1
^ ¥
«
ECO
DELLE VALLI VALDESI
BIBLIOTECA VALDESE
TORRE PELLICE
Sellimanale
della Chiesa Valdese
Anno XCV1Í-N. 45
Una copia lire 50
ABBONAMENTI
{Eco; L. 2.500 per Tinterno 1 Spedizione in abbonamento postale . I Gruppo bis
L. 3.500 per l’estero [ Cambio di indirizzo Lire 50
TORRE PELLICE — 17 Novembre 1967
À.inniiii. Claudiana Torre Pellice • C.C*P. 2-17557
Il dolore (civile) degli altri
Il nostro cimitero ha qualcosa di
diverso, lo diciamo tutti; ma ai primi di novembre è difficile crederlo:
carabinieri di servizio al cancello,
corone bianco-rosse del comune,
parcheggio intasato. La giornata è
mite, e i visitatori s’attardano su
una tomba, passano per i vialetti,
s’incontrano e conversano quietamente con gli amici. (C’è perfino
un manipolo di monachine che sgusciano rapide fra i cipressi, un po’
eccitate dall’avventura in terra eretica: due minuti in preghiera attorno a una tomba, e se ne vanno).
Le tombe fanno storia. Quelle in
alto — tonnellate di marmo, scritte
in tutte le. lingue — sono la Firenze
inter nazionale-bene di fine Ottocento. A metà ci sono i quadrati
compatti delle vecchie famiglie
evangeliche, più in basso il nuovo
popolo; sotto i nomi raramente si
leggono espressioni bolse, vanificate
dall’abuso; c’è invece un versettotestimonianza, forte e sereno nella
grazia del Signore.
Nonli di famiglie che nella persecuzione organizzarono la comunità; nomi di credenti che sono stati
fra noi, solo ieri; nomi di casa, tanti. E t’accorgi che sono scadute le
differenze, le distinzioni; non dice
nulla che fossero della tua o di
un alt ni chiesa, del tuo o di un altro
casato, dono — siamo — i familiari
di Dio, chiamati in questa città a
una comune vocazione.
Se stuardo quelle due bambine
che, ridendo, si rincorrono fra l’intrico delle tombe, accanto a quella
del lori) babbo, sorrido loro: era un
fratelìo cd un amico, loro padre, e
mi trceso a pensare di sorridere anche per lui. Ma è intrusa e offensiva quella gente che ora passa e s’occuccia attorno a una gran tomba:
tradito la fede, abbandonato l’Evangelo per un piatto di lenticchie orlato d’oro, cosa hanno a che fare?
Quel morto è della nostra famiglia,
non della loro.
Poco oltre, accosto una persona
attempala; so che da mezzo secolo
coltiva in serra chiusa il dolore per
la perdila d’una persona amata, e
che quel dolore si nutre di succhi
amari. (Non corrono lodabili ’’buoni rapporti” fra quella persona e
me; ami, non ne corre ufficialmente nessuno, dal giorno che essa ’’scoprì” che ero un sovversivo in una
comunità sinistroide). E’ accanto
alla sua tomba ripidita e ornata, dove ogni particolare parla di un culto-di latria; forse è il .momento di
riaprire un dialogo, e riconoscerci
davvero. La sua cortesia incoraggia.
Parla, ed è chiaro che riprende un
monologo d’una violenza dolorosa;
— Vede, in che mondo siamo? Crolla tutto, finiscono gli ideali, resta
solo un marciume schifoso. —
Accenna con un gesto alla sua
tomba, e riprende: — Questi giorni
sono d'inferno. Lei non sa che sofferenza, che pena cocente per me in
questi giorni, con quel che succede.
— S’accorge che sono fuori quadro,
e incalza: —■ Ma come, lei non sa?
non vede quanto è spaventoso?
Quando peruso che lui, con i suoi purissimi ideali, è forse morto andando all’assalto col grido ’’Savoia!
sulle labbra... —. Soffre, ha la gola
stretta; ma io non ci sono ancora,
devo guardarla assai stupidamente,
e m’illumina in un grido: — Ma la
Titti! la obbrobriosa tragedia della
Titti! ,—
Ora ci arrivo in un lampo. Ma prima di parlare sento che mi dicono
”i miei”, sepolti là vicino; il babbo
socialista e d’eloquio breve quanto
rudemente plebeo, o la mamma,
evangelica creatura che dal nonno
ebbe in unica eredità un ritratto di
Garibaldi? L’indecisione è salutare.
chè la persona riprende: — Il nome dei Savoia, capisce, era sacro
per noi: si viveva, si moriva con
quel nome sulle labbra. E ora quei
figli scatenati, la Titti che fa quello
che fa, con un cinematografaro trasteverino. Quel nome è nel fango,
tanto più che è tutto per danaro.
Ha visto Covelli alla televisione?
Aveva il pianto in gola. E’ una cosa indicibile, terribile, per chi credeva ancora, come noi, in un ideale. Crolla tutto. Il mondo è putrido
e basta, e l’Italia è finita. —
Capisco che, al di là dell’eccitazione e dei rancori, v’è qualcosa che,
francamente, m’era sfuggito. La
cronaca dei figli Savoia l’ho sempre
seguita distrattamente e la storia
della Titti Tavevo inquadrata in
una analisi di costume nella quale
non avevano posto problemi istituzionali. Invece oggi c’è una frazione del nostro popolo, i monarchici
autentici, che vive l’angoscia d’un
ideale avvilito, dato in pasto ai paparazzi e allo squallore della cronaca smndalistica. Ho passato troppe
ore della mia infanzia in una cucina-salotto-studio che, sulle mura a
calce, aveva solo il ritratto di Garibaldi e dei versetti orribilmente incorniciati, per condividere quegli
ideali. Ma capisco, sento quella sofferenza.
Col mito dei Savoia, affossato da
casi d’una banalità oscena, tramonta una parte della nazione, che ri
peteva frasi e motti senza risonanza fra le generazioni nuove. Poteva
essere un tramonto dignitoso, nobile
quanto quel Risorgimento a cui il
nome dei Savoia è legato per più
versi, ed invece sta finendo tutto in
schifilo. (Forse, vien da ragionare,
sarebbe stato meglio arrestare e
processare quella famiglia, e mandarla via nuda e bruca come allora
erario milioni di italiani: nella distretta, forse, avrebbe mostrato dignità ).
Uscito sulla strada, guardo ancora la conchiglia candida del cimitero e le nervature dei suoi cipressi;
là v’è tanta nostra gente che, vissuta in quel tempo, in quell’ambiente
socio-politico, ha certo creduto nella monarchia sabauda. Quello che
accade oggi era allora fuori d’ogni
previsione, sarebbe stato scandalo
solo l’immaginarlo. E che dobbiamo
pensare — noi — delle nostre istituzioni? possiamo fare di esse un
idolo?
Viviamo senza idoli e senza ideali, costruiamo distruggendo, il nostro disordine è organizzato. E tentiamo di dare un senso a tutto questo che chiamiamo ’’vivere”. Ma si
muore, oggi, con le labbra sigillate, senza alcun nome-confessione di
fede. E’ in questa tacita sconfitta
che s’innesta la nostra speranza:
Cristo, colui che ”ha amato” il
mondo.
L. S.
NELLA VAL PELLICE
iW Anniversario della Bifornia
« Dove è lo Spirito del Signore,
quivi è libertà »
(2 Cor. 3: 17).
DOMENICA 19 NOVEMBRE ALLE ORE 21 A TORRE PELLICE
A cura del l'Associazione E. Arnaud avrà luogo nei locali della
Casa Unionista (Via Beckwith, 5) una Conferenza del Prof.
Augusto Armand Hugon sul tema : Lutero, Calvino e noi. Seguirà libero dibattito.
MERCOLEDÌ' 22 NOVEMBRE A PINEROLO
Nell'Aula delle Conferenze della Biblioteca Civica alle ore 21
Conferenza sul tema : Attualità della Riforma del XVI secolo
(Prof. Domenico Maselli).
DOMENICA 3 DICEMBRE ALLE ORE 15 A TORRE PELLICE
Nel Tempio Valdese manifestazione commemorativa con la presentazione del « Lutero » di G. Tourn, e con la partecipazione
della Corale e dei Trombettieri Valdesi.
iiiimtiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiuimmiuiiiii
Qualcuno comincia a reagire
IL SINODO PRESBITERIANO
BRASILIANO SI PRONUNCIA
CONTRO L'ECUMENISMO
S. Luiz, Brasile (soepi) — Durante la sua
recente riunione, il Sinodo del Nord della
Chiesa presbiteriana del Brasile ha severamente criticato l’attuale ecumenismo. La risoluzione presa respinge (c tutti gli sforzi,
oggi impegnati per riavvicinarsi, sul piano
ecumenico, alla Chiesa romana, a quella
Greco-ortodossa o ad altri gruppi o sistemi
religiosi che si sono allontanati dalla verità
insegnata dalle Sacre Scritture ».
Il Sinodo invita la Chiesa a richiamare al.
l’ordine tutti i suoi membri che <c per qual,
siasi ragione, sembrino tentare di denigrare
questa posizione, colle parole o cogli atti ».
iiiiiimiiiiJiimiiiiltliiiMiiiiiiliiiiiiiiiiiiiitli
COME SARÀ LA FEDERAZIONE
lavorare in comune guidati dalla parola di Dio
L’Assemblea costituente di Milano
non si è limitata a studiare insieme e
a deliberare lo Statuto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia. Fare uno statuto e dar vita ad un
organ'smo era, sotto certi aspetti, cosa abbastanza facile e di limitata efficacia. Molti temevano che una Federazione non avrebbe portato nulla di
diverso da quanto già esisteva in Italia col Consiglio Federale. Una Federaz'one costituita come un organismo
burocratico non avrebbe corrisposto
alle speranze del II Congresso di Roma ; avrebbe dato vita ad una nuova
burocrazia ecclesiastica, senza toccare
in profondità la vita delle Comunità.
Per questo, fin dal II Congresso Evangelico ci si era preoccupati che la Federaz'one fosse soprattutto un organismo dinamico, uno strumento per
sollecitare e coordinare le attività delle Comunità locali, un càtallzzatore
dell’unità effettiva e non un’entità che
si sostitu'sse alle chiese.
Il riflesso di questa preoccupazione
appare evidente già nello Statuto della Federazione e specialmerite nell’articolo secondo, la cui estensione è stata frutto del dibattito più lungo e appassionato delTAssemblea Costituente.
Tuttavia il carattere dinamico della
Federazione appare netto e deciso nei
mandati che l’Assemblea ha rivolto al
ConsigT-O della Federazione, affinchè
esso organizzi al più presto gli Uffici e
i Servizi che meglio corrispondono alle esigenze dell’attività comunitaria
delle Chiese membro.
L’UFFICIO LEGALE
L’idea di creare un Ufficio di Presidenza non ha incontrato molto favore
nell’Assemblea, preoccupata che tale
dizione nascondesse il pericolo di organi troppo burocratici. È giusto che
il Presidente abbia un suo Ufficio, ma
di carattere puramente esecutivo e
col minimo indispensabile di perso
Diverso discorso si è fatto per l’Ufficio Legale. L’Assemblea ne ha riconosciuto l’importanza e la funzionalità non solo per le Chiese membro, ma
anche per quella parte dell’Evangelismo italiano che non partecipa alla
Federazione neppure come mernbro
aderente. Il deliberato delTAssemblea
suona cosi’,:
L’Assemblea costituente della Federazione
delle Chiese evangeliche in Italia, riunita in
Milano dal 2 al 5 novembre 1967,
udita la relazione del Comitato preparatorio sulla istituzione di un Ufficio legale della Federazione,
accetta il principio in essa contenuto circa
la istituzione di detto Ufficio, di cui la Federazione si avvarrà per l’articolazione della
propria attività e che rappresenti la contili/ A!fretto Sonetti
nuazione dell’opera dell’Ufficio legale del
Consiglio federale, anche se strutturato in
forma diversa e con i compiti attribuitigli
dall’Assemblea della Federazione,
indica fin d’ora i seguenti criteri direttivi
che dovranno presiedere alla istituzione del
detto ufficio :
1) l’Ufficio legale dovrà indirizzare prevalentemente la propria attività sulle materie riguardanti la affermazione e la difesa
della libertà religiosa ed i rapporti fra le
confessioni evangeliche e lo Stato italiano;
2) rUfficio legale, pienamente inserito
nella Federazione secondo le norme dello Statuto che riguardano gli uffici ed i servizi,
dovrà essere tuttavia strutturato in modo da
assicurare a tutte le Chiese ed Opere evangeliche all’opera in Italia, anche non facenti
parte della Federazione, la possibilità di servirsi delTUfficio medesimo nell’ambito delle
competenze ad esso attribuite, in analogia a
quanto è avvenuto per l’Ufficio legale del
Consiglio federale;
3) l'Ufficio legale dovrà rientrare interamente sotto la responsabilità amministrativa della Federazione, la quale ne assicurerà
il funzionamento attraverso il concorso finanziario di tutte le Chiese ed Opere che si servono delTufficio medesimo, predeterminando la misura del contributo che ciascuna di
esse dovrà versare sulla base : a) dei servizi
richiesti; b) della capacità contributiva di
ciascuna Chiesa od Opera calcolata anche in
relazione alle sue dimensioni;
4) l’Ufficio legale dovrà in ogni caso essere organizzato contenendo la spesa all indispensabile.
IL SERVIZIO STUDI
Unanime è stato il convincimento
dei delegati delTAssemblea che la condizione indispensabile perchè la Federazione possa funzionare è il promuovere un comune confronto con IsParola di Dio. La base reale sulla quale si fonda la comunione di fede delle
nostre Chiese è il riconoscimento dell’autorità sovrana della Parola di Dio,
e l’intento fondamentale della Fede
razione è proprio di trovarci in comune dinanzi alla Parola del Signore per
lasciarci da essa giudicare, consolare,
dirigere.
Ciò può essere realizzato in concreto nella misura in cui lo studio della
Parola diventa primario nella vita delle comunità. Per questo è stato unanimemente riconosciuto il valore del
Servizio Studi che l’Assemblea ha votato nei seguenti termini;
L’Assemblea, richiamandosi al motto
"Uniti per VEvangelo" — che ha ispirato il
2° Congresso evangelico nonché l’Assemblea
costituente — indica come scopo e ragion
d'essere del nostro lavoro in comune nella
Federazione il potenziamento della testimonianza evangelica per renderla sempre
più chiara, esplicita, fedele.
A questo fine chiede che il "Servizio Studi" orienti la sua azione sulle linee seguenti:
1. - Ricercare, analizzare e far conoscere quegli aspetti del nostro mondo e della
nostra società attuale dinanzi ai quali il silenzio equivarrebbe ad un occultamento dell’Evangelo;
2. - Promuovere la ricerca biblica ed
il confronto interdenominazionale sulla
realtà del sacerdozio universale dei credenti
e sul riconoscimento dei ministeri specifici
che sorgono nell’ambito di esso; favorire,
ovunque possibile, delle forme di preparazione in comune per quei ministeri che la
richiedano;
3. - Favorire una migliore conoscenza
e più esatta valutazione dei presupposti
esegetici esistenti nelle Chiese evangeliche.^
Al "Servizio Studi” — che per necessità
funzionali potrà essere limitato ad un numero ristretto di persone ■— è riconosciuta
la facoltà di cooptare dei consulenti e di
promuovere consultazioni a livello regionale ed eventualmente nazionale allo scopo
di valorizzare i doni dottorali e di udire la
voce delle diverse correnti di pensiero esistenti nelle chiese.
Al "Servizio Studi" viene suggerito di
operare per quanto possibile a livello regionale non solo per le questioni che più
ovviamente lo richiedano, ma anche demandando lo studio di determinati problemi di carattere generale a gruppi che si
possano costituire in diverse zone del paese. Pur rimanendo di competenza del "Servizio Studi" la riflessione sui problemi evangelistici, sarà invece riservata al "Consiglio della Federazione” quella attività di
coordinamento delle iniziative evangelisti
CONTINUA
IN QUARTA PAGINA
L'ARCIVESCOVO ANGLICANO
AUSTRALIANO LOANE
E L'ECUMENISMO
Sydney (soepi) — I membri del Sinodo
anglicano di Sydney favorevoli all’ecumenismo sono rimasti sorpresi nel sentire l’arcivescovo M. Lawrence Loane dichiarare che
la spaccatura fra cattolici ed anglicani era
praticamente insormontabile.
I commenti, fatti alla trentaquattresima
seduta del Sinodo, sono stati resi pubblici
solo tre giorni prima della riunione del grup.
po misto di lavoro, composto dai membri
del Consiglio delle Chiese australiane e della Chiesa cattolica.
« Ho l’intima convinzione — ha dichiarato l’arcivescovo Loane — che i negoziati di
unione sono vani ed illusori a meno che non
siano il risultato di un accordo autentico sui
punti essenziali e che si metta l’accento su
una teologia biblica assolutamente ferma...
Dobbiamo certamente rallegrarci... per l’interesse rinnovato degli specialisti cattolici romani per gli studi biblici e per la crescente
libertà che si riscontra nelle discussioni, favorevole ad una maggiore comprensione. Eppure, non vi è segno di alcun cambiamento
nei dogmi tradizionali della Chiesa di Roma.
Per questo motivo le linee di demarcazione
storiche rimangono immutate ».
L’arcivescovo cattolico G. Young di Hobart ha detto che l’atteggiamento delTarc.
Loane rende i progressi delTecumenismo assai difficili. Ha aggiunto che se egli dovesse
assumere le stesse posizioni, dovrebbe fare
la seguente dichiarazione : « Non vi è alcuna
possibilità di unione a meno che l’arcivescovo Loane cessi di rifiutare il papato ».
Per conto suo l’arcivescovo anglicano
F. Woods, di Melbourne, ha precisato che
« non si tratta di sormontare le differenze
dottrinali, ma di comprenderle e di accettarle ».
(liiiimiiimiii
I
protestanti spagnoli
e la
conimissione
per la libertà religiosa
Madrid (soepi) — Per la prima volta, il
presidente ed i 1 segretario esecutivo della
Commissione di difesa evangelica spagnola
hanno avuto contatti col segretario della
Commissione governativa per la libertà religiosa. Questa commissione è incaricata di
vigilare sull’esecuzione della legge sulla libertà religiosa, recentemente adottata in
Ispagna.
I sigg. F. Garcia e J. Cardona, responsabili della Commissione di difesa, hanno qualificato « cordiali » i loro incontri col sig.
M. Tallada, segretario della commissione governativa per la libertà religiosa.
I portavoce dei protestanti spagnoli hanno fatto presenti le loro obiezioni in merito
alla legge sulla libertà religiosa votata dalle
Cortes nel giugno scorso e che ha dato luogo
a vivaci controversie. La commissione è stata
pregata di redigere, nei riguardi della commissione governativa, un memorandum che
riporti i punti principali dove i protestanti
sono in disaccordo colla legge stessa.
Fra gli ospiti fraterni all’Assemblea costituente evangelica di Milano c’era il pastore Humherto Capò, segretario generale
della Chiesa evangelica spagnola. Con sobrietà e serenità toccanti ci ha parlato della fase drammatica che i fratelli spagnoli
stanno vivendo. Non dimentichiamoli, preghiamo perchè sia dato loro di reggere con
fermezza nello « status confessionis » attuale.
2
p».
N. 45 — 17 novembre 1867
LETTERA AL DIRETTORE
[’ecumenismo: speranza e confusione
Egregio Direttore,
sento il dovere di mandarLe due
righe (sono membro elettore della
chiesa valdese di Roma) perchè i
Suoi lettori possano capire che cosa
gli osservatori consulenti abbiano
fatto partecipando al III congresso
mondiale dei laici cattolici di Roma. Non sono in ogni modo andati
a ballare e neppure a mangiare lenticchie come sembrerebbe dal Suo
articolo nel N. 43 del Suo giornale.
Permetta che Le dica che trovo assurdo che una persona possa scrivere di un congresso, così vasto e diverso per molteplicità di temi, di
tendenze e di posizioni, senza esservi stato in persona, nemmeno un
istante.
Ho avuto il piacere di far parte
del numero degli osservatori ufficiali, rappresentando VAlleanza Mondiale delle Unioni Cristiane Femminili (Y.ÌV.C.A.) con altre due colleghe venute da Ginevra, e allo stesso modo è stata rappresentata la
Y.M.C.A. Mondiale e il Movimento Cristiano Studenti. Rappresentavamo, non so se Lei sappia, movimenti laici ben noti, i cui membri
sono di tradizioni cristiane diverse.
La maggioranza degli altri osservatori rappresentavano chiese varie sia
protestanti che ortodosse. Forse è la
lunga esperienza in Campo laico cristiano ed i contatti avuti fin dal suo
nascere con il Consiglio Ecumenico
delle Chiese che ci ha plasmati in
modo da poter ’’fare la strada” con
gli altri senza perdere la fiducia nella nostra chiesa e quindi il dialogo
è sorto spontaneo, senza diffidenze o
secondi fini.
Desidero quindi — e spero non si
offenda — farLe rilevare dove mi
sembra sia caduto in parecchi grossi errori nel Suo articolo.
I. Mi ha sorpreso che Lei abbia
citato sempre l’Osservatore Romano mentre avrebbe dovuto avere a
Sua disposizione il SOEPI (anche
se il Consiglio Ecumenico è caduto
in disgrazia presso di Lei) ed avrebbe avuto il testo completo dell’ottimo discorso del pastore Weber alla
sessione finale.
II. Che alcuni osservatori (erano
del Consiglio Ecumenico) abbiano
collaborato invece di aver solo osservato Le ha dato molto fastidio.
Lei, è evidente, non era bene informato. Era da circa un anno a conoscenza di tutti che il congresso aveva chiesto la collaborazione di alcuni esponenti del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Mi dispiace che
questo L’abbia urtato. Non ha mai
pensato che tale richiesta potesse
avere un lato buono per il congresso e che se è riuscito così entusiasmante per i laici cattolici è forse
anche per la collaborazione che
hanno dato alcuni protestanti ecumenici?
III. A noi osservatori Lei dà due
possibilità di condanna: o siamo di
una ’’superficialità imperdonabile”
oppure ’’c’incamminiamo a non più
essere fratelli nella confessione della nostra fede di prima”. Poveretti
noi! E penso alle straordinarie con
versazioni che abbiamo avuto ne
carrefours di lavoro, in piccoli grup
pi di 10-15 persone (Sud-americani
spagnoli - portoghesi - africani) tut
ti meravigliati ed interessati quan
do parlavamo delle nostre chiese,
dei nostri movimenti, tanta gente
semplice, desiderosa di sapere veramente cosa doveva fare il cristiano
nel mondo di oggi, se ci si poteva
fidare, se c’era speranza, o se tutti
gli uomini stavano per diventare
belve o furbi. Che cosa si doveva
dire insomma? E dopo i carrefours
non ci siamo meravigliati dell’entusiasmo dei battimani, per ottenere
maggiore indipendenza ed affermar
si come laici impegnati per Cristo
Nessuno pensava allora che la ge
rarchia forse boccerà quasi tutto
Fa parte delle tante delusioni che
cristiani debbono affrontare. (E no
non ne affrontiamo nelle nòstre chic
se protestanti?). Ma il momento en
tusiasmante c’è stato ed è stato sen
tito da noi. E’ quello che Lei, pove
retto, non ha sentito ed è un gran
peccato.
IV. Lei si preoccupa di sapere se
ci sentivamo ’’rivoletti che annaspano per rientrare nel grande flusso
materno e vitale”. Quanto ho già
scritto mi auguro Le abbia fatto capire che non tutti quelli che si chia
mano ecumenici siano dei confusionari e dei sentimentali impreparati.
Sono questi infatti che rendono il
nostro lavoro d’incontro ecumenico
.sempre molto difficile. Spero che
Lei possa un giorno conoscere quelli che, come noi, hanno stabilito che
la base del dialogo ecumenico debba essere su fondamenta di sicura
fede individuale e soprattutto chiarezza. La lunga esperienza della nostra associazione mondiale, contraria non solo ad ogni forma di proselitismo confessionale ma anche ad
un allontanamento dalla propria
chiesa per dileguarsi in uno spazio
nebuloso fuori di tutte le chiese, ci
ha agguerriti in tema di chiarezza
ma ci ha anche infinitamente arricchiti in tema di fiducia cristiana verso ’’l’altro”.
E concludo che la partecipazione
al congresso dei laici avrebbe fatto
bene a tanti pastori e teologi di ogni
confessione - che oggi s’illudono di
avere in mano la guida delle loro
chiese. Quello che è necessario è
sentire la chiamata di Dio ovunque
la Sua voce si faccia sentire. Non è
facile. Occorre inoltre ricordarsi che
alla formazione ecumenica si arriva
solo con lo studio ed una paziente
preparazione. In più, con molta
umiltà. Non c’è qualche volta il rischio per noi protestanti (senza volerlo si capisce) di credere di poterci sostituire a Dio?
Mary Rossi
Vorrà permettermi, a mia volta, alcune precisaz-oni,
1. Non ho inteso scrivere un articolo sul Congresso in questione; ho
scritto soltanto sulla partecipazione
di rappresentanti ufficiali protestanti
al medesimo.
2 Lei mi cons dera male informato e pegg o. Ricevo e leggo regolarmente il S.OE.P.I. (la lettura del testo
del discorso del prof. Weber mi ha fatto un’impressione ben diversa di quella provata da Lei, tanto più penosa
per un uomo, un teologo di cui avevo
apprezzato «L’Eglise mil tante»). Ho
di proposito citato « L’Osseryatore Romano » — non smentito da nessuno,
nemmeno da Lei. Credo senza difficoltà in accentuazioni tendenziose e interessate di quest’ultimo, ma quello
a cui tenevo era far sentire in che quadro vi eravate trovati. Non ho alcun
dubbio — e, creda, qualche volta qualche cattolico l’ho incontrato anch’io —
sul valore di certi incontri personali,
ma Lei sembra non rendersi conto di
quel che significa una rappresentanza
ufficiale, da un lato, e l’inserimento in
un certo quadro oggettivo, dall’altro.
3. Dire che si sapeva da tempo che
la Chiesa Romana aveva invitato il
C.E.C. a partecipare attivamente alla
preparazione di tale Congresso, non è
una spiegazione nè tanto meno una
giustificazione. Certo che Io si sapeva;
abbiamo da tempo protestato contro
queste prospettive, e in modo particolare dopo la relazione del « gruppo
misto », al Comitato centrale del
C.E.C. a Heraklion. A me è parso — e
pare tuttora — che i responsabili del
C.E.C. hanno esorbitato dal loro mandato, trasformando i loro (i nostri!)
delegati da « osservatori » in « consu
lenti » e collaboratori. È questo un
mandato che non è stato loro dato;
potrà essere dato a Upsala (e in tal
caso le Chiese trarranno le conseguenze che giudicheranno opportune), ma
ora rappresenta un arbitrio contro cui
abbiamo il diritto e, credo, il dovere di
protestare. Non per ¡legalismo, ma perchè si scavalca in tal modo con grande leggerezza quello che pure proprio
la storia del movimento ecumenico
avrebbe dovuto insegnare, una volta
per tutte : il fatto che si può fare insieme, per rendere testimonianza a Cristo, solo se si è insieme.
4. Lei chiede di considerare se non
vi è stato pure « un lato buono » per il
Congresso cattolico nella partecipazione protestante. Indubbiamente il Congresso si è avvantaggiato della vostra
presenza! Credete che vi avrebbero invitati, altrimenti? E non ho dubbi sul
contenuto evangelico degli interventi
protestanti, o almeno di molti di essi,
tuttavia resta aperto il problema se
un « contenuto evangel co », in un dato quadro, sia veramente l’Evangelo da
annunciare in quella particolare situazione : non è concepibile mettere indifferentemente in bocca a un profeta,
a Gesù, a un apostolo una qualsiasi
parola, pur « biblica », in una qualsiasi
situazione storica; le parole dell’Evangelo non sono intercambiabili, sono
dette in quel dato quadro, in quella
data situazione. Siete sicuri, nella vostra coscienza evangelica, di aver detto quell’Evangelo che andava detto in
quella situazione? Non è invece possibile che, al di là delle vostre intenzioni, certamente, ma pur oggettivamente abbiate dato il vostro apporto
alla « pienezza » cattolica? Non siete
stati, volenti o nolenti, i fiancheggia
tori di una istituzione che è e resta
compatta, nonostante i travagli interni? Non avete forse aiutato, un
poco, i cattolici « ad essere migliori
cattolici » — com’è invalso dire oggi?
Credete che proprio questo sia il compito del protestantesimo nei suoi rapporti con il cattolicesimo romano?
_ 5. L’ha urtata — e lo comprendo —
1 alternativa fra due possibilità di
condanna, per gli « osservatori ». Credo tuttavia che quest’alternativa sia
valida, dopo aver letto quanto è stato
scritto in proposito, la Sua lettera inclusa. Ritengo profondamente errato
sopravvalutare la tensione interna fra
clero e laicato cattolico, applicandole
criteri protestanti, cioè ad essa estranei : è una posizione parecchio diffusa,
anche in campo protestante, ma dopo
parecchi anni in cui si parla e scrive
in proposito, rion denota una superficialità di giudizio che non è ingiustificato definire « imperdonabile »? I
sostenitori di questa posizione squalificano volentieri l’opposta tesi teologica con argomenti psicologizzanti, ma
si sono finora guardati dal discuterla
sul terreno teologico. Sono forse quegli stessi che si adontano quando da
parte cattolica si riduce (sempre meno, fra i cattolici seri) il problema teologico, di fede di Lutero a problema
psicologico.
6. Non vi è una vena sottile di demagoga «laica», nel Suo scritto? (e
forse c’è stata, a livello velleitario, nel
Congresso dei laici cattolici : per i quali resta però inconcepibile che questi
contrasti portino a una rottura di fede con la gerarch a, in altre parole si
resta sostanzialmente al di qua di ciò
che intendiamo per Riforma). Tale
atteggiamento non stupirà del tutto
coloro ai quali è nota la diffidenza verso la teologia (intend amo teologia
confessionale, cioè confessante) che
contraddistingue l’Associazione da Lei
rappresentata. In campo protestante,
però, questa contrapposizione è un
non-senso; nessun pastore o teologo
potrà mai chiudere la bocca a un
« laico », a un fratello facendosi forte
di un suo preteso «magistero» ; ma nessun « laico » potrà mai liquidare la predicazione o l’insegnamento del suo preteso « clero » con considerazioni psicologiche: siamo fratelli e sorelle per i
quali l’unico riferimento e l’unica autorità è la Parola del Signore; solo su
questo metro si misurano e si risolvono eventuali contrasti. Del resto è poco serio, in campo protestante quanto
cattolico, fare dei teologi gli occhiuti
conservatori che frenano il generoso
moto laicale. I teologi autentici, in
campo protestante quanto cattolico,
non sono mai dopo, ma prima, non
costituiscono la retroguardia, ma la
punta, non il freno, ma lo stimolo:
nessuno come loro sa il travaglio della
maturazione, la disciplina severa dello studio, la pazienza e la fatica della
preparazione e della chiarificazione.
Ed è a questo livello profondo che le
divergenze si rivelano sempre più
gravi, radicali.
Accetto senza r'serve, e molto seriamente il Suo richiamo all’umiltà. Tuttavia questo non infirma la validità
della mia inquietudine e la determinazione della mia protesta. Sono convinto che siamo in molti a non esserci
sentiti « rappresentati » : c’è una larga
parte della nostra « base laica » che la
pensa così e sarebbe opportuno, anzi
urgente che si venisse non tanto a
una verifica di maggioranze, in una
brutale prova di forza, ma a un aperto dibattito su una via che il « movimento ecumenico » ufficiale ha imboccato un po’ alla chetichella o, se vogliamo, come se essa non ponesse alcun problema serio. Invece ne pone,
e come. G’no Conte
NAPOLI
Grazie a Dio, la quaresima è agli
sgoccioli. Tranne i quaresimalisti e i
loro uditori, chi se ne è accorto? Teatri aperti tutte le sere, feste da ballo e
veglioni; che bella penitenza! Tutto
ciò in mezzo alla squall da miseria, e
con dei sintomi poco rallegranti pel
nostro avvenire finanziario.
In quasi tutte le chiese evangeliche
si è tratto profitto della stagione per
r spondere ai quaresimalisti, e far meglio rifulgere la verità. È gran peccato
però che gli uditori dei preti non sieno
andati a sentire anche i ministri evangelici. Udendo il suono delle due campane, essi sarebbero più in grado di
riflettere e di g'udicare. Una vera penitenza è stata l'udire certi discorsi di
certi quaresimalisti. Ammiro sempre
quelli che hanno il coraggio di ascoltarli quando ne sballano di così marchiane come queste : che « quattro anni fa, a Zurigo, i protestanti hanno
divinizzato il feroce (sic) Zuinglio; e
due anni fa, a 'Vittemberga, eressero
un altare sul quale innalzarono i pantaloni di Lutero e li adorarono » !
Arnaldo
(Da Italia Evangelica, del 12 aprile 1890).
SIENA
Siena, 9 luglio 1890
Carissimo Sig. Direttore,
La invito senz’altro a infilar meco
la via di S. Domenico, dove presto ci
troveremo dinanzi a un portico, dalle
belle colonne di stile classico, ed alzando gli occhi, leggeremo sul fron rene triangolare : « Ravvedetevi, e t
dete all’Evangelo ». È il tempio evangelico. S'„ anche Siena ha il privile; ro
di possedere, nelle sue vetuste mura,
una Chiesa in cui il nome di Cr o
non è offuscato da Madonne e da Santi ; e vi è speranza di vedere la città di
Caterina Benincasa, dei Carnesecc ai,
di Antonio Paleario, dei Socini e di
tanti altri, scuotere la sua indifferenza religiosa, il suo bigottismo, e tornare, in parte almeno, alla fede ant:9:a
dei padri Romani, a quella degli ev angelici del secolo XVI.
Un grave ostacolo al rapido progresso dell’opera di evangelizzazione in
questa gentile e colta città, parm b
scorgerlo nella gentilezza stessa u i
abitanti, i quali, per cortesia, non i i
no aperta contraddizione all’evan
sta, ma altres’,, per riguardi um
fingono di ignorare resistenza i
un’opera evangelica fra loro, opp e
assentono alle cose udite, ma se ne
rimangono o scettici, o indifferenti, o
fanatici, neH’animo. Tanto basta per
dare un’idea delle difficoltà contro le
quali ha da lottare l’opera'o evangelico ed i suoi collaboratori...
Devotissimo Suo
A. D,
LA CAPPELLA DI PORTE
La comunità di S. Germano inaugurerà la nuova cappella di Porte dome
nica 19 c. m. alle 10,30 con un culto
di Santa Cena.
(Da Italia Evangelica del 19 luglio 18 H))
PERSONALIA
Due famiglie pastorali sono in lutto, c
con loro la Chiesa: a Torino sono deceduti in ospedale, in questi giorni, il Pastore
emerito Arturo Vinay e la Signora Syc'd
Troll Wnodhrown, compagna del Pastore
emerito Enrico Tron. Ai familiari e in noodo particolare al Past. Tron esprimiamo ia
nostra viva simpatia fraterna, nel ricorda
di questo fratello e di questa sorella che .i
lungo si sono affaticati neH'opera del .Signore.
* * *
Presso rUnivers.Xà di Torino Gianni Toii'i
si è laureato brillantemente in scienze biologiche. Con i nostri più vivi rallegramenti, un fraterno augurio per l'attività che gii
si apre davanti.
I LET¥ORI CI SCRIVONO
Un lettore, da Torino \
Signor Direttore.
la relativa concomitanza del conflitto nel medio Oriente e della celebrazione della ricorrenza della Riforma. nonché Taltrettanto relativa comunanza della natura religiosa dei
due avvenimenti mi hanno offerta la
occasione di fare alcune considerazioni.
Da una parte, vi ha tutto un popolo nelle sue varie espressioni di Nazione. drammaticamente impegnato,
fra l’altro, a difendere il rispettivo
territorio da una proditoria invadenza imperialistica in pretestuosa funzione di tradizioni religiose, peraltro
improntate a vieti concetti di favoritismi e discriminazioni divine fra i
popoli, affatto adombrati nei principi
fondamentali della religione stessa cui
le tradizioni si ispirano, nonché di
pretese istigazioni ad orrendi sterminii in chiave di giudìzi e di vendicatività fratricidi, irrimediabilmente
in contrasto, a mio modesto avviso,
con i principi di cui sopra. DaH'altra,
vi hanno, fra l’altro, le chiese cristiane, o sedicenti tali (sedicenti, nel
senso che se ai cristiani fosse dato di
volare, temo fortemente che se ne ve.
drebbero pochini a correre il rischio
di poter cadere da molto in allo),
comprese le « Riformale ». le quali,
more solito, tacciono come tacquero
ai tempi dei tremendi genocìdi hitle
rìani. vogliasi per opportunismo, e
vogliasi per analogo timore di quel
presule insanabilmente retrivo, il quale nel corso di una sessione del Vaticano II espresse con tutta franchezza la sua preoccupazione che certi
nuovi orientamenti potessero suonare
aperta sconfessione a relativi concetti
del passato, ed implicitamente alle
pretese di infallibilità della chiesa interessata; e forse anche per il timore di restare isolati, esprimendo, così,
un implicito, seppur indiretto, consenso alla proditoria aggressione, peraltro suscettibile dei più imprevedibili
sviluppi nel tempo.
Partecipando alla celebrazione della ricorrenza della Riforma, si è aderito implicitamente, e, a sommesso
parer mìo, molto giustamente, alle
critiche alle reazioni negative alle
tesi » del riformatore; ma non ci si
azzarda ad analizzare se certi concetti
biblici, summenzionati, non contrasta,
no troppo: e con i pure menzionati
principi fondamentali, e con Tineffabìle Magisterio Cristiano, e se non
costituiscono concausa diretta della
ragione della venuta del Cristo per
insegnarci, fra l'altro, a ridimensionare la nostra mentalità daH'indiriz- '
7.0 prettamente materialistico, all in- j
dirizzo realisticamente spirituale (Gio. I
vanni 3: 3 e segg.), nonché la gran- j
de legge dell’Amore, sacrificandosi
sulla croce per riscattare i nostri peccati: né ci sì azzarda a considerare co
me c! si possa ragionevolmente attendere, sul piano civile, correttezza dì
costumi, confortevole armonia nelle
famiglie, onesta lealtà di rapporti,
equilibrata ripartizione di beni, i n
una parola, l’autentico Amore verso
i propri simili, fratelli in Dio, in eoe.
renza con la religione, quando accanto al magisterio cristiano si accetta
incondizionatamente per buono, fra
l’altro, la prostituzione della moglie
ad opera di un Abramo, la sconcertante partigianeria di una Rebecca, le
mene strozzinesche e truffaldino di
un farabutto arrivista dello stampo di
un Giacobbe, o la « saggezza » di un
ambizioso usurpatore fratricida megalomane tiranno e sensuale scatenato
della forza di un Salomone, ecc. ecc.
Nè ci si sofferma a chiedersi se il cristianesimo in generale ed il cattolicesimo in particolare, l'uno esaltando
costantemente il concetto ebraico di
« popolo eletto » del Signore Dio. e
Taltro con la secolare definizione, nella sua liturgia, di « perfìdia » allo
stesso popolo che definiva pure « elei- |
to ». non abbiano concorso fattivamente alle « forme mentis » che han- i
no portato, prima, ai genocidi di triste memoria, e poi, di comprensibile. '
seppur non condividibile, conseguenza, all attuale stato di cose nel medio
Oriente: ed eventualmente regolarsi
di ovvia conseguenza. Per cui. la celebrazione della Riforma mi appare
un po’ come la figura di quei cele
branti che esaltano la schietta semplicezza e povertà del ben noto frate
d’Assisi, ma non per questo smettono gli sfarzosi e complicati paludamenti di rito.
Con ciò, ben inteso, non intendo significare che i discendenti di Giacobbe debbano essere sterminati e
cancellati dalla faccia della terra; no,
ovviamente. Ma neanche vedo perché
debbano accampare pretese imperialistiche in funzione delle farneticherie onìriche dei loro avi. Comunque,
se un giorno mai avvenisse che sorga un novello Abramo a sognarsi ulleriori promesse divine, ed un conseguente Mosè ad auspicare ed attuare
un ulteriore sradicamento di « cananei » (o di eretici) per far posto alle
ulteriori promesse sognate dall’Àbramo (od a maggior gloria dì questa o
quella chiesa), od a mentovare « torti » di (( amaleciti » di turno e raccomandarne la vendetta, od infine esigere l’annientamenlo di madianìli
tentatori: oppure un novello Salomone (israeliano o cristiano — più o meno ) ad identificare la gloria e la
grazia deirEterno, al metro della
estensione del suo impero e della misura dello spremìmento dei sudditi e
dei popoli soggetti, mi auguro di tutto cuore che quel giorno i posteri pos- !
sano avere molta comprensione per le
nostre debolezze, ed il Signore Iddio
possa usare tutta la Sua infinita mì
sericordia all'anima nostra ed alla no.
stra fragilità.
Cordialmente.
F. Fornier
Come cristiani, noi crediamo non
in certi principi, per quanto altissimi
(rAmore. ad esempio)^ bensì nel Dio
vivente, che opera nella storia degli
uomini in modo assolutamente sovrano e insindacabile e che tale opera rivela agli uomini parlando loro. Vi
sono stati quasi subito, nella storia
cristiana, uomini che hanno voluto
contrapporre VAntico e il JSuovo Patto, il Dio delPAntico e quello del
Nuovo Testamento, iTddio dTsraele e
il Padre di Gesù Cristo. Ma noi crediamo che ITddio che ha amato il
mondo al punto di dare, venuta la
sua ora. il proprio Figlio unigenito,
è lo stesso Dio geloso che ha "appartato^’ il suo popolo d'Israele con un
rigore che giunge uIVr interdetto ».
Ciò contraddice ai nostri ideali, ma
questo è il Signore Iddio della Bibbia,
il nostro Dio.
Chi potrebbe contestare i lati negativi, le macchie di tanti uomini
della Bibbia? (Tuttavia. Lei li ha un
po’ caricaturati o presentati unilateralmente: lo immagina a che si ridurrebbe la nostra vita di credenti, la
mia e la sua. se la si misurasse con
quello stesso metro?). In ogni caso,
VEvangelo dell'Antico come del Nuovo Patto è proprio questo: di uomini
così fatti Dio si è servito e si serve,
uomini e donne di questo genere —
che e genere comune — Dio ha "eletto . Quanto alla "preferenza” di Dio
per Israele, non mi pare un termine
adatto a definire .7 mistero delVelezione di questo popolo (la quale sussiste. se non si vogliono stralciare
ampie parti del Nuovo Testamento):
non mi pare che si possa parlare di
favoritismi: conosce altri popoli su
cui la mano del Signore sia .stata così
pesante^ i Suoi giudìzi così severi?
Israele ha ben conosciuto l amore geloso del suo Dio!
Problema a se è quello dell'odierno
Stato d Israele. Non possiamo qui tornare su quanto abbiamo già pubblicato, ma bisognerà ancora parlarne,
senz altro: c sicuramente non petiso
che tutto sia limpido a Tel Aviv. Non
riesco tuttavia a comprendere come
un cristiano possa vedervi unicamente un problema politico (e anche a
questo livello, tranciare Vaccusa di
prodUoria aggressione mi pare, più
che discutibile, storicamente e moralmente errato).
Quanto alla Sua conclusione, come
non concordare? Ma non in nome del.
I Amore, bensì del Signore Iddio di
Israele, che per amore d’Israele e dei
pagani ha permesso che rimo e gli
altri crocifiggessero il suo Figlio, e in
tal modo li ha redenti.
Gino Conto
3
17 novembre 1S67 — N. 45
pag. S
ARTURO PASCAL:
un contributo di fede e di cnitura
« In occasione del quarto centenario deir Università, abbiamo ritenuto particolarmente opportuno di
-onorare uno storico italiano, originario delle Valli Valdesi del Piemonte, il quale ha consacrato molti
suoi lavori alla storia delle relazioni intellettuali e spirituali tra la sua
Comunità e la Ginevra dei secoli
XVI e XVII: il Professore Arturo
Pascal ».
Con queste parole iniziava la motivazione con la quale il Senato Aecailemieo deirUniversità di Ginevra, in occasione delle celebrazioni
del quarto centenario della sua fondazione (15.79), conferiva al Professore Arturo Pascal la laurea « honoris causa » per la Facoltà di lettere (19-6-1959). Per quella circostanza, particolarmente solenne, i
titoli accademici « ad horiorem »
erano assegnati a 24 illustri scienziati o letterati di ben otto paesi diversi, tra i (juali due italiani: il defunto Presidente della Repubblica
Luigi Einaudi e il Prof. Arturo Paiscal.
Tale riconoscimento, su scala in
ternazionale, veniva ad aggiungersi
a vari altri che il Prof. Pascal ave
va ricevuto, sia in patria che all’e
stero, per i suoi studi storici, con
dotti per decenni con estrema pre
-eisiotie e grande amore, pubblicat
in una serie di volumi e articoli, al
cuni dei quali considerati dagli stu
diosi come di valore definitivo.
Tali pubblicazioni vertono, quasi
tutte sulla storia del protestantesimo di qua e di là delle Alpi, e in
particolare sulla storia Valdese, nei
secoli XVI e XVII. Ne ricordiamo
soltanto alcuni: « Il Marchesato di
Saluzzo e la Riforma Protestante »,
■t( L’Ammiraglia di Coligny », cc Le
Valli Valdesi negli anni del martirio e della gloria » (1686-1690), « I
Valdesi nei Grigioni e i loro tentativi di rimpatrio attraverso lo Stato
di Milano e la terra Biellese » (16891690), « La Riforma nei domini Sabaudi delle Alpi Marittime », « Da
Lucca a Ginevra » e molti altri che
lo spazio non ci permette di citare,
senza contare i contributi a riviste
storiche, nostrane ed estere, che costituiscono un materiale enorme di
informazione, che sarebbe auspicabile venisse un giorno raccolto.
Ma, accanto all’ojtera dello sttidioso, del jiaziente ricercatore di
notizie inedite negli archivi, di scrittore pacato ispirato sempre alla regola <lella obiettività storica, c’è un
altro aspetto della personalità del
Prof. Pascal, che ci piace ricordare,
anche se non riconoscibile e premiabile da alcuna accademia: il creden
NOVITÀ CLAUDIANA
Karl Barth
Domande a Roma
(Ad limina Apostolorum)
Prefazione di Giorgio Tourn
pp. 80, sovraccoperta a colori,
L. 600
Per la prima volta
Barth parla del Concilio!
Un vivace resoconto del viaggio
a Roma e in Vaticano - Il testo
completo delle domande rivolte
ai teologi cattolici - Le novità
della costituzione sulla Rivelazione - Una lettera sulla Mariologia.
Un libro che solleva problemi di
straord naria importanza per la
Chiesa d’oggi.
te dalla fede profonda e tranquilla
e, soprattutto, umile. (Quella fede
glie l’aveva certamente trasmessa il
padre, Pastore Valdese, per molti
anni, a Pinerolo dove fece gli studi
classici, per poi laurearsi, a pieni
voti, alla Università di Torino nel
1910. Aveva allora 23 anni e, prima
di iniziare la carriera dell’insegnamento, ne trascorse ancora due studiando e compiendo ricerche presso
varie università estere: Parigi (all’Ecole des Hautes Etudes), a Ginevra, Losanna, Zurigo, Basilea, Berna. Entrato in ruolo come insegnante di lettere nel 1912 iniziò una carriera professorale che doveva durare per ben 45 anni, ossia fino alla
data del suo pensionamento (1957)
che lo trovò professore al GinnasioLiceo « D’Azeglio » di Torino, al
quale aveva consacrato ben 37 anni
della sua attività di professore
(1920-1957).
Il pensionamento, anche se doloroso perchè lo allontanava dal contatto diretto con la scuola, che aveva tanto amato, e dagli studenti,
che contraccambiavano il suo affetto paterno e stimavano la sua scrupolosa rettitudine, gli permise di
consacrarsi più interamente agli
studi storici ordinando e pubblicando il materiale adunato negli anni
delle ricerche d’archivio. Furono
dieci anni di sereno lavoro, intenso
e proficuo a giudicare dal numero
delle pubblicazioni susseguitesi. Dieci anni che sono terminati bruscamente, proprio mentre stava scrivendo una pagina, rimasta interrot
ta, j)er una prossima pubblicazione,
le cui cartelle manoscritte sono restate, ordinate a ventaglio sul suo
scrittoio, sul quale ha posato la penna per sempre.
Tutti coloro che lo hanno conosciuto lo ricordano per quel tono di
pacala sicurezza e di ritrosa modestia, che davano risalto ai suoi meriti. Più di una generazione di studenti rammenterà a lungo forse più
ancora che le sue lezioni di lettere,
la lezione di rettitudine, di scrupolosa equanimità e nello stesso tempo di aperta bonomia, spesso condita di una sottile vena di umorismo,
che egli seppe dare come insegnante. I membri della Chiesa di Torino
ricordano con riconoscenza l’esempio di una fede lineare e di una testimonianza assidua, durata per così
lunghi anni.
Evidentemente chi avrà maggiori
e migliori ricordi saranno i membri
della sua famiglia, e in modo particolare i figli, ai quali la perdita è
più dolorosa, anche se illuminata
dalle certezze della fede. A loro, in
modo speciale, il nostro pensiero di
cordoglio e di solidarietà nel dolore che soltanto la certezza della risurrezione e della vita eterna in Cristo può rasserenare.
E. Ayassot
I familiari del prof. Arturo Pascal
esprimono la loro riconoscenza viva
e commossa per le molte espressioni
di simpatia, e di stima per il loro
caro, ricevute in questi giorni di dolore e di ferma speranza.
Um testimonianza del presidente della Società di Studi Valdesi
Per molti anni ha efficacemente impersonato
la ricerca storica valdese
La scomparsa del prof. Arturo Pascal toglie al piccolo mondo dei cultori di storia Valdese e di storia della
Riforma in Piemonte uno dei suoi
esponenti più qualificati e più autorevoli. Durante quasi un sessantennio, e
si può dire ininterrottamente, la sua
penna feconda ha dato una quantità
impressionante di pubblicazioni, che
vanno dalla piccola nota erudita al
lavoro sostanzioso di grande impegno.
Arturo Pascal ha speso infatti la sua
vita nel lavoro di ricerca e di studio:
lo hanno conosciuto come ricercatore
infaticabile e paziente gli archivi di
Torino, ancora tanto ricchi di materiale inesplorato o poco conosciuto, di
molte città e cittadine del Piemonte,
di Parigi, delle città svizzere.
Così il periodo della Riforma in Pie
monte, cioè il XVI secolo e i due secoli « eroici » della storia valdese hanno avuto in lui un appassionato e intelligente cultore, al quale nessun problema e nessun particolare è sfuggito.
Troppo lungo sarebbe enumerare qui
l’amplissima produzione di Arturo Pascal; ma vogliamo citare, per quanto
concerne la storia della Riforma, i
suoi studi più importanti, come la
Stor a della Riforma nelle Alpi Marittime (uscito a puntate nei Bollettini
della Deputazione storica piemontese), la storia della Riforma nel Marchesato di Saluzzo, pubblicata da Sansoni nel 1960, di 658 pagg., l’appassionante ricerca su Jacqueline d’Entremont. Ammiraglia di Coligny, volume
di 625 pagine pubblicato nella serie
della Società Storica Subalpina, e tanti altri contributi, come ancora La colonia messinese di Ginevra e il suo
poeta G. C. Paschali, uscita nei Bollettini della Società di Studi Valdesi.
Nel campo della storia valdese, senza contare i lavori sull’epistolario di
Castrocaro, sulla persecuzione del 15601561, sulle Ambascerie del 1557, sulle
visite pastorali alle valli nel 1584, sulle
Pasque Piemontesi, l’attenzione di Arturo Pascal si portò in modo specialissimo sugli anni tragici del 1686-90: la
dispersione, l’esilio e il Rimpatrio non
hanno, si può dire, più segreto, da
quando egli ha iniziato la lunga serie
dei suoi lavori sulle Valli negli anni
del martirio e della gloria (Bollettirro
della Società di Studi Valdesi, a partire dal 1937), completate dai grossi volumi sulle Valli durante la prigionia
dei Valdesi, Le Valli durante l’esilio e
le Valli durante il Rimpatrio. E a questi fondamentali studi, si aggiungano
le monografìe sui Valdesi prigionieri a
Carmagnola, sulle prigionie dei pastori, sull’espatrio in terra svizzera,
sui tentativi di Rimpatrio, ecc.
Tutti contributi svolti con eccezionale e minuziosa documentazione archivistica, con ineguagliabile ricchezza di particolari: ne risulta in ogni
aspetto anche secondario, la dolorosa
storia di tutto un popolo, attraverso
le vicende dei suoi protagonisti, seguiti
quasi famiglia per famiglia con umana sollecitudine e amorosa simpatia.
Pensione Balneare
Valdese
BORGIO VEREZZI (Savona)
Direttore: F. Chauvie
Spiaggia propria
Ideale per soggiorni
estivi e invernali
L’amore facile
’’Noi amiamo perchè Egli ci ha amati il primo”
(1 Giovanni 4: 19)
Si dice che amare significa donare, servire, soffrire. Allora si
dona, si serve, si soffre, ma si continua a non amare. Perchè? Perchè
l’amore non è servizio, sofferenza, dono di sè. Si vuole amare, ma
non si sa bene come. L’amore che si conosce è quello facile, è quello
degli istinti, che prende di qua e di là dove capita, senza mai saziare,
mai riposare. Si vuole tutto, almeno nella misura del possibile, e
nondimeno si resta insoddisfatti. Le passioni non spengono la sete,
sono come l’acqua di mare: si beve per morire. Forse nel legame di
sangue, la famiglia, sì, là è facile amare perchè vi sono i figlioli, il
padre e la madre. Ma v’è quella parola di Gesù: « chi ama padre o
madre più di me non è degno di me » (Matteo 10: 37). Anche questo
è amore degli istinti, anche se dei migliori, anche questo perciò è
amore facile. L’amore dell’istinto, dell’affetto, della tenerezza, quello che ci fa vivere e sopportare questa vita, è provvisorio. Quando
non muore per strada, muore di morte naturale.
Le lingue moderne hanno operato una sintesi con la parola
« amare » nella vasta gamma dei sentimenti e delle sensazioni. Il
Nuovo Testamento ha voluto cogliere e introdurre nel suo linguaggio le distinzioni che l’antica saggezza greca faceva quando parlava
d’amore. La parola che distingue l’amore di Dio dagli altri amori,
si sa, è AGAPE. Questo è l’amore che desta alla vita, è l’amore che
crea. Crea che cosa? Non soltanto « il sole e l’altre stelle ». Crea dei
cuori capaci di amare Dio. Sì, è di là che bisogna cominciare: « non
noi... ma Egli ». Non è quando si dona, si serve e si soffre che si ama,
ma è quando si ama che si dona, si serve e si soffre.E’ quando amiamo che rendiamo testimonianza all’amore di Dio. Ma attenzione,
tutto questo non è dentro le macchinette automatiche. Quando si
mette al mondo un bambino, si desta alla vita e quella vita desta all’amore. Le doglie del parto sono il dolore dell’amore come la croce
di Cristo è il dolore dell’amore di Dio (Giovanni 16: 21). Tutto questo è deliberazione, è volontà, perché niente come l’amore richiede
una scelta esclusiva del cuore. Michele Siivigaglia
SPIGOLANDO NELLA STAMPA
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
Attraverso le documentatissime pagine di Pascal ci appaiono tutte le miserie e tutta la grandezza di quegli uomini perseguitati, come si rivelano attraverso le lettere e i documenti segreti tutte le intenzioni e le manovre della classe dirigente piemontese.
Si può dire pertanto che Pascal, dopo la scomparsa di Giovanni Jalla e
di Davide Jahier, ha impersonato la
storia valdese per alcuni decenni. Come tale, ha avuto la responsabilità
della Società di Studi Valdesi per
molti anni, occupandosi in modo particolare nel 1939 delle celebrazioni del
250” anniversario del Rimpatrio e della sistemazione del Museo Valdese;
quando non volle più accettare nessun incarico nel seggio per lasciare il
posto ad elementi più giovani, come
diceva, egli fu acclamato giustamente
presidente onorario della Società.
La sua modestia e il suo lavoro silenzioso non poterono peraltro impedire il giusto riconoscimento dei suoi
meriti in campi estranei all’ambiente
valdese : e cos'i fu anche dichiarato
socio effettivo della Società storica subalpina, e nel 1959, celebrando l’Accademia ginevrina il 4o centenario, egli
fu accanto a pochi altri italiani nominato dottore « honoris causa » di quelrUniversità.
Arturo Pascal aveva in corso e in
mente ed anche già pronti, altri lavori, frutto di tutta una vita dedicata
alla ricerca: siamo convinti che essi
non andranno dispersi e che ci ricorderanno ancora la sua bella e schietta
figura di studioso, appassionato della
storia del suo popolo e della sua
chiesa.
Mentre piangiamo la sua perdita
esprimiamo altresì, la nostra riconoscenza per quanto egli ha dato e fatto,
e soprattutto per l’esempio straordinario che egli ci lascia di operosità
amorevole, disinteressata e duratura.
A. H.
In memoria del prof. A. Pascal, per la
Società di Studi Valdesi; Doti. Giorgio
Peyrot. Roma, L. 10.000.
La redazione, ricordando l’apporto
che il prof. Pascal ha dato pure al nostro
settimanale, in tanti anni, è unita in viva
simpatia a tutti i familiari e in particolare
al figlio Enrico, nostro corredattore.
MANIFESTAZIONE A GINEVRA
CONTRO IL REGIME
DEI COLONNELLI IN GRECIA
"A- La manifesttazione ha avuto luogo
nella «Sulle des Abeilles » all’Università,
sotto il titolo «La Grecia e noi », il 3 novembre, traendo lo spunto dalle commemorazioni di quel lontano giorno 28-10-1940,
nel quale Metaxas e il popolo greco dissero « No » a Mussolini.
Dapprima due illustri giuristi, il prof.
Pierre Lalive, decano della Facoltà di
Scienze, e il Sig. Sean Me Bride, segretario
generale della Commissione internazionale
dei Giuristi, già ministro degli Esteri d’Irlanda, hanno ampiamente e profondamente indagato sulle questioni giuridiche riguardanti il regime dei colonnelli. Il Lalive
h.r detto che si assiste, in Grecia, a una
« soppressione graduale dell’ordine legale,
mediante la violenza. Con tutti i mezzi s’impedisce alla volontà popolare di esprimersi.
Tutti gli elementi tipici della dittatura militare si trovano attualmente riuniti in Grecia... Ciò che sta accadendo ad Atene riguarda direttamente noi svizzeri: sia perchè la Grecia è vicina, sia perchè essa è la
culla della democrazia, sia perchè non è
possibile assistere con indifferenza allo spregio di quegli stessi principi che sono il fondamento della società svizzera ».
Il Me Bride ha dimostrato come e quanto
vengono attualmente calpesiiati in Grecia i
principi della « Convenzione dei diritti dell’Uomo » (Dichiarazione fondamentale delrO.N.U.), in particolare la libertà d’opinione, d'espressione, di riunione e d’associazione.
È stata fatta poi udire una commovente
dichiarazione di Melina Mercouri, dichiarazione registrata a New York e fatta pervenire, per l’occasione, a Ginevra. Indi ha
preso la parola il Sig. Walzer di Berna, presidente del « Comitato svizzero per la Restaurazione delta Democrazia in Grecia »,
« lanciando un appello alla generosità del
pubblico in favore degli studenti greci attualmente in Svizzera, i quali sono stati privati del passaporto o del denaro ». Ha informato che l’ambasciata greca a Berna ha
smentito questa notizia affermando non esser vero che il nuovo governo greco impediva a centi studenti « emigrati » di ricevere
il denaro che permetteva loro di vivere.
(L’informazione ha provocato un’esplosione
di risa di scherno nella sala).
11 prof. Bertrand Bouvier, insegnante di
greco all’Università, ha evocato « La vita
culturale in Grecia dopo il Colpo di Stato ».
« Il bilancio di tale vita è estremamente negativo. Opere di Sofocle, di Eschilo, d’Euripide, d’Aristofane sono state vietate in
considerazione del loro contenuto sovversivo. La musica di Teodorakis è proibita. I
giornali sono stati addomesticati o soppressi. Un lungo elenco di libri vietati è
stato pubblicato dal Ministero della difesa
nazionale (l). Molti professori sono stati
licenziati a motivo delle loro idee politiche.
Le canzoni che si trovano sul mercato, hanno dei titoli come per es. ’’Viva il nostro
esercito”.
« La manifestazione s'è conclusa con la
registrazione, in greco, delle odi del poeta
Soustos (del XIX .secolo) ».
di soccorrerla ha forse pesato una sola
oncia nel 1917 o non fu invece la necessità
che li gettò in guerra dopo il siluramento
del ”Lusitania”? Che hanno fatto per la
Francia nel 1940? Che hanno risposto a
Paul Reynaud che gridava aiuto? Quale
atteggiamento presero verso il governo di
Vichy e la sua politica di collaborazione
con Hitler? Nel 1941, all’indomani di Pearl
Harbor, entrarono forse in ballo affascinati dai nostri begli occhi? E a partire da
allora, la loro opposizione a De Gaulle fu
o non fu la conseguenza d’una certa opinione che anch’essi si erano fatta della
Francia, ormai declassata dal rango delle
grandi nazioni, opinione destinata a concretizzarsi a Yalta? ».
(da «Le Monde» del 5-6-11-1967).
LETTERA INVIATA
A KOSSYGHIN
Si tratta d’una petizione da parte
della « Associazione Arte e Progresso » recentemente costituitasi per sviluppare i contatti e le correnti d’amicizia fra le gioventù
d’Oriente e l’Occidente (La sede è a Parigi;
«Arts et Progrès», Avenue E. Adam 37).
Fra le firme ; il pastore M. Boegner, François Maurice, Jules Romains, Jean Rostand,
Gabriel Marcel, Françoise Sagan, il Padre Daniélou, ecc. Il testo dice ;
« Signor Presidente,
quest’anno, cinquantenario della rivoluzione d’Ottobre, il mondo intero segue con
attenzione particolare gli avvenimenti in
U. R.S.S. In queste condizioni, la lunga detenzione senza giudizio dei giovani intellettuali A. Guinzburg, Y. Galanskov, A. Dobrovolsky ci sorprende e provoca- in noi
costernazione.
Noi crediamo fermamente che una tale
situazione getti ombra su quest’annata d'importanza storica per l’Unione Sovietica.
D’altra parte, la decisione di non permettere ai corrispondenti della stampa straniera di presenziare al processo del 30 agosto u. s., nel quale furono condannati
V. Bonkovsky, E. Kouchev e V. Delaunay,
fornisce ai nemici della società sovietica un
pretesto di speculazione.
In nome dell’amicizia dei nostri due paesi, non dubitiamo, signor Presidente, ch'ella
vorrà usare tutta la Sua influenza affinchè,
da una parte un processo pubblico decida
al più presto le sorti di A. Guinzurg, di
Y. Galanskov e di A. Dobrovolsky con tutte le garanzie legali, e che d'altra parte dei
corrispondenti stranieri, legalmente accreditati dal Suo governo, possano questa volta assistere ai dibattiti, in occasione del
processo stesso ».
(Da «Le Monde» del 7-11-1967).
COAZZE - SUSA
(dal «Journal de Genève» del 4-5-11-’67).
IL GAULLISMO
DI FRANÇOIS MAURIAC
11 celebre scrittore cattolico francese mantiene con grande coerenza la sua
linea. Ecco com’egli giudica gli U.S.A. nel
suo « Bloc-notes » ;
«Che hanno fatto gli U.S.A. per la Francia, presa alla gola nel 1914? Il desiderio
Ringraziamo il Pastore Doti. E. Rostan di
Ivrea il quale, a Coazze nel Tempio gremito di impiegati, colleghi de « La Olivetti »,
amici, parenti, membri delle due Comunità,
ha unito in matrimonio due suoi membri di
Chiesa: Giorgio Ollearo c Odette Co'isson.
Il Signore voglia essere l’Ospite benedetto e benedicente di quella nuova famiglia
fondata sotto il Suo sguardo.
Domandiamo al Signore di continuare a
fare crescere nel Suo amore il bambino Mar.
co Bruno ebe i genitori Umberto e Alma
Oslorero, Coazze, con padrino e madrina,
hanno presentato al Santo Battesimo.
Simpatizziamo con la nostra SoreUa Cecilia Favro di Traduerivi, Susa, per la tragica
dipartita di suo marito in un incidente stradale. « Non temere, solo abbi fede » (Matt.
.5: 36) « ...difensore delle vedove è Iddio »
(SI. 68: 5).
4
pag. 4
N. 45 — 17 novembre 1967
IINTERROGATIVI A MARIO MIEGGE
Le cose e gli uomini
Una messa in guardia contro la spersonalizzazione deH’etica cristiana
Binnito a Roma ]\¡otÍzÍarÍO
il cou^resso
Mi sembra che l’articolo « Servitù
per convizione » del giovane studioso
Mario Miegge, apparso nell’«Eco-Luce»
del 27 ottobre-J967 (dedicato al 450“
anniversario della Riforma Protestante) sia storicamente ben centrato e vada perciò accettato nella sua sostanza
dagli studiosi. Vi trovo anche delle illazioni rnoltò stimolanti, nonché significativamente autocritiche nei riguardi del Protestantesimo classico;
in particolar modo nel paragrafo finale (« Rendiconti ») laddove è affermato che «i bilanci attivi non sono
necessariamente dei bilanci giusti »,
che mi pare scalzare o almeno ridimensionare l’etica puritana, nella sua
sbalorditiva faciloneria .Si veda, in
proposito, più sopra la citata sentenza
del noto predicatore puritano Richard
Baxter, dalla quale si trae, fra i tanti esempi che si possono fa,re, che chi
è portato alla musica e potrebbe anche
viverci dignitosamente, ma se vede che
gli si porge l’occasione di fare il sensale di maiali e che cosi, guadagna di
più, costui deve ( deve ! ), sia pur controvoglia e con ripugnanza, fare il sensale di maiali e non il musicista, perchè in quel di più c’è la voce di Dio
che vuole così ; proprio in quel denaro
in più (onestamente e puritanamente
guadagnato, questo s’intende!...). Oh
evangelico « di più che viene dal maligno », dove te ne sei andato ! !
D’accordo, quindi, col Miegge come
studioso, d’accordo con lui nella sua
contrapposizione dei bilanci giusti a
quelli attivi. Ma, ahimè, questo non
significa che si possa andar d’accordo
anche come cristiano; infatti da quel
che dice sulla carità ne traggo che i
bilanci giusti, nella « sistematica » del
Miegge, non sono per niente espressione di uomini giusti e caritatevoli,
credenti operanti in cajjtà
Dove, appunto, io rimango, come
cristiano, gravemente perplesso, è laddove questo giovin studioso mi viene
a parlare di «grandezza» (retorica
dell’antiretorica!) dell’etica protestante per avere essa reso « impersonale »
lazione caritativa, avendo la Riforma sostituito -le « istituzioni di pubblica utilità » alla carità personale. Questa tesi, come accenna il nostro articolista, risale al Weber; ma non mi
pare che il Weber parli proprio di
grandezza; anzi, attribuendo questa
etica al puritanesimo calvinista, mi
sembra che ne tragga verso di esso dei
giudizi tutt’altro che lusinghieri e mi
sembra che, casomai, gli contrapponga
in meglio l’etica luterana, che sarebbe ben più calda. Mi corregga il Miegge se sbaglio, dato che ricorro solo a
pallidi ricòrdi di lontane letture weberiane, nè mi sento di rinfrescarle,
dato che mi ricordano momenti della
mia vita tutt’altro che felici...
Comunque, sia come sia, sia pur protestante tutto ciò (e non ho difficoltà
ad ammetterlo), quel che a me qui preme dire, e molto vibratamente, gli è
che io nego che questa spersonalizzazione della carità nelle istituzioni pubbliche di assistenza e beneflcienza,
peggio ancora: nello Stato, cos:¡ sola,
nuda e cruda, sia davvero « grande »
e che addirittura sia cristiana. Non è
che io neghi l’utilità di queste istituzioni e la rispondenza di esse alla volontà di Dio per un mondo, sia pur
provvisoriamente, migliore; nè tanto
meno mi sogno lontanamente di affermare che sia bene « perpetuare la
presenza dei poveri », quale occasione
per l’esercizio caritativo della gente
pia. Quel che io nego, e con la massima aaffirgia, è che si possa parlare
di carità.impersonale, peggio ancora
che si possa vedere come « empia » la
carità personale, individuale, fatta,
appunto, di « buoni sentimenti » e di
buone opere. Stia attutò, .il Miegge al
peccato contro lo Spinto Santo ! ! Per
esso non ci sarà perdono, in eterno!
Per esso soltanto!
Il Miegge, pronto, da buon protestante, a lanciare fulmini contro la
Chiesa Cattolica perchè essa intenderebbe « amministrare » la sua fede personale, in tal modo pare pronto lui e
zelante a far pronti gli altri a farsi
amministrare la sua, la nostra carità
da enti pubblici laici e burocratici e
dallo Stato (e questa sua logica mi
sembra condurre inesorabilmente allo
Stato totalitario). La fede personale
sì, dice in sostanza il Miegge, ma la
carità deve essere impersonale. E tutto lascia credere che il Miegge non
parli solo della carità verso i poveri,
ma della carità verso tutti! Infatti:
se è « empietà » l’atto caritativo con i
suoi buoni sentimenti, sarà empietà
sempre e dovunque, verso chicchessia,
visto che « poveri », in un modo o nell’altro, lo siamo tutti, direi anzi specialmente i ricchi in denaro, sapienza,
scienza e cultura! Può darsi che il
Miegge non la pensi così (chissà?),
ma questo non mi impedisce di affermare che la logica « daimon’a » dei
suoi ragionamenti conduca inesorabilmente a questo, lo voglia o non lo voglia il Miegge. Insomma con ciò si va
a finire nella spersonalizzazione di tutta la vita morale del cristiano, il che
equivale a dire nella negazione della
carità. Lo so che il Miegge non nega
del tutto la carità, lo so che aspira
anche lui all’ordine e alla giustizia, ma
per me in lui si tratta di una carità,
di un ordine e di una giustizia astratti, che di fronte a Dio non sono niente e sono la negazione della sua gloria
(visto che della gloria di Dio pare
preoccuparsi il Nostro).
Insomma: io nego altamente che le
istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficienza possano sostituire la carità da uomo a uomo. Gesù ha detto
che il secondo e gran comandamento,
che è tutt’uno con il primo, è « Ama
il prossimo tuo come te stesso ». E
come illustra Gesù questo comandamento? Appunto, con un episodio da
uomo a uomo: il buon Samaritano.
«Va’ e fai tu il simigliante » ! Ora,
ecco il punto: la presenza del «prossimo » in queste pubbliche istituzioni
è del tutto problematica; diciamolo
francamente : essa è del tutto marginale e lontana. Il prossimo (prossimo ! ) vi è lontano, remoto. Lontano
il prossimo, lontano Cristo; lontano
Cristo, lontano Dio, perchè Cristo è
Dio, e Cristo si incontra nel prossimo.
Gesù ha detto : « In verità vi dico che
in quanto l’avete fatto a uno di questi
miei minimi fratelli, l’avete fatto a
me» (Matt. 24: 40). A uno... a me. E
ciò Gesù lo dice nientemeno che parlando del giudizio supremo !
Il nostro giovin studioso ci fa cadere dall’alto del suo cielo deontologico affermazioni come questa: «Tu
non devi (sic!) fermarti a guardare
il volto dell’uomo, contraffatto dal peccato, e neanche puoi pretendere di vedere chiaramente il volto dell’uomo
nuovo ». E allora che devo fare? Devo
lavorare — mi dice il Protestantesimo,
a voce del Miegge — non guardando
all’ uomo, ma mirando a risultati
« anonimi », alla « geometria dei campi ben coltivati e alla produttività dell’azienda». E come? Con assoluta indifferenza verso il mio prossimo, anzi
se ci guardassi sarei « empio » ! Quindi: cifre, non uomini! Cifre nel capitalismo individualistico, cifre nel- capitalismo di Stato : non c’è sostanziale
differenza. Ora è vero sì;, dico io^ ,che
« la geometria dei campi ben coltivati
e la produttività dell’azienda» glorificano Dio; ma lo glorificano in quanto
sono espressione di uomini, di persone tese a glorificare Dio nella carità
verso il prossimo. Vorrei davvero che
il Miegge, altrimenti, mi dicesse che
cosa se ne fa Dio dei campi ben coltivati, anzi geometricamente coltivati,
e della produttività delle aziende! Cose sono queste, idoli, non persone! I
campi ben coltivati e le aziende produttive sono grandi cose e glorificano
Dio perchè servono all’uomo e non a
Dio! E non all’uomo astratto e platonico, ma a questo o a quell’uomo!
Il Miegge crede che la sparizione dei
mendicanti e di conseguenza la sparizione della necessità di far loro del
bene da persona a persona, sia un
progresso, puramente e semplicemente.
Crede che l’avvento della previdenza
e dell’assistenza sociale sia un progresso, puramente e semplicemente, (e
tutto lascia credere che il Miegge aspiri allo Stato unico appaltatore dell’assistenza sociale, anzi della carità).
Quale semplicismo! Ma è chiaro che
così si è guadagnato da una parte, si
è progredito da una parte, ma si è
perso, si è regredito da quell’altra. Del
resto tutto il progresso è cos i. E allora bisognerà cercare, in qualche modo
(e questo è un compito specialissimo
della Chiesa, e non quello di fare essa
la politica!) bisognerà cercare, dico,
di avere presente il passato, appunto
il passato dei grandi spiriti amanti e
operanti, pur sempre guardando avanti (ha meditato in proposito su
Benedetto Croce il nostro giovin studioso?). Quindi, siccome le istituzioni
pubbliche assistenziali e previdenziali,
peggio ancora lo Stato moderno minacciano di farci perdere il senso del
prossimo e con ciò di farci perdere il
senso di Dio (si legga la 1“ lettera-di
Giovanni), bisognerà cercare questo
senso cristiano del prossimo, oggi, cosi come (ecco il punto!) lo sentivano
gli antichi cristiani che non beneficiavano delle moderne pubbliche istituzioni di utilità («utilità» dice il Miegge a proposito ,non assistenza e beneficienza, e mi pare che questo non s^a
da trascurarsi del tutto — l’utilità ha
una sfumatura di significato ben più
dura che l’assistenza e beneficienza!).
E sia ringraziato Dio che anche nella nostra civiltà aziendale e produttiva ci ha dato anche uno Schweitzer
(un nome fra tanti, e gradito ai protestanti — equivocamente gradito! —)
il quale Schweitzer, visto che i miserabili pezzenti, poveri e malati, non li
trovava più presso di sè, nella sua
evoluta terra, se li andò a cercare lontano, e in terre impervie e incivili; e
per fare a loro il bene di cui avevano
bisogno, per farglielo con le sue mani
e non affidandoli a pubbliche istituzioni. E per farglielo con le sue mani
studiò appositamente medicina, quando già era avviato nella ben più comoda carriera di predicatore e teologo. E si rassicuri il nostro giovin filosofo del concreto, che lo Schweitzer
non avrebbe fatto questa scelta e
non l’avrebbe vissuta fino in fondo se
nel suo animo non ci fossero stati anche tanti « buoni sentimenti », quei
« buoni sentimenti » di cui il nostro
giovin antirètore si fa tante beffe, di
gusto, certamente, molto discutibile,
visto il contesto di tutti i suoi ragionamenti.
Si rilegga il Miegge l’inno alla carità di S. Paolo : « Se non ho carità
non son nulla» (1“ Cor. 13; 2). Ho, so
no, cioè carità o nullità di Paolo, di
Mario, di Antonio, mia e tua! E Paolo continua : « E quando distribuissi
tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad
essere arso, se non ho carità ciò niente rni giova ». Mi sembra inevitabile
attribuire a magg'or ragione questo
celebre passo paolino anche, e direi
soprattutto, alla distribuzione impersonale, legale, automatica e burocratica nel sistema assistenziale moderno
(ritenute sugli stipendi e salari, imposte e tasse, ecc.). Paolo qui dice: «se
non ho^carità ciò niente, mi giova»:
come dire che se ce l’ho ciò giova, e
quindi che anche le pubbliche istituzioni assistenziali giovano. Miegge, ben
lungi da ciò, volendo abolire la carità
personale, l’impegno personale da uomo a uomo, finisce per rendere così
nocivo («niente mi giova»!) quello
che dovrebbe giovare.
Francamente, concludendo, nella
« sistematica » del Miegge, del giovin
Miegge, io questa carità non ce la vedo. Mi aiuti lui a vedercela (se non
teme che questo aiuto sia carità...);
aiuti gli altri lettori semplici semplici come me, perchè noi non ce la
vediamo: non ci vediamo nè la carità
dell’uomo nè la carità di Dio, nè la
gloria dell’uomo nè la gloria di Dio.
Ci vediamo soltanto il nulla eterno!
Senza uomo e senza Dio !
Antonio Ardito
delllserdto ddla Salvezza
Il ConTcsso annuale deirEsercito della
Salvezza si è svolto a Roma il 28 e il 29
ottobre scorsi, ed ha raccolto circa duecento delegati dai vari « corpi » d'Italia.
6 stato presieduto dal Capo di Stato
Maggiore dell'Esercito della Salvezza internazionale, Erik Wickberg, il quale ha
parlato della necessità, per ogni cristiano, di
appartenere completamente a Dio; mettendo in evidenza come questo stato, che deve
essere quello di ogni cristiano, non si raggiunga se non attraverso la «nuova nascita » (Giovanni 3). Non sembri ciò mancanza di impegno nel mondo, fuga dai problemi della società: l’unica speranza per il
mondo è infatti la liberazione dei singoli
individui dal .peccato, in Gesù Cristo; le
« opere », l'impegno del crisiiano nel mondo, ne saranno la conseguenza.
Durante la riunione pubblica aU’aperto,
che ha fatto parte del congresso, gli ascoltatori sono stati avvertiti deH’inutilità di
cercare nell’uomo, come individuo e come
organizzazione sociale, la soluzione ai problemi deH’uomo; Gesù Cristo è la soluzione, hanno detto gli oratori (tre giovani
soldati e due ufficiali).
Come è tradizionale e spontaneo all’Esercito, durante le sei riunioni del congresso
c'è stata molta gioia e molta musica, grazie anche alla partecipazione della Corale
e della Fanfara del Corpo di Torino.
È stato anche presentato il nuovo centro
di vacanze costruito a Forio d’ischia (Napoli) già sede, sebbene non ancora completato, di colonie estive per bambini e di
campeggi per giovani.
Silvano Calzi
Lavorare in comune guidati dalla parola di Dio
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
che che richieda degli iriterventi di carattere organizzativo.
Benché questi compiti appaiano sufficientemente concreti per impegnare
a fondo l’attività del Servizio Studi,
l’Assemblea ha voluto dare una indicazione ancora più urgente prendendo
in seria considerazione il voto formulato dal Congresso della Gioventù
Evangelica Italiana del 1966 di un patto d’unione che leghi nella comune
confessione di fede la base evangelica
italiana, cioè le chiese locali. La Federazione non poteva ignorare quella
presa d; posizione dei giovani, tanto
più che la Gioventù Evangelica Italiana fa parte viva della Federazione
quale organismo settoriale. L’Assemblea raggiungeva l’unanimità dei consensi col seguente ordine del giorno:
« L’Assemblea costituente della Federazione prende atto dell’o.d.g. approvato dal
Congresso G.E.I. e lo raccomanda vivamente all’attenzione degli organi della Federazione, sia perchè costituisca oggetto da
parte del Servizio Studi, sia perchè le proposte in esso contenute vengano portate a
conoscenza delle comunità e delle Assemblee regionali ».
IL SERVIZIO SOCIALE
Uri importante settore nel quale si
potrà manifestare la comune testimonianza dei credenti uniti nella Federazione sarà quello dei servizi sociali.
Esistono già svariate iniziative delle
singole Chiese o gruppi di Chiese: la
Federazione potrà migliorare questi
servizi, renderli più adatti alle esigenze moderne, convogliare in essi la
molteplicità dei doni che lo Spirito
del Signore suscita, senza tener conto dei limiti denominazionali. Una
prospettiva specifica è costituita dal
serviz'o sociale a favore dei rifugiati,
attualmente gestito dal Consiglio Ecumenico delle Chiese, ma che dovrebbe
Il settore assistenziale, tuttavia, non
essere assunto dalla Federazione,
può esaurire l’interesse e l’impegno
delle Chiese sul piano sociale ; esse
non possono rimaner indifferenti a
tutta la problematica che sorge attualmente nella vita consociata e che
va molto al di là dello stretto settore
assistenziale. La Federazione affronta
anche questi problemi nell’ordine del
giorno relativo al Servizio sociale e
« Raccomanda al Consiglio medesimo di
individuare, attraverso opportuno studio
demandato a detto servizio, quei settori della vita associata nei quali deve oggi essere
portata in concreto una iestimonianza cristiana, attraverso l'istituzione di opere
sociali ».
STAMPA E ISTRUZIONE
L’opera di evangelizzazione trova,
nel mondo moderno, degli strumenti
particolarmente adatti nei mezzi di
comunicazione. La stampa, la radio e
la televisione permettono di rivolgere
il discorso agli strati sociali più diversi e con una rapidità e diffusione
impossibili in altro modo. La Federazione si propone un adeguato uso di
tali mezzi, sia coordinando la stampa
periodica, sia migliorando i servizi radio, sia preparando personale e programmi in vista di un possibile uso
della televisione. Il Servizio stampa
deve anche illustrare in modo adeguato e tempestivamente « le iniziative le
attività e le prese di posizione comuni
delle Chiese Evangeliche in Italia ».
Nel campo della istruzione l’As
semblea costituente dà mandato affinchè il Servizio istruzione ed educazione religiosa collabori col Consiglio
nazionale,- delle Scuole doìnenicali e
con l’A.I.C.E. « al fine di potenziare,
coordinare e, se possibile, unificare le
attività di questo settore ».
IL CENTRO E LA BASE
L’insieme delle attività che dovranno essere promosse e sollecitate dai
Servizi renderà operanti vasti settori
della base evangelica in Italia, tuttavia non potrà essere facilmente realizzato, se la Federazione si muovesse
soltanto nella direzione verticale, dal
vertice alla base. La vitalità della Federazione sarà proporzionale alla diretta partecipazione della base. Il progetto di Statuto non contemplava
l’istituzione di enti federali regionali
o locali; ne faceva semplicemente oggetto di una raccomandazione. L’Assemblea giungeva al convincimento
della necessità della formazione di organi regionali e, benché trovasse prematura la loro codificazione dello Statuto, dava un chiaro mandato al Consiglio della Federazione di
« Promuovere, a livello delle Comunità,
incontri che esprimano anche localmente la
realtà unitaria che insieme cerchiamo in
vista della costituzione di organi federali
regionali;
« inoltre dà mandato al Consiglio della
Federazione di studiare l'inserimento in
modo permanente di tali organi nella struttura della Federazione e lo autorizza a
emanare in merito un regolamento provvisorio ».
Questa decisione dell’assemblea appare quanto mai saggia. Da una parte
non si vuole che gli organi locali siano
costituiti dall’alto e — per così, dire ■—
«sulla carta»; essi devono nascere dalla effettiva collaborazione delle Chiese
locali, secondo le esigenze e le caratteristiche delle vatier zone d’Italia. D’altra parte la Federazione non aspetta
che questo movimento sorga da solo,
ma ne favorisce il sorgere e ne cura lo
sviluppo. La prossima Assemblea della Federazione (fra tre anni) non
creerà nulla dall’alto e « di autorità »,
ma troverà organi regionali già costituiti e operanti, ai quali mancherà
soltanto un riconoscimento ufficiale.
LE PROSPETTIVE PROSSIME
La Federazione è nata! Ciò non significa che sono stati creati degli organ smi che potranno essere oggetto
delle nostre critiche e che noi guarderemo agire con tranquilla inerzia. Al
contrario, la costituzione della Federazione significa che tutti noi siamo
impegnati giorno per giorno ad un
lavoro in comune, alla ricerca di forme e di occasioni nuove per incontrarci ed esprimere la nostra riconoscenza e obbedien^ail Signore che ha preparato per noi questo giorno. La Federazione non ha sede a Roma (quella
sede è soltanto convenzionale); la sua
sede è in ciascuna delle nostre Comunità, là dove fratelli di diversa denominazione si trovano già nel lavoro
comune, oppure si cercano per stabilire nuovi rapporti e contatti : alle Valli come nel resto d’Italia, nelle comunità raccolte nel Culto come nell’incontro di singoli membri in un medesimo posto di lavoro, oppure nelle diaspore più remote, ovunque il Signore
ci dà di intendere che Egli solo è il
nostro Signore, che ci ha chiamati a
libertà e che nella libertà del Suo Spirito ci ha riconciliati con Sè e tra di
noi. Alfredo Sonelli
ecumenico
a cura di Roberto Peyrot
IL CARDINAL BEA
E LE FESTE PER LA RIFORMA
Ginevra (soepi) — A nome di Paolo VI,
il card. Bea, presidente del Segretariato del
Vaticano per l’unità dei cristiani, ha mandato una lettera al sig. A. Schioltz, presidente della Federazione luterana mondiale
(FLM), contenente « il nostro messaggio fraterno ed i migliori voti augurali » in occasione del 450“ anniversario della Riforma e
del 20“ anniversario della Federazione.
« Con tutti voi — scrive Bea — siamo'
profondamente spiacenti che l’unità della cristianità occidentale sia stata infranta 450 unni fa. Noi non vogliamo rimproverarci reciprocamente la colpa di questa terribile scissione, ma coricare-assieme delle vie per ristabilire l’unità perduta ».
Il cardinale aggiunge : « Noi ci rallegriamo profondamente che, dopo i risultati positivi delle due sessioni del gruppo ufficialedi lavoro fra luterani e cattolici, il dialogopossa essere proseguito a livello teologico eche si affrontino i problemi de « VEvangelo ».
e de « la Chiesa ». Noi abbiamo la ferma
convinzione di sollevare così i più importanti problemi che, dalla Riforma, sono insoluti fra noi... ».
« Durante queste giornate — ha concluso'
— siamo uniti a voi col pensiero e colle preghiere e ci rallegriamo perchè il Signor Cesù
Cristo ci chiama tutti a Sè nella fede e ci.
conduce g.à all’unità con segni visibili ».
ACCORDO FRA CATTOLICI
ED ORTODOSSI POLACCHI
SUI MATRIMONI MISTI
Varsavia (soepi) — Uno scambio di fa-rispondenza fra il card. Bea ed il metropoiùa.
della Chiesa ortodossa polacca, S. Rudyk, ha
chiarito il problema dei matrimoni misls ira;
le due Chiese.
Esse considerano un matrimonio vnlid. co
nonicamente sia che il vescovo ortodosso ;nel
caso di un matrimonio cattolico) e sia ci ■■ il
vescovo cattolico (nel caso di un inali ^minio ortodosso-) abbiano dato il loro c n
Questo accordo è considerato, i P
come un passo importante nel cammino .a>il’unità.
IL CONSIGLIO CRISTIANO
DELLA NIGERIA E LE VITTIME
DELLA GUERRA CIVILE
Lagos (soepi) — Il Comitato permai ;i ledei Consiglio cristiano della Nigeria (CC\).
ha autorizzato il Comitato c< ad hoc » a pr endere ogni misura necessaria per organiza-redei soccorsi urgenti nel paese, straziato dalla guerra civile, in collaborazione colle :irganizzazioni internazionali di aiuto r^ i
co. Questa è la sostanza della risoluz -aie
adottata dal CCN. Il Consiglio ha - -ce
espresso la sua preoccupazione relativa - la
situazione creatasi colla guerra civile, -.n-eha impedito a vari delegati di assistere all’incontro.
La risoluzione chiede caldamente che si
stabiliscano con molta urgenza dei con; ttr
fra cristiani delle varie regioni del pa: ìe...
primo passo verso una riconciliazione.
Dopo lungo soffrire, sopportato
cristiana fermezza, ha trovato la p‘ ce
del Signore
Rosy Bissaldi Anmahian
Ne danno il doloroso annuncio il
marito Bruno, i figli Lucilla e Furio
con la fidanzata Carla, la sorellaMary Bedikian, la cognata Marucc:. i
cognati e famiglie.
I funerali hanno avuto luogo a Genova il 23 ottobre.
Genova, Via Federico Delpino 1/4.
RINGRAZIAMENTO
La famiglia della compianta
Caterina Bertin ved. Bert
ringrazia sentitamente tutti coloro che
presero parte al suo dolore.
In modo particolare ringrazia il Pastore Sig. Bogo, per l’assidua assistenza spirituale, il Dott. Scarognina, che
l’assistette tanto amorevolmente, le
Sig.ne Giuseppina Badar otti e Irma
Bertin, la Sig.ra Linda Malan, l’infermiera Sig.ra Maria Bruno che prestarono la loro preziosa opera. Ringrazia
inoltre i Signori Badariotti e Depetris,
per la gentile concessione del loro
loculo.
Luserna S. Giovanni, 10 novembre ’67
RINGRAZIAMENTO
Ferruccio e Germana Rivoir, in occasione della dipartenza del padrino
e zio
Enrico Buffa
dì anni 89
ringraziano quanti hanno partecipato
al loro dolore e in modo speciale il
personale del Rifugio Carlo Alberto,
dell’Ospedale Valdese di Torre Pollice
e il Pastore Sig. Giovanni Bogo.
Luserna S. Giovanni, 10 novembre ’67
Direttore resp. : Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
n. 175, 8-7-1960
Tip. .Subalpina s.p.a. . Torre Pellice (To>.