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ECO
»ELLE VALLI VALDESI
P«3t. TACCIA AIbsrto
10060 AMOflOONA
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 99 - Nom. 8 ABBONAMENTI f Eco; L. 2.500 per Tinterno Spedizione in abbonamento postale . I Gruppo bis 1 TORRE PELLICE - 2f Febbraio 1969 I
Una copia Lire 60 L. 3.500 per Pesterò Cambio di indirizzo Lire 50 1 Ammio riaudiana Torre Pellice - C.CJ>. 2-17557 |
Il Moderatore fa il punto sul “17 Febbraio,,
Verso
una chiesa
confessante
DIVISIONI FASULLE
Ora che il 17 febbraio è passato,
si può forse riprendere le fila del
discorso sollevato dalla lettera aperta « per una riscoperta del senso della fede in Cristo » in tono
più pacato e meno emozionale,
Perchè si tratta di un discorso di
fondo, che non bisogna lasciar cadere sotto il segno di una polemica che ha avuto toni aspri e toni
costruttivi, ma che in ogni modo è
rimasta al livello della polemica.
Ciò che mi ha colpito nel leggere le numerose lettere pervenute
alla redazione in risposta alla lettera aperta di un gruppo di fratelli, è il fatto che molto spesso non
se ne è capito l’intento; e quando
non si è voluto distorcerne il significato, cercando di squalificare
, le persone o di attribuire loro intenti malevoli ed oscuri, come traspare in taluni scritti apparsi sul
nostro giornale e su un foglio locale, si è però considerato in generale l’iniziativa come un attentato
alla celebrazione del 17 febbraio;
quasiché si volesse dai firmatari
cancellare del tutto questa data
e mettere in dubbio il significato
e la validità della storia Valdese.
E’ necessario dunque ridimenisionare l’episodio e cercar di -coglierne le indicazioni valide. Per
conto mio penso che la lettera
aperta era molto chiara e aveva
un contenuto centrale meritevole
ih ogni attenzione: richiamare
ouanti al significato più aut cd impegnativo della festa
di. '' erto si può dissentire da
cti ! ressioni contenute nella
lette pensare che tra le proposte pratiche ve ne potessero essere di più pertinenti. Ma il problema centrale rimane: o facciamo
del 17 febbraio unicamente una
festa popolare di carattere civile,
e allora sembra davvero superata
dai tempi ed essere soltanto un
ricordo, ovvero cogliamo seriamente l’occasione, ogni anno, per
riflettere sul significato della nostra esistenza come Chiesa, per denunciare gli equivoci in cui siamo
caduti, per operare scelte concrete
dettate dalla fede e dalla coerenza
vocazionale.
Ora tutto questo deve essere espresso in modo chiaro e consapevole: ciò significa che non basta
una commemorazione ricca di emotività e di riconoscente ricordo,
elementi umani che non bisogna
disprezzare ma che non bastano
in se stessi a farci uscire dall’immobilismo in cui giacciono troppo le nostre Chiese. La lettera aperta aveva il merito di indicare
alcune decisioni concrete da prendere, un metodo di lavoro e di ricerca da seguire, per non restar
nel vago e per non fare soltanto
delle critiche senza proporre alternative valide, pur senza pretendere di aver risolto con questo il
problema.
Ogni Chiesa, secondo i doni che
ha ricevuto e la situazione concreta in cui si trova, deve fare le sue
scelte, in vista della testimonianza che ha da rendere e per la quale è stata raccolta insieme dalla
grazia del Signore.
La severa sobrietà dell’Evangelo dovrebbe farci capire subito che
non è con cerimonie o festeggiamenti che risolviamo il problenia
della nostra vocazione; cerimonie
e festeggiamenti hanno la loro ragion d'essere soltanto in funzione
di quella vocazione e devono esse
re coerenti con essa. A che serve
sentirsi molto Valdesi al 17 febbraio e poi dimenticarsene per il
resto dell’anno? Certo sappiamo
che per tutti noi l’interiorità della
fede è cosa importante e non ci
piace sbandierarla; ma se la fede
è soltanto un fatto personale e nascosto, quando si renderà testimonianza, come Chiesa minoritaria
che ha per l’appunto una storia
di scelte radicali in funzione della
fede, all’Evangelo del Regno di
Dio?
E' a questo punto che emerge
con particolare serietà il problema
della Chiesa — popolo: questo è
un dato di fatto nel quale ci troviamo, ma è urgente che la Chiesa ■—
popolo ridiventi la Chiesa confessante, se non vuol ritrovarsi ad essere un fenomeno etnico religioso.
Se la discussione aperta dal manifesto così criticato saprà continuare, senza vicendevoli scomuniche, senza malignità ingiustificate, attraverso gli strumenti che
ogni Chiesa locale saprà individuare come i più efficaci, anche questo
17 febbraio, con tutte le sue polemiche, non sarà passato inutilmente e sarà un richiamo del Signore
alla sua Chiesa.
Neri Giampiccoli
Anche qui come in ogni luogo ci
sono molte etichette e molti schieramenti. Ora appaiono « i contestatari » come da un anno o poco più a
questa parte sono apparsi i « capelloni ». Hanno visto alla televisione
o al cine tipi così conciati e li hanno imitati. Tutto lì. Sono oggi « capelloni » oppure contestatari come
v’è la moda (qui poco) della minigonna e come, negli anni trenta, vi
era quella delia donna crisi.
Qui si vedono le cose bene, perché risaltano più chiaramente nello
sfondo incolore, ma non è difficile
supporre che dappertutto siano
uguali. Gran divi.sione fra contestatari e conservatori, fra quanti temono i rivolgimenti per le incertezze
che essi portaiio con sé e quanti
non vedono al5 ra soluzione che una
rivoluzione radicale - che muti interamente la situazione. Gli uni non
avvertono il nuitamento dei tempi
e si attengono c m decisione, e a volte anche con amore, alla tradizione.
Gli altri non s portano più, e chi
potrebbe dar If.ro torto, il mantenimento dello si atu-quo considerato
come ultima rovina. Dall’osservazione dei fatti < dai discorsi non si
va molto più m là. Quel che appare è questo. C/è poi, come sempre,
chi sostiene bene una causa e chi
la sostiene m& e, ma all’esterno le
posizioni son queste, anzi divengono sempre più intransigenti tanto
che persino il dialogo sembra impossibile.
Però, se si va líen addentro nella
vita degli uomiiti?*t«ìoè se si va oltre
ai lorp discorsi e, anche, alla loro
«iimimniiiiimiiiiii
iiiiiiiiiiiiimimiimiiiMimiiiii
iiiiiiimiiiiiiiiiiiimimimiiiiiitiiiiiiiiiiiimimiiMimiiiiiiii ii
iiniiiiiiimiiiim
Cari Fratelli,
abbiamo letto con attenzione la vostra lettera, cercando sinceramente di
capire il problema che vi ha tormentati il giorno di Natale.
Avete citato alcuni fatti, potremmo
ricordarvene degli altri, che anche voi
conoscete, in occasione dei quali pastori, concistori, commissione distrettuale non sono stati « dalla parte dei
padroni», ma hanno preso posizione
in occasione di crisi, licenziamenti,
lotte operaie alla Talco-Grafite, Mazzonis, Beloit, Val Susa, Widemann,
ecc.
Vi possiamo anche assicurale di non
aver mai detto o i>ensato che una persona sia un « buon membro di chiesa »
semplicemente perché ha del denaro
0 perché dà lavoro a pochi o molti
operai e ci stupiamo che altri colleghi possano aver affermato qualcosa
di simile.
Non ci sembra, infine, neppure necessario notare che «Il Pellice» non
è un giornale dei pastori o della chiesa valdese (i giornali della chiesa hanno pubblicato la vostra lettera). «Il
Pellice» è quindi libero di stampare
quel che crede, ma non impegna alcuno di noi.
Nella vostra lettera citate altri due
fatti particolari: il messaggio natalizio in un grande stabilimento e il rifiuto di mettere a verbale in una assemblea di Chiesa affermazioni del tipo di quelle fatte nella vostra getterà.
Avete sollevato le questioni cc-.n i pastori e i concistori interessai’? Siamo
certi che potete discuterle fraternamente con loro.
Ma oltre a questi fatti abbiamo sentito nella vostra lettera una preoccupazione di fondo che può essere espressa in questo modo: «la realtà della
società attuale è la lotta di classe. In
questa lotta — voi dite — la chiesa
deve prendere posizione e se non si
mette dalla parte del proletariato passa inevitabilmente coi padroni ».
Se abbiamo capito giusto e le cose
stanno in questo modo, non vi possiamo seguire. Nel Vangelo giustizia e ingiustizia sono distribuite in modo diverso: da una parte c’è Cristo, solo
Le etichette non dieon più nulla, le qualifiche sono
svalutate; non così la vita, il messaggio incarnato
in uomini nuovi: questo fa sempre pensare e turba
La scelta evangelica
Alcuni pastori in Val Germanasca rispondono alla “lettera aperta,, di un gruppo di operai valdesi delle Valli
giusto, e dall’altra ci siamo tutti noi,
ingiusti senza esclusione. Da una parte c’è solo il suo regno e dall’altra tutto il nostro mondo, comunque organizzato.
Naturalmente, proprio perché la nostra società non è il regno di Dio, nel
mondo ci sono oppressori e oppressi,
atti più ingiusti e meno ingiusti, ricchi e poveri e i credenti sanno da che
parte è il loro Signore e da che parte
chiede loro di schierarsi.
Ma non è possibile teorizzare sugli
oppressi e sui giusti, identificarli con
un gruppo o una classe sociale, come
se essere con Cristo o contro di lui fosse un fatto che dipende da considerazioni di carattere politico e sociale.
L’Evangelo ci impegna nella via scomoda di riconoscere volta per volta e
caso per caso, nella libertà e nel rischio della fede, la scelta conforme alla vocazione cristiana. Pensiamo, per
es., al Terzo mondo di fronte alla cui
popolazione anche il proletario dei nostri paesi si trova in posizione di privilegio, o al fatto che la difesa dei posti di lavoro nelle nostre zone è fatto
in concorrenza con quelli dei paesi sottosviluppati. Le stesse difficoltà che
voi denunziate nel trovarvi in chiesa
accanto ai vostri «padroni», i cristiani del Terzo mondo possono denunziarle nei confronti di tutti noi e rinnegarci come fratelli in Cristo.
Non accettiamo l’affermazione «un
valdese partecipa a qualunque sciopero, purché sia politicamente giustificato nel quadro della lotta di classe ».
Non per assumere un atteggiamento
di neutralità e di distacco, ma perché
qualunque nostro criterio (anche quello politico e anche quello teologico)
non è identico e non può sovrapporsi
alla scelta evangelica.
L’atteggiamento degli antichi vaidesi e molti avvenimenti del passato
della nostra chiesa ci confermano in
questo tipo di scelta e in questa linea
di azione.
Gustavo Bouchard, Franco Davite, Luciano Deodato, Cipriano
Toum, Giorgio Tourn, pastori
in Val Germanasca.
maniera di esprimersi, questa divisione attuale, come già altre, appare
più che mai « fasulla », non vera,
malgrado i contenuti, anche veri, e
le battaglie che si sostengono.
Chi fa più caso oggi alle dichiarazioni « sono cristiano » o « sono
ateo »? Oppure « sono cattolico » o
« sono protestante »? Le etichette
non dicono più nulla e le qualifiche
sono svalutate. Fumo. Si farà attenzione al modo di essere dell’uno e
deH’altro, al senso che egli dà alla
propria vita. Per quel che riguarda
le parole e anche la dottrina, lo
stesso messaggio cristiano vien considerato cosa sorpassata dai tempi.
Non così la vita, però, cioè il messaggio incarnato in uomini nuovi:
questo fa sempre pensare e turba.
Che cosa vuol dire « io sono col
movimento operaio » oppure « io
sono col movimento studentesco »,
quando si fa una vita comoda e si è
perfettamente inseriti nel sistema,
tanto che la nostra casa ed i nostri
comportamenti non differiscono per
nulla da tutti gli altri?
Vivendo la vita di una città, la
sua vita economica, sì anche commerciale, ci è dato a volte di scoprire queste cose. Ecco delle persone politicamente schierate in campi opposti, come possono esserlo
quello comunista O democristiano,
di confessione diversa, cattolica o
protestante, di orientamento rivoluzionario o tradizionalista... ma spesso, in fondo, che differenza c’è? Chi
li domina è l’interesse personale,
nella maniera più comune, più
piatta.
Così la divisione vera non mi pare essere quella fra contestatari e
conservatori, come, ben spesso, non
10 è più fra cattolici e protestanti.
La divisione vera, non fasulla, che
segna un confine profondo, sta in
quel che l’uomo è nella sua vita
quotidiana, nel suo essere in mezzo
agli uomini, nel suo vivere in Cristo o fuori di lui. La divisione vera
sta nel fatto se è avvenuto in lui o
no quel mutamento radicale di mentalità per cui non è più condotto dal
suo istinto di conservazione, ma da
una fiducia piena e profonda nell’opera che Cristo compie. In un caso, al di là di tutte le proprie autodefinizioni, sarà teso a conservarsi,
a costruirsi delle sicurezze, e si integrerà, malgrado tutti i suoi discorsi, nel sistema o, se volete, nella figura del presente secolo. Nell’altro caso, sia che sappia o no
esprimersi, far discorsi o tacere, per
forza di cose, si dissocierà continuamente dal modo di essere della società d’oggi.
Si potrebbe raccontare la Parabola del Buon Samaritano in due modi a secondo se essa è detta a quei
di sinistra o a quei di destra. A quei
di sinistra: « Passò il politico e girò
11 volto dal lato opposto dicendo
’’non voglio far dell’assistenza, si
tratta di mutare il sistema”; passò
il sindacalista e fece lo stesso dicendo ’’quel che importa è che giunga
in tempo per lo sciopero”. Poi passò un industriale. Questi raccolse il
disoccupato affamato nella sua auto,
si sporcò del suo sangue, e portatolo a casa, gli diede quant’era necessario per tirare avanti ».
A quei di destra: « Passò un industriale e girò il volto dal lato opposto dicendo ”son io a dar lavoro
a tanti operai, non posso perdere
tempo; vada a lavorare piuttosto”.
Passò un grasso borghese e fece lo
stesso dicendo ”se mi fermo avrò
delle noie, ognuno per sè e Dio per
tutti...”. Passò un povero operaio e
raccolse lo studente, ancora sotto
l’effetto degli stupefacenti. Lo portò a casa, lo curò con amore, perdendo la sua giornata e con essa il
pane della sua famiglia ». Nelle due
parabole, come in quella narrata
nell’evangelo, il Buon Samaritano è
Cristo, e per fare il somigliante occorre avere lo spirito di lui. Senza
questo spirito, non si è con gli oppressi, ma si mantiene comunque il
sistema che li opprime.
Le attuali strutture del mondo, se
mantenute così, finiranno con portare tutti alla rovina. Questo è certo. D’altra parte, quali prospettive
può avere un mutamento di sistema,
anche il più radicale, se gli uomini
continuano ad essere omicidi? Sono
gli uomini che fanno le strutture e
poi queste li rendono schiavi. Però
è anche vero che un uomo liberato
da (¡risto non ne subisce le catene;
l’esempio dato dalla lettera a Filemone parla chiaro. E, per contro,
anche il sistema più umano può divenire una prigione se gli uomini
hanno animo di servi. Ciò è evidente. Gli (c uomini nuovi » non possono che cercare le cose nuove le quali poi son fatte solo da Colui che
« fa ogni cosa nuova », non attardandosi più neppure su ciò che era
vero ieri, perchè il « nuovo » di Dio
si rinnova ogni giorno. Ma non tutti quelli che cercano novità sono
uomini nuovi, poiché a volte avviene che le cerchino per mettersi a
posto la coscienza, come fanno i cri
Leggete all’interno la pagina
periodica della F. F. V.
In questo numero:
l’adozione
stiani con la cc religione » o, anche,
per moda cioè proprio per quanto
ci è di vecchio nella natura umana
che ha sempre bisogno di accodarsi
alla maggioranza.
Quel che mi pare essenziale oggi,
è che si ascolti l’esortazione fattaci
per mezzo del profeta Ezechiele
(18 - V. 31): « Fatevi un cuor nuovo
ed uno spirito nuovo e perchè morreste voi? », poiché soltanto con una
mente nuova ed uno spirito nuovo
si può comprendere il vero cc nuovo
mondo », quello rivelato nella persona di Cristo, e darne dei segni viA'enti in mezzo agli uomini. Gli uomini dallo cc spirito nuovo » possono rendere vane le vecchie strutture ed indicare al popolo il senso vero della vita ed i fondamenti stabili
di un mondo nuovo. E ciò è dato in
Cristo.
Tullio Vinay
Il Moderatore in Piemonte
Il Moderatore Neri Giampiccoli sta vivendo un’operosa quindicina piemontese. Ha
trascorso prima alcuni giorni a Torino, prendendo contatto con i vari aspetti della vita
comunitaria cittadina; una riunione con il
concistoro ha permesso un esame della situazione, in specie per la grossa questione della
ricostruzione delia casa comunitaria di Via
Pio V; al culto, da lui presieduto e nel pomeriggio comunitario della domenica 16 i
contatti, che già si erano avuti con le varie
opere, si sono estesi a tutta la comunità.
Egli è poi salito alle Valli; ha trascorso
la giornata del 17 con la comunità di Luserna S. Giovanni, e nei giorni successivi ha
avuto tutta una ser e di riunioni e incontri
(Tavola, Cìov, colloquio pastorale a Pinerolo, ecc.), sempre fecondi dì reciproca conoscenza, nelPapprofondimento di tante questioni aperte.
2
N. 8 — 21 febbraio 1969
pag.
ON MENIBRO DEL M.C.S. PROSEGDE IL GOLLOqOID
libri
Chiesa del dissenso: il “dire,, e il “fare,, L'Evangelo,
iei‘1 e
RiRuto della gerarchia teoria-aimuncio-risposta. per cui la teologia si fa all'uniuersità. la predicazione
sul pulpito e per la testimonianza ognuno fa quadrare la pratica con la grammatica - La vera distretta della chiesa non è la crisi di chi non sa come o che cosa predicare, ma la persecuzione dei signori che essa sconfessa quando confessa Cristo Signore ; ma i nostri ‘ no spesso non negano nul a
Caro direttore,
negli ultimi mesi e, in particolare
dopo il Sinodo, l’Eco-Luce ha dedicato
molto spazio ai problemi suscitati dalla « contestazióne » dei giovani del
M.C.S. fuori e dentro le chiese. Voci
contrarie si sono alternate con voci
favorevoli, ma, a parte la riflessione
che indubbiamente si è cosi provocata
nei singoli e nei pruppi, mi sembra
che, in questo caso, lo strumento giornalistico non si sia dimostrato quello
più adatto per costruire qualcosa e
non limitarsi ad esprimere delle opinioni, restando ciascuno fermo sulle
proprie posizioni. Per questo non mi
era sembrato opportuno intervenire
nella polemica, né tanto meno definire la « posizione » o la « linea » del
M.C.S., non solo perché non sarebbe
legittimo esprimerla individualmente,
ma per evitare che la discussione sul
giornale si cristallizzasse nell’approvazione o nel rifiuto di una «ideologia » o di una « teologia » compiuta e
definita, dalla quale discenderebbero i
vari interventi fatti dal M.C.S. Questa
«compiutezza» ovviamente non c’è e
non è nelle intenzioni di nessuno. Tuttavia, aver scelto di non intervenire
con scritti sul tuo giornale (salvo l’articolo di M. Abate e C. Cazzola in risposta alle domande di Paolo Ricca),
ha comportato, in alcuni casi, un grosso travisamento di ciò che noi pensiamo e diciamo, per cui la discussione
futura (se continuerà) rischia di essere profondamente falsata. Perciò ho
deciso di inviarti questa lettera che
vuole semplicemente contribuire a
chiarire le cose.
Per diretta esperienza conosco la
difficoltà, per non dire l’impossijjilità
di riportare fedelmente un dibattito in
un pezzo giornalistico. Tuttavia, quanto è scritto nell’articolo «Cattolicesimo e protestantesimo del dissenso»
pubblicato sull’Eco-Luce del 31-1-69 è
assai inesatto. Riferendo su di un incontro ecumenico, nel corso del quale
ci sono state numerose opinioni, l’autore si limita a citare per esteso l’intervento del prof. Subilla, valendosi di
una parte, estremamente ridotta e
quindi falsata, del mio, iier confermare la tesi espressa nell’altro. È un procedimento « giornalistico » piuttosto
diffuso contro il quale permettimi di
protestare non in ossequio ad una
«obiettività» che sappiamo bene non
esistere, ma per l’intenzione che c’è
dietro questo piccolo episodio che ho
voluto citare, non per ripicco persoriale, ma per motivi assai più seri. L’intenzione (redazionale, visto che l’articolo non è firmato) è quella di assumere la posizione espressa dal professor Subilla, senza per altro dichi^
rarlo esplicitamente, deformando o minimizzando quanto, dall’altra parte,
viene ad essa contrapposto. L’intenzione è di dire alle coinunità (rappresentate dai lettori del giornale) ; il M.C.S.,
^uslifícando coinè intellettusJistica
teologia e la confesàone di fede espressa a parole, e puntando l’accento solo
sul « fare », si fa debitore di un pesante conformismo agli schemi di qu^
sto secolo, si avvia verso un umanesimo sociale più o meno confortato
sentimenti cristiani e molto da sentimenti marxisti o rivoluzionari, svuotando così di significato le confessioni
di fede del I secolo e dei riformatori e
rinunciando in definitiva a confessare
la fede oggi.
È mia intenzione * cercare di far capire l’equivocità di questo giudizio,
che oltre ad essere espresso da fonte
autorevole, rappresenta una critica di
fondo fatta al M.C.S., nella quale molti lettori ixitranno riconoscersi.
Chiariamo innanzi tutto l’equivoco
possibile sul «fare» e sul «dire», dicendo che queste due cose non comspondono necessariamente ad un impegno pratico l’una e teorico l’altra.
Esiste un «fare» molto intellettualistico e un «dire» molto concreto e
pratico. Questo solo per ribadire che
quando parliamo, ad esempio, della
necessità di fare una scelta concreta
dalla parte degli oppressi, questo non
autorizza a credere che non intendiamo più parlare di Cristo.
Quello che il M.C.S. ha cercato qi
spiegare alle chiese è che non
un «dire» (ad esempio una teologa,
una confessione di fede) che racchiuda
e contempli in sé una serie di azioni
(la testimonianza) definendone « a
priori », cioè in teoria, le modalità.
Tutta quanta la bibbia è contraria a
questo modo di pensare logico-cronologico secondo cui esiste una remta
assoluta e normativa (la fede In Cristo) e una traduzione storica contingente come derivazione da essa. Purtroppo invece questo procedimento
mentale è ben presente nelle nostre
chiese, in questo caso pesantemente
debitrici degli schemi mentali borghesi della società occidentale; esiste in
fatti la teologia (intesa come riflessione su Dio), la quale fornisce ai pastori gli strumenti e le idee per la predicazione, dopo l’ascolto della quale i
credenti faranno la testimonianza, individuale o collettiva. La struttura della chiesa, fondata sulla delega, contro
cui si ergevano i cartelli del M.C.S.,
ben rispecchia questa gerarchia tra
teoria, annuncio e risposta. Così la
teologìa si fa nell’università, con strumenti al livello di coloro che ci son
potuti andare, la predicazione viene
anch’essa affidata ad un gruppo d’intellettuali cioè di persone più istruite,
infine i membri di chiesa dovranno far
quadrare i conti tra rindottrinamento
ricevuto e la loro vita quotidiana _e il
più delle volte chiameranno testimonianza quello che in realtà è semplicemente il loro esplicitarsi mediante parole e atti, che, ovviamente possono
anche essere dettati tra gli altri, da
«principi» evangelici come la rettitudine, la moralità, il buon esempio,
l’amore per il prossimo, ecc.
In quale momento una chiesa siffatta fa una confessione di fede? Scrivendo dei libri, recitando il Credo, educando « bene » i propri figli?
Noi crediamo, e ce lo ha detto con
forza la chiesa confessante tedesca a
Barmen nel 1934, che l’unico modo per
superare la concezione della fede quale abbiamo esprèssa prima sia di rendersi ben conto che raffermatone della signoria di Cristo non può mai andar disgiunta da una negatone di tutte le altre signorie o pretese dominio. Confessare che Cristo è il Signore significa sconfessare gli altri presunti o effettivi signori. E infatti la
distretta della chiesa, di cui i teologi
amano parlare, non è la crisi di chi
non sa come o che cosa predicare, ma
la persecutone cui viene sottoposta la
chiesa da parte di quei signori che essa, confessando la sua fede, sconfessa.
C3resù viene crocifisso dal governo e
dalla chiesa, insieme a dei banditi,
quale sovvertitore dell’ordine politico
e religioso, i discepoli del I secolo vanno al martirio perché dicono Kyrios
Christos anziché Kyrios Kaisar e
quelli del XX secolo finiscono davanti
ai plotoni di esecuzione nazisti per
aver detto Kyrios Christos anziché
Kyrios Hitler.
Noi crediamo altresì che questa affermaziononegazióne, cioè la fede espressa dai credenti, si chiarisca ed
anzi sia possibile solo in un contesto
storico ben preciso. Gli esempi citati
lo evidenziano. Non si tratta quindi di
una affermazione assoluta e di una
negazione assoluta (si; a Cristo - no al
mondo) dalle quali si facciano discendere, volta per volta le conseguenze
per i cristiani sparsi nei secoli. La imsa è attuale, cioè per noi, oggi. Quindi anche la teologia non potrà più essere un «discors o su Dio» svolto da
una classe più istruita di persone per
conto di terzi, ma dovrà essere « mscernimento » della comunità "tra l’affermazione e la negazione, che, nel
preciso contesto in cui essa vive e opera, costituiscono effettivaniente una
confessione di fede. Noi crediamo quindi che il contesto sia determinante
per la confessione di fede.
Questo è il problema. Perché oggi
questo contesto è talmente diverso da
quello, ad esempio, dei riformatori, da
comportare non solo delle parole diverse per esprimere la nostra posizione
di fede, ma anche il fatto di metterci
in una situazione tale che renda queste parole (l’affermazione della signoria di Cristo e la negazione delle altre
potenze) veramente incarnate nel contesto, come lo erano quelle dei riformatori. , .
Infatti, prima di tutto, i riformatori
parlavano all’ interno di un mondo
cristiano, o che comunque così si definiva; noi invece ci troviamo in una
società completamente laica. In secondo luogo sia Valdo che Lutero non si
trovavano a scegliere tra due confessioni di fede, il « non posso altrimOTti » significava la negasrione dell’unica
organizzazione allora esistente. La conseguenza di questo è che la loro confessione di fede, nel momento stesso in
cui si esprimeva, non era un discorso
teologico da cui successivamente sarebbe discesa anche una conseguenza
politica, ma identificava i due momenti. Dire che il credente è salvato per
grazia mediante la fede equivaleva a
dire « no » alla chiesa della religione
e delle opere, cioè alla chiesa di Roma.
Cosi come per i discepoli del I secolo
significava andare contro le leggi dell’impero ed essere perseguitati dalle
guardie.
La nostra situazione è molto diversa.
Oggi dire si a Cristo e no ai « potenti »
è un’affermazione ambigua: fatta all’interno della chiesa può infatti significare una ulteriore separazione tra il
sacro e il profano, per cui da una parte ci si limita a ripetere « Signore, Signora » e dall’altra si condanna genericamente la « politica » ; pronunziata
all’esterno essa diventa^ un discorso
ipocrita e incomprensibüe. La tentazione che corre la chiesa è di dire : noi
predichiamo Cristo e confessiamo la
nostra fede in lui davanti al prossimo,
ma il mondo è diventato sordo verso
revangelo e noi non siamo ascoltati:
questa è la nostra distretta, il fatto
che il mondo rifiuti la pazzia della predicazione. Di qui una sorta di autogiustificazione. Ipocriti, — ci direbbe Gesù — come pretendete che il mondo
riconosca la signoria di Cristo quando
voi per primi la rifiutate a vantaggio
di altre « signorie », con i vostri atti
e le vostre parole, ip ogni momento
della vostra vita e durante i secoli della vostra storia, ima storia tessuta di
alleanze tra le chiese e i potenti, di
benedizioni e di consensi che i vostri
rappresentanti hanno concesso alle cosiddette «autorità»? Il rifiuto degli
« altri » alla nostra pretesa di confessare Cristo come ^olo Signore è dunque giusto e meritato. Noi non possiamo più essere créfluti per quello che
diciamo.
Così anche il «no» che qualche volta le chiese dicono ai « potenti » di oggi è incomprensibile. A differenza di
quello pronunziato altre volte, da Valdo ad esempio, è un «no» che non
nega niente. Niente per coloro al quali è diretto, dal momento che oggi la
società è talmente « democratica » da
accogliere come parte integrante di sè
una critica anche radicale purché essa
sia fatta attraverso i canali previsti
per la critica e l’opposizione (la stampa, i liberi dibattiti, le assemblee, la
predicazione, i partiti, le mozioni dei
congressi o dei sinodi etc.); e questi
sono infatti i canali che le chiese hanno scelto per il loro no. Niente di decisivo neanche per coloro i quali pronunziano questo no, visto^ che quasi
sempre esso è rivolto a diminuire, a
ridurre il dominio dei potenti, a negarne certi aspetti clamorosi (la Spagna,
la Grecia, il Vietnam, i carri arinati)
ma si astiene dal colpire alla radice il
peccato di oggi. Le chiese quindi possono dire il loro no ad una società nella quale tuttavia continuano ad essere ben inserite, salvo pochi inomenti
di contestazione (da ritrovarsi per lo
più nel tempo libero), dei loro membri
addirittura possono far coesistere il
no con la richiesta, agli stessi potenti,
di alcimi favori, di molte garanzfie e
soprattutto di tanta libertà e tanto
ordine...
Per questo oggi noi non confessiamo
nessuna fede. Non è colpa di Dio, che
avrebbe smesso di parlare: la colpa è
nostra che abbiamo smesso di credere che nessuna confessione di fede è
possibile senza la lotta. Oggi per noi
sconfessare i potenti deve significare
opporsi con atti molti precisi al fatto
che la loro signoria venga esercitata e
si perpetui. Oggi per noi vale il richia;
mo dell’Eterno a Israele per bocca di
Isaia, al vero digiuno : « Il digiuno di
cui mi compiaccio — dice l’Eterno —
non è forse questo; che si spezzino le
catene della malvagità, che si sciolgar
no i legami del giogo, che si lascino
liberi gli oppressi e che s’infranga ogni
sorta di giogo?... e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua
carne?» (Isaia 58,6-7) Solo prendendo
sopra di noi questo digiuno noi possiamo pretendere di rivolgerci agli uomini di oggi in maniera credibile, solo
così possiamo pretendere di confessare Cristo Signore e servo, non per essere creduti, ma perchè « non possiamo altrimenti ».
Per questo non credo che il « prender
parte per i servi della nostra società
sia la conseguenza del confessare Cristo come servo » (come affermato dal
prof. Subilia nella famosa riimione).
Sono convinto cioè che non è possibile una chiarezza di fede, teorica, e poi
una solidarietà (anche totale) come
conseguenze. Credo che al di fuori di
questa situazione, cioè quella di farsi
servi con i servi di oggi per essere entrambi liberati, non sia possibile alcuna chiarezza di fede, non sia possibile alcuna confessione di fede.
Marco Rostan
L’Evangelo, ieri e oggi {UEvangile, hier
et aujourd’hui è il titolo originale) è una
bella raccolta di saggi offerti al Prof. FranzJ. Leenhardt al termine di 3.5 anni di insegnamento presso la Facoltà di Teologia delrUniversità di Ginevra. Franz-J. Leenhardt,
ora a riposo, occupò la cattedra di esegesi e
teologia del Nuovo Testamento, ma s’interessò anche sempre di problemi etici e di
•ecumenismo. Il simposio in suo onore, pubblicato nell’ottobre scorso dall’editore ginevrino Labor et Fides, riflette la varietà degli
interessi coltivati dal Prof. Leenhardt durante il suo lungo ministero di insegnamento e
contiene saggi di esegesi e teologia neotestamentaria, di etica e di ecv™^“isrn*>- Pochi
sono i contributi per gli specialisti; per lo
più si tratta di studi di ottimo livello, presentati però in forma piana e accessibile, e
proprio questo è uno dei maggiori pregi del
volume. Il teologo infatti non deve solo capire ma anche farsi capire: il che non sempre accade. Quanto ai temi trattati, molti
sono di grande interesse in quanto si collegano a problemi vivi e immediati. Fra gli
studi sul Nuovo Testamento, segnaliamo
quelli di E. Schweizer (« Ecumenismo nel
Nuovo Testamento: la confessione del Figlio di Dio »), quello di E. Troemé (<c Le
strutture della Chiesa primitiva ») e quello
di Ph. Menoud sui rapporti tra ministero
della predicazione e celebrazione dell’eucaristia nel Nuovo Testamento. Altri saggi sono dovuti a P. Bonnard, W. G. Kummel,
C. Spicq (noto esegeta cattolico), etc. La sezione dedicata ai problemi etici offre, fra gli
altri, un bel contributo del teologo ortodosso N. Nissiotis sui rapporti, cosi ardui da
stabilire, tra teologia e civiltà tecnologica.
Nella sezione ecumenica troviamo due contributi cattolici, uno di Max Tlmr'an e uno
di W. A. Visser’t Hooft sul problema del
giusto e falso adattamento deU’Evangelo alle
culture indigene nei campi di missione.
Insomma, un volume ricco e vario, che
merita di essere segnalato come esempio di
una ricerca teologica seria e viva, che si fa
capire e aiuta a capire, costantemente riferita all’Evangelo, da cui ogni teologia deve
nascere, e nello stesso tempo aderente ai problemi della fede e della vita cristiana di
oggi. p. r.
Itili ll■llMtllllllllmlllllmlllM■lll>llu■'
iiiimimlilimniiilitmm» ............................................imi........
iiiiiiiiiiiiiiimimnimiiiiHiiiimiMiiimiiiimMiu
iiiiimimimiimiiiMiiimiiMiimmimiiiiiiiiiiiHii
Contro la fame degli altri
za
Come già annunciato in precedenai nostri lettori, abbiamo effettuato giorni or sono un versamento
all’Eper di fr. svizzeri 7.000 per la
scuola agricola di Linee Cuchilla,
nella provincia di Misiones, in Argentina.
(1) Alcuni dei pensieri che seguono discendono dalle discussioni svoltesi ad Agape nelTultimo campo invernale, e, in particolare,
dallo studio presentato da Sergio Rostagno.
NOVITÀ
A. M. Hunler
L’Evan^do secondo Paolo
Introduzione
alla teologia paolinica
pp. 140 - L. 700
— Una limpida esposizione del pensiero paolinico scritta per il « non
teologo », ma aggiornata agli ultimi sviluppi della scienza biblica.
— Un libro per chiunque voglia ripensare la propria fede.
CLAUDIANA - 10125 TORINO
Riceviamo ora il relativo addebito in lire italiane, pari alla cifra di
L. 1.016.01.^.
Siccome in cassa vi erano lire
].170.,S96, ora il nostro fondo si è
notevolmente immiserito ed è di Lire 154.381.
Mentre nel prossimo numero del
giornale daremo un nuovo elenco di
sottoscrittori, invitiamo molto caldamente e fraternamente tutti i nostri lettori ad aderire a questa iniziativa, sia in obbedienza a quanto
ci è stato richiesto da Gesìi ed anche
per dimostrare che non siamo una
comunità chiusa, « sotterranea »,
ma siamo cittadini del mondo, compartecipi — e responsabili — di ciò
che nel mondo accade.
Preghiamo inviare le vostre sottoscrizioni al conto corr. postale n.
2/39878 intestato a Roberto Peyrot,
corso Moncalieri, 70 ■ 10133 Torino.
PARABOLE DEL REGNO
Il seme che cresce da sè
(Marco 4: 26 - 29)
Qual è il « mistero » racchiuso in questa breve parabola dell’Evangelo?
Non si tratta di un mistero' qualsiasi, ma di una « verità » che il Signore ci rivela. L’agricoltore getta il seme nella terra e poi attende, paziente e fiducioso. Passano i giorni e le notti ed egli ignora ciò che avviene nel terreno; tuttavia egli sa che «il seme germoglia e cresce»
senza il suo intervento, perchè «la terra da se stessa dà il suo frutto:
prima l’erba, poi la spiga ; quindi, nella spiga, il grano ben formato ».
G’è una evidente analogia tra il seme che cresce da sé e la Parola che
è predicata nel mondo, in vista del regno di Dio. Anche la Parola di Dio
germoglia nel modo che il predicatore ignora e porta frutto a suo tempo.
Il seme che oggi è sparso sulla terra può sembrare una piccola cosa ; eppure, grazie a quel seme ed alla presenza di Dio, si può attendere con
fiducia un prodigioso raccolto.
Malgrado la sua apparente chiarezza, la parabola solleva alcune obiezioni che hanno un certo contenuto. Difatti, se il seme « germoglia e
cresce da sé nel modo che il contadino ignora », dobbiamo forse attribuire alla Parola di Dio un potere taumaturgico, capace di operare in noi
indipendentemente dall’uso che ne facciamo? C’è un modo di « divinizzare » la Bibbia che la rende addirittura « intoccabile », come se bastasse
« possedere » la Parola di Dio nelle nostre case e nelle nostre chiese, per
essere credente. Certo la Parola di Dio può germogliare in noi e portar
frutto « nel modo che l’uomo ignora » ; tuttavia essa non è un oggetto a
nostra disposizione, una specie di fluido magico che dovrebbe operare in
noi ogni volta che lo assorbiamo. Inoltre qualcuno potrebbe dornandarsi: se il seme germoglia e cresce da sé, di giorno e di notte, significa
forse che la Parola di Dio non ha bisogno delle nostre cure e della nostra vigilanza? Non credo che la nostra vigilanza sia superflua, ma bisogna distinguere tra vigilanza e agitazione. Molti cristiani agiscono
come se fossero i padroni del seme e del campo, cioè della Parola e della
loro chiesa. 'Vogliono custodire questi due « beni », ma lo fanno talvolta
in modo cosi inadeguato e presuntuoso, da trasfomiarsi non soltanto
in spaventapasseri, ma in « spaventa uomini » ; questi uomini nei quali
il seminatore, cioè Dio, può gettare la sua semenza, l’Evangelo del perdono e della vita nuova in Gesù Cristo.
« *
Vale dunque la pena di ripetere con fiduciosa allegrezza; «il regno
di Dio è come un uomo che getti il seme in terra, e dorma e si levi, la
notte e il giorno; il seme intanto germoglia e cresce nel modo che egli
stesso ignora. La terra da se stessa dà il suo frutto... e quando il frutto è
maturo, subito egli vi mette la falce perché la mietitura è vicina».
Non ci stancheremo di dire che la semina dell’Evangelo è indispensabile ed ha un carattere di priorità nell’annunzio del regno di Dio o dei
piani di Dio per la salvezza dell’uomo. Sta scritto che, all’inizio del suo
ministrerò, Gesù « andava attorno... insegnando, predicando l’Evangelo
del Regno, e sanando ogni malattìa ed ogni infermità ». L’Evangelo sociale ed umanitario, senza l’annunzio della redenzione personale, è un
evangelo monco ed impoverito; d’altra parte l'annunzio verbale, avulso
dalla realtà della vita e della storia, è insufficiente. Ogni generazione fa
le sue esperienze e noi facciamo le nostre in questi tempi piuttosto confusi e travagliati ; vorremmo far « crescere » la semenza e trasformare il
mondo secondo le nostre convinzioni e le nostre operazioni. Abbiamo
invece il compito di seminare, non di raccogliere o di accelerare ì tempi
della maturazione e della mietitura.
L’Evangelo ha in sé una potenza di germinazione e di crescita che
non può essere condizionata dalle nostre possibilità e dalle nostre ambizioni. L’agricoltore sa « che la terra da se stessa dà il suo frutto » ;
non s’affanna, ma attende paziente e fiducioso. Oggi l’immensa capacità creativa degli uomini rischia di essere fatale alla fede in Dio. Non
abbiamo più il tempo di pensare a Lui, talmente siamo assillati dai nostri pensieri e dalle nostre agitazioni: anche noi, cristiani, parliamo troppo di noi e poco di Dio. Una chiesa meno propensa ai facili giudizi e
meno sicura di sé ha il tempo di seminare e di pregare. Sotto l’occhio
vigile di Dio, la maturazione della sua Parola è più sicura che nelle nostre mani ; « la mia parola non torna a me a vuoto » dice l’Eterno. Molti seminatori soccombono alle loro inquietudini ed ai loro scoramenti;
giudicano severamente la chiesa e intendono rinnovarla. Dio conosce
l’oggi e il domani della Sua chiesa sulla terra. L’essenziale è che la chiesa, invece di essere un’assemblea di gente devota ma sfiduciata, prenda
sul serio Dio e il suo Evangelo, cioè il seme che « germoglia e cresce da sé ».
Ermanno Rostan
3
N. 8
febbraio 1969
PM¡. 3
André Chamson parla del suo ultimo romando: *‘La Superbe,, Adesioni e controadesioni
Il mio antenato era un galeotto
alla "leñera aperta,, sul 17 Febbraio
Durante il pomeriggio comunitario con
cui la chiesa di Torino ha ricordato il « 17
febbraio », nel corso del vario programma
sono state fatte alcune letture di testi poetici
o letterari, e fra questi « La Superbe », l’ultima fatica del romanziere protestante francese André Chamson, un ’cévenol’ accademico di Francia. I lettori forse ricorderanno
che l’opera era stata presentata sulle nostre
colonne, lo scorso anno, proprio in questa
occasione da Edina Ribet. Prima della lettura di questi testi, sono state lette le pagine
con le quali lo scrittore presentava la sua
opera : ci sembrano particolarmente significative, nel sottolineare la vera ’eredità’ che,
nel concatenarsi delle generazioni, ci unisce
ai ’maggiori nella fede’. red.
Non si sfugge alla storia. Tutta la
vita umana è storia: nascita, sviluppo, morte. È la curva della vita
umana. Ma, se ho inseguito un sogno filosofico nella mia esistenza, se
ho cercato un confronto d’idee, se
ho anelato ad una verità, la devo
definire: l’uomo contro la storia.
Sì, la nostra generazione ne ha
conosciute delle cose, degli eventi,
delle lotte, delle sconfitte: la prima
guerra mondiale, le convulsioni, le
rivolte, i fronti popolari, la seconda guerra mondiale. La fuga davanti al nemico. Anche quella la nostra generazione l’ha conosciuta, per
infiniti chilometri. E poi il fronte,
il ”no” dell’irrigidimento davanti
agli avversari, il muro del ”no” al
violento, al tiranno!
Ebbene, aldilà di tutti gli eventi,
aldilà delle catastrofi e delle stragi,
abbiamo scoperto che vi è nell’uomo qualcosa che non partecipa alla
storia, al suo sparire nei torrerUi
nei fiujiii, vi è qualcosa aldilà della
storia. È nella storia e vi partecipa
con passione, perchè siamo stati e
siamo uomini di passione, nei quali
non incidono invano le scelte totali;
ma vi è ad un certo momento il raggiungimento dell’equilibrio fra l’impegno ed il disimpegno, fra la lotta
e la serenità interiore.
Scrivere un romanzo vuole dire
rivivere questa storia personale;
scrivere quelle realtà interiori, che
non sono più storia o non lo sono
ancora, ma che fanno l’anima dell’uomo contro la storia. Così il libro
della ’’Superbe” è stato meditato
per anni. Per anni ho esitato a scriverlo. a pubblicarlo. Ma lo scrivere
ssato è prova di risurrezione.
> altà profonde del movimenti >. trascritto nei documenti
df to, sorge un brusìo, una
fonte fii vita, che non può più essere repressa, ma deve uscire alla luce, deve manifestarsi, si sveglia
dal sonno della morte e parla di
chi fu.
Così sorse, dalla nebbia della storia, nonché dai documenti di un archivio non distrutto, il profilo del
mio antenato Jean-Pierre Chamson.
Quell’antenato lontano, quel JeanPierre Chamson, dal quale traggo
le mie origini, più si va indietro nei
secoli e più lo si trova in compagnia con altri antenati. Se non ci
fosse stato, la storia sarebbe stata
diversa, e noi non saremmo qui. Allora, in quello spirito di fraternità
o meglio di filialità che lega gli uomini attraverso i secoli, ho cercato
di stabilire una comunione con quell’uomo, che tanto tempo fa fu mandato in un campo di concentramento. Perché non si trattava di altro:
si trattava di Buchenwald, di Bergen-Belsen. E alla fine del XVII secolo npn furono poche le personeoneste, che furono deportate in
quell’inferno, quaruìo fu revocato
l’Editto di Nantes e fu dichiarato
che non esistevano più Protestanti,
per cui non era più necessario concedere delle libertà a chi non esisteva più... Certamente non tutti furono presi: a fiumi passarono attraverso le frontiere e andarono in Inghilterra, in Germania, nel Sud
Africa, a Neuj Amsterdam, Vantenata di New-York... E quando nel
1914 la Francia affrontò la Germania, nell’esercito della nazione vicina e nemica si trovavano ben 22 generali e 92 colonnelli di origine
ugonotta. Tali sono gli scherzi della storia. E noi rum abbiamo certo
fatto, come nazione, un buon affare!
Ora, qualunque sia l’analisi delle
cause della persecuzione, quello che
è strano è che nel corso della storia
diventa manifesto che l’uomo ha
sempre avuto il gusto della perse
dizione, ha scoperto un diletto eccezionale nel fare soffrire gli altri.
Ma quello che vi è di ancora più
sconvolgente nella storia è che,
quando la causa è nobile, vi sono
stati sempre degli uomini, nei quali si sono svelate fonti inesauribili
di energie, di forze prima insospettate. La parola ’’resistenza” è stata
molte volte ripetuta e molte cose
sono racchiuse in questa parola. Resistete: cioè non vi lasciate fare, non
cedete alla ingiustizia, non piegatevi a chi vuole annullare la vostra
realtà di creatura uriiana!
Allora ho raccontato la storia di
uno di quei resistenti. Il suo ritratto? Si è sempre curiosi di rintracciare le fattezze di un volto. Ebbene le
matricole delle galere, che sono intatte, riportando mescolati i nomi
dei galeotti per causa di religione e
i nomi dei galeotti per reati (si direbbe oggi: i politici e quelli di diritto comune), riportano anche le
caratteristiche fisiche di Jean-Pierre
Chamson: bassa statura, volto affilato, mento forte, cranio calvo: così
suona la descrizione della polizia.
Su quel ritratto non c’è null’altro
da dire se non che il suo tipo si è
ripetuto con una certa monotonia
per varie, generazioni. Ma quello
che mi colma di stupore e di ammirazione non è il volto, ma è il modo
come quegli uomini hanno sperimentato la persecuzione, come hanno affrontato il dolore e questo per
l’onore dell’umanità (1). Ed allora,
aldilà degli stessi problemi di dot
trina e di religione, traspare un fattore estremamente vasto: la vocazione dell’uomo alla conquista della
libertà totale, della libertà, che non
si ferma mai di secolo in secolo.
È sempre la stessa battaglia, che deve essere affermata e riaffermata di
tempo in tempo.
Quegli Ugonotti si sono battuti
per la libertà di dare del Tu a Dio.
E per conto mio questo era una cosa assolutamente naturale, perché se
Dio è il nostro Padre celeste, perché non ci rivolgeremmo a Lui come
ci rivolgiamo al nostro padre? Ed è
triste e crudele pensare che bisognava passare attraverso quelle violenze per giungere a quello che oggi
tutti accettiamo come normale.
Mentre quegli uomini vivevano in
quell’inferno delle galere, i loro fratelli si battevano sulle montagne.
È una delle prime guerre di resistenza.
Forse il nostro tempo ci porta a
due grandi oggetti di meditazione:
quella sull’universo concentrazionario e quella su Ila guerra di resistenza. Basta che sorga un furore sacro,
la certezza di avere ragione, perché
dei poveri, dei contadini, come erano gli Ugonotti possano tenere fronte ad eserciti bene agguerriti, ad
eserciti regolari. Perché questa protesta indomabile della coscienza
umana?
André Chamson
(1) Jean-Pierre
per l’onore di
■ Chamson avrebbe
\o », Nx1.t.
-detto
Per.^piancanza di spazio, nel numero scorso
non abbiamo pubblicato una serie di adesioni
alla « lettera aperta » per una celebrazione
nuova del 17 febbraio. Lo facciamo ora, soprattutto perchè alcune sono motivate; altre
si sono frattanto aggiunte, e sono pervenute
pure alcune adesioni alla a lettera aperta »
di risposta inviata da un gruppo di Torre
Pellice.
Ketty Comba Muston ci scrive da Torre
Pellice aderendo « convinta che la celebra^
zione e il ricordo del ”17 febbraio” dev’essere
un ringraziamento a Dio soltanto per le sue
liberazioni e che quindi solo nella proclamazione della fede ciò può avvenire chiaramente, senza compromessi con celebrazioni civili
che sono di altro ordine ».
Un gruppo di monitori torinesi — Vanna
Beux Calvetti, Elina Cigersa, Armando D’Auria, Sergio Gandolfo, Sauro Gottardi — concorda : K Non è nella forma esteriore {cortei,
bandiere e petardi, valevoli forse nel 1848
ma non più attualmente) che dobbiamo dare
la nostra testimonianza di credenti nel mondo, ma essendo consapevoli e grati del grande privilegio di poter godere di quella libertà
religiosa per cui i nostri padri hanno
lottato e per questo ringraziare e rendere lode al Signore solo. Quanto ai suggerimenti
concreti da voi proposti, ci sembrano valevoli
e ci ripromettiamo di parlarne ancora. Vi
ringraziamo del modo che avete scelto per dire queste cose; lo preferiamo al metodo troppo drastico della contestazione, che urta compre un poco e non sempre ci trova tutti d accordo ».
A Milano la « lettera aperta » è stata studiata e discussa dal Consiglio di Chiesa, il
quale pur riconoscendo che una parte del documento riguarda esclusivamente le comunità delle Valli valdesi (cortei, ecc.), si è sentito interpellato direttamento e ha aderito, il
che ha determinato un’impostazione nuova
della celebrazione locale: il culto del 16 è
stato impostato sulla necessità del ’ ravvedimento”; nella serata del 17 sono stati esaminati alcuni dei problemi più vivi della testimonianza e del servizio, con 1 intento di
condurre la comunità a un impegno concreto :
sensibilizzare tutti i membri di chiesa, con visite a domicilio da parte di una cinquantina
.............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
imiiiMiMimmiiiiiimiiimiimiiiimmiHimiiimiiiiiiiiiiiimimiiimiiiiimmnmiiiMiMmiim '
> tinnmiiMiiMiiirii'miimiiiiiiiimiiimiiiimiiimiiiiiiiii •
iMHinimiiiiiiiitiiiim'HiiiiiiiimHiHiiHiiiiiiiMiiiiiiMiHNiiiii'HnHiiiiiiHHiiniminiiiin
Il dibattito
Non si può spacciare
in due parole la realtà
della chiesa di popolo
Un lettore, da S. Germano Chisone:
La « lettera » è sicuramente meditata, ha
anche firme pastorali, e ha Un primo gran
pregio : quello di esprimersi mediante la discutibilità delle tesi, anziché col piglio categorico di tanti "manifesti”.
È poi splendida questa decisione e questo
buttarsi avanti dei giovani, questo rischiare
l’iconoclastia, che personalmente vorrei veder esplicata persino su oggetti più concreti:
la Tavola, il Sinodo, ad esempio. Tuttavia
non ritengo di poter condividere il “manifesto" dei giovani, a partire dalla premessa:
« Innanzitutto (dice) ci sembra che dietro la
celebrazione del XVII febbraio ci sia l’equivoco della chiesa-popolo ». Si può ritenere che
si tratti di un equivoco se si sostiene che il
popolo-chiesa non sia mai stata una realtà;
oppure se si affermasse che tale realtà non
abbia avuto un senso, una ragione. Si dovrebbe saper spiegare in forma logica e coerente
perché — mentre le Valli erano state desolate, i ciabot bruciati, i "bari" distrutti, e si
stava fisicamente assai meglio avvolti nella
calda pietà degli abitanti e nelle migliori terre della Svizzera e della Germania — ciononostante, Arnaud in testa, quel popolo ha
voluto tornare alla prospettiva della "ruota”,
delle impiccagioni, delle confische, ai "bari”
inospitalissimi di Praly, di Massello, di Fra
del Torno, di Bobbio.
Non sembra prudente eliminare la questione chiesa-popolo con tre parole : « è un equivoco ».
Inoltre, premesso che nessuno discute la
implicazione religiosa di qualunque evento, e
in particolare del XVII febbraio, sta di fatto
che la Lettera Patente del XVII decreta soltanto la fine della “morte civile” di un popolo, dicendo « Epperciò... i Valdesi sono ammessi a godere di tutti i diritti civili e politici dei Nostri sudditi ». Epperciò... il popolo
Valdese fece festa.
Quanto alla portata religiosa, l’Editto non
lasciava socchiuso neanche il buco del gatto,
e precìsa : « Nulla però è innovato quanto all’esercizio del loro culto ».
Allora fu la Liberazione di un popolo, martirizzato in quanto chiesa, e la chiesa fece
festa perché quanto meno il suo popolo divenne libero; perlomeno, a me sembra sia
così. Non vedo quindi l’equivoco che i giovani
lamentano.
Qui non voglio discutere i dettagli tecnici
delle celebrazioni attuali. Per me i petardi
sono una solenne villanìa, a questa latitudine
di atavica interiorità e quiete; mentre i razzi
scintillanti possono indicare il gioioso annunzio da una mianda all’altra.
Quanto alla conquista religiosa del XVII
febbraio, oltre all’articolo citato vorrei ricordare che mia nonna, ed io non sono Matusalemme, mi raccontava di come sua madre le
raccomandasse di stare attenta agli sconosciuti, poiché chiunque poteva portare un bimbo
all’Ospizio dei Catecumeni dì Pinerolo perché
fosse allevato « secondo nostra Santa Madre
Chiesa » Né mi risulta che 1’« Opera dei Prestiti » sia meno potente oggi che nel 1748,
anno della sua fondazione.
Allora fecero un corteo, seicento montanari
Valdesi sfilarono in testa, finalmente liberi.
Non vedo perché i giovani debbano fare rife
"festa valdese,,
rimento a marce Cu protesta e processioni. Né
perchè trovino tani'. miserevoli i sentimenti
umani, che chiam. o con i nomi di tradizione, libertà, autocoiiipiacimento, mentre è possibile chiamarli con altri nomi; per esempio ;
ricordo, rispetto, impì^no personale.
Certo, il XVII febbraio deve essere quanto
possibile sobrio e dignitoso; ma l’equivoco con"sisterebbe invece nel vedere in questa data
quello che probabilmente non c’è, senza voler
ricordare quello che c’è : la libertà civile.
Solo 81 anni più tardi la Legge 24-6-1929
n. 1159 dirà: «Sono ammessi culti diversi
dalla religione Cattolica Apostolica Romana ».
Ma l’articolo continua con un magnifico:
« PURCHÉ », in base al quale due settimane
fa un pastore è stato ospitato, con scorta d’onore, su una camionetta deUa Celere, a Roma.
Anch’io mi associo di tutto cuore per quel
che la lettera contiene di richiamo a un più
profondo senso dì religiosità e a una riscoperta quale indicata nel titolo deUa « lettera »;
né certo i fattori emotivi possono essere la
nostra sola ricchezza. Tuttavia essi hanno una
profonda motivazione, che non va guardata
con distacco, da persone istruite. Si dice che
la teologia è la preghiera delle persone colte;
ebbene, le persone colte ne facciano parte, se
hanno qualcosa da spartire; ma non mi sembra che la riscoperta del senso deUa fede in
Cristo la si ottenga combattendo le esteriorità,
facendo cioè in pratica anche noi della pura
e semplice esteriorità.
Giustamente i giovani combattono ciò che
sentono foUdoristico, sono urtati dal banale e
dalla convenzionalità, ripudiano le parole scontate e le frasi fatte, non tollerano l’infram
mettenza della volgarità dei petardi o Fìnsi
pienza dei discorsi conviviali, ed è senza dubbio grande la nostra responsabilità di adulti
se temono che si possa confondere il nostro
corteo con il 25 aprile, il 4 novembre, o il
Corpus Domini.
Mario Borgahello
Dalli ai “rossi,,?
Un lettore, da Luserna S. Giovanni:
Caro direttore,
è vero che molti Valdesi ritrovano nel 17
febbraio non folclore, ma un senso di comunione con il passato; è vero che le bandiere
vengono esposte già fin dal 16 eon gesto
spontaneo, antiretorico; è vero che i falò si
riaccendono con genuina allegria, con la disinteressata collaborazione di molti; è vero
che ai « pranzi » non si fanno solo celebrazioni retoriche, ma spesso i pastori trovano
qui l’occasione per un messaggio attuale ed
opportuno.
Certo i pastori e gli altri firmatari della
lettera pubblicata sull’« Eco-Luce » del 24
gennaio lo avevano presente. Per loro, però,
contava di più mettere tutti in guardia dallo
spirito di « routine » che può insinuarsi nelle celebrazioni del 17; avevano soprattutto in
mente il danno che gli aspetti folcloristici della nostra festa potrebbero a lungo andare provocare; in un’epoca in cui si raccolgono fondi per la fame nel mondo è parso loro offensivo lo spreco di danaro bruciato in razzi
e mortaretti. Si tratta certo di una questione
di sensibilità personale. Io per esempio posso
dire di aver sempre sentito troppo simili .alle
« processioni » i nostri « cortei »; i petardi e
i razzi oltre che al concomitante carnevale mi
hanno spesso fatto pensare a Piedigrotta o a
consimili sagre paesane. Con ciò non preten
do di imporre la mia sensibilità, cosi come ì
firmatari della suddetta lettera non volevano
certo indurre nessuno a dìsprezzare cose a cui
attribuiscono valore, il loro era semplicemente
un invito a riflettere e a discutere.
Ed ecco che arrivano le lettere di Attilio
Sibille e di tanti altri ottimi Valdesi che
non hanno capito o temo che non vogliono
capire.
Ciò che fa velo, che impedisce, non dico di
concordare, ma di cercare di capire ciò che
dicono gli altri, è l’insofferenza che molti dimostrano per chiunque « osi » porsi in posizione critica sia nei confronti della « tradizione », sia della civiltà dei consumi, sia della
inerzia spirituale dei più. AUora si passa alla
caccia alle streghe, si grida « al comunista »,
« al cinese » proprio come un tempo i fratelli cattolici gridavano « all’eretico », « al
valdese ». Si passa allora dalla parte di chi
ha interesse a presentare comunisti e socialproletari, studenti e cinesi, pastori e professori « rossi », come una massa di pericolosi
fanatici, che lavorano all’avvento di una dittatura stalinista, gente che è pericoloso stare
a sentire, con la quale è impossibile aprire
qualsiasi dialogo; hanno sempre torto, stiano
zitti, se ne. vadano!
Sulle ingiurie poi di qualche presuntuoso e
fazioso cosiddetto « liberale », taccio, « non ti
curar di lor... » disse un vero poeta.
Ti ringrazio per l’ospitalità.
Riccardo Gat
di persone, alle esigenze vocazionali del nostro
tempo, abbinando pure all’azione un’opera di
diffusione dei nostri libri.
Pure a Verona il Consiglio di chiesa ha
discusso la lettera e ha dato la sua adesione:
Samuele Vezzosi, Pietro Varvelli, Erica Kesselring, Judith Chadima, Franco Ferretti, Elsa
Filippi.
Sono giunte le firme del gruppo di Cinisello : Paolo Bogo, MarceUa Bogo, Giorgio Bouchard, Lucilla Bouchard, Enrico Pavoni, Enrica Speziale, Paolo Speziale, Magda Speziale,
Letizia Vola, Enrico Vola, Nicoletta Rostan,
Carla Peyronel, Mario Peyronel, Irma Sileno.
A Genova hanno sottoscritto la loro adesione i partecipanti all’agape del 17/2:
Maria Alfieri, Maria Vittoria (Marvi) Revelli,
Cristina Rosanda, Rina Marauda, Renata
Pampuro, Nella Revelli, Vittoria Bazoli, Giuseppe Pino, Rita Alimonda, Schenone, Elisa
Roncagliolo, Maria Ruffanti, Vittoria Stocchetti, Anna Piu, Aniello Lombardo, Paolo
Marauda, M. Tremarmi, Bruno Lombardi
Boccia, Laura Tumminello, Ruggero Henking,
Renato Pampuro, Annunciato Doria, Elena
Rosanda, Felix Werner GiUieron.
Da Agape si sono aggiunte le firme di Renzo Turinetto, Danielle Giampiccoli, Gabriella
Tourn.
Ed ecco ancora una serie di adesioni da
alcune località delle Valli valdesi:
Jvonne Allio, Maddalena Alilo, Franco Avondet, Giovanni Balmas, Clelia Bahnas, Elio
Barreca, Ernesto Bein, Mirella Bein, Roberto
Bleynat, Giovanni Buffa, Erminia Correnti,
Dino Gardiol, Franco Girardet, Bruno Jourdan,
Alice Long, Bartolomeo Long, Bruno Long,
Elmo Long, Laura Micol, Renata Malan, Roberto Pons, Olga Ribet, Rina Ribet, Ada Rovara Bounous, Enzo Rovara, Umberto Rovara, Emilio Travers, Ernesto Travers, Rina
Travers, Riccardo Valentino.
^ 4: He
D’altra parte da Torre PeUice riceviamo
questa lettera :
« Come scritto in calce alla ’’lettera aperta ai
pastori contestatari ecc.” a firma Attilio Sibille, pubblicata sull’Eco-Luce del 14 febbraio; trasmetto qui di seguito le firme di
adesione a tutt’oggì pervenute, considerando
chiuso il dibattito.
« Intanto informo che il Concistoro di Torre Pellice si è impegnato per indire al più
presto ulta tavola rotonda in cui vengano discussi i scrii problemi venutisi a creare in
seguito a queste polemiche.
« Si spera, quindi, di chiarificare TUTTE le
posizioni così aspramente assunte; e con l’aiuto di Dio siamo certi di trovare la via giusta ».
Attilio Sibille
Firme di adesione:
Maria Grill, Guido Coisson, Marco Pontet,
Guido Ribet, Luciana Ribet, Gisella Ribet
Gay, Sergio Albarin, Wanda Albarin, Loris
Bein, Paola Peyrot Bein, Stefano Peyrot, Emilia Albarin Peyrot, Maria Aime Cougn,
Maria Gönnet Pasquet.
Da Intra Giorgio Morbo ci ha inviato un
saluto fraterno « nella lieta ricorrenza del 17
febbraio, data che io continuo a considerare
’’radiosa”, nonostante le contestazioni che tendono a mortificarla ».
In queste settimane abbiamo dato largo spaào agli interventi dei let-.
tori sul problema del «17 febbraio»;
siamo loro grati, e molte delle cose
scritte avranno servito, lo speriamo,
a farci riflettere tutti. E’ tempo però
di chiudere, almeno in questa forma,
il dibattito sulle nostre colonne. Intendiamo tuttavia tornare su alcune
delle questioni di fondo che sono state
toccate: sulla ’’chiesa povera”, sulla
necessità che la libertà per cui festeggiamo abbia largo respiro e agganci
concreti e attuati, sul problema stesso
della chiesa dì popolo. red.
Se vogMo veramente ascellare l'EvangeIn
Un lettore, da Luserna S. Giovanni:
Caro direttore,
terminata questa festa del 17 febbraio,
chiedo ospitalità al nostro « Eco-Luce » per
trarre alcune conseguenze e alcuni pensieri.
Questa festa popolare, che è un miscuglio di
usanze di diverse epoche, ha dato quest’anno
occasione per un invito fraterno a discutere
su base evangelica il suo significato. A tale
invito fecero eco gran numero di parole,
dette o stampate, per lo più pungenti, di cui
poche su base biblica. Questo rivela anzitutto che la gente non si sforza di comprendere chi propone idee di riforma.
La comunità valdese, che non dovrebbe
essere mai conformista, vede financo nelle
sue giovani file dei tradizionalisti, formatisi
in un ambiente chiuso, ignorando i campi
di studio, disertando sistematicamente i convegni e i corsi di aggiornamento biblico.
Trovandosi cosi senza un’approfondita informazione, si affidano volentieri ai giudizi
di chi « sa e pup », bevono a questa fonte,
e agiscono conformemente alle « direttive »
ricevute. La tradizione finisce per contare
più deU’Evangelo (sappiamo quale altra
Chiesa usa queste due fonti). Nei rari casi in
cui si ricorre alla lettura di versetti, si cerca
di far dire alla Bibbia queUo che si vuole,
adattandola e servendosene per il proprio
scopo, anziché per la ricerca della giustizia
e della verità.
E’ purtroppo da questa triste situazione
che sono scaturite le reazioni; e questa è una
conseguenza del rifiuto di mettere a confronto le proprie idee con l’Evangelo, in una
ricerca comunitaria.
L’Evangelo ci ammonisce a guardarci dalle tradizioni. No» è l’Evangelo che ci dice
che per insegnare e predicare ne sappiamo
già abbastanza; l’Evangelo non ci insegna ad
aver paura delle « cose nuove », che demoliscono il nostro preteso patrimonio religioso.
Non è l’Evangelo che ei consiglia di buttare fango su chi ha il dono di occuparsi
dei problemi e dei rapporti sociali odierni.
Non dall’Evangelo ci viene ispirato l’uso
del machiavellismo nelle assemblee, per far
passare o bocciare quanto interessa alla nostra tendenza.
Se vogliamo veramente ascoltare l’Evangelo, la nostra vita deve cambiare: non possiamo essere di sentimenti alteri, e pretendere di occuparci dei problemi degli umili;
essere sordi come dei muri, e riuscire ad
ascoltare la richiesta di aiuto che implicitamente ci viene dal mondo del vizio; essere
guide cieche e avere la pretesa di indicare
la via agli inesperti; essere testardi come
muli e lasciarci al tempo stesso condurre docilmente dalla parola di Gesù.
Non mi sembra che questo rinnovamento
possa essere prodotto dalle celebrazioni esteriori del 17 febbraio. Anche i vibranti appelli all’unità dei valdesi, che si son potuti leggere nella stampa locale non evangelica,
mancano di vera forza, in quanto la vera
unità si può trovare soltanto in Cristo. Egli
ci invita a fare un lungo corteo che passa
accanto ai resti dei nostri falò; seguiamolo,
e, passando, ognuno di noi prenda una manciata di cenere e si cosparga il capo.
Dopo questo atto di ravvedimento, partiamo con Lui, col vessillo del Suo Evangelo.
Non saremo più noi a scegliere e stabilire
quel che faremo, ma sarà Lui che ci indicherà ogni cosa. La nostra forza non risiederà nelle nostre glorie passate, ma nel Suo
Spirito soltanto.
Umberto Rovara
4
N. 8 — 21 febbraio 1969
P««- 4
Federazione Femminile Valdese
PAGINA
L’ADOZIONE,
Aspetti fondaeientali della carenza
di cere laniiliari
Da alcuni anni a questa parte
vanno moltiplicandosi e approfondendosi gli studi relativi alla importanza delle cure famigliari nell'infanzia e sempre più si prendono in considerazione le conseguenze a breve e a lungo termine della
separazione del bambino dalla
madre.
Furono le osservazioni degli psicoanalisti prima, e poi quelle degli ospedalismO
psicologi e degli psichiatri specia
la sensibilità dei lattanti alla frustrazione precoce è diversa da individuo a individuo (si dice che
esiste una vera e propria « soglia »
di tolleranza alla frustrazione Soulé), ma è chiaro che gli effetti
saranno tanto più evidenti quanto
più questa sarà stata duratura, assoluta e precoce.
lizzati nella protezione dell’infanzia a mettere in luce l’importanza
vitale della qualità delle cure prodigate al bambino dai genitori nei
primi anni dell'infanzia. Anche la
pediatria, via via che si è liberata,
attraverso le recenti scoperte terapeutiche (soprattutto nel campo
delle malattie infettive e nutrizionali) dalla pressante preoccupazione di salvare la vita dei bambini, ha potuto occuparsi di problemi che solo una trentina di anni
fa sarebbero apparsi marginali,
quali gli aspetti psicopedagogici
dello sviluppo infantile. Ci si è così accorti che i fattori psicologici,
che nella primissima infanzia sono essenzialmente determinati dai
rapporti affettivi, possono addirittura provocare malattie organiche
e viceversa influire sulla loro guarigione.
Secondo alcuni autori (es. Spitz,
Soulé e Aubry) la carenza di cure
materne produce, nel bambino
piccolo, im generale indebolimento dello stato generale, ed anche
una maggiore morbilità e mortalità; ciò spiegherebbe in parte la
estrema facilità di un contagio che
si verifica negli istituti, anche i
più igienicamente 'attrezzati, e la
gravità che in essi assumono malattie generalmente benigne.
significato dì carenza
di cure materne
Si indica col nome di « carenza
di cure materne » una situazione
in cui il bambino non gode di quel
legame affettivo, intimo e costan
La reazione tipica del bambino
piccolo, è la « fame » di affetto incondizionata (che spesso lo manda incontro ad altre delusioni, causate dalla incomprensione dell'adulto), o viceversa un « rifiuto di
affetto » che lo pone egualmente in
condizione di soffrire. Una dimostrazione della gravità dei danni
subiti da questi bambini è data
dalle difficoltà che talora si incontrano nelle prime fasi deH’inserimento in una famiglia, sia pure positiva, affettuosa, accettante. Lo
Spitz che ha studiato a lungo i
bambini ospedalizzati usa l’espressione "depressione anaclitica” per
indicare quello stato in cui prevale l’assoluta mancanza di reazioni,
una specie di torpore, di profonda
tristezza nella quale cade il bambino, e che è quasi sempre accompagnato da un evidente deperimento organico. Se il periodo di carenza non si protrae troppo a lungo,
è sorprendente constatare la ripresa psicologica e fisica del bambino,
quando venga ristabilito il primitivo rapporto con la madre o con
una figura materna sostitutiva. Interessantissimi a questo proposito
gli studi della dott.. Aubry e del
Bolwly, che citanó casi analoghi
di bambini il cui Q.I. si è alzato da
37 a 70 (in tre mesi di maternage)
e da 35 a 97 (dopo diciasette mesi).
La situazione di carenza determinata da separazione e non da
abbandono (cioèfèe si è verificato
l’interruzione di un rapporto affettivo già instauratosi) può venir
compensata con la tempestiva sostituzione della figura materna,
purché abbastanza stabile. Nel caso che si abbia un ritorno della madre, si possono verificare reazioni
diverse. In genere, dopo una separazione breve o « benigna » si produce nel bambino un attaccamento
, ,. . . . • , ansioso (la paura di perdere ciò
tura degli istituti: eliminare alme- riacquistato), al contrario,
no le macroscopiche, anonime co- separazione lunga e negativa
struzioni, dove si ripetono situa- determinare distacco o inca
zioni negative ormai note. ^ riannodare relazioni af
La struttura a tipo « casa fami- gg separazione, oltre che
glia », già molto diffusa all estero, pj.Qiyj^gai-si, si ripete, (e ’’
bambino subisce ripetuti
La situazione dei bambini che,
vivendo in istituti, ricevono cure
adeguate dal punto di vista igienico e sanitario, ma subiscono i danni della mancanza o insufficienza
delle cure materne è oggi considerata veramente patologica ed ha
un nome preciso: ospedatismo.
Negli istituti di assistenza e ricovero dei minori della nostra attuale società, il bambino non solo non
gode di un valido rapporto qualitativo e quantitativo con la famiglia — se questa esiste — (pensiamo per es. agli orari stabiliti per
le visite) ma è anche sottoposto
alla frammentarietà delle relazioni con le numerosissime persone
che rSi occupano di lui. Si pensi
che -da uno studio sul movimento
del personale di assistenza presso
il bambino istituzionalizzato è risultato che in media le persone che
si occupano di un bambino in due
mesi e mezzo sono venticinque.
Oltre a ciò, il bambino in istituto è solo per la maggior parte della giornata o al massimo è in contatto con coetanei, senza alcuno
di quegli stimoli psichici che normalmente riceve in famiglia, quasi senza accorgersene, e che molto bene sono stati chiamati « eco
materna ».
Si pone pertanto il problema di
aggiornare (visto che siamo ancora molto lontani dalla mentalità
che tende alla abolizione) la struttura degli istituti: eliminare alme
superficialità dei rapporti, o di anaffettività vera e propria. L’aspetto maggiormente negativo di queste situazioni è dato dall’instaurarsi, a livello non cosciente, di
meccanismi di difesa contro nuove
frustrazioni, nuove delusioni, sofferenze ripetute. E’ come se in lui,
deliberatamente, sorgesse la decisione di non voler più bene « perchè tanto è inutile ». Il bambino
si chiude sempre più in se stesso,
in un mondo suo e impenetrabile
dal quale non vuole uscire e dove
non vuole che entri nessuno, proprio per non essere ferito nella sua
sensibilità. Spesso l’adulto non capisce questo atteggiamento (lo
considera « ingratitudine ») e il
bimbo si chiude ancora di più; si
crea in tal modo un circolo vizioso
che solo a fatica, con molto amore,
pazienza, comprensione, potrà essere spezzato.
Abbiamo finora parlato di rapporto madre-figlio, ma bisogna
sottolinaere come dagli studiosi
di questi problemi esso non sia
considerato in senso assoluto, insostituibile per l’armonioso sviluppo del nato. Si preferisce infatti
parlare di « figura materna principale » (che non è necessariamente la madre biologica) le cui cure
possono poi essere completate, o
parzialmente sostituite da quelle
di altre persone: pensiamo alla figura paterna, ai parenti, ecc.
Ringraziamo la Direzione
della rivista « Prospettive
assistenziali », che ci ha concesso di pubblicare gli articoli: « Adozione speciale, diritto di famiglia e adozione »,
« Aspetti fondamentali della
carenza di cure familiari » e
« L^adozione dei bambini handicappati ». Questa rivista è
edita dairUnioree italiana per
la promozione dei diritti del
minore, 74 via Madama Cristina, 10126, Torino. Abbonamento annuo L. 1.000.
la figura paterna
Tutti gli autori, ad esempio,
mettono in luce l’importanza della
presenza del padre, importanza via
via crescente con l’età del bambino.
Egli rappresenta un modello immediato e valido di comportamento morale e sociale nel quale, il figlio specialmente maschio, tende
a, identificarsi ed inoltre, quale sostegno economico ed affettivo della madre, assicura direttamente
ed indirettamente la sicurezza ambientale. Ne deriva che la mancanza o l’inadeguatezza della figura
paterna produce nel bambino insicurezza e incertezza di comportamento.
L’importanza della figura paterna ci fa inoltre riflettere su un al
................mimiimimiiMMimiiiiiiiiiitmiiiMM
................................
.^6c.ne glia », già molto diffusa all’estero, si^rin'ete (e quindi il tro aspetto della carenza affettiva:
,e, che Lrmk'erebbe per lo meno, di mo- tràumi), sul fatto cioè che non solo il bam
’“■»¿„d^f^ a chrne fa kvrca Lcare i danni più grossolani e, r/Ìl^obino PÌooolo viene danneggiato
fegLie che, modificato aU’infinito » di ultradipendenza ansiosa, o di dalla mancanza d. validi rapp^
nella sua complessità e ricchezza
dai rapporti col padre, coi fratelli,
coi parenti in genere, presiede allo
sviluppo del carattere e alla normale e armoniosa strutturazione
della personalità dell’individuo. Si
può pertanto ritenere carenziato
anche il bambino che non sia stato
abbandonato, ma la cui madre sia
incapace di instaurare questo legame, oppure quando, per qualsiasi ragione, debba vivere lontano da lei. Cioè il termine « carenza » può designare molte differenti situazioni che genericamente si
possono riassumere cosi:
1) assenza della madre o del sostituto materno (« figura materna »);
2) discontinuità della relazione con
la figura materna;
3) insicurezza delle relazioni con
la figura materna
con i genitori; infatti anche il ragazzino grandicello può subire
danni gravissimi se colpito nei
suoi affetti. In tal senso può essere
carenziato anche il bambino che
abbia avuto, da piccolissimo, cure
materne adeguate, ma ne sia stato
poi in qualche modo privato.
aspetti sociali
del problema
Il difficile inserimento nella società, l’incapacità di assumervi un
proprio ruolo responsabile e l'impossibilità di stabilire con « gli
altri » rapporti di amicizia, di amore, di solidarietà, sono le conseguenze a lunga scadenza delle carenze di cui abbiamo parlato. Entriamo così nell’ampio e triste
campo delle manifestazioni patologiche in psicologia, dei disadattamenti minorili, della delinquenza e delle deviazioni sessuali; dobbiamo cioè tener presente che, oltre un certo limite, i danni subiti
dal bambino per carenza affettiva
diventano irreversibili, e dal momento che ogni individuo, oltre a
vivere una propria vita, è inserito
in un mondo sociale, è inevitabile
che porti in esso tutto il suo bagaglio positivo e negativo. Scrive
Spitz: « Neonati senza amore diventeranno adulti pieni di odio ».
E quindi necessario che ad ogni
essere umano sia garantita, il più
precocemente possibile, stabilità
e sicurezza affettiva: oltre a rendere giustizia all’individuo, rendiamo giustizia alla società.
M.T. ROBERTI
e P. TACCANI
talità corrente circa il « bell’istituto »...
Citiamo le parole dei Racarnier
« il solo trattamento che curi la
sindrome delle frustrazioni precoci è il « maternage » (ammaternamento, come è stato tradotto in
italiano), cioè ritorno del bambino
presso la madre, o mutamento di
atteggiamento della stessa qualora esso fosse inadeguato, o consegna del bambino nelle braccia di
una figura materna sostitutiva stabile ed efficace ».
conseguenze
Quali sono, in pratica, le conseguenze visibili delle situazioni di
carenza? Il bambino istituzionalizzato o comunque sottoposto a lunghi periodi di solitudine, a separazione ecc. subisce prima di^ tutto ritardi progressivi nello svilup
iinMiiiiiiiitimiii
In ogni caso è necessario studia- po psichico e in particolare nello
XAL ----
re a fondo tutte le forme di man
canza di cure famigliari, sia quantitative che qualitative, anche
quando il nucleo famigliare è presente accanto al bambino. Ad esempio anche un rapporto con la
madre, se insufficiente, discontinuo, distorto, può essere più dannoso di una separazione. Le conseguenze della carenza .affettiva
possono apparire prestissimo, .anche prima dei sei mesi, epoca alla
quale abitualmente si fanno risa
sviluppo intellettuale (tipica una
grave insufficienza nella capacità
di astràzione). Particolarmente
colpiti sono i settori del linguaggio
e delle relazioni sociali.
Esiste poi un altro aspetto della
personalità del bambino particolarmente vulnerabile: la sfera affettiva. Il problema qui si pone in
termini veramente drammatici,
perchè il non aver potuto strutturare in modo equilibrato ed armonioso il proprio mondo affettivo
anale ahituaimenie si imiuw ^—,----— j„n„
fire le prime e vere relazioni og- significa incorrere nei rischi della
gettive e la comparsa dell’angoscia nevrosi o in futuri atteggiamenti
propriamente detta. Naturalmente di antisociahta.
Particolarmente complessi e delicati sono i problemi
posti dall’adozione dei bambini già grandi e di queUi che
nresentano handicaps di vano genere: minorazioni fische! psichiche, ritardi mentali, disturbi del carattere e al
L?adiSonf di'^qiesti bambini sono indubbiamente diifàcili, ma certamente non impossibili.
Ecco il caso di Marisa:
un’adozione difficile
La piccola Marisa, ammessa dalla nascita alllstituto
Provinciale per linfanzia, vi rimase ininterrottamente
fino all’età di quattro anni e mezzo. ___
Sin dai primi giorni di vita il suo sviluppo non
presfSò normale. La bambina, infatti, ebbe h« Pp™
eiorni scosse di tremori e in seguito supero frequenti disoensie faringiti, bronchiti, stomatite, otite.
^ ^All’età di un anno presentò episodi di i^rtermia elevata. A ventidue mesi presento crisi convulsiva con cianosi oculogiro, perdita della coscienza. A quattro anni
un’aìtra crisi analoga. Un notevole ritardo dello svfiuppo
psicomotorio venne indicato dai test praticati alla b
na ^^jy^'^ho^fornn^^ centro medico-psico-pedago
^ico dove furono praticati i tests, risultò il seguente :
"" « Non è possibW effettuare una esatta valutazione del
livello di sviluppo psico-motorio a causa del comportamento del sÒggètto'^che si chiude in un totale pegahvisrno e
rifiuta la minima collaborazione. Si suppone un
mentale abbastanza grave: il linguaggio è
prensione limitatissima, la reazione nulla.
ale intellettivo fa riscontro un
fisico. Grave frenastenia cerebropatica, ^on compietamente irrecuperabile. Si propone il trasferimento n
tuto^OTtistituto insufficienti mentali
tò la bambina perché priva dei requisiti richiesti dal regolamento.
L'adozione
All’età di quattro anni e mezzo Marisa venne accolta
in un istituto medico-pedagogico dove rimase poco più di
un anno. In questo periodo si corninolo a notare un leggero miglioramento delle condizioni fisiche della bambina,
mentre le condizioni psichiche permanevano pressoché invariate Anche se appariva più collaborativa e rispondente agli stimoli, Marisa restava molto chiusa ed aveva rapporti difficili con tutte le persone. La bambina soffriva
inoltre di una grave forma di enuresi.
Si pensò a questo punto di tentare un affidamento
familiare ma, dopo appena quattro giorni, la bimba venne ricondotta in istituto dagli affidatari, impressionati dal
suo comportamento. Marisa in quei giorni aveva rifiutato
il cibo, non parlava, non voleva dormire e aveva frequenti
crisi di pianto.
In istituto, Marisa rimase alcuni mesi, quindi per motivi organizzativi venne dimessa e trasferita in un reparto
medico psico pedagogico degli ospedali psichiatrici. Qui la
bambina rimase circa 8 mesi e fu in questo periodo che le
sue condizioni generali cominciarono gradatamente a migliorare.
L’atteggiamento della bambina, in origine puramente
passivo poco partecipativo, rivelò in. seguito ad una serie
di terapie di appoggio e di adattamento una partecipazione discretamente attiva e una certa iniziativa. Marisa
cominciò ad integrarsi nel gruppo a cui era stata assegnata P l’prmresi di cui soffriva frequentemente, divenne un
fenomen^spóradico e saltuario.
Il livello mentale (Q. I- 68) ora si inquadrava in una
insufficienza di grado motorio per il quale la bambina era
sottoposta a rieducazione psico-motoria. Si ritenne a questo punto possibile un certo recupero e parve opportuno
tentare un affidamento adottivo. Si pensò di affidarla ai
coniugi T che molto tempo prima avevano richiesto una
bambina in adozione e che in quel periodo si erano presentati nuovamente per sollecitare la loro pratica.
L’assistente sociale incaricata dell’inchiesta che viene
svolta a seguito della domanda di adozione; aveva manife
stato riserve sulla loro età ; 56 e 46 anni e sull aspetto piuttosto duro della signora, t.a signora T. era infatti poco
5
'Tir 8 — febbraio 1969
pa(. S
PERIODICA
Federazione Femmitiile Valdese
a cura di OHana Bari a Stella Ricca
PERCHE’ ?
Figli “biologici’^ figli adottivi :
risponde] [Maria Teresa Roberti
D. Ti pare fondalo il timore diffuso, secondo il quale esisterebbe una
■disparità di comportamento affettivo
da parte di genitori che adottano pur
avendo uno o piu figli propri, nei
<onfronti del o dei figli adottivi? È vero, cioè, che la cosiddetta « voce del
■sangue » rende inclini ad amare piu
i figli propri che gli adottivi?
R. Non credo che l'atteggiamento
dell'adottante sia diverso (nei riguardi dell'adottato) a seconda se ha o
¡no figli « naturali ». Anzi, personalmente sono convinta che il fatto di
.avere già altri figli lo aiuta ad affrontare i vari problemi pedagogici che
Inevitalbimente si presenteranno.
Prima di tutto non esistono quei
meccanismi di compensazione che
spesso agiscono — a livello inconscio — nei genitori adottivi : tipici
quelli deviranti dalla sterilità sentita
come frustrazione, o dalla perdita di
un figlio che in qualche modo si vorrebbe sostituire.
In secondo luogo il genitore "biologico" sa che un figlio si deve accettare per quello che è, corrispondente
<5 no a quello che di esso si è sognato e sperato ed è quindi più preparato alle inevitabili delusioni che il fìllio può dare (delusioni non solo in
quanto egli riesce « male », ma anche soltanto perchè si comporta in
modo imprevedibile, non consono ai
suoi gusti, perchè non gli somiglia,
perchè sceglie una strada diversa da
■quella che si aspettava ecc...). D'altra
parte ha già una certa esperienza pecfagogica, è in grado di rendersi conto che i problemi ci sono per tutti i
genitori, non solo per quelli adottivi,
che non si possono riportare tutte le
situazioni al fatto specifico dell'adozione ; in genere sa che l'educazione
■ 'vride profondamente sul carattere
ritc h=imbino e non rinuncerà tanto
t e ad agire in questo senso,
pp nte credo che un figlio
debba essere accettato nel profondo
di noi stessi, non soltanto come la logica conseguenza di un atto biologico, ma come una « scelta » (in questo
senso è giusto parlare di « maternità consapevole»); scelta che I individuo (o meglio i due individui che
saranno genitori) fa una volta per
tutte, accettandone implicitamente
ogni conseguenza. A mio parere non
c'è nessuna differenza fra il "rifiuto"
del figlio adottivo e quello del figlio
naturale (vedi il figlio non desiderato, adulterino, ecc...): in entrambi i
casi si tratta di cattiva predisposizione iniziale.
Quanto poi al famoso « Istinto materno », è ben noto che esso può non
esserci affatto in una madre naturale
e viceversa « scattare » al di fuori del
legame di sangue, anche in persona
che non abbia mai procreato. Temere
di fare torti, ingiustizie, ai « propri »
figli, significa già in partenza fare una
discriminazione di scelta (questi sono « miei », li ho voluti io, li ho fatti
io, quello l'ho preso soltanto per fare del bene... ma l'adozione è molto
di più di un atto di beneficienza...
meglio non farla se la si intende solo
cosi ! ).
In poche parole, adottare significa
« avere un figlio » e avere un figlio
non vuol dire metterlo al mondo, ma
progressivamente e spesso faticosamente corrispondere ai suoi bisogni
affettivi, pratici, psicologici, che sono
molto diversi da individuo a individuo, qualunque sia il suo certificato
di nascita.
Vorrei dire ancora una cosa, a proposito dei figli « naturali » che si trovano di fronte ad uno o più fratelli
adottivi : anziché svantaggiati, essi
mi sembrano avvantaggiati perchè
questa esperienza concretamente vissuta li abitua a rapporti umani liberi
da pregiudizi e tabù, li aiuta a superare una visione egoistica della vita
e della famigha li incoraggia a forme di solidarle'à concreta e quasi
istintive.
iiiiiiiimiiiiiiiiiiiimimiimiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiDiiiiiiiiimmnimiiiiiiiimmimiMiiiiiimmiiMmiimiii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimimiiiiiiiiiiMiiiiiiimimiiii
Felicità nell’adozione «•"il titolo di un likro
(ediz. Ferro) di Bianca Guidetti Serra, una
giurista torinese che si occupa in modo particolare di diritto familiare, vice-presidente
dell’Associazione nazionale delle famiglie
adottive e affilianti.
Il libro inizia con cinque ’storie’ vere, che
racchiudono alcune delle esperienze più significative e desolanti a mostrare come un
fanciullo può nascere e crescere infelice, di
una infelicità che una più attenta vigilanza
e un più evoluto sistema giuridico e assistenziale avrebbero forse evitato. Centinaia
di migliaia di bambini popolano i brefotrofi,
gli ospizi, gli istituti, e più tardi i riformatori e le case per disadattati, rimanendo alla
mercé di coloro che ’dovrebbero’ proteggerli.
« Un bambino abbandonato — scrive l’Autrice — un ragazzo conteso, un adolescente
sul banco degli
indifferenti; ne a
solo perché si c c )
con diligenza. Per ■]
accaduto di fare,
sociazione nazionali:
affilianti, una pan ■.
za, mi sono delta ;
Felicità eli i o
che vuole non sole
maggiore per i ri,,
norenne solo . mn
giungimento. ne.:im
ne umanamente ?■
gli adottati che pe
sente un modello
basata sugli alleni,
competono ai vari
inserita nel contes ì
istituzioni sociali.
lutati, non lasciano mai
■ può sentire soddisfatti
npiuto il proprio lavoro
uesto motivo, poiché m’è
(ale consulente deU’As;ielle famiglie adottive e
■lare « intensa esperien: iccontiamola ».
■Me e dunque un I bro
uscitare interesse sempre
pi ei problemi del ’miiirattutto servire al rag' "zione. di una situazio! librata e'felice sia per
li adottanti, avendo prei I famiglia solidamente
i ispettosa dei diritti che
i.iembri ed efficacemente
delle relazioni e delle
iiiiimiiinmiimiimiimiimii
del bambini handicappati
■espansiva e sembra si fosse rinchiusa nelle abitudini quotidiane e in un sistema di vita poco favorevole allo sviluppo armonioso di un bambino. Non coltivava amicizie di
sorta e la sua vita era dedita esclusivamente alla cura della casa. La signora si annoiava a restare sola e per questo
aveva deciso di orientarsi verso Padozione. Il signor T. dal
canto suo aveva pienamente condiviso e appoggiato il
progetto della moglie.
Tutte queste circostanze, senza essere di per sé sfavorevoli in senso assoluto, avevano fatto sì; che la domanda dei coniugi T. non venisse presa in particolare
considerazione; tuttavia, nel corso di ulteriori colloqui, si
ebbe modo di apprezzare le doti di cuore e di dedizione
dei due coniugi
Dopo aver spiegato le ragioni per le quali essi facilmente non avrebbero potuto avere una bambina, si propose loro di occuparsi della piccola Marisa.
Naturalmente i coniugi T. furono informati in modo
completo delle caratteristiche della bambina, del suo ritardo, del fatto che la vita trascorsa l’aveva resa fragile e
bisognosa di molte più cure e tenerezza di un bambino
normale, e della possibilità di risultati scoraggianti. Dapprima reticenti, perché temevano di non essere capaci di
affrontare le difficoltà del suo allevamento e della sua
educazione, in seguito accettarono di vederla.
Il giorno in cui avvenne il primo incontro, essi dimostrarono notevole sensibilità e comprensione di fronte
al comportamento della bambina che si chiuse in un
mutismo assoluto e non si lasciò per nulla avvicinare.
Si fece in modo che avvenissero altri incontri, seguiti
poi da passeggiate all’esterno dell’istituto.
Marisa cominciò a poco a poco a notare la presenza
dei signori T. e a mostrarsi affettuosa ed espansiva.
I coniugi intensificarono le loro premum e attenzioni e quando parve che fossero stati stabiliti dei rapporti
affettivi abbastanza profondi, si permise che portassero
la bambina a casa loro. Marisa aveva quasi srtte anni.
L’assistente sociale che aveva svolto l’inchiesta preliminare si impegnò di offrire il suo aiuto per tutto il
periodo di affidamento. . . .
Es.sa visitò regolarmente e frequentemente i coniugi
Il padre
degli orfani
Sunto di predicazione pronunciata in una comunità valdese, quando le fu
rivolta domanda di adottare un bambino rimasto orfano. Il bambino fu poi
adottato, ma non da una famiglia di quella comunità.
Testo: « Padre degli orfani e difensore delle vedove è Iddio,
dona al solitario una famiglia » (Salmo 68: 5).
Iddio
H! * H=
T. e svolse un’azione di sostegno non tanto con i consigli
dati quanto con il suo interessamento e con la sua presenza amichevole.
Dopo quattro mesi di affidamento l’assistente sociale
riferiva : « Marisa è completamente cambiata, è passata
dal frequente mutismo e dalla timidezza di un tempo ad
una loquacità e disinvoltura notevole. I signori T. hanno
accettato Marisa così com’è e la considerano già loro
figlia ; quotidianamente sono impegnati nell’aiutarla e migliorarsi. Anche Marisa dimostra di essersi affezionata
ai coniugi T. e non vuole più sapere di tornare in istituto.
« Marisa che all’ingresso in famiglia non sapeva minimamente scrivere, ora ha imparato alcune nozioni elementari ed è quotidianamente impegnata nel compito
che il suo papà le assegna. Fa vita all’aria aperta, ha
molti vestiti e giocattoli, mangia con appetito, non bagna
più il letto».
Marisa cominciò così, a migliorare e a normalizzarsi
progressivamente. Anche il livello intellettuale di Marisa
andò notevolmente migliorando e la bambina apparve in
grado di essere inserita in una comunità scolastica normale.
Dopo solo un anno di affidamento, considerati i risultati raggiunti dalla bambina sia sul piano affettivo sia su
quello intellettivo, i coniugi T. chiesero di procedere all’adozione legale di Marisa.
Ora sono trascorsi tre anni daU’affidamento e Marisa appare completamente rasserenata. I sintomi del ritardo psichico e affettivo sono scomparsi e la bambina è
molto affezionata ai suoi genitori.
I coniugi T. dal canto loro, malgrado qualche inevitabile difficoltà, sono soddisfatti della loro decisione e la
bambina, ora legalmente adottata, appare normalizzata.
Abbiamo riferito il caso di Marisa, il caso cioè di
un’adozione difficile, la cui riuscita è stata molto buona,
per dimostrare che questo tipo di adozione può essere
attuato, a condizione che vengano prese tutte le precauzioni indispensabili.
Sino ad alcuni anni fa non si discuteva neppure, o
lo si faceva solo marginalmente, delle adozioni dei bambini handicappati.
C’è nn bambino di otto anni, orfano, che cerca una famiglia. Sua
sorella è già stata adottata da una famiglia della nostra comunità, ed
ora tocca a lui. Egli è lì, davanti a noi, come una muta domanda rivolta alle nostre famiglie. Ma non siamo solo di fronte a questo bambino; siamo anche davanti a Dio che qui è chiamato tc Padre degli orfani ». Sì, non siamo solo davanti a un orfano; siamo anche davanti
al Padre di quest’orfano. Non siamo solo davanti a un bambino senza
famiglia; siamo anche davanti a Colui che, come dice la Scrittura,
« dona al solitario una famiglia ».
Chiediamoci anzitutto: Chi è il « solitario » al quale Dio ■vuol
dare una famiglia? Si potrebbe rispondere in molti modi, pensando
che su questa terra non c’è nessuno che, vivendo come viviama tutti
in relativa compagnia umana e in relativa solitudine, non sappia che
cosa significa sentirsi soli. Soli anche in famiglia, soli anche in mezzo
agli altri, soli nella folla. Ma diamo pure la risposta più semplice, più
immediata, più spontanea alla domanda: Chi è il « solitario » al quale Dio vuol dare una famiglia? Il solitario è l’orfano, cioè il bambino
senza genitori, o perché sono morti, o perche si sono separati, o perché non si sono mai uniti. Il solitario è anche il cosiddetto « illegittimo », anche se questo termine dovrebbe scomparire del tutto dal
nostro modo di pensare e di parlare, in quanto nessuna creatura umana è illegittima, e comunque sono semmai illegittimi i genitori e certi
loro modi di agire, non certo i bambini. Il solitario è il cosiddetto
(C figlio di nessuno », anche se nessuno è cc figlio di nessuno », perché
Dio è Padre di tutti. L’orfano, il fanciullo abbandonato, il cosiddetto
« illegittimo » o (c figlio di nessuno » —- questi sono « i solitari » ai
quali Dio vuole dare una famiglia.
« Iddio dona al solitario una famiglia ». La volontà di Dio è di
dare una famiglia a chi è solo. La nostra volontà, invece, è diversa:
di fronte a un bambino senza famiglia, la nostra volontà è di metterlo in un orfanotrofio. Gli orfanotrofi sono una creazione della Chiesa
cristiana fin dai tempi antichi e hanno svolto attraverso i secoli un opera di inestimabile valore, e tuttora la svolgono. Anche la Chiesa Valdese ne ha; si tratta di istituzioni preziose che, finché le cose sono
come sono, svolgono un’attività indispensabile e molto bella. Resta
però il fatto che la volontà di Dio è di dare al solitario una famiglia,
non un orfanotrofio.
Ma quale famiglia? La nostra, non quella degli altri. Essa è un
dono che Dio ci ha fatto per essere un luogo in cui l’amore di Dio è
conosciuto e lodato, un luogo in cui la volontà di Dio è fatta e la sua
Parola è messa in pratica. Succede facilmente, invece, che le nostre
famiglie sono un luogo in cui c’è posto solo per i nostri amori, un
luogo in cui la nostra volontà è fatta, la nostra parola è legge, un luogo in cui noi signoreggiamo, anziché il Signore, un luogo in cui ci
sentiamo padroni anziché figliuoli. Quando questo succede, la famiglia anziché essere un centro di amore diventa un centro di egoismo
collettivo. E tale è, nella grande maggioranza dei casi, la famiglia
italiana. È anche per questo (oltreché per una legislazione ancora
inadeguata che regola l’istituto dell’adozione) che in Italia così pochi bambini soli o abbandonati vengono adottati. La famiglia è un
dono di Dio, un dono che Dio vuol fare non solo a noi ma anche al
solitario, o meglio: vuol fare a noi in vista del solitario. Ci sarà fra
noi una famiglia che vuole lasciarsi donare da Dio a un bambino solitario? Questa domanda non è affatto solo rivolta alle coppie senza
figli. Ricordo una famiglia pastorale del Texas che, oltre ai suoi cinque figli, ne aveva adottato un altro: una fanciulla negra.
Dio vuol donare la nostra famiglia al solitario. Ma c’è anche
un’altra famiglia che Dio vuol donare: non solo la nostra, ma la sua!
Una cosa è la nostra famiglia, un’altra cosa è la famiglia di Dio. Le
nostre famiglie son solo per un tempo, si fanno e si disfanno, si compongono e si scompongono; la famiglia di Dio è per sempre. È questa famiglia che Dio vuol donare a noi tutti. Iddio dona al solitario
una famiglia - la nostra: questo è un appello alla nostra obbedienza
e al nostro amore. Iddio dona al solitario una famiglia - la Sua: questa è un’opera della sua grazia e del suo amore. Questo è il dono piu
grande.
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3-52357. Grazie.
Là F.F.V.
6
pac. i
N. 8 — 21 febbraio 1969»
AÉzhme speciale, diritto di iaetidüa e adoiione
. Fino all’anno scorso, tutte le prensioni normative che regolavano i rapporti giuridici tra genitori e figli, tendevano, nella sostanza, a tutelare prevalentemente rinteresse degli adulti:
non vi era un solo articolo del codice
civile in cui, esclusi gli asjjetti patrimoniali, il minore fosse considerato
soggetto di diritti.
Con l’istituzione dell’adozione speciale (L. 5 giugno 1967 n. 431) la concezione tradizionale è stata sovvertita
con l’introduzione del principio del
prevalente interesse del minore. A ragione si parlò di « rivoluzione copernicana» nel senso che veniva posto
al centro del diritto l’adottato privo
di assistenza familiare e non l’adottante privo di discendenti.
La « rivoluzione copernicana », tuttavia, non è avvenuta e non avviene
senza scosse.
Vero è che tutti i magistrati hanno
ormai abbandonato il sistema di numerare progressivamente le domande
di adozione e le dichiarazioni degli
stati di adottabilità, procedendo poi
meccanicamente al loro abbinamento
numerico (bambino n. 1 con coniugi
n. 1, ecc.).
Vero è che certi «abbinamenti» in
massa, come quello avvenuto,,con la
convocazione di 19 coppie di coniugi e
la indiscriminata presentazione di altrettanti bambini adottabili, cui nella
mente del tribunale che organizzò rincontro avrebbero dovuto seguire immediati affidamenti, appartengono alla
storia del passato.
Ma purtroppo molti minori continuano ad essere affidati senza tener
conto del loro «preminente interesse», più volte richiamato dal legislatore.
CosìI ad esempio, il presidente del
tribunale per minorenni di X. continua imperterrito e soddisfatto di sè
ad inviare i coniugi al locale brefotrofio, dopo aver loro fornito il nominativo di 4 o 5 bambini, perché
scelgano quello che ad essi riesce più
simpatico.
Egualmente raoilti ufficiali dello sta^
to civile procedono tuttora ad affidare al momento della denunzia di nascita i neonati figli di ignoti a persone di cui non sono in grado di accertare l’idoneità educativa.
È avvenuto anche che una bambina
non riconosciuta, in violazione alle
prescrizioni dell’ufficiale dello stato civile, non sia stata consegnata all’Istituto Provinciale per l’Infanzia di Roma, ma affidata da intermediari ad
una coppia il cui marito aveva settantatre anni. Ciò malgrado, il giudice
tutelare, venuto a conoscenza del fatto (art. 345 c. c.), lo nominò tutore
malgrado l’illiceità del rapporto e la
sua età. Speriamo solo che il tribunale per minorenni di Roma non conceda l’adozione tradizionale all’affidatario-nonno, sottraendo il minore dalla
procedura di adottabilità.
Ma vi sono anche altri gravi inconvenienti nell’esecuzione della legge.
Per esempio, la circolare del Ministero diigrazia e giustizia (Direzione
generale degli affari civili, uff. IV,
prot. n. 4/876/61 del 23-4-68) dispone
che le spese di pubblicazione su uno o
|MÙ gioviali degli avvisi di ricerca
(art. 314/9 c. c.) dei genitori irrepenbili, che hanno lasciato i loro nati in
situazione di privazione di assistenza
materiale e morale, vengano annotate
a debito dei coniugi adottanti e cosi
pure le spese sostenute dai consulenti
tecnici per gli accertamenti sul minori e sui genitori.
Che le idee dei Ministeri non siano
ancora chiare in materia di adozione
speciale è dimostrato inoltre dall’affermazione contenuta nella circolare
suddetta : « presupposto necessario all’adozione, imposto dalla legge, è l’elevato stato di benessere economico dell’adottante» mentre l’art. 314/2 c. c.
pone come esclusiva condizione di carattere economico (e ci pare giusto!)
che gli adottanti siano «in grado di
mantenere i minori che intendono
adottare».
È deplorevole, infine, che tutto 1 apparato dello Stato, pur essendo espressamente a ciò preposto, dopo l’approvazione di una legge, non sia in grado
di offrire i mezzi necessari per la sua
applicazione, anche quelli più modesti di cui è indice sintomatico il rifiuto, giustificato dalla mancanza di fondi, del Ministero di grazia e giustizia
di fornire al tribunale per minorenni
di Torino una scrivania e una sedia,
costringendo i giudici a fare i turni
per la mancanza di dette attrezzature.
fra'l’adottando e ciascun adottante de
ve essere almeno di venti anni, quella
massima deve essere non superiore al
quarantacinque anni), capacità educative ed affettive («idonei ad educare
ed istruire ») e, infine, possibilità economiche («in grado di mantenere il
minore »).
« « «
Anche la concezione del ruolo sociale della famiglia viene modificata.
La famiglia, che il legislatore del
1865 e del 1939 voleva chiusa in se
stessa*, può oggi avere figli di sangue e non di sangue con piena parità
di diritti tra loro.
L’assunzione, poi, da parte dell’adottato dello stato di figlio legittimo e la
cessazione dei suoi rapporti con il nucleo familiare di origine (anche se legittimo), è il suggello giuridico del valore determinante dei fattori ambientali nello sviluppo della persona in
contrapposizione alla concezione, fino
ad oggi dominante, della prevalenza di
quelli ereditari®.
Ne consegue che la filiazione (legittima, naturale o adottiva) trova il suo
fondamento non nei legami di sangue,
ma nel rapporto affettivo ed educativo (reciprocamente formativo) fra genitori e figli.
Sottolineiàmo, a questo riguardo, i
tre distinti concetti di maternité (atto procreativo), maternage (insieme
delle cure materiali, affettive ed educative per mezzo delle quali il bambino diventa figlio di una determinata donna, procreatrice e non), maternisation (insieme dei processi per
mezzo dei quali il bambino rende la
procreatrice o l’adottante una madre,
sua madre) e corrispondentemente di
paternité, paternage e paternisation .
Le basi etiche e scientifiche su cui si
fonda l’istituto dell’adozione speciale
hanno evidenziato la necessità di rinnovare ed adeguare anche altri campi della regolamentazione del diritto
di famiglia.
Basti ricordare: le dichiarazioni giudiziali-^ di paternità e maternità con
le quali si fa divenire padre
(o madre) il procreatore che non solo
non ha avuto e non ha alcun rapporto con il minore ma che addirittura
non vuole averne, la possibilità di procedere al riconoscimento della prole
naturale in qualsiasi momento co^n
conseguente assunzione della patria
potestà anche quando si è ignorato
per anni il minore, il divieto alla ma^
madre ed al figlio di iniziare l’adozi(me
per il disconoscimento di paternità.
* « *
Notevoli sono pure le rip>ercussioni
dell’adozione speciale nel campo assistenziale.
In primo luogo la legge 431/67 demanda ai giudici tutelari un’azione di
vigilanza su tutti i minori ricoverati
in istituto.
Oggi non sono più possibili equivoci
su questo punto. Ci sembra che ciò
debba essere ribadito a coloro che
capziosamente sfuggono a quanto già
disposto dalle norme sulla tutela vigenti fin dal 1939.
Esse prevedevano e prevedono, infatti, che i giudici tutelari soprintendano (art. 344 c. c.) alle tutele esercitate dagli istituti di assistenza sui minori ricoverati (art. 354 e 402 c. c.), indipendentemente dal fatto che siano
non riconosciuti, riconosciuti o legittimi (art. 401 c. c.).
In secondo luogo è da osservare che
i minori sono dichiarati in stato di
adottabilità quando sono privi di assistenza materiale e morale da parte
dei genitori o dei parenti tenuti a
provvedervi, anche se essi « sono ricoverati presso pubbliche o private istituzioni di protezione ed assistenza all’infanzia» (art. 314/4, 2° comma).
Il legislatore ha, anzi, ritenuto che
il ricovero in istituti costituisca una
fondata presuzione di privazione di assistenza materiale e morale, tanto che
il 3° comma dell’art 314/5 stabilisce:
« Le istituzioni pubbliche q^private di,
protezione o assistenza aU’mfanzia trai
smettono trimestralmente al giudice
tutelare del luogo ove hanno sede l’elenco dei ricoverati o assistiti ».
Fino a ieri si riteneva, invece, che il
ricovero in istituto fosse una valida e
definitiva soluzione assistenziale!
Infine l’applicazione della legge
431/67, anche se scarsa, anzi soprattutto perché scarsa, ha evidenziato le
paurose lacune del nostro sistema assistenziale : mancanza di una linea politica in materia, numero eccessivo degli enti, frazionamento delle competenze, assenza di controlli, ecc., il che
confidiamo, solleciterà il Parlamento a
procedere, finalmente, ad una sistematica e generale riforma dell’assistenza
e del diritto di famiglia.
(1) L’adozione tradizionale era infatti vie
tata (e lo è tuttora) in presenza di figli legittimi e legittimati; I’affiliazione, che non
prevede tale divieto, cc non crea uno stato familiare ma si esaurisce nell’ambito del diritto sostanziale in finalità assistenziali del
minore » (Corte di Cassazione, Sez. 1»
20-1-1961).
(2) Le constatazioni fatte sui « bambini
lupi » sono illuminanti sulla prevalenza dei
fattori ambientali nello sviluppo della persona (vedasi : Singh and Zingg, Wolf Children and Fereal Man, Harpers and Brothers,
New-York and London, 1942; A. Geseh.,
Wolf Child and Human Child; Harpers and
Brothers, 1941; A Viziano, La vera storia
del ragazzo-lupo morto 14 anni dopo la cat
tura, «. La Stampa » del 28 luglio 1968.
(3) Pierre Joannon, Maternage et nursing, in « La Presse medicinale », 1960, 53,
p. 2059; Nicole Quemada. Maternage et
adoption. Ed. Foulon, Paris. In italiano « Cure materne e adozione », in « Maternità e
Infanzia » n. 1-3 del ’66. Estratti presso l Unione Italiana per la Promozione dei Diritti
del Minore.
DONI ECO-LUCE
Da Torino: Edina Ribet 1.000; Guido Vinay 2.500; Bartolomeo Soulier 500; EttoreBeux 500; Emilio Rostagno 500;, Marisa
Chiaria 250; Lisetta Gay 500; Alice Rostagno 500; Arturo Balma 1.000; Enrico Mariotti 1.000; Arturo Grill 500; Venanzio Roblno 500; Giorgio Vidossich 1.500; fam.
Trocello 1.500; Gustavo Ribet 500; RobertoPeyrot 2.500; Francesco Valerio 2.500; Alberto Sebi 500; Emanuele Griset 500; Evelina Taccia 500; B. BeUion 500; Guido
Decker 500; Linette Monastier 500; Maria
Barbiani 500; Speranza Puy 500; Eugenia
Bensa 500; Leopoldo Bertolè 1.000; EnricoPons 500; Eugenia Borione 500; Federico
Balmas 500; Clemente Beux 500; Silvio BeneUi 500; Carlo Pretto 1.000; FedericoAvondetto 500.
Da Bergamo: Bruno Morena L. 500; Beatrice von Wunster 500; Romano Maffeis 500;
Tommaso Quercioli 500; Ernesto Pini 500;
Irene Avogadri Tenger 500; Carla Zavaritt
Rostain 500; Luciano Gay 1.500.
Da Firenze: Emma Forti 500; Elisa Andreì300; Maria Luisa Villani 500.
Grazie! (continua)
RINGRAZIAMENTO
La famiglia della compianta
Giuseppina Giustetti
ve(d. Hugon Prospero
ringrazia tutti coloro che hanno presoparte al grave lutto che l’ha colpita ed
in modo particolar il Dottor. Scarognina, il personale dell’Ospedale Mauriziano di Luserna San Giovanni, i.
pastori signori Sonelli e Rogo e le
persone che sono state vicine alla loro cara durante la sua lunga malattia.
Torre Pellice, 21 febbraio 1969
nmimimiMiiHiiiiiiiimmiiiiiimiiiiiimui)
miiiiiimiiiiiiMiinimitniiiiiMiiiimiiiiiooo"'
VERSO LA *‘G10RJSAIA MONDIALE DI..PREGHIERA„
Crescere insieme in Cristo
L’adozione speciale ha dato pratica
attuazione ad un principio che a noi
pare essenziale: il bambino ha bisogno per svilupparsi normalmente sul
piano fisico, psichico, intellettuale,
morale e sociale, di vivere in un con-,
testo familiare. , .
Infatti, se i genitori d origine o i
parenti tenuti agli alimenti non provvedono al minore, viene ricercata
un’altra famiglia in cui il minore
stesso viene inserito con pienezza di
^'Accanto alla famiglia legittima di
sangue, abbiamo quindi — e pilo ste^
so piano — la famiglia legittima adot
Ma vi è qualcosa di più. Il bambino adottabile con adozione speciale
non può essere inserito in una faimglia qualsiasi, bensì in ipa che abbia
particolari caratteristiche : stabilità
del matrimonio (i coniugi
essere separati neppure di fatto), età
valida da differenza minima di età
Dal giorno in cui Abramo lasciò
il suo paese, la sua famiglia, il luogo sicuro dove viveva, per andare
in una terra straniera « abitando in
tende, perché aspettava la città che
ha i veri fondamenti e il cui architetto e costruttore è Dio » (Ehr.
11: 10), da quel giorno questa prospettiva e questa attesa non sono
mai cessate per i credenti di ogni
tempo che hanno continuato più
o meno tesi, più o meno disponibili
— a vivere « in tenda », come nomadi in marcia, sapendo che tutte le
cose della vita, brutte e belle, le ingiustizie come ogni realizzazione
buona, terranno solo fino al giorno
di Cristo, la cui vittoria porterà
<( nuovi cieli e nuova terra nei quali abiti la giustizia » (2 Pi. 3: 13).
Dal giorno di Abramo è dunque
iniziato il pellegrinare del popolo
di Dio, il suo andare verso il Regno, il suo « crescere » verso Cristo.
Un crescere che non cessa mai, che
non è certo progressivo, anzi che ha
avuto più vigore alle origini che con
lo svilupparsi del tempo.Un crescere che ha raggiunto il suo massimo
culmine quando i tempi si sono compiuti e il Regno si è annunciato fra
gli uomini : durante la sua breve
giornata terrena, assolutamente completa, Giesù ha portato a compimento tutta l’opera di Dio a favore degli uomini.
In che cosa devono essi dunque
ancora crescere?
4! ^
« Crescere insieme in Cristo ». Se
prendessimo isolatamente questo
concetto dell’Epistola agli Efesini,
su cui si ferma a riflettere la gioma
ta mondiale di preghiera delle don
ne, quest’anno, potremmo forse pen
sare tante cose commoventi e edili
canti, che fanno « del bene all’ani
ma », sul fatto che vogliamo cresce
re e ancora di più sul fatto che vo
' gliamo crescere tutti « insieme »
Ma non possiamo spaziare in vaghi
sentimenti, perchè il nostro passo
non conosce un crescere di questo
tipo, che ahhia per esempio per scopo la nostra salvezza personale o il
perfezionamento morale di noi stessi. Qui il Nuovo Testamento parla
a una comunità, proiettata verso la
vittoria di Cristo. Il passo di Efesini, in cui il nostro versetto è incastrato, segue un filo che inizia al
V. 1 del cap. 4. È — tutto il passo
la entusiasmante descrizione, anche
se molto rapida e sommaria, di una
comunità apostolica. Ad essa sono
rivolti tre appelli: il primo è l’appello ai credenti che fanno parte
della comunità, a tenere una condotta degna (v. 1), motivando questa esigenza con la vocazione che essi hanno ricevutoli;Rispondere a una
vocazione è impegnarsi nell opera
di Dio. Abramo si era impegnato,
gli apostoli si sono impegnati, i credenti sono impegnati. Ogni vocazione è una chiamata a servire Dio nel
Giornata Mondiale
di preghiera delle donne
7 Marzo 1969
Tema: CRESCERE INSIEME
IN CRISTO
La liturgia di questa giornata è
stata preparata in collaborazione da
donne del Ghana, Nigeria, Sudafrica,
Congo, Zambia e Kenia.
Il Consiglio di CoUegamento dei
Gruppi Femminili Evangelici in Italia ne ha curato la stampa nella versione itaRana ed in quella bilingue
itaUana-inglese.
Richiederla a:
Gabriella Titta Dreher
via Monte delle Gioie 22
00199 - Roma
c.c.p. 1/51921
ogni copia costa L. 50
le relazioni umane, ogni vocazione
esige che il credente renda conto
della realtà della chiamata. L’altro
appello è il richiamo, di nuovo rivolto alla comunità, a essere unita
(v. 4 ss.) nelle qpiestioni della fede.
L’unità richiesta è motivata dalla
confessione della fede che i credenti
facevano all’atto del battesimo e che
è confessione di uno stesso, unico
Signore e che incorpora in una stessa unica chiesa. Evidentemente all’epoca apostolica l’unità del corpo
di Cristo non presentava gli stessi
problemi che presenta oggi per noi.
Paolo, Pietro, Matteo, Luca, Giovanni, Giacomo, Apollo erano voci tutt’altro che uniformi nel concerto
della Chiesa del Nuovo Testamento!
Ma non voci discordanti, voci anzi
che si arricchivano le une le altre
di nuovi aspetti, mentre confessavano la stessa fede. L’ultimo appello
è quello alla edificazione e alla crescita (v. 11-15) della comunità dei
credenti, la quale avviene grazie ai
doni che ogni membro del corpo ha
ricevuto dallo Spirito, doni di fede,
doni di amore.
A questo punto è bellissimo leg
gere fra le righe dell’epistola e intravvedere questa comunità che si
fa viva e si avvicina alle nostre comunità. Si sente come l’apostolo abbia presente la comunità a lui Jjen
nota di Efeso, in Asia Minore. La
vede strutturata come le altre comunità primitive nelle quali lo Spirito
per prima cosa aveva mandato gli
apostoli a porre il fondamento sicuro, una volta per tutte, e poi man
mano i profeti, gli evangelisti, i pastori, i dottori a lavorare ognuno col
suo dono particolare, per coltivare
la fede dei credenti, « i santi », uomini e donne, giovani e vecchi (e
forse i piccoli che erano già nati nella comunità) onde mettere i credenti in grado di adempiere i vari servizi, dentro e fuori della comunità,
i vari ministeri, che sono: predicazione, insegnamento, diaconia, cura
d’anime, missione; affinchè cessino
di essere bambini incerti, per essere adulti che sanno rendere conto
della fede, non sballottati da dottrine estranee -alla fede, ma capaci di
crescere nella conoscenza di Cristo,
di camminare verso il giorno del suo
ritorno, verso l’adempimento della
sua vittoria. Perchè la crescita sia
completa questo non deve rimanere
allo stadio di dottrina, non deve essere una ricchezza di verità a parole, ma deve riflettersi nella carità,
cioè nell’amore.
* * *
Sappiamo che la Chiesa deve continuare a crescere, sempre, in ogni
epoca, che la crescita non avrà mai
fine finché non sarà giunta nella
città che ha per architetto Dio.
Possa anche la Chiesa del nostro
tempo — sulle tracce dei credenti
di Efeso ^ preoccuparsi di crescere
verso l’unità della fede, di una fede
creduta e di una fede vissuta, « nella piena conoscenza del Figliolo di
Dio ». Questo discorso ci porta certamente molto in là, comunque non
si esaurisce prima che i credenti
siano giunti « alla statura perfetta di Cristo ». Berta Subilia
RINGRAZIAMENTO
I familiari del compianto
Giulio Salvagiot
riconoscenti ringraziano sentitamente
quanti con la loro presenza, scritti,,
fiori, hanno preso parte al loro dolore.
In particolar modo ringraziano il
Pastore Sonelli per la costante ed assidua assistenza, il Pastore Rostagno,
l’Anziano Sig. Roberto Coisson, il
Dott. De Bettini, il Corpo dei Vigili
del Fuoco, gli amici della Corale Valdese e la Società Generale Operaia
di Mutuo Soccorso.
Torre Pellice, 21 febbraio 1969
RINGRAZIAMENTO
II 15 febbraio il Signore ha richiamato a Sé
Giovanni Costabel
di anni 72
I familiari nell’impossibilità di farlo singolarmente ringraziano tutti coloro che con la presenza, fiori, scritti,
parole di conforto, opere di bene, hanno preso parte al loro dolore.
S. Germano Chisone, 21 febbraio 1969
ringraziamento
Le famiglie GriU, Poét e Bertalotto
ringraziano tutte le persone che hanno preso parte al loro dolore in occasione della dipartenza del loro caro
Oreste Grill
« Io sono la risurrezione ela vita; chiunque crede in
me anche se muore vivrà »
Pomaretto, 21 febbraio 1969
RINGRAZIAMENTO
I familiari commossi per la simpatia
ricevuta in occasione deH’improwisa
scomparsa del loro caro
Eli Sappè
di anni 62
ringraziano tutti coloro che con scritti, fiori, parole di conforto e presenza
ai funerali hanno preso parte al loro
immenso dolore; in particolare modo
i vicini di casa, il Pastore sig. Pons ed
il Dott. Bertolino.
«Beato l’uomo che ripone
nell’Eterno la sua fiducia»
(Salmo 40: 4)
Pramollo, 21 febbraio 1969
Il Congresso interdenominazionale
femminile evangelico, che dovrebbe essere convocato entro il 1969, sarà probabilmente inserito nel corso del
« Congresso della Federazione delle
chiese evangeliche in Italia» nel ’70,
per non moltiplicare gli incontri di
vertice; da incoraggiare invece gli Incontri regionali, il primo dei quali ha
luogo a Torino il 23 febbraio ’69, con
la partecipazione delle Unioni, e non
solo di alcime delegate.
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17 Febbraio
e commento dì elconì episodi Arnaud SOllO accusa
deiio vita deila comnnità
Trascurando di parlare di quelle che sono
■definite le attività normali nel quadro della
vita della nostra comunità, non sarà forse
:Senza interesse per i lettori accennare a due
innovazioni.
Il culto settimanale del giovedì è stato ra,•dicalmente trasformato, pur senza perdere
completamente la sua caratteristica di culto
^li studio biblico. Mentre infatti una volta al
mese si continuerà lo studio del Vangelo di
5. Giovanni iniziato Tanno passato (ma con
libera partecipazione dei presenti), nelle aT
tre settimane si tratteranno argomenti suggeriti o dai documenti di studio proposti dal
.Sinodo o da articoli dei nostri periodici evangelici, o da fatti attinenti la vita della Chie.sa (non soltanto evangelica) nel mondo, o
-dal sermone della domenica precedente. A
-Questo proposito aggiungiamo che, indipendentemente dal fatto che nel corso di taluna
•di queste serate l’argomento sarà esclusivamente quello posto dal sermone, in ogni incontro dei giovedì vi sarà la possibilità di
interrogare sul sermone e discuterlo. Aggiungiamo che questa iniziativa è stata presa dopo un’assemblea di Chiesa.
L’altro fatto nuovo è quello che riguarda
la trasformazione della ex festa dell’albero
sii Natale. Avevamo tentato con risultato positivo un primo esperimento lo scorso anno.
■Quest’anno esso è stato sviluppato nel senso
che non solo la festa dei bambini è stata inserita nel culto dell’ultima domenica di Avvento, ma anche che i bambini della scuola
-domenicale ed i ragazzi del corso di catechismo hanno svolta interamente la Liturgia,
mentre il « discorso » del Pastore è stato la
risposta ad una serie di questioni poste da
una breve recitazione dei bambini. I ragazzi
hanno volontariamente rinunciato alla maggior parte del valore che avrebbero avuto i
Toro regali sulla base della sottoscrizione della comunità a questo scopo, devolvendo la
somma a favore della sottoscrizione indetta
da « La Luce » per « la fame degli altri ».
Per quanto riguarda il nostro lavoro all’esterno della Chiesa, abbiamo continuato
nella duplice linea seguita da alcuni anni :
jpresenza nel mondo della cultura laica (conJerenze, partecipazione a tavole rotonde etc.)
«d apertura verso i gruppi cattolici con i
■quali abbiamo stabilito un fecondo dialogo.
Per quanto riguarda la prima linea, ricordiamo la conferenza tenuta dal Pastore
-sul pensiero e l’azione di KARL BARTH
nell’aula del Consiglio Comunale, in seguito
ad invito di una associazione culturale.
Per quanto si riferisce ai contatti con
l’ambiente cattolico ricordiamo la « marcia
per la pace » organizzata il 1 gennaio, come
già lo scorso anno: letture bibliche e manilesti con chiara impostazione evangelica ne
aono stati gli elementi essenziali.
In occasione della settimana di preghiera
per l’unità abbiamo avuti due incontri, ri.spettivamente nella nostra Chiesa e nella
cripta della Cattedrale. La decisione è stata
presa dalla comunità dopo attenta riflessione
c dopo avere esaminato lo schema del pror ' ,uia che comprendeva letture bibliche,
c,.. !v.-ditazione sul tema del giorno, due
cari i'i ; oostro Innario, preghiere spontanee. i o.i -IO !■ fatto, sia nella nostra come
nelle -o ere l'allolica: ci si è serviti dell’opuscolo i.ìvi-aralo dalla commissione del Consi
glio Ecumenico e dei gruppi cattolici, solo
per quanto riguarda il tema e la linea generale. Niente quindi di ufficiale e di prefabbricato.
Se abbiamo data questa informazione, è
per due ragioni : anzitutto per fare conoscere che, subito dopo questi due incontri, è
stata presa la decisione di continuare con regolari studi biblici mensili, a livello comunità, nella sede di un circolo cittadino, di
ispirazione cattolica, ma aperto. Siamo cosi
giunti, come auspicavamo con i gruppi cattolici con i quali abbiamo iniziato tre anni
fa, a queUa seconda fase che difficilmente
si sarebbe verificata senza la prima. Riteniamo infatti che sia possibile studiare, discutere e dissentire insieme, solo dopo essere stati insieme in preghiera. Sappiamo che altri
è di diverso avviso, ma noi non pretendiamo di avere il monopolio della verità e ci
consideriamo sufficientemente umili da accettare una lezione da chinque, ma sulla base della Parola di Dio. In secondo luogo, perchè siamo stati profondamente amareggiati
da quanto scritto sul n. 4 de « LA LUCE »
del 24 gennaio 1969 a pag. 5 (L’ecumenismo
ieri ed oggi) circa il « ...folleggiare in concelebraz'.oni neo-ecumeniche, godendo di un
quarto d’ora di pubblicità in cui trova ristoro (a qual prezzo?) il complesso d’inferiorità di noi travets della cultura religiosa italiana ».
Ci si può certo dire che abbiamo torto
(ma si deve fare ogni sforzo per convincerci),
ma non è certo caritatevole nè leale offendere chi, per conto suo, non ha mai accusato ’’gli altri” di complesso anticlericale; per
quanto l’espressione ’’spelonca di ladroni”
che appare nel diario romano (vedi stesso
numero a pag. 7) non ci sembra aUontanarsì dallo stile di una certa polemica che ritenevamo superata, e che per conto nostro
rifiutiamo di adoperare, perchè non favorisce certo Tinstaurarsì di un franco dialogo
con l’altra parte, come non lo favorisce la
pesante ironia stile ’’diario romano”.
E riteniamo che le ragioni della nostra
protesta siano da eercarsi proprio in quel
sermone ’’censurato” del prof. Vittorio Subilia, riportato e commentato dal giornale.
Non siamo sicuri che, oggi, quella penna non
10 scriverebbe più così. In tutti i casi, dovrebbe essere lui a dircelo ed a spiegarcenfe
11 perchè.
La comunità valdese di Bari
Vigilia del XVII : i falò stanno spegnendosi e in chiesa è raccolta la ntimerosa delegazione svizzera, una ventina di delegati, con un
buon gruppo di parrocchiani. Tema del dibattito : la Storia valdese ed il tempo d’oggi;
relatore: Giorgio Tourn. La storia valdese,
egli dice, non è una galleria di quadri più o
meno simpatici che si ammirano di quando
in quando; il passato ci incontra, ci interroga,
entra in dialogo con noi; i Valdesi non hanno avuto teologi, artisti o letterati, ma sono
vicini a noi con le loro debolezze e ci richiamano con la loro fedeltà; i momenti veri sono quelli in cui hanno preso una decisione e
hanno realizzato qualcosa di vero; difatti prima della Riforma le notizie che ci forniscono
gli inquisitori esprimono la profonda coerenza
d’un popolo che vuole servire il Signore. Quegli uomini hanno due caratteristiche : 1) guardare a Cristo soltanto, 2) la capacità di inventare qualcosa di nuovo nel campo deUa testimonianza. Mentre oggi non si sa dove guardare e non si sa cosa inventare nel campo
della vita concreta. Orbene, mentre i Francescani erano poveri perché la povertà era una
virtù per conseguire il Cielo, i Valdesi invece
erano poveri perché volevano imitare Cristo.
Infatti i Valdesi di quel tempo erano ossessionati da Cristo e a lui solo si richiamavano
per compiere la loro testimonianza, senza regolamenti o prescrizioni.
Dopo la Riformii si entra nel periodo del
ghetto, della chiusur.iì per forza maggiore. Entriamo oggi dopo T ultima guerra nel tempo
della disseminazione, della dispersione: infatti le parrocchie dégringolent » e si presenta la prospettiva dcUa diaspora. Saremo capaci
anche noi di guardo re con passione a Cristo,
preoccupati di inveì.'are un tipo nuovo di vita in ubbidienza a Lui soltanto, come i primi Valdesi?
Nel corso del diljattito la storia valdese,
specie quella riferit.a a Enrico Arnaud, appare con le sue luci ■ le sue ombre, collegate
ad un tempo di m t ra. anche in riferimento
a documenti che sia > stati pubblicati e ricordati da T. G. Por nellultimo numero del
« Bollettino della -leta di Studi Valdesi ».
Il dialogo è vivace si delincano due correnti: Luna ehe esalta i mito della storia valdese e l’altra che si ri ■ marna ai documenti più
che ad una stona n, uolare: alcuni non accettano quel tipo di : lattito ed escono, in segno di protesta, n u comprendendo il valore
dello scambio di u; • inteso ad arricchire e
non a impoverire. ustamente dichiarava alla fine una sorella i La mia fede non è per
nulla intaccata dal ito di sapere che la Sto
ria valdese non è così gloriosa come la si è
raccontata poiché la vera gloria è in fondo
la fedeltà umile e paziente verso Colui che è
paziente con noi ». Non tocca a noi di giudicare le decisioni, gli atti del tempo deUe guerre di persecuzione, o il gesto del cristiano che
si lasciava divorare dalle belve nel foro romano : la decisione, in fondo — sottolineava il
relatore — è compiuta davanti a Dìo ed a
lui solo il giudizio.
Ringraziamo molto il Pastore Tourn per
quanto ci ha dato queRa sera, nonché ì delegati svizzeri per i loro interventi e cosi pure
quanti hanno preso parte con umiltà aUa discussione.
Il XVII s’è svolto come nel passato: corteo;
Culto; oltre a vari cori diretti daUa Signorina Speranza Grill, alcune poesie per la delegazione svizzera preparate da Paolina Bert
ed un messaggio del Pastore André (la coRetta ha reso 130.000 Lire circa); agape con
messaggi del Sindaco, dei delegati esteri e
saluto aRa famiglia Bertalmio, - Rostagno del
BrasRe in breve sosta pomarina, con ringraziamento all’équipe dell’agape diretta dal sindaco Andrea OR vero; un pensiero si è rivolto agR amici lontani: Missionaria Gay, Maestro Calvetti e Casablanca, Signori Poet a
Marsiglia, Famiglia Gaydou di Brignaìs. La
sera, « Gli spettri », molto distruttivo per tutti e recitato con impegno sotto la direzione
di Eraldo Bosco. Un buon contributo musicale
è stato dato daRa banda del Sig. Arturo
Bernard durante tutto il giorno e al mattino
anche daRa banda dell’Inverso diretta da Arturo Coucourde.
Ringraziamo il gruppo di giovani che assieme agli anziani e ai responsabRi hanno colfettato per la Scuola Latina.
Ringraziamo R Pastore Jahier per R suo
profondo messaggio del 16 mattina in occasione del culto di Santa Cena.
Attività prossime: Venerdì 28 riunione aRa
Paiola, martedì 2 marzo ai Cerisieri, giovedì
4 marzo a Porosa.
Avviso di conferenza : Venerdì 7 marzo
alle 20,30 al teatro di Pomaretto il dr.
Giorgio Bouchard terrà una conferenza sul seguente tema: Il Cristiane^mo,
fermento rivoluzionario nella storia
del mondo. Seguirà il dibattito.
iiimiimiimiiiiiiiiMiimimiumiiiiiuiiimmiiiiiimiiiiiiii
iiiiiiiimiKiiiiiimiMiiiiiii
mimiiiiimiiiiiiiiiiii
IL 17 FEBBRAIO A TORRE [PELLICE
Una tensione
^'^e chiarimento
La morte dei prof.
Enrico Greppi
La comunità florentina è stata improvvisamente messa nel dolore per la
morte del prof. E. Greppi. A Firenze
aveva compiuto i suoi studi universitari, qui alTindomani della liberazione
era stato il primo rettore delTUniver.
sitàj a Firenze aveva dato il meglio
della sua attività di maestro, di pubblicista, di uomo nell’esercizio della
professione medica.
Egli non apparteneva formalmente
alla nostra comunità evangelica, solo
occasionalmente partecipava ai culti;
eppure rari uomini hanno esercitato
come lui un diaconato discreto, ricco
di sollecitudine e d’amore. Un po’ alla
volta era entrato nel vivo dell’umanità
di questo piccolo popolo di Dio, nei
niodi più diversi era intervenuto portando non solo il i>eso della sua competenza tecnica, ma quello della sua
umanità apparentemente ruvida e in
sostanza cos*; ricca d’intuizione, di partecipazione.
Vi sono modi diversi e profondi
d’appartenere a una comunità, e casi
dolorosi come questo ci avvertono sempre d’una grazia del Bifore che va
ben oltre gli schemi rigidi delle registrazioni ecclesiastiche. Ora la sua salma è nel Cimitero degli Allori ; ma egli
resta fra noi come uno di quei "dottori” che tante fra le nostre chiese hanno avuto ed hanno, come un dono : uomini che hanno conosciuto e partecipato alle angustie, alle sofferenze, alle
attese di tante creature che avevano
anche una loro particolarità, quella di
appartenere a una piccola famiglia di
Dio.
Siamo vicini alla sua compagna.
Nella Giampiccoli, diacono nella nostra chiesa, ed ai Agli, alle figlie, uomini e donne che hanno inteso e serbano il messaggio delTagàpe : la carità
di Dio che in Cristo dà un significato
a ogni esistenza.
L. S.
La celebrazione del 17 febbraio a Torre
Pellice ha messo in luce uno stalo di tensione della vita della comunità che esige una
chiarificazione che superi gli equivoci e le
incomprensioni che il rapido susseguirsi di
eventi nuovi lascia nel sottofondo, minacciando di creare fratture anche quando si
tratterebbe di cercare assieme la risposta a
pressanti problemi.
Prima ancora che apparisse su « L’EcoLuce » la lettera aperta « Per una riscoperta
del senso della fede in Cristo » (n. 4, 1969),
il Concistoro, in accordo con altri Concistori
deRa Val Pellice, aveva deciso di invitare
la Comunità di dare alla celebrazione del 17
febbraio di quest’anno il significato di soTdarielà verso altri popoli sofferenti e, precisamente, verso le popolazioni del Biafra.
Inoltre aveva lanciato Tappello di solidarietà
nei confronti di tutta la Chiesa Valdese,
adempiendo il proprio impegno di contribuzioni aRa Cassa Centrale. Non riteneva opportuno proporre aRa Comunità mutamenti
nelle forme esteriori della celebrazione, pensando che su questo tema sarebbe stato opportuno discutere con animo disteso, in momento successivo. La lettera aperta in questione ha suscitato degli allarmi veramente
impensati, quasi essa significasse la pretesa
di una imposizione, piuttosto che l’invito ad
una meditazione in comune. Hanno acquistato corpo le fantasie più eccitanti, creando
uno stato d’animo di angosciata attesa di
episodi violenti.
Nonostante questo stato di eccitazione, i
responsabili delle varie attività preparavano
con impegno i loro programmi c sembrava
che l’atmosfera si rasserenasse mano a mano
che la festa si avvicinava. Il 16 mattina la
Comunità celebrava i culti con S. Cena, meditando l’ammonimento di Paolo ai Corinzi
(11: 31-32): «Se esaminassimo noi stessi
non saremmo giudicati; ma quando siamo
giudicati, siamo corretti dal Signore, affinché
non siam condannati col mondo ».
Il 17 mattina i ragazzi delle Scuole Elementari si recarono in corteo al tempio del
centro per la loro parte di celebrazione, preparati dai loro insegnanti, che si sono posti
e sì pongono sempre più vivamente il problema di non ridurre la celebrazione ad accademia, ma di dare ad essa un significato
attuale. I ragazzi avevano rinunciato alla
brioche e gR Insegnanti al libro che la Chiesa offre come segno di appeezzamento del loro impegno, a favore delle famiglie sinistrate di Angrogna: la cifra corrispondente era
consegnata da un ragazzo al Concistoro per
trasmetterla al Comitato apposito.
Nel Culto, al quale dava la sua partecipazione liturgica la Corale, veniva meditato
il testo di I Cor. 10: 11-12 : « Or queste cose avvennero loro per servire d’esempio, e
sono state scritte per ammonizione di noi
che ci troviamo agli ultimi tempi. Perciò, chi
pensa dì stare ritto, guardi di non cadere ».
Il pranzo comune riuniva più di 200 per
sone. Il Past. Bruno Rostagno aveva comunicato al Presidente del Comitato che non
avrebbe partecipato al pranzo, non per « contestarlo », ma perché, essendo uno dei firmatari della lettera tanto discussa, voleva che
si evitassero durante il pranzo delle discussioni che si dovevano fare con serenità in
altra sede. Questa sua intenzione è stala da
me chiarita durante il pranzo stesso, quando
la sua assenza è stata fatta notare. L’atmosfera del pranzo è stata abbastanza serena e
anche i riferimenti aRa lettera erano contenuti al livello di valutazione dei temi proposti; così il prof. Augusto Armand-Hugon
richiamava la complessità del problema deRa
Chiesa-popolo che doveva essere preso in seria considerazione, perché durante tutta la
sua storia, dalle persecuzioni alla Emancipazione, fino ad oggi, i valdesi avevano agito
entro queRo schema.
Purtroppo verso la fine del pranzo, dopo
la prima parte dei canti della Corale, si è
verificato un episodio increscioso il quale ha
rivelato che — sotto il velo della apparente
tranquRlità — si celavano stati d’animo tutt’altro che tranquiRi. L’occasione del turbamento è stata data dall’intervento poetico del
signor Franco Pasquet (Minor), il quale, nelle sue rime dialettaR, dopo aver espressa la
sua sodd’sfazione perché le celebrazioni esterne del 17 febbraio avevano mantenuto la loro trama tradizionale, diceva, tra il serio e
il faceto, che al Past. Rostagno faceva male
l’aria del Vandalino e proponeva una colletta
per fargli cambiar aria. Il peggio è stato che
alla poesia è seguito un nutrito applauso dei
presenti. Applauso cosciente o non cosciente?
Molti hanno affermato che avevano applaudito alla verve del poeta, senza far caso delle
affermazioni, tanto più che non le avevano
capite, o perché erano state fatte in dialetto,
o perché la sala era grande. Il sottoscritto,
tuttavia, ha considerato necessario protestare,
allontanandosi dalla sala, per esprimere la
sua solidarietà al coRega che aveva voluto
evitare la polemica, ma soprattutto perché
riteneva, e ritiene estremamente pericoloso
per la vita della comunità che una proposta
del genere (Tallontanamento di un pastore)
possa essere insinuata e applaudita in una
circostanza che — secondo il giudizio comune — riunisce non la Chiesa, ma una parte
del popolo valdese, credente e non credente.
Quale presidente del Concistoro non avrei
mai potuto permettere che quell’applauso apparisse in alcun modo un pronunciamento
della chiesa.
Rimane R fatto che un chiarimento degli
stati d’animo è necessario e si avrà al più
presto un incontro della comunità, non per
discutere sull’episodio che può essere considerato chiuso, ma per chiarire apertamente i
nostri pensieri, con serietà e responsabilità.
Un messaggio di riflessione serena e profonda ci è stato dato dalla filodrammatica
« G. Casini » la sera, nell’Aula magna, con
la presentazione dell’opera di Eline Quattri
ni « L’Ostacolo », vivamente applaudita, sìa
per l’ottima recitazione, sia per il contenuto.
La Corale ci ha offerto il suo repertorio con
la elevatezza di interpretazione che noi tutti
tanto apprezziamo e della quale siamo anche
un po’ tutti fieri!
Alfredo Sonelli
VILLAR PEROSA
II17 Febbraio
alla RIF SKF
(A Nadia Rivoira, ragazza di Luserna, perché risalga un giorno le pendici di Rorà a leggere la storia della
sua gente, nelle baite degli antenati,
con la fierezza e l’umiltà di una creatura libera).
Le coRiue ardono:
sono i falò degli uomini liberi.
Le ombre dei fuochi
sono gli spettri del passato,
i Santi senza calendario.
Ma Cristo è con loro,
ha risalito le vaRi
con GianaveRo ed Arnaud.
NeRe baite cadenti
il tempo ha germogliato le ortiche.
Ma la storia non è materia,
è»la luce dei falò
strappata al rogo dei bivacchi
quando il freddo e i Savoia
uccidevano i Valdesi.
Scendi dalla coRina
ragazza valdese!
L’uomo deRa pianura è tuo frateRo;
ha bruciato le forche,
ha seppellito i fucRi.
Non dite: R Tempio o la Chiesa,
il Prete o il Pastore.
C’è un solo Cristo per tutti.
Ferdinando Peitavino
Come è consuetudine ormai da oltre venti
anni presso lo Stabilimento RIV-SKF di VUlar Porosa, il XVII Febbraio si celebra con
una giornata retribuita a tutti gli effetti e
con una sottoscrizione a favore di chi e nella sofferenza e nel bisogno.
Un gruppo di collaboratori volontari che
fa capo al Comitato Valdese offre ogni anno
la sua opera preziosa per la raccolta delle offerte e tutti, indipendentemente da ogni idea
politica o religiosa, contribuiscono ci buon
esito della sottoscrizione.
La somma raccolta è stata di lire 503.200
di cui: 150.000 pervenuteci dcdla Direzione
Generale e 353.200 raccolte fra le maestranze.
La distribuzione è avvenuta nel modo seguente:
Asilo dei vecchi di San Germano
Chisone L. 70.000
Asilo dei vecchi di Luserna San
Giovanni » 34.000
Rifugio Re Carlo Alberto di San
Giovanni » 68.000
Orfanotrofio femminile di Torre
Pellice » 64.000
Orfantrofio maschRe di Pomaretto » 57.000
Artigianelli Valdesi di Torino » 40.000
Casa materna di San Germano » 40.000
Casa materna di Luserna S. Giov. » 40.000
Casa materna di Pomaretto » 40.000
Famiglie di Angrogna sinistrate
daR’inoendio » 50.200
A nome delle persone beneficate giunga
da queste colonne il particolare ringraziamento ai vari collaboratori ed a quanti, con
le loro generose offerte, segno commovente
di umana e cristiana solidarietà, hanno contribuito a portare un raggio di luce a chi è
costretto a vivere di carità.
XVII febbraio 1969.
IL COMITATO VALDESE RIV-SKF
f.to: Bario Coucourde - Valdo Coucourde • Dino Gardiol - Bruna
Genre " Alessandro Grill - Umberto Rovara - Emilio Travers.
Un insegnante cattolico del Pinerolese ci
ha inviato, con spontanea cordialità, questo
’’omaggio ai valdesi”, che pubblichiamo volentieri, anzi con gratitudine, pur considerando un po’ ambigua la chiusa. red.
Solidarietà
Un collaboratore, da Torre Pellice:
Caro direttore,
neRa a lettera aperta » pubblicata su
« L’Eco-Luce » del 14 febbraio, n. 7, p. 4 col
tìtolo « La libertà indivisibile » venivano fatte pesanti accuse ai pastori che hanno firmato la lettera sul 17 febbraio pubblicata nel
n. 4 deRo stesso giornale, al punto di concludere : « non sono più da considerarsi tali,
ma semplicemente dei dottori in teologia votati al marxismo ». Respingo personalmente
questa accusa nei confronti di tutti i pastori
firmatari deRa lettera, in base alla conoscenza
che ho deRe loro idee e del loro impegno.
Tuttavia, dato che i firmatari deRa lettera
accusatrice sono di Torre PeRice e dato che
uno dei pastori sotto accusa non è soltanto
mio coRega nel ministero pastorale, ma condivide con me il ministero pastorale in Torre
PeRice, ritengo doveroso dare a lui in particolare la mia testimonianza. Con R pastore
Bruno Rostagno non abbiamo sempRcemente
rapporti « professionali », ma condividiamo
studio, impegno, preghiera, ansie, gioie e dolori del ministero. Il punto di rRerimento nel
preparare i sermoni o nel riflettere suRo svolgimento del nostro servizio non sono i testi
di Marx, ma la Bibbia nella sua totaRtà. Non
siamo dei venditori di facRi slogans, ma passiamo spesso ore e ore neRa meditazione dell’annuncio evangeRco, cercando di non adulterare la Parola di Dio, ma di rendere ad essa fedele testimonianza. Credo di conoscere
abbastanza sia l’Evangelo che Marx per poter
discernere ciò che deriva daR’uno e ciò che
deriva daR’altro. Pertanto sono pronto a
rendere piena testimonianza al past. Bruno
Rostagno che la sua predicazione — nel senso più vasto — è ispirata esclusivamente aRa
fedeltà aR’Evangelo di Cristo morto e risorto;
che il suo ministero proviene daRa profonda
e umile consapevolezza di essere responsabile
dinanzi a Dio.
Evidentemente abbiamo tutti un nostro
cervello e possiamo avere valutazioni diverse
su punti particolari; ci sentiamo spiritualmente liberi di dirci « si » quando pensiamo
che vada detto « si » e « no » quando pensiamo che vada detto « no » : ci sentiamo
entrambi « conservi del Signore », ma nella
piena libertà. Proprio per questo esprimo al
past. Bruno Rostagno tutta la mia fiducia e
la mia comuiRone nel Signore, sia per le cose
nelle quali concordiamo, sia per le cose nelle
quali — senza preclusioni aprioristiche ■—•
abbiamo pareri diversi, poiché siamo votati
non a Marx, ma a Cristo Gesù.
Questa dichiarazione la trovo necessaria,
dinanzi a Dio, dinanzi alla Comunità; nella
speranza che anche nella comunità si scelga
la via deRa discussione e non quella della
squalifica preconcetta.
Alfredo Sonelli
Scomparso ad Orsara
Michele Cericota
nno dei “fondatori”
All’età di 83 anni, nella sua abitazione di Orsara di Puglia, dopo una
penosa malattia, assistito amorevolmente dalla famiglia, s’è spento serenamente il fratello Michele Cericela.
La Comunità Valdese di Orsara di
Puglia ne dà il triste annuncio.
Il fratello Cericela era stato fra i
primi fondatori della prima comunità
valdese di Orsara e per un lungo periodo ne ha curato le sorti quale membro del Consiglio di Chiesa.
Alla vedova Rocchina, ai figli Donato,
Giuseppe, Michele, Leonarda, Attilio,
Maria, Arturo Antonio, Carmela e
Anna, ai nipoti, parenti tutti e familiari, facciamo le nostre più sentite
condoglianze nella certezza che un
giorno saremo nuovamente tutti riuniti nella gloria del Signore.
8
pag. 8
N. 8 — 21 febbraio 1969*
Notiziario Due miliardi di affamati Settegiornì
ecumen ico
a cura di Roberto Peyrot
UN PASTORE ACCUSATO DI
ATTENTATO CONTRO lAN SMITH
Scdisbury, Rhodesia (soepi - Il pastore N.
Sithole, di 48 anni, dirigente nazionalista africano, è recentemente comparso davanti ad un
tribunale rhodesiano. Egli è accusato di aver
partecipato ad un complotto per assassinare
lan Smith ed altri due membri del governo
rhodesiano. Egli si dichiara innocente.
N. Sithole, pastore della Chiesa unita del
Cristo in Rhodesia e capo deU’Unione nazionale africana Zimbabwe (ZANU) proibita, è
in prigione da oltre quattro anni. E’ accusato
di incitamento all’omicidio in alcune lettere
spedite di nascosto dalla prigione di SaRsbury
ove è detenuto come prigioniero politico. Due
delle tre imputazioni contro di lui possono
determinare la condanna capitale. La prima
lo accusa di aver incitato « x » ad assassinare il primo ministro Smith, il ministro deUa
giustizia ed il ministro degli affari esteri. La
seconda accusa Sithole di aver cospirato con lo
stesso « X » in vista deU’assassinio di quelle
tre persone. La terza lo accusa di aver scritto
in una delle lettere ad « x » che sarebbe opportuno uccidere Smith e i due ministri anzidetti.
Cresciuto negli Stati Uniti, Sithole è stato
direttore di una grande scuola secondaria della Chiesa unita del Cristo a Mt. Seiinda (nel
Mashonaland) prima di impegnarsi neUa politica al principio degli anni sessanta.
I GIOVANI PER IL TERZO MONDO
IN GRAN BRETAGNA
Londra (soepi) - I giovani deUa Gran Bretagna hanno adottato il sistema dell’azione
diretta per sensibilizzare l’opinione pubblica
verso i problemi economici deUe nazioni in
via di sviluppo (aUo stato dei fatti è più
esatto chiamarle « sottosviluppate »).
Nel quadro deUa « settimana di preghiera
per l’unità » circa 350 persone hanno digiunato dal 24 al 26 gennaio, la maggior parte
per 40 ore. Erano presenti uomini politici e
dirigenti di chiesa, mentre a Trafalgar square
è stato celebrato un servizio raKgioso aUa fine della manifestazione.
Scopo di questo digiuno era quello di attrarre l’attenzione del governo e dell’opinione
pubblica suU’urgenza del problema della povertà nel mondo e suUa necessità di trovare
delle soluzioni le più efficaci possibiU. Il denaro economizzato durante il digiuno è stato
destinato a dei progetti di sviluppo oltremare,
all’Aiuto cristiano, che è il servizio di soccorso del consiglio britannico delle chiese.
Durante questo tempo di quaresima, i movimenti giovanUi della chiesa anglicana della
Gran Bretagna cercheranno di informare la
popolazione sui bisogni del terzo mondo. I
problemi di giustizia sociale, della povertì,
deU’oppressione poUtica e del commercio internazionale saranno l’oggetto di una programma spcci&lc di cjuaresinifl*
Associazione por la Liberta Religiosa in Italia
Milano (ALBI) Via Bassini, 39
Come tutti noi sappiamo, uno dei
problemi più angosciosi —• e più urgenti — che riguarda l’umanità, è
quello della fame: su circa 3 miliardi
e mezzo di esseri umani che popolano
la terra, ben 2 miliardi sono quelli che
non riescono a sfamarsi. È appunto
con questo titolo : « Due miliardi di
affamati» che è uscito un libro per i
tipi di Mondadori, serie IDOC, che
tratta i grandi temi del cristianesimo
dei giorni nostri, sia in campo religioso che sociale e politico.
È una raccolta di scritti di personalità, in prevalenza cattoliche: citeremo, fra i più noti, Helder Cámara, l’arcivescovo di Olinda e Recife, la capitale del « Nordeste » brasiliano ; il domenicano Louis Lébret, scomparso nel
1966, studioso dei problemi di molti
paesi poveri; lady Jackson, meglio conosciuta sotto lo pseudonimo di Barbara Ward, scrittrice ed economista
(fu anche presente ad Upsala, all’ultima Assemblea del CEO; il teologo
José Maria Gonzales-Ruiz, professore
a Salamanca; M. Thomas, presidente
del comitato di lavoro del Dipartimento Chiesa e Società del CEC e segretario della Conferenza cristiana dell’Asia orientale; ed altri ancora.
Ognuno dei vari scrittori vede il problema sotto una determinata angolazione, ma, considerazione comune e
preminente in tutti è che la cristianità
intera, assieme agli esponenti delle altre fedi religiose, deve affrontare senza ulteriori indugi il tragico problema
della fame promuovendo tutte quelle
azioni necessarie per indurre i responsabili ed i governanti del mondo a
prendere quelle misure che consentano una maggior giustizia distribuitiice
dei beni della terra e dian ad ogni essere umano la dignità cui ha diritto.
Ci limiteremo ad esporre alcuni brevi dati e a riportare qualcuno dei pensieri e delle proposte presi qua e là.
La povertà e la fame sono sempre
esistiti: la cosa nuova è nel fatto che
le popolazioni sono ora conscie delle
loro situazioni e sono determinate a
correggerle ; di conseguenza, questa
novità rende le disuguaglianze nella
comunità mondiale così.pericolose da
poter provocare una guerra. La Chiesa
deve tradurre l’evangelico «bicchier
d’acqua » nelle realtà economiche, demografiche e sociologiche della vita
del XX secolo; deve valersi del suo
esercito di missionari onde fornire, accanto all’assistenza spirituale, un va
iiiiiiimiumwiiiiuuiHiiiiiiiiiiiiiiiiiimiMiimimmiiiiioiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiixiniiiiiiiiiKiiiiiKiimiiiiiiiiiitHiiuiMiiii
sto quadro di assistenza tecnica gratuita; deve sollecitare le chiese locali
dei paesi sottosviluppati a considerare
lo sviluppo socio-economico come una
cosa di primaria importanza.
In base al tasso di incremento attuale della popolazione, gli uomiiii sulla terra, nel 2(HX), saranno sei miliardi :
questa cifra, in sé, non dice molto, dato che, dal punto di vista dello spazio,
non vi sono difficoltà in quanto la prospettiva dello « spazio sufficiente per
stare solo dritti in piedi» è assai remota, ma essa diventa assai più drammaticamente significativa quando si
pensi che, stante il diverso tasso di iiicremento demografico fra i vari paesi,
alla fine dì questo secolo il 75°/o della
popolazione mondiale si troverà nei
paesi ora classificati come sottosviluppati nel 2000 la sola popolazione dell’Asia sarà equivalente alla popolazione mondiale odierna.
Le nazioni ricche, oggi che cosa fanno? Poco o niente. Ecco alcuni dati,
espressi in percentuale sui vari redditi
nazionali U.S.A. : 0,98%; Gran Bretagna: 1,17%; Francia: 1,88%; Germania 0,83%; U.R.S.S.; nulla, e la tendenza è ancora verso la diminuzione.
Per contro, si nota senza dubbio
nelle varie chiese cristiane — pur essendo ancora forti gli elementi conservatori — una più decisa presa di
posizione nel favorire e nel promuovere l’assistenza e le riforme sociali di
base per permettere il decollo dello
sviluppo, pur rimanendo anch’essa
sempre molto, troppo lontana da risultati soddisfacenti.
Uno degli aspetti più paradossali ed
irritanti del problema della fame è che
i popoli ricchi continuano ad arricchirsi acquistando dai paesi poveri materie prime e derrate a prezzi da loro imposti e rivendendo prodotti finiti a
quotazioni altamente remunerative
(classica è al riguardo la penetrazione
economica neocolonialistica degli USA
nei paesi del Sud America, a percentuale altamente cattolica).
Concludendo, riassumiamo alcuni
pensieri di Helder Cámara, senza dubbio una delle persone maggiormente
note per la sua opera a favore dei poveri del Brasile e del terzo mondo, opera che conduce con grandi sacrifici e
con rischio della propria persona.
È assolutamente necessario che Occidente ed Oriente si avvicinino e si
comprendano il più possibile, abbandonando le reciproche accuse e le ste
rili polemiche, trovando i punti in comune che sono assai più numerosi di
quanto non si pensi (amore per l’infanzia, per la gioventù, -per la casa;
progresso tecnologico e scientifico,
ecc.). Questo avvicinamentp-fra Est
ed Ovest favorirà senza dubbio un avvicinamento fra Nord e Sud, e cioè fra
mondo sviluppato e mondo sottosviluppato. Non solo cadrà, in questo modo, il pericolo della più tremenda delle guerre, ma ci si avvierà verso quella solidarietà universale in cui le varie chiese del mondo potrebbero avere
un compito determinante.
È questa un’utopìa? Basterebbe che
in ogni chiesa ed in essa ogni singolo
credente, si lasciasse guidare dai principi fondamentali che le hanno originate: per quanto riguarda più da vicino la nostra fede, la certezza che
Gesù Cristo non è morto solo per noi,
ma per tutti gli uomini, a qualunque
razza, credenza o ideologia essi appartengano.
Pierre
Echi della settimana
|]attedfe
di teologia cattolica
nelle università italiane?
Di fronte al tentativo, che da più parti
viene avanzato, di ottenere 1 istituzione di
cattedre di teologia cattolica o di Fawltà
teologiche nelle Università italiane, I’Asmciazione per la libertà religiosa in Italia
(ALBI) respinge la validità dell’affermazione secondo la quale l’istituzione di Facolta
teologiche uniformerebbe le Università italiane a quelle dei paesi protestanti! menUe
infatti in quei paesi le Facoltà teologiche
sono il frutto di una tradizione storico-culturale legata allo spirito della riforma pr°
testante e della libertà di coscienza, in Italia esse si prefigurano soggette al controllo
della gerarchia ecclesiastica. L ALBI prende
quindi una netta posizione di condanna contro ogni progetto che — come il disegno di
legge n. 4 presentato nel 1967 all Assemblea Ragionalo Siciliana — preveda 1 applicazione di <c disposizioni legislative dell autorità ecclesiastica cattolica » o altre forme
di ingerenza ecclesiastica in materia di insegnamento pubblico.
Quanto all’asserita necessità di provvedere alla formazione degli insegnanti di religione cattolica (preti e laici) per le scuole
medie e superiori, FALBI ritiene che questo
debba restare un affare interno della chiesa
perchè comporta l’organizzazione di corsi di
studio .sottoposti al controllo dell’autorità ecclesiastica e perciò incompatibili con la libertà d’insegnamento e di apprendimento
che deve essere garantita nelle Università
italiane. ,, ,
L'ALRI non può non osservare,^ d altra
parte come la conservazione dell insegnamento della dottrina cattolica nelle scuole
secondarie, incoriiorato ne-i programmi u ficiali senza che neppure sia prescritta la
bera iscrizione da parte dei giovani e posto
a «fondamento e coronamento dell islruzio
ne pubblica » — per non parlare della otale confessionalizzaz'one della scuola
mentare —, sia subordinata al giudizio di
legittimità costituzionale e alla sopravvive
za*di quelFart. 36 del Concordato il cui spirito autoritario e antidemocratico ne impone l’abrogazione. i • i;
Mentre denuncia il tentativo dei elencai
e dei loro caudatari di porre nuove i^twhe
suUa vita sociale italiana, FALBI
l’urgenza della revisione dei Patti ^
nensi e della abrogazione del
Il Segretario: Luigi RodeUi
IL XII CONGRESSO DEL PCI
Al Congresso di Bologna, Fon. Amendola ha detto che non ci saranno né vincitori né vinti, e sembra che abbia avuto ragione. M. Signorino e G. Fiesca danno, ne
« L’Astrolabio » del 16-2-’69, un’ampia relazione del Congresso, dalla quale togliamo
alcuni passaggi significativi.
« Chi si aspettava un Congresso di lotta,
si è trovato di fronte un Congresso di ricerca; chi si aspettava un gruppo dirigente tutto impegnato in manovre di corridoio e di
vertice, è rimasto sorpreso di fronte ad una
Presidenza immobile, sempre gremita ed attenta, concentrata in uno sforzo di comprensione invece che in una sotterranea lotta per
il potere. E chi si aspettava un partito diviso, travagliato dai problemi e dai dissensi,
si è accorto con stupore di una platea composta e ordinata, sensibile politicamente al
punto da apparire quasi telecomandata da
una comune ispirazione, da una segreta osmosi con il banco della Presidenza che Ut fronteggiava.
Il solito trionfalismo? La consueta unanimità burocratica? L’attento lavoro dell’inesorabile servizio d’ordine della ’’capitale rossa”? Anche questo, probabilmente, ma soprattutto il grato stupore di chi si guarda
alle spalle accorgendosi di aver superato il
peggio e si felicita dell’approdo inopinato
ad una riva comune da difendere comunque,
costi quel che costi (...).
Chi si aspettava Vesplosione plateale delle
divergenze affiorate nel dibattito precongressuale, chi si aspettava attacchi sfumati ma
decisi alla gestione ormai quinquennale deJVattuale Segretario, ha dovuto ricredersi di
fronte alVimmagine compatta di una tribuna perfettamente sincrona nel dissenso come
nel consenso, tutta raccolta alVapplauso al
vecchio Longo: unHmmagine tanto diversa
da quella di tre anni fa, quando si conciuse
alVEVR rXI Congresso, in cui erano forse
mancati i veri vincitorì, ma si avvertiva fisicamente l'amarezza dei vinti ».
Tutto c'ò presenta, a nostro parere, un
quadro un po’ troppo ottimistico e (quasi diremmo) idilliaco, una visione forse unilate
rale, anche perché percepita in una sola direzione : quella della, politica interna. Ma
come s’è presentato e come si presenta, sul
teatro internazionale, il più grande partito
comunista delTOccidente? Qui ci sembra che
Torizzonte sia denso di nubi. Alain Jacob,
corrispondente da Mosca de « Le Monde »
(v. n. 7495 del 16-17.2.’69), segnala 1 estrema reticenza e prudenza dei giornali sovietici sull’argomento. Del rapporto di Luigi
Longo, la «Pravda» non ha naturalmente
citato i passaggi riferentisì alTintervento sovietico in Cecoslovacchia, ed altrettanto naturalmente ha riportato per esteso il discorso del delegato sovietico Ponomarev.
« Visto dalla capitale sovietica, il discorso di Ponomarev dava, in fin dei conti,^ una
impressione di moderazione, di volontà di
conciliazione, che alcuni hanno creduto tnettere a confronto con la prudenza di cui u
sig. Longo stesso aveva dato prova nel suo
rapporto. Del resto la prospettiva della prossima conferenza dei partiti fratelli, es^eva,
da parte del delegato sovietico, qualche n
a córa di Tullio Viola
guardo verso il PCI. Non è forse da escludersi che il viaggio segreto, effettuato a Mosca, poco prima del Congresso, dai sigg. Berlinguer, Cossutta e Galluzzi abbia permesso
di smussare certi angoli.
Tuttavia non ci si può impedire di misurare il divario fra le concezioni del comunismo, che si sono espresse alle assisi di Bologna, e quelle che si delineano a Mosca, nei
commentali, più autorizzati. Quasi a farlo
apposta^ la Pravda'^ ha dedicato, venerdì
14 c., il suo editoriale alla lotta ideologica,
e richiama pesantemente allo disciplina da
imporsi ai ’lavoratori della scienza e della
cultura, della letteratura e delVarte, della
stampa, della radio e della televisione”. Denunciando ’’gli autori di talune opere scientifiche ed artistiche, che talvolta si allontanano dai criteri di classe... e divengono i
portatori d’opinioni estranee all’ideologia
della società soci<dista ’, l’organo del comitato centrale precisa: ’ I comunisti delle società editrici., delle redazioni dei giornali e
delle riviste, della radio e della televisione,
degli organi di cultura... sono chiamati a
reagire, in tempo utile, di fronte a questi
fatti, ad apprezzarne il significato politico e
di principio, ed a fare in modo che essi vengano eliminati” ».
L'ENIGMA DELL'URSS
Questi discorsi ci riportano ancora una
volta a chiederci con ansia, con profonda
preoccupazione, che cosa bolla in quell immensa pentola,. Quali vie sotterranee, nascoste come i cunicoli delle talpe, sta percorrendo il dissenso degli intellettuali?
f( Anche Sclolokov, che fu amico di Stalin
e di Krusciov, e che approvo i processi brezhneviani contro gli scrittori dissidenti, ha il
suo quarto dora di sfortuna. Non riesce a
trovare un editore per il suo ultimo libro,
che esalta il ’’comunista perfetto”, sempre
fedele al partito. C'e una certa logica^ oltre
a una certa ironia della storia, in questa vicenda di Sciolokov. Infatti non si può sempre dar ragione a tutti: a Stalin, a Krusciov,
a Brezhnev. Qualche volta bisogna decidersi,
senza aspettare di svegUfi^si con l’ultima edizione della ’’Pravda” per sapere chi comanda. Con chi sta Sciolokov? Si dice che il suo
romanzo sia troppo kruscioviano, e quindi
non più in linea con le riabilitazioni parziali di Stalin. Ma Sciolokov viene boicottato
per questo, oppure per aver sparato a zero
sugli intellettuali sottoposti a processo in
questi anni di Brezhnev? Chi comanda in
definitiva? chi sale, e chi scende, e questo
l'affare non chiarito. Anche perche, do^
l'atlenlato, il '’’comunista perfetto’ potrebbe
giustificare tutto, e c’è chi non è d accordo
ricordando Stalin e Eirov ».
Dopo tutto, il caso Sciolokov, premio Nobel della letteratura, non è neppure dei piu
interessanti: a noi italiani, ahimè!, non stupisce. Ma per fortuna ci sono nell UKsS) invece altri casi (che divengono ogni anno piu
numerosi!) di intellettuali di grande nobiltà
morale.
(Da 1« Astrolabio » del 16,2.1969).
Notiziario
Evangelico
Italiano
a cura di Renato Balma
Dalle Chiese Battiste
Lo scorso 2 febbraio è stata celebrata la
domenica dell’Alleanza Mondiale Battista. Il
numero di gennaio de « Il Messaggero Evangelico » riporta un messaggio alle comunità
del presidente dell’Alleanza Tolbext’e dei segretari Nordenhaug, Denny, Goulding, Woyke dove si invitano le chiese a rivolgere il
pensiero ai gruppi ostacolati nella predicazione e nella testimonianza.
Un anticipo sul programma del Villaggio
della gioventù battista di S. Severa. Sono
previsti due campi famiglie (uno sul « danaro », uno sulla scuola dell’obbligo), due campi giovanili (uno sulla I Corinzi, uno su
M. L. King), il campo della G.E.I. (sulla comunità) ed il corso per monitori.
Ancora dal « Messaggero Evangelico ».
Nella chiesa di Roma — via Teatro Valle —
il problema «di una più attiva partecipazione della fratellanza al culto domenicale » è
stato così risolto : « La Sacra Scrittura sarà
letta da uno dei presenti e non da chi presiede il culto; anche due preghiere saranno
elevate da presenti che si sentano di farlo e,
conclusosi il culto, chi desidera può fermarsi a discutere col pastore o con chi ha predicato, gli argomenti trattati nella predica.
Inoltre è stata raccòmandata e accettata una
riunione il giovedì, ad ora da fissare, nella
quale si possa studiare il testo o l’argomento da trattarsi, possibilmente, la domenica
successiva ».
Dalle Chiese
Pentecostali
In ogni numero del periodico « Risveglio
pentecostale » compaiono notizie di campagne di evangelizzazione. Particolarmente importante quella di Biancavilla in provincia
di Catania dove la Parola è stata annunciata
prima in una centralissima piazza e poi, per
vari giorni, in una sala cinematografica presa in affitto per l’occasione. Alle migliaia di
ascoltatori sono stati distribu.ti volantini e
Vangeli.
Nel numero di dicembre sì legge ancora
che il 2 novembre scorso si è avuto a Roma
il culto d’apertura del IS” Corso Biblico
presso l’Istituto Biblico Italiano « A.D.I. ».
Ansia di rinnovamento anche nelle comunità pentecostali? Interessanti al proposito
alcune frasi contenute in uno studio biblico
su Atti 2: 42 apparso sul « Risveglio pentecostale » di gennaio a firma di Salvatore Greco in cui si rammenta che « la Parola di Dio
non ci sprona ad essere solo fratelli domenicali » ed in cui si pone in luce che il rompere il pane della chiesa primitiva era un
atto collettivo che derivava da una vera comunione e amore fraterno.
PRAMOLLO
In queste ultime settimane diverse famiglie della Chiesa sono state visitate dal lutto.
Il 22 gennaio ha avuto luogo il funerale
del fratello Long Giovanni (Ciotti) deceduto
all’età di 83 anni.
Il 7 febbraio abbiamo accompagnato al
campo del riposo la spoglia mortale del fratello Sappè Eli fu Enrico, deceduto improvvisamente ai Pellenchi all età di 62 anni.
L’il febbraio abbiamo avuto il funerale
del fratello Long Michele Enrico, spentosi ai
Ribetti all’età di 88 anni.
A tutte le famiglie provale dal dolore della separazione rinnoviamo l'espressione della
nostra profonda simpatia ed invochiamo su
di loro l’aiuto e le consolazioni del Signore.
Paola è venuta ultimamente ad allietare la
famiglia dei coniugi Menusan Valdo e Franca (Pellenchi). Alla neonata il nostro benvenuto ed ai genitori le nostre felicitazioni
insieme ad ogni benedizione del Signore.
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
n. 175, 8-7-1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (To)
Venerdì 14 febbraio ^
Accordo fra il governo italiano e i sindacati per le pensioni. Il governo decide che la
riforma degli esami di maturità e di abilitazione entrerà in vigore con la sessione di
luglio.
A Bologna, al congresso del P.C.I. i russi
applaudono (?) affermazioni che respingono
« la preoccupante teoria del diritto d’intervento in casa d’altri ».
Cortei e occupazioni studentesche a Roma.
Aosta, Cuneo, Genova, Sanremo.
Si apre a Palermo il processo a Carlo Bazan per il Banco di Sicilia (ammanco di 3
miliardi).
Dopo la visita di Wilson a Bonn, viene
pubblicata una dichiarazione anglotedesca :
« L’Europa è inconcepibile senza la Gran Bretagna ».
Alla conferenza di Parigi per il Vietnam
Hanoi e i vietcong insistono, almeno ufficialmente : ritiro immediato degli americani.
Sabato 15
Il governo italiano approva le nuove pensioni. La benzina aumenta di 10 lire al litro :
siamo, dopo la Francia, il paese europeo in
cui è più cara, e di molto.
Al congresso bolognese del P.C.I. il segretario della C.G.I.L., Novella, rivendica al sindacato autonomia dal partito e rifiuta la tesi
della “nuova sinistra” e della contestazione
globale, la medesima posizione è sostenuta da
E. Berlinguer, probabilmente successore di
L. Longo alla segreteria del partito.
A Bologna un gruppo di insegnanti medi
sciopera contro la contestazione studentesca;
a Roma, dieci delle dodici facoltà universitarie sono occupate.
In Inghilterra, "esseri umani” concepiti in
provetta; lo sviluppo degli embrioni arrestato
a un certo punto.
Domenica 16
Inizia senza incidenti il “piccolo blocco” a
Berlino-ovest, contro la decisione di tenervi
in marzo l’elezione del nuovo presidente della
Repubblica Federale.
Parigi minaccia di ritirarsi dall’Unione europea occidentale (M.E.C. più Gran Bretagna)
in seguito alla riunione di Londra, ritenuta
« illegale » per la mancata partecipazionefrancese.
Il Comitato centrale dei Gruppi Giovani)
dell’industria italiana chiede, in vista dellai
prossima assemblea annua, il rinnovo della.
Confindustria.
Nel Vietnam del sud, Saigon e i vietcong :
proclamano la tregua per il Capodanno lunare. .
Lunedì 17
Bonn afferma di non voler recedere dalla)
decisione di tenere a Berlino-ovest l’elezione
del nuovo presidente federale. Parigi è preoccupata dal rischio dell’isolamento nella U.E.O.
Nel Pakistan viene abolito lo "stato di
emergenza” decretato nel settembre 1965, aL
momento del conflitto con l’India; l’abolizione
è stata strappata dopo parecchi giorni di violenti disordini suscitati daU’opposizione, che
chiede il ristabilimento di un regime democratico; ma la situazione resta molto tesa.
Martedì 18
La Francia lascia « fino a nuovo ordine »
FU.E.O.; Londra ribatte: «Non lasciamoci intimidire dai tuoni gollisti ».
L’Italia chiede al M.E.C. contributi per evitare la crisi delle arance.
Riprende alla Camera l’inchiesta sul SIFAR.
Ulbricht si reca a Mosca per discutere il
"blocco” di Berlino.
L’ateneo di S. Diego, in California, riassume Marcuse : « Non vi è nulla di sovversivo
nel suo insegnamento ».
Nel Vietnam si combatte, anche durante la
tregua.
Gli scienziati di Cambridge che hanno operato lo sviluppo in vitro di alcuni embrioni
lamentano la pubblicità scandalistica deUa
stampa, ma si rallegrano della discussione del
problema, a livello scientifico ed etico.
Mercoledì 19
I membri delFU.E.O. si riuniscono a Londra, malgrado il veto gaullista.
La Cina annulla l’incontro diplomatico con
gli americani in programma per giovedì ai
Varsavia. ni
Un gruppo di terroristi arabi dell Al Fatab
attacca un aereo israeliano all’aeroporto di Zurigo: un morto (fra i terroristi) e vari feriti.
Sciopero degli insegnanti in tutti gli istitutL
medi italiani.
Alla Camera, dopo difficoltà procedurali, sì
avvia il dibattito sul SIFAR.
II tribunale di Stoccarda ha accolto la domanda di proscioglimento, formulata dal procuratore generale e ha assolto in istruttoria
(per insufficienza di prove) il maggiore delle
SS Peiper, il responsabile della strage di Boves; il borgo cuneese proclama la magistratura tedesca « indegna di fiducia » e rifiuta
l’appello. Le testimonianze erano schiaccianti.
Altri due intellettuali processati a Mosca
per « attività antisovietiche » : avevano protestato in favore dei detenuti politici.
Il M.E.C. acquista le nostre eccedenze di
arance, per caserme e opere benefiche.
Riprendono conversazioni fra Confindustria e sindacati per il superamento delle zone
salariali nell’industria privata.
Giovedì 20
Fatto senza precedenti al Senato italiano :
i primi 17 oratori (rappresentanti di tutti i
partiti) iscritti a parlare sul bilancio statale,
si ritirano in quanto esso soffre di « una
totale mancanza di credibilità ».
Confindustria e sindacati rompono le trattative per le zone salariali.
De Lorenzo ha denunciato 12 generali « perché finisca questo triste carnevale ». 0 pulpito! Al processo di Palermo per il Banco
di Sicilia Bazan cita il governatore della Banca d’Italia
Per FU.E.O. altro colpo di scena: la Germania ammorbidisce le proprie posizioni, i francesi partecipano all’assemblea che si riunisce
a Parigi, Londra dice : « Bonn si è arresa a
De Gaulle ».
Vietato il congresso del partito neonazista
NPD che doveva tenersi a fine settimana a
Bayreutb.