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BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STUDI RELIGIOSI
Anno HI :: Fasc. II. FEBBRAIO 1914
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 28 FEBBRAIO -1914
DAL SOMMARIO: GlOV. COSTA: Critica e tradizione (Osservazioni sulla Politica e sulla Religione di Costantino). — C. RO-STAN: Le idee religiose di Pindaro.— J. LOVER: Religione e Chiesa. — PER LA CULTURA DELL'ANIMA: E. Giran: Vivere in pace! — G. ADAMI: Cambiavalute e Banchieri. — E. SCHUBERT: Predicazione e Politica. — Pagine scelte. — Preghiera di G. F. Oberlin. — TRA LIBRI E RIVISTE: Verso la Fede (B. Varisco). — Tolstoi pedagogista (G. Vitali), — Crisi d'anima d’un Giapponese (Er.).
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo fi fi
Via Crescenzio, 2 - ROMA
D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore per l’Estero
Via del Babuino, 107- ROMA Si pubblica il 15 di ogni mese in fascicoli di almeno 64 pagine.
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Illustrazioni del presente fascicolo.
Ritratto di Leone Tolstoj (pag. 149)-L. Tolstoi tra i fanciulli (pag. 150 e 151).
Kanso Utscimura nel suo studio (pag. 153).
Copertina, disegni e fregi di Paolo A. Paschetto.
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R.M51ÀDI STVDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLA TEOLOGICA BATTISTA
• DI ROMA>1
SOMMARIO:
Giovanni Costa: Critica e tradizione. Osservazioni sulla Politica e
sulla Religione di Costantino ........... pag. 85
C. ROSTAN: Le idee religiose di Pindaro .......... »106
JOHN Lover : Religione e Chiesa ............ »113
VOCI E DOCUMENTI:
Pel Congresso dì Cristianesimo sociale........... » 120
PER LA CULTURA DELL’ANIMA:
E. GlRAN: Vivere in pace! ............... > 126
G. Adami: Cambiavalute e Banchieri ...... . . . . . > 132
Ernst SCHUBERT: Predicazione e Politica ........ .. » 135
H. LHOTZKY: La vera educazione (Pagine scelte) . '.. »137
G. F. Oberlin: Preghiera di consacrazione ........ » 140
NOTE E COMMENTI :
E. Rutili: Lenire . . . • • ■ - ■ • • • • ■ • ■ ■ » <43
TRA LIBRI E RIVISTE:
B. VarisCo : Verso la Fède ................ • » 145
G. Vitali: Tolstoi pedagogista ................. » <47
Er. : Crisi d’anima d’un Giapponese ............... » >53
Storia del Cristianesimo : Il Cristianesimo in Italia — La vita religiosa in America (E. R.)...... , .............. « 158
Varia : Enrico Stanley (E. R.)..................... * r$°
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PROSSIMAMENTE:
Roland D. Sawyer: — Gesù e ¿a famiglia — Gesù e la proprietà.
GMNKNMi Lezzi: Il modernismo nella Chiesa cristiana del primo secolo.
Mario Puccini: L'opera di Raffaele Mariano.
ANGELO Crespi : L'evoluzione della religiosità nell' Individuo e nella Società.
Paolo Orano: Dio nella coscienza.
G. Lesca: Sensi e pensieri religiosi nella poesia di A. Graf.
M. Velato: L'aliare al Dio sconosciuto.
G. E. MEILLE: Intorno al!immortalità del!anima.
ROMOLO Murri: Nazionalismo e Religione.
Mario Rossi : Un'interpretazione religiosa di una leggenda della Grande Sirte in Sallustio: i fratelli Fileni.
Antonino De Stefano: Le due riforme - Giovanni Calvino e Sebastiano Ca-stiglione.
Alfonso Vittorio MULLER: Agostino Favorini, generale degli Agostiniani, arcivescovo di Nazareth, come precursore di Lutero.
Giovanni Costa: L'Impero romano e il Cristianesimo.
Mario Rossi: Il < Tu es Petrus » e la storia delle religioni - Saggio di una nuova interpretazione.
Mario Rosazza: Pedi crepuscolari.
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CRITICA E TRADIZIONE
OSSERVAZIONI SULLA POLITICA
E SULLA RELIGIONE DI COSTANTINO
E io riprendo la
penna per scrivere un’altra volta di Costan
tino non è tanto perchè l’ho promesso formalmente in questa stessa rivista, quando fossero state pubblicate le conferenze dei due chiarissimi studiosi che mi fecero l’onore di combattere le mie opinioni, ciò che ora è avvenuto (i), quanto perchè l’aver dovuto omettere nella pubblicazione della mia conferenza in una rivista che si rivolge ad un pubblico di persone colte, ma non di specialisti, tutto l’apparato noioso, ma pur necessario, delle note, avrà fatto pensare a qualcuno dei miei oppositori o che le mie affermazioni fossero affrettate o che avessi voluto a bella posta sot
trarmi all'obbligo di offrire ai critici il mezzo indispensabile di controllare le mie idee (2). Forse anzi unicamente per questo motivo riprendo la penna : più che difendere le mie idee personali sull’argomento, a me preme di mettere in luce la serietà e l’obbiettività dei risultati cui sono giunto con le mie ricerche e la serenità della mia posizione di studioso di fronte all’avvenimento analizzato. Le une e l'altra di fatti appaiono completamente misconosciute nell’opera che viene alla luce non tanto da singoli conferenzieri quanto in generale da tutti, per coloro i quali avversarono l’interpretazione tradizionale della figura di Costantino(3).
(1)Letture Costantiniane. Roma, DescléeeC. 1914. — Nel volume sono pubblicate cinque delle sei conferenze promosse dal Consiglio superiore nominato da S. S. Pio X e dal Comitato romano per il XVI centenario della proclamazione della pace della Chiesa : in tal modo si è ottenuto un insieme di lavori che hanno un notevole valore anche per chi dissente dalle idee che vi sono espresse. Alcuni conferenzieri hanno molto opportunamente nella pubblicazione soppresso delle frasi un po’ troppo vivaci e degli accenni di carattere politico che potevano otte
nere il plauso degli ascoltatori, non quello dei lettori. Citerò il volume col nome del conferenziere, seguito dalla pagina.
(2) Se ne lagna esplicitamente il Grossi Gondi (pag. 74, n. 2).
(3) Già dalla prefazione che il Nogara ha preposto alle conferenze ciò appare in frasi che non lasciano dubbi ; dice infatti l’illustre uomo (pag. VI): « osservatoresuperficiale e il gazzettiere politicante tentano invano, su la gran fiamma di cattolica vita religiosa, suscitata dalle feste centenarie costantiniane, gii tare la povertà
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Ho detto « interpretazione tradizionale » con intenzione. La controversia difatti svoltasi tra me ed i miei illustri contraddittori è una questione che nel campo teoretico può definirsi semplicemente così : critica contro tradizione. E con ciò non nego ai miei avversari il bagaglio critico necessario alla concezione storica, ma piuttosto credo che essi subordinino il loro criticismo alla visione immanente nel loro spirito di un Costantino quale l’ha dipinto Eusebio (i). Ora io, e con me tutti coloro che non « sentono » questa figura di Costantino, la quale è divenuta tradizionale per la Chiesa per effetto della formazione di un’errata visuale storica che ha permesso di far derivare da lui ogni protezione ed ogni favore; io, dico, non posso subordinare il criticismo al tradizionalismo e quindi assumo di fronte ai problemi che fa sorgere la raffigurazione del Costantino tradizionale, la posizione di chi rappresenti la critica.
Ma nel far ciò a me preme dichiarare che nessun altro motivo che non sia il motivo scientifico mi spinge a combattere la tradizione. Libero studioso — il che non equivale alla formula demagogico-massonica di libero pensatore — mi ritengo così sciolto da qualsiasi legame di imposizione religiosa, come alieno da qualsiasi opposizione di carattere politico, onde nella voluta conservazione della tradizione storica costantiniana, fatta da uomini di fede e di parte cattolica, non vedo se non un grande errore storico. Ora che questo errore si divulghi in quei- momenti che sembrati fatti a bella posta per creare delle figure storiche convenzionali, negli anniversari cioè, è cosa che a me è parsa meritevole di
d'una leggerezza o amarezza settaria». Il Grossi Gondi (pag. 89) parla pure di una critica astiosa e //artigiana ; e il Marucchi (pag. 223) dice «che sarà di onta perenne l’aver con settaria intolleranza osteggiato » la celebrazione del XVI centenario costantiniano. Ora se queste parole vogliono ferir me dichiaro che non le raccolgo anzitutto perchè in coscienza mi sento superiore a tali accuse ; in secondo luogo perchè intendo che le osservazioni che qui detto non assumano assolutamente un carattere polemico sopratutto personale.
(1) La diversità di opinione tra gli studiosi liberi e gli uomini di fede e di parte non verte sull’editto del 313, bensì sulla figura di Costantino, sulla sua politica e sulla sua religione. Il credere quindi che chi ha tentato di porre in vera luce quest’ultima fosse animato da intenzioni ostili allo spirito di quello è follia. Il torto dei celebratori costantiniani non fu di magnificare l’avvenimento della pace data alla Chiesa, fu di aver voluto elevare Costantino al di là del giusto e dell’onesto, quasi per contrapporlo agli spiriti che animano la politica moderna. Di ciò si accorsero presto in alto luogo ed allora solo venne bandita la celebrazione del primo e non del secondo, ma era tardi perchè ormai l’opera era
avviata sulla visuale errata e le proteste di alcuni conferenzieri nei nuovo senso (v. Ma-rucchi, pag. 222) cozzarono contro quelle di altri (v. Grossi Gondi, pag. 89 seg.).
A giustificazione poi della mia affermazione che la ricostruzione di Costantino tentata dagli illustri oratori sia una ricostruzione fatta da uomini di fede e di parte mi permetto di riportare alcuni passi della lettera di S. E. il cardinale Merry del Val. Questi dice (pag. X) che del Consiglio superiore sono stati chiamati a far parte «eccellenti cattolici, ben noti per la sincerità della loro fede e l’operoso loro zelo» e che la commemorazione dell’avvenimento doveva riuscire «una solenne manifestazione di fede» ecc.
Tutto ciò ha fatto sì che mentre potevamo trovarci d’accordo nel riconoscere l'importanza dell'editto dei 313, abbiamo dovuto scinderci in due partiti quando si passò ad elevare Costantino oltre il suo merito. Le conferenze che avrebbero dovuto aver carattere generale, come quelle del Kirsch e dell’Ubaldi e, salvo le tendenze antimoderne, quella del Toniolo, e che avrebbero perciò potuto esser tenute da scienziati anche eterodossi, purché veramente scienziati, finirono col tentare uno svisamento storico che a nessuno che sia sereno può piacere.
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un’opposizione di carattere precisamente popolare. I miei illustri contraddittori hanno trovato la mia concezione storica non scevra di errori, di confusioni e di incertezze : mi concedano non di scolparmi, ma di spiegare come e su che cosa io la fondi e mi permettano di combattere, se mi bisogna, gli argo,menti da essi addotti.
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Della diversità di vedute che esiste tra me ed il Grossi Gondi per quel che riguarda la località ove si svolse la battaglia di Costantino contro Massenzio ho già ampiamente trattato in questa stessa rivista: non vi ritornerò quindi se non per oppormi alle due ragioni che egli nella nota apposta alla sua conferenza trova contrarie alla mia tesi (pag. 90).
La prima è che « l’autorità di Aurelio Vittore, prefetto di Roma, ben pratico del luogo e abbastanza vicino di tempo all’avvenimento non ci permette di allontanarci dal IX miglio ove egli la Colloca ». La qual cosa può sembrar grave, mentre in effetto non lo è: prima di tutto, perchè nessuno può sostenere che Vittore fosse « ben pratico del luogo », lui che era africano ; in secondo luogo, perchè egli compì il suo lavoretto nel 360 d. Cr., ossia quando non era ancor prefetto di Roma, anzi forse quando non era ancor nulla, poiché solo nell’anno seguente Giuliano, trovandolo a Sirmio, lo fece governatore della Pannonia secunda. Prefetto di Roma non fu che nel 389 (1), quindi è molto probabile che Vittore traesse da qualche fonte le sue notizie, equivocando, come dissi.
L’altra delle due ragioni oppostemi non mi sembra meno debole: alla mia asserzione che nella pianura di Prima Porta non potevano esser contenuti gli almeno 120,000 uomini che combatterono a Ponte Milvio, egli contraddice che « non è detto da nessuna fonte che nella battaglia fossero impegnate tutte le forze dei due eserciti ». Ora quando non si ammetta ciò, si viene, a parer mio, ad ottenere due conseguenze disastrose : primo che là vittoria di Costantino non fu così Splendida come tutti concordemente asseriamo (pag. 81); secondo che bisogna studiare un altro schieramento di truppe, forse contrario alle fonti, certo non più corrispondente alla ricostruzione fatta dal Grossi Gondi stesso (2).
Eliminata così la questione topografica, veniamo agli altri punti sui quali i miei illustri contraddittori (3) la pensano diversamente da me. Se non erro, trascurando i luoghi minori che toccheremo di passaggio, il maggior dissenso verte :
Io sull’origine ed il valore del monogramma costantiniano;
2° sull’instinctu dìvinitatis dell’arco di Costantino;
30 sulla religiosità e sulla politica di Costantino.
(1) V. per queste notizie su Vittore F. Pichl-mayr, pag. IV della sua edizione, Lipsia, 19x1.
(2) In Civiltà Cattolica, 1912, voi. VI, pagina 399.
(3) Debbo porre tra essi anche Pio Franchi
de’ Cavalieri per il suo bel lavoro pubblicato in Studi Romani, I, pag. x6x sotto il titolo : « Il labaro descritto da Eusebio » che citerò col nome dell’autore e la pagina del volume.
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III.
Incominciamo dal primo.
Secondo i miei critici sull’origine del monogramma non v’è alcun dubbio: Eusebio è credibilissimo e sicuro e la sua narrazione dell’apparizione della croce a Costantino e dell’avvertimento divino che nel sonno gli suggerì di fare di essa uno stendardo, non lascia dubbi di sorta. Io non farò qui questione dell’autorità di Eusebio e del suo valore come fonte storica, ciò ci condurrebbe troppo in lungo. Al valore storico della vita di Costantino non credo, questo necessita il dirlo, e le ragioni le ho adombrate già quando accennai a tale documento nella mia conferenza ; se mi basterà il tempo darò della mia tesi un’ ampia dimostrazione altrove (i). Ciònondimeno riconosco in Eusebio molto maggiore veridicità di quella che altri critici gli attribuiscono e ne ho dato altre volte la prova, quando si trattava sopratutto della storia ecclesiastica (2). Del resto voglio ammettere che Eusebio sia fonte indiscutibile e che lo storico moderno col suo innato scetticismo si trovi dinanzi alla sua narrazione del meraviglioso costantiniano : la respingerà e perchè? Premetto che anche il più scettico degli studiosi si può trovare nelle narrazioni degli avvenimenti storici dinanzi ad un meraviglioso che se anche soggettivamente può sembrargli inaccettabile, deve oggettivamente lasciarlo indeciso in nome della serenità storica. In questo caso però anche la forma della narrazione del meraviglioso non può sottrarsi alla critica. Ora quale garanzia ci offre Eusebio del suo racconto? il giuramento imperiale. Non so se Eusebio fosse del parere di Arriano che riteneva che i sovrani fossero ottima fonte storica, perchè a loro era vergogna mentire ; so che a noi tale attestazione fa ridere (3). Se Costantino — ammettiamolo per un momento, ciò che a mio modo di vedere non è — avesse egli stesso raccontato la visione avuta ad Eusebio, non saremmo perciò dinanzi una fonte ineccepibile, perchè egli era interessato a far passare per verità
(1) Ricordo quel che dissi sulla «vita di Costantino» nella mia conferenza (pag. 24): «... non è una storia, è un romanzò, vale storicamente parlando quanto vale la Cire-pedia di Senofonte o la vita di Castruccio Castracani del Maccbiavelli ; è il manuale del perfetto principe cristiano e non altro». — La dotta conferenza dei p. Casamassa (pagina 1-60) non m’induce affatto a modificare le mie idee : mi auguro che possa farlo lo studio completo ch’egli promette su Eusebio. Che l’opinione di A. Harnack, poi, sull’autenticità della vita di Costantino non sia definitiva lo prova il bisogno che ha sentito il Casamassa di ritornare sull’argomento e l’intenzione ch’egli ha di completare il suo studio. Non so se il mio potrà veder la luce prima
del suo, so che il metodo ch’io adotterei per esaminare il lavoro eusebiano sarebbe ben differente da quello adottato nel saggio da lui offerto in questa conferenza, salvo che non lo snaturi l’intonazione polemica contro il Crivellaci, inopportuna del resto, perchè il Crivello cci stesso sarebbe il primo a riconoscere che i suoi studi sull’argomento sono in parte un po’ affrettati ed in parte non più riproducibili oggi sotto la medesima forma.
(2) V. per es. il mio Imperatore dalmata, • Pag- 253.
(3) E’ noto che Arriano nella prefazióne della sua Anabasi dichiara che ritiene Tolomeo ottima fonte della sua storia perchè aùrw
óvTt acagpérspov r, rw <ptuaaa3ac w.
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la sua menzogna che lo circondava di un’aureola gloriosa e divina (1). Poiché alla narrazione aggiunge il giuramento, si rende meno credibile che mai, quando testimoni, non indeterminati come quelli ch'egli porta — i soldati — ma determinati, non potevano mancargli. E quando poi dice di non ricordare dove il fatto fosse avvenuto dà il colpo di grazia al racconto (2). E tutto ciò poi non si sostiene più se si riflette che Eusebio racconta la visione secondo la narrazione fattagli dall’imperatore, non mentre egli era in vita, ma dopo la morte di costui! Chi mai poteva smentirlo e che male vi era poi nel falsare la stòria se era necessario di farlo per ragioni supreme?
Ma ammettiamo pure per un momento la veridicità d’Eusebio : sono disposto ad accettare il racconto della visione se questa è in diretta e necessaria relazione col fatto , che le è conseguenza, se cioè quel che costituisce la novità del labaro eusebiano — il monogramma — è un monumento che non può trovare origine se non nel comando divino.
L’intervento celeste secondo Eusebio si compone di due fasi, la prima dell’apparizione diurna della croce, la seconda dell’apparizione notturna di Cristo « con lo stesso segno apparso in cielo», a somiglianza del quale egli ordina di foggiare un vessillo. Perciò il labaro col monogramma/ quale risulta dalla descrizione di Eusebio non ha nessuna relazione con la visione, poiché la croce formata dall’asta verticale con l'antenna da cui pendeva il drappo (sipharum) esisteva già in tutti i vessilli romani del genere e non occorreva affatto un ordine divino per imporla alle truppe : i cristiani avevano già notato, detto e ripetuto che i vessilli costituivano la croce e che, se mai, non essi, ma i pagani giuravano per quei signa\$\.
(1) Le ragioni che il Grossi Gondi (pagina 64) ritiene contrarie ad una menzogna di Costantino non sono valide: il meraviglioso circonda sempre chi ne è oggetto di un’aureola che non si lascia facilmente cadere. L’aver detto che i soldati che l’accompagnavano notarono l’apparizione non è neppur argomento valido; occorreva precisare e denominarne alcuni. — Per me però Costantino non ha mai accennato all’apparizione: Eusebio fu quello che la formò sulle voci che. come ce lo dicono i panegiristi, facevan credere che l’imperatore avesse avuto l’aiuto divino per mezzo del padre nella sua fortunata spedizione. Perciò trovo egualmente deboli le ragioni che nello stesso luogo il Grossi Gondi adduce per sostenere l’assurdità di una menzogna di Eusebio; contro di esse stanno validamente il silenzio della storia ecclesiastica, tanto più notevole per il fatto che era già cognito a tutti come l’opinione pubblica ammettesse nell’avvenimento l’intervento soprannaturale, e il bisogno di dare alla biografia dell’imperatore un carattere didattico, che senza l’intervento divino veniva meno, non essendovi prove sicure in senso favorevole alla tesi di un princeps christianissimus. Eusebio formò quindi la
narrazione della visione su elementi occidentali, passati nell’oriente esagerati e adattati ai propri fini dai cristiani e la presentò ai lettori solo dopo la morte dell’imperatore.
(2) K Cbnst., 1, 2$: Sàa'ls; 3’twì rw Seà-;z«Tt aùró te zac -zi inox,
3 boi wopiiai auvtiiriTÓTt zai
Sswpòv «ywrio ro3 Sau.aawi, Nè i sagaci tentativi dei critici sono riusciti a stabilire con sufficiente sicurezza in qual luogo deve porsi l’apparizione: v. Grossi Gondi, pag. 69 e Franchi, pag. 71 seg. Indubbiamente la ricostruzione di quest’ultimo è la più perfetta dal punto di vista teoretico e la meglio congegnata con tutta la sua restituzione; non è altrettanto persuasiva per le ragioni che emergono dal contesto di queste mie osservazioni e perchè arieggia un po’ troppo l’elaborazione bizantina della leggenda eusebiana!
(3) Come già dissi, fino a qui Eusebio non è certo originale : la sua visione ha l’aria di essere ispirata, quanto al suggerimento del vessillo crucigero, da Tertulliano (Apoi., 16) e da Minucio Felice (Od., 29) con la differenza che questi ripudiavano il segno della croce come emblema di culto cristiano, egli lo voleva imporre.
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Il monogramma, invece, soprastante all'asta, costituiva la novità dell’insegna costantiniana, ma su di essa per la quale avrebbe dovuto aversi il comando divino, Eusebio non fa motto: nessun cenno che Costantino l’avesse introdotto per invito celeste. La visione ordina di far della croce un vessillo, non altro : il vessillo costantiniano è un’altra cosa, contiene qualcosa che non c’è nell’ordine divino ; perchè e come dunque l’imperatore l’ha foggiato? Eusebio tace, Sozomeno trova il nesso logico tra i due fatti, il divino e l’umano, e pone tra di essi il colloquio di Costantino con i sacerdoti cristiani e naturalmente su suggerimento loro fa introdurre il monogramma. Ora, con buona pace dei critici — i più acuii dei quali hanno sentito questa lacuna, ma hanno cercato di ovviarvi infelicemente o sono caduti in contraddizione (i) — Eusebio non è Sozomeno, anzi per lui i rapporti tra l'imperatore ed il clero cristiano sono posteriori : ne segue perciò che la visione è tutta una superfetazione inutile nella sostanza, quanto meschina nella fattura (2).
Si comprende invece meglio ogni cosa se si guarda Lattanzio: anche qui c’è il meraviglioso, ma noi non lo discutiamo, perchè vediamo che la conseguenza sua è l'impressione sugli scudi dei soldati del segno ordinato dalla divinità nel sogno. Esso ci spiega l'origine di un tal segno: chi vuole accettare la spiegazione può farlo senza commettere illogicità, ehi no, può rintracciare del fatto l'origine altrove. Eusebio non può esser trattato in egual modo, perchè la sua narrazione è illogica, non spiega nulla, è puerile, ed ecco per quali motivi si deve in questo caso preferire anche per ragioni intrinseche lo scrittore latino al greco (3).
(1) Il Monaci, La visione e il labaro di C., pag. *3». ha veduto tanto bene questa mancanza di collegamento tra il fatto divino e l’umano che, pur senza esprimerla, è stato condotto a supporre che il labaro primitivo non avesse il monogramma. Ed è questa l’unica soluzione che può rendere accettabile il racconto eusebiano cosi come è: però in tal modo non si spiega l’origine del monogramma ed occorre, come dissi, invertire il testo di Eusebio secondo Sozomeno, per attribuirne il suggerimento al clero cristiano convocato da Costantino.
La qual cosa pare voglia ammettere, invece, il Franchi (pag. 175, n. 2) il quale dice che il racconto eusebiano non si oppone a che la fabbricazione del labaro seguisse i colloqui di Costantino con i sacerdoti cristiani, come vuole Sozomeno, o, almeno, fosse contemporanea ad essi. Egli dimentica però che poco prima (pag. 172) ha escluso ciò, dicendo: « E anche dopo veduta la croce, dopo ordinato il labaro non entrò immediatamente in campagna, ma si diede allo studio della religione cristiana e alla lettura dei libri sacri ». Ciò è perfettamente conforme al testo eusebiano.
(2) Per constatare come la visione sia qualcosa di staccato e di aggiunto all’esposizione degli avvenimenti e non sia affatto in relazione con essi, non conviene dimenticare che in
essa, diurna o notturna che sia, non si accenna mai al monogramma, ma sempre alla croce pura e semplice, onde non mi è chiaro come il Franchi nel luogo testé citato dica che C. fece costruire il labaro « non sulla croce veduta in cielo, la quale non aveva nè monogramma, nè velo, bensì su quella che il Salvatore gli mostrò nel sogno, imponendogli d’improntare un’insegna simile». Che ciò sia assolutamente da escludere panni si rilevi da Eusebio che descrive l’apparizione diurna COSÌ (1, 28): auriì; ¿fpSaXjioì; s©d «v avrw eupavà fcrspxttuevev r.Xtou oravpsv rp¿-r. aio-» ix »6>'ri;Gu-ítc7áy.2vM... Equando parla del sogno dice testualmente (29) : iv5a ùsvsvvt’. «ÙTW Xfi'.GTGV tov Ssou a ù •/ v w © a v e v r c z a r’o ù -pavóv aDaitw ¿©3$vat tí zai irapaxtXtóaaaSat, aiazua írotzaáatvsv tcu zar’ ® ù p a v ¿©sivro« axattov zrX. Ora che oraup^u rpósawv sia la croce pura e semplice l’ha dimostrato il Franchi stesso (pag. 167): ne segue che apparizione e sogno non offrono che la croce semplice. Resta quindi sempre l’enigma del monogramma, che rende la visione compieta-mente inutile !
(3) E’ noto che le ragioni per dir cosi estrinseche sono che Lattanzio è fonte anteriore ad Eusebio e che questi tace della visione nella sua storia ecclesiastica. Si ha torto di credere, a mio modo di vedere, che que-
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CRITICA E TRADIZIONE
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Noi possiamo adunque stabilire che il monogramma appare per la prima volta sugli scudi dei soldati a ponte Milvio e quindi sull’elmo imperiale e soltanto dopo sul labaro, quando già, come vedremo, la sua forma si era trasformata da simbolo gallico a monogramma cristiano. E' un distintivo, come già dissi, della guardia del corpo dell'imperatore, stretta intorno a lui a sfidare la morte e ad affermare la vittoria (1).
Stabilita così l’prigine storica del monogramma costantiniano, dobbiamo studiarne possibilmente la forma e rintracciarne, se è possibile, l’origine simbolica. Gli unici documenti che ci rimangono ad attestarci lo sviluppo del tipo monogrammatico costantiniano sono le monete. Studiando le quali il Maurice è giunto alla conclusione che la prima forma sia quella fatta di due rette intersecan tisi ad angolo retto, tagliate al centro da una verticale (v. fig. a) e che solo successivamente appaia la / greca, tagliata al centro dalla p, che costituisce il cosiddetto monogramma costantiniano (v. fig. b) : nelle monete, se non erro, non vi è raffigurazione della croce monogrammatica (v. fig. c) (2).
Le fonti letterarie di queste tre forme non ci indicano sicuramente che la seconda mediante Eusebio : la prima non ci risulta affatto da Lattanzio, come
st’ultima ragione, essendo un argomento ex si ¿énfio, sia debole: occorre riflettere che non sempre tali argomenti debbono scartarsi, e, secondo me. mai in casi come l’attuale in cui un autore porta per testimonio di un fatto una persona che è morta quando scrive una data opera, mentre ne ha taciuto compieta-mente in un’altra opera, composta e pubblicata lui vivo!
(1) Veget. 2, 13: «... cohortes in centurias diviserunt et singulis centuriis singuia vexilla constituerunt, ita ut, ex qua cohorte vel quota esset centuria, in ilio vexillo litteris esset adscriptum, quod intuentes vel legentes milites in quantovis tumulti! a contubernalibus suis aberrare non possent. Centuriones insuper, qui nunc centenari! vocantur, loricatos trans-versis cassidum cristis, ut facilius noscerentur, singulas iusserunt gubernare centurias, quaterna nullus error existeret, cum centeni w/z-liies sequerenlur non solimi vexillimi siami sed eliam eenhirionein, qui signimi habebat in galea ». E più oltre ( r8) : « Sed ne milites aliquando in tumulti! proelii a suis contubernalibus aberrarent, divcrsis cohorlibus diversa in scutis signa pingebant, ut ipsi nominant, digmata, sicut etiam nunc moris est fieri ». — Non trovo quindi nulla di straordinàrio in ciò che dice Pan., io, 29 a proposito dell’elmo imperiale e degli scudi e delle armi splendenti d’oro e non sono alieno dal vedervi con il Franchi (pag. 181) un accenno al simbolo distintivo, ma non per la comparazione delle parole con altri testi, per quella delle cose. Quanto agli scudi poi che non dovevano esser altro, sopratutto per i sovrani, che gli «scuta chrysografata» dell’ industria gallica(r. Claud., 14, 5) non posso non ricordare che le monete ce li rappresentano istoriati con raffigurazioni di divinità solari per Costantino e colleghi. Vedi Maurice, Num. Consf., II, pag. 23S segg. (cfr. pag. CXXXI seg.).
(2) Maurice, o. c., II, pag. L segg. Là spiegazione però che dà il Maurice del passo di Lattanzio è insostenibile.
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voleva erroneamente il Maurice, la terza è dubbio, per lo meno, sia quella voluta descrivere dallo scrittore latino (i).
Le fonti epigrafiche non sono di valido sussidio, ancora, e in ogni modo non ci possono servire perchè lo studio loro ci condurrebbe in lungo e ci lumeg-gerebbe tutt’al più la storia del « compendium scripturae », non quella del segno costantiniano, come vedremo poi.
Ora per ricercare l’origine di questo segno, qualunque sia l’interpretazione data ad esso dagli scrittori, non si deve rimontare alla forma che i documenti ufficiali mostrano aver esso avuto all’inizio? Se Lattanzio crede vedervi un monogramma più in uso in oriente, sia la croce monogrammatica o il monogramma obliquo (v. fig. d) ; se Eusebio vi vede chiaramente il £ e p delle monete posteriori al 312 ciò non può essere che una prova della diversità di interpretazione data dai Cristiani orientali al segno primitivo dà loro non visto: lo storico sino a prova contraria deve attenersi al risultato delle ricerche numismatiche. Ed allora... con licenza dei miei critici, io riprendo la mia teoria e ne trovo l’origine, molto probabile, nei simboli gallici simili (2).
Ripeto, «nei simboli gallici», non, come mi si è voluto far dire (3), nelle monete galliche ; e, senza aver le prove della mia opinione, che mancheranno così a me come ai miei oppositori sinché le nostre cognizioni non verranno allargate dalla felice scoperta di qualche monumento probatorio, espongo le ragioni che la rendono probabile per lo meno altrettanto quanto l’opinione contraria.
Monete e monumenti gallici ci mostrano questa specie di asterisco, come altri segni simili, connessi al culto gallico solare (4). Il comm. Serafini ha torto di
(1) Il Franchi, pag. 181 seg., contro la mia affermazione della poca chiarezza di Lattanzio, asserisce non esservi « passo più chiaro di questo per ogni filologo non del tutto digiuno di archeologia cristiana». E sia pure! ma com’è ch'egli poco dopo ècostretto a confessare eh'esso fu mài compreso da molti e ne cita in nota i nomi ? Ai quali bisogna aggiungere il Grossi Gondi (pag. 70 segg.) che solo dopo la pubblicazione dei Franchi pare (pag. 72) si sia convertito al suo modo di vedere, ed il Marucchi (pag. 219). Alla qual differenza di opinioni io accennai non solo nel testo della mia conferenza (pag. io), ma pur mediante la figura 1 ivi inserita, che riproduce tutte le opinioni teoricamente possibili, quindi tutte quelle ricordate dal Franchi, la sua compresa, sebbene ancor non notami, naturalmente.
(2) « Solo in tal modo, probabilmente, può spiegarsi l’origine del « caeleste signum dei », ecc., pag. xo, della mia conferenza.
(3) Grossi Gondi, pag. 73; Marucchi, pag. 27 seg. pur dopo aver citato testualmente le mie parole! L’unico che abbia inteso a dovere quel che ho voluto dire è il Franchi, pag. 184.
(4) I segni da me riportati a p. 9 (fig. 2) della mia conferenza sono tutti tratti dal Blanch et, Trai té dee nionn. gaulois. Paris, 1905 pagg. 480; 4” ! 373 e 412; 395; 44i e 171, procedendo da sinistra a destra. Il Franchi, Le., vorrebbe trovarvi la croce monogrammatica non so perchè: essa si trova nei simboli isiaci egiziani pili facilmente (v. a tale proposito ora E. Gui-met in Acles du IV Congrès internai, des religione, Leida, 1913, pag. 138), eppure io ho escluso che il monogramma costantiniano primitivo derivi da essi (pag. 11 ). Ciò rende inutile l’osservazione del Grossi Gondi (pag. 74) secondo il quale la sola croce può assomigliare al monogramma di Costantino. Io preferirei sostenere che l’asterisco o la ruota vi assomiglia di più. Non potevo però che trarre qualche esempio dalla « congerie di croci, monogrammi, simboli di vittoria» e riprodurli per invitare il lettore a studiarli. Il semplice fatto della loro esistenza ; della loro forma simile a quella dell’enigma costantiniano; dell’uso di monogrammi (R ed A? per es.); dell’adozione di segni di vittoria, forse anche di labari, come si può vedere dalle molte interpretazioni date all’ultimo segno presentato nella fig. 2 della mia conferenza (v. Blanchet, o.
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credere ch’io ignori che i segni schematici apparenti nelle monéte galliche non sono che degenerazioni dei primitivi tipi delle monete greco romane. « E’ puerile il credere » — ripeto la sua frase — ch’io affermi tale connessione per effetto d’una sì elementare ignoranza (i). No! io sostengo che di segni simili al «salutare segno» di Costantino nel culto gallico vi erano e che ne fanno prova le monete ed i monumenti: può essere ch’egli l’abbia attinto tale e quale o l’abbia formato sotto l’impulso del culto paterno e suo? non vedo perchè si potrebbe negarlo. Fatti innegabili giustificano la persistenza dell’ imperatore nel culto solare : fatti e considerazioni rendono dubbia sino all’inverosimile la narrazione della conversione del sovrano per intervento divino. Questo, difatti, come vedemmo, si dimostra assolutamente inutile ed illogico di fronte agli avvenimenti posteriori.
Ma non basta: la probabilità offertaci dalla comparazione poggiante sull'identità del culto e sulla fede dei soldati, ha anche altre basi. Vinto Massenzio a Ponte Milvio, al vincitore per decreto del senato viene eretta una statua, sulla qual cosa sono d’accordo con Eusebio i panegiristi pagani (2). Eusebio però la descrive e ne riporta l’iscrizione traducendola. Lo storico della Chiesa non è un felice riproduttore di documenti ed un intelligente traduttore dal latino, ma ammettiamo pure che l'epigrafe abbia accennato al salutare signum Che la statua reggeva nella destra. E' una prova ciò che il segno fosse cristiano? no, anzi... è una prova dei contrario. Il senato non era cristiano, i soldati non erano cristiani, Roma non era cristiana : un’ iscrizione quindi che richiamasse l’attenzione su di un segno che potesse facilmente rilevarsi come un compendium scripturae cric. pag. 171)1111 autorizza, se non m’inganno, a ritenere che l’idea di un labaro, di un monogramma, di un segno qualsiasi per augurio di vittoria, non fosse in Gallia cosa nuova e quindi che da là e non da un suggerimento del clero cristiano — l’invito celeste abbiain veduto non entrarvi per nulla — avesse tratto origine il segno costantiniano.
Il Grossi Gondi, I. c., domanda poi quali testi dimostrino che tali segni fossero simboli solari. Rispondo subito che per convincersene basta vedere il J u 1,1.1 an, /disi. de la Gaule, II, pag. nSsegg.; 127; 138; 140(cfr. pag. 155): 347 segg., aggiungendo che, sebbene tali notizie in massima parte si riferiscano al periodo della Gallia libera, è noto come il culto solare non solo persistesse, ma vi prendesse maggior vigore e vi si espandesse maggiormente dòpo l’introduzione del culto di Mitra. Sono convinto del resto che non ho bisogno di aggiungere altro per chiarire la mia idea ad uomini quali il Grossi Gondi.
(1) Il Marucchi (pag. 21S seg.) riporta le parole del Serafini come argomento contro la mia tesi e le fa seguire da alcune considerazioni generiche sul monogramma e da un’at
testazione dell’esistenza di un monogramma, per dir cosi costantiniano, anche prima di Costantino. Ma tutto ciò, anche accettato per indiscutibile, non prova nulla come ora vedremo contro la mia tesi !
(2) Vicr., De Caes., 40, 27; «Statuae locis quain celeberrimis (vw uàX’.CTCt Tw-» x'“i ’Pwuiì;
Tèi?» per Eus., h. <■., 9,9). - Pan. 9, 25 : « merito igitur tibi, Constantine, et nuper senatores signum dei et paulo ante Italia scu-tum et coronam, cuneta aurea, dedicarunt... Debetur enim (et semper debebitur) et divini tali simulacrutn... * Ciò è provato anche dall’attestazione di Eusebio, /z. e., 9, 9, in cui è detto che Costantino era rappresentato tenente il « segno salutare » nella destra. Nella v. Cansí. 1, 40 pare sia spiegato questo passo con l’indicazione che nella mano l’imperatore aveva un’asta a forma di croce. Quindi più che vedere il labaro nella destra imperiale con il Franchi (pag. 175) vi vedrei o il solo «segno salutare» o, se si vuole, l’asta sormontata da esso, nella sua forma primitiva naturalmente, l’asta forse della forma a ? che figura nei sarcofagi cristiani (v. su ciò anche lo stesso, pag. 175 n. 3).
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stiano era impossibile. Ne segue ehe il segno doveva essere pagano, e quindi per me solare, poiché solo così si poteva comprenderlo ed accettarlo (i).
Ma non basta ancora: io accennai, come far si poteva in una conferenza, ad un’altra prova. Se si ammette che il monogramma costantiniano del 312 sia un’abbreviazione greca del nome di Cristo, si ha un controsenso, perchè non vi era ragione alcuna perchè esso fosse greco, anziché latino. Pare che, dicendo ciò, io abbia detto un’eresia storica (2): il male è che non solo non vedo dove sia l’errore, ma vi insisto, sia pur bestialmente, se si vuole. Costantino era sovrano d'un impero la cui lingua ufficiale era il latino, perchè avrebbe adottato allora per notare Christum un monogramma greco anziché uno latino, tanto più che l’apparizione divina non gli aveva imposto se non di notare coelette tìgnum deli Si ha l’aria, combattendomi a questo proposito, di insegnarmi che il greco era la lingua quasi ufficiale dei cristiani, che i Romani la conoscevano e che so io. Veramente sino a qui ci arrivo; quello che non vedo e che amerei mi venisse insegnato è perchè proprio Costantino doveva usare il greco. Se i soldati fossero Stati orientali, passi, ma erano nella maggior parte occidentali, Galli e Germani, e mentre dovevano conoscere qualche parola di latino, potevano ignorare anche semplicemente l’alfabeto greco. Concludendo, solamente supponendo che il segno fosse rituale e come tale fosse inteso da tutti i soldati, seguaci o no del culto solare, impostosi nell’occidente e così largamente diffuso, si risponde ai numerosi punti interrogativi che, considerando anche da questo lato il problema, si impongono.
L’evoluzione del monogramma costantiniano e la sua definitiva forma greca ci appare evidente se ammettiamo che dal simbolo solare (fig. a) interpretato dai cristiani, dopo l’editto di Nicomedia, quale abbreviazione di ’Ifycou;) X(pi;TÓi), si sia tratto il monogramma più abitualmente usato come compendium scripturae del nome di Cristo formato da x e 0 e cioè zIL Costantino non aveva interesse alcuno per opporsi ad una tale interpretazione, anzi dovè accettarla di buon grado : essa gli garantiva finalmente l’esecuzione del suo piano, di unire i due culti maggiori in un sincretismo monoteistico che fosse la base religiosa della sua monarchia assoluta (3).
(1) Nessuno dubita che Roma fosse ancor profondamente pagana nel 312 ; v. Grossi Gondi, pag. 87; Kirsch, pag. 93 segg.; Ma-rocchi, pag. 193, ecc. Si ricordino del resto gli avvenimenti del 326, che affermano la pa-ganità di Roma e l’impotenza dei cristiani, a malgrado di 14 anni di libertà e, se si vuole, di protezione.
(2) Grossi Gondi, pag. 71 n. 1 : «E perchè mai ? forse perchè i Cristiani cui la lingua greca era, come a tutti i Romàni, notissima, sì che tanto nella liturgia, come nelle iscrizioni funebri l’adoperavano comunemente [mi permetto di osservare che storicamente parlando questo non è esatto: l’uso che i cristiani facevano del greco non era dovuto al fatto che esso era noto ad essi « come a tutti i Romani », ma all’origine orientale e quindi
ellenistica del cristianesimo], non avrebbero inteso un monogramma sì facile e già adoperato come compendium scripturae almeno sin dal 269?»; Franchi, pag. 181 : « E si resta altamente stupiti a leggere che Costantino « non poteva abbreviare il nome di Cristo in greco, ma doveva farlo in latino». Chi non sa invero che il segno X fu adoperato come compendio del nome di Cristo anche prima di Costantino e non solo in Oriente, ma in Roma ? E anche la croce monogrammatica non può asserirsi ignota al secolo HI ».
(0) Questo lato delia storia costantiniana è molto bene messo in luce da L. Salvatorelli, Saggi di St. e polii, relig., Città di Castello, 1914 pag. 120.
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A questo punto accennerò brevemente ai documenti epigrafici cristiani, l’ignoranza dei quali mi si è voluto rimproverare più o meno velatamente. Come dicevo sopra, essi non ci servono a nulla. Se i miei egregi contraddittori credono che pur scrivendo di Costantino e del suo monogramma io ignorassi non solo le fonti e la letteratura sull’argomento, ma anche le documentazioni dell’epigrafia cristiana, se essi suppongono che parlandomi del monogramma di abbreviazione prima e dopo di Cristo, prima e dopo di Costantino, mi abbiano aperto un nuovo orizzonte scientifico, non so proprio che farci. Tanto peggio per loro se hanno scelto un avversario così ignorante! Io ripeto che tutto il documento delle iscrizioni cristiane (i) non illumina che parcamente il grave problema. Stabilito che sia su monumenti datati la serie dei monogrammi e quindi l'evoluzione della loro forma e della loro accezione — ciò che non è ancora perfettamente fattibile con la dovuta sicurezza e copia di dati — occorre che si possa stabilire con eguale certezza il rapporto tra questa serie e quella derivata dai monumenti costantiniani. E ammesso che ciò riuscisse non sarebbe ancora, come io credo, lumeggiata l’origine ed il momento di adozione del monogramma: tutt’al più — e ciò è noto — se ne vedrebbe la larga applicazione fattane dopo assicurata la pace alla Chiesa.
Quindi non insisterò su questo punto, preferirò invece dir due parole sulle conseguenze cui conduce la mia interpretazione del monogramma costantiniano come originario simbolo del culto solare. Mi si rimprovera infatti di aver con ciò contribuito a confondere le relazioni tra il culto solare ed il culto cristiano, senza che vi siano tra i due rapporti di derivazione o di contatto. Ora questo non è esatto: è stato dimostrato ormai da studiosi degni di stima e superiori ad ogni sospetto che scambi reciproci tra i due culti vi sono stati, che punti di contatto tra di essi si trovano ad ogni passo, che il sincretismo religioso costantiniano è fondato per l'appunto sul monoteismo e sul substrato filosofico comune, il neoplatonismo. La statua di Costantinopoli, in cui Costantino era adorato da cristiani e da pagani sotto la forma del Sole, è la manifestazione tangibile di tale sincretismo, in grazia del quale il Cristianesimo trionfò: negarlo, a mio modo di vedere e senza l’intenzione di offendere la fede di alcuno, è negare la luce (2).
(1) Mi si permetta di ricordare ai miei critici che ho dato larga prova in altri miei precedenti lavori del come non mi siano ignoti i documenti epigrafici e letterari del cristianesimo, al quale ho assegnato sempre nella storia dell’impero una funzione politica e sociale ben maggiore di quella che gli riconoscono altri studiosi. Della qual cosa non mi fo un merito, ma mi formo una prova per dimostrare come io procurai di essere sempre studioso sereno e coscienzioso dei fenomeni storici.
(2) Sulla questione dei rapporti tra il cullo solare ed il cristiano, che solo il Grossi Gondi accenna di sfuggita (pag. 74), divido le idee del Cvmont, che si possono ora leggere an
che nella traduzione italiana del Salvatorelli (Ztf religioni orientali nel paganesimo romano, Bari, 1913). Per quel che ha rapporto in tale problema con la politica e la religione di Costantino sono d’accordo all’incirca con quanto disse L. Salvatorelli nella sua bella conferenza tenuta il 17 maggio 1913 al Circolo di filosofia di Roma, della quale non so perchè non abbiano tenuto conto quelli dei miei avversari che potevano farlo. Essa è ora pubblicata nel volume di Saggi, citato nella nota precedente, pag. 101 segg. La mia ricerca storica. di carattere in massima parte realistico, conduce appunto alle conclusioni cui è giunto il Salvatorelli considerando in modo speciale le correnti religiose e di pensiero che dovevano
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IV.
E passiamo 3.W instinctu divinitatis dell’iscrizione apposta su quello strano monumento che è l'arco di Costantino.
Ch’io sappia, nessuno finora ha dubitato che queste due parole significassero « per ispirazione di Dio». Dal De Rossi in poi, accertata l’integrità materiale della frase così come è posta, si è dato a queste parole, il senso oggettivo che dà loro la traduzione italiana. Lo stesso illustre uomo ha soggiunto che in tal modo il senato senza offendere la fede di Costantino, convertito, salvaguardava la propria, conservatrice (i). Ma, domando io, si erede proprio che vi fosse bisogno di quel divinitas per esprimere ciò? Se questa fosse una parola di carattere eccezionale, raramente usata e opportunamente adattata, passi, ma ehi non sa che non vi era nel IV secolo persona per poco colta'che fosse, la quale non fosse monoteista se non altro per le tendenze neoplatoniche del momento? (2). L’uso della parola divinitas non può alludere in alcun modo alle nuove idee di Costantino, alla fede dei senatori, al meraviglioso che era già forse di dominio pubblico, per quanto in forma vaga ed indeterminata : questo è per lo meno il risultato d’una prima riflessione (3).
Ma vediamo ancora: è poi necessario assolutamente dare alle parole un valore oggettivo? Qual latinista avrebbe da criticare una traduzione che le rendesse : « per l’ispirazione della sua divinità » così come le seguenti, mentis magnitudine vengono tradotte concordemente « per la grandezza della sua mente ? >
Spinto dal suo proprio nume e indot vinto il nemico, egli cioè ha voluto e stengono i panegiristi (4).
dalle sue grandi vedute Costantino ha saputo vincere; per l’appunto questo socondurre al rinnovamento religioso costantiniano sulla base di un sincretismo monoteistico solare.
Per qual ragione poi i miei contraddittori trascurino un fatto significante come quello dell’adorazione della statua di Costantino-Sole in Costantinopoli, adorazione prestata da cristiani e pagani, è cosa che non vedo, perchè, mentre su di esso non vi è dubbio, rende evidente la concezione religiosa dell’imperatore.
(1) Lo scritto del De Rossi si trova ora riprodotto in Nuovo Boll, di ardi, crisi., 19 pag. 7 segg.
(2) V. anche su ciò molto bene Salvatorelli, Saggi, pag. 115 seg. Il De Rossi o. c. pag. 25 comprese il valore monoteistico di divinitas, ma forse per la mancanza allora di studi speciali su quel momento storico, non potè collocarlo nella dovuta luce delia filosofia e della religione dell’epoca.
(3) Il Santucci ih Nuovo Bollettino ardi, crisi., 19 pag. 25, dà alla divinitas dell’editto un valore cristiano, senza ragione. Nessuno storico recente e bene informato, invece, può sostenere una tal tesi : difatti anche A. Mana-resi, L'Impero romano e il Cristianesimo, Torino 1914. del quale parlerò espressamente un’altra volta, riconosce che a divinitas non si può dare una significazione cristiana anche quando è usata nell’editto del 313 (pag. 501). Si veda inoltre Pichon, Rev. de deux Mondes, 15 luglio 1913, pag. 342 e 344(4) Si ricordi sopratutto Pan. 9, 4 e 5 ; cfr. 13 e 22 e, molto probabilmente, se si riflette bene, anche.2,3 e 11. La divinità suprema è invece chiaramente affermata in 16 e 26. Il Pan. io si può citar meno essendo del 323’6 potendosi supporre quindi fosse sotto l’influsso dell’iscrizione: si ricordi però «nisi divino instinctu, quo regis omnia » (17) che pare un commento.
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Ora l’unico argomento che mi si oppone contro questa interpretazione e ben debole (i), si chiede cioè per qual ragione non si dovrebbe avere dopo divinitatis un suae. E facilmente rispondo che esso sarebbe necessario qualora esistesse già dopo mentis \ e poiché manca ed a nessun vien in mente di dare perciò a magnitudine un significato oggettivo, devesi convenire che non ve ne è bisogno neppure dopo divinitatis. Per di più la forma della frase intera è chia-stica: « instinctu divinitatis, mentis magnitudine », il che fa supporre che piuttosto che esservi opposizione di concetti, vi sia contrapposizione delle qualità, sicché non debba intendersi nel magnitudo qualcosa di inferiore ad instinctus, ma semplicemente un attributo differente là della mente, qua della divinità della stessa persona.
(i) Riporterò qui in nota facendovi seguire, a mano a mano che me se ne offrirà il destro, alcune mie osservazioni, le parole (pag. 77) con cui il Grossi Gondi ribatte la mia tesi : « Ciò posto, quando si volesse supporre che l’iscrizione sia stata dettata proprio da uno di tali scrittori [da uno dei panegiristi, cioè, il che non ho mai detto ; mi sono invece limitato a spiegare con il linguaggio dell’epoca un documento che le appartiene], il che non sappiamo affatto, si dovrebbe dalla frase stessa ricavare di quale divinità s’intende parlare, se di quella dell’imperatore o di quella da essa distinta. [L'argomentazione si ritorce contro la spiegazione tradizionale ’.] E perciò avrebbero dovuto scrivere instinctu divinitatis suae o instinctu suo divino se avessero voluto intendere quello dell’imperatore. [Si ricordi Paw.,9, 4: «in tam diversa causarumratione divino consilio, imperator, hoc est tuo...par-tium merita numerasti » ; ove è evidente il carattere parentetico-adulatorio delle parole « imperator, hoc est tuo», perchè la frase reggerebbe anche senza di esse e senza il tuo che il Grossi Gondi richiederebbe per dare alla frase il significato che essa ha, ma che il panegirista non metterebbe, perchè la consustan-zialità della divinità solare con l’imperatore ne è per lui il sostrato]. E questa osservazione è tanto più stringente in quanto nell’iscrizione stessa troviamo che accennando all’esercito di Costantino nota l’epigrafista cum omni exercilu suo e parlando della fazione di Massenzio da lui vinto, aggiunge omni eius factione. Se pertanto ha egli aggiunto i personali suo ed eius quando non ce ne era bisogno, come non l’avrebbe lasciato là dove sarebbe stato necessario l’aggiungerli? [L’iscrizione dice: « Imp(eratori) Caes(ari) Fl(avio) Constantino Maximo p(io) felici) Augusto S. P. Q. R. quod instinctu divinitatis, mentis magnitudine cum exercitu suo tam de tyranno quain de omni eius factione uno tempore, eie. ». Sop
primiamo i due pronomi ritenuti inutili dal Grossi Gondi, avremo: i° «con un esercito» e non si saprà cioè se proprio o dato dal S. P. Q. R. o altrimenti messo insieme ; 2°«di tutto il partito» e non si saprà se il partito era del tiranno o distinto da questo. Conseguenze: i due pronomi sono indispensabili, mentre non lo è il suae dopo «divinitatis», ripeto : 1® perchè non si può concepire la divinitàsuprema distinta dall’imperatore ; 2® perchè non lo si ha neppur dopo mentis che si riferisce indubbiamente a Costantino]. Se dunque lo omette nella frase instinctu divinitatis è prova manifesta che intende una divinità distinta da Costantino [non essendo necessaria la premessa, la conseguenza cade]. Inoltre a che aggiungere mentis magnitudine 1 Che bisogno infatti c’era di lodare il coraggio umano di lui, quando aveva operato da Dio? E non solo non ce n’era bisogno, ma sarebbe stata una giunta strana e ridicola. [Risponda per mela lettura del IX panegirico (si cfr. c. 9 : « cura simul et animi magnitudo»') in cui è sottilmente, quasi ad ogni passo, messa in evidenza la divinità suprema, quella imperiale, e le qualità morali dell’imperatore come uomo. Si ricordi che il IX panegirico è importante perchè del 313, anteriore cioè alla dedica dell’arco e non si dimentichi — non mi stancherò di ripeterlo — che secondo le idee dell’epoca l’imperatore è un uomo-dio e dell’uno e dell’altro ha gli attributi e si trarranno delle conseguenze del tutto contrarie alla tesi enunciata dal mio illustre contraddittore].
Noto di passaggio che una certa tendenza a spiegare la cosa come la spiego io vi è già in Maurice, o. c. II, p. CXIV, ove si parla delle dottrine neoplatoniche e si dice: «C’est pourquoi C. n’agissait que divino moni tu instinctu et ne prenait conseil aux yeux des pa-négiristes que de sa propre divinité».
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Nulla adunque, nè storicamente, nè grammaticalmente, nè stilisticamente obbliga noi ad intendere l'iscrizione dell’arco di Costantino come la si intende tradizionalmente. Nel qual caso, anche ammesso che manchi la voluta certezza della spiegazione ch’io sostengo, come si può fare ad asserire che essa è un documento della conversione dell’imperatore? Questo, se non altro, devè ormai escludersi formalmente (i).
V.
E veniamo all'ultima parte della questione.
I miei contraddittori se la cavano, a dir il vero, con molta, forse con eccessiva facilità, danno cioè per dimostrato, quel che è da dimostrare. Che Costantino abbia fin dal 312 dato le prove di essersi convertito al Cristianesimo ed abbia quindi provveduto al suo incremento non solo come sovrano, ma come credente (2). A chiarire quindi la mia tesi converrebbe scrivere un volume per mettere in luce fatti e dati che la sostengono: ma poiché quest’articolo è anche così troppo lungo e d’altra parte in linea schematica l’ho fatto già nella conferenza più volte citata, mi si permetterà di combattere in queste pagine il più brevemente possibile uno dei tanti luoghi comuni della tradizione costantiniana, la legislazione di carattere nuovo, come si dice, evidentemente posta sotto l’influsso del Cristianesimo (3).
A tutto rigore per porre in evidenza la pecularietà della legislazione costantiniana, sopratutto per chi non abbia presenti i caratteri dell’ epoca ed i suoi precedenti storici, converrebbe descrivere le condizioni di ambiente, mettere in luce tutti gli elementi che contribuirono a darle l’espressione che essa assunse in quel dato momento, piuttosto che in un altro. Non potendolo fare qui, vi accenneremo sol quando sarà indispensabile e rimanderemo gli studiosi per il resto o alla loro memoria o al prossimo nostro lavoro.
(1) Marucchi, pag. 195, considera l’arco non solo come il trofeo della grande vittoria di Costantino, ma eziandio come un testimonio della sua fede religiosa monoteistica confessata apertamente dal senato romano. Al che mi permetto di opporre quel che dissi sopra che il senato romano doveva essere in massima parte monoteista. Per il fatto poi che materialmente si è certi che l’espressione « in-stinctu divinitatis » è stata incisa al tempo dell’erezione dell’arco, il Marucchi (pag. 196) aggiunge : « E questo a noi basta per considerare l’arco costantiniano come un testimonio contemporaneo della convinzione universale che l’imperatore attribuisse subito la sua vittoria non già agli « dii immortales » del gentilesimo, ina all'unico e vero Iddio ». Anche qui debbo a mio malgrado osservare che nè vedo la relazione tra le due cose, nè riesco ad adattarmi a cosi piccola prova per un cosi grande
fatto. Altri argomenti il chiarissimo professore non porta contro la mia tesi, poiché quando afferma che della mia interpretazione (pag. 197) ho portato «come prova l’analogia che ha quella espressione con l’altra mentis magnitudine adoperata nella stessa epigrafe: come se il dire che Costantino vinse per la grandezza della sua propria mente escluda l’asserzione che egli vinse per quell’assistenza divina la quale guidò la sua mente » mi pare sia eccessivo, perchè non mi risulta di averlo mai nè detto, nè scritto.
(2) Grossi Gondi, pagg. S9 segg. : Ma-rucchi, pag. 217.
(3) Marucchi, pag. 222. Anche il Mana-resi nell’opera citata, pag. 521, ripete questo medesimo elogio della novità della legislazione costantiniana e la porta per prova della sincerità religiosa dell’imperatore.
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Si dice per esempio che Costantino ha tentato di sopprimere i ludi gladiatori: ed è vero, ma quando? nel 325 (1), mentre il i°agosto 315 egli ordinava ancora di gettare i colpevoli alle belve o di presentarli nei giuochi gladiatori (2). Si dice ancora Che nella legislazione penale egli apportò una maggiore dolcezza, abolendo la crocifissione, impedendo di imprimere sul volto umano il marchio d’infamia, addolcendo il carcere preventivo: e nessuno lo nega, ma mentre il primo di questi provvedimenti si pone molto probabilmente nell’ultimo periodo della vita di Costantino, l’ultimo è del 320 e solo il secondo è del 315 l (3). E si dimentica, per non dir altro, qual delizia di pena stabiliva nel 318 per le nutrici istigatrici dei ratti e delle fughe delle ragazze e come nello stesso anno ritornava per il parricidium alla barbara pena che i lettori ricorderanno pensando ad Aligi (4). ' . ...
Il merito che gli si riconosce di aver procurato di impedire il disgregamento famigliare non è un merito suo personale e quindi non lo si deve attribuire alla sua conversione: è un merito che spetta a tutti i grandi riformatori e specialmente al suo immediato predecessore, Diocleziano (5). Ma se lo vediamo legiferante per limitare il divorzio e tentar di colpire gli adulteri, non gli possiamo attribuire in alcun modo la visione di qualche nuovo principio a questo proposito, neppur quando, come era da aspettarsi, la nuova religione poteva suggerirgli disposizioni più clementi per le unioni con schiavi o schiave (6). Così pure se Costantino con provvedimenti speciali procurò di prevenire la vendita dei figli fatta dai genitori per fame e miseria, non pare in diritto rendesse più grave la cosa, perchè mentre Diocleziano aveva dichiarato che i figli per nessuna causa « in alium transferri posse », egli aveva reso possibile la vendita e cercato solo delle modalità che permettessero il ritorno allo statu quo antefy}.
Per quest’ultime ragioni e per la tendenza generale che vi è già nell’epoca diocleziana-costantiniana a rendere meno aspri i rapporti tra i padroni e gli schiavi a noi non pare che Costantino abbia meritato la lode di antischiavista che molti gli rivolgono, egli che per i casi di fuga degli schiavi comminò pene severissime e non certamente di principi più liberali dei precedenti (8). Nè se egli nel 337, si noti, dichiarava non dovervi essere più eunuchi ci commuove molto, quando ci consta come sempre ne fosse stata piena la sua corte (9). Se considerassimo la legislazione imperiale sotto queste visuali credo che qualche presidentessa d’una
(1) Cod Theod., 15, 12, 1. Per le date mi attengo, in genere, ai risultati della rieerca dello Seeck, esposta in Zeitschrift f. Rechi-gesch., 1889, pagg. 210 e segg. Per questo rescritto, che non può essere inteso come rescritto d’abolizione v. anche Mommsen-Du-qvesne, Droit pen. rom., 3, pag. 299.
(2) Cod. Theod., 9, iS, 1 ; cfr. 9, 40, 2.
(3) Per la pena della crocifissione v. Mommsen, o. c., 3, pag. 258. Per il carcere preventivo v. Cod. Theod., 9, 3, 1 e per il rescritto del 315 Cod Theod., 9, 40, 2.
(4) Cod. Theod., 9, 24, 1 : «ut eis meatus oris et faucium, qui nefàrìa hortamenta protulerit, linquentis plumbi ingestione ciauda-tur ». Per la pena diparricidium v. Cod. Theod., 9, 15, 1 e Mommsen, o. c. 3, pag. 259 e seg.
(ó) V. quel che dissi a questo proposito nel mio Imperatore dalmata, pag. 179 e seg.
(6) Cod. Theod., 9, 9, 1 del 329 e C. Z., 5» 27, 1.
(7) C. /., 4, 43, 1 e 2. La prima è di Diocleziano, del 294 ; la seconda è di Costantino del 329.
(8) C. I., 6, 1, 3 del i* aprile 314; cfr. C. /., 9, 11, 1 ; 14, 1; 20, 16, ecc.
(9) C. I., 4, 42, 1 ; cfr. Seeck, o. C., pagina 222.
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qualsiasi società di protezione degli animali porrebbe anche il nome di Costantino... fra i grandi precursori del grande movimento che le starebbe a cuore! (i).
Ma 10 spazio ci obbliga a tralasciare altri esami di documenti, onde preferiamo piuttosto, prima di terminare, dare uno sguardo alla legislazione religiosa, con l’intenzione di vedere se essa sia veramente tutta e sempre di eccezione.
Ho detto a suo tempo qual fosse il movente dell’editto del 13 giugno 313: ho detto pure come la legislazione religiosa costantiniana non ne fosse che la conseguenza (2) e come ciò fosse dovuto allo spirito formalistico del diritto romano da un lato e dall’altro alla volontà di Costantino di metter pace tra i vari culti mercè il peso della potenza imperiale (3). Ora poiché il cosiddetto editto di Milano è un editto di piena libertà di culti e di erezione in ente della società cristiana, fatto appunto « prò quiete temporis » è evidente che tutta la legislazione seguente si impernia su questi due fatti e sul relativo corollario: necessità di garantire la concessa libertà e raffermata esistenza contro tutte le insidie, ancora numerose, a costo di qualunque aiuto civile, ma sempre sotto la dipendenza del sovrano. Repubblicano o monarchico che fòsse il governo, per Roma valse sempre il « salus publica suprema lex>: basterebbe a provarlo il rescritto del 22 luglio 319 in cui si aggiudica al fìsco tutta la proprietà di chi costruisce troppo vicino ai granai pubblici (4), non dandosi cura dei possibili damna publica..
Cosi, costituita in ente la Chiesa, si assicura ad essa la facoltà di ricevere per testamento e la ragione viene esplicitamente detta nel relativo rescritto, che, si noti, è appena del 321: « Nikil est, quod magie hominibus, debea tur, quam ut supremae voluntatis, postquam aliud iam velie non possunt, liber sit stilus et licens, quod iterum non redit, arbitrium » (5). Similmente si riconosce il diritto con un rescritto del 18 aprile 321 di manomettere gli schiavi in Chiesa alla presenza della folla e coll’assistenza de’ capi (6): ed anche qui non vi è novità, nè specialità di provvedimenti. Le manomissioni erano permesse in tante forme che non vi è nulla di straordinario in questa forma che ha tutte le caratteristiche della manomissw iusta, dovendosi riconoscere nel vescovo o in chi lo rappresenta
(\)Cod. Theod., 8, 5, 2 del 316: naturalmente tanta cura per gli « ammalia publica » costretti inumanamente «quidquid virium ha-bent absumere» e la prescrizione del modo con cui si debbono stuzzicare «'innocuo titillo » affine di non chiedere più di « quantum vires valere non possunt » non sono dovute se non ad una eccessiva preoccupazione per il patrimonio pubblico, trattandosi delle bestie del cursus publicus. Che se qualcuno vuol vedervi un Costantino-San Francesco amoroso per frate cavallo, bue o asino, s’accomodi: io gli risponderò che tutti i momenti storici che hanno veduto « morbosamente » curati gli animali, hanno pur visto incrudelire gli uomini « sapientemente » contro i loro simili. Nè il periodo costantiniano farebbe eccezione a questa regola!
(2) Conferenza pag. 12; pag. 17.
(3) Conferenza pag. 1$. L’osservazione sullo spirito formalistico del diritto romano è già in Maurice, o. c., p. LXIX, che ricorda appunto méthodique des Romains».
(4) Cod. Theod., 15, 1, 4: la causa di questo divieto consisteva nei frequenti incendi.
(5) Cod. Theod,, x6, 2, 4. Ometto una serie di disposizioni e di fatti che spiegherebbero ancora meglio la disposizione, ma non posso passar sotto silenzio il rescritto del 319 per cui (Cod. Theod., 5, 2, 1) i beni di un decurione morto intestato e senza successori vanno alla curia e quello del 326 (C. I., 6, 62, 1) per cui quelli di un «navicularius » nelle identiche condizioni passano al « corpus navicula-norum ».
(6) Cod. Theod., 4, 7, 1 e C. 1, 13, 1, la quale è dell’8 giugno 323 e conferma e chiarisce alcune delle disposizioni precedenti.
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la capacità di un magistrato «apud quem legis actio est» (i). Di fatti fin dal 318 si era attribuita ai vescovi una giurisdizione civile limitata, non differente da quella che era lasciata ai magistrati municipali (2) e la ragione di tale equiparazione doveva trovarsi molto probabilmente nel fatto che le altre religioni — e per un certo tempo anche la cristiana —- avevano dei magistrati nei propri sacerdòti, i quali, quando coprivano funzioni pubbliche, dovevano trovarsi in un evidente grado di superiorità di fronte ai cristiani. Ad evitare perciò divisioni e lotte provvedeva il potere supremo che appunto per questa ragione d’ordine pubblico — ripetutamente l'editto di Nicomedia aveva messo in evidenza questo scopo della concessa libertà di culto (3) — emanava queste ed altre disposizioni.
Quanto aspra difatti fosse la lotta religiosa in quel momento, noi lo arguiamo da molti fatti, ma in modo speciale da quella legislazione che viene giudicata erroneamente di privilegio, mentre non è che di difesa e protezione (4). Così se nel 326 Costantino ordina che le vergini cristiane esposte da qualche malintenzionato, per forza, ne' lupanari siano comperate solo da ecclesiastici o da cristiani (5), non fa che impedire con ciò una soperchieria che se non si fosse impedita nel modo testé detto avrebbe evidentemente peggiorato ed inasprito il male.
Così pure a chi rilegga il rescritto del 22 giugno 320 (6) apparirà evidente come l’aver permesso ai vescovi che si recavano ai concili l’uso del cursus publicus non costituisse un privilegio ed un favore imperiale di carattere straordinario, bensì una facilitazione che doveva salvaguardare il principio della libertà della religione, poiché non è improbabile che anche per ciò come per altre esplicazioni del loro ufficio fosse fatto ai sacerdoti cristiani una specie di ostruzionismo tendente appunto ad impedire la propagazione delle loro dottrine.
Così, difatti, e non in altro modo si spiega la esenzione concessa al clero cristiano dagli uffici pubblici. Contro i perseguitati di ieri si dovevano accanire i fedeli ed il Clero degli altri culti se il 21 ottobre 313 Costantino comprende che essi non possono esercitare il loro ministero perchè vengono obbligati a soddisfare agli uffici pubblici e sottratti così alle cure ecclesiastiche (7), onde li dispensa da tutti i doveri e siccome, ciononostante, in Africa, ove erano vivaci, quasi come in oriente, le lotte religiose, si trovava il modo di costringerli ad
(1) Willems, Dr. pub. Rom., pag. 120 e seguenti.
(2) Cod. Theod., 1, 27, 1 del 23 giugno 31S; Sirm. 1 del 5 maggio 333 che conferma la precedente e la interpreta. Cfr. Willems, o. c., pag. 632 e bibliografia ivi citata.
(3) « pro quiete temporis nostri » ; « quo... quieti publicae consulatur ».
(4) Si ricordino a questo proposito tutti i rescritti sui libelli, p. es., Cod. Theod., 9, 34, 1; 3 e 4; 9, 5» i(5) Cod Theod., 15, 8, 1, del 3 febbraio 326: Si tratta naturalmente di donne datesi alla vita monastica e di origine servile, altrimenti non si spiegherebbe la facoltà di comprarle
data ai cristiani. La costrizione risulta chiara dalla formula adottata nel rescritto : « Si quis feminas... ludibriis quibusdam subiicere vo-luerit». Si noti come la disposizione risulti evidentemente di protezione, solamente e non altro, poiché conserva intatte tutte le norme di diritto vigente; se fosse stata di favore e di privilegio avrebbe dovuto dichiarare sic et simplicUer nulla la vendita e comminar pene al compratore.
(6) Cod. Theod., 8, 5, 4.
(7) Cod. Theod., 16, 2, 2: «ne sacrilego livore quorundam a divinis obsequiis avocen-tur».
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entrar nella curia, di li a poco, ritorna sull'argomento, non fa eccezione alla concessione e mostra in modo chiarissimo come voglia con ciò opporsi alla violenza altrui (i).
Anche la apparentemente eccessiva disposizione di confermare i privilegi già emanati a favore del clero, limitandoli solamente ai cattolici ed escludendone i seguaci delle altre sette, da lui pubblicata nel 326 (2), sebbene si sia ormai nel periodo più ortodosso della vita di Costantino, trova a mio modo di vedere ragione nel principio di libertà. Naturalmente egli doveva tra le molte e varie sette che si disputavano il primato della Chiesa, determinare quale fosse quella che costituisse il «corpus christianorum », ed è quindi da credere che, sui dettami di chi gli stava vicino, scegliesse i cattolici, come altri poi sceglierà gli ariani e così via, e facesse preponderare costoro appunto per opprimere le altre ed ottenere facilmente la pace religiosa che a lui stava tanto a cuore. Ed in nome di essa noi crediamo che fin dal 18 aprile 321 avesse proclamato festivo il giorno del sole (3), servendosi di questa forma per estendere a tutti i cultori del dio unico, cristiani o no, il suo principio sincretistico, su cui si fondava la monarchia di carattere assoluto da Aureliano vagheggiata, da Diocleziano iniziata, da lui attuata.
Ecco come, anche brevemente e sommariamente esaminando la legislazione costantiniana, non si trova nulla o ben poco che debbasi a spirito di nuovi tempi, a fede religiosa personale, a speciali e Straordinari privilegi. Ecco come e perchè se a questo si collegano fatti e date che io qui non ho rammentato, ma che in parte ricordai nella mia conferenza, in parte si trovano in tutte le storie usuali (4),
si deve negare che la religione e la dizione volgare li presenta.
tea di Costantino fossero quali la tra(1) Cbrf. Theod.t 16, 2, 1 e 7 del 31 ottobre 313, dei quali noto le frasi più caratteristiche : « ... clericos ita vexari...» ; « contra indulta sibi privilegia praegraventur... ita ve-xatum... huius modi iniuriasprohiberi» del i°; « qui per iniuriam devocati sunt... iminuni-tate pienissima potiantur » del 70. Quanto preoccupi il potere supremo che sia salvaguardato però l’interesse sociale al di sopra di tutto lo dimostrano i rescritti Cod. Theod., 16, 2, 6 e 3 del i* giugno e 18 luglio 326 con i quali si cerca di riparare agl’inconvenienti procurati dalle disposizioni precedenti e cioè alla diserzione dalle cariche pubbliche mercè un comodo rifugio nel clero.
(2) Cod. Theod.t 16, 5, 1. Il seguente rescritto che è del 25 settembre 326, a pochi E ¡orni cioè di distanza dal primo e che proabilmente segue ad una legge perduta del 318 o 319 (v. Seeck, o. c., pag. 236) contro i novaziani, dimostra pure il rispetto al diritto pubblico e privato che è in mente dell’ imperatore, come la sua continua preoccupazione di evitare e troncare le guerre religiose. Ciò sarebbe provato anche da quel che dice il
Seeck 1. c., a proposito del rescritto a favore dei cattolici del 326, che cioè fosse emanato per l’Africa prima del 15 aprile 313, e naturalmente, aggiungiamo noi, per togliere di mezzo una buona volta le continue lotte che si combattevano accanitamente.
Forse ugualmente all’intento di evitare al-l’Africa lotte e dissensi deve ritenersi dovuto il rescritto che esonera dal decurionato i flamini ed i sacerdoti pagani il 4 agosto 334, quando pur la sua propensióne al cristianesimo, sempre però nella formula del sincretismo religioso che conosciamo, doveva essere ormai affermata.
(3) Cod. Theod., 2, 8, 1 4- C. /., 3, 12, 2 : la licenza agli abitanti delle campagne di esimersi dal festeggiare il giorno del sole più che alle ragioni agricole, esposte nel rescritto, non potrebbe esser dovuta alle difficoltà dell’affermazione del culto monoteistico fuori di quei massimi centri di cultura, che sono le città?
(4) Conferenza, pag. i9esegg. Sarebbe pur interessante seguire la legislazione sui Giudei che nel 321 e 329 sembra motivata dalla tra-
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Che se mi si citassero per contraddirmi fatti come quello del 326 del rifiuto cioè a salire il colle capitolino a celebrarvi le consuete cerimonie 0 come quello del 333-337 a proposito del tempio di Spellò, che egli non volle fosse contaminato « cuius'quam contagiosae superstitionis fraudibus » (1), io non risponderei soltanto col ricordare la statua di Costanti no-Sole a Costantinopoli, ma col rammentare che quando Adriano faceva costruire templi senza statue di numi doveva avere per fondamento un medesimo principio fìlosofico-religioso con le identiche conseguenze, perchè i sacerdoti pagani dicevano che se si fosse fatto ciò tutti i templi sarebbero stati abbandonati e tutti gli uomini sarebbero divenuti cristiani (2). Eppure nessuno sostiene che Adriano fosse cristiano !
O non era piuttosto questo sincretismo monoteistico? fosse esso o no solare o cristiano, propendesse Costantino più per quello in un periodo della vita o per questo in un altro, che importa? quello che è certo è che esso non era il cristianesimo di Eusebio e di coloro che adesso giurano in lui (3).
VI.
Ed ora concludiamo.
Con le osservazioni che i lettori hanno avuto la pazienza di leggere io non mi lusingo di aver espugnato la rocca della difesa della tradizione costantiniana, eretta dai miei dotti avversari : sono sicuro che la loro dottrina avrà ben altre riserve, forse più poderose, da opporre alle mie ragioni. D’una cosa solo mi illudo, di aver cioè se non a loro, a qualcuno dei miei lettori, dimostrata la debolezza degli argomenti portati in favore della tradizione costantiniana e di aver quindi fatto sentire la necessità di una posizione di dubbio, di scetticismo, di agnosticismo, per lo meno, tra chi sostiene la tesi del Costantino tradizionale e chi difende quella del Costantino della critica. E’ mia convinzione naturalmente che quest’ultimo sia il Costantino storico e forse?, or che son chiuse le feste costantiniane che hanno tanto contribuito, come la celebrazione di tutti gli anniversari
dizionale politica anti-ebraica dell’impero romano (Cod. Theod., 16, 8, 3 e 1 r 6 +16, 92), mentre nei 330 si a fièrma benevola verso di essi sino ad esimerli dagli uffici pubblici {Cod. Theod., \f>, 8, 2 e 4). Non si dimentichi però Cod. Theod., 16, 2, 5 -f- 16, 9,1 + Sirm. 4 che è del 21 ottobre 335. Sulla questione generale della politica antisemita dell’impero romàno, si veda Bouché-Leclercq, Intolérance religiense e politìque, Paris, 1911, contro cui non felicemente sostiene la sua tesi, fondata sul criterio della persecuzione causata da motivi politici e religiosi, il Pichon nella Revue des deux Mondes citata, pag. 340 e segg.
(1) C. I. L.t XI, 5265, I. 44 e segg. Egli concesse il culto per la gens Flavia, la dedica del tempio, salva la clausola ricordata nel testo, pur assicurando che lo faceva « nec veteribus institutis plurimum videbatur derogatum » !
(2) v. Alex. Sev., 43, 6 segg:... «qui (se. Hadrianus) tempia in omnibus civitatibus sine simulacris iusserat fieri, quae hodieque idcirco, quia non habent nomina, dicuntur Hadriani, quae ¡Ile ad hoc parasse dicebatur ; sed prohibitus est ab is qui consulentes sacra reppererant omnes Christianos futuros, si id fecisset, et tempia reliqua deserenda».
(3) Con ciò confermando e chiarendo quel che dissi nella mia conferenza, non intendo assolutamente escludere che Costantino, specialmente negli ultimi tempi, sia stato d’un monoteismo cristiano non dubbio. Non vi è bisogno del luogo di Giuliano, riportato dal Maurice e dal Grossi-Gondi (pag. 66) per provarlo: vi sono attestazioni ¿’ogni genere che ci fanno propendere per questa conclusione.
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del resto, a dare agli studi storici sull’argomento un sì falso indirizzo ed un sì retorico sfondo, potrà prepararsi una monografia completa, la quale studiando tutta l'epoca diocleziana-costantiniana nella religione, nelle istituzioni, nella storia, nella letteratura e nell’arte, nelle persone e nelle cose, dia alla figura di Costantino il posto che veramente gli compete nè più, nè meno. Solo con l’esposizione di tutto questo complesso di elementi e con la conseguente dimostrazione della profonda ed esatta conoscenza di tutti i loro lati, anche gli studiosi tradizionali diverranno propensi ad ammettere fatti ed interpretazioni di cui ora non vogliono sentir parlare.
Costantino è abbastanza grande di per sè, perchè alle sperticate lodi dei panegiristi ed alle elevazioni blasfematone di Eusebio non si uniscano quelle dei moderni, i quali possono essere sereni studiosi della grande figura e dei grandi avvenimenti da lui rappresentati (i). Lo stesso grandissimo avvenimento della libertà data alla Chiesa cristiana, sebbene ci trovi in alcuni apprezzamenti ed in alcuni commenti all’editto discordi, può essere universalmente accettato come un avvenimento di carattere storico e può unirci nell'ammirazione e nella lode. Ma ammirazione non di chi lo emanò, lode non di chi ne sentì la necessità (2) : ammirazione dei cristiani, lode dell'opera loro. Quel che dissi nella mia conferenza lo ripeto nel chiudere queste mie osservazioni e sono d’accordo con tutti,
credo (3): il merito spetta unicamente a
loro (4). Essi rappresentano nella storia
(1) Chi ha dimostrato nelle pubblicazioni di quest’anno di aver esatta concezione della storia del periodo costantiniano e di saperla esporre senza esagerazioni retoriche e con carattere perfettamente scientifico è il Duchesne, le cui belle pagine su Costantino e Massenzio (Nuovo boli. ardi, crisi., 19, pag. 32 esegg.) mi permetto di ricordare al Grossi-Gondi che si è abbandonato talvolta a frasi un po’ troppo retoriche e quindi storicamente false (pàg. Sr e pag. 89 esegg.). A questo proposito piacemi ricordare a tutti quelli che a proposito di Massenzio usano adoperare il titolo di tiranno con accezione completamente moderna, come esso trovi la sua origine nel senso di usurpatore, di antisovrano (Gegenkaiser) proprio in questo momento e forse per la prima volta con Massenzio. Si veda Schulze, Das Kaiserhaus der Antonine, pag. 15, 133, 137 e segg. e 145; E. Kornemann, Kaiser Hadrian, pag. 14 e 136; lo stesso in Klio, 5, pag. 291.
Tra le pubblicazioni recenti importanti, se non m’inganna lo sguardo sommario dato all’opera pervenutami mentre correggevo le bozze di quest’articolo, va segnalato anche L’impero ed il Cristianesimo da Nerone a Costantino, Perugia, 1913, il cui autore U. Fracassisi parmi giudichi abbastanza serenamente dell’opera di Costantino. Ma su ciò un’altra volta.
(2) Il fondamento della religiosità personale di Costantino è, come tutti lo riconoscono, la superstizione: quello della sua religiosità politica è il sincretismo monoteistico solare-cristiano che poi si volge nettamente verso il monoteismo imperialista cristiano.
Per la superstizione di Costantino si veda la ricerca che recentemente ha fatto il Ku-gener in Rev. instr. pub. en Belg., 56, pagine 183 e segg., ove sostiene che il cambiamento delle disposizioni imperiali a proposito degli aruspici e degl’ indovini —- sui precedenti v. quel ch’egli dice ibid., pag. 1S6 e il mio Imperatore dalmata, pag. 152 — fu determinato appunto dal loro atteggiamento. Si ricordi anche Zos. 2, 29 e si cf. Carter, The religione Life in ancienl Rome, pag. 117.
Per la religiosità politica si veda la citata conferenza del Salvatorelli. Sull’imperialismo cristiano nel- senso da me espresso nella conferenza, pag. 13, si veda ora brevemente anche il Pichón, o. c., pag. 346.
(3) Anche con lo stesso Santucci, con cui dovrei dissentire quasi totalmente, posso trovarmi all’incirca d’accordo in quel che dice a pag. 74 dell’ o. c. a proposito delle conseguenze dell’editto. V. pure Pichón, o. c., pag. 340.
(4) Si veda come conclude magistralmente il Duchesne pag. 34 e segg. Anche con il
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del pensiero, nella serie delle conquiste di quel lentissimo movimento che dicesi comunente civiltà, di fronte al vecchio mondo cadente ed al nuovo sorgente tra stenti e difficoltà, il tratto di unione, il ponte di passaggio, mercè l’affermazione del diritto della coscienza umana alla propria libertà (i). Poco importa se la storia della Chiesa cattolica li mostri poi tralignanti dai loro principi: quella è storia del papato, storia dunque dell’impero romano d’occidente, non storia del Cristianesimo;
Roma, gennaio 1914.
Giovanni Costa.
Marucchi sono in questo punto d’accordo, poiché mentre io dicevo (pag. 25): «al di là di Costantino vi sono i Cristiani. In viriti dell'opera loro collettiva, non in virtù di un uomo solo il Cristianesimo si affermò » ecc. ; egli .(pag- 221) non era alieno dal ripetere quasi le stesse parole : « il merito di aver fatto trionfare il Cristianesimo non è solo di Costati*
tino, giacché esso si affermò in virtù dell’opera collettiva dei Cristiani», ecc.
(1) V. in questo senso molto bene il Pichon, op. cit., pag. 348, sebbene forse con qualche esagerazione ; e specialmente a pag. 339 : « Les Chrétiens soutiennent une cause toute moderne, celle de la séparation entre les devoirs du citoyen et ceux du fidèle».
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LE IDEE RELIGIOSE DI PINDARO
ENTRE nelle tradizioni mitiche quali ci sono conservate da Omero ed Esiodo troviamo un’antitesi palese fra la concezione dell’essenza e degli attributi della divinità e Io sviluppo narrativo, accennante troppo di frequente a lotte tra gli dei, ad amori incestuosi, a violenze, a mutilazioni snaturate (i), nel vi e v secolo i pensatori e gli uomini religiosi ci presentano della divinità una concezione più pura ed elevata, spogliandola del suo carattere materiale (2), reagendo contro
l’attribuzione di certe azioni indegne agli dei, (così come Senofane scriveva elegie e giambi contro Omero ed Esiodo per quello Che avevano detto dei Celesti e si raccontava che Pitagora, sceso all’Ade, avesse trovato le anime dei due poeti tormentate per questa colpa) (3), assurgendo ad idee più alte e precise sul destino dell'uomo. Tra i poeti che non si fermarono alle antiche concezioni grossolane, occupa un posto singolare Pindaro, di cui il pensiero poetico si può ben dire saturo di santa gravità, anche se sembri un po’ difficile asserire col Ville' main (4) che egli non fosse lontano dalla fede definita dall’Apostolo quale realtà di cose sperate ed evidenza di invisìbili.
Substrato delle sue credenze religiose è la profonda convinzione dello stato infelice in cui sono gli uomini; esseri effimeri che sono mai essi? il sogno di un’ombra: per loro, in breve spazio di tempo, i soffi incostanti della fortuna girano da un punto all’altro (O. XIII, 174): la loro prosperità, se pure si innalza rapidamente, presto cade a terra abbattuta (P. Vili, 131) : mille errori li circondano (O. VII, 43) ; non sono però senza speranza alcuna, poiché se gli dei mandano un raggio, una luce brillante li circonda e la loro esistenza è dolce (P. Vili, 135): la felicità pel favore divino può risplendere su quegli esseri fragili, mandando Zeus due beni per un male (P. Ili, 45) (5); inoltre, una speranza indo(i)A. Croiset, La poésie de Pindare, Paris, 1880, pag. 184 e segg.; Maury, Histoire des religions de la Grèce antique, Paris, 1857, III, pag. 19 e segg.
(2) Strazzulla, Sulla evoluz. d. relig. e d. milol. gr., in Riv. d‘Italia, nov. 1908, pag. S29.
(3) Valgimigli, La trilogia di Prometeo,
Bologna, 1904, pag. 67 ; Max Muller, Nouvelles leçons sur la science du langage, Paris, 1868, II, 109.
(4) Essais sur le génie de Pindare et sur la poésie lyrique, Paris, 1854, pag. 24.
(5) A. et M. Croiset, Histoire de la littérature grecque, Paris, 1896, pag. 389.
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io;
inabile è in loro (N. XI, 59), e sono quasi i fratelli degli dei, poiché le due razze, quella degli uomini e quella dei Celesti, provengono in realtà da un ceppo comune; sebbene poi una differenza assoluta di potenza li separi, poiché l'una è nulla, mentre il cielo di bronzo è per l’altra una dimora incrollabile ed eterna : cosicché, la divinità può disporre a piacimento di tutto (P. II, 90); poco invece possono gli uomini, il cielo non essendo accessibile a nessuno, e nessuno sapendo trovare nè per terra nè per mare la via meravigliosa che conduce alle feste degli Iperborei (P. X. 41): quindi, anche se un uomo si innalza sopra gli altri, per la sua ricchezza o per la superiorità gimnica, si ricordi che veste membra mortali e che al termine di tutte le cose rivestirà la terra (N. XI, 16),r sebbene gli sia ignoto il termine della vita, non sapendo gli uomini neppure quando finiranno nella serenità di una gioia calma- un sol giorno, figlio del sole (O. Il, 55) (1). Tutto quindi dipende dagli dei: se alcuni superano gli altri in fortezza, saggezza e facondia, sono tali per dono divino (O. IX, 28; P. I, 42): potenza e grande virtù vengono loro difatti dagli dei (I. III, 4; P. V, 13); da essi è reso possibile ogni tentativo di umane virtù (P. I, 41), dipendendo dal loro volere la vittoria (I. IV, u; fram. Iporch., 5; O. XIII, 83; P. IV, 274): delle imprese riuscite a buon fine gettano il principio gli dei e poi le virtù dell’uomo (N. I, 89)» onde la felicità muore e risorge secondo che Dio dispone e solo può essere durevole quella degli uomini pii e cari a Zeus, quella, sopratutto, stabilita col divino favore (P. Vili ; I. Ili, 5; N. Vili, 17; O. Vili, 13-44) (2).
In opposizione a questa speciale condizione dell’uomo, che, debole di per sé, sebbene vi sia in lui alcunché di divino, riceve solo dall’alto la felicità e la forza, sta la concezione altissima che Pindaro ha della divinità.
Notiamo subito come ci troviamo di fronte ad affermazioni non sempre conciliabili perfettamente: da una parte, espressioni che conducono alle sfere più alte: alla domanda su quel che Dio sia o non sia, il poeta risponde: Dio è il tutto (fram. 117): è perfetto ed onnipotente (P. X, 77): Dio porta a fine ogni cosa secondo le sue speranze, Dio raggiunge l’aquila dal volo rapido e sopravvanza il delfino in fondo ai mari : Dio abbassa lo spirito orgoglioso dei mortali e trasporta dall’uno all’altro la gloria immarcescibile (P. II, 89): quando Apollo interroga il centauro Chirone sulla ninfa Cirene, questi non si lascia ingannare dalla finta ignoranza: Te, che l’errore non sa sfiorare, certo qualche fantasia sorridente spinge ad interrogarmi ; tu sai il termine cui tutto giunge e conosci tutte le vie ed ogni cosarle foglie che la primavera fa germogliare, l’arene dei fiumi e dei mari, agitate dalle carezze delle onde ; ciò che deve essere e ciò che sarà (P. IX, 75). Spesso ritorna il concetto di Zeus regolatore di ogni umano evento (O. I, 57; O. II, 13; O. IV, 13; N. VII, 61; O. Vili, 27; O. IX, 47); figlia di Zeus è la verità (O. XI, 4) : imperscrutabili sono i pensieri di Dio (O. IX, 47): Zeus protegge ehi ama (P. V, 22), distribuendogli i beni di fortuna (P. Vili, 59), poiché in lui è l’esito delle cose (N. X, 29) (3). Siamo qui di fronte ad un’altezza
(1) Girard, Le sentiment religieux en Grèce d’Eschyle à Pindare, Paris, 1869, pag. 343(2) Menghini, Ercole nei canti di Pindaro, Milano, 1878, pag. 68.
(3) Cipolla, Della religione di Eschilo e Pindaro, in Rivista di Filologia, anno VI, 187S, pag. 402-
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di pensiero veramente notevole, derivino queste idee da dottrine orfiche e pitagoriche (i), di cui si vuol trovar cenno quando il poeta parla del tempo come del più potente dei beati (fram. X) o del demone che accompagna ogni uomo (O. XIII, 30; P. V, 165) (2), o siano invece frutto della sua riflessione e della sua elevatezza d’animo.
D’altra parte, sebben l'idea di un destino, signore dell’universo, indipendente da chiunque e dalla divinità, non appaia chiaramente (P. Ili, 84; P- IV, 106) ed il Fato sembri sempre dipendente da Zeus (O. II, 39; P. I, 67; P. Ili, 56), pure sono ammesse una regola fissa accompagnante la sorte di ogni individuo (N. V. 2 ; N. VI, 6) (3) e una legge generale, per cui una forza intelligente e giusta veglia nelle vite di tutti (pel poeta tipicamente considerate in quelle dei vincitori di giuochi), la successione dei dolori e delle gioie in una stessa schiatta, in modo da compensare le ineguaglianze e le ingiustizie della esistenza, alternandosi i beni e i mali ritmicamente di famiglia in famiglia, e per rimediare alle sciagure della vita e per impedire che la felicità di una stirpe, diventando eccessiva, superi quella degli dei (4): rispetto alle quali leggi non si vede nettamente qual sia la relazione fra la divinità e il Fato, di cui secondo il de Jongh {DePindari Safiientia) viene affermata la superiorità nell’episodio di Teti, Zeus e Poseidone : che anzi, celebrando Gerione, perchè non è punto naturale rimanere vilmente assisi al focolare mentre ci rubano con violenza i nostri beni (Boeckh, Fragtn. Dithyr., 7), il poeta però non volle includervi biàsimo per Eracle, perchè una legge stabilita dal Fato, regina dei mortali e degli immortali, può anche giustificare la violenza con la sua mano suprema (5).
Nè per le sue affermazioni sulla eccellenza e la superiorità di una divinità, considerata perfetta e quindi una, Pindaro rinnega gli dei delle tradizioni mitologiche, profittando della libertà che la religione greca lasciava alle intepretazioni individuali ed al subiettivismo, si che gli dei ed i semidei sono visti in una luce piuttosto che in un’altra secondo l'occhio che guarda e la mente che pensa. Ma, pur ammettendo questi dei particolari, quasi fossero i nomi tradizionali di una divinità unica, li presenta sempre savi e buoni, senza ricordarsi affatto delle tradizioni Esiodee sulle successive generazioni di Celesti nemiche le une delle altre, sopprimendo tutto ciò che può offrire materia al riso, prestarsi ad interpretazioni irriverenti od, in genere, mancare di dignità (6): e se già rispetto agli eroi reagisce contro l’antica tradizione, stimando che a torto Omero abbia celebrato il carattere di Ulisse (7), tanto più cerca di idealizzare le diverse divinità per ricondurre la poesia alla primitiva purezza: molte cose sono meravigliose, ma pure accade che racconti favolosi, artificiosamente adorni di varie menzogne, traggono in inganno l’opinione degli uomini : poiché quelle attrattive che rendono dolce ogni cosa ai mortali fan si che anche l’incredibile non sia più tale all’uomo: quindi conviene attribuire alla divinità solo azioni belle ed oneste, chè, dato che ci si inganni, è minore la colpa (O. I, 28-36).
(1) A. et M. Croiset, Histoire, pag. 387.
(2) Rohde, Psyche, Freiburg, 1890, passim.
(3) Cipolla, op. cit., pag. 405; Maury, op. cit. I, pag. 53.
(4) Girard, op. cit., pag. 336.
(5) Menghini, op, cit., pag. 100.
(6) Christ, Geschichte der Griechischen Literatur, München, 1905, pag. 186.
(7) Grote, Hisloirede la Grece, Paris, 1864, pag- 103.
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LE IDEE RELIGIOSE DI PINDARO 10$
Sebbene quindi il poeta si creda obbligato a gran prudenza in fatto di inorale ed in questi casi particolarmente corregga e purifichi la tradizione,, pure non esita quando qualcosa è contraria alle sue opinioni sull’essenza e sulle facoltà degli dei : ad essi non occorrono nè messaggeri, nè intermediari : non un corvo avverte Apollo della infedeltà della ninfa Coronide, ma il suo sguardo, che è il più rapido dei messaggeri, perchè la menzogna non ravvicina e nè dei, nè mortali saprebbero ingannare il suo occhio infallibile (P. Ili, 46-54) (1).
Non è però per questo che il poeta trascuri del tutto, pur appellandosi generalmente alla Musa come a sua autorità, gli antichi racconti degli uomini, che possono essere bensì falsi (O. XII; N. Vili, 20; P. I, 93; O. VII, 55; N. VI, 41), ma che però egli non respinge mai solo perchè sono imbevuti di soprannaturale: quindi, se introduce nei miti qualche mutamento, non lo fa per renderli più verosimili, come Ecateo e Ferecide, ma solo per eliminare quei particolari che discordano con la santità della religione, senza volersi affatto riannodare al movimento che minacciava di abbattere le antiche credenze, contemperandosi in lui la fede commossa della folla e le concezioni più ardite e meditate dei contemporanei: è ben lungi però dal vedere, come un giorno Lucrezio (IH, 99), nei supplizi dell’Ades un’immagine dei dolori della vita attuale: Sisifo non è per lui il tipo dell’ambizioso, nè la roccia di Tantalo il fantasma della superstizione, nè gli staffili delle Furie, nè Cerbero, nè le tenebre del Tartaro, una fantasmagoria evocata nella immaginazione degli uomini dai tormenti e dalle angosce della loro coscienza (2).
In realtà, quindi, le idee di Pindaro sulla essenza e sulla facoltà della divinità non sono della massima precisione, oscillando fra un monoteismo assoluto ed un politeismo antropomorfico purificato ; ma conviene mettere in rilievo da una parte l'alto concetto che egli ha del divino in genere, dall’altra le sue affermazioni sulla dipendenza assoluta per tutto il corso della vita dell’uomo dai Celesti.
Ma ai mortali, completamente soggetti alla divinità in vita, che sorte sarà riservata nell’oltretomba? Nell’uomo è un’anima immortale: poiché il corpo di tutti Obbedisce alla morte : ma sussiste un' immagine di vita che vien dagli dei : dorme mentre le membra agiscono, ma spesso, nei sogni, mostra il destino, buono o cattivo, che si avvicina (3) (fram. 108, Bergk.): a tutti è fissato un sol termine: l’onda di Ades (N., VII, 45) arriva alla fine e colpisce il ricco come il povero; e questo pensiero della fine ineluttabile delle cose umane è così forte in Pindaro che tutta la VITI Pit. è stata chiamata con ragione da uno scoliasta un lamento sulla vita umana.
Riguardo alia sorte di queste anime, si debbono distinguere in Pindaro due gruppi di idee, di cui uno si riannoda alla II 01., l’altro ai frammenti dei Treni, affermanti invero ambedue una vita futura, pene e ricompense, ma con differenze grandissime nei particolari. Nella II 01. (4), in contrapposizione ai tormenti
(1) A. et M. Croiset, Histoire, ecc., p. 3S6.
(2) Girard, op. cit., pag. 340.
(3) Croiset, Poésie, ecc., pag. 217; Vil-lemain, op. cit., pag. 24; Aracri, La divinità; l’uomo e L’Eliso in Pindaro, Genova, 1896, pag. 58.
(4) Cfr. : Benedictus, Pindari Olympia, Salmuriì, 1620 ; Adimari, Odi di Pindaro, ecc., Pisa, 1631; Heine, Pindari carmina, Lipsiae, 1763; Boeckh, Pindaricarmina, Lipsiae, 1811, 1S21 ; Dissen, Pindari carmina, Gothae et Erfordiae, 1830; Rauchenstein, Adnotationes
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dell’Ade genericamente accennati pei malvagi, sono descritti i Campi Elisi delle Isole Beate, simili a quelli di Omero, in cui sono i felici, tra i quali vengono esplicitamente ricordati Peleo e Cadmo, eroi celebri per giusta e pia modestia, e Achille, già da Aretino di Mileto fatto trasportare nell’ isola Leuké dalla madre, chiamato sposo di Medea nell’Eliso dà Ibico e Simonide, ed ora tra i giusti, per concessione di Zeus, alle suppliche della madre implorante per l’eroe che abbattè Ettore, l’indomabile colonna di Troia, e Cicno, il figlio dell’Aurora: i beati, in genere, sono poi i grandi della terra, poiché la ricchezza ornata di talenti, offrendo occasioni diverse di distinguersi, suscita nei cuori l’ardente desiderio di gloria: se ad essa ricchezza, astro splendente, vera luce dell’uomo, viene unita la conoscenza dell’avvenire, chi le possiede sa che le anime dovranno espiare le loro colpe e sentiranno sotto terra da un giudice la sentenza irrevocabile: i cattivi soffrono pene incredibili; i buoni in un giorno senza fine sono felici: quelli che per tre soggiorni in ciascuna di queste dimore han saputo conservare le anime pure da ogni colpa seguono la strada di Zeus, fino al palazzo di Crono, nelle isole dei beati, dove di fiori penduli dagli alberi, o nutriti dall'acque, intrecciano corone per le mani e le chiome.
In questa descrizione dell’al di là è già rilevante un concetto di giustizia, poiché è in seguito ad un regolare giudizio che i buoni sono separati dai malvagi e che le anime degli eletti vanno affinandosi per tre prove successive : ma essendo la religiosità, di cui è caposaldo il rispetto agli dei (sì che Achille è ammesso solo per le preghiere della madre), e la gloria le condizioni per la beatitudine, si è pure davanti ad una dottrina aristocratica, poiché la pietà oscura non è affatto ricordata e viene esclusa la più gran parte dell'umanità, i poveri e i deboli, nè pare sufficiente giustificazione il dire che il concetto per cui solo le ricchezze producono le brillanti virtù che conducono alla gloria e felicità eterna è dovuto all’indole stessa della poesia, celebrante i vincitori delle gare ginniche (i).
E’ notevole però il fatto che la vita futura non è un indebolimento della presente, ma le è superiore, sì che l'Ade, in Omero egualmente terribile a buoni e malvagi, è qui per i primi quasi desiderabile, nè è riservato ai soli eroi epici, ma ricordato come speranza positiva (2).
Il secondo gruppo di idee deriva invece dai Treni, in cui, pur glorificando le varie schiatte per la natura della cerimonia funebre che dava argomento al canto, v’era occasione di meditazione più profonda e non erano da dimenticare le consolazioni di una speranza in un’altra vita (3). Ma dai frammenti è imposin Pindari Olympia, Aarau, 1843; Serra, Odi di Pindaro, Genova, 1846; Cookesley, Pindari carmina, Etonae, 1S53 ; Morice, The Pythian and Olympian Odes, Ediinburg and London ; Furtwangler, Die Siegesges&nge des Pindaros, Freiburg, 1859; De Jongh, Pindari carmina Olympica, Traiceli ad Rlie-num, 1S65; Hartung, Die Religion und My-thologie der Griechen, Lipsia, 1865; Fennell, The Olympian and Pytian Odes, Cambridge, 1879 ; Mezger, Pindars Siegeslieder, Lipsia,
1S80; Gildersleeve, Pindar, London, 1SS5; Tafel, Dilucidaliones Pindaricae, Berolini; Fraccaroli, LeOdidi Pindaro, Verona, 1S94; Christ, Pindari carmina, Lipsiae, 1896; Buchholz, Anthologie, Lipsia, 1898; Schroeder, Pindari carmina, Lipsiae, 1900; Turner, The Odes of Pindar, London, 1900; Moore, The Odes of Pindar, London, 1901; ecc.
(i) Girard, op. cit., pag. 330.
(2) Croiset, Poésie, ecc.. pag. 209.
(3) Girard, op, cit., pag. 331.
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LE IDEE RELIGIOSE DI PINDARO
III
sibile ricostruire una dottrina precisa, nè si può vedere esattamente quanto derivi da una occasionale ispirazione orfica, poiché è forse dovuta solo al fatto che la poesia era composta in onore di un ateniese iniziato, la frase sui misteri di Eieusi : « Felice chi ha veduto quelle cose prima di scendere sotto terra : egli sa la fine della vita e ne sa anche il divino principio > (i 14, Bergk).
Nel più importante frammento è detto (Tren. IV) (1) che di quelli cui Pro-serpina permetterà di cancellare con espiazioni una macchia antica e dolorosa, le anime sarán rinviate dopo nove anni verso la luce superiore. Tale è l’origine dei re magnanimi, degli uomini potenti per la loro forza o grandi per la loro saggezza, cui la posterità concede il nome di eroi sacri. Similmente, nei Fedro platonico (XXIX) le anime date alla filosofia dopo tre periodi di mille anni, avendo sempre Condotto ininterrottamente una tal vita, al terzo millennio riprendono le ali e tornan là d’onde sono volate : quelle di coloro che non furono perfetti filosofi dopo la prima vita subiscono un giudizio, per cui o vanno agli Elisi a godere di una vita simile alla terrestre o sono puniti nel Tartaro : al millennio le une e le altre tornano in terra alla seconda vita, finché, dopo diecimila anni, tornano là donde si mossero (2).
Si vede che, insieme alla affermazione della dottrina della metempsicosi, è attenuato il carattere aristocratico della perfettibilità, riservata solo ai potenti nella II 01-, poiché chiunque, sia pure per concessione di Persefone (verisímilmente nel caso, cioè, che sia suscettibile di progresso), si può purificare. La descrizione del soggiorno nell’al di là non differisce molto da quella della II 01. ; pei malvagi, dai languidi fiumi della notte oscura sorgono tenebre infinite : per i buoni, il sole rischiara giorni che non oscuran mai le tenebre della notte: nei prati rosseggiami di rose, ombreggiati dalla pianta che produce l’incenso, sono sparsi boschetti carichi di frutta d’oro. I cavalli e gli esercizi ginnici, i dadi, la lira contribuiscono a renderli beati. Niente manca allo splendore della loro fiorente felicità : in quel soggiorno magnifico esala continuamente l’odore dei profumi deliziosi che gettano sulle fiamme degli altari che brillan lontani (Tren., I). Ma, in un altro frammento, la sede dei malvagi è considerata diversamente e le gioie degli eletti assumono un aspetto caratteristico, per cui da molti questi versi sono considerati come sospetti: «le anime degli empi, trattenute sotto il cielo, volano sulla terra, tormentate da dolori indicibili; quelle degli eletti abitano in cielo, celebrando colla melodia dei loro inni il Grande Beato » ; concetti questi (e specialmente l’ultimo accenno) che sembrano dovuti ad infiltrazioni di tempi ben più recenti.
In genere, è difficile vedere quanto questi frammenti riflettano il pensiero del poeta e quanto quello di coloro per cui la poesia era composta. Ammettendo anche inoltre, come del resto appare dal complesso dei concetti che si possono ricavare dai vari brani, che fondamentalmente tali fossero le concezioni di Pindaro, bisogna pur notare che le idee sull’al di là occupano nelle sue poesie un posto minimo, nè vanno esenti da contraddizioni, spesso insanabili : dovevano quindi essere per lui, più che altro, argomento di canto, mentre d’altra parte la lirica
(1) Aracri, op. cit., pag. 69. De Pindaro dogmatis de migralione animarum
(2) Cipolla, op. cit., pag. 413 ; Lvebbert, autore, passim.
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voleva esser popolare ed il grande movimento religioso del VI secolo, con le sue iniziazioni, scuole e misteri, era rivolto più alle persone di qualche levatura che alla generalità degli uomini. Ma se le idee religiose di Pindaro non si possono definire con precisione matematica, non si può mettere in dubbio la sua pietà e la vivacità del suo sentimento religioso. V’era in lui, insomma, reciproca incidenza del religioso e dell’estetico (i): le timide primizie di un razionalismo latente accennano ad uno stato della riflessione più inquieta che ribelle, più repugnante a certe leggende Che scettica: il mondo degli dei e degli eroi ancora echeggiava nella sua anima di poeta. Le sue idee non sono più precise in mitologia di quanto non lo sia la stessa religione Comune, ma vi è però in esse una unità (2) : il sentimento della grandezza divina, di cui il poeta è compenetrato., e l’ansia pel destino umano, di cui cerca, e crede alle volte di trovare, leggi certe in mezzo alle varietà dei miti e le vicissitudini della fortuna.
C. Rostan.
(1) Trezza, Nuovi studi crilici, Verona-Padova, 1878, pag. 120.
(2) Girard, Revue des deux Mondes, 51 an., 3 p., 44 (1881). pag. 807.
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RELIGIONE E CHIESA
NO fra i rapporti che corrono tra religione e chiesa vogliamo in questo studio esaminare, quello di mutua dipendenza. E’ la religione basata sulla chiesa come il vecchio concetto tradizionale afferma oppure è là chiesa invece che sulla religione si appoggia? Ed il concetto antico, sènza dubbio utile per la ortodossia, non sarebbe alla genuina natura della religione dannoso o pericoloso almeno?
E' a chiederei che cosa per religione vogliamo qui intendere? Forse è ancora utile riaffermare alla parola il suo
significato nativo di sentimento speciale dato all’uomo da uno specialissimo senso o meglio da una facoltà intuitiva che coglie vibrazioni delicatissime d’una voce che è portata sopra l’oceano della vita. Il significato intravisto dal genio di S. Agostino che pensava ad una derivazione da relègere^ soprafatto poi dalla scolastica e non riapparso che tardamente ora.
Per chiesa poi noi non prenderemo qui il senso più ridotto della parola : ossia « religione (cioè sentimento del divino) non di un solo ma di più », sospiro di molte anime unito anche senza che esse lo vogliano espressamente ed in fatto lo avvertano, a quel modo che uomini molti insieme respirano l’ossigeno dell’aria anche senza pensare che cosa esso sia ed in quale misura ciascuno se ne abbeveri ; chiesa spirituale adunque, o se meglio si voglia, l’anima di chiesa. In questo caso c’è tra religione e chiesa un rapporto che non è di causalità o di dipendenza reciproca ma un legame molto più semplice in quanto chiesa è un multiplo di religione.
Intenderemo qui per chiesa^ una chiesa visibile, incarnata, esteriormente apparente in qualche modo col suo corpo ; dal tipo della chiesa gerarchica che è straordinariamente visibile con la sua massiccia ossatura, con le sue membra snodate e molteplici al tipo della chiesa evangelica in cui il corpo è tenue e la struttura appena cartilaginea ; da quella che ha una dogmatica complessa e sacramenti plurimi e riti consistenti onde si annodano tra i fedeli dei vincoli ben apparenti in una comunione anche esteriore di vita e di disciplina a quella che ha un credo ridotto a Dio ed alla mediazione di Gesù ed un battesimo solo come segno di esterno legame; fino anche a quella che non ha nessun simbolo esteriore nemmeno il battesimo e crede che il vincolo tra le anime e il legame che
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le unisce alla chiesa sia il battesimo di spirito e non formula alcun credo nè teologico nè storico e le basta al posto di questo l’ideale del bene. Dall’unione per il bene che è la chiesa più ridotta si va alla religione più ampia (come contenuto) che è l’idea cattolica come dal limite estremo della estenuazione del corpo alla estrema dilatazione dello spirito. Se là la chiesa è data dall’unione di spiriti in un ideale che non è più nè teologico-mistico (Iddio) nè storico (Gesù) qui la religione è sublimazione intensissima di dogmi plurimi che sono stati consunti come in un fuoco per nutrirla, vivisezione di riti che hanno date le calde viscere per leggervi gli uomini voci divine. La grande anima vigorosa che domina il corpo e ne fa uno strumento di elevazione è uri contrapposto ben degno dello spirito sottile che si muove agilmente senza sforzo nel suo involucro quasi aereo.
Nei due casi estremi, entro ai quali tanta ricchezza di vita superiore vissuta nel mondo si può comprendere, la religione vive di vita sua, la Chiesa è come un tempio che non fa la fede ma è fatto da lei e da lei sola ripieno di mistero.
Questo premesso, noi intendiamo di concretare il nostro studio nell’esame specifico dei rapporti tra chiesa e religione come ce li può offrire il Nuovo Testamento. Noi scegliamo cioè una religione ed una chiesa definite od almeno sufficientemente definibili dalla critica e dalla storia che si sono esercitate seriamente attorno al sacro volume. Con ciò lasciamo da parte ogni religione che non sia quella che ebbe Gesù (secondo quel libro) ed ogni chiesa che non sia carne viva di quel medesimo spirito.
Ricordiamo anzitutto i due testi in cui direttamente da Gesù è menzionata la parola chiesa'. Mi. 16/18 e 18/17. Noi accenniamo all’ipotesi che ne fa due passi spurii ed al nome più noto ed allo studio più recente in che essa si impernia (V. HarnaCK, Christliche Religione in collezione: Die Kultur der Gegenwart, Leipzig, Teubner). K proposito del primo, quello che offre la chiesa edificata sulla pietra, non è malagevole, anche per chi lo conservi al posto suo e volesse continuare a ritenerle pronunziate da Gesù le parole rivolte a Simone dopo la sua ardente professione di fede, escludere ogni finalità giurisdizionale. La esegesi arcaica è tutta impregnata del significato mistico di fede impostata sulla missione religiosa di Gesù (F. Nicolaus de Lyra in h. I.) significato che si prolunga ancora in Teofìlatto, e va fino al Crisostomo da una parte e dall’altra fino ad Ambrogio e ad Agostino. E sì Che la controversia coi Donatisti ed il formarsi della teorica delle note della chiesa avrebbero dovuto offrire il destro di appoggiarsi a quel testo che è ricordato già da S. Cipriano il quale ne ricava appena un segno della intima unità mistica della Chiesa universa fondata sulla confessione della messianità di Gesù. Quanto poi al secondo dei passi di Mt. « dillo alla chiesa», la cui autenticità è ancora più dubbia (V. VaNBECK, Lapenit. dans les ècrits des premieres generai, chrèt, in Revue d'hist. et de litter relig. Année et tom. I, pag, 448, § XI, « Nouv. sèrie >), esso è però ancora riferibile, quando lo si volesse accettare e conservare, alla esteriore unione dei credenti nella comune agàpe, senza bisogno di pensare ad un corpo giuridico come voluto od almeno antiveduto da Gesù; chiesa si potrebbe pensare come un aggregato di fedeli un pochino più esteso dei due 0 tre ricordati in funzione di testi dal vers. precedente, una testimonianza più solenne mà sempre ancora una testimonianza e nulla più; non un potere giudiziario, meno che mai esecutivo.
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Un tipo abbastanza consistente di chiesa è quella che ci è indicata in Fatti20/28. E’ la chiesa del Signore acquistata da lui, Gesù, col suo sangue e governata dagli anziani posti dallo Spirito santo. Qui forse essa è meglio delineata di quello che sia la chiesa legittima di Fatti 19/39 e senza dubbio risponde all’ idea di aggregato sociale più che la chiesa confusa del medesimo libro vers. 32. Ma essa appare troppo manifestamente a suà volta un prodotto naturale dell’entusiasmo eccitato da Gesù e dalla predicazione del suo ideale tra uomini che il giudaismo cioè la chiesa storica e gerarchica respingeva come sediziosi dal proprio seno o non aveva accolto mai come estranei ad Israele.
Così quella delle Epistole, Che si vada dalla embrionale chiesa domestica a quella evidentemente organizzata che è edificata dal profeta od al tipo spiritualizzato di quella della lettera agli Efesini che s’offre agli sguardi del Cristo senza macchia 0 ruga, si presenta egualmente come unione di posseduti dalla idea di Gesù diffusa sulla terra, aggregati per la forza medesima coesiva di codesta idea e per null’affatto come una società di propaganda.
Il proselitismo, questo peculiare carattere dell’ebraismo, sconosciuto al mondo antico è passato al cristianesimo ma solo più tardi assai, quando esso divenne chiesa storica. Cioè quando il corpo tanto crebbe e si sviluppò, tanto vigoroso divenne che Tesserne membra potè sembrare, come parve ai connazionali di Gesù ai quali bastò per respingere il suo lievito spirituale la esterna sicurezza d’essere figli d’Àbramo, sufficiente titolo di cristianesimo. Paolo stesso così impregnato di giudaismo non corre più, cristiano, la terra ed il mare per guadagnare dei proseliti alla nuova chiesa perchè essa non esiste nel suo pensiero, la chiesa che giustifica e fa i credenti.
Attivo propagandista lo è ma d’un’ idea. Egli non insegna che Gesù, tanto è lungi da mostrare la salute nella chiesa santa e cattolica che non lo precede e non lo accompagna, ma lo segue invece sorgendo dietro ai di lui passi dal solco scavato dalla parola annunziata che non è se non il Cristo. Ora perchè non avrebbe egli utilmente come agevolmente girata la difficoltà suprema del suo apostolato offrendo ai suoi connazionali come ai Greci ed ai Romani invece che T idealizzazione, la divinizzazione di una infamia o di una stupida schiocchezza — l’uomo di Dio giustiziato, — una chiesa gerarchica più vitale della giudaica od una società di idealisti più interessantemente mistica delle unioni eleusine?
Chiaramente la chiesa primitiva non fu se non fede collettiva in Gesù.
Occorre giungere nella storia della chiesa fino alla seconda metà del terzo secolo per trovare in germe la chiesa consacrata poi nel Tridentino e divenuta ipso coelo fortior nel Vaticano. Prima di quell’epoca la chiesa come la concepisce oggi la teologia della Scuola non esiste affatto, nemmeno in embrione. Non c’è nulla di lei, neppure il seme.
L'idea di Gesù Si diffonde portata per il mondo senza che un organismo giuridico ne sia depositario. I credenti si raggruppano e formano un corpo come l’unione invisibile della fede costituisce lo spirito animatore di quel corpo medesimo. E con tutto ciò siamo ben lontani dalla chiesa organizzata, dalla chiesa-luce, della chiesa-arca di salvezza.
Come può essere chiamata allora la chiesa «colonna e fondamento di verità» secondo la nota frase di 1 Tim. ^/ij?
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Evidentemente in questo senso che è il solo ovvio (tralasciamo di insistere sulla probabilità di una punteggiatura diversa dalla tradizionale in forza della quale le parole « colonna, ecc. » non sarebbero più riferite alla chiesa): Cioè la chiesa è una manifestazione della vitalità divina (oikos teoù, ecclesia teou zóntos) quindi della verità del divino messaggio giunto con Gesù alla terra. La fede produce non solo i singoli .testimoni di Gesù, i credenti, ma dando origine alla chiesa prepara al Cristo una testimonianza collettiva (cfr. Giov. 16/27). E’ da notare, a conforto di questa interpretazione e a dimostrazione della vacuità dello sforzo apologetico tentato su codesto passo a prò d’una ecclesia juritticat regens et do-censy che la testimonianza di cui sopra, viene sì dalla chiesa ma non riceve da essa il suo valore sibbene dalla fedeltà con cui essa chiesa rispecchia la fede, dalla sincerità dello spirito che la informa. Il misterioso testimone, il sòlido appoggio è quindi in realtà la religióne (to tes eusebeias mysteriori) più che la chiesa.
Zf opere. Da questa religione incarnata che è la vita, Gesù aspettò la glorificazione del Padre, il trionfo dell’ ideale suo. Tanto meglio per la chiesa se essa s’identifica con codesta religione vivente, tanto peggio per essa se tiene ad essere essenzialmente una universitas juris insieme ad una universitas perso-narum cioè una società perfetta, ma non reputa necessario oltre all’unione dogmatica e liturgica l’unione dei cuori e delle anime che fu il primitivo vincolo tra le membra del corpo mistico di Gesù (Fatti 4/32), se le basta che i suoi siano ossequenti a dei dogmi incompresi e si sottomettano a riti magici invece di penetrare la vitalità del dogma e di risalire attraverso al simbolo sacramentale alla realtà divina ch’esso cela.
Veggano opere gli uomini! Cioè la religione vivente, la vita.
Appartenere ad una chiesa non è ancora religione, nessuna delle chiese organizzate, la romana meno di tutte, dubita di questa verità. Ma gli è che nessuna delle chiese, la romana più debolmente di tutte, lavora efficacemente a dissipare l’equivoco per cui dei grandi privilegi per il tempo e per l’eternità sembrano conferiti in realtà in virtù dell'affigliazione ad un corpo ecclesiastico ; che le chiese, e la romana meno che tutte, non vogliono che i loro fedeli s’inquietino troppo di quello che sono e di quello che si sentono ; che la spiritualità della fede compressa e soffocata vuol rifiorire oggi a tutto danno delle chiese gerarchiche, della cattolico-romana sopratutto dalla quale allontana molti uomini sinceramente credenti.
Certo la chiesa esteriore, il prodótto della fede in Gesù, una, santa e cattolica non meriterebbe questo trattamento ; essa soffre di codeste defezioni, come soffre di tutto quello che s’è aggiunto sopra di lei a renderne irriconoscibili i tratti genuini che ci dovevano rappresentare in un qualche visibile modo il Cristo incorruttibile e la folla di anime avvinte a lui.
Ma la chiesa è oggi per gli uomini del xx secolo (la romana sopratutto) quello che ha voluto essere; una milizia organizzata rigorosamente (e non più la chiesa militante contro il peccato) in vista di beni sociali apprezzabili; uno Stato mostruoso, quanto nessuna concezione statolatrica può aver imaginato, che soffoca la spontaneità dei sudditi cui non incombe che versare il tributo dell’ossequio, che vuole risparmiare loro anche il pensiero, anche il ragionamento ; un
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corpo destinato a difendersi e ad espandersi non a migliorarsi, che vuole acquistare delle unità non delle forze vive acquistando dei nuovi individui con la nascita, con la educazione e col proselitismo.
Sì. Se la chiesa romana sopratutto con l’esigere un’obbedienza militare come la migliore virtù Che sembra poter compensare ogni altra, non appare che una corruttrice, forse la peggiore corruttrice, di quella religione da cui era creduta inseparabile, ogni chiesa deve oggi saper rinunciare onestamente al fallito privilegio di essere pietra di angolo alla fede, fondamento alla religione.
Religione e chiesa stanno fra loro agli occhi nostri illuminati, nel rapporto inverso di quello che per secoli sotto l’impulso dello scolasticismo, trionfante col Tridentino, condotto alle più inverosimili e stolte pretese col Concilio Vaticano fu creato ed imposto; la chiesa, e solo una chiesa onesta e sincera, è fondata sopra la religione. Quanto alla tirannia che ne prende a volte il nome essa non è della religione che la peggiore nemica poiché noi possiamo bene argomentare e contrario qualche cosa dalla parola vigorosa dell’Apostolo : dove è spirito del Signore ivi è libertà.
Se adunque noi volessimo appoggiare la religione sulla chiesa, noi serviremmo magnificamente alla livida causa dell’ortodossia, ma che cosa faremmo noi se non sostituire al lavorìo dello spirito vigile, attivo che perfeziona se stesso la sicurezza d’essere figliuoli d’una chiesa che salva? Che cosa se non risparmiare e risparmiare alle anime quello sforzo spirituale che le eleva, che esentarle dal dovere di vegliare, d’essere circospette, d’operare in silenzio tremando la loro salute ?
E tutto questo sarebbe un vantaggio per una religione così eminentemante spirituale come quella che emana da Gesù?
Certo il cristianesimo, proprio quello che venne più legittimamente dal Cristo storico, è pure una religione collettiva, perciò la chiesa è qualche cosa di cristiano eminentemente, con le sue caratteristiche di cattolica. Ma la chiesa la quale nonché risparmiare lo sforzo individuale, le tensioni singole delle anime verso del bene, lo stimola al contrario, lo aiuta, lo completa. La chiesa che ci rende capaci di sforzi maggiori, d’una tensione più acuta, non quella che ci offre facili indulgenze, scapolari ridotti nel volume e nel peso, medaglie più o meno miracolose, preghiere ad effetto infallibile. Non la chiesa’ che produce religione, che la valorizza, che la fa rendere come un titolo beni temporali e felicità eterne ; che ne ha il monopolio e sola ne produce la marca genuina, ma la chiesa che è un prodotto vivo della religione nata nei cuori al soffio dello Spirito, da lui nutrita e resa feconda nei disagi e madre nel dolore di nuova vita.
Certo una fede minuziosa, una religione speculatrice, avida d’istruzioni teoriche e di deduzioni, capziosa, casuística; una filosofia religiosa, la quale traduce e ritraduce nei termini della cultura umana i dati di questa, indaga i misteri e vi costruisce attorno sapienti impalcature di concetti filosofici e scientifici, postula il fondamento della chiesa, d’una chiesa essenzialmente esteriore, prevalente-
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mente dottrinale, d’una chiesa madre e maestra. Ma questa industria umana, codesta curiosità cerebrale non è religione, è scienza, è sapienza che può essere anche in coscienze tristi, che non può sostituire la fede e spesso non la favorisce davvero.
E la chiesa su cui essa si fonda non è quella che Gesù ha chiamato « gregge pusillo», non è quella degli scritti pauliani e dei Fatti, non è nemmeno quella del più tardo tra i libri sacri cristiani: la Rivelazione.
E’ una chiesa adultera ed adulteratrice, una chiesa dalla miopìa burocratica, una chiesa che è responsabile dell’infiacchimento delle anime verso del Cristo.
E questa cieca guida di ciechi sarebbe mai il divino Verbo continuante a farsi carne? Gesù senza interruzione rinnovellato, instancabilmente riapparente sotto umana forma per continuare nei secoli la educazione dei suoi fratelli?
Questa bestemmia contro lo Spirito santo potrà mai essere perdonata pure nel secolo futuro?
Ritorniamo evidentemente con ciò ad affermare la necessità più assoluta che ogni credente pensi la sua fede e nella misura della sua intelligenza e della sua cultura la sviluppi. Cioè che ogni cristiano edifichi la chiesa. Questo, invece che la chiesa fondamento della religione, la quale non lascerebbe al credente che l’unico compito, non gli farebbe che il solo dovere di ricevere passivamente la fede, questo sembra Gesù abbia voluto da ciascuno di coloro che avrebbero creduto nel suo nome. Le parole iche tutti siano una cosa sola* segnano il desiderio suo, se mai esse come autentiche si possono esibire a coloro che vorrebbero una chiesa fondata da Gesù su Pietro, di una unione di tutti, formata dalla volontà concorde di ciascuno. Di una « chiesa » edificata sui credenti, in cui ogni fedele è apostolo, luce e sale del mondo, vicario in terra di Lui.
Egualmente la effusione dello Spirito « sopra ogni carne » è bene un segno del magistero dato a tutti i credenti come l’ufficio di Barnaba chiamato ad essere cogli undici « testimone della resurrezione » esclude ogni possibilità di riferirlo alla carica di « magister fidei». Se « nessuno degli altri credenti ardiva aggiungersi ai dodici » non è escluso che qualcuno avrebbe potuto farlo quando si fosse sentito capace dell’attività che essi spiegavano posseduto dal medesimo loro entusiasmo, poiché esso era che compiva le loro opere : di Pietro, anima ardente e passionale, anche l’ombra sanava gl’infermi.
Così, nella medesima chiesa di Tessalonica che ha pure i suoi « egoùmenoi » è ufficio di ogni fedele per espresso desiderio di Paolo < ammonire i disordinati, confortare gli scoraggiati, sostenere i deboli », ufficio come si vede eminentemente sacerdotale nel senso più vero delle parole e tale che ci mostra una chiesa apostolica riposante sulla religiosità intima dei membri che la formano, edificata sulla fede, collegata dalla mutua carità. L'indirizzo medesimo, del resto, delle epistole pausane rivolte ai fedeli tutti e non agli anziani che ne rappresentano e ne esercitano l’autorità è lucida prova dello spirituale fondamento della chiesa sulla fede, cioè della emanazione di essa dallo spirito dei singoli. Paolo stesso presenta sè non come un edificatore di chiese, ma come un edificatore di Cristo nelle anime. Le quali poi collegate insieme formano una chiesa che l’apostolo considera come sua figliola e che continua a sorvegliare sorvegliando i fedeli che la compongono fino a che il Cristo non sia formato completamente in essi.
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RELIGIONE E CHIESA
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La posizione ortodossa, in fine, d’una chiesa sulla quale la religióne si appoggi, che è rocca della fede, fulcro della verità, come non è affatto evangelica, così non potrebbe mai essere che una posizione immorale, cioè dannosa alle anime.
Intanto la contraffazione della verità è immoralità già di per se stessa, immoralità piena di pericoli, gravissimo quello che uno spirito rettilineo disgustato dell’ inganno (dato anche che di per sè fosse innocente) non si disgusti solo della chiesa che gli si è offerta con patenti divine, ma del medesimo contenuto dottrinale ch’essa offre e respingendolo non respinga insieme il nocciolo di verità che tutte le teologie in sè contengono. E’ quello che accade da parecchi anni specialmente nei paesi cattolici del vecchio mondo latino, dove tutte le forze del cosmo spirituale sembrano collegate ai danni del romanesimo. Chi non è oggi un po’, un po’ scienziato ? Ebbene la conoscenza della storia ed il metodo scientifico sono (l’abbiamo visto recentissimamente provato dal Delehaye medesimo, gesuita e bollandista, in un libro dall’asserto perentorio oltreché dalla periodica voce accennante degli Analecta e degli Eludei sono condanna della chiesa che è partita dal Tridentino e che è arrivata al Vaticano. Chi non sente oggi nel suo sangue qualche avversione alla tirannide in paesi dove l’esercizio delle libertà pubbliche ed il regime democratico hanno dato ai singoli un po’ della responsabilità sociale? Ebbene, questa nella chiesa romana è accentrata tutta in un uomo solo che può essere, se non per sistema, come l’asserì Garibaldi, almeno per un caso magari assai raro, come pensò pure il Bellarmino, anche un tiranno. Chi non è, pure nei tempi nostri, negatori risoluti del soprannaturale della scolastica, un pochino spiritualista? Ebbene, la deviazione che il sentimento religióso subisce in una chiesa la quale s’oppone a forme più pure di vita, che perseguita quelli tra i suoi figli che hanno un senso più delicato del divino deve disgustare profondamente, deve allontanare quelle anime che non trattiene più la secolare abitudine, deve infiacchire le altre, quelle che restano adattandosi e piegandosi.
Che almeno alcune rimangano ritte a vegliare Sul fuoco sacro donde l’incendio avvampi che il desiderio di Gesù ha sognato sopra la terra! E siano anime di giovani.
I quali sulla fede, inconcutibile rocca dello spirito, edifichino la chiesa spirituale che è patria di liberi, quella che sola il Cristo chiamerebbe sposa sua e noi « la Gerusalemme di lassù, libera, madre nostra >.
Joh. Lover.
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VOCI E DOCUMENTI
PEL CONGRESSO DI CRISTIANESIMO SOCIALE
Già abbiamo parlato del Congresso internazionale di Cristianesimo sociale che avrà luogo a Basilea nel Settembre prossimo. . e
Lo scopo del Congresso è di giungere, tra cristiani sociali, ad un’intesa relativa ad alcuni principi generali, ad alcune linee direttive, ad alcune tendenze che devono riunirci gli uni agli altri in vista d’un’azione pratica per il bene sociale.
Il deputato ginevrino A. de Morsier aveva formulato pel Congresso di Besançon tenutosi nel iqio un certo numero di tesi che servirono di base al tentativo di formulare i principi direttivi del Cristianesimo sociale.
Crediamo utile portare a conoscenza dei nostri lettori queste tesi che serviranno di punto di partenza per le discussioni di Basilea. Red.
PRINCIPI!.
Noi dobbiamo cercare come cristiani di realizzare in questo mondo il Regno di Dio.
L* Evangelo, che proclama il valore indistruttibile della persona umana e la realtà dell’anima immortale, vuole la realizzazione, nell’individuo, della legge divina di giustizia e d’amore per mezzo della solidarietà, condizione della felicità.
La giustizia afferma l’eguaglianza delle libertà nella solidarietà.
Il problema sociale immediato è dunque la organizzazione della solidarietà.
L’Evangelo afferma la necessità della rinnovazione morale individuale come condizione stessa della costituzione d’una società prospera e felice.
Organizzare la solidarietà è fissare i diritti e definire i doveri dei cittadini.
In conseguenza ecco quanto noi, come cristiani, dobbiamo affermare:
QUESTIONE I.
a) Diritti civili.
i. — Ogni essere umano cosciente e responsabile è una persona.
La legge civile stabilisce i diritti delle persone e li delimita in nome del diritto di tutti.
La libertà civile consiste nel sottomettersi a una legge comune, al cui stabilirsi ha concorso colui stesso che n’è l’oggetto.
2. — La democrazia assicura il maximum dei diritti per ognuno, compatibile coi diritti di tutti, per realizzare l’ordine sociale.
La democrazia conferisce all’uomo il diritto di stabilire egli stesso la propria condizione legale. Questo diritto s’esprime col suffragio universale.
Le opinioni delle minoranze debbon potersi esprimere, nell’organizzazione legale della società, sotto la forma d’un diritto elettorale della minoranza applicabile ai corpi deliberativi. (Rappresentanza proporzionale).
b) Diritti della donna.
3. — La donna è una persona.
Ella assume dei doveri e delle responsabilità. Queste aumentano nello stato matrimoniale.
La donna è sottomessa al diritto.
La donna non può essere persona libera se riceve la sua legge bell’e fatta dalle mani del-l’uomo.
4. — Non c’è un diritto del sesso.
Non ci son privilegi di sesso.
5. — L’unione coniugale non può comportare come condizione necessaria una diminuzione d’integrità e di libertà nella persona della donna.
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PEL CONGRESSO DI CRISTIANESIMO SOCIALE
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Un libero consenso non può esser basato che sulla pièna libertà civile.
6. — La donna deve dunque potere — come l’uomo e perchè è una persona — stabilire la propria condizione legale. Ella deve dunque possedere gli stessi diritti.
7. — In una democrazia la sola garanzia del diritto civile è il diritto politico ; la donna deve dunque potere esercitare il diritto politico come cittadina dello Stato.
8. — Lo stato di soggezione legale della donna è una fonte perpetua d’immoralità perchè la donna abdica in tal modo la sua dignità a vantaggio della legge dell’uomo che è la legge imposta dal più forte.
Il rilevamento della moralità pubblica è inseparabile da quello della condizione legale della donna e della sua assoluta libertà civile.
La moralità nel matrimonio non sarà stabile e cosciente che in un’associazione di persone libere, perchè la libertà civile è la condizione del mutuo rispetto tra i sessi.
Conclusioni proposte.
TESI.
A) La politica è la forma organica dell’interesse e dell’utilità pubblica. Il cittadino cristiano non può disinteressarsene ( 1 ).
B) In una democrazia cristiana la donna deve possedere gli stessi diritti civili e politici dell’uomo.
G) L’organizzazione del suffragio proporzionale delle minoranze realizza una giustizia elettorale superiore all’attuale, ma esige tanto più cittadini evoluti e devoti alla causa pubblica.
QUESTIONE II.
a) Morale sociale.
1. — La donna, persona civilmente libera e possedente il.diritto assoluto di disporre di sè stessa, non sarà garantita che quando la morale non conoscerà differenza tra i sessi.
(1) • Gran brutta cosa la politica, quindi... alla larga », dicono certi pii cristiani. Rispondiamo: Oh che non son gran brutte cose l'alcoolismo, la pornografia, la bestemmia, e tutti i peccatacci contro i quali vi affannate tanto? Perchè non compiere i medesimi sforzi di fronte alla politica eh'è attualmente nelle mani dei non cristiani ? Controsensi misteriosi!...
La questione « Il Cristiano nella vita pubblica » e trattata in un opuscolo del dott. G. E. Melile edito di recente dalla Rivista Bilyeknis. — Chiedetelo alla Redazione, Via Crescenzio, 2 Roma. — Prezzo cent, ao la copia. Rko.
2. — Una sola morale per i due sessi è la condizione stessa della moralità di tutti, come della libertà e della dignità della donna.
3. — C’è una moralità sociale che lo Stato deve incoraggiare.
Rappresentante civile e organico della volontà di tutti, lo Stato non può disinteressarsi della moralità pubblica.
Organizzando il vizio lo Stato lo sanziona, lo legittima, lo glorifica e dà egli stesso l’esempio dell’immoralità.
b) Morale internazionale.
4. — La lotta contro io spirito d’inganno, di guerra, d’odio tra i popoli e l’affermazione che la pace deve essere e può essere, costituiscono la forma ultima delia morale sociale internazionale.
5. — E’ necessario protestare ad ogni occasione contro le manovre diplomatiche, politiche, finanziarie che preparano le guerre per servire interessi mercantili o soddisfare un campanilismo pericoloso.
Conclusióni proposte.
TESI.
zi) Una sola morale per i due sessi. Una sola morale per l’individuo e per lo Stato. Una sola morale per i ricchi e per i poveri.
La morale non è una morale di classe.
Jì) Abolizione d’ogni misura d’eccezione riguardo alla donna sotto pretesto di buon costume.
C) Intervento dello Stato in favore della moralità pubblica. Misure per assicurare l’applicazione delle leggi protettrici dei buoni costumi.
Diritto di citazione diretta.
¿>) Arbitrato internazionale e disarmo progressivo.
E) Protesta contro le guerre e le mene che le preparano.
Diritto delle piccole nazioni all'autonomia.
QUESTIONE III.
Questa questione è svolta nei seguenti paragrafi : a) diffusione e concentrazione capitalistiche, b) economia sociale e industriale, c) l’intervenzionismo, d) salariato, e) partecipazione agli utili e cooperazione, f) i beni collettivi, g) controllo di questi beni, h) la piccola industria e le classi medie, i) i poteri del consumatore.
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Diamo per mancanza di spazio i soli paragrafi c), d), e parie del paragrafo f).
Red.
c) L’intervenzionismo.
La protezione legale dei lavoratori dell’industria è divenuta una necessità e l’esperienza ha dimostrato ch’essa costituisce un bene.
Lo sviluppo del commercio e le crescenti esigenze dei consumatori legittimano l’intervento della legge per la protezione d’una categoria di salariati che subiscono gli effetti della concorrenza a oltranza la quale fatalmente risulta dal giuoco sfrenato della legge dell’offerta e della domanda.
La protezione legale dei lavoratori contro il lavoro eccessivo, le cattive condizioni di igiene, la tubercolosi, ecc., o in favore della diminuzione della durata del lavoro, limita la libertà dell’elemento padronale nella conclusione del contratto di lavoro e istituisce un nuovo diritto.
Ma tali misure sono morali perchè assicurano la difesa del più debole, salvaguardano la razza contro un indebolimento che diventerebbe un pericolo sociale della più alta gravità e assicurano al proletariato la possibilità del suo sviluppo morale e intellettuale.
d} Salariato.
L’odierna forma generale della remunerazione del lavoro, ossia il salarialo puro e semplice, non può essere definitiva. Molti salariati non ricevono, come remunerazione del contributo da essi arrecato, una parte sufficiente della ricchezza che hanno concorso a creare o ad aumentare.
Questa parte in meno è troppo spesso assorbita dall’importanza dei profitti netti che vanno al capitale.
Il salario è stretto nella morsa della legge dell’offerta e della domanda e il suo livello non si rialza automaticamente in proporzione alla cifra degli affari o della ricchezza pubblica.
Da ciò uno squilibrio evidente nella repartizione dei valori, alla costituzione dei quali contribuiscono i lavoratori manuali.
Questo squilibrio costituisce un pericolo sociale quando sia dimostrato che i salariati non possano decentemente vivere del prodotto del loro lavoro e sieno condotti per ciò alla resistenza violenta. L’ingiustizia sociale d’un simile stato di cose apparisce chiaro quando il capitale riscuote, oltre al frutto massimo legalmente permesso, un reddito sproporzio
nato ai rischi che esso corre, e al suo lavoro d’organizzazione e di direzione.
Il lavoro, come il capitale, ha un diritto al « profitto ».
/) I beni collettivi.
La terra e le condizioni d’ambiente ci forniscono una somma considerevole di materie prime e d’energie che il lavoro manuale, il lavoro intellettuale e il capitale manifestano ed a cui danno valore. Queste ricchezze naturali dovrebbero essere un bene comune.
Senza negare in alcun modo la legittimità odierna dello sfruttamento privato delle ricchezze naturali, e pur riconoscendo i servigi resi all’industria moderna dall’iniziati va’privata, è il caso d’ammettere e di prevedere una forma di repartizione dei valori prodotti dai tre elementi precedenti, che permetta alla collettività l’appropriazione progressiva e legale di queste ricchezze, affine di preservarle dal gioco della speculazione e dell’accaparramento, di sottrarle a certi monopoli privati di esercizio, e di permettere in tal modo un ritorno più equo della rendita del capitale a chi di diritto.
Siccome queste energie naturali e queste materie prime non acquistai» valore e non diventano utilizzabili che per mezzo degl’¡strumenti di produzione (macchine) è da ammettersi ugualmente e da prevedersi per l’avvenire l’appropriazione progressiva di questi strumenti delle produzioni principali.
Non è lo Stato politico attuale, gerarchia di funzionari, che può prendere in mano i servizi e le industrie che si tratterebbe di ridare progressivamente alla collettività, ma una forma nuova che non sarà lo statismo assoluto. ’ Bisognerà immaginare Un’Amministrazione che utilizzi certi valori industriali o commerciali e che comporti non solo una partecipazione del personale ai benefici e alla gestione ma altresì un controllo effettivo del consumatore.
Questa «.regia diretta» realizzerà un’organizzazione collettiva del lavoro che permetterà di far godere ai lavoratori, più di quanto si possa oggi, le ricchezze utilizzate e i valori che ne resultano, nello stesso tempo rispettando i diritti delle capacità personali e delle responsabilità individualmente assunte.
Conclusioni proposte.
TESI.
A) Il diritto teorico della proprietà individuale non può essere contestato.
E’ legittimo in certi limiti e a certe condizioni.
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E’ una questione di modalità come la libertà di commercio o quella dei contratti che non è un domina assoluto.
Questo diritto è soggetto a delle trasformazioni che tendono:
i° a limitare l’importanza della proprietà restringendola a delle categorie definite;
2® a modificare le modalità della distribuzione del reddito dei valori.
C) L’intervenzionismo in materia di legislazione e lo stabilire i contratti di lavoro sono una necessità sociale ed un bene.
Si va così costituendo un diritto nuovo.
La protezione legale del lavoratore contro l’eccessivo lavoro e le cattive condizioni di igiene è un mezzo legittimo per difenderlo contro gli effetti della concorrenza e gli abusi della potenza del capitale, permettendogli di realizzare il suo sviluppo integrale.
Z>) Un’appropriazione progressiva e legale delle ricchezze della terra, delle sue energie e degli strumenti essenziali di produzione — appropriazione compiuta dalla collettività entro categorie definite, in particolare riguardo a tutti i valori che rivestono carattere di utilità pubblica immediata — è legittima e socialmente buona per reagire contro la speculazione e gli accaparramenti privati e per lottare contro lo squilibrio tra il livello della rimunerazione del lavoro e quello del profitto del capitale.
Questo squilibrio è il risultato della concorrenza senza limiti che fatalmente trascina allo Sfruttamento del più debole per parte del più forte.
A') Le forme dell’appropriazione collettiva possono variare all’ infinito, dalla cooperazione libera allo Stato industriale.
Esse saranno legittime ovunque gl’interessi e il diritto alla vita del maggior numero l’esigano e dove l’interesse dei consumatori possa essere rispettato.
/•) Il rimettere allo Stato politico attuale la distribuzione di tutti i beni collettivi sarebbe un errore. L’iniziativa privata ne sarebbe gravemente lesa. Ma è possibile prevedere, con una codificazione legale del regime del lavoro industriale, un’organizzazione collettiva di produzione che tenga conto delle esigenze del lavoratore e di quelle del consumatore diminuendo l'importanza dei benefici realizzati e attribuiti al capitale. Questa organizzazione progressiva può rispettare tutte le forme d’iniziativa privata e non dovrebbe necessariamente assorbire le piccole speculazioni la cui funzione è fondamentale nella costituzione della ricchezza comune.
G) I consumatori organizzati costituiscono
una potenza capace di modificare le condizioni del lavoro, di permettere alla legge di intervenire efficacemente per la protezione dei deboli e di migliorare in tal modo la loro situazione.
E’ necessario per ciò che i metodi d’acquisto sieno riformati e che la clientela venga a conoscenza dei disordini a cui conducono le sue esigenze (1).
QUESTIONE IV.
Abbiamo, nei riassumere questa Questione IV, raccolto parte delle premesse spiegatine e parte delle tesi. Red.
a) Conflitti economici — Il sindacalismo — La lotta delle classi.
¿a delle classi per la difesa dei loro interessi rispettivi è un fatto spiegato suffi-centemente dalla storia dell’organizzazione del lavoro, dall’avvento della macchina, dalla concentrazione capitalistica e dalla situazione precaria e miserabile del proletariato (2).
L’esistenza stessa di classi sociali conduce alla necessità della difesa dei loro interessi.
Il sindacalismo è nato da questa lotta la cui origine si perde nella lontananza dei tempi.
Il capitale è una potenza collettiva.
L’operaio è un’unità.
Egli s’organizza per opporre una potenza collettiva a un’altra e trattar da pari a pari. Tale attitudine è legittima.
Il sindacalismo operaio è dunque un fenomeno logico e giustificato. Deve essere incoraggiato come un mezzo normale e necessario per la classe dei lavoratori di difendere i loro interessi in dibattiti leali col capitale sul terreno dei contratti liberamente discussi e strettamente rispettati.
ó) I metodi.
Quello che resta da discutere sono i metodi. Tanti casi tanti metodi.
Lo sciopero è un mezzo di difesa. E’ un diritto nei limiti in cui i contratti sono rispettati.
Lo sciopero dev’essere preceduto da tentativi leali di conciliazione davanti a degli uffici
(x> Si allude qui al movimento — fiorentissimo in vari paesi — delle « Leghe dei compratori ». . G. E. M.
(a) L'abuso di potere dei forti e dei ricchi e le loro speculazioni finanziarie hanno fatto più per creare la lotta delle classi che la rivolta dei deboli c dei poveri.
(Afcfiz delTAtlere dille Tesi}.
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speciali e permanenti di conciliazione e d’arbitrato, nomirati dalle parti in causa conformemente alla legge.
Lo sciopero diventa inevitabile e comprensibile quando i tentativi di conciliazione sono esauriti, allorché la situazione è senza uscita o allorché la residenza del capitale è anormale.
Garanzie.
Il contratto collettivo sostituendosi al contratto individuale faciliterà l'intesa fra il capitale e il lavoro.
Più l’associazione operaia é forte e bene organizzata, più la pace economica ha delle probabilità di durata.
d) I sindacati e la politica.
Il capitale ha i suoi rappresentanti nelle sfere politiche parlamentari.
Il sindacalismo operaio deve agire parlamentarmente e fare intendere la propria voce nell'organizzazione politica per difendervi i propri interessi sulla base del diritto, della costituzione e della legge.
Esso potrà farlo con la rappresentanza proporzionale. Allora la potenza del lavoro s’incontrerà con quella del capitale sul terreno leale dei dibattiti.
e) II metodo violento.
Il cristiano deve riprovare l’azione diretta per mezzo dei colpi di forza, del sabotaggio, dell’incitamento all’odio e alla rivolta e la proclamazione del dogma che ogni operaio è uno sfruttato e ogni padrone uno sfruttatore, ogni salariato un derubato e ogni borghese un ladro.
Questi sono metodi che ritardano l’avvento dell’emancipazione sociale dei lavoratori, sono affermazioni che ingannano chi non sa ponderarle.
Ma il cristiano deve ugualmente riprovare gli abusi del potere e della forza del denaro tanto più che questi abusi rivestono generalmente forme legali e pacifiche mentre coloro che soffrono la miseria o la dipendenza non hanno altre armi che l’aperta rivolta. Il cristiano deve ammettere che — più il potere, la forza e l’intelligenza son grandi — maggiori sono le responsabilità.
Bisogna volere la pace nella giustizia e tendervi costantemente.
De Morsier, deputato.
Pubblichiamo pure il documento seguente che rappresenta l'orientamento politico e l’ispirazione religiosa del cristianesimo sociale. Esso fu votato all'unanimità nell'ultima seduta del Congresso di Besançon. Red.
DICHIARAZIONE DI PRINCIPI! (i).
I cristiani sociali, riuniti in conferenza internazionale a Besançon il 16 giugno 1910, ponendosi sotto l’ispirazione dei Cristo, col desiderio di realizzare tutte le conseguenze del suo Evangelo in armonia colle aspirazioni migliori della società contemporanea, protestano contro un’organizzazione sociale fondata sullo spirito di concorrenza e di egoismo e affermano la loro fede in un nuovo ordine di cose e la loro volontà di mettersi al servigio dei loro fratelli per lavorare alla realizzazione di quest’ordine nuovo.
In conseguenza si accordano a proclamare sin d’ora i principi seguenti :
I. — Orientamento sociale.
a) In una democrazia il cittadino cristiano non può e non deve disinteressarsi della politica.
b) In una democrazia cristiana la donna deve possedere i medesimi diritti civili e politici dell’uomo.
c) È conforme alla giustizia che le minoranze sieno rappresentate proporzionalmente nei consigli della nazione.
H- — Orientamento morale.
a) V’è una sola morale per i due sessi. Nessuna immoralità è giustificabile per mezzo della « ragion di Stato » o per mezzo della « lotta di classe ».
A) Qualsiasi regime d’eccezione per la donna, sotto pretesto di buoni costumi, deve essere abolito.
<r) Lo Stato ha il dovere d’intervenire in favore della moralità pubblica e d’assicurare l’applicazione delle leggi protettrici dei buoni costumi. Ai cittadini organizzati per la lotta contro l’immoralità dev’essere concesso il diritto di citazione diretta.
d) Per risolvere i conflitti tra le nazioni, l’arbitrato è il solo metodo conforme all’ideale cristiano. Bisogna quindi preparare l’opinione pubblica alle intese internazionali e al disarmo
(x) Questo documento è provvisorio ; esso si risente della fretta colla quale è stato compilato ; ci pare troppo blando. Non vorremmo che, per riunire clementi troppo disparati, si fimsse per non riunire... nulla Le ingenuità di questo documento sono parecchie !... G. E. M.
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progressivo e simultaneo che ne sarà la conseguenza.
e) Ogni patria è una persona morale che rappresenta un aspetto del genio umano, e quindi una volontà di Dio. Ogni patria è dunque sacra e ogni popolo ha diritto alla propria autonomia.
Le nazioni civili non hanno il diritto di sfruttare le razze ch’esse chiamano inferiori ; esse hanno, come un dovere di primogenitura, la missione di renderle degne e capaci di libertà.
III. — Orientamento economico.
ai L’intervento della legge in materia sociale è una necessità, un beneficio. In parti-colar modo la protezione legale del lavoratore contro il lavoro eccessivo (surmenage) e la cattiva igiene è un mezzo legittimo di difenderlo contro gli effetti della concorrenza e gli abusi della potenza capitalistica.
b) La cooperazione è sin d’ora una forza capace di modificare i rapporti del capitale e del lavoro ed essa prepara efficacemente la trasformazione della proprietà egoista in proprietà collettiva e del regime di concorrenza in regime solidarista.
c) L’appropriazione per parte della collettività di certe ricchezze naturali e sociali può essere utile, ma qualsiasi forma di speculazione industriale per parte dello Stato o del Comune deve essere sottoposta al controllo del personale e dei consumatori.
d) Nello stato attuale delle cose, una forte organizzazione sindacale sembra dover essere la condizione primaria senza la quale nessuna istituzione economica potrà portare i suoi
frutti. Bisognerebbe dunque sforzarsi di riconciliare il patronato coi sindacati, ciò che avrebbe per effetto di rendere questi ultimi meno aggressivi e più praticamente riformisti.
£■) Si può considerare come legittima la difesa degli interessi di classe ; ma, da una parte, ogni conflitto deve dar luogo a dei tentativi leali di conciliazione e d’arbitrato, e, d’altra parte, non si può considerare come definitivo un ordine economico e sociale fondato sulla guerra perpetua. Bisogna volere la pace nella giustizia e tendervi con costanza.
/) Il cristiano deve energicamente riprovare l’azione diretta per mezzo dell’imposizione violenta dei contratti, del sabotaggio, dell’eccitamento all’odio o alla sommossa, sia che questi eccessi provengano dal capitale, sia eh’essi provengano dal lavoro.
I cristiani sociali non pretendono riassumere in queste affermazioni tutto il loro ideale.
La volontà del Padre li costringe a preparare — in uno sforzo assiduo di rinnovamento individuale e sociale — la Città libera e fraterna eh’essi chiamano il Regno di Dio.
Ricordiamo a tutti i nostri lettori ed amici che /e adesioni al Congresso di Basilea vanno dirette, per l’Italia, al dott G. E. Meille, 60, Corso Sempione, MILANO. L’adesione ha da considerarsi come un’approvazione dell’idea che è opportuno e utile un Congresso intemazionale di Cristianesimo sociale. L’adesione non deve intendersi come un impegno d’intervenire al Congresso nè come un’accettazione di uno speciale credo economico o politico.
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PERI^G/LTVRA DELL'ANIMA
VIVERE IN PACE CON TUTTI!
• Se è fonitele e /er quanto difende da voi, vivete in fate con tutti ».
S. Paolo ai Romani, xu, >8.
Vivere in pace ! Quante volte non abbiamo sorpreso in noi questo pensiero ! V’è qualcuno fra noi che non abbia mai sognato un’esistenza in cui ore tranquilissime succederebbero alle intimità piene di pace, un’esistenza nascosta — l’aurea mediocrità del poeta latino — esistenza senza passione, senza rilievo, senza urti, tranquilla come un’acqua stagnante in cui si riflettono silenziosamente gli alberi della riva, le bellezze del cielo, la vita molteplice delle cose? Per poco che ci troviamo fra le lotte febbrili dell’ora presente, l’idilliaca esistenza evocata davanti agli occhi nostri dalla parola dell’Apostolo, ci è certamente apparsa spesse volte, come il riposo supremo, come il porto di rifugio, come una vita di sogno!
Certo, è interessante vivere nel secolo presente, ma il numero inconcepibile delle nozioni avverse che vi si urtano contro, lo circonda d’un impenetrabile mistero: abbiamo l’impressione d’assistere ad un ricominciare incessante e caotico. Le realtà sulle quali vogliamo poggiare la nostra povera esistenza inquieta ci sembrano altrettanto mobili quanto le onde dell’Oceano e il nostro essere intintosi trova in preda ad una inquietudine dolorosa. Come non guardare, in certe ore, verso la vita serena come verso un oasi ? — Vivere in pace ! in pace con tutto il mondo, con se stesso e con gli altri, nella dolce trama dei giorni che si succedono, senza incidenti, in mezzo all’affetto dei nostri cari, in mezzo ai nostri
pensieri prediletti, ai nostri vivi ricordi, in una .solitudine popolata di gioie calme ! E non ci si venga a dire che questo desiderio cosi profondo di pace somiglia assai ad un desiderio egoistico di tranquillità personale! Noi vogliamo vederne soltanto i benefici effetti, noi ne sottolineiamo istintivamente gli aspetti evangelici : « Beati i mansueti, felici i pacifici, felici i misericordiosi! Vivete in pace con lutti !» E di fronte alle divisioni che regnano nelle famiglie, nelle società, nelle chiese, noi scuotiamo il capo tristemente, afflitti, in aria di disapprovazione ; gemiamo, ci commoviamo. Insensibilmente, sotto la spinta costante di eredità congenite, di tradizioni religiose, dell’ambiente in cui viviamo, dei nostri stessi desideri intimi, la pace assume l’aspetto di un bene sommo, e il desiderio di vederla regnare fra noi ci si impone come un dovere di coscienza.
Il consiglio dell’Apostolo non poteva cadere in terreno più preparato ! « Se vi è possibile e per quanto è in voi, vivete in pace con tutti ! » Certo, tale consiglio riflette un bene naturale; sarà possibile tradurlo in pratica? Badate : non si tratta di essere ben disposti verso degli altri, ma di vivere con tutti in pace. Ora, la pace non dipende dalle disposizioni di un solo, ma risulta da un accordo; vivere in pace con chi ci dimostra simpatia è cosa relativamente facile, aver della benevolenza per chi invece ci vuol male è ancor
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possibile, e rientra nei nostri obblighi di cri stiani ; ma vivere in pace con chi ci è irredu-cibilmente ostile o che non ha altro scopo che di detrarre, di minare ciò a cui noi, in buona fede, abbiamo dedicato l’opera nostra, questo è ben più diffìcile. Eppure si tratta di questo. Se non viviamo in pace che con coloro che ci amano, che facciamo di straordinario ?
Nelle intenzioni dell’Apostolo, non si tratta di una categoria di persone scelte con cura fra quelle che ci è dato di frequentare, si tratta di lutti! Il problema si complica gravemente. Quando pur ci limitassimo a guardarci dattorno nella piccola cerchia delle nostre ordinarie relazioni, non dureremmo certo fatica a trovarvi delle persone che sono come chiuse per noi, che ci sfuggono, o ci invidiano, o suppongono in noi i peggiori sentimenti. Possiamo disarmarle? Qualche volta, il più delle volte, sì, con la nostra sincerità ; ma vi sono dei caratteri aspri, diffidenti, sospettosi che par vivano di continuo sul piede di guerra. Vi sono degli spiriti ombrosi, egoisti, ristretti, falsi, tortuosi, ipocriti, per i quali le intenzioni rette, generose e disinteressate sono lettera morta ! Più volte ci siamo confidati con essi nella speranza di creare un po’ d’intimità, di portare un po’ di calore nei rapporti scambievoli. Illusione! Ad ogni nuovo tentativo risponde una disillusione nuova ; non abbiamo avanzato di una linea, occorre ricominciare. Occorre ancora portare all’assalto la franchezza, la bonomia, la dissimulazione, per rompere il ghiaccio ; occorre offrir nuovamente quanto v’è in noi di migliore. Ma tutto è vano, tutto è sterile ; è un muro che ci sta dinanzi, un muro irto di dardi, dietro il quale stanno in agguato dei pensieri nei quali non ci è possibile penetrare, ma che confusamente sentiamo ostili. Lo stesso accade nelle relazioni d’indole più generale, d’ordine più alto che non le relazioni famigliar! o quotidiane. Voi tendete lealmente la mano ai vostri avversari ? Ebbene o la rifiutano, o la stringono senza calore; li chiamate «fratelli», essi si chieggono se non abbiate di mira la loro borsa. Aprite loro largamente le vostre dimore, dimore politiche o letterarie, artistiche o religiose, permettete che ne usino liberamente: essi non mirano che ad impadronirsene, e appena credono di poterlo far con successo, vi dicono senza ambagi : vattene, la casa è nostra !
E’ l’eterna storia della libertà alle prese con l’intransigenza. E’ il duello che perennemente si combatte fra l’uomo volontariamente disarmato, per spirito di fratellanza e di pace, contro l’uomo armato sino ai denti, per spirito di conquista o di propaganda.
« Se vi è possibile e per quanto è in voi, vivete in pace con tutti » dice l’Apostolo. — Certo, è possibile ! Se per vivere in pace, occorre, come afferma l’Apostolo, far quanto è in noi, se dobbiamo esaurire tutti i mezzi di cui possiamo disporre, se vivere in pace è davvero il bene sommo, per. cui occorra fare ogni sacrificio, ciò che L’Apostolo domanda è possibile. Ed è anche semplicissimo! Non vi è che cedere, cedere sempre, sottomettersi, rimpicciolirsi, annullare la propria volontà, sparire, lasciare libero il campo agli invasori.
Di fronte a un avversario risoluto, quando voglia evitarsi la lotta, non ci sono che due soluzioni : capitolare o fuggire. Così la pugna finisce perchè manca chi la combatte.
I.
Vi sono moltissimi cristiani che sinceramente, certi di obbedire a Dio, pongono la sottomissione a pietra angolare della loro vita religiosa e morale. Volontariamente essi si curvano sotto la volontà dei loro superiori ; liberamente hanno assunto un giorno l’obbligo di obbedire sino alla morte, e, docili strumenti, obbediscono e tacciono. Come su di una pasta molle s’imprime l’impronta di un sigillo, così sulle loro forze attive s’imprimono le volontà dei superiori ; hanno abolito affatto in sè ogni desiderio d’indipendenza, ogni iniziativa, ogni libertà; hanno asservito la loro coscienza, la loro volontà, la loro ragione; si sono dati, mani e piedi legati, in mano a chi li dirige. Isolati dal mondo, chiusi alla vita sociale, esiliati nel fondo dei loro chiostri o dei loro monasteri, i rumori esterni non giungono a turbarli. Avendo soffocato in sè ogni velleità di un pensiero proprio, ogni aspirazione alla libera volontà, vivono in pace con se stessi e possono facilmente vivere in pace con lutti, poiché son morti alla vita esterna, e si son fatti una legge di obbedire e tacere. Ma la loro anima è un cimitero!
Altri vi sono che in mezzo alla vita sociale si sottomettono per scetticismo filosofico : «perchè?», essi dicono. Altri cedono per timore dei colpi o per orrore della pugna. Di fronte al minimo accenno di torbidi, al più piccolo assalto, chiamano a raccolta tutte le loro energie, ne organizzano la radunata, ripiegano in buon ordine, in attesa che il tumulto sia passato. Bisogna sentirli con quante sottigliezze ingegnose giungono a legittimare il loro atteggiamento, con quanta tenacia di fede affermano il trionfo finale, inevitabile della verità ; con che commosso accento parlano della necessità della pace, della fratei-
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lanza ; con quanta sincera indignazione gridano contro gli impazienti, che vogliono « porre il carro innanzi ai buoi ». Bisogna vedere con che pia saggezza sentenziano che queste lotte, cosi funeste alla loro quiete, sono sterili, premature, inopportune!
Ah, V opportunismo'. che comoda parola, che compiacente riparo per le dólci sonnolenze, per i diplomatici rinvìi, che morbido cuscino per una testa ben pettinata! E la prudenza e la conciliazione e la dolcezza? — venerabili parole troppo spesso usate invece di queste altre : codardia, abdicazione, morte spirituale ! E tutte le parole tranquillizzanti e addormen-tatrici, non sono forse le protettrici naturali dei quieti sogni ? Quale uso e quale abuso se ne è fatto; a quanti calcoli meschini, miseri interessi, dubbie imprese, hanno servito di paravento! Certo avrete ascoltato più volte i saggi di questo mondo ripetervi solennemente : « Prudenza! niente complicazioni, niente combattività intempestiva, guardatevi dal disordine, dal troppo zelo! Non urtate nessuno. Cerchiamo innanzi tutto di vivere tranquilli ! »
Cosi, come ipnotizzati da questo desiderio di pace, gettano le armi, abbandonano il campo di battaglia, si rintanano in un tranquillo rifugio, non comprendono che si abbia a preoccuparsi delle loro capitolazioni successive, che si provi dello sdegno, che si prenda parte alla lotta. E discretamente biasimano gli audaci che non vogliono gettar acqua sul proprio fuoco!
Posso illudermi forse, ma parmi che la materialità pura della vita non sia troppo estranea a questi desideri di pace, quando essi ci assalgono, ed ho l’impressione che le tendenze del nostro fisico sopraffacciano le nostre aspirazioni morali e che il nostro egoismo la vinca sulle nostre divine inquietudini.
Non ignoro certo, non posso tacerlo, che vi siano degli uomini, pieni di coraggio e di disinteresse, che profondamente presi dal desiderio di unirsi a Dio, o dall’amore per la umanità, professano il principio tolstoiano della non resistenza al male. E in verità sarebbe assai ingiusto accusarli di vigliaccheria o di egoismo, ma sarebbe più ingiusto ancora accusarli di fedeltà alla lettera di questa equivoca formula : non resìstete ai cattivi. Essi invece resistono, si levano, insorgono contro ogni ingiustizia e contro ogni tirannia, contro ogni attentato e contro ogni delitto. Nè ci si venga a dire che questa non è resistenza attiva, perchè manca di violenza. La violenza non è stata mai il carattere specifico della
resistenza attiva. V’è forse qualcuno oggi, che ignori come possa esservi più calore, più impeto, più violenza anche in un vigoroso proclama o in una protesta sdegnosa, che nel più brutale dei gesti?
Nella risposta al Santo Sinodo, lo stesso grande apostolo della non-resistenza, Tolstoi, ne ha dato una prova palmare. La possanza degli argomenti, il veemente gesto morale costituiscono un atto caratteristico di resistenza, ben più efficace che le vie di fatto di un incosciente. Tolstoi non fu davvero un essere passivo e certo egli non visse in pace con tutti, che anzi fu un grande rivoluzionario in guerra dichiarata contro tutti i nemici dello ideale da lui sognato, con i militaristi di tutte le nazioni, con i maestri di religione del suo popolo, col governo russo e con lo czar.
Per vivere in pace con tutti non basta fare a meno della forza bruta o proclamare il proprio desiderio della pace universale, occorre non essere di ostacolo alla marcia dei conquistatori o dei pontificanti. Bisogna sparire dinanzi ad essi, comprimere in sè ogni rivolta, approvare ogni abuso ai potere, bisogna distribuire ai peggiori fra gli audaci lo stesso sorriso, lo stesso saluto di pace.
Fin che non si tratti che di noi, della nostra povera persona, ciò può ancora spiegarsi; si possono invocare a scusa quelle parole del maestro — parole che ben presto faranno della società cristiana la patria d’elezione di tutti gli sfruttatori senza scrupoli : — « Non contrastare al male; anzi se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra. E se uno vuol contendere teco e toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello ; e se uno ti vuol costringere a percorrere un miglio, fanne due per lui!» (i) Finché si tratti di compromettere il nostro amor proprio, i nostri beni, le nostre occupazioni, possiamo rigorosamente parlando e per malintesa fedeltà alla lettera dell’evangelo, fare tutte le concessioni, ma quando si tratti, ad esempio, dei principi religiosi o morali su cui ha fondamento la nostra stessa vita, quando tali principi vengano disconosciuti, quando vengano fatti segno ad attacchi, quando sotto l’impeto di nemici diversi minacciano di esser travolti, possiamo ancora tacerci, cedere, sottometterci? Se il vivere in pace con tutti è l’essenziale, sì. E non solo possiamo, ma dobbiamo farlo, poiché bisogna esser pronti a sacrificare i beni infe(■) Matteo, V, 39-4:.
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riori al bene supremo : occorre cedere, occorre tacersi! Il solo atteggiamento che ci convenga è di dire perpetuamente sì, approvare sempre: l’eterna ritirata, l’eterno silenzio. Ad ogni momento, in qualsiasi circostanza, militi della pacificazione ad ogni costo, dobbiamo levare in alto le mani e le armi, dopo avere attaccato sulla punta delle nostre spade la bandiera bianca. Al minimo allarme dobbiamo sentirci pronti ad ogni sottomissione, pari in ciò a quel famoso guerriero della commedia che, spaurito nella notte per il fruscio della caduta d’una foglia morta, grida subito con voce malsicura : Camerati ! Io sono amico di tutti !
A tal prezzo potremo vivere in pace con tutti gli uomini.
II.
E quando avremo sacrificato tutto e crederemo di avere raggiunto lo scopo, a meno che non fossimo riusciti a spegnere ogni luce in noi, a soffocare ogni Spirito, ci accorgeremo di essere in lotta dichiarata colla nostra coscienza e col nostro Dio.
Voi, certo, non avrete atteso fino ad ora che io abbia formulato questo pensiero, per protestare dal fondo del vostro cuore, contro queste successive capitolazioni, e senza dubbio vi sareste sdegnati se vi avessi creduto capaci di simili vigliaccherie. Ma bisogna avere il coraggio di guardare in faccia le cose, e spingere fino agli ultimi estremi gli obblighi che ci si vogliono proporre come norma. Non è possibile tacere più ormai le conseguenze logiche della necessità fondamentale di « vivere in pace con tutti », come ci viene ripetuto fino alla stanchezza.
Per fortuna, non è affatto vero che essa sia una necessità fondamentale. La forma usata dall’Apostolo è incompleta, si presta a confusioni — come pure, d’altronde, le parole consimili di Gesù. — Come esse ci vengono presentate, non sono conformi al pensiero evangelico. Gesù non era un essere passivo: egli seppe trovare parole mordenti e si armò di frusta per cacciare via i mercanti dal tempio. E neppure l’Apostolo fu un debole: ci narra egli stesso come resistesse in faccia ai suoi avversari, e noi sappiamo bene quali avversari Sii suscitarono contro la sua forza d’animo ed suo coraggio morale. La parola non ha certo bene espresso il suo pensiero, ed occorre illustrarla con l’esempio di tutta la sua vita. Se è possibile — vaie a dire : se le circostanze lo permettono — e per quanto è in voi — cioè :
finche lo consenta la vostra coscienza — vivete in pace con tutti. Non credo che questa dichiarazione possa essere diversamente interpretata. Per l’Apostolo infatti, come per il Cristo, l’essenziale è la vita morale, la vita in Dio. Ora v’è nel dominio della vita morale qualche cosa che non può sottomettersi, che non può ripiegarsi, qualche cosa che non dipende noi, dinanzi alla quale tutte le nostre energie attive, ogni nostra potenza intellettuale s’inchinano: la coscienza.
Potrà invano la nostra volontà imporle di tacersi, invano vorrebbe soffocarla, finirla: essa resiste, si afferma, s’impone. Pur quando noi ripiegheremo di fronte agli assalti ed alle minacce; pur quando il nostro corpo Si avvilirà nell’atteggiamento di vinto, in un gesto di sottomissione, in una genuflessione da schiavo, essa resta rigida, sempre pari a sè stessa, e nella disfatta d’ogni nostra energia, essa fa fronte all’invasore. « E un saggio che' siede nell’anima tua!», dicevano i brami ni.— «È un dio che tu porti in te stesso », diceva Epiteto. — « È il tuo genio famigliare », diceva Socrate. —- « E lo Spirito che abita in voi, è il Consolatore », diceva il Cristo. — « È il Cristo che vive in me », diceva l’Apostolo. — « E il Divino, commenteremo noi stessi con l’Evangelo, è Dio di cui siamo il tempio vivente! ».
E questo Dio interiore non lo si piega, non lo si adatta alle curve dei nostri inchini o dei nostri compromessi. I nostri concordati, le nostre vigliaccherie lo lasciano irreducibile, rigido, inflessibile. Chi conforma le sue azioni ai suggerimenti di questo Dio, resiste ad ogni burrasca: ogni assalto lo trova pronto alla resistenza, invitto, certo della vittoria finale. Sotto le raffiche, sotto le tempeste, sotto gli uragani, egli si drizza sfidando il pericolo, incurante di minacce e di odi, posseduto dalla sua idea, sospinto dal Divino. Egli è la diga possente contro cui vengono a frangersi i flutti più audaci, egli è una colonna divina, eretta fra le umane piccinerie, ai cui piedi vengono a cadere tutti gii egoismi, tutti gli interessi, e la cui sommità altera raggiunge i cieli. E si pretenderebbe forse che questa irreducibile tenacia non attirasse contro di sè le collere e gli odi? Non son forse le punte che attraggono i fulmini?
Avete mai visto lo scoppio di un uragano su di un villaggio? Avete scorto la nera nuvolaglia pesante e gravida di minacce, accorrere dall’orizzonte, sospinta dalla raffica? Si direbbe che un terribile soffio di distruzione
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passi sulla campagna. Le foglie sparse si slanciano in turbini folli, le case si nascondono nei cavi delle trincee, esse si rifugiano dietro le dighe, si rimpiccioliscono e sembrano sparire dinanzi alla tormenta (i). Nel villaggio, accoccolati presso i loro focolari, gli uomini sentono venir l’uragano; le imposte si chiudono, le strade si fanno deserte, tetre, tristi ; qualche luccichio si scorge appena sotto i tetti uguali, chini sotto il terrore che passa. Solo una cuspide aguzza si eleva verso il cielo : è il campanile della chiesa, che si slancia intrepido in mezzo alla tempesta. E mentre i lampi solcano la nuvolaglia ed il tuono rugge, la sua punta ardita, come un dito gigantesco, mostra il cielo. Nel rimpicciolirsi d’ogni cosa, nella fuga d’ogni essere, la sua guglia aggressiva sembra gettare una sfida alla collera degli elementi. Le nubi nella loro corsa folle vi si aggrovigliano, vi si squarciano: quand’ecco dai Seno d’una nube vendicatrice sprigionarsi un lampo accecante, una più violenta detonazione scoppia! Il fulmine ha colpito il temerario campanile... — Nel mondo, fra le umane tempeste, vi son pure nuvole di questa specie errante, cariche di lampi e di tuoni. Esse passano come raffica e tutto si curva, ma, nella prostrazione generale, una coscienza si leva intrepida, provocatrice: e su di essa il fulmine piomba.
Comprendiamo ora perchè gli uomini si sieno coalizzati contro Gesù, perchè l’abbiamo crocifisso ; comprendiamo ora la storia di tutti i martiri; comprendiamo le tragiche lotte a cui fecero fronte tutti gli iniziatori religiosi, tutti i riformatori ; comprendiamo in quali ostacoli urtino ancor oggi coloro che, continuatori della Riforma, vogliono ricondurre le anime cristiane alla religione di Cristo. Comprendiamo perchè tutte le coscienze irreducibili abbiano degli avversari accaniti : è perchè esse sono irreducibili, perchè oppongono ad ogni assalto la stessa diga insuperabile, il « non posso oprare diversamente » di Lutero. Non posso oprare diversamente! E’ decisivo come una sentenza di un giudice, è tagliente come una mannàia. Nè alcuna potenza potrà piegar la volontà, strozzar la coscienza, soffocar la parola. Ed il conflitto scoppia inevitabile, fatale, necessario.
Una coscienza retta non può vivere in pace con tutti: non lo deve. Chè se si avvedesse davvero eh’essa è in pace con tutti, dovrebbe chiedersi a quale dei suoi doveri è venuta
(i) Credo necessario avvenire chi legge, che l’autore di queste pagine vive in Olanda ; la descrizione conserva perciò un carattere locale di quel paese. <jV. d. r.).
meno. È doveroso per lei erigersi contro i nemici dichiarati del divino eh’essa ha intuitivamente raggiunto. Affrancatasi dalle superstizioni, è in obbligo di levarsi contro gl’incoscienti apostoli dell’oscurantismo ; libera, è in dovere d’insorgere contro ogni violazione della libertà, contro ogni abuso di potere, contro ogni dogmatismo ; pura, deve opporsi contro tutti i corruttori di anime; pacifica, deve far guerra alla guerra, all’esclusivismo, alla partigianeria. Essa è una speranza di Dio e deve compiere la sua divina missione. Essa comanda, s’impone : « Parla, proclama il vero che tu possiedi », grida essa all’uomo.
— Non parlare — dicono l’interesse, l’egoismo, la prudenza — non parlare ; non vedi quanti disordini faresti nascere? » — Che forse dovrei preferir la pace esteriore alla pace dell’anima e lasciar che l’erroresi diffonda quando io posso proclamar la verità?
— Non vedi il dolore che causerai a quanti ti circondano? — Che forse bisognerà ch’io diventi un vile, per far loro piacere?
— Non vedi quanti nemici accaniti ti attirerai contro ? — Che forse dovrei preferire vedermi dattorno degli amici acquisiti a prezzo d’una menzogna e d’una vigliaccheria?
—- Non vedi i danni materiali che te ne verranno? — Che forse domando un beneficio per redermi campione del giusto?
— Non vedi gli sdegni, le collere, gli anatemi che ti piomberanno addosso ? — Che forse per essere onorato dagli altri dovrei vergognarmi di me stesso?
— Non vedi l’abisso, che spalancherai tra te ed i tuoi parenti? — Che forse per stare insieme ad essi dovrei scavare un abisso tra la mia coscienza e la mia vita?
— Guarda ! i tuoi compagni, i tuoi amici, i tuoi fratelli ti abbandonano! — Ebbene? Che forse per tenerli stretti a me, dovrei rinunciare ad avere Dio a compagno nel mio cammino, e Cristo ad animatore della mia vita morale?
E, vittoriosa in questa lotta interiore, la coscienza comprende allora la profondità della parola evangelica : « Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini ! »
Ecco però che, volendo obbedire a Dio, volendo vivere in pace con la propria coscienza, di necessità si farà guerra con una parte dell’umanità.
Siamo dunque di fronte a questo dilemma : o vivere in pace con tutti ed essere in guerra con Dio, ovvero vivere in pace con Dio ed essere in guerra con gli uomini.
Ebbene, guerra per guerra, vai meglio es-
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«3*
sere in guerra con gli uomini che con Dio. Quand’anche tutti i saggi, tutti i filosofi, tutte le potenze della terra si levassero contro tale decisione, la sola approvazione della coscienza basterebbe a farli ammutolire.
Una cosa è essenziale, primordiale, ed è la conformità della nostra vita con le direzioni indiscusse della nostra coscienza, con quelli che noi chiamiamo i comandi del nostro Dio !
Questo è il dovere; questa è la vita normale !
ni.
La pace con tutti non è un atteggiamento per l’anima, non è un dovere; ma è piuttosto un risultato che possiamo augurarci, la fortunata conseguenza di circostanze diverse, un desiderabile stato sociale, una forma possibile ed invidiabile nelle nostre ordinarie relazioni : in ogni modo è secondaria. In condizioni favorevoli, se la nostra coscienza non sarà obbligata a contorcimenti, se il nostro essere morale non dovrà subire diminuzione alcuna, viviamo in pace con coloro che ci son vicini. Sacrifichiamo pure a questa pace quanto v’ha di men prezioso per noi, immoliamole gli scrupoli del nostro amor proprio, i nostri interessi materiali, le nostre tendenze egoiste. Nei limiti del possibile e dei nostri doveri morali, manteniamo relazioni pacifiche fra gli uomini ; ma se per conservarle occorresse anche minimamente compromettere la nostra vita morale, sacrifichiamole senza rimpianti. ' Noi le spezzeremo non perchè ci è fatto obbligo di ribellarci ad esse, ma perchè abbiamo l’obbligazione di porre innanzi a tutto la sola realtà della nostra vita terrena: la vita dell’anima, ciò che moralmente parlandosi chiama dovere e, religiosamente parlando, comunione con Dio. Chè se scoppia il conflitto, è doloroso, ma doveva scoppiare.
Se dunque l’urto si determina fra amici, parenti, fratelli, tra membri di una stessa Chiesa o di confessioni diverse non dobbiamo dolercene, lamentarci, commuoverci, disapprovare, levare al cielo le braccia oppur rassegnarne! come ad un male necessario; dobbiamo scorgervi solo una delle contingenze multiple e previste della nostra vita quaggiù, una legge di progresso, e, senza perder tempo a spargervi su lacrime, occorre porsi subito all’opera di conciliazione per la verità: mettersi cioè energicamente alla ricerca del malinteso che è causa della divisione, illustrarlo con ogni mezzo, non chiudersi nel passato ma evolversi con le scoperte che si vengono oprando, proclamar coraggiosamente i risul
tati delle proprie ricerche, lavorare, pensare ed agire perseverantemente, lealmente, per il trionfo del buono e del giusto. Il tacere, il condiscendere, il concedere reciproco nel campo morale o religioso non hanno attro effetto che una falsa pace. Tanto più avremo rispètto, stima, amor di noi stessi, quanto più saremo con noi stessi sinceri, pronti alla voce della coscienza, intransigenti financo, nel nostro atteggiamento morale. Amanti della giustizia e della carità, fiduciosi nella sincerità altrui, dobbiamo porci senza preconcetti, senza passione di fronte alle divergenze filosofiche o religiose: investigare il perchè di tali divergenze : sforzarci di penetrare le ragioni di coloro che consideriamo come avversari : discutere fraternamente con essi ; così recando lumi agli altri illumineremo noi stessi e comprendendoci meglio ci rispetteremo sempre più. Quando anche ognuno restasse con la propria convinzione, ci sentiremo almeno animati dallo stesso desiderio di verità, di giustizia, di amore. Solo così potrà risolversi par zialmente il dilemma propostoci. Dobbiamo talmente desiderare il vero che gli argomenti vittoriosi dei nostri avversari abbiano ad èssere per noi non disfatte personali, ma un passo in avanti, una vittoria riportata sullo spirito delle tenebre, una più intima comunione con la vera vita, con Dio. « L’avversario è il collaboratore » (i).
Due uomini che lottano, collaborano; l’uno e l’altro sono soldati di Dio: essi vanno all’assalto di ciò che credono l’errore e partecipano alla guerra santa per la verità. Ambedue sentono nel fondo del loro cuore la voce divina gridare : « Va, parla, opera ! » Ambedue s’ispirano al motto santo : « Dio lo vuole ! » E vanno, parlano, oprano. L’indice delle loro vittorie non è più il numero dei loro aderenti o dei loro fedeli : ma le parti-celle di vero che l’una parte e l’altra han conquistato. L’uomo le cui idee si sgretolano al cozzo di nuove idee, non è un vinto se saprà riconoscere ed utilizzare le vittorie dell’avversario. Ambedue son vincitori, perchè ambedue si sono avvicinati di più alla verità.
Non si può parlare, invero, di un conflitto, poiché esso non è che una viva fraterna emulazione.
Così noi vivremo in pace con l’umanità vera, con l’umanità cosciente, attenta ricercatrice: ma non è questa la pace con tutti y
(x) Wagnzr, Le devoir social de la jeunesse universitaire.
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anche con quelli che volessero polverizzare la nostra libertà, il nostro pensiero, la nostra ragione, soffocare la coscienza nostra. Sarà solo pace con l’umanità normale, ed è solo nella proporzione con cui vivremo in armonia, in comunione - col nostro Dio interiore, che vivremo in pace con questa umanità intenta al divino.
L’altra umanità, quella inferiore, di cui purtroppo siamo ancora spesso degli esemplari o dei complici, in cui dominano gl’interessi, gli egoismi, l'orgoglio, gli esclusivismi, le tirannie, le violenze, le cui lotte sono ingaggiate per spirito di parte, o per desiderio di dominio o per bassi appetiti e vili rancori, quest’altra umanità dobbiamo recisamente, senza tregua, combatterla. Essa deve trovarci sempre sul suo cammino, deve cozzar sempre colla nostra incorruttibile resistenza. Che se un giorno ci accorgessimo che, senza avvedercene, essa si è impadronita anche in parte della nostra vita morale, uccidiamola, è il nostro dovere!
Troppo a lungo abbiamo già tollerato in noi, per viltà morale, idee o tendenze pericolose: ci sorprendiamo spesso a considerare con simpatia, con rispetto anche, i più irreducibili nemici dell’anima nostra, ed accade purtroppo che il nostro rispetto giunga a cambiarsi in venerazione, in scrupolo religioso, appena che tali nemici sappiano presentarsi a noi coperti di qualche orpello di tradizione, o piamente adorni di qualche testo biblico, tanto che dubitarne solo, parrebbe un sacrilegio. Tutti, più o meno, possiamo raffigurarci in quella leggendaria madre indiana, che vedendo dei serpenti soffocare il figlio-letto, si prosternava loro dinanzi, presa da superstizioso timore. Questi nemici delia no
stra vita morale sono dei nemici sotto qualsiasi veste ci si presentino, essi non hanno pertanto alcunché di venerabile e di sacro. Sono serpenti, dobbiamo schiacciarli.
Il desiderio di pace, di calma, di tranquillità, è uno di questi nemici. Non vi può esser pace; non vi dev’essere, finché l’opera della vita non avrà vinta l’opera della morte. Non si realizzerà la pace che con la realizzazione quaggiù del regno della Verità e della città delia Giustizia.
Non è possibile nè dipende da noi il vivere in pace con gli uomini, ma è ben possibile dipende da noi il vivere in pace con la nostra coscienza, con Dio. E se il dovere c’incombe di lavorare quaggiù all’unione del mondo con Dio, non è certo Dio che dobbiamo indurre con preghiere a conformarsi al mondo, ma conformare invece, con ferma e tenace opera, il mondo a Dio.
Lavoriamo dunque a questa unione: ad essa ci chiama l’Evangelo. È in Cristo, simbolo dell’umanità normale, che si appianeranno tutti i conflitti, è nella comunione con lui che si estinguerà ogni competizione, è nel suo spirito, manifestalo nell'umanità con le nostre azioni, che si edificherà l’opera di vita.
E ciò è possibile ad ogni essere cosciente. Dipende dalla nostra volontà far vivere ii Cristo in noi, così come canta il poeta:
Ètre, farmi ce monde hyfocrite, afre et vaiti.
Pareti* à l'homme-dieu, mi* à mori far lei frìlres;
Non dee fharitient à leure farolee traìtree, Mais dee fkercheure ardenti et virile dii divia (x).
Etienne Giran.
(i) Fkrnand Gkecii.
BOZZETTO ESEGETICO:
CAMBIAVALUTE E BANCHIERI
Sóz’.fZOt
Origene — nel suo commento al passo Giovanni J*/a — ricorda « Il comandamento di Gesù che dice: Siate (o diventate) dei buoni cambiavalute o banchieri». Il detto è pure citato da Apelles, ap. Epiph. 44,2. Cirillo d’Ales-sandria, Panfilo, Basilio e Cirillo di Gerusalemme lo citano come un’appendice alle parole di Paolo : « Provate ogni cosa, ritenete il bene» (i Tessal. */,,). Le quali parole di Paolo
ricordano quell’altre del medesimo apostolo: «L’uomo spirituale giudica d’ogni cosa» (i Cor. 7lS) e quelle di Giovanni: «Provate gli spiriti se son da Dio » (i Giov. </ ).
Presso gli antichi le due professioni di banchiere a di cambiavalute erano cumulate dalle medesime persone.
Se si considera come giusto il punto di vista dei due Cirilli, di Panfilo e di Basilio — che pongono il « comandamento di Gesù » di cui ci occupiamo in relazione col « Provale
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ogni cosa» — allora dovrebbe scegliersi, piuttosto che la versione banchieri quella cambiavalute e il comandamento avrebbe da essere inteso e completato così : « Siale (o diventale') onesti, fidali, provati, sperimentali cambiavalute i quali sanno riconoscere la moneta falsa dalla moneta buona e respingono la prima per accettare solo la seconda».
La raccomandazione, del tutto figurata, rientrerebbe, in questo caso, nel gruppo delle numerose altre analoghe pronunziate da Gesù e dagli Apostoli sul « provare ritenendo il bene » allo scopo di mettere in guardia i fedeli contro i falsi profeti, i falsi dottori, le false dottrine, ecc. (Vedi, per esempio, Matteo 7/,$, ’«/„ e a4; II Corinti Efesi */l4; II Pietro */,; Ebrei Apocalisse a/a, ecc.).
» * *
Se invéce si dà alla parola il significato di banchieri allora il « comandamento di Gesù » va inteso cosi : « Siate (o diventale) sperimentali, avveduti, abili banchieri, i quali sanno amministrare i loro denari pel loro miglior bene, pel loro più grande vantaggio».
La raccomandazione, non più figurata ma letterale, rientrerebbe allora nei gruppo dei numerosissimi passi i quali raccomandano di mirare ad accumulare un tesoro spirituale piuttosto che un tesoro materiale ed esortano anzi a servirsi delle ricchezze materiali per acquistare delle ricchezze spirituali.
* » 4
Non si dica a questo punto : « Questa è la vecchia storia cristiana. Sapevamcelo che l’E-vangelo esorta i poveri alla rassegnazione. Sapevamcelo che P Evangelo consiglia ai paria della vita di contentarsi della loro miseria, di considerarla anzi come una prova tangibile della particolare benevolenza di Dio, in vista del futuro compenso rappresentato dalle beatitudini celesti ».
Se veramente l’Evangelo insegna questo, o se invece siano degl’interpreti, dei commentatori, dei teologi, i quali, tradendo l’Evangelo lo abbiano in suo nome insegnato, è questa una questione che esamineremo caso mai un’altra volta (i).
Qui ci preme di mettere in rilievo una cosa soia. Che il «comandamento di Gesù »'conservatoci da Origene e che stiamo analizzando
(x) Vedansi intanto gli articoli del Sawycr pubblicati in Bìlychnit del marzo-aprile 1913, del gennaio 19x4 e quelli che del medesimo autore saranno ancora pubblicati.
si riferisce all'uso del danaro ; dunque evidentemente si rivolge... a coloro che hanno del danaro, cioè non ai poveri ma ai ricchi.
Cosi stando le cose, se può essere questione di povertà, si tratterà sempre non di povertà, diremo cosi obbligatoria, ma di povertà volontaria', non di povertà acquisita per colpa della società, o pei vizi dei genitori, o per disgrafie di cui non si è responsabili, o per pigrizia incurabile, ma di povertà giuliva, entusiastica, trionfante, di povertà conquistata vincendo mille pregiudizi, mille basse e alte tendenze, a scapito di mille illegittimi e anche legittimi diritti.
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Nè si affacci d’altra parte la solita stolta accusa che la morale cristiana — esortando a valersi delle ricchezze della terra per acquistare le ricchezze celesti — è, in ultima analisi, una morale interessata.
Il «comandamento di Gesù» difatti ha da intendersi non ne! senso medioevale', che lo spendere denaro a favore di Dio e del prossimo costituisce pei benefattore — indipendentemente dal suo stato d’animo, dalle sue condizioni morali — un merito da scontare a proprio vantaggio nel Paradiso (dottrina delle Buone Opere); ma nel senso evangelico moderno che il distaccarsi volontariamente Halle proprie ricchezze consacrandole al bene altrui, il giungere a essere un «povero in ispirito», cioè a possedere lo « spirito di povertà », produce sin d’ora — naturalmente, logicamente, E ir forza organica intrinseca — la « vita eterna ».
a quale « vita eterna » va concepita come uno stato d’animo di pace, di beatitudine, di disinteresse il quale rende l’uomo sommamente atto a collaborare sulla terra alla grande Opera delia Redenzione umana e fa compiere all’io morale, consacratosi a quell’Opera, tali progressi ch’egli, affacciandosi ali’Al di là, si trova in grado di comprendere le verità più eccelse e di assaporare quindi, continuando a vivere, la più intensa felicità spirituale.
Ñon si ripeterà mai abbastanza — special-mente nell’epoca nostra — che ogni uomo libero è artefice della sua eternità di armonia o di rimpianto.
Il premio 0 il castigo non ci viene dal di fuori, da una forza misteriosa ed occulta, bensì è insito alla nostra condotta.
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11 buon banchiere è dunque colui che adopera avvedutamente i suoi denari pel suo maggior bene, cioè per giungere alla salvezza
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della vita, sia terrena (l’uomo perfettamente altruista, attivo e zelante operatore di Verità e di Giustizia, cioè l’uomo sociale), sia ullra-terrena (salvezza dell’anima).
Questo concetto del buon banchiere è ampiamente illustrato nell’insegnamento di Gesù e degli Apostoli.
Cito tra gli altri quei passi in cui viene additato lo speciale pericolo che i beni materiali costituiscono per lo sviluppo morale : « La sollecitudine delle ricchezze affoga la parola » (Matteo ’*/«) e perciò «ècosa malagevole che coloro i quali si confidano nelle ricchezze entrino nel Regno di Dio » (Marco ’%*). Infatti coloro che sono attaccati ai « beni di questo mondo » — e vi è attaccato chiunque coi tempi che corrono conserva le proprie ricchezze, altrimenti... egli troverebbe mille occasioni per darle via — costoro, dico, essenzialmente egoisti, sono per definizione alieni, impropri, inadatti all’attività redentrice essenzialmente altruista a prò’ dei fratelli.
Il concetto di Cristo è più preciso ancora nel consiglio da lui dato al giovane ricco che egli « amava ». Appunto perchè «l’amava» Gesù esigette molto da lui : la più grande prova d’amore che Gesù dà all’uomo è di presentargli un ideale difficile per il quale bisogna vivere e morire. « Se tu vuoi essere perfetto va, vendi ciò che tu hai e dallo ai poveri e tu avrai un tesoro nel cielo (Matteo '9/2l e parali.).
Consiglio generalizzato parlando a tutti i discepoli : « Vendete i vostri beni e fatene limosina ; fatevi un tesoro in ciclo (cioè un tesoro di natura spirituale) che non vien giammai meno; ove il ladro non giunge ed ove la tignuola non guasta » (Luca cfr. Fatti ’/45; </J4; Matteo 6/2O) (i).
E ricordo ancora l’insegnamento paradossale contenuto nella parabola <te\V Avveduto fattore (Luca x«/x a s), insegnamento che va considerato con intelligenza e in funzione di tutta la dottrina del Cristo se si vuole evitare penosi malintesi ; insegnamento che, a scanso di possibili equivoci, viene opportunamente formulato, a conclusione della parabola, da Cristo stesso : « Fatevi degli amici colle ricchezze ingiuste; acciocché quando verrete meno vi ricevano nelle sedi eterne. Chi è leale nel poco è anche leale nel molto e chi è ingiusto nel poco è anche ingiusto nel molto.
<«) È forse qui il caso di citare le parole da Efrem Siro attribuite a Gesù : « Comprate per voi stessi. Egli dice, o figliuoli di Adamo, con queste cose che fatta»« e che non tono vottre, ciò che i vostro e che non fasta •. (Evang. Cene, expo», pag. ¡63, cfr. la parabola dell’Epulone c Lazzaro. Luca, 'o/|9 e segg.).
Se dunque voi non siete stati leali nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà le vere? Nessun sèrvo può servirò due signori, voi non potete servire a Dio e a Mammona» (Luca
Ecco la figura del buon banchiere. Colui che, col-suo denaro, serve a Dio invece di servire a Mammona!
Se il discepolo di Gesù dev’essere distaccato dalle preoccupazioni materiali, ciò però non vuol dire affatto ch’egli debba diventare un asceta, il quale si separa dal móndo perchè lo disprezza e l’abbandona alla sua sorte.
Ci si può separate dal mondo senza abbandonare il mondo (1). Il discepolo di Gesù si separa dal mondo appunto per potersi consacrare loto corde — senza preoccupazione alcuna per le dannose ripercussioni che la sua condotta potrà avere sui propri interessi materiali — alla lotta contro tutte le forme del Male pel trionfo di tutte le forme del Bene.
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Gli Apostoli — dopo aver ben compreso la dottrina di Cristo — continuano a propagarla. Essi parlano delie ricchezze e della gloria che trovansi nell’eredità di Dio (Efesi ’/,• e >/,A' essi ricordano alla loro generazione i grandi uomini del passato, i quali hanno « reputato il vituperio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d'Egitto» (Ebrei "/,$). Essi aggrediscono violentemente i ricchi : « Piangete perchè le vostre ricchezze sono marcite e i vostri vestimenti sono stati rosi dalle tignuole. L’oro e l’argento vostro è arrugginito e la loro ruggine sarà in testimonianza contro a voi perchè avete pensato di potervi fare un tesoro per gli ultimi giorni, mentre il salario degli operai dà voi frodati grida, e quel grido è giunto agli orecchi del Signore». (Ep. di Giacomo J/à a 4)E, fra le ultime raccomandazioni che l’apostolo Paolo fa al suo figlio spirituale e continuatore della sua opera, Timoteo, vi è questa : « Avverti i ricchi che essi non pongano la loro speranza nell’incertezza delle ricchezze, ma nell’iddio vivente. Dì loro di fare del bene e fi'esser pronti a distribuire affinchè si facciano un tesoro ben fondato per l'avvenire, imparando la vita eterna», (1 Tim. 6/,7a j9).
a Gesù, negli ultimi giorni della sua vita, pregando il pei suoi discepoli, diceva : ■ Il mondo li ha odiati Krchè non sor. del mondo come io non sono del mondo. non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li guardi dal maligno. Santificali nella tua verità. Come tu mi hai mandato nel mondo,io altresì li ho mandali nel mondo*. (Ev. Giovanni, ’7/t4 a xS).
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* » *
Si vede dunque di quale importanza sia il comandamento da Origene attribuito a Gesù e da noi spiegato e commentato: a Siale (o diventate) dei provati cambiavalute o banchieri ».
Nulla si oppone a considerare questo «co-mandamento » come autentico e genuino. Esso, per la sua brevità, pel suo' carattere cosi profondo ed incisivo, ben ricorda il modo d’insegnare del Cristo. E d’altra parte esso non è affatto in contraddizione ma in completa armonia coi capisaldi delia dottrina evangelica, sia che la parola rpasi^ìTat si renda per cambiavalute o per banchieri.
Tesoreggiamo il « comandamento di Gesù » in ambedue i suoi significati.
Siamo dèi buoni cambiavalute imparando — in fatto di dottrine, di principi, di sistemi — ad accettare la moneta buona e a rifiutare la moneta falsa!
Siamo dei buoni banchieri amministrando le nostre sostanze pel maggior bene materiate del nostro prossimo. Noi ci eleveremo così in un’atmosfera di libertà, di purezza, di serenità in cui avrà maggior agio di nascere e di svilupparsi il nostro tesoro più prezioso: la nostra personalità morale di Figliuoli di Dio!
Nè, ancora una volta, ci tanga l’accusa che, seguendo i comandamenti di Cristo, noi, in ultima analisi, facciamo i nostri interessi.
Si cerca il proprio interesse quando si fa il bene allo scopo precipuo di procacciarsi un utile, non quando la spinta a fare il bene ci viene dall’amore per Dio e pei fratelli, dal sentimento del dovere, dalla voce della coscienza.
In questo caso si fa il bene per il bene-, e nessuno ha più il diritto di turbarci con falsi scrupoli. Dal momento che non ricerchiamo direttamente un utile, ma che questo ci viene per riflesso, per la logica necessariamente insita nelle cose, per la legge cosmica che il bene produce tosto o tardi ma produce sernpte il bene, noi siamo immuni da qualsiasi subdola accusa.
Sarebbe bella che non si dovesse più fare il bene perchè il bene si trae dietro, intrinsecamente, il suo premio!
Invece di aver tante preoccupazioni di salvaguardare i principi della morale, gli avversari del Cristianesimo farebbero meglio ad osservarne anche loro praticamente i dettami nella loro vita.
Il non seguire la morale cristiana perchè se ne sta cercando un’altra più elevata e più pura è un ideale nobilissimo e austero, ma il più delie volte purtroppo non è che un facile e poco serio pretesto per poter continuare a non riconoscerne alcuna!
G. Adami.
PREDICAZIONE E POLITICA
La predicazione deve in ogni tempo riflettere le circostanze esterne, la politica, la sociologia, le concezioni ed i rapporti diversi della vita, o deve limitarsi ad una rigida esposizione di un principio religioso o morale?
Alla soluzione di questo problema sarebbe bastante quel che la sto: ia della predicazione chiaramente c’insegna, particolarmente in momenti difficili di agitazioni e di torbidi. Ad esempio, durante il primo moto unitario nella rivoluzione del 1848 in Germania, si senti e venne quasi da tutti affermata la necessità di una predicazione che tenesse conto degli avvenimenti del tempo, delle idee proprie del-l’epoca, coordinandole alla esposizione del Vangelo. Alcuni osservavano essere necessario astenersi almeno dall’occuparsi troppo dettagliatamente degli avvenimenti politici ilei luogo
sacro: ma le prediche di quel tempo, riboccanti di allusioni polìtiche, provano ad esuberanza che universalmente si riteneva necessario tener conto anche della politica.
Tale necessità, del resto, non può essere teoricamente impugnata dai cultori dell’omiletica. Anche oggi è necessario svolgere temi adatti alle circostanze esteriori, che riflettano cioè la vita vissuta nel momento, illuminandola coi principi del Vangelo. Il prescinderne renderebbe arida e sterile ogni predicazione e lascerebbe gli ascoltatori freddi e non persuasi, perchè, per parlare al cuore di un individuo, occorre sempre riferirsi alle circostanze in cui la Sua vita si svolge.
In rapporto alle ragioni desunte dalla stòria, si può forse domandar se le condizioni odierne, diverse come sono da quelle del passato, pos-
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sano ad esse paragonarsi. Crediamo che l’argomento storico abbia pieno valore anche per il momento attuale. Si potrà forse anche dire che seie circostanze di quell’anno critico che fu il 1848, durante la rivoluzione e le repressioni che ne seguirono, esigevano che dal pergamo si parlasse chiaramente e fortemente delle contingenze politiche, oggi che i tempi sono calmi e gli spiriti tranquilli non sia necessario occuparsene così ardentemente. Questa obbiezione non tocca il cuore della questione : al contrario, essa è molto superficiale. Poiché è ben vero che in quei tempi questioni scottanti, come il cambiamento del regime monarchico da assoluto in costituzionale ed il moto unitario, tenevano i cuori sospesi ed agitati, ma ciò non vuol dire che anche oggi che le cose appaiono più tranquille e svolgentisi normalmente non vi sieno dei problemi sociali o politici forse ancor più profondi e complessi e di difficile soluzione che attraggono l’attenzione e che meritano di essere discussi e proposti all’attenzione dei fedeli. Non parlo di questioni puramente politiche, che non sono che la minima parte di quante se ne agitano oggi. Io credo, ad esempio, che le questioni economiche e sociali, il movimento femminista, le guerre che vengono combattendosi, ecc., meritano di essere illustrate al lume del Vangelo almeno quanto lo meritavano gli eventi del 1848. La predicazione di allora è un vero specchio del tempo : si potrà ugualmente, quando la nostra epoca sarà passata, rilevare dalla predicazione odierna la storia politica e sociale dei tempi nostri? Noi, è vero, non dobbiamo preoccuparci di ciò che i posteri diranno di noi ; ma dobbiamo ben preoccuparci di compiere intieramente un dovere religioso che ci urge nel presente.
Se vi sono oggi degli uomini che pongono il più vivo interesse ai problemi politici, ma non sanno neppure dove siano le chiese, e se vi sono degli assidui frequentatori dei templi che mostrano di non interessarsi affatto alla vita esterna, una delle principali ragioni deve ricercarsi nella predicazione non adatta al tempo. Perciò non solo teoricamente, ma praticamente, si afferma e sì affermerà sempre più questo principio: Za predicazione cristiana deve comprendere nella sua cerchia e deve occuparsi di tulli i domini della vita pubblica, di tulle le questioni che promanano dallo spirito dei tempi, di tutti i problemi del presente.
Tanto è facile l’affermazione e la dimostrazione di questo principio, altrettanto n’è difficile l’attuazione, rispondere cioè a questo nuovo quesito: Come l’oratore sacro debba trattare simili questioni.
Molti si adombrano a tutta prima e sentenziano senz’altro che, quando nelle chiese si parlasse di questioni politiche o sociali, la religione ne scapiterebbe. La solennità di tale affermazione è pari alla sua ingenuità. Poiché non v’è certo alcuno che sogni di tramutare il pergamo in una tribuna parlamentare ; nessuno domanda che la religione abbia ad inchinarsi allo spirito dei tempi, chè anzi deve giudicarlo, deve influire su di esso, deve informarlo. Certo il Vangelo è superiore ad ogni tempo: le vicende umane sono sempre relative di fronte ai principi assoluti contenuti in esso. Ciò è intuitivo. Nessuno dunque contesta la superiorità della religione su ogni altra cosa. Per contrario, chi asserisce che le questioni del giorno, morali, politiche o sociali che esse siano, debbano esulare dalla predicazione, viene con ciò stesso a restringere il campo della religione ed a limitarne la potestà di dirigere ed illuminare i suoi fedeli.
A ciò occorre aggiungere che, di fronte ad alcune contingenze dei tempi, la religione, assolutamente parlando, è indifferente. Essa, per se, non ha un programma politico, non le importa affatto che uno stato sia retto a monarchia assoluta o costituzionale, abbia un regime parlamentare o no, sia regno o repubblica. La storia ci ammaestra coinè essa possa vivere sotto le più diverse forme di governo. Questa « indifferenza » induce molti dei suoi ministri ad un quietismo politico assoluto: ad abituarsi cioè a considerare quasi come immutabili jure divino, ed intangibili, le istituzioni politiche, vigenti, ed a considerare come avversari anche dal punto di vista religioso quei che non ne sono soddisfatti ed aspirano a forme nuove. Ciò è un erróre gravissimo. La religione cristiana per il suo valore che supera ogni cosa finita, non può essere un angelo tutelare di un qualsiasi regime politico. Ne consegue che in nessun modo un avversario politico possa per ciò stesso considerarsi come un nemico religioso. Quindi con grande studio e con grande abilità occorre considerare tutti i principi politici dal punto di vista dei bisogni religiosi: questi assoluti ed eterni, quelli contingenti e mutabili a seconda delle necessità dei tempi.
Resta a domandarsi in qual modo si debba coordinare con lo spirito dei tempi la religione, che, come abbiamo detto, non ha un programma fisso politico ed economico. I più sereni e liberali fra gli oratori religiosi in Germania nel 1848, ci hanno offerto, con l’esempio, la soluzione migliore. Essi parlavano della religione nel suo significato assoluto; erano scevri dal pregiudizio che il sistema politico
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durato sino allora fosse condizione indispensabile per il Cristianesimo ; erano convinti che nelle idee del loro tempo si conteneva un nocciolo di verità e di ragione e che il progresso, che si ripromettevano nella loro epoca, non solo fosse possibile, ma necessario, s$m-prechè però la fede conservasse il suo posto.
L’oratore sacro non dovrà certo pensare che lo stato politico attuale sia definitivo dal punto di vista religioso, ma deve aver l’occhio intento ad ogni possibilità di ulteriore sviluppo. Egli deve esser convinto che non c’è un regime politico che la chiesa possa prendere sotto il suo patrocinio, ma che vi può essere e v’è di fatti un continuo progresso con cui le fede potrà forse ancor meglio conciliarsi. Possiamo ancor dire che l’oratore sacro che vuole essere all’altezza dei suoi tempi, deve essere nel tempo stesso conservatore e progressista. Conservatore, non solo nel senso che debba mantenere ciò che nel Vangelo v’è di immutabile, superiore ad ogni tempo e ad ogni luogo, ma anche nel senso che sappia riconoscere le vie del Signore attraverso la storia, e valutare convenientemente il fattore storico, facendone tesoro per l’epoca presente. Progressista nel senso di comprendere perfettamente i doveri che vengono oggi germogliando per il futuro, e di essere egli stesso un attivo fattore della storia di domani secondo i destini di Dio.
Infine, alla domanda: come deve comportarsi il sacro oratore, particolarmente se principiante, per giudicare competentemente del suo tempo? Come trovare la giusta linee, di condotta di fronte ai singoli problemi? E (piando si deve essere conservatori, quando progressisti? Rispondiamo: La sola convinzione religiosa per quanto profonda non basta; il professare una regola di fede non è sufficiente per pronunziarsi su altri problemi. Così
occorre unire alla cultura religiosa, una cultura sociale c politica ; bisogna, in altre parole prima di dedicarsi alla predicazione, studiare seriamente le varie e complicatissime questioni del giorno, possedere una larghissima comprensione della vita politica, religiosa e sociale ed una profonda cognizione dei diversi partiti e dei loro programmi. Chè se ciò è un dovere per ogni cittadino che voglia degnamente e rettamente occupare il suo posto nella vita civile, tanto più lo è per l’oratore sacro, poiché un giudizio falso o alterato da poca cognizione di causa, non è mai tanto riprovevole come quando viene espresso dal pulpito.
Insomma: per quanto sia necessario che l’oratore sacro debba essere anche uomo politico, nel miglior senso della parola, egli non deve dimenticar mai di essere precipuamente maestro e guida delle anime. Cosi come egli, pur possedendo una cultura teologica, non deve predicar teologia, ma religione, tanto meno dovrà, come studioso dei fenomeni politici, intrigare in chiesa per un partito qualsiasi. Poiché per quanto la sua opinione personale abbia le basi più solide, sul pulpito egli deve considerarsi al disopra di tutti i partiti e con una serietà spassionata ed una serenità assoluta essere il ministro della chiesa, che in sè è qualche cosa di ben distinto dallo Stato.
Certo non ci illudiamo che queste nostre considerazioni fondamentali abbiano risoluto Ogni difficoltà per l’oratore sacro. Ma osiamo sperare che ciò che abbiamo esposto, basandoci su considerazioni storiche, possa essere come un ponte fra i vari partiti teologici o politici, e contribuire alla soluzione dell’assillante problema dei rapporti fra religione e politica.
Dr. Ernst Schubert.
PAGINE SCELTE:
LA VERA EDUCAZIONE
I nostri figli non appartengono a noi, ma innanzi tutto a se stessi. Vuoi tu educarne l’anima? Ciò significa che vuoi aiutarla ad essere libera e completa come tu sei o ti desideri. Esser libero vuol dire operare indipendentemente da quello che ne circonda.
Questo può ottenersi solo per una via. Ogni verità umana o divina è contrassegnata dalla
semplicità. Il sentiero che solo conduce alla libertà è l’abitudine dell’obbedienza.
Il bambino, che entra in questo mondo, è per ogni lato dipendente, sia nel corpo sia nell’anima. Ma deve diventare libero.
Quello che avviene del corpo tu sai. Quando non ti occorre più portarlo o condurlo, quando da sé provvede e tiene alla sua nettezza o
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dimostra forti e fresche energie che traduconsi in atti, allora ti rallegri.
Donde trae esso la forza? Da se stesso in proporzione del suo naturale sviluppo: a te incombe soltanto di proteggere la sua imperfezione, affinchè questo sviluppo non sia turbato.
Altrettanto avviene dell’anima. Anch’essa trae origine dal suo seno la propria forza a mano a mano che progredisce nella sua evoluzione.
Finché questa non è compiuta,'tu devi invigilare.
La migliore protezione che puoi prestare sta nella volontà di cercare il meglio per la tua creatura, la quale dal tuo volere imparerà a fortificarsi per poter cercare da sè il proprio meglio. Epperò deve obbedirti finché consegua la perfezione, cui le è dato aspirare.
Ciò non vuol dire secondo gl’ insegnamenti di una vecchia pedagogia, che sia necessario rompere la sua volontà. Tutt’altro ! La si deve invece consolidare più che sia possibile, perché non sarà mai forte abbastanza ; e deve rimanere pienamente intatta. Ma’ le é necessario innanzi tutto appoggiarsi ad una potenza e quasi innestarsi su essa. La tua volontà forte e matura è questa potenza, l’innesto è l’obbedienza.
Questa questione dell’obbedienza può risolversi solo nella tenera età e precisamente, secondo la mia ripetuta esperienza ed osservazione, alle quali puoi credere, quando sta compiendosi la seconda dentizione : se non è risolta allora, non lo sarà mai più. Bada dunque ad ogni dente che cade. Non è necessario che tu lo faccia montare in oro, anche se i tuoi mezzi io permettano ; ascolta piuttosto la domanda silenziosa che ognuno ti rivolge: Sei pronto o non sei pronto ancora? Ed allora rafforza la tua volontà, affinchè diventi una potenza sulla quale sia possibile appoggiarsi. Se invero essa è molle ed inconsistente, abbi per certo che tuo figlio non vi si appoggerà mai : non lo consente la natura che pose nella sua anima io stimolo della conservazione. Obbedendo a questa legge esso prenderà nelle proprie mani la direzione dell’ànima sua ; qualora la tua volontà non gli presti quella potenza cui possa abbandonarsi. Senonchè non essendo ancora abbastanza maturo a tal uopo, egli soffrirà assai probabilmente per la tua debolezza un grande danno, a meno che per avventura non sia dotato di forza straordinaria, ma pure in tal caso gli rimarrà per tutta la vita una piccola durezza non avendo potuto abbandonarsi a te con fiduciosa obbedienza. Chi dunque ama i suoi figli deve render loro
possibile, e perfino imporre l’obbedienza. I figli disobbedienti sono una grave accusa per i genitori : la prima accusa, alla quale la vita ne aggiungerà tutta una serie. Un giorno, quando tuo figlio sarà vecchio e avrà i capelli bianchi, ti capirà e saprà scusarti e avere compassione. Ma questa compassione sarà per te un grave peso ed il segno di una vocazione Sbagliata.
* * *
È pertanto un fatto naturale, cui non possiamo noi recalcitrare, l’essenziale uguaglianza tra te e il tuo bimbo. Ma le anime, non meno dei corpi, non sono tutte egualmente forti. Ora quando più anime vengono al contatto sia per identica vocazione, sia in società, sia in matrimonio, sia nella famiglia, è ovvio che la più forte ha sempre il dominio e la direzione. Su ciò può riconoscersi un fatto naturale, che potrebbe denominarsi la legge dello spirito superiore: legge eterna ed universale come l’altra per cui sempre s’impone la forza maggiore. E’ sempre la medesima natura.
Non sarà da farti un rimprovero se più tardi il tuo bimbo si addimostri più forte di te e più capace a dirigere. Ma all’epoca della prima dentizione —delia quale ci occupiamo — tu hai su lui, per la tua esperienza e maturità, tale una superiorità da non esserti troppo difficile d’imporre il tuo volere, affinchè ad esso si attenga la tua creatura maturantesi. Se a ciò non riesci, lasciami dirti che sei molto debole, molto dappoco. E questo monello te ne farà passare di guai !
Sarà bene che tu cerchi di parlare il meno possibile dei fanciulli maleducati. Ma per maleducazione s’intende volgarmente solo il disturbo che provano gli adulti per il modo d’essere dei piccoli. Epperò ragazzi sani sono ragazzi maleducati, e ragazzi a modo sono in genere ragazzi ammalati.
Invece la vera maleducazione sta nella cosciente ribellione alla tua volontà, che riscontrasi sempre nella prima fanciullezza. E’ la prima domanda della natura : Sei capace di guidare un bambino? Questo ne è il portavoce inconsapevole, istintivo.
Nella distribuzione dei figli la natura procede apparentemente a caso ; non fa così nell’educazione di essi; chè mai permetterà alla fiacca volontà dei genitori di soggiogare il forte volere del figlio; nè potrebbe.
Epperò devi vincere, se non vuoi che la tua casa vada in rovina e, quel che è peggio, non siano create inutili difficoltà alla vita di tuo figlio. La vittoria non ti sarà difficile.
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L’obbedienza è il risultato di due forze : il rigore e la dolcezza. Una senza l’altra è tormento; il loro equilibrio produce felicità e contentezza. Come alla procreazione del bambino sono necessari l’uomo e la donna, cosi il rigore e la dolcezza alla sua educazione.
* * »
Mille tenui fili legano tra loro figli e genitori : onde per la stessa natura dei loro rapporti essi si sentono e comprendono a vicenda, senza bisogno di parole, che del resto mancano al bambino, nè per un pezzo potrà trovarle con precisione. Una madre ed anche un vero padre sa ciò che il suo figlio vuole o di cui abbisogna, prima che apra la bocca.
Non occorrono parole, ma cuori completamente dediti. Chi mette al mondo un figlio, per proposito deliberato o no, e poi non gli consacra l’anima sua è un malfattore.
Ma se tu darai l’anima tua — come farai senza dubbio — avrai allora anche l’obbedienza. Il rigore imporrà inesorabilmente il tuo volere, la dolcezza presterà all’obbedienza la più pura felicità.
Ma verrà un’epoca in cui tutta la natura del tuo bimbo si drizzerà contro di te, come fa un destriero per mettere a prova il suo cavaliere. Cerca di vincere allora e la tua vittoria farà la felicità del tuo bambino per tutta la vita.
La vittoria dipende dalla tua capacità. Se tu poni all’uopo tutta l’anima tua, non avrai bisogno di parole, o almeno non di molte. Dove si versano torrenti di parole o discorsi sull’obbedienza, si ottiene un magro risultato. Chi perde molte parole, perde in pari tempo il suo prestigio.
Nè sono necessari i colpi. Ho allevato molti vitelli, pecore e porci, non ho mai veduto che questi animali preparassero alla vita loro la prole mediante battiture, benché come animali domestici avessero potuto facilmente seguire i costumi dell’uomo.
Senonchè le percosse non fanno parte della morale umana, sibbenedella immoralità. I bambini sono per natura nostri eguali. Piacerebbe a te essere percosso ? Talvolta lo avresti meritato forse, ma chi lo avesse fatto avrebbe colpito il tuo onore, la tua dignità, il tuo essere intero.
Inoltre non v’è parte nel corpo umano che si possa percuotere senza pericolo di durevole danno: ciò vale tanto più per un delicato piccolo essere. Senti quello che ti dirà il tuo medico, se non puoi capirlo da te.
Ancora devi sapere che i colpi producono una sensualità precoce. I ragazzi percossi si depravano. Gli uomini brutali hanno ricevuto per lo più non troppo pochi, ma troppi colpi.
In epoca più remota e piti rozza si bastonava, lo so. Non si sapeva fare di meglio ; e d’altra parte la prole trovandosi in un basso grado di evoluzione non ne soffriva tanto danno. Ma la progredita cultura umana ci ha sempre più raffinati, mentre sviluppavasi il nostro spirito. Ecco perchè le battiture non sono più ammissibili. Capire l’evoluzione naturale vale meglio dell’antica sapienza. Sopra tutti Salomone ha lasciato dei precetti sul percuotere, tramandati dalla Bibbia. Ma non pare affatto che lui stesso sia stato un buon educatore. Suo figlio Roboam fu un uomo debole e rozzo. Forse era stato percosso troppo. Epperò non permettere ai vecchi precetti di eclissare la nuova verità. Sarebbe una confessione della inferiorità di questa.
Cerca invece coscienziosamente se puoi conquistare la vittoria senza fare uso di quel metodo. Vincere devi.
V’ha un difetto che indigna specialmente i genitori : la bugia. Parecchi fanciulli vi hanno una inclinazione naturale. In tal caso la difficoltà è grande : però non riuscirai a vincerla col percuotere. Ti sarà necessaria molta padronanza di te stesso, affinchè da te sopra tutto parta l’esempio della veracità e franchezza. Ecco l’ottimo rimedio.
Le molte bugie sono immediata conseguenza di ruvide battiture. Chi segue tale metodo deve cercare prima di tutto in se stesso le cause del mentire dei suoi figli e incominciare con l’estirparle.
Se però commetti il grossolano errore di battere i tuoi bambini, siine almeno pentito e correggiti. Nessun errore potrebbe non esserti perdonato.
Ti confesso che anch’ io nei miei anni più giovani ed immaturi credevo di non poter fare a meno di qualche battitura. Un colpo sulla mano colpevole, presa in flagrante, sembra spesso un metodo spiccio. E’ un errore perdonabile; ma sempre un errore, perchè è l’umiliazione di un essere eguale a noi ed una prova che in quel momento non ci dominavamo.
Le battiture freddamente preparate, susseguenti al fatto, copiose, come quando il padre rientra in casa e percuote dietro accusa, sono una brutalità degna dei tempi della tortura. Tu sei padre, non giustiziere di tuo figlio. Con tali colpi tu strappi tutti i vincoli che ti legano all’anima della tua creatura : non v’è più sicuro mezzo di perderla per sempre.
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Non ci è stato difficile riconoscere come si debbano educare ¡ fanciulli senza percosse. Ma in ogni bambino normale si riscontra presto o tardi una aperta ribellione che prorompe impetuosa e scuote tutte le fibre sue e dei genitori. In tale caso, che deve necessariamente presentarsi, il rimedio che mi sembra più efficace e più conforme a ragione consiste nel segregare il fanciullo in una stanza solitaria e lasciarvelo finché abbia da se stesso ritrovato la calma. Se puoi, non chiudere la camera, perchè ciò umilia uno spirito libero ; ma prolunga la solitudine sino a che sei certo che ha conseguito l’effetto. Soprattutto non permettere ingerenze estranee. I genitori discordi non potranno mai proporsi e conseguire una completa obbedienza. Nel frattempo raccogliti tu pure nella calma e rafforza la tua propria anima. Quando ti sentirai interamente padrone di te stesso va’ al tuo figliolo. \.e parole qui sarebbero una profanazione. Tanto meno devi umiliarlo strappandogli una promessa di migliorarsi. Tutto ciò non s’addice all’ora solenne. Prendilo con dolce serietà e riconducilo in silenzio nella vita normale, con la ferma persuasione di aver vinto e costretto tuo figlio a riconoscere la tua superiorità. Sarai una potenza se il tuo amore sarà sempre penetrato di grave serietà.
Può accadere che tali urti si ripetano: ma questo sarà tanto meno da temersi quanto più grande sarà stata la tua vittoria. Sarebbe meglio e desiderabile che ciò non avvenisse, perchè quando le situazioni solenni si ripetono rischiano di perdere l’efficacia. Unao due di tali vittorie devono bastare per la vita : e valgono la pena.
Non devesi soprattutto mai costringere un fanciullo a fare qualche cosa finché si è agitati od egli è eccitato. Entrambi dovete es
sere tranquillati prima di operare con risultato decisivo ed efficace. In nulla s’appalesa la superiorità come nella calma interiore.
Dopo ciò ti basterà una parola. Dì « no », ma in modo che al tuo interlocutore passi la voglia di chiedertene le ragioni. Chi dà spiegazione ai fanciulli li induce alla disobbedienza, nè avrà più occasione di darne quando saranno adulti, perchè non le chiederanno.
<» * *
Vi sono genitori — ed io ne conosco parecchi — ai quali non è riuscito di vincere nel momento decisivo. Il tempo concesso loro era breve ed essi han perduto la lotta. Allora essi sogliono seguire due vie. L’una è quella del continuo compromesso. Per tutta la vita ed in ogni occasione cercano di venire ad un accomodamento con i figli e sono generalmente sopraffatti. In altri termini, i figli prendono essi stessi in mano la loro educazione cui i genitori sono impari. Questa è la migliore via.
L’altra è quella della violenza brutale. I genitori sentono la loro inferiorità e diventano tiranni ed il maggior tormento dei loro figli per tutta la vita. I maschi si sottraggono in genere a quella tirannia ; ma io compiango le misere figliuole che non possono salvarsi col primo matrimonio che si presenti loro. Sa il vostro padre che è nei Cieli quello che voi soffrite.
Questo è un terribile avvertimento per i genitori: non suscitate sospiri contro di voi. Se non potete vincere, cedete francamente. Il perdono dei vostri figli coprirà la vostra incapacità a trovare la vera via per la loro educazione. H. Lhotzky
(Dal volume : L’Anima dfl /andullo).
(Edizione G. Laterza, Bari).
PREGHIERE CHE DECIDONO DI UNA VITA
Atto solenne di consacrazione a Dio (1).
In nome della Trinità santa e benedetta. Dio eterno e infinitamente santo! desidero ardentemente potermi presentare a Te, nel sentimento di una profonda umiltà e col
cuore confuso. So quanto un lombrico quale io sono sia indegno di comparire davanti alla tua divina Maestà, davanti al Re dei re, e al Signore dei signori, specialmente in una circostanza come questa in cui si tratta di stabilire un Patto con Te.
(x) Cfr. S'TObbek, l'if à‘06erlin, p. 50; C. Lkkxxardt, G. F. Oierlin, p. 1 0 417. Luthrot, Notici sur Oècrlin. A vent'anni — età dei piaceri e delle passioni — Oberlin redasse un- atto solenne col quale egli dedicò la sua anima a Dìo e consacrò se stesso nel modo più assoluto al servizio
di Gesù Cristo. Questa preghiera, scritta il 1® gennaio 1760, c la chiave di volta di tutta la vita di Oberlin. Essa inizia non solo il suo • Giornale », ina la storia del moderno Cristianesimo sociale.
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PER LA CULTURA DELL’ANIMA
I4I
Ma Tu sei, o Dio di misericordia, che hai tracciato il progetto di quel Patto, e me l’hai fatto offrire da tuo .Figlio, nella tua grazia infinita. Tu sei che hai a tua disposizione il mio cuore. Vengo dunque a Te e confesso che sono un grande peccatore. Mi batto il petto e dico, col pubblicano penitente : « O Dio, sii placato verso me peccatore ! » Vengo perchè sono stato invitato nel nome di tuo Figlio, e mi affido interamente alla sua giustizia compiuta ; ma Ti supplico di perdonarmi, in causa Sua, la mia ingiustizia e di non più ricordarti dei miei peccati. Oh sì ! te ne supplico, riconciliati colla creatura infedele. Sono ora convinto dei tuoi diritti su di me e la sola cosa ch’io desidero è di appartenerti. Dio santo! io dò me stesso oggi a Te nel modo più solenne.
Cieli, ascoltate, terra presta l’orecchio. Io confesso oggi che il Signore è mio Dio! Dichiaro oggi che sono uno dei Suoi figliuoli, e che faccio parte del Suo popolo. Odi le mie parole, o mio Dio, e scrivi nel Tuo libro che dorinnanzi voglio essere interamente tuo. In nome del Signore e del Dio Eterno io ri nunzio oggi a tutti i padroni che hanno nel passato dominato su di-me, alle gioie del mondo alle quali in’ero abbandonato e ai desideri carnali che s’agitavano in me. Rinunzio a tutto ciò che è perituro affinchè il mio Dio sia il mio tutto. Ti consacro tutto ciò che sono e tutto ciò che posseggo: le facoltà d?lla mia anima, le membra del mio corpo, i miei beni e il mio tempo. Aiutami Tu stesso, o Padre di misericordia, ad adoperare ogni cosa per la tua sola gloria; per Te sarà il mio umile e ardente desiderio durante tutti i tempi della benedetta eternità. Se tu m’incarichi, in questa vita, di condurti altri uomini, dammi il coraggio e la forza didichiararmi apertamente per Te. Fammi la grazia di non dedicarmi da solo al tuo servizio, ma ch’io possa altresì persuadere i miei fratelli a consacrarsi ad esso.
Io ho la volontà. Spirito Santo, di rimanerti fedele sino alla fine della mia vita se sarò sostenuto dalla tua grazia. Permettimi, nei giorni che ancora mi saranno concessi, di potere acquistare ciò che mi manca e migliorare le mie vie. Non esercitino le cose della terra il loro potere sopra di me, ma che — per il tempo così breve dell’esistenza — io non viva che per Te. La tua grazia mi renda capace non solo di seguire quella via che ho riconosciuta essere la migliore, ma ancora d’essere sempre più attivo camminando per essa. Rimetto alla tua direzione la mia persona e tutto ciò che m’appartiene.
Disponi ogni cosa secondo che la tua infinita
saviezza lo giudicherà opportuno. Mi rimetto a Te per la disposizione di tutti gli eventi e dico senza restrizione alcuna : « La tua volontà sia fatta e non la mia! ». Adoperami, o Signore, come uno strumento destinato al tuo servizio. Considerami come facente parte del tuo popolo ; lavami nel sangue del tuo diletto Figliuolo, rivestimi della Sua giustizi 1 ; santificami mediante il Suo spirito ; rendimi sempre più conforme alla Sua immàgine ; vieni con Lui a purificare e a fortificare iì mio cuore ; dammi la consolazione e concedimi di trascorrere così la mia vita nel sentimento continuo della tua presenza, o Padre mio e Dio mio! E che — dopo aver cercato di obbedirti e di sottopormi alle lue volontà — tu mi ritiri da questo mondo all’ora e ne! modo (1) che tu stimerai meglio. Permetti che, all’istante della mia morte e sulla soglia dell’eternità, io mi ricordi di quest’impegni e adoperi ancora il mio ultimo soffio al tuo servizio. Allora, Signore, ricordati anche di questo Patto (2) : quando vedrai tutta l’angoscia che proverà il mio cuore in quegli ultimi istanti in cui forse non avrò la forza di ricordarmene. Padre celeste, abbassa allora uno sguardo di misericordia sul Tuo figlio indebolito in lotta colla morte. Non voglio prescriverti,© mio Dio, in qual modo devi prendermi a Te, non voglio chiederti di ritardare l’ora della mia morte (3). No, nulla di tutto ciò sarà oggetto delle mie preghiere. Ciò che ti chiedo con insistenza, in nome del mio Gesù, è di potere ancora glorificarti negli ultimi giorni della mia vita, di dimostrare — in mezzo alle sofferenze che la tua saggia Provvidenza troverà forse opportuno di mandarmi — soltanto pazienza e sottomissione alla Tua santa volontà. Fortifica l’anima mia; quando la chiamerai dalle fiducia e ricevila nel seno del Tuo eterno amore. Ammettila nei soggiorni di coloro che sono morti in Cristo « in quei soggiorni in cui delle gioie ineffabili sono il retaggio di una gioventù senza fine » (4). Dàlie in abbondanza la pace e la felicità mentre aspetterà l’adempimento delle promesse che hai fatte a coloro che sono Tuoi: eh’essi risusciterebbero nella gloria e godrebbero eternamente nel cielo della Tua adorabile presenza.
(s) In margine, in francese: ■ Signore, abbi pietà di me, 182a ».
, (2) In margine, questa volta in tedesco : « Signore, abbi pietà di me, >822 ».
(3) In margine, colla data del 1765; « Dio mio, come ì momenti sono diversi! Alle volte ci si sente capaci di resistere a tutto ; altre volte un piccolo dolore ci precipita ad un tratto da tutta l’altezza dalla vostra illusione. Mio Dio, rimarrai sempre per me un Padre misericordioso ».
(4) Citazione di quattro versi.
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E quando sarò sceso nel sepolcro, se queste pagine cadranno nelle mani degli amici che avrò lasciati sulla terra, oh permetti che i loro cuori ne siano commossi ; concedi loro la grazia non soltanto di trovare in esse l’espressione dei miei sentimenti personali, ma di sentire essi stessi ciò che vi è espresso. Insegna loro a temere il Signore mio Dio e a venire a rifugiarsi con me all’ombra delle sue ali pei tempo e per l’eternità; eh’essi partecipino a tutti i beni e a tutti i vantaggi del Patto che si forma con Te per mezzo di Gesù Cristo, il grande mediatore. A Lui e a Te, Padre, e allo Spirito Santo siano rese lodi eterne dai milioni dei Tuoi riscattati e dagli spiriti celesti, al lavoro e alla felicità dei quali Tu li assocerai! Amen.
Dio mio, Dio dei miei padri ! Tu che mantieni il tuo Patto e che spandi le tue benedizioni sino a mille generazioni, io Ti supplico umilmente, poiché Tu sai quanto ingannevole è il cuore dell’ uomo, di farmi la grazia di formare questo Patto con piena sincerità di cuore e di mantenermi fedele alla consacrazione che di me è stata fatta col mio battesimo. Mi sìa testimonio eterno il Nome del Signore che Gliene ho firmata la promessa colla ferma e buona volontà di mantenerla.
Strasburgo, il i° gennaio, »760.
Rinnovato a Waldbach, il io gennaio, 1770.
Giovanni Federico Oberlin.
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Lemire.
All’indomani della elezione dell’abate Lemire a vice presidente della Camera francese, il deputato Georges Ponsot scriveva:
« Il barone di Mackau annunciò verso le cinque che l’abate Lemire era eletto a vice presidente della Camera. Il barone vide i deputati repubblicani volgersi verso un prete ed applaudirlo. Il vecchio conservatore dell’assemblea imperialista, restò per un istante immobile, come perduto nei suoi ’ ricordi. Non gli sovveniva di avere assistito mai ad un simile spettacolo nei suoi quarantacinque anni di mandato parlamentare...
« I repubblicani avevano mostrato all’ultimo rappresentante del Parlamento imperiale come essi intendevano e volevano far rispettare la dignità di rappresentante del popolo. Eleggendo l’abate Lemire, essi volevano dire ai vescovi, agli ultramontani ed ai torturatori della coscienza di un prete deputato che il diritto civico d’ogni cittadino francese quali siano le sue opinioni, la sua religione, la sua condizione, è intangibile. Essi richiamavano Vallo clero all’osservanza dei precetti di quella Dichiarazione dei Dirilli dell’ Uomo, votato dal basso clero delia Costituente. Ai vescovo di Lilla, che vuol cacciare dalia Chiesa un prete perchè è deputato, essi facevano sapere che la Repubblica della separazione affermava che un prete ha diritto di essere deputato.
«Quel che i repubblicani acclamavano innanzi al barone di Makau, era non solo un brav’uomo di un prete repubblicano generoso e leale, perseguitato con odio incessante da vescovi scappati dall’opera di Ferdinand Fabre, ma era soprattutto la grande e nobile idea del
diritto civico imprescrittibile per ogni francese, fosse pure il più repubblicano dei preti ».
Certo la Camera eleggendo all’alto ufficio il Lemire intendeva rispondere, onorando l'uomo dal carattere integro di sacerdote e di cittadino, a chi, non potendo perseguitare il cittadino, perseguitava il sacerdote. Per controrisposta agli assertori della libertà, il portavoce degli aguzzini, mons. Charost, vescovo di Lilla, sospendeva a divinis il Lemire, a cui, in questi ultimi giorni, sono stati in una chiesa della sua diocesi rifiutati anche i sacramenti.
Io mi sono domandato spesso leggendo i giornali clericali francesi che si sono largamente occupati della cosa — come del resto ha fatto la stampa d’ogni colore politico — perchè questi tacciano il vero motivo della condanna. La petizione di principio a cui ricorrono, e le verbosità stupide e vacue per quanto untuose e sonore non convincono davvero. Cito come specimen quel che scrive un certo de Vichet nz\V Eclair di Montpellier :
«Si réellement l’abbé Lemire était un messager de paix évangélique, il serait traité par les radicaux comme le sont le Pape, les évêques et les prêtres de France, c’est-à-dire en paria.
« Il y a longtemps que ce prêtre, têtu et orgueilleux, est engagé dans une voie qui l’éloigne du catholicisme, dont le foyer est là même où se trouve l’autorité et pas ailleurs».
L’Univers di Parigi, acquistato con denari sonanti alla causa realista e che non vede naturalmente che gigli d’oro come salute per la Francia, è un tantino più preciso, mentre accenna che il Lemire è affetto da quella malattia «endemica» che si chiama morbus democráticas.
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BILYCHNIS
Terza fra cotanto senno, la Dépéche di Lilla, più vicina al Giove fulminante mons. Charost — che, d’altronde, non faceva che obbedir ciecamente; come è provato, alle ingiunzioni di Roma — parla di «rivolta contro l’autorità religiosa, quando questa ha voluto legittimamente parlare e comandare ». Ed aggiunge che «certamente l'uomo è libero ed un prete è doppiamente libero per il libero arbitrio e per la grazia speciale fortificante», ma conclude che in Lemire questo duplice elemento di volontà umana e di grazia sacerdotale non ha ora il sopravvento. Così tutta l’altra stampa clericale e reazionaria.
Ebbene, ripeto, tutto ciò non vale davvero a coprire anche agli occhi meno esperti, che si parla dai fogli neri di Francia e di altrove per partito preso e per le leggi... dell’omertà.
Il Lemire non è un ribelle all’autorità ecclesiastica: non lo è stato mai finché questa gli ha imposto una cosa giusta ed onesta. Non sono io che lo affermo ma è lo stesso vescovo di Lilla, il quale ad una deputazione di elettori del collegio di Hazebrouck, di cui Lemire è rappresentante alla Camera francese, dichiarava esplicitamente che non aveva nulla a rimproverare al Lemire « come sacerdote ». Evidentemente, per conseguenza diretta, quel vescovo se amasse un po’ la logica, doveva aggiungere a fortiori che anche, come cittadino, non poteva nulla opporgli. Perchè altrimenti avrebbe affermato il principio, che al meno non deve predicarsi super teda, che si può essere buon sacerdote nel tempo stesso che cittadino farabutto.
In ogni modo buon sacerdote il Lemire Io era. Che fosse anche buon cittadino, la testimonianza di un monsignore qualunque sarebbe superflua, per confermarlo. E allora perchè
condannarlo? Perchè imporgli la rinuncia al mandato legislativo in cui per venti anni ha saputo fare opera degna di uomo e di sacerdote? Sicuro, opera degna di sacerdote. Perchè oltre alla affermazione del suo vescovo, abbiamo, per affermare questo, anche un argomento di maggior valore, che cioè in questi venti anni l’autorità ecclesiastica non gli ha rimproverato mai nulla per la sua condotta alla Camera. Ora ciò non può essere che per il fatto che il Lemire non meritava rimprovero, o per una colpevole acquiescenza dell’autorità della Chiesa, colpevole tanto più in quanto sarebbe scandalosa oltre ogni dire. Chè se il Lemire, durante le varie legislature avesse compiuto qualche atto indegno di un cittadino o di un sacerdote, era dovere — dico dovere — assoluto, imprescindibile della Chiesa condannarlo allora e punirlo, in rapporto alla presunta colpa. Il dormirvi su per anni ed anni significa acquiescenza e benestare.
Ora, ad un tratto, le autorità ecclesiastiche si sono credute padrone di porre ad un sacerdote il dilemma di rinunziare ai suoi diritti civici o a quelli sacerdotali. E questa con buona pace di Pio X e di tutti i gros-bonnets della sua Chiesa, è volgare tirannia.
Non resta, a scusa, non a giustificazione, dei torturatori di coscienze, che la ragione politica. Difatti il Lemire è un buono e sincero repubblicano, mentre ora Chiesa e restaurazione, Pio X e Monsieur d’Orleans fanno una cosa sola in Francia. Questione di legittimismo, allora. E ciò si ha vergogna di confessarlo e allegramente ■— la lunga abitudine non consente più il menomo rimorso — si assassina moralmente un uomo, ostia offerta alla causa dei gigli d’oro.
E. Rutili.
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VERSO LA FEDE’0
Bisogna « destare l’attenzione di coloro che fino ad ora non si sono adatto curati delle cose dello spirito». (l’Edit., pag.XI). Verissimo: i noncuranti hanno torto, e fanno, sia pure senza volerlo e senza accorgersene, molto male. Nel volume annunziato sono discusse parecchie importanti questioni relative allo « spirito » ; diciamo qualcosa d’alcune.
Accadono dei fenomeni, che tutti sono temporanei e relativi. C’è qualcosa di eterno e d’assoluto? Senza dubbio. I fenomeni sono sottoposti a certe leggi necessarie ; e la necessità non è un fenomeno. Ma si domanda, che relazione passi tra i fenomeni e l’eterno assoluto. Questo è condizione di quelli ; ma non potrebbe alla sua volta esser condizionato a quelli ? Come p. es. : i miei fenomeni sono condizionati a me (se io svanissi, anche i miei fenomeni svanirebbero); viceversa per altro io sono condizionato ai miei fenomeni (svanirei, se non m’accorgessi di niente, se non pensassi). L’assoluto eterno, posto che non sia condizionato ai fenomeni, è il Dio personale; si potrà discutere, se coincida col Dio del Cristianesimo ; in ogni modo, un passo importante verso la fede sarebbe fatto. Ma è razionalmente certo, che l’assoluto eterno, immanente per un verso nella realtà fenomenica, ne sia per un altro verso indipendente, la trascenda? Se l’assoluto eterno, il divino, è soltanto immanenti nei fenomeni (li conditi) Scrini di R,Mariano, E. De Sarto, E. Coniba, G. Ar-banaiich, G. l.uzzi, V. Tuintnolo, A. Crespi. Roma 1913. Un voi, in-8" di pagg. xi.013 ; edito dalla Direi, d. Scuola teol. battista.
ziona, ma n’è insieme condizionato) credo anch’io, col Mariano (pag. 51), che non sia più lecito parlar d’una « progressiva ascensione » della realtà fenomenica, cioè della vita e del pensiero. Ma che, allora, la storia e il divenire si riducano a « pretta irrazionale ironia », la realtà svanisca in un « illogico illusionismo », sicché non sia più possibile indagarne le leggi (ibid), non mi pare dimoi trató, lì fenomeno, benché non sia pensabile nè possibile senza il divino che vi è immanente, nondimeno è reale ; fenomeno, e illusione, sono due concetti non identificabili. Dal divino immanente nei fenomeni si conclude il Dio personale trascendente ; così pare anche a me; io non combatto la conclusione, soltanto esprimo qualche dubbio sul modo, con che il M. ci sarebbe arrivato. Il Dio personale si ricava dal divino immanente, cioè dallo studio dei fenomeni considerati nelle condizioni della loro possibilità ; così essendo, ha senso affermare, che la realtà fenomenica diventa illogica, irrazionale, all’infuori della trascendenza divina ?
I) problema delle relazioni tra Dio e il mondo è razionalmente più complesso che da molti non si creda. Secondo il Crespi, Dio « per sua intima costituzione non può non amare, e per amare si dà realtà distinte dalla propria a cui donarsi » (pag. 207). Bisogna concludere, che Dio crea necessariamente; in altri termini, che il mondo fenomenico esiste ab aeterno. Ma in questo caso è impossibile che il mondo fenomenico tenda, come un lutto, a un fine conseguibile o indefinitamente appressi inabile. Credo inutile insistere su que[IO|
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sto punto, sul quale mi trattenni a lungo altrove (cfr. il mio Conosci le stesso; Milano 1912; specialmente: pagg. 235-60); chiunque si faccia un’idea non troppo confusa di quel che significhi aó aeterno, riconoscerà che l’accadere, se non ebbe un cominciamento, non può avere altro fine che quello, sempre conseguito, di perpetuarsi. L’accadere si spezza (non occorre soggiungere, che lo‘ spezzarsi non è assoluto; non si ha mai una mohipli-cità fuori dell’unità) in una moltitudine di processi, di cui ciascuno tende a un fine, lo consegue per un tempo approssimativamente, poi se ne allontana, degenerando e disorganizzandosi. La disorganizzazione di un processo è condizione, perchè un nitro si organizzi meglio; dalla morte risorge la vita. Ma l’alternarsi della vita e della morte, se in ciascuna delle sue fasi distinte costituisce un perfezionarsi o un decadere, in ordine al lutto, se il tutto non ebbe un cominciamento, non è che un permanere. L’ « amore », da cui Dio sarebbe necessariamente indotto a eternamente creare, diventa un’ipotesi oziosa e gratuita; stavo per dire uno scherzo di cattivo genere. Non discuterò, se un amore necessitato possa dirsi amore: quel che possiamo sapere degli effetti della supposta necessità ci toglie di considerarla come identificabile con l’amore.
« L’intelligibilità delle cose », dice il De Sarlo, ha per condizione il loro essere « presenti ad una coscienza che tutto penetra e sostiene » (pag. 84). Questa « condizione» mi pare difficilmente conciliabile col dualismo, che dal D. S. è sostenuto anche nello scritto citato. Ma la condizione sarebbe realizzata, se ammettessimo, che l’esserci delle cose consista nel loro esser fenomeni di molte coscienze distinte collegate necessariamente tra loro in una suprema unità, Tesserci della quale implichi alla sua volta Tesserci delle coscienze collegate. Notando, che l’ammetter questo è semplicemente un esprimere la cognizione comune, con riguardo bensì alle sue leggi necessarie, ma senza sovrapposizione di alcuna ipotesi ; mentre la « coscienza che tutto penetra e sostiene » ha, fino a indagine ultimata, un carattere indiscutibilmente ipotetico (v. Conosci te stesso, già ricordato; e l’art. Grundtnn. ein. Theor. d. Erscheingn in Logos, voi. IV, fase. 2, Tubinga 1913). La dottrina testé accennata sembra implicare l'eternità delle anime, o delle distinte unità di coscienza. Il D. S. non crede accettabile questa eternità
(pagg. 77-83): • I* concezione», dice, «che più naturalmente viene suggerita dai fatti è che l'anima sorga realmente in un dato punto del tempo per l’azione di un potere spirituale sommo » (pag. S3); in altri termini : sia creata. É arbitrario, dice il D. S. ammettere « una forma di permanenza quando nessun segno l'attesta, e quando nessuna prova persuasiva ne può esser recata» (pag. 79). Ma: escluso (e anche il D. S. esclude) che l'anima si formi naturalmente, per via d’un processo fisiologico, non restano che due possibilità: l’anima, o c’è stata sempre, o fu creata nel tempo. Ammettere la creazione soprannaturale non è un escludere l’eternità fenomenica dell'anima, quando non s’ammetta insieme la temporaneità di Dio, contro la quale molti protesteranno; e in ogni caso è un oltrepassare il campo dei fenomeni con un'ipotesi, che do-vrebb’essere giustificata. L’eternità dell’anima è dunque tutt’altro che una concezione arbitraria; è. semplicemente, l’espressione di queste due verità evidenti: c’è un’anima, e questa non può essere il prodotto d’un qualsiasi accadere. Che sia possibile andar più a fondo, e arrivare a Dio, non nego; ma dubito se il D. S. (come già s’è visto per il M. e per il C.) abbia trovata la via razionale certa per arrivare a Dio. Notiamo per incidenza: è vero che io non ho alcuna reminiscenza d’un passato infinitamente lontano; ma è vero altresì, che io non ho alcuna reminiscenza di quando avevo quindici giorni, o quindici mesi. Negare, che l'anima esistesse quando non può ricordare d’esserci stata, non è lecito; per questo conto, poco importa che l’anima sia stata o no creata; la difficoltà, che io non nego, di conciliare l’esistenza con l’assenza di ogni ricordo, è nei due casi la medesima. Del resto, la difficoltà non è insuperabile, anzi è superata. Nessuno ricorda mai altro che una parte relativamente minima del suo passato; il ricordo implica un’organizzazione della coscienza; ora, una coscienza, che può essere più o meno finemente organizzata, è una coscienza che già esiste.
La recensione oramai è anche troppo lunga, non mi tratterrò dunque, mentre pur n’avrei desiderio, sugli altri articoli, che pure ho letti con interesse ; rileverò soltanto, come particolarmente notevole, quello di G. ¡.uzzi, sul Concetto moderno dei dogma.
B. Varisco.
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TRA LIBRI E RIVISTE
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TOLSTOÏ PEDAGOGISTA
È questo il litoio d'un volume che Giulio Vitali sta per pubblicare, presso l'editore San-dron di Palermo. La migliore presentazione di quest'opera nuova è stata fatta dal Pitali slesso col precedente volume che pubblicò ne! iqn sul grande di fasnaia Palliava: volume eh ’è stalo giustamente molto lodato e pel quale l’autore s'ebbe espressioni di gradimento dal Tolsloi stesso (i).
Per gentile concessione dell’autore e dell’edi-tare, che ce ne hanno comunicato le bozze, ne riproduciamo qui alcune pagine lolle dal capitolo sul « lavoro manuale e le scuole nuove ». In questo capitolo il Vitali vuol « mostrare come il Tolsloi, dopo che ebbe riconosciuto, con quella conoscenza nuova, che viene dall’esperienza personale, diretta, che il lavoro materiale è una legge fondamentale, costitutiva, della natura umana, collocava questa leggc. nella sua dottrina pedagogica, a riscontro del principio di libertà, come materia a sua forma, apportando così maggiore precisione di limiti alla sua definizione dell'ufficio della scuola, e facendosi precursore ed eccitatore di quel recentissimo molo di rinnovamento dell’educazione che fra i pedagogisti va sotto il nome di *' scuola nuova
Trascegliamo i due paragrafi in cui l'A. dice « come Tolsloi scopre e predica la legge del lavoro », illustrandoli con due delle vignette che adornano il volume.
In quel medesimo periodo di sua vita, durante il quale cercava d’indurre lo Zemstvo di Tuia a concedere i mezzi per attuare l’idea de\V Università in zoccoli, il Tolstoi attendeva al suo secondo grande romanzo, Anna /Carenino; dove raffigurava in Costantino Levine una parte di sé, quella che oramai gli era più cara, e che presto avrebbe preso il sopravvento.
Costantino Levine, che si è ritirato dal tumulto della città per darsi alla vita sobria dell’onesto campagnolo, che cura personalmente, senza avidità, il buon andamento della sua azienda, e, il cuore aperto alla simpatia, si studia di riuscire utile ai suoi dipendenti, ac-cumunandosi con questi, semplicemente, viene
(0 S. Vitali, Ltont Toltici (con ritratto, lettera autografa, bibliografia), Roma, 1911.
quasi per caso a conoscere il beneficio di che è capace, anche per lo spirito dell’uomo colto e per la sua salute morale, il lavoro vero, il lavoro manuale, agricolo. Questa esperienza è raccontata in pagine mirabili, che in forma di rappresentazione artistica esprimono già, in sostanza, tutto ciò che come moralista e come pedagogista il Tolstoi più tardi dirà su tale argomento...
... Mai l’arte non ha cantato inno più bello e più semplice al libero lavoro. L’idealismo del Tolsloi, che sa volare si alto, si manifesta anche qui, come sempre, nutrito di profondo realismo: vera poesia, che esprime l’ideale dal cuore della realtà. Lo psicologo, il filosofo, potranno tradurla nel linguaggio prosastico del ragionamento e della scienza; ma non potranno dirci di più.
L’arte per il Tolstoi è una forma, un momento, dell’esperienza, un mezzo insieme di ricerca, di riflessione e di apostolato ; onde si svolge parallela alla vita, e la prosegue serratamente, come l’immagine nello specchio segue il corpo, ricevendone la luce, che rende. Molti artisti hanno preteso di fare lo stesso; ma nessuno l’ha realmente fatto come lui, tanto che da ultimo parve che dell’arte non sentisse più il bisogno, come chi, possedendo l’originale di un celebre quadro, si rifiuti di spendere la sua moneta per acquistarne una copia.
Se, dunque, intorno ai 1875 egli c* dipingeva un Levine agricoltore, quand’anche non avessimo pure le notizie della sua biografia, potremmo per quella soia testimonianza essere certi, che aveva già personalmente tentato, o stava per tentare, di divenire agricoltore, operaio. Anch’egli lavorerà la terra; si farà falegname, -muratore, fabbro, calzolaio.
La sicumera del volgo superficiale ne sorriderà, come sorrideva il fattore del Levine, quando questi gli ordinava di preparargli la falce ; lo taccerà di dilettantismo e di stravaganza. Ma Tolstoi proseguirà la sua strada senza guardarsi indietro, perfezionando la propria esperienza, e dando, nei limiti delle proprie forze (aveva già quaranta sei anni), l’esempio della via intravveduta.
Nel 1881 scriveva a un suo amico, l’Alexeief : « Tra le due e le tre pomeridiane soglio andare lungo la riviera a tagliar legna. Ciò mi
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rinvigorisce, e mi rinnova. Allora penetro qualche cosa della vi la reale; e, sia pure per un m<>mento, tni v' immergo, purificandomi. Ma quando trascuro ¿li farlo (or è circa tre settimane, mi lasciai andare, •» smisi di recarmi colà, e precipitai in un miserando stato d'ac cidia), allora una irritabilità e un’ irrequietezza nostalgica mi saltano addosso ».
Donde questa irrequietezza, questo malessere, che solo nel rude lavoro si quieta? Un semplice bisogno di attività fìsica avrebbe potuto essere soddisfatto dalla ginnastica, dallo sport, di cui pure il Tolstoi aveva un tempo usato e abusato. La caccia, i cavalli, certo non gli dovevano mancare a Jasnaia Póliana.
Ma era il suo un bisogno più complesso ed elevato; chiedeva un’attività, che insieme alle facoltà fisiche soddisfacesse anche le facoltà morali e intellettuali, impiegando l’uomo intero, che da una civiltà raffinata, artificiosa, s’era ritrovato spezzalo e diviso. Non poteva accontentarsi di un giuoco soltanto (sebbene anche il giuoco entri, in certo senso, in ogni lavoro compiuto con trasporto e con padronanza); esigeva un impiego di energie serio e utile, capace di partecipare delle ragioni più profonde del vivere. Lo sport, dopo lutto, non è un’azione; perchè non trae l’uomo fuori di sè ; lo lascia in un contatto meramente esterno e accidentale con la natura e con gli uomini. Solo il lavoro stabilisce un’intima e piena comunione di tutto l’uomo e con la società e con la vita irriflessa, primitiva e potente del grande universo.
Solo il lavoro piega realmente l’anima e il corpo a una legge che trascende l’individuo, per abbracciare natura e umanità. L’uomo che rinuncia al lavoro, al vero lavoro, che consiste nella produzione delle cose necessarie e utili a sé ed altrui, si esilia dalle condizioni normali dell’umana esistenza, e si condanna a una irreparabile insoddisfazione, generatrice d’interminabili mali fisici e psichici, che da individuali divengono presto sociali. Allora invano si cercano rimedi, che non vadano « alla radice del male ». Invano gli uomini oziosi e parassitari si affolleranno nelle città per stordirsi del loro tumulto, lasciando deserti nei campi coloro che li vestono e li nutrono; invano inventeranno i raffinamenti della cultura, dell’arte, della beneficenza; alla loro cultura si nasconderà la verità ; alla loro arte verrà meno la bellezza ; alla loro beneficenza si negherà la carità. Gii uomini che non lavorano, invano cercheranno la vera morale e la vera religione. Per quanto si affannino-, le loro dottrine sull’esistenza saranno sempre incompiute, imperfette, errate ; finché pratica
mente disconosceranno questa legge fondamentale della vita, che è nel lavoro. « Solo chi fa la verità, viene alla luce».
Da queste prime considerazioni si svolge via via la nuova visione sociale del Tolstoi.
« 1 mali e le sventure della vita umana — scrive nel 1SS5 — vengono dal fatto che noi teniamo per doveri molte regole vuote e dannose; mentre dimentichiamo o nascondiamo a noi slessi e altrui quel capitale originario, indubitabile dovere annunciato in principio dalle Sacre Scritture : « Nel sudore della fronte mangerai del pane». Il popolo non solo non conosce questa legge; ma conosce precisamente una legge contraria. La religione ufficiale lo porta tutto quanto, dal re ai mendicante, non a compiere, ma a frustrare questa legge... ».
« Qual dovere più sacro del cooperare a distruggere questa ineguaglianza di indigenza da un lato e di sazietà dall’altra? E’ certo che la vita e la sua benedizione vanno cercate non nel mero interesse personale, cóme generalmente si suppone, ma nel servizio di Dio e degli uomini... Come immaginare che si possano servire gli uomini, quando si consuma il prodotto dell’altrui lavoro senza produrre con le proprie mani i mezzi del proprio sosten lamen to?... ».
« Dovunque tu sia, comunque dotalo, comunque benevolo verso i soggetli, in qualunque condizione posto, come potrai startene davanti al tuo thè o al pranzo, e attendere tranquillamente alle tue faccende politiche, artistiche, scientifiche, pedagogiche, se udrai e vedrai alia tua porta affamato, gelato, maialo, sofferente, il popolo? E tuttavia questo è sempre li, se non proprio alla tua porla, a qualche metro, a qualche miglio di fuori. E’ lì, e tu lo sai. Però non puoi startene in pace ; non puoi goderti alcun piacere, che non sia avvelenato da questa coscienza...».
«Che farai tu dunque? Lo sai; la dottrina della verità te lo dice. Discendi, o meglio sali verso chi ti sembra più basso, ma in realtà sta più in allo; va con coloro che vestono gl'ignudi, e nutrono gli affamati ; va! No hai nulla da temere, e molto da guadagnarne. Va nelle loro fila ; rimuovi la terra con le tue mani inette ; compi quel lavoro che dà il pane e il vestiario; va! e per la prima volta sentirai solido il suolo sotto i tuoi piedi, e camminerai Ubero, e ti troverai in casa tua ; nè altro avrai da cercare. Proverai quella gioia piena, che invano t’asseta dietro le tue chiuse porle e fra i drappeggiati appartamenti ; conoscerai un benessere ignoto. Per la prima volta accosterai quegli uomini semplici e forti,
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(Gentilmente favoritoci dalla Libreria Ed. Rom.).
LEONE TOLSTOI
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quei fratelli lontani, che sino ad oggi ti hanno nutrito; sarai meravigliato ¿’imbatterti in virtù, che ignoravi, di pazienza e di bontà... Comprenderai che l’isola angusta, dove credevi di rifugiarti dall’invadente mare, non è che una palude, dove in realtà affondavi; e il mare, che temevi, ¿invece la terra ferma, dove camminerai pacifico e felice; nè più sarai roso dal
la pura moralità esistano in alcuna classe della nazione, che non lavori con le sue proprie mani per il proprio sostentamento». Molti girano intorno a questa verità, e l’esprimono con varie riserve (lo stesso Ruskin finisce col ricascarci); nessuno come il Bondaref ne va al fondo, considerando il lavoro per il pane come fondamentale'Jegge religiosa della vita ».
TOLSTOI l'I RA I FANCIULLI
’Dal nuovo volh del Vitali}
dubbie, perchè abbandonate le vie della menzogna, dove stavi per perderti, potrai facilmente procedere nella via di Dio e della verità ».
Non diremo troppo, affermando che il Vangelo dell’amore secondo Tolstoi potrebbe anche chiamarsi i> Vangelo del lavoro. Nel suo articolo su Bondaref per il Dizionario biografico degli scrittori russi (1897) ripete:
« Alcuni considerano il lavoro manuale come necessario per la salute fisica, altri per un giusto ordine economico, altri per il normale, armonico sviluppo delle facoltà umane; mentre altri, infine, lo considerano indispensabile per il progresso spirituale dell’uomo. Fra questi ultimi è il Ruskin, che nella 67“ lettera del suo Fors Clavigera scrive: < E’materialmente impossibile che la vera coscienza religiosa e
Senza rifare la storia, che sarebbe fuori luogo, delle relazioni tra lo sviluppo della coscienza etico-religiosa dei popoli e quello del loro ordinamento economico-civile, per cui si arriva alla redenzione ideale del lavoro e alla reale suà liberazione, non è inutile ricordare che la scoperta che il Tolstoi (quantunque in realtà l’avesse fatta per suo conto assai prima) ama di attribuire ad un ex-servo, reduce dalla Siberia, il Bondaref, se poteva apparire nuova nel suo mondo slavo, non l’è certo per il nostro mondo occidentale, di più antica civiltà. Per noi è soltanto un rinnovamento di memorie oscurate.
L’idea che il lavoro sia una condizione necessaria di vita vera, si fece per la prima volta'chiarainente innanzi con le origini del cristianesimo; quantunque soltanto òggi si
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mostri più vicina a quella piena maturità storica, che la imprimerà definitivamente nella coscienza comune. E’ lecito osar dire che il cristianesimo si sia affermato praticamente nella sua purezza solo in quanto ha fatto de) lavoro quasi un sacramento, una condizione «Iella grazia. E* lecito dire che questa è la caratteristica che meglio ne distingue lo spistorico, oramai corretto, fu di non tener conto degli specifici motivi di quell’avvento, che trascendono il fatto economico, transeunte, con valori spirituali, perenni. Il cristianesimo nasceva come una religione comune di liberi e di servi non per rivendicare i diritti d’una classe contro l'altra, che allora avrebbe, sotto diversa veste, riconsacrate le divisioni tempoTOLSTO1 TRA I FANCIULLI
rito da quello delle altre religioni con cui suol compararsi, il buddismo compreso. L’amore cristiano verso Dio, padre, se non s’identificasse con l’amore verso gli uomini, fratelli, si confonderebbe col Nirvana (estinzione della natura senza vita nuova): e l’amore verso gli uomini, dove non si esprimesse in lavoro, che è servizio reciproco, ricadrebbe nella compassione buddistica, invito alla morte (i)
In fin dei conti non ha avuto tutti i torti il materialismo storico affermando che la predicazione evangelica nel mondo greco romano va considerata come la prima apparizione del « quarto stato » nella sfera della coscienza della libertà. Il torlo, non lieve, del materialismo
(i) Cir. il mio saggio: Del Mdìtmo, nell'/« Chwhìw, Milano. 1904
rali : ma ¡>er il bisogno, già sentilo dalla parie migliore dell'umanità, di stabilire la propria esistenza su le più vere basi della sua natura spirituale e razionale ; la quale non può acquietarsi se non in una comunione di uomini, dove ciascuno si ponga in una condizione, in cui tutti gli altri possano contemporaneamente convivere in « morale » uguaglianza, cioè come anime, come «fini» (Kant), non come mezzi o strumenti gli uni degli altri. « Agisci in modo che la legge del tuo operare possa elevarsi a legge universale d’azione »: ecco l’imperativo della coscienza morale. Ma chi non vive del suo lavoro, non vive d’una forma che possa estendersi a tulli gli uomini; vive in comunione solo d’una minoranza privilegiata; cioè non vive interamente nell’umanità; non neesperimenta e realizza tutta l’anima; si proi-
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bisce di ascendere nella pura moralità, d’arrivare a Dio.
Questo significa il grido che il poeta cristiano pone in bocca agli schiavi, che salivano insieme coi padroni l’altare d’uno stesso martirio. Et nosanimae su finis! Siamo anime. E voi, riconosciuto in voi l’inestimabile valore dello spirito, non ci potrete più trattare ufi res. E avviene allora, per la prima volta quello, che abbiamo inteso annunciare dal Tolstoi, che i padroni, i liberi, riconoscano le più alte qualità umane in coloro che, incatenati, li vestono e li nutrono ; e però si recano a onore di mescolarsi con questi e di dividerne le sorti. (Nessun materialismo storico basterà a spiegare, da solo, questo fatto). Allora le reliquie dei servi, confessori della fede, scendono al riposo e alla venerazione delle catacombe accanto a quelle dei liberi, che avevano già con essi partecipato ai misteri dell’agape sacra. «Amicadel popolo», «operaia», «laboriosa», amalrix pauperorum et operarla, leggesi allora per la prima volta sui cenotafi di matrone e di nobili vergini; mentre il inondo pagano, decrepito, che chiamava i cristiani « nemici del genere umano », ripete con Aristotele: « Una perfetta costituzione non ammetterà gli artigiani fra i cittadini ».
Invece da quel giorno, lentamente, ma pertinacemente, si farà strada la persuasione che una perfetta costituzione si avrà soltanto, quando gli artigiani saranno cittadini, o, meglio ancora, quando ogni cittadino sarà artigiano, come domandava Firenze al tempo di Dante, e come più tardi avrebbe voluto il Savonarola.
Verranno S. Benedetto e S. Francesco, l’uno della antica nobiltà romana, l’altro della borghesia nuova, italiana ; e ambedue mirando a fondare una società religiosa, dove ciascun membro trovasse le condizioni prime d’una vita tendente a perfezione, e che tutta insieme fosse un lievito di perfezionamento alla civile comunione, porranno nella loro regola l’obbligo dei lavoro manuale. Ora ci ¿abora, fu il motto del monachiSmo benedettino, di cui la regola porta un intero capitolo De opere tnanuutn quotidiano. E il Poverello d’Assisi, che tra l’infierire delle lotte civili, predicava i divini benefici della pace, ripeterà: «Voglio che tutti i miei frati lavorino, e si esercitino umilmente in opere oneste, a fine di meno pesare sugli uomini, e per impedire che il cuore e la lingua vaneggino nell’ozio» (i).
E nel suo Testamento lasciava detto:
(i) Speculum Perfcclionit, edito da P. Sabatier. Parigi, 19ÒS, cap. 15, cfr. cap. xo, 54,' 73.
« Ed io con le mie mani lavoravo e voglio lavorare, e tutti i miei frati fermamente voglio che lavorino in lavori onesti. Quelli che non sanno, imparino, non per cupidìtà di mercede, ma per buono esempio e per ripugnanza dal-l’ozio » ( I ).
Bastano questi cenni per provare, a chi ne dubitasse, che la conclusione a cui con la sua personale esperienza arrivava il Tolstoi, corrisponde alla realizzazione storica d’un principio essenziale della nostra civiltà.
Se la cosa non ci portasse troppo lontano, potremmo fare di più, ricercando nella stessa antichità classica altre testimonianze di spiriti magni, che presentirono le leggi della perfetta vita spirituale dell’uomo. Cosi Platone, il Battista del mondo greco, già s’avventura a dire che la «città sana», dove ciescuno viva intero e interamente virtuoso e felice, sarebbe quella, in cui nessuno pesando sull’altro per il proprio sostentamento, e lutti, aiutandosi, alternassero le più umili occupazioni materiali con i più elevati esercizi dello spirito, tutti insieme essendo e agricoltori e filosofi e artisti e sacerdoti. Se non che nella stessa Repubblica il grande accademico si rassegnava a relegare questa vagheggiata visione nella trapassata età dell’oro: ai tempi suoi l’umanità non concepiva ancora l’ideale nel suo divenire, nella dialettica forma del progresso, per cui niente di ciò che appare buono alia coscienza è impossibile per la ragione ; e quindi non poteva veder chiaro come la storia anelasse, dal di dentro, a capovolgere l’ordine del secolo, che la pienezza della vita dei pochi fondava incurante sulla soffocazione dei molti; e però nel dettare le sue leggi finiva col proporre per suprema perfezione la pura contemplazione, cioè uno stato fuori del reale stato umano. Riunire la pienezza dell’azione, sin nella forma sua più concreta del lavoro manuale, con la purezza della contemplazione, scientifica, artistica, religiosa, doveva essere il termine della civiltà nuova, cui davano moto il cristianesimo prima eia scienza poi con il loro apparente dualismo, che è sforzo d’integrazione.
Giulio Vitali.
(1) Il Tectamenta è pubblicalo in appendice dal Sabatier a pag. 309.
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CRISI D’ANIMA D’UN GIAPPONESE
« Nel Giappone viva è la resistenza al cristianesimo; il testimone dell'Evangelo incontra spesso ostilità e disprezzo. Ed allora una delle due: o si fa come coloro che, giunti al Giappone con grandi idee, abbassarono ben presto le armi, o si combatte senza tregua. Utscimura ha scelto il combattimento...
«Contro chi si è volto? Non certo contro degli uomini. Utscimura vuole stare in pace con tutti. Nè si è volto contro certi partiti e certe tendenze... Egli conta amici fra Buddisti e Scintoisti, tra Confucianisti e atei, tra cristiani d’ogni setta, fra ricchi c poveri. Egli non combatte nè gl’ individui nè i partiti, ma la menzogna sotto tutte le sue forme e dovunque, l’ipocrisia, lo spirito di casta e la servilità; là ove s’incontra con questi nemici, li perseguita con passione, e poco gli importa di sapere che i suoi colpi raggiungano ministri o professori, pastori o missionari, pagani o cristiani.
« Egli ha dato questa battaglia per la verità e per la libertà in tutte le varie posizioni in cui egli si è trovato, quand’era al servizio d’una missione cristiana, quand’era all’opera in ¡scuole cristiane, quando era professore in un liceo governativo, quand’era redattore d’un grande quotidiano. E’ stato costretto a lasciare una dopo l’altra tutte le sue posizioni. Spesso ha dovuto passare attraverso spaventose crisi interne ed esterne. Il giorno in cui, nel primo liceo di Tokyo, il direttore svolse in un’assemblea solenne ¡’originale del rescritto imperiale su 1’Educazione ch’era stato di recente pubblicato e ch’era venerato al Giappone come una rivelazione divina, ed invitò tutti i professori ad inchinarsi davanti la firma del sovrano, Utscimura, senza abbassare il capo, si voltò e rientrò nelle file. Perdette cosi d’un tratto il suo posto, il suo buon nome ed ebbe a lottare sette anni con la miseria. Un altro esempio. Nei giorni che precedettero la guerra russo-giapponese, quando l’entusiasmo guerresco era spinto al più alto grado, Utscimura scrisse nel “Yorozu Choto „, uno dei più grandi giornali di Tokyo, una serie d’articoli a favore della pace. ' Ben presto fu costretto a lasciare la redazione del giornale. Tutte queste cose ed altre del genere, hanno reso il nomedi Utscimura celebre in tutta la nazione facendolo oggetto di odio; fu considerato e spesso lo considerano ancora come un ribelle,
un uomo reo d’alto tradimento, uno spione russo.
« D’altro lato egli s’è guadagnati molti amici. Quanto più vivaci erano le sue lotte, tanto più intime diventavano le relazioni ch’egli aveva con coloro che lo capivano. Qua e là, dispersi
KANSO UTSCIMURA NEL SUO STUDIO
in mezzo al popolo giapponese, molti sospiravano alla libertà dell’Evangelo per la quale Utscimura metteva a rischio la sua vita. Quel eh’essi bramavano, lo trovavano abbondantemente ne’suoi scritti, ne’suoi discorsi, nelle sue lettere, nelle sue visite. Egli ha scritto molto pei suoi compatrioti! : e specialmente due dei suoi libri hanno fatto un gran bene, uno intitolato: “ Kuy-an-roku „ (Come ho trovalo la pace) e l’altro: “ Come ho trovalo la
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consolazione nei mìei doloriUtscimura ha compreso a poco a poco che la propria vocazione è quella dello scrittore e da allora egli si è dato tutto a questa attività. Da parecchio tempo va pubblicando una rivista mensile che portava prima il titolo: “ Dokuritsu zasshi (Pagine libere), e che oggi si chiama : “ Seisho no Kenkyn (Lo studio della /fibbia). Soltanto l'eternità rivelerà completamente fin dove s’è sparsa la semenza di vita religiosa ch’egli ha lanciata, e quali frutti essa ha fatto crescere.
« Il lettore europeo che non conosce nè l’ambiente, nè il paese in cui quest’uomo lavora, potrebbe crederlo in stretti rapporti con i missionari cristiani e le Chiese cristiane indigene. Cosi non è. Utscimura conserva, nella cristianità giapponese, una posizione isolata. Non riceve onorario da alcuna missione straniera, nè è al servizio di alcuna Chiesa indigena. La liberià è stata per lui la cosa più cara. Solo essa l’ha reso capace di divenire il servitore di tutti. In tutte le Chiese, cattolica, battista, metodista, russa ortodossa, congregazionalista o presbiteriana, si contano amici che gli sono debitori della loro felicità ; la sua influenza si è fatta sentire in tutte queliti Chiese ».
* • «
Così scrive di questo forte cristiano giapponese il Gundert nella sua prefazione alla traduzione tedesca dell’autobiografia dell’Utscimura (« Wie ich ein Christ wfirde ? »). Non è vero ch’esse c’invogliano a sapere qualche cosa di più di questo 1x4 carattere? Ebbene prendiamo in mano la recentissima traduzione francese dell’autobiografia (i) e cominciamone la lettura. Cominciatala, non sappiamo interromperla ed arriviamo all’ultima pagina con l’impressione d’aver fatto un’eccellente lettura, con l’impressione del bene che ci ha fatto il contatto con l’uomo e con le sue esperienze e col rammarico di non poter conoscere ne’suoi particolari il resto dell’operosa vita che continua a svolgersi in una azione di sincerità profonda per la cultura dell’anima della nazione.
L’autobiografia si ferma infatti all’epoca del suo ritorno in patria e tralascia quindi tutta l’azione che l’Utscimura ha svolto dopo il lungo periodo di crisi per cui passò l’anima sua sincera. Il titolo del libro è dunque esatto. E’ la storia (Vana crisi d’anima.
ii) Kanso Outchimouka, La erite d'ante d’un Jafc-nais, ou Continent je suit devenu ehrì tieni Pagine zio; ¡«rezzo !.. 3. Porto 0.05 — Rivolgersi alla Libreria " Iti fchnii „.
La sua conversione al cristianesimo non avvenne in un giorno. « Molto tempo dopo aver cessato di prosternarmi davanti gl’idoli, si, anche molto tempo dopo il mio battesimo cristiano, non possedevo ancora, la fede reale che ora mi sembra indispensabile ad un cristiano... Le pagine che seguono non hanno altra pretesa che quella di descrivere apertamente e sinceramente le diverse crisi di accrescimento spirituale per le quali sono passato.
« Avevo da molto tempo l’abitudine — scrive egli nell’introduzione — di tenere un giornale in cui annotavo i miei pensieri e gli avvenimenti della mia vita. Cosi mi era possibile imparare a conoscer me stesso e ne provavo una gioia singolare. 1 miei progressi, le cadute, gli scoramenti, le gioie, le speranze, le colpe, i dubbi, tutto vi era notato con cura. Questo cumulo di osservazioni aveva è vero qualche cosa di opprimente, ma io vi trovavo maggiore interesse che in ogni altro studio. Questo mio diario amo chiamarlo « il mio giornale di bordo » : descrive infatti il viaggio e la rotta giornaliera del mio naviglio verso il porto celeste: traversata compiuta oh fra quante lacrime, mancanze e dolori ! Potrei fors’anche chiamare questo diario « le esperienze di un biologo», poiché vi sono catalogati tutti i gradi diversi dello sviluppo di un’anima, dal germe alla spica ».
Da questo diario apprendiamo dunque come egli fin da bambino sentisse profondamente la sua religione e ne praticasse con scrupolo i precetti. « Ciò che mi umilia di più — egli scrive in un rapido ma significativo quadro spirituale — pensando al passato, sono le tenebre dello spirito in cui andavo errando, guidato solo da una spaventosa superstizione. Credevo sinceramente che il dio particolare d’ogni tempio — ed i templi sono infiniti — vi avesse la sua residenza, geloso del suo dominio e vendicativo contro i trasgressori. Particolarmente veneravo il dio della scienza e della calligrafia ; coscienziosamente, con sacrifici ed adorazioni particolari gli dedicavo il venticinque di ogni mese, mi prosternavo dinanzi alla sua immagine, implorando ardentemente il suo aiuto per migliorar la mia calligrafia e consolidar la mia memoria.
« V’è anche un dio che presiede allo sviluppo del riso, e che è servito da volpi bianche. Si supplica questo dio affinchè guardi le case dagli incendi e dai ladri. Cosi, particolarmente nelle assenze del babbo, il più delle volte in viaggio, io, rimasto solo con la mamma, pregavo con insistenza il dio del riso di preservare da ogni disgrazia la nostra casa.
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« Ma più d’ogni altro, temevo il dio che credesi sia lo scrutatore dei cuori. Egli ha per simbolo un corvo e il custode del suo tempio distribuisce dei foglietti con la figura di questo uccello, i quali foglietti, secondo la credenza, producono immediatamente al mentitore che ne inghiotta uno, sputi sanguigni. Quante volte per convincer di calunnia i miei compagni che mi accusavano come bugiardo, ho ingerito simili foglietti ! Spesso anche pregavo il dio che guarisce il mal di denti, di cui soffrivo atrocemente, e la ingiunzione fattami da questo dio di non mangiar più pere ebbe un effetto felice. Dirò incidentalmente che la proibizione fattami era molto sensata, poiché come ho appreso da studi fatti in seguito, il succo zuccherino di questo frutto ha un effetto deleterio sui denti malati. Tutte le superstizioni non si spiegano però cosi facilmente. Un dio proibiva di mangiar le uova, un altro i fagiuoli, e cosi di seguito, per modo che ben presto molti dei miei alimenti preferiti mi furono interdetti. A volte poi le ingiunzioni di un dio urtavano contro quelle di un altro, ciò che creava apprensioni e scrupoli ad una coscienza delicata.
« Cosi divenni timoroso e dubbioso, volendo contentare questi diversi dei. Mi formulai pertanto una preghiera che poteva adattarsi a tutti — ve ne sono più di otto milioni! —. alla quale, quando passavo dinanzi ad un tempio, aggiungevo una domanda particolare per ciascuno di essi. In verità, quando per disgrazia diversi templi erano vicini fra di loro, il ripetere sempre la stessa litania era molto noioso ; e spesso ho preferito percorrere un cammino assai più lungo per fare a meno di tanti atti di adorazione, senza rimorso. Ma siccome gli dei crescevano di numero ogni giorno più, ben presto la mia piccola anima si trovò nell’impossibilità di accontentarli tutti. Alfine venne la liberazione ».
Fu tratto dalla curiosità a frequentar la domenica le cerimonie del culto cristiano, e ciò che lo colpì maggiormente furono i canti, i discorsi, l’amabilità dei cristiani. Ciò finché non si pensò di farne un proselite, poiché, allora tutto il suo essere si ribellò, giacché, come egli scrive, gli pareva, accettando una credenza straniera, tradir la patria e rinnegar la sua fede, venendo a mancargli tutto ciò che sino allora aveva costituito la base della sua vita morale e del suo patriottismo..
Ma alla scuola superiore di agricoltura di Sapporo dove un professore cristiano era riuscito ad evangelizzare molli degli alunni, questi costrinsero l’Utscimura. che allora aveva 16 anni, un po’contro volontà, a dichiararsi
cristiano. Ciò che lo colpì subito fu l’utilità pratica delle nuove credenze di fronte alla caterva infinita degli dei con le loro imposizioni e proibizioni. Sinceramente egli confessa : « Un solo Dio! Ecco alfine una lieta notizia per l’anima mia. Ciò aveva fatto di me un uomo nuovo e ricominciai a mangiare i fagiuoli e le uova. Pensavo da neofita ingenuo di aver compreso tutto il cristianesimo per il solo fatto di credere in un solo Dio. Contut-tociò l’affrancamento morale derivante da questa fede, esercitava già una buona influenza sul mio spirito ». Ma serio e riflessivo come era, la sua fede veniva sempre più affermandosi e sviluppandosi. Con altri colleghi, neofiti come lui, avevano luogo delle riunioni in cui parlavano di cose dello spirito. « 1! 31 marzo del 1878, egli scrive, leggemmo in una di tali riunioni il XII capo della lettera ai Romani, e ci sentimmo fortemente turbati perchè in verità non ce la sentivamo davvero di offrire del pane al nostro nemico se egli avesse avuto fame». Il 21 aprile, così reca il suo giornale: « Stamane alle 9. riunione di preghiera : per la prima volta mi son sentito pieno di felicità».
Sempre più fervente e capace di sé, finalmente il 2 giugno 1S7S riceveva con sei camerati il battesimo.
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Dopo avere con i compagni costituito una vera chiesa e lavoralo per gli anni che gli restavano di scuola e per i primi tempi della sua professione ad evangelizzare con l’esempio, con l’opera e con la parola le umili plebi, dopo avere con un lavoro perseverante e con ammirabile costanza convertito alla nuova fede il padre, la madre, i fratelli, una nostalgìa lo prese. « Malgrado tutto, egli esclama, la mia anima non era soddisfatta. Il cristianesimo sentimentale di per se stesso vuoto e vacuo, non aveva avuto altro effetto che farmi sentir di piti ciò che mi era necessario e che mi mancava. Perciò, impossibilitato a trovarlo nel mio paese, decisi di cercarlo altrove. Pensavo : nei paesi in cui da tanti secoli regna il cristianesimo, la pace e la gioia devono pur regnarvi in proporzione tale che noi pagani possiamo appena immaginarla. Ivi, certo, un amico sincero della verità ha molte maggiori probabilità di trovar questa pace e questa gioia, e di farle sue. Era questa per me la perla di gran prezzo — per cui, come dice l’evangelo, s’à da vender lutto per acquistarla — il segreto della forza.e della vita... ».
L’America — egli aveva conosciuto il cristianesimo traverso uomini e libri di lingua
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inglese — gli appariva nei suoi sogni un paese ideale dal lato religioso, e malgrado gli fosse stato assicurato da diversi che era un paese in cui non si adorava che il vitello d’oro e pieno di pregiudizi di razze, gli sembrava assolutamente incredibile che la patria di un Lincoln e di un Girard potesse avere siffatte tendenze. La civilizzazione cristiana l>areva al suo cuore talmente superiore alla pagana che l'America doveva senza fallo essere una specie di terra santa. E ne volle far l'esperienza. Triste esperienza davvero!...
Cito qua e là dal suo libro : « Fino al momento del mio sbarco in America della razza caucasiana non avevo conosciuto che missionari. Ciò in’induceva a credere che ogni persona che avrei incontrato sarebbe stata un messaggero del Vangelo incaricato di un’alta missione cristiana. Non mi affrancai che lentamente da questa puerile concezione. Parole ed espressioni che noi non proferivamo che col più profondo rispetto, erano qui usate, ad ogni istante, da operai, da vetturali, da lustrascarpe, ed anche da gente di più elevata condizione: ad ogni minimo fastidio o contrarietà, infatti, giuravano c bestemmiavano; Simile cosa era per noi affatto nuova. Dapprima non sapevo il perchè del quarto comandamento : ora lo comprendevo ».
«... Giunti appena a San Francisco, la nostra fiducia nella civilizzazione fu messa a ben dura prova. Un furfante rubò ad uno di noi — l’Utscimura era allora con vari altri giapponesi — la sua valigia ed una moneta da quattro dollari. Ne concludemmo che, come fra i pagani, cosi anche fra i cristiani v’erano dei ladri »,
« Un anno dopo, su di un battello mi rubarono il mio ombrello di seta. Mi arrabbiai tanto che, per la prima ed ultima volta in vita mia, pregai il Signore di dannare all’inferno quel miserabile che privava dell'unico riparo un uomo senza rifugio e senza tetto. Per quattordici secoli la civiltà cinese era riuscita a far si che nessuno si appropriasse di un oggetto trovato per via, e qui, in terra cristiana, su questo palazzo natante, mentre si eseguiva musica di Händel e di Mendelssohn, le mie cose erano tanto al sicuro, quanto in una spelonca di ladroni! Questa mancanza di sicurezza era, in verità, adatto nuova per noi. Ci colpi, ad esempio, l’enorme numero di chiavi che i cristiani adoj>erano. In Giappone sono quasi sconosciute : le porte sono aperte a tutti : nessuno pensa neppure che i domestici o i vicini possano derubarlo di qualche cosa. Nella cristianità sembra invece che le cose procedano all’opposto. Qui si chiude
lutto: porte, finestre, casse, armadi, ghiacciaie, zuccheriere. Tutto in casa è chiuso con cura come se il cattivo genio del furto fosse nell’aria».
Ma ciò che soprattutto colpi l’ Utscimura furono i pregiudizi di razza. In ciò, egli afferma, la cristianità gli parve affatto simile al paganesimo. Nel suo libro dedica varie pagine, dènse di riflessioni e di amare deduzioni, alle persecuzioni che gente d’altra stirpe subisce in America, particolarmente gli indiani, i negri ed i cinesi. Un suo amico americano giunse a dirgli una volta, in risposta ad una osservazione sulla segregazione in cui erano tenuti i negri, che avrebbe preferito esser pagano e nón avere a che far con i negri, che l’esser cristiano e dover viver con essi ! Ed in rapporto ai Cinesi più odiati ancora delle altre razze, I’ Utscimura osserva amaramente : « Noi pagani non abbiamo veduto mai nulla di simile. Il popolo che manda i suoi missionari in Cina per strappare le genti all’errore di Confucio e alla superstizione buddista, questo stesso popolo non ha per il Cinese che emigra nelle sue terre che orrore o disprezzo. Si è vista mai più evidente contraddizione?».
Ad altre cose molto poco cristiane egli accenna, come le lotterie di denaro, la passione per giuochi brutali e violenti, il linciaggio dei negri, la (rivalità fra le varie chiese, il commercio dell’alcool sviluppato sino all'inverosimile, la tirannia dei capitalisti e l’impudenza degli operai, le follie dei milionari, l’ipocrisia coniugale degli sposi... « Ed è proprio questa — si domanda — la civilizzazione che i missionari citano a prova della superiorità della religione cristiana sulle altre? Una vera pace? Ah è ben l’ultima cosa che possa trovarsi nella cristianità odierna! Invero non v’è altro che torbidi, confusione, manicomi, carceri, case di correzione, focolai di miseria!».
Pittura terribile, esagerala quanto si voglia, ma ben comprensibile, naturale, in chi, cristiano dell'ultima ora, sentiva in se viva, fiammante la propria fede e la conciliava con le opere, di fronte ai pretesi cristiani delle ore prime, nati e cresciuti con tal nome, ma del Cristo e delle sue volontà immemori ed indegni. Cosi egli ha ben ragione nel concludere questo fiero atto di accusa, contenuto nel capitolo: ZZ mio primo con tallo con popoli cristiani : « Mai più difenderò il cristianesimo usando dell’argomento eh’esso è la religione dell’America e dell’Europa. Una apologia di tal fatta non solo è estremamente fragile, ma può produrre gravi conseguenze. La religione che dev’essere un punto di appoggio per una anima immortale, deve avere per se basi ben
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più solide e profonde di questi sofismi... E dire che era proprio su questa sabbia mobile che io avevo dapprima fondato tutto l’edificio della mia vita religiosa !... ».
Come dunque dopo una prova cosi disastrosa l’Utscimura è restato cristiano? Certo se la sua fede fosse stata nuli'altro che un dilettantismo o una sentimentalità, la disillusione provata sarebbe stata fatale. Ma egli era invece uno scrutatore continuo dell’anima propria, che alla propria fede cercava uniformarsi, che di essa vìveva. Aveva perfettamente compreso, traverso le sue prove, che non è la pace esterna, la gioia perfetta che un cristiano possa cercar quaggiù fra gli altri uomini, ma che solo nell’intimo del suo spirito tranquillità e serenità può trovarsi, nel conseguimento della verità.
« Tanto più mi è stato possibile — egli afferma — sentire in me la potenza della verità cristiana, in quanto ero nato pagano. Ciò che a chi è nato cristiano sembra piccolezza e cosa ordinaria, è stato per me una rivelazione di cui ho ringraziato Dio. Ho potuto osservare in me stesso lo sviluppo e l’affermarsi del cristianesimo di tutti i diciannove secoli della sua esistenza; e quando ho superato la crisi, mi son trovalo in condizione di comprendere lutti i gradi dell’emozione religiosa, tutte le mentalità, da quella di un’idolatra a quella di un’anima liberata da Cristo Crocifisso. Non tutti, certo, i figli di Dio provano tali esperienze ; esse almeno sono riservate a noi, chiamali all’undicesima ora, quasi a compenso delle lunghe tenebre in cui fummo avvolti.
E prosegue nella difesa ilei cristianesimo, che egli ha profondamente compreso, dichiarando nettamente, che occorre distinguere con cura fra il cristianesimo propriamente detto e quello travestito dai suoi seguaci... Molti attaccano quel che ritengono essere il cristianesimo e che non è invece che una superstruttura di cristiani increduli.
« Ma che cosa è il cristianesimo? Non è la Bibbia, benché la sua essenza si trovi contenuta nei libri sacri, e non è neppure un catalogo preciso di dottrine che gli uomini son venuti a |x>co a poco formulando a seconda delle necessità di varie epoche... Noi diciamo che il cristianesimo è la verità. Ma è impossibile definire la verità, occorre praticarla. Eppure la verità ci sta dinanzi e noi dobbiamo raggiungerla.
« Il cristianesimo ci mostra la via da seguire, più chiaramente e più sicuramente che tutte
le altre religioni... benché queste, particolarmente le orientali, abbiano anch’esse i loro pregi, ed abbiano relazioni col cristianesimo. Noi non dobbiamo calunniare le altre religioni per provare, ad esempio, che soltanto il cristianesimo ha del valore. Se, poniamo il caso, i Cinesi o i Giapponesi praticassero veramente i precetti del loro Confucio, noi avremmo, in Oriente, una « cristianità » migliore di quella degli Stati Uniti o dell’ Europa. Noi accettiamo con gioia il cristianesimo perchè esso ci aiuta a raggiungere il nostro ideale. Esso è superiore al paganesimo perchè dona la forza necessaria per osservar la legge : è il paganesimo più la vita. Solo per il cristianesimo la legge morale può essere realizzata perchè esso è V anima della legge. Solo esso opera dall'interno all’esterno: non solo ci ci mostra il bene ma ci rende buoni ; non solo ci indica il cammino, ma ci sospinge in esso ; non è solo la via ferrata ma è la locomotiva. Lo studio delle religioni comparate non mi ha mostrato nessun’aitra religione che faccia altrettanto.
« Ecco dunque che cosa, almeno per me, è il cristianesimo: la liberazione dal peccato per la grazia redentrice del Figlio di Dio. Questa ne è Vessenza. Non abbiamo il diritto di far capo d’accusa contro il cristianesimo del fatto che gli uomini sono cattivi: dobbiamo magnificarlo per essere riuscito a dominare questi caratteri ribelli. Che sarebbero divenuti questi popoli senza il cristianesimo?
« Un secondo carattere del cristianesimo è che il bene, nella cristianità, è più facilmente realizzabile ed ha più influenza che nel paganesimo. Un solo Lloid Garrison. uno sconosciuto, ed ecco l'affrancamento della razza negra. Un solo John Gough ed ecco dichiarata la guerra all’alcoolismo. Simili uomini quando anche sieno minoranza non saranno mai dei vinti. La giustizia è per essi la forza': un atto di giustizia ha più valore ai loro occhi che cumuli d’oro®.
Quindi 1’ Utscimura continua nella sua mirabile apologetica in brevi tocchi illustrando altre virtù del cristianesimo come l’elevazione della coscienza collettiva, la radicale distinzione tra bene e male, la consolante dottrina della risurrezione. In Giappone e nei popoli orientali, come egli dice, un uomo di qua-rant’anni è considerato come vecchio. Appena i figli hanno raggiunto il loro completo sviluppo, i genitori non lavorano più, nella certezza che i figli penseranno ad essi. Giunti ad una data età tutti si dànno ad oziare. I cristiani operano diversamente. Il missionario ludson, dopo le enormi fatiche durate tutta
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BILYCHNIS
la sua vita d’apostolo, diceva — è l’Utscimura che ricorda questi esempi*: — « Vorrei vivere e lavorare ancora a lungo: ho l'eternità per riposarmi. E Victor Hugo scriveva a 82 anni : « Tengo occupate tutte le mie ore perchè amo questa terra come la mia patria ». A questo l’Utscimura contrappone il poeta cinese Tao Yuen Ming che nella sua vecchiaia non sapeva far altro di meglio che ubriacarsi, e tanti suoi compatrioti che non lavorano più appena comincia a nevicare sui loro capelli. « So che la fisiologia — aggiunge — ha creduto spiegar questo con la diversità dei climi e del genere di vita ; ma tale 'spiegazione è puerile poiché sta il fatto che, a dispetto del clima, noi possiamo cambiare. E’ invece al cristianesimo che io attribuisco il progresso dei popoli cristiani. Qualunque sia la difficoltà morale che loro si pari dinanzi essi hanno il coraggio di superarla ; qualsiasi miseria ai loro occhi può guarire ».
• « •
Il libro dell* Utscimura termina con l’indicare ai cristiani quale dovrebbe essere la loro missione verso i pagani e come condotta. Vi abbiamo letto con singolare attenzione delle profonde verità, una particolarmente. Dopo aver detto che i pagani desiderano il cristianesimo se intelligenti ed anche se non troppo intelligenti, appena la ragione baleni loro dinanzi, benché giungano a tutta prima a prendere a sassate i missionari, aggiunge con fierezza: «Credo che non vi sarebbe stato mai nessun giapponese che avrebbe preso a sassate lo stesso Cristo! ». Quanta tristezza e quale ammaestramento in queste poche parole!
1 pagani, conclude con sincerità lo scrittore, hanno bisogno del cristianesimo, non degli ismi diversi in cui si è venuto rimpicciolendo. Ne hanno bisogno « perchè esso abbia a rendere la loro anima, la loro vita, più forte, più viva..., non la vita di una farfalla ina quella di un’aquila, non la delicata perfezione di un fiore ma la colossale robustezza di una quercia. Il paganesimo bastava alla loro infanzia, ora, nella virilità, ha bisogno del cristianesimo! ».
• * «
Kanso Utscimura, tornato in patria, lavora da anni a realizzare il suo sogno bello di condurre i suoi fratelli a Cristo, di diffondere l’anima sua in cui il Cristo regna. È un operaio dell’undecima ora, ma ha ben meritato la sua giornata più di quelli chiamati primo mane! Er.
li Cristianesimo in Italia.
ARNALDO DELLA TORRE,// Cristianesimo in Italia dai Pìlosojisti ai Modernisti. Palermo, Remo Sandron, editore. (L. 6).
L’A. ha inteso fare con quest’opera una appendice, per l’Italia, all’Orpheus di Reinach, che egli stesso ha tradotto nella nostra lingua. Ha voluto narrare le vicende religiose d’Italia dal 1750 ad oggi, inquadrandole e lumeggiandole con opportuno e giusto criterio storico con la successione dei fatti politici che formavano, volta a volta, l’ambiente.
Non si è contentato però l’A. di fare opera di storico, ma ha assunto spesso la veste di critico. Dobbiamo però dire subito che la parte critica del volume non è certamente alla pari con quella storica. A parte infatti i giudizi personali sui vari uomini e sulle diverse tendenze non sempre esatti e qualche volta poco ponderati, lo sviluppo stesso dell’opera intrapresa non consentiva un esame dettagliato ed una discussione e valutazione perfetta di sistemi, di teorie, di posizioni personali diversissime. Era troppo grande il campo abbracciato dallo studio per permettere di aggiungere elementi individuali al resoconto storico. I fatti dovevano parlare di sé.
Anche i fatti, del resto avrebbero qua e là voluto un più accurato trattamento. Ne cito, ad esempio, un solo, che essendo relativamente recente avrebbe potuto domandare maggiore esattezza. A pag. 367, l’A. parlando dell’enciclica di Leone XIli Grave* de communi (18 gennaio 1901) afferma che essa determinò nelle file della democrazia cristiana uno scoppio di gioia anzi il peana del trionfo. Ebbene, chi scrive questa nota, ricorda come quell’enciclica, all’infuori della consacrazione ufficiale del nome di democrazia cristiana, fu per il resto una grave delusione, dirò quasi una staffilata sentita dalla giovane organizzazione. E i discorsi e gli articoli di allora ebbero precisamente lo scopo di far valere la piccola parte favorevole per attenuare, di fronte agli avversari, il colpo reale ricevuto. Sempre sull’argomento della democrazia cristiana rileverò che il giornale il Domani d’Italia che l’autore dice « quotidiano » (pag. 36$) era invece set-
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TRA LIBRI E RIVISTE
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timanale, e che l'organo della Lega Democratica Nazionale non si chiamò /’Unione democratica (pag. 271), ma l'Azione democratica. Noto ciò solamente perchè, in un’altra edizione, l’A. possa correggere varie mende oltre queste e rendre il suo volume più perfetto.
Poiché il libro ha, nonostante tutto ciò, un valore reale tutt’altro che trascurabile. Infatti chi vuole avere una visione compieta degli eventi storici interessanti il problema spirituale in Italia in questi ultimi due secoli, deve ricorrere a questo libro; particolarmente esso è lodevole perchè costituisce un vero repertorio bibliografico in materia, ed una infinità di libri, di opuscoli, di rarità di stam|>e vi si trova noverata, offrendo allo studioso un aiuto non indifferente per ulteriori ricerche e per memorie più dettagliate. Da questo punto di vista si dice cosa giusta affermando che questo volume del Della Torre colma la tradizionale lacuna, che era divenuta amplissima e profonda, di modo che, se un diligente raccoglitore di elementi quale l’A. si è rivelato non vi avesse posto riparo, molto materiale storico sarebbe forse rimasto dimenticato, chi sa per quanto tempo, sotto la greve polvere nelle biblioteche.
Per questo ci piace raccomandare il suo libro, nella speranza che, nella rinascita di questi studi e nell’attenzione sempre crescente per i problemi dello spirito, vi sia chi se ne sappia giovare. E. Rutili.
La vita religiosa in America-WILHELM MÜLLER, Das religiöse Leben in Amerika (La vita religiosa in America). Jena, Eugen Diederichs Verlag, (Marchi 4.50).
Nessuna regione olire maggior campo di studio sul fenomeno religioso come l’America dei Nord, nelle cui libere istituzioni civili, che han saputo realizzare perfettamente la assoluta separazione delle Chiese dallo Stato, si sviluppano pacificamente le varie tendenze religiose. L’autore del libro di cui ci occupiamo ha con serietà e con competenza osservato quale sia la vita religiosa in questa grande moltiplicità di confessioni e ce ne ha presentato un quadro molto interessante, sebbene a volte sommario, in cui ad una esposizione storica e statistica sono congiunti elementi personali di osservazione e di valutazione che rendono l’opera degna della maggiore attenzione.
Il volume è diviso in due parti. La prima dà uno sguardo generale alle principali fra le manifestazioni della vita religiosa nel nord,
nel centro e nel sud degli Stati Uniti, fermandosi a considerare brevemente la posizione delle diverse chiese, i puritani, gli unitari, i quaccheri, i metodisti, i cattolici, ecc., con vari altri capitoli dedicali alia storia della separazione della Chiesa dallo Stato, ai trascendentalismo, ad Emerson e alle sue dottrine.
La seconda parte è molto più diffusa ed anche più interessante poiché in essa si considerano le più nuove fra le manifestazioni spirituali. Questa parte comincia con un capitolo sul Protestantesimo e il moto del 1848 notando l’origine, lo sviluppo, la posizione attuale di questa evoluzione. Studiando poi il Giudaismo americano fa risaltar pienamente le differenze fra gli ebrei ortodossi, i conservatori e i liberali i quali ultimi hanno un nuovo concetto dell’avvento del Messia e possono considerarsi come innovatori radicali nella loro religione. Il « Sionismo, e l’avvenire del giudaismo in America formano pure oggetto di studio per l’A. Vengono poi in brevi pagine esposte le vicende e le statistiche del Mormonismo, dello Spiritualismo, della Scienza Cristiana, del « nuovo pensiero », del-l’Anima universale, del Sionismo di Dowie-, della Religione naturale e il culto Walt-Whit-man, e dell’ultima religione sorta da qualche anno in California per opera di Beniamin Fay Mills chi ha precisamente per nome « il cameratismo di Mills».
Ma più ancora che chiese o sette il Mfiller si ferma ad osservare la religiosità esplican-tesi in altre forme al di fuori o col concorso delle varie credenze. A ciò è dedicata una buona metà del volume, in cui l’A. delinea con chiarezza e con sufficiente diffusione la storia della « Società per la Cultura etica » degli « Ordini Religiosi laici (L'Unione dei Giovani Cristiani, l’Armata della Salute, (’Unione delie Aspirazioni Cristiane)». Un capitolo è dedicato al ridestarsi degli spiriti ed alle conversioni, un altro alle guarigioni ottenute per fede (psicoterapia, ipnosi, suggestione religiosa, ecc.). Le opere della Chiesa per i lavoratori e l’influsso su questi, l’eccle-siasticismo in America, il liberalismo religióso (positivismo di Harrison, pragmatismo di James, la posizione dei socialisti americani, il mitismo, ecc.), ed infine la religione dell'avvenire, in cui l’A. raccoglie le voci e gli elementi preconizzanti la futura vita religiosa in America, sono i quattro ultimi capitoli di questo libro, la cui importanza può essere già sufficientemente rilevata da questo cenno schematico.
Ripeto che, dal punto di vista storico, difficilmente potrà trovarsi in altri libri anche di
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BILYCHNIS
maggior mole tanto materiale quanto ne è condensato in questo. Ciò forma il pregio essenziale del volume. Ed invero non è questo un piccolo pregio.
E. Rutili.
Enrico Stanley.
Enrico Stanley ben meritava di essere ricordato agli italiani come una delle più nobili e più energiche figure dell'età nostra, ed a ciò ha opportunamente provveduto l’editore A. E. Formiggini di Genova, dedicandogli un volumetto dell’ormai celebre collezione dei Profili. (I.. i), dovuto alla penna di A. A. Michieli.
II nome vero dello Stanley era John Row-land: era nato nel 1S41 in un piccolo paese del Galles e a sei anni era stato abbandonalo dai suoi in un asilo di mendicità a subire le infami vessazioni di un maestro che era un vero rifiuto sociale. In quel tristissimo ambiente, nei nove anni che vi rimase, il giovanetto trovò nella fede che io animava la sola forza per procedere, quella fede ferma ed irremovibile nella Provvidenza che. lo sorresse sempre nel suo avventuroso cammino. A quindici anni, saltato il muro di cinta, fuggiva dal ricovero per sottrarsi alla bestialità del maestro, e dopo varie ripulse veniva assunto come garzone di campagna, poi come fattorino di un mereiaio e di un macellaio, quindi, con un inganno, mòzzo di cabina compensato con frustate.
Sbarcato a New Orleans portando sotto il braccio, unico suo tesoro, una bibbia avuta come premio al ricovero, per intercessióne di un cerio Stanley, entrò al servizio di un ricco commissionario. L’uomo che provvidenzialmente davvero si era interessato di lui, lo adottò poi come figlio dandogli il suo nome Henry Norton Stanley. « Nei sogni e nelle fantasie
« dei miei primi anni —scriveva più tardi nelle « sue memorie il povero fanciullo abbando-« nato, divenuto uomo celebre — avevo spesso «cercalo d’immaginarmi come sarei slato se « avessi avuto il babbo e la mamma. Che « estasi se uno di loro mi fosse venuto incon-« tro ad offrirmi il suo amore come l’avevo « veduto dare ad altri. In fondo alle mie pre-« ghiere si rifletteva sempre questo desiderio « che io non sapevo esprimere a parole ; ed « ora come una risposta dell’ Invisibile veniva « questa meravigliosa manifestazione della sua « onnipotenza... Predisposto alla riflessione « con una forte ma secreta fede nella Provvi-« denza, riguardavo questo fatto principalmente « come il risultato di una mediazione di-« vina... ».
Questo l’inizio duro di una vita che doveva riuscir preziosa per la scienza e per la civiltà. Come lo Stanley divenne giornalista e corrispondente di guerra del New York Herald è inutile ricordare in questo cenno. Il 5 ottobre ilei 1869, egli riceveva da Parigi un telegramma di Gordon Bennet, il direttore del grande giornale, a Madrid dove egli si trovava. Gli si diceva solo: «Venite subito. Aliare importante». La sera dopò a notte fatta giungeva a Parigi, ed il Bennet, con brevi parole, lo incaricava di recarsi nel cuore dell’Africa inesplorata, alla ricerca di Livingstone. Stanley rispondeva : «Tuttociò che l’umana natura ha potere di fare io lo farò, e nella missione che sto per compiere, voglia Iddio esser con me ». L’indomani partiva. Dio, invocalo con si grande fede, fu con lui.
Come egli per quasi irent’anni a traverso l’Africa tenebrosa, in lotta con le più terribili difficoltà con la fame, con le malattie, con le asperità dei luoghi, con la ferocia degli abitanti, riuscì a scoprire immensi territori e a conquistare nel tempo stesso nuovi campi di azione all’umanità, lutto ciò è lucidamente narralo nel volumetto del Michieli.
Questo libro ha pertanto un doppio pregio : quello di rievocare la figura di un uomo grande e quello di mostrare quanto valga la forza della volontà in ognuno che sia dominato — come fu, per sua confessione, lo Stanley — dal pensiero « di non essere stato messo quaggiù per esser felice, ma per compiervi una missione».
Ernesto Rutili.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma. Tipografia dell’Unione Editrice, via Federico Cesi, 45
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BILYCHNIS. FASCICOLO DI FEBBRAIO 1914
PRIMO FASCICOLO D’ARTE DI “BILYCHNIS,,
DEDICATO AL NUOVO TEMPIO VALDESE DI ROMA
« II fascicolo di 24 pagine, grande formato, stampato su carta di lusso, è superbamente illustrato con 15 tavole — comprese le due a colori — che riproducono le vetrate, il pulpito, la tavola della comunione, la navata centrale, una delle navate laterali, e, s’intende, la facciata della cattedrale protestante di Roma, il tutto preceduto d’una buona introduzione in cui si mette in evidenza il lato artistico dèll’edifizio e la nuova tendenza dell’arte sacra fra gli evangelici italiani. Raccomandiamo caldamente la superba pubblicazione a tutti gli evangelici italiani e forestieri e specialmente a tutti coloro che non hanno avuto il privilegio d’ammirare sul posto le bellezze artistiche del nuovo Tempio». Echo des Vallées, 20 Febbraio 1914.
« La très interessante révue « Bilychnis », qui se publie à Rome, a bien fait de lui consacrer un numero special. Je voudrais que tous — pasteurs et laïques, architectes et artistes — le parcourent pour y admirer ces belles photographies (il y en a une trentaine...) surtout ils y remarqueront les seize vitraux exécutés d’après les desseins d’un jeune artiste, Paolo Paschetto... Ces vitraux représentant des symboles chrétiens, à eux seuls sont une invitation au recueillement et à la prière ».
Le Semeur Vaudois, 21 Febbraio 1914.
* Cette excellente Revue (Bilychnis) a consacré au monument un luxueux fascicule d’art... Nous recommandons à tous ceux qui s’intéressent à l’art religieux l’élégant album...» Evangile et Liberté, 21 Febbràio 1914.
« È il migliore ricordo che i cristiani evangelici possano serbare in memoria del grande avvenimento compiutosi in questi giorni nella capitale d’Italia. — Questa pubblicazione, veramente opportuna, è anche assai utile per il testo che non solo descrive il Tèmpio Valdese dal lato artistico, ma dice quale è la tendenza nuova dell’arte sacra in mezzo al popolo evangelico d'Italia.
Noi pensiamo che nessuna famiglia vorrà privarsi di una così interessante pubblicazione e la raccomandiamo a quanti vogliono essere al corrente di tutto ciò che interessa la vita religiosa della patria nostra ». L'Evangelista, 12 Febbraio 1914.
« E siamo grati alla direzione della rivista Bilychnis che ha pubblicato un elegantissimo fascicolo d'arte... magnificamente illustrandolo... Anche il testo è assai pregevole. Tutti i lettori della Luce dovrebbero procurarsi la splendila pubblicazione ».
La Luce, 12 Febbraio 1914.
Il fascicolo costa L. 2 (Estero L. 2.50);
Rivolgersi al Prof. Lodovico Paschetto. Via Crescenzio, 2 - Roma.
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Il
BILYCHNIS. FASCICOLO DI FEBBRAIO 1914
“BILYCHNIS” NEL 1914
I 12 fascicoli dell’intera annata comporranno due grossi volumi di oltre 400 pagine ciascuno, riccamente illustrati.
Abbonamento annuo per r Italia L 5 per l’estero L 8— Un fascicolo L. 1
L’abbonamento si può pagare anche a quote semestrali di L. 2.50 per l’Italia e L. 4 per l’estero
PREMI Al NOSTRI ABBONATI
1« La Direzione della* « Biblioteca di Studi Religiosi » offrirà in dono interamente gratuito ai nostri abbonati libri di sua edizione, ora in preparazione.
fi. La stessa Direzione concederà agli abbonati fortissimi ribassi per le pubblicazioni ch’essa ha in deposito e di cui daremo la lista sulle pagine verdi di Bitychnis.
3. Stiamo organizzando una Biblioteca Circolante per lo studio della Religione (storia, critica, filosofia della religione). Agli abbonati di Bitychnis sarà concesso l'uso gratuito della Biblioteca, di cui pubblicheremo presto il regolamento.
Inviare cartoline vaglia ai
Prot. LODOVICO PACCHETTO
Via Crescenzio, 2 - ROM fi
I NOSTRI LETTORI IN AMERICA
sono avvertiti che i seguenti nostri Agenti volontàri sono autorizzati a ricevere gli abbonamenti a Bilychnis
Rev. ANGELO Di DOMENICA
301, George St. NEW HAVEN, Conn. U. S. A.
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per l'Uruguay e là Repubblica Argentina.
LE DUE ANNATE di Bilychnis 1912 e 1913, due bei volumi di 600 pagine ciascuno, riccamente illustrati, sono in vendita ai seguenti prezzi: l’annata 1912 (rara) L, 6 in Italia e L. 8 all’estero; l’annata 1913 L. 4 in Italia e L. 6 all’estero
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BILYCHNIS. FASCICOLO DI FEBBRAIO 1914
Ili
LIBRERIA EDITRICE “ BILYCHNIS„
Informiamo i nostri lettori che abbiamo organizzato un servizio di libreria per i nostri abbonati ed amici, i quali da oggi potranno rivolgersi a noi per l’acquisto di libri di qualunque edizione in Italia e all’estero, compresi i libri di cui parliamo nella Rivista.
Servizio sollecito.
Non diamo corso alle richieste se non sono accompagnate dal relativo importo anticipalo.
1 committenti dall’estero aggiungano le spese di posta.
Accorderemo spellali facilitazioni a chi ci procurerà per il 1914 un nuovo abbonato a fìi/yc/inis.
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PAUL VALLOTTON
LA GRANDE AURORE
Volume in-8° di pag, 459
L. 3.50 (Aggiungere per il porto 0.40).
Vedine recensione In Bilychnls di gennaio 1914 pag. 67
KANSO OUTCH1MOURA
La crise d’âme d’un Japonais
COMMENT JE SUIS DEVENU CHRÉTIEN?
Pagine 220
L. 3 (Aggiungere per il porto 0.25).
Vedi recensione di questo interessantissimo libro in questo fascicolo di Bilychnis, pag. 153
SALVATORE M INOCCHI
IL PANTEON ORIGINI DEL CRISTIANESIMO Grosso volume di pag. 408 !.. 6 franco di porto.
indice: Parte prima; Il Tempio: I Profeti — La legge — La costituzione teocratica — — Misteri dell’oriente — Ellenismo — Giudaismo — La pienezza dei tempi.
Parte seconda: Il Cristo: Dalla legge al Vangelo — Dal mito alla storia — L’ammonitore (Giovanni Battista) —‘ Il Profeta — La fine.
IL LHOTZKY
L’ANIMA DEL FANCIULLO
Pag. 230 L. 3
Vedine alcune pagine in questo fascicolo di Bilychnis a pag. 137
Annunziamo con piacere la traduzione Italiana delia celebratissima opera:
ERWIN ROHDE
PSICHE
Culto delle anime e fede nell'immortalità presso I Greci PARTE PRIMA
Voi. di pag. 340. L. 5 (aggiungere L. 0.25 pel porto)
è uscito il 111 volume de
I JMLOI>E>RjNr I
Medaglioni di PAOLO ORANO Volume di pag. 350. L. 4 (aggiungere L. 0.25 pel porto).
Nel quale il nostro chiaro collaboratore tratteggia magistralmente le figure di Onorato di Mirabeau. —- G. Fed. Herbart. — Antonio Rosmini. — Ruggero Bonghi. — Leone Gambetta. — Giovanni Bovio. — Andrea Costa. — Giuseppe Sergi. —- Tullio Martello. — Benedetto Croce. — Arturo Labriola. — Ewin Szabò.
Di ciascun autore è dato il ritratto In fototipìa
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IV
BILYCHNIS. FASCICOLO DI FEBBRAIO 1914
ETUDES SUR MONTAIGNE
par M. DELL’ÎSOÉA
Volume di pag. 150. L. 2.50
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l’antico porlo di Roma, sul quale i recenti scavi hanno attratto l’attenzione universale.
1. Dante Vagli er 1 : OSTIA, cenni storici e guida. Voi. di 150 pag. con 5 tavole e 24 ligure. i....................... .. ... .. L. 4
2. Lod. Pascuetto : Ostia colonia romana; cennifslorici e guida. Volumetto di 40 pag.
con t pianta generale e 48 incisioni. !.. 1
GIUSEPPE SAITTA
La personalità di Dio e la filosofìa dell’ immanenza
Saggio storico filosofico
Pag, 50 grandi. L..3
GIUSEPPE FERRARI
La mente di G. 0. Romagnosi
(BIBLIOTECA DI FILOSOFIA CONTEMPORANEA)
Pag. 160. L. 2.50
MIGUEL DE UNAMUNO
Del sentimento tragico della vita
Parte Prima (BIBLIOTECA DI FILOSOFIA CONTEMPORANEA)
Sommario: 1. Del sentimento tragico della vita — 2. Salute e malattia — 3. L’ansia d’immortalità — 4. L’essenza del cattoli-cisnio — 5. La dissoluzione razionale — 6. Nel fondo dell’abisso.
Pag. 142. Prezzo L. 2.50
h uscito:
IL VANGELO DI CAGLIOSTRO
IL GRAN COFTO
con un proemio di Pericle Maruzzi su la vita di Cagliostro e su i Liberi Muratori del secolo XVIII. Elegante volume fregiato del ritratto di Cagliostro......L. 3
Del prof. CAMILLO PRIVERÒ, autore di La Teoria dei Bisogni, di. Il Problema del Bene, ecc. verso la metà di marzo uscirà:
Nuova Critica della Morale Kantiana in relazione alla Teoria dei Bisogni
GASTON RIOU
flux écoutes de la France qui vient
Sixième éd. Paris. 1913. Pag. 330.
L. 3.50 (aggiungere 0,20 per il porto).
indice: I. L’ennui de Boudda. Deux voyages: Arles. Valenciennes. — II. Les arcs-boutants du sanctuaire. Quatre livres témoins: Un livre du comte Albert de Mun. Un livre d’André Mater. Un livre de Paul Sabatier. Un livre de Julien de Narfon. Le bilan du modernisme. —- III. Crise ou décadence. Orientation actuelle de la littérature française. Lettres aux «Jeunes de France».
GLI EDHNGELI E GLI GITI DEGLI APOSTOLI
Ultima Persiane riveduta. — Roma, (913.
Rilegato. Pag. 260. Una copia affrancata in Italia L. 0.65 estero L. 0.80
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Il divino nell’educazione
SAGGI DI PEDAGOGIA
Pag. 127,. L. 1.50
EDOARDO TAGLIALATELA
TOLSTOI E in SAVIEZZA hifhntile
Pag. 96. L. 1
PAOLO ORANO
ALTORILIEVI
Federico Svevo — Richelieu — Voci d’Abruzzo — Sicilia — lì mistero sardo — La mente di Roma — Ad Metalla ~ il sermone della vallata.
Pag. 240. L. 3.50
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BILYCHNIS. FASCÌCOLO'DI FEBBRAIO 1914
E. S. GREW
LO SVILUPPO DI UN PIANETA
Torino. 1914- Pag- 450. L. 6 (aggiungere L. 0.25 pel porto).
Indice: La formazione di sistemi solari — L’origine dei satelliti — Sfere che si raffreddano — Analogie planetarie — L'interno della Terra — La forma della Terra solida — L'azione vulcanica — L’atmosfera
Il mare antico — Gl’inizi della vita, ecc. — Età e clima — L’inlluenza della vita — Successione geologica — Sviluppo organico — Il regno animale — La durata dell’uomo.
A. DI DOMÉNICA
for Christian Workers
The Italian Helper
Parte I. Conversazioni — Parte IL Grammatica. — Appendice: Parte liturgica — Rilegato pag. 140. L. 2.50. Brochure 1.75
Il bel volumetto è stato preparato per aiutare i Ministri evangelici di lingua inglese, che s'interessano degli emigranti italiani, a comprendere gl’italiani stessi e la loro lingua.
W1LFRED MONO!)
DÉLIVRANCES
(SERMONS) .
L. 3.50 (Aggiungere 0.30 rer porlo).
Indice'. Autels — «Ecce homo!» —- Les pauvres — Suivre — Le monde — «O mes enfants » — L’aiguille et le chameau — La guerre — « Beaucoup des justes » — Servir - Soffrir pour la communauté — « Crois-tu aux prophètes? — Le Christ spirituel.
W. RAUSCHENBUSCH
Pour Dieu et pour le peuple
PRIÈRES DU REVEIL SOCIAL
Traduzione dall’inglese.
L. 2.50. (Aggiùngere 0.25 per porto).
Questo libro di preghiere è stato un avvenimento in' America. «Esso penetra in molte famiglie,, ricche e povere e contribuisce forse più delle altre opere dotte dell’autore, a modificare l’orientamento della spiritualità, della pietà. La liturgia dei tempi nuovi va elaborandosi silenziosamente nella tormenta sociale... I giorni vengono! i giorni si avanzano! ». (E. G.).
ESPERIENCES SOCIALES
(CONFÉRENCES)
L. 3.50. (Aggiùngere 0.30 per porto).
Tables des matières: Le christianisme et l’art, par André Michel — L’Évangile et la société antique aux premiers siècles, par Eug. de Paye — L'Evangile et la question sociale, par <7. Chantorel — L’Evangile et les divisions de la chrétienté, par Mare Boegner — L’Evangile et l’immortalité, par /;. Gonnelle — L'Evangile et l’Eslrème-Orient, par Raoul Allier. — L’Evangile et le monde païen, par G. Lauga — Un peuple sauvé par l'Evangile. par Jean Bianquis.
!.. SALVATORELLI
Introduzione bibliografica alla Scienza delle Religioni
Roma, 1914. 8° grande pag. 1S0.
L. 5
Indice: Opere generali — Storia della Scienza — Metodologia —■ Fenomenologia : Magia. Culto. Rappresentazioni religiose. Cultura e religione — Storia della religione Scuola filologica (Il naturalismo). Sistemi astrali. Sistemi Fàllici. Manismo. Scuola antropologica — Teismo, preanimistico. Scuola sociologica.
L. SALVATORELLI
Saggi di storia e politica religiosa
Città di Castello. 1914. 8° grande, pag. 290.
L. 4.50
Indice: L’«Orpheus» di S. Reinach — Religione, civiltà ed arte — Maometto e l’IsIam — Diritto e morale dell'IsIam — La storia della Chiesa Ant. di M. Duchesne — La cattolicità della Chiesa primitiva secondo Pierre Batifibl — Gli apologeti greci del 11 secolo — La politica religiosa degl’imperatori romani e la vittoria del cristianesimo sotto Costantino, ecc. — Il presente e l’avvenire del modernismo in Italia — La Politica di Pio X — La personalità di Pio X — Filosofia e religione nell'Italia contemporanea.
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VI
BILYCHNIS. FASCICOLO DI FEBBRAIO 1914
GIOVANNI COSTA
L’IMPERATORE DALMATA
C. VALERIUS DIOCLETIANUS
Roma, 1912. Pagine 250.
Lì 5
Indice : I. I.' avviamento all’ Impero — IL Guerre e repressioni — III. La riforma costituzionale e governativa — IV. La difesa dell’impero nelle province — La difesa dell’impero nell’esercito — VI. La restaurazione religiosa — VII. L'impronta dell’epoca — Vili. La « quies Augustorum » — IX. L’uomo e l'opera sua, ecc.
BENITO MUSSOLINI
GIOVANNI HUSS
IL VERIDICO
Collezione storica dei martiri del libero pensiero Pag. 120. L. 0.80 estero L. 1
I FIORETTI
del glorioso messere santo Francesco e de’ suoi frati
a cura di G. L. PASSERINI Seconda edizione riveduta. — G. C. Sansoni, ed., Firenze. Elegante edizione di pagine 200 L. 2
A. MAb'ARESI
L’Impero Romano e il Cristianesimo
Bocca, 1913. Pag. 600. L. 12
ARTURO PASCAL
La Società e la Chiesa in Piemonte nel Secolo XVI considerate in se stesse e nei rapporti colla Riforma Pinerolo, 1912. Pag. 60.
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LA GUARDIA DEL COORE ed altre omelie
del Doti. ALFREDO TAGLIALATELA
Bel volume di 340 pagine contenente 50 omelie e abbozzi di conferenze su soggetti di attualità.
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Les prophètes d’Israël
ET LES BÉLÏgÎ<?IÏS DE L’ORIENT
Essai sur les origines du monothéisme universaliste
Pag. 330. L. 8.50
indice: Le iahvisme populaire — Les premiers prophètes. La lutte contre le syncrétisme et la.civilisation — Amos, Osée (lahv. Dieu de Justice) — Esaïe, Michée (lahvèe, le saint d'Israél) — Le iahvisme syncrétique et la réforme deuléronomique — Jérémie (L’individualisme religieux) — Ezéchiel (L'évolution du iahvisme pendant l'exil) — La prophétie deuléro-ésaïaque (lahvé, le Dieu universel) — Le monothéisme des prophètes et le monothéisme oriental.
NOVITÀ
GIOVANNI JALLA
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DELLA RIFORMA IN PIEMONTE
Fino alla morte di Emanuele Filiberto (1517-1580) (bosso volume di pag. 400 con 19 illustrazioni fuori testo.
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BILYCHNIS. FASCICOLO DI FEBBRAIO 1914
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PER ACQUISTO DI LIBRI A PREZZI RIDOTTI
Non diamo corso alle richieste non accompagnate da relativo importo.
Hi nostri lettori che hanno pagato l’abbonamento a BILYCHNIS pel 1914 e che faranno acquisto per almeno 15 lire di libri, scegliendoli tra i qui sotto elencati, accorderemo le seguenti facilitazioni:
1. Maggiore riduzione del 10°/o sui prezzi già ridótti;
2. Pagamento della somma a rate mensili di L. 3.
Il porto è a nostro carico. Per le ordinazioni dall9 Estero le spese di posta sono a carico dei committenti. Faremo la spedizione dei volumi non appena ci sarà pervenuta la prima rata.
GIULIO VITALI
LEONE TOLSTOI
Con ritratto, bibliografia « lotterà autografa dell'autore
L’uomo — La sua religione — Il rinnovamento della società — Il rinnovamento della famiglia — La missione dell’arte.
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« La miglior cosa che si sia scritta in Italia su Leone Tolstoi è questo volume di Giulio Vitali ». (// Secolo).
ROMOLO MIRRI
L’ANTICLERICALISMO
Origino, natura, metodo e scopi pratici
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SOEDERBLOM
LE RELIGIONI DEL MONDO
Traduzione, Introd. e appendice del dott. Aschenbrödel
L'universalità della religione. - 1. L’umanità non civilizzata. - IL La civiltà spirituale superiore : i® Cina, 2° india, 3° Occidente. III. Le religioni superiori: i° i.a religióne cinese e l’induismo : a) Cina - b) india — 2° Giudaismo e Parsismo — 30 iìiiddiiismo. Cristianesimo ed islam : a) islam - b) Padda e Cristo.
Appendici: 1. Statistica delle religioni.-II. Epilogo dell’opera del Sòderblom'« La vie future» - III. Fisonomic religiose (Fisonomía di Gesù - Fisonomía del primitivo cristianesimo).
Voi. di pag. 125 L. 1.25 per L. 1 —
LUIGI SALVATORELLI
IL SIGNIFICATO DI “ NAZARENO”
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Opere di Giorgio Tyrrel
Medioevalismo. Risposta al cardinale Mercicr.
Volume di pag. 250. L. 2.50 per L. 1.50 Da Dio o dagli uomini? L. 1 per L. 0.50 Lettera confidenziale ad un Professore d’antropologia. Prefazione di A. Borgese. Traduzione di Piero Giacosa. Con ritratto ed autografo. L. 0.60 per L. 0.30. »
Il Papa e il Modernismo con prefazione di
A. Cervesato. Voi. di pag. 240 L. 2.50
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Cediamo i quattro volumi complessivamente per L. 3:50
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BILYCHNIS. FASCICOLO DI FEBBRAIO 1914
Due opuscoli sul Fogazzaro
i. di Pio Mola.ioni : A. Fogazzaro. Il pensatore, l’artista, l’uomo. L. 0.60 per L. 0.30
2. di Raffaello Piccoli : A. Fogazzaro. L. o.6o per L. 0.30.
Cediamo I due opuscoli insieme per L. 0.50
Lettere di un prete modernista
Voli grande dì pagine 300 L. 3.50 per L. 2
Cosi scrisse di questo volume la Nuova Antologia: «....In esse è fatta brevemente
la storia del movimento modernista in Italia» e degli ostacoli -eh’esso ha incontrato specialmente in Roma. Su le Sacre Congregazioni, su gli ordini religiosi, su la gerarchia, su l’organizzazione interna della Chiesa vi sono particolari vivi e pittoreschi. Le velleità di riforma di Leone XIII, gli atti di Pio X vi sono narrati con efficacia : seguono profili dei modernisti italiani più noti. Ma quello che traspare da tutto il volume, scritto con forza, è l’inquietudine profonda d’una parte del giovane clero italiano, il soffio religioso rinnovatore e anche distruttore, la fede non diremo in un cattolicismo, ma in un cristianesimo che non sarà forse il primitivo, al quale l’autore si richiama, ma che può divenire una forza sociale potente. Questo libro è un sintomo ».
AGOSTINO LANZILLO
GIORGIO SOREL
Con una lettera autoblogr.. blbllogr. ritratto c autografo
Voi. di 120 pag. L. 1 per L. 0.70
« Il volumetto su Sorel l’ho letto d'un fiato, con grande soddisfazione. Mi è riuscito anche, in più punti, istruttivo ». Bkn'edbtto Croce.
GIOVANNI AMENDOLA
La volontà è il bene
(ETICA E RELIGIONE)
Voi. di pag. 70 L. 0.75 per L. 0 50
« Poche pagine, ma fortemente pensate, nelle quali l’A. delinea una sua concezione dell'etica ...» (Cultura Filosofica).
Socialismo e Religione
I. Discussioni « polemiche Intorno al Socialismo Cristiano
Fra Cristiani e Socialisti: F. Perroni-G. Quadrotta — II bunto di vista socialista : I. Bo-noini — l due Cristianesimi : F. Turati — La parola di un conservatore cristiano: A. Fogazzaro — II punto di contatto fra Cristianesimo e Socialismo : D. Spadoni — Dal Cristianesimo al Socialismo: D. Spadoni — I.’opinione di un socialista religioso: G. Rensi — L’opinione di un socialista areligioso: F. Paoloni — L’opinione di un socialista ateo: A. Giorgio-F. decotti — / « preti socialisti » del Reggiano: G. Zibordi — Il socialismo di fronte al Cristianesimo. Un esempio pratico: G. Zibordi — Clero e Socialismo ; S. Minocchi — Dalla sacrestia al socialismo: R. Levoni-G. Trampolini.
II. Cristianesimo, Socialismo 0 la nuova coscienza religiosa
L’essenza del Cristianesimo — II. Vangelo e la sua interpretazione: G. Quadrotta — Cristianesimo, socialismo e modernismo: F. Per-roni — Socialismo cristiano: F. Letizi-G. A volto — // Socialismo e Dio: G. Rensi — Gesù: G. Quadrotta.
Voi. di pag. 200 L. 1.50 per L. 1 —
EMANUELE KANT
Il Fondamento della Metafisica dei Costumi
Prima traduzione Italiane di N. Palanga Prefazione di Bernardino Varlsco
Voi. di pag. xx-140 !.. 2 per L. 1.25
ANGELO CRESPI
LE, VIE DELLA FEDE
Rimangono pochissime copie. L. 1.50
ALFRED LOISY
Compendio dei “Vangeli Sinottici,,
c delle
“ Semplici riflessioni intorno al Sillabo e all1 Enciclica Pascendi „
Con ritratto e biografia dell’Autore. L. 1 --
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BILYCHNIS: FASCICOLO DI FEBBRAIO 1914
IX
GIUSEPPE RÈNSJ SIC E>ÌT NON METAFISICA E POESIA
Brève elogio della contraddizione — Pro e contro la Logica — La corsa alla Morte.
Primo interludio: L’Edera — Il Saluto — Incesso patuit Dea — Il Plenilunio — La Fata — Grata vice veris — Ràggio di sole.
Teoria dell’immoralità — Scorcio di filosofia della storia — La Pagina e la Vita.
Secondo interludio: Ozymandias — Boopis Athena — Elena — Dryadesque — Soróres — Nel tempio — Pange Lingua — Ballata senese — La musica — L’ùltima brama.
La metafisica del Terremoto — Paradossi imperialisti — Dottrina popolare e dottrina economica dell’idealismo — Sulla Vita e sulla Morte.
Terzo interludio: Preludio per album — All’Olmo di Custoza — Al Fumo — Sonetti buddistici: i. Kama: 2. Samsara — Sensazione romana.
Nietzsche o Budda? — 11 Bovarismo metafisico — Da Nietzsche a Dio Il rinnovamento religioso contemporaneo — Pensieri di edificazione morale e religiosa.
Quarto interludio: L’anima socchiusa — La Cedra — Sine Labe — Gli occhi e la voce — La lama e la guaina — Il minatore e il sole — L’imperituro amore — La vetta — Omnia Vanitas.
/ Dialoghi dei Morii.
1. Torquemada-Giuliano l'Apostata — 2. Dio-tiina-Orazio Marsilio Ficino — 3. Aritho-Anando — 4. Leocares-Didimo — Callinico.
Volume di circa 350 pag. 1?. 3.50 per L. 2 —
Opuscoli vari:
1. Tu. Neal: Vico e l’immanenza.
L. 0.75 per ........ L. 0.50
2. M. Losacco: Razionalismo e Intuizionismo. L. ì per......L. 0.60
3. G. Rapini: La Toscana é la Filosofia italiana. L. 0.50 per . . . L. 0.30
4. G. Rensi : Il passaggio da Kant al-l’idealismo assoluto-in Etica. L. 0.50 per. . , . . - - . - - - I- 0.30
5. Tir. Neal: Giovanni Vailati. L. 0.50 per ........... L. 0.30
6. Massimiliano di Sassonia e Pio X intorno alla questione dell-Unione delle Chiese. L. 1 per. . L. 0.60
7. Bald. Labanca: La Riforma del Secolo XVI ed il celibato chiesastico
L. 0.40
8. Franz Wenck : Spirito e spiriti nel Nuovo Testamento. L. 0.75 per L. 0.50
Gli 8 opuscoli complessivamente L. 3 —
Il Programma dei modernisti
Edizione Bocca, 1911.
Voi. di pag. 240. !.. 2.50 per L. 2
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11 cardinale Newman
Volume di pagine 342. !.. 4 per !.. 2.50
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FORZA È SUPERSTIZIONE
Grande voi. di pag. 610. L. 12 per !.. 6.50
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Filosofia della Religione
Grande voi. di pag. 388. L. ro per L. 5.25
The programme of Modernisti)
Bel voi. rilegato di pag. 290. L. 6.50
JOHN RUSK1N
LE FONTI DELLA RICCHEZZA
a cura di Giovanni Amendola
Voi. di pag. xv-204. L. 2.50 per L. 1-75
VICTOR HUGO
Post-scriptum della mia vita
Tradotto da C. V. Callegari
Voi. di pag. 26S. L. 2.50 per 1.75
92
BILYCHN1S. FASCICOLO £>1 FEBBRAIO 1914
TEODORO FLOURNOY
SPIRITISMO E PSICOLOGIA
Versione di Carlo Battlstella
Voi. di pag. $13. L. 5 per !.. 3.50
NORMAN ANGELI.
LA GRANDE ILLUSIONE
Con proemio di A. Cervesato
Voi. di pag. xxvn-313. L. 2.50 per L. 1.75
C. FLAMMARION
LUMEN
Trad. di M. 0. PaoluccI con pref. di F. Zlnganopoli
Voi. di pag. 1.11-219. Prezzo. L^z.sq per L. 1.75
F. M. MYERS
La personalità umana e la sua sopravvivenza
I. Voi. di pag. xi-268. I.. 2.50
II. Voi. di pag. 329. L. 2.50
I due volumi per L. 3.50
Opere di Romolo Murri
La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi.
L. 2.50 per L. 2 —La politica clericale è la democrazia
L. 2.50 per L. 2 Il partilo radicale c il radicalismo, italiano
L.- 1 per L. 0.-5
Il cristianesimo e la religione di domani
È. 1 per L. .0.75
Opere del prof. Igino Petrone
Lìt filosofia politica, contemporanea
L. 2.50 per L. 2 -I limili del determinismo scientifico
L. 2 per L. 1.75
Opere di Salvatore Minocchi '
La Genesi, iradotta e commentata con discussioni critiche su la Cosmogonia biblica, il Paradiso terrestre, i Patriarchi, il ' Diluvio, la Dispersione dei popoli. Due voi. in-8*. Prezzo L. 6.25 per L. 5.
Le Profezie d’Isaia, tradotte e commentate con una introduzione storica e critica, in-8® grande. Prezzo L. 6 per 4.75.
/ Salmi, tradoili e commentati. In-16. Prezzo L. 4.50 per 3-50Le lamentazioni di Geremia, tradotte e commentate, con uno studio sulla poesia elegiaca nell’antico Oriente. In-32®. Prezzo L. 1.25 per L. 1.
La crisi odierna del cattolicismo in Germania. L. 1.50 per 1.20.
Libri pervenuti alla Redazione
MONTEFIO.RE, Gesù di Nazareth nel pensiero ebraico contemporaneo — A. F. For-miggini, Genova. 1913. L. 2.50.
E. BL'ONAILTI-N. TURCHI, L'isola di smeraldo. — Torino, Bocca, 1914. pag. 220. L. 3.50.
// Pimandro, di ERMETE TR1MEGLSTO. Versione di G. Bonanni. — Todi. Casa Atanor, 1913. Pag. 180, L. 3.
FRANZ CL'MONT, Les mislères de Mithra. IH“'éd.. con 28 fig. e una carta. Pag. 258. L. 8.
Nel Primo centenario della morie di Giambattista Rodoni, scrini di T. Grandi, C. Ratta \La Stampa e la Riforma), G. Busnelli. A. Malacrida. — Torino 1913.
TANCREDI CANONICO, Note intime. — Città di Castello. 1910.
GIORGIO DEL VECCHIO. Il concetto del Dir ilio. ln-8°, pag. 150, L. 4. — Editore N. Zanichelli, Bologna. 1912.
DOTT. INNOCENZO CALDERONE. La rincarnazione (Inchiesta internazionale). Oliavo, pag. 350, L. 5. — Milano, 1913.
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BILYCHNIS. FASCICOLO DI FEBBRAIO J1914
C. VITANZA, La leggenda del « Descensus Chrisli ad inferos » (Saggio critico). — Ni-cosia, 1911.
EM. BOCH, Le Ire forme supreme dell’essere. — Roma, 1913;
SAMUEL Me. GERALD. Rinascita, storia di una conversione dal cattot teismo Romano. Versione it. di Carlo M. Ferreri. — Roma, 1913. Pag. 180. prèzzo L. f.25.
GIOSUÈ’ SALATIELLO, Caterina da Siena, studio storico, psicologico letterario. — Palermo, 1913. Pag. 160, L. 2.
PRINCE GIOVANNI BORGHESE, L’Italie Moderne. — Paris, E. Flammarion, 1913. Pag. 330, L. 3.50.
ENRICO CAPORALI, La natura secondo Pitagora. — Casa Ed. «Atanòr», Todi, 1914, Pag. 190, L. 2.50.
GLI EVANGELI EGLI ATTI DEGLI APOSTOLI. Versione riveduta. - Roma, 1913.
E. S. GREW, Lo sviluppo di un pianeta. — Torino, Bocca, 1914. Pag. 450, L. 6.
PAOLO ORANO, Cristo e Quirino (Il problema del cristianesimo), 3* ediz. — Firenze, 1911. Pag. 300, L. 3.
PAOLO ORANO, Altorilievi. — Ancona, Puccini, 1913. Pag. 240, L. 3.50.
L. CENTONZE, Papi, Turchi e Crociate. — Palermo, 1912.
S. TOMMASO D’AQUINO, Trattalo della pietra filosofale, preceduto da una introduzione e seguito da un trattato del medesimo autore su l’arte dell’alchimia... — Todi, Casa «Atan«r», 1913. Edizione assai elegante, pag. 135, L. 3.
ARTURO PASCAL, La Società e la Chiesa in Piemonte nel secolo XVI. — Pinerolo, 1912.
ANDRÉ TOWIANSKI, Pragmenls, a cura di Attilio Begey. — Roma, 1913.
C A LOG ERO VIT A N ZA, Spiriti e forme del divino nella poesia di M. Rapisardi. Conferenze. — Nicosia, 1913. Pag. 176, L. 1.50.
G. TRICCA, L'automatismo nella penombra della civiltà. — Sansepolcro, 1913. Pag. 80, L. 1.
UMBERTO'PRIA, Il pensiero del G¡annone. Città di Castello, 1913.
TUTTI GLI AMICI DELLA RIVISTA FARANNO ACQUISTO DEL PRIMO FASCICOLO D’ARTE EDITO DA "BILYCHNIS" SU»
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xu B1LYCHNIS. FASCICOLO DI FEBBRAIO 1914
BIBLIOTECA DI STUDI RELIGIOSI
Diretta ed edita dal Dott. D.G. WHITTINGHILL
I B JtTTI iSTX
Volume di pagine 200 — Prezzo Lire 1.50 (BT. S della Serie)
INDICE DEL VOLUME:
Cenni storici (del Dr. D. G. Whittinghill) : Il nome « Battista ». — I precursori spirituali. — Gli Anabattisti. — I Mennoniti. — 1 Battisti moderni. — 1 Battisti nella Gran Brettagna. — I Battisti in America. — I Battisti negli altri paesi. — 1 Battisti italiani. — Il contributo dato dai Battisti alla civiltà moderna.
Credenze Battiste (del Dr. E. Y. Mullins): Introduzione. — Le scritture. — iddio. —, La Provvidenza. — La caduta dell’uomo. — L’elezione. — Il mediatore. — Lo Spiritò Santo. — Là rigenerazione. — Il pentimento. — La fede.— La giustificazione. — La- santificazione. — La perseveranza dei santi. — Il regno di Dio. — La seconda venuta di Cristo. — La risurrezione. — Il Giudizio. — La Chiesa. — II battesimo. — La santa cena. —- Il giorno del Signore. — Libertà di coscienza. — Ce missioni. — L’educazione o l’istruzione. — li servizio sociale. — II paradiso e l’inferno.
Il Battesimo (del Dr. G. B. Taylor): Il vocabolo greco Barrite». — 1 lessici. — Esame dei passi. — Il battesimo di Giovanni. — Il battesimo dell'eunuco. — il battesimo e la purificazione. — I tremila battezzati. — Il battesimo figurativo. — L’uso simbòlico di Bairófriv. — L’importanza della forma. — Lutero e Calvino. — La Didaché. — Gli abusi nella pratica del battesimo. — Chi può essere battezzato? — Il battesimo dei bambini. — Il battesimo di famiglie. — I figliuoli «santi». — Il battesimo e la circoncisione. — Inefli-cacia del battesimo dei bambini. — Gli errori dottrinali che accompagnano il battesimo dei bambini. — Ti battesimo dei bambini e la chiesa di Stato. — I Battisti perseguitati. — Passi biblici addotti in difesa-del battesimo dei bambini.
Questo volume si spedisce in dono agli abbonati di " Bilychnis „ vecchi e nuovi.
N. i. Cristianesimo e Critica (Scritti di vari autori). Si spedisce gratis a richiesta.
N. 2. Il Pergamo ossia Manuale di Omiletica del prof. N. H. Shaw. — Volume di pag. 304. - Prezzo L. 2. 50.
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N. 5. Il Cristianesimo alla prova (Scritti di autori vari). Voi. di pag. 128. Si spedisce gratis a richiesta.
N. 6. La scuola della Chiesa del Dr. Everette Gii!. Voi. di pag. 160. Prezzo L. 1.25.
Rivolgersi a\\'Editore: Dr. I). G. Whittinghill, Via Crescenzio, 2 - Roma.
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