblicato in Bilychnis (dicembre 1919): Intelletto e ragione.
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È, se non altro, strano che possa aver trovato fautori in filosofia la così detta fede razionale nei postulati pratici, fondata esclusivamente sul convincimento che resistenza di Dio (che è dichiarata non dimostrabile oggettivamente « è da ammettere soltanto per l'uso del nostro giudizio nelle sue riflessioni su quei fini naturali che non possono esser pensati se non col principio d’una causalità intenzionale d’un Ente supremo » (i). Affermare i fini naturali impensabili senza Dio, non è forse stabilire la necessità gnoseologica del giudizio: Dio esiste?
Si ribatterà che quell’affermazione è però subordinata alla dimostrazione della necessità di pensare la natura Ideologicamente, ciò che può esser dubbio, anzi incompatibile col postulato scientifico di natura, cioè complesso di fenomeni esterni; ma Kant stesso riconosce che la natura è concepibile soltanto come unità di ragione, vale a dire causalità e finalità insieme. Anzi, lo stesso Bewusstsein überhaupt postulato dal Kant, è già un rapporto di valore. La fede razionale non è che una superfetazione posticcia e ingombrante, che s’abbarbica alle radici da cui trae alimento il nobile tronco del dovere.
Ancora una volta si rendono palesi le dannose conseguenze del dualismo conoscitivo kantiano, secondo il quale il possibile e il necessario non sono sempre V essere; che, per soprammercato, si sdoppia nel fenomeno e nel noumeno! Vero è che non ha senso parlare di prove e di dimostrazioni dell’esistenza di Dio, la quale, come Realtà assoluta, è già presupposta nei giudizi sulla validità di quelle. Infatti, se provare significa verificare col fatto, è ben ridicolo presumere di sperimentare, così, l’esistenza di Dio, il quale, ha detto profondamente Sant’Agostino, non è un oggetto fra oggetti. Inoltre, la prova empirica si fonda sempre su strumenti verificati con altri strumenti, finché, non potendosi procedere oltre senza fine, uno di questi è assunto come valido razionalmente.
Ma, quando la prova acquista valore razionale si trasforma in dimostrazione, la quale si risolve, poi, in un sistema di sillogismi. Ora, ogni deduzione include una proposizione universale, su la cui validità è /ondata la legittimità della conclusione; una proposizione che si riporta sempre, quando non li esprima già essa stessa, a postulati o assiomi; i quali tutti, a loro volta, poggiano sul principio di ragione, il solo che abbia veramente valore assoluto. E se la ragione assoluta è Dio, Dio non è dimostrabile in senso logico, perchè è già pensato, sia pure inconsapevolmente, in ogni raziocinio. Pensare Dio veramente è provare la sua esistenza; chè Egli è come ha detto il Gioberti, « l'obietto unico e continuo della mente umana, in cui si conoscono tutte le altre cose, e che le rende conoscibili con la sua luce ». Dio è « l'oggetto universale del sapere, non come identico alle sue fatture, ma còme causa creante e immanente di esse » (2).
(1) Critica del Giudizio, p. 258, traci, it., Bari, Laterza, 1907.
(2)\ Introd. allo studio della Filosofia, II, p. 299; Nuova Protologia, II, p. 219, Laterza, 1912. E vero ehe il Gioberti ha scritto ehe «il concetto della realtà dell'Ente, .cioè di Dio, non si ha in modo immediato e per intuito, ma solo in modo mediato e per dimostrazione ». Ma, qui, il significato della parola dimostrazione non è logico, bensì gnoseologico; in quanto il concetto di Dio. come realtà assoluta, benché implicito inconsape-
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Ben a proposito lo Hegel, in una delle sue ultime lezioni in appendice alla Filosofia della Religione, rilevò che oggetto della prova è l’elevazione dello spirito pensante a ciò che è il più alto pensato (Dio), a cui non può giungere nessuna prova estrinseca (logica). Non sembri, perciò, paradossale concludere che non l’esistenza di Dio ha bisogno di prove o dimostrazioni, bensì queste postulano già Dio, che è validità incondizionata {valor valorum). La cognizione di. Dio, Come cognizione implicita più o meno chiaramente in ogni altra cognizione, è un concetto che, nella storia della filosofia, segna la via percorsa dall’idealismo fino alle sue più recenti espressioni, e ue indirizza gli sforzi verso le immancabili conquiste future.
Pure, ammessa l’esistenza di Dio, una domanda sembra tormentare ancora la mente umana: se Dio è ragione assoluta e spirito, come pensarlo: personale, impersonale o sovrapersonale? Ma, se si pone mente, la domanda stessa riesce piuttosto irriflessiva che enigmatica; come quella che si pone inconsapevolmente entro termini ambigui o confusi, cioè non pensali.
Certamente, Dio non è persona, se con questa espressione si vuol intendere una unità di coscienza, che distingua sè da altro, sia pure in una sfera di perfetta autoconoscenza rispetto a una sfera menò trasparente di pensiero; così avremmo sempre un potenziamento della personalità, quale si rivela nella coscienza empirica del soggetto (i). D’altronde, Dio non può esser impersonale, nel senso di un pensiero astratto di una categoria logica, di una totalità infinita nel tempo e nello spazio, simile al Nirvana Buddistico dove ogni determinazione si dissolve in una uniformità caliginosa senza luce intellettuale.
Quanto alla supposizione, recentemente riaffacciata, della sovra-personalità di Dio, non è essa che un vano espediente dell’ignava ratio, un espediente non dissimile a quello già in voga, di spiegare i rapporti tra fatti psichici e fisici, ricorrendo all’ingegnosa metafora del concavo e del convesso, oppure alla congiunzione verbale dei termini nella unità psicofisica.
È noto il passo della Dottrina della scienza, in cui il Fichte afferma che non si
volmente in ogni atto cogitativo, ha bisogno della mediazione riflessa del pensiero con se stesso per affermarsi come cognizione necessaria. Tant’è vero che il Gioberti chiarisce meglio il suo pensiero in altro passo della stessa opera: ■ Égli è tanto assurdo il voler provare il primo Vero, quanto il voler creare il mondo o se medesimo ». Id. Il, p. 2x2. Per i due passi precedenti, cfr. voi. I, p. 277. Vedi anche E. Caird, Evolution of Religion, I, 84, (Glasgow, 1899); e A. Vera, Dio secondo Platone, Aristotile e Hegel, in Atti dell'Accademia di scienze morali di Napoli, voi. XX, p. 7 (Memoria rimasta incompiuta per la morte dell’A.).
Quanto al passo citato dello Hegel, vedi Lectures on philosophy of Religion (traduzione Speirs), p. 164. London, 1895. Leggi anche la lettera prefazione del Bonghi alla traduzione dèi Teoteto (p. xxiv). Bocca, 18S8.
(1) Cfr. anche. Agostino, De civit. Dei, XII, 15; Montaigne, Apologia de Ram. de Seb., p. 243, ed. clt. Il prof. G. Pensi considera addirittura come feticismo la credenza ne] Dio personale, e vede nel Cristianesimo (e questo suo vedere chiama profondità del Cristianesimo) « una tenue e intorbidata derivazione del Buddismo ». (Jw-hMomii, pp. 44, 68 e 107). Giudizi questi, che fanno subito pensare a quel personaggio del Heautonhmoroumenos di Terenzio, qui magno conatu magnas nugas dixerit.
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può comprendere l’autocoscienza in Dio, perchè ciò « non è possibile se non mediante la supposizione che Dio rifletta sul suo proprio essere », mentre in Lui « la coscienza e il suo oggetto non potrebbero essere distinti » (IH, § 5). Il che è vero se si immagina la coscienza divina come un potenziamento dell’umana, in cui l’auto-riflessione non è possibile senza il dualismo di soggetto-oggetto (che nel soggetto empirico non è mai riducibile a un’identità); ma la difficoltà esisterebbe ancora per una coscienza assoluta, aulonnicomprensiva, quale deve essere la divina? In essa l’autocoscienza sussisterebbe trasfigurata in una forma più perfetta di pensiero come atto puro.
Se Dio è spirito, è anche individuo, non nel senso della individuazione empirica, che si dissolve all’analisi (l’io non è che un nucleo oscuro, irrazionale), bensì come Unità che non ha nulla fuori di sè (il mondo), e Identità perfetta della mediazione col mediato. Per render in qualche modo intelligibile l'essenza del divino, dobbiamo assumerla immanente in noi: che è a dire intrinseca all’atto in cui la pensiamo noi che, pure, siamo pensati in quella. Un Dio affatto trascendente sarebbe essere immediato, cioè non essere. Se è vero che noi esistiamo in Dio, non è men vero che Dio è in noi. Lo pseudo-asceta, che vuol lasciare il giardino dell'illusione per andare in cerca di Dio, è trattenuto sul limitare, e ritorna in sè, ritorna uomo quando ascolta la parola del Giardiniere'. (1) perchè il mio servo mi abbandona per andar in cerca di me?
III.
Una contraddizione, non ancora sanata dall'accordo fra i termini del pensato, è Verrore teoretico o il falso. Più propriamente, il falso è l’errore, di cui nella mente del soggetto vi sia chiara consapevolezza, a causa dell'incompatibilità fra due spiegazioni* che si escludano l’una l'altra. Ma, affinchè l’errore, da semplice negazione astratta del vero, cui si accompagni come un’ombra estranea o, peggio, un’entità disparata, acquisti il suo vero significato trasformandosi in un processo intrinseco e necessario al divenire dialettico; non basta che una delle spiegazioni escluda l’altra o le altre (le false), sì; piuttosto l’includa: quali limitazioni superate in una concordia più intima e più vasta dei pensati. Che è il vero. Il vero, il cui in falso è immanente come negatività superata.
Finché c'è connessione e accordo negli elaborati del pensiero non può darsi, nè giudizio di falsità, nè riconoscimento dell'errore: questo comincia a palesarsi intrinseco alle nozioni non appena la mente urti nell’incompatibilità dei dati 0 degli asserti fra di loro. Più precisamente, si tratta d’incongruenze e d'incompatibilità che si. rivelano in contenuti di pensièro prima esenti da contraddizioni; derivanti, sia dalla considerazione ulteriore di elementi costitutivi del concetto, sfuggiti all'analisi; sia dall’inclusione nel campo conoscitivo di nuovi elementi, dai quali l'astrazione intellettiva aveva, col porsi il limite, necessariamente, dovuto prescindere.
(1) Dal Tagore.
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L’errore si risolve sempre in un’opposizione di principi, di un valere in confronto di un non valere, di un’efficienza rispetto a una deficienza. Un non valore, una deficienza che, però, non sono una semplice negazione del vero e dell’essere, ma un elemento necessario al farsi del vero, che solo attraverso quella mediazione può conquistare se stesso (il certo). « Il vero è il pensiero. Quindi tutto ciò che l’uomo pensa è sostanzialmente vero. Pensare il falso è impossibile, perchè sarebbe un pensare il nulla» (Gioberti). Come la categoria pratica di male non ha senso se non in relazione a quella di bene, così l’errore è tale soltanto alla stregua di un criterio di valutazione, il vero; e questo riceve valore e significato dalla contrapposizione al suo contrario.
E poiché le idee e i concetti, non che. essere pallide ombre esangui, implicano essenzialmente un fare, rispetto agli oggetti che ne sono il termine di riferimento, incorporando una volontà attiva; la ricerca della verità non è, per dirla col Royce (1) « se non lo sforzo d’inserire la nostra esperienza umana in una trama più vasta e più profonda, in un sistema di verità in cui le nostre verità parziali trovino il loro posto, in un ideale di vita da cui ogni altro tragga valore e significazione. Perciò, non v’ha dissidio insanabile tra fede e scienza, e, tanto meno; necessità d'una conciliazione trascendentale, perchè costituiscono entrambe l’essenza della vita; chè nella fede è sempre la consapevolezza d’un fine, cioè sapere immediato, e nella scienza il supposto d’una certezza valida incondizionatamente, cioè fede.
Se fede è sostanza di cose sperate, come sperare se non si possiede la conoscenza del bene?
IV.
Il male e l’errore, se non s’identificano nella valutazione relativa che ne fanno i soggetti, s’identificano però nella ragione assoluta. Gnoseologicamente, il male si trova, rispetto al bene, nella stessa posizione in cui si trova l’errore rispetto alla verità. Il male, perciò, è il non essere, ma non il non essere immediato, come-semplice negazione dell’essere, ma come mediazione intrinseca all’atto con cui si afferma, e quindi si realizza il bene. Il male, al pari dell’errore teoretico, non è nulla fuori del pensiero che si pone, e ponendosi si mediatizza, e mediandosi si supera come errore. Dire che il male e l’errore son necessari all’essenza del bene non significa che questo sia composto di quelli, significa soltanto (ed è tutto) che c’è errore dove c’è limitazione; e c’è limitazione dovunque il soggetto trovi il limite come qualcosa di estrinseco, di immediato ad esso soggetto, che pure (inconsapevolmente nel soggetto empirico) ha posto quel limite. Ma, non appena il soggetto acquista la coscienza della posizione-limite (che egli, così, non conosce soltanto ma riconosce), questa è già superata, vale a dire è fatta intrinseca al processo della mediazione per cui il soggetto assoluto si fa Spirito. Un’auto-limitazione non è più una limitazione vera e propria, perchè non determinata ab extra, bensì una determinazióne intrinseca e razionale cioè vera libertà (non arbitrio). In essa consiste il bene.
(1) Filosofia della fedeltà, p. 2.|O, Cfr. anche \ìl mondo e V individuo, p. 27. Laterza, 1911.
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Giudicate da questo punto centrale di valutazione speculativa, le concezioni idealistiche del male (1) si possono raccogliere in due (2) ordini, ciascuno de’ quali urta in una diversa difficoltà esplicativa. Il primo gruppo sarebbe costituito da quelle dottrine che possono dirsi Platonizzanti (Platone, Plutarco, Basilio Magno, Agostino, Proclo, Scoto lerugena); in cui il male è il non essere immediato (cioè una limitazione irrazionale), che si proietta come un’ombra dall’essenza immobile del bene. Onde il dualismo, che vizia segretamente questi sistemi, riappare neH’impos-sibilità della mediazione fra i due termini, e si fissa come trascendenza.
Quest’impossibilità è più manifesta nel secondo gruppo (Aristotile, Stoici, Leibniz, Kant), dove il dualismo assume forma recisa con la contrapposizione di realtà e possibilità logica. Infine, il dualismo si complica nelle dottrine filosofiche che allo pseudo-concetto della possibilità logica aggiungono quello della possibilità di scelta nel fare, o libero arbitrio del soggetto individuo (Cartesio, Malebranche, Rosmini e Gioberti). Qui l'irrazionale si cela sotto la contingenza: la contingenza che dall’esterno del soggetto s’insinua e pervade, in veste di libertà, il regno dello spirito.
V.
La natura umana, come organizzazione psicofisica, richiede lo sforzo pel conseguimento di fini, convergenti tutti nel Bene: onde l'insoddisfazione morale, il dubbio e il dolore ad ogni piè sospinto nella via del conoscere e dell’agire. Il dolore è un sentimento che può essere spirituale o sensibile, ma un sentimento spirituale si risolve sempre, per la sua valutazione, in nozioni e rapporti ideali. Si può dire altrettanto di quello corporeo? Veramente, il dubbio sulla razionalità del sentimento dovrebbe considerarsi infondato, se si rifletta che esso (il sentimento) ha sempre un contenuto, cui si riferisce, e che lo costituisce; onde il sentimento è già il risultato di un’interpretazione, fatta alla stregua di concetti e giudizi.
Pure, nel dolore non si tratta soltanto di dimostrarne la razionalità, nel duplice significato di essenza ideale e di prodotto di un processo condizionale; occorre dimostrare la compatibilità del dolore, in ogni caso, col bene dell'individuo ó della società. È possibile la giustificazione teleologica del dolore?
Un dolore spirituale, non solo vi si presta facilmente, ma sovente esso stesso implica una finalità come suo contenuto. Perciò si esalta il dolore come disciplina dello spirito, espiazione di colpa, purificazione morale; dolore che il soggetto accoglie dapprima con virile rassegnazione, e, talvolta, elegge a se stesso come regola severa di vita, finché esso si trasformi in pura sorgente di gioia; simile all’acciarino che trae la scintilla dall’aspra cote. Altrimenti, gli Stoici non avrebbero potuto vantare la beatitudine del saggio nel toro di Falaride, o l’impassibilità di Regolo a’ tormenti, nè Dante cantare di quelli che son contenti nel foco.
(1) Vedi art. in Bilyclinis, settembre 1918.
(2) Una posizione peculiare occupano il Bòhme e lo Schelling, i quali si avvicinano alla soluzione razionale del problema; benché, l’uno più, l’altro meno, rimangano avvinti entro la cerchia dell’opposizione dei principi: opposizione dialettica, è vero ma non ancora mediata in modo a riassorbire nella vivente unità dello spirito oc ni residuo inassimilato. r ®
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Anche il dolore corporeo, ogni qualvolta erompa ad attestare un bisogno fisiologico insodisfatto o un'alterazione patologica deH’organismo, svela facilmente la sua natura benefica, sia perchè sforza il senziente a provvedere il necessario, sia perchè lo pone in guardia nel pericolo; quasi valvola di sicurezza contro i turbamenti e gli urti prodotti da forze interne o esterne, contrastanti con la conservazione o lo sviluppo dell’organismo.
Ma il dolore, così detto fisico, effetto dell’urto cieco (apparentemente!) con le forze cosmiche, cui non segua mai un frutto visibile di bene, un dolore che non fortifichi- la sensibilità indurandola al patire, elemento .di virtù; ma la invilisca pervertendola o fiaccandola, è del pari giustificabile razionalmente? L’obiezione si proietta come un’ombra su la luminosità del Logos; e noi dobbiamo dileguarne ogni parvenza, per non fare come il gallo del Teeteto, che canta prima d’aver vinto!
Si rifletta un istante alla natura psicologica del dolore. Il dolore, anche quello della sensazione fugace, ha per correlato il suo contrario, il piacere, avulso dal quale si dissolve in una vuota astrazione. Ora, il contrasto, anziché deporre in favore dell'indipendenza di un contenuto empirico, ne dimostra, anzi, l’omogeneità o, almeno, l’affinità col termine opposto. Tutta la letteratura psicologica sta ad attestare que-st’inscindibile unione del dolore col piacere, sorgenti da un medesimo tronco, benché colle spalle rivolte l’un contro l’altro, secondo la pittorica similitudine di Leonardo.
Ma, se il dolore s’inserisce in una stessa trama col piacere, questo s’appella sempre al bene, come a termine di riferimento, il quale, a sua volta, non è concepibile se non in relazione a una finalità ideale nella vita dell’individuo o della società. Un dolore fisico, di cui, come singolo, cioè in astratto, non sia reperibile in alcun modo una giustificazione teleologica, può, considerato nella sua vera fisionomia, cioè in correlazione con l’intera vita del soggetto, rivelarsi sotto una luce razionale (1).
Il dolore corporeo è certamente positivo (in senso psicologico, s'intende), ma la sua valutazione, e quindi la sua essenza, sarà proprio la medesima nel caso che il soggetto ravvisi più tardi in quel dolore la cagione di qualche evento per lui fortunato? AU’s well that ends well. Non altrimenti è del piacere, o della felicità, in cui una sola sventura sopravvenuta può amareggiare o distruggere tutta la gioia del passato:
...omnia ademit
Una dies infesta mihi tot praemia vitae.
(Lucr., III. 911).
Rimane, però, il caso in cui il dolore, non che essere fecondo di gioia, si dilati, per così dire, nelle sue conseguenze dolorose future, sia principio d’immutabile sciagura per l'individuo. In tal supposto, il dolore rivelerebbe la sua cruda natura di cieca esperienza interna, impervia alla ragione, sfidando qualsiasi tentativo di giustificazione teleologica. Ma basterà riflettere alla necessità della natura sociale dei soggetti pensanti, e all’impossibilità di concepire il singolo come esistenza indipendente; per riallacciare il filo della razionalità, apparentemente spezzato.
(1) Il Bosanquet osserva che non c’è tendenza o desiderio dell’individuo che non possa esser incorporata e, con ciò, trasformata in un io migliore. The vaine and destiny oj thè individuai, p. 215. Macmillan, 1913.
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Non il soggetto individuo, ma la società-è il vero concreto che può bastare a se stesso. L’uomo che è misura delle cose, e quindi, termine di riferimento di ogni giudizio valutativo o esistenziale, non è il singolo individuo di Protagora, ma l’Umanità, come unità spirituale. La valutazione del sentimento, anche nello stesso individuo, non è relativa a un punto fisso di riferimento in un sistema di punti determinati; bensì ad un centro di gravitazione, che si sposta continuamente in un sistema mobile di punti innumerevoli. E se iLdolorc, nella sua vera e concreta significazione (i), si appella a tutta la coscienza individuale in fièri, questa non si appella meno ad un’altra coscienza in cui possa inserirsi come parte di una trama comune (se non vuol vanire come il sogno di un’ombra).
Perciò la giustificazione teleologica del dolore dovrà necessariamente essere ricondotta alle forme del divenire storico-sociale. Non è, forse, tutta la storia degli esseri viventi, il prodotto visibile d’ima lotta incessante per resistenza o per il predominio, in cui la distruzione dell’individuo si accompagna alla conservazione della specie, o allo sviluppo (2) della società? Non è, del pari, il progresso dell’Umanità inseparabilmente connesso col sacrificio della persona singola, del gruppo sociale della nazione; progresso in cui il dolore si aderge a simbolo di vita, a strumento necessario di bene? Soltanto così è comprensibile come la stessa morte possa nel Cristianesimo trasfigurarsi in un tramite di redenzione. To die into thè dealhless: morire per vivere.
Noi viviamo sur un frammento del Tutto infinito, ma l’esperienza di questo frammento, che è la nostra, non ha soluzione di continuità coll’esperienza del Tutto, che è Ragione e Spirito; nè siamo confinati in un angolo buio dell’essere, lungi dal suo centro radioso, sì bene in intima comunione con questo. E ('Universo ci si rivela veramente come « un sistema d’intelligenze svariatissime, nelle quali Iddio adombra in diversi gradi un’immagine della propria natura » (Gioberti). L’Universo, di cui la Terra nostra diviene parte assai più cospicua che non sembri all’astronomo o al fisico, quando l'uomo non vagheggi in essa un paradiso perduto da r ¡conquistare, ma riconosca il necessario agone del suo perfezionamento spirituale.
La realtà non s’interpreta se non come forma necessaria di pensiero, e il pensiero si realizza come vita dello Spirito; il quale, solo, può attuare in se le condizioni integrali della perfetta auto-sufììcienza e libertà.
Il nostro sapere umano non è la piccola làmpada del Locke, bastevole (e basterebbe, poi?) a rischiarare la via della pratica, lampada che s’illumini di luce riflessa, attinta alla grande sorgente (Dio); bensì un raggio diretto, che da questa promana e trae alimento in una medesima vita.
Rinaldo Nazzari.
(1) « Il dolore è il cuore della verità ». Henri Barbusse, Lcs suppliants, Paris, Flammarion, 1913.
(1 2) Eant> nell’opuscolo sulla Storia dell’Umanità dal punto di vista cosmopolita {1704), rileva che la Provvidenza (come natura) persegue il bene della specie attraverso il male dell’individuo; c che l’egoismo è utile e necessario perchè impedisce all uomo di cadere nella quiescenza beata dell’amore reciproco.
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x uno dei primi libri scritti dalla Bisi, una raccolta di tre fresche e giovanili novelle, intitolate Aprile, troviamo questa descrizione di Ester, la protagonista di « Nel vano della finestra *:
Era così fatta per l’allegria, che ne trovava dappertutto, perchè la cercava con avidità in ogni cosa e in ogni luògo. Chi non la conosceva bene, poteva giudicarla una personcina leggera, perchè le sue desolazioni, i suoi strazianti singhiozzi, duravano così poco! una musica allegra, un ..viso ridente, un raggio di sole, qualche volta anche solo una parola buffa, bastava a distoglierla dal suo dolore,
a far rispuntare la giocondità ne’ suoi grandi occhi luminosi.
E nella Nidiata, quelle scene familiari così vere da comprendere che furono realmente vissute dalla scrittrice, ritroviamo descritte con le stesse forme il carattere d’itala, che è quello della Bisi.
Gli anni, le delusioni, le cure materne, il lavoro assiduo se attenuarono quella vivacità ed impulsività primitive, se velarono quei begli occhi luminosi e li resero talvolta severi davanti alle brutture del mondo, non valsero a distruggere la prontezza di carattere sempre simpatica, la serena letizia e quella fiducia ottimista nel prossimo, che la fecero lottare con entusiasmo per il buono ed il vero, e non la lasciarono fermare mai un minuto per via ad osservare le spine, che sovente la punsero e la ferirono a sangue.
La vivacità, che pareva esagerata nella fanciulla di sedici anni, si mutò col tempo in un ardore straordinario di opere, in un desiderio, mai attenuato, di rigenerazione, in un amore per tutta 1’umanit.à così nobile e gentile che ancor oggi commove chi, leggendo le pagine della Bisi, ne comprende la forza intima che dava loro vita.
Sofia Albini, nata a Rebbiate nel 1856, nella Brianza, negli anni in cui l’Italia risorgeva a nuova vita, aveva in sè le caratteristiche migliori della sua regione e quell’entusiasmo, quella sentimentalità geniale, quella fede che vibrarono così in-
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BILYCHNIS
tensamente negli uomini e nelle donne del Risorgimento. Si sarebbe detto che i santi fremiti e le/*nobili ribellioni delle cinque giornale si ripercuotessero come ondate sonore nell'anima della scrittrice lombarda, incitandola a sempre nuove opere di redenzione; e che la serenità dei cieli, la purezza e la festosità della campagna, fra cui visse i suoi giovani anni, continuassero a cantare in lei, smorzassero i suoi dolori, ne elevassero la mente.
Scrisse le prime novelle come l’uccello intona il suo canto: per un bisogno di espansione, per esprimere tutti quei sentimenti che si affollavano nel suo intelletto e volevano uno sfogo; per dire in qualche modo a questa umanità debole e sofferente come ella era pronta a lottare, a sacrificarsi per il suo bene. Nella mia fanciullezza, quando Ferdinando Martini fondò il Giornale per i bambini, il trovare tra quelle pagine un racconto della gentile scrittrice lombarda era per me una gioia. La novella semplice e commovente elevava e, quasi senza accorgersene, leggendo quegli scritti, l'anima diventava migliore, tendendo verso un bene incerto, ma che lentamente s’andava delineando all'avvicinarsi della adolescenza.
« Fui scrittrice senza saperlo», diceva sovente la Bisi, e lo credo. Ella non fece nè novelle, nè racconti, ne articoli per acquistar fama o gloria. Il suo stile piano non poteva certamente paragonarsi a quello enfatico od elaborato di certe romanziere. Gli intrecci semplicissimi delle sue novelle erano ben diversi da quelli pieni d'amore a buon mercato di molte autrici troppo lodate, e la moralità che s’indovinava in ogni sua opera, in tutto lo svolgersi del suo pensiero, la diceva vivente un’esistenza serena, ma severa, come s’addice ad una donna conscia della sua missione.
Per quell’anima sempre tesa verso il miglioramento di sè e degli altri, per quel cuore che nutriva un desiderio mai abbastanza appagato di azione redentrice, la vita senza fulgidi ideali, senza opere, delle signorine d’una trentina d’anni or sono, pareva un grande errore. Ella vedeva la borghesia sorta dopo le lotte del nostro riscatto, paga dell’esistenza facile che le si apriva dinnanzi, coi guadagni abbondanti, coi divertimenti a portata di mano, senza troppe scosse, senza molte commozioni. Scorgeva le giovanotte compiacersi in quella tranquilla vita familiare, con un’istruzione più superficiale che profonda, con una religione essenzialmente di forma, un po’ egoiste, un po’ chiuse alla giusta visione delle cose. Guardava al popolo e sentiva tra di esso un nuovo fermento, degli aneliti prima ignoti, dei desideri incomposti che forse si sarebbero realizzati con danno di tutta la società, ed allora pensò di fondare una rivista per le signorine, chiamando a raccolta le migliori scrittrici di Italia. Ella voleva eccitare le anime, mostrare dei nuovi ideali, aprire degli orizzonti, incitar all’azione, avvicinare il ricco al povero, fondere assieme le classi coll’amore e rinnovare senza l’amarezza delle lotte che dividono, senza gli odii così difficili a sedarsi.
Nel 1894 comparve il primo numero di quella rivista che fu come una diana tra la gioventù femminile d’Italia. Ed alcuni anni dopo mi scriveva:
La mia vita è un turbine; mandar avanti una casa, una famiglia, una rivista e tre o quattro Comitati e conferenze, è voler farsi stritolare da una macchina complicata, che non ci lascia membro sano: ma ormai sono presa e non posso fermarla. •
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SOFIA BISI ALBINI
III
Dal suo periodico le idee buone zampillavano come l’acqua da una fonte. Ella scriveva ad una cara amica:
Sogno per l’Italia una gioventù sana, serena, coraggiosa, che sappia pensare e lavorare. Ne abbiamo tanto bisogno. Vedo con conforto indicibile, farsi sempre più numerosa attorno a me, la schiera delle fanciulle preparate ad una vita di doveri domestici e sociali, conservando al tempo stesso tutto ciò che forma la grazia, la dolcezza, la poesia femminile.
Perchè la Bisi non voleva la donna emancipata, come la sognavano certe esaltate feministe straniere, ed anche italiane, ma tale che conservasse, pur nel fervore dell'azione, quella gentilezza e quel senso preciso della sua missione, che danno un carattere tutto speciale all'attività femminile e non distaccano la donna dalla famiglia, nè la rendono immemore dei suoi principali doveri.
Un tempo la vita era per tutti più facile — scriveva ancora nelle sue care lettere — e anche la virtù. Anche questa è diventata complicata. È fatta di sacrifìci che un tempo s’ignoravano: di abnegazioni, di devozioni, di attività tutt'affatto nuove, che vogliono energie, preparazioni, intuizioni speciali. Io trovo che ora non basta più la bontà semplice ad una donna, ma occorre anche l’intelligenza aperta e pronta.
Per questo la rivista accoglieva tutte le buone correnti. Essa era come una finestra spalancata a ricevere tutto il sole e l’aria possibili. Nessun'opera rigeneratrice vi passava ignota; nessuna idea elevata v’era esclusa. Come rileggendo quelle pagine eccitanti all'azione: a fondar scuole, ricreatori, scuole d'igiene tra il popolo, asili per i bambini; come scorrendo i begli articoli di morale piana e ricreatrice, quelli di letteratura e d'arte sento una profonda invincibile ribellione contro le misere riviste che oggi sono sparse tra le donne, bellissime d’illustrazioni, ma povere di contenuto, senza una fede, un entusiasmo redentore, una precisa visione della vita! E dubiterei dell'avvenire di questa nostra patria, se non pensassi che nel silenzio, forse troppo ignote, lavorano quelle che la Bisi chiamava: le sue figlie, tentando di tener viva la luce di quella fiaccola ch'ella aveva acceso con tanta fede. Operare operare era il motto di quell’instancabile donna.
Mi piace l'idea precìsa, limitata se si vuole — ella scriveva ancora all'amica — ma disegnata nettamente, senza contorni vaghi, perdentesi nella nebulosità. Io ascolto avidamente, compresa d’ammirazione, quando sento parlare di un lavoro tutto spirituale di perfezionamento morale, di elevate preparazioni interiori per poter operare degnamente il- bene. Ma quando, a mia volta, devo parlare, dico piuttosto : mettiamoci all’opera: è operando che tutto si purifica c si migliora in noi, come un esercizio fisico violento elimina dal nostro corpo gli umori cattivi.
Così i suoi articoli; anche quelli che dicono delle nostre regine, non parlano che d'azione. Mentre in altre riviste quando si descrivono le nobili donne le scrittrici si perdono in minuzie od in lodi reboanti, la Bisi invece ne cerca le virtù femminili per eccellenza e nella regina Elena vanta la madre educatrice. Ebbimo così da lei vari, graziosi aneddoti sulla famiglia reale, fra cui questo:
La principessa Iolanda un giórno esclamò: Oh, come sono stufa di questo giocattolo! E diventato tanto brutto! mamma, dàllo ad un bambino povero!
La regina, stupita, rispose che se non' piaceva a lei non c’era nessuna ragione che fosse buono per un bambino povero: a quelli che non hanno mài avuto nulla bisogna anzi dare ciò che v’è di più bello.
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L’anno dopo, avvicinandosi il Natale, quando la regina disse: Bambini, dobbiamo incominciar a pensare agli alberi di Natale. Sapete quanti ospedaletti e quanti arili di poveri bambini ci sono; non abbiamo tempo da perdere. Iolanda si mise subito tutta raccolta a riflettere: I asciami pensare, disse, qual’è il giocattolo che mi piace di più!
Alla Bisi non passava inosservato il lento, ma continuo lavorio dei socialisti.
Crediamo si possa desiderare ciò eh'essi desiderano, scriveva, combattere una stessa santa battaglia, ma con altri mezzi. Essi distruggono senza saliere come riedificheranno: noi crediamo sia meglio ristaurare senza scuotere le fondamenta. Opera ardua, delicata, lenta, alla quale noi donne specialmente dovremmo tutte por mano.
Perciò la Rivista -per le signorine decretava assolutamente il bando a tutte le inutili discussioni di cose morte. Secondo la direttrice di essa la gioventù deve interessarsi a tutto ciò che è buono e bello nel tempo in cui si vive e studiare, lavorare, elevarsi per sé, per gli altri, ma non languidamente sognando e compiacendosi della propria rassegnata virtù.
Quindi ripeteva:
I 'ozio, la maldicenza, la vita di piaceri corrompono non soltanto noi stessi, ma chi è intorno a noi... Se noi non fossimo egoisti, se comprendessimo che la ricchezza impone gravi doveri, che l’istruzione ricevuta va impiegata in un lavoro utile, che gli svaghi sono una vacanza meritata di una vita dedicata al bene altrui, come s’acqueterebbero a poco a poco le ire, i rancori che., vanno accumulandosi e impaurendoci! Come si accorgerebbero i discredati che, tutti, siamo servi di qualcuno; che la società è per i ricchi un padrone esigente c severo, e la ricchezza non è per essi che un salario che li obbliga ad un proporzionato lavoro.
La Rivista per le signorine s'imperniò su queste basi: segnare alla classe agiata borghese la via da seguire per l’elevazione, il miglioramento morale e materiale delle operaie, del popolo in genere. Un’attività che senza togliere alle fanciulle l’amor della casa attenuasse in esse quella leggerezza, quell'egoismo particolare ad un tempo in cui per la giovane il maritarsi era il più grande e caro pensiero. Ogni numero della rivista accennava quindi a qualche opera, che facilmente si poteva realizzare nelle città e nei grossi paesi: biblioteche circolanti, scuole d’igiene, asili per i lattanti, ricreatori, ambulatori, corsi di cucito e di economia domestica.
Problemi a cui prima non si dava che una lieve attenzione s’imponevano alle menti giovanili, e nuovi doveri andavano ’delineandosi con forme sempre più precise.
L'urbanesimo, che può definirsi una delle malattie del secolo, preoccupava la nostra scrittrice. Quel fittirsi di popolo nelle case malsane, quell’accrescere giorno per giorno il numero delle operaie nelle fabbriche, dove il corpo si anemizza e l’anima sovente si guasta a contatti corruttori, l’impressionavano straordinariamente, e allora cominciò per mezzo di conferenze e d’articoli, ad ispirar l’amore alla campagna, contribuendo efficacemente all'istituzione degli orti sperimentali per le donne a Milano ed a Firenze.
Avrebbe voluto, con molta perspicacia, e profetizzando quasi le lotte agricole presenti, che le signore possidenti di terre si occupassero veramente e seriamente dell’educazione dei contadini. Sorvegliassero affinchè nelle scuole rurali si dessero
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insegnamenti pratici, si sradicassero i pregiudizi, si procurasse il modo di guadagnare con le piccole industrie locali nei lunghi mesi oziosi d’inverno.
Si doleva che mancasse alla donna italiana l’amore della campagna per la campagna, che facesse difetto la donna campagnola, vale a dire la padrona istruita che sorvegliasse con intelligenza, vedesse col cuore, studiasse risorse ed innovazioni, aiutando ed integrando così l’opera del marito se questo era dedicato all'agricoltura.
Oh! poter trasportare in campagna, ella diceva, un po' di quest'attività così agglomerata nelle grandi città, dove si muore d'asfìssia e ci si urta così duramente da provocare scintille di odio, d’invidia, di amarezze... Oh! se si potesse trovar modo di allargarsi, di fare spazio, disperdendosi un poco nelle campagne, cercando in una vita più semplice, più libera, meno costosa, quella pace che è quasi impossibile avere nella vita febbrile, affannata delle grandi città. Quante questioni ribollenti e minaccianti una soluzione tragica si scioglierebbero così, come un gonfio torrente ostruito da una frana...
Con tutta questa foga di opere, con questo tendere sempre più intenso ad un miglioramento generale tra tutto il popolo italiano, si comprende quale fu il dolore profondo della Bigi quando a Lugano, dove si trovava, le giunsero le notizie delle ribellioni sanguinose del 1898.
Nella rivista del i° giugno apparve un suo articolo: Ora solenne, che riletto adesso c’impressiona e ci rattrista, perchè troppo debolmente abbiamo risposto a quell’appello, perchè per l’apatia di molte anime non si seppe o non si volle adot-' tare i rimedi suggeriti, perchè gli odii, le ribellioni, le cupidige non si attenuarono con quell’amore spontaneo e gentile che tante ire avrebbe vinte od almeno attùtite.
E vero — scriveva la Bisi — nessuno di noi avrebbe sospettato che quest'ora fosse così vicina, tutte avevamo la serena speranza di riuscire a sventarla, e la segreta orgogliosa fiducia che il nostro piccolo bene, esercitato con tanto candore d’animo, avrebbe portato frutti.
Come ci siamo illuse! non è vero?
E quando un mese fa scrissi che è passato il tempo delle piccole virtù nascoste c che ora abbisognano anche in noi le grandi virtù che impongono rispetto e trascinano coll’esempio, non avevo forse ragione? Ed oggi aggiungo che, come dolorosamente si è dovuto ricorrere alle armi, per arrestare una folla di disgraziati nei quali furono scatenate tutte le più basse passioni, così dobbiamo con armi sicure combattere le torbide rivoltose idee dei falsi amici del popolo, degli aperti nemici della patria, c difendere coraggiosamente le sorgenti pure di sante idee dalle mani di profanatori, che le convertono in fonti di fiele, con cui abbeverare labbra assetate.
Avete visto con quanta cicca presunzione o con quanta ipocrisia essi proclamano d’essere i soli ad occuparsi del miglioramento sociale? come se tutte le società di protezione dell’infanzia, di mutuo soccorso fra operai, di aiuto alle madri o agli scolari poveri, di educazione agli orfani, di asilo tranquillo ai vecchi, di protezione ài figli dei carcerati, tutte le unioni del bene formatesi fra giovani in tutte le città d’Italia siano lavoro e sacrifizio loro! Come se tutte le grandi industrie che hanno intorno a sè una mirabile rete di benessere per gli operai, non fossero un progresso che sarebbe parso in verosimile cinquantanni fa; e non fossero altresì opera di uomini diventati a furia di lavoro c di intelligenza, ciò che ora sono: cioè in grado di dar a loro volta lavoro e pane ad altre migliaia e migliaia di uomini, che senza di essi sarebbero nella miseria.
...Lasciate che in seno alla borghesia, che va facendosi sempre più colta, si compia un lavoro di purificazione; non dimentichiamo quanto l’umanità le deve e quel che ne dirà fra qualche secolo la storia. È da essa stessa, scevra da pregiudizi, pronta ed entusiasta sempre per tutto ciò che è nuovo e giusto, che vien preparandosi l’evoluzione sospirata dagli impazienti... e dai malcontenti; e, come tutto ciò che è pensato, discusso
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e maturato naturalmente, essa darà frutti sani e buoni, e noi ci troveremo senza scosse e senza scoppio di odii a quel miglioramento sociale che tutti sognano, felici ed infelici. Educhiamo intanto il popolo. Il vero progresso, checché si dica, non è che nell’educazione e nel rispetto a qualche cosa di superiore: Dio, gli uomini, le leggi.
Oggi che mi chiedete scoraggiate: che dobbiamo fare? io non faccio che ripetervi:
Occupatevi delle fanciulle del popolo e non lasciate che altre età se ne curino. La gioventù vuole la gioventù per essere compresa; la morale perde così ogni pedanteria, non impone austerità, abitudini chiuse e malinconiche a cui presto o tardi i giovani si ribellano. Portate veramente il sole della simpatia nell’insegnamento di abitudini, di ordine e di virtù. L’antica fede, rinfrescata dalla vostra anima giovanile, avrà per quelle vostre compagne attrattive nuove che non conoscono...
L’amore del lavoro, della semplicità, dello studio, la coscienza della propria rettitudine c della propria dignità, non s’insegnano già fomentando livori, (testando invidie e amarezze, ma con una lieta e sincera corrispondenza di simpatie, con persone-serene ed elevate di mente e di cuore.
Non dimentichiamo che la simpatia rende più grandi servigi della carità.
A queste vibrate pagine che scaturivano spontanee e sincère da quell’anima ardente, commossa d’amor patrio, sgomenta del domani che la sua prescienza le faceva indovinare torbido e gonfio d’ira, un gruppo di signorine milanesi rispose con una cartolina che diceva:
La vostra Ora solenne è come una campana che ci chiama a raccolta in un tempio: indicateci chiaramente dove e cosa possiamo fare...
Si fondò allora a Milano il circolo ricreatorio « Luigi Rossari », con biblioteca circolante per le giovani operaie. Esso era il primo del genere in Italia, l’unico dove signorine dedicassero le loro ore libere dallo studio o dalle cure familiari o dalle occupazioni, per il bene di altre fanciulle prive di istruzione e senza quei mezzi che rendono più facile l’educazione della mente e del cuore. Nel circolo s'insegnavano l’italiano, il francese, un po’ di matematica, il cucito. Si facevano delle buone letture dando così il modo alle operaie di conoscere e apprezzare i nostri migliori letterati, e si divertivano con suoni e canti.
In altre città d’Italia si seguì l'esempio di Milano ed anche a Torino, un nucleo di abbonate alla rivista, istituì un ricreatorio che s’intitolò alla sìgnoraFadda Durandi. Non so se nella città lombarda il circolo continui colla prosperità dei primi tempi. Una generazione opportunista, guastata (nella borghesia danarosa) dalle frivole letture, dal teatro quasi sempre immorale, dal cinematografo, dall’amore sfrenato al godimento; il desiderio che non conosce, più limiti (nella classe operaia) di guadagno; la libertà mutata in licenza, il fastidio di ogni legame che imponga un dovere, sia pur lieve; la lotta furibonda dei partiti distrussero tante cose belle e buone e ne rendono difficilissima la ricostruzione.
Anche La rivista per le signorine, risentì l’effetto dei tempi mutati.
La rivista, come forse saprà da Solmi (l’editore) — mi scriveva la sig.° Sofia— ebbe <ii nuovo una crisi. Tutta questa inondazione di periodici mette ogni anno in pericolo la vita anche dei buoni, che non sono sostenuti da una grande réclame, la quale costa enormemente. Tutti quelli che vedono la mia vita affannata, senza un utile materiale adeguato, mi torturano colle loro insistenze perchè abbandoni la rivista e mi metta a un lavoro letterario più piacevole, più libero e più compensato.
Ma la rivista è una mia creatura, e io l’amo appunto per tutti i sacrifici che mi , costa; 1 amo per tutte le gioie morali che mi dà.
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Continuo a studiare il modo di -diffonderla... Io vorrei farla diventare l’organo di tutte le istituzioni femminili, e darle un'intonazione seria, moderna, interessante; vorrei che tenesse al corrente di tutto ciò che fa la donna in Italia. Solo cosi mi sarà possibile di farla vivere e prosperare.
A seconda quindi dello sviluppo della sua cara rivista varia, non solo il lavoro, ma anche la residenza della scrittrice. Da Lugano va a Genova, a San Remo, a Roma, poi ritorna in Lombardia. La spinge anche a cercare nuovi centri intellettuali l’arte professata dal marito, che fa lo scultore ed è unito a lei da amore grandissimo.
In una breve permanenza fatta a Roma, decise, spintavi da parecchie amiche, a fondar colà una rivista per le donne, che intitolò Attività femminile, lasciando a quella per le signorine l’antico carattere. Il periodico elegante, con articoli importanti sui problemi più vivi, servì a far conoscere, sotto la sua giusta luce, la donna italiana all’estero. Le nostre scuole (1) le opere di prevenzione e di redenzione, l’arte, la musica, la letteratura, tutto questo trovò posto in quel periodico, che avrebbe potuto essere il migliore d’Italia, se le donne l’avessero saputo diffondere, amare; rendere anche più vario coi loro consigli, coi loro aiuti. Ma una sorda lotta continuava contro la Bisi, che non potendo sopportare il peso di quella costosa pubblicazione, la troncò, per ridare tutte le sue cure alla Rivista per le signorine, un po' cambiata a seconda de’ tempi ed arricchita abbondantemente d'illustrazioni e di novelle.
♦ ♦ *
Una delle polemiche più vive sulla rivista fu quella sorta per un articolo della signorina Chiarugi, pubblicato nel 1909. L'autrice dello scritto aveva detto della sua fede e del suo passaggio al protestantesimo con semplicità ed ingenuità grandissime. Fu una vera levata di scudi da madri che temevano di veder insidiata, con scritti troppo liberi, la religione nativa nelle figliole.
La Bisi ne fu oltremodo stupita. Per lei, aliena da ogni dibattito dogmatico, e non vedendo nella fede altro che uno sprone ad amare maggiormente ed a meglio operare, quelle critiche, quei timori parvero ridicoli. Ella sapeva quanto poco spirito cristiano fervesse sotto certe forme, e non s’immaginava che tanto abisso dividesse ancora le anime che, pur credendo nello stesso Cristo, appartenevano a chiese differenti...
La Bisi non si era mai occupata particolarmente di studi religiosi. Se fosse vissuta al tempo di Cristo la sua parte sarebbe stata quella di Marta e non quella di Maddalena. Le critiche bibliche, l’apologetica, l’esegesi non l'appassionavano: la vita meditativa, il rinnovarsi con l’esperienza interiore la fede nell’anima nostra, non erano cose consentanee al suo carattere. Ad esempio, in mons. Boncinelli, pur apprezzando l'alto scrittore di cose religiose, ammirava assai più il fondatore della Opera per gli emigranti. Così che, scrivendomi del Santo di Fogazzaro, prorottili) Di cui chiedeva la riforma con articoli vivacissimi, mostrandone le lacune, la disorganizzazione, gli errori.
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peva: « Guai se vi fossero molti altri santi come quello! » sembrandole che la santità debba essere meno triste e che l’anima cristiana, rapita in Dio, possa poi effondersi sulla terra in opere liete e feconde, senza troppe polemiche e sofisticherie.
Perchè dare alla parola laica — mi scriveva un giorno — il senso di ateo? Io combatto ogni società ove sono preti c monache, c sono cristiana. Io fondai ricreatori laici, ove io stessa vado a parlar di religione, ma non vorrei vedervi altri preti all’in-fuori di padre Scmeria.
Basta far una corsa a S. Remo e Bordighera, ora, per capire quanto hanno ragione in Francia di liberarsi di tutto quell'enorme esercito di preti e di irati. Tutte le più splendide ville, i più grandi hôtels furono acquistati da loro: 500 mila, 600 mila lire! e che lusso, che aristocrazia, che spirito anticristiano, che istruzione contraria a tutti i bisogni odiernil Oh! come hanno ragione le madri intelligenti e buone di lottare perchè le loro figliole e le figlie del popolo siano allevate in modo più sincero e preparate alle lotte!
Con questa religione tutta di opere, contraria alla rigidezza delle forme, alla ipocrisia e che dalle parole di Cristo prendeva essenzialmente incitamento alla azione redentrice, è naturale che nel 1901 la Bisi accogliesse con poca simpatia una circolare inviatale da un gruppo di signore cremonesi, per essere pubblicata sulla rivista. La circolare chiedeva oggetti e ricami per ornare le chiese nei luoghi di emigrazione italiana in Europa.
La direttrice della rivista notando il contrasto tra quel che si domandava e le seguenti frasi della circolare: «• Grido di dolore che si leva dalle fosche miniere dalle montagne coperte di ghiaccio, dalle fumanti officine », scrive: . ’
Perchè non mettere prima vesti, biancheria, buoni libri e giornali sani, e poi le stoffe e le trine?... Prima di essere cattolici dobbiamo essere cristiani. E il Cristo andò fra il popolo semplicemente predicando senza altari e senza paramenti...
Non è così che si riuscirà ad opporsi al socialismo. Adoperiamo le sue stesse armi: andiamo noi stessi fra il popolo, noi uomini, donne, preti, e parliamo parole semplici e piane. Eleviamo i cuori, illuminiamo le menti, facciamo penetrare l'idea religiosa — direi —praticamente. Attiriamo gli operai nelle chiese col canto, colla musica, colla parola di Gesù, soprattutto. Diamo un’idea grande e serena di Dio, un’idea viva c palpitante di Cristo. Diciamo loro che cosa Egli fu. Egli disse. Egli fece: facciamo loro sentire attraverso la Sua sovrumana dolcezza, la Sua sovrumana purezza, la Sua sovrumana forza, tutta la divinità del Suo essere.
Oh! se la nostra religione si adattasse ai nuovi tempi! Se scendesse dagli sfarzosi altari c penetrasse colla semplicità di Cristo fra i poveri... Questi vedono la religione come un tempio di ricchezza materiale, non già quale dovrebbe essere e la voleva il Cristo: un tempio di ricchezza spirituale, rifugio e conforto per quanti sono attratti al Suo invito: Venite a me, o voi che siete travagliati ed afflitti...
Ecco perchè sulla rivista non pubblicai la circolare di Cremona. Mandare trine, ricami, candelabri d’argento fra una turba che ha bisogno di serenità d’animo, d’istruzione. di conforti umani c divini, mi parrebbe una raffinata crudeltà, la più grave offesa a quel Dio, che, per poter parlare agli uomini ed insegnare la Sua legge, si fece uomo Egli stesso, c volle esser povero.
Ma se la maggior parte del pubblico femminile e colto d’Italia ammirava nella Bisi la chiarezza e la semplicità graziosa dello scrivere; le descrizioni fresche e varie nei romanzi e nelle novelle; la commozione che da essi emanava; la nobiltà di forma e di contenuto dei suoi articoli; la sua forza risvegliatrice d’anime giovanili — le persone che l’avvicinavano apprezzavano in modo speciale le sue doti familiari:
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l’amore grandissimo per il marito scultore, che aveva sposato mettendosi in urto con la sua famiglia, l’attenzione, le cure continue che prodigava ai quattro figlioli: due maschi e due fanciulle, per i quali avrebbe accettato qualunque sacrifizio.
Nel 1909, mi pare, avevo deciso di fare un articolo illustrato sulla Bisi, da pubblicarsi nel periodico La Donna. Le dissi il mio desiderio, ed ecco quanto rispose queU'impareggiabile donna alla mia lettera:
Che la vostra penna dedicata al bene, scriva di mio marito non di me. A me hanno sempre tributati onori mille volte superiori al mio merito c ne provo uno sgomento quando ci ripenso. Egli è conosciuto e ammirato in Germania, ammirato e amato da tutti quelli che lo avvicinano, ma si direbbe che una congiura siasi fatta intorno a lui in Italia. La sua medaglia-d’oro di Berlino del 1895, unica medaglia alla scultura in una esposizione internazionale di grandissima importanza, perchè per la prima volta vi mandavano opere (dopo il '70) 500 artisti francesi, neppur quella risvegliò l’attenzione in Italia.
.Ma se io le dicessi di tutte le sventure sue. come artista, Ella crederebbe a una fatalità invincibile. L’ultima opera sua, questa mandata ora all’esposizione di Milano, supera per vigoria c bellezza di modellatura, per concezione ogni altra sua opera.
Le mando copia di una lettera scritta dal prof. Pastore a un amico suo e nostro. Tutti gli artisti che la videro qui n’ebbero un’impressione tale di suggestione da non potersene staccare. Egli ha messo in quell’uomo che si slancia ansioso, affaticato c dolorante verso qualche cosa che non riesce ad afferrare, proprio tutta l’anima sua dolorosa, ma non mai affranta che, malgrado tutto, insegne il suo sogno d’arte. Dirle che anima alta sia mio marito non so. Soffro quando alcuno dice ch’io sono la sua forza e il suo coraggio, quasi che egli sia un debole: io non faccio che aiutarlo nel cammino materiale della vita (ed egli ne è in certi momenti cosi umiliato, egli che non riesce col suo ingegno e la sua coltura a guadagnarsi la vita perchè ogni tentativo di lavoro — concorsi di professore, concorsi di opere — tutto gli è contrastato non si $a ,,a c • 0 <a C^’ ^a c?li- $ la f°rza m’a morale e spirituale: tutto ciò che vi è d alto in me, è opera sua: egli è sempre più in alto di me e mi porta e guida il mio pensiero. Ma egli è troppo delicato, troppo puro per un mondo come il nostro...
Quest’amore così nobile e grande per i congiunti, non assorbiva tutfe le qualità affettive della Bisi. Ella fu altresì un’amica rara. Quante la conobbero sanno qual’era la sua fedeltà, la sua fiducia, perfino ingenua, che le procurò amare delusioni, la sua sconfinata generosità. La Rivista per le signorine accoglieva gli scritti non solo delle migliori autrici, ma anche delle giovanette, nuove all’arringo letterario, che si sentivano attratte verso l’arte. E la Bisi aiutava, consigliava, correggeva. Ada Negri fu fatta conoscere da lei al pubblico italiano che Pignorava, con articoli entusiastici sopra i giornali, con discorsi affettuosi, generosi.
Non sempre fu ricambiata con eguale bontà. Molte scrittrici fingevano, troppo sovente, d’ignorare la sua opera serena, sincera, educatrice.
I semplici intrecci del Figlio di Grazia (tradotto in svedese è tedesco), di La donnina forte e di La Nidiata; i racconti Uomini e donnine così geniali; le novelle, le conferenze su Giuseppe Giacosa, sul Fogazzaro, che ammirava e fece apprezzare dalle lettrici della Rivista, erano troppo diversi dalla letteratura di moda.
Non adulteri, non amori travolgenti, non mezzucci per destare l’attenzione, non descrizioni stilizzate, non pose, ma dappertutto un incitamento a ben operare, un entusiasmo sano e fervido per il bello, una ricerca sincera del vero, una lotta aperta contro il male, sotto le sue diverse forme. . -
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Nesstìno più di me può comprendere certe nature calde, energiche ed impetuose, scriveva ad un'amica, e se la mia parola è, com’ella dice, dolce e suadente non sempre dolci sono i miei atti, poiché l'amore della giustizia e dell’onestà mi porta molte volte a sdegni e a rivolte di tutto Tesser mio, che non riesco a frenare.
Il suo stile ricordava la grazia e l'ardore poetico di Giannina Milli e della Fuà Fusinato, e le sue idee rinnovatrici si riallacciavano a quelle della Colombini e di Felicita Morandi, le educatrici che tanto bene fecero al nostro popolo e tanto operarono, onde espandere l'istruzione, allora limitatissima nella maggior parte delle donne. I suoi scritti dicevano a quali grandi maestri ella s’era inspirata e che affinarono il suo gusto: il Manzoni, il Grossi, il Cantò, il Pestalozza; e se la sua erudizione non era profonda, le sue opere non ne scapitavano, chè si scorgeva in esse una freschezza spontanea ed una schietta individualità, così da dar subito al lettore la viva percezione delle tendenze spirituali, delle intime e nobili aspirazioni delTautricc. Il suo senso dell’arte, il suo concetto del bello, le sue critiche erano più intuitivi che ponderati, elaborati ed arricchiti dallo studio, ma non per questo apparivano meno geniali, nè meno capaci a destare altri entusiasmi nelle anime gentili.
Chi la vide ed ascoltò le sue conferenze sa quale attrazione si sprigionasse dalla sua persona, quale effetto facessero sulle giovani menti quelle sue calde, convincenti esortazioni. Chi le parlò, sa quale benefica influenza, lieta, serena esercitasse quel suo affettuoso apostolato per l'elevazione morale e materiale della donna, quei suoi slanci, quelle sue speranze che incitavano ad agire, a risvegliare le latenti energie. Il suo sguardo profondo, leale pareva indovinar i più riposti segreti delle anime e si leggeva in esso la sua bontà e la singolare fermezza di carattere.
Una delle migliori cose che ideò sulla sua Rivista, fu la catena d’oro, che stabilì dei gentili legami fra molte fanciulle d’Italia; fece conoscere le istituzioni che esse fondavano; i dolori, le gioie di numerose fanciulle o troppo solitarie od inoperose per mancanza d’una vigile guida, ed incapaci da sole di effettuare ciò che pur comprendevano urgente.
La catena s’è spezzata, e fu male.,
♦ ♦ *
La Bisi, sbalzata da una città all’altra per forza di cose, oppressa dal lavoro letterario e familiare, sfruttata dagli editori che s’arricchivano sulla sua rivista, ammalata, non perdette mai la fede in Dio, nella patria, nell'ascensione dell’umanità. L’Itala, delia Nidiata, ottimista, generosa, impulsiva ed entusiasta si risvegliava sempre in lei, e vinceva le delusioni e le amarezze della vita.
Quando la guerra ci travolse come un turbine, ella tra le ansie per i figli soldati, seppe ritrovare tutte le energie di un tempo e dalla sua rivista incitava all'opera, confortava, sorreggeva. Fu la prima a fondar a Milano, col concorso delle sue figliole spirituali, come chiamava le abbonate della Rivista, un nido per i fan-
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ciulletti dei richiamati: opera utilissima e benefica, ’ che si propagò poi in tutta Italia. Si, unì a vari comitati di preparazione, e nei giorni di stanchezza, per ridestare l’amor patrio, la costanza nel lavoro, la fede nelle donne italiane, fondò le Seminatrici di coraggio, che tanto bene fecero nella nostra Italia.
Malata, continuò a lottare sulla breccia e fu felice della nostra vittoria.
L’anno scorso, il 18 di luglio, mentre in silenzio si preparava la spedizione dannunziana per Fiume, mori dopo lunghe sofferenze sopportate con grande coraggio. Dal letto ella aveva continuato a scrivere, non dimenticando mai che bisognava avvivare le anime, ed era necessario il formare dei caratteri, il rinnovare questa compagine sociale troppo egoista. Ad una giovane che chiedeva dei consigli, rispondeva pochi giorni prima di morire, indicandole il lavoro come il miglior modo per migliorare se stessa e per essere utile al prossimo.
Ella mancò quando le idee socialiste e bolsceviche tendevano con più forza a sconvolgere questa società, già tanto tormentata dalla guerra. Prima di morire avrà pensato, che se le donne borghesi avessero ascoltati i consigli da lei espressi nella Rivista, forse tanto livore non si sarebbe scatenato tra il popolo; forse una fratellanza serena tra le classi avrebbe avuto luogo ed una tranquilla evoluzione si sarebbe effettuata, senza troppe scosse e senza rivoluzioni.
Ma anche davanti ai nuovi fatti lo sconforto non ha mai vinto la nobile donna. Ella aveva fiducia nel buon senso italiano; sapeva quali energie si nascondono sotto la nostra apparente indifferenza e di quale attività redentrice sono capaci le nostre donne, quelle alle quali aveva insegnato la bellezza del sacrificio e della dedizione ad un’idea rinnovatrice. Morì colla fede in una futura gloriosa Italia, vincitrice di ogni corruzione esterna ed interna.
Ed ora che la nostra generazione ha tanto bisogno di donne come la Bisi, altruiste e pronte ad ogni sacrificio, mi pare che chi la comprese, seguì la sua opera, divise il suo lavoro, debba sentire il desiderio di unire a sè con una nuova catena d’oro altre anime fidenti nello stesso ideale, e nel nome di Sofia Bisi Albini fondare un’opera per il popolo, che segni un vero risveglio dello spirito in questa, nostra Italia, da troppo tempo ingannata da gente cupida ed ambiziosa.
È necessario che altre donne siano pronte alle sante lotte, alle oscure abnegazioni; elevino le menti, educhino, istruiscano con quelle forme moderne che la scrittrice lombarda consigliava, dimostrando* che non fu vana tutta la sua vita spesa in azioni generose con fede ferma e serena, onde formare una generazione di fanciulle e di madri degne di una più grande patria.
Luisa Giulio Benso.
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IL VALORE DELLA VITA <’>
Celebriamo il valore della vita.
La vita non è facile, tu tt'altro; chi tale la dipinge crea illusioni, fonte di delusioni; la vita non è un banchetto, è un agone; ciò nonostante, traverso tutte le avversità. essa merita la pena di essere vissuta. La vita — Aristotele ne\V Etica ni-coniachea lo ha scritto — è cosa seria.
Al Vanitas vanitatuìn dell’Ecclesiaste, ¿{{’infinita vanità del tutto di Leopardi, contrapponiamo il sentimento profondo di essere parte del Tutto; in questo tutto, senza annientare l'io, in un’alta opera di cooperazione umana, dobbiamo ritrovare, come Dovere, la ragion d’essere della nostra esistenza.
La vita per la vita, la vita come mezzo c fine a sè stessa, vivere per il piacere di vivere, indifferenti a quanto avviene al di fuori, è la vuota formula della scuola cinica: ad Antistene ateniese risponde Giovenale quando ammonisce che per la vita non dobbiamo perdere le alte ragioni del vivere: et propter vitam vivendi perdere caussas.
La vita ha un valore perchè, appunto, individualmente o collettivamente, per l’individuo, come per la famiglia e per le nazioni, deve essere concepita come missione.
Per questo il disprezzo della vita non è virtù; virtù è saper distinguere ed amare ciò che veramente è vita: da un lato il puro esteriore, l’effimero; dall’altro l’interiore, l’eterno.
(x) Dal voi. II della Filosofia morale, testé uscito, p. 12 segg.
Un uomo, come un popolo, moralmente, fisicamente, può avere il dovere talvolta di sacrificare la vita; ma il sacrificio, nella nobiltà del fine,- deve riconfermarne il valore. Il suicidio non è coraggio, è timore della vita; sopprimendosi, l'individuo svaluta se stesso; immensa tragedia quando il suicidio è quello di un popolo che, nell’avversa fortuna, non sa ritrovare so stesso e risorgere dalle rovine.
Cadono con questo tutte le geremiadi onde l'uomo suole accompagnare il declinare degli anni; cadono le abusate immagini di una trita retorica e di un morboso romanticismo. I.a vita non è una parabola, col suo arco ascendente e discendente; nè si può, per essa, parlare, con assolutezza, di primavere e di autunni, colle relative aurore, i meriggi ed i tramonti.
La vita, moralmente, è Spirito; e tanto più la vita è vissuta quanto più l’uomo si afferma come intelletto, come sentimento, come volontà; la vita dello Spirito non è una parabola, ma una spirale che lentamente, in alto, sempre più si svolge.
L’aurora può illuminare la testa canuta del vegliardo. Solenni queste rinascite, nella via del bene, sulla soglia del grande mistero: v’è in esse tale una potenza di irradiazione e di purificazione che testimoniano assai più del valore dell’esistenza, che non tutta una vita retta ed operosa, ma chiudcntesi per egoismo, o nel lamento sterile sulla perdita dei beni o collo scettico e amaro sorriso.
Il meriggio, come pienezza dello spirito, non esiste. L’uomo finito ha, entro
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PER LA CULTURA DELL'ANIMA
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di sè, un infinito; non confini possono essere posti al suo orizzonte intellettuale e sentimentale: toccata una vetta, un'altra se ne presenta, più ardua, più candida, più luminosa.
Colui che, a un dato momento, crede aver raggiunto la pienezza dello Spirito e ad altro non aspira e sol si appaga della vittoria, è un vinto che imprigiona se stesso entro limiti di ferro, che egli solo potrà infrangere superando l'inerzia interiore. La psiche è un divenire: questa, ha scritto Goethe, è la proprietà dello spirito, di incitare sempre lo spirito (dies ¡si die Eigenscha/t des Geistes, dass er den Geist ewig anregt).
Sentire, perenne, in sè, questo anelito a sempre maggiori altezze e non trovare nell’inappagamento una fonte di pessimismo, sapervi trovare anzi una ragione . suprema per più amare ed apprezzare la vita, ecco il grande problema.
Il tramonto sorge quando questo anelito s’attenua; se manca del tutto è notte, ■ed è notte profonda, senza stelle.
Triste quando nelle tenebre brancola la giovinezza; quando, spenti gli entusiasmi, a vent’anni, tra le nebbie dell'epicureismo o dello scetticismo, s’eclissa il sole dello Ideale; questa l'unica àncora che salva dal naufragio la vita; sol per esso si giunge dal pelago alla riva.
Esaltiamo, ancora una volta, il valore dell’esistenza.
No, ad essa non può sorridere, come coronamento, un tramonto. Per gli individui, come per i popoli, traverso le lotte più aspre, coinè bellezza, come verità, come bontà, la vita, verso la più alta vetta dello spirito, è ascensione suprema.
Felice l'uomo che, con mani pure e con coscienza purissima, può, nella santità delle opere, celebrare ogni giorno, sino alla età più tarda, il rinnovarsi delle proprie primavere.
Grande la nazione che nelle prove supreme non dispera e, anziché l'epicedio, l’inno della morte, sa intonare con fede, tra le rovine, VExcelsior della civiltà vittoriosa.
LA SAGGEZZA i
Quest'armonia ideale fra le virtù si ha in una virtù suprema, la saggezza. Il Saggio, scriveva Platone, è un musico.
Molti la ostentano, pochi la posseggono; essa illumina per lo più la fronte del vegliardo, poiché frutto, più che di teoriche elocubrazioni. della salutare esperienza della vita.
Non facile è il definirla. Tutta l’etica dell’oriente, tutto il pensiero greco, dal pitagorismo allo stoicismo, variamente interpretandola, la invoca e la esalta. Pel nostro Telesio era la virtus universalis, conte quella che è condizione prima, elemento fondamentale per ogni altra singola virtù.
La Saggezza è quel pieno possesso di sè, per cui. sotto il controllo diretto e costante della ragione, nel perfetto equilibrio della facoltà dello spirito, si giunge, in un intimo stato di serenità, a conservare, nel Sindizio e nelle azioni, quella che, senza egenerarc in vacuo eclettismo e opportunismo, è la misura media fra i due estremi.
(i) Dal voi. II della Filosofia morale, testò uscito, P- 49 segg.
In tal senso anche noi accettiamo il giusto mezzo (mesotcs) di cui parla Aristotele.
Ora noi non pretendiamo offrire una nuova medicina dell'anima; senza aspirare all’assolutezza, nè alla infallibilità, solo tentiamo, pel bene dei giovani, fissare. riepilogando, alcune massime, alcune degnità morali, nelle quali forse può essere racchiuso tutto il destino dell’esistenza.
Bisogna appagarsi del proprio stato. Ciò non implica la rinunzia al meglio. È la consapevolezza del peggio che a noi, a differenza di altri, venne, provvidenzialmente, risparmiato.
Non accettare, verso noi stessi e verso altri, un criterio di valutazione basato su elementi esteriori e fugaci. Non le ricchezze: ricchi possono essere anche i disonesti. Non la popolarità: vi si può giungere con tutte le arti ambiziose dell'arrivismo. Non gli onori, che vengono tributati sovente; ai meno meritevoli. Non le cariche pubbliche, non i titoli, onde talvolta i meno capaci dirigono e seggono in cattedra i più ignoranti. L’altrui biasimo e la lode se immeritati nulla tolgono, nè aggiungono. a ciò che noi, in realtà, essenzialmente.
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siamo. Essere, lo ripetiamo ancora, moralmente, non è semplicemente esistere; è affermarsi come intelletto e, prima ancora, nella integrità della vita, come nobiltà di sentimenti, come carattere.
Non meravigliarsi mai di nulla; meravigliarsi, talvolta, quando si verifichi, del contrario. È una massima che salva da molte delusioni e da non poche amarezze. .
Si badi: non intendiamo riesumare la morale stoica, scettica od epicurea, la morale àeW’apqtèia', della imperturbabilità, della indifferenza. Sotto la parvenza di una serenità interiore, essa conduce ad una mistica rassegnazione, recide i nervi della lotta energica, doverosa, verso il male. Ben altro intendiamo: preferibile alla meraviglia di un fatto è il rendersi ragione dei tatto stesso. Quindi sterili le recriminazioni sull’inevitabile; quindi, anziché dolersi su quanto ò compiuto, e poteva evitarsi, più vale agire, prontamente, per contrapporre, se possibile, il rimedio; quindi vani tutti gli improvvisi impulsi dello sdegno e della collera; quindi, salvaguardandoci dalla degradazione cui conduce un sentimento di vendetta e di odio, una maggiore serenità anche nel giudicare le altrui azioni, con un più largo c generoso spirito di indulgenza, di bontà.
' Conquistare .quest'alt* saggezza non è facile, non è di tutti. Ognuno di noi deve più o meno lottare colle insidie del proprio temperamento. E più di un esalatore della saggezza deve ricordare a se stesso quante volte, egli, per primo, la obliò, nelle più gravi circostanze della vita: sebbene il riconoscerlo sia già da saggi. Però quando ad essa gradatamente, colla educazione della esperienza, si giunga; quando essa s’integri coll’intimo quotidiano esame della propria coscienza (Pitagora), eh allora, se non la felicità, come comunemente, materialmente, s’intende, certo l’uomo conquista, traverso tutte le avversità, quella pace interiore, che è condizione prima pel possesso del dono più caro e insti inabile, la giovinezza eterna dell’anima, onde cogli anni è dato celebrare il rinnovarsi delle proprie primavere.
♦ ♦ •
In questa concezione la virtù trionfa di tutte le negazioni scettiche e pessimistiche.
Il grido di Bruto: o virtù non sei che un nome vano, può essere l'epigrafe di una società in decadenza; come solo indice di tragica constatazione c di una inversione nei criteri valutativi può essere il lamento di Leopardi: virtù viva sprczziam lodiamo estinta. La saldezza del principio è intatta; non è un mito il virtuismo (Pareto); solo nella virtù la personalità morale si afferma; solo ih essa le nazioni ritrovano la loro salvezza.
E che! Dovremmo essere virtuosi solo pel desiderio dell’altrui lode, o peggio, per la lusinga di un qualche individuale interesse ?
Contro l’affermazione epicurea, insorgono. lo ripetiamo ancora, con Pompo-nazzi, Spinoza, Kant, Lessing, tutti gli assertori della morale disinteressata: la virtù deve essere seguita per la virtù stessa, in sè ritrovando il premio della retta azione. •
Noi non disconosciamo che la virtù possa essere mezzo, alla felicità (Aristotele); rileviamo che, come comunemente intesa, il sacrificio della felicità può presentarsi come condizione per l’adempi-mento della virtù (Pitagora).
Il terreno dissidio le religioni risolvono confortando il credente, virtuoso, ma infelice, colle speranze della celeste beatitudine. Altamente apprezziamo questo contenuto etico delle religioni, per quanto, talvolta, anche le speranze oltremondane possano adombrare, sotto il velo delia spiritualità,’ il vero disinteresse nell’agire virtuoso. A noi importa ribadire il principio: la felicità vera, anche attraverso i più atroci dolori, si dovrebbe ritrovare nel puro e semplice adempimento della virtù. Cartesio qui dà la mano a Socrate. Chi sa ritrovarla questa felicità, ha raggiunto moralmente la piena libertà dello spirito; li bertà che a nessuna potenza umana è dato, pur colla violenza, poter sottrarre o attenuare (Epitteto). Non ombra in verità può offuscare una coscienza che si rinfranchi sotto l’usbergo del sentirsi pura.
Ora si comprende la definizione di Pitagora e di Platone: la virtù è una imitazione di Dio. Per essa davvero l'uomo già partecipa del divino; per essa, già sulla terra infinitandosi, egli si esalta ed esulta di una interiore ineffabile beatitudine.
Uno della Seta.
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POLITICA VATICANA E AZIONE CATTOLICA
LE MALE SORTI DEL P. P. I.
Indubbiamente chi passa un cattivo Ìuarto d’ora in questo momento è il . P. I. Esso non accontenta nessuno c scontenta quindi tutti, ma in ultima analisi l'accusa che maggiormente e più fondatamente gli si rivolge è quella di mancare di un contenuto cristiano, quale c per sottinteso e per aperta confessione di alcuni suoi membri e per sventolìo di programmi esso dovrebbe avere.
L’accusa ortodossa che à fatto più rumore in questi ultimi tempi è stata quella ufficiale di Mg. Boggiani, arcivescovo di Genova, che è stato col nuovo partito di una ferocia starei per dire inaudita. L’accusa sarebbe stata anche più efficace se non avesse dimostrato nell'accusatore anziché uno spirito superiore, una mentalità piuttosto gretta c meschina. Basti dire che Mg. nel rimproverare l’amalgama non monocromatico del partito gli à pur fatto torto delle pubbliche * strette di mano per capi del partito e persone nominatamente scomunicate dalla Chiesa » come se il Papa non stringesse che mani-comunicate! Nè basta, Mg. Boggiani à voluto più realista, anzi più papista del papa, spezzare una lancia per il potere temporale, asserendo che « Roma strappata al Papa è il più grande errore storico, politico, sociale che si sia commesso da cinquant’anni in qua ».
Dunque l’accusatore di destra à una mentalità più che mai da destra; se non che ciò non è sufficiente a scalzare la fondamentale verità delle sue accuse.
Egli rimprovera cioè al P. P. I. di essere un partito di timidi, di poveri di spirito, di mancanti di carattere, che ha scelto vie neutre, vie sempre pericolose al vero cattolico;
Ora in ciò evidentemente sta la base di tutta la debolezza del partito che si dice- popolare: esso è perfettamente incolore, pur volendo avere un colore, ma senza avere il coraggio di manifestarlo. Lo provano due fatti che danno ragione a Mg. Boggiani di asserire che esso offre « riconoscimento di eguali diritti alla verità ed all’errore »: il primo che il P. P. I. proclama la tolleranza delle idee come principio fondamentale; il secondo, che è la conseguenza di questo, che esso vuol essere aconfessionale, onde «si mette di fatto tra coloro che-nella vita pubblica. S»rescindono da Dio ». Ragioni queste che anno proclamare a Mg. un’altra verità che, cioè, «un anno e-più di vita del partito stesso non ha ancora potuto affatto dimostrare che la sua via possa essere in alcun modo quella della salute ».
Per concludere il P. P. I. è tutto fondato su di un equivoco.
È quello del resto che con maggiore oggettività, con una veduta più moderna delle cose, osserva, -anche documentando il suo asserto con esposizione di fatti, Francesco Pontecorvo nella Vita Italiana del 15 agosto. Non che l'accusatore, per dir così, di sinistra — a rigore non merita questa qualifica — non abbia delle erronee vedute, quale quella per esempio di voler identificare cristianesimo con cattolicesimo con spirito francamente
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cattolico, SC si vuole, o spagnolesco, ma con un’obbiettività storica che fa ridere: certamente però à ragioni da vendere quando rimprovera al P. P. !... di non aver quella « sicurezza di dottrina » che la sua fede nel cristianesimo gl'impor-rebbc di affermare. Ne viene logicamente di conseguenza che esso manca di quello spirilo cristiano che sarebbe l’unica giustificazione della sua esistenza e della sua manifestazione politica. Mancando di tale spirito nuovo, per quanto vecchio, esso non à nessuna reale efficacia parlamentare e non può perciò esercitare nessun benefico influsso.
Insomma il P. P. I. manca d’una colonna vertebrale dappoiché i suoi stessi propagandisti giuocano sull'equivoco per reclutare tra la borghesia spaurita, tra i malcontenti e gli arrivisti, quelle masse che dovrebbero costituire la sua unica forza. Il Pontecorvo a ragione rimprovera al partito di voler quasi cancellare per tali ragioni opportunistiche la parola cristiano che dovrebbe essere la sua gloriosa etichetta, onde gli può rinfacciare le parole di Cristo: «Invero chi si vergognerà di me e delle mie parole, si vergognerà di lui il Figlio dell’uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre... ».
Così per mancanza di originalità, di fede, di sanità-di principi il P. P. I. viene investito da tutte le parti, onde par lo sì voglia invitare a riformarsi o morire,
LA FILOSOFIA DÈI PAR.
TI TI CATTOLICI
La verità sta in una conclusione che trarremo da un buòn opuscolo di M. Bcauchamp sui partiti politici francesi (Les partis ‘politiques français, Paris, G. Beauchcsnc, 1920) che permette di orientare i lettori stranieri e non stranieri sulla situazione politica francese interna. Essa è suffragata dall’appello che Mg. Boggiani rivolge alle sue pecorelle di lasciare il P. P. I. e di entrare nell’azione ca ttolica militante. E cioè: «Les catholiques ne constituent pas un parti. Dociles à la direction de leurs évêques ils écoutent leur voi x autorisée et suivent leurs instructions ». Ecco tutto. Da Murri a Don Sturzo — il Pontecorvo sottotitola le sue idee vagabonde sul P. P. I. «note di un democratico-cristiano della prima ora* — l’errore dei pastori del popolo... cattolico fu questo ed è sempre questo, il ritenere che al di f u ori e al di là della direttiva vescovile —
e quindi pontificale e vaticanesca — sia possibile ad un partito cattolico soprattutto italiano avere delle idee proprie. Per essere qualche cosa o esso deve essere — non dispiaccia al Pontecorvo — cristiano nel puro senso della parola c cioè portare nell’agone politico spirito, note, originalità veramente cristiane senza influssi che abbiano per base interessi temporalistici — anche nei più largo senso della parola — ed allora non potrà essere cattolico e vaticanesco, o esso deve essere cattolico ed allora non può non scoprire le direttive confessionali, se vuole avere un contenuto che possa dargli una forza qualsiasi, ma sempre lispettabile.
Essere quello che è ora il P. P. I. vuol dire non essere nulla, mancare di fede e di coraggio e fare unicamente opera di opportunismo politico di cattiva lega.
Maurizio Bcauchamp (1) à perfettamente ragione quando asserisce: « I cattolici non costituiscono un partito ». I fatti gli danno ragione,
IL MOVIMENTO ULTRACONFESSIONALE GERMANICO
Non sappiamo quale serietà e consistenza abbia il movimento del doti. Ratz su cui una corrispondenza da Berlino alTZdia Nazionale richiama l’attenzione del pubblico. Riservandoci di parlarne più estesamente crediamo opportuno riferire ai lettori quella parte della lettera pubblicata dal suddetto giornale nel suo numero del 15 agosto, che più ci sembra meriti conto di esser conosciuta:
« Il dott. Katz è un ribelle della Chiesa-Ribelle, perchè, secondo lui, la Chiesa è sempre stata la vera provocatrice o almeno il maggior sostegno di coloro che la guerra hanno fatta. In una parola la religione non significa più culto del Dio vero, non rappresenta più il degno legame spirituale degli uomini con Dio, ma si è fatta tutta terrena, nazionale, ha riconosciuto un « Alter deutscher Gott », un vecchio Dio tedesco, un Allah, un Ìehova, che non hanno nulla più a che are col « primo moto » notoriamente senza cittadinanza. Da ciò la necessità per gli uomini, che si riconoscono figli
(1) Il volumetto si raccomanda a tutti coloro che vogliono conoscere brevemente c chiaramente le lotte d’idee ed i programmi che i vecchi e i nuovi partiti ànno impegnato in Francia.
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CRONACHE
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di Dio o comunque connaturati di divina essenza, di uscire dalle Chiese, di unirsi nell’« ultraconfessionalismo », cioè in quella forma religiosa del meditare che è adorare, e, che va oltre il dogmatismo e la pratica irrigidita di questa o quella religione.
« L'idea non è nuova. Il movimento nemmeno. La ragione che ne ha provocato il sorgere in Germania sta nell’isolamento, in cui il paese ora si trova in tutti i campi, in quello spirituale specialmente. Il fondatore del movimento è un uomo pratico. Il termine « Ultraconfessionale » è stato da lui patentato regolarmente presso l’ufficio governativo.
« Per dare al movimento una base in tutti i campi dell’attività spirituale, egli ha interessato architetti, pittori, musici, scultori, letterati, pedagogisti, esteti c, dopo aver esposto loro i concetti fondamentali della sua idea, li ha pregati di volerci pensar su e di riferirgli quale influenza avrebbe avuto il movimento ultraconfessionale sulla loro arte.. Nè è sorta una congèrie di memorie, di composizioni, di disegni che, dopo opportuna scelta, formeranno una specie di codice base, sul quale si continuerà ad edificare. Tra gli artisti, i pensatori, i musici, che hanno corrisposto all’invito e aderiscono al movimento, ci sono dei nomi altosquillanti nel giornalismo, nelle lettere, nell’erudizione, oltre a qualche professóre di università.
« Gli uomini che escono dalle chiese devono romperla con la tradizione e cercare dentro di sè il Dio vero e la ispirazione, i nuovi simboli per la nuova religione. Il lavoro comune consisterà nel togliere alle varie religioni le scorze, il mallo, che gli anni e le necessità umane hanno cresciuto attorno al vero seme. Così, ben ripulito da ogni buccia, risplcn-derà il vero Dio, che in fondo ad ogni religione è sempre uno. 11 nuovo Dio, il Dio nudo, ispirerà veramente ai suoi credenti l’amore che tutti i figli devono avere tra loro, musulmani, buddisti o greco-ortodossi, l’amore scevro da ogni interesse umano e l’umanità affratellata noi’ farà più guerre (Con l’aiuto della religione). È naturale che l’arte ispirata da questo Dio senza tradizione sarà una arte nuova, sopratutto spontanea ed ori-' ginale.
« Ma dove discutere, dove elaborare il concetto del Dio unico? Dove eseguire
le nuove musiche, le danze religiose? Gli architetti ed i pittori vi hanno pensato. Il tempio ultraconfessionale è pronto nei progetti di ogni stile o meglio di nessuno stile. La nuova generazione vi troverà le sue sale di studio, di ricreazione, la sua scuola ».
X. Y. W.
♦ • •
IL SIONISMO ALLA CONQUISTA DELLA PALESTINA
In Vaticano sì nutre molta preoccupazione per quanto succede in Palestina. Come è noto l’Inghilterra che promise già durante la guerra di creare una mattonai home sionista in Palestina, ora che ha ottenuto definitivamente il mandato sulla regione, vi ha nominato governatore l’israelita Sir Herbert Samuel. Non occorre ricordare le ragioni strategiche per cui all’Inghilterra conviene, alle porte dell’Egitto e della via delle Indie, annullare l’influenza araba creando un piccolo stato ebraico in Palestina.
Tutta la Palestina è attualmente in fermento. La reazione dell’elemento mussulmano e cristiano contro i disegni del sionismo ha preso in alcuni luoghi addirittura il carattere di una guerra guerreggiata, e di una invasione violenta da parte dei nuovi venuti, ed espulsione in massa dei vecchi palestinesi.
Le intemperanze dei circoli sionisti, che ormai non fanno più alcun mistero della intenzione di impadronirsi della Palestina, alimentano il generale fermento. L’indice di questa mentalità dei nuovi conquistatori di Gerico è dato da un appellò che Max Nordau lància nei fogli sionisti dell’oriente. Il vecchio scrittore dopo aver constatato che in Terra Santa la popolazione è composta di nove abitanti mussulmani su dieci, invita tutti i sionisti a respingere il pericolo di un governo elettivo in Palestina. L’Inghilterra, continua l’autore, deve per il momento agevolare la importazione in massa dei sionisti e solo quando la assoluta maggioranza sarà assicurata agli ebrei, allora potrà essere da costoro accettata qualsiasi proposta di governo rappresentativo» (v. Revuc Sionista). Anche la pratica sionista è improntata allo stesso cliché di dominatori.,
Il governatorato inglese di Gerusalemme è nelle mani di funzionari ebrei ; ebrei negli uffici pubblici, nelle stazioni, nei porti e nelle banche. E i conquistatori — questa è almeno la lamentela di tutti — serbano verso gli indigeni un contegno di jattanza e di disprezzo.
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Ma ciò che è più curioso è che il sionismo in Palestina non è riuscito a trarre dalla sua parte la maggioranza dei vecchi ebrei praticanti, cioè dei Talmudisti residenti da secoli nella regione: vissuti all’ombra di una tolleranza generata anche dalla coesistenza nei Luoghi Santi dei più disparati culti e confessioni, essi vedono nel sionismo un programma di egemonia politico-bancaria di pericolosa attuazione. La nuova Sion si presenta dunque in alleanza con i soli elementi grecoscismatici i quali, pur di combattere ed espellere i cattolici, non rifiutano la loro aperta collaborazione agli ebrei.
Nessuno può contestare la giusta aspirazione degli ebrei che non trovino una patria nella terra in cui vivono, di Cercare un territorio altrove, sia pure in Palestina; ma non perciò è sostenibile la loro pretesa di porre un’ipoteca sopra un paese abbandonato diciannove secoli or sono.
Una corrispondenza che il Messaggero ha ricevuta dal Cairo alla fine di giugno ci dipinge sul vivo lo stato d'animo dei sionisti.
« I sionisti d’Oriente cantano osanna per la nomina di Herbert Samuel a commissario britannico della Palestina.
« La Rivista Sionista, organo dell’Associazione ebraica in Oriente, scrive : “ Noi giudei siamo sicuri che l’Inghilterra manterrà sino in fondo le sue promesse: ed una prova iniziale l’abbiamo con la nomina ad alto commissario di H. Samuel. Se dopo i tragici fatti di Gerusalemme una certa freddezza sorse tra noi ed il governo di Londra, oggi ogni reciproca diffidenza è finita. Il popolo ebreo si metterà al lavoro con sentimento di piena solidarietà verso l’Inghilterra ,,.
« La nomina di Sir Samuel ha provocato un vero delirio di gioia tra i giudei d’Oriente. Per una settimana si sono succedute feste tra mistiche e sportive, in cui le produzioni ginnastiche ' dei « Maccabi » (specie di Gio
vani Esploratori della Terra Promessa) si sono avvicendate con rappresentazioni teatrali, cerimonie religiose e figurazioni simboliche della nuova Sion che risorge dal sepolcreto millenario.
« A questa specie di giuochi olimpici ebraici è stato dato il nome di «Ghéulah », cioè « la liberazione»: e per la circostanza sono stati rimessi in circolazione i canti liturgici della uscita del popolo d’Israele dall’Egitto.
« Questi versetti biblici vanno anzi diventando la canzone nazionale giudea, qualcosa come « Bandiera rossa » addomesticata ; poiché vi hanno accomodato un motivo di marcia tra il pianto e l’attacco, tra l’impeto d’una maledizione per i mali sofferti e la nenia tradizionale innanzi al tempio di Salomone.
« Anche la bandiera sionista ha piuttosto colori di calma e di pace, come è proprio di uomini abituati a combattere nella Banca : bianco e celeste; il candore del giglio delle convalli e l’azzurro del cielo nostalgico di Gerosolima, pianto da Geremia.
«In questi giorni il sionismo infuria nell'Egitto, quasi come la caldura: e da per tutto < Ghéulah »; da per tutto nomi ebraici conservati nei ghetti internazionali; da per tutto bianco e celeste che garriscono al vento. Il sionismo egiziano pubblica riviste e opuscoli di propaganda ; organizza feste e raccoglie fondi vistosi, data la ricchezza della colonia ebraica del Delta. Esso inoltre dichiara che il suo programma non consiste già in una esercitazione di semplice solidarietà ; ma nella preparazione della emigrazione in massa dei giudei di Egitto e Terra Santa ».
Fin qui il Messaggero.
In queste condizioni ha avuto luogo la visita al Papa da parte di Sir Samuel, il governatore israelita che l’Inghilterra invia in Palestina per attuarvi il suo programma imperiale.
Quinto Tosatti.
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PROFILI
Una sottile vena di nostalgia percorre questo piccolo ammirabile fiore dei miei ricordi (di recente tradotto da Gilberto Beccari, Firenze, Vallecchi), in cui Miguel de Unamuno rievoca la fanciullezza lontana, il tempo felice quand’egli aveva « a-perta la vista alla bellezza della scorza delle cose e chiusa l'anima alla tristezza dei loro midollo ». « Questo vecchio fiore dei mici ricordi mi manda, attraverso gli anni, il suo profumo», profumo indefinito e vago, pure si dolce e penetrante, che basta a profumare tutta una vita, ed impregnarla tutta di una determinata Stim-mung sentimentale. Una pacata dolcezza solcata di bonario umorismo è nella rievocazione che Unamuno fa di minuscoli aneddoti infantili nei quali balenò la sua prima vocazione di filologo filosofo poeta novelliere, o si affermarono per la prima volta le sue tendenze antidogmatiche anticlericali antistataliste antiprotezioniste. Ma un rimpianto acuto trema nelle parole in cui ci rappresenta il mondo di miti e credenze nei quale il fanciullo vive, mondo che ha la sua morale, il suo diritto, la sua cavalleria, la sua religione, che, per essere diverse affatto da quelle degli adulti non perciò sono meno nette e precise, non perciò hanno meno consistenza spirituale.
L’anima del fanciullo avverte confusa-mente la connessione fondamentale delle cose e delle creature. La sua fantasia dota di forze magiche gli esseri che lo circondano e crea un mondo, in cui forze ignote si tendono come fili fra le cose, stringendole in relazioni misteriose di cui gli adulti non hanno sospetto alcuno. Unamuno invidia al fanciullo questa potenza di giuocarc col mistero, questa capacità di crearsi un mondo tutto di sua fattura, in allegro diM. DE UNAMUNO spregio della logica, questa pienezza di vita che lo fa essere talmente profondato nell’attimo che passa, che esso diventa per lui l'unica dimensione del tempo, si che, praticamente, vive come se fosse .immortale, senza che mai l’ombra fredda della morte cali ad aduggiarne l'anima. « L’intuizione fanciullesca del mondo, il santo alito della madre poesia rinfresca l’anima. Per mezzo di essa, gli uomini oppressi dal duro battagliare della vita riprendono vigore ». « E forse non c’è concezione più profonda della vita dell’intuizione del fanciullo che... prende come un giuoco la vita e la creazione per cosmorama ». Nel conservare un’etèrna fanciullezza nel fondo dell’anima su cui precipita e infuria il torrente delle impressioni fuggitive, si raggiunge la vera libertà di fronte al mondo ed allo spaventoso arcano dell’essere, l.a vera saggezza consiste nell’esser fanciulli, cioè poeti, cioè credenti, cioè, in fondo, allucinati e folli.
Noi sorprendiamo così sul nascere gli clementi di quella concezione del mondo e dell’uomo che Unamuno ha esposto nelle due opere capitali: Del sentimento tragico della vita e Vita di Don Chisciotte e Sancia. Su queste due opere il Fiore dei miei ricordi proietta vivissima luce, e c’invoglia a rileggerle con quella maggiore inteili-Ì;enza che ci viene dal veder chiaro nella oro genesi spirituale. Quale sia il significato intimo di queste opere strane e affascinanti, la terribile esperienza della guerra mondiale ci aiuterà a comprenderlo a fondo.
* ♦ ♦
Sebbene Unamuno abbia studiato con particolare amore la letteratura greca, sarebbe difficile immaginare opere che più di
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queste si allontanino dallo spirito classico, inteso come spirito di finitezza, di ordine, di euritmia. Pure, dallo studio dei Greci questo almeno Unamuno ha imparato: a non riporre il pregio dell’opera d’arte nella novità della materia, o, come oggi suol dirsi, della trovata. I Tragici greci toglievano gli argomenti dei loro lavori dai miti e leggende della religione popolare, senza portare mutamenti sostanziali nella materia lità della favola, e tutto lo sforzo d’arte concentravano ncH’eborazione formale di quella materia tradizionale identica per tutti. Similmente, Unamuno ha accettato la favola di Don Chisciotte quale Cervantes l’ha narrata, senza mutarla di una lettera, ma, con procedimento di sorprendente originalità, ha contrapposto la creatura al creatore, Don Chisciotte a Cervantes, e dove Juesti aveva trovato argomento di risa c i beffe alle spalle del povero hidalgo della Mancia, egli scopre un motivo di glorificarlo e di proporcelo a modello. • Don Chisciotte e Sancio nacquero perchè il Cervantes narrasse la loro storia ed io la spiegassi e commentassi; il Cervantes nacque per narrarla, e per spiegarla e commentarla nacqui io». Unamuno è chisciottista, «il che vuol dire una cosa molto differente e perfino opposta a Cervantista ». In una parola: Unamuno ha rifatto da cima a fondo il Don Chisciotte, strano rifacimento dove la lettera è, insieme, del tutto identica ed opposta a quella della redazione cervantesca.
Elogio della follia, avrebbe potuto a buon diritto intitolare Unamuno l’opera sua. In Don Chisciotte egli glorifica il cavaliere della fede, ■ che ci rende savi con la sua pazzia », che, se perse il senno, • per nostro bene lo perse; per lasciarci eterno esempio di generosità spirituale ». Egli credè che la bellezza fosse verità, che lo ideale fosse reale, • lo credè... con fede generatrice di opere... e al solo crederlo lo fece essere verità ». Così divenne cieco e sordo al mondo della realtà sensibile, c per coloro che in questo mondo vivono profondati, fu pazzo. In preda alla sua pazzia, non cercò profitti passeggeri, ma eterno nome e fama: sottomise sè stesso alla memoria che di lui sarebbe rimasta, asservì il Don Chisciotte reale al Don Chisciotte ideale, all’eterna idea di Don Chisciotte. E c’insegnò che quel che conta non è quel che siamo ma quel che vogliamo essere, e che uomini degni di questo nome si è quando vogliamo essere più di quello cae siamo, più che uomini, come più che
uomo volle essere Adamo, che aspirò ad uguagliarsi a Dio. La sua ansia di gloria fu la forma sotto cui gli si proiettò alla coscienza la sua disperata nostalgia d’immortalità. Questa sete e frenesia di divinità egli incarnò in una donna. Dulcinea del Toboso, chè tutto ciò che l’uomo fa è fatto in omaggio di un uomo, meglio ancora di una donna, e Dio stesso non riusciamo a immaginarlo se non come uomo infinitamente idealizzato.
Senza fermarsi a calcolare le condizioni in mezzo alle quali avrebbe operato, nè gli ostacoli che sarebbero sorti sul suo cammino, il cavaliere della fede si mosse pel mondo spinto da un gran vento di bontà, a raddrizzarvi torti c ripararvi ingiustizie.
Non aveva sistemi sociali da far trionfare: andava alla ventura seguendo la voce che gli dettava dentro. E il fuoco della sua fede era così ardente, che dissolveva il mondo esteriore ostile e beffardo è ne faceva sorgere un altro conforme alle belle stravaganze di cui aveva piena la mente. Vedeva giganti dov’erano mulini, eserciti in marcia dov’erano branchi di pecore, la divina Dulcinea dov’ora una povera con-* tadina? Vuol dire che la luce ideale che gli splendeva dentro, traboccando al di fuori, idealizzava la realtà bruta e opaca. E poi, se Sancio vede mulini dove Don Chisciotte vede giganti, perchè Sancio dovrebbe aver ragione e Don Chisciotte torto? La visione di Don Chisciotte è tanto reale quanto quella di Sancio; e se da essa scaturiscono nobili decisioni e audaci prodezze, essa è anche più vera di quella di Sancio, non essendoci altro criterio per distinguere il vero da’ falso che questo: è vero ciò che dà vita, falso ciò che dà morte; è vero ciò che alimenta ansie generose e produce opere feconde, falso ciò che genera sentimenti abbietti c soffoca nobili impulsi. • Verità è ciò che fa vivere », cioè agire. «Quel che chiamiamo realtà, è qualcosa di più di un’illusione che ci spinge all’azione e produce delle opere? L’effetto pratico è l’unico criterio valevole della verità di qualsiasi visione -. Ma non «ci può essere chi sia spinto all’azione da manifesta illusione e raggiunga pur tuttavia il suo scopo?... in questo caso tale illusione è la verità più genuina». Perciò la volontà domina l'intelligenza , c la Cardiaca, scienza del cuore, ha il passo sulla Logica, scienza dell’intelletto astratto.
« Solo esiste ciò che esercita azione ». Don Chisciotte stesso, in quanto esercita
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LA VITA DELLO SPIRITO NELLA LETTERATURA
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azioni di vita su quelli che lo conoscono, è più storico di tanti uomini di carne e ¿’ossa, che nulla generano intorno a sè. E la potenza della fede, che vivifica e idealizza tutto ciò che tocca, si prova anche da questo: che, a poco a poco, travolge nel suo gorgo anche gli ostacoli che si parano sul suo cammino. Sancio, l’uomo della saggezza volgare, crede e dice che il suo padrone è pazzo, e nondimeno, l’ama e ¡'ammira, non se ne sa staccare, crede alle sue promesse, e mostra così di essere più pazzo di lui. Anch’egli, dunque, è, a suo modo, eroe, poiché • non è meno eroe chi crede nell’eroe di quello che non sia l’eroe stesso ». E se Don Chisciotte ha bisogno di Sancio l>erchè la fede si alimenta della fede che crea intorno a sè e più se ne dà agli altri più cresce in chi la dà, anche Sancio ha bisogno di Don Chisciotte c un po’ alia volta si chisciottizza anche lui, chè la fede è contagiosa. E che importa che Don Chisciotte sia vinto? Ciò che conta è l’animo con cui si scende in lotta e non l'esito della lotta, e quell’anima non fu vinta mai. L’idea creata dalla fede ed alla quale ci siamo votati, sopravvive alla sconfitta, e trionferà per la sconfitta stessa dei fedeli che ne sono stati i testimoni.
• • •
Se vogliamo comprendere il significato intimo di questo ¿topo della follia applichiamo ad Unamuno il procedimento stesso da lui applicato a Cervantes: distinguiamo ciò che Don Chisciotte fu per sè, dinanzi alla sua coscienza stessa, da ciò che è per Unamuno. Don Chisciotte crede alla realtà delle visioni che gli passano per la mente; il mondo di allucinazioni nel quale vive lo ha. sì, creato lui, ma non sa di averlo creato, ed ha per lui tanta consistenza obbiettiva, quanta ne ha per Sancio il mondo nel quale questi si muove. E dato il mondo nel quale Don Chisciotte crede di vivere, le sue azioni sono perfettamente coerenti e intonate alle leggi di quel mondo. Don Chisciotte non ha alcuna coscienza di essere venuto a negare un mondo ed a crearne sulle ruine di esso uno nuovo di zecca. Ma Unamuno sa che Don Chisciotte è pazzo, che il mondo nel quale vive non ha realtà fuori della sua immaginazione, e, nondimeno. lo esalta e lo glorifica. Perchè? Per l’ideale di bontà che splende alla mente del Cavaliere e lo muove pel mondo in cerca di torti da riparare e d’ingiustizie da raddrizzare? No.
Unamuno ammira e invidia Don Chisciotte perchè, nato in un mondo che rinserrava in confini, estremamente angusti la sua volontà di vivere e di agire, il Cavaliere seppe con la violenza dell'entusiasmo rovesciare tutti gli argini che quel mondo gli alzava contro e crearsene un altro tutto di sua fattura in cuj la sua volontà di agire potesse liberamente traboccare. L’odio e il disgusto di Unamuno contro il mondo nel quale egli stesso è condannato a vivere, mondo della scienza esatta e della società stabilmente organizzata secondo i dettami della saggezza volgare asservita ai comodi del corpo, mondo utilitario ed economico che sembra soffocare senza rimedio le individualità riboccanti e vigorose e toglier loro ogni possibilità di espàndersi e trionfare, è sì grande, che se non c’è altro rimedio per liberarsi dalla pressione di quel mondo, per rompere la camicia di forza della saggezza plebea con la quale ci riduce all’immobilità, che diventar pazzi, ebbene, egli grida, ben venga la pazzia se, grazie ad essa, ci sarà concesso di sfrenarci a nostro piacere. Se la saggezza è causa di accomodamento, cioè di stasi, e la follia soltanto consente di agire senza freni nè regole, come l’impulso detta dentro, ebbene la follia c 'l’assurdo val-{ono più dell^ saggezza e del buon senso.
- che importa che l’eroe non abbia piani da attuare, sistemi sociali da realizzare ? Egli non viene già per portare la felicità in terra, ma per volere, per agire, per sconvolgere come una tempesta le acque stagnanti del mondo che lo circonda, per destare nelle moltitudini dei Sancio ansie generose, inquietudini perpetue, nostalgie indefinite. Verso qual termine l’eroe vuole portare al suo seguito i Sancio che egli ha strappati di casa, separati dalle mogli e dai figli e trascinati per il mondo in cerca di avventure? Verso nessuna meta, verso nessun termine ultimo e definitivo, nel quale Io spirito, raggiuntolo, debba immobilmente posare per l’eternità. Ciò che lo spirito vuole qui non è già la conquista e il possesso di una meta, qual eh'essa sia, e sia pure il riposo eterno nel seno di Dio. E l'ansia perpetuamente insoddisfatta e perpetuamente rinascente, è il lavoro incessante. è l’azione senza tregua, è il moto indefinito, è il divenire eternò, è l'ebbrezza dell'ascendere verso una mèta che, quanto più si sale verso di lei, più dilegua nelle profondità dei cieli.
L’opera di Unamuno è una disperata
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invocazione all'azione, qual ch’essa sia, purché azione, movimento, irrequietezza. E se per agire bisogna abbracciare la pazzia e l'assurdo con piena coscienza che sono assurdo e pazzia, ebbene si abbracceranno. In ciò la differenza tra Unamuno c Don^ Chisciotte: Don Chisciotte è pazzo e non sa di esserlo', Unamuno, pur di moversi liberamente pel mondo, dando lanciate magnanime di luce a destra e a sinistra, si fingerebbe pazzo sapendo di essere saggio. Don Chisciotte, vuole, sì agire, ma la sua azione è determinata e precisa, coerente al inondo nel quale crede di vivere; Unamuno vuole un’azione purchessia, purché azione, vuole l'azione in generale.
In Unamuno tocca il punto culminante quella religione dell'azione per l’azione, del movimento per il movimento, del divenire per il divenire, che si andò a poco a poco elaiiorando per tutto il secolo scorso, c che c la vera religione della società capitalistica che in quel secolo celebrò i massimi trionfi.^Per Unamuno essa é religione nel senso più stretto della parola; il Dio che egli adora è l’uomo in quanto non è ma vuole eternamente essere, in quanto è slancio di vita che agisce sempre, si muove sempre, ascende sempre, e non posa mai. Il suo stile ha l’andamento raziocinativo e oratorio insieme, l’ardore sotterraneo e cupo, il furore concentrato’e violento dei Ìrandi predicatori c mistici spagnuoli del eicento. Egli è il mistico dell'azione. Egli ha {¿"follia dell'azione, come Paolo aveva la follia della Croce, Egli si abbraccia a Don Chisciotte e vive e si muove in lui, come Paolo si crocifigge in Gesù e in lui vive e respira.
* * •
È ciò che fa il fascino artistico c lo straordinario interesse storico e documentario delle sue opere. La religione della azione per l'azione era la religione della borghesia intellettuale venuta su prima della guerra mondiale. Questa religione assumeva forme e colorazioni diverse secondo i diversi climi spirituali. Ma, forse, solo nel Chisciottismo, nel misticismo baccantico della follia preferita alla saviezza perché condizione di azione, essa appare allo stato puro. Questo stato d’animo covava nel sottosuolo di Europa come una lava che tanto più cresceva di temperatura e tensione, quanto più forte era la pressione degli strati sociali sovrastanti bene assestati che le impedivano di traboccare. A un certo punto, nel fatale luglio 1914, nel suolo di Europa si produsse una fessura. Attraverso di essa, dalle viscere della terra, quella lava si precipitò a flotti, inondando e bruciando il mondo intero.
La guerra mondiale, che tutti aspettavano, cui tutti si preparavano, ma che. in fondo, tutti temevano, scoppiò per una fatale concatenazione di eventi che nessuno volle con conscio e riflesso volere. Ma si deve appunto alla religione dell’azione, al Chiscifitiismo che i Sancio Panza della piccola e media borghesia covavano in corpo nel fondo oscuro dei loro ufficii a cartoni verdi e delle loro botteghe, se essa assunse presto un ritmo d’implacabile furore, e-continuò sino al totale sterminio d’Europa e della civiltà contemporanea.
Adriano Tilgher.
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FILOSOFIA MORALE
III.
La religione razionale di E. Kant. — Dopo che E. Kant ebbe fondato, con le sue Crìtiche, la nuova filosofia, egli fu tentato di applicar questa all’esperienza religiosa ed alla religione storica. con la quale la società in cui egli viveva era intimamente legata : il cristianesimo protestante; ed egli lo fece di proposito nel suo studio: Religion innerhalb der grenzen der blosscn Vernunft, che è uno degli ultimi e più stanchi suoi lavori.
Un luogo comune dice che il kantismo è il termine logico del soggettisismo protestante ; ed è falso, perchè la concezione che E. Kant si fece della religione è propria di lui, rispecchia le incertezze e le contraddizioni della sua posizione filosofica ed è subito superata e annullata, già con Fichte e con Schleiermacher, dagli ulteriori sviluppi dell’idealismo.
Al pensiero religioso di Kant dedica ora un assai accorato e lucido studio una idealista italiana, Cecilia Dentice deAccadia, che conoscevamo per un interessantissimo lavoro su Schleiermacher {Il razionalismo religioso di E. Kant. Bari, Laterza, 1920).
Caratteristico della filosofia di Kant è il dualismo tra noumeno e fenomeno: donde le basi della filosofia religiosa di lui: il male radicale e l’esigenza di redenzione. La volontà empirica dell’uomo, appunto perchè suscitata dall’istinto e dal sentimento, intrisa di piacere o di dolore e volta a fini particolari, questa volontà che si svolge nel mondo fenomenico, incapace di universalità e di assolutezza, è necessariamente e naturalmente cattiva: è l’assenza della norma, la non norma.
Ma c’è anche, nell’uomo, una volontà nou-menica, la quale è per l’attività pratica quello che le categorie a priori sono per l’attività teoretica: la volontà dell’universale, cioè della norma universalmente valida, al disopra di
ogni empiria, cioè del bene; la volontà buona, senza aggiunte. Essa è trascendentale; ma poiché l'uomo ha coscienza e può fissarsi in quella, essa entra nel fenomenismo della vita spirituale e vi suscita una coscienza di male e di peccato, un desiderio e un proposito di purificazione e di redenzione, nei quali il Kant colloca la religione. È se l’uomo non può, uscendo dalla sua natura animale e dal mondo dei fenomeni, agire sempre e solo secondo l’universalità della volontà buona, egli può tuttavia a questo sforzarsi, con uria costante severa disciplina di se medesimo.
Kant non ripudiò tuttavia, nel nome di questa religione razionale, le religioni positive e, in particolar modo, il cristianesimo. Ammise la possibilità e il fatto di una rivelazione divina la quale facilitasse all’uomo, con miti e simboli, la conquista della verità morale; e una propedeutica di salvazione mediante la quale, come il bambino per mezzo di dande, la coscienza impari a reggersi da sè. Con tali principi, non era difficile passare ad una interpretazione razionale del cristianesimo e delle sue dottrine. Kant la tentò e la Dentice la analizza paratamente nel suo volume. L’interpretazione è estrinseca e prammatica; e non è meraviglia che Kant trovasse facile conciliare con la sua dottrina i principi luterani della salute mediante la fede, dell’interpretazione morale della Bibbia, ecc., piuttosto che quelli cattolici.
Il giudizio della scrittrice è assai severo su questa filosofia kantiana della religione. Secondo lei, questa « non può certamente soddisfare gli spiriti... religiosi ». Anzitutto, perchè le manca il senso della realtà dell’oggetto, della realtà di Dio. Smarrita la posizione sintetica da le? appena intravista, la filosofia kantiana si viene' sempre più riducendo in una posizione soggettivistica, in cui tutta la vita religiosa si esaurisce in un circolo chiuso-
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dai limiti del soggetto stesso, che non ha più un Dio fuori di sè, che deve sforzarsi di raggiungere, ma ha soltanto una legge interiore, un senso di rispetto alla legge e una fede nell'ordine morale; che, nei sistema kantiano, sono tutte cose necessariamente soggettive.
Poi perchè le manca allatto il senso della individualità religiosa. Conosce un astratto soggetto, un vuoto universale ; ma ignora l’individuo. La sua non è una universalità vera, pregna dei particolare; anzi è universalistica quanto altra mai, e priva di concretezza e di reità. Errori, il soggettivismo e l’antiindivi-dualismo, che potrebbero apparire opposti ma che hanno, in realtà, identica radice. Appunto perchè egli è sommerso in questo soggettivismo unilaterale, che non vede altro che un soggetto senza oggetto, e perciò vuoto, egli non sente l’individuo concreto, nella sua realizzazione piena, vigorosa di tutto il suo essere; l’individuo che, nel suo stesso porsi, è una vivente affermazione di sè... Non riesce; insomma, a vedere, di là delia sua legge morale, una più profonda legge spirituale, co-struentesi mediante la lotta continua dell’individuo che senza tregua combatte la sua finità, per farsi sempre meglio infinito ».
• • *
A. Fogazzaro e il modernismo. — Va ricordata in queste rassegne la Fifa di Antonio Fogazzaro, scritta da Tommaso Gallarati Scotti, per l’interessante contributo storico he reca allo studio di un periodo di movimento religioso al quale il nome e l’opera di A. Fogazzaro sono strettamente legati, e per i I giudizio che il biografo studioso del romanziere vicentino dà di esigenze e impulsi religiosi contemporanei, benché- indirettamente e quasi implicitamente.
Il pensiero religioso di A. Fogazzaro ha assai più importanza per il critico letterario (che non può trascurarlo perchè materia viva e immediata di tutta l’opera del F. per la sua interiore esperienza religiosa e le lotte e i dubbi attraverso ai quali essa si andava svolgendo ; e la maggiore o minore potenza con la quale egli riuscì a dominare questa tumultuante vita interiore e farne espressione e forma è il preciso problema del critico) che non per lo storico o per il filosofo delia religione. In sostanza l’atteggiamento del F. dinanzi alla Chiesa e al cattolicismo — e lo n0,l,a F.". Cr>spolti in un interessante studio sulla Vita di G. S. pubblicato nella Nuova Antologia, 16 maggio 1920 — è quello dei cattolici liberali; e le variazioni di lui sulla possibile conciliazione fra fede ed evoluzio
nismo non hanno importanza filosofica. E quel lato od aspetto dell’esperienza e delle lotte religiose del F., psicologicamente interessantissimo, che consiste nella lotta fra misticismo e sensualismo, una lotta in cui il sensualismo non è mai intieramente superato e risolto, ma permane irreducibile con la sua coscienza di colpa e una sua pretesa di trasfigurazione e transvalutazione mistica, non interessa, anche esso, la storia del pensiero religioso, benché sia indice delle tendenze di una generazione di italiani.
Restano i rapporti del F. con il modernismo; rapporti in gran parte esteriori, perchè non modificarono nè scossero la fede sincera e profonda del F. nella trascendenza del cat-tolicismo; e che tuttavia non furono dovuti a sola curiosità artistica o dilettantismo, perchè un F. dilettante, in materia religiosa, non esiste. Questi rapporti non ci sembrano sufficientemente chiariti dal G. S. ; il quale, in sostanza, dichiara che il F., che non era teologo, potè illudersi sull’intimo contenuto di un movimento che doveva metter capo «all’immanentismo, il quale non ha più nulla di cristiano, delle Lettere di un prete modernista». Trascurati, quasi come un capriccio d’artista, essi sono poi dal Crispolti che, nello scritto citato, dichiara essere, quelle attinenti al modernismo, • questioni tramontate e che hanno perduto quasi ogni forza di commuovere o di deviare le ahimè ■; giudizio che, crediamo, sarà presto dimostrato estrema-mente provvisorio.
La questione ci pare che vada ripresa in' esame. « Leila », dopo « Il Santo », non è il grido di vittoria di una crisi superata, ma il ripiegare su se stesso e sulle antiche certezze di una coscienza che ha tentato un volo troppo arduo. L’intimità di Dio all’anima, la necessità di un Dio che sia per la coscienza viva presenza e realtà di universale unità ed amore, apparve realmente al F. ; ma egli non giunse a conquistarla nè spiritualmente nè quindi esteticamente. E la inanità dell’opera del riformatore e la mancata pienezza d’espressione artistica degli ultimi romanzi sono da ricercare qui. E questo a G. S. il suo pensiero religioso rendeva impossibile fare ; poiché egli è ancora nella situazione spirituale del F. stesso. Non solo; ma il G. S. rivela in questo volume una acrimonia contro il modernismo, al quale egli pure partecipò, e un tentativo di svalutazione, storicamente e filosoficamente sbagliato, dei quali sarà forse interessante dire, in altra sede.
Giova aggiungere che a ogni modo il libro del G. S. è una interessantissima lettura, e
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RASSEGNE
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che esso ravviverà giustamente l’interesse per l’opera fogazzariana, dalla quale il pubblico italiano si era venuto allontanando solo perchè i suoi gusti vanno scendendo, via via, più in basso.
• • *
Il neo-scolasticismo italiano. — Guido de Ruggiero ripubblica la sua Storia delta filosofia contemporanea, apparsa otto anni addietro presso l’editore Laterza. Bari; ed aggiunge una appendice, dedicata solo al movimento delle idee filosofiche in Italia in quest’ultimo periodo, poiché per gli altri paesi manca ancora la documentazione.
Anche per quel che riguarda l’Italia, egli trascura di proposito, e non a torto, la filosofia della guerra, e divide l’appendice in tre parti, delle quali la prima dedicata ai neo scolastici italiani, la seconda agli studi storici o sociali, la terza allo svolgimento divergente, in questi anni, del pensiero filosofico di B. Croce e di Giovanni Gentile.
Interessante per noi è la prima parte. Da principio i neo-tòmisti italiani seguirono docilmente ed esaltarono il movimento di Lo-vanio: la povera e ambigua e contraddicen-tesi criteriologia del card. Mercier che « ripristina, dopo Kant, il dubbio cartesiano, limitato ai soli oggetti della conoscenza, dichiarando illegittimo il problema dei valore delle facoltà conoscitive : un valore che viene dommaticamentepresupposto»; e il falso storicismo del de Wulf, che distingue una philo-sophia perennis, la quale si accresce solo marginalmente e quantitativamente, tutta solida e definitiva in se stessa già dalla fine del medioevo, ed un errore filosofico, egualmente perennis, serie mutevole e indefinita di svarioni, incapace di storia.
Dopo i primi tempi, osserva il de Ruggiero, i neo-tomisti italiani hanno capito che tutto questo era troppo semplice e inconcludente; ed alcuni di essi, l’Olgiati e il Chiocchetti più specialmente, si sono sforzati di tener d’occhio un altro avversario, assai più pericoloso del vecchio empirismo materialistico, contro cui era scesa in campo la scuola di Lovanio: l’idealismo, rappresentato in Italia da B. Croce e G. Gentile; mentre il P. Mat-tiussi, gesuita, seguita dalle colonne della rivista milanese a tuonare contro ogni forma ed inizio di criticismo.
Fra il 1912 e il 1914 il Chiocchetti pubblicò una serie di articoli sul Croce (dei quali abbiamo già fatto cenno in queste rassegne) in cui si facevano al filosofo napoletano importanti concessioni: «la teoria dell’arte, del-l’ateoreticità dell’errore, e principalmente quella del concetto, che culmina nella circolarità creatrice dello spirito», e del quale il Ch. vuol trovare un precedente nell’/zwiWrsale in re di S. Tommaso di Aquino; il che poi gli permetteva di mantenere, accanto ad un idealismo dimezzato, i diritti della assoluta trascendenza.
Oggi, scrive il de Ruggiero, questi giovani neo-tomisti « sono pronti a fare le più ampie concessioni al pensiero moderno e non chiedono che un posticino per il trascendente e per l’immortalità dell'anima». Nel programma del 1919 il P. Gemelli assegna alla rivista come compito difendere il dualismo cattolico contro il monismo idealista, nel campo specialmente della gnoseologia; e l’Olgiati aggiunge che non si tratta solo di combattere l’idealismo contemporaneo, ma anche di accòglierne quanto è possibile lo spirito, completando il vecchio metodo dell’astrazione con un processo sintètico, aderente alla organicità del reale.
Con che, osserva il D. R., «gli scolastici si elevano all’altezza delle moderne discussioni filosofiche, se non per la novità delle dottrine, almeno per la serietà raccolta e pensosa del loro atteggiamento».
Il ritorno alla scolastica. — Lo preconizza Gonzague Truc, in un volume che ha appunto per titolo : Le retour à la scolaslique (Paris, La Renaissance du livre, 1919).
Ma G. Truc, che è un kantiano ritardatario, ha presente, come già gli iniziatori lovaniensi del neo-scolasticismo, la non filosofia dell’empirismo positivista, di fronte alla quale la scolastica, non fosse che per le sue lunghe e sottili indagini sul problema della conoscenza, ha una enorme superiorità, incontestabile. « C’è un mistero delle cose che (la scolastica) chiama sostanza, c’è un mistero della vita, che essa chiama Dio. Non dimentichiamo che. prima di identificarli abusivamente, essa li pone. 11 pensiero moderno, contentandosi di registrare le combinazioni delia materia e il passaggio delle apparenze, vuole ignorare, sotto il pretesto che esso è inaccessibile, quello che ne costituisce il fondo, e non nasconde che quello che essa vuole con ciò radiare dalle preoccupazioni dello spirito umano, non è nulla meno che la ricerca dei principi e, in fine, la filosofia. Una vecchia disciplina, per secoli maestra del mondo, le si leva dinanzi e la richiama alle realtà vere. Essa gli dice che, per quanto paiano poco accessibili, queste ragioni prime dalle quali essa sembra volger le spalle, con una specie di orrore, non sono meno per ciò l'essenziale di quelle manifestazioni delle quali essa raccoglie la traccia con uno zelo ingenuo e che, a non voler tenerne conto, essa si condanna per sempre a non veder che la superficie delle cose e ad una irrimediabile banalità ».
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II.
i. Non solo per riprendere l’azione della Società Filosofica scioltasi da alcuni anni, ma anche per estenderla al campo religioso, è sorta in Firenze, promossa da un piccolo gruppo di amici, va’ Associazione per gli Studi Filosofici e Religiosi. Essa non si propone di accogliere gran numero di soci, non vuole istituire corsi di conferenze e lezioni, nd pubblicare Atti, ma dare occasione ai suoi membri, in determinati giorni, di riunirsi e venire ad uno scambio d'idee intorno a qualche argomento d'attualità, scelto in precedenza dal relatore. La conversazione, o il dialogo, «ombra a quest’Associazione, come parve ai greci, un metodo assai più proficuo del monologo che offre la conferenza. Le discussioni saranno raccolte c stampate a fine d’anno. La sua sede è nella Biblioteca filosofica di Firenze, Piazza del Duomo, 8.
2. Lai Federazione Italiana Studenti per la Cultura religiosa à svolto quest’anno un ricco programma di lavori in tutti i suoi principali gruppi: Roma. Napoli, Firenze, Milano, ecc. Corsi di lezioni di lingua e di storia religiosa, studi biblici, conferenze su vari argomenti e passeggiate istruttive, ànno avuto luogo, destando non solo 1* interesse degli studenti universitari, ma anche di molte persone colte; ed oggi si può dire, che la Fed. Studenti rappiesenta uno dei più attivi cenacoli della cultura religiosa italiana. Tanto più significativo e ricco di promesse appare questo risveglio, quando si pensa che la nostra gioventù, sino a pochi anni addietro, appariva divisa tra un vuoto formalismo religioso e una recisa negazione di ogni religione, così che pareva dovesse dar ragione al vecchio detto di Erasmo: Omnes Itali sunl athei.
3. Fra tante associazioni femminili di carattere più o meno religioso e morale, una ne è sorta che può, se ben diretta,
progredire e raccogliere buoni frutti come poche altre. Voglio accennare all’Associazione « Portatrici di Lampade », la di cui sezione fiorentina appare così attiva e promettente. Questa Associazione à lo scopo di ricondurre le socie a una vita inte-liore e di approfondire la loro spiritualità. Ma questa dev’essere una preparazione per raggiungere un altro scopo: quello di portar luce ad altri con la fiaccola della bontà, della carità, della rinnovata fede nella potenza del bene. Due interessanti conferenze ànno avuto luogo nella sezione-fiorentina: una della piof.a Guglielmina Ronconi su Vas honorabile, che ebbe luogo nella sala del Lice uni, ed un’altra della prof* Zoe Saltini su V Indirizzo della donna nella società.
4. Il 31 gennaio u. s., nella Société Ernest Renan, sotto la presidenza di Ed. Potier, il prof. H. Girard à fatto una conferenza su un piano bibliografico dell’opera di E. Renan. Egli à brevemente e lucidamente esposto quanto la scienza storica del secolo xix deve a questo grande rior-Sattizzatore di essa, ed à avuto occasione i fare qui e là alcune osservazioni su l’orientamento filologico, storico e religioso di Renan. Egli sostiene che questo scrittore è rimasto sempre profondamente religioso /: che dalla sua educazione attinse la semplicità squisita e il gusto della umiltà. Con ciò il conferenziere vuol rispondere a coloro che ànno accusato Renan di egoismo intellettuale. Per la bibliografia propone il seguente piano: 1® Filosofia generale; 2® Linguistica ed Erudizione; 30 Traduzioni; 4® Storia religiosa; Religioni semitiche. Religioni non semitiche; 5° Studi celtici; 6° Storia del Medio evo; 7® Storia dei quattro grandi secoli moderni e della formazione deH’Umanc-simo contemporaneo: Rinascenza, Riforma, Rivoluzione, Romanticismo; 8® Opere di imaginazione e ricordi.
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FRA CHIESE E CENACOLI
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5. Nella medesima Società E. Renan, il 25 febbraio u. s., l'eminente archeologo russo Michele Rostovtzefi, professore nel-l'Università di Pietrogrado, e attualmente nell’università di Oxford, à tenuto una conferenza su 11 culto della gran Dea nella Russia meridionale, illustrata da varie proiezioni. Jl prof. Rostovtzefi espone quali sono, secondo lui, le origini di questo culto c quali elementi lo arricchiscono nel suo sviluppo. Egli à trasportato il pensiero deH’uditorio alle origini della leggenda delle Amazzoni, alle leggende e culti degli Sciti, dei Cimmcrii, all’antica vita religiosa e politica dell’Asia minore.
Il dualismo scitico (culto del Gran Dio iranico e della Grande Dea autoctona) concluse il dotto conferenziere, si trova dappertutto in Oriente, dove una tribù iranica conquistatrice si sovrappose a una popolazione che adorava la Grande Dea. Una triade tardiva composta da Dei cavalieri (due Mitra) e da una Dea, si trova in frammenti di piombo e di marmo molto in uso fra le annate danubiane nel 11 e ni secolo d. C.
6. La stessa Soc. E. Renan conta di pubblicare prossimamente biografìe di uomini illustri francesi, a qualunque confessione appartengano, e fare nuove edizioni delle loro opere riguardanti la storia e la filosofia religiosa. Essa si propone inoltre di diffondere l’interesse per gli studi religiosi e s’Wnpegna dì ottenere che l’insegnamento delle discipline, comprese sotto il nome di storia delle religioni, abbia uno sviluppo degno della loro importanza per la conoscenza delle civiltà antiche c moderne. Sin da ora la Società à organizzato corsi di conferenze per volgarizzare fatti c metodi critici, che si applicano alla storia delle religioni. Tiene sedute mensili per comunicazioni su studi religiosi, documenti inediti, scoperte e discussioni scientifiche. Un bollettino bimensile rende conto dei lavori della Società.
7. Nello scorso gennaio è apparso il primo numero della Revue d’A scetique et de Mystique che si propone di studiare, da un punto di vista cattolico, la vita spirituale e la teologia coi metodi moderni della psicologia sperimentale e della storia. Occasionalmente, ma senza perder di vista lo scopo principale che si propone raggiungere, questo nuovo periodico tratterà di questioni più generali di psicologia religiosa c di storia delle religioni. La Revue d‘ A scetique et de mystique, sarà
quadrimestrale, in fascicoli di 96 a 1x2 pagine. Il segretario di •redazione è il gesuita J. De Guignebert.
8. Fra gli studenti inglesi si è recentemente accentuato un movimento che tende alla riunione dei non conformisti con la Chiesa anglicana e si è nominata una commissione per lo studio della questione.
9. A Liverpool ebbe luogo il 13 dello scorso maggio il Convegno della Lega inglese dei Cristiani liberali. Si tennero alcuni discorsi, fra cui uno del dott. E. Carpente*-su « Le Idealità del liberalismo cristiano » c uno di W. Laughiand su « La missione delle Chiese rispetto al movimento dei lavoratori ».
io. A Oxford nel Manchester College, per due settimane, dal 17 maggio u. s., il dott. Foster Watson à tenuto un corso di sci conferenze su « Gii ideali dell’educazione » ; conferenze che ànno particolarmente interessato per le vedute nuove e profónde espresse.
11. Sono apparse recentemente, edite da M. D. Pctre, le lettere di Giorgio Tyrrell (George Tyrrell’s Letlers. Ed. by M. D. Pctre, London, T. Fisher, pag. xvm-301. Portrait). Questo volume, che raggruppa le lettere del famoso modernista inglese sotto diversi capitoli: Misticismo, Dogma e Simbolismo, Infallibilità, Anglicanismo, Modernismo, è un interessante complemento alla vita di G. Tyrrell scritta dalla stessa Pctre. Speriamo che possa esser tradotto presto in italiano perchè sia accessibile a una più vasta cerchia di lettori.
12. La Società per là Lega delle religioni à tenuto 1’8 giugno u. s. una riunione in Oxford sotto la presidenza del Rev. Lock. Presero parte alla discussione il dott. Sel-bie, il rev. Drummond, il rabbino Mat-tuck e il sig. Suriyagoda Su mangaia sostenendo il bisogno di destar simpatie e buona volontà fra i fedeli appartenenti a diverso religioni. W. H. Drummond accennò alle sue esperienze fatte in Francia durante la guerra, assistendo diversi uomini appartenenti a diverse religioni. Per queste esperienze, egli dice, à acquistato la convinzione che tutte le religioni sono, in fondo, simili, e le differenze superficiali.
13. Il 12 luglio scorso à .iniziato in Londra i suoi lavori una grande Lega Femminile Internazionale, con un discorso di Lord Grey. Questa Lega vuole unire le donne intellettuali di tutti i paesi in una
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organizzazione pratica per promuovere fra le diverse genti amicizie e coopcrazioni, c render così più facile il raggiungimento dell'ideale della Società delle nazioni.
14. Un curioso libro si è pubblicato in Inghilterra: Army and Religion, che è il risultato di un’inchiesta circa ciò che si pensa della religione, della morale e della società. Ivi è detto, fra l’altro, dai molti che ànno risposto, che l’educazione dei genitori, delle Chiese e dello Stato è mancata allo scopo. Altri rispondono: noi non pensiamo; e altri ancora: un universale materialismo domina la nostra vita e i nostri scopi. L’editore del volume afferma che re conclusioni generali di questa inchiesta lispondono allo spirito della gran massa del popolo.
15. il 5-6 giugno u. s., ebbe luogo a Londra un Convegno di moderni pensatori religiosi (Modem religione thinkers) promosso da un comitato del Libero Movimento religioso e di alcune altre associazioni etiche. Si svolsero, da alcuni convenuti, quattro temi principali, seguiti da discussioni. Il primo tema trattava dei rapporti tra religione, pensiero moderno e morale, c fu svolto da Gilbert Murray, dal rabbino Mattuck e Dolisi e Burns. Il secondo tema: Base comune per una religione universale, personale e sociale, fu trattato da Estlin Carpenter, Walter Walsh, e H. Snell, il segretario del convegno. Il terzo tema: L'ufficio della Chiesa nella religione, fu svolto da L. P. Jacks W. Manning, Ph. H. Thomas. Il quarto: Relazioni tra Religione c vita sociale, fu trattato da B. Martin, F. J. Gould e da altri* E rimasto un vivo desiderio in tutti i presenti di tenere più frequentemente simili convegni.
16. Per iniziativa del dott. J. Greving, dell’università’di Bonn, è-stato fatto, sino dal 1915, un progetto per la fondazione di una Società che dovrebbe aver lo scopo di pubblicare tutte le opere cattoliche scritte da tedeschi contro la Riforma protestante nel secolo xvi, ossia dal 1517 al 1563. La Società è stata realmente fondata tre anni or sono e si chiama Gesellschaft zur Her-ausgabe des Corpus Catholicorum. Le opere destinate alla pubblicazione sono tutte tedesche. Si farà eccezione per opere anteriori o posteriori a questa data, e per opere straniere, quando se ne riconoscerà la necessità. Il primo volume è già stato pubblicato recentemente e porta la data del 1919.
17. Alcune personalità femminili più in vista in Germania (Margarete Fromm, Marie Martin, ccc.), vogliono che la donna prenda parte attiva al movimento religioso. Carola Barth invita alla fondazione di un istituto per dare alle donne una istruzione teologica che dovrebbe esser rigorosamente neutrale rispetto all’indirizzo religioso. Mensing, nella rivista Die breie Volkskirche (n. 3), si mostra favorevole al progetto di accordare liberamente alle teologhe la direzione delle parrocchie in tutta la sua estensione.
18. L'agitazione contro le Chiese per determinarne l’uscita dei suoi membri, à fatto un tentativo in Germania di orga-nizzaisi. Si è fondata una Lega anliconfes-sionalc, il di cui centro è Berlino, sotto la presidenza di un medico, Zepler, che da otto anni à ripudiato la Chiesa israelitica. Il dott. Zepler, che è, a tempo perso, anche poeta (a Berlino è nota una sua poesia che ha per titolo: Benedetta sia bomba) à organizzato un vasto piano di azione per una propaganda attivissima contro le Chiese, sostenuta da milioni di copie di stampati, da molti oratori ed agitatori. Piano di azione questo che richiede enormi spese e pertanto il dottor Zepler si è rivolto al Governo, affinchè gli fornisse i necessari aiuti finanziari. Egli vorrebbe diffondere nel popolo fogli ed opuscoli per incoraggiarne l’uscita dalle Chiese c vorrebbe anche diffonderli nelle scuole dei fanciulli per dir loro che non devono credere agli insegnamenti religiosi. Questo movimento non è soltanto rivolto contro le Chiese, come tali, o contro il Cristianesimo, ma anche e soprattutto, contro la religione.
19. In contrasto alla propaganda contro la religione, che in Germania data dal 1914, accentuatasi sempre più dopo la guerra, sono apparse alcune pubblicazioni. Rammentiamo solo quella del dott. Violet Die Kirchenaustritt bewegung apparsa nel 1914. e l’altra recente Der Stand der Kirchenaustritt Bewegung an Ende des Jahrcs r9*9- Si annuncia ora di prossima pubblicazione di un Merkbuch zum Kirchenaustritt. edito dalla Lega tipografica evangelica (Bcrlin-Stàglitz), libro, questo, che si propone di indicare le organizzazioni antiecclesiastichc e dare elementi per combatterle.
20. Alcune conferenze che Cristofaro Schremps à tenuto a Stuttgart su la Chiesa e Gesù dinanzi a parecchie centi-
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naia di persone di media cultura sono state oggetto di discussione nella stampa tedesca non solo per il pregio di esse, ma anche perché il loro successo d stato messo in contrasto col movimento antiecclesia-stico più sopra accennato. Non sono manicate a Schremps, nemmeno da parte liberale, critiche acerbe, ma tutti gli riconoscono il merito di aver saputo in tempi così poco favorevoli, destare tanto interesse, parlando in modo semplice e disadorno di questioni che riguardano Gesù, a Bibbia, e la Chiesa.
2i. Sotto la presidenza del Pastore Saupe si è costituito in Altenburg un partito che si propone di riunire in comune pratico lavoro positivi e liberali con mutuo rispetto delle loro confessioni. Questo partito invita tutti i vecchi c nuovi protestanti, o comunque essi vogliano chiamarsi; appartengano a partiti politici tra loro avversi, alla destra o alla sinistra; siano o no ecclesiastici, a unirsi in un partito della pace per un lavoro pratico e utile.
22. La Rejorìnicvte Kirchetizeititng (numero 6), pubblica alcune curiose notizie circa la distribuzione delle Chiese in America. Nella città di Chicago vi sono 224 parrocchie cattoliche e circa 725 protestanti suddivise così: 163 luterane. 114 metodiste. 117 battista, 83 presbiteriane, 81 congrcgaz.ionaliste, 48 episcopali, 33 sinodali, 32 libere chiese sveve, 28 riformate, 18 della scienza cristiana, 15 delle comunità evangeliche c 52 israelite. Ma accanto a questa ricca efflorescenza ecclesiastica vi é una mancanza assoluta di Chiese, dove pur sarebbero necessarie. Si calcolano a trenta milioni coloro che non ànno alcun rapporto con le Chiese. Nel Colorado vi sono centotrentasette villaggi, dai centocinquanta ai mille abitanti, che non ne ànno alcuna. Nell’Hidao ve ne sono più di mille, e similmente avviene in L'rkansa, Arizona, Nuovo Messico.
23. Secondo accordi avvenuti tra una speciale missione serba e il patriarcato ecumenico in Costantinopoli, vengono concessi alla* Serbia alcuni arcivescovadi in Bosnia Erzegovina, c si riconosce la unione degli autocefali montenegrini alla Chiesa serba. E questo un notevole passo verso la fondazione di un patriarcato jugoslavo.
24. La sezione olandese della Lega mondiale delle Chiese, à inviato a tutte le
altre sezioni un appello in cui rammenta che l'Europa e la cultura occidentale vanno incontro a un misero avvenire se non cbsi mette riparo con tutte le forze c con sollecitudine. La fame, le malattie, la mortalità crescono di giorno in giorno, dice l’appello, nell’Europa centrale; i fanciulli che rimangono in vita sono destinati per la maggior parte a divenire uomini deboli e malaticci; l’energia del lavoro diminuisce a dismisura, mentre la disoccupazione cresce di giorno in giorno. J.a anarchia diviene sempre più minacciosa; la decadenza morale è visibile dappertutto, e cade in rovina ciò che fu laboriosamente conseguito. L’appello conclude invitando tutti i popoli di Europa e d’America, senza alcuna esclusione, a cooperare energicamente e. con sollecitudine al ristabilimento del lavoro, ad ottenere una opportuna ripartizione di materie prime e il necessario credito. Solo così è permesso sperare che possa ritornare l’ordine, e più tardi il benessere in quella parte del mondo oggi così travagliata.
25. Le persecuzioni bolsceviche contro la Chiesa russa ànno condotto le diverse Chiese ortodosse, cattoliche, protestanti, israelitiche, maomettane e ruskolnichc a un ravvicinamento che à servito a riattivare la vita religiosa. La maggior parte delle parrocchie si sono uniti? su basi democratiche. In Pietrogrado la lista delle nuove comunità nelle elezioni à raccolto più di settantamila voti. Nella medesima città si sono viste processioni alle quali à partecipato circa mezzo milione di pei -sono. Il metropolita Beniamino, di Pietrogrado, un personaggio assai stimato dai lavoratori, à dato vita a parecchie associazioni religióse.
26. Il VII Congresso del Cristianesimo liberale avrà luogo a Boston nel prossimo settembre in occasione del III centenario dei Pellegrini. Dalle notizie sin’ora giunte, ci saranno rappresentanti quacqueri, unitari, universalisti, ecc. Il presidente del congresso sarà Tesse H. Holmes, e il segretario Frank H. Burth. Si attende chequesto congresso, il primo dopo- la guerra,-riesca più importante dei precedenti. Parecchi dei principali rappresentanti del movimento religioso mondiale ànno già aderito e dai diversi paesi molti sono quelli che ànno promesso di prendervi parte.
27. Da tre anni è sorta in America, ispirata c diretta da Frank C. Doan, un’Associazione che si appella ■ Del quarto d’ora
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di silenzio ». Senza rito, nè canto, nè sforzo alcuno i membri di questa Associazione vogliono, con la semplice pratica del silenzio e della meditazione in ciascun giorno, sia pure per un quarto d’ora, far pratica religiosa e acquistare nello stesso tempo forza e serena bontà. Essi anzi credono, con tal mezzo semplice e facile, di ottenere ■ la presenza di Dio ». Dapprima questa Associazione fu composta da un gruppo di amici che decise di passare almeno un quarto d'ora ogni giorno, in silenziosa meditazione. Ora l’Associazione Ths Ouarter-Hour Siìcnce à diramazioni in diversi stati d'America e d’in Inghilterra. Questomovimento non offre agli uomini nè una'filosofia, nè una psicologia per rag
giungere la presenza di Dio, ma una tecnica. Essa richiama perciò anzitutto allo esercizio della meditazione periodica. Coloro che ànno fatto esperienza di questa pratica, parlano di una rinascita della loro vita, rinascita di vigore corporeo, di chiarezza di pensiero e forza di volontà. Ogni membro di questa Associazione può conservare le sue credenze religiose, può seguire la sua via come prima, ma per evitare i pericoli ai quali sono andati incontro altri movimenti che ànno avuto per base la meditazione (pericoli dell’eccessiva introversione) quest’Associazione impone una sola condizione: la misura nella meditazione e l’azione immediata che la completi;
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In altra parte di questo fascicolo un nostro collaboratore accenna al problema dell'arte religiosa, della quale in questi ultimi tempi si è fatto un gran parlare in tutte le riviste. Lo spazio ci vieta, come vorremmo, di occuparci estesamente della questione; preferiamo, come abbiamo fatto per il Burnand e come faremo ne! prossimo fascicolo per G. Prcviati, contribuire con studi singoli alla esposizione dei problema. Qui offriamo ai lettori, così alla rinfusa, gli accenni ad alcuni articoli che si sono occupati della cosa, perchè, volendo, ne facciano ricerca.
Revue Chrétienne (maggio-giugno), M. A. Guy, •< Art et Actualité ».
Foi et vie (giugno): « La religion au Salon de 1920 * (dello stesso A.).
Le Christianisme social (febbrario-marzo) • Recherches sur l’art chrétien » (crediamo dello stesso A.).
Revue des Jeunes (maggio-giugno): A. Pé-raté, « L’art religieux aux Salons ».
Vita e pensiero (aprile): C. Costantini, • Sugl'indirizzi dell’arte moderna ».
Bèssarione (gennaio-giugno), G. De Je-sphanion, « Le devcloppement iconogra-phique de l’art chrétien ».
The Hiibert Journal (aprile): H. J. D. Astley, « Primitive art and magic ».
E certamente omettiamo altri articoli interessanti.
• • ♦
A proposito del fatto, notevole negli annali del calvinismo svizzero, che il 6 giugno u. s. dalla cattedra di Calvino in Ginevra à parlato nella cattedrale di S. Pietro una donna, presiedendo il culto d’apertura di un congresso femminista
internazionale, L’EvaneiU et la liberté di Parigi, notando come Miss Royden abbia adempiuto al suo ufficio in modo perfetto, riprende in esame la questione del ministero religioso femminile in relazione al comando di S. Paolo (I Cor. 14, 34): • Le donne nelle vostre assemblee tacciano ». L’articolista, H. Draussin, pur non essendo favorevole al completo ministero religioso femminile, trova che l’impedire alle donne questa forma della loro attività non sa-rcbbe equo, tanto più che nè nei tempi primitivi, nè in quelli recenti mancano esempi autorevoli di un ottimo ministero femminile che può essere proficuo ai fini voluti da Dio per il trionfo della sua chiesa.
♦ • »
La signora Rita Bolero di Milano ci comunica di aver presentato al Congresso dei liberi cristiani che si terrà a Boston nel settembre p. v., il seguente tema, da sottoporsi a referendum": « Religion et su-perstition soni elles deux choses diverses ? » Il giornale cattolico di Milano, \‘Italia, scrisse un giorno che le persone per bene s'ostinavano a ritenere che * la religione non fosse nulla di diverso della superstizione. La Bolero domanda se realmente vi sia un errore in tale credenza c attende dai congressisti una risposta. E l'attendiamo anche noi: ma dopo di ciò la questione. sarà risolta? Ne dubitiamo!
Segnaliamo in The Student World dell’aprile u. s. un importante articolo di W. Paton sull’india: • Some impressions of India •>, in cui sono messi in luce gli elementi spirituali che possono spiegare
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!a posizione attuale dell’india di fronte ad una penetrazione religiosa: l’hinduismo, l’occidentalismo, il nazionalismo, l’influenza cristiana.
Nel fascicolo di luglio della stessa rivista, poi, va segnalato come interessante l’appello di un cinese cristiano ai suoi connazionali c ad essi destinato (la traduzione è stata fatta a titolo di documentazione e curiosità) sul progresso della Cina e sui suoi doveri come nazione che à tutti gli clementi favorevoli ad uno sviluppo civile moderno (antichità, popolazione, risorse naturali, estensione territoriale, abilità e qualità morali del popolo), che deve essere assecondato.
• • •
N. Colajanni nella Rivista popolare del 30 giugno fa rilevare a proposito della recente enciclica papale non solo la decadenza del sentimento religioso, messa in evidenza dalla testé cessata guerra che à fatto prevalere gl’interessi economici e nazionali, ma l'imbarazzo di cui fa mostra il Vaticano a proposito della sua posizione di fronte allo Stato italiano, per il fatto che il papa è costretto a sostenére la sua condizione di prigioniero e di protestante contro gli usurpatori per evitare ch’egli possa essere ritenuto sotto l'influsso del governo italiano, se accettasse la legge delle guarentigie, così come fu sotto quello del governo francese quando fu in Avignone. Ma, domandiamo noi, dipende ciò da un’intrinseca debolezza di affermazione della propria missione spirituale o da una semplice posizione esteriore, come pare mostri di credere il C.?
• • •
Nel Raccoglitore dell’aprile u. s. C. Fabbricotti raccoglie le opinioni degli studiosi sull'organizzazione economica dèlia primitiva comunità cristiana, sostenendo che questa era comunista non dal punto di vista sociale ed economico, quanto da quello idealistico: i cristiani cioè non abolivano la proprietà, ma usandone del diritto, se la comunicavano per scopi superiori idealistici che ne mettevano insieme, le aspirazioni e le credenze.
A. Palmieri nella Vita italiana del 15 luglio mette in luce l’importanza politica del movimento religioso delincatosi negli Stati Uniti e concentrato nell'opera della
World Conference, la quale, pur non riuscendo nel suo grandioso intento, renderà un reale servizio agli Stati Uniti perchè avvicinerà indubbiamente le chiese anglicane d’Inghilterra c degli Stati Uniti e le chiese ortodosse con reale beneficio del prestigio americano nell’Oriente. Il Palmieri fa notare come questa vjsionc dell’elemento religioso nelle relazioni politiche sia completamente assente nei nostri uomini politici, con grave danno delia nostra considerazione politica nel-l’Oriènte cristiano e musulmano.
• • ♦
Nella Revue des Jeunes del 25 maggio ultimo scorso notiamo un interessante articolo di H. D. Noble sulla conversione di Ernesto Psicbari quale risulta dalla pubblicazione del suo giornale intimo Les voix qui crient dans le désert che sarebbe come il canevaccio del suo noto Voyage du Cenlurion. L'articolo, ripetiamo, è interessante, solamente non vi vediamo affatto dimostrata quell'arioné soprannaturale che il titolo dello studio farebbe credere sviluppata ed esposta.
* • •
Nella Minerva del 16 giugno u. s. è stata riprodotta una notevole conferenza dell'avv. A. De! Giudice di Ferrara sulla superstizione e criminalità del mondo moderno, che è importante soprattutto per la raccolta di elementi sulla superstizione contemporanea nei bassi fondi sociali (<• non solamente in essi) e sulla\!oro relazione con le forme criminali.
♦ • ♦
Nel Vessillo israelitico del 30 giugno u. s. il prof. Luzzatto termina la sua critica sulle due recènti opere dell’on. Rosadi, mettendo in evidenza soprattutto la nessuna conoscenza che l’A. à del mondo e della storia ebraica dei tempi di Gesù.
• • *
Abbiamo accennato nel fascicolo di maggio-giugno su di un’opera di M. Bu-ber sull’ebraismo moderno e sui suoi còm-piti, riassunta in Israel: nel secondo articolo su tale opera viene esaminata la possibilità di un’orientazione dell’ebraismo per il suo rinnovamento spirituale verso il cristianesimo.
Ora mentre il Buber accetta il nucleo fondamentale della dottrina cristiana per
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così dire palestinese come patrimonio spi-ritualeX ebràico, nega qualsiasi affinità, rispetto all’Ebraismo, al sincretismo cristiano, ch’è per lui la distruzione'dell'idea primitiva ebraica, la sua profanazione per lo spirito dualistico del)’Occidente (volontà umana e grazia divina), e Quello che è creativo nel Cristianesimo, egli dice, non è Cristianesimo, ma Ebraismo^ c con questo non abbiamo bisogno di affiatarci, ma dobbiamo solo riconoscerlo in noi c prenderne possesso, poiché lo portiamo in noi medesimi senza perderlo mai; ma quello che nel Cristianesimo non è Ebraismo è privo di forza creatrice, è un impasto di mille riti e dogmi, (il grassetto è nostro. N. d. D.] e con questo — lo diciamo come Ebrei e come uomini — noi non vogliamo • affiatarci ».
Il moto palestinese dell’inizio dell’èra volgare diventa così uno degli episodi della storia ebraica, e forse anche non dei più importanti; la dottrina di Gesù non è che una delle pietre dell’edificio ebraico, una delle espressioni di alcune ¿sue tendenze, che esistevano nella vita e nel pensiero ebraico nei secoli prima della nascita di Gesù e che non cessarono di esistere per la sola ragione che il popolo ebreo ha rifiutato di riconoscere in lui il Messia, ma si manifestarono e si manifestano tuttora sotto altre correnti e forme. E se il mondo ha voluto prendere questo episodio come la base della sua storia e questa pietra come «la pietra angolare del suo edificio e, deformando il suo contenuto, lo ha ado-prato qualche volta come strumento contro gli Ebrei, non è una ragione questa per disconoscere la paternità ebraica delle alte idee morali del Discorso della Montagna. Quando si paria quindi del rinnovamento dcH’Ebraismo per mezzo del Cristianesimo il Buber ritiene che prima di tutto occorre domandare di quale Cristianesimo si tratti-: se di quello dell’occidente, esso è completamente!'estraneo alla mentalità e ai concetti morali e spirituali ebraici; se di quello di Galilea, esso non è per gli ebrei che una delle molteplici c moltiformi manifestazioni dello spirito loro, e rinnovarsi per mezzo di esso è lo stesso che rinnovarsi per mezzo del profetismo. dell’essenismo, del Kabbalismo, del chassidismo, per mezzo cioè di quelle idee ebraiche che senza tregua mai, vanno dai primi segai della storia d'Israele fino ai nostri tempi.
L’importanza di queste conclusioni, so
prattutto di fronte al movimento iniziato con la Riforma e continuato dal protestantesimo, non ¡sfuggirà a nessuno: abbiamo voluto perciò riassumerle largamente perchè i lettori le conoscano e le meditino.
. Nella Politica nazionale del maggio 1920 G. Sottochicsa propugna la soluzione del problema economlco-sociale mercè la forza dell’idea religiosa.
La fede si esplica con le opere; la pratica deve essere lo specchio della teoria. La idea religiosa sia pratica religiosa, in ogni atto, per ogni contingenza, anche nel sacrificio, anche nel pericolo di dover bruciare sull’altare del nostro malsano egoismo gli interessi più (orti del nostro desiderio materiale.
La vita, poggiata su questa idea di spiritualità sentita e vissuta, muterà d’aspetto. Diventerà migliore. Tutta la complessa vita economica e sociale, morale e politica, si foggerà nella fot ma sua propria, che è quella ispiratale da Dio ncH’attimo della creazione. Tutti i problemi economici e sociali — che sul terreno pratico assumono la realtà di altrettante forme di attuazione — saranno compresi e circoscritti dalla idea massima della loro più profonda informazione: la idea religiosa. Politica e morale saranno una cosa unica, perchè una sola grande idea le unirà: la idea religiosa.-L’armonia umana, in tutti i suoi principio in tutte le sue esplicazioni pratiche, sarà personificata nell'uomo perfetto, che sarà il perfetto politico, il perfetto individuo, perchè attuerà nella pratica la perfezione ideale dello Spirito religioso.
Siamo perfettamente d’accordo. Ma perchè non incominciare subito, attuando questo ideale, invece che, come purtroppo fanno spesso i popolari, badando alla forma e nella sostanza dimenticando del tutto lo spirito religioso?
• • •
Negli Atti dell’Ateneo di scienze, lettere ed arti in Bergamo (voi. 25. anni 1918-20) il dott. Diego Sant’Ambrogio pubblica una traduzione del poema rimasto incompiuto di.Nicola Lenau su Giovanni Ziska, uno dei capi del movimento ussita, uomo fanatico nelle sue convinzioni, valoroso, popolare. L'epigrafe appostagli dice giu-. starnante ch'egli fu nel suo paese capo dei laboranlium in nomine et prò nomine Dei.
« • *
In Logos dell’aprile-giugno u.s. troviamo riassunta una conferenza da L. Valli te.
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nuta nell’ottobre 1919 sul pensiero religioso e pensiero speculativo. Il V. trova che tra i due esiste una grandissima differenza, perchè il procedimento scientifico a è dominato e più o meno consapevolmente diretto da un valore supremo, dalla necessità di vivere c di agire ■; esso è « dominato e diretto dalie necessità dell’azione ». Nel processo religioso invece il processo logico è dominato dal « desiderio di affermare come destinate ad esser soddisfatte certe determinate aspirazioni preformate, l’aspirazione soprattutto verso la felicità o verso la perfetta giustizia... ». In tal modo la fede religiosa asservisce alla speranza ed al sogno ciò che deve essenzialmente servire alla volontà ed all’azione. Questa è la differenza.
• • •
In Fede e Vita del 15 giugno u. s. P. Mar-rucchi scrive su Leibniz e l’unione delle Chiese, mettendo in luce la forte religiosità di Leibniz il quale credeva alla possibilità di un accordo intimo tra la libertà rappresentata dal principio protestante e l’autorità rappresentata dal principio cattolico. Per lui cattolicismo non voleva dire unione esterna con Roma, ma comunione spirituale completa e indissolubile in Cristo per mezzo dell’amore. Bossuet invece opponeva il principio di autorià come assolutamente necessario, attribuendo alla concupiscenza individuale l'indisciplina ed alla mancanza di umiltà ed obbedienza l’orgoglio anche della società cui si appartiene e che si crede unica depositaria della verità. Per l’unione dunque occorre non forza, ma spirito di amore universale, non individuale.
• • •
Nella Riforma italiana del giugno 1920 G. Quadrotta, a proposito dell'enciclica del 23 maggio u. s., la quale non à avuto, come forse il Vaticano sperava, un’accoglienza molto favorevole, fa osservare che la questione romana, da Benedetto XV insinuata costantemente in tutte le occasioni della guerra, viene con l'ultimo documento pontificio ripresentata, tanto che bisognerebbe risolverla davvero o avviarla ad una soluzione. Per poterla un’altra volta riprendere in esame egli pone intanto due pregiudiziali che gli sembrano conclusive: che il Parlamento si accinga a riformare lo Statuto, onde non si può proclamare inviolabile la legge delle gua
rentigie per quanto dichiarata fondamentale; che il Vaticano nella ripresa dei rapporti con la Francia à riconosciuto ed accettato la separazione dello Stato dalla Chiesa.
• ♦ ♦
Nello stesso fascicolo della medesima rivista D. Camerini dimostra come ac-' canto al nazionalismo indiscutibile della religione ebraica si debba amméttere un indiscutibile universalismo che fa sì che il Dio della Bibbia non sia come è stato a torto detto il Dio particolare della nazione, ma il Dio dell'universo c dell’umanità.
• • •
A. Miroglio in Foi et vie del i<> maggio esamina il problema dell’esistenza d’una cultura cristiana chiedendosi se essa esista e rispondendovi affermativamente. «Una coltura cristiana —- così egli conclude — può e deve esistere, perchè lo spirito del Cristo è fatto per penetrare tutto l’uomo, mentre nel tempo stesso è fatto per riversarsi sull'intera umanità ».
Nel fascicolo del 16 luglio dèlia stessa rivista segnaliamo un bel medaglione di M. Lange, professore all’università di Strasburgo, su Carlo Wagner come grande educatore.
* • •
Ci pervengono interessanti notizie sui successi della campagna andalcoolica negli S. U. d’America. La proibizione à ottenuto effetti che non si aspettavano neppure gli stessi propagandisti dell’astensione. In molti luoghi le carceri ànno diminuito della metà il numero dei loro ospiti, i delitti nei maggiorenni come nei minorenni sono notevolmente divenuti meno frequenti, alcuni stabilimenti carcerari ànno dovuto esser adibiti in tutto o in parte ad altri usi, le istituzioni per la cura degli ubbriachi sono state chiuse.
L’Associazione G. Bruno à bandito per il cinquantenario del XX settembre 1870 un congresso nazionale del libero pensiero da tenersi il 18-20 settembre p. v. Vi si discuteranno tra gli altri i seguenti temi: scuola libera e scuola di Statò - Le guaE
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rentigie pontificie, la Società delle nazioni e la sovranità dello Stato — Il libero pensiero e le organizzazioni operaie.
Si è pubblicato il i° voi. (fase. 1-2) del-l’Archivio italiano di psicologia, un nuovo periodico diretto dai proff. Kiesow e Gemelli in collaborazione con i proff. Be-nussi, Botti, Colucci, De Sanctis, Morselli e Ponzo. Esso intende pubblicare lavori puramente scientifici lasciando ad altre riviste il còmpito della volgarizzazione e dell’illustrazione. Il volume contiene scritti pregevoli sull'attenzione, sulla psicofisiologia dell’aviatore, sull’estetica dal punto di vista del metodo psicologico.
L*Archivio è sorto con intendimenti di indipendenza c di puro oggettivismo scientifico, sebbene, secondo il Ferrari della Rivista di psicologia, possa essere dubbio che tale indipendenza sussista se l’Archivio dovrà la sua vita alla casa « Vita e Pensiero» come è probabile, perchè non sarà facile certamente che il Gemelli e il Kiesow possano mantenerlo, essi diretta-mente, come sembrerebbero affermare.
Staremo a vedere: intanto, senza ironia, auguri!
• • «
L’editore A. F. Formiggini lancia ora una pubblicazione mensile illustrata: «Simpaticissima ». Ogni fascicolo conterrà scritti di un solo autore, illustrati da un unico artista sì che ogni numero avrà la sua spiccata e permanente individualità. Non conterrà solo cose letterarie, ma tutto ciò che potrà essere argomento di piacevole lettura e di larghissimo interesse. Sarà insomma una collana di, varietà illustrata e costituirà perciò qualche cosa di nuovo nella produzione libraria italiana.
Egli promette scritti di G. Zucca, G. Borsi ed altri, seguiti da una compiuta bibliografia degli AA. Una Cronaca della vita intellettuale di Roma costituirà l’appendice di ogni fascicolo (abbonamento per il 1920 L. 15: ogni fascicolo L. 3).
Riportiamo, traducendoli quasi per intiero, due giudizi sul nostro periodico, pubblicati da due importanti riviste straniere, la Revue de l'Histoire des Religions — che è fra le più dotte pubblicazioni periodiche di storia religiosa — c Die Christliche Welt — che è certo fra i più vivaci e simpatici periodici del mondo cristiano.
Ecco ciò che scrive la prima nel fascicolo gennaio-febbraio di quest’anno: « Nella Sroduzione scientifica italiana, così ricca i tentativi interessanti e spesso fruttuosi, la Rivista Bilychnis, edita dalla facoltà teologica battista di Roma, si è fatta un posto importante e assai personalerin ciò che concerne la critica biblica, la storia e psicologia religiosa (M. Puglisi), la pedagogia, la filosofia religiosa, la morale, la vita religiosa in Italia e all’estero.
« Essa si tiene c tiene i suoi lettori al corrente di tutte le questioni vive, come dice il suo programma, non ignora alcun campo del pensiero religioso ed è là dovunque si discuta un problema morale. Non occorre dire che le polemiche dottrinali trovano in essa un’eco, ma penetrando in Bilychnis prendono un tono attenuato e prossimo alla quieta armonia della storia. Lo studio della storia religiosa à inoltre molto da raccogliere in questa attiva ed elegante pubblicazione. Gli ultimi numeri (luglio 1919, gennaio 1920) pubblicano un bell’articolo del prof. Giovanni Costa su Giove ed Ercole. Il prof. Costa contesta la trasformazione totale della religione romana sotto influenze orientali nel mondo imperiale. Vi è inoltre per lui una opposizione radicale tra l'Oriente — violentemente, profondamente religioso — c la religione serena, politica dell’occidente. La tesi è sostenuta
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Di fronte, adunque, a questo atteggiamento presocratico di ingenuo dommatismo realistico e di naturalismo nel quale il pensiero è ricaduto, il ritorno alla scolastica è indubbiamente un grande passo innanzi. E la filosofìa medievale può esser sempre considerata come una sottile indagine, disciplinatrice del pensiero, sulla natura e sui limiti della conoscenza e sulla razionalità del reale. G. Truc ricorda alcuni dei dibattiti e dei motivi fondamentali della scolastica, per es., quello celebre degli universali, rianimandolo con un intendimento critico frutto di preoccupazioni filosofiche assai più recenti. Talora egli sembra aderire al realismo o dualismo scolastico (materia e forma, sostanza e accidenti, intelletto e oggetto della conoscenza); ma spesso esce in osservazioni e riserve che faranno questa apologia della scolastica assai poco accetta ai neo-scolastici, dei quali il Sertillanges è spesso citato dal T. Per esempio, a pag. 63 il T. scrive: «Questa spiegazione (teoria della materia e forma) è la spiegazione più ingegnosa e verosimile che sia stata data del mondo. E, certo, essa è abusiva, perchè si risolve in una ipotesi tutta umana, che nulla verifica e potrà mai venerare. Ma quanto non è assai superiore, sotto tutti gli aspetti al nostro fenomenismo ! » E più apertamente a pag. 101 : « Non dissimuliamoci la debolezza di questo atteggiamento. Il problema (dell’essere) non è risoluto; nessun ponte può esser lanciato sull’abisso in valicabile, nessun luogo ricongiunge la materia e il pensiero, l’universo e Dio. I principi rimangono trascendenti alle realtà che essi costituiscono, cioè a dire senza alcun rapporto concepibile con esse. Dio, primo motore, è immobile, e dell’essenza, così come della materia da cui esce quello che c’è percepibile, nulla si può percepire». E con ciò è posto appunto il problema fondamentale della filosofia moderna. Con le sue costruzioni filosofiche o razionali, lo spirito non esce di sè. Tutto quello che esso adduce per spiegare la realtà è ancora e sempre lo spirito stesso, sua costruzione, sua fattura. Raccomandare la scolastica solo come una delle più ingegnose di queste costruzioni è distruggere alla radice l’atto di fede nella validità oggettiva della nostra conoscenza, su cui tutta la scolastica riposa. L’agnosticismo è, per G. Truc, l’ultima verità. Resta l’appello alle «ragioni del cuore*. Scrive il P. Sertillanges: «Non si può render conto del fondo delle cose che con un al di là dell’esperienza». E il T. nota e sorride.
Per questo ho detto che i neo-scolastici non saranno molto grati al Truc di questa apologia di un kantiano, incline allo scetticismo, per quanto essa si chiuda col suggerire il ristabilimento alla Sorbona di una cattedra di teo
logia e larghi sussidi di Stato all’istituto cattolico.
• • •
Arte e religione. — A questo argomento dedica un lungo studio E. Lalo, nel n. 1 dei corrente anno della Revuc philosophiqiie. Ma all’inizio stesso ci si avvede che esso potrà difficilmente essere conclusivo; quando il L. distingue due metodi, l’uno dei quali, deduttivo, dommatico e soggettivo, parte da un concetto dato della religione e dell’arte per prendere poi dell’esperiènza storica quello che si attaglia ad esso; l’altro, sperimentale, storico, oggettivo, segue l’esperienza per raccoglierne e trascriverne i dettami. E il L. dice che seguirà l’uno e l’altro, perchè tutti e due buoni e, in un certo modo, inseparabili.
Ora a noi pare che tutti e due essi sieno cattivi e che la verità, non apparsa chiara al L., sia nella loro inseparabilità, che li annulla in un metodo superiore. Poiché un concetto dommatico imposto alla storia non può mai darci la verità storica, cioè la realtà; e un’indagine storica non guidata da idee, non traducentesi in concetti e in sintesi ideali, non può essere che cieca ; empirica agglomerazione di fatti e generalizzazione imprecisa e inconcludente.
Lo studio del L. ha avvicinamenti ed ana-' logie molto ingegnose e suggestive. Nella magia e nel totemismo, l’arte nasce da necessità religiose; l’inizio dei vari generi letterari è sempre in certe forme tipiche di culto, -e solo quelle forme d’arte si svolgono delle quali la coscienza religiosa abbisogna. Cosi, ad es., il totemismo dà luogo a un’arte realistica e stilizzata che si limita alla natura e a certe forme di ‘ essa e non sa raffigurar l’uomo: l’umanesimo religioso dei greci porta invece alla più alta espressione la figurazione plastica dell’uomo; l’ascetismo cristiano rimuovo il realismo e condanna la natura, ecc. Dalle pietre sacre nasce la statuaria; dalle leggende sacre il dramma; la musica è da principiò e per molto tempo, liturgica; l’architettura si svolge sui motivi fondamentali del tempio, finché in epoche posteriori non lo sostituisce la casa ; e via dicendo. Raffronti e analogie che si potrebbero moltiplicare all’infinito, che lumeggiano momenti ed aspetti della storia della cultura, ma non ci dicono nulla dei rapporti essenziali fra religione e arte, come due momenti dello spirito.
Nella seconda parte del suo studio, il L. vuole avvicinarsi all’argomento : i rapporti fra coscienza religiosa e coscienza estetica. Egli crede di poter seguire nella ricerca una triplice ’ia: analogia fra le due; influenza delle religioni sull’arte: generi religiosi in arte. Ma non può darei che delle generalizzazioni alquanto vaghe, sempre, e imprecise. Egli di-
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stingue i mìstici che hanno fatto dell’arte lo splendore del vero e del buono, e quindi, in sostanza, di Dio, e che tutta l’arte vorrebbero tradurre in linguaggio religioso ; e gli esteti che, invece, hanno fatto della bellezza una religione, e in nome della bellézza si sono riuniti in cenacoli e chiesuole; trova che una legge generale presiede allo svolgimento storico, ed è quella della differenziazione; per la quale, in definitiva, quelli che nella storia delle origini sembrano rapporti permanenti e connaturali, nel processo del tempo vengono a rivelarci distinzioni profonde e separazioni crescenti ; e lo svolgimento deli’arte, anzi dei vari generi artistici, obbedisce a regole sue interne, nella dialettica delle quali sacro e profano divengono caratteri esterni ed accessori. Ad es., la musica sacra del seicento mantiene caratteri uniformi nelle più disparate e contrastanti sette, sinché da essa non si svolge V opera, un nuovo genere, profano, che quella musica preconteneva.
E allora, quale può essere il risultato dello studiò dèi L.? Nessuno. Arte e religione sono due momenti od aspetti della vita dello spirito e, poiché si svolgono con lo svolgersi di questo, trovano, più che punti di contatto, l’unità in questa unità vivente e dialettica dello spirito che li pone. E questo si poteva dar per noto, senza affaticarsi su a dimostrarlo; e far storia dell’arte o della religione, invece che la filosofia del loro rapporto.
• • •
Arte sacra. — Recentemente si è adunato in Roma un congresso nazionale d’arte sacra. Notava uno scrittore di Volontà che sarebbe interessante sapere se i congressisti si sono resi conto del fatto elementare che per avere un’arte sinceramente religiosa è necessàrio avere innanzi tutto anime dotate di sincera religiosità. Robert de la Sizeranne, in uno studio su l’arte religiosa nei saloni di Parigi del 1920, pubblicato nella Revue dee deux Mondes, i° giugno 1920, dice che questa osservazione è banale; e vuol dare un’altra spiegazione di quel che caratterizza l’arte Sacra è delle condizioni essenziali per averla. Egli Osserva giustamente che tutti i sussidi dì rappresentazioni pseudo-realistiche dei quali si servono gli artisti sacri —- angeli, demoni, ali, raggiere ed altri simili simboli — non fanno più impressione sulle fantasie dei contemporanei. troppo scaltrite, ormai. Ad es., dopo il grande sviluppo della navigazione aerea, il cielo e il volare non possono più essere simboli del divino. Tolto questo armamentario invecchiato, restano delle scene puramente umane, all’aspetto, e che potrebbero essere scene di genere: la Natività, il Lasciate che i pargoli vengano a me, il Sermone sulla
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montagna, ad esempio, o delle scene storiche: La Passione. Che cosa ci vuole, perchè esse divengano divine e sveglino una emozione religiosa? Solo questo: che facciano apparire nelle figure una espressione soprannaturale. E questo non è vietato all’arte, anche la più sincera; ma richiede, nell’artista, una pene-trazione più profonda. Le visioni di angeli e di vergini, i corpi gloriosi dei risuscitati, i demoni, le bestie di Ezechiele non sono nel dominio dell’osservazione esatta ; ma le fisionomie dei visionari, queste si. I simboli che traversano il pensiero mistico: la Fede, la Speranza, l’Amore divino, sono entità invisibili; ma i tratti del volto, nei credenti, tesi, sollevati e trasformati dà questi sentimenti interiori, si accusano agli occhi in una maniera nettamente definita "e traducibile dal-l’Arte.
« L’infinito è dunque nell’anima stessa e nelle espressioni per cui l’anima affiora nel viso è si tradisce agli occhi : ecco il vero microcosmo del mondo soprannaturale ».
Giusto: e ci pensavo testé osservando la pittura di un primitivo che è nell’anticamera del gabinetto del Sottosegretario alle belle arti, a Palazzo Venezia. Arriva ad Atene, da Greta, la nave sacra a Paliade Atena. A dèstra del quadro c’è l’alta poppa oscura della nave, con sopra il simulacro rigido e bianco della dea, e nessuna figura umana; fra l’acqua c la riva, una donna, senza sforzo, tiene il canapo per attaraccare ; sulla spiaggia un gruppo di persone serie; raccolte, solenni. Cosi, senza nessun simbolo, ma visibilmente, la forza misteriosa della Dea presente che guida la nave alla sua città è l’espressione centrale ed unica del quadro.
Ma l’osservazione del Sizeranne non è, in sostanza, identica alla « banalità » di cui sopra? Cogliere nei volti l’espressione di un interiore sentimento soprannaturale non si può se questo sentimento non c’è, e sincero, nei volti osservati, e in chi Osservando, interpreta e legge e ricrea in sé quel sentimento. Se no, seguendo i precetti del Sizeranne, il quale mostra, ad es., l'inesteticità di ogni raffigurazione del S. Cuore, dell’esposizione cioè di un viscere che la natura ha nascosto — e in un recente concorso di arte sacra abbiamo vistò il primo soggètto messo a concorso essere appunto un Sacro Cuore! — (in artista farà dell’arte sacra non materialmente falsa ed ingenua, come i pittori di grandi angeli dalle ali... tricolori, che egli critica, ma vuota; senza espressione di un senso religioso e divino della vita, inesprimibile, perchè assente; e quindi arte non sacra, perche manca in essa quel mondo spirituale della santità che l’artista tenta invano di figurare con artificiosi simboli meccanici. (>».).
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con molto ingegno e con argomenti scientifici assai lodevoli. Ti prof. Mmocchi, nel numero di gennaio 1920 si domanda se i papiri aramaici di Elefantina siano stati un disinganno per la scienza biblica. L'eminente professore dell’università di Pisa richiama l'attenzione sul libro del Beiteli in cui si cerca di stabilire che la rumorosa scoperta del 1904-1908 si riduceva alla pubblicazione di un'opera di abili falsari, adatta a stimolare l’appetito di nuovi documenti la che tormenta scienza^biblica attuale e in particolare la critica tedesca.
• I prof. Minocchi non contesta l’autorità del papiro di Sachau, ma sembra in lui persistere il dubbio riguardo a quelli pubblicati da Sayce e Cowley. Il contributo storico dato da questi documenti si dovrebbe giudicare da un punto di vista S»iù largo di quello che, secondo il pro-cssore Minoccni. è stato .troppo spesso adottato per la ricostruzione scientifica della Bibbia. Essi acquistano importanza se la storia biblica si fa dal di fuori sorretta decisamente dall’archeologia orientale, dalle tradizioni e letterature semitiche, dalla storia comparata delle religioni.
« Altri articoli di questi ultimi numeri di Bilychnis dovrebbero esser rammentati, come queUo di A. Fasulo su la Riforma ecclesiastica nel paese di G. Huss, di U. della Seta jsu La visione morale della vita in Leonardo da Vinci, ecc. >.
Die Christliche Welt, in un articolo di Ed. Platzhoff su le Chiese protestanti — del quale Si occuperà prossimamente un nostro collaboratore — trattando, nel fascicolo 18 (29 aprile) di quelle italiane, dice:
« Da nove anni i battisti di Roma pubblicano la rivista mensile Bilychnis — la doppia luce della fede c della scienza — che è attualmente la più ricca (die bestaus-geslattete) rivista teologica del mondo. Dove si trova un periodico illustrato di questa specie? Restando questa rivista nel giusto mezzo essa è scientifica per specialisti e religiosa per lettori di media cultura. Essa à tentato sin dal principio, di superare, per lettori e collaboratori, i confini del confessionalismo e di rimanere imparziale tra i contrastanti interessi. La direzione è nelle mani del prof. Pa-schetto e di D. G. Whittinghill. Del suo contenuto mettiamo in rilievo scritti di G. Tucci su Lutero, di M. Puglisi su Franz Brentano c di altri noti scrittori su Arnaldo da Brescia, su P. Deussen, ecc. Inoltre contiene critica del Nuovo Testamento del xx secolo, studi sul Cristianesimo e sui Buddismo, su lo Stato nel pensiero distiano del 11 e in secolo. Pubblica costantemente rubriche come: « Per la cultura dell’anima», «Notizie», «Cronaca », « Tra libri e Riviste ». Bilychnis è molto bene informata ».
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:: A PROPOS D’UN LIVRE RECENT: "ANTHOLOGIE PROTESTANTE FRANÇAISE" (18® et 19« siècles)
Dans la littérature protestante française il manquait un ouvrage qui fut une œuvre de vulgarisation destinée à faire connaître et admirer de tous le magnifique effort de pensée et de langage réalisé par nos pères, les Huguenots de France, à l’époque créatrice .de la Réforme et jusqu’aux temps modernes. Or nous saluons maintenant l’apparition de cet ouvrage flui comble une lacune, et que nos frères d'Italie seront certainement bien aisés de consulter.
Sous la direction de M. le Prof. Raoul Allier, leur père — actuellement Doyen de la Faculté libre de Théologie protestante de Paris — « deux jeunes filles et un jeune homme, dans les rares loisirs de leurs études et des œuvres de guerre, ont .composé V Anthologie Protestante Française u6"° et i7mo siècles) • qui parut il y a deux ans (2), en geste de pieuse affection à l’égard d’un frère très aimé, épris d’un haut idéal de vie morale et religieuse et qui mourut pour la France, criminellement assassiné en août 1914 (3).
« Réduits à deux par le départ de leur aînée pour les œuvres du front » les auteurs
(x> Composée sous la direction de Raoul Allier, in-xg» de 302 p., prix 7 fr. Chez Georges Cris, 21 Rue Hautefeuille, Paris.
(2) Anthologie protestante, x鮫 et 17®® siècles, préface. Nous avons publié sur ce livre un article littéraire dans VEffort, n. 6 (19x8), organe de la Réforme sociale par l’Evangile, qui paraît à Mazamet (Tarn).
(3) Voir Roger Allier, x«> édit., pp. 272-283.
de cette Anthologie ont voulu parachever le monument littéraire qu'ils avaient commencé d’élever à la mémoire de leur frère, et ils l'ont fait d'une façon imposante en livrant au public un second volume attendu, pour les 18“® et 19“® siècles, prêt déjà depuis l’armistice, mais dont l’impression immédiate fut retardée par des circonstances imprévues.
Les classiques du I>rotestantisme fran-Sais sont à peine connus de nom, même ans nos milieux protestants, à part quel-Sues-uns, tels que Clément Marot, Jean al vin, J. J. Rousseau, M.mc de Staël. François Guizot, qui ont une place a part dans l’histoire de la littérature; on ignore presque tout des manifestations sincères, des nuances appréciables de la pensée et de la langue des écrivains de la Réforme. Aussi cet ouvrage vient-il au bon moment !
» » *
II. faut remercier nos jeunes auteurs de s’être imposés tant de lectures qu’exige nécessairement un ouvrage de ce genre, et de s’être livrés à des recherches sur des œuvres inédites (p. 60), car ils nous donnent pour les écrivains de r8“®et 19“®siècles un recueil de morceaux dont le choix judicieux n’est pas inférieur à celui du premier volume pour les 16“® et 17“« siècles.
Les classiques protestants dont il est fait mention ici sont plus connus du public cultivé que ceux du tome précédent, parce que leurs ouvrages se trouvent dans nos bibliothèques et que bien des contemporains ont tout au moins connu les derniers
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dont ils sont les enfants ou neveux; ¡nais il y a dans ce livre un grand nombre de morceaux inédits ou peu connus, et que plus d’un chercheur sera bien aisé d’avoir sous la main sans recourir à de gros ouvrages.
Celui-ci commence par une belle page de Vcyssière de Croze (1661-1739) dont l’originalité de pensée consiste à fonder la « religion intérieure » sur l'espérience personnelle. et il amène le lecteur jusqu’à François Bonifas (1837-1878) dont on connaît suffisamment V Histoire des Dogmes, ouvrage posthume en 2 vol. in-8° entre ces deux auteurs: Jean Cavalier, Pierre Corteiz, Antoine Court, J. J. Rousseau, Paul Rabaut, Cowt de Gébelin, Désubas, Laurent Angliviel de La Beaumelle, Jac-Îues Neckcr, J. F. Oberlin. Rabaut St.-tienne, Jean-Bon St.-André, Boissyd’An-glas, Daniel Encontre, M.me de Staël, Banjamin Constant, Georges Cuvier, Pe-let de la Lozère, Samuel Vincent. François Guizot. Prosper Jalaguier, Athanase Co-Kerel, Adolphe Monod, Edouard Verny, uis Meyer. Agénor de Gasparin. M.me de Gasparin. Athanase Coquerel fils, Edmond de Pressensé, Ernest Dhombres, Charles Bois, Ariste Viguié, Eugène Ber-sier. Apologètes et juristes, pasteurs du Désert et controversistes, hommes politiques et écrivains, prédicateurs et professeurs de théologie, tous fervents chrétiens et protestants zélés (sauf J. J. Rousseau, et M.me de Staël, à certains égards), soit: 35 auteurs cités, dont 7 furent députés et 5 ministres, et dont les pages ressuscitées l’ont été par un heureux choix.
Les matériaux de ce recueil ayant été réunis pendant lés dix derniers mois de la guerre, «chaque fois qu'était annoncé la visite nocturne des avions ennemis — lisons-nous dans la courte préface — le manuscrit. qui ne cessait de s’accroître, descendait régulièrement dans son abri. Quand la victoire attendue s’est précipitée, le travail en a fait autant et il s’êst terminé avec elle ». On sent en effet, comme dans le premier volume, que le choix de plusieurs passages a été dicté par les préoccupations du moment: par association d’idées, nous avons noté, directement en rapport avec, l’esprit de conquête de tous les impérialismes, les p. 129 ss.; en rapport avec les alarmes de la fin de la guerre, les p. 256 ss.; — en relation avec les misères actuelles à secourir les p. 234 ss.; avec l’union sacrée à maintenir, les p. 95 ss.;
les p. 124 ss., 140 ss., 153 ss., ne peuvent Sas être lues sans penser à la question e la reprise des relations diplomatiques entre la France et le Vatican —; il y a d'autrç part des pages où les auteurs cités se font les champions de la liberté de conscience (v. p. 5-7, 10. 63. 70, 85, 90, 99). et d’autres enfin qui sont un vrai pain spirituel pour la vie intérieure de l’âme (Jalaguier, Ad. Monod, L. Meyer, Eug. Bcrsier).
Beaucoup des auteurs cités non seulement sont nos classiques protestants, mais encore demeurent des vrais classiques français. des gloires des lettres françaises. Ainsi relit-on. non sans une certaine satisfaction, les pages extraites de Guizot, que ses grands ouvrages historiques ont placé parmi les premiers écrivains du 19®* siècle, de même que celles de Rousseau, dans lesquelles, sans qu’il s’y montre type du chrétien, il a été, en plein 18“® siècle de scepticism e et d’incrédulité, le seul littérateur «à trouver certains accents pour exprimer le sentiment religieux» (p. 26), étant «peut-être, parmi les penseurs, le premier qui ait insisté sur la valeur de V expérience religieuse • (p. 27), Rousseau, dont Lanson a dit qu’«il a été le restaurateur de la religion comme de la morale », et qu’il demeure « notre grand, notre unique sermonnaire du 18®« siècle »(1). ■♦ • •
Dans un ouvrage de ce genre, ce qui frappe le lecteur, c’est la langue. « Il faut étudier la langue dans la langue elle-même » disait Vinet. Or. la langue de nos auteurs protestants français peut ne pas toujours avoir ni la distinction ni la grâce, dons de noble origine, mais elle possède quelque chose du français que parlaient nos ancêtres spirituels, elle garde la force des vieux écrivains! C’est en les lisant qu’il faut étudier la langue française.
« L’étude d’une langue est celle d’un fait historique, écrivait encore le penseur suisse (2);... connaître une langue, c’est connaître son présent et son passé, c’est même, jusqu’à un certain point, augurer de son avenir: l’étude d’une langue embrasse nécessairement celle de son histoire » Or cette remarque ne s’applique pas seulement à la lexicologie qui, comme telle,
(x) Lanson, Histoire de la Littérature française, 4™® édit., p. 787-788.
(2) Vinet, Chrestomathie française, tome II, p. 6.
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n’a de meilleur dépôt qu’un recueil comme celui-ci, emprunte tout entier aux plus excellentes pages des auteurs protestants, mais encore elle se vérifie quand on l’applique au domaine de l'histoire: la langue d’un peuple fait connaître l'histoire de ce peuple. Oui! les pages de l’Anthologie retracent le passé de l’histoire de nos ancêtres spirituels: guerre des Cainisards, restauration du Protestantisme, Eglise sous la Croix, régime de la tolérance, puis de la liberté, création de ¡'Union des Eglises libres, synode de 1872, ...le lecteur revit tout cela. Elles demeurent, en ce qui concerne les iS“»®et 19“»® siècles, une riche contribution a l’histoire du Protestantisme Français, augmentée de notices biographiques et bibliographiques fournissant une documentation suffisante pour chaque auteur.
Livre de sincérité et de foi, il est en même temps un appel: la langue et les idées de la Réforme française, ne peuvent périr: c’est aux chrétiens protestants
français de 1920 de les faire revivre au souille dés persécutions du Désert et des souffrances de la dernière guerre. Le passé est une garantie pour l’avenir des Eglises de la Réforme en France! Nous lui faisons confiance!
* * •
Toutes nos félicitations à la maison- d’E-ditions près qui, par ces temps de crise du papier, a présenté ce volume d’une façon élégante, orné des portraits de Paul Rabaut, Adolphe Monod. Athanase Co-qucrel fils et Edmond de Prcssensé qu'elle fait revivre en hors-textes soignés, tirés sur papier couché.
Cournonterral (Hérault), 7 mai 1920.
J. Soavî,
Pasteur de ¡'Union Nationale
de Eglises Réformes Evangéliques de Franco, Délégué du Comité Protestant Français Correspondant de " Bilychnit "
IL CONTRIBUTO EBRAICO ALLA CIVILTÀ
Joseph Jacobs passa nel mondo anglosassone per esser stato un pensatore ed uno scrittore di insolita larghezza c versatilità. Fra gli argomenti che attrassero la sua attenzione circa il 1886 ci fu quello della distribuzione comparativa della capacità ebraica, quale resultato delle ricerche da lui compiute in collaborazione con Sir Francis'Galton. Questi studi comparvero nel Journal oj thè Anthropological Institute c furono poi ripubblicati in volume col titolo di Studies in Jewish Statisi ics (1891). In quel tempo il Dr. Jacobs voleva scrivere un’opera che comprendesse tutto il campo della sua ricerca e tutti i naturali resultati a cui era pervenuto. Essa doveva essere intitolata: La razza ebraica. Studio sul carattere nazionale, in 67 capitoli il cui schema venne pubblicato in edizione speciale a Londra nel 1899. Il piano rimase allo stato embrionale. Un’opera ancora più ambiziosa egli ideò: Ideali europei. Studio sulle loro origini, il cui programma apparve nel 1911. Furono forse questi argomenti generali che lo indussero a studiare e a trattarc del contributo ebraico alla civiltà europea.
La vita di Jacobs non bastò all’intera opera. Ci lascio il primo dei tre libri che doveva esser intitolato: Gli Ebrei del Passato. e che tratta dell’attività ebraica nei vari campo degli studi negli ultimi due mill’anni. Con quest’attività gli Ebrei han dimostrato d’esser un elemento costitutivo di quella civiltà di cui essi sono gli eredi insieme alle altre nazioni, religioni e popoli.
Il secondo libro doveva esser consacrato ai contributi degli individui ebrei alla moderna cultura europea, nel passato più prossimo e nel presente.
Il terzo aveva da determinare il valore degli Ebrei nello stato moderno, in contrasto coll’antisemitismo.scientifico avverso all’influenza ebraica in quello Stato-Chiesa ch’osso sarebbe stato vago di risuscitare.
Il Jacobs mori nel 1916. Ora la < Jewish Publication Society of America » pubblica appunto sotto il titolo di Jewish Contributions to Civilisation. An Estimate, il i° libro, quale fu lasciato dall’autore.
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I.
Il Jacobs non ha tendenze apologetiche, almeno in apparenza. Il piccolo popolo ebraico è per lui un popolo, che ha compiuto grandi cose: ha creato, nella terra in cui giunse prima alla coscienza nazionale, l’idea dcll'Ente supremo dell’universo, la quale penetrò, nella sua sostanza, in quasi tutte le razze del mondo; dette un messaggio di speranza agli oppressi di tutte le stirpi colla voce dei suoi pensatori e dei suoi sa-: pienti; recò ai popoli gl'ideali di una vera democrazia fondata sul diritto c sulla giustizia. assumendo per sè i doveri d’una vera aristocrazia. Le più grandi cose compiute nel mondo sono compiute sempre nello spirito, spesso nel nome, dei profeti ebrei.
Ma anche dopo la dispersione, per circa rinomila anni, gli Ebrei parteciparono a tutti i movimenti che hanno prodotto il moderno uomo, spesso provocandoli, talvolta diffondendoli.
Eppure essi sono stati sempre odiati. Le origini di quest’antipatia sono piuttosto oscure. È vero che l'Ebreo era il solo che si opponesse alle tendenze del mondo antico verso il sincretismo locale, nazionale, imperiale delle deità particolari in un unico Pantheon. Ma forse l’antisemitismo è andato crescendo col tempo. La propaganda ebraica nell’impero romano è prova delle relazioni amichevoli che regnavano fra Ebrei e Pagani. L’antisemitismo fu uno strumento di polizia politica o ecclesiastica. Per 250 anni, fra la caduta di Bethar e*la sommossa d’Alessandria sotto S. Cirillo, non v’è traccia di antipatia popolare contro gli Ebrei.- nel basso impero romano. La lotta comincia allorché la Chiesa cristiana diventa religione di Stato. Israele entra da allora in un ghetto spirituale per non uscirne durante un millennio e mezzo. Non v’è forse città in Europa le cui pietre non siano state cementate dal sangue di Ebrei innocenti; e tutti questi orrori sono il resultato diretto della deliberata politica della Chiesa che voleva additar gli Ebrei all’odio c alla degradazione. Sola protezione contro le inferiorità imposte ad Israele dalla Chiesa, gli Ebrei trovarono nel potere reale od imperiale che si servì di loro come indiretti agenti d’imposte. Sono nel medioevo il cuscino fra le avverse forze dei re, dei nobili, dei comuni, i quali appena consolidano il loro potere, li cacciano come un elemento inutile. Così essi vengono espulsi dall’Inghilterra nel 1290, dalla
Trancia nel 1391, dalla Spagna nel 1492, mentre le espulsioni sono sporadiche in Germania e in Italia, dove la lotta delle forze feudali era indecisa.
Oggi l’antisemitismo attacca gli Ebrei sotto differenti titoli, spesso contraddittori.
C’è la scuola nazionalistica che li considera stranieri per origine e spirito e quindi elemento pernirbatore degl’ideali nazionali. Gli ultra-conservatori li riguardano come i liberali tipici (ricordano gli Ebrei tedeschi del Partito liberale nazionale, che con Edoardo I«asker e Ludwig Bamberger. sostennero il primo stadio della carriera di Bismarck da! 1871 ài 1877). La Chiesa li ritiene ispiratori dei suoi principali nemici, frammassoneria e laicismo.
Ora il Jacobs crede non si debba nè si possa costruire una difesa degli- Ebrei se-Sjuendo i loro avversari nei vari campi dei oro attacco; ma che per esser efficace, essa debba aver un carattere diretto e positivo. In conclusione, egli — come gli uomini del liberalismo del secolo xix, come gli uomini della « scienza ebraica » di Germania o di Francia. — crede che gli Ebrei per aver ■ un posto al sole • nella vita moderna debbano, in ultima analisi, fondare le loro pretese sulla loro capacità di contribuire con validi elementi a questa vita. C’è uno spirito molto pratico in questa dimostrazione; ma c’è anche molta ingenuità! Chiedere il diritto alla vita recando dinanzi al mondo i titoli della propria nobiltà, può sembrare oggi un passatempo di spiriti sopravvissuti, di menti dell’altro secolo. Eppure in sostanza, la mentalità di Jacobs è proprio questa. Far sapere agli uomini ciò che gli Ebrei han dato loro, può essere un compito nobilissimo, purché miri più in alto c non si limiti a chiedere per il popolo fecondo, di Seni e d’idee c di generosi impulsi, il diritto i trafficar liberamente e di sedere nei consigli comunali e nei parlamenti, dove risplende il sole della libertà europea. Oggi ci pare che sia più dignitoso e più efficace il metodo di chi chiede per gli Ebrei ciò che non è negato a nessun popolo, per diritto naturale, e poi ricorda anche agli uomini ingrati e dimentichi, ciò che essi devono loro. Perchè agli Ebrei si richiede la « dimostrazione » d’una specifica capacità per rilasciar loro la licenza di vivere? Eppure il Jacobs ha questa ingenua preoccupazione: « Se si può mostrare che gli Ebrei attraverso le età han contribuito per la loro parte ad una più alta vita del mondo, e hanno, colle loro esperienze, acquistato capacità spe-
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cifiche per farlo, essi hanno diritto di dire al mondo: « Fatti in là, lasciaci alla nostra opera stabilita ». Secondo il Jacobs han fatto così tutti i popoli che hanno plasmato il mondo: fenici e romani, normanni e spa-gnuoli, inglesi e prussiani, yankccs e giapponesi. Ma è proprio così? e quando mai i romani e gl'inglesi si son presentati dinanzi agli altri popoli coi documenti della loro abilità, come farebbe un licenziato dal ginnasio che volesse un posto al sole della burocrazia? E crede davvero che basti registrare in un bel libro il contributo ebreo alla cultura universale, perché il mondo ci lasci in pace, e cessi di coltivare l’antisemitismo scientifico? No. Uno scrittore della Westminster Gazette », facendo la critica dell'opera del Jacobs, si domandava: come mai gli Ebrei, che han fatto tanto per la civiltà del mondo, siano soggetti a questo « handicap » di impopolarità... « Per me — diceva — io credo che la ragione stia in una radicale differenza di etica fra Ebrei ed Europei ». In che consistesse questa differenza, il critico affermava molto diffìcile a stabilirsi. Ma, in ogni modo, a che cosa era servito il libro del Jacobs? a nulla, poiché tutto il lavoro ebraico egli l’aveva voluto far servire di passaporto agli uomini ebrei, attraverso le frontiere del mondo antisemita. Ma per le frontiere del mondo antisemita, non ci sono passaporti ebraici.
II.
Ma, conoscere quello che gli Ebrei han fatto nei campi del pensiero, può aver un valore in sé anche se non serve da disinfettante cóntro i microbi dell’antisemitismo. La ricerca in questo campo non è nuova, almeno in parte, e Jacobs stesso cita le opere di Hatsch e Harnack sulle traccio che l’Ebraismo ha lasciato nel l'organizzazione della Chiesa; di Lecky e Schlciden, sul contributo ebraico alla scienza medioevalej di Stoeckel sugli elementi ebraici del misticismo medioevale; di Burckhardt sul Rinascimento, di F. Pollock su Spinoza c di Dieste) sul simbolismo dell’esegesi medioevale.
Più diffìcile è renumerare tutte le celebrità professionali, scientifiche ed artistiche d’origine ebraica che han partecipato al progresso del mondo negli anni più recenti. Si tratta — osserva il Jacobs — di individui piuttosto che d’istituti e di tendenze, e talvolta di uomini ebrei irriconoscibili c nascosti sotto mentite spoglie. A questa ricer
ca, egli ha però dedicato molto dei suoi ultimi 30 anni di vita, e gli pare una parte essenziale della difesa ebraica. Non c’è dubbio: gli .Ebrei sono ancora una gente produttiva. Anche troppo, dicono certi antisemiti che li riconoscono, perfino quando si nascondono, con minor fatica che non abbia fatto il Jacobs, e vorrebbero vederli meno pavidi della loro antica genealogia e meno numerosi nelle Università, nella politica, nel commercio. « Quello che io odio e combatto — ha scritto l’antisemita scientifico Hilaire Belloc, in occasione proprio di quest'opera del Jacobs — è la falsa c sempre più dannosa situazione creata dalla tendenza degli Ebrei a presentarsi sotto finto aspetto, è la negazione del loro carattere, e della loro nazionalità completamente distinta; sono i falsi nomi, le celate relazioni cosmopolite ». Bisogna dunque dire ai grandi Ebrei, se vogliamo che il loro contributo alla civiltà sia onorevole anche per il loro popolo, che non si mascherino; e bi-, sogna cominciare col ritenere non dignitoso per l’Ebraismo il far vanto dell’opera di chi dell’Ebraismo si vergogna. Poiché in sostanza « rimane da vedere se molto, anzi la maggior parte, della capacità ebraica non sia il prodotto della speciale educazione ebraica della casa e della sinagoga. Il lungo corso della storia ebrajea ha fruttificato uno speciale ethos ebraico, che ha creato certe idee architettoniche, distintive degli Ebrei ».
III.
« Gli Ebrei sono il prodotto della Bibbia. La loro vita è stata dominata dalla sua legge, i loro sentimenti dai suoi salmi, i loro ideali dai suoi profeti, la loro concezione della vita dalla sua sapienza, le loro speranze del futuro dalla sua Apocalissi ». Questo spirito dell’antica Bibbia si perpetua nel popolo, che è veramente diventato il « Popolo del libro ». Ma è questo libro che ha gettate le basi della civiltà europea. Gli albori de) dramma moderno, il canto gregoriano, l’arte preraffaellita, il giure e le istituzioni medioevali, risentono dell’influsso biblico, attraverso il cristianesimo. Il parlamentarismo inglese del xvn secolo è ispirato alla costituzione dell’antico Israele; ed è molto dovuto alla Bibbia dello spirito repubblicano d’Olanda, d’Inghilterra e degli Stati Uniti.
C’è un ammirevole piccolo libro del professore E. von Dobschuetz, intorno a« L’in-
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fluenza della Bibbia sulla civiltà ». La storia civile del mondo cristiano vi è ripartita secondo l’azione esercitata sulla vita europea dallo spirito biblico: il martirologio, la legislazione c il dogma, l’arte, le sette, la lingua e la letteratura, la formazione del carattere negli uomini superiori, sono tutti campi in cui è evidente l’influsso delle antiche scritture ebraiche. Insomma, l’Europa ha appreso dalla Bibbia ebraica le basi della giustizia sociale c della vita morale. Gli Ebrei non vogliono per questo dono, nessuna gratitudine; ma quando battono alle porte dell’Europa e chiedono il riconoscimento sociale, dopo aver ottenuta l'eguaglianza politica, essi vogliono dire: « Voi e noi siamo fratelli in ¡spirito; siamo ambedue figli del Libro ». Per il Jacobs gli Ebrei sono degli Europei accampati nell'Asia occidentale. Gli piace lo spirito europeo a cui attribuisce, a differenza deH’Oriente, la nozione del progresso, che è per sua natura, essenzialmente profetica. Ma ci sono due elementi che distinguono gl’ideali ebraici da tutti gli altri c che hanno eccitato l’immaginazione e l’ammirazione dell’Europa: l’idealizzazione del povero come tipo dell'uomo buono — ciò che è antieuropeo, dal classico « Kalokagathos » all’antievangelo di Nietszche — c la pace come finale mèta dell’umanità. Pare al Jacobs che l’Europa, sebbene abbia imperfettamente assimilato gl'ideali ebraici di povertà e di pace, in conclusione ha accettato queste aspirazioni come nota della nozione di progresso. C’è 'dunque identità, d’ideali fra i moderni Europei c i moderni Ebrei: ed è questo fatto che dovrebbe dominare nella discussione di quello che si chiama problema ebraico. Ora a noi pare che un travaglio spirituale di oltre tremi!'anni meriti una valutazione maggiore ed una ricompensa maggiore de) solito posto al banchetto della civiltà europea. Ma per l’Europa dovrebbe esser un onore ed un bisogno accogliere il popolo del Libro, e questi Ebrei dovrebbero dimostrare maggior sostenutezza nel chiedere questa « generosa » ospitalità. È ora che gli Ebrei cessino di essere dei nobili decaduti o dei milionari accattoni.
IV.
Finora il Jacobs ha parlato delle idee geniali e dei concetti fondamentali che l’Europa civile ha preso alla Bibbia degli Ebrei. Ma ci sono molti particolari identici in ambedue le culture, derivati per il mondo
cristiano dal tesoro d'Israele. La Chiesa ¿’Occidente è ebraica nella forma e nel tono; nel rituale, nelle istituzioni, nella dottrina. La benedizione episcopale, l’istituto delle missioni, la legge canonica, sono tutte forme esteriori della vita cristiana derivate più o meno dall’antico ebraismo biblico è talmudico. Il * Regno dei cicli » è l’equivalente ebraico del Regno di Dio; shamaìnt (cielo) essendo un eufemismo corrente per significar Dio. Il peccato originale e la divina grazia hanno i loro primi germi nella sinagoga. Ixt paternità di Dio è un luogo comune del pensiero ebraico. I<a nozione del Messia è completamente ebraica. Gesù basa tutto il suo sistema sul Scema (Deut. 6, 4); l'amore del prossimo è del Levitico 19.18; il Sermone della Montagna è una riproduzione di massime e dottrine prettamente farisaiche (Vedi G. Friedlaender, Origin of thè Sermon on thè Mouni, London, 1909). L’idea che il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato non è originale di Gesù.
Tale fu nei primi secoli l’identità del -l'Ebraismo c dei Cristianesimo che molti documenti ci sono che i più dotti teologi cristiani non sanno neppur oggi stabilire a chi essi appartengono (Le Odi di Salomone; il Testamento dei dodici Apostoli ecc.).
Il progresso della scienza c le fondamentali identità delle idee generali, pare al Jacobs che debbano attenuare il conflitto, in sostanza teologico, fra Ebrei e non Ebrei. Nello Stato moderno poi, le divergenze teologiche non possono costituire la base di squalifiche d’ordine politico. Ma sono veramente le inferiorità politiche un effetto di odio teologico, oppure non c’è un’altra causa o varie altre cause? La dimostrazione delle identità fra dottrina ebrea e cristiana se non avesse questa preoccupazione troppo pratica dovrebbe essere meno schematica e, direi, meno giornalistica. È necessario riprender l’argomento perchè il mondo cristiano, pur avendo da due mi Tanni la Bibbia nelle mani, c pur sapendo che Gesù e gli apostoli furono Ebrei, non è persuaso ancora che le idee da loro recate al mondo erano sostanzialmente e spessissimo anche formalmente, dottrine ebraiche, correnti nella sinagoga. L’identità è veramente più profonda di quello che appaia dal celere e superficiale capitolo del Jacobs.
V.
Ma gli Ebrei han continuato anche dopo l’esilio a far qualche dono agli uomini, e da
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partecipare alla vita dell'Europa in quel medioevo che si dice li tenesse così lontani dalla società cristiana. Non è vero però che gli Ebrei, fossero considerati stranieri nelle terre in cui vissero o fossero privi di diritti. Gli Ebrei come ha voluto dimostrare Frank 1. Schechter (The Righlles-xness of Mediaeval English Jewry in Jeivish Quarterly Review, New Series IV, p. 121-151 e lo stesso Jacobs (Jcws of Aneevin En-gland, 1893). erano soggetti a leggi speciali. a carte che erano quasi un patto contrattuale fra loro e i signori delle terre in cui vivevano: carte che, ispirate alle tradizioni romane, li proteggevano dallo spirito intollerante della chiesa cristiana. Lo statuto medioevale dcll’Ebreo è un compromesso fra la « rcligio licita » dell’impero romano e il « perpetui inimici • della Chiesa cattolica. Gli Ebrei ebbero speciali uffici da adempiere, quali intermediari fra la Cristianità c l'islamismo, e vissero sotto la propria legge, liberi nel sistema gerarchico del feudalismo, sebbene fossero gl’iloti ecclesiastici nel girone della Chiesa. la esistenza dell’Ebreo era in qualche modo una prova notevole di tolleranza da parte della Chiesa, così rigida contro i miscredenti o i negatori cristiani; era un eccitamento alla libertà di pensiero; era un potente fattore per il sorgere del nazionalismo se essi, per le dirette relazioni coi re, poterono contribuire al consolidarsi del potere reale c alla centralizzazione di ogni giustizia, necessario preludio alla formazione dello Stato nel senso moderno della parola. Che gli Ebrei formassero parte della vita nazionale dei popoli è dimostrato dunque da questo contributo recato-alla nazionalizzazione delle genti dell’Europa occidentale, dall’essere, dopo le Crociate, e in tutta Europa, un distinto prgano dello Stato cui era affidato il compito del commercio del danaro e dell’esazione delle imposte, dal l’aver adottato dappertutto la lingua del paese. la separazione della lingua e la deliberata segregazione in quartieri speciali avvennero dopo la morte nera (1349), colle espulsioni che trasportarono in Polonia gli Ebrei parlanti tedesco, in Turchia gli Ebrei di lingua spagnola, in Germania e in Italia quelli di idioma francese.
Dallo studio delle condizioni di vita degli Ebrei de) medioevo, pare al Jacobs dedurre che in ultima analisi essi erano cittadini dei vari stati in cui risiedevano, anche se avevano uno speciale statuto e una certa autonomia personale in certe manifestazioni
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e sebbene la polizia della Chiesa tendesse deliberatamente ad abbassare il regime legale e le condizioni di vita e proibisse ogni rapporto fra Ebrei e Cristiani, Ma Ebrei e Cristiani parteciparono alla vita comune nel commercio e sopratutto nel mondo della cultura.
VI.
. E difficile valutare come merita l’influsso intellettuale degli Ebrei sull'Europa del M. E. È un soggetto ancora inesplorato. Lo Steinschneider si avventurò in questo campo, ma non ci lasciò ricerche complete che in due o tre aspetti e anche queste poco acconce alla comprensione popolare. Nella catalessi del pensiero europeo, gli Ebrei recano due specie di contributi: sono i traduttori e gl’intermediari fra la scienza .araba e l’Europa e dànno fruito diretto e originale all’incremento dell’idea. È dubbio se la filosofia d’Aristotele e la medicina di Galeno, e poi il ciclo d’Averroé si sarebbero diffusi nell'Europa senza l’intervento diretto o no degli Ebrei; se la matematica, l’astronomia, la novellistica popolare avrebbero senza di loro fatto quei grandi o piccoli progressi che fecero.
Diretto contributo alla civiltà medio-evale gli Ebrei recano nella medicina (Ibn Usaibi' a enumera 50 autori Ebrei di medicina e medici Ebrei si trovano nelle Università di Salerno e di Montpellier), nell’astronomia (si ricordi il < quadrans ju-daicus » di Jacob ben Makhir e l’Almanacco perpetuo di Abraham Sacuto che Colombo usò nel suo viaggio; la « camera obscura » di Levi ben Gherscien, m. nel 1344. e gli « anelli astronomici 0 di Bonct de Latis, medico del Papa Alessandro VI), nella cartografia (la mappa catalana di Jaffuda Cresqnes o Cresques lo Juheu che esiste ancora nella Biblioteca nazionale di Parigi).
VII.
Ma la massima influenza venne alla civiltà cristiana dai pensatori Ebrei, Ibn Gabirol e Maimonide. È uno dei più interessanti capitoli, per quanto ineguali, della opera del Jacobs, quello in cui egli tratta dell’effetto esercitato da questi due filosofi sul pensiero cristiano del xm secolo, seguendo gli studi del Joel (Beitraege zur Ceschichte der Philosophie, Breslavia, 1878) e di J. Guttmann (Die Scholastik des drei-zenhten Jahrhnuderts in ihren Bezichungen zutn Judentum und zur juedischen Lite-
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ratur, Brcslavia, 1902, e Das Vcrhaeltniss d;s Thomas von Aquina :um Judentum und tur juedischcn Literatur, Gottinga. 1891). I grandi dottori cristiani della scolastica attingono i principali argomenti per lo studio dei più fondamentali problemi della Teologia da Maimonidc (per Einfluss der maimonidischen Philosophie auf das chri-sllichc Abendland di Guttmann, Lipsia. 1908). La Cabbalan fu l'altro movimento del pensiero ebraico che influì in più ristretta sfera sul cristianesimo: Raimondo Lullo, Pico della Mirandola e il Protestantesimo; Reudino e Cornelio Agrippa, Paracelso, Von Helmont. Lutero, Wcigel e Jacob Boehme sono tutti sótto l’influenza del misticismo ebraico. Baruch Spinoza riassume le idee di Hasdai Crescas. — il negatore delle cause finali e il determinista rigido, — fuse in una forma cartesiana insieme con tracce di Bruno e Hobbes. La influenza di Spinoza sulla speculazione europea è stata semplicemente enorme; Leibnitz. Fichte. Schelling, Hegel, Lessing, Goethe e Scleierinacher, Shelley, Byron c Renan, son tutti più o meno sotto l’azione del suo pensiero. Oggi le sue concezioni deterministiche c panteistiche dell’universo sono oppugnate dall’« evoluzione creatrice ■ a'un altro pensatore ebreo. Enrico Bergson.
Questa è l'influenza diretta esercitata dal prodotto filosofico ebraico sul pensiero europeo. Ma, oltre ad essa, la semplice esistenza c le sofferenze degli Ebrei che osavano differire dal generale mondo cristiano, devono aver fatto una profonda impressione-sulla fantasia dell’Europa medio-evale. • Questi uomini ebrei rischiavan la morte, preferivano vivere segregati e avviliti, solò per amor di quella che essi credevano la verità... In questo senso gli Ebrei, colla sola loro esistenza, erano un eccitamento costante alla libertà di pensiero ».
Al Rinascimento gli Ebrei parteciparono in varia maniera, ma anche ne risentirono l'azióne. Giuda c Manoello Romano, Messcr Leone Hcbreo sono esempi d’una per menzione dell’umanesimo nella cultura del ghetto; Alberto Magno, Duns Scoto, Raimondo Lullo, Tommaso d’Aquino fra i filosofi; il Sacrobosco e il Regiomontano fra i matematici. Arnoldo di Villanova, Giulio di Salerno. Roggero e Rolando di Parma e Saladino di Salerno nella medicina, oltre a molti altri meno famigliari furon resi accessibili agli Ebrei del M. E. in versioni ebraiche. Alcuni romanzi del ciclo d’Arturo furono adattati all’ebraico e divennero po
polari fra gli Ebrei; il romanzo di Sir Bevi* era famigliare agli Ebrei di Germania sotto il titolo di « Bovobuch ». Un « Minnesinger • ebreo ignoto a Riccardo Wagner e a Mr. Chamberlain fu Suesskind von Trimberg. Se è eccessivo il pensare come fanno Lecky e Draper, che il pensiero medioevalc sia dominato dall’influsso ebraico, è pure gratuito c insolente l’ammettere, come fa il Chamberlain, che gli Ebrei s’accampassero come i turchi in Europa, senz’alcuna comunione intellettuale coi loro concittadini.
Per quanto reali e ben riesumatc siano qui le benemerenze dei figli d’Israele verso la cultura ariana, per quanto europei essi si siano dimostrati, non ci pare che ciò aggiunga alcunché alla stima che deve far di loro l’intellettuale e lo storico c magari l’uomo della strada. Il fatto è che qualche sostanziale contributo essi han dato e qualche inerito umano e civile essi hanno, siano o non siano asiatici. Dall’Asia, che oggi è sotto il giogo della civiltà europea, è venuto qualche slancio e qualche ideale agli uomini.
vili.
Gli Ebrei sono accusati di aver eccessive predilezioni e una naturale tendenza per il commercio. Non certo ai tempi biblici, quando i mercanti si chiamavano Cananei, midianiti. ismaeliti. È la dispersione che ha fatto l’ebreo mercante, a cominciare del vii secolo. L’ebreo è l’intermediario fra il mondo cristiano e quello mussulmano. E al commercio ebreo l'Europa deve l’introduzione di molti prodotti esotici e di... parole mercantili.
Dal xii secolo in poi gli Ebrei sono prestatori di danaro riconosciuti, ma non i monopolizzatori del prestito ad interesse* I « Lombardi • sono i diretti rivali degli Ebrei.
Quale influenza sullo sviluppo economico del medioevo (dal 1100 al 1400) ha avuto il commercio, del danaro da parte degli Ebrei? Certo esso aiutò il passaggio alla economia monetaria, e — grazie alla concorrenza coi prestatori cristiani —contribuì a tener più bassa la quota d'interesse. Così nella Germania settentrionale, dove non esistevano Ebrei, il io % era considerato come un compenso normale verso i collaterali, mentre nella Germania meridionale, dove non mancava la concorrenza ebraica, l’interesse variava fra il 4 % e 1’8 % per cento; a Kiel, dove non c’erano Ebrei, l’interesse ordinario, nel xiii secolo, era fra
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il 15 c il 33 Pcr cento; a Lindau l'usura imposta ai mercanti cristiani arrivava fino al 216 % all'anno, tanto che i cittadini chiesero l’ammissione degli Ebrei come rimedio all’intollerabile stato delle cose (Vedi M. Hoffmann, Gcldhandel der deut-schen Juden, Lipsia, 1910, p. 29). Sono gli Ebrei i creatori delle banche? Bardino; il merito sarebbe da attribuirsi all’Italia. Nè si può affermare ch'ossi abbiano inventato la cambiale, quantunque qualche cosa di simile si ritrovi nella legge talmudica (Kctubot, 101 b; Babà batrà 172, a).
La presenza degli Ebrei nelle città preparò la via allo sviluppo industriale dell’Europa. Nessun’azione però ebbero gli Ebrei nel primo stadio di sviluppo del capitalismo- moderno.
IX.
Gli Ebrei hanno aiutato l’avvento del liberalismo. Essi si sono schierati fra i condottieri intellettuali del liberalismo continentale e dal 1815 al 1848 hanno esercitato un’influenza notevole sul corso dell’opinione pubblica. Boeme e Heine, Hartmann e Saphir, Jacoby e Carlo Marx sono fra coloro che condussero alla caduta di Mettermeli e della sua scuola. Essi sono aiutati nelle loro tendenze liberali da un gruppo di Ebree emancipate. Dorothca e Henriette figlie di Moses Mcndelssonn, Henriette Hess' e Rane) Leviti crearono quei salotti intellettuali in cui si raccolsero gli spiriti colti e intellettuali di Berlino: Schelling e Schleiermacher, il Principe di Ligne e Fichte, Schlegel e Cutzkow, Gentz e gli Humboldt.
Nella lotta per la libertà costituzionale che condusse alla rivoluzione del 1848, gli Ebrei ebbero una funzione notevole e pratica. Ricordiamo i nomi di Jacoby c Leopoldo Zunz, il fondatore della scienza
ebraica, in Germania, di Schiller-Szineszy in Ungheria, di Crémeiux in Francia, della signora Nathan in Italia. Certo, per quanto grande sia stata l'influenza degli Ebrei, nella loro opera collettiva, sullo sviluppo del pensiero e della cultura europea, fino ad oggi, la loro azione individuale negli ultimi cinquantanni, se è stata meno discernibile non è stata però meno estensiva. L’intellettualità ebraica ha preso troppe direzioni perchè lo storico possa in questo momento distinguerne le fila e gli effetti. Ma a questo fiorire nuovo dell’ingegno ebraico dopo l’èra dell’emancipazione, il Jacobs riservava un altro libro. Era il secondo dell'opera immaginata, del quale però non restano che delle note.
• • •
Questo è, a grandi linee, il tessuto della opera del Jacobs. Opera di disegno esteriore d'uria secolare attività; senza le grandi visioni e le originali ricerche della anima e della produzione della razza. Ma l'uomo di cultura, a cui infinite cose sono ignote ed oscure, e a cui V Ebreo è sconosciuto completamente, trarrebbe molti lumi da questa rapida corsa sulla superficie della storia spirituale ebraica e delle relazioni fra il mondo d'Israele e quello ariano e cristiano: lumi che poi potranno aprire più vasti orizzonti di simpatia, di fratellanza, di gratitudine per questa gente eternamente operosa, ma che debbono soprattutto far valutare, cóme realtà storica, il contributo che in ogni secolo gli Ebrei han recato alla civiltà. E l’opera del Jacobs, che riassùme tante e così vàrie ricerche e porta tante benemerenze ignote è veramente degna di esser conosciuta dagl’italiani. . ■
Dante Lattes^
La tripartizione dell’ organismo sociale secondo lo Steiner §
Al termine del secolo xvin. da condizioni fondamentali diverse da quelle in cui oggi viviamo, sorse da sostrati profondi della natura umana l'aspirazione
(1) Rudolf Steiner, I punti essenziali della questione sociale nelle necessità vitali del presente e dell’avvenire (editori F.lli Bocca). Vedi pure, dello stesso autore, La filosofia della libertà (editori Laterza, Bari).
verso una nuova costituzione dell’orgà-nismo sociale. Si proclamarono allora, come segnacolo di questa nuova costituzione, le tre parole: Fratellanza, Uguaglianza. Libertà.
Ognuno di noi che abbia meditato o meglio sofferto il problema sociale, non può non aver sentito, davanti a questo motto, il più vivo anelito, misto però a strani sensi di ripugnanza. Come non sen-
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tire, per esempio, la più forte attrazione per tutto cièche ¿fraternità fra gli uomini? Eppure, se siamo sinceri, dobbiamo riconoscere che nella vita vissuta, nella vita sociale attuale, vi sono, al raggiungimento di questa fraternità, barriere che 1 diritti della nostra individualità non ci consentono di abbattere. Così pure le esigenze della giustizia gridano ad alta voce nella nostra coscienza i diritti all’uguaglianza tra gli uomini; eppure quale problema più insolubile, che quello di armonizzare, in molti casi, l’uguaglianza con la libertà individuale? Vi è in ciascuno di noi qualche cosa che sentiamo non essere uguale a qualche cosa che è negli altri, e che nella sua eterogeneità domanda libertà di manifestazione al di là di qualsiasi giogo livellatore.
Sono contradizioni cosi profonde e stridenti, che possono veramente portare alla disperazione un’anima che sia viva c abbia palpiti non solo per ciò che la colpisce individualmente, ma per tutto ciò che riguarda l’umanità intera.
Eppure sarebbe falso disperare di noi e crederci inumani o perversi appunto quando ci sentiamo soffrire di tali contradizioni. È precisamente allora che la nostra profonda e completa umanità fa mèglio valere i suoi diritti. Tali contradizioni esistono veramente nella vita vissuta e sono pienamente giustificate.
L'uomo è un’unità; ma è un'unità assai complessa. Se noi guardiamo alla sua individualità interiore dobbiamo riconoscere ch'essa consta, per così dire, di tre grandi sfere fondamentali, che non si possono confondere l’ima con l’altra: quella del pensare, del sentire e del volere. E se ogni individuò, dapprima per educazione altrùi, poi pei- auto-educazione, non sa prendere in mano le redini di se stesso e assegnare a ciascuna di queste tre sfere il suo campo d'azione e i suoi limiti, ne deriva la più grande disarmonia nella vita interiore dell'uomo, disarmonia che porta con sè tutte le debolezze, gli scetticismi e le nevrastenie, per non nominare il peggio, che sono oggi all’ordine del giorno. Così il non riconoscere che queste tre sfere dell’individualità umana corrispóndono a tre sfere dell’organismo sociale, altrettanto diverse tra loro, e il non assegnare a ciascuna il suo campo d’azione c i suoi limiti, porta alle disarmonie sociali, alle crisi, alle scosse rivoluzionarie in cui il mondo attuale si dibatte.
11 nostro organismo fisico, che è soggetto alla sapienza primordiale di madre Natura, mostra ben altra sapiente spartizione di funzioni da quella che noi abbiamo finora saputo coscientemente introdurre, sia nel nostro organismo morale individuale, sia nel nostro organismo sociale. Nel nostro organismo fisico noi vediamo' tre sistemi, operanti simultaneamente, l'uno accanto all’altro, ma ciascuno con una certa indipendenza; e precisamente: l'organismo della testa che comprende la vita dei sensi e dei nervi; l'organismo del petto, che compiendo la respirazione, la circolazione del sangue, e tutto ciò che si manifesta con atti ritmici; e finalmente, tutto quel complesso di organi e di attività connessi col ricambio della materia. E noi vediamo come questi tre sistemi della testa, della circolazione, del ricambio, riescono a mantenere il funzionamento generale dell’umano organismo, appunto perchè operano con una certa autonomia, perchè non esiste un assoluto accentramento nell’organismo umano, e ciascuno di questi tre sistemi ha un rapporto speciale, per se stante, col mondo esterno: il sistema della testa per mezzo degli organi di senso, il sistema del petto, Ser mezzo della respirazione, e il sistema el ricambio per mezzo degli organi della nutrizione. Che cosa avverrebbe nel nostro organismo fisico se il cervello volesse digerire, lo stomaco respirare, il polmone pensare, ccc., o se queste funzioni venissero compiute confusamente da tutti e tré i sistemi fusi insieme? Eppure quest’idea così grottesca noi la mettiamo in atto nella nostra unità statale, dove le funzioni sociali che corrispondono analogicamente alle funzioni fisiche suddette, vengono compiute nella più caotica confusione, coi bei risultati che tutti possiamo constatare.
Perchè non imparare da madre Natura come un organismo, debba funzionare per avere possibilità di vita sana, c come da una savia scissione di funzioni possa derivare da sè come risultato, una superiore, armonica unità?
Nell’epoca attuale, in un organismo sociale sano, la grande sfera della vita economica, che comprende tutto ciò che è produzione, scambio c consumo di merce (e non deve comprendere altro che questo) dovrebbe essere interamente separata dall’altra, radicalmente diversa, che è quella dei diritti, dei rapporti di giustizia che devono intercedere tra uomo e uomo, indipendentemente da tutto ciò che è proda-
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zionc, scambio e consumo di merce; c, distinta da queste due, dovrebbe agire in piena autonomia una terza sfera che comprende invece tutto ciò che ha origine dalle facoltà individuali dei singoli uomini, in tre grandi organi fondamentali collabo-vanti. sì. ma in piena autonomia l’uno dall’altro, dovrebbe essere suddiviso oggidì l’organismo statale per avere possibilità di vita sana e inconturbata: la vita economica, la vita politica e giuridica, e la vita spirituale. In quest'ultima deve dominare la libertà. Qui lo spirito umano, sia esso quello di un umile lavoratore che escogita il modo di far funzionare un congegno, oppure quello di Galilei dinanzi alla lampada oscillante, deve esser solo di fronte al suo dèmone (per dirla con Socrate), al suo Genio; e una vera ispirazione non potrà mai aver luogo se non nella più assoluta libertà. Ma appunto per ciò tutto quello che scaturisce dalle sorgenti delio spirito umano deve anche fluire dentro l’organismo sociale nella più piena libertà, senza restrizioni di sorta nè da parte della vita economica, nè da parte dello Stato. Quando invece scendiamo alla zona intermedia, là dove devono venir stabiliti e amministrati i diritti degli uomini come uomini, cessa il regno della libertà e comincia quello te\V eguaglianza. Sì, vi è una zona nella quale chiunque porta effigie umana è veramente uguale al suo simile. Questa è la sfera della giustizia, dove uomini e donne, vecchi e giovani, (non si parla naturalmente di bambini), ricchi e poveri, lavoratori di testa e di braccia, hanno l’identico diritto di voto; poiché qui non si trattano questione per le quali occorre una speciale competenza, bensì questioni d'interesse generale umano; e qui Vuguaglianza è al suo posto. Ma nella, terza zona; dove si provvede alla produzione, alio scambiò e al consumo di merci, la libertà porterebbe al caos, l’uguaglianza all’assurdo. Qui invece è al suo posto la fraternità; e cioè la fraternità dell'associa
zione, sulla quale soltanto può fondarsi un lavoro proficuo per la collettività; l’associazione tra i lavoratori di una stessa azienda, delle varie aziende tra loro, dei produttori coi consumatori e così via.
Considerati sotto questo punto di vista i tre ideali di libertà, uguaglianza, fraternità manifestano il loro valore effettivo. Se in una forma sociale astrattamente centralizzata portano a inestricabili contradizioni, in un organismo sociale sano, suddiviso nelle sue tre grandi sfere fondamentali, ognuno di quei tre ideali darà ad ognuna delle tre sfere la forza e l’ispirazione ch’essa particolarmente richiede, e soltanto così potranno cooperare insieme in maniera feconda.
Della necessità di questa tripartizione dell organismo sociale e del modo come introdurla a poco a poco' nei singoli organismi statali ora esistenti, a seconda dei bisogni particolari di ciascuno, così che nulla vada perduto di ciò che è preziosa conquista del passato, tratta appunto il libro di Rudolf Steiner, la cui lettura raccomandiamo vivamente ai nostri lettori essendo questo cenno assolutamente inadeguato a darne un’idea.
Diceva il Giusti:
Il fare un libro è meno che niente Se il libro fatto non rifà la gente.
E aveva ragione. Ma. conveniamone: perchè un libro possa rifare la gente, occorre pure che questa sia disposta a fare lo sforzo necessario per mutare le proprie idee abituali, comode come le vecchie scarpe; che sia disposta ad accogliere le idee nuove, a studiarle e meditarle con la propria testa, a cimentarle al contatto con la vita vissuta; ad offrir loro, insomma, quella materna elaborazione che la terra dà al seme, e senza là quale nemmeno il granello più turgido di vita può germogliare.
Lina Sciiwarz.
Milano.
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’ÍTORIM^ CRI5T
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I. Kennedy, Si. Thomas Aquinas and Medieval Philosophy, The Encyclopedià Press, New York, 1919, pag. 135.
Il libro non contiene quanto il titolo promette. Non è un saggio di critica storica e filosofica ; traverso la esaltazione della scolastica ed un accenno, molto schematico, alla teologia di S. Tommaso, esso non è che uno scritto di apologetica cattolica.
D’accordo con l’autore nel riconoscere — chi lo ignora oggi ? — che il Medio-Evo fu un'epoca tutt'altro che caratterizzata da un oscuramento dello spirito umano; d’accordo nel vedere nella scolastica una filosofia che, per la gravità dei problemi che pose e tentò risolvere, fu ben altro che un semplice formalismo di logiche sottigliezze ; d’accordo nel vedere tra la ragione e la fede, tra la fede e la scienza non un’antitesi necessaria, ma una possibile feconda armonia; e per quanto gli esempi trascelti non ci sembrino i più opportuni — egli s’ostina a chiamare Wilson un world-leader — d’accordo nel concludere che le più alte conquiste della tecnica non valgono quanto quelle riportate nella vita dello spirito. Ma per quanto, movendo dal sorgere dello scolasticismo, con S. Anseimo, per giungere alle condizioni della filosofìa nel xni secolo, ci sia, a dar risalto alla figura di S. Tommaso, tra le scuole contrastanti, uno sforzo a conferire al lavoro un carattere prevalentemente storico, qual genere di critica storica è mai quella dell’autore? Non parliamo della svalutazione che egli fa, pur con molte restrizioni, della filosofia greca, non della asserzione che nulla o poco si debba agli Arabi per la conoscenza degli scritti di
Aristotele, non di quei giudizi coi quali, coi soliti aggettivi — razionalista, panteista, eretico, superbo — si crede adombrare, se non demolire, la figura di qualche ardito pensatore, come quella di Abelardo, nè, traverso la esaltazione, legittima, delle intuizioni mirabili di un Alberto Magno e di un Rogero Bacone, della ostentata discutibile affermazione che la Chiesa di Roma, lungi dallo ostacolare, favorì sempre il progresso della scienza ; ci limitiamo a quei giudizi che, sebbene esplicabili per difetto di prospettiva ; rivelano in chi li enuncia il non possesso dei canoni fondamentali della critica storica.
Non è serio presentare la storia, la storia del pensiero sovrattutto, non quale è stata realmente, ma quale, secondo le preferenze dottrinali, si crede avrebbe potuto o dovuto essere. E’ ingenuo l’osservare che, se non vi fossero stati spiriti turbolenti, la perfezione del sistema scolastico si sarebbe potuta avere molto tempo prima della metà del secolo xm; che Abelardo non avrebbe mai potuto essere un S. Tommaso ; che la Somma è opera tale, per vastità ed organicità, che non altrimenti, in fondo, può essere esplicata ed annunciata se non come opera del miracolo. Ne vien fuori un S. Tommaso, il quale, anziché per la sua reale posizione storica, per l’alto gradò cui fece pervenire il razionalismo scolastico-aristotelico, grandeggia per l’autorità che posteriormente esso .ha goduto nella storia secolare della Chiesa. E’ un S. Tomaso illustrato traverso l’autorità dei Concili!, sino all’ultimo Concilio Vaticano; un S. Tommaso esaltato traverso la parola dei pontefici, sino alla enciclica Aeterni Palris di Leone XIII, anzi sino’ a Piò X ed a Benedetto XV.
Quanto alla parte dottrinale superfluo aggiungere che non condividiamo, rispettandole, le convinzioni dell’autore. Vi sono certo nella scolastica e nella filosofia di S. Tommaso, nella psicologia sovrattutto, particolari vedute che il pensiero e la scienza moderna, lungi dall’ impugnare, convalidano sempre più ; ma
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RECENSIONI
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questo non autorizza a considerare la Somma come il modello più perfetto di libera scienza, ad esaltare S. Tommaso come il più grande di tutti i filosofi. Se la Somma, come ricorda l’autore, è stata paragonata alle piramidi, le piramidi, rispondiamo, per quanto grandiose, sono immobili e il pensiero invece cammina, e non può, destreggiandosi tra il razionalismo e il tradizionalismo, ripetere le antiquate concezioni di una filosofìa ancella della teologia, di una ragione la quale altro compito non avrebbe se non provare i preambula della fede, spiegare, ordinare e sviluppare le dottrine rivelate e difendere la fede da ciò che in blocco, troppo facilmente, si chiama eresia. E non giovano certe forzate interpretazioni; Che dire dell’autore, il quale, da buon cittadino americano, ci vorrebbe presentare un S. Tommaso precursore della moderna democrazia, anzi quasi come Un vero e fervente repubblicano, salvo poi, da buon cattolico, ad esaltarlo per la sua credenza nella infallibilità del pontefice?
Ma non bisogna pretendere dall'autore più di quanto, modestamente, si è prefisso; egli, come dichiara, non ha voluto essere che il cicerone di S. Tommaso.
U. Della Seta
R5ICOI9GIA RELIGIOJA.
Cultura dell’anima, Carabba, Lanciano.
i. F. D. E. Schleiermacher, Monologhi. introduzione e traduzione di Cecilia Dentice di Accadia, pp. 160.
2. Giorgio Berkeley, Saggio di una nuova teoria della visione, tradotto dall'inglese da Giovanni Amendola, pp. 144.
3. Eraclito di Efeso, Frammenti e testimonianze, introduzione e traduzione di Maria Cardini, pp. 135
4. Il Protevangelo di Jacopo, prima traduzione italiana con introduzione e note di Ermenegildo Pistelli, pp. 128.
La collezione della Cultura dell’Anima. edita dal Carabba di Lanciano, si è recentemente arricchita, fra gli altri, di quattro pregevoli volumetti, che possono più particolarmente pel loro contenuto interessare i lettori della nostra Rivista.
La signorina Cecilia Dentice di Accadia, alla quale già dobbiamo una buona mono-Safia divulgativa su Schleiermacher (Parino, Sandron), ci dà oggi la traduzione dei celebri Monologhi dello stesso autore, opera di una singolare importanza nella storia dello spirito romantico, in quanto è un tentativo di conciliazione dell’individualismo romantico con l'universalismo della filosofia kantiana. I Monologhi sono la celebrazione dell'individuo in quanto originale e singo’arc, ma non arbitraria incarnazione dell’umanità, in quanto concretezza della legge di armonia e di bellezza che regge il cosmo. L’opera, che troverà Oggi in Italia mólti lettori singolarmente preparati a comprenderla, conserva nella traduzione della Dentice il ricco ed esuberante colorito dèlia sua forma originale.
L'on. Giovanni Amendola ci dà la traduzione del celebre Saggio d'una nuova teoria dèlia visione di Giorgio Berkeley, la seconda che vede la luce in lingua italiana dopo la prima dello Storti, vecchia di ormai quasi due secoli. È noto quanta importanza abbia quest'opera del Berkeley nella storia dell‘idealismo moderno: essa rappresenta una tappa di singolare importanza nei tentativi di risoluzione del mondo esteriore nello spirito. Alla sua ottima traduzione l’on. Amendola ha premesso una piccola prefazione di alta nobiltà spirituale, che rimarrà documento notevole dello sviluppo dello spirito italiano negli ultimi dieci anni e del la trasformazione profonda da esso subita per opera della guerra mondiale.
Maria Cardini ci offre una buona traduzione dei Frammenti di Eraclito c delle testimonianze antiche sulla sua opera. Una buona prefazione divulgativa e delle sobrie note rendono accessibile, anche ai non specialisti di filosofia presocratica, questo volumetto.
Al padre Ermenegildo Pistelli dobbiamo la prima traduzione italiana del Protoevan-gelo di Jacopo. È nota l’importanza di questo Evangelo, che di tutti gli apocrifi è il più importante, essendo il primo documento che della nascita ed infanzia di Maria e del suo matrimonio con Giuseppe e della miracolosa nascita di Gesù ci dà quelle notizie che sono poi diventate comuni e che anche la Chiesa ha, in parte, accettate come autentiche. Il Protoevan-gelo di Jacopo ha grande importanza anche come fonte diretta di ispirazione di moltis-
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simi motivi dell’arte cristiana, soprattutto riguardanti la nascita di Gesù. La traduzione del Pistelli, preceduta da un’ottima introduzione, rende, con la sua pura e squisita grazia trecentesca, l’ingenuità piena di eftetti dell'originale greco.
G. Tarantino, La politica e la morale. Pisa, tip. ed. Mariotti, 1920.
E’ questo del Tarantino il discorso inaugurale de) corrente anno accademico nella Regia Università di Pisa. La coscienza, fiera, del cittadino che constata e deplora la delusione degli animi dopo la vittoria, non fa velo alla mente del pensatore che, con serenità, alla luce dei primi principi!, contro un malsano realismo ed una malintesa ragion di Stato, illustra quali nella politica siano le supreme esigenze dell’etica. « La Politica è cosi in rapporto con l’Etica che fuori dell’idea morale non v’è salute per lo Stato come non ve n’è per l’individuo». Ecco una verità mai troppo ricordata ai giorni nostri.
Se nel inondo della natura vera realtà è il fallo, nel mondo umano ciò che vi è di essenziale è Videa, l’idea del Bene sovrattulto, idea centrale, di cui le altre, a simiglianza di un dramma, non sono che lo svolgimento. Non basta perciò la volontà ; occorre la buona volontà e di questa, nell’umano consorzio, una reaiizzazione appunto, la vera venuta del regno di Dio sulla terra, sono la giustizia e V amore. Nel sentire la necessità razionale di realizzare questa forma di vita costituisce il sentimento del dovere ; intese però la giustizia e l’amore, non come due forme distinte o sovrapposte di moralità, ma come la giustizia includente in se l’amore, in quanto tutto ciò che diamo non è assolutamente nostro, tutto ciò che abbiamo e che siamo, lo abbiamo spiritualmente, come fisicamente, per opera degli altri. Riconoscere questa prestazione sociale che concorre alla essenza dell’ uomo, se da un lato è confutazione, inoppugnabile, di ogni forma, morale e politica, di individualismo, non è però negazione della personalità: l’uomo non è un puro prodotto sociale, il concetto kantiano della persona umana
come avente valore di fine in sè è ormai una conquista della coscienza; l’individuo « è una sostanza originària che ha un'esistenza in sè e per sè indipendentemente dalla vita sociale, con una natura tutta propria da esplicare » : ognuno di noi, guardato nella sua essenza, «t è un’energia potenziale che tende a tradurre in atto la sua intrinseca potenzialità e nella cui pièna realizzazione sta la propria finalità».
Condizione fondamentale all’individuo nel-l’esplicare la propria attività pel raggiungimento dei propri fini è la limitazione, in parte, della libertà propria, del proprio interesse, per rendere possibile quello degli altri : senza questa limitazione non l’ordine vi sarebbe nella società, ma, sotto l’impulso dei poderosi istinti della natura animale, la lotta-, ecco perchè nella giustizia — virtù eminentemente disinteressata e nella quale è raccolta tutta la nostra moralità — sta il fondamento della società umana. Primo ufficio dello Stato è appunto realizzare le esigenze della giustizia ; il diritto positivo è la traduzione in formolo di queste fondamentali esigenze della coscienza etica di un popolo. Non si vuole con ciò identificare la Morale e il Diritto;.un ordine giuridico che volesse realizzare tutte le esigenze della legge morale condurrebbe alla più intollerante delle tirannie; però, se distinte, Morale e Diritto non son cose separate ; nelle singole disposizioni del diritto positivo non può lo Stato, costantemente, non inspirarsi, come a stella polare, alle esigenze fondamentali dèlia coscienza etica. Nè ne consegue che lo Stato sia un semplice strumento per l’utilità dell’individuo: lo Stato non è la semplice somma delle singole volontà; ha una personalità propria, una propria volontà, un proprio fine, non come un qualcosa di antagonistico all’individuo, ma come un organismo nella vita del quale « la attività dei singoli viene a sollevarsi ad una più alta potenzialità, dalla quale scaturisce l’attuazione d’una umanità più piena, in cui l’individuo trova un maggiore arricchimento della propria personalità e l’innalzamento del proprio essere ad una più elevata forma d’attività».
Se tale è l’essenza razionale dello Stato non può dalla Morale essere scissa la Politica. Questa non scissione non è fusione, poiché ufficio dello Stato non è quello d’imporre la virtù ; ma è la morale considerata come fondamento, per lo Stato, alla realizzazione della sua stessa essenza ideale, è condizione alle forme della sua stessa organizzazione economica. giuridica e politica. La Ragion di Stato,
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se un significato ancora ha questa espressione, non può essere intesa come divelta dalla morale, ma bensì come la realizzazione anche essa della Giustizia. E vale ciò coinè per la vita interna cosi per quella internazionale dello State. Se nella Vita interna, anzi; il rapporto tra le genti si trasforma in rapporto giuridico, in quella internazionale permane semplice rapporto etico ; onde il diritto delle genti avrà un valore morale poiché non potrà mai tradursi, per la difficoltà della coazione e delia sanzione, in un vero codice positivo ; onde là invocata società delle nazioni rimarrà sempre come libera società civile fondata sulla moralità degli Stati;
Questo, sobrio e lucido, il contenuto del discorso del Tarantino. E se convincente è la difesa che egli • fa del Machiavelli contro quanti, con scarso senso storico e male intendendone le nobilissime idealità, vorrebbero assimilarlo agli odierni seguaci di una cosiddetta politica realistica (Treitschke), più che mai opportune e ammonitrici tornano oggi le sue parole quando rileva la importanza che per la potenza dello Stato ha la unità del volere, quando insiste sulla necessità, per il bene dèlia collettività, di una preventiva razionale educazione degli individui, quando deplora la deficienza organica della nostra coscienza politica e constata la mancanza di elementi etici nella nostra vita pubblica.
U. Della Seta
L
RIPJOFIAE REUGIONE
Hvgh Elliot, Modem Science and Maleria-lisni, Longmans, London, 1919.
Multa rcnasccntur quae jaw cecidere. A coloro che s’erano illusi nel credere ormai il materialismo, nella filosofia, una posizione perduta, ecco l'autore affannarsi a calar la benda dagli occhi e, in nome di un preteso spirito scientifico, ripetere, con qualche variante, le ben note teorie di un Vogt, di un Moleschott e di un Büchner.
Bando ad ogni metafisica, ad ogni teologia. Punto di partenza è l’agnosticismo, il riconoscere la impossibilità di scandagliare e tanto meno di risolvere gli ultimi misteri dell’esi
stenza. La filosofia — non disciplina avente in sé un suo proprio obietto, ma semplice metodo di trattamento — non ha'perciò che ad elaborare, a coordinare i dati forniti dalla scienza.
E la scienza insegna che l’Universo, in continuo movimento, non è in sé, e nei singoli esseri, se non materia ed energia. Sue leggi l’uniformità della legge, onde possiamo profetizzare e la negazione di ogni teleologia, esplicabile colla fallacia antropocentrica e la negazione di ogni forma di esistenza diversa da quelle prospettate dalla fisica e dalla chimica. Sola realtà esistente è la materia e materia è l’uomo, pure in quelle più alte funzioni che dalla sfera della materialità sembrano allontanarlo. Non v'è posto in lui nè per lo Spirito, nè per una malintesa autonomia dello spirito. Tutto è sensazione e associazione di sensazioni. Se la specie umana tutta intera non è che un incidente nella universale distribuzione della materia e della energia, uno stato di coscienza non è che una speciale funzione nervosa, il pensiero è lo stesso processo cerebrale, un atto di volontà è un processo fisico-chimico nel cervello.
Risparmiamo i particolari della esposizione. Vero è bene che l’autore tenta quasi mitigare la crudezza della dottrina, spogliandola di ogni veste dogmatica e presentandola non come più vera dell’idealismo, ma come un aspetto più fecondo nel vedere la realtà ; è vero anche che egli la prospetta non in antitesi con l’idealismo, nel senso che, come monismo assoluto, essa supera il dualismo tra la materia e lo spirito; ma materialismo essa è e rimane, radicalissimo, tanto da volersi differenziare, in più punti, dalló stesso materialismo degli antichi, poiché mentre questi parlavano ancora di un anima, quest’anima qui,tutto riducendo a meccanismo, è negata recisamente. Solo come una felice contraddizione può essere accettato quanto l’autore osserva, eloquentemente, sulla potenza ricostruttrice delle idee e sulla necessità di una fede come guida della vita.
E’ un libro segno dei tempi. Non è a meravigliare che, come già nella vita pratica, in nome degli interessi, cosi si riaffacci il materialismo, in nome delia scienza, nel campo del pensiero. E’ un segno e un monito. Per quanto negativo è un incitamento a prendere netta la posizione nella lotta, tut-t’altro che superata, per la supremazia e la libertà dello Spirito.
U. Della Seta
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IÓ2
BI LYCHNIS
P. Arcari, La faccia che non capisce (Le Spighe, n. 29), Milano, F.Ili Trcves, 1920, n. 198, L. 3.
Non si tratta di una raccolta di novelle ma di un insieme di impressioni, di osservazioni, di bozzetti che costituiscono una visione della^vita assai varia
e molto fine. Sono come il canevaccio psicologico di una serie di novelle che l’A. avrebbe potuto ricavare facilmente dalle sue osservazioni molto giuste e molto non solo spiritose, ma spirituali. Vi è in queste pagine difatti un senso così profondo di spiritualità, un sentimento quasi cristiano di simpatia che non solo piace, ma fa bene. Leggete II rospo, Lillì, La morte e la gobba e via dicendo e vi convincerete. Per la finezza delle osservazioni poi raccomando ai lettori: La faccia che non capisce, Quel che la gente capisce a teatro. L'uomo che aveva due o tre religioni.
G. C.
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NUOVE PUBBLICAZIONI
Hiram Còrson, Spirti Messages. Witk an introductory Essay on spiritual vitality New edition, 1919, Boston, Christophar pubi. House 8°, pp. xiv-280.
È una ristampa del noto libro di Hiram Corsoi), professore emerito di letteratura inglese nella Cimeli UnivVrsity, contenente una raccolta di messaggi inviati dall’altro mondo al prelodato professore da un’eletta schiera di illustri poeti e scrittori. Medio ricevente e scrivente, Mrs. Soule. La massima parte degli spiriti erano stati, nella loro vita terrestre, in relazione col Corson, che aveva commentato le opere poetiche di parecchi di essi i quali, ciononostante, anche dall’altro mondo seguitarono a mantenere buoni rapporti col loro commentatore, cosa di cui non sappiamo se accadrebbe l’eguale nei riguardi di Dante c <lcl suoi esegeti.
Sono raccolti in questo volume messaggi di Roberto Browning, Alfredo Tennyson, Walt Wibtman. Ix>ngfellow, Myers, Hawthome, Glad-Stone «cc. Nelle sedute cercavano d'intrufolarsi spiriti di bassa lega, ma erano cacciati via da una guardia del corpo composta di spiriti indiani, comandata da Longfellow, lo spirito del quale opera nella sfera degl'indiani (sic) ! L'autore ci dice che nei nove anni che durarono le sedute con questa eletta schiera di trapassati, egli non si occupò mai di chieder loro prove della loro identità, l’identità essendo cosa che non può essere provata agl'increduli nelle visite degli spiriti, e nemmeno ad alcuni credenti. Chi ci assicura, quindi, che i messaggi vengano proprio dagli spiriti su nominati e non già da qualcuno di quegli spiriti di bassa lega che tentavano di prendere il loro posto? La fede. Chi vuol credere, lieto’sia! (A. T.)
E. Cardile, Il Poema di Stéphane Mallarmé. Napoli, P. Trincherà, 1920. L. 5.
Questa fatica del C. non troverà consensi e tanto meno applausi: il simbolismo è morto e
all’appettata opera contemporanea manca il tempo e la voglia di gustarlo. Sebbene non abbia confrontato il testo con la traduzione, che, se ben ricordo il primo, panni fedele, la versione e l’ermeneutica mi paiono abbastanza felici. Ma ripeto à quoi bon? Questo Mallarmé, almeno, panni morto.
P. Mercanti. Il pensiero filosofico con temporaneo e la psicologia del Bergson. Roma, A. Signoroni, 1920, p. 158. L. 5.
G. Gentile, Discorsi di religione. Firenze, Vallecchi, 1920, p. 137. L. 5.
B. W. Bacon, Is Mark a roman GospeD Cambridge. Harvard University Press, 1919. P- 106 (Harvard Theologica! Stu dies VII).
Atti dell'Ateneo di scienze, lettere ed arti in Bergamo, voi. XXV. Bergamo, Istituto italiano d’arti grafiche, 1920. [cfr. sopra p. 143].
G. Thcodoli, Il crepuscolo dell’io. Todi, Atanor. 1920, p. 185. L. 6.
G. Hellmann, Das Millelalter bis mm Ausgange der Kreuzziìge. Gotha, A. Per-thes, 1920. p. 350 (voi. IV della Welt-geschichte diretta da L. M. Hartmann).
Poeti d'oggi, antologiacompilatadaG. Rapini c P. Panerà zi. Firenze, Vallecchi 1920. p. 556. L. io.
F. Klein, Noces chrétiennes, allocutions nouvclles pour mariages. Paris. G. Beau chesnc, 1920, p. 149.
Discorsi o detti o imaginati per nozze oou intendimenti non di offrire formule e parole vuote, ma spirito e sentimento evangelico, fn genere se non ottimi, buòni, Specie il III che offre con molta semplicità tutto un piano di educazione infantile.
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BILYCHNIS
À. Renaud, Sainte Jeanne. d’Arc. Paris, G. Beauchesne, 1920, p. 200.
Apologia, ben fatta c cónscienziosa, di Giovanna d’Arco naturalmente con spirito francese ed ortodosso. Il libro si legge volentieri c simpaticamente.
M. Bcauchamp, Le partis politiques ¡ranfais, préf. de M. Barrés. Paris, G. Beauchesne, 1920. p.; r 16. Jcir. p. 124) .
J. Volkclt, Religionuna Schule. Leipzig, F. Meiner, 1919, p. 64. M. 4.
L. Ventura, Rivoluzione 0 evoluzione? ovvero Torniamo alla scuola. Roma, Al-brighi, Segati e C., 1920, p. 42. L. 0,75.
P. Eberhardt, Religions Kunde. Gotha, F. A. Perthcs, p. 242. M. 12.
G. Kùhnemann, Dos Problcm des Lebens von naturphilosophisc-mcdizinischen Stand-punkt. Leipzig, J. Ambrosius Barth, 1920, p. 127. M. 7,20.
O. Dini, Vita e sogno. Milano, • L’Eroica », 1920, p. 120. L. 7,50.
Se E. Cozzani non avesse procurato di respingere con tanta insistenza l'accusa che si rivolge al D. di essere monocorde o monocromatico — ie forse non avrei sintetizzato il mio giudizio su questo volume di versi in questo aggettivo. E se il mio giudizio non fosse sincero — il lettore
maligno è pregato di credere che io leggo per abi* tudine le prefazioni dopo c non prima dell'opera cui sono preposte! — naturalmente avrei taciuto. Ma poiché è cosi, debbo confessarlo, e quasi «‘<>11 dolore, perchè è l’unica accusa reale che si deve rivolgere al poeta. Tutta quella continuazione di sogno che necessariamente non può molto variare nè in parole, nè in forme; tutta quell’insistenza di colorito lunare o di colori pallidi non può non stancare e. noli saper di romanticismo, di leziosaggine ed -essere stucchevole.
Ma, quando il lettore sorpassi questo difetto, e si abbandoni ad un assaggio della poesia del D. discreto e interrotto, non potrà non trovare ne' suoi sereni, melane: nici versi, nelle sue dolci visioni di vita (forse anche più che di sogni) un canto che lo appaghi e lo faccia fremerci
Per capire veramente come il Dini sia poeta basta leggere le sue « visioni e sensazioni apuane » che formano forse la parte più viva e più fresca (oserei dire piò sentita) del volume. Vi è in esse una tale vitalità ed un tal succedersi di ritmi che corrispondono ad una reale sensazione psichica, che si deve annoverare le poesie che vi si comprendono tra le più belle della nostra letteratura contemporanca.
L’edizione è deh’Eroica, quindi artistica, sebbene non tutte le incisioni "del Del Neri mi sembrino accompagnare il testo c mi paiano elevarsi dalla volgarità alla poesia, come il volume avrebbe meritato.
Il Lkttork.
_ ROCCO POLESE, gerente responsabile.
Roum - Tipografia dell' Unione Editrice - Vìa Federico Ceri. 45
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BILYCHNIS
RIVISTA MENSILE ILLUSTRATA DI STUDI RELIGIOSI ® ® »
VOLUME XIV.
ANNO 1919 - II. SEMESTRE
(Luglio-Dicembre. Fascicoli VII-XII)
ROMA
VIA CRESCENZIO, 2
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INDICE PER RUBRICHE
ARTICOLI.
Cento Vincenzo: L’essenza del Modernismo, p. 14. 261.
Costa Giovanni: Giove ed Ercole (contributo allo Studio della religione romana dell'impero), p. 2, 95.
Della Seta Ugo: La visione morale della vita in Leonardo da Vinci, p. 82, 216.
Losca Giuseppe: Sensi e pensieri nella poesia di Arturo Graf, p. 118.
Meille Giovanni: Psicologia di combattènti cristiani, p. 127, 280.
Nazzari R: Intelletto e ragione. p. 229.
Grano Paolo: Positivismo. Filosofia pura. Religione, j>. 109.
Pioli Giovanni: L'« Etica della simpatia • nella « Teoria dei sentimenti di Adamo Smith, p. 27. 246.
Rossi Mario: Gli ebrei in Italia, p. 244.
S. M.: Fingendo di rileggere Pascoli, p. 240.
Tucci Paolo: Uno scritto di Martin Lutero, p. 295.
(•••) Mancanza di garanzia nello schema e nel nuovo codice di diritto canonico, P- 45- 142.
PER LA CULTURA DELL’ANIMA.
Fasulo Aristarco: l^cc e... pace, p. 151.
Luzzi Giovanni: La visione di Dio, p. 57.
Id.:'La visione del Cristo, p. 301.
Meille G. R.: Perchè devono sfiorir le rose?, p. 306.
Wagner Carlo: Un predicatore dinanzi ad un pulpito nuòvo, p. 153.
NOTE E COMMENTI.
I Brunelli B.: I magi sènza stelle p. 316, Dell’Isola M.i Mal seme, p. 161.
I Td.: C’è una spiegazione logica della vita?, p. 31T.
Fasulo Aristarco: Riforme ecclesiastiche nel paese di Hus. p. 61.
Giulio Benso Luisa: Una visita all’Italia di una signora americana, p. 165.
Pioli Giovanni: u La pace delle nazioni c la religione dell'avvenire •, di A. Loisy, p. 157Schwarz Lina: C’è una spiegazione logica della vita?, p, 313.
Vinay Arturo: C’è una spiegazione logica dèlia vità?. p. 314.
Whittinghill S. B.: Un convegno internazionale cristiano, p. 315.
NOTE E DOCUMENTI.
Rutili Ernesto : Forme di degenerazione religiosa in tempo di guerra, p. 321.
T. G.: La costituzione dell'impero tedesco e la legislazione religiosa e scolastica.
P- 338.
X.: Dichiarazione di principi, p. 340.
CRONACHE.
Quadrotta Guglielmo e Tosatti Quinto: " Politica vaticana ed azione cattolica, p. 64. 171. 343.
TRA LIBRI E RIVISTE.
A) I libri.
Akermann M.: Uebcr die Echtheit der letzteren Hälfte von Tertullians adver-sus Judaeos. p. 202.
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IV
BLLYCHNIS
Alitò: II sacerdote e il dopo-guerra, p. 205.
Arnold U: Efod and Ark. p. 350.
Autin Albert: L’Echec de la Réforme en France au xvj siècle, p. 179.
Benelli Sem: Il Sauro, p. 212.
Bertrand A. M.: Patrie lointaine, p. 211.
Bertrand L.: Sangue di martiri, p. 201. Bois Henry: La démocratie et l’Evangile, p. 202.
Bout roux Emile: Morale et démocratie, p. 202.
Breccia E;: La nostra più grande conquista, p. 211.
Calati Augusto: Uomini in guerra, p. 204.
Campagnac E. T.: Religion and religious teaching, p. 367.
Celaire H.: Quand » ils « étaient à Saint-Quentin, p. 211.
Ccllcrier Henry: La politique fédéraliste, p. 196.
Clay Albert T., The Empire of Amorites, p. 362.
Conan Doyle Arthur: The Vital Message, P- 373Corpus Scriptorum latinorum Paravia-num. p. 77.
Del Vecchio G.: Una « reformatio in pejus > degli ordinamenti universitari, p. 212.
Dempsey T.: L’oracolo delfico, p. 190.
Droulcrs A.: Sous le poing de fer, p. 211. | Faivre F.: Canopus Menouthis, p. 189. Fant. P. A.: Fiume, ovvero il diritto dei popoli, p. 212.
Fichte: Dottrina morale secondo i principi | della Dottrina della scienza (traduz. di | Luigi Ambrosi), p. 355.
Fumagalli R.: Ali ed alati, p. 210.
Gemelli Agostino e Olgiati Francesco: Il ! programma del P. P. I Come è e come dovrebbe essere, p. 197.
Gentile Giovanni: Guerra c fede, p. 195.
Gentile Giovanni: Giuseppe Mazzini, p. 358.
Grillo N : La terminologia scientifica p. 211.
Griselle E.: Le bon combat, p. 367.
Hoffmam: Everiday Greek: Greek Wordes in English, p. 212.
lastrow M.: A Gentle Cynic. Being a tran- : slation of the book of Koheleth, com- ’ monly known as Ecclesiastes, p. 351. .
Kraeling William: Aram and Israel, p. 349.
Kulczycki S.: La questione degli Ebrei in Polonia, p. 212.
Lagrande M. J.: Le sens dn Christianism d’aprés l’exégèse allemande, p. 183.
Lavagnini A.: L'opera della vita dal punto di vista occulto, p. 375.
Legondre M.: La guerre et la vie de l’esprit, P- 367Lied Nigro: L’odierna civiltà, p. 2x1.
Livi Livio: Gli Ebrei alla luce della statistica, p. 75.
Lecchi V.: Le canzoni del Giacchio, p. 212.
Loisy Alfredo: La pace delle nazioni e la religione dell’avvenire, p. 157.
Marconi Enrico: Il monismo dal punto di vista della involuzione, p. 72.
Missiroli Mario: Polemica liberale, p. 193.
Muret Maurice: Pas d’illusion sur l’Allc-magne, p. 78.
Nallino C. A.: Appunti sulla natura del Califfato in genere c sul, presunto Califfato ottomano, p. 366.
Nosari Adone: Teo, p.’ 198.
Orano Paolo: L’Italia e gli altri alla Conferenza della pace, p. 209.
Orza M.: Il nuovo partito, p. 368.
Pagani Silvio: Filosofia dell’antivita, p. 74
Paribeni Roberto: Guerra e politica nel paese di Gesù, p. 206.
Pascal Carlo: Visioni storiche, p. 206.
Pascal Carlo: La critica dei poeti romani in Orazio, p. 376.
Peserico L.: Cronologia egiziana, p. 376.
Quaroni E.: L’arte e la vita morale, p. 375.
Rosadi Giovanni: Dopo Gesù, p. 201.
Roscoe Thayr W.: Il crollo del superuomo, p. 70.
Russo Luigi: La catarsi estetica, p. 70.
Russo Luigi: Vita e morale militare, p. 194.
Sadici- Gilbert T.: The Gnostic Story of. Jesus Christ, p. 2x0.
Saitta: Il pensiero di Vincenzo Gioberti, P- 357Santini Guido: Coscienza nuova, p. 71.
Santyvcs P.: Rondcs Enfantincs et Quétes Saisonnièrcs. Lcs Liturgies Populaires, p. 3<>o-
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INDICE PER RUBRICHE
V
Soter: La Religione del Cristo. Saggio di Cristianesimo esoterico, p. 363.
Trailo Erminio: I morti immortali, p. 376.
Ungania Emilio: Il problema dell’unità della materia e la sua soluzione, p. 359.
Vcrs un libre catholicisme, p. 210.
Vitanza Calogero: Dante e l'Astrologia, p. 2ZI.
Vorsté: Commentarius in Epistolas ad Thessalonicenses. p. 354.
Wcrry Dr. Memoria di un mullah convertito al cristianesimo, p. 374.
Zania Pietro: Le ore del mio pensiero, p.74.
fi) Le riviste.
Ageno F.: Un decreto di Ludovico Sforza, P- 373Allevi L-: La religione del Piceno Antico, p. 191.
Box G.: I Sadducei, p. 352.
Buonaiuti Ernesto: L’importanza degli studi religiosi, p. 74.
Carton (dott.): Genius Terrac Africae, p. 189.
Chiappelli Alessandro: Virgilio nel Nuovo Testamento, p. 192.
Idem.: Le teorie vitali dell’ante guerra e quelle ante vitali nel dopo guerra, P; 37XChristich Elisabetta: Il cattolicismo in Jugoslavia, p. 371.
Cumont Franz: Gli - hastiferi * della dea Virtù p. 189.
' Cumont Franz: Il tempio sotterraneo sulla Via Prenestina, p. 192.
! Forster D.: The Vital Choice, endor or .Calvary? p. 373.
Gatti E. c Fornari F.: Il tempio sotterraneo sulla Via Prenestina. p. 191.
Il santuario d’Israele in Silo, p. 351.
Macchierò V.: Dionysos Mystes, p. 189.
Id.: L’orfismo. p. 190.
Mainagc Th.: La nuova rivelazione, p. 373-Me Neil John: Il modernismo cattolico ed il dogma cattolico, p. 374.
: Morales San Martin B.: Santa Teresa di Gesù. p. 373.
| Moricca U.: La traduzione latina degli atti greci di Andrea e Matteo, p. 373.
Palmieri Aurelio: I problemi religiosi della Jugoslavia, p. 371.
! Pansa G.: Nuovo e singolare esempio dell’antichissimo rito dell'« Ossilegium »praticato sopra una statuetta di bronzo, p. 361.
Paribeni Roberto: Silvano e Mitra, p. 191.
' Loisy Alfred: La conversione di s. Paolo, P- 353• Romanelli P., Il culto di Giove, p. 189.
! Sgroi C.: Il « De Profundis • d’Oscar Wilde, P- 370Speck Frank G.: The functions of Wampum among the eastern Algonkian, p. 362.
Vernes M.: I serpenti di Esculapio, p. 191.
96
INDICE GENERALE
Agcno F. p. 373.
Akermann M.. p. 202.
Alifli, p. 205.
Allevi T., p. 191.
Allier Ruggero, p. 128. 133, 282. 287.
Ambrosi Luigi, p. 355.
Amorrei: L’impero degli A., p. 362.
Antico Testamento: {«'impero degli Amorrei, p. 362. - V. anche iiìbbia.
Aram: A. e Israel, p. 349.
Arca: Efod c A., p. 350.
Arnold W., p. 350.
Autin Albert, é. 179.
Bacco: Dionysos Mystes. p. 189.
Barbasse Henry, p. 208.
Bcnclli Sem, p. 212.
Bertrand A. N., p. 211.
Bertrand L., p. 201.
Bibbia: Virgilio nel Nuovo Testamento, p. 192; Studi biblici (L'idioma degli Etéi — Aram e Israel — Efod e Arca -Il santuario mosaico — L’Ecclesiaste — I Sadducei — La conversione di San Paolo — Ai Tessalonicesi), p, 349.
Blasco Ibanez V., p. 370.
Bois Henry, p. 202.
Bouiroux Emilio, p. 202.
Box G.. p. 352.
Breccia E., p. 211.
Brunelli Bruno, p. 3x6.
Buonaiuti Ernesto, p. 374.
Calabi Augusto, p. 204.
Califfato: Il C. e la politica coloniale, 1 p. 366.
Campagnac E. T„ p. 367.
Carton (dott.), p. 189.
Casais y Santalò Joseph, p. 372.
Casalis Alfredo, p. 133. 136. 280, 285.
Catarsi: La C. estetica, p. 70.
Cclairc H„ p, 211.
Cellericr Henry, p. 196.
Geriti» Vincenzo, p. 14, 261.
Chiappali Alessandro,' p. 192, 371.
Christich Elisabetta, p. 371.
Clay Albert T.. p. 362.
Conan Doyle Arthur, p. 373.
Cornei Auquier Andrea, p, 130, 134, 139.
280, 283. 285. 288, 290, 292. 294.
Costa Giovanni, p. 2, 77, 95, 1S3. 201. 202, 206.
Crespi Angelo, p. 373.
Cristo: La visione del C., p. 301; 11 C. imprigionato, di W. S. Burton, tavola tra le pag. 300 e 301.
Cuche Adolfo, p. 133. 136, 286.
Cultura: Per la C. dell'anima, p. 57, 151, 301.
Cumont Franz, p. 189. 192.
Da Vinci I«eonardo: La visione morale della vita in L. d. V., p. 82. 216.
Della Seta Ugo, p. 82, 216.
Dell'Isola M„ p. 161, 311.
Del Vecchio G.. p. 212.
Dempsey T.» p. 190,
Dio: La visione di D., p. 57.
Diritto Canonico: Mancanza di garanzie nello schema e nel nuovo codice di D. C., p. 45, 142.
Droulers A., p. 211.
Ecclesiaste (I’), p. 351.
Efod: E. e Arca, p. 350.
Ercole: Giove ed E. {contributo allo studio della religione romana nell'impero), P- 2, 95.
Escande Gustavo, p. 132. 137. 282. 289. 292, 293.
Esculapio: I serpenti di E„ p. 191.
Etéi: L’idioma degli E., p. 349.
Etica: L’ a E. della simpatia ■ nella » Teoria dei sentimenti morali • di Aliamo Smith, p. 27, 246.
97
INDICE GENERALE
VII
Etnografia, p. 360.
Facchini Domenico, p. 208.
Faivre F., p. 189.
Fant P. A., p. 212.
Fasulo Aristarco, p. 61, 151.
Fichte: L’idealismo etico di F.» p. 355.
Filosofia: L’ « Etica della Simpatia * nella - Teoria dei sentimenti morali 0 di A-damo Smith, p. 27, 246; Rassegna di F. religiosa (Il crollo del superuomo — I-a catarsi estetica — Vita, pensiero e scuola — Involuzione c monismo — Libertà e solidarietà — Misticismo idealistico — Pessimismo post-bellico), p. 70; La visione morale della vita in Leonardo da Vinci; p. 82, 216; Positivismo, F. pura. Religione, p. 109; F. politica, (Il Papa in guerra —- Vita e mora le militare — Guerra e Fede — Nazionalismo — L’autonomia politica del P. P. I.), p. 193; Intelletto e ragione, p. 229; F. morale (L’idealismo etico di Fichte — La dottrina della morale — La F. di Vincenzo Gioberti — L’unità della materia), p. 355.
Flammarion Camillo, p. 80.
Fontaine Vive Giovanni, p. 129, 132, 137, 285. 288. 290.
Fornari F„ p. 191.
Forster D., p. 373.
Fumagalli R., p. 210.
Gatti E., p. 191.
Gemelli Agostino, p. 197.
Gentile Giovanni, p. 195, 358.
Gioberti Vincenzo: La filosofia di V.G., p.357.
Giove: G. ed Ercole (contributo allo studio della religione romana nell'impero) p. 2. 95; Il culto di G.. p. 189.
Giulio Benso Luisa, p. 165.
Graf Arturo: Sensi e pensieri nella poesia di A. G., p. 118.
Grassi Carmelo, p. 372.
Grillo N„ p. 2ix.
Griselle E., p. 367.
Hamsun Knut, p. 370.
Hoff marni. p. 212.
Hoyos y Vinent Antonio, p. 370.
Hrozny (prof.), p. 349.
lastrow M., p. 351.
Intelletto: I. c ragione, p. 229.
Israel: Aram e !.. p. 349.
Kligenbiel Giovanni, p. 287, 292.
Kraeling Guglielmo, p. 349.
Kulczycki S.. p. 212.
i I^grangc M. J.. p. 183.
Lauga Maurizio, p. 136.
! Lavagnini A., p. 375.
Lattes Dante, p. 75.
Legcndre M., p. 367.
Lesca Giuseppe, p. 118.
Libertà: L. e solidarietà, p. 73.
Lieo Nigro. p. 211.
Livi Livio, p. 75.
Loisy Alfred, p. 157, 353.
. Lutero: UnoscrittodiMartin Lutero, p. 295. Luzzi Giovanni, p. 57, 301.
Macchioro V., p. 189, 190.
Manacorda G., p. 376.
Marconi Enrico, p. 72.
Massip Giovanni, p. 137, 287.
Materia: L’unità delia M., p. 359.
Mazzini Giuseppe, p. 358.
Me Neil! John T., p. 374.
Meille Giovanni, p. 127, 280. 306.
Missiroli Mario, p. 193.
Misticismo: M. idealistico, p. 74.
Mitra: Silvano e M., p. 191.
Modernismo: L’essenza del M., p. 14, 261; Il M. cattolico e il. dogma cattolico, P- 374Monismo: Involuzione e M., p. 72. Monod Giovanni, p. 287, 290.
Morale: L' « Etica della Simpatia » nella « Teoria dei sentimenti morali » di A-damo Smith, p. 27, 246; La visione morale della vita in Leonardo da Vinci, p. 82, 216; Vita c morale militare, p. 195; Filosofia morale, p. 355.
Morales San Martin B., p. 372.
Moricca U.. p. 373.
Muret Maurice, p. 78.
Murri Romolo, p. 340, 373.
Rallino C. A., p. 366.
Nazionalismo, p. 196Nazzari R., p. 229.
Neopitagorici, p. 192.
Nosari Adone, p. 198.
98
Vili
BILYCHNIS
Nuovo Testamento: Virgilio nel N. .T., p. 192; La religione del Cristo, p. 363. V. anche Bibbia.
Olgiati Fr.. p. 197Oracolo: I/O. delfico, p. 190.
Orano Paolo, p. 109. 209.
Orfismo, p. 190.
Orza M„ p. 368.
Pagani Silvio, p. 74.
Palmieri Aurelio, p. 371.
Pansa G., p. 361.
Paolo (san): La conversione di San Paolo, P- 353Papa: Il P. in guerra, p. 193.
Paribeni Roberto, p. 191, 206.
Pasca) Carlo, p. 206, 376.
Pascoli Giovanni: Fingendo di rileggere P., p. 229.
Pedagogia: Vita, pensiero e scuola, p. 71; Ia costituzione dell’impero tedesco e la legislazione religiosa e scolastica, p. 338.
Peserico F.. p. 376.
Pessimismo: P. post-bellico, p. 74.
Pfeiffer Roberto, p. 362.
Pioli Giovanni, p. 27, 157, 246, 367.
Politeo Giorgio; p. 79.
Politica: P. Vaticana ed azione cattolica (Cronache}, p. 64, 171, 343; Filosofia politica, p. 193.
Positivismo: P., Filosofìa pura. Religione P- 109.
Protestantesimo: II P. in Francia nel secolo XVI, p. 179. Psicologia: P. di combattenti cristiani, p. 127, 280; Storia e P. religiosa, p. 179.
Puglisi Mario, p. 179.
Quadrotta Guglielmo, p. 64.
Quaroni E., p. 375.
Ragione: intellètto è R.. p. 229.
Religione: Per la cultura dell'anima, p. 57, 151, 301: Rassegna di filosofia religiosa, p. 70; Positivismo, filosofìa pura, R., p. 109; La pace delie nazioni e la R. deH’avvenire, p. 157; Storia e psicologia religiosa, p. 179: La R. nel Piceno antico, p. 191; La R. nella letteratura, p. 198; R. e questioni sociali, p. 202, 367; Forme di degenerazione religiosa in tempo di guerra, p. 321; La R. del Cristo, p. 363.Romanelli P., p. 189.
Rosadi Giovanni, p. 201.
Roscoe Thayer W., p. 70.
Rossi Mario, p. 244.
Russò Luigi, p. 70, 194.
1 Rutili Ernesto, p. 321.
Sadducei, p. 352.
Sadler Gilbert T„ p. 210.
Saintyves P., p. 360.
Saitta, p. 357.
Santini. Guido, p. 71.
Schneider Edoardo, p. 316.
Schwarz Lina. p. 313.
Secrétan Charles, p. 73.
Sgroi C„ p. 370.
Silvano: S. e Mitra, p. 191.
Simpatia: L’ « Etica della S. • nella « Teoria dei sentimenti morali o di Adamo Smith p. 27, 246.
Sionismo: Gli ebrei alla luce delia statistica, p. 75; Gli ebrei in Italia, p. 244.
Smith Adamo, p. 27, 246.
Solidarietà: Libertà e S-, p. 73.
Stck Frank G., p. 362.
Storia delle religioni : Giove ed Ercole (contributo allo studio della religione romana nen’impero), p. 2, 95; Storia e psicologia religiosa, 179; Religioni del mondo classico, p. 189; Cristianesimo c Impero in due recenti romanzi, p. 201; Tertulliano, p. 202; Il Califfato e la politica coloniale, p. 366.
Superuomo (Il crollo del), p. 70.
Teresa di Gesù (santa), p. 372.
Tertulliano, p. 202.
Teyssaire Giorgio, p. 134, 287.
Tosatti Quinto, p. 171. 343.
Troilo Erminio, p. 376.
Tucci Paolo, p. 295.
Verncs M., p. 191.
Vinay Arturo, p. 314.
Virgilio: V. nel Nuovo Testamento, p. 192.
Virtù: Gli « hastiferi » della dea Virtù, p. 189.
Vitanza Calogero, p. 211.
Vorsté (p.). p. 354.
Ungania Emilio, p. 359.
Wagner Carlo, p. 153.
Werry (dr.), p. 374.
Whittinghill Susy B., p. 3x5.
Wilde Oscar: Il « De profundis • di O. W., P- 3/0Zama Piero, p. 74.
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ISTITUTO PER LA PROPAGANDA
---------DELLA cultura italiana------------------Campidoglio, 5 - ROMA - Telefono 78-47
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