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BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
Anno VII:: Fasc. XI-XII
NOV.-DICEMBRE 1918
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 30 NOVEMBRE-31 DICEMBRE 1918
DAL SOMMARIO: ARISTARCO FASULO: Brevi motivi d'una grande sinfonia (Della Provvidenza) - D1NO PROVENZAL : L'anima religiosa d'un eroe italiano - LUISA GIULIO BENSO: il sentimento religioso nell'opera di Alfredo Oriani (Parte II) - ROMOLO MURRI: Giuseppe Tomolo — G. E. M. : La scomparsa di un profeta americano - RAOUL ALUER : Il Cristianesimo e la Serbia — CARLO WAGNER: Preghiere - CARLO WAGNER: "Tutto a tutti..." - Kocf profetiche : Il desiderio dei malvagi perirà (ISAIA) ; Al popolo italiano (RAFFAELE SALUSTRI; Una coscienza etica mondiale (Presidente del Consiglio ORLANDO); L'avvenire delle nazioni e la religione (GIORGIO TYRRELL) - LEONE LUZZATTO e ARTURO VlNAY: Osservazioni sulle previsioni di qui quondam - A. FASULO: A proposito di Riforma - DANTE LATTES: L’organizzazione degl'cbraicisti d'America; La psicologia del ragazzo ebreo d’America e la sua educazione; Hermann Kohen come pensatore ebreo - AUGUSTO GUZZO: Due libri di cristologia -A. DE STEFANO: ’L'Eterno Convito" - m.: Rassegna di filosofìa religiosa -MARIO PUGLISI : Storia e psicologia religiosa - GIOVANNI PIOLI - Pel IV Centenario della nascita della Riforma.
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BILYCHNIS rivista mensile di studi religiosi
—- * .7 _ < < < < FONDATA NEL 1912 > ► > >
CRITICA BIBLICA - STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA PEDAGOGIA
FILOSOFIA RELIGIOSA MORALE - QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELI-GIOSO * LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL'ESTERO * SI PUBBLICA LA FINE DI OGNI MESE.
REDAZIONE: Prof. Lodovico PASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WH1TTINGHILL, Th. D„ Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 7; Per l'Estero, L. 10; Un fascicolo, L. 1.
(Per gii Stati Uniti e per il Canadà è .autorizzato ad erigere gli abbonamenti il Rcv. A. Di Domenica. B. D. Pastor, 1414'Cosile Ave. Phlladelphla, Pa. (U. S. A.)].
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NOVITÀ
È uscito il 9° volume della Biblioteca di Studi Religiosi edita dal Dr. D. G. WHITTINGHILL
GESÙ DI NAZARETH
STUDIO STORICO CRITICO
di PIETRO CHIMINELLI •
autore del voi. Il n Padrenostro ” e il mondo moderno.
Il volume comprende i seguenti capitoli:
1. Il mondo al tempo della nascita di Gesù.
II. Il paese di Gesù.
III. La Madre di Gesù.
IV. Gli anni silenziosi di Gesù.
V. La predicazione di Gesù.
VI. Le Parabole di Gesù.
VII. I principali insegnamenti di Gesù.
Vili. Gli “ agrapha 99 o le parole di Gesù non registrate.
IX. I miracoli di Gesù.
X. Le riforme operate da Gesù.
XI. L’ultima settimana della vita di Gesù.
XII. Oltre la tomba.
Il voi. di óltre 500 pagine si vende al prezzo di L. 4.
Rivolgersi alla Libreria Ed. Bilychnis, Via Crescenzio, 2 - ROMA.
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BILYO1NI5
R.M51A DI SlVDi RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTÀ DELIA 5CVOLATEOLOGICA BATTISTA
-.DI ROMAAnno settimo - Fascio. Xl-XII
Nov.-Dic. 1918 (Vol. XIl.*5-ó)
SOMMARIO:
ARISTARCO Fasulo : Brevi motivi d’una grande sinfonia (Della Provvidenza) .....................................................Pag. 2i8
Dino Provenzali L'anima religiosa di un eroe. ....... » 232
' Luisa Giulio Benso: ir sentimento religioso nell’opera di Alfredo
Oriani — Parte II................» 242
Romolo Murri: Giuseppe Tpniolo................................. • 269
G. E. M. : La scomparsa di un profeta americano................. - 273
Raoul Allier: Il Cristianesimo e la Serbia............... » 276
PER LA CULTURA DELL’ANIMA : ' ’ /
Carlo Wagner : Preghiere.........................., ... . > 279
In memoria di Elena Paschetto-Davio (Tav. tra le pag. 280 e 281).
Carlo Wagner: “Tutto a tutti... „ (Sermone)....................» 281
Voci profetiche: Il desiderio dei malvagi perirà (Isaia) - Al popolò italiano (Raffaele Salustri) - Una coscienza etica mondiale (Presidente del Consiglio Orlando) - L’avvenire delle nazioni e
la religione (Giorgio Tyrrell).................................-285
NOTE E COMMENTI :
Leone Luzzatto e Arturo Vinay: Osservazioni sulle previsioni, di qui quondam . . . . . . . . f............................... 290
A. Fasulo: A proposito di Riforma . . .........................* 292
CRONACHE:
Dante LATTES: Note di vita e di pensiero ebraico (IV): L’organizzazione degli ebraicisti d'America — La psicologia del ragazzo ebreo d’America e la sua educazione - Herman Kohen come pensatore ebreo ................................................ > 294
TRA LIBRI E RIVISTE :
Augusto Guzzo :• Due libri di cristologia.....-................ > 208
A. De Stefano: ‘'L’Eterno Convito.............................. . 301
m. .• Rassegna di filosofia religiosa (XXIV) : Igino Petrone - L’etica di I. Petrone - L'ascetica - Letteratura pura - Due pre-modernisti - Religione * 303
Mario Puglisi: Storia e psicologia religiosa (li): La dottrina del Budda e
i moderni buddisti - Il buddismo e Pavvenire della giovane Asia Fasi del buddismo moderno - Studi recènti intorno alla preghiera La preghiera nelle religioni primitive - La preghiera nelle antiche
civiltà - Valore etico della preghiera..•................. » 3«,
Giovanni Pioli : Pel IV centenario della nascita della Riforma - (V): Aspetti
dottrinali, teologici, rituali della Riforma luterana..... ■ 315
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BREVI MOTIVI DUNA GRANDE SINFONIA
(della provvidenza)
a qualche tempo in qua abbiamo avuto occasione di 'sentire — segnatamente dòpo il dolore di Caporetto — voci di uomini politici italiani intonarsi ad una interpretazione degli eventi umani alla quale non eravamo assuefatti in Italia da lungo tempo; voci che, sia pure in maniera vaga, sono all’unisono con la più autentica filosofia cristiana della vita, la quale, com’è noto, poggia su due cardini fondamentali: i° il dolore fa parte della pedagogia divina: « essendo al presente un poco,
se così bisogna, contristati in varie tentazioni. Acciocché la prova della fede vostra, molto più preziosa dell’oro che perisce, e pure è provato per lo fuoco, sia trovata a lode ed onore e gloria nell’apparizione di Gesù Cristo » (i). E ¡'Apostolo Paolo asserisce: a La tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che mena alla salvezza... •> (2).
2° Gli eventi umani non sono abbandonati al caso, ma sono al contrario guidati da un Dio provvido: «Cinque passere - lasciò detto Gesù — non si vendono almeno per due quattrini? e pur ninna di esse è dimenticata appo Iddio. Anzi eziandio i capelli del vostro capo sono tutti annoverati... » (3). E l'Apostolo commenta: « Or noi sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio... » (4).
(•) Questo scritto è stato composto alcuni mesi or sono, quando gii eventi non lasciavano affatto prevedere la grandiosa vittoria degl'Italiani e degli Alleati. Tutf altro! Voleva essere una- parola di fede, un modesto contributo alla resistenza morale del Paese nell'ora più grigia della sua storia. Lo pubblichiamo senza ritoccarlo pensando che i felicissimi avvenimenti di questi ultimi mesi, che hanno riportato la luce e la speranza sul mondo angosciato, costituiscano la più eloquente illustrazione del concetto fondamentale che lo informa, Vi aggiungiamo soltanto qualche breve nota. ■ A. F.
<x) 1® Pietro I, 6-7.
(2) 2® Corinti VII, io. Gir. pure le Beatitudini di Gesù. — 12 Matt. V.
(3) Luca, XII, 6-7.
(4) Ròm. Vili, 28.
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BREVI MOTIVI D’UNA GRANDE SINFONIA x 219
Codesti concetti cristiani or non è molto sono stati affermati, in forma assai vaga certo, da due uomini ¡»olitici italiani di parte diversa: fon. Orlando, Presidente del Consiglio, e l’on. Giuseppe Canepa. A noi questo è sembrato degno di rilievo come indice, sia -pure ancor pallido, di una maggiore profondità spirituale(il che poi significa una maggiore serietà di cultura) nel nostro Paese, in confronto di un passato assai prossimo a noi. In passato, una qualsiasi professione di fede nella Realtà invisibile sarebbe andata incontro inevitabilmente ai sarcasmi faciloni dei pretesi spiriti forti, i quali però generalmente fanno pensare irresi<tibilmente a quanto il Macaulay scrisse del marchese d’Argens, uno degli amie: favoriti di Federico il Grande di Prussia: « apparteneva a quella abietta categoria di menti che sono superstiziose senza essere religiose. Mentre odiava il Cristianesimo con un rancore che lo rendeva incapace all’indagine razionale, inadatto a scorgere nel-l’armonia e bellezza dell’universo le tracce della sapienza e della potenza divina, egli era lo schiavo dei sogni e dei vaticini, non si sarebbe seduto a tavola con tredici commensali, avrebbe impallidito se il sale si fosse rovesciato verso lui, pregava i suoi ospiti di non incrociare i coltelli e le forchette sui loro piatti, e non * avrebbe, per nessuna cosa al mondo, iniziato un viaggio di venerdì » (i).
0 Lord Macaulay, Frederic thè Great, in Criticai and Hi storica! Essays, pag. 676.
questo saggio, scritto nel 1842. il Macaulay ricorda pure — c vale la pena riferirlo in questi momenti — il nessun rispetto che Federico di Prussia aveva per i trattati che. all’occorrenza si trasformavano anche per lui, come per gli Hohenzollern «lei nostri giorni, in semplici « pezzi di carta 0. Alla morte di Carlo VI imperatore, il re di Prussia dichiarò — come gli altri principali sovrani d’Europa -- di riconoscere la Prammatica Sanzione con la quale l’imperatore defunto lasciava il suo trono alla figlia Maria Teresa. Anzi, secondo il Macaulay « da nessun altro la giovine regina di Ungheria ricevette più calorose dimostrazioni di amicizia ed aiuto che dal re di Prussia ». Ma poco dopo, mentre Maria Teresa riposava fiduciosa • nella sua alta professione d’integrità e filantropia « il re di Prussia: «senza alcuna dichiarazione di guerra, senza domanda di una qualsiasi riparazione, anzi mentre ostentava complimenti e dichiarazioni di buona volontà, iniziò le ostilità ». Conquistata poi la Slesia a cui mirava. Federico trattò la pace separata con l'Austria — alla quale addivenne col trattato di Berlino — non tacendosi alcuno scrupolo di abbandonare i suoi alleati Francesi e Bavaresi, i quali potettero essere condotti a mal partito dagli eserciti di Maria Teresa-, ormai liberata dalla minaccia prussiana. Qualche tempo dopo tuttavia la corte di Versaglia — continua il Macaulay — venendosi a trovare in una condizione assai peri colosa per i rovesci dei propri! eserciti, abbandonati dai Prussiani, guardò di nuovo a Federico per aiuto. Tanto « egli si era reso reo di due grandi tradimenti: forse avrebbe potuto essere indotto a commetterne un terzo ». Infatti il re di Prussia — non per amore dei Francesi, ma solo guardando al proprio tornaconto' — perpetrò tranquillamente il terzo tradimento. Se Maria Teresa avesse continuato a vincere, egli pensava, forse si sarebbe rivolta anche contro di lui per punirne la slealtà: •« La coscienza di Federico — prosegue il critico inglese —.gli diceva che egli si era comportato perfidamente ed inumanamente verso la regina di Ungheria. Che ella fosse fortemente risentita non era a dubitare; c in quanto al rispetto della regina per i trattati, egli ne giudicava dal proprio cuore. I trattati, egli diceva, erano semplici filigrane, graziose A VEDERSI, MA TROPPO FRAGILI PER SOPPORTARE LA MINIMA PRESSIONE »! (GuarantCCS. he said, ¡vere mere filistee, prctty to look al, bui too britile lo bear thè slighlest pressure).
Perciò egli lacerò anche il trattato di Berlino c < senza avviso, senza alcun pretesto decente, ricominciò le ostilità... ».
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Oggi le .cose vanno cambiando in meglio. Forse vi ha contribuito in parte il fatto che i due uomini più autorevoli e rappresentativi dell’Intesa sono uomini di fede illuminata e positiva: Lloyd George e il Presidente Wilson. Nel suo di' scorso al Senato (sedata del 4 marzo 1918) fon. Orlando così si è espresso parlando della sciagura di Caporetto: « Se, come ha detto il senatore Raffini, la storia ' ha giudicato che Novara era pur necessaria, forse un giorno la storia dimostrerà che non tutto è danno nella sventura di Caporetto. Di una importanza incomparabilmente minore era stato il rovescio di Adua: eppure parve allora che sull’anima del nostro popolo si diffondesse come un senso di annientamento e di suicidio; ma negli anni successivi l’anima nazionale si venne fortificando e ritemprando; c le virtù che cementano definitivamente l’unità nazionale, la guerra le ha rilevate non tanto nel primo impeto degli entusiasmi e nell’ebbrezza delle prime vittorie così aspramente contrastate, quanto piuttosto nell’ora della sciagura, allorché potè per un attimo solo, in un momento solo di scoramento, svanire il dolore delle durate fatiche e dei sacrifici sopportati, e sembrar vanamente perduto il sangue generoso sparso dai figli d’Italia.
Se questa dura, tremenda prova era dunque necessaria, se era destino che il popolo odierno d’Italia per esperimento crudele sapesse .che cosa significhi invasione dello straniero, una ragione di fiero conforto possiamo ormai trarne. E mentre perchè Novara si potesse dire non vana, occorsero lunghi anni di oscura angoscia e di espiazione dura, noi fin d’ora possiamo invece dire che non vana è stata per noi Caporetto; perchè, se ci ha duramente scossi, ci ha ritrovato in ¿piedi, guardando in faccia il nemico *.
Analogo linguaggio, in forma più accentuatamente mistica, usarono i deputati romani del neo Parlamento eletto sotto Pio IX, in seguito alla disfatta di' Custoza nel 1848. In quella triste circostanza, il- Consiglio dei Deputati dello Stato pontificio lanciò un appello agli Italiani, in cui il dolore era contenuto dalla fede nei destini d’Italia. Fra l’altio in quell’appello era detto: « Nell’ultima prova della rabbia straniera la fortuna non ha sorriso al valoroso esercito italico, e al-l’Augusto Capitano, che ritempra la Corona al fuoco della libertà, e la spada degli Avi nel sangue degli oppressori d’Italia. Iddio ha voluto col mezzo della sventura purificare le anime nostre. Iddio provvidente non ha permesso che la prosperità ci snervi e corrompa e, con un salutare palpito di timore, ha in hoi rinvigorita la coscienza del dovere: sacro dovere, o fratelli, il far libera, una e tórte l’Italia » (1).
(x) Questo interessantissimo documento, che crediamo inedito, lo abbiamo letto all’Archivio di Stato di Róma, tra i documenti della Repubblica Romana 1849, Voi. Il, fascicolo 4. Esso merita di essere riprodotto per intero, poiché offre una prova'ricca . di forza persuasiva — perchè parla al cuore — in dimostrazione della necessità storica per la quale l'Italia è scesa in campo con le nazioni dell'Intesa in questa guerra. Essa non ha.fatto che riprendere una partita che aveva dovuto lasciare interrotta, precisamente come aveva fatto nelle guerre precedenti di liberazione. L'appello che qui riproduciamo, lanciato dai deputati romani nel 1848. è freschissimo ancora oggi, tanto che potrebbe sembrare.scritto dopo il dolore di Caporetto. Le esortazioni alla
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' • •
Le parole dell’on. Canepa, alle quali accennavamo dianzi, le leggemmo nell'articolo di fondo da lui pubblicato ne II Messaggero de! 27 febbraio scorso, sotto il titolo: « Mentre le file si stringono ». Ivi notammo la seguente considerazione: « La storia procede così pei le sue vie imperscrutabili, e volge, spesso, al bene avvenimenti dolorosi per cui le piccole anime trepide stavano per darsi alla disperazione.' Ma la storia cammina coi piedi degli uomini. Non sempre (purtroppo si è visto in questa guerra) essa riesce a suscitare uomini pari alle condizioni degli avvenimenti, ma talvolta ha la fortuna di staccarne qualcuno che diventa lo strumento di quella che un tempo si chiamava la Provvidenza e vale ad affrettare il giro della ruota ».
Per conto nòstro, non vediamo perchè alla bella parola antica «Provvidenza » si debba sostituire quella inespressiva di ■ Storia » in questo caso. Ma ce lo spie-resistenza ed all'unione ch’osso contiene superano, per potenza emotiva, tutto quanto abbiamo letto in Italia dopo la sventura dell’ottobre 1917. Ecco il documento che •torta un bollo con la scritta:
Archivio dell' Interno
CONSIGLIO 3441X
!W DEPUTAI! ' . Kona
■ Fratelli!
Nella Città eterna serbata da pio dopo tante glorie c sventure ad accendere nel .innovato secolo la fiamma della libertà nazionale, oggi il Parlamento Romano grida dal Campidoglio: la Patria è in pericolo!!!
È pericolo d'Italia à cui i Parlamenti italiani deggiono come una sola famiglia concordemente soccorrere. , •
Nell’ultima prova della rabbia straniera la fortuna non ha sorriso al valoroso esercito Italico, e all’Augùsto Capitano, che ritempra la Corona al fuoco della libertà, e la spada degli Avi nel sangue degli oppressori d’Italia. Iddio ha voluto col mezzo della sventura purificare le anime nostre. Iddio provvidente non ha permesso che la prosperità ci snervi c corrompa, e con un salutare palpito di timore ha in noi rinvigorita ia coscienza del dovere; sacro dovére, o Fratelli, il far libera, una e forte l’Italia!
Uno sia dunque il pensiero, correre alle armi e combattere;, uno il proponimento: vincere. Concordi i Parlamenti, collegati i poteri, riunite quante sono milizie sotto la bandiera nazionale noi porremo fine una volta all'ignominiosa dominazione degli stranieri. Nelle reggie, nei palazzi e nei tuguri votiamoci tutti a Dio; perchè salvi la patria. Cessiamo, cessiamo, principi e popoli.' le antiche e le recenti discordie, nelle quali soffia l'aulica perfidia, cessiamo le infelici gare, le miserabili invidie municipali, l’osteggiare di una provincia contro l’altra, il contendere di forine c di sistemi politici. La nostra sola contesa è contro chi contrasta all'Italia il santo diritto della nazionalità. Fatto >1 sacramento d’italica concordia, stretti al patto nazionale, dignitosamente possiamo Ki, come rappresentanti dei Popolo, indurre i Governi nostri a stringere onorevoli anze con le altre Nazioni libere a gran prò dell'universa civiltà cristiana, la quale .•«'informa dei comuni principi di fratellanza, di libertà c di nazionalità.
Questo nostro messaggio, ispirato da carità d’Italia, valga, o Fratelli, ad unità morale dei Parlamenti italiani, onde si apparecchi la vittoria, e quella unione, la quale deve venire suggellata con permanenti istituzioni in una Dieta nazionale.
Intanto un Rappresentante di tutti i nostri Parlamenti stia, quasi anima c mente <lel Popolo, in mezzo alle schiere italiane, potente stimolo a! valore, mezzo agli accordi, aiuto a provvedimenti uniformi.
E questo messaggero dei voti c dei pensieri del Parlamento romano giovi sin d'ora a comporre in una .tutte le nostre volontà, ed il Iraterno abbracciamento, che vi reca, sia abbracciamento di tutte le animo italiane, e l’Italia, starà •».
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ghiaino con l’abbassamento di tutti i* valori religiosi prodotto in Italia dalla religione cattolica dominante, la quale, caduta da secoli in un formalismo vuoto, privo di ogni genuino palpito spirituale, ha suscitato per inekittabile conseguenza la più viva riluttanza, da parte delle persone colte, all’usa del frasario cristiano. Anche Giovanni Bovio — l’ultimo, in ordine cronologico, dei grandi pensatori italiani, per ricchezza straordinaria di erudizione accoppiata a vera originalità c profondità di pensiero — usò talvolta espressioni astratte, di una bellezza scultorea come tutte le sue sentenze ed epigrafi, per indicare concetti equivalenti a quello cristiano di Provvidenza. Nel suo volume sulla Storia del Diritto, in Italia così si espri ne il filosofo pugliese, procedendo a passi maestosi, tanto peculiari al suo stile: « Nella parte teoretica ho dimostrato che, dove il caso o l'arbitrio finisce, ivi'comincia la scienza; la quale, dunque, comincia con la Necessità, che, non veduta, si chiama comunemente Caso; personificata si chiama Nume; esplorata si chiama Legge. Una legge necessaria che, derivata nelle sue conclusioni, genera gli assiomi e non patisce eccezioni, non sospensione, nè forza di miracoli: è universale; e però siede al governo così della natura come della storia. La libertà, dunque, non consiste nello stravolere, ma nel volere secondo quella Necessità universale, secondo quella misura immobile che i volenti conduce, ,i nolenti trascina, i resistenti macera » (i).
Le parole « Storia », * Necessità », « Legge di Natura « non dicono in sostanza nulla di più e di meglio della Vecchia parola cristiana « Provvidenza«. E quando' si pensi che la fede nella Provvidenza è stata il principale conforto dei più autentici benefattori dell'umanità, dal Cristo a Giuseppe Mazzini, non si comprende perchè non debba riesumarsi, anche da parte di coloro che non professano alcuna religione positiva, « quella che un tempo si chiamava la Provvidenza », dal momento che si sente il bisogno di usare vocaboli di significato più o meno equipollente. Noi crediamo che ne deriverebbe sullo spiritq^pubblico una più profonda capacità di comprensione riguardo a tutti gli eventi umani, ed una più ampia inclusione dei valori morali come elementi di giudizio e di azione per ciò che riguarda la vita politica e sociale, oltre che individuale.
La pretesa politica realistica di qùesti ultimi tempi ’in tutto ¡1 mondo, non è stata viceversa che una politica miseramente empirica. La situazione disastrosa in cui la pretesa politica realistica ha portato il mondo intero ha già suscitata
(i) Giovanni Bovio, Disegno d'una Storia del Diritto in Italia, cap. Delle Utopie ■ . pagina 16.
È interessante anche ricordare che Giov. Bovio non amava nè la parola nè l'indi’ rizzo positivista, pur tanto in voga ai suoi giorni. Egli giudicava ristretto il positivismo in quanto che esso o non riconosceva l'utilità dell’analisi psicologica come m«v-. todo di conoscenza (A. Comte) o relegava neH'™a»i<Kri&fZi una parte di ciò che è in natura (Spencer). Egli preferiva là parola naturalismo. - La parola stessa positivismi per noi è un equivoco: scientificamente ci suona semplice reazione alla metafisica, e moralmente dice negazione di ogni elevato ideale. La parola è sciupata. Il naturalismi dura quanto la natura, ed è proprio nelle nostre tradizioni, nel nostro indirizzo e nel nostro genio«. (Giov. Bovio., idem, pag. 77).
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BREVI MOTIVI d’VNA GRANDE SINFONIA 223
una reazione: oggi più che mai si sente il bisogno di mettere in luce i motivi ideali su cui poggia la presente guerra, segnatamente da parte dell’Intesa. E ciò è dovuto principalmente all’azione svolta da un uomo'che crede piamente e positiva-mente nella Provvidenza, e non si vergogna di proclamarlo: il Presidente Wilson.
A questo proposito, ricordiamo alcune considerazioni scritte alcuni anni fa da una delle più autentiche guide intellettuali dell’Italia odierna: Benedetto Croce. Nel fascicolo di novembre 1911 de La Critica, il Croce scrisse una nota, nella rubrica Varietà, intitolata: « Fede e Programmi ». ivi, prendendo le mosse dal vario numero di partiti che in quei giorni erano sorti, scrisse: «Non mai come.da alcuni anni in qua, sorgono in Italia, e si accalcano l’uno sull’altro, nel campo sociale e politico, programmi di ogni sorta: riformistici e sindacalistici, democristiani e demomassonici, nazionalistici e liberistici; e, insieme con essi, grandiosi disegni di associazioni e d'istituzioni per intensificare la cultura e rendere alfabetica quella parte del popolo che è ancora analfabeta per la difesa e offesa nazionale, e via dicendo ». Più oltre continuava: « Dico il vero: a me. nell’ascoltare quelle baldanzose affermazioni d’orientamento e neH’avvertirt insieme l’effettivo disorienta mento, nasce il dubbio che siano stati scambiati e confusi i programmi con la fede ». Ed ancora: « Il rapporto tra programmi e fede è, dunque, che questa precede quelli e li genera: e, quando essa manca, invano si tenta di surrogarla con programmi grandiosi, come un edilìzio senza fondamenta non si rafforza con i coronamenti architettonici e con le decorazioni ». Qualche pagina dopo proseguiva: « È necessario mutare strada e ricorrere al procedimento inverso: prima la fede, poi i programmi, prima l'animo pronto, poi il braccio vigoroso...
« Si obietterà che questa disposizione di spirito, questa fede morale, presuppone, a sua volta, una religione... Ebbene... questa fede ¿»iste, indipendentemente dalle religioni, in molti e anzi, in grado maggiore o minore, in tutti gli uomini; ed è essa che (ne abbiano o no piena consapevolezza) li anima nelle fatiche, li fa rassegnati nei dolori, moderati nella prosperità, coraggiosi nell’aff ron tare le difficoltà di ogni sorta.
■ L'abito religioso è perciò immortale; ed esso fa d'uopo coltivare negli animi, perchè si mantenga salda ed efficace la fede morale. Non c’è bisogno di questa e quella religione positiva, per elevare lo spirito a Dio, per credere alla Provvidenza, per sentirci sorretti e guidati, per pregare nell'intinto cuore ritraendone sollievo, per attingere forza nel cullo dei nostri santi e dei nostri morti. Una disposizione d’animo come questa sarà di pochi, almeno in forma coerente e cosciente? Pochi o molti, non importa: se pochi, quei pochi si riconosceranno tra loro e si sentiranno fra-' telli nella medesima opera, o, se piace un linguaggio meno umile, privilegiati di una medesima aristocrazia (1).
(1) La Critica. ¿0 novembre 1911. pagg# 390-396. Il corsivo di'alcune righe lo . abbiamo messo noi.
Siamo profondamente persuasi che quando in Italia si leggeranno più di frequente pagine serie come quelle qui ricordate del Croce: ed i problemi dello spirito saranno trattati con amore, competenza c sincerità, ed i giornali quotidiani avranno finalmente l’onestà di cestinare le superficiali, interessate articolesse in lode a freddo dell'istituto
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Per il Croce dunque, l'abito religioso, sanamente inteso, la fede nella Provvidenza, è indice di spirito aristocratico. È del resto quanto afferma la storia, i cui più splendenti luminari hanno attinto le loro più potenti energie precisamente dalla fede nella Provvidenza, la quale sola dà un significato al creato ed alla storia. È una fede che non può essere comunicata con argomenti razionali; i quali risultano in ogni caso inadeguati, ma produce sempre benefici frutti quando è sentita. Se si osserva, le grandi personalità che hanno agito sentendosi'sorretti e guidate dalla Provvidenza, non hanno mai inteso il bisogno di dimostrare la loro fede; hanno invece proceduto per afférmazioni, come di verità assiomatiche, che non hanno bisogno di dimostrazione. Ciò è facilmente comprensibile: siamo nel, campo dell'esperienza ineffabile, che faceva scrivere all*Apostolo Paolo: « Lo stesso spirito rende testimonianza allo spirito nostro, che noi siam figliuoli di Dio.» (i). I tentativi di dimostrazione, basati : sulla logica ordinaria, non servono in questo campo: al più possono essere utili per la rimozione di ostacoli alla fede, in quanto dimostrino che le obiezioni che ad essa fede si oppongono $on cose ben povere e meschine. Ben si comprende quindi Patteggiamento delle grandi personalità. Anche in Wolfango Goethe, ad esempio, si osserva una costante ripugnanza all'uso degli argomenti logici in questo campo: egli, credeva saldamente nella immortalità dell’anima, ma non amava che si tentasse dimostrarla. Ciò appare da vari passi dei suoi colloqui con l’Eckennann (2). In quanto all’esistenza di Dio è ben noto il brano del Faust (scena del Giardino) jiel quale iif sostanza il Goethe fa assumere al suo protagonista quello stesso atteggiamento che, nei suoi colloqui con lo Eckermann, troviamo più volte consigliato riguardo, all’altro massimo problema dello spirito, l’immortalità: n E tu riempi di questo ineffabile portento il tuo petto, e se ti senti allora pienamente beata - - dice Faust a Margherita - nominalo come tu vuoi: dillo felicità! dillo cuòre! Amore! Dio! Io non ho alcun nome per esso. Sentire è tutto; e non è il nome altro che suono ed ombra che offusca lo splendore che ne viene dal cielo ». Tutto è sentire! Ed il Goethe sentiva che non può essere il caso che presiede agli eventi in natura, come sentiva che Panima umana non può essere destinata all’annientamento: « L’uomo deve credere all’immortalità, egli vi hiudjritto; l’immortalità è m armonia con la sua natura... In me la ' convinzione della nostra sopravvivenza scaturisce dal concetto dell’attività. Poiché se io, sino alla fine non ho mai un momento di riposo, la Natura è obbligata ad assegnarmi un’altra forma di esistenza, quando quella presente non è più in grado di trattenere il mio spirito? (3). Dal che'appare che per il Goethe la Natura politico-religioso che dà il tono della bassa religiosità che purtroppo regna'nel nostro paese (come in ogni secolo è 'stato deplorato dai più forti geni e intelletti italici, da Dante a Machiavelli, a Mazzini, a De Sanctis...); allora soltanto l’Italia nostra riprenderà nel consesso dei popoli il »osto in prima linea che la sua superba storia, più chèli diritto, le impone il dovere di occupare.
(1) Rom. Vili, 16.
m , V P* EcKERMANfi- Colloqui col Goethe. Traduz. ¡tal. di Eugenio Donadoni. voi. I Cir. pagg. 99; T19; 305; 364..
(3) Idem, Ibidem, pagg. 305-6.
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non era una semplice forza cicca, ma una Rettrice illuminata, qualcosa di equivalente al concetto di Provvidenza. In un'altra occasione precedente aveva manifestato. in forma sentenziosa, la sua idea in maniera più esplicita. Data la sua ripugnanza alla discussione sopra questi argomenti, una breve sentenza assume il valore di una dimostrazione: « Goethe teneva spiegati davanti a sè i giornali di Berlino — ricorda TEckermann. — Mi parlò della grande inondazione di Pietroburgo, e mi porse il giornale, affinchè ne leggessi i particolari. Accennò poi alla infelice posizione di Pietroburgo e sorrise, rammentandosi di un'arguzia di Rousseau: -che neppure un terremoto distorrebbe dal fabbricare, una città nelle vicinanze di un vulcano. Ma la natura, conchiuse, procede per le sue vie: e quello che ci sembra un'eccezione, è la regola »(l).
In Bovio troviamo la Necessità, in Goethe la Natura. Il De Sanctis usò il termine Ragione per esprimere sostanzialmente l'identica Realtà: trattando della filosofia della storia, nelle sue lezioni di letteratura all’università di Napoli, il De Sanctis, dopo aver esposto in compendio la filosofìa della storia hegeliana, concludeva: « E almeno altri cinquanta sistemi di filosofia della storia ci sono, oltre quello dello Hegel, i quali con la loro presenza dimostrano che tale scienza esiste; e da essi tutti, come, da quello di Hegel, si ricava: che la ragione governa la storia, che la governa progressivamente, che questo progresso è subordinato al progresso dell'umanità e che questo concetto ¿ ancora oscuro »(2).
Non era però oscuro per il Vico il quale, com’è noto, lo pose a fondamento della sua scienza, come ripetè a varie riprese nella sua opera ch’egli stesso definisce: « una Teologia civile ragionata della Provvedenza divina * (3). Nella De----------------- \
(1) Idem, Ibidem, pagg. 132-133.
Questo stesso concetto è enunciato dal notissimo economista Carlo Gide. Nel volume Principi di Economia Politica (al cap. •< Le forze motrici ■>. pag. 83 della traduzione italiana) trattando del carbone nero e del carbone bianco, scrive: .< Per un fortunato caso, che un tempo, sarebbe stato considerato provvidenziale armonia c che certamente è dovuto a qualche causa incognita, i paesi più poveri di carbone nero sonò, invece, i più riccamente dotati di carbone bianco: in Europa, la Svizzera. l'Italia settentrionale. gli Stati scandinavi, che non possiedono carbon fossile, sono riccamente dotati di energia acquea, mentre l'Inghilterra, il Belgio c la Germania. ricche di miniere. hanno poche cascate e pochi corsi d'acqua donde sia possibile trarre forza motrice. Anche in America, il Canadà ed il I3rasilc. che sembra non possiedano. ca*bon tossile, possiedono enormi riserve di forza nelle loro cascate ».
Riguardo all’Italia un’identica osservazione fece non molti giorni or sono l’on. De Vito. Commissario generale dei combustibili nazionali. In un'intervista pubblicata nel Messaggero del 5 dicembre còrr. ebbe a dire: • Tornando ai combustibili nostrali, se tu poni 'mente alla distribuzione delle energie idro-elettriche prodotte in Italia èd a quelle dei nostri giacimenti lignitiferi, rileverai subito una provvidenziale corrispondenza. Gl’impianti di produzione sono in massima parte nellTtalia settentrionale, diminuiscono in quella centrale e divengono addirittura deficienti in quella meridionale ed insulare. Pei giacimenti lignitiferi accade inceve il contrario...
(2) V. La Critica, fascicolo del 20 .novembre <917: • Le lezioni di letteratura di IL De Sanctis ••. pag. 362.
(3) G. B. Vico, La Scienza Nuova nelle parti: •< Spiegazione della dipintura proposta al frontespizio che serve por Pinti eduzione dell’opera «1 Del Metodo » Corollari d’intorno agli aspetti principali di questa scienza 1».
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gnità VII egli chiarisce quel che intende per Provvidenza, docili aveva già affermata la necessità nella Degnità V contro le opinioni degli staici e degli epicurei, i quali « entrambi niegano la Provvedenza, quelli facendosi strascinare dal fato, questi abbandonandosi al caso... ». Nella VII dice: « Questa Degnità pruova esservi Provvedenza divina c che ella sia una divina mente legislatrice, la quale delle passioni degli uomini tulli attenuti alle loro private utilità, per le quali viverebbono da fiere bestie dentro le solitudini, ne ha fatto gli ordini civili per gli quali vivono in umana società ».
Questo nostro colosso del pensiero ci porta a ricordare' quei che pensava in proposito un altro colosso, Leone Tolstoi. Alla fine del suo romanzo « La Guerra e la Pace « il grande slavo esamina l’azione c il destino di Napoleone e si domanda: Perchè dunque gli avvenimenti sono.stati quelli e non altri? Perche- così è stato! Il caso ha disposto così le cose, il gimo ne ha approfittato, dice la storia.
« Ma cos’è il caso? Cos’è il genio?
• Queste due parole, caso, genio, non indicano nulla di reale, e perciò non possono essere definite. Queste parole indicano solo un certo grado di comprensione dei fenomeni. Ignoro in qual modo avvenga un fenomeno qualunque, credo di non poterlo sapere e dico: è il caso! Vedo una forza che produce fatti indipendenti dai soli mezzi umani; non capisco perchè avvengono, e dico: è il genio!
« Per un gregge di pecore, quel montone che, ogni sera, vien condotto dal pastore ad un truogolo speciale, al quale diventa due volte più grosso delle altre bestie, deve parere un genio. Ed il fatto che questo stesso montone non va alla stalla comune, ma ad un truogolo separato pieno di avena, e che, una volta beiF ingrassato è condotto al macello, deve sembrare al gregge un effetto del caso. Ma se le pecore cessassero di pensare che tutto ciò che avviene loro succede per i loro scopi pecorili, e che invece tutti i loro fatti hanno uno scopo diverso, inaccessibile alla loro mente, vedrebbero la logica dell’ingrassamento del montone scelto. E se anche non capissero pienamente lo scopo di questo ingrassamento, sentirebbero almeno che tutto ciò che gli succede non è l’effetto del caso, nè quello del genio.
« Così, se noi riiflmciassimo a conoscere lo scopo immediato dei fatti e confessassimo che esso ci è in accessibile, vedremmo la logica della vita dei personaggi storici; vedremmo la causa delle azioni che producono e non avremmo più bisogno delle parole caso e genio. Basta riconoscere che lo scopo delle agitazioni dei popoli europei ci è ignoto, e che conosciamo solo i fatti che consistono in uccisioni... ».
Uopo codeste parole, che potrebbero essere state scritte anche riguardp alla presente guerra, il pensatore slavo proseguiva nella disamina del destino di Napoleone, facendo osservare che fino ad un dato tempo (la campagna di Russia) tutti i casi, « migliaia di casi », gli furono prodigiosamente favorevoli; dopo quella data tutti i casi gli furono sfavorevoli: « Ma, ad un tratto, invece di quei casi e di quel genio che fino allora l’avevano condotto da successo in successo fino alla mèta prefissa, ecco che si manifesta una quantità innumerevole di altri casi opposti... -.
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Ed il Tolstoi conclude: «Come il sole, come tutti gli astri che sono finiti in se stessi, essendo pure soltanto atomi inaccessibili all'uomo per la vastità del sistema intero, così anche ogni personalità porta in se stessa la propria mèta, mentre serve pure a conseguire una mèta universale inaccessibile all’uomo solo.
« L’ape, poggiata sopra un fiore, ha punto un bambino. Il bimbo ha paura delle api e dice che lo scopo delle api è di far male alla gente. 11 poeta ammira l'ape che si abbevera al calice del fiore e dice che lo scopo delle api è di assorbire il profumo dei fiori. L'apicultore vede che l’ape raccoglie il polline dei fiori, lo trasporta nell’alveare, c dice che lo scopo dell’ape è di fare il miele. Il botanico osserva che l’ape, volando, porta da un fiore all’altro la polvere che lo feconda e vede in ciò lo scopo dell’esistenza dell'ape... Ma lo scopo pel quale l’ape è stala creata non è spiegato interamente nè dal primo, nè dal secondo, nè dal terzo, e quanto più la mente dell’uomo va in su per spiegare questo scopo, tanto più si. accorge che esso gli è inaccessibile.
« La sola osservazione della vita naturale dell' ape, in connessione cogli altri fenomeni della vita, è accessibile-all'uomo: e così avviene pure quapd<» si tratta di popoli e di personaggi storici » (1).
Dalle su riferite pagine, importantissime per la conoscenza del pensiero di Tolstoi, risulta la sua avversione decisa alle semplicistiche interpretazioni degli eventi storici fatte a base di caso o di genio, parole vuote di senso, e la sua persuasione che gli eventi siano guidati ad « una mèta universale * da quella forza intelligente che il Vico chiamava Provvidenza » e definiva: « una divina mente ’ legislatrice » (2).
♦ ♦ *
È notevole il fatto che gli storici o i biografi, che hanno trattato a fondo lo studio di dati periodi o di date personalità, non di rado mostrano di essere
(1) Leone Tolstoi, Guerra c Pace. Epilogo.
(2) Tra i commenti dei grandi quotidiani che abbiamo letti dopo la completa vittoria dell'intesa, ci sembrano degni di nota quelli del Corriere della Sera c de L'Epoca che marciano sulla via maestra tracciata dal grande pensatore slavo nel brano su riportato. La forza degli avvenimenti, nella sua poderosa eloquenza, apre l’adito alla visione della Realtà Invisibile e mette in rilievo la ragione della indistruttibilità della Fede, la quale vede l’invisibile.
11 giornale milanese, in un articolo editoriale pubblicato nel numero del 13 novembre scorso sotto il titolo: La forza che ha vinto, diceva fra l'altro: « Ogni atto di questa lunga ed immane tragedia, dal rifiuto della Serbia ad accettare la sopraffazione a quello del Belgio, dalla battaglia della Marna del? 14 a quella del '18, dall'intervento italiano a quello degli Stati Uniti, dalla rivoluzione russa a quella austro-tedesca, dalla costituzione di un Imponente esercito inglese all'improvvisazione di magnifiche armate americane, ogni atto appare scritto dal Fato, da un fato superiore ad ogni volontà umana, vincitore, stritolatore di ogni diabolica forza avversaria. Preparazione colossale tedesca, gas asfissianti. Zeppelin, lince oi Hindcnburg, sottomarini, monarchia •logli Absburgo, dinastia degli Hohenzollern, complicità di regnanti di Bulgaria e di Grecia, tutto è stato vinto, travolto da una forza divina, imperscrutabile che ha armato il nostro braccio, superata ogni nostra debolezza •.
E L’Epoca in un articolo a firma E. Mòle, intitolato: Tragedia di espiazione, scrisse:
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colpiti da qualche circostanza o da: taluni casi pei quali, se sono dei credenti, parlano apertamente d’« intervento provvidenziale », in caso diverso mostrano almeno la loro perplessità.
Il D’Aubigné, ad esempio, dopo aver esaminato le condizioni religiose, politiche, intellettuali e molali che facevano prevedere lo scoppio della Riforma nel secolo xvi. ricorda tutta una lista di personaggi, insigni per posizione sociale o per valore intellettuale, dai quali i popoli avrebbero potuto attendersi ragionevolmente il gesto di rivolta e di liberazioni. Ma quel gesto nessuna di quelle personalità lo compì: dovevano sorgere i Riformatori, che ancora stavano nel buio! Seguendo questo ordine di idee il D’Aubigné sente il bisogno di far osservar«-l’intervento provvidenziale di Dio ed il suo metodo di compiere grandi cose con piccoli mezzi: « Dio. egli scrisse, il quale prepara la sua opera durante dei secoli, quando l’ora è giunta, la compie servendosi di deboli strumenti. Fare grandi cose coi più- piccoli mezzi: tale è la legge di Dio. Questa legge, che si scorge ovunque nella natura, la si ritrova anche nella storia. Dio prese i riformatori «Iella Chiesa là ’ove aveva già presi gli apostoli. Li scelse da quella classe povera che, senza essere proprio, il basso popolo, è appena la borghesia. Tutto deve manifestare al mondo che l'opera è, non dell'uomo, ma di Dio. Il riformatore Zwingk-\iscì dalla capanna d’un pecoraio delle Alpi, Melantone, il teologo della Riforma, dalla bottega d’un armaiuolo; e Lutero dalla capanna d’un povero minatore » (i).
Nella sua « Rivoluzione Francese », Tommaso Carlylc — con quel suo tono finemente sarcastico conservato dal principio alla fine di questa sua opera, da cui traspare ben poca simpatia per la Grande Rivoluzione — fa notare, narrando del tentativo di fuga della famiglia reale, fallito placidamente a Varennes, che tale fallimento lo si dovè ad un’inezia: nel villaggio di Sainte-Menehould il maestro di posta, Drouet, guardando un assegnato, riconosce nel viaggiatore camuffato Luigi XVI. Dà la sveglia, mette in subbuglio i villaggi, fa arrestare la famiglia reale a Varennes! •
*Ed il Carlylc fa, per suo conto, le identiche considerazioni che Leone Tólstói doveva poi fare su Napoleone, accennando al fatto che, da un dato momento
• Guai ad escludere il divino dalla storia. È come sopprimere là coscienza morale dell'uomo. L'errore della Germania è di aver barattato, l’imperativo categorico di Kant, con il principio biologico della resistenza del più forte. Ma nell’ordine etico il più forte è spesso il più debole. Di fronte alla coscienza morale non c’è debolezza. C’è il Bene e il Male. C'è la luce c c’è la tenebra... Non pare talvolta che'il Delitto trionfi? Illusione! h forse il Diritto che non crede giunte le sue ore. E poi la storia ha un passo di secolo.
Qualche volta risparmia il castigo per lavorare alla catastrofe. Fa morire nel su<> ’.etto l'avo colpevole della strage degl'Ugonotti, per consegnare al carnefice la testa aellultimo Luigi. Permette lo sm.cmbranicnto della Polonia, il martirio della Serbia, la crocifissione del Veneto, per farci assistere al crollo dell’Austria come a un inatteso prodigio. Guardate. Ha lasciato che la Germania ascendesse tutta la curva delle fortune, percorresse tutto il delirio delle grandezze,, disfacesse tutte le furie della follia e de’ delitto. Per garantirne l'impunità? No. Per sospingerla verso il suicidio •
(r) M. D’Aubigné, Histojre de ta Riformativa. voi. 1. pag. 133.
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della sua vita si manifestarono « una quantità innumerevole di casi sfavorevoli n. Nel capitolo Le Retour (i) il Carlyle scrive: « Ainsi finit le gran complot royaliste. La fuite de Metz. C’était là ^ultimatum des efforts royalistes, il n’aboutit à 'rien qu'à augmenter le danger et la terreur. Combien de complots royalistes,, les uns après les autres, tous habilement conçus,, devaient échouer ainsi, éclatant comme une mine de poudre ou comme un coup de tonnerre! Pas un seul ne devait réussir. Il y avait eu la fameuse séance royale du 23 juin 1789 qui avait échoué, puis renouvelée par Broglie, elle avait amené la prise de la’Bastille. Ensuite était venu ce gran repas dans la salle du théâtre à Versailles, où, la sabre à la main, on avait chanté avec enthousiasme: 0 Richard, 0 mon roi! lequel repas, aidé par la famine, avait occasionné l’insurrection des femmes et suscité cette Pallas. Athéné Théroigne de Méricourt. La valeur ne réussissait pas mieux que la fanfaronnade. L’armement de Bouilié fini comme celui de Broglie. Un homme après un autre se dévouait à cette cause, et ses efforts ne faisaient qu'en hâter la ruine; il semble que ce Jû une cause perdue, maudite de Dieu ei dos hommes ».
Per la monarchia francese ogni tentativo, anche ben concepito e coraggiosa mente attuato, doveva fallire. La storia faceva una svolta violenta e toglieva fatalmente gli ostacoli dinanzi a sè. Stava invece per inaugurarsi la serie delle • migliaia di casi » prodigiosamente favorevoli all’Uomo fatale. Il primo di codesti « casi » lo ricorda Arthur Lévy nel suo volume su Napoleone, interessante perchè non presenta il generale, ma l’uomo. E si verificò precisamente, in un momento in cui la stella del Bonaparte sembrava dovesse estinguersi, prima ancora di aver brillato. Poco prima della campagna d'Italia Napoleone si trovava a Parigi in disgrazia presso le autorità, senza comando e sotto minaccia di destituzione perchè — avendogli il ministro della guerra tolto il comando dell'artiglieria per metterlo alla testa di una brigata di fanteria — egli non si decideva ad accettare il cambiamento che gli appariva sotto la veste di una diminutio capitis.
Le cose stavano così, quando avvenne l'insurrezione di Parigi contro la Convenzione che aveva inserito alcuni articoli addizionali alla Costituente dell’anno IH. i quali furono giudicati dal popolo come ledenti i propri diritti. Contro di esso fu mandato il generale Menou, il quale però si ritirò di fronte al popolo e fu per questo immediatamente destituito insieme con altri generali.» La Convenzione quindi pensò di dare il comando delle truppe ad un suo membro, il Barras. Non avendo egli qualità militari, fu consigliato da Carnot di chiamare a sè un generale autentico. La scelta cadde sul Bonaparte ch’era a spasso. Barras gli propose di prendere il comando in seconda dell’armata della Convenzione. Napoleone non rispose subito affermativamente alla proposta del Barras, ed allora: « Je vous donne trois minutes pour réfléchir, dit Barras. Et tous deux demeurèrent debout dans un immobile silence.
(x) Th. Carlyle. Histoire de la Révolution Française, tome lì, pag. 259. Cito la buona traduzione francese del Roche, non avendo^ sottomano l'originale inglese.
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« Trois minute*! et le seri de Napoléon, de la Fraùce et de l’Europe aliai! ètte dèe idée » (1).
Napoleone pensando ai nemici Austriaci ed Inglesi eh'erano allò porte, accettò, La sera di quello stesso giorno aveva dispersa la sommossa popolare ed era stato promosso generale di divisione. Aveva 25 anni: invece.della destituzione gli veniva aperta la via all’impero! S’iniziava la serie dei « casi ■ favorevoli.
Analoga, misteriosa protezione il Trevelyan scorge nella vita di Mazzini e di (laribaldi, segnatamente del secondo. Nella sua bella opera Garibaldi e la Dipesa della Repubblica Romana, studio completo ed accuratissimo, questo autore ha qua e là accenni a Garibaldi, come uomo evidentemente segnato dal destino, per la sua straordinaria incolumità di fronte ai gravissimi rischi che continuamente sfidava con la più completa tranquillità. In uno dei càpitoli introduttivi il Trevelyan ricorda il complotto non riuscito di Mazzini in Savoia e di Garibaldi nella flotta piemontese nel 1834: " Il complotto principale cominciò a maturare non appena Garibaldi entrò nel quartier generale degli esiliati a Marsiglia. Si sperava < he i soldati partecipassero alla ribellione... Nel febbraio 1834 il Mazzini, facendo ¡assegnamento su questi malcontenti, invase la Savoia dal territorio svizzero, con un’accozzaglia cosmopolita di entusiasti italiani, polacchi, tedeschi e francesi.
S Nello stesso tempo il seducente capitano nizzardo, con il suo bel viso aperto e i
suoi lunghi ricci di un castagno dorato, era inviato a Genova a guadagnare la flotta alla causa della Rivoluzione; ed egli con animo deliberato si arruolava nella marina reale, al solo scopo di corromperla dal suo giuramento di fedeltà... Nessuno si sollevò nè nei porti di mare, nè sui confini svizzeri, e pochi giorni dopo, il Mazzini rientrò in Svizzera, mentre Garibaldi, fuggito da Genova travestito da contadino, cercava scampo a Nizza per la via dei monti, e di là passava in Francia... Nè al suo primo arrivo in Francia potè dirsi in salvo, perchè trascinato dal suo ardore giovanile si abbandonò a narrare la sua storia all’oste presso il quale aveva cenato. Sulle prime costui dichiarò che lo avrebbe consegnato alla polizia, ma quando Garibaldi, in piedi in mezzo allo stanzone dell’albergo, cantò alla compagnia Le Dieu des bonnes gens del Béranger. la voce melodiosa dello sconosciuto e la sua squisita interpretazione del poeta prediletto, conquistò il . cuore di quei buoni villici francesi, e con essi gli si amicò anche l’oste. La prima volta ch’egli vide il suo nome stampato fu al suo arrivo' in Marsiglia, quando lesse nei giornali che il Governo piemontese lo aveva condannato a morte, procedimento difficile a biasimarsi se si considera ch'egli era noto alle autorità soltanto come un marinaio entrato al servizio reale per tradirlo. Quando si pensa che alla più lieve differenza nel trar dei dadi a questo gioco pericoloso, il padre di Vittorio Emanuele sarebbe allora riuscito a spegnere le vite di Mazzini e di Garibaldi, bisogna ammettere la storia essere cosa ben più meravigliosa che un processo di evoluzione che la scienza può vagliare 0 predire» (2).
(1) Arthur Levy, Napoléon Intime, cap. XVI.
(2) George Macaulax Trevelyan, Garibaldi c la Difesa delia Repubblica Romana. Traduzione di Emma B. Debelli. pagg. 21-22.
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'l'ale era anche l’opinione del Profeta d’Italia il quale, come risaputo, la professava apertamente. Riproduciamo qui le paróle Ch’Egli lasciò scritte nei suoi Doveri dell’Uomo (cap. La Libertà): « Voi vivete. La vita ch’è in voi non è opera del Caso; la parola Caso non ha senso alcuno, e non fu trovata che ad esprimere l’ignoranza degli uomini su' certe cose. La vita ch’è in voi viene da Dio e rivela nel suo sviluppo progressivo un disegno intelligente. La vostra vita ha dunque necessariamente un fine, uno scopo. Il fine ultimo, peL quale fummo creati, ci è tuttora ignoto, e non può essere altrimenti, nè per questo dobbiamo negarlo. Sa il bambino lo scopo a cui dovrà tendere nella Famiglia, nell’umanità? No: ma lo scopo esiste, e noi cominciamo a saperlo per lui. L’Umanità è il bambino di Dio: sa* Egli il fine verso il quale essa deve svilupparsi ».
In questa tremenda ora che volge, ci sembrano più che mai opportune le parole della fede. La storia insegna che le grandi liberazioni si sono avute per opera di uomini che non si lasciarono « strascinare dal fato -, nè si abbandonarono « al caso» — di cui il Vico nella V Degnità — ma da personalità che credettero in un Dio provvido che « sa Egli il fine verso il quale essa (Umanità) deve svilupparsi ».
Lo Stanley racconta che, nel suo viaggio per la ricerca di Livingstone, dovè attraversare un'immensa foresta che gli prese 160 giorni di tempo. In tutto questo lungo periodo egli non vide mai il sole! Quando finalmente uscì dalla foresta egli ricorda, e, dopo aver camminato nelle tenebre per sì lungo tempo, potè di nuovo rivedere il sole — sentì che vera stata una speciale Provvidenza di Dio che aveva avuto cura di lui. Il nostro voto e la nostra fede è che presto l’umanità dilaniata possa fare l’esperienza dello Stanley e, uscendo dal tenebrore presente, possa di nuovo divedere il bel sole di giustizia, di libertà, di fratellanza Umana, c sentire che l’immane olocausto attuale è stato pur esso utile a « cooperare al bene» (Rom. Vili, 28).
Roma, Maggio 1918.
Aristarco Fasolo.
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L’ANIMA RELIGIOSA DI UN EROE
i chiamava Leonardo Cambini, era insegnante di lettere nella scuola normale di Pisa, padre di due adorati bambini, volontario di guerra: è morto per la patria.
Ho qui sotto gli occhi il suo « Epistolario di guerra » (Pisa, Mariotti, 1918) pubblicato dagli amici e come sempre quando leggo le parole di un martire cerco in esse lo spirito che suggerì, che impose quasi il sacrificio supremo.
Conosciamo de aspirazioni di altri giovani d'intelletto finiti
sul campo di battaglia. Renato Serra pensa che è vano e disutile l’industriarsi a leggere e scrivere mentre al Paese incombe un tremendo pericolo, c va alla morte. Scipio Slataper irredento, poeta del Carso, è felice di consacrare col sangue l’aspro altipiano nativo e va alla morte. Eugenio Vajna de Pava, studioso di problemi religiosi c sociali, vede nettamente che l’unico partito onorevole per l’Italia è la prova della armi e va alla morte. Giosuè Bórsi, arso dal fuoco di Pascal e di Tomaso da Kempis, anela di offrire a Dio, purificata dall’olocausto, la propria ' anima e corre lieto alla morte.
Ma la condizione spirituale di Leonardo Cambini è molto diversa. Tutt’altro che mistico o fantastico, egli era un giovinetto sano, forte, allegrissimo, pieno di affetto per la famiglia, per gli amici, per i libri: gli piaceva mangiare, bere, fumare, chiacchierava di letteratura, di politica e d’arte: era di quelle persone di cui si suole dire che stanno bene a questo mondo. Le ragioni per non andare alla guerra le aveva-tutte. Era di'una classe anziana (1882), aveva ricevuto la nomina di capo d’istituto (indispensabile e insostituibile, dunque), aveva moglie e figliuoli che vivevano del suo lavoro. Inoltre poteva dire a sè stesso di non sentirsi obbligato a combattere per accrescere il lustro della monarchia, poiché era repubblicano, e che la sua famiglia già aveva dato abbastanza, poiché quattro suoi fratelli erano in armi.
Ebbene, questi rigiri della coscienza li respinse tutti. Non domandate perchè si arruolò: in tutto l’Epistolario non dice una parola di questo. Si arruolò e basta, con la logica semplice dell’unico canto popolare di guerra che abbia l’Italia: L'armata se ne va: se non partissi anch’io sarebbe una viltà.
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l’anima religiosa di un eroi¿33
In più lettere prega un amico autorevole, perchè persuada il Ministero ad annullare la nomina di capo d'istituto, non volendo diventare indisponibile» come dice scherzosamente: e si compiace di aver fatto esercizio d'eloquenza nei comizi perchè così .ha il modo di parlare efficacemente ai soldati e ai colleghi. Termina un discorso agli ufficiali invitandoli a gridar viva il Re! e commenta, in una lettera al Cian: ■ Se lo sa la Repubblica, mi fucilan nella schiena! »
♦ * *
Quando la madre di Leonardo Cambini mori, egli, poco più che ventenne, si trovò accanto un fratellino d'otto anni e ne assunse l'educazione imparando da quel giorno che volesse dire paternità. Sempre lo chiamò, come nelle lettere che ci restano in questo Epistolario « figliolo, figliolino, bimbo mio». Fu un’educazione anche rude, qualche volta: originalmente rude e virile. Quando Raffaellino ne faceva una grossa si confessava al fratello e questi (quanto racconto fu raccontato a me da Leonardo in una sera di confidenze) gli diceva: « Vammi a prendere il mestolo ». Il ragazzo riceveva la correzione e non piangeva: le lacrime gli venivano alle parole di Leonardo: « Ma se lo sai, quel che mi costa darti le mestolate! Ma se lo sai che pena è per me, non potresti essere un po' più buono? »
Buono era quel povero ragazzo, ma pochi ci lessero dentro. Scoppiata la nostra guerra con la Turchia egli, giovane ufficiale, andò in Libia a combattere. Da quale ardore fosse animato si seppe solo quando fu morto, poiché dietro una fotografia che lo rappresentava in divisa, fotografia che non aveva mostrata a nessuno, si lesse: « Il pensiero rivolto a te, grande, forte, potentissima Madre Patria: l'animo tutto, pieno di tenerezza infinita, a te, cara famiglia, a te, cara casetta lontana ».
Venne poi la guerra di redenzione: e Raffaello partì. Già era andato volontaria mente e con gran pericolo a distruggere i reticolati nemici; per il giorno seguente, sicché, era stato dispensato dal prender parte all’attacco. Ma Raffaello pensava che quando i soldati vanno all’assalto l’ufficiale non deve abbandonarli; e andò esponendosi «quando tutti eran coperti, lui solo bersaglio al nemico». La relazione dei superiori dice: « Offertosi volontariamente, guidò, con mirabile coraggio, nella fitta oscurità della notte e del temporale, una squadra di esploratori ai trinceramenti nemici, con la missione di distruggere alcune difese accessorie e riuscì al compito assunto. A missione compiuta, messo in libertà dal Comandante della brigata, volle prender parte, con la sua squadra, al combattimento successivo, e perdette la vita sulla linea del fuoco, prima che la sua gloriosa giornata volgesse alla fine ». (Mon-ialcone 29-30 giugno 1915). *
Leonardo riuscì, fìngendosi commerciante, a inoltrarsi nella zona di guerra, (u a Pieris. nel piccolo cimitero ove mani pietose avevano sepolto il suo bimbo e sentì raccontare dai compagni del morto: « L’hanno ucciso con una fucilata sparata a duecento metri, mentre, per far coraggio ai suoi soldati, nuovi si può dire, al fuoco, s'era seduto tranquillamente in mezzo a un grandinar di granate: l’hanno mirato,
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proprio. chè — un momento avanti una palla gli aveva segnato di un rigo la gota destra: ha chiamato l’attendente, ha detto brulli vigliacchi, brutti vigliacchi e poi non ha parlato più: è morto dopo 21 ore d’agonia».
Alla mente di Leonardo, pensando al fratello morto da eroe e proposto per la medaglia d’oro, s'affollano i pensieri. Ricorda con quanta fatica sé l'era tirato su, si rimprovera d'essersi mostrato severo con lui, ringrazia la moglie ch’era stata tanto materna con quel bambino e par di sentirlo singhiozzare mentre; a un’intima amica di famiglia scrive: « Si ricorda? quando puliva le scarpe e apparecchiava per sette soldi alla settimana, e, con quei quattrini, comprava poi i regalucci a tutti noi ? '•
Ma nel pianto lo conforta una fede sicura, una certezza che sarebbe vano discutere: ■ il bimbo non è morto; è andato di là. dalla mamma che l’aspettava e. beato lui che c’è andato per una via così luminosa di gloria. È morto bene; e. quando lo vedrò, mi dirà, senza dubbio, che così avrebbe desiderato morire: ma come è triste per noi che siamo rimasti: che dolore, che strazio!..« scrive due mesi dopo la fine di Raffaello. E al padre il quale si lamenta non avendo ancor saputo della medaglia conferita al morto: « Ora'che ha aperto gli occhi alla Luce, vede o sa quanto sia vano questo correr di noi uomini dietro a ricompense, di fronte al fatto grandioso di esser morto per il dovere... ».
Viene il Natale: e Leonardo scrive al babbo per dirgli che in quel giorno se li ' deve sentir vicini tutti e quattro i figliuoli che combattono, ma più vicino di tutti è Raffaello morto, perchè le persone a cui abbiamo voluto bene non muoiono.
« E che bene, Papà, che bene gli abbiaipo voluto tutti noi! E gliene vogliamo ancora! I bimbi. Lei lo avrà saputo. Papà, parlano di lui come di persona sempre presente al loro pensiero: e associano nel loro cuore la memoria del nostro povero bimbo, con quella, eternamente perenne, di Mamma.
I bimbi certe cose le capiscono e le sentono meglio di noi: e capiscono qual nodo, d’amore indissolubile abbia unito in eterno la Mamma e il Figliolo.
Era il figliolo più piccino: otto anni soli, e neppure lo aveva avuto con sè: e le era dispiaciuto tanto, sa, le era dispiaciuto tanto morire per quel bimbo piccino che lasciava. 4
E il bimbo era cresciuto: era diventato un bravo ragazzo studioso ed operoso: si era fatto soldato forte e coraggioso, votato a tutti i sacrifici, a tutti gli eroismi.
E la Mamma che lo seguiva amorosamente, che lo accompagnava in tutti i passi delia sua vita, lo ha voluto, finalmente, con sè.
Quasi quattordici anni, Papà, che non si vedevano. E pensi con che slanci? il nostro Figliolo si sarà gittato nelle braccia delia Mamma: pensi quanto dolce, quanto lieve deve essere stata la carezza materna su quella povera fronte squarciata.
Certo Mammà fu presso il suo Figliolo piccino, certo ne consolò la fulgida agonia, c ne raccolse l’anima nel transito.
Sono insieme, ora, vivono insieme nella luce e nella gloria.
A me pare. Papà, che non sia giusto che noi ci lamentiamo e piangiamo.
Noi contiamo troppo poco, mi pare, i diritti dei morti: cioè pensiamo ai morti come se non fossero effettivamente più, come se non vivessero una vita eterna c immortale.
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l'anima religiosa di un eroe 235
Lei ha avuto Raffaello con sé ventidnè anni: Mammà otto soli. Lo ha voluto con Sé; lo ha chiamato con sè. E ha scelto, tra tutti i suoi figlioli, quello ch'era il più degno: e ne ha fatto un martire e un eroe.
Anche Lei, Papà, deve essere buono. Io le dissi una volta che mi sembrava che Lei credesse meno fortemente, meno saldamente di me... >>.
In un’altra lettera al padre, Leonardo parla del fratello con parole così purè, limpide, trasparenti, che sembra di vedere l’anima beata dietro di esse: « Egli è lontano, lontano: al di là dei monti, al di là dei mari, più lontano -— e più vicino, anche — che in Libia: ed egli vive ancora col pensiero rivolto alla grandezza, alla potenza d’Italia con l'animo tutto pieno di tenerezza infinita, alla sua cara famiglia, alla sua cara casetta lontana. Così noi lo vediamo con gli occhi del cuoro; così egli vede, e segue, noi ».
E l’epigrafe posta da Leonardo sulla tomba del fratello, nel piccolo cimitero di Pieris ce lo dipinge vivente di un’altra vita: « Raffaello Cambini - livornese - sottotenente nel 930 fanteria - decorato al valore - qui - aspetta nella pace di Dio -la vittoria d’ Italia ».
Nella pace di Dio. A quanti conobbero davvicino Leonardo Cambini e pensavano ch’egli fosse miscredente, queste parole sembrano rivelare, improvviso e inaspettato, un lampo di fcd.c religiosa.
C'è chi crede in Dio senza ammettere tuttavia l’immortalità dell’anima. Tanto affermo avendo udito io stesso un uomo d’intelletto superiore, il quale mi diceva di credere che ogni vivente, sazio di giorni, dovesse finire: eppure egli non sapeva immaginare l’universo senza un Creatore.
Più strano invero sarebbe pensare l'immortalità dell’anima senza credere in Dio. Perciò dovremmo concludere che la morte del fratello sul campo e l’aspetto di questa guerra superiore a ogni umano concepimento scossero cosi profondamente l’animo di Leonardo da far tornare alla superficie la fede della fanciullezza. L'ipotesi sembra confortata dalla lettura di altre parole:
« In questa grande guerra » scrive Leonardo a un amico « in questo fatto... che lia brutalmente, ferocemente, sconvolti tutti i nostri sentimenti, tutte le nostre idee, una verità consolante si è a poco a poco diffusa nei nostri cuori, una pacata certezza, che permette à noi di abbandonarci fidenti, sereni nelle braccia di Colui chelsa. Mai come’ogg* abbiamo sentito che misera, che meschina cosa siano le forze, le potenze degli uomini e come tutto sia retto da una mano potente che nessuno di noi può regolare, di cui nessuno può scrutare i movimenti. A questa iriaho io mi affido: la so giusta e pia, so che misura il vento al vello delle agnello, so che misura il dolore alle madi i ».
Eppure il mettere Leonardo Cambini fra i tanti convertiti per opera della guerra sarebbe un errore.
• * * *
Per chi. senz'altro, nei frammenti che ho riferiti avesse già trovato la prova che il Cambini si fosse convertito alla fede, basterebbe un’occhiata all’Epistolario.
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Perdio, per la Madonna, Dio boni no. Madonna di Dio»» c qualcosa di peggio (v. a p. 58 e a p. 107) capita di leggere in queste lettere. « E' un affare serio » scrive a un amico: « tu sapessi come son diventato! Bevo, fumo, gioco, dico le parolacce: cioè, ecco, quelle le dicevo anche prima... ».
« E’ un affar serio » • ma si capisce che a Leonardo non pareva serio davvero, perchè dei « moccoli » che gli scappano di bocca ride spesso e volentieri.
La moglie di un amico, uomo di costituzione delicata e poco adatta alle fatiche di guerra, spera che il marito sia riformato nella prossima visita militare. L’amico non la pensa così, perchè generosamente vorrebbe combattere per la Patria. Leonardo scrive' a lui confortandolo', che l’Italia non ha bisogno soltanto di militari, e aggiunge: « Dirai alla signora che stasera dirò anch'io un’/lve Maria secondo la sua intenzione: e credi che ci sarà gran festa in Paradiso, come succede sempre, dicono, quando si converte un peccatore». E pochi giorni dopo: «Stamane ho detto un’altra Ave Maria sempre allo stesso scopo. Ma guarda che se il Principale e la sua Signora non mi dessero retta... ». E in un'altra lettera: « Prima di stendermi sul pa gliericcio dirò la solita, oramai, Ave Maria: ma gli è, che, per l’appunto, oggi ho schiacciato due moccoli uno più gagliardo dell'altro, sì che temo che l'4ve Maria non conti nulla: del resto è già un progresso questo che arrivi a contarli ». Finalmente l’amico vien dichiarato inabile ai servizi di guerra e Leonardo, rimproverandolo scherzosamente del suo silenzio, gli scrive: « Scrivimi, Madonna di Dio! se no, ora che non ho più da dire le Ave Marie, mi rimetto a bestemmiarei’.
Uno scettico dunque? Un uomo che si fa beffe cinicamente delle cose sacre?
Ma no: leggiamo ancora.
Abbiamo visto che al padre, afflitto per la morte di Raffaello, egli aveva detto: Mi sembrava che Lei credesse meno fortemente, meno saldamente di me ». Eppure il padre era l’uomo che, dopo il sacrificio di quel ragazzo, aveva scritto: «Come crL stiano, dico Fiat voi unta s tua, come italiano, grido viva l’Italia, come padre dico: < he dolore, che dolore! »
Il dolce rimprovero che Leonardo faceva al babbo era perchè questi credeva all’esistenza della morte: « Non esiste, Papà, la morte: dopo che Egli disse: Io sono la risurrezione e la vita ».
Pochi mesi dopo, un caro alunno di Leonardo moriva in guerra: c alla sorella «lei morto egli indirizzava queste parole:
« Lo sa che bisogna esser buoni, specialmente ora? Buoni vuol dir forti. E voglio che Lei lo sia, povera amica, povera sorella mia.
Zi il Signore - narra il Vangelo di Luca vedutala ebbe pietà di lei e le disse: non piangere!
E accostatosi toccò la bara.
/ portatori si fermarono, ed egli disse: Giovinetto, io tei dico: Levati.
E il morto si levò..
E narra Giovanni:
E Gesù le disse: Tuo fratello risusciterà.
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L'ÀNIMA RELIGIOSA DI UN EROE ¿37
Marta rispose: Lo so che risusciterà quando avverrà la risurrezione nell'ultimo giorno.
E Gesù: lo son la risurrezione e la vita: chiunque vive e crede in me, non morrà mai.. Credi tu questo? •>
* ♦ •
TI problema psicologico è meno complicato di quanto a prima vista possa apparire.
Chi ha conosciuto il Cambini. chi ne ricorda la conversazione e ne legge ora le bellissime lettere lo definisce con una parola di cui è più agevole intendere il significato che spicciolarlo in altri elementi verbali: umorista.
E l'umorista, badiamo, non è mai uno scettico. Il riso fine, il riso che è fatto di pietà e non di beffa, d’ironia verso la propria commozione e non di burla per l’altrui miserie, si sveglia soltanto per le cose che abbiamo conosciute, sentite vicine, accarezzate, amate.
Un uomo che adora la famiglia come il Cambini, scrive lettere argute, piene di scherzi gustosi, alla moglie, ai bambini, e perfino (vedi il biglietto a p. 86) alla gatta di casa: egli eh’è amico impareggiabile, agli amici scocca facezie insultanti come chi fa la voce grossa per dissimulare lo sforzo con cui ribeve una lagrima. Di osserva -vazioni gioconde sulla vita militare ne troviamo in tutto l'Epistolario: e chi sembra faccia la guerra per ridere è un eroe; è un volontario che appena guarito di una prima ferita, ritorna, per sua domanda, in primissima linea.
Della professione d’insegnante il Cambini aveva fatto un apostolato: membro <lel Consiglio federale delle scuole medie aveva studiato con profonda serietà le più importanti questioni scolastiche; al^Ciaii.espose tutto un piano per ravvivare la funzione, troppo burocratica oggi, degl’ispettori. Eppure, ecco che cosa si legge sopra una sua cartolina a un collega: « Buono per una promozione da concedersi, in onore mio e a suffragio della mia anima, il giorno che morrò, alla prima bestia che interrogherai dopo aver ricevuto questa mia cartolina.— L. Cambini. - P. S. Passa tutti, 'un ti confondere: tanto, più sanno, e più farabutti diventano ».
Noi non giungeremo all'affermazione paradossale di Giovanni Rosadijne! suo. scritto II bel parlare onesto) che l’irreligiosità diminuisca il mal vezzo della be^ stemmia, perchè « meno si crede a una verità e più si mette da parte, tanto che nessuno impreca all'ignoto, all’invisibile, al nulla ». Non diremo tanto, ma ripetiamo che lo scherzo e la satira non fioriscono spontanee che intorno al centro dei nostri pensieri.
E che la mente del Cambini si volgesse di preferenza al mistero religioso jè provato dalla sua cultura è dai suoi gusti intellettuali. Per argomento della tesi di laurea scelse il Varano; fra i libri che portò con sè nella trincea c'erano Dante e la Bibbia; le letture che raccomanda ai bambini sono il Vangelo dei Piccoli e i Fioretti di san Francesco.
Aggiungiamo che il Cambini era livornese. Quando si studieranno - come au-. gurava fempo fa il Croce in senso non statico ma dinamico i caratteri delle varie
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238 • • BILYCHNIS
Ìenti italiane, una pagina interessante potrà scriversi della popolazione di Livorno, n questa città giovane, che non ha e non può avere tradizioni di alta cultura, tutte, le questioni e specialmente quelle che toccano la religione, vengono subito divulgate, discusse e — come accade spesse volte — deformate. Vien da sorridere, leggendo sui muri l’avviso che il tale o tal altro operaio ha rifiutato i menzogneri conforti religiosi» perchè egli era, nientemeno, razionalista. Ma pensiamo che proprio a Livorno furono stampati, sulla fine del 700 alcuni volumi àe\Y Encyclopedie, che a Livorno esistono, fin quasi dalla fondazione della città, una gran Sinagoga e chiese luterane, calvinista, di rito greco, ortodosso e scismatico, che trentanni fa, quando • ancora si vedevano aggirarsi vicino al porto strane figure di levantini (maomettani ed ebrei) venuti per ragion di commercio, proprio di fronte alla marina predicavano le prime soldatesse della Salvezza che siano comparse in Italia. In nessuna città, come a Livorno, hanno trovato favore le sètte che affascinava!! gli adepti col linguaggio mistico e gli apparati simboncTT*" vendite » e logge e società mazziniane.
Naturalmente anche la satira religiosa, chiamiamola così, a Livorno doveva nascere più vivace che altrove?Tdue più caratteristici scrittori livornesi, il Guerrazzi ed il Bini, ciascuno alla propria maniera, parlano di Dio e della fede quasi in ogni pagina, e quando le poesie di Enrico Heine erano quasi ignote in Italia, a Livorno in due contemporaneamente, Giuseppe Chiarini e Salomone Menasci, imprendevano l’ardua fatica di tradurle.
Così è nato, secondo me, Humorismo religioso di Leonardo Cambini: che lo spirito di lui avesse affinità con quello del Guerrazzi r di Càrlo Biìii gia notò uh critico acutissimo, Vittorio Cian: e noi non dimenticheremo che il Cambini il quale in due lettere parla con lode del Mazzini di Gaetano Salvemini (una delle ultime sur letture!), lasciò quasi compiuto uno studio su\V Indicatore Livornese, sul giornale cioè redatto dal Mazzini, dal Guerrazzi e dal Bini.
• # ♦ .
In imbietterà scherzosa, scritta in italiano arcaico agli amici di Pisa, il « capitaneo messer Lionaido Cambini » si raccomanda « a lo santissimo Iddio e al vertu-dioso Barone Sancto Marcho» perchè preservi la bellezza di Venezia dalle «aguglie del Dimonio », cioè dalle bombe austriache: e sventato l’attacco, non vogliamo sapere qual voto mantenesse il Cambini poiché gli editori dell’Epistolai io hanno-a questo punto mutilato la lettera.
Quando un amico gli scrive dopo un lungo silenzio, il Cambini per ringraziarlo ricorre a un versetto del Vangelo di San Marco: « Egli ha~fatto’ogni cosa bene: fa udire ¡ sordi e fa parlare-i muti»?"
E poiché il padre, indulgente.come tutti i nonni, l'aveva pregato di non essere troppo severo coi nipotini, Leonardo si diverte a mettere in contradizione l'ammonimento paterno con alcuni tratti dei Proverbi salomonici, i quali raccomandano l'uso
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1/ÀNIMA RELIGIOSA DI UN EROE 2$)
della ferula. «Dunque», domanda Leonardo, «a chi devo dar retta? a Lei o a Salomone? Darò retta a Lei: imperocché sta scritto: Il figliuolo savio ascolla 1‘am-inaesiramcnto di^suo padre ».
Par di sentire, in questa maliziosa argomentazione, un'eco delle facezie del 11 Guerrazzi: del Guerrazzi a cui si attribuisce la sentenza: «Ja Bibbia, la legge e la trippa si tirano come si vuoici.
Ma lo scherzo* dèi Cambiai non è mai riboccante d’amarezza, nè certo egli avrebbe, come il Guerrazzi, tolto in prestito al Byron, Fangoscioso dilemma che l'uomo rivolge ai Creatore: « Se la vita è un male perchè me la dài: se la vita è un ljenè~ perchè me la togli? »...
No: egli che è mite, buono, affettuoso, crede alle misericordia illuminata di v Colui che sa » anzi, dinanzi a un dubbio solenne, egli si rimette soltanto alla sapienza di Lui. Fece bene o male Raffaello ad esporsi alla morte così? « V’è un’al- ‘ tra parto, la più fulgida, la più nobile, la più bella, quella che riguarda il suo proposito di non mandar soli i soldati al pericolo, di rassicurare, con lo sprezzo ch’egli dimostrava della morte» gli animi loro vacillanti... Era un’alta, profonda questione di- coscienza: e della coscienza è solo giudice Iddio ».
E l’uomo che ha scherzato sulle Ave Marie, esclama: « Che Iddio lo benedica, il nòstro povero bimbo e che benedica l’Italia »: e teme che non gli abbiano messe ' le braccia in croce, al suo soldatino morto, e raccomanda al cappellano di applicar la messa alla memoria di lui.
Vorrà Dio accogliere la preghiera di un « empio >» come Leonardo sembrava a chi poco lo conosceva e fors’anche a sè stesso?
Certo risponderà di no chi foggia la Divinità a propria immagine, simbolo di una meschina, gretta e farisaica giustizia: ma chi, come Victor Hugo nel parabolico racconto sui due versi di Dante, crede che l’anima eletta abbia il presentimento del proprio ulteriore destino, veda con qual fede nell’indulgenza di Dio egli aspetti di ricongiungersi al fratello caro: « Compie un anno che non vedo Raffaello. Quanti ne passeranno ancora, prima ch’io lo riveda?... Dovrò campare altri cinquant’anni? Accetto magari anche i cinquant’anni! Ma che questi cinquant’anni passino presto, in un attimo: io ho oramai troppa parte di me nell’al di là ».
E ora’parli pure di'conti adizione chi vuol misurare l’uomo con le seste della logica e considera il sentimento come la parte inferiore della nostra natura!
♦ * «
Ma ascoltiamo ancora Leonardo Cambini. Leggiamo una lettera che è come una professione di fede e che assai meglio di quanto non abbiamo potuto lar noi dimostra tutti gli atteggiamenti spirituali di Leonardo: e quello che abbiamo chiamato uinensino-ieligioso e il senso dell’immortàlità e la fiducia nell’indulgente perdono <h Dio. E’ una lettera ammonitrice:
«Il librino » scrive Leonardo alla moglie inviandole un pacco «è per i mimmi: ma Io potrà leggere anche Truci (vezzeggiativo della moglie, signora Et runa) che lo
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BÜ.YCHNIS
leggerà ai bambini nelle parti che più li interessano. Oggi Cempini, quando ha visto quel libro, ha detto: « Li avvezzi dimolto religiosi i tuoi figlioli». — No. per Dio - gli ho detto: voglio che s’imbevano dello spiriti^ cristiano, ma non voglio. che bazzichino per le chiese. E credo sia questa la via, sai, Trucina. Mi sembra che sia un rimpicciolire l’idea della Divinità questo raffigurarcela tale che voglia essere
onorata in quella determinata maniera, con quel determinato rito e non altrimenti. Ciascuno si foggia un Dio a sua immagine e somiglianza: e io rpe lo figuro come un buon vecchio (oramai anche Gesù deve essere invecchiato) che. quando si sente ar
rivare come una sassata qualche moccolo, dice tra sé e sé: « Ecco, se questo ragazzo non bestemmiasse sarebbe *meglio: ma. via. povero figliolo, gliene, capitano di certe
che. se (ossi nei su' piedi, bestemmierei anch’io ».
...E Truci vuol che preghi! Io non articolo mai — per quanto mi pare una_ parola di preghiera: ma ogni volta che si òpera per un’idea di dovere, ogni volta che sì figge lo sguardo nel dominio del soprannaturale e si vive in comunione di spirito coi nostri, che ci vivono attorno invisibili, non è questa un’elevazióne dell’animo, non è un innalzare l’anima nostra verso colui che è il Principio e la Fine?
A me piacerebbe che a questa forma di religione arrivassero Trùci e i miei mimmi. Naturalmente, questo per i mimmini non può essere che un termine ultimo: perchè presuppone una coscienza già formata e già salda. I mimmi devono arrivarci, non, io credo, attraverso la pratica religiosa: ma preparando il loro spirilo conforme ad esempi migliori. Non importa che essi Credano profondamente definitivamente che il Cristo era figliolo di Dio e venne sulla terra <■ fu crocifisso per salvare e redimere gli uomini. Basta, a raggiungere lo scopo, che essi sentano tutta la grandezza del sacrificio di chi, per un’idea, per il vantaggio degli altri, sacrifica persino la vita. Presentalo tu ai loro occhi sotto l’aspetto di un viandante che s’impietosisce di tutti i dolori, che ha una lacrima, una parola di consolazione per tutti i dolenti... E più ancora che per mezzo dei Fioretti c del FiiwgcZo^èducali suscitando in loro una sete perpetua d’ideale. Di’ loro, insegna loro che non è il successo che conta, non i danari, non le onorificenze: «vivranno poveri»: non me ne importa: • faranno alla rovescia degli altri •: non me ne importa. I miei bimbi devono sapere - e sentire — che per l’ideale, tutto si sacrifica, tutto: devono sentire che la nostra vita non conta nulla, e la grandezza ancor meno, quando ri sia un dolere da compiere ».
» « »
«
Chi parla così è redento da qualsiasi peccato di parola. Gesù stesso, nella sua divina umiltà, perdonò le offese contro la propria persona, purché non si offendesse lo spirito. • E a chiunque avrà parlato contro il Figliuolo dell’uomo » ‘è detto nel Vangelo di Luca, -sarà perdonato: ma a chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato».
Il culto del dovere fino all’effusipne del sangue, l’amore della verità fino a morire per essa : se questa (e chi ne dubita?) è la sostanza della dottrina di Cristo, nessuno fu cristiano come il Cambi ni che andò alla morte con la seréna dolcezza dei martiri antichi?
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l’anima religiosa di un eroe . 241
Aveva scritto alla moglie che quando ci fosse un dovere da compiere la vita' non contava nulla. 11 momento venne per lui quando il fratello cadde con la fronte aperta da un proiettile austriaco. Partì subito raccomandandone la memoria ai bambini. ■ I bimbi dovranno imparare a venerare, a sentire, l’alto ideale per il quale egli è caduto: così come lo venero, come lo sento io, che non_ho..mai*, mai, mai, neppure per un momento, maledetto a questa guerra che ce l’ha strappato, perchè so che questa guerra è necessaria per la salvezza e per la grandezza d’Italia. Sarebbe danno infinito se i bimbi crescessero senza che si accendesse loro nel cuore una .fiamma ideale. «
Questa « fiamma ideale •> rimase viva in Leonardo Cambini: sopravvisse anche all’intelligenza che una terribile ferita alla testa oscurò negli ultimi giorni.
Chi scrive ricevette, ai primi di gennaio di quest’anno, una cartolina di Leonardo vergata con la matita da un tettuccio d’ospedale militare. La cartolina era confusa, misera, scritta puerilmente e piena di cancellature. Ma mentre dimostrava lo strazio che un nobilissima intelligenza aveva subito, conteneva gli ultimi palpiti del cuore affettuoso. In essa Leonardo pregava di far ricerca di un soldato, di un umile operaio ch'era stato suo attendente e a cui voleva inviare una parola d'augurio.
La risposta non fu letta da Leonardo, perchè quando arrivò, il voto ardente di lui che anelava di ricongiungersi allo spirito del fratello era stato esaudito. 11 corpo, ricomposto nella pace della morte, riposava nel tettuccio dove aveva tanto sofferto e la bandiera d’Italia lo ricopriva come una carezza materna. «Mai» disse Vittorio Cian « il tricolore avvolse nd suo amplesso sacro una più nobile salma ».
Dino Provenza L.
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e
IL SENTIMENTO RELIGIOSO NELL'OPERA DI ALFREDO ORIAN1 (Continuazione t fine. Veeti Bilychni», t?tS. fiag. 27)
PARTE IL
STORIA E CRITICA
concetti di storia e di critica delI’Oriani si liberano dai soliti domini che vogliono continuamente inceppare il pensiero. L’autore vedeva sempre più chiaro che il tracciare entro certi limiti, segnati dall’esperienza e dalle le^gi del pensiero umano, la forma delle verità capaci di dimostrazione, non vuol già dire escluderci da altre forme di certezza, che ci s'impongono’ come termini d’approssimazione a ideali, tanto più vivi e potenti in noi quanto più inesauribili; e che, anche dopo fatta alla critica
la parte sua, ne resta pur sempre in noi tanta ai bisogni immancabili della coscienza, morale e sociale e del sentimento (che la critica kantiana, ad esempio, spiega senza rinnegarli), quanto basti ad alimentar di vita perenne l’arte, le religioni, lo stato. L Oriani sentiva così nella vita, come nella scienza, quel non so che ineffabile, impossibile a spiegare, che gli Scolastici condensarono in un adagio, stimato da Giacomo Barzellotti sublime: « Individuimi ineffàbile*, l’assolutamente individuale. In lui s'accennava, specialmente negli ultimi anni, una tendenza notevole a quanti ebbero potente da natura, insieme coi sentimento religioso quello delle relazioni sociali: la tendenza a subire fortemente gl’impulsi dell'autorità, che esplicò in diversi articoli e nell’ultimo libro: La rivolta ideale. Per questa libertà d’interpretazione, e per la forza polemica con cui attaccava chi voleva combattere, fu assai temuto e creò un vuoto attorno a sè, che non gli. permise poi di vivere col popolo come avrebbe desiderato, di dare per esso, anche in una rigeneratrice forma politica, la sua azione fervida ed efficace.
Quando Carducci scuoteva l’Italia dal suo letargo coi « Giambi ed Epòdi », '• l’Oriani, stimando che l’opera dovesse seguire alla parola, per darle più forza coll’esempio, non si peritò di chiedergli perchè non andava a combattere, come consigliava ai suoi compatrioti. 11 Carducci, colpito al vivo dall’appunto, rispose ch’egli aveva la vecchia madre da* mantenere, della quale era l’unico appoggio ed allora
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II. SENTIMENTO RELIGIOSO NELL'OPERA DI ALFREDO ORIANI 2.J?
lo scrittore faentino gli gettò, la frase acuta come un dardo, e forse un po' crudele: «Ma tutti gli altri figli d’Italia sono dunque dei bastardi?» Queste schermaglie nòn impedirono al Carducci di mostrare poi, in più d’un’occasione, in qual valore tenesse le opere deH’Oriani, che non volendo mendicare il plauso, nè unirsi a speciali cenacoli, si tenne discosto dal grande poeta. Egli aveva veramente in sè il sangue dei suoi antenati, truculenti signorotti di Banzole, insofferenti. fieri e pronti alla pugna.
MATRIMONIO E DIVORZIO » (i)
In Matrimonio c divorzio l’Oriani si rivolge, in forma di lettera, ad Alessandro Dumas, figlio, combattendo le sue idee sul divorzio. Egli propugna l’indissolubilità de) matrimonio ed in 444 pagine ricostruisce tutta la storia dell’unione fra l’uomo c la donna, dai primordi della vita umana fino ai nostri giorni. Questa lotta contro il divorzio è già un segno della mentalità dello scrittore: un’affermazione delle sue tendenze morali, e quelle ideali affinità fra il suo modo di vedere ed i canoni sociali più importanti della Chiesa cattolica. Studiando tutte le religioni ed il loro influsso sui costumi, culminò naturalmente nel Cristianesimo, come il fautore della maggior civiltà fra gli uomini, il regolatore per eccellenza degli istinti e la sorgente di quegli affetti che, equilibrando i sensi con lo spirito, li elevano, li santificano, ne (annoia sicura base della famiglia. Nelle ultime pagine;del,libro l’autore tratteggiò, con frasi efficacissime, la speranza dell’umanità in qn rinnovamento religioso, di cui per ora non si scorge che un’informe traccia. Ma l’Oriani rimase trepido dinanzi al futuro. Egli vide la lotta fra il modernismo e l'intransigenza clericale. Comprese gli aneliti di tanti giovani che domandavano alla religione più luce, alla scienza più fede; intuì il conflitto di quelle anime, percepì l’errore di quei nuovi cavalieri dell’ideale che s avviavano al torneo armati di-speranze, senza capire lo straordinario dissidio che v’era nel loro simpatico movimento. Fede e scienza non potevano camminar di conserva prima d’essersi accordate. L'una, figlia del sentimento, l’altra basata sui fatti, come possono confondersi — a priori — in una sola tendenza dello spirito? Come la Chiesa cattolica, con tutti i suoi dogmi, e le sue inevitabili superstizioni, può essere accettata nei suoi postulati e senza controllo dalla scienza, e come questa, così razionale nei suoi ultimi sviluppi, poteva camminare di pari passo con la fede?
L’Oriani, che s’avviava quasi inconsciamente verso un liberalismo conservatore, dinanzi ai molteplici problemi che il modernismo andava suscitando, non potè, nè volle unirsi al nucleo dei giovani studiosi, che ne tenevano alto il vessillo; non si slanciò nell’arringo, non diede precise forme a quell’ideale, a quelle verità, che fervevano nel suo intelletto. Egli stette al di qua della sponda, pur mostrando la nuova alba rosseggiante alla giovane generazione, profetizzando un’ascensione novella dello spirito, sognando per i venturi aurore purificatrici.
In Matrimonio t divorzio sono affastellate erudizione e storia, però l’una no« crea mai eccessiva pesantezza all’altra. Lo stile robusto deH’Oriani, poetico ed espressi Matrimonio c divorzio, opera citata.
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BILYCHKIS
sivo, dalle mosse bibliche n i punti più efficaci, anche in questo volume ha le sue attrazioni. Vi sono capitoli stupendi, come quello sugli ebrei, in cui par di leggere un canto di profeta e vibra l’anima dell'artista che senza posa cerca Dio, nel suo difficile cammino terreno. Un pedante storiografo troverà però più d’una lacuna in quest'opera. Non vi sono note, non citazioni. Vi si sente il Michelet, il Renan, il Vico, il Mazzini, il Ferrari, l’Hegel del quale ha fatte proprie molte vedute, per esempio questa: che la libertà è l'essenza della personalità e consiste « nell’adesione alla necessità ». Però lo scrittore v'ha impresso profondamente il suo sigillo e Matrimonio c divorzio sarà la miniera da cui andrà traendo più d’un gioiello, per gii altri suoi volumi'storici "e critici.
Ecco una delle pagine più poetiche del libro:
- Ma se ir fiume si arresta al mare, osserva prof (fidamente i'Hcgel. l'uomo vi prosegue. Il mare suggerisce primo l’idea di un altro mondo: l’al di qua della nostra spiaggia ci richiama involontariamente al pensiero l’invisibile al di là di quell'altra. La prima fantasia di un'esistenza sul mare, quando l'uomo era ancora aderente alla terra, deve avergli suscitato nella coscienza un sentimento che in nessuno di noi può oggi di guisa alcuna riprodursi. Era un passare dall'inerzia al moto, un mutare le basi della vita. Mentre l’altipiano e il cielo sono immobili, giacché nell’uno non tremano che gli alberi e nell’altro non oscillano che le nubi, il mare solo è la vera manifestazione dell'infinito, perché egli solo ha tutte le forme, i movimenti, i suoni, i misteri, le calme, le tempeste, i mostri: la sua onda ha un impeto irresistibile, e nullameno s’increspa all’alito più leggero. Ma in questa contraddizione sta il suo principio. Il mare è la libertà: un equilibrio eterno in un moto perpetuo, una mutabilità che nulla produce e che nulla può impedire; solo il mare è libero, perchè solo capace di tutte le forme» (pag. 91-92).
L’essenza del volume sta nella storia delle credenze umane, da cui han vita la morale, nuove manifestazioni i costumi.
* Il Cristianesimo con lo spostamento della vita nel dato ultramondano e la conseguente negazione del mondo, fece che l’uguaglianza assòluta non solo fu possibile, ma subito realizzata. Figli tutti dello stesso Dio, egualmente da Lui condannati c redenti, pellegrini del mondo verso la patria celeste, le differenze di ordine nel pellegrinaggio non ebbero più valore. La virtù nella sua forinola suprema, nel campo chiuso dell’individuo, fu l’unico merito: vincere se stesso, assorgere in Dio, emancipandosi dal peccato. D’un tratto l’uomo e la donna si trovarono uguali.
« Se il Cristianesimo - dice l’Oriani cominciato col dogma della madre vergine, ha recentemente stabilito l’altro della concezione immacolata, ciò prova che fra tutte le religioni sentì precipuamente l’influenza della donna.» (pag. 197), e facendo una brillante e profonda disamiùa di quest’eletta religione, la sua trasformazione nei secoli, il suo moltiplicarsi, plasmarsi, perfezionarsi, snaturarsi magari finché divenne la prima potenza spirituale del mondo, conclude: * Che.se la sua dogmatica rimase pessimista, il suo culto ne corresse a forza di contraddizioni le conseguenze; mentre il paganesimo, animandolo di tutta la propria vita d’immagini, lo adattò al sentimento e alla fantasia dei vari popoli » (pag. 201).
« ...A Roma il Cristianesimo imparò la grande scienza di organizzazione che
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IL-SENTIMENTO RELIGIOSO NELL OPERA DI ALFREDO ORIANI 245
aveva disciplinato il mondo: e modellandovi la propria gerarchia, miracolo tutt ora vivente di saviezza politica, guadagnò queirindefettibile senso di unità, che al medio evo rese il suo passato signore assoluto delia cristianità fra il cozzo di tutte le potenze e lo schianto di tutti gli scismi. Senza l'unità reale di Roma, quella ideale del Cristianesimo si sarebbe rotta. Roma sola potè, trasformandolo nel cattolicismo, mantenerlo uno» (pag. 202).
Non so se l’Oriani fosse un lettore assiduo delle opere di Loisy, dell’Harnack, di Von Hügel, dei molti altri che nel campo della critica biblica apersero nuove vie all'interpretazione della storia sacra. Certamente egli conobbe le polemiche Che si agitarono attorno al Vecchio ed-al Nuovo Testamento, e col suo ingegno fervido assimilò le nuove idee, allargò per suo conto il campo delle investigazioni, c con geniale intuito comprese e discusse in pagine bellissime ciò che i più reputati critici biblici francesi, tedeschi ed inglesi hanno scritto in volumi e volumi, non sempre di facile interpretazione.
Dalla lettura della poderosa polemica appare che la storia del matrimonio è stretta a quella della religione: la sua base si fissa con tanta sicurezza nella pura morale del Cristianesimo, che facendo la storia dell’unione fra l’uomo e la donna, non si può far a meno di passar in rassegna tutto l'evolversi della nostra fede.
« Mentre nella Germania non vi sono che principi e vassalli, che servi e tiranni -, continua l’Oriani nella sua interessante rivista attraverso i secoli, i culti, gli imperi - - al di qua delle Alpi lottano genti libere, plebe e patrizi, popolo e senato: ma l'Italia deve alla lontananza dell’impero e alla presenza del papato la propria libertà. L’impero non potè gravarla, la vita intima del papato scemò fede ed efficacia ai suoi errori. Quindi lo spirito vi si mosse nella libertà di una doppia negazione, che gli permise di sentire se medesima. La prima rivolta di Arnaldo contro il papato è più ispirata dai ricordi di Roma repubblicana che da un dissidio teologico. Se per la infusione del sangue nordico i nuovi Italiani non hanno per la religione la superba impassibilità degli antichi Romani, se ne fanno più un motivo d’arte eh; una necessità nazionale; L’Italia non ebbe guerre religiose. L’uomo moderno è nato in Italia » (pag. 236).
La storia della Riforma ha per LOrfolH-una particolare importanza, coinè quella che dando a milioni di anime una nuova idea di libertà, emancipava la coscienza religiosa dal dogmatismo di Roma, affermava l’indipendenza dello Stato dalla potestà ecclesiastica. Nutriti di profondi concetti sono i capitoli in cui vicn tracciato lo stato della Chiesa nel 1500 e nel 1600. Lo scrittore critica il matrimonio dei preti, permesso da Lutero e biasimato dà Erasmo: com_batteja_jnancanza di poesia, nel „protestantesimo, il quale.,secondo l’autore, al pari del cattoiicesimo7 lasciò che il mondo storico rimanesse fuori del mondo spirituale; dimostra come fra tutti i conflitti di popoli e di Chiese, l’arca santa della famiglia continuò a galleggiare ed a vincere le onde infide. La monogamia vinse le prime forme delle unioni polian-driche e poi poligame; si fissò nella società, restò scossa dal divorzio e ritornò a mostrarsi come una necessità ineluttabile. In questi ultimi tempi l'istruzione moderna (che non educa ed ha lasciato formarsi uno stadio critico, nel quale ideali e credenze si dissolvono senza ricomporsi) è fatale ai profondi affetti domestici, alle pure fedi
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che redimono e spingono alla devozione ed al sacrificio. Quindi la religione sola potrà ricomporre i dissidi che, nati nelle coscienze, corrodono la compagine domestica.
Il pensiero che dopo le lotte religiose della Riforma pareva essersi composto m pace, « sorrise invece di quella tregua, per la quale il sangue d'or innanzi non sarebbe più egualmente necessario nelle battaglie ideali, e il Cristianesimo, come tutte le religioni,.non potendo rimutarsi al di là di una certa forma, solo, immobile. .nell’eterna mobilità della storia, si disgregherebbe. Questo era il pensiero del pensiero umano.
«Quindi tutte le scienze, le arti, la filosofia, la politica, le attività della vita, uscendo dal Cristianesimo, lo circondarono come uno scoglio e ne batterono instancabilmente le basi La roccia era salda e resiste tuttora, ma il pensiero umano è paziente, perchè il pensiero cosmico gli ha detto che nulla resiste all'erosione delle acque, e l'obliquità delle valli, la sinuosità delle montagne, le curve della spiaggia sono appena uno de’ suoi più semplici risultati. L’umanità bianca è ancora campata su quella roccia, e ascoltando il mormorio delle aèque livide, che la corrodono, guarda la grande stella scintillante sul suo capo, lontana nel più puro azzurro dèi cielo, con una fede nella quale già palpita il terrore. Perchè il chiaróre di quella Stella non può imbiancare quelle acque? Che cosa agita quei flutti? Perchè talvolta la croce ritta sul sasso più acuto della vetta ha delle oscillazioni, che paiono di spavento? Intanto il clero afferma coll’antico eroismo che la rocca non cederà allo sfoizo delle acque, che la stella là in alto non si spegnerà come l’astrònomia afferma di tutte le stelle che le viscere della terra si apriranno nuovamente e le caverne del fuoco beveranno le acque tempestanti intorno allo scoglio di Cristo. Ma questo eroismo non si comunica più; gli occhi rimangono inerti, e gravi le fronti. Le acque ingrossano, la .loro marea sale lentamente, ma sale; talora, quando il soffio della bufera le apre, ai riguardanti sembra di scorgere nel loro fondo una nuova terra in formazione; una isola mobile che si innalzi pigra ma sicura alla superficie. E allora un pensiero angoscioso li assale, e temono che quest'isola composta colla polvere che le acque rodono allo scoglio cristiano, debba emergendo scrollarlo. Temono perchè ignorano, e bisogna purtroppo ignorare. Che le nostre mani si aggrappino a quello scoglio nel tremito del naufragio o nella furia di scuoterlo pazzamente, che i nostii occhi fissino la croce che lo sormonta con un sorriso febbrile di fede o con un sogghigno impaziente d'ironia; che il nostro pensiero posandosi su quell'astro lontano vi legga un segreto della chimica o un segreto di Dio, ogni qualvolta guardiamo le acque infuriate sulla base della scogliera per spiare in uno dei loro gorghi improvvisi il fugace aspetto dell'isola futura, il nostro cuore si stringe e la nostra mente s’abbuia. Ignoriamo! Quanti anni 0 quanti secoli occorreranno all'isola per emergere? Quali generazioni, facendo il gran salto poseranno il piede sulla terra promessa? Qual uomo le darà il proprio nome?. Quale emblema vi sostituirà la croce già sommersa e della quale solamente la scritta galleggi^ J. N. R. J.? E se la roccia non crollasse? Se la nuova isola lesi allargasse intorno come un continente dentro al quale gli avanzi del vecchio rimanessero come oggi vediamo le conchiglie sulla cima delle Alpi? E se un'onda, determina-ajlà inconoscibili ragioni di livello e
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di rotazione, si formasse entro le acque c rompesse inesorabilmente l’isola a una data profondità dal loro pelo, come chi sa da quanti secoli l’onda del Polo che traversa il Pacifico spezza i continenti che crescono a fianco dell’Australia? E se la storia umana s’interrompesse a un mutamento della storia cosmica per ricominciare chi sa quando e chi sa dove?
«Oh, i problemi sono troppi, troppo alti e sopratutto troppo lontani!»» (pagine 440-441-442).
Ho voluto riportar per- intero quest’ultima paite del libro delTOriani, perchè in essa vi sono le speranze, le illusioni, i trepidi sogni della sua mente: quelli che. con forma diversa, con più sapienza, forse, svolgerà in altre opere, che segneranno le ultime tappe del suo ingegno e le sue aspirazioni migliori.
FINO A DOGALI (i)
Nel capitolo su Tommaso Cari vie (2) Mazzini scrisse: « V’hanno epoche d'una attività calma e normale, quando il pensatore è pari alla pura e serena stella che illumina e santifica co’ suoi raggi di luce quello che è. V’hanno altri tempi, quando al genio è mestieri procedere innanzi devotamente come la colonna di fuoco nel deserto e tentare per noi le vie di quello che sarà ».
In Fino a Dogali l’Oriani dà in vari studi densi di pensici o, tersi di forma, originali, il presentimento d’una nuova umanità che andrà evolvendosi in più eroiche lotte per la.libertà. la fede, l’ideale, attraverso alle morse rigeneratrici del dolore.
Nel primo studio del volume, dal titolo « Don Giovanni Verità'», lo scrittoio descrive un'anima semplice di sacerdote, a! quale sfugge il perchè di tutte le mene politiche del Vaticano, e, non guardando che alla semplice fede di Cristo, la cui essenza è giustizia, libertà ed amore, dà aiuto ai patrioti che il papa anatemizza, è devoto sino al completo sacrifizio di se a Garibaldi, tenuto da Pio IX come uno dei suoi peggiori nemici.
« La modestia delle sue brame e delle sue idee gli aveva sempre impedito di comprendere le necessità avviluppate e profonde del potere temporale. Non avendo nè a salire nè a discendere per 1 estar prete, il suo buon senso di villano gli suggeriva fatalmente una equazione fra sè stesso e il papa. Perchè questi non potrebbe restare papa senza regno, se egli poteva rimanere parroco senza i poderi della pai-rocchia? Dio era buono e l’umanità infelice: Cristo l’aveva redenta, lasciandola nel dolore come in un aroma che le impedisce di putrefarsi. Tutto il resto era rito, culto, bisogno di rappresentazione e di traduzione per la povera gente: il Cristianesimo non era che il sacrificio di Dio per tutti e che ognuno doveva ripetere per sè e per gli altri » (pag. 46-47).
« ... Le condizioni presenti della religione, nella quale doveva agire come prete,
(1) Fino a Dogali, editore Galli. Milano, 1880.
(2) (ìiuscf>f>c Mazzini. Scritti letteràri di un italiano vivente. Lugano Tip. della Svizzera Italiana, 1817 (pag. 172),
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gli erano.sconosciute. I curati, i canonici, i vescovi che aveva conosciuto ne sapevano quanto lui. Le loro interpretazioni dei vangeli, ormai vecchie quanto i vangeli stessi, avevano perduto nella monotonia di una troppo lunga ripetizione ogni significato. Il sacerdote le sviluppava straccamente dall’altare al popolo ascoltante nella invincibile indifferenza di chi non può aspettarsi più nulla da una spiegazione. Nessuna virtù, nessun ideale luceva più. La Chiesa che aveva tanto < anonizzato nel passato, aveva perduto il profumo e il senso della santità: il clero oon era più che un'immensa amministrazione religiosa, nella quale i conventi rappresentavano ad un tempi» i magazzeni e le caserme» (pag. 47-48).
Nel trapasso dalla rivoluzione al legno di. Napoleone, al ritorno degli Orléans, ia religione -- alimentata da un vasto sentimento patetico prodotto dai massacri della rivoluzione, dalle carneficine dell’impero, poetizzata dai più grandi geni letterari - ritornò di moda nei costumi, imperò nei libri. Il soffio religioso purificava l’aria dalle impurità rivoluzionarie sconvolgendo molte teste. .Alessandro di Russia ne animale) a Pietrogrado: il pontefice ammalò in Roma del vecchio moibo vaticano. « Roma che avrebbe potuto conquistare il mondo col nuovo sentimento religioso largo e puro, pretese riprenderlo colle vecchie armi del governo papale. L’avarizia del potere temporale e l’affettazione della tradizione divina la fecero contraddire al recente moto, e poeti, apostoli, scrittori-, credenti, tutti furono violentemente assoggettati alla interpretazione vaticana.
- Ma generati dalle persecuzioni, e nati nella libertà, la loro maggioranza resistette» (pag. 53).
« Questo secolo (i! diciannovesimo) del quale si dice ancora tanto male e che il volgo addotti ¡nato vanta come, quello delie scienze, sarà forse annoveiato nella storia fra i più fecondi per la religione. Tutte le letterature e le filosofie ne sono impregnate: mai tante voci, discordi di accénto e di tono, si accoidarono in maggiore eloquenza d’invocazioni tormentando i fantasmi divini per giungere all’orecchio di Dio. Preghiera e bestemmia lottando d’energia si fusero nel medesimo singhiozzo.
« Vat¡carrismo e positivismo parvero assistere sdegnosamente immobili a questa nuova patetica demenza del sentimento religioso: l’uno nella certezza della fede, l’altro nella calma della incredulità. Il Vaticano era sicuro di Dio. il positivismo più che certo della natuia.
* Fra questi due estremi la vita progrediva » (pag. 57).
L’Oriani è persuaso che il cattolicismo prima di esaurirsi, incorporandosi a |x>c<> a poco tutto il Cristianesimo, deve produrre in sé stesso nuove forme favorevoli alla espansione degli ideali, che oggi ancora contunde nella idolatria e deprava nella politica. Ma forse non saranno gli uomini di rara eloquenza ed i grandi filosofi che riusciranno a stabilire una nuova forma religiosa, poiché le religioni sono un pensiero del cuore, uomini semplici le fondarono c le salvarono nelle mutazioni della storia. Il popolo solo, che le produce in sé stesso, è infallibile decidendo sopra qualche loro punto, ma il popolo negli anni del Risorgimento, aveva da lungo tempo abbandonato il papa nella sua querela di re. « La stessa fuga di P«o IX da Roma al primo pericolo di guerra era stata una abdicazione, giacché i re non
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possono fuggire se prima i sudditi non li abbiano disertati. Egli medesimo non credeva quindi al potere temporale appellandosi agli stranieri piuttosto che al popolo e violando un’altra volta la storia italiana >■ (pag. 144).
La coscienza popolare era così sicura sopra un tale soggetto, benché non riuscisse talvolta ad esprimerlo chiaramente, e si contraddicesse, che il Vaticano processando Don Giovanni per avei salvato Garibaldi dalla cattura dei sanfedisti, non avrebbe tatto altro che far comprendere l’idea ancor oscura nelle menti semplici. provocando in tutti gli spiriti una vera rivoluzione. Roma si sentì vinta.
« La morte del papato non poteva avvenire che nella forma di un suicidio, dal quale il pontificato si levasse più sublime sul cattolicismo.
« Questo accadde per opera di Don Giovanni Verità » (pag. 146-47).
Lo spunto di quest'affei mazione, condotta a fri di logica, è geniale. Il'conflitto fi a Chiesa c Stato, che tanto occupò i più grandi uomini dell’altro secolo, è dato con sobrii, efficaci tocchi, come un gran pittore sa dare con poche linee l'espressione d'una figura.
La prosa scorre flessibile e variata, piena di rilievo e di precisione, i vaticini sono acuti ed espressivi; l'Hegel anche qui è sovente citato, chè da lui l’autore ha tolto molti concetti intorno allo Stato, alla famiglia, alla storia; le analisi psicologiche e storiche sono originalissime e s’indovina che nell’Oriani il pensatore nutrito del fondo di tutta la cultura contemporanea, è sempre compito dall’artista, il quale non di rado corregge il ragionatore e il dialettico, accordando fra le severe disquisizióni sul papato e la politica, la poesia ideale della religione e la poesia reale della vita.
L’ultimo capitolo ha alcuni tratti profetici. La guerra che. secondo l’autore, sarebbe ritornata tra noi, col compito di farci più sani e più grandi doveva, complicandosi appunto delle ùltime rappresaglie monarchiche colle impazienti esplosioni rivoluzionarie, esseie abbeverata di molto sangue. « e forse a questo pensava Don Giovanni moribondo riassumendo la propria nobile vita di patriota in una ultima angoscia di carità cristiana.
x Ebbene che importa? La guerra è una forma inevitabile della lotta per la vita, e il sangue sarà sempre la migliore delle rugiade per le nobili idee.
«Alla guerra...! e guai al vinto, perchè la verità è invincibile» (pag. 184).
Le meditazioni del secondo capitolo di « Fino a Dogali », La* via Emilia. sono fra le più belle dell’Oriani e le più suggestive. Lo studio su Niccolò Machia velli, che destò molte discussioni ed è apprezzalo in modo particolare dal Croce, è un chiaio segno del suo ingegno critico, compiacentesi talora nelle contraddizioni e nei paradossi, stimando che il giudizio dei più non è sovente il migliore. Fra , Machiavelli e il Guicciardini il ’grande politico per l’Oriani è quest’ultimo, l'altro è il più perfetto letterato del Rinascimento.
Nel « La tragedia », il senso del grande dissidio che si manifesta in ogni uomo, •n tutti i popoli, in ogni civiltà ne forma il soggetto. Nella lotta tra la ragione e . gli istinti, nell’eccesso dei nostri sentimenti, nella .sproporzione delle nostre fa- ' coltà, nel contrasto che fanno agli occhi della coscienza morale*il concetto del soprannaturale e quello della natura, il nostro spirito si risente delle battaglie e delle
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tempeste interioii pei cui passa dà secoli. Tra la civiltà greca e'questa nostra c’è in mezzo il Cristianesimo e il Medio Evo. Noi siamo i figli di Fausto, non d’Elena. E questo Fausto che tutto vuol indagare, tutto comprendere, che chiama al cielo il peichè delle-siie folgor i, alla ter ra il mistero dei suoi cataclismi, che vuol sentir Dio in sè e, trovandosi misero, maledice il Creatore, quest’essere irrequieto piova sempre il peso del suo pensiero, che lo tortura fino alla tomba (i).
« Appena lo spirito pensa sè medesimo, ripensa il móndo nell'antichità della sua geologia e nell'eternità della sua durata. Solo l’eterno può pensare l’eternità...
« Ma lo spirito è nell'uomo e non è l’uomo: colui che pensa non è pari al proprie» pensiero; il pensiero si lealizza in lui e non è lui. L’uomo morrà e il suo pensiero sarà immortale, ecco la tragedia - (pag. 357).
« Tutto passa e non ne resta nella scienza e nella coscienza che un'idea: ideale per le genti che volevano conquistarla, ricordo por le genti che l'hanno ereditata » (pag- 539)Beco di quale sostanza vitale è composto Pino a Dogali. In esso l’ingégno del-l’Oriani ha potuto serbare l'equilibrio di tutto se medesimo più che negli altri volumi;
fi.) Quando il Cristo alla festa dì Patini del Bovio si rappresentava nei principali teatri d’Italia, l’Oriani compose un opuscolo, in cui sono raffigurati cinque giovani studenti che discutono in un'osteria; tra loro si trovano un sacerdote ed un socialista. La conversazione si svolge sull'opera teatrale del Bovio c si chiude con un dialogo, in cui il socialista espone in una serrata sintesi il suo odio apparente contro Cristo, ribattuto con..veemenza e con profonda fede dal giovane prete, che è un mistico: Le vostre arti dilucidano i propri quadri sul panorama della creazione di Dio, dice l’abate, le vostre scieftze sillabano le prime parole sul. libro delle sue leggi, la nostra storia, effimera comincia e finisce nella sua storia eterna. Perchè Dio non sarebbe disceso fino a noi sotto la forma di Gesù? La leggenda mosaica. voi dite, è assurda quanto l'altra cristiana della redenzione: ma che ci resta di più ragionevole? Forse la ragione, che ignora tutti i perchè delle proprie domande e delle proprie risposte? Cancellate creatore e creazione, ma resterete sempre dinnanzi al pensiero, che ha potuto tonto cancellare, e alla materia incancellabile anche per il pensiero. Siete dunque al medesimo punto, nella stessa antitesi del finito coll'infinito, dell'uomo con Dio; e poiché nulla può disgiungere materia e spirito, forma e sostanza, ordine c cose. Cristo torna mediatore fra le due nature inseparabili. Cristo non si riesce a negarlo: tu, Mattioli, lo ammetti nell’arte, tu, Tarlatfi. nel dubbio, tu. Tebaldi. nell'odio; menile egli vi costringe tutti e per sempre nella prò »ria orbita divina. L'umanità tenterebbe indarno di scordarlo, perchè in essa ciò che u dura. Prima di strappare Cristo alla coscienza dell'umanità, cercatevi intorno con c ie cosa riempirete in essa un vuoto di duemila anni. Chi di voi può proclamare false le figure dello spirito accettando per vere quelle della natura? L’indimenticabile dell’uno non vale dunque l'immutabile dell’altra? Pei’ coloro che credono, il presente è l'eterno; per quelli che dicono di non credere, il presente è l'effimero, ma la realtà c ugualmente per tutti nel presente: Cristo è presente nell’umanità. Tu, romanziere, hai confessato che. nessun dramma è più intenso del suo: trova tu, poeta, una passione della sua più ineffabile: tu. filosofo scettico, cerca un dubbio più profondo della sua fede — se la nostra vita non viene da Dio«* non torna a Dio. per mezzo di Dio,* dove va la nostra vita? Tu, socialista, accumula tutte le risorse della materia, condensa l'immensità del mondo nella brevità del tuo tempo, e costruisciti una vita di piaceri; il più piccolo dei dolori spirituali simboleggiati in Cristo ti renderà per sempre, egualmente, inconsolabile. Tutti noi portiamo Cristo crocifisso nel cuore, e la nostra passione continua la sua, finché sia consumata la prova e vinto il mistero. Oggi come sempre. ’1 mondo appartiene a coloro che credono ■ (Alfredo Ori ani, // Cristo alla testa di Purità. Bologna. Tip. And reo! i, 1895).
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cd ha la freschezza, la spontaneità, il calore e la verità originale dell'intuizione immediata, l’armonia della facoltà artistica con la speculativa non turbata daH'aridó processo scientifico e teorico. • .
Lo scrittore in tale .opera ha fatto un gran passo; egli non ha più la gonfiezza di quando scriveva uno dei suoi romanzi giovanili di minor importanza: Sullo scoglio, dove sospirava:
« Vorrei essere piuttosto Hegel che Raffaello. Salire come egli gli ardui gioghi della metafisica, mentre l’aria si. rarefà. e i compagni più intrepidi gli cadono intorno asfissiati; e salire, agile, audace; superare le ultime vette impresse di orme umane, e i cieli che si diradano purissimi, ed.egli là. solo di tutti gli uomini, solo nell’infinito... ascendere ancora l’estrema guglia, sulla quale i contiari s’identificano e sfolgoreggiano... c là, solo, trasfigurate, senza più nulla d’umano, invisibile a tutti, colla coscienza di un Dio •• (pag. 233).
Quest’Oriani è asceso nella sua via di airista-filosofo, bevendo a tutte le forni di vita, prediligendo la patria, che prima negava, in una ribellione che in fondo era amore, volgendosi ad una mèta tutta propria di rinnovamento ideale, pur serbando nel modo dell’espressione qualche traccia dell'origine.
LA LOTTA POLITICA IN ITALIA (1) (Origini della lotta attuale)
In una lettera inedita, diretta a Giuseppe Cesare Abba, l’Oriani così sfoga la sua delusione:
«Senti: io sono o sconosciuto ó male giudicato in Italia. I miei primi romanzi dei quali le audacie falsarono nello spirito dei più le intenzioni artistiche, mi hanno dato una reputazione di romanzière bislacco ed impuro: i miei libri posteriori, di scienza, non furono letti: Maltintonio-e Dogali sono tuttavia all’ombra. Ora tocca alla storia d’Italia. In essa io ho pensato quanto potevo, voluto quanto ho pensato: mi sono forse chiuso, e tu pure me Io dicesti quella sera, ogni via aU’azione, ho significato quanto restava di me » (2}.
Quest'opera, attorno a cui si fece il silenzio, è forse una delle più poderose composte nell’altro secolo. « Storia di filosofo e di artista insieme, scrive il. Croce, della quale sarebbe trivialità dire che si notano qua e là qualche giudizio superficiale o qualche errore di fatto:- la vastità del quadro e la foga stessa delio scrittore il cui ingegno vivace sfavilla spesso in acutezze, bastano a spiegare questi difetti » (3). In essa l’autore, sovente così soggettivo, vuole innalzarsi al disopra (Fogni spirito di parte, e quasi sempre riesce ad avere la più obbiettiva, la più serena e disinteressata considerazione del proprio soggetto. Nei volumi’ storici anteriori egli procurò di cercare quale sia lo stato morale che produce una data società: quali siano le
(1) La lolla politica in Italia, Opera citata.
(2) Luisa Giulio Benso. Gli amici di Giuseppe Cesare Abba. ìli prossima pubblicazione sulla Rasségna Nazionale di Firenze.
(3) B. Croce, La letteratura della nuova Italia, op. cit. (pag. 248).
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condizioni di razza, quali quelle del momento storicele dell'ambiente più proprio a produrlo; studiare, in altre parole, Vuomo che sta dietro e in mezzo’ ad esse; in questo volle, come il Taine, togliere la storia dal campo troppo chiuso delle astra zioni, abbracciò i secoli, le vicende e le fortune patrie con intuito podeioso, ed imitando Cai 1 vie, pose ad ogni epoca, come una pietra miliare in un glorioso e faticoso cammino, un uomo — l'eroe - che ne rappresenta la politica, il pensiero, la sintesi delle aspirazioni, le lotte; ogni fiamma ideale, elaborata come in un gran crogiuolo dalla società ».
L’opera ha per epigrafe il detto di Keplero: « Il mio libro aspetterà il suo lettore». E si comprende come le crude verità dette nel 1892 agli Italiani, che vantavano le loro guerre del Risorgimento ad ogni occasione, e di tutti gli uomini rappresentativi del 1848, ne facevano quasi degli eroi, non potessero riuscire accette. I giudizi su Carlo Alberto, amari in Fino a Dogali, sono quasi crudeli in qùesto volume, e quando dice della battaglia di Peschiera: «• Era la prima vittoria italiana, e doveva restare l’ultima », offendeva i facili entusiasmi di chi si stimava felice di aver avuto anche a buon mercato la patria, purché questa fosse un campo di ricchezze, di godimenti, di ozi pacifici.
Luigi Ambrosini, fra gli altri, criticò La lolla politica, stimandola un plagio, chè'in essa si trovano riportati, senza citazioni, secondo il metodo deH'Oriani, vari brani di Giuseppe Ferrari, se ne sviluppa il pensiero, he sono allargati i concetti. Ma la polemica non tolse pregio all’importantissimo libro, da cui l'autore sperava una rinascita vigorosa di patriottismo negli Italiani, seguendo te linee direttive di Carlo Cattaneo, ampliando il campo in cui Petruccelli della Gattina aveva lasciato una geniale impronta coi suoi articoli politici. L’aver attinto ad uno scrittore non toglie le qualità propiie di chi se ne assimila diverse idee, quando le materia ela-l>orata riceve da noi una nuova vita, si plasma con la nostra coscienza, ha dalla nostra individualità un'impronta speciale. Il libro che ebbe tante critiche fu ristampato parecchie volte dopo la morte dell’autore, ed oggi chi vuol conoscere la storia politica del nostro paese, per averne luce nel futuro, deve leggere questo volume, in cui vi sono capitoli interessantissimi. Quivi l'Oriani vede il papato come in Fino a Dogali, e, criticando il federalismo ed ogni potete temporale, inneggia a quell'unità italiana per cui operarono in diversi modi Mazzini, Cavour, Garibaldi.
OMBRE D’OCCASO (1)
Ombre d’occaso è una raccolta di scritti, fra cui vi sono articoli stupendi per ricchezza d'indagini, per profondità di pensiero, per poesia che s’eleva dal cuore ferito del letterato, come, l’incenso da un tripode. Il libro è dedicato ad un amico morto e ad una signora, una gentile figura evocata dalla mente del solitario autore, per ingannare la lunga solitudine a e per sentirsi almeno dinanzi il silenzio di qualcuno, che ascoltando rattenga il pensiero nei limiti della parola ». L’Oriani in questa
(1) Ori ani, Omftre d'occaso. Bologna, Beltrami, rqoi. Si ristampò dalla casa Laterza nel 1913 0 qui-si cita quest'ultima edizione.
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sua raccolta è giunto alla sua completa maturità; gli ideali informi della giovinezza hanno preso consistenza, la.sua fede s’innalza come un’aquila dal volo ardito verso << il sommo sole ». La ribellione ad ogni forma secolare, ad ogni potere costituito, il paradosso, la stravaganza sono cessati in lui ed hanno preso un altro aspetto. L’anima dalle molteplici risonanze dell’artista non lascia più che le sue aimonie si perdano inutilmente per l’infinito. Egli le ha raccolte in sè, nelle lunghe meditazioni; le ha accordate in un ritmo potente, le ha fatte vibrare con tutta l’intensa vita del suo spirito e le scioglie in ondate, in sinfonie, in notturni, affinchè vadano a commuovei e altii cuori destando nuove sensazioni, facendoli passare per tutte le gamme della delusione, del dolore, della fede, per finire in una nota triste, in cui risuona ancora, ma velata dalle ultime ombre, la speranza. « Al pari della gloria anche l'amore non ottiene che dalla morte l'indiscutibile cònsaciazione >*. L’Oriani scrivendo questa frase al suo gentile fantasma, sapeva di dover avere dai posteri quelle soddisfazioni che la vita gli aveva sempre negate.
Fin dalle prime pagine del volume s’intende che nel silenzio della sua casa, l’autore si rivolgeva incessantemente all’infinito. Il figlio del defunto barone Barateli! gli domanda: « Credete voi, maestro, che potremo rivederlo (il padie) al di là? » o Non 1q so, fanciullo —- risponde il pensatore, nella sua tormentata indagine religiosa —; coloro che pensano non sanno nulla, il cuore solo ha le certezze sublimi, la fede delle cose sperate. Se la morte non è un inizio, che cosa cominciò dunque in noi veramente? Bisogna credere: ogni dolore è un richiamo, e la morte un appello supremo ».
Nel capitolo: ■ La bancarotta della scienza” la mente dell’autore pare abbia raccolto in sè tutti i dubbi, le disquisizioni, le trepide ansie, i voli del pensiero di quanti cercano nella fede ed in Gesù la risposta alla loro sete di verità. La sua inter- ' prefazione della persona e del pensiero del Cristo non è forse secondo la realtà; le idee di Renan e quelle di Stiauss hanno lasciato una grave impronta nel suo. modo di giudicare, e gli hanno tolto la visione precisa del Nazareno; o forse l’Oriani trovando dei punti di contatto fra la sua anima solitaria ed ardente d’amore inappagato col Cristo, confuse i suoi palpiti con quelli di Gesù, e vide in Lui quel distacco da ogni affetto terreno, quell’abbandono che i Vangeli non danno, nè esprimono in tale maniera.
« Egli sognava .su quella terra arida, fra quei monti calvi, lungi dal màre che la pensare all’infinito, in una profonda ignoranza del mondo, che colla varietà delle proprie genti confonde le loro idee, e dalla promiscuità dei sistemi solleva la nebbia del dubbio ad intorbidare le intuizioni dei solitari. Qualcuno lo avià certamente interrogatol e le sue risposte uscenti dal sogno ne comunicavano le vibrazioni misteriose: nessuno l’amava, egli non prediligeva alcuno. Nella sua mente piena nel pensiero di Dio, nel suo cuore gonfio di tutto l’amore umano, non vi era posto nè per altro pensiero, nè per altro amorfe. Ma siccome l’umanità errava sotto la maledizione di Dio. e Dio pentito dell’opera propria era rimasto solo, la redenzione promessa si doveva compiere nella riconciliazione dell’uomo con Dio, che la volontà aveva divisi e il pensiero, riunirebbe nuovamente al disopra del dolere.
«Questo sogno antico era così necessario che oggi ancora prosegue.
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«Gesù non sognò altro» (pag. 117-18).
«...La crudele diffidenza delle turbe reclamanti il miracolo ha messo la verità della sua buona novella a una prova mortale; egli ha potuto uscirne, ma il suo miracolo, non diverso da tanti altri, provò solamente la poca forza della sua parola. Certamente non si può essere Dio essendo uomo, senza che la contraddizione fra le due nature paia una menzogna.
« Ebbene lasciatelo sognate, perchè solamente la menzogna consola» (pag. 119).
Il capitolo che dà una precisa nozione del punto in cui era arrivato allora l’Oriani nella sua fede, termina ricordando un romanzo dal titolo bizzarro: Mentor ie di Gii da Iscariota, di Petruccclli della Gattina.
Gesù ritorna negli altri articoli come un motivo dominante in un’opera. La sua figura s innalza dal libro, come s’elevava dal cuore alla mente del letterato, empiendo i suoi silenzi, ¡1 vuoto della sua casa, le malinconie della natura con le Sue parole, le Sue speranze, la Sua luce.
In Pasqua, il problema della resurrezione è discusso. L’Oriani si sente attratto verso la grande vittima del Calvario e si ribella a questa segreta, invincibile simpatia. Ma la sua ribellione non è profonda, e si direbbe che le sue discussioni sono fatte specialmente per convincere se stesso.
'Gesù non promise infatti la resurrezione che dopo la fine del mondo,, nel quale non volle più egli stesso ridiscendere, sebbene non vi avesse davvero patito •i dolori inconsolabili. Come avrebbe egli potuto soffi irli non essendo nè figlio, nè fratello, nè amante, nè padre? Peichè il suo cuore sotto il bacio di Giuda av.ebbe remato più di quello di Cesare sotto il pugnale di Bruto? Gesù fu venduto forse alla prostituzione come oggi ancora tanti fanciulli? Le donne, che lo seguivano, in qual modo avi ebbero potuto tradirlo; se egli non amava? Il popolo, abbandonandolo nel processo difese mai altri rnessia? Perchè si dice dunque ancota che Gesù sofferse per tutti, più di tutti, per riscattai ci dal peccato e vincere la morte, mentre passò invece sulla superficie della vita in un sogno di paradiso? A tale vittoria sarebbe stata necessaria ben altra passione che la sua nella quale persino ¡’ultimo supplizio fu senza tragica originalità» (pag. 151).
La Pasqua ricorda all’autore la sua prima comunione, in un collegio, dove.viveva solitario, incompreso dai compagni e dove sentiva il peso della larvata prigionia. Dio era disceso in lui — così gli dicevano i maestri —, invece'egli, dopo la mistica funzione, si sentiva più solo di prima. Quella sua anima selvatica, in cui le passioni cominciavano a fiemere, non poteva ancora provare tutta la poesia dèli’unione ideale con Dio, tutta la forza che può venire all’uomo da un atto che lo immedesima — sia simbolo o realtà — coll Ente rupremo e ne fa una stessa cosa con Lui. Molto bisogna soffi h e ed amare prima che la nostra anima possa commuoversi intensamente a quest ineffabile rito, ed intuirne 1 riposti carismi; nè gli entusiasmi infantili potranno egnagliaisi alle elevazioni di chi cerca nella fede il segreto del nostro spirito immortale, emanazione di Dio.
«Eppure, scrive con glande sentimento l’autore romagnolo, avevo tentato di salire a lui sino dall’alba, quando arrampicato sulla finestra vedevo il cielo soffuso di un vapore gemmeq, attraverso il quale passavano come fili di una tiama mi-
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stenosa i raggi del sole. Poi laggiù nella chiesa sotterranea avevo provato tutte le angosce e .le delizie di un’altra ascensione per l'ombra sacra, sospesa sopra l’altare indarno raggiante di candelabri e di candele. Il mio pensiero non era più quello di un fanciullo; mi pareva di capire tutta la passione di Cristo, e che un’altra passione di amore mi innalzasse col volo degli angeli, ai quali le ali tremano appena come una fiamma. Forse quell’impeto c quella leggerezza erano già nello spirito i segni della comunione divina, prima ancora che le parole sacramentali ne annunziassero il prodigio » (pag. 157).
Così, in una prosa stupenda, brillante, varia, alata si svolge il pensiero del-l'artista, che cerca un riposo al suo spirito esagitato. Il letterato che sentiva talvolta al cuore uri freddo più intenso che al Polo; che si era fatto della sua casa un deserto nel quale restava solo, camminando verso una meta che in terra non potè raggiungere, palpitò nei suoi ultimi anni di speranza. Egli desiderò ardentemente di seguire il duca degli Abruzzi al Polo, onde scrivere i commentari di quel viaggio straordinario. La sua aspiiazione non fu capita; allora sfogò in poche pagine d'addio al dqca la sua delusione e furono forse le migliori, le più nostalgiche della sua esistenza.
Che libro aviebbe scritto l’Oriani fra quelle bianche solitudini, fra i ghiacci eterni! Là dove l’uomo non lascia più impronta egli avrebbe sentito meglio l'immensità di Dio. e la verità che andava cercando gli sarebbe apparsa splendida e tranquilla, come un'aurora boreale, tutto consumando nella sua luce divina, mostrandogli dov’era la vera gloria, facendogli cantale nell’anima altre speranze ineffabili, popolando di nuovi allettanti fantasmi la sua fantasia.
Egli restò in patria a soffrire, a sognare e ad interrogare i grandi pensatori. L* Hegel ritorna- in tutti i suoi scritti, lo stupisce col suo genio, lo trasporta così in alto, da non poterlo sempre seguire.
« Leggendo i suoi libri, il pensiero resta per lunghi intervalli abbacinato: l'idea vi si svolge ad una altezza senza misurarin una serenità troppo lucida, senza ombre che diventino figure: siamo in un paradiso simile a quello di Dante, fra un bianco ardente, nel quale le anime sono fiamme e le apparenze un fremito della luce. Non vediamo più il filosofo, non sappiamo più immaginarlo *nella nostra esi: stenza di tutti i giorni, fra ¡ pettegolézzi di una carriera di professore. Nessuna gloria salirà forse al disopra di questa, ma l'anima della gente non può seguirla lassù.
« Hegel è l'intelietto.
«Su lui morto uno dei suoi illustri scolari credette poter dire: —Egli fu ¡1 Cristo del pensiero; — e disse male. Hegel è ancora più aitò; la sua vita sparisce nel suo pensiero, poiché questo aveva già disciolto nella più eccelsa astrazione tutto il mondò » (pag. 230).
Quest’astrazione è ammirata, ma non può essere compresa nella sua essenza creatrice dall’artista, che ama sopra tutto la forma. Cristo vince Hegel — e se il pensatore si compiace nelle teorie del genio tedesco e con lui s’innalza — il.poeta, il mistico cercano il conforto nel Figlio di Maria, ascendono dall'amore umano alla
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passione divina, adunano tutte le torture dell’ideale intorno ad una figura ardente e luminosa come un incendio, sognano una resurrezione, che riunisca ancora tutte le anime al disopra della morte in una esultanza. suprema (i).
FUOCHI DI BIVACCO (2)
Mentre i dolori a lungo sofferti ne! silenzio, cominciavano ad indebolire la robusta fibia dello»scrittore faentino, egli, lottando col male che lo insidiava, cercava uno sfogo al suo pensiero scrivendo degli articoli su diversi giornali d'Italia. Prima d; morire li raccolse, fece loro una prefazione, ma non li pubblicò. Essi uscirono dopo la sua morte, così com'egli li aveva ordinati, meno ampi di quelli inseriti in Ombre d’occaso, ma non mancanti di una larga vena lirica ed una viva ricchezza spirituale.
Arte, scienza, politica tutto v'c trattato. Il repubblicano è diventato un liberale con una tinta di' conservatore, che nutre l'illusione di potei essere compreso da! pubblico ed aiutare, forse un giorno, il popolo nella sua ascensione.
Nel libro, fra gli altri scritti, ve ne sono alcuni sui papi Leone XIII e Pio X. assai interessanti. « Quel vecchio papa (Leone XIII), che sembra tuttavia imperare al mondo delle coscienze, quasi disseccato dalla vecchiezza, ma col pensiero sempie acceso come una lampada siici a, adorato dai credenti, riverito dagli increduli, di rigendo ancora la secolare marcia convergente del catolicismo attraverso tutte le nazioni, e interrompendo tratto tratto gli ordini per levare un inno alla Vergine, è una figura simbolica, troppo piestigiosa nella sua unicità, perchè la fantasia delle genti e dei poeti non ne sia scossa. E nessun’alt ra potrebbe essere più ideale, se dentro al suo simbolo fossero I uomo e il poeta « fpag. 90).
Lo scrittore in questa sua disamina si mostra sempre essenzialmente artista. Nel papato vede il simbolo-grandioso, che accoglie in sè tutti gli aneliti spirituali dell'umanità: nel pontefice l’essere che dovrebbe comprendere tutte le tragedie dello spirito religioso, sentire le parole penetranti che prorompono dalle genti, le quali brancolano fra il dubbio; intuire le nuove forze democratiche; elevare la sua autorità. Il papa dovrebbe essere più che un uomo; e gli appare fra i fastigi della storia, attraverso i capolavori del Vaticano, cinto d un potere davvero ultraterreno.
li papato, cessando di essere un piccolo regno, doveva rinnovare il proprio immenso impero; un’altra interpretazione, nuovi modi di guerra, campi sconosciuti di battaglie, armi e difese originali si imponevano giorno pei giorno; il papa prigioniero nel Vaticano doveva ai mondo la formula di un’altra libertà, in lui inerme l’istinto delle moltitudini.cerca va l’interprete di una nuova pace, alla quale le ultime inevitabili guerre avrebbero servito di prologo • (pag. 91).
Leone XIII, il papa umanista, questo studioso al quale l’Oriani toglie giustamente. ogni impeto lirico, pur essendo un rimatore, non poteva compire da solo
(:) Bacone aveva detto: ■ Levcs gusto* in philosophia movere (orlasse ad alhei-smura, sed pleniores haustus ad religiónem reducere ».
(2) Okiani, Fftoctii di bivacco. edito Laterza, Bari, 19113.
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vecchio ed ostacolato da scuole politiche, - filosofiche, scientifiche a lui contrarie, tutta l’opera che il letterato gli voleva impone, non assorgere alle vette più combattute del nostro pensiero, non aver l’audacia da trovare una strada fra l'intrico dei sentieri, che ormai imprigionano come in un labirinto la coscienza del mondo. La società s’è creata degli altri credi; il popolo s'è rivolto a nuovi miti che non lo soddisfano, forse, ma gli danno la speranza m un benessere^ materiale, di cui ò avido. Gli anatemi, forza somma medioevale del papato, non impressionano più le anime, che si assolvono e si condannano nel segreto del loro io. non gli Stati che si sentono troppo forti pei temere un’idea concretata in un uomo; non le plutocrazie che hanno in esse il cardine della vita economica mondiale.
E se è vero che «oggi ad un glande papa abbisognano grandi iniziative » e che « il cattolicismo dovrà assimilarsi tutta la democrazia o sarà vinto senza combattere nella più umiliante preterizione », è altresì giusto che un uomo solo od una forma gerarchica e ieiatica di governo spirituale non possano vincere una società, se in questa non vi sono delle valide correnti affini, se gli aneliti di milioni d’uomini non rispondono ad un solo alto ideale religioso.
Nell’articolo • Il papato », scritto nel 1903 si delinea nettamente la tendenza del letterato romagnolo ad un liberalismo conservatore. L’autcrità gli par necessaria per il buon ordine sociale. Dòpo aver saggiato, nei suoi studi e nelle sue osservazioni fra gli uomini, tutti i partiti politici e tutte le utopie, gli parve che all’umanità sia necessario un punto d’appoggio, un essere che. significando in sè tradizione, storia, valori spirituali accolga le speranze presenti, le migliori, le plasmi in novelle forme e le proietti realizzate, secondo un secolare principio, nel futuro.
« Il suo primo giorno (del papato) è antico ed incerto come tutte le origini delle idee e delle cose destinate a vincere i millenni: e se Gesù non-lasciò nulla sciitto <• i più precoci evangeli datano da sessantanni dopo la sua morte, il papato cominciò ceitamente all'indomani della crocefissione, per un’intima necessità di dottrina e. di battaglia, nella nuova setta. Ogni conquista presuppone un conquistatore, ogni impero una dinastia per superai e l'avventura della conquista che nel primo momento sembra quasi sempre significare la personalità di un uomo, anziché la verità di una idea. *
«E poiché la forza del Cristianesimo discendeva dalla sua rivelazione divina, l’unità di questo nella storia poteva essere perfezionata soltanto da una direzione una, infallibile, permanente, che avesse la tangibile autorità di un uomo e la più pura impersonalità dell’uff'cio » (pag. 95-96).
« (Il papa) chiunque egli sia, simbolo ed ufficio lo tengono così alto sopì a una linea cos* diritta. clje tutta la sua miseria di uomo non può mutare un giorno nella Chiesa: la sua autorità è di giudice che firma soltanto la sentenza, ma la sua firma basta a troncare per sempre ogni discussione; il suo pensiero non è più individuale, la sua paiola ò un’eco del passato che si perde nel futuro, la sua opera ha soltanto l'impronta cattolica. Può essere un genio, un eroe, un delinquente, un mediocre, e la storia della sua Chiesa e quella del mondo se ne accorgeranno appena: il papato solo ò grande, così grande che i papi vi si smarriscono.
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»...Bisogna sovesciare il cristianesimo per abbattere il cattolicismo, e frángele ¡1 cattolicismo pei trionfare del papato. Ma il cattolicismo, invece,' nel secolo decimonono ha oramai ripreso al protestantesimo tutte le proprie provincie, mentre la Chiesa russa davanti alla lomana rivela la propria debolezza religiosa nel proprio papa secolare, lo Czar. Che questi, raggiunto dalla modernità cada o si muti, e l’ortodossia russa, abbandonata ai dissensi delle proprie differenze, non potrà resistere alla unità del papato romano.
-Adesso il papato è nella fatica di r.n’èrà nuova» (pag. 98).
L’Oriani in queste pagine sembra uno di quei veggenti antichi, di quei Santi Padri che, quando 1 barbari stavano per sommergere la civiltà latina e travolgere la Chiesa ir una lotta senza quartiere, s'innalzavano al disopra delle folle, dei partiti, dei Comuni, lasciavano i loto eremi c predica vano le nuove crociate. La loro voce talvolta non fu ascoltata e la rovina travolse popoli e re; ma quando vinse ogni riluttanza, seppe far destare i più fri vidi entusiasmi, ridiede al papato nuovi fulgori, fece trionfare la Chiesa in tutto il mondo.
Non so come l’Oriani avrebbe giudicato il papa in questi anni, in cui tutti i valori sembrano capovolgersi, ed imperatori, re, presidenti di repubblica, principi della Chiesa discutono senza comprendersi. Non so quale concetto si sarebbe fatto di questo potere spirituale, che tenta indarno ogni via per riprendere il. possesso delle anime, le quali cercano di svincolarsi da ogni antico legame, ed in questa lotta terribile vanno tastando il cammino per cui andrà la nuova generazione con ideali purificati dal dolore. Egli aveva però intravisto una gran verità quando affermava:
La democrazia operaia è forse la sola che, nell'istinto, possa ancora guardare al papato, sognare un papa.
c Non è già un dogma per molti che nell’avvenire vi saranno soltanto due partiti, il socialista ed il clericale? Certamente sono i più vasti nell'orbita, ma il papato è ancorali più alto, giacché egli solo ha una : ¡sposta a tutte le domande della vita.
«Che importa se la risposta è falsa o insufficiente?
“ La necessità suprema è di rispondere, e solamente chi risponde regnerà sulle anime, componendo loro quel mondo visibile ed invisibile dietro il quale l’umanità sogna da secoli, coi piedi nel fango e gli occhi fisi oltre l’azzurro del cielo » (pag. 100).
LA RIVOLTA IDEALE (1)
In Fuochi di bivacco l’Oriani dà la misura del suo credo politico, con diversi articoli sulla Francia, a proposito della lotta di Combes contro la Chiesa; ci lascia comprendere quanto avanzò nella fede, come ascese il suo pensiero, come soffrì nel segreto senza ccnforto. In Rivolta ideale v'è la sintesi di tutta la sua opera, l'ultimo suo credo, il monito supremo agli Italiani, ciò che aveva pensato c predili) Ori ani. ¡.a rivolta idealr, prima ediz., edito Ricciardi. Napoli, 1908, op. cit.
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letto con la dedizione di tutto il suo essere; il vangelo di chi creò, amò, sofferse per tutti coloro che la vita umilia fatalmente nelle feconde bassure del lavoro anonimo e quotidiano.
A Casolavalsenio. fra i monti romagnoli, dove ti ascorse' la maggior parte dei suoi ultimi anni, compose anche questo libro. In quella sua mente cosi fervida vera ancori il germe di molte opere future, la fantasia accarezzava ancora dei dolci fantasmi, più soavi di quelli che nella prima gioventù gl'infiammavano d pensiero, l’amoie al popolo gli dettava altri volumi, l’amore di patria altri concetti per farla più grande, ma la fibra stanca, il cuore-amareggiato da tante delusioni non potevano più durare in una lunga fatica, e La rivolta ideale fu il libro eh? chiuse la feconda attività letteraria dell’illustre romagnolo.
Il volume, secondo il titolo, vorrebbe essere una libellione spirituale a tutte je deficienze, le manchevolezze, gl'inganni, le viltà di questa nostra compagine sociale; una luce a chi brancola nel buio, un’arma a chi cérca il migliore strumento per la nobile lotta. Scritto in forma un po' rettorica, talvolta quasi di sermone, ha in sè delle bellezze di lingua, delle sfumature di pensiero gentilissime, ma se l’autore s'immaginò .compilandolo, di Cominciare con esso quella rivolta che deve realmente portare un rinnovamento (¡a la società’ il fine gli è mancato. Egli comprese che l’umanità aveva bisogno d una fede più pura, e che questa doveva essere il nerbo della nuova elevazione popolare: capì che leggi; stati, classi, partiti, industria, spirito nazionale, proprietà, .matrimonio, pena, beneficenza, scuole, militarismo, imperialismo tutto doveva esser : innovellato, passato attraverso ad un nuovo fuoco, provato’ in un novello crogiuolo, ma quando si Mattò di segnare la vìa, di abbattere pei ricostruire, si fermò, guardò con nostalgia il passate e pensò che nelle vecchie forme v'è lievito abbastanza per dar loro novella vita (1).
La rivolta ideate è piuttosto un libro di purificazione spirituale. Che un incitamento alla lotta, è un indice che detta all'anima le fonti a cui può abbeverarsi fra gl’inganni quotidiani, una guida all’uomo onesto ed illuso, che tenta di migliorare l’umanità senza nulla distruggere sul suo cammino. È bensì vero che in più d’un capitolo dei lampi subitanei mostrano fin dove può giungere, affinandosi nel sa-ciificio, una migliore umanità; rischiarano le ombre che ci avvolgono; rivelano quanti
(t) Giovanni Gentile pubblicò ne: I! Resto del Carlino del. 17 luglio 101S un articolo per la ristampa del: La rivolta ideale.
• Capitoli stupendi, scrive, per nettézza di pensiero e stringatezza c rigore di ragionamento, in cui una intuizione fondamentale felicemente appresa, si enuclea in dimostrazioni c osservazioni evidenti, suggestive, perentorie. Ma insieme con essi (specialmente nella prima e nella terza parte del volume) capitoli, in cui il pensiero .lavora c s’a ftalica intorno a un'idea che non riesce a fissarsi, a delinearsi, vivere: quantunque anche quivi si senta il respiro poderoso di un artefice forte, che non colpisce nel vuoi» ma martella con braccio, impaziente un duio blocco. E nella tessa pagina talvolta una proposizione che come lampo scopre una verità, chiusa nel suo contorno, solida, quadrata, in tutta l'energia probativa del suo valore; e dopo, lunghi commenti, che noi» fanno più chiara quella verità, né più persuasiva, anzi la oscurano lievemente e l’at-tcnuano, distraendo la mente a considerazioni diverse o divèrgenti -.
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tesori sono ancora nascosti nei segreti dell’anima umana, e vogliono esser tratti alla luce. Ed è altresì vero che. leggendo il libro, lo spirito si sente trasportato in un aero più puro, e che l’ideale velato fra i soprusi e le viltà »splende con un fulgore straordinario, ma non basta per chi ha sete di rinnovamento, per. chi voirebbe che un fuoco purificatore incendiasse tutte le scorie di questa società che nella guèrra espone le sue cancrene, le quali hanno bisogno d’un bisturi salvatore per guarire, come le sue virtù reclamano un esercito di umili eroi per potersi affermale c sviluppare fra le<rovine (i).
Si. la vita fino all'ultimo passo, e la luce fino all’estremo fulgore sono un moto dell’ideale», ma, o grande solitario, quale l’uomo buono, onesto, intelligente il quale non abbia sognato di realizzare l'ideale che gli feiveVa nella mente; di operare affinchè trionfasse fra i suoi simili, portando loro un sollievo, una nuova fede? E chi non sapendo lottare, non nascose quel suo fuoco nel più intimo segreto dell’essere, e si conforti» in quella piccola fiamma, che era l'ultima illusione delia sua vita?
• Onesto libro non esprime nè la fede nè l'incredulità: sarà più piccolo e più basso». scrive l’Oriani, e questo foise è il suo massimo difetto. Perchè la rivolta benefica abbia luogo bisogna predicarla in nome di una ferma fede, basarla sopra una speranza indefettibile. Forse l’autoie nel dubbio, che ancor gli tremava nell’anima, non seppe nè volle dire l’ultima parola e piofetando un avvenire che va prendendo forma dinanzi ai nostri occhi smaniti, indicò la montagna sulla quale sa'iranno i popoli futuri, da cui lo sguardo domina sovrano, e sulla quale la motte ha un'ombra più leggera.
L’ultimo lavoro deU’Oriani fu il più conosciuto. I suoi articoli avevano destato un insperato interesse, ed a Bologna s’era formato, troppo tardi, un cenacolo di studiosi ed ai denti giovani, che lo salutavano maestro. Quella raccolta di capitoli in cui tutta la società è descritta, col suo fine ideale, incontrò molte simpatie, e. mentre una falange di giovani di varie parti d'Italia volevano il rinnovamento «lolla società, le pagine che s’ispiravano ad una nobile rivolta parvero le migliori onde concretate le loro informi speranze, ed attingere nuove forze nella lotta che volevano intraprendere. Nessuno prima deU’Oriani aveva scritto con tanta poesia, con così ferma coscienza in nome dell'ideale. Nessuno, in mezzo all’opportunismo che.allora regnava sovtano, aveva osato parlare in nome dei valori spirituali, a cui le generazioni a venire dovevano abbeverai si per continuare nella loro ascensione, e pochissimi avevano tentata una critica così profonda della donna e dell’uomo, dei loro amori, delle loto passioni, delle loro lotte continue e dolorose. Il critico anche’ nella Rivolta tiene il primo posto. Il suo occhio scrutatore indaga ed indica tutti gli errori che avvelenano la vita, ostacolano la santa libertà del pensiero, inquinano la famiglia, tolgono ogni nerbo alle efficaci ribellioni.
(i) G. A. Borgesb; La vita <• il libro. (-Saggi di letteratura e di cultura contemporanea) - Cap. Alfredo Oriani pag. 452. Edit. Fratelli Bocce. Torino, ipto.
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I nuovi partiti che diedeio alla società un altro indirizzo sono studiati e discussi, mentre la leligione vi tiene un posto importantissimo.
Mentre i modernisti.sono sempre aceibamente criticati dall’Oiiani, che li stima insinceri, i democristiani sono guardati da ini con una corta simpatia:
« Adesso ancoia sono un partito rudimentale, larva di un grande partito fu-turo, primo sintomo di un’altra grande epoca nel cattolicismo; però il loro moto sarà religioso o non sarà. O aggiungeranno alla democrazia socialista tutto quante le manca fatalmente, la carità vera nella fratellanza soltanto formale, il séntimento del divino nel dramma umano, l'autonomia suprema dell’anima che può sola redimere se stessa, e la necessità di spiritualizzare più tragicamente e delicatamente la vita, o dilegueranno senza traccia come tutte le forme vuote. I democristi non }>ossono uscire dallo spirito del vangelo e della grande tradizione cattolica, l'uno e l'altra consentono moderni adattamenti ideali: un socialismo cristiano sarà forse inevitabile come foijna superiore, integrazione ed insieme negazione dell’altro.
« Intanto i dogmi di Marx sono già rovinati, ma dalle rovine del papato tempo* iale la poesia e l’azione nuova cristiana non assursero ancora: aspettate, tutte le. grandi rovine si coprono di fiori, e a certe ore hanno voci misteriose» (pàg. 157-58.
L'autorità a cui cominciava ad inchinarsi nel 1903 è stimata una necessità ne! 1908. •< ...Nella vita sociale il problema è piuttosto di autorità che di libertà (pagina 158). « In alto c in basso la fede soltanto crea, ma la fede procede dall’autorità pur cominciando da una intuizione » (pag. 159).
« Una religione non può essere negata che da un’altra religione, giacché l’uomo nasce religioso. La religione è infatti l’unità e la rappresentazione dei rapporti, che la nostra individualità sente oltre i limiti della propria vita: il suo nome non conta perchè tutti saranno inadeguati, negare è inutile giacché il pensiero non può negare il pensici0; la religione è un momento nello spirito come la filosofia, la scienza, l’arte, ma il pi imo è il più sintetico- nella religione il carattere è di autorità come nella politica, mentre nella filosofia, nella scienza e nell’arte è piuttosto di libertà. La politica non esiste che in quanto si fissa in leggi come la religione in dogmi: i suoi or gani esprimono dunque un’autorità » (pag. 161).
L’idea fondamentale è quindi quella di un principio assoluto, a cui le anime, i popoli, i partiti debbono rivolgersi e sottostarvi. Il ritorno alle antiche forme vi è palese, il contrasto colle aspirazioni dell’epoca, troppo anelante di libertà e magari di licenza, grandissimo. Forse in quest'interpretazione ideale della società v’è una piofezia. Se è vero che l’energia del combattimento è in ragione della fede, e la fede in ragione dell’autorità, tutte le ardenti speranze che adesso conducono a morte gloriosa milioni di giovani, ai quali splende nell'anima un'invitta fede in un futuro migliore, dovranno convergere per formare quest’autorità redentrice e liberatrice) per dare al nuovo patriottismo un contenuto più spirituale dell’antico ed agli Italiani il mezzo di superare gli altri popoli in una grandezza che non si mi sura a territori, con una forza che le armi non bastano ad esprimere. Ma come con quest’autorità, che ha la robustezza dell’acciaio, una rivolta ideale, che dev’essere
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sempre viva, vigile, continua nella lotta contro i soprusi per dare i suoi flutti, sarebbe possibile?
Nel capitolo: La [>cna. il concetto dell’espiazione cristiana ne forma il punto di partenza, ed il modo ¿’interpretarla è assai diverso da quello della scuola, allora nel suo apogeo, del Lombroso. La coscienza è la lampada sacra che colle sue leggi domina l’uomo. « La legge del diritto penale non potrà mai conciliare le proprie antitesi nel giudizio e nella pena;'ma’questa legge copie come un'egida h. società e brilla al fondo dell’anima come una lampada sacra. Alla sua luce vediamo salire dall'oscurità la tentazione del peccato e comporsi, prorompere armate le figure del delitto: nulla può spegnerla, nè le bufere della superbia, nè il pianto della paura: di notte e di giorno quella luce veglia in noi. forse non si smorzerà nemmeno nella tomba.
«...Il mito del peccato originale, che fa della vita una pena, è ancora la più profonda interpretazione del dolore umano •» (pag. 208-209).
Anche in questo libro l’Oriani della prima maniera fa capolino La satira y’è talvolta mordace, l’ironia acuta. Sovente una frase esprime tutto uno stato d’animo, un periodo tutto un poema di sofferenza, di-speranza, d'elevazione. In Beneficenza vi hanno, per esempio, delle espressioni di questo genere: « Gettate una rosa nel pantano, lasciatela putrefare, e raccoglietela ancora per farne una decólazione: ecco la carità diventata filantropia» (pag. 220).
In femminismo combattendo la nuova emancipazione della donna, il suo desiderio d’esser pareggiata all’uomo negli studi, negli impieghi, nelle funzioni, scrive: «Senza la donna, tutta la donna, il bambino non vive; senza la donna tutta madre, sposa, sorella, figlia, la vita è vuota: l'uomo deve lavorare per tutti nella propria casa, bastare solo a mantenerli, a difenderli. Ecco l’ideale: il resto passerà come un errore o durerà come una miseria.
« L’ideale solo è vero » (pag. 318).
«...Davanti ad una donna femminista mi sono sempre ricordato l’amaro motto del poeta: soltanto la bara è abbastanza stretta, perchè una donna non possa sdraiarsi al nostro fianco » (pag. 319).
Con queste tendenze nella critica sociale ed un'intensa aspirazione ad una civiltà rinnovata, trattò: La crisi cristiana. ! concetti espressi in Matrimonio e divorzio sulla religione; le idee adombrate nei romanzi; i giudizi svolti negli ultimi libri di critica, sono condensati in questo capitolo, in cui v’è una grande ascensione nella fede dell’autore, il quale per una ritrosia propria al suo carattere altero e solitario, non volle definire le sue credenze, mostrare completamente attraverso a qual lavorio interiore stava passando la sua anima, s’andavano lentamente dileguando, come tristi sogni, i suoi dubbi. Il suo intelletto, veramente moderno, intuì che il problema religioso non era tutto cattolico, ma essenzialmente ^ciistiano, perciò non seguì le vie un po' pietiste del Manzoni, nè quelle dei lomantici è dei critici francesi del 1830, nè si perdette in disquisizioni scolastiche, ma affrontò serenamente, c dal suo punto di vista speciale, il grave-quesito. La;critica biblica ha per lui un
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valore secondario, perchè, secondo il suo modo di vedere, nelle religioni si ciede o non si crede: « Una religione non è tale, se non si afferma rivelazione divina; domandarle conto della propria origine, sarebbe conc chiedere le prove alla bel-ezza; il Cristianesimo era la più alta fra le religioni della storia, ma le sue forme documentabili non avrebbero mai potuto provare nè la sua rivelazione divina, nè il suo primo sviluppo umano » (pag. 252).
La Chiesa ha però guadagnato da questo studio dei libri santi, essa ha corretti molti errori ed ha raggiunto la possibilità di più alte interpretazioni. Ma potrà vincere tutti i nuovi postulati filosofici? «Scio la filosofia hegeliana superò il Catto!i-cisino dissolvendone i dogmi e le figure nella propria idea, ma se questo non seppe opporre un rivale al filosofo tedesco, il più grande nella stoiia, legittimando così il sospetto di una prima insufficienza ideale, poco sofferse nella coscienza delle genti. Quell’assalto era dato sopra cime troppo alte, invisibili dalle bassure, con armi quasi mute nella sottigliezza del taglio: poi 1'hegelianesimo era una metafisica, e le religioni non soccombono che alle religioni. Superale una religione non è vincerla bisogna invece sostituirla.
«Ma Hegel non poteva succedere a Gesù», (pag. 255-56).
Però se. i filosofi non scrollarono dalla sua granitica base il cattolicesimo: se le eresie non corrosero il vecchio tronco, che ancora dà rami verdi e tuttavia accoglie nidi pieni di gorgheggi e di canti, la sua immobilità politica si scuote, ed una folla minacciante, urlando, osannando, sale l’erta della storia, ridestando dal lungo sonno le paiole di Gesù.
Una terribile crisi attende la Chiesa, fra le lo|te della democrazia. Gli uomini, travolti da opposte tendenze comprendono ciò nonostante che il problema della religione sarà sempre il più profondo ed il più appassionato.
«Adesso, scrive l’Oriani, il problema immediato della religione è nel cris,tia-—-nesimo? questo diventerà davvero universale sconfiggendo e sostituendo tutte le alti e grandi religioni? È davvero la religione definitiva dell’umanità, o dà! suo dualismo uscirà un’altra forma? Se la prima del Padre si compose nel mosaismo e la seconda del Figliò nel Cristianésimo, vi sarà una terza religióne dello Spirito?
« Questo libro non può nè deve mirare così lontano e così alto.
«Sono come un pellegrino litio sul lido, che guarda le navi allontanarsi nella, minaccia dell’ombra, e cerca con lo sguardo le ultime vie aperte dai raggi del sole » (pag. 258). t ' '
In queste vie al solitario appariva consolatore e guida il martire della Giudea. Quell'immenso dolore che aveva purificato e confortato generazioni intere, rispondeva al suo «dolore; quell’angoscia mortale trovava una risonanza nella sua pena. Nelle ombre che si diradavano attorno a lui per lasciar rifulgere di più intensa luce l'ideale, il Crocifisso si mostrava tra divini fulgori, elevando ogni miseria terrena a Dio.
« Le anime origliano per intendere una nuova voce: donde verrà dunque l’ideale?
« Il Cristianesimo aveva riabilitato la tragedia umana: ecco perchè tutti amano ancora Gesù.
«Egli è crocifìsso in tutti i cuori; gl’increduli sentono in lui che il dolore
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può essere consolato soltanto dalla propria grandezza, i credenti salgono in lui fino alla redenzione della colpa, al trionfo del sacrificio.
« Non cacciatelo dunque dai tribunali, perchè la giustizia non è vera che in un sogno divino: lasciatelo negli ospedali sul letto dei moienti, perchè la sua prò messa sola può placare la loro suprema disperazione davanti all'inutilità della vita e della morte.
«A.lui gridano anche i morti dentro di noi; egli è il vivo della speranza, che incorona le culle e i sepolcri, il Die di tutti coloro ai quali la morte non basta cóntro il dolore.
«Hanno torto? non lo so: ma chi potrebbe affermarlo?»' (pag. 262).’..
* • •
In quest'ultimo libro, come nei primi, l’artista vi effonde una nota speciale, una bellezza grandiosa, varia, attraentissima. Quest'arte fu eminentemente, umana: poiché solo nella rappresentazione dell'umano, cercato, osservato, espresso, senza lasciarne fuori alcuna parte in nome di vecchie o di moderne teorie, è la fonte perenne della gioventù artistica. I romanzi deU’Oriani, i suoi saggi critici esprimono al più alto grado le tendenze e le aspirazioni della sua anima, ed a renderli cosi densi di pensieri alti e profondi, cosi commoventi è valsa la solitudine fra cui l’autore è vissuto. Dai monti severi, che gli' ricordavano le antiche gesta dei suoi maggiori, dai paeselli vicini, dalle cittadine industri che gli rimembravano altri tempi di guerre e di glorie comunali, ne veniva al suo spirito un'austerità tutta particolare, un misticismo che andò sempre più accentuandosi negli ultimi anni di vita ed un amor di patria entu siasta, ardente, pieno di sogni rinnovatori. Egli intuì che un rinnovamento sociale era vicino; lo sentì fra le minaccie del socialismo, fra i delitti degli anarchici, nelle nuove manifestazioni religiose. E siccome è notevole che quando nell'anima di un popolo o di una generazione si agitano, fecondati, i germi di qualche gran rinnovamento. nel primo maturarsi di questo gli uomini che più né accolgono lo spirito hanno bisogno di temprarsi nella solitudine, di prepai arsi, di raccogliersi per megli«’ ascoltare le intime voci della loro grande idea dominante e della natura ispiratrice, così rOriani in qu 1 silenzio che ravvolgeva e che gli pai ve, talvolta, penosissimo, potè meglio meditare il mistero del dolore, nutrite il suo ingegno di più profondi studi, ascendere in quella continua rinunzia, che lo Schopenhauer definiva la rinnegatone della vita.
Ceito l’in’differenza che pesò sulla sua opera dovette riuscirgli tormentosissima, e fu una delle principali cause del suo pessimismo, che aveva dei punti di conta'to con quello dello Schopenhauer. Se le sue idee fossero state fieramente confbattute, egli, nato fatto per la polemica, ci si sarebbe gettato dentro a corpo morto, ci avrebbe trovato uno sfogo alla sua indole ardente, irrequieta, aggressiva. Costi ingei e gli altri a combattere i nostri concetti come falsi o pericolosi, a commuoversi, a sdegnarsi contro di noi è già un dominarli in parte; e a chi sente la propria forza e quindi il bisogno d’esercitarla, come a chi ama molto, il peggio che possa toccare è rindiffoienza e il silenzio. Al pari dello Schopenhauer e del Leopardi, anche
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l'Oriani provò quel doloroso sentimento, proprio dell’uomo di forte ingegno e originale, a cui è contesa la sua parte d’azione nella vita intellettuale de’ proprii tempi, e questa intensa pena roditrice egli espresse più volte in forme sempre nuove e scolpite. Il discepolo dello Schopenhauer, Dorguth definiva il suo maestro il G aspero Hauser della filosofia, l’uomo a cui era stata rifiutata l'aria e la luce, e mi pare che questa frase possa ripetersi efficacemente a proposito dello scrittore romagnolo.
Alla mente dell’Oriani balenarono, sul fiorir della vita, nuovi sistemi, novelle teorie. Era quella l’età dei paradossali ardimenti romantici ematafisici, in cui gli pareva, mostrando a nudo le canctene della nostra società e disprezzando i suoi opportunismi, di poter percorrere con impeto di conquistatore, il mondo intellettuale e quello della natura sensibile, su cui la scienza proiettava fasci di luce. Vie ancor inesplorate lo tentavano, più fulgidi ideali gli sorridevano alla giovane anima assetata di gloria e d’amore. ‘ .
Ma com’è proprio di chi confida troppo in una forza non ancora ben disciplinata e sperimentata, che ai grandi ardimenti del pensiero succedono e s’accompagnano i dubbi penosi, gli sconforti e i ritorni alla fede rassegnata, nell'Orfani, che molto aveva osato, si osservò questo cambiamento. Anche nell’età degli scettici e dei mistici, quando fiorirono Cartesio, Montaigne, Pascal, Chanon, l’Hobbes si videro questi sùbiti mutamenti. Pare quasi che la ragione umana, giunta d’un tratto alla sommità della critica, sia colta da vertigine e se ne ritragga indietro, atterrita, verso le prime credenze.
Non è infatti possibile rinvenire nell’Oriani, come già si è osservato, la chiara posi/ione del suo pensiero religioso (i). Afiermatore della spiritualità e del reale, nemico di ogni forma di materialismo, le sue affermazioni risentono l’influsso de! pensiero hegeliano, che però egli non riuscì a penetrare nella sua profonda verità. Ne afierma infatti la superiorità sulla predicazione del Cristo, nta non ne coglie l’elemento superatore di questa posizione spirituale, cioè non giunge all’affermazione dell’ immanenza assoluta della divinità nel Reale. Al suo pensiero è ancor sempre ostacolo la trascendenza della divinità. Quindi si può dire che lo scrittore non ha penetrato completamente il pensiero dell’Hegel. Neppure il problema religioso assume in lui una chiara coscienza, giacché i dubbi ed i tentennamenti sono continui nelle affermazioni sue sulla religione e non si può dare gran peso a queste, perchè egli non espresse il problema filosofico con lucidità e rigore, ed il continuo travaglio del suo spirito nel tentar di svelare il mistero della vita, non ebbe risoluzione appunto perchè come poeta ed artista non riusciva a spogliarsi delle cafri L’articolo: « La. lotta per la vita * nel: La rivolta ideale, che condensa tutto il'credo scientifico dell’O. é anch’esso fluttuante, indeciso, incoerente in più d’un'affermazione. In queste pagine pirò meglio che in parecchie altre si definisce la sua credenza trascendentale, il suo concetto della giustizia fuori della storia, l'interpretazione del diritto naturale posto contro il diritto positivo. E forse qui appare più chiaramente la verità dell’osservazione fatta dallo scrittore a Mario Missirofì: « Sono un Kantiano: non ammetto l’infinita potenza del conoscere: », benché come mi lece osservare l’illustre discepolo dell’Oriani, egli in realtà era piuttosto uno spiritualista della grande tradizione: da Platone, Aristotele, Tomaso, Leibnitz, su su fino a Kant, dal quale non aveva però preso molto.
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rati eristiche sue, per immergersi in quel mondo di vuote astrazioni ch’è la filosofia (tale si presenta alla mente dell’artista), superamento dell’arte come manifestazione spontanea e passione di vita ed obbiettivazione di questa. Il valore del fenomeno religioso, come forma sociale, appare chiaramente neH’Oriani, c in questo si può dire ch’egli termini col trovare l'ultimo credo spirituale, per complesse ragioni, fra cui non ultime le estetiche (i).
NeH’Oriani non v’è la serena armonia dello spinto colla natura, che caratterizzava i Greci c si riscontra nell’opera serenamente pagana e vigorosa del Carducci; non il pessimismo grandioso del Leopardi, che s’espande dal suo animo, si rispecchia nel creato e tutto lo permea: si fa assioma, fato, legge dell’umanità tormentata e dolorante. Figlio del secolo, egli aveva in sè quell’inquietudine affannosa e triste che serpeggia fra gli spiriti moderni il profondo dissidio che si riscontra in vari celebri nostri letterati: il malessere spirituale che assilla la nuova generazione, liberatasi rial materialismo che rendeva aride le anime ed avviantesT brancolando ancora verso la nuova verità che traluce appena e dovrà rasserenare e ringiovanire il mondo. In lui v’erano accentuati le indecisioni del Fogazzaro, il fluttuare del pensiero di Art,uro Graf, che non riuscì mai a comporre su una sicura base >! suo credo. 11 bisogno di fondere in sè il gran dramma umano e divino che incombe sull’uomo quella sentimentalità passionale che distingue il poeta e l’artista, fecero porre al-l’Oriani, quasi inconsciamente, l’individuo come centro dell’universo, un piccolo mondo che accoglie in sè l’infinito, tentando di sciogliere nel suo intimo, ma invano, ogni tempestosa lotta del pensiero. Così il suo volume: La lotta politica in Italia con cui credette di poter conquistare un posto eminente fra gli uomini politici del suo tempo, fu anca a troppo passionale per poter soddisfare gli animi degli Italiani. Così là sua filosofia, come appare dai saggi critici, fu ancora troppo indecisa nel suo continuo oscillare fra il dubbio per poter ergersi a sistema.
Il xix secolo sorto nell’aurora luminosa di un grande rinnovamento umano, allorché le ultime voci del passato parevano estinguersi tra le rovine del vecchio mondo, e sulle rovine salivano la scienza positiva e la libertà, verso il suo finire parve tutt’avvolto di nebbie cineree. E tra le nebbie delle coscienze infiacchite ed invecchiate prima che la forza rigeneratrice dei tempi nuovi le ritemprasse per l’avvenire, si ri affaccia vano • fantasmi che parevano svaniti per sempre; ritornavano le vecchie credenze; si sentiva il soffio della fede ridestare pensieri e forze spezzati. « Il tipo spirituale del Cristo ritorna dai campi del pensiero e dell’arte, per mille vie, irresistibilmente nelle coscienze moderne, nelle quali apre cóme vedute nuove sulla vita, e in cui feconda le energie. indovinatoci del bene, perir) Giovanni Gentile, artic. cit„ « L’Oriani, infatti, cerca unà fede: e quand'è al termine della ricerca, riflette, e sospetta, anzi crede di non averla trovata. Ed è naturale. perchè egli possiede fin da principio la fede che cerca, e perciò non può trovarla. ma soltanto spiegarla, dimostrarla, e quasi viverla nella stessa ricerca. Una fede robusta, che investe tutta la vita <> almeno i problemi principali della vita moderna, scientifici e religiosi, sociali c politici o morali; e vi soffia dentro un’anima virilmente consapevole dell'umana dignità c grandezza, e della tragedia in cui ogni grandezza si celebra e trionfa ».
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meándole della sua.virtù continuativa. In mezzo a tanta cenere di pessimismo, è fuoco animatore; in mezzo allá morta gora dell'egoismo mercantile è fonte d’aCqua viva che agita e purifica» (Alessandro Chiappali, Sul confine di due secoli, in Nuova Antologia, 16 aprile 1900). Nella Critica Benedetto Croce e Gentile, seguendo la scuola di Hegel e dello Spaventa, scrivono in nome dell’immanenza: Giovanni Papini e G. Prezzolini nel Leonardo e poi nella Voce trattano liberamente di soggetti religiosi in nome del pragmatismo; Blondel in Francia, il Royce in America basano la loro filosofia sulla trascendenza, superandola però piasi ¡neon-, sciamente nei loro ultimi e geniali postulati, e ira questa simpatica primavera delle idee, tra il dogmatismo, la libertà dello spirito ed il modernismo,' continua la tragedia religiosa delle anime e la ricerca delle nuove armonie tra reale ed ideale nel pensiero e nella vita si fa sempre più acuta. Giovanni Cena è anch'egli un esponente di questo stato d’animo singolarissimo. Nella prefazione . del volume In Umbra scrive:-« Tutto questo libro- è gonfio dell’aspirazione ’dell’intelletto verso l'assoluto, del sentimento verso la bontà e l’amore, dei sensi verso la sana gioia, di tutto l’essere vèrso una vita integrale. A tale tendenza che rende più vivo il contrasto fra quello che è quello che parrebbe dover essere va riferita la cagione dello squilibrio, della contraddizione e dell’incocrenza che agevolmente mi si potranno rimproverare. Questo difetto d’unità e di concordanza che è in me non potevo dissimulare nella mia poesia.
«-Altri mi somigliano in questo tempo; manca loro, come a me, un punto d’appoggio. E oggi più che mai siamo lontani dall’aver trovato quel punto peroni si può sollevare un mondo».
Quando l’Oriani scrisse del Machiavelli, destando le vive polemiche a cui ho accennato altrove, dimostrò con quel suo studio oiiginalissimo le tendenze speciali del suo spirito. Francesco De Sanctis, sempre equilibrato nei suoi scritti critici, con serena disamina aveva ammirato il valore politico e divinatore del grande fiorentino: Pasquale Villari lo aveva esaltato fra gli uomini del suo tempo. L’Oriani invece volle distintió. «I due ingegni dell’Ariosto e.del Machiavelli si assomigliano; • scrive nel La lolla, politica in Italia — entrambi poetici, sereni, insensibili, fatti di arte e nell’arte: plastici e colorati dànno rilievo- a tutto che disegnano; non credono a nulla, non si appassionano di nulla. Ariosto e Machiavelli contemporanei s'ignorano: trasportandoli in Germania, dove si elabora la nuova coscienza, si crederebbero in un manicomio; nella superbia della propria destrezza e della propria empietà non comprenderebbero’nè la più piccola delle angoscie, nè la meno pura delle esigenze nella nuova tragedia religiosa e politica. La loro mancanza di fede e la loro inconsapevolezza sono una conseguenza delle condizioni italiane... » (i!. Senza volerlo, forse senza saperlo, l’Oriani combatteva nel Machiavelli e nel Rinascimento quello spirito critico demolitore, ironico, pagano, scettico, umanista così fatale al papato, quel principio di libertà del pensiero che culminò cogli enciclopedisti e coi filosofi materialisti dell’altro secolo. 11 suo amino (che si commosse sempre alle bellezze della fede ed aveva profondi legami, inavvertiti da lui stesso,
(1) La lotta polìtica in Italia, ediz. citata, capo sesto: * 1 principati», pag. 121.
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colle forme cattoliche ), non poteva fare a meno di sentii una rivolta contro l’autore del Principe' così diverso in tutte le sue affermazioni dal suo modo di sentire, e tanto dissimile dai suoi particolari ideali. Quindi l’opera migliore deH’Oriani è è il romanzo. Quivi il pensatore originale, il critico, lo storico si fondono a dare più intenso calore all'anima tragica dell’artista, il quale nella straordinaria passionalità, versatilità e vigoria dei sentimenti e nel suó dramma spirituale, che sempre l’urge, trova i motivi per creare quelle opere così profonde e dense di significato, che veramente commuovono ed esaltano le menti ed i cuori.
Nel La disfalla il romanziere aveva accennato al ritorno del pensatore alla Chiesa antica; in Fino a Dogaci. nel capitolo: « La tragedia » aveva tratteggiato le angoscie del genio, che solo, nella tortura della creazione, lavora inconscio della luce che proietta nel futuro, e non comprende che la sua solitudine è necessaria alla sua idea. Lo scrittore romagnolo non capì, forse, lui stesso tutta la verità che v’era adombrata nei suo» concetti, tutto il lievito di vita che fermentava fra la calma apparente della società. In quel suo spirito in cui cozzavano gl’impulsi d’un San Gerolamo e d’un San Francesco d’Assisi, s’andava affermando sempre più il desiderio proprio dei mistici: di dedizione, di penitenza, di comunione con Dio e con l'umanità — e prima di morire provò il bisogno di riposarsi in una forma esteriorizzata di fede, l’unica che più si confaceva al suo pensiero, di raccogliere i difeidi sempre vivi nel suo intelletto nell’armonia d’una leligione molto ricca d’amore, di sentirsi unito coi milioni di credenti che si elevano nelle stesse preghiere, si confortano nel medesimo culto, sperano nelle identiche cristiane promesse. 11 reverendo Priore di Camola valsenio mi scrisse che il suo diletto amico, Oriani, era morto cattolicamente con tutti i carismi della nostra fede...
L’idea dell’Oriani (i) fu accolta da egregi giovani che s’onorano di tener alta la sua bandie. a. Mario Missiroli, Goffredo Bellonci, Aldo Valori, Luigi Donati, Ferruccio Cardelli, Alberto Spaini, Giovanni Papini, Sebastiano Sani, Giuseppe I.ipparni, Virgilio Brocchi, Giulio De Frenzi, il diletto figlio Ugo ed altri, seguono in diversi campi le sue aspirazioni, tentano di realizzare le sue speranze. Lo stile robusto dell’illustre faentino, sempre un po' retorico e personalissimo, le sue frasi espressive e scultorie, le imagini'commoventi o vibranti d'afìetti e di passione; le descrizioni poetiche e sobrie, l’ironia acuta, il pessimismo penetrante, il paradosso originale non permettono facilmente imitatori. Ma lo storico, il romanziere, il critico futuri troveranno sempre in quei suoi volumi un alimento ai loro studi ed alh loro fantasia, ed il mezzo per dar alle lettere, alle scienze, alla religione l'impulso e lo sviluppo che riporteranno la nostra patria a quel primato artistico, politico e filosofico di cui fu così gloriosa nell’aureo Rinascimento.
Luisa Giulio Benso.
(i) L’Oriani nacque a Faenza il 22 agosto 1852, morì a Casciavalsenio il 18 ottobre 1909. Fu laureato in legge a Bologna: ed il suo primo volume usci nel 1876. l’ultimo nel 1908. Non feci cenno in questo studio delle sue opere teatrali, in cui se pure v’è sempre trasfuso l’intento morale, e vi si studia con la consueta, profonda analisi un momento psicologico dell’anima umana od un fatto nelle sue attinenze con la vita sociale, non v’è poi quel motivo religioso, che sgorga vivo c perenne ne’ suoi libri.
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GIUSEPPE
TONIOLO
Due morti, avvenute a distanza di pochi giorni, nell’ottobre scorso, ravvivano i ricordi di quella che fu in Italia, nell'ultimo decennio del pontificato di Leone XIII c dopo, la democrazia cristiana. A Pisa, dove era dal 1880 professore di economia politica in quella università, moriva il 7 ottobre Giuseppe Toniolo, il maestro venerato e acclamato, anche se non seguito, da tutti i cattolici di azione? della democrazia cristiana ortodossa e ufficiale. A Rimini, dove lo aveva condotto il servizio militare, moriva, il 24 dello stesso mese, l’avvocato Eligio Cacciaguerra di Cesena; quegli che, dopo la crisi provocata dalle furenti condanne di Pio X e dalla scomunica di Romolo Murri, aveva raccolto intorno a sè e impersonato e diretto, con viva fede e tenace devozione, la democrazia cristiana autonoma, la Lega democratica nazionale ridivenuta, secondo il suo desiderio e la sua proposta. Lega democratica cristiana. La quale, sinché visse Pio X, fu disertata c circondata di sospetti da tutti i cattolici che temevano le condanne pontificie c le ostilità dei vescovi, e rimase raccolta in pochi, tutta intenta a conciliare il più pio e .irreprensibile cattolicismo con la proclamata autonomia politica,.alimentando la fiamma nei seguaci, attendendo tempi migliori. E quando Pio X morì, e le direttive di ferrea reazione caddero con lui, c’era già la guerra europea; nè le circostanze e i nuovi doveri permisero al Cacciaguerra ed ai suoi amici democratici cristiani di profittare dell’avvenuto mutamento e sperimentare, operando, che cosa questo potesse significare per essi, quali nuove possibilità addurre.
Ma non molto migliore era stata la sorte di Giuseppe Toniolo. Il suo programma di azione sociale cristiana fu anzi tanto più duramente colpito in quanto esso, per definizione, supponeva ispiratrice e direttrice assidua l’opera stessa della sùÌrema autorità della Chiesa. Giuseppe oniolo, cattolico ossequentissimo, non disse ad alcuno le sue delusioni ed i suoi dolori, continuò anzi a partecipare, quando lo invitavano o gli davano incarichi di onore, all’attività delle organizzazioni ufficiali. Ma la sua attività di propagandista, còsi giovanilmente fervida sotto Leone XIII, era finita: la sua Associazione di studi sociali non diede più segno di vita; le sue ardenti confessioni di fede nella nuova missione sociale della Chiesa che, ponendosi a capo del proletariato, ancora fedele o disilluso del torbido sogno socialista, realizzasse la democrazia del lavoro, facendone base ed ambiente di una sua nuova egemonia spirituale, sarebbero suonate come uno stridente anacronismo, sotto un pontefice per il quale non esisteva una questione sociale, ma solo la questione della più severa disciplina canonica o pietistica del clero e dei fedeli, hello spinto della contro-riforma.
Nè le ampie lodi date in coro dai cattolici della tendenzà media al morto maestro di Pisa, lodi ed omaggi ai quali ha così visibilmente partecipato un ministro del Regno d'Itaha, possono illudere .alcuno. Nel suo sogno di democrazia cristiana, Toniolo fu un solitario, sempre, e questa fu la sua sola e vera grandezza. Ed egli'fu tutto in quella idea e per quella idea./ L'insegnante di economia politica, l’autore di saggi diligenti e pregevoli di storia economica medioevale e di due primi volumi di un corso di economia politica, mostra una mente aperta c diligentissime ricerche ed una severa volontà di compimento del proprio ufficio scientifico, ma non offre nulla di particolarmente notevole nella storia della scienza. E il Suo lavoro di propaganda è anche tutto in quella idea nella quale egli ebbe tanta fede e pochissimi altri ebbero fede: poiché egli non fu un organizzatore, un suscitatore di
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volontà, un abile inventore di risorse e di espedienti; e non lascia credi spirituali. Il suo sogno finisce con lui.
In che cosa esso consistesse .è brevemente detto.
Innanzi tutto Giuseppe Toniolo è la negazione vivente e combattente dell’economia pura o. piuttosto, delle scuole utilitarie e positivistiche che cercarono nelle /cggi economiche'la norma suprema della vita delle nazioni c dei rapporti, fra le classi. Il Toniolo. concorde in ciò con tutta la scuola sodale cristiana, così numerosa e fiorente fra i cattolici delle varie nazioni sotto Leone XIli. pensò ed insegnò che Veconomia n n è che una categoria, un punto di vista, una astrazione; che la realtà vera è l’azione umana c la coscienza e lo spirito umano; e che questo . è innanzi tutto valore morale:-ed agisce moralmente, o immoralmente, anche quando fa economia. per l’attuazione di un ideale di vita e la ricerca di fini di vita, i quali lo riguardano nella intierezza della sua personalità e del suo essere; e che quindi non ci sono leggi economiche, fissità di rapporti quantitativi convertibili in numeri di valore monetario, le quali meritino d'esser chiamate leggi, cioè criteri normativi supremi della condotta di individui o di Stati. L'economia ò spiegazione e traduzione in formule di rapporti quantitativi' e di attività umane considerate astratta-mente sotto un solo aspetto, la produzione e lo scambio delle utilità; ma, in quanto essa voglia suggerire norme pratiche e regolare rapporti umani, deve mettersi in contatto con la morale ev fare i, conti con questa.
Ed in ciò egli c la scuoia sociale cristiana hanno pienamente ragione. L’errore, un errore pratico, incominciava quando l'economista, dimenticando .che la sua scienza è appunto una astrazione, non si limitava a cercar fatti e formule economiche, nè a stabilire il metodo e i limiti della propria disciplina — che • è diritto c dovere di ogni studioso aver chiari in sè. e di ogni insegnamento far chiari agli alunni — ma si dava alacremente alla ricerca, appunto, delle rjorrne morali che debbono guidare l'attività e i rapporti economici, trasformandosi così in politico e, più che in politico, in moralista e in teologo.
E infatti dai cattolici ' che hanno commemorato il maestro abbiamo sentito dire che egli fu un sociologo e un filosofo, una guida di anime ed un costruttore della so
cietà ideale. Ma la sociologia è disciplina spuria, positivismo larvato — caratteristica l’ammirazione di Toniolo per E. Spencer — e non è riuscita mai a fissare chiaramente i suoi metodi e le sue pretese; ed è. quindi, alogicità e confusione. Nè filosofo fu o pretese di essere il Toniolo, perchè il suo assunto stesso, come vedremo, Slie lo impediva; se egli ebbe perfetta dacia nella consonanza c nella identità delle esigenze razionali con le esigenze del dogma e della grazia cattolica, era la sua fede che gli ispirava questa fiducia piena; e .la sua economia sociale è, per molta parte, teologia.
Nel che possiamo anche vedere una reazione spiegabile, e quindi in certo senso legittima, contro un altro eccesso, anche più pericoloso: quello degli utilitari e positivisti e materialisti i quali; muovendo dal concetta di legge, e cercando le leggi della vita umana e della società politica nell'economia, arrogavano a questa i diritti della filosofia o della' morale; e diventavano cosi dei dominatici.
Oltre a questo e a differenza di molti della scuola sociale-cristiana, il Toniolo ebbe una fede ingenua e sincera nel popolo. . nelle classi lavoratrici e nella lore in parte riconosciuta ed in parte preconizzata ascensione; egli fu uij mistico della fraternità umana e del lavoro, un democratico con lo spirito di Francesco d'Assisi. E in ciò egli fu quindi anche sicuramente e spontaneamente italiano, della più pura italianità.
Ma a giudicare delle origini ideali c della importanza e delle esigenze congenite c delle lotte e dcH’avvenire del proletariato a lui mancava qualche cosa di essenziale: la conoscenza del mondo moderno e dello spirito contemporaneo. E per la conoscenza. a lui mancava la simpatia; poiché da questo mondo egli era irreparabilmente divìso dalla sua fede. Egli non vide Irci socialismo un momento dialettico delle rivendicazioni che. iniziatesi nel campo filosofico, in Italia stessa, e nel religioso, in Italia e poi più efficacemente altrove, negavano la società antica, ecclesiastica c imperiale e feudale, e sospingevano le classi, l’una dopo l’altra, all'autonomia, al dominio della società e delle sue leggi e dei suoi istituti.
Nel suo tentativo di comprendere il movimento sociale contemporaneo — e le preoccupazioni «sociali » dominavan» gli animi quando egli incominciò ad inse-
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GIUSEPPE TON IOJ,O
gnare c ad. agire pubblicamente --- a lui fu necessario rivolgersi all’età ed alla società che campeggiavano nella sua fede e n,el suo spirito, al Medio Evo ed alla Chiesa cattolica. E nei moti sociali e proletari egli vide quindi non un processo di autoeducazione e di autonomia, del quale la rivoluzione era il precedente necessario, ma un implicito ritorno all’antico, un rinascere, su più largo campo, del comune libero e delle corporazioni medioevali. In questo senso, egli fu un romantico in economia. E non potè mai intendersi con quelli i quali già nella loro democrazia, pur dichiarata cristiana e cattolica, portavano implicito c spesso inconsapevole, lo spirito del loro tempo; c benché per qualche tempo facesse, viaggio insieme con i giovani democratici cristiani, i dissensi incominciarono subito cd andarono poi gradualmente e fatalmente aggravandosi. Ed egli piacque invece, sotto Leone XIII, agli ambienti aulici; al papa e ai vescovi c a qualche raro gesuita avventuroso che nel programma della Rerum Novarum vedevano principalmente un mézzo politico per trattenere le masse dal l’accorrere al socialismo e.per legarle agli interessi ed alla causa della Chiesa ufficiale. Ma anche da questi doveva poi dividerlo la profonda sincerità del suo misticismo democratico; dal quale discende direttamente l’intima contraddizione del suo programma, conciliatalo piuttosto velata da una fede ardente.
Poiché quando il Toniolo dice: Tutto per il popolo e lutto per mezzo del popolo, e in questo motto riassume il proprio programma. egli dice cosa che, nel suo più vero pensiero, è-fondamentalmente falsa, nel sÀondo inciso. Tutto per il popolo, si; poiché della vita egli ha una concezione ascetica, e dispregia profondamente la potenza e la ricchezza e gli agi e gli ozi e le iniquità denunciassi dominanti. Le quali possono bensì avere un ufficio sociale, e l’hanno in parte, c da csso.rquando lo compiono, è legittimata anche la loro posizione 'nei gradi dqlla gerarchia sociale e la loro ricchezza: ma^questa è funzione a vantaggio del tutto, e màssima parte del tutto è il popolo lavoratore, e massima dignità della vita è il lavóro. In quanto dunque i fini della vita umana si compiono quaggiù, e ili quanto lo Stato e la società servono al raggiungimento di questi fini, é giusto che tutto sia per il popolo: cioè per queirinsictne armonioso di attribu271
zioni e'di funzioni in cui il popolo che lavora ha la massima parte cd è trattato, in una società pagana c materialistica, con la massima ingiustizia. t.9,.
Ma tutto per mezzo del popolo? Questo certamente no. Poiché nel pensiero dei Tomolo il popolo non era a sua volta che un mezzo, uno strumento nelle mani della Chiesa, un gregge docile a questa, che solo poteva trarlo dai male a salvamento; ed alla cui autorità, divinamente costituita, esso doveva, con filiale docile affetto, sottostare. Tutto dunque, piuttosto, per mezzo della Chiesa; e del popolo solo in quanto, nell’epoca nuova da lui preconizzata, alla grande massa di lavoratori, oltrepassando i potenti e i ricchi della terra, la. Chiesa stessa si sarebbe rivolta e si rivolgeva, con Leone XIII e la sua enciclica Rerum nova-rum, la Magna Charta della nuova democrazia, per compiere, a vantaggio di essi c con la forza delle sue organizzazioni dirette c disciplinate dal clero, il nuovo assetto sociale. Il popolo dunque era, nella mente del Toniolo. c per parlare il linguaggio della sua filosofia, là materia, della quale la Chiesa doveva esser la forma, la mente, l'anima direttrice.
Questo portava c porta, in sostanza, la dottrina cattolica del peccato, della grazia, della redenzione per Cristo, dell'autorità e della funzione della Chiesa; ed egli era logico, come credente. Ma era la logica di un mistico; e la Chiesa ufficiale, per i suoi fini politici e terreni, preferisce ed applica criteri politici, necessariamente illogici cd alogici. E la Chiesa si erafcabituata da secoli a ottenere i suoi fini con il mettersi d’’accordo, piuttosto che con il popolo munto, con i suoi mungitori, con i sovrani e le aristocrazie c le caste militari cd, ora, dopo l’avvento dell’industrialismo, anche, in quanto fosse possibile, con i signori dell’industria. E furono le preoccupazioni de-' state in questi dai primi successi della democrazia cristiana c dal fervore di quelli che. l’avevano sinceramente accettata che condussero dalla Rerum novarum alla Grave s de-communi; un documento senza più slancio e fede, pieno di se e di ma. in cui si cercava di tarpar le ali al movimento senza sconfessare i principi già posti. Era la sorte che era sempre toccata, nella Chiesa, ai movimenti mistici spontanei e profondi; la Curia vaticana ha delle ragioni. che non sonò le ragioni del cristianesimo originario ed evangelico.
Ma Toniolo era dei mistici docili, ed ac-
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.cotto la Grave's de communi, cercando di interpretarla come un temporeggiamento ispirato da prudenza; pronto a dare a sè tutti i torti ed all'autorità, che vedeva più alto e più da lontano, tutte le ragioni.
Venne Pio X; e le faccende,della democrazia cristiana del Tomolo si aggrovigliarono anche più. La Chiesa ufficiale vide con terrore ritorcersi contro di essa il principio democratico. Questo non se lo era aspettato. Società, nella sua presente struttura storica, essenzialmente costituita sulla eteronomia e sulla autocrazia, essa vide nello spirito dei giovani democratici cristiani una minaccia di dissoluzione; e, con Pio X, corse subito al riparo: che fu la condanna severa, irosa e inflessibile. Tomolo, abbiamo detto, non era di questi: di nanzi ai timori del Vaticano egli si sentiva senza colpa. Quando aveva detto, correggendo il grido di Marx: Proletari di tutto il mondo, unitevi in Cristo, per Cristo egli intendeva il Papa, suo vicario visibile.
Ma in un altro senso Pio X era anchc la negazione del suo programma. Quel grande sogno di palingenesi (parola cara al professore pisano) era dunque estraneo al pontificato; del proletariato, questo non sapeva davvero che fare, se non in quanto si accostasse ai sacramenti, smettesse ogni orgoglio, obbedisse con immutabile docilità al clero e a tutti i poteri costituiti.
Che c'era più altro da fare? Rimettersi alla Provvidenza e prospettare, più lontano, óltre i termini della possibile breve esperienza personale, la palingenesi. E raccogliersi nel silenzio e nella preghiera.
Ma perchè allora intorno al morto squittiscono i « pappagalli lusingatori »? Perchè non hanno rispettato il silenzio del solitario studioso di Pisa? Se egli era stato veggente, certo questi cattolici non sono delia sua generazione. Se era stato soltanto un evocatore, essi lo avevano vinto in praticità e saper fare, ed agilmente superato. E certo non il pontefice che è succeduto a Pio X mostra di voler riprendere, con più audace e largo volo, il programma cui Leone XIII stesso, sulla fine del suo pontificato, strappò molte penne. Egli è piuttosto erede delle cautele che delle audacie di Leone XIII; ed assai più vicino ai cattolici il programma dei quali non va molto oltre Ijmmcdiato domani; un posto al potere, in qualunque gradino della gerarchia, dal ministero di S. M. il Re al maneggio di denari di una Cassa rurale.
Noi, Giuseppe Toniolo possiamo stimarlo per la illimitata sincerità e il generoso disinteresse del suo misticismo cristiano, ammirarlo col rispetto che si ha per un grande passato, i cui ultimi raggi illuminarono la sua anima ardente, ma che è tutto e solo passato.
Romolo Murri.
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LA SCOMPARSA DI UN PROFETA AMERICANO
t venerdì 28 luglio di quest’anno, si spalancarono le porte della vita per lasciare libero il varco della misteriosa gloria dell’eternità allo spirito di un grande, buono, savio, gentiluomo, la cui vita e la cui attività terrena hanno moralmente arricchito delle moltitudini e le cui potenti opere gli sopravviveranno per illuminare e per contribuire a redimere il mondo.
11 dott. Walter Rauschenbusch, ben noto pei suoi articoli
e pei suoi libri [a molti dei nostri lettori, era docente di teologia storica e di teologia pratica nell’«Istituto teologico battista» di Rochester (Nord America). Egli era un insegnante di vasta coltura e di raro talento e, nello stesso tempo, una personalità di grande dolcezza e di grande fermezza, dai principi s<^ìdi e dalle idee chiare. Il suo ministero, tra coloro i quali ebbero il privilegio di ricevere da lui personalmente la loro istruzione, era sommamente piacevole e davvero ispiratore; ma un’influenza assai più vasta, e che rimarrà viva anche nelle venture generazioni, egli esercitò per mezzo dei suoi libri. ■
Il Cristianesimo e la crisi sociale. — La cristianizzazione dell’ordine sociale. — • Gl' insegnamenti sociali di Gesù, ed altri volumi sono diventati veri e propri manuali classici tra i ministri del culto e fra i laici delle varie Chiese, i quali hanno affettato tutto il valore del principio del Regno di Dio sulla terra. Ai lettori della nostra Rivista è particolarmente noto il volume di preghiere sociali Per Dio e per il popolo di cui Bilychnis ebbe a varie riprese ad occuparsi (1).
Egli era ad un tempo un cristiano pio ed un ardente socialista ed il suo pensiero socialista non era meno preciso e profondamente rivoluzionario per il fatto ch’egli con esso fondeva il pensiero e lo spirito degli antichi profeti ebraici e di Gesù.
Gli ultimi mesi della vita del dott. Rauschenbusch furono resi angosciosi dalla guerra mondiale, che opprimeva penosamente il suo pensiero e da un atteggiamento di pacifismi politico che fu frainteso da parecchi dei suoi amici. In una lettera al Rev. Cornelio Woelfhin, datata r° maggio 1918, il dott. Rauschen(1) Vedi Bilychnis, 1914, Maggio, p. 359. La traduzione francese dita presso la nostra libreria al prèzzo di L. 3.50, franco di porto.
trovasi in ven(N. d. R).
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274 ' KILYCHNIS
busch espone alcuni dei suoi concetti più intimi relativi alla presente tragica situazione. Ecco la Ietterà (i): *
.... Sono nato cittadino americano e non mi sono mai sognato d’essere qualcos’altro. Giammai, in alcun tempo, ho io provato un sentimento di lealismo verso qualsiasi altro governo o nazione. Potrei citarvi vari episodi della mia vita i quali .dimostrano i miei sentimenti verso la nostra bandiera, e l’orgoglio mio riguardo al nostro, paese; ma sono questi particolari troppo intimi per esser resi di pubblica ragione...
Io debbo molto all’attività scientifica tedesca e non intendo svalutarla. D’altra parte, quando m'ò capitato di discutere intorno a questioni sociali e politiche con persone colte tedesche, m'è capitato di rado di sentire quei consenso e quell'armonia spirituale che ho provato in discussioni simili da me avute con studiosi francesi e svizzeri. Il mio libro sulla • Cristianizzazione dell’ordine sociale» è stato pubblicato in Norvegia, dopo Io scoppio della guerra; traduzioni svedesi e finlandesi si stanno preparando, e un’edizione francese dell’altro mio libro • I! Cristianesimo c la questione sociale* è pronta a Parigi sin dal 1914 e sarà pubblicata appena finita la guerra. In Germania invece, sebbene io abbia ricevuto offerte da una dozzina almeno di buoni traduttori, non-si è trovato alcun editore che si sia sentito di lanciare i mici scritti.
Gl'ideali democratici americani hanno avuto un'influenza decisiva sulla mia vita intellettuale. L’opera mia di scrittore e di professore è stata caratterizzata per anni ed anni dallo sforzo ostinato per formulare ed esporre, una interpretazione democratica della storia, della religione e della vita sociale. Il mio punto di vista sociale sta agli antipodi deUa filosofia autocratica, imperia’istica e militaristica, e le mie convinzioni cristiano-sociali sono in contraddizione assoluta con Nietzsche. Sono dunque americano non solo pei'miei sentimenti patriottici, ma perché ho preso in serio esame, i nostri principi democratici ed ho speso la mia vita ad inculcarli ed a spanderli e in patria e fuori.
1 Governi russo, austriaco e prussiano- sono stali da lungo tempo le principali forze reazionarie e anti democratiche nella politica europea. La loro distruzione lascercbbe senza dubbio libero il campo alle compresse energie delle aspirazioni liberali nutrite da un grandissimo numero di persone. Io spero di cuore che da tutte queste sofferenze scaturirà la condanna di qualsiasi forma di governo autocratico negli imperi centrali, e In fine della divisione fra le classi, la quale ora soffoca la vita libera e fraterna; in tal modo che possano realizzarsi finalmente i sogni dei veri patrioti germanici.
Ciò libererà il mondo dalla potenza maligna della diplomazia. È purtroppo vero che la Germania non è stata la sola Potenza che abbia cercato una espansione geografica cd economica. Gli avvenimenti nel Nord Africa (2). i torbidi in Cina (3), la stona dell’intero sistema coloniale, e j nascosti moventi di tutte le ultime guerre mostrano che l’intera civiltà moderna riposa sulla moderna base di cupidigia... Eppure la Germania - a motivo del suo rapido aumento di popolazione, della sua pericolosa posizioni-geografica. delle sue fiorenti istituzioni sociali e delia sua cultura scientifica — ¿ diventata l’esponente principale della filosofia dell'espansione c dell’idea anti-democratica. È stato il suo triste destino di formulare come dottrina ciò che alti e nazioni praticano soccombendo alla tentazione, e ài farsi il campione eli due odiosi residui del passati» l’autocrazia c la guerra. Nemico com’io sono della-guerra non esito a riconoscere che i popoli, sotto la pressione della guerra, hanno la tendenza a non riconoscere i diritti dei neutri; che gli eserciti d’invasione hanno sempre commesso atti abbomine-voli c crudeli verso i beni c verso gli abitanti non combattenti delle regioni invase; che i vincitori di .una guerra sono fatalmente attirati da una politica di oppressione e di spogliazione. Ma la Germania, essendo l’erede delle tradizioni guerresche e l’esponente cosciente e scientifico dei metodi di guerra, ha compiuto tutto quanto ho detto sopra più completamente, più deliberatamente, più accanitamente di qualsiasi altro
(ri Le sottolineature sono nostre. (N. d.
(2) Diciamo pure «di tutta l’Africa-.
(3) Diciamo pure odi tutta l'Asia-.
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LA SCOMPARS/t DI UN PROFETA AMERICANO 275
popolo in qualunque altro tempo, come lo dimostrano l’invasione del Belgio, la distruzione sistematica della Francia occupata ed il recente soggiogamento della Russia.
Una vittoria delle potenze centrali segnerebbe indubbiamente il trionfo nel mondo di questa filosofia imperialistica e militaristica. Considerai una tal cosa come una tremenda calamità ed ho sempre temuto un trionfo tedesco. Non sono così certo come lo sono altri che una vittoria degli alleati libererebbe spontaneamente il mondo dall’imperialismo-I trattati secreti dimostrano quali forze sono state messe in opera ed essi costituiscono semplicemente la continuazione della diplomazia quale essa era prima della guerra. La mia speranza è che la tremenda educazione della guerra abbia contribuito a condurre al pentimento tutte le nazioni. Se i'Governi non hanno ancora ripudiato i trattati secreti, almeno i lavoratori di tutte le nazioni si sono elevati al disopra di essi e stanno chiedendo, come conseguenze dirette di questa guerra, la libeità politica, la riorganiz-zione sociale e garanzie di pa$rf permanente. Le magnifiche affermazioni fatte in proposito dal partito del lavoro inglese, indicano la direzione delle nostre speranze.
L'importanza del controllo dell’America nella fase finale e decisiva della lotta offre una grande occasione storica alla nostra nazione. Abbiamo in gioco interessi egoistici in minor copia «Ielle altre nazioni; abbiamo le grandi tradizioni democratiche; noi possiamo sollevare l’intera contestazione al disopra a un combattimento per questioni territoriali o commerciali c possiamo fare di essa una battaglia per la liberta dei popoli c per la realizzazione dell'ordine e della pace internazionale. Abbiamo profondi motivi di gratitudine perchè, al posto di politicanti guerrafondai, i quali avrebbero forse potuto trovarsi in questi momenti padroni dei nostri destini, noi possediamomi capo il quale pensa in termini umanitari, il quale vuole la pace c che ha enfaticamente posto il principio democratico in prima linea come la mèta verso la quale devon tendere tutti gli sforzi. Qualunque sia resilo, il presidente Wilson ha davanti a se il difficilissimo campito di trasfondere nella realtà t suoi principi idealistici, in opposizione alla coalizioni degl'interessi egoistici in patria e fuori. Ancora ed ancora nel passato i popoli sonò stati condotti al macello sventolando nobili ideali, per esser poi traditi intorno al tavolo delle trattative di pace. Perciò il Presidente è meritevole di tutto il nostro appoggio nel sostenere gli sco.pi di guerra ch’egli ha così intelligentemente formulati.
Questi, caro dott. Woelfhin, sono alcuni dei pensieri che preoccupano la mia ment< in questi giorni. In questi quattro anni la nostra nazione è passata attraverso vari mutamenti di opinioni e di disposizioni. Abbiamo lutti fallo esperienze inattese e dolo rose, alle quali non eravamo stati preparati da esperienze anteriori, lo mi sono sentito tutto questo tempo come un nuotatore in un mare tempestoso, c mi son trovato a dover lottare contro ogni ondata solo al momento in cui essa sopravveniva. Altri sembrano esser più agevolmente arrivati a conclusioni definitive; forse perchè si trovano coll’opinione pubblica in contatto più diretto di quanto non possa esserlo io stesso...
Affino vostro .
Walter Ravschp.nbusch.
Arrivederci, bravo compagno nella lotta sociale, diletto fratello in Cristo e nobile profeta del Regno di Dio. Le opere tue «ti seguiranno » (i). Il tuo nome è una stella luminosa che rischiara il nostro sentiero e ci guida verso una più nobile vita e verso un più fedele servizio. Noi faticheremo con più coraggio e con maggior saggezza perchè sei vissuto. E t’incontreremo di nuovo in un mondo in cui la giustizia, la pace e la vita trionfano eternamente sull’iniquità, sull’odio c sulla morte. Allora ci rallegreremo insieme e realizzeremo che i nostri sforzi ed ì nostri dolori non saranno stati vani.
_____ ■ * * . 8« c- m(i) Espressione biblica nel senso: continueranno la tua influenza.
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IL CRISTIANESIMO E LA SERBIA
11 Cristianesimo penetrò assai presto in Serbia, portatovi da missionari dipendenti sia da' Roma, sia dal patriarca greco; ma la massa del popolo addottò la religione nuova solo nel secolo x, quando i seguaci dei granai apostoli slavi Cirillo c Mctodio gli ebbero recate e la traduzione dei libri sacri e una liturgia nazionale.
Prima ancora che i Turchi avessero posto piede in Europa, i Serbi si preoccupavano dell'urgenza di opporsi ai loro progressi, c il loro re Stefano Duchan («331-1355) chiedeva a Innocenzo VI di nominarlo capitano della cristianità contro i Mussulmani. Sotto il suo successore, Uroch, le orde turche penetrarono in Europa: davanti all'invasione, purtroppo, il paese si trovò diviso. Invano i due principali capi ribelli, Vukachine e suo fratello Ugliecha mossero contro i Turchi alla testa di 60.000 uomini: il loro esercito fu annientato sulle rive de) fiume Marina (1371), i due capi vi trovarono la morte, c poco dopo morì anche il re Uroch senza lasciar discendenti. La lotta fu continuata da Lazzaro Chrcbelanovitch. 1) 13 giugno 1389 un urto formidabile avvenne nel piano di Kossovo (il canto dei merli). I raosodi nazionali hanno immortalato il valore disperato e l’abbattimento eroico dei combattenti cristiani. Lazzaro, fatto prigioniero, fu decapitato assieme a vari suoi compagni che avevano sollecitato l’onore di morire prima di lui...
Dopo la battaglia di Kossovo, continuò la resistenza serba: i vinti non erano soggiogati. Lentamente si ritirarono verso il Nord cedendo il terreno a palmo a palmo. Quando tutto il territorio nazionale fu occupato dal nemico, i Serbi affidarono Belgrado agli Ungheresi (1483) e Belgrado rimase per quasi un secolo il bastione'dcl(j) Dal Semeur <le! gennai > 1918.
l’Europa cristiana. Su di essa Maometto II, nell’anno 1454, aveva concentrato i suoi sforzi. Fu un tremendo momento d’angoscia per la cristianità. Dimenticando pei un istante le discussioni mortali, Giovanni Huniade e il cardinale Capistrano si precipitarono nella città che il Sultano non tardò ad avviluppare. Capi e soldati, laici e frati: tutti fecero miracoli. Nella prima linea di Crociati, decisi a vincere o a morire, i Serbi, rifiutando di cedere l'ultima loro città all’invasore, moltiplicavano i loro sacrifici. Belgrado fu salva e l'esercito di Maometto volto in fuga.
La resistenza era continuata pure intorno a Smederevo. Maometto II occupò la città nel 1459. A poco a poco l’ondata turca finì per coprire la Serbia. Belgrado, ultima fortezza dei cristiani nei Balcani, soccombette nel 1521.
S’è voluto spiegare l'annientamento della Serbia con dei motivi che farebbero ricadere sui vinti la responsabilità della loro disfatta. L’Europa cristiana aveva interesse a scusare se stessa. Le varie potenze che avrebbero dovuto correre in aiuto della Serbia pensavano soltanto ai loro interessi egoistici. Quando si ol-friva qualche soccorso agli Ortodossi, si chiedeva loro sempre di pagarlo con una apostasia. Ernesto Denis ha detto molto giustamente: « I Serbi soccombettero perchè costituivano l’avanguardia aella difesa cristiana. Furono le vittime d’una calamità tragica, analoga a quella che ha condannato il Belgio ad atroci distruzioni. Essi coprirono colle' loro sofferenze e col loro coraggio l'Europa intera che, dietro ad essi, grazie alla loro resistenza, ha avuto il tempo di prepararsi e di organizzarsi.
La devozione della Serbia nella difesa della cristianità non era terminata colle ultime sconfitte nazionali. Negli eserciti imperiali che difendevano l'Ungheria e l'Austria, gli Jugo-Slavi costituiscono l’eie-
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IL CRISTIANESIMO E LA SERBIA
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mento più resistente. Può dirsi che sino alla fine del secolo xvh ferve una crociata incessante contro il Turco e in questa crociata i soldati serbi sono sempre in prima fila. Nel 1683, nella famosa difesa di Vienna, le coorti slave formavano il nocciolo dell'esercito di Leopoldo I.*
J Serbi rappresentano l'anima della resistenza ài Turchi. I Bulgari avevano presto piegato il collo e accettato il giogo. Nel 1392, scrive lo storico Giretche, il Sultano Bajazct pose fine al regno di Tar-novo « dopo qualche resistenza, piuttosto debole ». I Serbi eran rimasti soli- sulla breccia e si può dire che vi son rimasti sempre. Dal xiv al xix secolo è una* guerriglia incessante, una* insurrezione continua, che scoppia ora in Bosnia, ora in Tserna Gora (Montagna Nera, Montenegro), ora nella Vecchia Serbia. In tutto questo lungo periodo, i Serbi non hanno mai disperato: fedeltà alla tradizione nazionale e fedeltà alla tradizione religiosa si confondono.
Nei suoi ricordi e nella sua religione l’anima serba ha cercato un rifugio. Durante cinque secoli è rimasta priva di qualsiasi cultura, tanto che la maggior parte dei preti non sapevano scrivere nè leggere. A ménte dicevano la loro messa e a mente recitavano le loro preghiere; ed è forse ciò che ha conservato H loro patriottismo invincibile. Non imparando nulla dai libri, ricevevano ogni cosa dalle tradizioni trasmesse di generazione in generazione dai rapsodi e dai vecchi. In queste tradizioni patriottiche c religiose i Serbi, dai tempi di Rosso vo sino ad oggi, hanno attinto i principi direttivi della loro vita morale.
«uesta tradizione viveva specialmente e anime. Ben è vero che la Chiesa ne era la rappresentazione vivente, ma essa stessa era al disotto del suo compito. A poco a poco, sotto la dominazione turca, i vescovi greci, provenienti dal Fanaro, erano successi ai prelati slavi. Poi, nel 1766. il patriarcato di Petch era stato soppresso, c con esso era definitivamente scomparsa l'autonomia della Chiesa serba. I vescovi compravano il loro episcopato a Costantinopoli, è, alla loro volta, vendevano le parrocchie, mentre i popi, troppo spesso ignoranti, cupidi, ubbnaconi, cadevano nel grado di semplici esattori d'imposte. Pure, malgrado il loro avvilimento, essi vibravano con la nazione oppressa, condividendone i sogni e le speranze.
Nel 1804, nella celebre adunanza di Orachats, dove alcuni capi posero alla loro testa Karagcorges, religione e patriottismo sembrano essersi associati.
Si può dire eh'è stato realizzato il sogno serbo riferito dalla leggenda. Una pesine rappresenta lo czar Lazzaro mentre presiede, nel suo palazzo di Kruchevato, il banchetto dei suoi feudatari. La czarina Militsa fa il suo ingresso; essa è spinta da un ordine dall’Alto e deve parlare: « Tutti i re serbi, essa dice, hanno fondato chiese' adorne di mosaici e d’organi; solo Lazzaro non ci ha pensato. Quando provvederà egli?*. L'Imperatore giura sull’istante che egli costruirà la bianca chiesa di Rava-nitsa, ch’egli vi accumulerà dei tesori, e i convitati lo applaudono. L’eroico cavaliere Miloch tace. Lazzaro l’interpella col calice in mano : < Alla tua salute, voivoda Miloch! dimmi anche tu se devo costruire una chiesa? ■ Miloch, col berretto di martora in mano, saluta il principe e dice: « Principe, il tempo è passato... sono giunti i tempi in cui il Turco regnerà sy di noi. Distruggerà i nostri monasteri, saccheggerà i nostri santuari; saccheggerà la tua Ravanitsa; prenderà il piombo delle sue mura per fonderne palle da cannone che distruggeranno le nostre fortezze; coi pezzi del tuo mucchio d’oro farà col-# lane per le sue donne; le perle delle sacre immagini adorneranno il seno jìclle sue figliole e le pietre preziose dell’altare ingemmeranno l’impugnatura della sua scimitarra... ». Miloch conclude che ciò che occorre, è una Chiesa non ricca, ma solida che durerà nel paese più a lungo degli stessi Turchi, e Lazzaro lo approva: « La tua bocca ha detto la verità ». Questa solida Chiesa è stata fatta, non con delle pietre, ma con delle anime ed essa è stata che ha salvato la nazionalità serba.
Nella Serbia indipendente, la Chiesa serba è divenuta, anch’essa, autonoma e nazionale; ha conservato il suo patriottismo, ma non ha forse esercitato, nella ricostituzione del giovane regno, tutta la funzione che avrebbe potuto spettarle. Però, dopo gli spaventevoli disastri piombati sulla Serbia, quel giorno è venuto e forse non è lungi il tempo in cui la nazione che certuni avevano sognato di cancellare dalla carta d'Europa sarà rimessa in possesso dell’intero suo territorio e chiamata a nuovi destini. Vi saranno allora piaghe da sanare, rovine da riedificare. Non basterà alia Serbia di ritrovare la sua po-
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BILYCKNTS
lenza ^materiale : avrà bisogno specialmente d’anime rinnovate e di coscienze affinate, e le forze morali dovranno metterai all’opera. La Chiesa ortodossa è una delle forze che dovranno allora mostrarsi all’altezza delle circostanze. La 'cristianità occidentale avrà gli occhi su di lèi: ma non dovrà limitarsi a guardare se questa Chiesa appare degna della sua nuova e gloriosa missione: dovrà aiutarla a compiere tale missione e, per ciò, aiutarla a ridiventare essa stessa più viva che mai.
Anche a questo riguardo, sarà una nuova alleanza che si rinnovella: a ViL leneuve-les-Avignon gl’inviati di Stefano Duchan. nel 1354. vennero a chiedere al Papa di nominarlo capitano della . cri
stianità contro i Mussulmani, e dalla Francia partì per la Serbia Tommaso di Péri-gora, più tardi arcivescovo di Creta e che fu poi canonizzato.
A Milano i deputati patriarcali incontrarono Carlo IV di Boemia, che diede loro una lettera di raccomandazione pel suo caro fratello, lo czar dei Balcani...
La storia sì ripete! (1).
Raoul Alljkr.
(x) Notevole il fatto che. nel secolo XIV®, al momento in cui Duchan stava per iniziare la sua Crociata contro i Turchi, un attacco di Lui# «li Ungheria lo costrinse a volgere le proprie armi verso il nord. Anche qui. la storia si ripete!...
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PER^S/LiVRA DELL'ANIMA
PREGHIERE <*>
i. '
Padre! Padre di tutti gli uomini, i nostri cuori di figlioli sono lacerati! Gli eventi che passano su di noi ci turbano profondamente. Ti ricerchiamo non solo per aiutarci a sopportare i nostri lutti, le nostre tristezze e per darci la forza necessaria onde far fronte ogni giorno al dovere sacro; ma Ti ricerchiamo affinchè col Tuo spirito Tu possa illuminare le nostre intelligenze, dirigere le nostre volontà, preservarci dall’ indecisione e procurarci l’armonia con noi stessi: sostegno indispensabile per la gente onesta che altro non chiede se non di agire bene.
0 eterno! Dal giorno in. cui ha proclamato l'ideale sul Monte, Colui che ci hai inviato sulla terra, che è il nostro e che ci conduce, quante volte non ha-veduto quell'ideale ottenebrato, vili
peso, trascinato alla gogna?
(•) La prima di queste preghiere apre e la seconda chiude il volume di prediche di Carlo Wagner intitolato: Spade a dtu tagli. Parigi 1917.
Le parole ch'Ei diceva e che toccavano i cuori allora, bruciano la coscienza di coloro che vogliono amare! Quelli, i Tuoi figli, sono dunque le vittime predestinate, la preda di quelli che altro non comprendono se non la forza? Per questo Tu hai mandalo il Giusto? Per questo è stato Egli un bambino ne la greppia di Betleem? Per questo la Sua parola ha destato un'eco sino alle estremità della terra? Per questo ha pagato colla sua persona? È Egli salilo sulla croce perchè, nell’avvenire, lutti coloro che si reclamano del Suo nome e del Suo spirito, siano calpestati come vermi?
— No!
Vieni a noi, 0 Eterno! Tu ci hai dato una coscienza. Tu- ci hai dato un’intelligenza per comprendere le parole. Non bisogna che ciò che deve vivificare produca l’impotenza e finisca col generare la morte. Vieni dunque fra noi. Ci parli sempre: Egli T ha detto: « Lo spirito verrà, vi istruirà da parte mia, vi’condurrà di luce in luce e luì slesso vi farà vedere la via ».
Abbiamo fiducia' in Te, 0 Eterno.
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28() BILYCHNJS
Crediamo che giammai la tua voce si è spenta sulla terra, che giammai il Tuo braccio si è accorciato. Dacci la mano, e conducici tu sulla buona strada.
Così sia.
II.
Padre Nostro!
Se la terra sapesse! la terra dove il seminatore ha gettato il seme: se la terra sapesse, si metterebbe in preghiera.
Dal suo seno sconvolto dal lavoro, col canto dell'allodola che sale nella luce un grido salirebbe verso di le, per implorare la tua benedizione, la tua divina rugiada, il tuo sole, che fanno germogliare e maturare ogni cosa.
Il nostro cuore è terra viva, lacerata dal solco degli eventi. Avendo ricevuto la tua parola, questo cuore t’invoca e li prega di farla fruttificare.
Siamo il tuo campo, il campo del tuo lavoro e della tua speranza. Non permettere che siamo invasi dall'aridità e dalla sterilità e da erbe cattive. Il seme delle parole antiche che tante volte produsse sui solchi il pane di cui si nutrono le anime riprenda vita, forza e movimento al contatto dello spirito nostro e faccia circolare su noi i tuoi benefici!
Quest’epoca ha fame; un grido d'angoscia l'attraversa. Arricchiti dalla tua bontà, nubili dei tuoi doni, accordaci la grazia di poter dare ai nostri fratelli ciò che avremo ricevuto da te. Facci conoscere la felicità che consiste a consolare, rianimare, sostenere, incoraggiare l'umanità languente, per mezzo del pane dello spirito che ha consolato, rianimalo, sostenuto, incoraggialo noi stessi. Concedici la grazia di amarla bene, l'alto favore di servirla bene.
Ti preghiamo per la Patria gloriosa e militante, dolente e magnanima!
Ti preghiamo per tutto ciò che soffre e combatte: pei nostri valorosi soldati che sopportano privazioni materiali e spirituali, per quelli che piangono, per quelli che muoiono, per quelli che sono caduti nelle battaglie.
La tua parola divina c’insegni a comprendere che nulla è vano, nè perso, che nessuno è dimenticato, che il tuo onore è impegnato nei destini nostri pieni d'ombra e che, avendo Te per capo, avremo la vittoria, purché combattiamo il buon combattimento. Ogni lacrima caduta, ogni sangue versato, ogni sacrificio sopportato per la buona causa è da te raccolto. Se vogliamo ciò che tu vuoi, il bene, la giustizia, la libertà, l’onore, nulla mancherà nella messe futura, che è, Padre, la messe tua.
Vogliamo credere in te, nell’opera che ci hai affidata, al grande passato di cui siamo gli eredi, all'avvenire che prepariamo col tuo aiuto.
Gloria, onore e lode al tuo santo Nome, al mistero insondabile della tua Potenza e della tua Bontà!
Con te la nostra parte è bella. Resta con noi nel corso dei giorni severi, resta con noi nei passaggi diffìcili. Fortifica le nostre mani per costruire nelle lotte e nelle pene, con pazienza e con fede, una città luminosa dove dimoreranno la Giustizia, la Pace, la Bontà. Te lo chiediamo nella comunione del Crocifisso divino, pel quale ci hai insegnalo che i Calvari del dolore santo sono il cammino che conduce alle Pasque trionfanti.
Così sia!
Carlo Wagner.
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Sans sympathie il n’y a point de vraie union, même sur la terre; l’accord des sentiments fait la communion des âmes; aussi... après l’amertume extrême de ces premiers jours de deuil, quand Dieu, touché de vos prières, aura au fond de votre cœur doucement vaincu la nature, quand vous pourrez, les yeux en pleurs, mais avec sincérité, dire adieu au coup qui vous a frappée, alors vous verrez commencer entre votre ami et vous les douceurs d’une union meilleure ; alors vous jouirez de penser et de sentir comme lui-même pense et sent maintenant; vous serez heureuse de savoir que vos âmes sont à l’unisson et que vous vivez d'une même vie; rien ne s’interposera entre son âme soumise et votre âme soumise, et, à mesure que vous le céderez à Dieu, Dieu vous le rendra. Plus vous aurez d'affection pour Dieu*, plus vous pourrez en avoir pour l’ami qu’il vous a donné......
A. VlNET.
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Colpito c rudemente nel suo affetto di padre, or sono circa due anni, quando la dolce Mirella lo lasciò, oggi il prof. Lodovico Paschrtto piange la perdita, della sua dilettissima consorte
ELENA
che gli fu, negli anni passati insieme, consolazione, speranza, fida compagna nelle opere di vita cui lo conduce la sua pura fede cristiana.
Poiché la cara Estinta non solo ritenne suo dovere ilfar fiorire, come un'oasi benefica, la Sua Casa - e veramente tale essa fu-; ma sentì come oltre la cerchia del nostri cari altre anime abbiano bisogno di aiuto, di conforto, di affetto e, quanto di forza e di tempo Le rimaneva, consacrò ad esse.
Noi che La conoscemmo e ai quali fu benefica la sua nobile amicizia, non ipocritamente lo testimoniamo.
Commossi, ci stringiamo intorno al nostro povero amico che ancora una volta ci lascia ammirati - esempio di vita superiore - con la forza cristiana dell'animo suo: a un giorno di distanza dalla crudele perdita, Egli delta per gli amici suoi e della diletta sua Compagna alcune parole di-pio ricordo e trascende il suo straziante dolore e unito più che mai in ¡spirito a Colei che gli fu rapita, affcrina: « e in comunione col suo spirito ci riconsacriamo al servizio ..di Colui che ha proclamato la certezza de) trionfo della
Vita sulla morte».
Dinanzi a questa viva testimonianza di fede cristiana, chiniamo riverenti il capo.
Diamo fiori di speranza alla memoria della cara Estinta; diamo tutto il nostro affetto a Lui ohe ne ha tanto bisogno; ai suoi due cari bambini che cercano invano il soave occhio materno ; ma sia- anche in noi la volontà di cooperare al-Pavvento di un mondo migliore.
Sarà questo il miglior balsamo al dolore del nostro amatissimo amico.
La Rivista
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... Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perchè il primo cielo e la prima terra eran pattali; e il mare non cera più.
E vidi scender dal cielo, di presso a Dio, la Città Santa, la Nuova Gerusalemme, pronta come una sposa, abbigliala per il suo sposo. E udii una gran voce che veniva dal trono e diceva: 1 Ecco il tabernacolo di Dio in mezzo agli uomini! Egli abiterà con loro, ed essi saranno popoli .suoi, e Dio stesso starà con low come loro Dio: e asciugherà ogni lagrima dagli occhi loro; e non ci sarà più morte, nè ci saranno più lutto, nè lamento, nè dolore, perchè le cose di prima son passale!*...
... Non ci sàrà più nulla di maledetto; quivi sarà il trono di Dio e dell'Agnello; i servitori di Dio offriranno a Lui il loro servigio, vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome in ¡tonte. Quivi non esisterà più notte, ed essi non avranno mai più bisogno nè di lume di lucerna. nè di luce di sole, perchè li illuminerà il Signore Iddio; e regneranno nei secoli dei secoli...
(DtìV Apocaliue di S. Giovanni).
CHIAVAR! (Genova), 13 dicembre 1918.
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La nostra dilettissima
ELENA
colpita da repentino e violento morbo, ci ha lasciati nel dolore e nella speranza della fede cristiana per raggiungere la sua dolce MlRELLA nella pienezza della Vita in Dio.
Ella ci ha lasciati mentre si preparava a partecipare, con nuova consacrazione, all’opera di ricostruzione in questo dopo-guerra, raccogliendo le proprie energie e raffinando le proprie doti in vista d’un nuovo periodo di attività cristiana, bramosa di pace e di gioia per le anime che anelano di poter sperare.
Noi che tanto l’amammo e l'amiamo, raccogliamo il suo pio, ardente desiderio ed in comunione col suo spirito ci riconsacriamo al servigio di Colui che ha proclamato la certezza del trionfo della Vita sulla morte.
Il marito Lodovico Paschetto e parenti (Via Crescenzio 2, Roma)
I genitori Riccardo e Anna Davio e parenti (Corso Viti. Eman. 49, Carrara)
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TUTTO A TUTTI <*>
..." lo mi sono fatto tutto a lutti per salvarne in quatoe mòdo alcuni,,.
I» Lettera ai Corinzi IX, M.
Per essere buon principe, occorre essere anzitutto principe: S. Paolo era principe, — principe nella sfera spirituale. Èra uno dei Grandi, uno di quelli che il tempo trascorso dopo la loro attività terrena ha resi più grandi ancora.
Molti principi della terra sono sopra tutto altezzosi: quegli di cui parliamo ha caratterizzato la sua grandezza col desiderio più ardente di rendersi utile, di discendere, di ricercare i piccoli, di mettere la*sua forza, la sua fede, tutto quanto possedeva a disposizione di coloro che ne erano sprovvisti. Per questo ha potuto dire — e non si saprà mai sino a qual punto ciò ch'egli ha detto è vero: si rimarràsempre, anche coll’immaginazione più fertile, al disotto di quanto egli ha fatto — per queste ha potuto dire senza vantarsi: « Mi sono fatto tutto a tutti ».
In ciò, il suo spirito rifletteva davvero lo spirito del suo Maestro, di Colui del quale è stato detto, nelle Sacre Scritture, che non ha considerato come una « preda » d’esser simile a Dio, ma che s’è umiliato ed è stato ubbidiente sino alla morte, ed alla morte sulla crocei
Sarà cosa buona, utile e salutare per gli spiriti nostri il trascorrere un momento nella comunione di quella Grandezza che è costituita da umiltà, pazienza, semplicità, e che fa degli sforzi di accomodamento per colmare le distanze.
» • •
Una delle grandi distanze, una delle profonde separazioni che esistono tra gli nomini, è la separazione intellettuale che
(•) Dal volume Glaives à deux lranchants (Spade d due tagli). Discorsi. Parigi 19x7. ha la sua origine .nel loro diverso modo di concepire, di comprendere le cose. Si sono classificati, incasellati secondo le loro idee o le loro credenze in tal modo che molto spesso, nonostante tutti i progressi fatti dai mezzi esterni di riavvicinamento, sussistono tra loro vere paratie stagne. Da una paratìa all'altra non ci si conosce!
È questo uno degli ostacoli più seri all’avanzamento del Bene sulla terra. Per non so quale fatalità, tutto quanto è cattivo si congiunge, cospira insieme mentre la brava gente è disgiunta. In tal modo, certe convinzioni che dovrebbero costituire una forza, diventano una causa di® debolezza. Evidentemente l’impero del Male prende il sopravvento sull’impero del Bene. Per togliere quest’antica e grave difficoltà, occorre che alcuni spiriti siano più grandi delle barriere. Bisogna che passano oltrepassarle — e oltrepassarle senza essere afflitti di quella malattia, la più tremenda di tutte, che è io scetticismo, l’indifferenza, — oltrepassarle pur avendo nel cuore convinzioni profonde, ardenti e definitive.
'San Paolo era fatto così. Ei sapeva che non era un caso, nè un particolare superficiale essere un Giudeo,, essere sotto la ' Legge, appartenere al popolo eletto. Ei sapeva che non era un caso superficiale nè un .accidente storico essere un Greco, ma ch'era un effetto della volontà divina essere del proprio paese, della propria lingua, della propria discendenza c del proprio vecchio patrimonio, e di portarne l’impronta nella propria anima e nel proprio sangue. Ma il Giudeo, il Greco, l’uomo che pensa in un certo modo c l’uomo che pensa in un certo altro, tutte le mentalità sono, coi loro doni diversi, altrettante modalità della medesima rivelazione divina attraverso lo Spirito umano. Tutti gl’interessi, quali che sieno, sono rappie-scntazioni deUTnteresse essenziale del-
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BILYCHNIS.
. l'umanità, e per conseguenza occorre che giungano a incontrarsi cd a congiungersi.
Perchè il Giudeo non cessi d’essere un uomo a forza d’essere un Giudeo, perchè il Greco non cessi d'essere un uomo a forza di non essere altro che un Greco: perchè non pongano la loro gloria nella superficie. nelle cose esterne, ma possano apprezzare veramente, sin nella sua profondità ideale* e sacra, la gloria d'essere un Greco c la gloria d’essere un Giudeo, bi-’ sogna che si con vertano all'umanità. Èer questo appunto Paolo, sentendo che chiunque non ascendeva a questa nascita superiore era perduto, esclamava: « Io farei qualunque cosa pur di farli salire a quell’altezza ». Cosi ebbe a dire un giorno: « Oh! per salvarvi, fratelli in Abramo, accetterei d’essere anatema ». Non si può dire di più: essere anatema, vuoi dire essere dannato, separato eternamente da Dio., rigettato come un rifiuto al difuori di tutto ciò che ha valore. Amare abbastanza per sacrificare non soltanto il proprio benes--sere materiale e spirituale, la propria vita presente, ma tutto l’avvenire del proprio ' destino, è davvero amare senza misura.
Gli sforzi di S. Paolo per immedesimarsi 'con lo spirito dei Greci sono numerosi. Si ricordi soltanto il suo discorso agli Ateniesi e la sua commovente interpretazione dello scritto: .4/ Dio scbnosciuto. Questo por la mentalità.
Pensate ora alla-distanza stabilita tra gli uomini dal punto di vista sociale, a quella specialmente che esisteva nell'antichità fra lo schiavo c l’uomo libero. San Paolo s’è fatto schiavo benché fosse un uomo libero; è andato' coi più piccoli, con gli ultimi. D’altra parte, egli ha.cosi bene liberato gli stessi padroni da quella schiaviti! interna del padrone consistente nel disprczzare il suo schiavo, li ha così bene • affrancati, da far loro comprendere, attraverso quella barriera, la più formidabile di tutte, che l'uomo libero cTuomo schiavo sono uniti in Gesù.
Non solo San Paolo era un grande spirito e un grande cuore, ma era altresì un grande carattere.
I grandi caratteri, generalmente, sono molto fermi; anzi è in ciò che consiste il carattere. Ma i grandi caratteri hanno i difetti delle loro qualità: sono spesso imperativi, taglienti, esclusivi, bisogna che ci si regoli su loro, essi non si regolano sopra nessuno.
Paolo era un grande carattere e. lungi
daH’csser rude, fu conciliante; conciliante su tutte le forme esterne dèi pensiero e degli usi c. ciò che è più penoso, conciliante riguardo al proprio suo diritto. Vi sono tali che non solo vanno sino in fondo al loro diritto, ma che vanno sempre un po’ al di là. San Paolo invece non ha fatto nemmeno lutto ciò che aveva il diritto di fare: ha rinunciato a molte cose legit-’-timo,' per usare un riguardo atyaltruì, onde non scandalizzare nessuno, allo scopo di rinforzare la sua posizione morale nella fiducia di coloro che lo guardavano vivere e ch'orano conquistati da tanto disinte- '* resse.
Tutte queste cose, egli ha fatte per amore di Dio. per amore degli uomini. Essendo un Maestro, e quale Maestro! s’è fatto servitore su tutta la'linca; ha contribuito a creare in seno all’umanità un tesoro spirituale a cui si può attingere per lottare contro tutto ciò che separa gli uomini c per rinforzare ciò che li unisse.
Quel tesoro è aumentato nella misura in cui si è ad esso attinto. La legge dei Regno di Dio vuole che ci s’arricchisca col dare.
Farsi ogni cosa a tutti. Farsi ’ picelo coi piccoli. Quante volte, nella vecchia storia del Cristianesimo. non ne abbiamo noi veduto il sublime esempio! Dopo la primitiva chiesa paziente e magnanima, educatrice dei pagani, abbiamo visto, nel medio evo, quei monaci, che raccoglievano in se stessi tutta la scienza del loro tempo, farsi ’piccoli coi piccoli c quasi barbari coi barbari, per istruirli, illuminarli, convertirli all’Evangelo.
Vi sono spiriti pei quali la scienza è una specie di ricchezza egoisticamente serbata. Forse non importerebbe loro più d’essere eminenti per la conoscenza, per la distinzione artistica se tutti potessero partecipare a quei tesori. Sono talmente posseduti dall’amore del privilegio che quanto è il bene di tutti non sembra loro più un .bene. Il vero bene è ciò che vi distingue, ciò che vi mette a parte, ciò che vi eleva al disopra degli altri. Per mantenersi in tal bene, essi serbano per loro ciò che hanno; non dànno, non distribuiscono, non spandono a piene mani, liberalmente, quel qualcosa di speciale che li fa brillare e che li fa più grandi dei comuni mortali.
Ciò non succede coi veri maestri. In qualsiasi insegnamento — da quello che consiste ad insegnare i primi rudimenti della lettura e della scrittura ai bambini.
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PER LA CULTURA
sino a quello che consiste nel)'insegnare le scienze più profonde, più estese e più diffìcili a nomini adulti —- il vero pedagogo. l’autentico maestro è colui che si dona c sa discendere, è colui che sa mettersi al posto degli altri, pensare e vivere com’essi, al fine d’insegnar loro a vivere c a pensare-come lui.
Occorre davvero una capacità speciale, una grazia particolare per adattarsi in tal modo agli ambienti più vari.
.'Abbiamo veduto.degli uomini'di scienza farsi solitari, esiliarsi, rinunciare a tutti i yantaggi della vita civilizzata per recarsi a vivere in contrade lontane, nei granai freddi del polo, nei calori eccessivi dei tropici, onde servire la scienza. Ne abbiamo visti parecchi mescolarsi ai malati a fletti dei contagi più pericolosi per meglio comprendere la loro malattia ct riuscire a combatterla. Altri, per salvare degl'in* fermi dall’isolamento della loro infermità, si son fatti una mezza esistenza, si son resi infermi. Si sono messi nella situazione di ciechi, di sordi e muti, per comprendere, e liberare quelli che avevano perduto la vista b l’udito. Sono andati verso i malati <H mente, i diseredati deirintelligenzaal Lue di esser loro utili e di aiutarli a tirar partito dal paco Che possedevano. Si sono, esposti ai miasmi fisici come alle atmosfere morali irrespirabili per strappare alla •perdizione i corpi e le anime.. Così, dovunque, sapersi fare tutto a tutti è una forza, una bellezza, una grandezza, una ricchezza in seno all’umanità. Vi raccomando quello stato d’animo. Gli atti che da esso vi saranno ispirati saranno« altrettanti commentari dellvangelo sublime, venuto per salvare ciò che era perduto.
♦ ♦ ♦
Eppure, fratelli, se da un lato farsi tutto a tulli rappresenta la vetta luminosa della carità, quej medesimo principio può rappresentare, dall’altro lato, un abisso di abbiezione. Ci si può fare tutto a tutti per amore di Dio c degli uomini,.per tenerezza, per sete di salvare, ma lo si può fare anche per bassa cupidigia, per vigliaccheria, per sete di dominio e di grandezza; •
Ricordatevi quegli ambiziosi, che agiscono secondo il vecchio adagio latino: Omnia serviliter prò dominalioM e che son pronti a qualunque atto purché conduca al potere. Allorquando il demonio della
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dominazione rode un uomo, lo trasforma in up delinquente e inaino schiavo; nessuna vergogna io spaventa: ossequiosità, ipocrisia, crudeltà: tutto vale purché si elevi e comandi! Intorno a coloro che sono rosi da codesta lebbra e che finiscono col raggiungere-la potenza cotanto concupita, voi incontrate i loro parassiti, ! cortigiani, solleciti nel leccare tutti gli stivali e che non indietreggiano davanti ad alcuna ignominia. All’ómbra del potere e sotto la sua protezione, essi formicolali' nei privilegi come i vermi nel cadavere.
Ahimè, si son viste anime basse prostituire la stessa religione fra la turba servile che s'affolla dietro ad un carro. Facendosi tutto a tutti ira gli ultimi dei mortali, queste anime costituivano una caricatura schifosa della religione di San Paolo e di Gesù Cristo. Distogliamo lo sguardo da quell'angolo oscuro, dove si compiono infamie in nome di quanto v'é più sacro.
Altri si fanno tutto a lutti perchè non posseggono una colonna vertebrale: sono uomini di gomma, troppo flessibili, afflitti d’una troppo grande elasticità; i quali* non possono resistere ad alcuna sollecitazione per paura, per vigliaccheria, per troppo umile condiscendenza. Sempre del parere ài tutti, urlanti coi lupi, simili a certe giovani troppo facili a lasciarsi trascinare, essi subiscono l’influenza di ognuno.
Vengono in seguito i troppo compiacenti. La’ compiacenza 'è una virtù. Certo non v’é nell'Antico Testamento quadro più grazioso di quello della giovane Rebecca la quale si dichiara pronta non solo a dar da bere agli uomini assetati, ma pur anche ad abbeverare i loro cammelli. Però la compiacenza, in alcuni, diventa un vizio. Vizio nella famiglia, in* una educazione che non sa più resistere ài figliuoli, la com-Ìiacenza è un vizio maggiore ancora al-irquando. nella vita pubblica, essa consiste a tutto approvare, a non saper mai elevare la voce per una virile protesta. Quando giunge a un tal grado di aberrazione. la compiacenza non è più che una bassa servente che apre la porta a tutti gli abusi.
parsi tutto a tutti, ciò si verifica ancora, per arrivare al successo, al danaro.* Vi sono, in certi vecchi manuali, che per fortuna non corrono più fra gli scolari d'oggi, dei consigli per coloro che vogliono riuscire. Dopo avere insegnato il dovere convenzio-
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BILYCHNTS
naie, il modo di contenersi per non essere tenuti in poca considerazione, mormora sottovoce all'orecchio dell'iniziato: « Ciò sta benissimo per il pubblico; ma, se vivi così, noh riuscirai, non arriverai-Occorre che tu conosca il secreto; eccolo: non imbarazzarti cogli scrupoli, non aver amor proprio, lasciati insultare • quando vi trovi il tuo interesse. Se ti mettono alla porta, non formalizzartene; ma ritorna, rientra dalla finestra o da un'altra porta, se. ciò ti conviene. Lasciati insultare, lasciati trattare come l’ultimo dei miserabili, lascia che gli altri si asciughino i piedi sulla tua testa, purché tu arrivi ai tuoi firii. il successo compensa ogni cosa ».
Purtroppo! Vi sono di quelli che si sono appropriati quella, scienza ignobile c che, per farsi avanti, non solo si sono fatti tutto a,- tutti, ma hanno subito tutte le umiliazioni. Vile genìa che si trova dovunque coperta da tutti i pretesti c che disonora ciò eh’essa tocca. Si soffoca nell’atmosfera piena di miasmi che la circonda; quando si vede vivere l’umanità in una simile degradazione, la nausea ci stringe la gola. E ci si sente vincere dal desiderio di morire, di andarsene verso coloro che hanno dato la loro vita, che furon buoni, che furono belli nel loro rinunziamento, nobili e sinceri e ‘che preferirono rischiar tutto per non offuscare il loro onore. O nostalgia 'del gran riposo, delta grande pace, come sei dolce al cuore allorquando il gregge, il vii gregge buono a tutto, pronto t a tutto, ci riempie d’un disgusto supremo!
Allora, voi direte, siamo altezzosi, duri, intrattabili, intransigenti: non cediamo nulla a nessuno, affcrmiamo-i nostri diritti con durezza. Sulle questioni di Opinione non acconsentiamo inai ad ammettere che possa esistere un punto di vista contrario al nostro, non facciamo mai alcuna concessione a nessun avversario! Costituirsi, in ogni cosa, come una cittadèlla dirupata, inespugnabile: non è questa la via migliore da seguire?
Francamente io non vedo che una simile conclusione s’imponga.
Di una moneta non potete dire: «Ne voglio una faccia soltanto », siete costretti ad intascarle ambedue; ma quando trattasi d’un principio di condotta, non siamo in presenza dello stesso dilemma. Quelli che dicono: «Tutto o nulla» non hanno ragione e si espongono a perdere, tanto col conservaré tutto che col trattenere nulla. Fate equamente le parti. Davanti
alle bassi tentazioni del lusso, delia vanagloria, dell'egoismo c dei godimenti inferiori, siate alteri, fieri, intransigenti! Ma, per soccorrere un ferito, ricondurre uno smarrito, accogliere un fratello, praticate la bontà sotto tutte le sue fórme. Voi potete adottare questa idea: che allorquando si tratta ideila salvezza degli altri, allorquando si tratta, compiendo-" la volontà divina, di amare l'umanità nobilmente, semplicemente, si può sacrificare molte cose, mostrarsi transigente e farsi tutto a tutti. Non ne scaturirà mai vergogna su di noi nè danno sugli -altri. Cedere, allargare lo spirito, ingegnarsi a comprendere, abbandonare anche ogni amor proprio personale c correre il rischio di compromettersi, purché ne approfitti il Regno divino, è far prova di qualcosa di più alto che tutte le dignità convenzionali. L’onore di Dio non è leso se, per lasciar passar prima Madonna Carità, la rigidezza di un domina s’inchina o sé delle prescrizioni cultuali passano in seconda fila.
V’è però un’eccezione. Essa non distrugge la regola, ma conviene considerarla in modo speciale. Giammai, anche per servire Dio e l’umanità, bisogna lasciarsi tentare di diventare un tocca-lutto, perchè occorre avere le attitudini necessarie per i servizi che si voglion rendere. Si compiono talvolta tali errori che Dio e -gli uomini, la Patria e gl’individui ne risentono un danno. Se non vi sentite’all’altezza d’un dovere, non fatevi tutto a tutti, occupatevi di quanto vi riguarda, di ciò che sapete far bene. Non moltiplicate la vostra attività in modo talmente assurdo da lasciare. dovunque passate, delle tracce della vostra incompetenza. Sarebbe quello il modo migliore di disonorate Dio e di rendere cattivi servigi all’umanità.
Vi sono persone che confondono il desiderio di rendersi utili col prurito di mischiarsi di tutto, d’essere dappertutto; e si osservano talvolta; in certe opere e in certi affari che riguardano l’interesse pubblico, uomini i quali, a dire il vero, renderebbero maggiori servizi non facendo nulla che esercitando le funzioni più disparate con un uguale insufficienza.
D’altra parte s’incontrano uomini c donne capacissimi, i quali però non capiscono che v'è un limite alle forze umane c che quegli stesso dotato di maggior perspicacia, di migliori attitudini, non può fare ogni cosa in una volta. Quanti hanno
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PER LA CULTURA DELL'ANIMA
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lo spirito molto bene organizzato sopra ogni punto; questo .eccettuato:' non possono ammettere che il bene sia fatto da altri all’infuori di loro stessi. Perciò, nella loro Simiglia, nelle opere in cui collabo-rano e nei servizi pubblici, preferiscono che le cose non siano fatte piuttosto ohe non farle essi stessi.
Questi «ono pericoli da fuggire; ma, una volta che li avrete evitati, potrete tran-Ìuiilamente mettervi alla scuola di San ■aolo, alla scuola di Gesù Cristo e farvi tutto a tutti. Non lasciatevi scoraggiare da coloro che v'insinueranno che è tempo perso, che questo o quello, oggetto della vostra fatica, non andrà avanti, non potrà andare avanti mai. nonostante tutti gli sforzi. Conservate alto, fermo e puro il vostro ideale Pensate-che ciò che s’è manifestato ieri fragile, diventerà forse do
mani vigoroso e duraturo. Vi sono cose prestabilite nella volontà divina; noi siamo lì per adempierle. Verrà il giorno in cui quanto fu per lungo tempo dichiarato impossibile, sarà finalmente possibile. Grafie agii uomini di buona volontà; ai cuori nobili che non paventano il pericolo d’essere giudicati male, grazie a coloro che non temon nulla se non di mancare la loro vita, di non compiere tutto il loro dovere. è possibile avanzare un poco sul cammino difficile percorso dall’umanità. Ma, su quel cammino, abbiamo con noi il nostro Maestro, Colui il quale, morendo sul Golgota, ha trasformato la croce in un segnacolo di vittoria! Come San Paolo, per amore di Itti, facciamoci tutto a tutti: le conseguenze saranno buone.
Carlo Wagner.
VOCI PROFETICHE
IL DESIDERIO DEI MALVAGI PERIRÀ
Come sei tu caduto dal cielo, o Lucifero, figlio del mattino!
Come sei tu abbattuto al suolo, tu che fiaccavi le nazioni!
Perchè tu dicesti nel tuo cuore: « Io esalterò il mio trono sopra le stelle di Dio: io sarò simile all’Altissimo ».
Pure tu sarai abbassato fino all’Infoino, all’orlo dell’abisso. *
Coloro che ti vedranno ti guarderanno attentamente e considereranno, dicendo: •< E’ questi l’uomo che fece tremare la terra, che scrollò i regni; che rese il mondo còme un deserto e distrusse le sue città; che non dischiuse la dimora dei prigionieri »?
Tutti i re delle nazioni, sì, tutti sono nella loro gloria, ognuno nella sua reggia.
Ma tu sei gettato fuori del tuo sepolcro come un ramo abominevole 0 come i vestimenti di Coloro che sono uccisi, trapassati da una spada...: come una carcassa che viene calpestata sotto i piedi... Perchè tu hai distrutto la tua terra e trucidato il tuo popolo: il seme dei malfattori non sarà rinnovato.
Preparate strazi pei suoi figli a causa dell’iniquità dei loro padri, acciocché essi non-sorgano nè possiedano la terra, nè riempiano di città la faccia del mondo.
Poiché io insorgerò contro essi, dice il Signore degli eserciti, e reciderò via da Babilonia il nome, le vestigia, e il figlio e il nipote — dice il Signore.
Io li spazzerò via con la scopa distrug-gitricc, dice il Signore degli eserciti ». '
• • A
Isaia
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21S6 BD.YCHNIS
AL POPOLO ITALIANO
0 nobile popolo italiano, io non posso chiudere il mio libro senza un saluto a te (•). Lodino altri il cielo che ti sorride, i mari che ti circondano, lodino altri la. squisitezza dei tuoi artisti, la gloria dei tuoi eroi, la poesia delle tue donne. Io mi inchino alla tua virtù, alla pazienza da te durata per tutto un secolo da quando intravedesti come una pallida aurora il tuo novo ris .rgimento. Da allora nessun pericolo ti ie’ vacillare, nessuna fatica rifiutasti, pensiero e opera dedicando alla tua unità,'alla tua indipendenza, alla tua libertà. Quante rivoluzioni.
• quante reazioni, quanti massacri! Ma quando ti dissero morto, quando ti dissero espressione geografica, tu ti ridestavi più vivo di prima. La. pazienza ti sosteneva, la tua bandiera* caduta nel sangue fu raccolta, trionfò in più battaglie. Nè la tua pazienza si riposò* volevi Roma, e l’avesti; l’Italia è.
Nè la tua pazienza si riposò. Eri povero, e a forza di sacrifizi, di lavoro accanito, immane, attraverso dolori inenarrabili ti facesti un esercito e un'armata, nulla lasciasti per porti a livello degli altri popoli, per difendere, per promuovere le idee più civili e più tendenti alla pace. Qualche errore fu commesso, <- l’espiasti, ma la tua risurrezione fu innocente, fu pura di ogni macchia, fu conquistata con la volontà, con la fède, con la ostinazione che parvero mera vi- • gliose nella tua indole di poeta e d’ar-• tista. Tranne la tua pazienza lunga, in'(•) [Dal volume Poesie e Prose scelte edile e ine- • ••ite di Raffaele Palustri. Roma, «905. — Il brano qui riprodotto ft la conclusione del prezioso scritto intitolato: Pazienta, che comincia con questa affermazione: « La pazienza è la più grande forza • della volòTitA • ].
concussa, gentile,.che ti fu sussidio nell’opera tua? Te afflissero epidemie, ¡non-. dazioni, terremoti; te le difficoltà più aspre in tutti quei tentativi che tendono a render prospero il commercio, l’indù strft»; a te fu avara la' terra, negata l’amicizia di chi doveva avere interesse alla tua. Non mancò la reazione, non mancarono le impazienze di quelle classi sociali che all’incremento della patria preferiscono il trionfo dei loro principi. Lode scarsa ti fu data non scevra di veleno, e ci fu chi_credette avere il diritto di chiamarti ignavo. E tu povero e mesto proseguivi il tuo cammino, abbellivi le tue città, aprivi scuole, marciavi alacre nel sentiero della «scienza allato ai tuoi colleglli, propugnando quanto v'ha di più liberale fra i problemi del mondo, come se fossi maturo nella libertà, non domo dalle sventure e dalle crisi. Se rivolgessi indietro, o nobile popolo, la tua mente, vedresti quanto cammino hai per corso, quanto lavoro,’ quanta semenza di future virtù e glorie, quante abnegazioni hai accumulato, quanto hai patito senza mai uno scoppio di ira, quanto« hai costruito: ma tu non hai tempo da-ricordare, tu sei come il genio che non ha tempo di raccogliere gli allori, perchè lavora sempre. O. benedetti}! tu sei oggi il più paziente dei popoli e tanta virtù e tanta opera non possono essere vane: benefico nella tua povertà, senza .rancori contro ai tuoi nemici, senza superbie, non puoi non conseguire un giorno la remunerazione, lo ti amo e intravedo il tuo luminoso avvenire. Nei giorni delle
. lotte, delle apprensioni, dei pericoli, delle strettezze scrissi un libro intitolato: « Pazienza ». Dio voglia che un interprete tuo più degno scriva presto un altro libro intitolato: « Vittoria! »>
Raffaele Salustrl
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PER LA CULTURA DEI.L'AXIMA 287
UNA COSCIENZA ETICA MONDIALE
« La questione non è tanto di trovare la nuova forma di convivenza sociaje che assicuri la soluzione pacifica di ogni futuro contrasto, quanto di sentire e di professare questa verità categorica: che, nel mondo etico, la forza non è già sorgente di maggiori diritti, bensì di maggiori responsabilità, è quindi di maggiori doveri. Così, alla teoria dell’imperialismo germanico del « diritto' del più forte » il presidente Wilson contrappose quella del <• dovere del più forte »; e vi diede la più nobile forma Concreta quando liberamente volle sottoporre la forza degli Stati Uniti alla superiore autorità della legge morale. «• Per tal guisa, come il diritto intèrnov degli Stati liberi riposa meno sulla coercizione che sulla coscienza generale dei cittadini, nel modo stesso il diritto internazionale dell’època nuova dovrà riposare sopra una coscienza etica mondiale. E a chi credesse che queste sono utopie, basterà ricordare che questa coscienza mondiale noi l’abbiamo sentita nascere negli animi nostri prima come neutrali e poi come belligeranti nella guerra tregenda;- l’abbiamo veduta maturarsi attraverso i cimenti, i dolori, i sacrifici: l'abbiamo infine mirata operare i miracoli dell’intervento sempre più largo di nuove forze attratte verso noi e da una forza morale e dalla ’sempre più stretta collaborazione interalleata onde i mezzi, finanziari, le navi, il grano, il carbone, le materie prime, le risorse economiche c perfino gli stessi eserciti nazionali furono messi in comune e disciplinati come fra Stati particolari di un grande Stato federale. Questa coscienza, comune ad un gruppo di Stati che comprende centinaia di milioni di uomini, se fu dapprima spontanea ed oscura aspirazione, divenne poi una legge sempre più impe
riosa, cui subordinammo azioni e sentimenti particolaristici, è che ci condusse-al tMonfo odierno. Essa contiene in se una così possente forza di irradiazione da assoggettare a se stessa tutto il mondo'»...
[Dal discorso del Presidente’ «lei Consiglio Orlando al Pailamcnto Italiano nella seduta del 20 novembre ii.- s.'ì.
L’AVVENIRE DELLE NAZIONI E LA RELIGIONE
Quando ci domandiamo sei: necessaria una Chiesa, noi possiamo intendere due cose: i fini per cui una Chiesa esiste sono fini necessari? o altrimenti: questi fini si possono raggiungere egualmente bene o meglio senza una Chiesa? È soprattutto c quasi esclusivamente dell'ultima questione che io mi propongo di trattare. Assumo che la religione è necessaria all’umanità così per l'individuo che por lo Stato. Assumo che la vita fisica, etica e sociale dell’uomo non sono a lui sufficienti;- che devono essere unite e coronate da una più alta specie di vita, per la quale egli si pone in armonia non solo col suo ambiente fisico e sociale, ma anche colla suprema Realtà da cui questo deriva e a cui è subordinato. Assumo che v'ha in ogni uomo un certo grado. peF-quanto oscuro, di bisogna e di capacità mistica (cl<e possiamo chiamare fede o religione o altrimenti); capacità che ammette educazione c sviluppo, e senza della quale la sua vita etica, e la sociale sono radicalmente prive di significato e insoddisfacenti. È solo la religióne che può dare al pesto della, vita umana un valore eterno è assoluto, col presentarlo come l’adempimento d’una volontà divina ed eterna. Indipendentemente da ciò, il modo come noi siamo vissuti, buono .0 cattivo, sarebbe indifferente, non forse fra cento, ma certo fra un milione d’anni, quando dell'umanità non rimarrà nulla fuorché alcuni fossili. Gli
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BJLYCHKIS
uomini spesso possono condurre, e conducono di fatto, vite serie e nobili senza una religione esplicita: ma l’intera -sostanza della religione è implicita e ani-messa nel valore assoluto ed eterno che essi dànno alla condotta.
Ancora assumo come egualmente vero, quantunque ben lungi dall’essere egualmente evidente, che la religione è un elemento necessario alla vita collettiva degli Stati e delle nazioni; che la società, così come l’individuo, ha doveri verso Dio e deve informare la sua condotta a un fine universale. So che questo è un grave assunto, diametralmente opposto al principio del secolarismo di Stato tanto in voga fra i liberali del continente. Nè vorrei che si supponesse che io sostenga il concetto che una personalità collettiva come lo Stato ha precisa-mente gli stessi doveri etici e religiosi dell’individuo privato. Tutto ciò che io assumo è che la moralità nazionale e l’internazionale, così come quella privata, devono avere le radici in Dio, nel valore eterno e assoluto della giustizia; che il particolare interesse nazionale non è la loro più alta legge, nè la forza delle armi la loro più alta sanzione. Malgrado tutte le sue crudezze ed abusi, la monarchia pontificia rappresentava e simboleggiava una verità che oggi è in pericolo, cioè che.« Dio è re fra le nazioni ».
Noi non vogliamo vedere la giustizia internazionale di nuovo impersonata nel Papa e da lui abusata: vogliamo vedere le nazioni riconoscere e cercare un interesse eterno più alto del loro proprio. In mancanza di questo riconoscimento, la giustizia internazionale è oggi campata nel vuoto. Non v’ha potere più alto sulla terra per tenere le parti contraenti ai loro patti. Esse liberamente si uniscono. liberamente di separano. Come non riconoscono, così neppure sentono che rompendo un trattato esse violano
una legge divina ed eterna che è compito della giustizia internazionale non di creare, ma di .scoprire e di obbedire. Lo .stesso deve dirsi dei Governi in rapporto agli affari interni nazionali.' La concezione della giustizia politica semplicemente come l’interesse della maggioranza. del potere politico semplice mente come la forza della maggioranza, dei più forti e più ricchi, e la negazione di una legge più alta e assoluta che è compito dei reggitori di scoprire e obbedire ed imporre, sono la fonte principale delle nostre perplessità e complicazioni presenti. Il presupposto che ,1'in- • teresse personale sia la sòia forza su cui fare assegnamento, e su cui fabbricare con sicurezza, ha caratterizzato sempre più il pensiero politico dopo la rovina del sistema medievale, con la sua fede in genua in Dio come « Re dei re e’Signore dei signori e solo Reggitore dei principi >■.
Tuttavia, per quanto l'interesse proprio possa indurre gli uomini ad organizzarsi e a cooperare pei loro particolari vantaggi, esso è essenzialmente un principio di divisione e una minaccia aH'unione e alla stabilità, a meno che non venga subordinato a un più alto senso di giustizia che impone all’uomo di anteporre gl’interessi della comunità ai suoi propri; e che ordina i suoi affetti in modo che Dio e la patria hanno precedenza sull’io. Nella misura in cui lo Stato è considerato come fondato sopra un contratto virtuale fra una moltitudine di individui puramente preoccupati dell’interesse loro proprio, essò deve cessare, e di fatti cessa d’essere oggetto di riverenza, di devozione e di sacrificio, ed è servito malvolentieri da uomini privi di tutta l’ispirazione e l'entusiasmo dell’istinto patriottico. Strappato da quelle mistiche radici nell’eternità che è funzione della religione di nutrire o di promuovere, ed esaminato alla
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PER LA CULTURA DELL’ANIMA
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hice fredda del ragionamento utilitarista, il sentimento del patriottismo appassisce e i suoi ideali vengono relegati nel mondo delle illusioni. Solo’nella mi-’ sura in cui gli uomini riguardano la causa della loro patria come la causa di Dio, essi saranno pronti a soffrire e a sacrificarsi per lei. Noi spesso attri-buiamo^alla diffusione del lusso la caduta dei grandi imperi del passato; ma ciò è solo vero in quanto il lusso porta seco l’egoismo e il materialismo pratico, e questo a sua volta apre la strada alla speculazione, al materialismo e alla decadenza della fede. Quando una nazione
perde la fede in Dio, perde tosto la fede in se stessa, e si ride degli ideali che una volta la generarono e la tennero unita. Per quanto divisa nelle sue credenze, l’Inghilterra in complesso crede ancora . in Dio, nel valore assoluto della verità e della giustizia, nel destino suo di sostenere la loro causa: ed il suo avvenire dipende dalla conservazione di tali credenze.
Giorgio Tyrrell.
[Da un discorso tenuto in una riunione privata a landra e pubblicato nel Rinnovamento di Milano, 1908. (asc. V-VI. 280 e segg., sotto il titolo: - Sono necessarie le Chiese? •"].
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OSSERVAZIONI SULLE PREVISIONI DI QUI QUONDAM
Poiché la Direzione di Bilychnis invita alla discussione delle previsioni pessimistiche di Qui quondam nella sua lettera aperta: Previsioni (y. Bilychnis n° sett.-ott. 918), eccomi brevemente a dire quel che ne penso, perchè pare anche a me che in questi momenti sia doveroso, se si ha qualche idea che possa parer utile, esporla.
Si tratta delle previsioni del dopoguerra, di quel dopo-guerra che, dall’epoca ih cui appare redatto detto fase. 4. al momento presente ebbe un sì rapido e imprevedibile ritmo risolutivo quale nessuno avrebbe pensato. Nell’ora della gioia del trionfo, certo nessuna voce pessimistica oggi potrebbe parer conveniente, nè concepibile, nè Qui quondam medesimo forse si sentirebbe di esprimerla. Pure la verità è superiore anche' alle convenienze, va detto riguardo a ciò che può piacere, come a ciò che dispiace. Ed io certo non nego che alcune affermazioni di Qui quondam non possano
essere revocate in dubbio, quale è quella p. es. che l’abitudine del sopraprofitto della guerra facilmente si riverserà al periodo di pace, che cioè la'modestia delle richieste- non cesserà, che le esigenze. una- volta radicatesi si .manterranno, che, insomma, in poche parole non si tornerà piò alle condizioni di' prima, almeno in senso relativo. Questa è forse l'unicà previsione che si possa quasi assolutamente accettare ad occhi chiusi.
Ma quanto a quella che lo scrittore chiama fiaccona imprevidente, e quanto al mal costume, e quanto soprattutto alle condizioni fatte dalla guerra alla donna, qui mi permetto di dire che il Q. q. fa peggio che esagerare. Sui primi due punti anzitutto c’è errore manifesto nel pensare che un sillogismo quale è quello che snocciola lo scrittore.possa presiedere l’attività della nazione. Non si dà mai il caso che l'attività e la volontà umana siano impostate su ragionamenti di tal fatta; l’esperienza, d’altra parte, insegna che l’attività della nazione negli ultimi cinquant’ anni, in ogni sua forma, sia nella cultura, come nell’in-
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NOTE E COMMENTI 291d »stria e nel commercio s'erano centuplicate in ogni senso, sia nell'intensità come nell’estensione, e non c'è alcuna ragione di pensare che, tornate le cose allo stato normale, non si debba adagio adagio riprendere l’antica rotta. Unica preoccupazione possibile è quella di incanalare per altre vie molte attività sia cittadine come rurali, che la guerra aveva assorbite e distrutte, ma anche a ciò giova sperare che si riuscirà.
Quanto alla donna, al suo « imma-scolinamento », al suo « offrirsi », ad ogni ufficiò o servizio, qu^ mi si permetta di dire, che dopo quanto seppe e volle fare la donna per sostituirsi al maschio nel tempo di guerra, dopo le molte sue benemerenze e sacrifici rinfacciarle il suo « immascolinarsi!» e il suo « offrirsi » è poco generoso. Oh! non dubiti lo scrittore che il nido di pace domestica, che V ombra, che la occupazione famigliare ritorneranno, sono un immanente necessità della donna e un istinto.
Posso sottoscrivere ai dubbi dello scrittore a proposito del militarismo e, più ancora del nazionalismo, che però saranno frenati certihnente dal proverbiale buon senso italiano e, in definitiva, dallo scarso spirito troupier della nazione. Ma .sul nazionalismo tornerò.
Quanto all’inutilé pessimismo del nostro autore riguardo al « mal costume » me ne passo volentieri, pensando anzitutto che nessuno mai è riuscito a determinare i limiti del mal costume e, in secondo luogo, io sono d'avviso, che la media, del inai costume sia pressoché uguale in ogni tempo, e, soprattutto, che col fiorire della libertà, coll’elevarsi della cultura e della civiltà i costumi migliorino, come avvenne senza dubbio. Perchè è questo il punto su cui importa insistere che, quali che siano i danni che la guerra portò, è-da ritenere fermamente che, dopo il trionfo della causa del diritto e della giustizia fra i popoli»
dopo lo spettacolo che rivoltò ogni anima sensibile, del diritto calpestato, dell’oppressione . dei deboli, della giustizia violata, dopo i sacrifici che costò il vincere tanto maleficio, certo più cara, più preziosa sarà la causa della giustizia' e della democrazia, più forte il proposito di difenderla tenacemente da ogni pericolo e sarà un senso intimo generale quasi un istinto ciò che finora fu in certi luoghi una visione privilegiata di pochi. E non mi p^r poco.
Ma, d’altra parte, la guerra abituò à far meno di molte’ cose, c'insegnò che di molte cose superflue ammantavamo le nostre pareti, e tutto ciò dovrebbe rimanere come monito ed-essere, in definitiva, fomite di virtù.
Ma in fine c’è un punto dell’articolo di Q. q su cui sento il bisogno di fare una formale protesta ed è dove parla della Dalmazia. La Dalmazia, eh«' ha sì vive a sacre le. memorie della dominazione; di Venezia, e, più indietro, di Roma, la Dalmazia, che il Tommaseo disse più italiana di Bergamo, la Dalmazia ne-• cessarla all’Italia se .vuole che il mare nostrum sia nostro veramente e che più non soffriamo, per mare, le insidie straniere. la Dalmazia, dico, come mai potè dal nostro scrittore essere definita, a cuor leggero, una regione dove « l’elemento. etnico, le tradizioni, la vita, le .proprietà, gl’interessi e quindi i diritti sono tanto italiani, quanto sono austriac i e mòno ancora ? » Come potè bastargli l’animo di scrivere codeste parole? Ben potè l’Austria cercare di croatizzare tale regione, di porre Slavi contro Italiani come, del resto, fece anche a Trieste e a Gorizia, ma non scemar la forza prorompente d’italianità emanante dalla immensa maggioranza e, soprattutto, dalla parte più colta di quella regione, nè sopprimerne le memorie o le tradizioni più sacre.
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01»! se il nazionalismo combattuto e temuto dal nostro scrittore altro non è che quello che ispirò la rivendicazione di tali terre, benedetto tale nazionalismol Su altre aftermazioni, su altri timori del nostro scrittore avrei da dir qualche cosat ma non voglio andare troppo per le lunghe e credo 'che per ora basti; basti coll’augurio che dal a sangue la pace sollevi presto candida l’ali » sopra popoli liberi e giusti e che rinnovino la loro vita verso tutte le più nobili attività e le più sane energie. Il che. più che nn augurio, è una fede.
Arezzo. Il novembre 19x8.
Leone Luzzatto.
Sig. Direttovi.
poiché Ella invoca la sincera c franca collaborazione dei lettori di Bilychnis. circa, i maggiori guai che minacciano l’Italia a guerra finita, mi sia lecito esprimere un modesto parere con quella relativa brevità che comportano e l’importanza deH’argo-inento e il dovuto rispetto all’opinione altrui. Non stimo affatto che il valoroso autore della « Risposta aperta... « abbia esagerato nell’indicazione dei mali maggiori; anzi a mio modesto parere non solo egli è ben lungi dall’averli enumerati tutti, ma non ha neanch,e risposto al Infletterà chiusa dell'amico. avendo taciuto, spinte o sponte, il vero e più grande guaio. I superprofitti dei grossisti e dei fornitori di Stato; il fatto che* la donna dimentica della sua eccelsa missione di sacerdotessa dell’amore, cerca di diventare femmina solamente o magari mascolinizzarsi; il militarismo, il nazionalismo al pari del clericalismo e del socialismo altro non sono che alcune delle molte facce del medesimo problema. E questo problema — l’han detto, predicato c ripetuto 1e mille volte tanti valentuomini tanto spesso ¿itati e traditi —- si riassume in una sola parola: educazione.
Finché si continuerà a predicare alle vcc- X chic e nuove generazioni che educazione è sinonimo di scienza, che la posizione sociale è direttamente proporzionale al nu-, ’ mero ed alla qualità dei biglietti di banca, che la civiltà di un popolo si desume dalla Suantità delle macchine che adopera o elle baionette che può mettere in campo.
la storia delle relazioni ira individui ed individui, fra popoli c popoli, la storia* che s’impara dai libri di testo e quella . che si apprende nelle contrattazioni di Borsa, apparirà c saià sempre informata al più terreo determinismo economico. E finché il vitello d’oro sarà il vero nume della società nostra, non solo è vano attendersi che l’impiegato pensi più ai pubblico che deve servire anziché al 27 del mese od alla carriera, che i nostri gover• natiti' pensino più al bene «lei Paese anziché a quello delle loro clientele politiche; ma non è ne ragionevole, né umano, nè onesto chiamare illecito il sopì aprofitto che il fornitore ritrae dall’incapacità delio Stato a pagare le sue necessità per quel che valgono o quello che il grossista ritrae dall’improvviso aumento di prezzo delle merci che detiene c che avrebbero potuto anche diminuire di prezzo; non é onesto dare della civetta alla donna che fa una . caccia spietata al marito'o all’impiego, quando anch’cssà ha dei bisogni da soddisfare, quando siamo noi che la desideriamo più provocante che sia possibile: non è
• onesto imprecare all«f strozzinaggio dell'imprenditore contro l’operaio o viceversa quando ci siamo sfiatati a gridare che non é reato quanto non cade sotto la sanzione della legge scritta: non é onesto criticare l'impurità della gioventù d'oggi quando abbiamo fretta di buttare nelle sue infette braccia le nostre figliole e sorelle; c finalmente non è onesto gridari-contro il nazionalismo od il miiitarisriio quando tutto comprova'che stanno meglio quei popoli che più sfruttano. Insom-ma, ammesso il determinismo economico o l'egoismo come unica é onnipossente molla della vita, quelli che l’eminente collabo-ra.t0.rc chiama guai non sono che dei semplici, incidenti, i quali non si possono one- . statuente rifiutare a quella guisa che il contadino, assai più filosofo di tanti filosofi. non rifiuta il sudore prodottogli da quel medesimo sole che farà maturare i frutti della terra dà fui vangata e seminata. Il guaio più vero c maggiore che minaccia l'Italia a guerra finita è la convinzione
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NOTE E COMMENTI
troppo diffusa che la vittoria ’contro la eterna nemica sia dovqta unicamente alla ’ genialità dei capi, all'eroismo dei gregari, alla miracolosa trasformazione industriale, e Chi più ne ha più ne metta; è l’impossibilità in cui s’ò trovato l'on. Ruflini a , Londra di accennare a quella Provvidenza invocata da Re Giorgio d’Inghilterra; è che S. E. Orlando non ha. potuto invitare le due Camere a ringraziare Iddio, come aveva già fatto Lloyd George ai Comuni. E lascio a pegna più abile la trattazione di questo scottante ed eterno tema.
Cordialmente
Suo Vinay Artlro.
Reggio Calabria, 21 novembre 1918.
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A PROPOSITO DI RIFORMA
Roma. X7 novembre 1918.
Egregio Sig. Direttore di Ultra,
Ilo letto con stupore nel numero del 31 ottobre scorso di Ultra (pag. 54) una noticina che mi riguarda a proposito del mio scritto sul 1V centenario della Riforma. Per la serietà di codesta Rivista avrei amato meglio non vederla pubblicata. Quei pochi periodi offrono ancora una prova della superficialità ed incompetenza onde in Italia vengono trattati i problemi religiosi. È pòi leale, quando si vuol riportare il pensiero altrui per combatterlo far ciò in maniera affrettata ed incompleta? Ed è serio pensare di potersi sbarazzare ili due parole di opinioni corroborate da intelletti quali quelli del DcSanctis. del Macaulay. del Carlyle. di’ Heine, di Wilson, e di altri grandi, appartenenti a fedi e nazionalità diverse, ma tutti concordi neiresaltare i benefici risultati prodotti dalla Riforma? Il compilatore (fella rubrica Rassegna delle Riviste di Ultra \\& però così proceduto. ., •:
Con, ossequi ¿sono b
Dev.mo
Aristarco Fasulo.
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CRONACHE
NOTE l5l VITA E DI PENSIERO EBRAICO
IV.
13. L’ORGANIZZAZIONE DEGLI EBRAICISTI D’AMERICA
Si è costituita in America l’altr'anno un'organizzazione degli Ebraicisti Hislad-àerulh ’ibritli. per la diffusione della lingua e della letteratura ebraica. Accanto al mondo del danaro e dell'industria, del lavoro affannoso e della libertà democratica, si costruisce con fatica e con ' passione un mondo di valori ideali e spirituali, si compie una resurrezione di cose antiche in un’alba di visioni lontane.
Cessata'o sospesa in parte l’attività di quel centro di vita èbfaica che fu fino al 1914 la Russia, se nc sta creando un altro in America, dove oggi vive il nucleo più numeroso- di Ebrei della Diaspora dopo <1 nello delle terre slave. Così è stato sempre: l’Ebreo si ricerca la sua atmosfera ideale, si rifà gli strumenti della sua resistenza in ogni luogo dove il destino lo sospinge: ricostruisce- il centro dell'esilio in sempre nuove terre: dopo Gerusalemme, Babilonia, Alessandria, la Spagna, la Germania, la Polonia, la Russia, l’America. È un germe la sua idea c la sua forza che vive in tutti i climi e resiste a tutte le tempeste. C'è in Israele quello che forse non c’è in-nessun popolo, almeno con -un’esaltazione c una naturalezza cosi immediata: il bisógno delle cose spirituali., la nostalgia dcirideale.
■ I nostri avi — ha detto il prof. Er'icd-lànder nel Comizio pubblico, che ha preceduto il II Congresso degli Ebraicisti a New York — la prima cosa che fecero appena tornati a Sion dopo l'esilio babilonese. fu la ricostruzione del Tempio. Anche ory, appena fu pubblicata la dichiarazione del Ministro inglese e i nostri pionieri salparono per riedificare la terza Gerusalemme, la prima cosa che fecero fu di raccogliersi sul Monte degli Ulivi per gettar le basi dell’università degli studi
ebraici. Noi siamo e saremo il popolo dello spirito. Lo Stato, secondo la. concezione profetica, non è fine a sè stesso, ma mezzo alla morale c all ideale della giustizia... L'America ci darà la sua attività, la sua forza, la sua ricchezza; l’Ebraismo la fede c la virtù per il progresso di quest’organizzazione ebraica».
I Greci — ha* detto il dott. Syrkin, un teorico e un agitatore del veibo marxista fra le folle ebree, venuto-però dalla Scuola idealistica di Hermann Kohen. c uno dei condottieri dei movimento di rinascenza ebraica — ¡ Greci crearono l’arte, la matematica; gli Ebrei crearono il concètto della Santità. Terra, lingua e spirito ebreo sono una cosa ».
Alle folle ebree questi discendenti dei Profeti non offrono prima di tutto o solamente il fascino* della felicità immediata c materiale, un dollaro di più la settimana e sett’orc di lavoro,’i diritti elettorali e il cinematografo, ma l'ardua ascesa spirituale, che per alcuni si chiama ideale profetico, per altri anche verbo di Marx, di Lassalle c di Hess offrono non una Ungila artificiale per il commercio più pronto, per il guadagno phi grande e per gli onori più facili, ma l'idioma in cui furono descritti. ¡ misteri dello spirito.
In questo suo prim’ànno di attività 1’ Histadderuth ’ibrilh ha raccolto, almeno in parte, gli clementi ebrei d'America. nc ha organizzalo le forze spirituali e ha fondato un Istituto editoriale per’ la diffusióne della letteratura ebraica: Redimali (44 E.. 23 rd. Street. N. Y. ’C.). Essa raccoglie oggi 34 associazioni ebraiche disperse in 22 città, c 20 gruppi sionistici: l’istituto editoriale Kadimah ha pubblicato già la prima serie d’una Biblioteca popolare in 5000 copie e nc prepara una seconda, oltre a cinque volumi delle opere di Scialòm .Mcchèni, l’argutissimo scrittore del dialetto Jiddish, tradotte in ebraico dal genero J. D. Berko-witch, c al Talmud commentato dal dot-
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CRONACHE
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lor H. Czernovitz. In un mese si sono sottoscritti alla prima serie della Biblioteca popolare 1600 abbonati e 500 esemplari ne sono stati acquistati dai librai.
Oltre alla Kadimah ci sono in America altri Istituti di edizioni ebraiche. A New York: Asaph PublishingCo. (101 W. 113 th Str.), Sinai Publishing Co. (299 Broad-way), Hebrew Publishing Co., che si è specializzata in edizioni scolastiche (50-52 El-dridge Str.). A Boston: Saphro Publishing Co. (62 Chambers Str.), Jardcn Pubi. Co. (24 Harlem Str. Dor.).
Il suolo d’America è già preparato, da una fervida coltivazione quasi improv-• visata negli anni di guerra, alla forma* • zione d’una letteratura ebraica. Son venuti prima di tutto i settimanali ebraici Ha-torcn e Ha-ibri che hanno oggi sei mila abbonati e il mensile per ragazzi Sciaha-ruth: poi fu fondata la Casa editrice Asaph che ora annunzia fra le altre cose una vita di Teodoro Herzl in 3 volumi scritta da R. Brainin c gli scritti completi del primo romanziere ebreo Abraham Mapu.
1/Hisladderuth si vuol occupare anche dell’istruzione ebraica, c se nel prim’anno ha fondato la Kadimah. ora vuol creare, un Istituto di magistero e una scuola-tipo* che integri la scuola dei Sionisti tradizionalisti (Mizrahi),.l’istituto magistrale annesso al Collegio rabbinico di Nuova. York, e le altre scuole secondarie, e in cui si rieducheranno con metodi moderni e con indirizzo ebreo-nazionale i giovani che dall’Europa orientale portano nel nuovo mondo i valori ebraici c la pura anima ebraica, ma a cui manca la tecnica dell’insegnamento.
E un vario e complesso programma a cui non mancheranno i modi di attuazione se si riuscirà a raccogliere le forze idealistiche sparse per l’America.
14. LA PSICOLOGIA DEL RAGAZZO EBREO D’AMERICA E LA SUA EDUCAZIONE
Per intender meglio l'opera di ricreazione culturale e spirituale <\e\Y Histad-derulh, non è male vedere su quale classe di popolazione americana essa vuole agire.
Le folle ebree d’America sono composte per lo più d'immigrati dall’Europa orientale e centrale (Russia, Polonia, Galizia, Bucovina, Romania) die hanno' portato con sé, nel profondo del loro spirito, l’eredità psicologica dell’ Ebraismo tradizio
nale e l'hanno messa a contatto coi costumi e colle tendente della nuova terra di rifugio. Ma la loro vita è tutta protesa verso la lotta dell’esistenza materiale e immeisa in un'atmosfera estragga: manca ai nuovi americani il tempo per penetrare nell'intimo del nuovo ambiente e per creare una nuova sintesi che componga e fonda le tendenze e le aspirazioni contrastanti. La famiglia ebrea non esercita più sulla giovane generazione quell’influenza ch'ebbe una volta nella formazione dello specifico carattere ebreo, il quale è abbandonato in balla della scuola e dell’ambiente americano.^
La vita in America è lanciata alla conquista della ricchezza come una mèta a sè. La scuola americana — scrive un pedagogista ebreo, Z. Scharfstein — va piano piano eliminando ogni disciplina che abbia un valore culturale, tutto ciò che è frutto del pensiero c dell'ideale umano » (ì). Le macchine fanno tutto. 1 giovanetti abbandonano le pareti della scuola per le grand ¡macchi ne. La vita industriale esige operai esperti, che conoscano perfettamente il loro mestiere, r. Sta alla scuola rispondere a questo bisogno » (2).
Ormai questo concetto molto pratico della vita è penetrato non solo nel l’organismo scolastico, estraneo a qualunque idea astratta, a qualunque desiderio di cultura e immerso in un materialismo industriale e commerciale, ma anche nel piccolo cervello dei giovani. Nelle scuole medie di Minneapolis fu fatta un'inchiesta fra gli alunni per conoscere che cosa pensassero delle varie materie d'insegnamento e quali preterissero. La maggior parte degli alunni — maschi c femmine —- dettero la preferenza alla stenografia, alla dattilografia, alla calligrafia, alla computisteria e* si dichiararono contiari allo1 2 studio delle lingue antiche e della storia. Le ragazze non sognano che il godimento fisico c la sensazione materiale, il cinematografo, l'automobile, il restaurant, il ballo; i bei vestiti.
Questo materialismo, frutto dell'educazione americana, s’impadronisce anche
(1) Lo spirilo americano c la .sua influenza sul bambino ebreo in Hattokbk, Nuova York. 8 febbraio 19x8.
(2) The Cra/tsman. Nov. 1916; .V. American tècvicw. Dee. X916, e un arde, di B. Rvssfl ncl-l'/l/fruii :i Monlhly. Giugno 1916.
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del bambino ebreo La tendenza, irresistibile’alle cose dello spiriteli potente desiderio dello studio che fecero meritare al popolo ebreo il nome di « popolo del libro ■ vanno attenuandosi. Il maestro distingue subito il piccolo ebreo immigrato dallo scolaro « indigeno ■ secondo il bisogno che hanno del libro e l’attrazione ch’esso esercita su) loro spirito.
Gli scrittori ebrei giunti in America negli ultimi anni sono rimasti meravigliati dal cambiamento avvenuto nel tipo, nella mentalità, nelle tendenze del bambino ebreo. Il maestro d'Israele che in generale viene dall’Europa, dalle-scuole tradizio-naliste c dalle Accademie teologiche dei ghetti di Russia e di Polonia, e sogna il ritorno dello, spirilo ebraico alle sue fonti letterarie e alla sua vita originale — sospira insomma che cessi 1’« esilio della divinità » come con frase antropomorfica dice l’ebraico — e non sa nulla di tutto ciò che forma l'amore della gioventù moderna, il pattinaggio, la bicicletta, la lotta, la ginnastica, l’aeroplano, il miliardo, si trova sperduto e circondato da una specie di pietoso disprezzo.
Il bambino ebreo in America vive una vita da uomo, partecipa ai discorsi c alle discussioni dei grandi, legge il giornale del padre, si occupa di sport, conosce i grossi guadagni degli artisti da cinematografo e quelli ancora più grossi .di Morgan. Lo Scharfstein narra d’esser andato una volta a visitare una scuola ebraica e d’aver assistito a questo caso molto sintomatico. Il maestro stava richiamando all’ordine un alunno disattento. Il rimprovero offese talmente la dignità del piccolo, uomo di otto o nove anni, che, alzati gli occhi sul maestro con aria di sfida e d’orgoglio, disse in tono veramente napoleonico: «Ma per chi m’ha preso?» ( Wiio do Yott think l am?)'. Questo esasperato morboso senso di dignità personale, quest'esaltazione dell’w è un effetto dell’educazione americana
Interessante è, secondo lo Scharfstein l’azione dello spirito americano sulla religiosità de) bambino ebreo. Nell’Europa ci sono giovanetti che hanno un profondo senso di .religione, un vago timore delle forze misteriose, e il cui mondo è tutto abitato dagli angioli, ed altri che negano ogni oggetto di fede. In America è difficile trovare la religiosità nel suo significato intimo, spirituale, e la negazione nella sua misura estrema. C’è una religiosità
superficiale, che è, come un dovere generico di buona creanza, adempiuto senz’approfondimento c senza soverchia critica. Non ci'sono lotte o conflitti spirituali, nè quei • laceramenti dell’anima» non rari nei vecchi paesi. Un quieto spirito accomodante alita su tutto.
Cosi nasce un nuovo tipo di fanciullo ebreo, nel quale ci sono alcuni lineamenti che rappresentano come un’appendice c un perfezionamento del tipo ebreo, altri che distruggono alcune tendenze etniche specifiche ed essenziali. Quindi la necessità di penetrare l’essenza di questa nuova psicologia in fieri e di studiare i mezzi per influire in senso ebraico nazionale sull’infanzia. perchè da un lato sì conservi la pura indole spirituale effe i secoli crearono e dall'altro si tragga vantaggio dalle nuove tendenze sorte da poco e da) rinnovato senso di dignità e di fierezza personale. ,
15. HERMANN KOHEN COME PENSATORE EBREO
È morto a Berlino uno dei più forti intelletti dell'Ebraismo di Germania, il fondatore della scuola di Marburg, che si se-Sinala fra tutte per le sue tendenze idea-istiche e per i suoi alti principi etici.
Hermann Kohen nacque il 4 luglio 1842 nella piccolissima città di Coswig nell’An-halt, dove il padre insegnava ai ragazzi della Comunità ebraica. Trascorse la giovinezza a Dessau che aveva veduto la gloria di Moses Mendelssohn. Il padre voleva far di lui un rabbino c lo mandò perciò alla scuola di Breslavia dove passò gli anni 1857 e 1858. Ma attratto dalla filosofìa, fu a Marburg discepolo di Albert Lang, dedicando anima e cuore alle opere di Kant. Morto nel 1876 il maestro, fu chiamato a succedergli nella cattedra di filosofia di Marburg che tenne fino al 1912.
Si è detto che < lo spirito dei profeti ebrei rivivesse in Hermann Kohen ». Il suo pensiero era infatti profondamente legato al pensiero ebraico di cui conosceva le cose più preziose ,c con cui misurava c giudicava la politica, la poesia, l’economia, l’arte, la letteratura. Ciò che Filone. Maimonide, Krochma) fecero per interpretare il pensiero ebraico alla luce della filosofia del tempo, fece il Kohen kantiano. Qualcuno ha detto ch’egli avesse ebraicizzato Kant.
Per lui la religione ebraica è prima di tutto il sistema della morale indipendente:
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il messianismo è l'idcaledcl perfezionamento terrestre; Dio il prototipo della moralità. Ciò ch'egli ammira nell’Ebraismo c l’abito della « castità religiosa », — cioè la moderazione nella ricerca della sostanza divina.— e la «socialità». Il Messia atteso da Israele porterà « la salvezza a tutto il mondo e la nirificazionc attutigli uomini ». Nell’età de la forza, accanto alla filosofia dell’imperialismo tedesco, e al disprezzo nietzschiano della « morale da schiavi d la morale profetica — contrapposta alla ■ morale det padroni ». Kohen è il filosofo della morale quale deve derivare dàlia credenza monoteistica in tutta la sua profondità. Eppure Nietzsche, cosi lontano dall’idea ebraica, ha .avuto maggior influenza sui pensatori e poeti ebrei del tempo di quello che n’abbia .avuta il Kohen. che pur ha dato un contributo anche diretto alla critica della filosofia d’Israele.
Forse il Kohen non ha inteso il momento ebraico nella sua rinascita nazionale e culturale, $ il suo^mìsks di rinnovamento integrale, e più che penetrare nella evoluzione e nella sostanza dell’indole etnica del popolo e nella sua volontà di vita, si è limitato alla critica e all’esaltazione di quell’idealismo morale che si cristallizzò nelle antiche scritture. Oggi c'è un nuovo' ideale « nazionale » ebraico che il Kohen
non intese o negò e che pure ha valore idealistico c può esser fonte di nuove creazioni. Per lui « l’esilio ebraico era cessato da lun(*o tempo » c quindi era cessata la nostalgia ebraica e le possibilità e il desiderio di nuove e altre creazioni. Per questo forse poco delle idee del Kohen è penetrato nella moderna letteratura ebraica, che pur ha valenti cultori fra i discepoli del filosofo di Marburg: citiamo fra gli altri il dr. D. Neumark, il dr. J. Klatskin, il dr. N. Syrkin; e forse per questo anelito nuovo che angoscia lo spirito di Israele c a cui il Kohen è estraneo, nessuna delle sue opere sull’ebraismo è ancora tradotta in ebraico. Ma chi studia l’idea d’Israele deve conoscere due dei suoi più recenti libri: Dìe Bedeutung des Judentums für den religiösen Fortschritt der Menschheit (1910) e Das Gottesreich -Soziales Judentum (1913)- Poiché è davvero meravigliosa la venerazione e l'esaltazione di questo che è pensatore tedesco, per il monoteismo spirituale ed etico della Bibbia. Pochi seppero in modo così personale e così profondo penetrare in quella che è l’idea centrale dell’antico giudaismo e tenerla in così grande onore facendone la base e il culmine del suo sistema idealistico.
Dante Lattes.
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|DUE LIBRI DI CRISTOLOGIA
IlJdott.^Whittinghill dirige una « Biblioteca di studi religiosi « che, se condotta con sicuro fiuto dei bisogni culturali del nostro paese, potrà molto giovare. Alla collezione appartengono due studi cristologici del Chiminclli, che sono anche ira i lavori più organici della raccolta. Il primo, pubblicato due anni fa, è un commento ricco e' -abbondante della * preghiera, modello »; il secondo, venuto a luce nella primavera di quest'anno, è uno «studiò critico-storico », di oltre cinquecento pagine su l'intera figura di Gesù di Nazareth. T due lavori, condotti 9011 lo stesso metodo, rivelano le medesime noti c le medesime tendenze. Di queste può forse darci la chiave il titolo del primo saggio: Il • Padre nostro » e il mondo moderno. Giacché il Chiminclli non si limita ad analizzare minutissimamente la preghiera del Signore c a discuterne la migliore interpretazione: vuole anche raccogliere c presentare al lettore quante più testimonianze può del mondo moderno riguardo al « Padre nostro ». Non sorprendono Je citazioni dei padri della chiesa greca e latina, dei riformatori Calvino e Lutero, di studiosi moderni di storia delle religioni quali lo Har-nack e il Loisy, di autori notoriamente amici del cristianesimo, come Chateaubriand, Lamartinc, Ruskin, Tolstoi; ma sorprende trovar citati libri d’occasione come quello di Achille Loria: II fattore economico del conflitto europeo, articoli di giornali anche non recenti — un articolo di Fedele Romani —. le Memorie di un maggiore prigioniero in Abissinia — il maggiore Gamerra - • e perfino il Regolamento contro la bestemmia del generale Zupelli.
Senza dire che il Chiminclli scova in^Ca^-ducci, l’uomo meno capace di intendere il cristianesimo, una tronfia pagina del discorso La libertà perpetua di S. Marino; t - dissi Iddio.; perocché, in república buona/ é ancora lecito non vergognarsi di i)iÒJ anzi da Lui, ottimo, massimo, si conviene prendere i cominciamoti ti. é gli àuspici^., fTante'citazioni còsi abbondanti è cosi varie, mentre fanno fede di una preparazione accurata e completa e di letture vastissime, rivelano anche il desiderio di mostrare come il mondo moderno sia concorde nell’ammirazione del Padrenostro e come questa preghiera sia cosa a cui anche i moderni debbono la più scria attenzione.
Nel¿¿^,d¿AÍ«zawí//z la citazione é egual-mentc7o=aiíclíe~piirTilta. Lo stessoVautorc avverte, nella prefazione, che citerà i « cosidetti autori profani — come O. Wilde, G. Mazzini o V. Hugo — in luogo dei dottori ecclesiastici e dei PP. della Chiesa, i quali si usano citare di consueto -. In realtà ai Padri c ai Dottori il Chiminclli non toglie l’importanza che hanno: e fa an'chc il posto conveniente agli studiosi di vera e propria cristologia; ma accanto ad essi cita autori d’ogni specie, dal cattolico ' VLto~Fornari a Giovanni Bovio; si vale di libri di viaggi cóme * Jérusalem di Piene -Loti, Il paese di Gesù della Serao, Il libro \ dèi viaggi di Luigi Barzini, hi Ierra santa del d^Gubernatis; cita versi che cava dalle • Liriche evangeliche dèi Barbieri, dal Piccolo { Vangelo del Pascoli c perfino dal Nerone ! di Boitó; e di opere come De profundis di . Oscar Wilde fa uno spoglio regolare.
Questi studi di profani egli preferisce poiché il loro linguaggio laico c vivente
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riesce comprensibile, c per poco - non dicemmo trasparente, ai lettori del tempo nostro, i quali soltanto noi tenemmo presenti alla nostra mente nello scrivere queste pagine ». Il Chiminelli in somma vuole che i lettori del suo libio respirino l’aria del nostro secolo e si avvezzino a considerare gli insegnaménti di Gesù come una cosa viva ed attuale. L’utilità pratica di un tale procedimento è tale che giustifica ogni eclettismo.
E forse proprio questo interesse di rendere il libro accessibile e. gradito a ogni specie di lettori può spiegarci il modo onde esso è pensato c condotto.
L'autore, a proposito della ricerca circa le origini della potenza miracolósa del Cristo, dichiara di < rinunziare a seguire il filo di questa nuova indagine, la quale, uscendo dal campo storico-critico, ci addentrerebbe, invece, nel campo teologico -.
Ora, in uno studio cristologico che avesse scopi esclusivamente scientifici, si potrebbe prescindere dalla questione teologica? Giacché sembra che non una parola si possa affermare di Gesù se prima non ci si pronunzi su la natura di lui. Uomo o Dio? c se uomo e Dio, come va ciò concepito? Ma è onesto riconoscere che se il Chiminelli avesse anzi tutto discussa questa fondamentale questione preliminare, egli avrebbe subito dato al lettore non specializzato la sensazione che il libro non fosse scritto per lui. Ed è gran pregio di un libro che vuole • ir tra la gente » sorvolare su quelle dispute che allontanerebbero irreparabilmente il lettore.
D’altra parte il Chiminelli, se ium tratta teoricamente la questione della nacura del (risto, lascia intendere tuttavia la sua opinione su l’argomento, dando all’umanità del Cristo un rilievo assai maggiore che alla sua potenza soprannaturale.
Non credo che il Chiminelli sia per la umanizzazione senza residui della figura del Cristo, tuttavia egli subordina.risolutamente la potenza miracolosa alla potenza morale di Gesù. Così egli dà una soluzione pratica alla questione su la natura del Cristo • senza punto menomare la credenza millenaria nella deità dì Gesù e nella possibilità dei miracoli riportati dai Vangeli >i come nota, lodando, il dott. Whit-tinghill.
11 capitolo più scabroso era indubbiamente quello dei •• miracoli di Gesù >. Neppure E. Renan, in quelT’é'vàngelio dei tempi moderni che è la sua Vita di Gesù, riesce a soddisfare il lettore nel capitolo
dei Miracoli, Egli introduce molte idee, tanto giuste quanto feconde di sviluppi, ma tronca il capitolo senza concludere. Esattissimo rilievo è quello che per la mente di Gesù e dei suoi contemporanei non c'era natura e soprannaturale; giustissima la spiegazione della cura morale delie malattie nervose; verissimo che Gesù non faceva miracoli che a malincuore e per non distruggere, disilludendo le folle, la fede che avevano in lui. Ma Ira i miracoli che gli Evangeli ci narrano, e n'è che non si lasciano spiegare come j pdigi morali: vanno accolti, e come vann< accolti?
Il miracolo, più sconce.tante per là critica, è quello della resurrezione di Lazzaro. 11 Renan propone, solo a mo' d’ipotesi. l'interpretazione che Lazzaro, pel grande amore che portava a Gesù, si fin gesso morto perchè Gesù, risuscitandolo, acquistasse credito nella vicina increduli! Gerusalemme. E in verità alcune frasi di Giovanni, il solo biografo che narri il miracolo, fanno pensare che tale ipotesi sia giusta.
Quando si annunzia che Làzzaro è infermo, Jesus attieni. hoc audito. dixit: Hic morbus non est immissus ad mortem, seti prò Dei gloria, ut per etim morburn gl.orifi-cetur Filine Dei.
Il passo è lacunoso, ma il senso non pare dubbio (Giovanni. .XI, q). Se il puzzo di cui parla Marta (XI, 39). può interpretai.si non come un puzzo che si senta glàdi fuori ma coinè un puzzo che certo si sentirà quando si smuoverà la pietra, • giacché son quattro giorni », le parole di Gesù riferite al versetto 41 assumono un significato decisivo: Abstulerunt ergo lapideni e- loco ubi morluus ille /iterai positus. Jesus attieni sustulil sttrsum oculos, et dìxit: Pater, gra-tias ago libi quod me attdias. Ego vero scie-barn me semper a te a udiri : sed proplcr tur-barn circumstantcm hoc dixi. ut credavi me a te missum esse. '
Gesù si sarebbe prestato? Egli era in quel cupo periodo della sua vita quando la sua missione sembrava pericolare. L’individuo, anche se puro, serve talora alla sua missione.
La condizione del Chiminelli è tanto più delicata in quanto egli non può tagliar netto, per evitare al libro inutili opposizioni. Bisogna che. coìi la infinita finezza intellettuale che gli è propria, egli concili! le varie opinioni. Sarebbe dimostrabile la risurrezione di Lazzaro? « Una dimostrazione... è possibile — per quanto rimanga inesplicabile il modo dellasnaattuazione...;.
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D’altra parte, ripeto, l'autore insiste ' sopra tutto su l’insegnamento umano che emana dai miracoli. Egli non accetta, giustamente, l’interpretazione allegorica, che .-varrebbe solo se si potessero supporre i miracoli inventati dai biografi a guisa di parabole per illustrare verità morali. Nè. anche giustamente, risolve l’importanza dei miracoli in quella del loro significato. Ma. specialmente nei casi scabrosi, suggerisce così prontamente l'insegnamento morale che dal miracolo scaturisce, che il miracolo viene prudentemente messo da »arte e l’insegnamento tratto in piena uce. Opportunamente viene richiamata 'attenzione sul fatto che dei non molti nè molto vari miracoli di Gesù, una gran parte son prodigi che la fede delle persone stesse è incaricata di compiere (« Siati fatto secondo la tua fede »); c che pei miracoli fisici, meteore, ecc., la ripugnanza di Gesù giungeva fino al rifiuto; special-mente quando la sua coscienza non era ancora violentata dalle necessità sempre più menomanti di una missione che pericolava.
Il Chiminelli nota che è gloria dei tempi moderni avere scoperta l’umanità di Cristo: la sua bontà, la sua solidarietà con gli uomini che soffrono. Questa natura largamente umana di Gesù è nel libro lumeggiata con studio costante, ed è tra le note che più rendono moderna ed accetta la trattazione. La quale tuttavia si avvan-taggerebbe se si alleggerisse delle molte apostrofi: « O Cristo delia storia, o Maestro degli uomini... », e se modificasse alquanto il tono, lievemente apologetico, pel quale ogni obiezione è presentata come priva di valore e la tradizione come inoppugnabilmente sicura.
Il Chiminelli vorrà ben permei termi di non essere d’accordo con lui in alcuni punti speciali del suo lavoro. , —
Ahi Costanti», di quanto mal fu maire ' Non la lue. conversion, ma quella dote...
Dante, uomo di parte, aveva diritto di dirlo; ma oggi si ha il diritto di ripetere che questa fu runica « causa c spiegazione del fatale indebolimento dell’idea cristiana nel mondo »?
Il Chiminelli dedica un intero capitolo alla « Madre di Gesù ». Molto utile è la separazione tra la figura di Maria quale risulta dai Vangeli canonici e la figura di Maria quale fu determinata dai Vangeli apocrifi c da una lunga tradizione di esaltazione e di culto. Anche molto conveniente
è l'allarme contro il progressivo maria-nizzarsi del cristianesimo. Ma non si può ripudiare come un puro errore l’amore a Maria, cresciuto nei secoli, delicatissimo omaggio al grembo che ci dette Gesù. « Transito e dormizione — due latinismi creati pur di non parlare di morte di Maria ». Ma qui nacque il « sentimento » del cristianesimo; c il cristianesimo non è meno sentimento, che ragione. « Secondo coefficiente, che favori la marianizzazionc del cristianesimo latino, fu la crassa ignoranza della moltitudine intorno alle verità basilari della religione di Gesù... Occorre reagire energicamente contro alia ignoranza in religione la quale crea tanti confusionismi e rende possibili tante alterazioni ». Io non sono punto di quelli che credono la religione fatta per gli ignoranti: professo anzi tutt’altra dottrina; ma mi domando: sarebbe nato il. cristianesimo se la Galilea fosse stata un paese colto, non dico a modo dei paesi greci, ma alla maniera della Giudea?
E conveniva assolutamente lasciare al La banca la responsabilità di un'asserzione come questa, che le madonne dipinte dai nostri pittori dipendono dà rappresentazioni pagane consimili, -p. es.. da « quella di Hera che abbatte Heracles e di Demetcr che ha sul petto lakehos ».
Indubbiamente il libro potrà, in una seconda edizione che gli auguro e prevedo prossima, migliorare ancora abbastanza. Il Chiminelli potrà con più compiutezza fondere le sue mirabili doti di studioso c di esj^itorc. La sua diligenza e la sua scioltezza, la sua agilità narrativa e la sua castigatezza stilistica potranno, integrandosi ancora meglio, fare del lavoro un manuale cristologico cristallino e svelto, compiuto e sicuro: lode che già gli si addice per il taglio magistrale dei capitoli, per la chiarissima distribuzione e disposizione della materia abbondantissima, per le notizie poco comuni, — come quelle su gli « agrapha - di Gesù e sui suoi « Logia » di Benhesa e di Ossirinco — alternate con discussioni che sintetizzano il travaglio di due millenni intorno a una questione.
Tanto il libro sul Padre nostro quanto questo su Gestì di Nazareth, stampati con grande dignità, sono stati lanciati dalla casa editrice con un accorgimento e una larghezza che assicurano loro la meritata difusione.. Augusto Guzzo
(Dal Don Marzio <11 Napoli del 7 e iì novembre S9X&).
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“L’ETERNO
CONVITO „
L'Eterno Convito di Emanuele Sella (Roma, Formfggini, 1918) è l’opera di un poeta filosofo.
Il poeta vi fa sfoggio di una singolare immediatézza di rappresentazione, di una notevole raffinatezza metrica, di una parnassiana ricercatezza di rime e di assonanze.
Versi talvolta dolci, voluttuosi, sapientemente modulati come in talune canzoni del Nostro Sangue: talaltra rudi, forti, densi di pensiero, colmi di significato Simbolico.
Il filosofo ha dato al poema un andamento epigrafico e un carattere che ne fanno uno dei volumi più rappresentativi «Iella rinascente spiritualità italica.
Altri non mancherà certamente di mettere in rilievo le qualità formali e letterarie del poema. Io vorrei, invece, in queste pagine indagare il significato recondito, l’intendimento secreto, le ultime fonti d’ispirazioni che hanno dato vita alla concezione poetica del Sella.
Chi analizza la struttura esteriore del-V Eterno Convito ne può dedurre uno schema a forma di croce bizantina. I primi tre libri ne costituiscono la base, il libro quarto le due braccia, gli ultimi tre libri la parte superiore.
Secondo il significato di tale croce, un'ascesi mistica si compie dal basso verso l’alto: dal panteismo a Cristo; e, nelle due braccia della croce, da sinistra a destra: dal paganesimo alla Vergine (Regina Va-cis).
L'opera è evidentemente contrappuntata, anche formalmente, in tutte le sue parti, con perfetta rispondenza fra il suo contenuto misticoe il suo simbolico schema. Infatti ogni libro comprende esattamente nove sonetti; e nove sono le sestine petrarchesche che esso contiene.
Dopo un proemio, costituito da un sonetto escatologico di derivazione panteistica, segue la prima sestina. A questo inizio del libro fa simmetrico riscontro la fine, il volume si chiude, infatti, con un’altra sestina, seguita da un sonetto di commiato: la Cocna mystica, in Cristo.
Simmetricamente disposti sono i due
altri gruppi ternari di sestine (Le Antiche Forme, c Tenebra Oscura). Al centro della croce abbiamo un’ultima sestina: in tutto, come abbiamo detto, nove, quante sono le sestine del Canzoniere del Petrarca.
Ha questa raffinatezza esoterica un riscontro nel contenuto del libro?
Come abbiamo detto, l’opera gravita intorno ad una concezione monoteisti cristiana. Ma essa prende le mosse da un panteismo, che si colora di riflessi braha-manici, buddistici e. qua e là. mitriaci e gnostici. Questo costituirebbe.il polo dell'errore cui fa riscontro il polo della verità.
Il poeta ci mette di fronte a due mondi: l’uno fìsico che genera così il corpo dello Uomo come FU ni verso stellare (pag. 9) e.quindi anche la luce fisica (pag. 32. terzine) nonché la luce intellettuale priva di illuminazione mistico-religiosa (pag. 9. ultimo verso).
Nella concezione del poeta, tutto è luce. E luce l’amore sensuale:
O dolce amore, vieni! io t’offro un velo di stelle fisse, un placido snsurro d’astri alle scaturigini del cielo (pag. 20). È luce la voluttà (pag. 22), che si esaspera in un delirio di atomi luminosi in cui l’amante si dissolve, riamato (pag. 23). È luce il dolore che presiede alla generazione del tutto (pag. 32) e ne predispone le sideree tragedie (pag. 31).
Anche nella Morte, il poeta cammina in una scia luminosa (pag. 33). Altrove egli ascolta: « i profumi che parìan con la luce •.
La sua A ¡lagnosi non è che un ciclo cosmico di ascensione e di estinzione astrale (pag- 36).
Sono oggi un Sole, e, icii ero diffuso in una vastità di nebuloso: polline cstralc di celesti amori.
Ma TUniverso é un delirio luminoso e rozzo (pag. 32). Il Cielo, fisicamente considerato, ha per sua legge la ferocia (pag. 30). Non è, dunque, questa la Luce vera, la Luce interiore, ma è piuttosto una tenebra luminosa. Da questa confusione fra luce c 4ucé» deriva il tragico errore, il terribile
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fato che grava sui viventi. Vana cosa, quindi, i! progresso (pag. 130 segg.). Dolce in apparenza là voluttà, ma peccaminosa c tale da generare la necessità di un’espiazione attraverso i flagelli di Dio. L’to (pag. >7) accanto a sè V Altro: il Dèmone (pag. 25): e, mentre quello spicca nel ciclo luminoso, questo si sprofonda nell'oscurità (pag. 25).
Si passa, così, alla parte centrale del poema. Già secondo libro s’intitola La Collera dei (. eli. Il terremoto abbatte le città (pagg. 30-37). Giunge al poeta nò* tizia di catastrofi cosmiche (pag. 31), d’eteree stragi in una dissonanza di conflagranti stelle (pag. 32). Ond’egli comprènde che un'ulcera maligna è la Natura (pag. 33); e sogna lo sterminio deH’Unia* nità peccatrice sulla terra (pag. 35).
Questo dolore cosmico serve al poeta di preannuncio ad altri flagelli di Dio che si abbattono sull'uomo. L'espiazione comincia. Flagellimi Dei s’intitola appunto il libro III mentre il poeta, non ancora rischiarato dalla luce che promana dal Cristo, anela a quel Nulla, da cui un Dèmone del Silenzio e della Morte, molto simile a Màra, ha dedotto ogni esistenza, condannandola, nei confini della Natura,‘ad una perpetua guerra (pag. 45).
Questi flagelli di Dio sono dunque rappresentati dai terremoti, dalle guèrre. dalle rivolte, dalle sanguinarie lotte intestine (pag. 135). dalla fame e dalle epidemie (pagina 136).
Questa parte dell’opera ci mette quindi in presenza della concezione che il poeta si è formata della guerra.
Essa viene presentata a medaglioni da due punti di vista: qtìello dell’Italia (libro IV: Il Nostro Sangue) e quello generale dell’Europa in arme.
Abbiamo qui una gerarchia di valori politici: onde tutta la lirica del Sella é antitetica alla concezione del sacro egoismo. L'Italia scende in campo per difendere, la libertà dei popoli, la civiltà e la sua tradizione. Scende dopo di essere stata provocata dalle esecrabili stragi dei barbari (pag. 50) e per la difesa della latinità (pagina 51) e per la difesa del Diritto e della Libertà, rappresentati dal Belgio (pag. 53). La concezione giuridica della guerra italiana è contenuta nelle cinquanta strofe dell’ode: La Memòria e la Profezia (pag. 65). Ma il poeta non si nasconde nessuno degli orrori della guerra. Anzi la sua rappresentazione è talvolta così realistica, cosi ter
rificante che la Censura, con un atto di ridicola ed arbitraria psepotenza. ha sequestrato tutto il volume per l’ode La Strage c le Campane (pag. 92). Questa macabra esperienza di sangue c di morte, questo disfacimento di cervelli che si spappolano nei crani scoperchiati degli uccisi, fa, appuntò, parte dell’espiazione che il mondo c il poeta devono alle esigenze della purificazione dello spirito, dopo la voluttà cosmica e quella umana (libro I), e quella infine che è particolare del poeta e che questi confessa (Eros, pag. 88), mentre cade ira le braccia d’Ippolita, divorato dalle passioni, che dopo il Peccato (pag. 129) lo lasciano con la mente ottenebrata da sinistre, fantastiche visioni sulle rive del mare che ha inghiottito i figli deli'Uomo'(pag. 127). Soltanto dopo la simbolica fuga d’Ippo-lita (pag. 131) c cioè dopo la liberazione dal senso, un primo bagliore di vera luce spirituale è avvertito dal poeta.' Passiamo cosi alla terza ed ultima parte ¿lei volume, poiché il Libro VI, che la inizia, s’intitola appunto: Luce nelle Tenebre:
fi l'ignoto. È l'Atteso. È la Speranza.
Le tenebre sono rappresentale dal susseguirsi dei flagelli di Dio, mentre la patria è invasa (pag. 138) ed altri presagi si addensano nel cuore del Veggente (pag. 136). Ma un’idea di Bellezza, incompresa ancora, supera le trincee (pag. 140). Un trittico finale, che ci presenta le magnanime figure di Mazzini, di Gioberti c di Dante, scolpisce la nuova formola della coesistenza delle stirpi umane.
L’ultimo sonetto di questo libro, quello a Dante, riconduce gli uomini a Cristo.- E il Cristo domina così l'ultimo libro: La Parola di Luce, che simmetricamente si apre e si chiude con una orazione (pag. 147) e con un Trisagio (pag. 155). I morti risorgono .in Cristo. Il Salvatore li guida verso la Resurrezione. Le npzzc mistiche dell’anima con Diosi compiono (pag. 152, 153-, 154). 1 sonetti di quest'ultimo libro suscitano il brivido del misticismo di santa Teresa e di san Giovanni della Croce. Questa felicità unitiva è, concomitante alla visione intellettiva del mistero della Trinità, affidata al chiuso schema dell’ultima sestina (L‘Empirea sfera, pag. 159). L’Anima, partecipe della divinità, sembra quasi, sotto le specie di un enigmatico, impercettibile punto, descrivere una spirale nell'interno deW Empirea Sfera, mentre su di questa, simile ad un'ostia luminosa ed im-
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mensa (pag. 163). spiralmente scendono i serafini per ivi immergersi, in una mistica pace unitiva, nella luce — la vera Luce — e nell’A more del Cristo.
Cosi concepito, il poema del Sella ci dà la soluzione cristiana o più genericamente mista delle crisi determinate dalla grande guerra in un’anima sensibile alle vibrazioni di un’umanità rinnovata, purificata, vaio3°3
rizzata dalle sofferenze terribili, dall’aspro experimenlum crucis che la travàglia da più anni. L'Eterno convito è manifestazione di quello spirito nuovo che darà frutti nuovi in tutti i domini dell’attività umana e di cui già s'intravedono i segni precursori; onde il Vate preannuncia il Realizzatore.
A. De Stefano.
RASSEGNA DI FILOSOFIA RELIGIOSA
XXIV.
IGINO PETRONE
Sono stati testé pubblicati postumi, su appunti di scolari, due corsi tenuti dal compianto prof. Igino Petrone nell’università di Napoli, negli anni scolastici 1905-1906 e 1908-1909, su V Etica e l’/l-scetica. Ha curato l’edizione, voluta dal fratello del defunto, Silvio, il prof. Guido Mancini. Le lezioni di etica erano state raccolte dal prof. Gino Ferretti e quelle di ascetica dal prof. Vincenzo Gargano (Remo Sandron. editore, Palermo).
E sono due volumi che arricchiranno la così povera bibliografia della filosofia religiosa in Italia, e dei quali consigliamo vivamente la lettura a quanti si interessano di problemi dello spirito.
Igino Petrone è un autodidatta nella storia della filosofia italiana. Egli si era formato su letture di scolastici, nella ricca bibliografia domestica. Datosi‘agli studi giuridici, coltivò la filosofia del diritto;- e ad essa appartengono i suoi primi lavori: Filosofia politica contemporanea e La fase recentissima della filosofia del dì ritto in Germania. Ma dal diritto filosoficamente considerato- prese le mosse per l’indagine più profonda della vita dello spirito; di filosofia morale sono gli scritti del secondo decennio della sua intensa attività scientifica, che doveva esser cosi precocemente minata e spezzata dal male.
Quando egli incominciò, dominava sovrano il positivismo, nelle università e nella cultura italiana; ed egli, mettendosi
contro corrente, fu audacemente e vigorosamente spiritualista. « La sua visione e giustificazione del compito filosofico sorse soprattutto — scriveva di lui G. Ferretti, — quale espressione della volontà-di mantenere presente, nella coscienza contemporanea, che i valori ed i fini sono vocazioni categoriche dello spirito, c che però quel mondo umano il quale si esplica e si costituisce per l’aflermazioné dei su-S>remi valori ha una sua propria vocazione lialettica che determina essa, ab in tus, il processo delle formazioni spirituali. Ne l’ambito, pertanto, della filosofia delio spirito egli si adoperò a mettere in rilievo con cura speciale, con sottile c penetrante discorso, contro le pretese della psico e della socio-genesi del diritto e della morale, l’originalità delle appercezioni etico-giuridiche c la necessità e la possibilità di ricavare dall’analisi della coscienza il principio conoscitivo del buono c del giusto «.
A questo compito critico, del quale il miglior frutto sono i Limiti def determinismo scientifico, gli bastò lo spiritualismo che. nelle sue grandi linee, egli aveva attinto, attraverso gli scolastici, da Aristotele, fatto cauto da una larga conoscenza dell’idealismo tedesco ed avvivato.e arricchito con motivi desunti dal contingentismo francese. Ma nel processo della riflessione, che non fu in lui solo attività speculativa, ma intimo e doloroso travaglio spirituale e ricerca di luce e di energia morale per la costituzione del suo stesso mondo interiore, minacciato di dissociazione, egli vide più chiaramente il valore
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cd i risultati del criticismo kantiano e l'esigenza idealistica dominante lo spirito filosofico contemporaneo. All’idealismo assoluto egli si avvicinò a grado a grado.-ma senza giungervi. Affermò, contro la morale utilitaria e quella della simpatia al morale del dominio dello spirito; ma di uno spirito che non giunge, nò può, all'autonomia, perchè sotto e inori di sè ha sempre il mondo della natura e della carne e sopra e fuori di sè un assoluto concepito ancora al modo aristotelico, benché il cristianesimo, dal quale* pochi seppero còme lui vedere l'intima essenza, gli suggerisse un immanentismo del quale la filosofia greca era originariamente incapace.
Questo dissidio interiore, questa esigenza di universalità cui contraddice un tenace dualismo, il cruccio di una antitesi viva e pungente nel dialettico desiderio di sintesi fu il pathos della filosofia di P. c diede ai suoi scritti è specialmente alla sua parola viva, pur così finemente e tecnicamente dialettica, un commosso calore lirico.
E quelli che, nella riflessione filosofica, non hanno fretta di giungere al sistema e di chiudersi in esso, e che la filosofia considerano non come fredda riflessione del pensiero teorico sulla vita, ma come anelito di questa a chiarirsi e conquistarsi, costituendo i suoi valori e i suoi fini, nel-l'auto-coscienza, rileggeranno, per ciò stesso, con piacere e profitto, le migliori pagine del filosofo cristiano e modernista che la pietà del fratello ripropone oggi all’attenzione degli Italiani.
L’ETICA DI I. PETRONE
Del resto, lo stesso indugiarsi del P., in questi che sono gli ultimi frutti del suo ingegno, in una concezione — egli la aveva definita idealismo critico — che dal criticismo non sa decidersi a passare al-, l'idealismo risolvendo senza residui il mondo nello spirito, non è privo,, a parer nostro, di valore filosofico. E se nei primi scritti di filosofia politica e giuridica, tale superstite oggettivismo è immaturità filosofica c signoria della concezione tradizionale, con cui nella giovinezza si era familiarizzato — ed egli stesso lo dichiara non ambiguamente in una breve postilla apposta alla sua Filosofia politica contemporanea nella seconda edizione - in questo volume esso è anche esigenza ansiosa di un saldo fondamento della morale.
Perchè la morale postula un soggetto autonomo e responsabile, per il quale il dover essere sia norma, imperativo, vocazione contraddetta, tensione della volontà, liberazione faticosa e progressiva; e l’idealismo a tutt’oggi non riesce a costituire un soletto che sia davvero se stesso, c non solo quell'universale concreto che è tutto ed in tutti, nel quale il dover essere è un momento dialettico, interiormente necessitato, del divenire, e il razionale è reale c il reale è razionale. In questo idealismo, mentre il contenuto della morale si risolve nel momento economico, nella ricerca del particolare (particolare che è definito così dal fatto di un fine empirico voluto come dal fatto di un io empirico che vuole, per l'adequazione soggetto-oggetto) la forma della morale è la pura universalità dello spirito teoretico; universalità concreta bensì per definizione, ma astratta nei riguardi di ciascun dato soggetto agente, e dell'operare in atto, per la impossibilità sua di farsi viva e individua persona in esso, per il suo carattere di pura forma e categoria.
Parlando dell'universalismo nella morale del dominio dello spirito, il Petrone dice: < Quando siamo pervenuti al dominio dello spirito, il dissidio fra la personalità e l'universalità è già stato eliso c superato. L’io rappresenta e vuole ed ama l’universale: ecco la formula del mondo dello spirito. Il soggetto -del discorso, come si vede, è sempre il •sostantivo io. L'universalità si rimira, si riflette e si contempla, si rispecchia nell'io personale. Se. per un verso I to personale è un'autocoscienza dell’uni-yeisalità, per un altro rispetto l'universalità è una formazione c una rappresentazione ideale dello stesso io personale. Poi chè il processo qui è circolale c a doppia faccia; esso si nega nell’universale e si riafferma nello stesso universale, poiché da un lato trasferisce sè nell’universale e «all'altro assimila l'universale, e se lo appropria spiritualmente, lo fa suo. Così la sua sostanza individuale e finita acquista una significazione e una irradiazione universale e infinita». Queste frasi e molte altre simili possono facilmente dimostrare che il Petrone, benché avesse coscienza del problema gnoseologico in tutto identico. xqui, al problema dello spirito pratico, non era giunto à risolverlo. Poiché a lui si può chiedere se questo universale che l'/o rimira e riflette e si appropria sia qualche cosa di esterno al-
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l’io stesso individuale, di posteriore alla sua intrinseca costituzione, di sopraggiunto alla sua sostanza, come i termini lasciano intendere; e se sì, come avvenga che questo universale si • insedii nell’intimo stesso dell’io e ne costituisca proprio l’autonomia. E che cosà può significare la frase: l'io personale è una auto-coscienza', dell’universalità? Il termine possessivo auto riguarda l’universalità che sarebbe, nell’io, cosciente di se medesima? Se sì, parrebbe che dovessimo esser dinanzi, non ad una autocoscienza, ma all'assoluta autocoscienza, poiché l'universale non può avere una particolare coscienza di sè. Se no, come tutto il linguaggio del Pe-trone e quel suo una lascia intendere, allora la coscienza dell’io della quale si parla non è auto-coscienza, ma etero-co-•scienza, coscienza del l’universale che si riflette e rispecchia, e che l’io, che non lo aveva, a un certo momento, si appropria, non si sa come.
Ma, d'altra parte, non si può insistere in questa critica senza temere che la difesa dell’universale non ci faccia intieramente sfuggire di mano quell'fo, quella coscienza di sè, di quel sè che ha attualmente coscienza, che è l'atto della sua coscienza, di quella volontà .autonoma, e Juindi fattrice e sovrana del suo mondo.
quale è. un mondo in quanto è il suo mondo; l'io personale, insomma, senza del quale il problema dell'etica non si porte e non sorge. Poiché assurdo sarebbe il filosofo che volesse predefinire allo spirito universale le norme del suo divenire, un fine etico, il quale non può essere che immanente al processo stesso, e quindi egualmente presente in ogni momento di questo, nel bene e nel .male; mentre invece ogni filosofo sente che quello che gli sì chiede è di dire al suo proprio io ed a degli altri sè che cosa essi devono essere c fare, quale idea deve presiedere alla libera costruzione delle loro personalità o del loro mondo, quale necessità sia implicita nella contingenza, attuandosi come autodecisione.
Noi non dobbiamo qui risolvere il quesito che è l’ansia della filosofia contempo-ranea e che chi non sente non è filosofo, anche se ha una sua filosofia bella e fatta; ci basta averlo indicato, per rintendimento di questo volume del Petrone e del posto che gli spetta nella filosofia odierna, cioè nella storia del nostro spirito. Guadagnato sempre più ad un consapevole idealismo
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dal corso del suo pensiero, egli rimase tuttavia legato al realismo precritico anche per una profonda esigenza etica di • personalità ", della quale abbiamo in queste pagine la testimonianza. La suà gnoseologia non persuade; ma l’interpretazione acuta delle esigenze fondamentali deH’azione reca ad essa una testimonianza che sconcerta il critico.
L’ASCETICA
Nella concezione della libertà è il punto d’incontro delle due tendenze, che chiameremmo dialettica ed etica. Scrive il Ferretti: « Le premesse gnoseologiche che il positivismo gli aveva dato occasione di articolare si vennero sempre più esplicitamente traducendo e concretando nella sua mente in un monismo idealistico. Una filosofìa della libertà, dichiarava, non può appieno giustificarsi che in una intuizione della vita e dell'universo nella quale « nessun fenomeno si contragga ed esaurisca nei limiti della propria natura », e la quale illumini tutti ì gradi « del cieco, inconsapevole processo delle cauàe efficienti della natura • come «simboli c mediazioni di una potenza consapevole che le ordini e pieghi ad una determinazione superiore alla loro esigenza fenomenale». E l’approfondimento del problema della libertà gli dava modo, non solo di precisare questa esigenza, ina di riaffermare via via. con rinnovata intensità di,argomentazioni, l’importanza e la posizione centrale della coscienza come punto di partenza, non solo per l'intelligibilità del mondo umano strido sensu, ma della realtà universa
Senonchè, quando noi si trattava di collocarsi appunto nei centro di questo mondo della coscienza ed intendere nell'atto della libertà costruttrice l’esigenza etica, ed interpretare l’autoctisi come atto di volontà buona, il monismo idealistico si trovava di contro un intimo anelito di personalità e, se non si poneva nettamente il problema del principium individuationis, rivelava co! fatto, nell’indagine psicologica, la presunzione di un soggetto agente, del quale si potessero predicare libertà c imputabilità e che dell'assoluto divenire facesse la legge di un suo divenire, del quale la consapevolezza possedesse il’ piano -e fissasse le direttive, nel contrasto con'il mondo inferiore della natura e della animazione. E qui riappare l’incocrenza dialettica della dottrina. Della quale è anche un saggio lo stesso porre una Ascetica
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accanto a una Etica; una scienza del processo ai edificazione della vita morale accanto alla scienza dei valori morali; come se questa in un monismo idealistico potesse esser altro, appunto, che scienza di quei processo con il quale lo spirito si conquista e celebra, conquistandola, la sua universalità
11 monismo idealistico rimane adunque nella filosofia morale e del diritto di P.comc esigenza non sodaisfatta, come istinto dialettico cui ripugnava lo spirito pratico. E la preminenza data a questo dal P. c il compito assegnatogli di ‘riflettere l’ordine obiettivo e universale degli esseri, di liberarsi dai limiti del soggetto per divenire universalità, e l’intuizione della quale egli la dotava — che ricorda assai da vicino le ragioni del cuore di Pascal, !>oste da E. Boutroux a base della religione - sono un altro segno di questo dissidio. L'Ascetica del P., se vuol darsi un contenuto proprio, c non essere una semplice arte dell'educazione dello spirito, pur se rinnovata alle grandi e Tresche tradizioni della- mistica cristiana, deve avere per suo oggetto una tenace e tragica dualità dell’»© della quale essa tenti appunto la riduzione; poiché, se questa è compiuta in altra sede, ad essa non rimane che prenderne atto e dileguare, come dottrina e teoria.
Il Mancini in un’interessante introduzione alle lezioni di Etica, avverte il lettore di questo fondamentale difetto di coerenza che si ritrova nei due volumi, come in tutto il pensiero del P..cui fu impeditodal-l’insidia lunga dei male c dalla morte precoce di comporre ad unità le sue idee. Ma egli soggiunge che l’espressione di queste « non ostante le lacune od angoli morti accennati, resta, per la sua fede nell’ideale, per la sua cosciente e spiegata celebrazione dello spirito, per le rare dovizie di esperienza psicologica c di intuito filosòfico, per la conseguente e affannosa ricerca del valore storico c pratico di alcuni problemi, per la squisità sensibilità di ogni moto del cuore umano, per la sanguigna vitalità del pensiero, per la fedele ritraduzione della realtà nella forma concettuale, una delle più belle prove dell’ingegno italiano >.
E, aggiungiamo, una delle più benefiche • c suggestive ed educative letture che si possano suggerire a quanti hanno bisógno - e sono quasi tutti gli italiani colti — e desiderio — c sono purtroppo pochis
simi — di non contentarsi, per la costruzione del loro io spirituale, di consuetudini irriflesse c di comode dottrinellc, ma desiderano un maestro che li conduca a guardare dentro di sè, a criticare e vagliare i motivi della loro condotta, ad imprimere la vita del segno di una volontà personale, che sarà poi anche il segno del dominio dello spirito, solo vero eterno universale c assoluto valore, del quale il volgo ragiona ancora così spesso con miti fanciulleschi.
LETTERATURA PURA
Parrà al lettore, dal titolo, che io mi allontani dall’argomento di questa rassegna. E tuttavia V Esame di coscienza di un letterato, l’ultimo scritto di Renato Serra, è uno dei documenti spirituali più notevoli della generazione che ha fatto la guerra, del suo stato d’animo, della coscienza che essa aveva dei valori umani Renato Serra aveva già scritto,, insieme a parecchi altri sàggi, il volume: Le lettere, della collezione: L'Italia di oggi: lavoro di maestro, nel quale le più varie manifestazioni della letteratura nazionale e tutti i letterati di qualche nome erano giudicati con una sobrietà, con una sicurezza, con una signorilità di forme, con un occhio così penetrante da far del volumetto una piccola preziosa guida. Serra ha preso da Cróce; ma come da Croce poteva prendere uno che è letterato nato c sincero, e non un teorico della letteratura. L’insegnamento idealistico è servito a lui, meglio eh a molti altri i quali infarciscono di formule idealistiche la loro stentata critica, a vedere nell’opera letteraria l’atto stesso dello spirito che la pone e vi si rispecchia, e giudi--care di questa immediatezza e medesimezza. trascurando tutto il vecchio armamentario retorico della anatomica letteraria. E in Le lettere egli era. giunto, pur notando e documentando la maggior libertà e scioltezza e freschezza della produzione letteraria dell’ultimo decennio,- a un giudizio di insieme molto severo e-pessimista; c l’Italia dei letterati gli pareva arida, fredda, convenzionale, impersonale. « Questo è in fine il nostro carattere più vero, nella cultura come nell’arte: la banalità. l’imprecisione, la grossolanità dello disposizioni generiche, senza la vita e il rilievo di particolari... Non c’è nessuna religione letteraria in questa curiosità senza discernimento... Si tratta di cultura e non di stile: a pensare bene, in queste
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parole c’è tutta una' definizione che non desidera più chiose. Essa dice la moralità di questo momento; e difficilmente si potrebbe trovare un paragone, così per l’ambizione delle apparenze e per la benignità delle circostanze, come per la purità intima dell'animo e dell'arte ■.
Questo egli scriveva dopo la guerra libica c alla vigilia di quest’altra guerra, con una certa tristezza rassegnata. Quando venne la guerra ed egli si preparava a vedere l’Italia entrare nel conflitto, sentendo come pochi altri ¡ indeclinabile necessità storica, a combattere ed a morire, ripensò, c ripercorse questa letteratura italiana, nella commozione dell’.ora straordinaria; e più si afflisse di quel vuoto e si chiese se la guerra, anche la guerra nostra, venendo, avrebbe modificato una tale condizione di cose e ridato un’anima ai letterati. E- concluse che no; e si angustiò di quella sua risposta interiore, quasi non volesse ammetterla e cercasse in sè ed intorno a sè. l’indizio di un errore nel ragionamento.
Ed aveva ragione e torto. Ragione, perchè non era la guerra che potesse dare un'anima ai letterati che non l’avevano o modificare quel poco che si trovavano di averne. La guerra, di per sè, è un'altra cosa; è una interruzione, l’avviamento per altre strade, l'appello ad altre energie, la misura di altre altitudini. « La letteratura non . cambia.. Potrà avere qualche interruzione, qualche pausa, nell'ordine temporale; ma come conquista spirituale, come esigenza e coscienza intima, essa resta al punto a cui l’aveva condotta il lavoro delle ultime generazioni; e, qualunque parte ne sopravviva, di lì soltanto continuerà, riprenderà di lì. E inutile aspettare delle trasformazioni o dei rinnovamenti dalla guerra, che è un’altra cosa, come è inutile sperare che i letterati ritornino cambiati, migliorati, ispirati, dalla guerra. Essa li può prendere come uomini, in ciò che ognuno ha di più elementare e più semr plico. Ma. per il resto, ognuno rimane quello che era. Ognuno ritorna — di quelli che tornano —- al lavoro che aveva lasciato; stanco forse, commosso, assorbito. - come emergendo da una fiumana: ma.con l’animo, coi modi, con le facoltà e le qualità che aveva prima ».
Giuste parole, contro la faciloneria sciocca di chi, per risparmiare a sè la sua fatica, attribuisca alla guerra — che di per sè è un complesso di fatti, di accadimenti, di
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contingenze esteriori - - un potere taumaturgo di rinnovazione.
Ma c’è poi un termine comune in cui letteratura .e guerra coincidono c si identificano: ed è la vita; la vita dello spirito, la coscienza che distrugge e fa distruggere la sua storia di ieri, cioè se stessa quale si era venuta facendo in quella storia, e fa una nuova storia ed una nuova società, cioè se stessa, con quella maggiore serietà e comprensione e volontà che pòi la storia rispecchia. E se la letteratura è vita-e scia guerra diviene vita, cioè coscienza di altri c più gravi compiti, e più forte volontà, anche la letteratura non può. non già non essere rinnovata dalla guerra, nia non rinnovarsi, nella coscienza nazionale-che guerreggiando si riconquisti c si chiarisca. E in questo senso la guerra, nella sua storia, è un giudizio dato sulla nostra letteratura di ieri, che era banale c grossolana e imprecisa e vuota; c sulla vita nazionale che essa, pur a quel modo, rispecchiava e che era banale e grossolana V imprecisa c vuota come quella letteratura. E non c'era una religione della letteratura, come,non c'era una religione della patria, come non c’era nessuna religione di nessuna cosa; perchè appunto a quella vita mancava l'essere religiosa, cioè il com prendere e volere se stessa nei suoi fini eterni,e nei suoi valori assoluti.
DUE PRE-MODERNISTI
A poca distanza l’uno dall'altro, monsignor Mignot. arcivescovo di Aldi e monsignor freland. arciv. di S, Paulo, Miiv.s., sono scomparsi. Due figure di transizione: due — fra i più eccellenti e più noti — di 3negli uomini che. sulla fine del pontificato i Ixione XIH. tratti in inganno dal programma di lui. che voleva tanta modernità quanta bastasse a rifar popolare la Chiesa e dare anni alla sua politica, ma senza scuoterne le basi c le direttive fondamentali ed allarmar troppo i gesuiti, cercarono seriamente di riconciliare la dottrina e la tradizione cattolica con la cultura e con la' critica, il primo, con la democrazia il secondo.
E gli scritti dell’uno e i discorsi dell'altro, alcuni dei quali tradotti in italiano, ebbero larga diffusione fra i giovani seminaristi c preti dell’ultimo decennio del secolo scorso e i primissimi anni di questo, sino all'avvento di Pio X, quando furono, insieme con tanti altri, proscritti, benché
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® non si osasse colpire gli autori, che erano troppo in alto nella gerarchia ecclesiastica e che. del resto, avevano saputo abilmente conciliare lo spirito nuovo con la prudenza resa necessaria dall'ossequio alla lettera ed alla disciplina.
Ma non era soltanto abilità, questa; era anche sincerità. La storia dell’americanismo. della democrazia cristiana, del modernismo è fatta in gran parte di anime, diremmo quasi, bilaterali. ■ Foggiate dalla Chiesa con i noti metodi tradizionali, adagiate nelle consuetudini di vita ecclesiastiche, desiderose e bisognose di una fede salda e sicura di sè per i bisogni della vita pratica, si avvicinano alla modernità, alla cultura, alla critica, alla democrazia, a questo mondo dcH'immanenza c dell’autonomia. della lotta e della conquista; e lo frequentano e si lasciano vellicare e adattano ad esso superficialmente un poco del loro pensiero' e dei loro gesti, ma con la volontà ben risoluta a non lasciarsi trarre-nel vortice della sua dialettica, a conservare intatta la signoria intcriore del vecchio principio, sul quale la vita riposa; c la modernità rimane per essi quasi una relazione di amabile simpatia c di conversazioni con un mondo profano ed estraneo; il salotto accanto alla cappella.
Mons. Mignot. sino al 1903, amico e patrono dei modernisti francesi che erano ancora — e parecchi vi sono rimasti — nella Chiesa, ma subivano già l’urto vio-' lento dei Maignen c Delassus. non si faceva direttamente solidale delle loro posizioni, ma predicava la serenità, lo studio accurato, il rispetto reciproco, la modernità di metodi, i più larghi contatti possibili con la cultura del tempo. Mons. Ire-land era l’uomo dell’azione; l’americano, cattolico bensì, ma americano; e tipicamente. Libertà politica, azione sociale, ini-. ziativa, spirito largo, solidarietà con gli altri, <li qualùnque fede e confessione, nel programma di giustizia e di diritto che doveva poi avere un così efficace assertore, in Wilson, rispetto per tutti, pur nella devozione fervida c operosa alla propria causa. Cattolicismo di concorrenza, il solo che capiscano gli Americani, incapaci di intendere e di seguire il cattolicismo di monopolio o di privilegio, che è ancora ne) sangue e nei sogni di tanti latini, settari per antichissima tradizione, fermento velenoso di un passato non ancora morto, c che non morrà così presto.
L’uno e l'altro hanno dovuto dolorosamente portare, per tutto un decennio, quello di Pio-X, il peso di una amara disillusione e la tristezza di una carriera mancata.
RELIGIONE
” Scrive B. Croce nel numero ultimo della Critica ^{20 nov.), dopo aver parlato del difficile' periodo di vita nel quale l’Italia entra: • . .
Auguriamoci che molti ubbidiscano a questo dovere del raccoglimento; del raccoglimento religioso, perchè (se anche negli anni placidi e volgari se ne smarrisce la coscienza) religioso è il processo del mondo c con religione deve essere accolto c seguito, e con religione si deve apportarvi il contributo dcH’opera propria n.
Registriamo con piacere queste parole. Esse dicono con molta chiarezza ed autorità quella che è stata fin dal principio l’ispirazione fondamentale di queste rassegne di filosofia religiosa; le quali non sono esposizione e difesa polemica di una religione, ma ricerca di una coscienza reli-5iosa della vita e delle sue varie attività.
ovunque essa, in Italia, timidamente apparisca. Sopra e oltre tutte le religioni. c’è la vita dello spirito umano che, quando è consapevolmente ed eticamente vissuta, è religione; e di questa religione si alimentano le religioni storiche e positive; ed esse valgono sole se e in quanto .quella alimentano, alla loro volta. ■
E ogni uomo religioso — e ce ne sono da noi, come per tutto — è religioso non perchè crede in questi o quei donimi c compie'queste o quelle pratiche, ma perchè vive religiosamente la sua vita e partecipa religiosamente alla vita della società e del mondo. Ma i più, anche fra le persone sinceramente religiose, hanno poca coscienza di questo; e non l’hanno, e non vogliono averla, i professionisti della vecchia religione italiana, il cattolicismo, i quali hanno bisogno di una religione che divida, che sia patto, che giovi alla loro potenza, c che cessa, con ciò stesso, di essere religione; c la massima parte degli italiani, come il cane di Esopo, in materia di religione abbandona la sostanza per correr dietro alle ombre e litigarsele: c in questo è la nostra maggiore miseria. Andate a dire, per esempio, ai rappresentanti della nazione che anche i loro dibattiti e la loro opera debbono avere una serietà- religiosa! «•
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STORIA E PSICOLOGIA RELIGIOSA
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LA DOTTRINA DEL BUDDA E 1 MODERNI BUDDISTI
Molti .fra noi si sono interessati del buddismo. ma ciò è sopratutto accaduto sotto il suo aspetto esoterico, confondendolo col pietismo, con l'occultismo, con lo spiritismo, col teosofismo; pochi sono stati quelli che,’ come C. Pumi, R. Mariano, C. Formichi, P. E. Pavolini, A. Costa, L. Luzzatti, G. De Lorenzo se nc sono occupati con intendimenti scientifici. Possediamo però oggi una buona traduzione dei discorsi del Budda; e che sia vivo l’interesse scientifico, ce lo attesta la terza edizione pubblicata or non è molto dalla solerte Casa ed. Laterza dell’opera di Giuseppe De Lorenzo: India e Buddismo antico.
Ma i dibattiti recenti intornoal buddismo moderno risentono, in tutto il mondo occidentale, un po’ troppo di una interpretazione per guanto inesatta, assai diffusa. Oggi si ritiene comunemente che il buddismo non sia altro in sostanza che un unico corpo di credenze e un insieme di riti accettati dai diversi paesi in cui à trovato un numero così grande di aderenti. E non solo questo, ma. quel che è peggio, si crede che l'attuale buddismo sia rimasto fedele all’antica dottrina del Budda e specialmente per la sua parte più negativa e pessimistica.
Il celebre indianista Max Miiller diceva che l’india non può insegnarci altro che ' l’estetica dell’oltremondano, la psicologia dello spirito, l'etica del ritiro «falle lotte della vita, la metafìsica dell’infinito. Lo Schopenhauer considerò come sublimi alcuni passi quietistici delle Upanisciadc e del Dhammdpada. Divenne sin d’allora in occidente quasi impossibile concepire il mondo orientale al di fuori del suo quietismo pessimistico. Il buddismo moderno è stato conosciuto come il culto del pacifismo. dell’annullamento, dell’inattività,
della non resistenza, della mendicità, de! monachiSmo; e tutti gli altri culti di Oriente sono stati ritenuti approssimarsi più o meno a questo ideale.
Ora dovrebbe saltare subito agli occhi di tutti che una tale concezione del moderno buddismo rende incomprensibile il nesso causale tra la clottrina fondamentale del Maestro, essenzialmente pessimistica, c < risultati pratici del buddismo, ottenuti nella promettente civiltà orientale.
Il libro di De Lorenzo non sgombra, ma ravviva questo contrasto.- La dottrina del Budda si aggira tutta, come si sa, intorno al dolore di ogni forma di esistenza e alla estinzione di ogni desiderio che ne è la causa. La visione del dolore sta al centro, come asse fondamentale di quella dottrina, e su questo non è sorto alcun dubbio fra i più dotti indianisti del vecchio c del nuovo mondo. De Lorenzo paragona volentieri il pessimismo buddistico cori quello 'di Schopenhauer, c se differenze vi trova, queste sono nella inferiorità del buddismo schopenhaueriano rispetto a quello buddistico. Neumann aveva detto che la dottrina di Gotamo rappresenta, al pari della filosofia di Schopenhauer, la religione come arte e non come scienza storica. Con queste parole oscure egli voleva avvicinare la dottrina del Budda a quella di Schopenhauer. Questo ravvicinamento è stato uno degli argomenti favoriti fra gli scrittori della seconda metà del secolo scorso, ed oggi De Lorenzo viene alla conclusione che la dottrina di Schopenhauer mostra, rispetto a quella di Gotamo. «liversi difetti; c nella introduzione ai discorsi del Budda conclude che sembra incredibile derivar questi dal vi secolo a. C. mentre fanno a volte l’impressione di dovei appartenere, al vi secolo dopo Schopenhauer.
Nessun dubbio dunque sul carattere schiettamente pessimistico della dottrina del Budda, bensì su l’infìuenza da questa dottrina esercitata per la diffusione del buddismo (si calcolano oggi a 500 milioni
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i suoi aderenti, cioè a più d’un tento dell’intera umanità) fra popoli che ànno dato prova di saper apprezzare i beni e le gioie dell' esistenza, e fatto nel campo delle arti, dell’industria, del commercio e delle scienze, .tali progressi da meravigliare il mondo occidentale.
Da ciò il contrasto dianzi accennato . e che l'opera di De Lorenzo su India e buddismo antico, come ho détto, rende ancor più visibile e ravviva. Mentre nelle prime quattro parti dell’interessante volume De Lorenzo ci mostra le condizioni filosofichc-morali dell’india prima di Gota ino. ci espone la vita e gli insegnamenti del Maestro, ci riporta molti brani dei suoi discorsi, concludenti in ultimo, come si è detto, alla rinuncia di ogni desiderio per raggiungere l’annullamento dell’esistenza, nell'ultima parte poi. dove l’A. considera il buddismo asiatico e il suo rapido propagarsi nel mondo orientale, questa religione appare grandemente benefica, apportatrice 'di civiltà e di progresso. Da per tutto dove essa si diffonde è visibile un grande risveglio; nell’Asia Orientale e Occidentale, nel Tibet, nella Mongolia, nella Siberia, nella Cina, nella Corea, nel Giappone, dovunque esercita benefici effetti. E noto come abbia ammirabilmente mitigata la ferocia dei ’terribili Tartari che fecero tremare l'Europa; e si cita sopratutto ad esempio il diffonderei del buddismo nel Giappone, nella patria di coloro che. come dice De Lorenzo, ànno saputo manovrare con formidabile precisione i mortai da dieci c i cannoni da dodici pollici^ e con tanto impavido ardore ànno assalito il nemico con le baionette e coi.siluri.
Per dare una ragione dell’influenza benefica ascritta al buddismo su la civiltà orientale. De Lorenzo parla della energia animatrice della dottrina del Budda c vuole. che ciò si osservi, per usare la sua frase, a posteriori; c cioè dal carattere dei popoli buddisti, si deve conoscere quello della loro dottrina religiosa.
Ma se accanto alle dottrine del Budda poniamo il progresso civile, morale e anche artistico (le arti si svilupparono nel Giappone dopo che il buddismo vi fi; intro-' dotto) se accanto a quelle dottrine poniamo la fierézza, l’indipendenza, il sentimento nazionale dei popoli buddisti, e la loro letizia, di cui parla anche lo stesso De Lorenzo, (poiché, com’è saputo, i Singalesi, i Birmani, i Siamesi, gli Annamiti, i Tonkinesi,
i Giapponesi godono fama di essere i popoli più lieti, non solo fra gli asiatici, ma su tutta la terra) non possiamo più renderci conto dell’azione causale esercitata da dottrine che consigliano il distacco da tutto ciò che potrebbe suscitare .desidèrio di vivere. perchè gli effetti sono visibilmente contrari a ciò che ragionevolmente se ne può attendere.
IL BUDDISMO E L’AVVENIRE DELLA GIOVANE ASIA
Una soluzione di questo importante problema della storia del buddismo non è data nemmeno da Benoy Rumar Sackar, che scrive recentemente (luglio 1918) nel Journal of Ethìcs un interessante studio su l'avvenire della giovane Asia. Questi ritiene, come De Lorenzo, che nella dottrina del Budda si debbano cercare gli clementi vitali della civiltà asiatica, ma per togliere il contrasto che vi è tra quella dottrina e lo sviluppo della giovane Asia, egli- si prova a considerare la questióne da un altro punto di vista. La nozione del quietismo c del pessimismo orientale, egli dice, è una illusione del mondo moderno, ma una illusione che non resiste alla critica. Ecco le argomentazioni di Benoy Rumar Sackar.
L’uomo Gotamo, detto il Budda (l’illuminato), fu uno dei tanti condottieri indiani nei secoli v c vi a. C. Essi contavano fra loro medici, chirurgi, logici, pubblicisti, diplomatici, metafisici, sofisti, ecc. Gotamo non monopolizzò tutto il pensiero c l’attività del tempo suo.
20 II Budda non fu soltanto un organizzatore di monaci c asceti, come Pitagora, ma fu anche l’inscgnanlè di doveri per capi di famiglia, consoli, arconti, re, mercanti, soldati. Personalmente egli fu repubblicano. il Governo degli Stati Uniti dei Wajjians trovò in lui il maggior campione. 11 quietismo rimase estraneo ai suoi insegnamenti. I suoi seguaci furono, per la maggior parte, energici c attivi propagandisti, fondatori di istituti di carità, scuole, case di ricovero e ospedali. Asoka il Grande (#70-230 a. C.), il cosidetto Costantino del buddismo, fu un internazionalista. Egli portò la cultura dell’Asia occidentale, dell’Egitto. della Grecia e della Macedonia nella sfera della cultura indiana.
3» La religione detta buddismo non ebbe mai in India un dominio esclusivo, nè signoreggiò in Cina e nel Giappone. Parlare di questi paesi come di paesi buddistici
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è inesatto; non lo furono c non io sono, inoltre, specialmente in India, nessuna religione à dominato-mai la politica dei governanti, e lo Stato non è teocratico nè in teoria nè. in pratica.
Anche coloro che si chiamano buddisti non' rifuggono, di regola, dalle contrarietà del mondo. Essi sono spesso guerrieri, cittadini energici; vengono elevati ai supremi gradi della vita civile, prendono parte agli intrighi di corte, alle rivoluzioni c, se necessario, sarebbero casi, isti non meno dei gesuiti. Vi sono molti .esempi di monaci buddisti nella storia medioevale della Cina, del Giappone e dell’india, organizzati in società militari.
Inoltre l'addotto pessimismo degli insegnamenti del Budda non ebbe praticamente nessuna influenza su la massa delle popolazioni. I legislatori dell'india procedettero nella loro opera d’accordo con i principi dell’arte di governare gli Stati e furono tanto lontani dai Ahitnsa. dal non uccidere, quanto il Principe di Machiavelli c la Politica di Treitschke lo furono dall'insegnamento di Gesù: a II mio regno non è di questo mondo». Così. p. e., l’/lr-thaskastra (manuale di politica) compilato circa un secolo dopo la morte del Budda da Kantilya, il Bismarck dell’india, contiene .comandamenti e provvedimenti in ordine al militarismi indiano. In questo trattato si trova- anche esposto un sistema di coscrizione generale, nop essendo il servizio militare in India monopolio d’una casta.
I.’A. conclude che è su queste verità storiche che si matura l’avvenire delta giovane Asia.
FASI DEL BUDDISMO MODERNO
Ora a me pare che in queste argomentazioni yi siano alcuni clementi che ci dànno la chiave della soluzione del problema, e precisamente quelli che si riferiscono alla poca efficacia pratica esercitata dagli insegnamenti pessimistici del Budda sul popolo. Ma non è tutto, c per vederlo biso-Ì.'na risalire alla storia del buddismo dopo a morte del Budda.
Nel concilio di Vcsali (383 a. C.) si manifestarono le discordie e i primi scismi che lasciarono, traccio profonde su la ulteriore interpretazione* c su l’applicazione della dottrina del Maestro. Ma prima ancora di questo concilio i buddisti si erano separati in due parti. Una parte, gente per lo più di buona famiglia, ne seguiva i costumi, le
abitudini e i precetti, tanto nelle cose sacre che nel vestiario, nel nutrimento, nell’abitazione. 1/altra riconobbe il Budda come autorità solo per le cose spirituali; per tutto il resto volle conservare'!» sua libertà e vivere secondo il suo gradimento. Questo è un fatto notevole nella storia del buddismo c specialmente per rendersi conto della sua vitalità e diffusione ira i popoli orientali, come della civiltà della giovane Asia.
Nella stessa patria del Budda i suoi insegnamenti non vietarono al popolo di mantenere altre credenze religiose c di accettare, della dottrina del Budda, solo quella parte più confacente all’ulteriore sviluppo della vita morale c civile.,In questa parte naturalmente vanno compresi gli insegna-menti che si sono rivelati sin da principio così ricchi di sentimento etico, c che dovevano sopratutto determinare la vittoria del buddismo su tante altre religioni orientali. Gli storici, che non ànno osservato questa trasformazione del buddismo, c quali elementi dell’antica dottrina avevano un reale, positivo valore per il progresso morale ; gli storici che non ànno osservato sufficientemente l'adattarsi dell’antica dottrina del Budda alle forme deli? diverse civiltà, assimilando ciò che ad essa mancava, le credenze propriamente religiose, non possono rendersi conto della-sua rapida diffusione e nemmeno dello sviluppo della civiltà orientale in contrasto coi principi fondamentali del Budda. Giustamente osservò tino dei più valenti studiosi del buddismo,-E. Burnouf, che il Budda non ebbe in mente di sostituire oggetti e forme del culto popolare con nuovi oggetti di adorazione e con nuove forme di culto, ma di vivere, insegnare e morire da filosofo. Ben concisamente aveva scritto Max Mailer che la religione buddistica si rivolge a milioni di anime, la filosofia buddistica, invece, ad alcuni pensatori solitari; e lo stesso De Lorenzo avverte che il primitivo buddismo non era una religione, ma una filosofia pratica, una morale. Ma nessuno di costoro à tirato le conseguenze da queste premesse. Una dottrina morale non è sufficiente ad appagare le esigenze religiose. Perciò, mentre la dottrina del Budda poteva serviredi fermento per riformare moralmente alcune religioni.doveva.d'altrocanto. completarsi mediante il culto e la teologia. Cosi avveniva che in India il buddismo accettava, oltre all'antica metafisica, il culto degli dèi; in Mongolia s'incorporava le antiche superstizioni c abitudini (Lehmann.
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Die Inder); in Cina fondevasi col confucia-.nismo e col taoismo (Paini, Il Taoismo).
Si parla del buddismo nel Giappone per dare un esempio evidente della grande efficacia che avrebbe avuto l’antica dottrina del Budda sul progresso della civiltà; ma non si è tenuto conto che il buddismo, oltre ad aver accettato anche qui credenze locali si è trasformato, per la massa del popolo, più in un rituale che in un corpo di credenze religiose sul senso e valore della Vita.
Lo shintoismo non fu mai estinto nel Giappone e prosperò confuso col buddismo. Anzi, sin dal secolo xvm, una reazione patriottica rimise lo shintoismo in onore, e •avvenne allora una purificazione dei templi shintoisti da ogni infiltrazione buddistica, cacciando da essi monaci e riti buddistici. Dal 1868 lo shintoismo è divenuto reli-Sione nazionale nel Giappone. Ma per vc-erc quanto fossero confuse ivi queste due religioni, basta osservare che anche dopo la reazione del secolo xvm si vedono molti shintoisti venir sepolti coi riti buddistici.
Gli storici, che discorrono delle influenze esercitate dalla dottrina del Budda sul progresso dei popoli, ànno mancato di avvertire che l’attuale religione buddistica non solo non è conforme agli insegnamenti del Maestro — almeno nei riguardi dei concetti della divinità c dei futuri destini umani - ma non è la stessa nemmeno in tutti i paesi dov’essa è diffusa. Gli storici dei buddismo ànno generalmente tenuta troppo cara la realizzazione di una religione atea; e si sono arrestati alla dottrina del Budda senza considerare ciò che essa era divenuta nei diversi paesi d'Oriente per appagare le popolari esigenze religiose. Il buddismo moderno, infatti, nelle migliori sue manifestazioni è fondato sopra una metafisica del divino, à accettato vedute più sane intorno al senso c al valore della vita, e à trasformato la concezione del nirvana - che era stata probabilmente dal Budda concepita come una estinzione totale — in uno stato di eterna c completa beatitudine.
Giuseppe De Lorenzo chiama queste riforme religiose, corruzioni dell’antica dottrinir,' e in un certo senso à ragione; ma non à avvertito che è appunto questa, da lui detta corruzione, che à reso possibile la diffusione del buddismo moderno e che à permesso libertà di movimenti alla civiltà asiatica.
STUDI RECENTI INTORNO ALLA PREGHIERA
Fino a tanto che il buddismo rimase una dottrina filosofica e un atteggiamento pratico per sfuggire al male delPesistenza non ebbe culto. Ma l'uomo, come diceva Renan, non diviene religioso prima di aver visto nella natura qualcosa che la supera e in lui qualcosa che dura al di là della morte. La religione domanda di conseguenza atteggiamenti particolari c fra questi essenzialissima è la preghiera. Essa è un fatto comune a tutte, le religioni. Dov’è un culto, dov’è un altare, è una preghiera.
A. Sabatici* à avuto ragione di dire che niente rivela meglio la dignità morale di una religione di quanto il genere di preghiera che essa pone su le labbra dei suoi aderenti. Si può aggiungere tuttavia, che la preghiera non rivela soltanto la dignità morale del religioso, ma anche la concezione che egli à del sovrannaturale.
Fra le migliori e più recenti monografie intorno alla preghiera, si possono rammentare quelle dell’abate Sertillanges, di F. Thomas e di Edward Lawrence. Con il pro-cresso degli studi ¡ritorno ai fatti religiosi, e al quale progresso ànno contribuito psicologi, storici, archeologi, etnologi, antro pologi, la natura ed essenza della religione e della religiosità è divenuta oggetto di capitale importanza. Giustamente avverte Lawrence, nel suo studio su l'origine, significato c valore etico della preghiera (The Monist. Juli, 1918) che nessun altro studio come quello della religione concerne così intimamente tutte le classi sociali. _
LA PREGHIERA NELLE RELIGIONI PRIMITIVE
Edward Lawrence nel . titolo del suo la véro ci promette di trattare anche dell’origine della preghiera, ma in realtà egli non ci espone che il carattere della preghiera nelle religióni primitive, c in quanto questo carattere si diversifica da quello delle religioni più progredite. Ciò avviene perchè Lawrence non à saputo vedere che l’origine della preghiera non può esserci rivelata dall’antropologia, come egli invece ritiene, ma dalla psicologia.- L’antropologia può farci conoscere come l’uomo à pregato agli albori della civiltà, ma non può dirci quali emozioni abbiano schiuso primamente le labbra alla preghiera, ab-
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biano piegato i ginocchi dinanzi alla misteriosa divinità, turbata -la mento e offerto xalla meditazione un oggetto che ò pensato al di là del mondo visibile e che esercita su questo una potenza sovrumana.
Ma con ragione dice Làwrence, che mentre sino a pochi'anni fa i popoli barbari c primitivi si ritenevano quasi del tutto sprovvisti di sentimenti religiosi, mentre si credeva generalmente che quei popoli fossero soltanto capaci di- superstizioni c di riti abominevoli (Brinton, Lccturcs on thè Religione of Primitive Peoplcs) ora sappiamo invece che non solo la religione è di vitale importanza presso i primitivi, ma che la pratica‘della preghiera esiste persino fra le più selvagge razze conosciute. E ciò lo dobbiamo in gran parte ai recenti studi antropologici.
Questa scienza può mostrarci anche l'influenza esercitata .dalla religione sui costumi dei primitivi quando all’abbandono dell’antica fede succede sregolatezza e immoralità: ma non può farci intendere il nesso che indissolubilmcpte unisce la. religione alla morale. Dai barbari costumi e dai primitivi riti crudeli infatti si era stati condotti a pensare che i primitivi fossero irreligiosi e immorali; ma è/stato invece provato da osservatori psicologi che costumi barbari c crudeli sono spesso nati da pii motivi (Ellis, Tshi-Spcaking pco-ples of thè Gold Coast). Nella storia della civiltà non è raro il veder seguire alla decadenza di upa religione, una decrepitezza fisica e morale. Lo stesso Edward Lawrence ce ne rende testimonianza quando dice che non può menzionare una sola razza o tribù i di cui costumi non fossero peggiorati quando gli antichi riti divennero oggetto di disprezzo. L'influenza della religione e quindi del culto e della preghiera su la morale dei primitivi è indiscutibile.
Ma se la preghiera rivela il livello morale dei religiosi,'che dire 'della preghiera dei primitivi? E. Lawrence dice che la maggior parte delle primitive preghiere mostrano un interesse di prosperità e di guadagno materiale, e cita quelle degli •Egbos, dei Negri (A. G. Léonard, The l.ower Niger and ils Tr.ibesX, dei Neocale* doniani (T. G. Frazer, Belicf in- Immor-. tality), dei Todas (W. H. R_. Riyers, The ' Todas), dei Bantu (E. Gottschling, in Journal of The Anthropological Institute, voi. 35) tutte preghiere rivolte al dio per ottenere beni materiali, salute c liberazione dal male.
Ma l’esame delle primitive preghiere che ci offre Lawrence non è completo. Egli trascura le opere classiche di Tylor e di Lang, e quelle, per citarne alcune'delle più importanti, di Schmidt. Le Roy, Marett, Preuss, dove non man'cano esempi di preghiere primitive che mostrano sentimenti * più elevati. J.o stesso Lawrence però — c bisogna notarlo — non nega ai primitivi questo sentimento elevato, e avverte giustamente il carattere morale di alcune preghiere dei Sioux del Nord America, che pregano il Gran Padre di non farli venire in collera in tempo di pace. 1 Sioux ànno in vero credenze religiose più elevate di altri primitivi e ritengono che la legge del Grande Spirito purifichi il cuore.
Ma non è esatto dire con Lawrence che . nelle religioni più elevate il fattore materiale nella preghiera sia spiritualizzato; Siù giusto è dire che in queste ultime sono ominanti altri atteggiamenti dello spirito; atteggiamenti che nelle prime non sono visibili. Il torto principale di Lawrence, mi sembra di non aver visto che la preghiera non è esclusivamente una domanda. Per determinare Tongine. il significato e il valore della preghiera bisognava stabilire in che essa precisamente consiste, e se accanto alla preghiera per petizione ve n’^ un’altra per azione di grazia, per omaggio, per penitenza; se la preghiera è anche nell'ammirazione del divino, nell’atto di umiltà e devozione, nella venerazione e soggezione, nella comunicazione con la divinità, nel pio raccoglimento e nella meditazione religiosa, nella lode c nella confessione di debolezza, nello slancio di amore verso la divinità. Tutto questo bisognava precisare e chiarire, per riconoscere il carattere.che distínguela preghiera delle religioni primitive da quella delle religioni più progredite.'
LA PREGHIERA NELLE ANTICHE CIVILTÀ
Un gran numero di preghiere e'invocazioni è stato scoperto come faciente parte essenziale della vita religiosa dei Babilonesi. c degli Egiziani, rivelandoci il loro sentimento morale..
Recentemente la Regia Accademia scientifica letteraria di Milano, nel secondo volume di studi della Scuola papirologica, pubblicava alcune lettere private dell’Egitto greco-romano. do\^* sono visibili vivi sentimenti religiosi. Di ciò va data lode
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principalmente a G. Ghedini, clic à voluto ricercare in quelle epistole, c precisamente nelle pagane, quale sia stato il senti mento religioso dei loro antichi autori, quale il sentimento di devozione verso là divinità.
Nelle preghiere babilonesi. Jastrow (The sludy 0/ religion) à fatto rilevare gli clementi magici e incantcsimali; lo stesso à fatto Bunsen (Egypt, voi. IV) per l’Egitto, ma non è esatto ripetere con Edward Lawrence che si tratta di sopravvivenze di un periodo più arcaico. La religione non è un ulteriore sviluppo della superstizione, e qui si tratta precisamente di clementi superstiziosi messi insième, e non bene amalgamati, con clementi religiosi. Anche qui, come per la caratteristica .delle primitive preghiere, si deve dire che la differenza tra religioni antiche c moderne è quantitativa c non qualitativa. La preghiera, se è religiosa, non è presso i primitivi c presso le antiche c spente religioni, di natura diversa da quella dei popoli moderni. E infatti, noi riscontriamo, nelle preghiere dei primitivi, elementi puramente religiosi; ne riscontriamo in più abbondanza nelle religioni dell'antico oriente c presso i moderni, perché quegli elementi sono venuti meglio alla superficie della coscienza religiosa. L’evoluzione della preghiera procede da questi elementi c non da quelli della magia o dell’incantesimo.
Lo stesso Edward Lawrence trova nei Galha persiani (canti sacri attribuiti a Zoroastro) preghiere di- carattere elevato, come in ogni luogo dove più domina il sentimento religioso. E queste preghiere — a conferma, di ciò che dicevo dianzi — riguardano la natura di Dio ed esprimono sentimenti di giustizia, di amore, di purità di coscienza. Anche la religione musulmana abbonda di belle preghiere e di insegnamenti morali assai elevati. Si rammenti quella introduttiva del Corano; «Te adoriamo e da te attendiamo aiuto; guidaci nella diritta via» ecc. e quell'al tra: * - Ti supplico di accordarmi un cuore innocente, che non inclini verso la colpa: ti supplico perchè mi conceda di dire sempre la verità e di seguire la virtù, ecc. ».
11 moderno buddismo, come si sa, à le sue preghiere, le sue meditazioni religiose, materiate di alto sentimento morale; ed è interessante, a questo proposito, quanto ci racconta Lawrence dell’efficacia che esercita l'imagine sacra sui fedeli, prendendo esempio dalle statue del Budda. Si rammentino le prodigiose statue granitiche dei
Budda in piedi, in atto d‘insegnare o sedute meditanti, o giacenti sul destro fiancò. Sparse oggi nelle selve tropicali di Anura-dhapura e dell’Indocina; si rammenti la colossale statua del Budda in bronzo e oro che ancor oggi si conserva c venera nella cattedrale di Nara; si rammentino le statue scolpite alla maniera indiana, nella viva roccia delle alte montagne, in una espressione di sublime serenità, per intendere il rispetto e la devozione che queste statue ispirano anche a molti di coloro che non credono nella divinità del Budda. Lo stesso può ripetersi dei maestosi monumenti, delle imagini sacre e dei templi di altre religioni. Questa parte del lavoro di Lawrence meriterebbe di essere svolta più estesamente da parte di qualcuno che si occupa di psicologia religiosa. Noi possiamo pienamente convenire con lui, nell’ammirazione delle antiche preghiere cristiane, e quando rileva il loro sentimento profondamente etico e la benedizione invocata in queste preghiere su eretici e infedeli, su peccatori c su, nemici.
In conclusione, lo studio su la preghiera di E. Lawrence, se non è lodevole per il metodo con cui è fatto, se non chiarisce i motivi che determinarono primamente alla preghiera, se non ci appaga completamente in ciò che espone rispetto alla natura e al significato suo, contiene alcune giuste osservazioni circa le preghiere dei diversi popoli, — fra i quali avrebbe dovuto aggiungere i Grecie i Romani. e giustamente rileva il sentimento morale comune a tutte le preghiere e sopratutto l’influenza che esse esercitano su la condotta.
VALORE ETICO
DELLA PREGHIERA
Gli studi moderni su la preghiera mostrano che essa è parte necessaria dell’evoluzione psicologica dell’uomo. L'atto del pregare è per se stesso, come avverte Lawrence, il prodotto di una legge etica di altissimo ordine ; ed è anche molto giusto il dire che la preghiera, nelle sue migliori manifestazioni, crea nella mente del supplice sentimenti morali e desideri di gran valore, eccitandolo a ottenere quei fini spirituali- dei quali i suoi sentimenti non sono che l’espressione. Con ragione aveva detto Lecky (History of Europccn Moráis)-.1’uomo che offre le sue migliori petizioni con appassionata austerità, con sincera fede, con viva coscienza della prc-
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senza di un essere invisibile,si è elevato a uno stato mentale eminentemente favorevole. sia per il raggiungimento della Sria felicità che per quello delle sue
¡ori qualità morali. La psicologia moderna mostra che la formazione di ideali conduce, per via di un processo naturale, a desiderarne la realizzazione. La preghiera alimenta il desiderio c aiuta così a condurre alla realizzazione di quegli ideali. A questo proposito si rammeti la colossale statua del Cristo Redentore, ‘che si erge su la cima più alta delle Ande, una statua in bronzo tolto dai cannoni dell'arsenale di Buenos-Ayres ed eretta per celebrare lo stabilimento della pace tra l'Argentina c il Chili. Sul piedestallo si legge: Si polverizzino queste montagne prima che l'Argentina
'e il Chili rompano la pace giurata ai piedi del Cristo. E un monumento che può sei -virc di lezione per la pace universale.
E se la scienza moderna dimostra che pregare significa creare e nutrire nel nostro cuore quelle aspirazioni onde ci è dato vivere una vita sobria c giusta, lontani dalla malvagità, dai vizi, dai vani desideri, è la scienza che. nel suo linguaggio, ci dice: pregate sempre, pregate che le vostre azioni siano-conformi alle leggi della natura, alla suprema volontà pregate che gli erronei insegnamenti c le superstizioni cessino per sempre! «Voi siete fatti cristiani affinché facciate le opere del Cristo, e cioè, amiate la carità, la continenza, l'umiltà e detestiate l'orgoglio-..
Mario Puglisi.
PER IL IV CENTENARIO DELLA NASCITA DELLA “ RIFORMA ” (31 OTTOBRE 1517 - 31 OTTOBRE 1917)
V.
ASPETTI DOTTRINALI, TEOLOGICI, RITUALI DELLA RIFORMA LUTERANA
Le riforme più radicali e più ardite non sono che l’intensificazione di uno spirito che sotto forma di malcontento, di disagio, di bisogni, di aspirazioni, già fermentava, più o meno consciamente, nella massa sociale.
Ed è questa massa stessa anelante alla liberazione ma ancora schiava, alla purificazione ma ancora infetta, alla elevazione ma ancora deforme e oppressa, che dovrà apportare la sua mentalità, i suoi abiti, i suoi difetti, i suoi pregiudizi nel nuovo ordine d’idee e di condotta, il quale risulterà come un compromesso fra lo spirito nuovo, l'ideale puro, il programma radicale-, c gli clementi’ c il contenuto -che dovranno fornirgli un corpo: « perchè a risponder la materia è sorda ».
Come de) « granello di frumento » evangelico. così di ogni fermento riformatore deve dirsi, che a meno che non si lasci decadere e prendere contatto con la terra, c deformarsi c morire, esso è condannato a restare solo; e che se invece compia la rinunzia feconda, e, per ritrovarsi, si perda, esso « darà frutto abbondante a;
Chiedere alla Riforma luterana ai prcsentarcisi come un sjstema antitetico di tutto ciò che fu il Catolicismo medioc-vale, come il tipo di un nuovo ordine radicale di dottrine teologiche, morali, ecclesiastiche. rituali, sociali, politiche, è chiedere ad una riforma e ad una evoluzione di essere non una forma c uno sviluppo di qualcosa di preesistente c vivente, ma una sostituzione di una realtà affatto nuova e senza continuità con la precedente; ciò che storicamente e psicologicamente è assurdo.
Che Lutero, e il movimento e la società religiosa che fu il prodotto ultimo della sua opera riformatrice affondino ancora le loro
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radici nella mentalità teologica, nel sistema scolastico, nei pregiudizi e nelle limitazioni, nelle miserie morali del Medio-Evo cattolico, non può recare alcuna sorpresa dal momento che le foglie, i fiori e i frutti della Riforma- manifestano la linfa nuova che il nuovo spirito vitale ha eleborató dall’ burnus • comune. Non è alle prime tasi della vita di un «feto», ma al suo completo sviluppo alla vita piena che noi chiediamo di rivelarci la natura specifica-dei)'essere di cui è embrione. E noi troveremo che, per usare una superba immagine di Taine, « tra la schiuma della superficie c il fango del fondo, scorre la grande corrente forte c pura ■ del Cristianesimo riformato. Premuniti così contro il senso spontaneo di sorpresa e di fastidio del me-dioevalismo tutt’ora superstite nelle dottrine di Lutero, affrontiamo oramai un esame diretto di alcuni aspetti di esse, al quale gli studi preliminari ci hanno disposto e preparato.
LA DOTTRINA LUTERANA CIRCA LE BUONE OPERE
Riportiamo anzitutto un ampio riassunto di un articolo magistrale di W. J. Mac GlòTHLIN del Seminario Teologico Battista di Louisvillc. sulla Dottrina luterana delle buone opere ».
Il rapporto fra la teologia di Lutero e o quella cattolica,'specie nella teoria centrale della salvazione c delle buone .opere, — espressa nelFòpera fondamentale «Della libertà del Cristiano. • — e il suo successivo « reyirement »in senso leggermente conservativo, sono in questo studio presentati con un’incantevole sicurezza di linea, profondità e semplicità che giustificano la traduzione testuale di parecchie pagine di esso.
« Vi è appena il bisogno di dichiarare che Lutero conservò e perpetuò nel sistema che porta il suo nome una gran parte di quello che continua ad essere tutt’ora il patrimonio comune di tutti coloro che portano il nome di Cristiani. Nel valutare la sua opera non dobbiamo mai dimenticare che egli stesso era cattolico e che sgorgò di mezzo al popolo. Se nel monastero egli studiò la teologia e apprese a conoscere l’aspetto teorico e formale .del Cattolici-cismo, egli non perse però mai il contatto con il popolo: e fu questa piena conoscenza della vita religiosa delle masse che lo pose in condizione di poter parlare alla
nazione tedesca con tanta forza ed efficacia... La sua •; divina brutalità • non fu che il mezzo di giungere al cuore e alla vita dell’uomo del volgo.
Fu senza dubbio questa caratteristica dell’opera di Lutero che rese possibile ai teologi cattolici di accusarlo di aver snaturato ìa dottrina della Chiesa. No: egli non snaturò nò interpretò male la religione popolare del suo tempo, per quanto egli possa non aver reso giustizia a quella esposizione che cautamente e accuratamente fu poi elaborata dal Concilio di Trento, giacché sta il fatto che la dottrina cattolica in alcune delle sue fattezze più distintive e caratteristiche, non era stata mai ancora formulata quando egli cominciò il suo attacco. Il pensiero cattolica era tutt ora fluido e in gran parte incoerente... c fu il Concilio di Trento che gli rese il grande servizio di trarre l’ordine da quel caos, e di cristallizzare in un sistema coerente la media delle dottrine cattoliche. Lutero non polemizzò già contro l'accurato e cauto sistema tridentino, ma contro il Cattolicismo vissuto nella Germania del suo tempo e specialmente nell’elettorato di Sassonia. Fu il Credo Tridentino che fu formulato cóntro Lutero e la Confessione 'di Asburgo, e non viceversa: fu il Luteranismo a precedere il Cattolicismo nella sistemazione e nella formulazione.
Ora il punto in cui i due sistemi s’in-contranq nella vita delle masse non è quello della teologia formale o dei suoi presupposti filosofici, o della concezione . della Chiesa o della posizione del Papa... bensì quello della teoria e della pratica del culto e delle così dette « opere buone ».
Secondo la concezione cattolica, i fattori essenziali nel processo della salvezza erano i sacramenti... .per mezzo dei quali la grazia era apportata all’anima bisognosa, e senza alcuni almeno dei quali la salvezza per vie ordinarie era impossibile. Ma se necessari, essi non erano sufficienti... <• abbisognavano di supplementi latori di grazia. Questi erano innumerevoli, e primeggiavano fra essi le « opere buone •> numerosissime.
Le « opere buone » erano in maggioranza certi obblighi imposti dalla Chiesa e privi di qualunque elemento di servizio al genere uniaho. Consistevano di -preghiere, pellegrinaggi, fondazioni di chiese ed altari, digiuni, elemosine, ecc., che per aver valore dovevano essere sanciti dal-
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l'autorità deila Chiesa. Gli affari ordinari della vita e le comuni opere di filantropia ispirati da un impulso di cuore cristiano erano riguardati come di minore importanza e appena meritevoli di’essere classificati fra le buone opere. Tutta la vita era poi divisa nelle due categorie di sacro e di secolaresco delle quali la prima soltanto aveva valore per la vita cristiana.
Inoltre le * opqrc buone • erano imposte dalla Chiesa in uno spirito di contratto bilaterale. Anziché sgorgare dalla tendenza al servizio sociale o dalla dinàmica dell*amo-rc c della fede quale frutto della vita cristiana, esse rappresentavano il prezzo di acquisto della grazia che veniva acquistata a contanti da un Dio piuttosto avaro, che teneva più conto delle - buone opere fatte » che dello spirito di chi le faceva.
Cóme Lutero fa notare, degli iprocriti consumati, rei di molti e gravi delitti, si lusingavano di acquistare per jnezzo di queste # buone .opere » ecclesiastiche il perdono e la grazia di Dio. Le qualità morali passavano così in seconda linea, la religione era tutta esteriorizzata, c la fede cristiana e l’esperienza cristiana quasi non esistevano...
Quando trattiamo della teoria luterana delle < buone opere.» dobbiamo fissarci bene in mente che le ■ buone opere » abbisognavano di una nuova definizione e di un nuovo collocamento nella vita cristiana: e fu questa l’opera di Lutero, specie nel primo periodo della sua carriera di riformatore.
Eg|i allargò il significato del termine - opere buone », in modo da includervi praticamente tutte le azioni della vita purché compiute con uno spirito religioso. Ad es. nel suo Sermone sulle buone opere, egli classifica in gruppi secondo i Dieci Comanda-menti molte azioni che non erano generalmente considerate affatto come « opere Buone »: fra cui anche l'astensione dal male positivo. Ai suoi avversari che gli opponevano, che con l’abolizione delle « buone ©pére » ecclesiastiche egli sopprimeva tutti i mezzi con cui un Cristiano potesse guadagnare la grazia, egli risponde mostrando che intendendo le « buone opere • nel giusto senso restava ancora dopo quella soppressione una moltitudine di opere buone... cioè le azioni ordinarie della vita che possono piacere a Dio non meno di quelle compiute in Chiesa o per ordine ecclesiastico.
Egli inoltre insistè che le buone opere
riconosciute come tali lo sono soltanto fino a che servono a qualche buon fine. Così, ad esempio, il numero dei giorni festivi doveva, a suo parere, venire ridotto «perchè le azioni commesse in quei giorni erano generalmente peggiori che nei giorni di lavoro: ozio, gozzoviglie, ubriachezze, giochi di azzardo ed altre azioni malvagie. Contro il nudo formalismo e la sua >ratica tutta esteriore degli esercizi rc-igiosi che li trasformava in atti magici, -utero' protestò con tutta la .energia e orza possibile, dichiarando che... la Messa non vale che per il cuore e la fede con cui il peccatore vi assiste; che la. predicazione, allora trascurata affatto o ridotta a favole di vite di Santi, deve esser volta a raffoi zaic la fede contro gli attacchi della colpa, e ascoltata accuratamente, compresa, ritenuta e rievocata..., che la preghiera è un'opera buona quando non è una mera ripetizione meccanica di parole, di quelle di cui son piene le chiese, i chiostri senza che portino alcun cambiamento... Per Lutero. ;« la prima e la più alta e nobile delle opere buone è la fede in Cristo » che irradia nella vita, e trasforma in - opere buone » i doveri ordinari, quali « camminare. stare in piedi, mangiare, bere, dormire, e tutte le azioni compiute per soddisfare ai bisogni di nutrimento e alle altre ordinarie necessità della vita corporea ».
Con questa concezione Lutero rese due grandi servizi al mondo cristiano: egli distrusse la base della divisione della vita nelle due categorie di religiosa e secolare, e nello stesso tempo distrusse il fondamento su cui poggiavano le gravi pretese che la Chiesa si arrogava sui destini dell’anima, mentre sollevava le azioni della vita ordinaria nella posizione c categoria di'cose sacre. Così tutta la vita veniva unificata sulla base religiosa e le azioni più comuni erano coronate di gloria derivata dalla cura c dall’interesse che il Padre prende di esse.
Nulla più contradice allo spirito essen ziale del Cristianesimo che la secolare divisione della vita nelle due categorie di sacra, la sola parte che a lui piaccia, e profana, o secolare, della quale Egli non tiene alcun conto: concezione, per cui fuori dei monasteri c dei presbiteri, la vita era per la maggior parte comune, secolare, priva di valore religioso. La purità, la fedeltà, la lealtà nei comuni affari della vita dell’uomo.—- alcune delle più alte qualità dello spirito — non avevano fuori dei rapporti ecclesiastici alcun incentivo a svilupparsi.
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La vita de! laico e della donna che adempievano il volere di Dio con la procreazione c la formazione di una famiglia era inevitabilmente secolare.
Tutto ciò pesava sulla coscienza delle persone devote, deprimendo il livello della vita giornaliera. E' gran merito di Lutbro l’aver visto chiaramente e proclamato rigorosamente • il carattere sacro della vita secolaresca •. Egli spazzò via la divisione delle due categorie di condotta e di vita, dichiarando che ogni condotta onesta era religiosa e a-cetta a Dio.
I luoghi santi, i giorni festivi, le azioni sacre prescri.te dalla Chiesa, cessarono di esistere, e tutta la vita fu sollevata ad un piano superiore. La stessa « vita religiosa • benché teoricamente, c per ragioni di contrasti, deprezzata, dopo un periodo di riaggiustamento ne restò grandemente avvantaggiata. La trasformazione delia vita intcriore presto portò frutti nella vita esteriore
“ LA LIBERTÀ DEL CRISTIANO „
Ma J.utero non aveva risoluto tutti i problemi connessi con la teoria delle • opere buone » quando aveva dato ad esse nuova definizione, allargata la loro concezione. e ripostele su una base di fede e di servizio sociale... La parte ricostruttiva del suo programma noi la troviamo nel modo più chiaro e soddisfacente nella sua dissertazione su - La libertà del Cristiano », pubblicata già nel 1520: la più grande forse <ii tutte le opere di Lutero; certo una delle più belle e solenni, senza soffio di tempesta o nota di contumelia, ma solo una calma considerazione sull’essenza del Cristianesimo. •
In essa 1.utero fin da principio pone queste due proposizioni apparentemente contradditorie, come fondamento di quanto sta per dire sugli clementi essenziali della vita cristiana: « Un Cristiano è libero signore di tutte le cose, e soggetto a nessuno»; « Un Cristiano è schiavo di tutte le cose e soggetto ad ognuno Nella prima egli esprime la libertà essenziale di ogni Cristiano da tutti gli oggetti esterni; nella seconda insiste sull’atteggiamento di doveroso servizio verso tutti. Per sostenere la prima asserzione della padronanza su tutte le cose e della soggezione a nessuno egli insiste sul completo dualismo della natura umana.. • Che cosa giova all’anima
se il corpo è libero, sano, vigoroso, e mangia e beve c vive a suo comodo? D’altra parte, che danno può venirne all’anima se il corpo è imprigionato, inalato, affamato, assetato, sofferente...? Nessuna di queste cose può giungere fino all’anima né renderla libera o schiava, pia o malvagia ».
Queste espressioni espóngono successivamente l’essenza del suo concetto della libertà di ogni Cristiano dalla necessità di praticare quella schiera di « opere buone » su cuj la Chiesa soleva insistere come necessarie alla salvezza. Le - opere buone » non possono influire sul destino dell’anima, perchè si, tratta di un altro regno di esi» sten za libero da tutte queste cose esteriori. Il bisogno dell’anima è un altro, ed uno solo, la parola di Dìo predicata da Cristo, in cui trova a sazietà « nutrimento, gioia, pace, luce, arte, giustizia, verità, sapienza, libertà ed ogni altra cosa ».
Che cosa resta della funzione dei sacerdoti e dei ministri della religione e dei loro poteri divini per mezzo dei sacramenti, di assoluzione delle colpe, di 'conferimento della grazia, di abbrex lamento delle pene del purgatorio? Per Lutero si riduce tutto a pretese arbitrarie senza alcuna sostanza .0 realtà. La «parola» era il solo vero bisogno dell’anima, e sola funzione dei ministro della religione era di proclamare la «parola », il vangelo. Questa dottrina della « parola » aboliva automaticamente la salvezza sacramentale e la mediazione sacerdotale.
Qual’è allora l’ufficio c la ragione dell’imposizione dei «comandamenti»? Eccolo: c Se voi volete essere liberato dai vostri peccati e malvagi desideri cóme i « comandamenti » prescrivono, credete in Cristo... La promessa di Dio dà quello che i suoi comandamenti ordinano...: cosi tutto viene da Dio; comando c adempimento ».
Il posto dei «comandamenti » è quindi importante nella vita religiosa, ma non son cssi che dònno la vita, e mai furono designati a questo scopo. Le opere buone non possono giungere fino all’anima, nè quindi lo possono i « comandamenti », che le prescrivono.
Ma questa libertà per cui il Cristiano è affrancato da ogni comando e ogni legge, non è libertà di vivere nell’ozio e nel male. Giacchi- per la fede l’anima diviene «-piena di grazia, libera e benedetta, unita con Cristo come sposa a sposo: e come Cristo possiede tutti i beni e le benedizioni, questi divengono egualmente possésso dell'anima:
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c se L’anima è carica di debolezze e di colpe,''queste divengono di Cristo ».
Lutero presente il pericolo che questa dottrina di libertà e di dominio spirituale su tutte le cose, può involgere e avverte che si tratta di un dominio spirituale, che regna anzitutto nella repressione del proprio corpo: e passa alla seconda proposizione. Se noi non fossimo che puri spiriti l’aspetto precedente racchiuderebbe l’intiera vita cristiana. Ma noi apparteniamo per il corpo, al mondo esteriore: e perciò servi c sottomessi ad ognuno. In quanto sia- • mo liberi non dobbiamo far nulla: in quanto servi dobbiamo far tutto. Ma neH’eserci-zio delle opere buone, non dobbiamo dimenticare che esse non sono fatte per piacere a Dio o per fomentare la- pietà. Per porci in regolari rapporti con Dio basta la fede: fare delle opere buone a questo scopo significa abusarne e renderci deeli ipocriti. Esse sono fatte soltanto a scopo di armonizzare il corpo con l’uomo spirituale intcriore che è già in armonia con Dio per mezzo della fede in Cristo. L'uomo deve essere un Cristiano genuino prima delle sue opere buone, altrimenti tutte queste opere non sarebbero che delle sciocchezze, visto che non possono rendei lo nè pio nè accetto a Dio.
Altro motivo per fare buone azioni è l’amore pel nostro prossimo c il desiderio di servirlo nei suoi bisogni. Il loro bene, c non il loro desiderio di guadagnarci col loro servizio una grazia e una pietà più abbondante, deve essere il motivo delle nostre azioni.
* * *
Queste le vedute espresse da Lutero nel primo periodo della sua opera riformatrice. Certo egli esagerò il dualismo fra corpo e spirito: ma egli espresse profondamente una delle più grandi verità della dottrina cristiana. Anche al dì d’oggi, su nessun punto Cattolicismo e Protestantesimo sono così profondamente divisi come sulla dottrina delle buono opere. Il punto di vista del Protestantesimo sulla vita cristiana è che l’armonia c la comunione con Dio può venire solo per mezzo della tede in lui rivelataci in Cristo: le buone opere sgorgano da questa vita rinnovellata come l’acqua da una sorgente.
Ma Lutero non fu sempre all'altezza del compito di trarre con coerenza tutte le conseguenze logiche della grande verità da lui scoperta e così energicamente esposta.
Di fronte a molti clementi radicali, tra cui specie quello degli Anabattisti e la rivolta dei contadini, che Chiedevano un’applicazione immediata c pratica a tutta la vita religiosa, sociale e politica dei principi c delle dottrine proclamate da Lutero e dai riformatori, questi che volevano sforzarsi di trascinarsi dietro il governo civile c tutte le istituzioni della società esitarono, si mostrarono lenti c finirono di fronte ai radicali. per divenire dopo il 1525, dei mezzo reazionari. Il principio dell’autorità ecclesiastica fu ristabilito in forme differenti, c l’abolizione della <• salvezza per mezzo dei sacramenti v fu in parte sospesa. Nonostante le obbiezioni insistenti degli Anabattista, mantenne il battesimo pei fanciulli, spinto dal valore pratico che e&o aveva per una società organizzata come lo era allora. Mantenne la dottrina della « Presenza reale » di Cristo nella Sacra Cena, pur rigettando la transustanziazione c togliendo alla Messa il suo carattere di sagrifizio....
Ma la maraviglia si è che Lutero abbia potuto compiere tutto ciò che compì per l’emancipazione del suo popolo dai legami mentale e spirituale che l’avevano fatto sì a lungo soffrire...
Ogni grande movimento genera idee radicali le quali, pur giuste in se stesse, non possono esser realizzate in un subito senza produrre l’anarchia e la più completa disorganizzazione sociale.
Lutero avrebbe potuto evolvere verso l’attuazione logica c completa delle sue idee fondamentali se non fosse stato costretto, nell’interesse del movimento generale, a fronteggiare gli clementi più radicali, divenendo così egli stesso un conservatore.
Resta che la sua « Libertà del Cristiano ■ è la più notevole delle sue opere, come quella che proclama una religione che non è solo una sezione della vita chiamata sezione sacra, ma il motivo principale di tuffa la vita...»
LE 95 TESI
Se a La Libertà «lei Cristiano » racchiude l’espressione più tipica del pensiero luterano riguardo alla salvezza per la fede in Dio per mezzo del Cristo, il carattere antisacerdotale di esso trova la sua espressione più robusta c radicale in un altro documento storico, quello che denunziò al mondo - il delitto papale dei falsi perdoni », come lo chiamò Erasmo: che segnò per Guizot • la grande risurrezione della intelligenza umana » in quell 'ottobre 1517 che
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fu per A. Fronde ■ il giorno più memorabile della storia europea moderna ». Il documento ci è già noto come Le 25 a^"
fisse alla porta della cattedrale di Witten-berg alla vigilia della Festa di Ognissanti, a sfida del culto delle reliquie ivi raccolte e della vendita delle indulgenze predicate dall'emissario pontificio Tctzel.
È opportuno esaminare con un'analisi più inquisitiva il fondamentale documento, seguendo lo studio di B. Warmeld sulla Princeton Theological Revicw dell'ottobre 1917, e mostrare che la sfida ivi lanciata da Lutero fu volta « non già solo agli abusi che accompagnavano la proclamazione delle indulgenze del Giubileo..., nè l’intiera teoria delle indulgenze, ma l’intiera concezione allora prevalente dei rapporti della Chiesa quale istituto di salvataggio, alla salvezza delle anime •: e che le Tesi « non furono quindi solo un proclama contro le indulgenze, ma un proclama contro ilsacer-dotalismo, dal quale esse desumono tutta la loro importanza come documento della Riforma».
« Lutero avrebbe infatti potuto stigmatizzare tutti gli abusi comuni con le indulgènze, pur rimanendo un buon papista; avrebbe potuto, anche rigettare tutta la teoria delle indulgenze nel suo sviluppo posteriore al secolo xin e restare un buon cattolico. Ma il taglio che egli fece fu ben più profondo. Egli pose, in questione tutta la base del sistema cattolico e si rizzò in opposizione ad essa come un Evangelico... asserendo con un’energia c un’audacia ma-ravigiiosa il principio evangelico della salvezza in completa opposizione a quello sacerdotale sottinteso al traffico delle indulgenze.
Con le due tesi: • Il Papa non ha nè la volontà nè il potere di rimettere altre pene che quelle imposte da lui stesso di sua propria autorità o per l’autorità dei Canoni »; « Il Papa non ha autorità di rimettere alcuna colpa, eccetto che dichiarando e approvando che esse sono state rimesse da Dio •■: con queste due tesi, Lutero tagliò il sacerdotalismo nelle sue stesse radici.
Non ostante la parte che Lutero conserva a! sacerdote come intermediario e rappresentante di Dio per testimoniare al peccatore il perdóno ricevuto, egli lo pone però nettamente in posizione di semplice ministro. Non è, dopo tutto, il sacerdote in virtù di alcuna facoltà accordatagli, ma la fede dell’uomo stesso che. per mezzo dell'assoluzione', rimette i suoi peccati.
Voi avete solo tanta pace quanta fede avrete nella parola di Colui che promise: Tutto ciò che scioglierete, ccc... Il perdono non discende dal sacerdote, ma dalla parola di Cristo: il sacerdote può agire per motivi di guadagno o di onore od anche » per mera frivolezza: ma voi cercate senza ipocrisia il perdono fiduciosi in Cristo, e voi lo riceverete dalla vostra fede. Per Lutero, la vita cristiana è necessariamente una vita di dolore penitente. - II.processo di salvezza porta con sè dolore: nessun uomo che entra nella vita può attendersi altro dall'uomo esteriore che croce, morte c inferno...-. E cosi, predicando ■ la pietà della croce », Lutero giunge a quelle mara-vigliose tesi finali in cui, pronunziando la maledizione su quelli che gridano « Pace, E ace! • quando pace non v'è, c invocando enedizioni su quelli che invocano ■< La croce, la croce! > benché pei figli di Dio non vi sia vera croce — egli dichiara che il Cristiano deve lottare per seguire Cristo, suo capo, attraverso dolori, morte c inferno e solo così attraverso molte tribolazioni entrare nel Cielo, piuttosto che — egli aggiunge dando un colpo all'uso delle indulgenze — «attraverso la sicurezza della pace ». Vi è qui, è evidente, una nota della /».itazìone di Cristo: ma non già in senso mistico: bensì nella profonda convinzione che la vita del Cristiano è una battaglia, una lotta, un lavoro arduo; e una grande protesta contro Tintici a tendenza del sistema delle indulgenze: la tendènza al rilasciamento, l’invito al riposo lungi dal conflitto, cullando le coscienze in un sonno fatale. Lutero non sogna qui davvero di far comprare il Cielo per mezzo delle sofferenze o delle buone azioni.
La Curia -Romana non ebbe difficoltà a intuire con precisione dove il colpo di Lutero andasse a cadere, e le sue truppe leggere si precipitarono alla difesa delle fortificazioni ’ enteriche: autorità papale, legittimità delle indulgenze. Il risultato fu che Lutero, come egli stesso confessa ne! principio della sua « Cattività di Babilonia», aprì i suoi occhi e fu ammaestrato su punti ancora a lui non ben chiari. Egli aveva fino allora mantenuto sentimenti di rispetto per il Papa come capo della Chièsa: essi gl'insegnarono a riguardarlo come un Anticristo. Egli non aveva inteso di rigettare del tutto le indulgenze...: ora imparò che «t non erano altro che imposture di cortigiani romani adulatori, con cui essi si portavan via insieme la fede in Dio e il
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TRA LIBRI E RIVISTE
danaro «logli uomini»... Quando Lutero comparve innanzi ai Card. Gaetano nell’ottobre 1518, il rappresentante del Papa pose il dito appunto su due proposizioni che gli intimò di ritrattare assolutamente: ed esse erano la sua asserzione che i meriti di Cristo operano efficacemente senza l’intervento del Papa, c che perciò non possono essere il >• tesoro • a cui le indulgenze .attingono; ed una sua affermazione nella settima tesi, che i sacramenti non operano efficacemente eccetto che ricevuti con fede. . It ovvio che in quelle due affermazioni era contenuta l’essenza dell Evangelismo: la salvezza, dono immediato di Cristo; la fede e la fede sola, strumento reale per ricevere la grazia.
Ma non è solo in qualche frase qui o là, ma in tutte le tesi che risuona la nota evangelica, e il sistema evangelico è presentato in modo compatto e ordinato in opposizione al sacerdotalismo. Ed esse sono una espressione ben ponderata e lungamente meditata del suo pensiero, che nella sostanza e nella forma erano state pensate da più di un anno, come appare confrontandole con le •Risoluzioni pubblicate un anno dopo, e che pure non segnano, o quasi, alcun progresso.
Ma se l’affissione dello tesi non segna l'acquisto da parte di Lutero delle sue convinzioni evangeliche .essa segna l’uscita della Riforma dagli angusti confini dei circoli universitari di Wittemberg e il principio della sua carriera «piale movimento mondiale. L'affissione diede alla Riforma le ali...
Riassumendo; Lutero attaccò nelle sue 95 Proposizioni il principio del sacerdotalismo in una delle sue incarnazioni più straordinarie: cioè nell’insegnamento che gli uomini debbono riguardare la Chiesa come l’istituto della salvezza per le loro anime, c che dalla Chiesa debbono derivare tutta la loro fiducia in vita ed in morte. Contro questo sacerdotalismo-egli oppone il principio evangelico che l’uomo dipende per la sua&alvezza da Dio e solo da Dio, senza bisogno d'intermediari, e a Dio deve riguardare e da lui deve ripetere tutto ciò che riguarda la salvezza dell’anima sua...».
• • *
Aveva dunque Lutero — sorge qui la questione — compiuto la sua evoluzione e si era intieramente emancipato dal concetto di autorità in materia religiosa?
E quale teoria si formò egli della società
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cristiana, della Chiesa, della sua costituzione e natura, della sua funzione e missione?
A queste due domande rispondono F. W. Loetscher con un lungo studio sulla Princeton Theological Review, dal titolo: - Lutero e il Problema dell'autorità in Religione *, e il prof. W. Barnes sulla Review and Expositor. ambedue nei numeri di ottobre 1017.
Del primo riporteremo soltanto la traccia c la conclusione.
LUTERO ED IL CONCETTO DI AUTORITÀ IN MATERIA RELIGIOSA
L’A. segue passo passo tutto il processo di emancipazione del Riformatore, prima da Aristotile c dalla Scolastica sia domenicana che francescana, poi dai Padri, pur mantenendo la sua devozione per Bernardo e aumentando costantemente quella per Agostino. Egli ci presenta Lutero, alla vigilia delle 95 Proposizioni tutt’ora aderente al concetto che l’autorità delle Scritture non è opposta, benché indipendente, a quella della Chiesa c del Papa. Le sue critiche e i suoi'attacchi ai difetti e alle colpe dei prelati c della Curia romana, ad alcuni precetti e canoni, non intaccano il principio di autorità. <• Fu la controversia delle indulgenze che condusse Lutero a una visione più chiara del rapporto fra l’autorità principale delle Scritture e quella secondaria della Chiesa... Le posizioni più avanzate sono quelle che egli prende nelle Tesi 30, 35 c 62: ■ Ogni Cristiano che prova vera compunzione ottiene la remissione plenaria della pena c della colpa, anche senza le lettere di perdono •; • Ogni vero Cristiano» vivo o morto, partecipa di tutti i benefizi di Cristo e della Chiesa a lui dati da Dio. anche senza le lettere di perdono ■; - Il vero tesoro della' Chiesa è il sacro Vangelo della gloria c della grazia di Dio ». Esse contengono già in germe l'idea della nuova fede e, almeno implicitamente, mettono in questione l'autorità del Papa.
L’A. segue il corso della controversia di Lutero specie contro. Tetzel, nelle sue Risoluzioni pubblicate nell'agosto del 1518, nella Responsio de potè state papae, nella dieta di Augsburg nell’ottobre dello stesso anno, nella lettera a Federico il Saggio nel novembre seguente, nell’appello dal Papa al Concilio nello stesso mese, documentando le incertezze, le esitazioni, le contradizioni
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c ritrattazioni successive di’ Lutero nella falsa posizione di chi, dopo avere proclamata la superiorità delle Scritture e della coscienza individualesull’autoritàdel Papa, dei Concili!, dei Padri, non ha la coerenza e il coraggio sufficiente per rigettare queste autorità ogni qualvolta si opponevano alla zsua interpretazione della Scrittura.
«In nessun luogo lo spirito eminentemente conservatore del Riformatore apparisce più chiaramente che nella maniera lenta e vacillante con cui egli accettò le conseguenze di alcune delle sue più ardite dichiarazioni riguardanti l’autorità del Concilio della Chiesa. Ancora nel gennaio 1519 egli prometteva all’Elettore Federico di rimanere in silenzio se anche i suoi oppositori tacessero, c di « sottomettersi umilmente * al papa confessando di essere stato « troppo ardente c pungente •: di pubblicare anzi una dichiarazione per ammonire il popolo ad essere ubbidiente verso la Chiesa Romana... e di accettare il verdetto di un vescovo tedesco riguardo a tutta la controversia ». Ma la controversia si riaccese invece nei mese seguente, seguita, ne! mese di maggio o giugno, poco prima della discussione di Lipsia, dalla pubblicazione dello studio sto> ico-critico di Lutero in cui egli assume la nuova posizione storica di concedere che il Papa abbia un primato nella Chiesa i>er diritto e costumanze umane, negando però che sia le Scritture che il concilio di Nicea riconoscano al papa un diritto divino. « Molte decretali non sono genuine; esse sono non solo « frigidissima » ma anche - impiissima ». ed una di esse è anche blasfema ».
Nella discussione di Lipsia contro Eck, Lutero si mostra ancora incerto e incoerente...’ - Da una parte conviene con Eck che « le decisioni dei concilii in materia di fede debbono ossei e assolutamente accettate »: dall’altra, egli subito aggiunge: « faccio però questa riserva... che un concilio ha talvolta errato e può talvolta errare specialmente in materie che non riguardano la fede... »... Da questo momento in poi, egli accentua sempre più l’autorità suprema ed esclusiva delle scritture, come appare da questa dichiarazione:'«... credo di dovere non solo proclamare la verità ma anche sostenerla c difenderla a costo del mio sangue e della vita. Epperciò intendo di essere libero, e di non lasciarmi vincolare dall’autorità di alcun Concilio o potere o università o del Papa stesso». Non occorre spingere più oltre l'investigazione del pro
cesso di emancipazione di Lutero. L'anno 1510 segna l’ultima fase dello sviluppo del suo principio che la Scrittura è non solo la principale, ma l’unica norma della fede e della condotta cristiana. È vero che questa semplice asserzione di un principio non portò con sè l'applicazione pratica di esso contro le altre autorità con cui esso si trovò in contrasto più o pieno acuto, ma da allora in poi non vi fu più alcun vacillamento o regresso quanto alla validità di quello che ora è liconosciuto come il principio formale del Protestantesimo.
Sulla base della sua profonda esperienza della grazia di Dio rivelata nel Vangelo, Lutero fu condotto, a passo a passo, dalla necessità interna della sua fede, e specialmente dall’opposizione dei suoi avversari a prendere in esame tutta la serie delle autorità a cui, quale figlio riverente della Chiesa Cattolica Romana aveva prestato omaggio fin dai primi anni, e che egli continuò a riconoscere per lungo tempo, pui con gradi diversi di soddisfazione c di certezza, dopo che egli aveva sollevato quella che riguardò come una questione puramente accademica, cioè quella concernente la natura delle indulgenze.
Prima di tutto perse il rispetto e lastima per la Scolastica con a capo Aristotile non trovando'più le loro idee concordanti con le sue esperienze evangeliche e gl’insegna-inenti dell*Apostolo sulla giustificazione per • mezzo della fede. La disputa concernente le indulgenze condusse posteriormente a ripudiare l’autorità del papa come essere umano fallibile, le cui dichiarazioni ufficiali avevano spesso deformato il senso delle scritture non meno di quello che le azioni di alcuni di essi avessero disonorato i loro precetti.
Dopo la intervista col Gaetano ad Aug-sburg, Lutero .perse la fiducia nei Padri come guide sicure nell’interpretazione della ’ Bibbia... L’appello dal Papa al Concilio introdusse un periodo d’incertezza, ma alla disputa di Lipsia egli pronunziò la parola che doveva prima o poi condurre al ripudio di quest’ultima autorità medioevale: < Il Concilio di Costanza condannò espressioni che erano sommamente cristiane cd evangeliche ».
Solo le scritture gli restarono: ed esse, dinanzi alla sua anima credente acquistarono sempre più il valore autentico di parola di Dio « ver bum Dei », che è verità, e che perciò costituisce per ogni membro della Chiesa vera e universale il genuino diritto divino ».
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CHE COSÀ FU LA CHIESA PER LUTERO?
Che cosa diveniva allora la Chiesa, cioè la società dei cristiani, dopo distrutto in essa il principio formale dell'autorità? Che cosa, fu la Chiesa per Lutero? Per rispondere a questa domanda bisogna rievocare anzitutto le diverse concezioni della Chiesa nel Medio Evo, e poi vedere a quale di esse Lutero rimase fedele e quale di esse potè conciliare col suo concetto dell’autorità. Il Barnes, nell’articolo sopra citato che qui riassumiamo, si occupa appunto di queste due questioni.
<• Durante il Medio Evo il concetto locale di Chiesa era stato praticamente dimenticato, sopraffatto dall’idea di Chiesa Universale. Ma questa idea universale si componeva di due idee distinte che quasi si escludevano reciprocamente. I.’una era quella della concezione ecclesiastica o politica della Chiesa, visibile e indivisibile... che acquistò coscienza di sè quando in alcune settimane dell’autunno 325 un'assemblea di vescovi si trovò adunata in una città della Bitinia-Nicea. Questa organizzazione visibile continuò a trovare espressione per mezzo dei concili generali, ma gradualmente attraverso i secoli, il Vescovo di Roma ne divenne l'espressione e il rap-sentantc autorevole: c per l’opera dei giuristi ecclesiastici di Roma, la Chiesa visibile divenne una organizzazione politica, uno stato gerarchico il cui sovrano era il vescovo di Roma con pretese di giuiisdi-zione su tutti i potentati terreni, sì temporali che spirituali.
L’altra concezione medioevale della Chiesa può chiamarsi spirituale. Invece di essere un’organizzazione visibile composta di membri legati insieme da vincoli reciproci, la Chiesa si componeva di coloro che godono la comunione reale ma invisibile con Dio in Cristo. Fu questa concezione la sorgente della più alta vita religiosa del Medio Evo. il giardino in cui fiorirono i fiori della pietà mistica medioevale. Gli scolastici del secolo xm nei loro sforzi per armonizzare queste due idee della Chiesa diedero origine quasi ad una terza... e insegnarono che la Chiesa è una organizzazione visibile, il cuore della quale è costituito dal sacerdozio, attraverso i cui canali la grazia divina scende alle vite dei suoi membri. Questa è la concezione che prevalse al principio del secolo xvi nella massa del popolo dell’Europa occidentale. Il pre
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sidente di questa istituzione era il Vicario di Dio in terra, il vescovo di Roma. Ma nel basso Medio Evo vi fu altresì un altro movimento religioso... cioè la diffusione «li una religione non-ecclesiastica, originata e alimentata dalla concezione spirituale della Chiesa sopra accennata.
« Si è sempre riconosciuto — scrive il Lindsay — che il padre di Lutero era uomo di spirito profondamente religioso, benché comunemente disprezzasse il clero, c riputasse i monaci come tanti furfanti o sciocchi: ma ciò che non si conosce è che in ciò egli rappresentava migliaia di pacifici c divoti tedeschi di tutte le classi sociali -, Così i « Confratelli della Vita Comune », i « Circoli oranti di Mistici ». la < Unione (lei Fratelli - ed altre confraternite religioso raccolsero una porzione di questa vita religiosa non.-.e.cclesiastica in forme più o meno organizzate... Questa fu l’atmosfera religiosa in cui Lutero nacque e che egli respirò dai suoi primi anni ».
« L’organizzazione di questa Chiesa cattolica visibile, questa Gemerne « di credenti in Cristo, non interessò Lutero a fondo. Ciò che a lui importava maggiormente era la comunione tra il fedele e Dio. Questa comunione tra i fedeli doveva potere esprimersi nel modo che meglio con-faceva al genio di ogni comunità. Se alcuni desideravano di ritenere la forma episcopale. potevano ben farlo: e così la Chiesa luterana danese è rimasta episcopale fino ad oggi. Lutero e i suoi compagni non desideravano affatto di mutare il governo esteiiore della Chiesa. Sono di Lutero le tarole: « Se qualche cosa deve essere cara-iata.o abolita di ciò che è stato in vigore dall’antichità, deve essere fornita qualche dimostrazione inoppugnabile che essa è contraria alla parola di Dio. Altrimenti, ciò che non è contro di noi è con noi ». E fu anche lui a scrivere nel maggio 1531:
Là dove il Vangelo è predicato e i sacramenti sono amministrati o conferiti regolarmente, lì è la Santa Chiesa Cristiana: nè occorre che essa sia modellata, regolata o moderata da istituzioni, diritti e leggi, formalità estrinseche di condizioni, pompe o maniere di vivere, costumi, abitudini, ore c stagioni, persone o cerimonie ».
Per Lutero l’« autorità delle chiavi 0 significò la potestà d'insegnare, e non già quella di rimettere i peccati: e questa autorità era stata affidata all’intiero corpo dei fedeli: c i vescovi e sacerdoti la esercitavano solo per mandato delia loro comunità.
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L'unità della Chiesa non è costituita dalla organizzazione esterna della quale egli poco si curava, ina dall’unità delia fede. ■ Non mi parlate di amore e di amicizia là dove la Parola o la fede non è accettata: giacché non è l’amore, ma la Parola, che porta la vita eterna, la grazia divina e tutti 1 tesori celesti ». Egualmente, egli evitò la contradizione di una «Santa Chiesa Cattolica * i cui membri vivono in maniera sordida. Per lui la santità era materia di fede. • Noi dobbiamo credere che la Chiesa, è santa; non possiamo vederlo. Anzi giudicando dalle apparenze esterne voi vedrete che essa è peccaminosa ed inferma... Ma sta scritto non già «.Io vedo i, bensì » Io credo» che vi è una Chiesa Cristiana santa».
Lutero credeva nella continuità della Chiesa attraversò i secoli. Egli non pretese di cominciare qualche cosa di nuovo, ma solo di riaffermare 1 antico. ■ Noi ti atteniamo alla vecchia Parola di Dio come l'Ahtica Chiesa; e ci troviamo perciò in comunione con la stessa vera Antica Chiesa, una sola Chiesa che crede ed insegna una sola Parola di Dio».
Da questa dottrina fondamentale di Lutero del sacerdozio di tutti i Cristiani derivavano i rapporti tra l’autorità civile e la Chièsa. 11 Papa ha usurpato l'autorità da Dio a Ridata- al potere civile, ai « poteri ordinati da Dio Ora se il Papa ha deviato dal retto governo delia Chiesa, cd il braccio secolare è d’istituzione divina, chi meglio delle autorità civili può prender cura della Chiesa e della sua riorganizzazione? Il vescovo di Roma ha usurpato l’autorità degli altri vescovi e non cederà se non intervenga l'autorità civile...
Riassumendo: Lutero insegnò che la Chiesa Cristiana è una comunità di credenti in Cristo, una comunità santa, che imparte la santità ai suoi membri: questa comunità si governa da sé. c la sua volontà unitaria è espressa dal Concilio generale; per ragioni amministrative il conferimento dei sacramenti può essere affidato dalla comunità ad alcuni suoi membri,' che può anche investire del potere di governare; ma quando dalla negligenza odagli abusi di questi poteri risultano degli scandali, le autorità civili, in 'forza della loro qualità di membri della comunità cristiana e del loro comune sacerdozio, possono intervenire e provvedere; ed è contro questa comunità clic le « porte dell'Inferno» non potranno mai prevalere. ina continueranno fino a che il Signor ' nostro. Cristo ritorni...
LE VEDUTE DI LUTERO . CIRCA I SACRAMENTI.
I Protestanti luterani del secolo xvi avevano una mentalità talmente differente «lai Protestanti moderni, specie americani — scrive sulla Review and Expositor di ottobre (1917) il prof. Giorgio Cross —che non possiamo provare altro interesse che quello storico in quelle discussioni polemiche sofistiche e amare intorno alla natura e al valore dei Sacramenti, sorte principalmente dal viva interesse di conservare quella dottrina che pei Luterani non meno che pei Cattolici era di vitale interesse per la fede cristiana ». Questo senso di anacronismo, cagionato in ambienti e menti religiose e cristiane libere ed educate alla critica storica e alla psicologia religiosa nel secolo xx dalle discussioni scolastiche sulla « causalità » dei Sacramenti, la loro « materia» e la loro • forma. IVopus operai um » e I’- opus operan tis », la grazia attuale e la grazia abituale, ecc. ecc. cesserebbe, q piuttosto si trasformerebbe in un senso di profondo stupore dapprima, di viva commiserazione por per lo spreco di tanti belli anni di gioventù e lo sperpero di tante energie intellettuali c morali, se i lettori, ad cs., della nostra liberale rivista potessero c volessero affrontare l’esperienza di qualche ora d'insegnamento della disciplina teologica sacramentaria in una delle università teologiche pontificie di Roma, ed ivi edificarsi ai metodi e allo spirito con cui, all’ombra della Sede pontificia, fanno il loro tirocinio di sacerdoti e di guide morali della loro società giovani seminaristi contemporanei non di Lutero, ma nostri.
■Ci guarderemo dall'imporre ai nostri lettori un saggio di queste esperienze medioe-vali preservate nei seminari e nei conventi cattolici, riassumendo qui lo studio del Cross: dal quale ci limiteremo a riferire, riassumendoli, alcuni dati che illuminino la posizione presa da Lutero nella questione dei Sacramenti e l’atteggia mento mantenuto al riguardò dal Protestantesimo contemporaneo.
« Per comprendere e apprezzare le vedute di L. circa i Sacramenti dobbiamo tenere bene in mente:
I. Che gli abiti mentali del Calteli-, cismo »ornano erano profondamente impregnati nel suo carattere, ciò che appare specialmente nella sua incapacità ad apprendere una realtà spirituale a parte .dalla sua incarnazione in una realtà oggettiva,
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TRA LIBRI E RIVISTE
sensibile. La religiosità di Lutero era di tipo essenzialmente sacramentale ; correggere l’interpretazione cattolica dei Sacramenti e riformare gli abusi introdottisi nella loro amministrazione, ciò gli era possibile; ma ripudiarli interamente era per lui un’assoluta impossibilità psicologica.
IL Che la sua controversia col Catto-lieismo sorse principalmente dalla sua intima esperienza di avere ottenuto il perdonò delle sue colpe gratuitamente, e dalla sua applicazione più radicale e coerente della concezione di Agostino sulla grazia divina. Ciò lo condusse a ripudiare la deformazione che la Chièsa Romana aveva fatto di quella dottrina, nella teoria c nella pratica, che si faceva manifesta specialmente nell’amministrazione dei sette Sacramenti.
1.11. Che le vedute di L. sull'argomento passarono.per diverse tasi nei successivi stadi delle sue polemiche sì coi Cattolici che coi Rilorm’atori. con la conseguenza che esse non furono elaborate in forma sistematica c completa attraverso le sottigliezze e le schermaglie della controversia. Gli stessi termini fondamentali: la parola (di Dio); la Chiesa', la fede, sono presi in sensi differenti nelle diverse occasioni. Riesce quindi impossibile dare un’interpretazione del tutto coerente del pensiero di Lutero.
IV. Questa riforma sacramentale che egli cercò di effettuare si intrecciò e complicò per modo con le conseguenze e applicazioni ecclesiastiche e politiche, che ne fu impedito lo svolgimento naturale dei suoi principi; con la conseguenza inevitabile di una transazione fra le sue concezioni evangeliche e le dottrine cattoliche tradizionali e-là pratica romana. Una riforma radicale rispetto ai Sacramenti divenne un fuor di questione, specie per la trasformazione del Luteranesimo in un partito politico ecclesiastico.
La caratteristica dominante dello spirito di Lutero fu un tipo di religiosità che gli fece amar teneramente, come il suo più caro possesso, il sepso di relazione col divino, c che prevalse in lui sulle stesse esigenze della lealtà di fronte ai fatti e della coerenza di pensiero... Bisogna inoltre dire che, nonostante il latto che egli sostenne" contro gli asceti ed i monaci la dignità e la santità dei rapporti naturali di famiglia, dello stato c degli affari, egli non riuscì mai a superare interamente il suo spirito claustrale... e mai riuscì alla identificazione a
cui giunsero invece Zuinglio c Calvino, fra la vita religiosa e le condizioni normali della vita etica, c sociale. Per lui la vita religiosa fu un'esperienza per sé stante, non riducibile ad altra forza che alla propria: e tutto ciò che nutriva questa vita intima era per il fatto .stesso giustificato da sdora.«- attraverso la propria esperienza come uomo e le sue esperienze quale sacerdote c confessore, egli era in grado di poter applicare questo criterio ai Sacramenti della Chiesa. E con questo criterio sanzionò l'uso del Battesimo, della Penitenza c della Sacra Cena, mentre invece gli altri sacramenti della Chiesa Romana gli si erano mostrati una sorgente di corruzione e‘ di danno alla vita della tede. La Confermazione, il Matrimonio, l'Ordine. la Estrema Unzione, benché non privi di valore ne nocivi in se stessi come pratiche cristiane, mancano delle qualità essenziali ad un sacramento, e, se trattati come tali, si prestano a mali disegni.
Non è questo il luogo di espone dettagliatamente le vicende della .controversia <a cui Lutero tu condotto dalla sua posizione, nò di discutere i meriti della sua dottrina. Solo è opportuno fare due osservazioni.
Prima. La concezione sacramentale della salvezza è aliena a tutto lo spirito del Protestantesimo nonché a quello dèlia filosofia moderna e alla concezione cosmica delia scienza. Non ci é poi possibile di riguardare una speciale porzione o particella dell’universo come se fosse avulsa da tutto il resto e dotata di uno speciale valore. In ultima analisi la concezione è immorale e irreligiosa, l.a questione quindi del posto che spetta al sacramento nella religione va oramai messa da parte. •
Seconda. Il legalismo e il letteralismo che sono presupposti dall’uso che fa Lutero delle Scritture, sono ugualmente estranei al Vangelo di Cristo. La rivelazione non è promulgata autoritativamente dalla legge, ma é la comunicazione di una unità cosciente, morale, intelligente, persona le della volontà con Dio.
LA POSIZIONE DI LUTERO NELLA TEOLOGIA MODERNA
« Quale é, in conclusione, la posizione di Lutero nella teologia moderna? » A questa domanda che sorge spontanea por bisogno dì sintesi, dopo avere investigati diversi
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aspetti dottrinali, teologici c rituali della riforma luterana, risponde J.W. BuckhaM' in uno studio sintetico e luminoso, del quale daremo qui un breve sunto e la conclusione, apparso sul The American Journal <>! Theology dell'ottobre 19T7.
In altrettanti paragrafi, l’A. studia i lineamenti caratteristici della teologia di Lulero. Anzitutto il suo caratteri Cristo-centrico, che appare specialmente nel suo Commentario all’Epistola ai Calali, c nel suo trattato La libertà del Cristiano; secondo: il sud carattere sperimentale. « Lutero non professò altra teoria teologica che quella della priorità della fede sulla ragione. Nelle verità della religione egli entrò semplicemente con tutto il cuore, e lasciò che la sua teologia sgorgasse naturalmente e fecondamente dalla sua esperienza... »
Terza caratteristica fu la sua integrità etica. L'interesse etico è sempre il predominante in questo spirito valoroso. Egli non è amico del)'esteticismo, del romanticismo, della speculazione, o di qualunque altro sentimento che diminuisca la morale. Egli è sempre pronto a screditare la ragione nel senso del puro intellettualismo... Anche nelle espressioni enfatiche c paradossali con cui dichiarava la coscienza non essere che « il crudele carnefice della morte • e spingeva gli uomini a dominarla a costo di commettere colpe in modo da emanciparsi dalla schiavitù di una coscienza delicata, ciò che egli in realtà c giustamente voleva non era, naturalmente, di soffocare la coscienza, ma di farla rientrare entro le norme di principi più vasti, sviarla da vie anguste e volgerla verso i grandi doveri, in contrasto con la gretta e meschina casuística cattolica.
Sarebbe tuttavia una falsificazione della teologia e dell’etica di Lutero quella che la rappresentasse come illuminata e progressiva in modo uniforme. Per molti riguardi, invero, egli fu in modo superlativo un uomo della sua età. In nessun punto particolare ciò si rende più manifesto come nel suo atteggiamento verso la natura, cioè nel suo soprannaturalismo. Egli è un perfetto medievalista nella sua fede nei miracoli. nella sua credulità puerile, nella Sarte essenziale data nel suo sistema tco-»gico al diavolo, personaggio per lui indispensabile c di assoluta realtà. Satana è per lui il padre delle tempeste, dei terremoti e di tutto ciò che in natura vi è di forze demolitrici e perturbatrici... Egli créde con profonda convinzione allá stre
goneria, c raccomanda che contro le supposte streghe sian presi i più severi provvedimenti. “ lo le bruccrei tutte», egli sentenziò. Ma Satana — concepito da lui pluralisticamente come servito da' innumerevoli agenti e satelliti — è anche er lui autore di tutte le disgrazie e di tutte
colpe dell'uomo: ed è strano come i Cristiani di quello e di altri periodi della storia potessero ascrivere a Satana la responsabilità di tutte le colpe e miserie, puf ammettendo la propria responsabilità.
...Basta leggere una sola frazione della leggenda diabolica di Lutero per rendersi conto come egli vivesse in un mondo radicalmente diverso dal nostro; un mondo in cui non era ancora penetrata la scienza con la sua missione risanatrice, rcgolarizza-tricc, iugatrice dei terrori; in cui alla psicologia non si pensava neppure in sogno, ed il senso comune, esso stesso, era estremamente raro.
E la ragione di questo si è che se il senso Sratico di Lutero era sano, egli non scen-eva però mai fino al fondo dei problemi: egli non era punto un metafisico. E in secondo luogo, l'idea del demonio gli era njolto comoda: ed egli la sfruttò abilmente. Nessun demonio poteva essere infatti troppo schifoso e ributtante per incarnare e rendere sensibile un mostro quale il peccato.
Per un altro punto noi ci .troviamo privi affatto di contatto con Lutero: cioè nella dottrina di una natura umana caduta c corrotta: dottrina singolarmente in contrasto.con l'atteggiamento sano c sensato verso la vita umana che caratterizzò questo iconoclasta del monachiSmo.
In naturale alleanza con questo soprannaturalismo crudo c talora esasperante, noi troviamo nella teologia di Lutero molto di quel ripugnante c bruto meccanismo della sua età che ci costringe, anche allora che sentiamo l'ardore de) suo spirito, a renderci conto dell'abisso che divide la nostra età dalla sua.
Infatti mentre la mentalità moderna concepisce il Cristianesimo come un processo vitale, uno sviluppo, uno spirito intimo... per Lutero il Cristianesimo è ancora un piano preesistente, un metodo di salvezza, una serie di condizioni che s’impongono. La sua teologia non riesce a liberarsi dall'idea di schematismo, di rivelazione formale, di piano di redenzione... benché questi schemi meccanici siano in lealtà estranei al suo spirito.
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Il determinismo di Lutero fu un elemento pure stravagantissimo della sua teologia in contraddizione con tutto il movimento della Riforma. Fu esso che gli alienò le menti piò aperte del suo tempo, specie Erasmo, la cui dissertazione sul ■ libero arbitrio» provocò la sua risposta « dell’arbitrio schiavo *. Fu questa una delle cause della disistima in cui Lutero fu tenuto in Inghilterra.
Per Lutero - il volere umano è come una bestia da soma. Ed è Dio a montarvi sopra; esso vuole ciò che Dio vuole e va dove Dio vuole; se è Satana a montarvi su, esso desidera e va secondo che egli vuole. Nè esso può scegliere il cavaliere clic preferisce, nè recarsi esso da lui; ma sono i cavalieri che contendono fra loro per il suo possesso... »
La teologia meccanica fa presa su Luteio in un altro punto ancora: quello della sua Cristologia. Benché sia la personalità di Cristo intorno a cui si accentra la sua cristologia più che la sua natura o il suo ufficio, pure quando egli si fa a formulare c definire una dottrina su Cristo, ricade nella idea convenzionale della sua nascita soprannaturale e delia sua eguaglianza con Dio...
Oltreché limitato dal soprannaturali-smo e dal meccanismo della sua epoca, Lutero fu ancora limitato dal suo proprio individualismo... Egli fu estraneo al messaggio sociale del Vangelo e al significato sociale del Cristianesimo, come lo mostrò il suo contegno verso i contadini nella loro rivolta. « Il volgo dovrebbe avere la legge— egli disse, — anziché il Vangelo ». E non solo non riuscì ad anticipare il messaggio sociale del Cristianesimo come è inteso all’epoca nostra, ma egli fu anche cieco di fronte al gran movimento sociale degli Anabattisti con la sua passione per la giustizia c le opportunità sociali...
Non già che l’importanza data da Lutero al lato individuale del Vangelo sia errata: al contrario essa ha un valore innegabile. Solo essa abbisognava di essere integrata dal Vangelo della giustizia sociale per renderla individualistica in un senso più vero.
Finalmente, fra le deficienze teologiche di Lutero non dobbiamo tralasciare 1‘intolleranza grossolana che così spesso dispiegò, non solo verso Ebrei, Maomettani, papisti, ma anche verso i migliori dei suoi confratelli protestanti. Questa intolleranza è un difetto non solo dell’uomo, ma anche del teologo. Fino a che la teologia non di
venga aperta c sensibile alla verità da qualunque campo essa venga, non può adempire alla sua vera missione.
....Disgraziatamente nessuno si trovò abbastanza grande da costruire una teologia protestante capace di incarnare e tradurre in realtà lo spirito della Riforma.
Mela n tono vi si avvicinò... Calvino fu un giurista cristiano più che un teologo e fece servire la teologia alle finalità dello Stato, piuttosto che ai bisogni più ampi della mente e dello spiritò umano. Fu con Schleiermacher che la vera teologia protestante fece la sua comparsa: ma essa ancora attende chi completi !'edilìzio.
L’intuizione principale di Lutero fu quella del potere dei Vangelo di santificare e trasformare la vita in tulli : suoi istinti e attività: o in altre parole, la missione della fede in Cristo di liberare e ricostruì rela vita umana... Questa fede giunse a Lutero e per mezzo di lui a piena coscienza, risvegliandosi dal torpore in cui aveva giaciuto per secoli: ed egli si eresse, nuovo Atanasio, « contra mundum », per rivelare al Cristianesimo se stesso, come forza redentrice e ricostruttrice della vita intiera... Dinanzi ad essa, le « buone opere », le penitenze, le propiziazioni, le osservanze, tutte, le forme e le mode familiari della religione ecclesiastica, avvizzirono corneo» pollo nella fiamma dello spirito vivificatole. Dopo che Lutero ebbe parlato, gli uomini mirarono coi volti illuminati, e videro Cristo tornare ad essi con le parole: <» Io sono venuto perchè voi abbiate vita, e la abbiate più abbondantemente ».
E' vero che il rinnovamento fu solo parziale: la fede non era grande abbastanza per produrre il rinnovamento dell'individuo intiero c di tutto l’ordinamento sociale. Ma i nuovi cieli e la nuova terra erano prossimi: e gli uomini conobbero che un nuovo giorno aveva albeggiato.
In Lutero troppo presto le fiamme della nuova vita s’illanguidirono. Egli perse la speranza, e si persuase che il mondo era sì pieno di malvagità; che sarebbe presto giunto al suo termine. Egli non ebbe rocchio per sostenere la figura del Cristo che si trasfigurava. Ma la visione era venuta, il nuovo canto di redenzione aveva risuonato e non potevano le ,s,ùe note andare perdute; e l’umanità è tornata a sentirle di quando in quando, nei secoli xvii e xvnr debolmente: nei secoli xix e xx più chiaramente: ad altri che verranno sarà riserbata la piena armonia >.
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BILYCHNIS
A questo sommario sguardo aìì’aspetto dottrinale, teologico, rituale, ecclesiastico del Luteranesimo dato attraverso gli scritti di studiosi devoti all’argomento e di rara competenza — Sguardo che si estenderà in un prossimo numero conclusivo allo aspetto politico-sociale della Riforma — non potremmo dare intanto una più degna conclusione e corona che riportando in riassunto, la chiusa dell’articolo stesso del Buckham sulla posizione di Lutero nella teologia moderna :
«La nuova coscienza del significato più vasto delia fede in Cristo, quale albeggiò sullo spirito di Lutero, fu gravida delle verità più luminose e liberatrici della teologia moderna, 'cioè:
i° Una nuova concezione dei rapporti di Dio all’umanità, per cui Dio e l’uomo si appartengono a vicenda.
2® La morte del domma: perchè il domma non può coesistere con una fede che si nutre quotidianamente del Pane di Vita.
3° L'universa/izzazione del Cristianesimo. Lutero non riuscì egli stesso a scorgere questo lontano orizzonte, impeditone dalla nebbia dell’ignòranza che avvolgeva la sua epoca. Le altre religioni erano poco conosciute al suo tempo... La sua riconquista del Vangelo fu tutta a vantaggio di un mondo anche più vasto che il Cristianesimo, benché egli non se ne rendesse conto...
Si può domandare se questa nuova coscienza di Lutero, e per suo mezzo dell’Europa, di un significato più vasto^del Cri
stianesimo. implicasse in ultimo la riunione delle Chiese.
A prima vista, e per più anni di esperienza, sembrò tutto il contrario. Essa portò con sè scismi, lotte, la Guerra dei Tren Canni, il Concilio di Trento, passioni, partiti, sette.
Pure, insicme-a tutto questo, venne anche una purificazione almeno parziale della Chiesa insieme alla messa in evidenza della complessità e della ricchezza dell’esperienza cristiana, delle sue idee e pratiche, ciò che è essenziale per una completa comunione cristiana.
Vi è inoltre nel cuore della fede luterana un principio che reca con sè una grande speranza- di riunione del Cristianesimo, cioè il suo carattere cristocentrico, frutto di un’intima esperienza. Se in luogo di basi dottrinali, dommatiche, storiche, di governo, quali fondamenti di - unità, il vincolo comune di unione diverrà — come sta difatti divenendo sempre più — l'esperienza . cristiana accentrantesi in- Cristo. noi avremo certo in esso il fondamento di un'unità che abbraccia il Catto! icismo col suo senso di solidarietà, e il Protestantesimo col suo senso di libertà e individualismo.
Quando questa riunione sarà effettuata, colui che inchiodò le tesi sulle porte della chiesa di VVittenberg, e scrisse della Libertà del Cristiano, e della Schiavitù babilonica della Chiesa... sarà riconosciuto, a dispetto della sua stessa limitata visione, quale uno dei suoi principali fondatori e promotori. »
G. Pioli.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Rodi* - Tipografia dèU'Uaionc Editrice, Via Federico Ce*i. 45
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BILYCHNIS
RIVISTA MENSILE ILLUSTRATA DI STUDI RELIGIOSI © • •
VOLUME XII.
ANNO 1918 - II. SEMESTRE
(Luglio-Dicembre. Fascicoli VII-XII)
ROMA
VIA CRESCENZIO, 2
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INDICE PER RUBRICHE
ARTICOLI.
Allier Raoul: Il Cristianesimo e la Serbia, p. 276.
Fasulo Aristarco: Brevi motivi d’una grande sinfonia (Della Provvidenza), p. 218.
Giulio Benso Luisa: Il sentimento religioso nell’opera di Alfredo Oriani, pagine 27, 242.
Lattes Dante: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico: Ahad-haam e la sua opera, p. 40, 167.
Id.: Note di vita e di pensiero ebraico, p. 294.
Meille Giovanni E.: Psicologia di combattenti cristiani. Note e documenti, p. 114.
Id.: La scomparsa di un profeta americano, p. 273.
Murri Romolo: La « Religione » di Alfredo Loisy, p. 49.
Id.: Giuseppe Toniolo, p. 269.
Nazzari R.: Le concezioni idealistiche del male, p. 133. . •
Pioli Giovanni: Il CattoliciSmo tedesco e il «Centro Cattolico», p. 11.
Id.: L’« Etica della Simpatia » nella « Teoria dei sentimenti morali » di Adamo Smith (Esame critico),- p. 147.
Provenzal Dino: L’anima religiosa di un eroe, p, 232.
Puglisi Mario: Realtà e. idealità religiose (a proposito di un nuovo libro di A. Loisy), p. 63.
Rossi Mario: Giovanni Hus, l’eroe della nazione boema. - L’influenza germanica nella Boemia pre-ussita, p. 2.
NOTE E COMMENTI.
Emmanuel: Opera di ricostruzione. Un programma di riforme scolastiche, p. 94.
Fasulo A.: A proposito di Riforma,-p. 292.
G. P.: Religiosità imperialistica tedesca (Documenti), p. 190.
Luzzatto Leone e Arturo Vinay: Osservazioni sulle previsioni di qui quondam, p. 290.
Qui .quondam'. Previsioni? Risposta aperta ad una lettera chiusa, p.* 185.
INTERMEZZO.
Qui quondam: La Carriola (La brouelle). Dalle Musardises di Rostand, p. 74.
PER LA CULTURA DELL’ANIMA.
Chiminelli Pietro: Gesù e la riforma dell’individuo, p. 77.
In memoria di Elena Paschetto Davio (tav. tra le pag. 280 e 281).
Lafon Giovanni: Le piccole cose, p. 89. Vóci profetiche: Il desiderio dei malvagi perirà (Isaia). - Al popolo italiano (Raffaele Salustri). - Una coscienza etica mondiale (V. E. Orlando, presidente del Consiglio). - L’avvenire delle nazioni e la religione (Giorgio Tyrrell), p. 285.
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IV
BILYCHNIS
Wagner Carlo: «Lascia i morti», p. 178.
Id.: Preghiere, p. 279.
Id.: « Tutto a tutti... » (Sermone), p. 281.
TRA LIBRI E RIVISTE.
A) I libri.
Rohde E.: Psiche, p. ni.
Salvadoretti Pietro: Dalla guerra alla pace, p. 215.
Sella Emanuele: L’Eterno Convito, p. 301.
Serra Renato: Esame di coscienza di un letterato, p. 306.
Tharand Jérôme et Jean: L’ombra della Croce, p. in.
Chiminelli Pietro: Gesù di Nazareth, p. 298.
Id.: Il « Padre nostro » e il mondo moderno, p. 298.
De Lorenzo Giuseppe: India e Buddismo Antico, p. 309.
Gentile Giovanni: Il carattere storico della filosofìa italiana, p. 196.
Kemme LandelS W.: Storia popolare dei Battisti, p. 213.
Leoni Umberto: Fonti pagane di usanze e riti cristiani, p. 212.
Loisy Aldred: La religion, p. 48.
Minucio Felice: L’Ottamo, con introduzione e versione di Umberto Moricca, p. 213.
Onomasticon totius latinitatis, p. 112.
Pansa Giovanni: La « Porta di ferro » e le leggende abruzzesi del tesoro nascosto, p. 210
Id.: Topolessicografia funeraria dell’Abruzzo, p. 210.
Id.: Il Rito Giudaico della profanazione dell’Ostia e il ciclo della Passione in Abruzzo, p. 210.
Petronc Igino: l’Etica e l'Ascetica, p. 303.
B) Le riviste.
Chiapponi Alessandro: Positivismo spirituale, p. 198. .
Croce Benedetto: Paul Claudel, p. 200. Gentile Giovanni : La profezia di Dante, P- J97Klattzkin Jakob: Problemi fondamentali dell’Ebraismo, p. no.
La Cina religiosa, p. 107.
La Sorsa Saverio: Costumi e Riti Pugliesi, p. 211.
Lawrence Edward: Origine, significato e valore etico della preghiera, p. 312. Murri Romolo: Libertà e determinismo nella storia e nella guerra, p. 200.
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INDICE GENERALE
Ahad-haam: Il filosofo del' rinascimento spirituale ebraico: Ahad-haam e la sua opera, p. 40, 167.
Allier Raoul, p. 276.
Allier Ruggero, p. 122.
Anima: Per la cultura dell’A., pa. 77, 178» 279.
Ascetica: L’A. di Igino Petrone, p. 305.
Autocritica: Germanesimo e A., p. 194.
Battisti: Storia popolare dei B., p. 213.
Buddismo: Là dottrina del Budda e i moderni buddisti, p. 309; Il B. e l'avvenire della giovane Asia, p. 310; Fasi del B. moderno, p. 311.
Cambini Leonardo: L’anima religiosa di un eroe: C. L., p. 232.
Casal is Alfredo Eugenio, p. 128.
Cattolicismo: Il C. tedesco e il «Centro Cattolico», p. 11.
Centro: Il Cattolicismo tedesco e il « C. Cattolico», p. il.
Chiesa: C. e Stato nel pensiero di Dante, p. 197Chiminelli Pietro» p. 77, 298.
Cina: La C. religiosa, p. 107.
Claudel Paul, p. 200.
Cornei Auquier Andrea, p. 125.
Corso Raffaele, p. 210.
Costa Giovanni, p. ni. 112, 213.
Cristianesimo: Fonti pagane d’usanze e riti cristiani, p. 212. Il C. e la Serbia, p. 276. V. anche: Storia del Cristianesimo.
Croce Benedetto, p. 200, 308.
Cuche Adolfo, p. 129.
Cultura: Per la C. dell'Anima, p. 77, 178» 279.
D’Annunzio Gabriele, p. 199.
Dante: Chiesa e Stato nel pensiero di D., p. 197De Lorenzo Giuseppe, p. 309.
De Stefano Antonio, 213, 301.
Determinismo: Libertà e D. nella storia e nella guerra, p. 200.
De Vargas F, p. 107.
Durkheim Emilio, p. 195.
Ebraismo: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico: Ahad-haam e la sua opera, p. 40, 167; Problemi fondamentali dell’E., p. no; Note di vita e di pensiero ebraico (IV. L’organizzazione degli ebraicisti di America: La psicologia del ragazzo ebreo d’America e la sua educazione; Herman Kohen come pensatore ebreo), p. 294.
Escande Gustavo, ,p. 130.
Estetismo: Misticismo ed E., p. 199.
Etica: L’E. della simpatia nella « Teoria dei sentimenti morali » di Adamo Smith p. 147. L’E. di Igino Petrone, p. 304.
Etnografia: E. religiosa, p. 210.
Evoluzione: L’E.- religiosa e morale, p. 54.
Fasulo Aristarco, p. 218, 292.
Fede: I simboli della F., p. 59.
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VI
BILYCHNIS
Filosofia: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico:, Ahad-haam e la sua opera, p. 40, 167; Le concezioni idealistiche del male, p. 133; L’« Etica della Simpatia» nella «Teoria dei sentimenti morali »di Adamo Smith, p. 147. Rassegna di filosofia religiosa (XXIII): Germanesimo e auto-critica; Sociologia e’ religione; Il letterato italiano; Chiesa e Stato nel pensiero di Dante; Positivismo spirituale; Misticismo ed estetismo; Libertà e determinismo nella storia e nella guerra; p. 194. — Id. (XXIV): Igino Petrone; l’Ética di I. Petrone; L'ascetica; Letteratura pura; Due pre-modernisti; Religione, p. 303.
Fontaine Vive Giovanni, p. 128.
Gentile Giovanni, p. 196, 197.
Germanesimo: G. e autocritica, p. 194« Gesù: G. e la riforma dell’individuo, p. 77. Giulio Benso Luisa, p. 27, 242.
Guerra: G. e religione, p: 50. — Psicologia di combattenti cristiani, p. 114. — Previsioni? (i pericoli maggiori per l’Italia dopo la G.), p. 185. — Libertà e determinismo nella storia e nella G., p. 200. — Dalla G. alla pace, p. 215 — Osservazioni sulle previsioni di qui quo-dam, p. 290.
Guzzo Augusto, p. 298.
Hus Giovanni: Giovanni Hus, l’eroe della nazione boema (V. L’influenza germanica nella Boemia pre-ussita), p. 2.
Ireland, mons. p. 307.
Kemme Landels W., p. 2x3.
Klingebiel Giovanni, p. 130.
Kohem Hermann, p. 296.
Laffay Paolo, p. 124.
Lafon Giovanni, p. 89.
La Sorsa Saverio, p. 211.
Lattes Dante, p. 40, in, 167. 294Leggende: Riti e L. abruzzesi, p. 210.
Leoni Umberto, p. 213*
Libertà: L. e determinismo nella storia e nella guerra, p. 200.
Loisy Alfredo: La « Religione di A. L., p. 49. — Realtà e idealità religiosa ( a proposito di un nuovo libro di A. L.), Ì>. 63. .
Lutero: Per il IV centenario della nascita della Riforma: III. Lutero, figura centrale della Rifórma: Giudizi sull’uomo e sul riformatore, p. 98. — V. anche RiformaLuzzatto Leone, p. 290.
Male: Le concezioni idealistiche del M.,
P- X33.
Massip Giovanni, p. 125.
Meille Giovanni E., p. 114, 273.
Mignot, mons., p, 307.
Minucio Felice, p. 213.
Misticismo: M. ed Estetismo, p. 199.
Mito: Miti e leggende abruzzesi, p. 210.
Monod Giovanni, p. 126.
Morale: Religione e M,, p. 52.
Munì Romolo, p- 49. 200, 269.
Nazzari R., p. 133.
Oriani Alfredo: Il sentimento religioso nell’opera di A. O., p. 27, 242.
Orlando Vittorio Emanuele, p. 287.
Pansa Giovanni, p. 210.
Paschetto Davio Elena, p. 280.
Pedagogia: Opera di ricostruzione. Un programma di riforme scolastiche, p. 94.
Petrone Igino, p. 303.
Pioli Giovanni, p. 11, 98, 147» 202, 315.
Positivismo: P. spirituale, p. 198.
Preghiera: Preghiere, p.. 279. — Studi recenti intorno alla P., p. 312.
Provenzal Dino, p. 232.
Provvidenza: Brevi motivi di una grande sinfonia (Della P.), p. 21.8.
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INDICE
VII
Psicologia: P. di combattenti cristiani,, p. 114. — La P. del ragazzo ebreo d’America e la sua educazione, p. 295. — Storia e P. religiosa, p. 309.
Puglisi Mario, p. 63, 309.
Rauschenbusch Walter, p.' 273.
Religione: Il sentimento religioso nell'opera di Alfredo.Oriani, p. 27. — La «Religione » di Alfredo Loisy, p. 49- — Realtà e idealità religiosa (a proposito di un nuovo libro di A. Loisy), p. 63. — La Ciña religiosa, p. 107. — Psicologia di combàttenti cristiani, p. 1x4. — Rassegna di filosofia religiosa, p. 194, 303. — Etnografia religiosa, p. 210.— L'anima religiosa di un eroe, p. 232. — Storia c psicologia religiosa, p. 309. — V. anche Cattolicismo, Etraismo, Riforma, Storia del Cristianesimo.
Riforma: Per il IV centenario della nascita della R. (III. Lutero, figura centrale della R.: giudizi sull'uomo e sul riformatore), p. 98. (IV. Rapporti fra lo spirito della R. e quello della Germania contemporanea; Lutero commemorato in Germania), p. 202. (V. Aspetti dottrinali, teologici, rituali della R. luterana), p. 315. — A propòsito di R., p. 292.
Riti: Il R. di domani, p. 60. — li R. Giudaico della profanazione dell' Ostia e il eliclo della Passione in Abruzzo, p. 211. — Fonti pagane d’usanze e riti cristiani, p. 212.
Rocco Edoardo, p. 73.
Rossi A. Mario, p. 2.
Rostand Edmondo, p. 74.
Salustri Raffaele, p. 286.
Salvadoretti Pietro, p. 215.
Serbia: Il Cristianesimo e la S., p. 276.
Serra Renato, p. 306.
Simboli: I S. della fede, p. 59.
Smith Adamo: L’etica della Simpatia nella « Teoria dei sentimenti morali > di A. S., p. 147.
Sociologia: S. e religione, p. 195.
Stato: Chiesa e S. nel pensiero di Dante p. X97.
Storia del Cristianesimo: Giovanni Hus, l’eroe della nazione boema, p. 2. — Per il IV centenario della Riforma, p. 98, • 202, 315.
Teyssaire Giorgio, p. 129.
Toniolo Giuseppe, p. 269.
Tyrrell Guglielmo, p. 287.
Vinay Arturo, p. 290.
Wagner Carlo, p. 178, 279, 281.
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In deposito presso ia Libreria Editrice " Bi lychnis” Via Crescenzio 2, Roma
NOVITÀ
maria bersano begey
Vita e pensiero di Andrea Towianxhi (1799-1878)
Milano. 1918. Pag. 468. - L. 6.
"... In questo libro M. B, B. ha fissato. con mirabile maestria, le linee del pensiero e la fisonomía della vita di Andrea Towianski : l'idea e l'opera sono fermate per sempre in queste pagine, ricche d'intelletto e d'informazione, nate e cresciute nell'ambiente che serba ancor vivida la vibrazione dell’uomo. E un libro che resterà fondamentale intorno all'argomento...1 "... La storia dell’avvenire riconoscerà al Maestro polacco un posto eminente in quella profonda elaborazione religiosa che riempie la prima metà del secolo decimonono..." "... A queste pagine ricorreranno molti spiriti bisognosi di certezza e di forza, molte anime anelanti alla luce della conoscenza e al riposo del bene..." GIOVANNI AMENDOLA.
GLI SLAVI
di A. M1CKIEWICZ
... poiché in questo conflitto gli slavi stanno dalla parte della civiltà latina, è necessario che i latini conoscano i loro alleati... Nessuno in questa materia ha maggiore autorità del grande poeta slavo...
Sommario: Il Messianismo La tradizione - L'idea del dovere- Della proprietà -L'ideale della repubblica di Polonia - L'antipatia della chiesa per lo Spirito Nuovo -L'importanza della tradizione alava - Che cosa è la parola - Misteri della parola, ecc.
Pag. 180. Prezzo L. 3.
POEMI FRANCESCANI
di A. M. D. G. L. 4.25 ... L'Autore ha una sola pretesa : di offrirci un Francesco dei “Fioretti".
LA SCUOLA NAZIONALE
In questo volumetto V. CENTO raccoglie scritti che nel periodico La nostra scuola agitarono e discussero largamente il problema della rinnovazione nazionale della scuola italiana. - Vi si trovano gli scritti di Anile, Cento, Ferretti, Modugno, Murri, Prezzolini, Terziglia. Sanna, Varisco, Vidari, Vitali e Volpe.
Pag. 206. PREZZO L. 3.
= OCCASIONE FAVOREVOLE = per i soli nostri Abbonati non morosi:
L’Amministrazione di Bilychnis, per accordi presi cogli Editori dell’opera, può offrire per L. 10.550 (franco di porto) il bellissimo volume
GIORGIO TYRRELL
Autobiografia (1861-1884) e Biografia (1884-1909) (Per cura di M. D. PF.TRE)
Quest’opera, edita signorilmente, non può, non deve mancare nella biblioteca di quanti coltivano con amore gli studi religiosi.
Il grosso volume (680 pagine) costa normalmente L. 15.
Rivolgersi
all’ Amministrazione di Bilychnis
Opere di ALFREDO LOISY :
LA RELIGION
I. Religion et morale. - II. L'Évolution religieuse el morale. - III. Les caractères et les facteurs de l’évolution religieuse. - IV. La discipline humaine. - V. Les Symboles de la foi.
PbZ. di pag. 316.
Prezzo in Italia: L. 5
MORS ET VITA
Prezzo l. 2.25 ♦ ♦ ♦
— ÉPITRE =
AUX GALATES
Prezzo L. 3.60
* * *
® LA BIBBIA ® E LA CRITICA (Un ottimo libro, scritto con dottrina, competenza e con spirito profondamente religioso e cristiano).
Prezzo l. 2
Cumont Franz : Le religioni orientali nel paganesimo romano (volume di pag. 309) . L. 4 —
Profezie d’Isaia, figlio di Amoz. Tradotte e chiarite da Antonio di So-RAGNA . . . L. 5 —
Frank Thomas : Les heureux. Etudes pratiques des Béatitudes. L. 4.30
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WILSON
La Nuova Libertà
Invito di liberazione alle generose forze di un popolo (legato)
Prezzo L. 4,80
LE SORGENTI
DI
A. GRATRY con prefazione di G. SEMERIA
Prezzo !.. 4,20
GIOBBE
Tradotto dall'ebraico e annotato da GIOVANNI '.UZZI
■y > .“.'T - i ’*
Prezzo T» 1.80
Prezzo del fascicolo Lire 2
NOVITÀ
Raccomandiamo ai notiti lettori:
L'Editore della Biblioteca di Studi Re. giosi ha pubblicato in questi giorni un bel volume ch'è destinato ad avere senza dubbio un ottimo successo:
LA CHIESA
E I NUOVI TEMPI
È una raccolta di dieci scritti originali dovutialla penna di Giovanni Pioli - Romolo Murri - Giovanni E. Meille - Ugo Janni - Mario Falchi “ Mario Rossi - ' Qui Quondam ' - Antonino De Stefano -Alfredo Taglialatela.
1 soggetti trattati, preceduti da una vivace introduzione dell’Editore Dott. D. G. Whittinghill, sono tutti vivissimi:
Chiesa e Chiese - Chiesa e Stato - Chiesa e Questione sociale - Chiesa e Filosofia - Chiesa e Scienza-Chiesa e Critica(2 studi)- Chiesa e Sacerdozio - Chiesa ed Eresia - Chiesa e Morale.
È un libro-programma.
È un libro di battaglia.
Il bel volume, con lignificali»» ceputiM arGitica di Paolo PascHKTTO. iì compone di pagine xxxi-307 e coaia L. o.OV.
Rivolgersi alla Caia Editrice ' Bilychms 1
Via Crescenzio. 2 - Roma
In deposito presso la Libreria Editr. "Bilychnis"
Pietro Chiminelli : Il 1 Padrenostro ' e il mondo moderno. Volume di pag. 200 con 8 disegni originali di P. Paschetto . . . L. 3
Romolo Murri: Guerra e Religione:
Voi. 1. Il Sangue e l’Altare. Pag. 178 . . 2 —
Voi. II. L’Imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa. Pag. 118.............2
***: La Bibbia e la critica (opera premiata).
Volume di pag. 150. .........................2 —
AI NUOVI ABBONATI si spedisce in DONO, franco di porto, il bel volume (4° della Biblioteca di Studi Religiosi):
“VERSO LA FEDE”
nel quale sono trattati i seguenti soggetti: Intorno al Divenire ed all'Assoluto nel sistema Hegeliano (Raffaele Mariano) - Idee intorno all'immortalità dell'anima (F. De Sarlo) - La questione di autorità in materia di fede (E. Comba) - Il peccato (Q. Arbanasich) - Di un concetto moderno del dogma (G. Luzzi) - È possibile il miracolo? (V. Tummolo) -Il Cristianesimo e la dignità umana (A. Crespi).