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ECO
DELLE WU VALDESI
BIBLIOTECA VALDfSE
10066 TOBRE PEIL ICE
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 109 - Nnm. 39
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TORRE PEIXICE - 29 Settembre 1972
Amm. : Via Cavour, 1 bis - 10066 Torre Pellice ■ c.c.p. 2/33094
Equa armonia”?
L
Il pontefice romano ha mostrato una
volta di più, in occasione deila visita
ufficiale del presidente della Repubblica Italiana, come la Chiesa romana intende la « equa armonia » in cui si sarebbero ricomposti (nel 1929), dopo
ternpi fortunosi, i rapporti fra lo Stato
italiano c la Sede vaticana: una pesante immistione di questa nella vita di
quello. Non è una novità, anche se è
sempre penoso per il cittadino, ma
più ancora per il cristiano, constatarlo.
Al presidente italiano il pontefice
ha ricordato che i Patti lateranensi —
sia il Trattato sia il Concordato — sono e restano bilateralmente impegnativi, anche se la Sede vaticana è « disposta ad esaminare, d’intesa con il Governo italiano e con aperta e sincera
volontà, l’opportunità di quelle revisioni bilaterali che siano suggerite dalle
mutate situazioni e dalle nuove esigenze dei tempi ». Sappiamo bene, dalle
polemiche degli ultimi anni, che queste revisioni si ridurrebbero a ben poca cosa, ma avrebbero la conseguenza
di consacrare la contestata e contestabile costituzionalità dei Patti stessi.
Comunque, proseguiva il pontefice,
«ancor più che su strumenti giuridici
la Santa Sede vuol fondare la sua fiducia di sempre migliori, più cordiali
e positivi rapporti con l’Italia sui sentimenti cattolici del suo popolo, sull’impegno dei suoi governanti nel rispondere alle legittime attese dei cittadini, sul rispetto delle libertà e dei
diritti che la Costituzione dello Stato
solennemente e ampiamente assicura ».
In parole povere l'Italia degna di questo nome è costituita da cattolici (e,
si noti, da cattolici ligi alla gerarchia
e al magistero, i cattolici che contestano il Concordato non meritano alcuna
considerazione), il resto è pula, e il
vento della storia (democristiana, comunisti aiutando) lo disperda. Ancora,
le « legittime attese dei cittadini » sonò
quelle degli integristi (aggiornati, s’intende) e degli antidivorzisti, le altre
sono ovviamente illegittime; « le libertà e i diritti che la Costituzione solennemente e ampiamente assicura » sono
quelli dei primi, non degli altri. Non
importa che le posizioni integriste e
concordatarie privilegino gli uni e conculchino i diritti degli altri, mentre le
posizioni democratiche lasciano a ciascuno di agire secondo coscienza e
quindi, se vuole, secondo i dettati di
gerarchia e magistero: il papa ha parlato, la questione è chiusa per il Vaticano, anche per il Quirinale, pare;
per Montecitorio, no, e tanto meno per
ogni comune d’Italia e per ogni cittadino italiano.
Con rincrescimento dobbiamo notare che il presidente della nostra Repubblica — ed è stato ’qualificante’ che
la sua prima visita ufficiate all’estero
sia stata in Vaticano — nella sua ri
NELLE PAGINE INTERNE:
La « teologia nera » - Un prete-laico
e un cardinale - Evangelici sudamericani ■ La CEVAA a un anno dalla
costituzione - 'Abiezione di coscienza
e commercio d’armi - Il Medio
Oriente.
sposta ha sostanzialmente concordato
con questa « equa armonia » e non ha
quindi rappresentato la nazione, sia
pure nelle sue contraddizioni, bensì sé
stesso e il suo partito.
La visita, il suo contenuto ha rinfocolato la discussione in atto sul referendum relativo al divorzio. Per i repubblicani, i socialdemocratici, i socialisti e i liberali il referendum è un male, ma ormai inevitabile, da affrontare
con fiducia nell’elettorato. Per la democrazia cristiana, o comunque per la
sua maggioranza il referendum è un
bene per cui lottare (e il pontefice ha
mostrato chiaramente quale sarà la decisa mobilitazione cattolica); un bene,
però, parecchio scottante, e meglio sarebbe se lo si potesse evitare, raggiungendo lo scopo attiaverso trattative (nuovo accordo dc-pei, come alla
Costituente??) anziché attraverso una
battaglia che potrebbe rivelare amare
sorprese.- I neofascisti promettono fi
loro appoggiò alla de: come non trovarli compagni in questa luminosa
causa moralizzatrice? I comunisti, richiamandosi a quell’art. 7 della Costituzione del quale portano, con la democrazia cristiana, la responsabilità
determinante e nefasta, ritengono si
debba cercare di evitare il referendum
attraverso un emendamento parlamentare alla legge sul divorzio, che sancisca la distinzione giuridica fra matrimonio ecclesiastico (che resterebbe
soggetto, anche per il diritto italiano,
alla giurisdizione ecclesiastica) e matrimonio civile: è esattamente la tesi
sostenuta dall’allora onorevole, oggi
presidente Andreotti. Con giusta ironia
« Il Manifesto » nota che « “L’Unità"
tralascia di indignarsi questa volta per
V“inammissibile" intrusione del Vaticano e riferisce del colloquio papaLeone senza commento alcuno ». Anche il pei, dunque, non desidera la battagha: per queste cose poi... E abbastanza caratteristica la consonanza fra
clericalismo e comunismo nel dispregio, o forse semplicemente nella insensibilità a una squisita questione di democrazia, qual è questa.
Anche a noi pare che il referendum
sia un maie; o piuttosto, che sia intimamente ingiusto — anche se forse
giuridicamente ineccepibile — fare oggetto di referendum una proposta che
è di per sé discriminante e tende a cassare una norma che il parlamento italiano si è dato appunto per superare
una situazione di discriminazione. Ma
piuttosto che le grandi (meschine) manovre delle trattative, meglio la battaglia aperta, poiché battaglia si vuole:
una battaglia che non può non coinvolgere l’intera questione dei rapporti
Stato-Chiesa.
Già in troppe altre occasioni si è
detto, qui, il perché di questa nostra
posizione, ancora ribadita nella recente sessione congiunta della Conferenza
Metodista e del Sinodo Valdese. Maggioritaria (ma di quanto? e per quanto?) ovvero minoritaria, la Chiesa non
ha altro compito che la testimonianza,
altra arma che la nuda parola dell’Evangelo. Solo in questo rapporto coraggioso e inerme con la società, può
tentare di seguire le tràcce del suo Signore; altrimenti se ne allontana e lo
rinnega.
Gino Conte
ÌN RIFERIMENTO ALLA SITUAZIONE SUDAMERICANA,
MA NON A QUELLA SOLTANTO
Per la iirìnia volta il Siaodo ha chiesto alle chiese
"un inipep senza riserve per la liherazinne deir nonio"
Quando nell’aula smodale fu letto
l’ordine del giorno di «aSidarietà con i
valdesi della zona riegiaiense, mi trovavo seduto vicino al pastore Carlos
Delmonte. Lo vidi seguire la lettura
con molta attenzione e al termine con
un sorriso tranquillo commentò: « Va
bene, non dice molto »,
Evidentemente intendeva dire che
l’ordine del giorno non conteneva alcuna espressione che potesse in qualche modo danneggiare i valdesi del
Sud America. Tuttavia, preso a sé, questo «non dice molto» dà da pensare.
Certo la maggior parte degli ordini del
giorno e di ogni dichiarazione verbale
non solo non dice molto, ma neppure
costa molto. Nessuno di noi rischia
qualcosa nell’esprimere la propria solidarietà ai nostri fratelli sudamericani. Inoltre, là dove l’ordine del giorno
riconosce giustamente che non ci si
può limitare ad esprimere una solidarietà pur sentita e profonda, poiché
questa solidarietà per essere reale deve necessariamente tradursi in casa
nostra in un « impegno senza risei^e
per la liberazione dell’uomo », l’ordine
del giorno non dice molto. Quale è
« ogni potere oppressivo » da cui bisogna liberare l’uomo? Quali sono « le
barriere che questo pone tra gli uomini » e che vanno abbattute? Carlos
Delmonte ci ha detto che di fronte
ontinuando a commentare i principali ordini del giorno votati
dal reeente Sinodo, è ora la volta di
quello di solidarietà con le nostre
chiese sudamericane, nella dolorosa
crisi che le loro nazioni attraversano e
che non può non riflettersi al loro interno. A pag. 4 si legga il resoconto
delTinchiesta sui gravi limiti alle libertà civili, imposti dal regime al governo, svolta da una delegazione del
CEC in Uruguay, e una corrispondenza del past. Carlos Delmonte, che ricorda e commenta le giornate vissute
con noi nell’aula sinodale.
all’intensificarsi della guerriglia e della
repressione in Uruguay la tensione interna nelle chiese si è fatta più acuta:
« alcuni erano contrari all’azione del
governo e delle fòrze poliziesche, mentre altri ne giustificavano l’azione in
difesa deH’ordine ». Non è una novità
riconoscere che queste divergenze esistono anche da noi: nel contesto del
nostro ordine del giorno questo significa rendersi conto che il dare nome e
cognome ad « ogni potere oppressivo »
non è una cosa automatica. Per gli
uni può essere, nel quadro di un sistema capitalistico, il potere della classe
UN MESSAGGIO DEL MODERATOReJalDO SBAFFI ALLE CHIESE VALDESI
CONTINUITÀ E NOVITÀ
Cari fratelli,
la decisione del Sinodo di affidarmi il servizio di Moderatore della
Tavola Valdese mi ha non poco meravigliato e — nella lucida consapevolezza dei miei limiti umani — le
prime e più serie domande le ho
poste a Dio. Mi avete messo nella
condizione di “lottare con Dio" per
discernere il suo pensiero e per ricercare la sua benedizione. La promessa del Signore: “Io non ti lascerò e non ti abbandonerò", è il
fondamento della mia fiducia, iniziando questo nuovo servizio nella
Chiesa Valdese.
Esprimiamo viva riconoscenza al
pastore Neri Giampiccoli che per
sette anni — quale Moderatore —
ha manifestato nella Chiesa Valdese i suoi doni particolari: equilibrio, saggezza, impegno in chiare
scelte, profonda umanità nei rapporti con noi tutti.
E sentiamo il bisogno di ricordare in questo momento anche i Moderatori della nostra generazione:
Ernesto Giampiccoli, Bartolomeo
Léger, V. A. Costabel, Ernesto Comba, Virgilio Sommani, Guglielmo
Del Pesco, Achille Deodato, Ermanno Rostan, benedicendo Iddio per
averli dati alla Chiesa Valdese in
tempi determinati affinché, mediante la verità dei loro doni, l’Evangelo di Cristo potesse continuare ad
essere in ogni tempo potenza di liberazione in mezzo al nostro po
La "memoria" del passato è vissuta da noi come movente per benedire Iddio e come elemento propulsivo per il presente ed in vista
del futuro,
Un problema che si impone oggi
di nuovo alla nostra attenzione è
quello della “continuità". Noi ci
sentiamo del continuo ripetere che
nessun cammino è aperto per avanzare verso strutture qualitativamente nuove, a partire dall’ordine esistente. Anche la Chiesa Valdese, come ogni altra Chiesa, è oggi duramente interpellata; la domanda che
ci viene rivolta è questa: “siete voi
disposti a sviluppare un processo di
morte e di risurrezione nel vostro
modo di pensare come nella vostra
vita comunitaria?" Che risponderemo? Non possiamo eludere questo
problema di fondo, né accantonarlo.
Orbene, la vocazione della Chiesa,
come popolo di Dio, è chiara: essere
disposti ad abbandonare ogni posizione di sicurezza acquisita e mettersi in cammino senza poter precisare quale sarà la nuova tappa.
Abbiamo sempre affermato che
nostra unica sicurezza è il Signore
risuscitato; si tratta, ora, di verificare la fondatezza di questa confessione di fede nelle scelte che faremo lungo il cammino.
Alcuni credenti ed alcune Chiese
vorrebbero realizzare la “continuità" nell'adattamento; questa non
può essere una linea di fedeltà all’Evangelo. Così la nostra azione
non potrà limitarsi ad assicurare,
estendere, migliorare, determinate
strutture e quanto abbiamo ricevuto dal passato; siamo invece tutti
impegnati a discernere i motivi più
validi e più ricchi di suggerimenti
del nostro tempo per una autentica
riforma della Chiesa, e le possibilità concrete che sono ora aperte,
in una situazione in cui il "nuovo di
Cristo" sta facendo irruzione nella
storia.
Molti membri delle nostre comunità sono turbati a causa dei radicali mutamenti che vengono proposti e vorrebbero che fosse maggiormente sentita l'esigenza della “continuità". È quindi opportuno che ricordiamo a noi stessi, quanto sempre abbiamo affermato, che la “continuità" è data alla Chiesa unicamente dallo Spirito Santo. Si tratta quindi per noi tutti di ascoltare
ciò che lo Spirito dice, oggi, alle
Chiese.
Il nostro è tempo d'inquietudine,
di ricerca, di tensioni ed è del tutto
naturale che sia così: noi viviamo
in un’epoca di rapide trasformazioni e tutti siamo coinvolti nel travaglio della gestazione del “nuovo”.
Però, “le vie senza uscita in cui ci
troviamo possono essere occasioni
per nuovi inizi... il caos che accompagna la crisi delle istituzioni può
essere accettato come occasione
per una attesa creativa e per una
ardita sperimentazione". Così possiamo accettare la “discontinuità"
ed anche rallegrarci per i segni che
ci sono pur dati del nuovo modo di
essere della Chiesa per il mondo.
Certo, questa attesa del “nuovo"
e questa speranza, comportano per
la Chiesa Valdese, per l'evangelismo
italiano, per tutto il popolo di Dio,
delle scelte operative chiare. Ne indichiamo alcune fra le più evidenti:
— Riconoscere la serietà dei problemi che il nostro mondo pone alla
Chiesa oggi. Lasciarci quindi sollecitare dagli altri, ascoltare le voci
che si levano dalle nostre stesse comunità, ma anche daH’esterno, per
renderci attenti alle esigenze concrete della nostra vocazione di te
stimonianza e di servizio nel nostro
tempo lasciarci porre le domande,
anche quelle più sconcertanti e che
turbano la nostra tendenza a rimanere fermi nelle posizioni del passato.
__Dare spazio al nuovo, all’emer
gere anche di nuove strutture della
Chiesa, alle nuove sperimentazioni,
a nuove forme di culto, ad esempio,
o a metodi di evangelizzazione e di
servizio diversi da quelli del passato. Avere fiducia nei fratelli e nelle
sorelle che cercano di esprimere in
modo nuovo la loro fede, creando
nuovi stili di vita, nuove forme di
vita comunitaria e che hanno viva
l’esigenza di essere inseriti nelle lotte di liberazione deH’uomo.
— Non soffocare lo Spirito: _ lasciarci mettere in questione. ”E’ libero solo chi sa rinunciare a ciò che
è vecchio per rispondere alla volontà di Dio, oggi e domani".
— Accettare, nella piena consapevolezza dei rischi, di essere "sentinella” nel senso dei profeti: credenti
che non si mettono da parte, ma avvertono il popolo dei pericoli che li
minacciano, proclamando la verità,
in una società che diffonde menzogne e tenta di condizionare l’uomo,
affinché non scorga le vere cause
della propria miseria e di quella degli oppressi di tutto il mondo.
__ Dare la nostra voce a coloro
che sono impediti di parlare, vittime
delle forze di conservazione e delle
oppressioni. Essere realmente dalla
parte di Abele e non di Caino. Il nostro Sinodo ha espresso in vari ordini del giorno questa esigenza di
essere dalla parte degli emarginati,
di coloro che sono in carcere per
delitto di opinione, per gli obiettori
di coscienza. Si tratta ora che queste prese di posizioni siano rivissute nelle Comunità, che non ci si fermi a delle belle enunciazioni, ma
che ci si impegni nelle situazioni
concrete. Qualcuno ha affermato-m
Sinodo: "Quando Cristo è in te, tu
sei proiettato fuori di te, nel mondo, per i fratelli".
Un’ultima riflessione: è nella comunione dei credenti che si vive, st
ricerca, si ascolta, si medita, si prega. B "insieme”, tutti insieme, che
siamo chiamati a rispondere alle nuove situazioni storiche; insieme possiamo già fin d’ora scorgere
ed indicare i segni del nuovo mondo di Cristo che fa irruzione nel nostro tempo.
Aldo Sbaffi
dominante che opprime e reprime le
altre classi per il mantenimento del
proprio profitto e dei propri privilegi
di classe. Per altri può essere il potere dell’eversione che dagli scioperi a
ripetizione al terrorismo opprime la
tranquillità e la laboriosità di una popolazione disgregandone l’ordine e la
continuità di progresso. E le barriere
che il potere oppressivo pone tra gli
uomini, sono quelle divisioni di classe
che non sono state « inventate » dal
marxismo ma che sono create dai rapporti di produzione e mantenute saldamente dal potere che detiene i mezzi di produzione? Q sono gli intoppi
che il potere eversivo interpone tra i
membri e le organizzazioni di un paese industrializzato, impedendo quel
progresso che potrebbe riversare i suoi
benefici su tutti in un’armonia di compartecipazione pur nel pluralismo?
Forse a qualcuno questo sembrerà
un’esagerazione e un rendere Tordihe
del giorno più ambiguo di quanto non
sia. Non è forse sufficientemente chiara, per chi vuole intendere, l’espressione « impegno senza riserva per la liberazione dell’uomo da ogni potere
oppressivo »? Certamente. Ma nei fatti
la cosa non è più molto chiara, se si
considerano episodi come questo: pochi giorni fa alcuni giovani di una delle nostre comunità hanno partecipato
all’allestimento di una mostra sulla repressione. La sera, tornando a casa,
sono stati aggrediti da una squadracda fascista e uno di loro è finito all’ospedale. La domenica in chiesa alcuni membri della comunità li hanno
rimproverati pèr aver partecipato all’organizzazione della mostra perché
questo costituiva una provocazione e
una implicita istigazione alla violenza.
Da che parte sta Timpegno per la liberazione deH’uomo?
E d’altra parte, se mi pare giusto
rilevare che l’ordine del giorno, al di
là delle intenzioni delle parole di Carlos Delmonte, « non diceva molto »,
mi sembrerebbe ingiusto non rilevare
che esso dice pur sempre qualcosa.
Due anni fa, nel corso di un dibattito'
su Nuovi Tempi, vi furono voci che lamentarono la parzialità del settimanale citando come esempio l’Uruguay,
« presentato in modo completamente
contrastante con la verità » (Resoconto
del Sinodo 1970, p. 14). Quest’anno, non
solo sono mancate voci che contestavano la realtà di una pesante situazione di oppressione in Uruguay, ma il
Sinodo ha anche pronunciato una parola impegnativa di solidarietà con chi
è oppresso. Sarà forse perché quest’anno abbiamo ascoltato dalla viva voce
di un nostro fratello qualcosa della situazione in Sud America? E similmente, il fatto che il Sinodo abbia espresso una decisa solidarietà con gli obiettori di coscienza, è dovuto alla lettera
che un obiettore valdese ha indirizzato al Sinodo? Certo questo contatto di
Franco Giampiccoli
(continua a pag. 7)
Obiettore di coscienza
= I
per iesufflcienza di prove'
L’obiettore di eoscienza valdese che ha
scritto al Sinodo, dal carcere militare di Peschiera, una lettera che ha suscitato una viva reazione, Gianfranco Truddaiu, è stato
nuovamente processato, il 22 settembre, e assolto per insufiìcienza di prove: egli era stato infatti arrestato cinque giorni prima di
ricevere la cartolina-precetto con il nuovo
richiamo alle armi; venuto a portare abiti a
un amico in carcere, era stato trattenuto in
arresto... in quanto si prevedeva la sua recidiva obiezione! Intanto, egli si è fatto tre
mesi di carcere preventivo.
Forse non è stata estranea alla sentenza
l’azione condotta da parecchi membri della
nostra chiesa di Verona, che hanno diffuso
manifesti, indetto una conferenza e organizzato una mostra per informare e sollecitare
l’opinione pubblica. Tra l’altro, un gruppo di
giovani valdesi, che avevano attaccato manifesti, sono stati aggrediti e picchiati da una
squadra fascista.
Contiamo la settimana prossima riferire
più diffusamente su questa vicenda significativa.
2
pag. 2
, 'y'y 1
N. 39 — 29 settembre 1972
!|
L'ATTUALITÀ' TEOLOGICA
gli
uomini
IU&
U “teiilänera", an orieataiente teilogiCB nuovo negli USA Gmndtvig
Si trasforma l’atmosfera fra i neri americani, da tempo il programma di resistenza non violenta di Martin Luther King ha perso popolarità
A cento anni dalla morte di
un educatore cristiano danese
« Dopo più di un decennio di movimento per i diritti civili l’americano
nero di Harlem, Haynesville, Baltimora e Bagalousa è in condizioni peggiori di dieci anni fa {...). I capi del movimento lo sanno, ed è qui la fonte
della loro disperazione (...) Il movimento è in situazione disperata, perché è stato costretto a riconoscere che
la rivoluzione dei neri è un’illusione ».
Queste affermazioni di un giornalista
di colore caratterizzano il mutare dei
sentimenti e dell’atmosfera da che sei
0 sette anni si può constatare fra i neri americani.
Sotto la guida di Mai tin Luther King
il movimento pei i diritti civili aveva
raggiunto indiscutibili risultati sul
principio degli anni sessanta. Nel 1965
il presidente Johnson aveva solenne
mente firmato il decreto che concedeva il voto (Voting Rights Bill) a tutti
1 neri. La discriminazione contro di loro nei mezzi di comunicazione e nei negozi era ufficialmente cessata. La maggior parte delle scuole superiori del
paese ammettevano studenti neri, anche se in pratica pochi giovani neri potevano valersi di questo diritto. Eppure proprio questi evidenti successi
esteriori fecero prendere coscienza a
molti neri che il problema razziale era
ben lungi dall’essere stato risolto in
profondità. Che utilità costituiva il poter studiare in una scuola superiore
bianca, finché il programma di studi
era tracciato in base alle esigenze della classe dominante bianca? Molti studenti neri non si poterono ambientare
in una scuola superiore bianca, anche
se spesso le loro capacità e i loro risultati nello studio erano ottimi: avevano l’impressione di non poter essere
se stessi in quell’ambiente estraneo e
di essere costretti a imitare uno stile
di vita non conforme alla loro origine.
Altre situazioni negative perduravano. Praticamente i neri, nelle metropoli del nord, erano costretti a continuare a vivere in ghetti inaccettabili. Terribilmente alto il numero dei disoccupati fra i giovani licenziati dalle scuole, in questi quartieri miserabili. Desolante, il fatto che molti bianchi non volevano nemmeno essere informati su
queste miserie. Certo, solo una minoranza della popolazione nutriva sentimenti ostili nei confronti dei neri. Il
vero disastro era l’indifferenza della
« maggioranza silenziosa » nei confronti del problema dei neri.
L’appello
alla ’’teologia nera”
il « Manifesto nero » del leader James
Forman, assai discusso nell’estate 1969,
e si richiama al racconto neotestamentario del capo pubblicano Zaccheo: la
richiesta avanzata dai neri, di ricevere
dai bianchi un indennizzo per il male
fatto loro, è giustificata.
Negli ultimi anni parecchi libri sono
stati pubblicati sul tema « teologia nera ». Sono indubbi i legami che intrec
= James H. Cone, originario dell’Arkan= sas, studi teologici presso il Garrett
= Theological Seminary di Evanston
= (Illinois), insegnamento teologico a
= Adrian, nel Michigan e da alcuni anni
= al noto Union Theological Seminary
= di New York. Le sue due opere più no= te sono Black Theology and Black Po— wer e A Black Theology of Liberation.
Era quindi inevitabile una radicalizzazione, da parte di questi ultimi. Già
prima di essere assassinato, M. Luther
King con il suo programma di resistenza non violenta aveva perduto molto
della sua popolarità. Leaders neri più
giovani, come Stokely Carmichael gettarono nel dibàttito lo slogan del
« Black Power », che può avere interpretazioni diverse ma che ha evidentemente un senso piuttosto violento. Per
molti neri io scopo dei loro sforzi non
era più l’integrazione fra bianchi e neri, ma riponevano piuttosto le loro speranze in un ritorno alla loro cultura
originale: fu lanciata la parola d’ordine « black is beautiful», « il nero è
bello », i giovani di questo movimento
SI lasciarono crescere i capelli in acconciature africane o pseudoafricane.
La storia della schiavitù venne studiata in modo più approfondito. Il nero
avrà nella società americana il posto
che gli compete — si diceva — soltanto quando sarà fiero di sé e della propria tradizione culturale.
Non era certo un caso se, nel contesto di questo mutamento d’atmosfera,
alcuni giovani teologi neri tracciarono
il programma di una « teologia nera ».
Pietra miliare di questo sviluppo è una
presa di posizione del « Comitato nazionale dei cristiani neri », del 13 giugno 1969. Si tratta di un gruppo di teologi neri riunitisi a convegno ad Atlanta, in Georgia. Il documento formulato in questo convegno è piuttosto polemico e termina con una citazione del
leader delle Pantere Nere Eldridge
Cleaver, in cui questi dichiara lotta a
morte a una società realistica. « La
teologia nera è una teologia della liberazione. Essa si sforza di misurare la
situazione dei neri alla luce della rivelazione di Dio in Gesù Cristo, affinché
la comunità nera possa sapere che
l’Evangelo si accorda con il programma di quanti si propongono il raggiungimento di una condizione umana per
i neri. Essa afferma l’umanità dei neri,
che libera i neri dal razzismo bianco (...). Essa afìerrna l’umanità dei
bianchi dicendo il suo no all’abuso con
cui i bianchi opprimono. Il messaggio
della liberazione è la rivelazione di
Dio, manifestata nell’incarnazione di
Gesù Cristo. Gesù è il liberatore! “Egli
mi ha mandato... per annunciare liberazione ai prigionieri" (Luca 4: 18).
(...) L’ordine che Cristo, il liberatore,
ha dato a tutti gli uomini, esige dai
neri che riconoscano e accettino la loro piena dignità di persone, e da tutti
i bianchi che rinuncino al loro abuso di
potere e al loro complesso di superiorità ». Questa dichiarazione riecheggia
Gli spirituals: una teologia
della rassegnazione
0 delia resistenza?
L’ultima citazione è tratta da un artìcolo do’ teolo'm nero James H. Cone,
del 1970. Cone, oggi professore all’Union Theological Seminary di New
York, è uno dei rappresentanti più notevoli della « teologia nera ». I suoi
due libri, Black Theology and Black
Power e A Black Theology of Liberation hanno avuto larga eco. La sua più
recente presa di posizione è costituita
da un articolo pubblicato in « Theology Today », dedicato a Paul Lehman,
l’amico di D. Bonhoeffer, per il suo 65“
anniversario; in esso il Cone analizza
il contenuto teologico degli spirituals
neri classici. Presso una pai te dei giovani neri americani essi sono caduti
in discredito, poiché anelli hanno l’impressione che la religione espressa nei
songs sia stata, a suo tempo, sfruttata
come oppio per gli schiavi negri. Il Cone rifiuta con veemenza quest’opinione, mostrando invece che l’intero programma della « teologia nera » era
contenuto negli spirituals: anche in
essi la libertà è il tema dominante.
« La liberazione divina degli oppressi
dalla schiaviiù c il concetto teologico
centrale, negli spirituals neri. Questi
canti mostrano che gli schiavi negri
non credevano che la servitù fosse conciliabile con il loro passato africano e
con la conoscenza che avevano del
messaggio cristiano. Non credevano
che Dio avesse creato gli africani perché fossero schiavi degli europei. Perciò essi cantavano di un Dio che interveniva nella storia — la loro storia —
mettendo in ordine ciò che i bianchi
avevano messo in disordine. Proprio
come Dio aveva liberato Mosè e i figli
d’Israele dalla schiavitù egiziana, annegando il Faraone e la sua armata nel
Mar Rosso, così libererà i neri dalla
schiavitù americana. È questa certezza,
che nutrisce il pensiero che percorre
gli spirituals e che rende gli schiavi
neri capaci di cantare
Oh Mary, don’t you weep,
don’t you moan.
Oh Mary, don’t you weep,
don’t you moan,
Pharaoh’s army got drownded.
Oh Mary, don’t you weep K
« L’idea fondamentale dello spiritual
è che la schiavitù contraddice Dio (...).
Siccome i neri credevano di essere figli di Dio, si rifiutavano di accordare
la loro schiavitù con la rivelazione di
Dio. Rimproveravano le deformazioni
bianche dell’Evangelo, che sottolineavano l’ubbidienza degli schiavi ai loro
padroni. Lottavano, perché Dio voleva
la loro libertà, non la loro schiavitù.
Ecco perché gli spirituals si concentrano su quei passi biblici che accentuano la partecipazione di Dio alla liberazione degli oppressi. I neri cantavano
Giosuè e la battaglia di Gerico, Mosè,
che condusse gli israeliti fuori dalla
schiavitù, Daniele nella fossa dei leoni
e gli ebrei nella camera ardente. L’accento cade sulla liberazione divina dei
deboli dall’oppressione dei forti ». Il
Cone definisce gli spirituals « canti di
libertà neri » e sottolinea che sarebbe
totalmente errato che gli attuali neri
americani si vergognassero di questi
canti dei loro antenati.
ciano questo nuovo orientamento teologico alla « teologia della rivoluzione » coltivata soprattutto nel quadro
del Consiglio ecumenico delle Chiese.
Anche in questa Gesù è presentato come il grande liberatore. Ciò che caratterizza la « teologia nera » è la sua
marcata concretezza, coniata sulla situazione sociale specifica degli USA.
Molti teologi bianchi si son mostrati
assai stupiti di questa nuova teologia:
una vera teologia non dovrebbe essere
partigiana. Un rappresentante della
« teologia nera » commenta: « Interessante, anche se non desta stupore, l’insistenza con cui da parte bianca è stato fatto notare che la teologia non ha
colore. I medesimi che hanno fatto
del colore un veicolo di disumanizzazione, vengono ora a raccontarci che
la teologia è senza razza e “universale". Un po’ tardi, dopo quattro secol'^
di silenzio al rieuardo. Perché non è
stato detto, questo, quando delle persone, per la sola ragione che avevano
un certo color di pelle, sono state fatte schiave in nome di Dio e della democrazia? Dove erano, questi teologi
“senz.a colore", quando delle persone
sono state linciate a causa del colore
della loro pelle? Ognuno dovrebbe sapere che i bianchi, non i neri sono responsabili del fatto che la comunità
umana è stata divisa in base al colore.
Noi neri siamo solo le vittime. E chi
critica la teologia delle vittime per il
fatto che essa s’incentra sull’aspetto
che meglio definisce i limiti della loro
esistenza, sembra non avere la minima idea di ciò che è in gioco per noi ».
Discussione
con la critica marxista
della religione
Si è già accennato che questa lettura
degli spirituals non è indiscussa. Gio
vani rivoluzionari affermano oggi volentieri che gli schiavi negri sono stati resi remissivi grazie alla religione
cristiana. Questa critica non è certo
del tutto ingiustificata. Si sa che in
molte località si teneva, una volta all’anno, un culto speciale per gli schiavi, nei quale- si predicava loro l’ubbidienza come il loro primo dovere cristiano. Purtuttavia, questa visione critica della religiosità dei neri americani è troppo facile e semplicistica. Nel
suo articolo Cone ricorda che non era
affatto senza ragione, se nella maggior
parte degli Stati del Sud era stata vietata ai neri l’organizzazione di propri
culti: i padroni bianchi sapevano di
aver da temere i predicatori laici neri. Alcune volte, nella storia della
schiavitù americana, movimenti neri
di resistenza sono stati fondati in assemblee religiose illegali. Ma — e questo è ancor più importante — la certezza di avere una patria nel cielo dava
ai neri oppressi la possibilità di reggere in una situazione umanamente
senza uscite. Lo schiavo senza diritti
si sentiva persona, nella fede cristiana.
E ciò era molto in una società nella
quale il nero, per definizione giuridica
ufficiale, era uomo solo per tre quinti! « Il concetto di cielo offriva ai neri la
possibilità di accettare la loro natura
umana, mentre altri tentavano di definirli come non-persone ». « I bianchi
possono opprimere la storia nera e
chiamare selvaggi gli africani. Ma non
si è tenuti a prendere sul serio le parole dei padroni di schiavi, finché gli oppressi sanno che il Padre che è nei cieli garantisce che sono anch’essi perso
irtjr, / 1 /-•U^ r'nc/T rip.1n” h.d.
La formazione degli adulti viene oggi fortemente valutata. Le organizzazioni professionali hanno riconosciuto
che rimane attivo nella sua specialità
soltanto colui che si aggiorna. Ma anche la Chiesa ha preso atto del fatto
che il catecumenato non può segnare
la fine della formazione religiosa. L'uomo deve formarsi e svilupparsi in modo continuo.
E giusto, perciò, ripensare al vero
fondatore della formazione dagli adulti: il teologo danese Nikolai Frederik
Severin Grundtvig, nato nel 1783 e
morto nel 1872, il 3 settembre.
ne (...). Ecco che cosa “il cielo" ha significato per gli schiavi neri ».
Non piangere, non gemere. Maria.
Non piangere, non gemere. Maria
L’armata di Faraone è annegata.
Non piangere, Maria.
Si dovrà tenere ulteriormente presente lo sviluppo della « teologia nera »
negli Stati Uniti. Essa da un apporto
non sottovalutabile alla formazione
della coscienza dei neri.
Frank Jehle
(Corrispondenza dagli USA riportata dallo
Schweizerischer Evangelischer Pressedienst).
Accanto a Kierkegaard, Grundtvig è
la maggiore personalità religiosa della
Danimarca del XIX secolo. Egli associava una visione religiosa rigorosamente luterana a un’idea nazionale da
cui doveva scaturire la rinascita politica e spirituale della sua patria.
Teologicamente, il suo pensiero andò via via mutando; ma ciò che costantemente gli stette a cuore fu: come portare al popolo la Parola di Dio?
Fu questa la radtee della scuola superiore popolare danese; il termine, corrente nei passi germanici, « Volkshochschule » ha in realtà la sua origine nel danese « Folkehojskole ». La prima di queste scuole fu fondata nel
1844. Agli adulti, per lo più giovani,
che partecipavano a queste scuole, pro
venivano in maggioranza dalla popolazione contadina) non veniva soltanto
offerta una cultura generale, ma si
tendeva a rafforzare in loro, con una
autentica comunione cristiana, il fondamento della loro vita, la fede. Ci si
occupava dell’uomo nella sua totalità.
Per decenni questi corsi di Folkejskole furono un fenomeno così tipicamente danese, che si pensava che
non potesse essere trapiantato altrove. Tuttavia oggi, anche se in forme
diverse, si ritrovano corsi di questo
genere anche al di fuori della Danimarca. Inoltre l’intera questione della
formazione degli adulti, neH’ambite
delle chiese, ha tratto stimolo e incen
tivo dall’iniziativa e dalla passiona di
Grundtvig. (sepd)
l|i!
Riunite a Debrecen, in Ungheria le sessioni amministrativa e teologica
della regione europea dell’Alleanza Riformata Mondiale
Le strutture leggere e i compiti dell'ARM
Un contatto fecondo con la discretamente forte ma isolata minoranza riformata magiara
L’Alleanza comprende la maggioranza delle Chiese riformate (qualifica europea), delle Chiese presbiteriane (qualifica angloamericana) e da pochi anni
delle Chiese congregazionaliste. Nata
dall’esigenza di una ricerca di solidarietà fra comunità disperse, relativamente piccole come numero di membri comunicanti, essa raccoglie Chiese che generalmente sono nate confessionalmente in contrasto con le maggioranze di obbedienza diversa o sono,
come in Unghena, ridiventate minoranze in seguito alla Controriforma.
Hanno spesso una lunga storia di lotte, persecuzioni, non di rado una ricerca di formazione di governi possibili,
che rispettino il carattere essenzialmente democratico-rappresentativo dei
smodi. Altre sono nate dalla Missione,
ma hanno acquistato una vita decisamente autonoma.
Che cosa è oggi l’Alleanza Riformata? A che serve? Dove va? È un blocco
confessionale in una costellazione ecumenica di ben altra portata? Come si
qualifica dinanzi al mondo di oggi e
davanti alle chiese cattoliche ed ortodosse? Quale è la sua autorità?
Panare di blocco confessionale è
molto difficile, soprattutto se si paragona l’Alleanza alla Federazione Luterana Mondiale o all’anglicanesimo.
Queste si sono realtà anche organizzative cd unitarie. La Federazione Luterana Mondiale ha una struttura con
numerosi uffici che si occupano delle
chiese luteiane nel mondo, della teologia luterana, della diaconia, dei profughi. L’anglicanesimo, presentandosi
come comunione anglicana, è una realtà organicamente unitaria per lituigia,
composizione gei archica con forte influenza dei laici e con robusta accentuazione della vita sacramentale. LAI
leanza appare, più che un tutto, come
un’associazione lappresentativa delle
diverse chiese in diverse situazioni.
Forse la concezione della chiesa come
corpo di Cristo è legata strettamente
ad una visione delle singole coniumta
come realtà storiche contingenti, nelle
quali però la chiesa e non una gerarchia si manifesta.
L’Alleanza Riformata ha quindi un
numero molto scarno di persone impiegate presso ai lei per le questioni
amministrative e per ic questioni teologiche. ,,
Si manifestano in seno aila Alleanza
alcune esigenze: favorire le unioni fra
chiese riformate, ceicare una unità di
rappresentanza ^on gli altri protestanti di fronte al cattolicesimo romano e
dinanzi all’ortodossia, tenacre a trattare con il Consiglio Ecumenico tutto
il campo della diaconia in casi d’inondazione o guerra.
A Debrecen, in Ungheria Orientale,
si sono riuniti i due rami: amministrativo e teologico. Il ramo amministrativo ha in vista i contatti, le relazioni
con le singole chiese; perciò nello scorso inverno ha mandato una delegazione a Belfast per esaminare la questione d’Irlanda, ha preso contatti con i
dirigenti delle chiese, le quali peraltro
sono state poco seguite nel loro atteggiamento di richiamo contro la violenza. È stato presentato ed approvato
un nuovo statuto dell’Alleanza
Il Comitato ha gettato le basi per
l’Assemblea Generale Riformata, che
SI terrà nel settembre 1973 in Amsterdam e che avrà come argomento: « Chi
dite che io sia »? I delegati e gli esperti vi saranno in numero di 150 persone come massimo.
autonomo. Il secondo tema, presentato dal Prof. Chappuis di Ginevra, corrisponde aile questioni di fondo, che
il nostro sinodo ha trattato un mese fa.
lo studio prende atto dei rischi connessi con un accademismo universitatario, vede le vicende della teologia
connesse sempre con gli eventi del
tempo nel quale si vive: una teologia
che abbia perso il senso della contemporaneità è ancora una teologia o non
è diventata un archivio senza alcuna
presa sulla testimonianza nel presente
secolo?
La Commissione teologica, presieduta dal Prof. Meulemann, ha proseguito
le sue ricerche sul fondamento teologico dei diritti deH’uomo e sulla questione « come fai e della teologia ». Da
un lato si tratta di individuare i reali
rapporti fra la libertà gloriosa dei
figliuoli di Dio e le varie libertà umane, che man mano si sono sprigionate
dalla storia umana con un processo
La scelta di Debrecen come sede dei
lavori delle Commissioni è dovuta ai
la partecipazione alla gioia delle comunità per il restauro di buona parte del
(Collegio Calvinista, attiguo alla chiesa. Per generazioni fu la fucina dei pastori con una facoltà di teologia riconosciuta universitaria nel 1914. In questa occasione ha altresì avuto luogo il
dialogo fra Riformati e Ortodossi, rappresentato da uomini come MeCord e il
Metropolita Nicodiin. La laurea honoris causa è stata conferita a varie
personalità evangeliche fra cui il Dr.
Eugene Cai son lìiake, il Dr, Puffert e
il Metrop. Nicod'm.
L’accoglienza degli ospiti è stata notevole da parte degli Ungheresi. Una
delle loro esigenze consiste nel rompere l’isolamento, nel quale vivono sia a
cause della difficoltà della loro lingua,
sia a causa della cortina di ferro, che,
se anche allentata, costituisce un ostacolo ad una continua comunione di doni dello Spirito.
Carlo Gay
Reazioni alia riaaluzione del CEC angli investimenti
Ginevra (.soepi) — Parecchie reazioni sono già stale registrate a seguite
della risoluzione votata a Utrecht dal
Comitato centrale che chiede il ritiro
degli investimenti in Sudafrica.
Il pastore Beyers Naude, direttole
dell’Istituto cristiano dell’Africa australe, ha dichiaiato che l’importanza
del litiro degli investimenti del CEC
non stava nei suoi effettii mmediati,
ma piuttosto nella ripercussione psicologica che essa può avere nei riguardi
dell’atteggiamento mondiale di fronte
all’Africa australe. Questa decisione
comprova che il CEC è deciso ad accrescere la pressione esercitata sul
Sudafrica per un cambiamento della
« ingiusta politica razzista ».
A. Boraine, presidente della Chiesa
metodista in Sudafrica ritiene che il
CEC dovrebbe piuttosto sforzarsi di
persuadere coloro che investono in
questo pae^e di assumere un atteggiamento più giusto nei riguardi dei lavoraori neri e di dividere i profitti.
Il cardinale austriaco F. König appoggia le decisioni del CEC riguardanti gli investimenti e l’aiuto ai movimenti di liberazione e di qualifica come sforzi per giungere all’eguaglianza
fra gli uomini.
G. M. Houser, direttore dell’« American Committee on Africa » approva
con calore « la posizione del CEC mirante a por fine alla collusione fra le
società internazionali ed i regimi razzisti minoritari dell'Africa australe ».
3
F
29 settembre 1972 — N. 39
pag. 3
Lettera di un dissidente e il libro di un cardinale a confronto
Due Chiese alternative
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In questa stessa pagina pubblichiamo una lettera di Adolfo Pfrcelsi, già
sacerdote cattolico romano all’opera
nella diocesi di Torino, ora sospeso
dalTesercizio del sacerdozio e impiegato presso un quotidiano di Torino, allo stesso tempo ministro (s’intende
non riconosciuto dalla gerarchia ecclesiastica) « al servizio della Parola e dei
fratelli » — com’egli scrive — neH’ambito della Comunità cattolica dissidente del Vandalino. È una bella lettera,
misurata nel tono, meditata nel contenuto, limpida nelle motivazioni e negli obiettivi: solo una forza morale e
una carica spirituale non comuni possono averla ispirata. Con molta sobrietà un uomo, un credente, racconta la
sua storia di prete « spretato », ripercorre le tappe decisive del suo itinerario spirituale e rende la sua testimonianza cristiana.
E una testimonianza positiva nei
confronti dell’Evangelo e della fede,
negativa nei confronti dell’istituzione
ecclesiastica romana, che oggi come
■ ieri (i metodi sono un po’ cambiati, ma
meno di quel che si crede) emargina
coloro che nel suo ambito sollevano
istanze evangeliche di fondo. La stessa sorte di tanti altri cristiani perseguitati o scomunicati da Roma attraverso i secoli (divenuti poi “eretici” di
vario grado), tocca ora ai cattolici del
dissenso: mentre il tradizionale « pericolo protestante » sembra ormai virtualmente rientrato o almeno rintuzzato (se, come Roma auspica, nel mo' vimento ecumenico la spinta verso la
integrazione prevarrà su quella verso
la riforma), la minaccia, ora, è costituita dai cattolici dissidenti: agli occhi di Roma oggi sono loro gli eretici
peggiori, gli « eretici da evitare », come dicevano gli inquisitori.
La lettera di Percelsi, con la sua pacata ma ferma denuncia dell’istituzione che lo ha estromesso, costituisce
una ennesima riprova — se pure ce ne
fosse ancora bisogno — del carattere
sostanzialmente antievangelico della
struttura ecclesiastica romana e del
sistema dogmatico-istituzionale che la
regge. Da ogni tempo e in tutte le confessioni è continuamente in corso un
conflitto tra Evangelo e Chiesa: ma a
Roma questo conflitto si risolve sempre a favore della Chiesa e a detrimento delTEvangelo.
Ora è proprio di questa Chiesa cattolica romana che non si smentisce
mai anche a costo di smentire l’Evangelo, che il noto teologo Jean Daniélou
parla in un suo libro recente, uscito
questo mese. Il titolo è La nostra Chiesa e l’editore Rusconi lo reclamizza sui
quotidiani presentandolo come « una
risposta chiara ed esauriente ai problemi posti dalla contestazione cattolica ». Il gesuita Daniélou è forse il più
celebre e certo il più intraprendente
dei cosiddetti teologi « riconvertiti »,
quelli cioè che dopo aver predicato e
avviato il rinnovamento della chiesa
cattolica hanno fatta marcia indietro,
si sono, appunto, riconvertiti alla conservazione e dedicano ora le loro energie non più a promuovere la riforma
cattolica ma ad arginarla o anche a
snaturarla volgendola in restaurazione. Il libro del cardinale Daniélou rientra perfettamente in questo quadro, ed
è istruttivo proprio come documento
di una concezione reazionaria della
chiesa cattolica, che è poi quella di
Paolo VI e dell’ortodossia tradizionale e, volendo, anche conciliare.
Qual’è dunque la chiesa di Daniélou?
È la chiesa di massa, cui tutto il popolo appartiene grazie a un battesimo
che ormai « fa parte della tradizione
stessa della razza » ( ! ). È la chiesa il
cui compito primario è di fornire all’umanità il sacro di cui ha bisogno,
dato che secondo Daniélou « quel che
rischia di far difetto al mondo di domani, non è il petrolio, l’energia atomica o la tecnica... ma il sacro ». È la
chiesa mediatrice che vuole sacralizzare il mondo comunicandogli « la dimensione della santità » per via essenzialmente sacramentale. E la chiesa
gerarchica e sacerdotale dotata di « poteri particolari », primo fra tutti quello di trasformare Cristo in ostia. E la
chiesa infallibile in cui per di più la
pretesa all’infallibilità, lungi dall’essere segno di una intollerabile presunzione, « è invece l’espressione stessa della sua umiltà » e in cui Tinfallibilità
del papa è « un aspetto del mistero
della Chiesa ». E la chiesa clericale in
cui i teologi sono utili e persino indispensabili ma restano « essenzialmente subordinati all’episcopato », considerato come « il solo depositario dell'insegnamento autentico e autorizzato
nella Chiesa ». E la chiesa scolastica
che oggi ancora « raccomanda il tomismo come una teologia sicura », E la
chiesa autoritaria che vuole realizzare
un equilibrio « molto difficile » tra libertà e autorità, ma in modo che siano
MESSA CANTATA
Santiago del Cile - Il presidente Allende ha
assistito a una funzione religiosa interconfessionale nella cattedrale, per il 16° anniversario dell’indipendenza cilena; ha cantato il
« Te Deum » il card. Henriquez, assistito dai
rappresentanti delle Chiese protestante, luterana, pentecostale, battista, avventista e ortodossa. (ANSA).
i diritti delTautorità a prevalere su
quelli della libertà e non viceversa. E
la chiesa irreformabile, che essendo
« intoccabile nella sua struttura », accetta « un certo tipo di riforma » ma
non la riforma. E la chiesa arrogante,
che dialoga dall’alto con i vari gruppi
umani e religiosi con cui viene a contatto: siccome essa possiede già la verità « non dovrà mettersi sullo stesso
piano di questi gruppi ». E la chiesa
intollerante che non dialoga con i cattolici del dissenso ma li disarma, li
isola, li estromette, come ha fatto con
Adolfo Percelsi e con innumerevoli altri credenti prima di lui e come Itti.
Come si vede, la chiesa secondo Daniélou è proprio l’opposto di quello
che dovrebbe essere secondo noi: la
chiesa che egli descrive è appunto
quella che noi rifiutiamo: la chiesa
che si divinizza proponendosi come
« la continuazione stessa di Cristo », la
chiesa che tanto più si allontana dal
Signore quanto più pretende di rappresentarlo, la chiesa non riformata e non
riformabile dalla quale non possiamo
che dissociarci e rispetto alla quale la
chiesa ecumenica che ricerchiamo dovrà necessariamente costituire una al
ternativa radicale. La nostra chiesa!
No, la loro!
Quanto alla nostra chiesa, quella
concreta in cui viviamo, la chiesa valdese, storicamente riformata e teoricamente riformabile, è per conto suo
carica di infedeltà, compromessi e mediocrità: ha in larga misura dimenticato di essere riformata e riformabile
e vive al di sotto della sua vocazione.
Nessuna chiesa, oggi, costituisce un
modello. La chiesa è da cercare, non
da copiare. La chiesa alternativa a
quella di Daniélou e di Paolo VI potrà
nascere soltanto da una riforma delle
chiese disposte a lasciarsi ricreare dalT'Evangelo. Siamo incamminati, speriamo, in questa direzione: ci muoviamo
insieme — evangelici e cattolici dissidenti (estromessi o no dall’istituzione)
— verso una chiesa che, a differenza
di quella di Daniélou, non sia nostra
ma Sua, di Lui, del Signore.
Paolo Ricca
Perchè mi sono sposato
senza chiedere dispensa
Adolfo Percelsi è un cattolico torinese di
27 anni; è stato sacerdote, incaricato della
cappellania nelle Case di cura « Villa Turina »; sospeso a divinis per aver assolto e accolto all’eucaristia una donna divorziata, lavora attualmente presso « La Gazzetta del Popolo », e domenica scorsa si è sposato con
un’impiegata, Gabriella Pont : ovviamente,
con rito civile, in municipio; ma la sera prima la comunità del Vandalino aveva offerto
agli sposi una cena, e durante il pasto si sono letti testi biblici, dal Cantico dei Cantici,
dal libro di Michea, te passi che parlano dell’impegno e della fratellanza verso gli altri, il
matrimonio è una cosa di comunità, non riguarda solo l’egoismo dei singoli », ha detto
A. Percelsi. « Non ho perso la fede, semplicemente ho voluto testimoniare un modo diverso d’esser prete. Per questo mi sono sposato
in municipio, senza chiedere a nessuno dei
miei ’’superiori” delle dispense che considero
autentici soprusi. Sono uno dei 25.000 confratelli che in questi anni, in tutto il mondo,
si sono sposati, non pensando certo, per que,
sto, di venir meno aU’impegno di fede ». Dopo il matrimonio egli ha inviato a tutti i
preti torinesi una lettera, di cui riproduciamo
qui il testo.
Cari amici,
mi pare giusto comunicarvi che nella comunità del Vandalino, di cui ormai da tempo faccio parte, ho celebrato nella fede e nella gioia il mio matrimonio.
Questa mia non è assolutamente una
difesa o una giustificazione della scelta
fatta, ma semplicemente un chiarimento e una partecipazione che mi sembrano doverosi nei confronti di coloro
con i quali ho diviso per anni amicizia
e ministero. Infatti, poiché un atto cosi naturale qual è il matrimonio, assume per un prete un significato e una
risonanza del tutto particolari, desidero personalmente chiarire le ragioni
che mi hanno guidato in tale scelta e
nel modo di realizzarla. Tra le tante
voci, sicuramente non sempre benevole, che commenteranno il fatto, desidero inserire anche la mia onde offrire
elementi per una serena valutazione a
quanti vorranno lealmente interessarsene.
Innanzi tutto, non sono un rinnegato: non solo non ho perso la fede, ma
ho cercato, m questi anni, di approfondirla per scoprirne gli elementi sostanziali in grado di animare la mia vita
e di ispirare ogni mia decisione. Su
questa strada sono fermamente deciso
a proseguire affinché il Cristo continui
a orientarmi e, nei limiti delle mie capacità, possa annunciarlo come sorgente di vita e non fonie d’oppressione
per l’uomo e freno per la sua liberazione storica.
In secondo luogo, non sono un fuggitivo. Ho sempre parlato e agito con
quella libertà e franchezza che mi erano ispirate dal sapermi libero figlio di
Dio. Per questo sono stato messo ni
margini da una struttura religiosa che,
pur ammantandosi di dialogo e di rinnovamento, permane, di fatto, autoritaria e sostanzialmente immutata. Co.st mi sono trovato silenziosamente
estroniesso come tanti altri che avevano sinceramente operato affinché, nella luce di papa Giovanni e del concilio, il Vangelo tornasse a prevalere sull’istituzione e sut suoi interessi. Tutto
questo mi ha sempre più spinto a ricercare luce e verità attraverso una
più serena riflessione sul Vangelo e
sulla realtà della stona e della chiesa,
riflessione libera da una teologia astratta e da un’apologetica mistificante. Ho
cercalo di analizzare i fatti concreti e
non le parole, unendomi a coloro che
in Italia e fuori portavano avanti la
stessa ricerca con sincerità e sacrificio. Evidentemente, non più suddito
obbediente, l’istituzione non mi ha più
nutrito alla sua mensa. Anche se con
fatica, ho dovuto finalmente cercarmi
un lavoro, mentre ritrovavo tante persone che dividevano fraternamente con
me il loro pane. Ho provato così che cosa significasse vivere non più sostenuto
da privilegi di casta, guadagnarsi il pane sudatamente, difendere la propria
dignità umana, vivere, testimoniare e
comunicare la fede partendo non più
da una situazione inautentica, ma dalla dura verità dei problemi quotidia•ni d’ògni uomo. Ed assieme all’uomo
ho riscoperto un significato nuovo della Parola di Dio, finalmente ispiratrice
di vita e di salvezza.
Sulla stessa strada mi si è pure rivelato l’amore, con la sua ricchezza e
la. sua potenza, tradite dalla falsa spiritualità duna caòtità imposta arbitrariamente dall’istituzione ecclesiastica.
Anche se nell’amhiente ecclesiastico si
è portati a supporlo, non sono fuggito
per sposarmi: ho imparato ad amare
strada facendo, mentre gli uomini mi
rieducavano lentamente ad essere uomo. Non ho mai fcifto dell’abrogazione
della legge del celibato ecclesiastico un
punto fondamentale di lotta. La mia
crisi, come quella di tanti altri, non è
partita di la, come non ritengo dei resto che il celibato assurga alla dignità
di vero problema. Meglio, anzi, che la
oppressione di tale legge rimanga. Così molti pieti, diversamente tranquilli, partendo da essa potranno forse
prendere coscienza dei veri problemi
della chiesa, del suo autoritarismo, dei
suoi arbitra dottrinali e disciplinari,
della sua negazione di fatto d’un Vangelo che onora solo con le labbra, ora
alleata ora serva delle forze oppressive dell’autentica dignità umana.
Per questo non ho chiesto la riduzione allo stato laicale. Il farlo sarebbe stato capitolare di fronte ad un’autorità che non ha nulla da spartire col
Vangelo. Inoltre non intendo abdicare
a quanto ho ritenuto sempre importante per me: annunciare e servire la
Parola e i fratelli. Ura mi pare di poterlo fare con maggior verità e libertà,
simile in tutto alla vera condizione
d’uomo.
Ecco quanto desideravo comunicare
agli amici affinché il mio gesto fosse,
non dico accettato ed elogiato, ma almeno capito e perché l’antica amicizia
non venisse meno. Se quanto da me
fatto potesse servire a qualcuno, infondere coraggio per sfuggire ad un
potere per nulla evangelico onde ritrovarsi libero uomo e figlio di Dio, ne
sarei ben lieto. A costui o a costoro
direi di non temere: troveranno, come
me, degli amici e dei fratelli che l’aiuteranno e, soprattutto, la soddisfazione d’aver in qualche modo contribuito
a indebolire una struttura che non serve assolutamente l’uomo e non onora
il Cristo.
Adolfo Percelsi
Chi desidera mettersi in contatto
con la Comunità del Vandalino è pregato di rivolgersi a: Vittorio Zambella,
via Goffredo Casalis, 65 - Torino - tei.
75.05.62.
Gli affari aana affari
Per la prima volta dal ’45 un paese dell’Europa orientale ha prodotto Bibbie per un
paese extraeuropeo. A Praga sono pronti per
la spedizione mille Nuovi Testamenti in lingua kuranko, parlata da circa 85.000 abitanti della Sierra Leone. L’ordinazione è venuta
da una società biblica dell’Africa occidentale. Il lavoro è stato curato dalla ditta importexport cecoslovacca ARTIA. Vi sono già ordinazioni per 5.000 Nuovi Testamenti e
10.000 evangeli in baoulé, lingua parlata da
800.00 africani della Costa d’Avorio.
Come altri regimi comunisti, quello ceco
slovacco pone forti restrizioni all’importazione e diffusione della Bibbia. Ma gli affari sono affari. In questo caso, ci rallegriamo dei
fatti, e sorridiamo dei principi. Meglio essere anticristiani, e commerciare in Bibbie,
che e.ssere neutrali, e commerciare in armi.
I lettori ci scrivono
I'
Responsabilità e rischi
della profezia politicai
j Un lettore, da Salerno:
: Caro direttore,
conosco il redattore della rubrica « Uomini, fatti, situazioni » solo tramite i suoi
scritti. Nel doppio numero 33-34 del 25
agosto ’72 ho letto con un senso di malessere il commiato del Sig. Roberto Peyrot il Suo affettuoso e doveroso saluto
come direttore della “Luce”. Ho motivo
di compiacermi, come lettore del giornale, della Sua solidarietà espressa a chiare
notazioni. Voglia al Suo grazie, aggiungere anche quello di uno qualunque, dei
molti o dei pochi cui Lei accennava. Un
grazie non per dirci addio, beninteso solo
per risentirci.
Per discussa e discutibile che fosse, la
rubrica curata dal Peyrot, ritengo che non
doveva essere soppressa al culmine del
bombardamento epistolarmente livido al
quale il Suo redattore non sopravvive.
Tout court.
Spesso mi sono trovato in disaccordo
totale sia con Timpostazione della rubrica, sia con le notizie e i commenti riportati (Es. l’elezione presidenziale; ognuno,
caro direttore, si sceglie il democristiano
che vuole e tra Moro, Fanfani e Leone
avrei preferito Nenni; a giochi fatti mi
tengo Leone). Altro esempio la mancata
segnalazione del comunicato dell’agenzia
cecoslovacca CTK deU’11.1.72 per gli arresti di (( pastori e fedeli della chiesa
evangelica della città di Praga per attività sovversive », intendi diritto di opinione (“Il Messaggero” di Roma del 3.2.72
pag. 2).
So bene, earo direttore, che è molto
difficile soprattutto per dei dilettanti con
scarsi mezzi (ma che dilettanti!) fare i
professionisti di stampa; e altresì convinto che il servizio che i Suoi redattori rendono con partecipazione, serietà e senza
prebende dì sorta, per buono o cattivo
che sia al nostro giudizio di lettori, non
dovrebbe mai essere vituperato come è
stato fatto. Il diritto di non essere d’accordo va sempre esercitato, il disaccordo
con astio e livore, no, tra gentiluomini.
La rubrica incriminata era un tentativo apprezzabile e discutibile per esercitare quello che un altro Suo redattore ha
mirabilmente definita « la responsabilità
e i rischi della profezia politica » (“Luce”
n. 18 del 7.5.72). Eliminandola e sostituendola con « Sette Giorni » sì ha solo
con risultati scadenti un notiziario che
spigola dall’Astrolabio, L’Espresso, L’Unità, Il Manifesto, Il Mondo, Le Monde,
L’Express etc. (notiziario TV) le notizie,
e che strizza l’occhio a « Echi della Settimana » nella medesima pagina. Chiaramente manca Tanalisi attenta e precisa
della realtà in cui ci muoviamo; che è
una realtà di crisi. Crisi che non ci dovrebbe trovare estranei né come Chiesa
né come credenti. Purtroppo, l’impressione è che lo siamo. 0 che diversi tra noi
vogliano esserlo, estranei. Estranei, cioè
credenti che hanno accettato il divorzio
tra vita e fede e non vogliono trovarsi
in prima linea sul fronte della testimonianza cristiana, di cui eludono sia le difficoltà sia l’esigenza. (Parafrasando ancora
il Suo redattore "Luce” n. 33-34 del 25
agosto 1972).
Il microcosmo delle nostre Chiese riflette fedelmente le tensioni, la faziosità
nella lotta politica del paese, esasperate
da un provincialismo e particolarismo
deprimenti. E pensare che credo ancora
che noi si abbia, come credenti, come Vaidesi, una coscienza e un senso di essere
che dovrebbe risparmiarci almeno certe
posizioni estremìstiche e anti-libertarie. A
volte, bisogna proprio ricordare ad alcuni
fratelli, che Dietrich Bonhoeffer fu arrestato dalla Gestapo il 5 aprile 1943, e impiccato a Flossenburg il 9 aprile 1945 :
aveva trentanove anni. Un testimone scomodo.
Cerchi di non essere ingeneroso verso
di se e la redazione, tra tanti che Le sbattono l’abbonamento in faccia per protesta, io ho il piacere di riconfermarglielo
e mi auguro fortemente di continuare a
legger'lTI.
Cordiali e fraterni saluti.
Corrado Baret
La ringrazio per la Sua lettera che rallegra, oltre che me, gli altri redattori, e
per il suo incoraggiamento, tanto più apprezzato in quanto critico. Permetta alcune considerazioni, in risposta.
Ripeto che il ritiro di R. Peyrot dall’impegno della rubrica non è stato conseguenza dell’ondata di critiche, è dovuto
a oggettive cause di lavoro, anche se il
distacco, in quel clima, è avvenuto con
qualche amarezza. Distacco per altro parziale.
Quanto alle critiche criticate, occorre
in effetti fare la tara della zavorra di
asprezza, talvolta di livore che hanno convogliato ( e che del resto non sono esclusiva assoluta di una parte sola). Tuttavia
— e cerio sia Lei sia R. Peyrot siete pure
d’accordo — non si pub ridurre tutto a
questo, e liquidare così la questione. Da
questa ondata di critiche — e parecchie
me ne sono giunte a voce, da diversi ori.zzonti — è venuto anche un richiamo, che
tocca non tanto i redattori, ma me come
direttore. Come abbiamo scritto nella relazione annua al Sinodo del nostro comitato redazionale (pubblicata anche qui la
scorsa settimana), non possiamo scrivere
se non ciò che in coscienza pensiamo, ed
è quello che i redattori hanno fatto, con
scrupolo costante. Ma come gruppo di lavoro, e comunque io come direttore non
abbiamo forse sufficientemente vegliato a
sollecitare l’apporto di altri, di altro orientamento, alla riflessione e alla documentazione che offrivamo, in particolare nella
discussa ultima pagina. Puh essere anche
questa, la generosità cui mi invita?
Il nocciolo della questione, però, non
sta nel dosaggio di equilibri più o meno
avanzati o arretrati (dato che non abbiamo fatto, in redazione, scelta di classe),
ma ne “la responsabilità e i rischi della
profezia politica’’, appunto. E qui, rendendo onore a coloro che, soli, l’hanno
tentata sulle nostre colonne, mi pare però
che di rado si sia giunti a quel livello.
Non ci si improvvisa profeti, tanto meno
a scadenza settimanale, e ben lo sappiamo noi predicatori, più spesso scribi che
profeti. Ma se non si regge a quel livello,
allora nel riflettere sulla cronaca e nel
cercare di interpretarne almeno alcuni
aspetti e opportuna, anzi necessaria una
pluralità di voci e di interpretazioni.
Non sta certo nel pluralismo, la crisi attuale, ma rode ogni orientamento, ogni
posizione. E qual è la crisi vera, profondà? E dove corre, realmente, il fronte della testimonianza cristiana?
Grazie per lo stimolo che ci ha dato, e
ci dia più spesso il Suo apporto. Fraternamente, Gino Conte
Dissenso fraterno
Caro direttore,
ti prego di ospitare questa breve lettera, dato che risulto fra i collaboratori alla redazione del numero 38 del 22 settembre di questo giornale. Devo infatti esprimere la mia dissociazione da due scritti
apparsi su questo numero :
1) Anzitutto, dallo scritto dal titolo
« Dopo l’eccidio di Monaco ». Vi sono riportate solo frasi di dirigenti arabi e palestinesi mentre vengono ignorate pari dichiarazioni di violenza e di odio da parte
dei dirigenti israeliani (Golda Meir in
Parlamento : a colpiremo i terroristi ovunque e su ogni fronte »). Ma quanti erano
i terroristi uccisi fra le centinaia di vittime degli aerei israeliani che hanno decollato per la spedizione « punitiva » contro il Libano il sabato 16 settembre, alla
vigilia della fèsta dell’espiazione e del
perdono, lo (c yom Kippur »? Rilevo inoltre che, delle varie dichiarazioni, alcune
risalgono addirittura ad anni prima e mi
pare anzi che alcune di quelle prese di posizione siano nel frattempo mutate. Colgo l’occasione per precisare che non « tengo » né per gli arabi né per gli israeliani :
quello che prima mi turba e poi mi indigna è il sempre maggior « deteriorarsi » e
ormai addirittura il pericolo di genocidio
della popolazione palestinese.
2) In secondo luogo, mi dissocio dallo scritto dal titolo « Manicomio valdese ». Me ne dissocio perché mi pare uno
scritto riservato a pochi « iniziati ». Siccome però il giornale interessa una più
vasta cerchia di lettori, personalmente
avrei respinto l’articolo al mittente, pregandolo di essere più chiaro e comprensibile, a cominciare dalla firma.
Ti saluto con aiFetto.
Roberto Peyrot
Sul primo punto: la pubblicazione degli stralci, brevi quanto eloquenti, tratti
da un comunicato delVambasciata d^Israele a Roma, non è che un semplice contributo alla documentazione; le dichiarazioni (e gli atti) dei dirigenti israeliani ci
sono stati largamente riferiti, anche sulle
nostre colonne; mi è parso giusto riportare anche queste dichiarazioni, e lo stesso T. Viola, che in questa occasione ha assunto una posizione fortemente critica
verso Israele, mi ha detto di concordare.
Quanto a quelle di Arafat, che dopo Monaco ha dissociato VOLP da Settembre
Nero: o ha mentito due anni fa, o ha mentito ora, il che ritengo piu probabile, essendo la menzogna politicamente più che
comprensibile, alVaddensarsi delle minacce di ritorsione irsaeliana (e mi pare difficile che deir osanna lanciato da a Voce
della Palestina » ai terroristi di Settembre
Nero il capo delVOLP fosse igiutro).
Non intendo certo giustificare la sanguinosa ritorsione israeliana: che cosa si
può giustificare''^ in una guerra? Poiché di guerra si tratta: in modi e con tattiche diverse, i fedayn '^regolari” e quelli
di Settembre Nero sono in guerra con
Israele, e con un atto di guerra Israele ha
risposto; se i palestinesi sono vittime di ingiustizia (ma si apre allora un discorso
molto ampio, che non posso fare qui, sulle responsabilità lontane e vicine di quest'ingiustizia e delle sue conseguenze, responsabilità che Israele è ben lungi dal
portare da solo) bisogna anche dire che,
aizzati dai ^'fratelli" arabi che li hanno
aiutati più con armi che con campi, case,
possibilità di lavoro e di reinserimento
( perché solo il deserto del Neghev può
rifiiorire?), sono i palestinesi che hanno
Viniziativa dello scontro bellico, sono gli
arabi che hanno sempre rifiutato la base
di qualsiasi avvio di negoziati, l'esistenza
stessa della Stato israeliano.
Naturalmente ho anch'io sperato che la
ritorsione non ci fosse. Esito però a
pronunciare un giudizio morale sulle decisioni di un governo, che neppure è cristiano né è tenuto a reagire come ci si
potrebbe attendere che reagisse una chiesa, e che assume responsabilità di cui non
ho la piu pallida idea. Vi è il giudìzio di
opportunità politica (nel senso migliore)
che T. Viola citava la scorsa settimana e
che certo deve fare riflettere, ma che non
può essere un giudizio definitivo, anche
perché quanti sono in possesso di tutti i
dati di cui dispongono quelli che hanno
dovuto decidere?
Sul punto 2, abbiamo evidentemente
opinioni diverse, e cosi penso, i lettori.
Con pari affetto Gino Conte
P.S. - Questa risposta era scritta quando ho ricevuto l'intervento di A. Sonelli,
cui pure rimando, a pag. 8.
4
pag. 4
N. 39 — 29 settembre 1972
Il pastore Carlos Delmonte, di Jacintq Arauz (La Panipa, Argentina) ci scrive le
sue impressioni dopo avere partecipato alla sessione sinodale europea
Un Sfendo che ha hiccalo in modo posHhro
■nodi nevralgici dola vita deh nostre Chiesa
GU MIIIATI Ofl (Et niEmSCIMO
SUIM lEPREGSIONE IN GRUGUGY
Con molta gioia ho potuto partecipare con i fratelli alle sedute del Sinodo Valdese svoltesi a Torre Pellice
l’agosto scorso, e desidero ora fare alcune riflessioni, mettendo in evidenza
i punti che mi sono sembrati di maggiore interesse.
Comincerò dicendo che per un membro delle Chiese Valdesi Sudamericane è sempre un’esperienza senza prezzo, jjartecipare a un Sinodo delle comunità italiane. Si ha Timpresisione,
che le relazioni fra i due rami della
nostra Chiesa si siano rafforzati e approfonditi, perché credo che sentiamo
nostri i problemi che preoccupano altri fratelli e perché le distanze si sono
raccorciate permettendo un avvicinamento reale e fruttuoso. Ho seguito
con molto interesse i dibattiti sinodali
e i risultati raggiunti; e al termine credo che è rimasa in tutti noi un’impressione positiva di ciò che si è potuto
fare.
Dopo questa considerazione preliminare, ecco quali sono stati — a mio avviso — i punti più importanti dell’esperienza vissuta.
2. Però la realizzazione di questa
sessione congiunta non ha solo valore
in sé; ha avuto la sua vera dimensione
dai temi trattati. La riflessione si è
orientata sempre sui temi che concernevano direttamente la missione. Si è
parlato del culto, dei ministeri, dell’insegnamento, della comunicazione del
messaggio cristiano. Cito solo i temi
generali, perché non è mia intenzione
entrare nei dettagli e analizzarli. I temi ci hanno invitati a riflettere alla
nostra missione qui e ora, gli uni con
più intensità degli altri. Credo, ad
esempio, che il momento più importante è stato quello in cui si è discusso il lavoro di riflessione teologica della Chiesa. Vi sono momenti nei quali
uno sente, in modo forse empirico, che
il dialogo in un’aula sinodale tocca
punti vitali, interessa i nervi stessi della comunità cristiana: questa è stata
l’impressione che ho tratta dal dibattito menzionato. Pensando alla comunicazione del messaggio evangelico, abbiamo dovuto prender tutti coscienza
del fatto che ciò che dicevano gli oratori interessava la nostra vita stessa,
si riferiva a situazione che tutti dobbiamo affrontare e che talvolta non
abbiamo potuto risolvere. Direi — in
termini tillichiani — che il tema ci obbligava a riflettere sulla nostra situazione e ad analizzarla: la nostra opera, là nostra missione, e il modo in
cui la stiamo compiendo là dove viviamo. Penso che in quei momenti il Sinodo come comunità di credenti raggiungeva, sia pule in modo passeggero,
la sua vera dimensione. È chiaro che
dopo essere stati sul « monte della trasfigurazione » si deve tornare al piano,
parlare di regolamenti, approvare articoli della « Disciplina », etc. Tuttavia
si avverte un senso di frustrazione
quando pare che la discussione sia solo ginnastica intellettuale di borghesi
che possono permettersi il lusso di discorrere superficialmente o semplicemente ignorare le situazioni di conflitto che per altri sono pane quotidiano.
In questo senso forse abbiamo ancora
tutti molto da imparare. Desidero però sottolineare che in quella mattina
siamo stati tutti arricchiti da ciò che
vi si è detto e dallo spirito che regnava nell’aula.
comunità. Devo anche qui dire in tutta sincerità che la divisione fra la cosidetta « sinistra » e la cosidetta « destra », è stata assai attenuata nelle giornate sinodali, o non è grande come pareva.
Penso che nei prossimi Sinodi il Collegio sarà un tema rilevante, perché è
un punto di polarizzazione delle opinioni circa la sua ragion d’essere e il
suo compito. Spero che la passione
■non sia cattiva consigliera e che questo Istituto possa essere integrato senza riserve fra le opere d’avanguardia
che la Chiesa Valdese conta. Il tema
dell’« educazione alla libertà » potrà
forse portare elementi validi alla riflessione, alcuni dei quali sono già stati
presentati da alcuni oratori nel dibattito sinodale.
In occasione del recente sinodo, oltre al messaggio inviato dal moderatore de la Mesa vaidense, abbiamo avuto in aula la presenza e la testimonianza del pastore Carlos Delmonte,
testimonianza che abbiamo ascoltato
(e pubblicato sul n. 35 del giornale)
con profonda attenzione e partecipazione. Ora una nuova testimonianza
giunge da alcuni inviati del CEC, testimonianza che rileviamo dal n. 25 del
soepi. r. p.
1. Il primo punto positivo è stato,
per me, partecipare a un Sinodo Valdese diverso dal consueto, perché si
teneva in forma congiunta con la Chiesa Metodista. Venendo da un incontro
ecumenico a Utrecht, nel quale si potevano valutare le differenze che ancora dividono la Chiesa Cristiana, partecipare a quest’attività comune è stato un fatto molto positivo. Ho pensato
più volte che finché il sistema politicosociale che domina nei paesi occidentali continuerà come attualmente, la
unità dei gruppi cristiani non si produrrà che sulla carta, mai in pratica.
Perché è molto difficile superare l’idea
che la nostra denominazione e quindi
la nostra comunità locale è « nostra
proprietà spirituale privata ». E ho detto pubblicamente che solo la sparizione o la trasformazione di questo sistema politico-sociale, lasciando il posto
a una nuova forma di convivenza umana in questa parte del mondo, renderà
possibile l’unità vera dei credenti. Forse noi qui, in America Latina, siamo
più abituati a pensare che la necessità
imperiosa di lottare per una maggiore
giustizia unirà gli uomini, a misura
che passa il tempo e che la situazione
di tutti si farà sempre più insostenibile. Forse ci sbagliamo, e sorgeranno
sulla via nuove divisioni altrettanto
profonde quanto quelle che ora conosciamo, tuttavia è molto incoraggiante
vedere concretamente due Chiese che
stanno andando oltre le dichiarazioni
congiunte o un’interminabile discussione dottrinale, per cominciare a procedere insieme sulla via de41a missione
e del servizio comune nella società italiana. Constatare il fatto concreto è
più importante che analizzarne le motivazioni. perché questo ci porterebbe
a dare giudizi di valore, con il rischio
di dimenticare elementi importanti o
di farne risaltare altri che sono secondari.
Tengo a segnalare questo, perché
noi, qui, siamo ancora alla fase delle
conversazioni, del lavoro di commissioni, per giungere alla conclusione che
l’unione organica fra Metodisti, Valdesi e Discepoli di Cristo nell’area rioplatense dovrebbe attuarsi nella costituzione di una nuova denominazione,
con un suo nome particolare; forse
questo tranquillizzerebbe le nostre coscienze, ma in fondo non sarebbe altro
che una manifestazione locale di unità,
la quale lascerebbe immutata la situazione di divisione di tutto il corpo cristiano. La questione di fondo è, a mio
avviso; E davvero il Signore che ci
spinge a lavorare sempre più uniti, ovvero è la necessità del momento che
ci sollecita a fare i passi necessari in
questa direzione? Non è possibile distinguere nettamente, perché penso
sempre che Dio prepara oggi l’opera
che noi possiamo compiere, in obbedienza a Lui. Perciò penso che questa
espressione di unità fra Metodisti e
Valdesi in Italia dev’essere interpretata come un segno dei tempi attuali e
unicamente come opera dello Spirito
Santo, piuttosto che come desiderio o
volontà d’uomini.
3. Altro momento in cui risultò la
problematica vissuta dalle comunità
italiane, quello in cui siamo stati invitati a considerare la lettera di obiettore di coscienza. Davvero questa lettera ha avuto un’eco che non potevo
immaginare, giungendo a Torre Pellice. Lo dico con piena sicurezza, il grado di sensibilità dimostrato dal Sinodo
nel solidarizzare con la lotta degli
obiettori di coscienza è stata una sorpresa. Sorpresa perché una volta ancora si è passati dalle parole ai fatti.
Per ovvie ragioni ignoro quale sia stata l’eco del « digiuno » attuato; né posso sapere — e in fondo poco conta —
se così facendo abbiamo dimostrato
un vero « sacrificio » di solidarietà.
Quello che però è apparso chiaramente in questa circostanza è stato l’impegno di tutta l’Assemblea: se non fosse un termine equivoco e abusato, direi che in quel momento il Sinodo assumeva un impegno politico, perché
denunciava la situazione di un gruppo
di persone che soffrono concretamente per la decisione di lottare che hanno ^ preso, e perché metteva in questione la ingiustizia implicita nelle leggi
di uno Stato come quello italiano. Certo, non si è potuto andare oltre: come
bene ha detto un collega, si è gettata
acqua sulla brace ardente dell’ordine
del giorno relativo al Vietnam; tutto
questo ha però mostrato che possiamo
ancora avvivare l’eredità del passato,
insanguinata da coloro che nel loro
momento storico e secondo le circostanze hanno lottato per la libertà di
coscienza.
Se prima dicevo che, considerando
gli aspetti della missione, ho partecipato a un Sinodo che ha toccato i punti nevralgici più sensibili delle comunità, dico ora che ho pure partecipato
a un Sinodo che ha saputo solidarizzare con la realtà concreta e prendere
posizione nella lotta determinata dai
conflitti che lacerano la nostra società.
5. Altro tema che ci riguarda tutti e che deve essere usato come un
elemento che ci solleciti a esprimere
la nostra unità al di sopra dell’oceano:
l’ottavo centenario della conversione
di Valdo. Ritengo che il lavoro compiuto dalla commissione che ha presentato la sua relazione al Sinodo, mettendo in relazione il passato e la nostra missione attuale, è la Via per reinterpretare tutta la storia del movimento valdese delle origini e il suo sviluppo successivo. Per noi, nel Sud-America, è importante non perdere l’occasione dei contatti che questa celebrazione proDone fra i due rami della nostra Chiesa. Seguiremo quindi col massimo interesse ciò che si andrà facendo di qui al 1974.
Ginevra — Un gruppo di tre dirigenti ecclesiastici americani accusa il governo dell’Uruguay di condurre una
cqmpagna di repressione contro vasti
strati della popolazione.
A seguito della richiesta del Consiglio ecumenico delle Chiese, essi si sono recati recentemente in Uruguay,
per raccogliere informazioni sulla violazione dei Diritti dell’uomo in quel
paese.
Il gruppo era composto da W. P.
Thompson, segretario generale della
Chiesa presbiteriana unita negli Stati
Uniti; da T. J. Liggette, presidente dell’ufficio delle missioni della Chiesa cristiana (Discepoli di Cristo) e da E. L.
Stockwell, segretario generale aggiunto della Divisione mondiale deH’Ufficio
delle missioni della Chiesa metodista
unita. Dal loro rapporto risulta « che
vi sono innegabili prove della violazione dei Diritti dell’uomo, del fatto che
i prigionieri politici sono sottoposti a
torture, tanto fisiche che psichiche ».
Nel ricordare che dalla proclamazione dello stato di guerra interna, nel
l’aprile del 1972, tutte le garanzie costituzionali — quali Vhabeas corpus
(n.d.tr.: la pronta traduzione davanti
al giudice e la conoscenza della causa
dell’arresto) e le normali procedure
giuridiche — erano state sospese, i tre
delegati affermano che migliaia di cittadini sono detenuti senza giudizio.
Fra di essi figurano il fratello del presidente della suprema Corte di giustizia, tre pastori metodisti, numerosi
preti cattolici e altre persone sospettate di appartenere al gruppo politico
« Frente Amplio ».
La delegazione fa notare che, pur
non avendo essa stessa assistito ad atti di tortura, « nessuno ha negato che
essi venivano commessi ». Si sono avuti vari contatti con numerose persone,
fra cui ministri, politici, giuristi, professori, ecclesiastici e sindacalisti.
Il rapporto precisa che in genere è
stato affermato che la tortura veniva
inflitta solo ai tupamaros. Tuttavia, la
delegazione ha motivo di ritenere che
in realtà essa viene applicata, per motivi politici, a larghi strati della popolazione.
I delegati hanno chiesto al CEC di
esprimere praticamente le sue preoccupazioni nei confronti dei Diritti dell’uomo in Uruguay. Il segretario generale ha promesso che tutti gli organi
del Consiglio avrebbero collaborato
congiuntamente per portare a conoscenza delle Nazioni unite le violazioni dei Diritti dell’uomo.
Una copia del rapporto è anche stata trasmessa alla commissione pontificia « Justitia et pax ».
Con uno soarto d! ottomila voti
4. Il dibattito sulla relazione del
Collegio Valdese di Torre Pellice ha
rivelato che restano presenti all’animo di molti le discussioni al riguardo
avutesi nel Sinodo di alcuni anni fa.
Mi è parso, questo, un altro punto nevralgico della situazione vissuta dalle
6. Senza entrare nel terreno equivoco del « culto delle personalità », devo considerare un altro elemento positivo del Sinodo scorso il largo applauso tributato all’ex-Moderatore Neri Giampiccoli. 11 suo compito non è
stato facile, ma non è stato neppure
vano. Mi sentivo perfettamente integrato con i fratelli italiani, in rappresentanza di tutte le chiese sudamericane, neH’esprimere con un applauso
tutta la nostra riconoscenza al Moderatore che terminava il suo mandato.
Il compito del nuovo Moderatore, il
past. Sbaffi, non sarà neppure esso facile, ma attraverso queste righe gli diciamo che può contare sempre sul nostro caldo appoggio durante tutta la
sua moderatura.
7. Terminando, desidero approfittare di quest’opportunità- per sottolineare sia la fraterna solidarietà espressa dal Sinodo alle nostre comunità, in
nazioni che vivono in una situazione
prerivoluzionaria, qui in America Latina. Molte sono state le manifestazioni
pubbliche e private che mi hanno fatto sentire l’autenticità dei sentimenti
che le comunità italiane hanno per noi.
In risposta a tutto ciò, che è per noi
di grande valore, desidero inviare queste riflessioni, e per loro tramite la mia
e nostra gratitudine a tutti i fratelli
valdesi in Italia, Com’è vero che la nostra situazione non è facile né lo sarà
nel prossimo avvenire, l’appoggio e la
solidarietà che riceviamo ci permettono di procedere tenendo salda la nostra speranza e la certezza che, uniti
ad altri fratelli, potremo andare avanti sulla via della consacrazione e del
servizio.
Cari.os Delmonte
La SVIZZERA ha detto
al commercio delle
II
SI
armi
II
■
Si è tenuto nei giorni scorsi in Svizzera un referendum popolare che aveva lo scopo di conoscere la volontà dell’elettorato nei confronti del commercio delle armi che questa nazione «neutrale » esercita a livello mondiale.
La votazione è andata a favore della
prosecuzione delle vendite, sia pure
per una differenza di appena 8.479 voti. Dei 22 Cantoni che formano la Confederazione, quelli di lingua franco-italiana hanno votato per la cessazione
con una certa maggioranza, mentre i
cittadini di lingua tedesca hanno votato a maggioranza per la prosecuzione.
Vorrei fare due osservazioni sulle
votazioni; innanzi tutto è interessante
rilevare che gli elettori che risiedono
nelle zone in cui sorgono le principali
fabbriche di armi hanno votato a favore delTiniziativa di sospendere la vendita delle armi. In secondo luogo, impressiona la bassissima percentuale di
votanti, che è stata appena del 32,70%.
Sembra incredibile che problemi e decisioni di così grande importanza, problemi che interessano il mondo intero,
siano così poco sentiti da un elettorato
che si vanta di avere una lunga tradizione civile e democratica.
Uno dei motivi che ha provocato
questo referendum è stato senza dubbio daio dallo scandalo causato dalla
vendita « truccata » di ingenti quantitativi di armi in numerosi paesi del
Terzo mondo (i terribili massacri in
Biafra ne sono atroci testimoni) mediante la falsificazione delle licenze di
esportazione da parte di alti dirigenti
della « Buehrle-Oerlikon ». D. Buehrle
è stato « punito » dalla giustizia con
una condanna a otto mesi con la condizionale e a 3 milioni di lire di multa.
Fra i fautori della prosecuzione di
questo commercio vi sono i «legalisti»
che dicono: sì, noi vendiamo armi, ma
non possiamò venderle ai paesi in
guerra. Si tratta di un’affermazione
che non varrebbe neppure la pena di
confutare. Si sa benissimo che non
mancano mille possibilità di « giri viziosi ». Ma si tratta soprattutto di un
moralismo assai discutibile il quale,
tradotto in parole povere dice — in
teoria — di opporsi ad alimentare le
guerre, ma non ha nulla da obiettare
quanto alla loro preparazione.
Certamente, un altro motivo che ha
provocato il referendum è dato dal
fatto che la Svizzera, malgrado le sue
minuscole dimensioni territoriali, è al
decimo posto fra le nazioni esportatri
UM ESEMPIO DI OOME{NON SI DOVREBBE \LEGGERE I GIORNALI
Il voto olotoilisto-iHililoGG sollo ropitssIONe
Leggere il “Corriere,, (o la “Stampa,,), o/e “Le Nouvel Observateur,,
Sinodo Valdese e Conferenza Metodista in sessione congiunta hanno approvato un o.d.g. che denuncia la grave situazione esistente in Italia nel
campo della repressione dei reati di
opinione, e lo hanno approvato praticamente alla unanimità nella forma in
cui era stato proposto, in essa inclusi
riferimenti alla stampa di informazione italiana e ad una più generica stampa straniera.
Chi scrive, pur assiduo lettore del
« Corriere della Sera », lo ha votato
con gli altri perché:
— proprio la lettura del « Corriere »
gli era stata più che sufficiente a rendersi conto della estensione del fenomeno repressivo denunciato; ed aggravato, a mio parere, dal fatto che mentre per i reati di opinione denuncie,
processi e condanne si susseguono a
ritmo accelerato, non si è ancora riusciti in sede di giustizia a identificare
e a condanare uno solo di coloro che
le loro differenze di opinione esprimono a mezzo di bombe;
— Tullio Vinay, presentatore dell’o.d.g. è uno dei pochissimi tra di noi
che non si limitano a dire « Signore, Signore » ma fanno (o almeno cercano
di fare) la Sua volontà. Ciò gli dà ai
miei occhi il diritto di veder giudicate
le sue proposte nel loro merito e non
nei loro aspetti formali o accessori.
Ciò detto, tuttavia, dato che nella discussione si è molto insistito in apprezzamenti sui vari giornali che « si
devono » o « non si devono » leggere,
mi sia consentita qualche osservazio
ne. Anche perché il riferimento alla
stampa estera contenuto nell’o.d.g. costituisce un vero e proprio esempio di
come non si dovrebbero leggere i giornali, siano essi il « Corriere », la
« Stampa » o qualunque altro foglio
italiano od estero.
Esso riferimento riguarda « Le Nouvel Observateur » il quale avrebbe denunciato in un suo articolo che (cito a
memoria) « il numero dei perseguitati
per reati di opinione in Italia supera
oggi quello analogo dei perseguitati in
periodo fascista ».
Ora mi pare evidente che tale affermazione non è più di uno slogan di
polemica politica, ma in sé e per sé
non significa un bel nulla. Infatti;
— se essa vuol dire che nei 27 anni
della Repubblica Italiana i perseguitati per tale ragione sono più numerosi
di quelli dei 23 anni del periodo fascista, non può essere accettata come vera, neppure statisticamente, da chi ricorda i primi cinque e gli ultimi tre
anni del periodo fascista (repubblica
sociale compresa);
— se essa vuol dire che i perseguitati oggi sono in numero maggiore di
quelli della parte centrale (cosiddetta
normalizzata) del periodo fascista, l’affermazione è con ogni probabilità statisticamente vera, ma manca di un
significato reale.
Il reato di opinione (e quello di vilipendio) è un tipico reato di stampa e
chi ha la mia età sa bene che in periodo fascista, anche normalizzato, mancava soprattutto il mezzo per compie
re tale reato. Certo né « Il Popolo
d’Italia » né « Regime Fascista » si prestavano allo scopo e la stampa clandestina, solo mezzo disponibile, era perseguitata in toto: difficoltà oggettiva
quindi .di compiere il reato e conseguente scarsezza di rei. D’altronde una
gran parte dei possibili rei era stata
in un modo o nell’altro costretta all’esilio (oggi le persone in queste condizioni si contano sulle dita di una
mano) e il suo reato di opinione lo
compiva all’estero fuori della portata
della giustizia fascista (con qualche
eccezione tipo Fratelli Rosselli); un’altra larga parte viveva al confino (oggi
in tali condizioni si conoscono solo i
mafiosi o meglio una piccola parte di
essi) e il suo reato di opinione se lo
compiva dentro di sé senza poterlo
materializzare; ed un’altra non indifferente parte occupava i cimiteri dove
reati non se ne possono più compiere:
un confronto fra gli assassinati di allora e quelli di oggi è validissimo sul
piano della esecrazione (Pinelli per
questo vale Gobetti), ma non sul piano statistico.
Concludendo mi sembra quello che
conti essere non cosa si legge, ma come si legge. Una lettura acritica della
stampa, sia essa di destra, di sinistra
o di informazione apparentemente
neutra, porta solo ad errori di valutazione, come quello di dare ad una frase di polemica un valore di documento. Col rischio di tornare a quei vecchi slogan sul « socialfascismo » che
Un cannoncino DCA 20 mm., a tiro rapido,
della Oerlikon, preso dai Biafrani ai Nigeriani federali, durante il conflitto.
ci di armi nel mondo. Lo afferma il Sipri, nel suo rapporto annuo. Il Sipri
(Stockholm International Peace Research Institute) è un ente di ricerca
internazionale indipendente che per la
sua serietà e qualificazione gode del
massimo prestigio.
E mentre siamo in argomento, non
possiamo non ricordare che anche
l’Italia si distingue nel commercio delle armi: sempre secondo le suddette
statistiche, essa occupa il quinto posto, dopo gii USA, l’URSS, la Gran
Bretagna e la Francia. C’è da augurarsi che anche qui sorga un vasto movimento di opinione su questo argomento, che porti a risultati più positivi che
non in Svizzera, allo scopo di por fine
a un commercio fra i più scandalosi e
immorali. Roberto Peyrot
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllilllllllllllllllllllllllllllllllll
tanto male hanno fatto al loro tempo,
come insegna la storia, anche quella
scritta da un comunista come lo Spriano. Questa repubblica preconciliare
merita un sacco di critiche e sforzi illimitati per risanarla, ma per fortuna
nostra il periodo fascista è stato un’altra cosa. N. D. M.
5
29 settembre 1972 — N. 39
pag. 5
LA CHIESA E LA SUA MISSIONE NEL MONDO
Il pastore Franco Davite, rappresentante valdese nella CEVAA, riferisce sui lavori della sessione autunnale del Consiglio della Comunità Evangelica di Azione Apostolica, tenutasi a Cartigny
A un anno dalla
il programma
costituzione,
diventare realtà?
Si trattava di verificare se la fine della « missione a senso unico » e la collaborazione autentieamente paritetica sono almeno iniziate, se cioè la CEVAA è una
realtà vivente o un’iniziativa teoricamente giusta ma rimasta sulla carta
Daini al 16 settembre ha avuto luogo a Cartigny, presso Ginevra, la seduta annuale del Consiglio della CEVAA (Comunità evangelica di azione
apostolica) la comunità delle chiese
evangeliche di Oceania, Europa, Africa
e Madagascar che hanno dato vita alla Società delle Missioni di Parigi e
che sono nate dalla sua predicazione e
che, dall'anno scorso, ha preso il posto
di quest'ultima. Si è trattato della prima riunione del Consiglio, dopo la fondazione della CEVAA avvenuta nel novembre scorso ed era particolarmente
importante perche si trattava di verificare il lavoro teologico e pratico
dei primi 10 mesi di vita di questa comunità di chiese sorelle impegnate assieme nella predicazione evangelica e
nella testimonianza in diversi continenti, nell’aiuto iraterno di uomini e di
mezzi scambiati su piede di parità fra
chiese e continenti. Si trattava di vedere se la fine della « missione a senso
unico » dall’Europa ai paesi oltremare
e la collaborazione autenticamente paritetica fosse effettivamente almeno
iniziata o se fosse rimasta una bella e
vana intenzione dell’incontro dell’anno
passato. Si trattava anche di vedere
come le varie chiese in Europa ed altrove avevano compreso questo cambiamento e vi avessero reagito. In altre parole controllare se la CEVAA è
una realtà vivente ed in movimento
oppure una iniziativa teoricamente giusta ma destinata a rimanere sulla
carta.
Il funzionamento della CEVAA ha
richiesto lavoro e denaro. Il Pastore
(Rakotoarimanana ha lasciato il segretariato generale della Chiesa di Gesù
Cristo nel Madagascar in un momento
delicato della vita di quella chiesa e
di quello Stato per stabilirsi a Parigi
con la sua famiglia, affrontando problemi non indifferenti di sistemazione
e di studio per i suoi figli; il pastore
Hotz di Neuchâtel, presidente della
CEVAA, ha dovuto essere sostituito a
metà tempo dalla sua chiesa per poter
svolgere il nuovo compito, i vice-presidenti Kotto, Maury, Musunsa, Raapoto,
rispettivamente presidenti o segretari
generali delle rispettive chiese in Cameroun, Francia, Zambia e Polinesia
francese, si sono accollati un pesante
lavoro di responsabilità e di corrispondènza per collaborare con rufficio di
Parigi il cui segretario ha dovuto essere regolarmente in viaggio fra Parigi
e Ginevra ed il cui tesoriere, il pastore
Blanc della Chiesa luterana a Parigi,
ha aggiunto questo incarico al suo normale lavoro pastorale.
INIZIO POSITIVO
DI UN LUNGO CAMMINO
k
Nel complesso i risultati sono sembrati positivi anche se costituiscono
Solo l’inizio di un cammino che sarà
ancora lungo. Infatti da parte europea
c'è stato un certo smarrimento in molte comunità che non hanno ancora
compreso esattamente di che cosa si
tratta o che trovano che la missione
com’era prima andava bene. A questo
proposito qualcuno ha notato una difficoltà da parte europea di pensare ai
fratelli del terzo mondo come a fratelti adulti nei confronti dei quali occorre avere un sentimento di solidarietà
piena, ma non più quello più o meno
paternalistico che si può avere verso il
« fratellino minore » o il « povero fratello negro ». Da parte non europea si
è notato qualche volta la tendenza a
considerare la CEVAA come una società missionaria tradizionale, che assume tutte le responsabilità etc. Ma si
tratta di fatti isolati, mentre nel complesso abbiamo avuto la certezza di
aver imboccato la strada giusta.
Erano presenti le chiese evangeliche
della Nuova Caledonia, della Polinesia
francese (Oceania), del Lesotho, Zambia, Gabon, Cameroun, Togo, la chiesa
battista del Cameroun, la chiesa metodista del Dahomey, la chiesa di Gesù Cristo nel Madagascar (si tratta della chiesa che ha riunito le comunità
Sorte da diverse missioni evangeliche
in quell’isola). Per l’Europa: le chiese
riunite nella Eglise Réformée de France, quelle della Svizzera di lingua francese rappresentate dal Départeinent
Missionnaire Romand, le chiese luterane di Francia e di Alsazia e Lorena, la
chiesa riformata di Alsazia e Loiena,
la chiesa valdese e varie organizzazioni come « Pane per il prossimo », la
Pariser Mission di Basilea, il Dlakonisches Werk di Stoccarda, il tìipartiniento evangelico francese di azione
apostolica, il Consiglio Ecumenico lappresentato dal past. Robin Strong ed
altri.
Purtroppo anche alcune assenze-, le
chiese libere francesi, incerte sulle implicazioni della CEVAA verso il Consiglio Ecumenico delle Chiese. Ma soprattutto ci è pesata l’assenza della
chiesa evangelica del Transvaal, il cui
Moderatore non ha ricevuto il visto di
uscita dal governo del Sud Africa (tanto per cambiare!) ed ancor più quella
del pastoie Zedequias Manganhela,
presidente del Consiglio Sinodale della
chiesa presbiteriana del Mozambico.
Egli è stato arrestato con una ventina
di responsabili della chiesa verso la
metà del mese di giugno a Lourengo
Marques e da allora trattenuto in prigione senza alcuna imputazione precisa secondo le leggi che consentono la
repressione politica in questo paese.
Notizie di prima mano ci sono giunte
attraverso un membro dei Consiglio
della CEVAA che ha potuto visitarlo
Il post. Victor Rakotoarimanana, già segretario generale della Chiesa di Gesù Cristo
nel Madagascar, ora segretario generale della CEVAA.
recentemente in prigione e celebrare la
Santa Cena con lui e con altri fratelli.
Notizie di varie difficoltà di ordine politico ci sono venute anche da altre
comunità africane, pur senza raggiungere questa drammaticità. Ne daremo
ulteriori notizie su prossimi numeri.
GIRAFFE E GAZZELLE
Questo appellativo . semisclierzoso è
stato usato da un collega africano durante una discussione sulla facoltà di
teologia e sulle scuole pastorali. Queste ultime, in Africa, ricevono studenti
con il diploma della scuola dell’obbligo e preparano i pastori per le varie
comunità della chiesa. Le facoltà di
teologia richiedono la maturità e hanno un ciclo di studi di tipo occidentale; danno la licenza e, talvolta, anche
il dottorato in teologia. Tuttavia presentano seri e gravi problemi, perché
il tipo di studio occidentale non è confacente alla mentalità e alla spiritualità africane, per cui i teologi che escono da queste facoltà o che perfezionano il loro studio in Europa diventano
« più occidentali degli occidentali stessi », diventano « giraffe teologiche » che
vedono (o pretendono di vedere) tutto
dall’alto e disprezzano le umili gazze!
le che guardano verso il basso, verso
la realtà concreta della comunità e dei
credenti africani. Succede anche, talvolta, che le « giraffe » disdegnano il
lavoro nelle chiese e nelle comunità
per cercare un impiego in organizzazioni intemazionali dove c'é anche il
vantaggio di retribuzioni più sicure e
più elevate. Il problema è quindi aperto e grave. Le chiese africane lo stanno studiando e uno scambio di informazioni e di idee con le chiese europee che sentono anch’esse il problema
della ristrutturazione degli studi teologici (come avviene nelle chiese italiane e in quelle francesi), potrà essere
assai utile a tutti.
Sempre sul piano del lavoro teologico compiuto dal segretario teologico
Seth Nomenio, togolese. Si tratta di
uno studio biblico fatto a diversissimi
livelli: da riunioni « quartierali » nelle
zone agricole togolesi a incontri teologici, etnologici di alto livello con africani ed europei. Tema di questo studio: « Si può essere africani e cristiani? » « Quali sono le caratteristiche dell’uomo cristiano? ». Il risultato di questi lavori è stato inviato ai corrispondenti teologici delle varie chiese (per
la Chiesa Valdese è il past. Gino Conte) e per mezzo di essi alcuni spunti
giungeranno alle comunità. Ma vorrei
qui anticipare un fatto che è parso
molto importante a tutti gli europei e
per tutte le nostre comunità: la riscoperta dell’uomo. L’africano ha una conoscenza delTuomo molto più profonda di noi, un autentico intuito per le
relazioni umane, acuito dall’esperienza
e non dalla cultura e dai libri. Una
lettura della Bibbia fatta in questo
modo ha qualcosa di assolutamente
nuovo per noi, e di profondamente convincente. Naturalmente non si tratta
ora di giocare a « fare gli africani » e
di immaginare di avere quello che non
abbiamo. La presa di coscienza di questo modo di leggere la Bibbia e di fare
teologia potrà essere un valido correttivo ai nostri metodi occidentali troppo logici ed astratti, nei quali l’uomo
concreto trova difficilmente un posto.
LE SOLITE DOLENTI NOTE
Vengono naturalmente dall’Europa e
sono le contribuzioni delle Chiese, insufficenti in modo preoccupante. Su di
un bilancio che prevedeva all’inizio
uscite per quasi 587 milioni di lire,
mancavano ben 140 milioni, cioè circa
un quarto! E questo denaio non serve
a sostenere il lavoro delle Chiese indigene con i loro pastori, poiché esse
(più o meno come fa la Chiesa Valdese) provvedono con le proprie contribuzioni a sosteneie il bilancio normale
della chiesa, a costo di non pagare regolarmente i loro pastori; ma s=rve
soprattutto a coprire le spese dei posti occupati da personale euiopeo e solo in parte a finanziare nuove iniziative
di evangelizzazione, di solidarietà sociale e cosi via. Non si tratta quindi
di mantenere le Chiese del terzo mondo, ma molto più modestamente di
mantenere gli impegni che abbiamo
già assunto e che svolgiamo essenzialmente con personale europeo. E non
riuscirci non è certo impresa onorevole!
La discussione di questo bilancio è
stata molto difficile e si è ridotto il disavanzo di previsione a (soli!) 37.00u.000
soltanto a costo di economie all’osso
in spese non indispensabili, cercando
altre fonti di finanziamento per talune
ipiziative od opere di cui non ci si poteva accollare la spesa, ma anche a costo di chiedere alle Chiese oltremare
di rinunziare a ricostruire un presbiterio incendiato da ignoti due anni fa,
di aprire un nuovo posto di evangelizzazione già richiesto da tempo, di differire il miglioramento delle attrezzature di un ambuiatorio e così via.
E questo lo chiedono fratelli che abitano in una parte del mondo in cui le
spese inutili o i soli sciupii puri e semplici assommano a cifre astronomiche.
È vero che in questa nostra società i
credenti impegnati sòno una minoranza e che grandi Chi^e come quella di
Ginevra hanno chiudo quest’anno i loro bilanci in deficit; ma questo certo
non è se non una ben magra giustificazione di fronte ai nostri amici dei
paesi africani, oceanici e del Madagascar.
In collaborazione con i fratelli eletti
dai vari distretti della Chiesa Valdese
ci proponiamo di tenere regolarmente
informati i nostri lettori sulle Chiese
della CEVAA e sul lavoro che si svolge,
per imparare a conoscerli e per sentirci varamente loro fratelli nella missione che abbiamo ricevuto dal Signore,
dovunque egli ci ha chiamati a servirlo.
Il rappresentante della Chiesa
Valdese alla CEVAA, Franco
Davite
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllilllllllllll
Bibbia ecumenica
in Zambia
Lusaka (bip/snop) ■ Tre progetti di traduzione ecumenica della Bibbia sono attualmente allo studio o in corso di realizzazione in
Zambia. Si prevede per la fìnt del 1972 la
traduzione del Nuovo Testamento in lingua
la traduzione dell’Antico Testamento entro il
1975. Nel 1973 si comincerà pure a tradurre
la Bibbia in lozi. (N.d.r.: la lingua parlata
dai Malozif fra i quali hanno lavorato vari
missionari valdesi; la prima traduzione biblica in lozi era stata curata da Adolfo falla).
lA
CDiTisinnileoza dairinghilterra
nUlGEDIA IRUINDESE
seniiia zizzaiia per il feturo
L’odio istillato nei bambini delle due confessioni
Uno degli aspetti più preoccupanti
della tragedia irlandese, che pochi
sembrano vedere e rilevare, è costituito dai sentimenti di odio che va seminando nei bambini delle due confessioni religiose, anche in quelli che non
provengono da famiglie militanti in fazioni estremiste.
Varie organizzazioni religiose, sia
cattoliche che protestanti, e anche governative, hanno cercato durante l’estate di porre un qualche rimedio alla situazione organizzando colonie estive,
viaggi e campeggi « misti » (cattolici e
protestanti) per insegnare alla generazione dei giovanissimi la possibilità di
una pacifica convivenza. Ovviamente
queste vacanze portavano i ragazzi
quanto lontano possibile dal terreno
scottante dell’Irlanda del Nord, sia all’estero che in Inghilterra. Purtroppo,
persino alcune di queste iniziative sono state accolte con ostilità, ed è successo, per non citare che un solo caso
di pochi giorni fa, che un maestro di
scuola dopo aver portato in vacanza
nello Yorkshire un gruppo misto di 30
scolari, ha trovato, al suo ritorno che
la sua casa era stata saccheggiata per
rappresaglia e, come se non bastasse,
è stato bastonato e mandato alcuni
giorni in ospedale, senza nemmeno sapere da quale parte gli venisse la punizione, in quanto aveva ricevuto minacce da estremisti di ambedue le fazioni.
Ma, pur trascurando episodi che potrebbero cessare quando (Dio sa come!) la situazione di guerriglia terminerà, il vero problema, quello più grave, che rimarrà aperto, come una piaga difficile da rimarginare, è quello della semenza di paura e di odio che questi anni di ostilità hanno seminato nella mente e nei cuori delle nuovissime
generazioni dell’Irlanda del nord.
Ho avuto occasione d’avere sott’occhio una impressionante primizia: una
selezione di informazioni e di considerazioni che saranno materia di un libro del D. H. Morris Fraser, che sarà
pubblicato contemporaneamente a Londra e New York per i lettori di lingua
inglese delle due sponde dell’Atlantico.
Il Dott. Fraser è un noto specialista di
psichiatria infantile, di origine scozzese, esercita la professióne a Belfast da
una ventina di anni, sia come psichiatra per le scuole della città sia come
primario del Royal Victoria Hospital.
Il titolo del libro sarà « Children in
confiict » ossia « Fanciulli in conflitto »
ed il suo contenuto, già da quel poco
che ho potuto sapere, sarà quanto mai
impressionante.
Il D. H. Fraser non si preoccupa tanto della situazione attuale, per quanto
grave essa sia, sia dal punto di vista
bellico che sociale, quanto dei problemi a venire che essa prepara nell’animo della prossima generazione. Avendo lavorato professionalmente anche
negli Stati Uniti, il D. H. Fraser traccia un piarallelo tra il problema razziale americano e quello dell’Irlanda. Afferma che già prima di terminare le
scuole elementari i bambini dell’Irlanda del Nord sono imbevuti di una
ideologia di conflitto, respirata nelle
famiglie e poi accentuata e radicata
dalla segregazione scolastica attuale.
Fin dalla più tenera età i fanciulli sono imbevuti di una mitologia che si
basa, per i Cattolici, nel folklore irlandese e per i Protestanti su quello Britannico. La segregazione scolastica e
la mancanza di contatti fra i due gruppi impedisce ai bambini di demitizzare la concezione della fatalità di una
inestinguibile inimicizia fra i due gruppi. Essi assorbono, quasi come una
seconda natura, la mentalità di odio
nella quale vivono e, purtroppo, gli
adulti più fanatici non esitano a strumentalizzarli, coltivando nelle giovani
menti il culto della violenza. Il D. H.
Fraser offre un’ampia documentazione di come, soprattutto i guerriglieri
dell’Ira, mettano a profitto della loro
iniziativa l’ingenuità dei fanciulli i
quali vengono addestrati, già all’età di
8 anni, sui metodi per preparare bottiglie molotof ed altri esplosivi, sul come
preparare e provvedere nascondigli
per i ^erriglieri e per le loro scorte
di armi e sul miglior metodo per predisporre imboscate contro i soldati
britannici. Uno scolaretto di 10 anni è
stato scoperto a trascorrere un’intera
giornata scolastica portando nascosta
sotto al maglione, fissate sul petto mediante nastro adesivo, tre stecche di
gelatina esplosiva, per sottrarle alle
perquisizioni della polizia! Succede anche che, per naturale spirito di imitazione e per incitamento degli adulti, i
ragazzi formino delle squadre di azione che si affrontano tra loro nelle strade e si incaricano, addirittura^ di compiere spedizioni di rappresaglia contro
le abitazioni di famiglie della fazione
opposta.
Il D. H. Fraser lancia un grido di allarme contro questa situazione aberrante, che, oltre a compromettere il futuro, ha effetti psicologicamente e fisicamente deleteri sui fanciulli. Dalla
sua esperienza di medico l’autore cita
una larga casistica di disturbi nervosi,
di malattie della pelle, di fenomeni di
asma e di epilessia, i quali, anche se
potevano avere, in alcuni casi, delle
predisposizioni latenti, vengono provocati e aggravati dalla psicosi attuale.
Alcuni bambini manifestano sintomi
di fobie; ad ogni rumore di automobile o ad ogni squillare di un campanello, hanno crisi, qualche volta isteriche,
perché ricollegano quei rumori a spaventi subiti per le esplosioni, gli spari
ecc...
La casistica del Dott. Fraser dovrebbe allarmare gli estremisti di ambedue
le parti e soprattutto impegnare le
Chiese, dell’una e dell’altra, ad iiitensificare i loro sforzi, almeno per un
senso di carità verso la generazione
che si affaccia aWa vita, affine^ i figli
non ripetano, fra qualche anno, gli
stessi errori dei padri. Purtroppo la
cosa non è così facile: gli appelli delle Chiese e dei Sinodi non sembrano
aver ottenuto fin ora molto successo.
È di ieri un articolo, assai coraggioso,
pubblicato in un giornale di Dublino,
dove un prete cattolico invoca dalle
autorità della sua Chiesa una più chiara e decisiva condanna della violenza
dei guerriglieri dell’Ira, esattamente
nella linea presa dal Sinodo della Chiesa Presbiteriana dell’Irlanda del Nord
per quanto concerne i gruppi più fanatici della sua parte. Tutte le Chiese
sono chiamate a mobilitare le loro forze migliori per la battaglia della pace,
perché è ormai chiaro che le forze politiche, e tanto meno quelle militari,
sono insufficienti a ricondurre la situazione irlandese alla normalità. Soltanto un atteggiamento molto chiaro,
energico e senza equivoci, da parte delle Chiese potrà far cadere la maschera
dei, più o meno presunti, motivi religiosi dietro ai quali si nascondono interessi sociali, economici e politici, non
pochi dei quali vengono strumentalizzati da forze estranee alla vita dell’Irlanda del nord.
Ernesto Ayassot
Birmingham, 17 settembre ’72.
NEL QUADRO DELLA LOTTA AL:RAZZISM0
Il C.E.C. per il dirino alla terra degli aborigeni australiani
Ginevra (soepi) - Il Consiglio ecumenico delle Chiese ha chiesto al governo australiano di prendere immediatamente delle misure che garantiscano
agli aborigeni del « Territorio del
nord » il loro diritto alla terra, e di te
La Casa Bianca
vale un ex voto?
La scorsa settimana abbiamo pubblicato
una breve notizia, Nixon e McGoven, due
teologie, due politiche. Con vivo rammarico
abbiamo trovato su "La Gazzetta del Popolo" del 25 corr. una foto che lo concerne, con
questa didascalia:
New York - Anche McGovern (come
Nixon) è andato a trovare gli italo-amerieani
di Little Italy: nella chiesa dove è aperta
una sottoscrizione egli ha attaccato 20 dollari sotto la statua di San Gennaro: un gesto
che si dice porti fortuna (...) ».
E la telefoto A. P, è parlante, e per noi
spiacevolissima. Anche la teologia di McGovern lascia dunque a desiderare; la Casa
Bianca vai pure un ex-voto?
ner conto delle loro necessità.
Questa decisione è stata presa dal
CEC a seguito della raccomandazione
fatta a Utrecht dal comitato centrale
(ndr: in occasione della sua recente
riunione, della quale il nostro giornale
si è ampiamente occupato). Il pastore
F. Hengel, segretario generale del Consiglio australiano delle Chiese, è stato
incaricato di trasmettere la richiesta
del CEC al primo ministro W. McMahon.
Nella sua lettera, il CEC fra l’altro
dice: « Per gli aborigeni, il significato
della terra dal punto di vista culturale e religioso, unito al rispetto dei Diritti dell’uomo, esigono che il governo
australiano prenda misure immediate
per trasformare i legami culturali e il
diritto morale in un legale diritto alla
terra. Nessun sistema di affitto, anche
senza riserve, può offrire sufficienti garanzie ». La lettera era firmata dal
presidente e dal vice presidente del
Comitato centrale, nonché dal segretario generale.
A Sidney il pastore Hengel ha dichia
rato che l’inazione del governo « aveva provocato amarezza e disperazione
e spinto
lenza ».
i pacifici aborigeni alla vio
Il "dilemma
dei sidafricam neri"
Città del Capo (da IDOC n. 16/17) L’università di Città del Capo ha pubblicato la conferenza del vescovo di
Zululand, Alpheus Hamilton Zulu, il
« Dilemma dei sudafricani negri ».
I sudafricani bianchi ritengono di essere liberi perché hanno il controllo
del paese, ma di fatto sono schiavi della loro incapacità di riconoscere l’umanità dei negri e i diritti inerenti alla
loro umanità.
■La creazione di riserve e homelands
è un affronto fatto ai negri: « Quando
i bianchi sono venuti in Africa, i negri
avevano la terra e i bianchi avevano la
Bibbia; oggi i negri hanno la Bibbia
e i bianchi la terra ».
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pag. 6
N. 39 — 29 settembre 1972
Un convegno tU stuttio riunito a Saint ~ Vincent, Il 23 e II 24 settembre,
a cura della Regione autonoma Valle d'Aosta e della Regione Lombardia
11 fascismo, le autonomie locali
e le minoranze religiose
Qualche tempo fa, in un 'fondo' su
« La Stampa », A. C. Temolo lamentava, fra gli elementi sconcertanti e contradditori del nostro tempo, l'anacronismo rappresentato dalla virulenza di
particolarismi locali e regionali. Certo,
abbiamo tutti sotto gli occhi a quali
eccessi possa giungere l'esasperazione
(ma chi ne porta la responsabilità maggiore?) di particolarismi quale quello
irlandese o basco, jurassiano o altoatesino, croato o vallone — per non parlare che dell'Europa, URSS esclusa;
nel mondo gli esempi pullulano. Tuttavia è chiaro che non solo questi conflitti hanno sempre radici profonde e
complesse, ma che l'autonomismo, nella società sempre più massificata verso cui procediamo, costituisce e sempre più costituirà un fattore d'importanza primaria: come in ogni organismo sociale, sempre più complesso,
solo la crescita del singolo verso la assunzione di una piena responsabilità
diretta potrà fare argine alle strutture di massa, pur necessarie, così, a livelli più ampi — nazionali, federali,
continentali — solo lo sviluppo e la
gelosa difesa delle autonomie locali
potrà arginare, come elemento dialettico essenziale, la pressione gerarchica
delle strutture, di qualunque segno e
colore, che sempre più accentrate graveranno nella società di domani. La
esperienza — modesta ma di alta importanza, a prescindere dalle strumentalizzazioni di parte che se ne possano
fare — dei comitati di quartiere, di genitori di alunni, etc., è un'indicazione
significativa e positiva.
Quest'ordine di pensieri ha richiamato, come conseguenza secondaria ma
viva, il convegno di studio su « Il fascismo e le autonomie locali » convocato a Saint-Vincent - Chàtillon dalla
Regione autonoma della Valle d'Aosta
e dalla Regione Lombardia (perché la
assenza della Regione Piemonte?), il 23
e il 24 settembre. Gli inviti erano stati
diffusi numerosi, anche ad evangelici,
valdesi in particolare; assai limitata,
troppo, la partecipazione di questi ultimi, e in generale il convegno, se è
stato di un notevole livello, ha rappresentato più una comunicazione e un
dibattito fra studiosi che un convegno
di massa teso a far maturare ima problematica in una cerchia il più ampia
possibile. È stato essenzialmente regno di storici contemporanei, con qualche incursione di sociologi e politici.
Presiedeva con autorevole cordialità il
prof. Ettore Passerin d'Entrèves.
Le due-giornate dei lavori erano articolate in una panoramica dell'autonomismo in varie regioni italiane, la
prima, e in un’informazione e una riflessione su quelTautonomia particola
re che è rappresentata dalle confessioni religiose, la seconda.
La prima giornata, dopo i numerosi
saluti d’uso (particolarmente apprezzati quello del presidente della (Giunta
regionale valdostana e quello del sindaco di Saint-Vincent, che hanno reso
vividamente il senso profondamente
culturale e civile deH’autonomismc
valdostano), si è aperta con un’ampia
relazione di Danilo Veneruso su II fascismo internazionale (1919-1938); è
quindi seguita tutta una serie di comunicazioni sui movimenti autonomisti,
durante il periodo fascista, in Valle
d’Aosta (E. Passerin d’Entrèves), nell'Alto Adige (più giustamente, Sud-Tirolo?) (Giuseppe Negri), nella Venezia
Giulia (Arduino Agnelli), in Sicilia
(Massimo Ganci), in Sardegna (Salvatore Sechi). Un panorama estremamente diversificato, ove l’autonomismo mostra componenti ora più linguisticoculturali, ora più etniche, ora più socio-economiche, ora più religiose, tutti
fattori che si intrecciano in modi diversi. Il movimento autonomista presenta
talvolta un carattere di rivendicazione
socio-economica, la cui spinta innovatrice può essere sfruttata da forze sostanzialmente conservatrici (Sicilia,
Sardegna), talvolta anche in senso religioso (la componente fortemente cattolica della difesa slava nelle province giuliane). Comunque, anche nei suoi
fenomeni meno positivi, l’autonomismo
ha rappresentato una resistenza profonda e tenace all’ideologia totalitaria
del fascismo, e non per niente è stato
, combattuto in modo così aspro dal regime: una lucida relazione di Ettore
Rotelli su L’ordinamento dei Comuni
e delle Province durante il regime fascista ha documentato questa pressione, nei suoi successivi giri di vite a livello prefettizio, che cercava di soffocare tradizioni autonomistiche spesso
plurisecolari: tradizioni per un terripo
umiliate, ma non spente, come è chiaramente risultato non solo negli ultimi anni della lotta di liberazione (si
pensi alle « repubbliche autonome »),
ma soprattutto dal loro immediato rifiorire nel dopoguerra. Una comunicazione di Giorgio Rovida sull’autonomismo catalano — non senza contatti con
quello basco — prima e dopo raffermarsi del franchismo, ha ancora ricordato, come la relazione iniziale del Veneruso, la dimensione internazionale
del fascismo.
La seconda giornata è stata più particolarmente dedicata ad esaminare il
tema generale in riferimento alle minoranze religiose: un autonomismo,
dunque, non più regionale, più o meno etnico (salvo la parziale eccezione
Sulle speculazioni anticouiuniste in Italia
L’organo del Partito Comunista
Sovietico, la “Pravda”, sollecitava
nell’editoriale di venerdì 15 settembre 1972, una intensificazione della
lotta alle credenze religiose in tutto
il paese. Il quotidiano, dopo aver
ricordato che “ogni comunista deve
essere un ateo combattente’’, denunciava la presenza tra le fila e del
Partito stesso e della Lega della
Gioventù Comunista di elementi
professanti questo o quel credo religioso. Nell’articolo, infine, si definiva la religione come uno dei più
forti strumenti per un ritorno al
passato e si auspicava al tempo
stesso il totale sradicamento di
ogni tipo di credenza religiosa, realizzabile soprattutto attraverso una
decisa azione di propaganda fra le
masse.
Tale informazione è stata subito
riportata da tutti i quotidiani italiani "indipendenti", cioè al servizio
della borghesia e dell’alleato "padrone". Proprio per questa ragione
si è sentita la necessità, da parte
di parecchi evangelici, di spendere
alcune parole per analizzare la questione in modo critico, evitando così antipatici atteggiamenti anti-comunisti da parte di taluni nostri
fratelli nel Signore. Le righe che
seguono vogliono appunto riassumere brevemente alcune osservazioni a riguardo.
Prima fra queste è il fatto che la
realtà sociale dell’ll.R.S.S. è totalmente diversa da quella occidentale, ed in particolare italiana. Noi
prendiamo atto ed accettiamo la de-cisione dei compagni sovietici, séb-'
bene possiamo non condividerla
pienamente, più che altro per la
sua categoricità, inflessibilità senza
riserve. Infatti noi cristiani evangelici abbiamo potuto dimostrare che
non solo ogni comunista non deve
necessariamente essere un ateo
combattente, ma anche il fatto che
ogni buon cristiano non può non essere "di sinistra" nelle sue scelte.
Per un cristiano che vive nella società occidentale la spada del marxismo è indispensabile perché la
sua testimonianza sia davvero cristiana e non rischi di cadere nella
diabolica eresia fondamentalista.
Abbiamo una chiara dimostrazione di ciò, quando vediamo che è
stato proprio il marxismo a per
mettere di realizzare quella sincera e proficua comunione fraterna
tra evangelici italiani, cattolici del
dissenso e compagni non credenti
in occasione dell’ultimo campo F.
G.E.I. ad Ecumene. In un contesto
di questo tipo è quanto mai sacrosanto vedere i dirigenti della F.G.
E.I., persone saggie e ben preparate, guidare nella giusta direzione
giovani in possesso di una viva
esperienza di fede. Allo scopo il
materialismo dialettico non può
che risultare il più efficace strumento a disposizione nell’applicazione pratica della testimoniariza
cristiana, in un paese in cui vi è
oppressione e mancanza di certe libertà elementari.
Per contro tale spinta è venuta a
mancare nell’U.R.S.S. in cui la libertà è un dato di fatto, un qualcosa
cioè di acquisito da tempo attraverso la rivoluzione socialista, ed in
cui lo stato è retto realmente dal
popolo (anche se tutto non è perfetto, lo riconosciamo, come riconosciamo però che la perfezione
non è di questo mondo!). Ecco allora che molti credenti sovietici hanno avuto l’assurda pretesa di interessarsi agli affari del loro Stato,
spesso ingigantendo certe situazioni che non condividevano, dando
così prova di vero anti-comunismo.
Da una parte gli ebrei con la loro
smania di raggiungere Israele per
aumentare la carneficina a danno
degli inermi palestinesi, dall’altra
gli evangelici con la loro testardaggine nel distribuire al di fuori delle
chiese copie delle Scritture in violazione alle leggi dello stato, hanno
creato questa incresciosa situazione
di forte tensione che ha poi portato
alla reazione da parte del Partito
Comunista dell’Unione Sovietica.
Tutto questo discorso andava fatto, se si vuole evitare la solita interpretazione acritica che troppo spesso si fa delle informazioni che giungono dai paesi comunisti. Nostro
dovere di cristiani è quello di difendere la verità e di evitare di gettare perplessità non tanto su un paese verso cui nutriamo rispetto e
simpatia, quanto su un movimento
politico internazionale a cui ci sentiamo particolarmente vicini a causa della nostra fede in Cristo. E
questo è tutto. Valdo Friulan
Una nuova testimonianza post • carceraria
Gli obiettori sono segregati
come pericolosi criminali
della popolazione valdese delle Valli,
ove i due aspetti si mtrecciano... e si
complicano), bensì, spirituale. Guido
Valabrega ha riferito su II fascismo e
gli ebrei: appunti per un consuntivo
storiografico, un consuntivo che ha
spunti di viva attualità, come ha dimostrato la polemica che ha agitato, intorno alle recenti eleziopi, l'ebraismo
italiano. Lo studioso ha documentato,
con una certa amarezza, il fatto che i
quadri direttivi dell’ebraismo italiano
(e non) non seppero individuare subito e con lucidità il carattere totalitario del fascismo; e se vi furono ebrei
antifascisti fin dalla prima ora, ve ne
furono pure di fascisti; l’ebraismo non
reagì insomma in modo unitario; e
questa 'illusione' — colpevole, oltre
che suicida — fece si che a lungo si sperò, da parte ebraica, che le cose almeno in Italia non sarebbero andate troppo gravemente. Uno scontro profondo
'— tuttora vivo — ha opposto Vestablishment ebraico al gruppo di uomini come Bruno Segre (l’avvocato torinese direttore de « L’incontro ») che
chiedeva e chiede che l’ebraismo non
resti « passivo di fronte alle scelte politiche ».
La relazione di Giorgio Peyronel su
I Valdesi, le autonomie locali e il fascismo era stata inviata e ne è stato
distribuito il testo ai partecipanti; purtroppo l’oratore non ha potuto intervenire e la sua assenza è stata risentita; lo ha sostituito in modo estemporaneo il past. Alberto Ribet, con una
breve comunicazione. L’urgere del tempo e la scarsità di intervenuti valdesi
ha reso assai monco questo aspetto,
che avrebbe invero meritato più respiro: lo dico non certo come un rilievo
mosso agli organizzatori, che sono stati invece estremamente cordiali nel
sollecitare la nostra partecipazione, ma
con dispiacere per un tipico esempio
di 'mancata presenza’. Sicché, mentre
nulla si è detto — a parte l’accenno
nella relazione Peyronel — dell’abortito progetto di autonomia delle Valli
del Pinerolese ventilato sul finire del
confiitto e oggetto di un incontro a
Chivasso (rinvio alla problematica dibattuta — un po’ nel deserto — sulle
nostre colonne da Gustavo Malan), è
stato uno studioso cattolico, Piero
Scoppola che ha riferito su II fascismo
e le minoranze religiose.
Come egli stesso ha detto, mentre
sul tema vi sono stati vari studi da
parte evangelica, 'dal di dentro’, si incomincia appena — e le sue ricerche
vanno in questo senso — a studiare
la questione dal punto di vista degli
organi dello Stato, con accurate ricerche d’archivio. Ne risultano elementi
che lo Scoppola ha così delineato, in
via provvisoria:
1) neH’insieme, si nota una certa
dialettica fra i quadri dello Stato e
quelli del Partito, nei confronti delle
minoranze religiose: più polizieschi e
oppressivi questi ultimi, più tolleranti,
con evidenti eredità del vecchio Stato
liberale, i primi;
2) non si può dire che, nell’insieme, le chiese evangeliche siano state
fin dal principio antifasciste: a-fasciste,
non-fasciste, piuttosto, per una istintiva incomunicabilità e impenetrabilità
fra la fede evangelica e l’ideologia fascista (i valdesi presenti ripensavano
alle ricerche amarognole del nostro
L. A. Vaimal su « Le Valli Valdesi cinquant’anni fa », pubblicate su queste
colonne in una succosa e sapida serie
di articoli...);
3) si può notare uno sviluppo, un
crescendo di opposizione, soprattutto
dalla svolta del '29, cioè dai Patti Lateranensi e dalla collusione fra totalitarismo ideologico e totalitarismo clericale (anche se a più di un evangelico,
allora, le leggi sui culti ammessi, che
ora rimettiamo giustamente in discussione, parvero un minor male, salutato come una modesta garanzia, nella
tristizia dei tempi), e soprattutto da
quella del '38, cioè dal mohiento in cui
il fascismo si associò al nazismo;
4) se forte è stato, specie in epoca
più recente, l’apporto evangelico all’antifascismo, una storia del tutto particolare è stata scritta dalle comunità
pentecostali, con un coraggio di testimonianza la cui filevanza politica resta esemplare;
5) infine, riconoscimento amaro
per un catttolico, ma doveroso: il frequente ricorso del clero cattolico al
'braccio secolare’ del regime; le ricerche dello studioso vanno portando alla luce, oltre a episodi a noi più noti,
tanti altri, di chiese e movimenti evangelici a noi meno vicini: un materiale
che ci rallegriamo di sapere raccolto
in vista della pubblicazione (così come
saranno pubblicati integralmente gli
atti del Convegno).
Siamo grati al prof. Scoppola per
l’interesse serio e partecipe che porta
a questa problematica, per l’onestà e
il calore con cui le ha dato voce anche
in questa occasione; il convegno si è
chiuso su queste sue parole pensose:
« In queste vicende la cosa sconcertante, più ancora che la persecuzione in
sé, chiesta da cristiani contro cristiani,
è il fatto che i protagonisti a^ssero in
buona fede, convinti di compire il loro dovere religioso. Le l'adici dell’intolleranza affondano in profondità_ misteriose, oscure. Le garanzie giuridiche
hanno un’importanza ridotta, in queste
cose ».
Gino Conte
/ lettori certo ricorderanno la lettera dell’obiettore di coscienza evangelico indirizzata
al Sinodo, lettera della quale il nostro giornale si è recentemente occupato.
Il Sinodo ha assunto una nuova, precisa
presa di posizione nei riguardi del problema
dell’obiezione di coscienza in Italia, auspicando la sollecita approvazione di una legge che
non sia "mortificante della dignità umana e
non abbia carattere punitivo... qualunque sia
il movente dell’obiezione di coscienza" e istituendo nel contempo “un fondo di solidarietà
presso la Tavola a favore degli obiettori e
delle loro famiglie, indipendentemente dalle
loro posizioni religiose o politiche".
Ora, una nuova testimonianza giunge da un
altro obiettore recentemente uscito dal carcere, testimonianza pubblicata dal quotidiano
“L’Unità" del 20 settembre.
Eccola nei suoi punti salienti:
« Sono un obiettore di coscienza da poco
uscito dal carcere militare di Peschiera del
Garda e vorrei chiarire ulteriormente la situazione degli o. d. c. in carcere (...).
Dal 19 giugno scorso gli o.d.c. sono separati dagli altri detenuti, pur essendo nella
stessa ala del carcere. Essi sono in una camerata ed impossibilitati ad aver contatti con
gli altri, dato che gli orari riguardanti i vari
momenti della vita del carcere (...) sono alternativi. La segregazióne — poiché di vera
e propria segregazione si tratta — è mantenuta colla minaccia di punizioni per i detenuti che, passando davanti alla porta della
camerata degli obiettori, si fermano a salutare quelli che conoscono e a chiedere sé,^tutto
va bene. Al momento della segregazione fu
detto agli obiettori che il provvedimento era
stato deciso dal ministero della Difesa e non
era possibile ottenere un cambiamento se non
a tale livello. Non si tratta quindi di un
provvedimento di sola disciplina militare, ma
di un vero e proprio atto politico, anche se
probabilmente sollecitato da parte militare,.
che ricorda tristemente il periodo fascista e
gli anni di confino cui erano condannati coloro che dissentivano dal regime e dai suoi
provvedimenti autoritari e contrari ai più elementari diritti dell’uomo (...).
Penso sarebbe opportuno che la gente assistesse ai processi agli obiettori, non soloper conoscere bene il problema che essi pongono e la soluzione richiesta di un servizio
socialmente utile, ma anche per rendersi conto come, a 26 anni dalla "liberazione” dal
fascismo e dalla proclamazione della Repubblica, e a sei anni dall’impegno dell’Italia, a
livello europeo, a riconoscere l’obiezione di
coscienza, si possano condannare giovani che
dissentono dalla politica ufficiale e chiedono
un’alternativa più umana e più civile dell’autoritarismo e dell’oppressione (...).
A. Peila, Rivarolo C. (Torino) ».
Intanto, i processi agli obiettori continuano. Franco Suriano, 23 anni, romano e comparso nei giorni scorsi davanti al tribuiutle
militare di Torino che gli ha inflitto quattro
mesi di carcere. Nel febbraio del 1971 egli
aveva firmato, assieme ad altri 70 giovani,
la prima dichiarazione di obiezione politica
collettiva dopo aver svolto per parecchi mesi
un’attività a favore dei terremotati della valle del Belice in Sicilia, intendendo con questo
sostituire il servizio militare che — come ricorda un comunicato emesso dopo il processo
dal movimento antimilitarista internazionale
— “sottrae ai bisogni dei lavoratori oltre
quattro miliardi giornalieri".
Il Suriano non ha neppure risposto alle domande del presidente del tribunale : “per protestare — ha detto più tardi — contro l’isolamento a cui venne sottoposto nel carcere
militare. Posso leggere solo giornali preventivamente censurati; mi impediscono anche di
scrivere ai miei amici".
Roberto Peyrot
Cronaca delle Valli
San Secondo
Funerali. Nell’arco di poche settimane abbiamo dovuto prendere per ben tre volte la
via del cimitero. Il 30 agosto vi sono state
accompagnate le spoglie mortali di Griglio
Enrichetta ved. Codino (Ponte Gallea), deceduta all’Ospedale Civile, in seguito ad una
caduta, all’età di anni 89. Domenica 17 settembre, sono stati resi gli onori funebri a
Femerone Aldo (Risorta) deceduto dopo pochi giorni di degenza in ospedale, all’età di
anni 70. Lunedì 18 settembre, la nostra chiesa sì stringeva attorno alla famiglia di Cardon Emilio (Torino) di anni 43, stroncato in
una settimana da un male misterioso.
Alle famiglie colpite nei loro affetti più
cari vogliamo ancora dire la nostra sincera,
commossa simpatia cristiana, additando loro
in Gesù Cristo colui che solamente e veramente ci consola in ogni nostra afflizione.
Battesimi. Sono stati battezzati: Fornerone Marzia di Ide e di Avondetto fida (Memè)
il 6 agosto; Gardiol Ezio di Adolfo e di Bertalot Bianca (Miradolo) il 24 settembre.
Il Signore benedica questi bambini e li accompagni sempre con la sua grazia.
FIAT ha dotato il Comune di Volverá di due
bellissimi laghi artificiali il cui liquame contenuto e portato quotidianamente da autobotti
FIAT, non è pari neppure nella più lercia
fogna di Torino? è al corrente l’assessore all’ecologia della Regione Piemonte che la
FIAT sta avvelenando tutte le falde freatiche vicine che alimentano i pozzi per l’acqua
potabile di Volverá con un danno gravissimo
per le persone e per l’agricoltura? Perché la
popolazione non ne è al corrente? Da quanto mi risulta a Rivalta esistono dei depuratori, perché non vengono usati? E dove non
esistono è proprio la FIAT che ha i mezzi
per poterli fare che dovrebbe dare il buon
esempio; i vari sbandieramenti ecologici sono incoerenti mentre azioni del tipo di quella di Volverá sono denunciabUi per attentato
all’incolumità pubblica. Ma quale magistrato
osa intentare causa al colosso FIAT? È sempre il povero diavolo che paga. Spero per
l’incolumità di tutti che non sia sempre cosi.
Attilio Sibille
Gruppo Ecologico Val Pellice
Ospedale Valdese - Pomaretto
OSPEDALE DI ZONA
a Venerdì 29 settembre al Castagneto
di Villar Pellice i pastori delle Valli — con
le loro famiglie — sono convocati per un colloquio pastorale nel quale discutere il programma di lavoro dell’anno.
^ I nostri istituti d’istruzione secondaria riaprono i battenti: l’inaugurazione dell’anno scolastico avrà luogo, per la Scuola Latina, a Pomaretto domenica 1° ottobre alle
ore 15, e per il Collegio Valdese, a Torre
Pellice martedì 3 ottobre alle ore 15.
^ La sera di domenica 1° ottobre, alle
ore 19, in una riunione conviviale neUa sala Albarin di Luserna S. Giovanni sarà dato l’addio (per modo di dire) al pastore Roberto Jahier, che entra in emeritazione e il
benvenuto all’anziano ev. Felice Bertinat
giunto nel presbiterio della bassa Val Pellice. Dopo cena, i Concistori di Angrogna, Luserna S. Giovanni e Torre PeUice esamineranno in seduta congiunta, il presidente della
Commission distrettuale, il lavoro d’insieme,
con particolare riguardo per il ministero del
sig. Bertinat.
Avviso piibblico
Per la copertura di n. due posti di infermiere Professionali - due posti di
Infermieri generici in attesa di espletamento di Pubblico concorso.
INQUINAMENTO
NEL PINEROLESE
Leggo su <c La Stampa » di domenica 24
che la FIAT è presente al Salone della Tecnica ed in special modo nel 1° padiglione dedicato ai problemi dell’inquinamento, dove un
pannello luminoso ammonisce : « L’uomo ha
messo in pericolo il proprio "habitat” ed ora
lo deve difendere », più sotto si legge appunto che la FIAT è presente con ricerche, studi, realizzazioni per combattere le contaminazioni di aria, acque, terra; molto bene, tutto
ciò è lodevole, però a tale proposito vorrei
rivolgere una domanda agli alti dirigenti
FIAT, ai suoi esperti ecologi, nonché ai solerti amministratori del Comune di Volverá :
in base a quali criteri ecologici criminali la
Gli aspiranti ai posti possono presentare domanda, in carta legale, a
norma di Regolamento Qrganico ed ai
sensi Art. 3 del D.P.R. n. 130 del 27
marzo 1969, entro le ore 12 del 15 ottobre 1972.
Il trattamento economico è fissato
dagli Accordi FIARQ-Sindacati Qspedalieri.
Infermiere Professionali
Salario iniziale annuo lordo lire
1.584.000 aumentabile a L. 1.764.000, a
L. 1.944.000 ed a L. 2.034.000 rispettivamente dopo 3, 8 e 13 anni di permanenza in servizio.
Infermieri generici
Salario iniziale annuo lordo lire
1.314.000 aumentabile a L. 1.494.000, a
L. 1.674.000 ed a L. 1.764.000 rispettivamente dopo 3, 5 e 13 anni di permanenza in servizio.
I salari sono suscettibili di aumenti
periodici biennali nella misura del 3,50
per cento.
Compete inoltre:
a) la 13* mensilità;
b) l’indennità integrativa speciale dì
L. 27.600 mensili;
c) eventuali quote di aggiunta di famiglia se dovute.
I servizi resi in Qspedali diversi sono
riconosciuti utili a tutti gli effetti.
Per informazioni rivolgersi all’Amministrazione degli Istituti Qspitalieri
Valdesi in Torre Pellice, Via Caduti per
la Libertà , 6 (telef. 91.536).
Torre Pellice, 26 settembre 1972.
Il Presidente: E. Aime
7
29 settembre 1972 — N. 39
pag. 7
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
Contro l’imposizione del domicilio vigilato a Lorenzo Barbera, il leader
dei terremotati semidimenticati deiia Vaiie dei Beiice
Le chiese di Agrigento e di Grotte
prendono l’iniziativa della protesta
Lorenzo Barbera, fondatore del Comitato della Vaile del Behce, è siato
arrestato dalla polizia di Castelvctrano (Trapani) per avere pronuncialo
« frasi oltraggiose nei riguardi dei carabinieri e della pubblica sicurezza »
nel corso di un comizio, nel quale denunciava le pressioni da questi esercitate negli uitimi tempi per far nuovamente pagare le tasse di cui il parlamento aveva sospeso il pagamento nelle zone terremotate del '68.
In seguito alle azioni di disobbedienza civile delle popolazioni del Bcuce,
animate dal suddetto Comitato e dal
suo mensile « Pianificazione siciliana »,
il parlamento aveva appi ovato una
legge (legge 5.2.1970 n. 21, art. 26, prorogata con decreto legge del 1.6.1971)
che lino al '73 esonera dal pagamento
delle tasse i terremotati. Parallelamente, con minori risultati, era stata svol
Culto radio
1 e 8 ottobre, pastore Piero
Bensi, di Firenze; 15 e 22 ottobre, pastore Piero Suman di
Grosseto; 29 ottobre, pastore Ernesto Ayassot, di Torino; 5 e 12
novembre, pastore Alberto Taccia di Luserna San Giovanni.
“ Un impegno senza riserve
per la liberaziene deiruamn ”
(segue da pag. I)
retto con l’oppressione, questo essere
toccati nella persona dei tratelii, ha
un’importanza nel rendere le questioni più scottanti e vicine. Ma non credo che sia stato solo questo a muovere il Sinodo. C’è da sperare che l’ordine del giorno per i valdesi della zona
rioplatense (insieme a quelli sull’obiezione di coscienza e sulla repressione)
sia l’indice di una maggiore sensibilità
che si va lentamente formando, di una
maggiore consapevolezza del fatto che
la situazione quasi disastrosa che attraversiamo non può non coinvolgerci
come credenti, non può essere elusa o
minimizzata. Mi pare sia la prima volta che si addita alle chiese un « impegno senza riserve per la liberazione
dell’uomo ». E se anche la via e i modi
in cui questo impegno deve essere realizzato sono discussi, si tratta pur sempre di una direttiva che non potrà e.ssere lasciata da parte.
Mi sembra dunque che in questo ordine del giorno il Sinodo non ha detto
molto, eppure ha detto qualcosa. Credo che non siamo in grado oggi di
sciogliere quest’impressione contradditoria. Per decidere in definitiva se saranno state parole che pesano, conteranno i fatti. Saranno i fatti a far pesare la bilancia da una parte o dall’altra, i fatti concreti nelle nostre comunità, il loro assenteismo o il loro « impegno senza riserva », la loro lotta contro il potere oppressivo o il loro sforzo
per evitare di essere oppresse. Ma i
fatti, i piccoli fatti che concernono le
nostre comunità, siamo noi, sono la
nostra responsabilità comune, dipenderanno dalle nostre scelte, dal nostro
discernimento, dalla misura della nostra fedeltà. Perciò la cosa più importante, nel quadro di questo impegno
senza riserva, rimane il chiedere con
umiltà « al Signore per le nostre Chiese forza nel discernimento della sua
volontà, costanza nella lotta, fermezza
oltre le angosce delle interne tensioni
e incertezze ».
Franco Giampiccoli
i
Alla redazione di questo numero
hanno collaborato, oltre ai firmatari degli articoli, Mario F. Berutti,
Alessandro Forieio, Roberto Peyrot,
Eugenio Rivoir.
ne una misura di confino politico di
chiara eredità fascista, senza precedenti nella nostra vita repubblicana.
È quanto è stato vigorosamente denunciato nell’Agrigentino, su iniziativa
delle chiese valdesi di Agrigento e di
Grotte, proprio in seguito alla discussione su ciò che è stato votato in Sinodo à proposito dei reati d’opinione.
Molti jirivati e organizzazioni hanno
già sottoSciitto li manifesto di cui riportiamo qui sotto il testo. Il past.
Mario F. Berutti (Via Damareta 6, Agrigento) fa presente che si continuano a
raccogliere firme di coloro che condividono questo testo, le firme (con indirizzo) vanno inviate a lui, che le trasmetterà alla Organizzazione Popolare
del Beiice; in loco è pure in corso una
sottoscrizione per Lorenzo Barbera,
che ha perso il lavoro.
Il past. Berutti anima ad Agrigento,
un « Centro di documentazione » volto
a raccogliere e a far conoscere dati e
documenti relativi alla situazione siciliana, in particolare per ciò che riguarda lo sfruttamento, gli abusi, le illegalità che vi si presentano numerosi.
NO AL CONFINO PER MOTIVI POLITICI
NO ALLE LEGGI FASCISTE SUI REATI DI OPINIONE
LIBERIAMO LORENZO BARBERA
ta un’azione di rifiuto del servizio militare da parte di giovani della regione, per protesta contro il quasi nullo
intervento goveinativo in vista della
ricostruzione. Negli ultimi tempi le autorità hanno moltiplicato, con qualche
risultato, gli sforzi e le pressioni per
far riprendere i pagamenti delle tasse.
E la cosa era stata denunciata dal
Barbera, che dalla sua casetta prefabbricata alla periferia di Partanna ha
da anni sistematicamente denunciato
le speculazioni che circondavano le
« proposte di urbanizzazione da eseguire nelle zone devastate dal sisma ». E
a lui e ai suoi compagni che si deve
■se l’attenzione pubblica, a cinque anni
■dal terremoto, continua a essere richiamata sui problemi della Valle del
Eelice.
L'arresto è stato poi trasformato in
soggiorno obbligato: una misura che
•oggi viene applicata, non sempre con
rigore, ai pezzi forti della mafia, divie
A LORENZO BARBERA è stato imposto il soggiorno
obbligato a seguito di incriminazione per presunto reato di
opinione e cioè per motivi politici.
Questo provvedimento non colpisce solo una persona
che lotta da anni per lo sviluppo e la ricostruzione della
Valle del Beiice, ma fondamentalmente tutto il popolo del
Beiice ed attenta ai suoi diritti e conquiste realizzati in
anni di lotte. Questo provvedimento soffoca ogni libertà e
ogni diritto democratico di tutti i cittadini e viola la carta
costituzionale.
Il provvedimento di « confino » per ragioni politiche è
senza precedenti; è un provvedimento di caràttere fascista,
in uso soltanto nel periodo del regime che calpestava le
più elementari libertà.
I firmatari denunciano la spirale di repressione e di
denuncie per reati di opinione, chiedono la immediata revoca del provvedimento di confine e si impegnano a lottare per l’abolizione delle leggi fasciste sui reati di opinione.
ADES, Favara
Associazione Cattolica Lavoratori Italiani, Sede Prov.le Agrigento
Chiesa Evangelica Valdese, Agrigento
Chiesa Evangelica Valdese, Grotte
Centro Documentazione, Agrigento
I Comunisti del Manifesto, Agrigento - Raffadan
Federazione Giovanile Comunista, Agrigento
Federazione Giovanile Evangelica, Sicilia - Calaljii'a
Federazione Giovanile Socialista - Agrigento i
Comunità di Oregina, Genova
Gruppo Comunione Liberazione, Favara
Partito Comunista Italiano, Fed. Prov.le Agrigento
Partito Socialista Italiano, Fed. Prov.le Agrigento
Prof. Tito Atonica
Andrea Carisi ‘
Antonio Cremona
Sac. Alfonso di Giovanna
Avv. Prof. Salvatore Marchese, Pres. Ordine Avvocati Agrigento
Prof. Edoardo Pancamo
Rosa Pancamo
Prof. Vincenzo Reale
Diego Romeo, pubblicista
Aurelio Sciré
Sac. Luigi Sferlazza
Prof. Vincenza Terrana
Salvatore Tornabene
Prof. Giovanni Vivacqua
Milano
Il Sinodo 1972 ha eletto Moderatore della
Tavola il past. Aldo Sbaffi, pastore titolare
della nostra comunità.
Come avviene in questi casi, egli è succeduto immediatamtnte al Moderatore uscente, entrando direttamente in carica. Egli ha
perciò terminato il suo ministero pastorale
nella comunità di Milano, lasciando un gran
vuoto tra noi.
Il Moderatore A. Sbaffi ha avuto il 7 settembre un incontro col Consiglio di Chiesa
per comunicare le decisioni della Tavola nei
riguardi della nostra comunità.
Dal 1” ottobre viene dichiarata la vacanza
della comunità. Questo vuol dire che l’Assemblea di Chiesa dovrà procedere alla designazione di un nuovo pastore titolare. La
comunità avrà tempo 6 mesi per concludere
quest’operazione; la scadenza del termine è
cosi fissata per il 31 marzo 1973.
La Tavola, dal canto suo ha altri 6 mesi di
tempo per procedere alla nomina del nuovo
pastore. Questo significa che la chiesa resterà praticamente un anno senza pastore titolare, essenzialmente per due motivi :
a) affinché la comunità abbia tempo di
prendere la sua decisione senza fretta, e dopo matura riflessione sul problema;
b) per non sottoporre altre comunità, in
autunno inoltrato, a una catena di vacanze,
che ne scombussolerebbero la vita nel periodo dell’avvio delle attività, costringendo diverse famiglie pastorali a traslochi in un periodo molto sfavorevole.
La cura pastorale della comunità è affidata al pastore Thomas Soggin, già da tre anni
a Milano. La Tavola infine ha deciso di inviare per questo anno 1972-73 il candidato
Giuseppe Platone, che s.arà disponibile dal
1' novembre circa. Assieme al past. Th. Soggin si assicurerà cosi il servizio pastorale
della comunità.
Il Consiglio di Chiesa si è riservato una
giornata intera, per riflettere sulla situazione: sia per preparare il programma di quest’anno, da sottoporre all’Assemblea, sia per
affrontare il problema della vacanza, convocando le regolamentari Assemblee; questa
giornata è stata vissuta al Centro t< P. Andreetti » di S. Fedele Intelvi, il 16 settembre.
Il Moderatore Aldo Sbaffi, darà il suo saluto
alla Comunità, in una domenica della seconda metà di ottobre. Fin da ora gli rivolgiamo un pensiero molto affettuoso assicurandogli la nostra intercessione, per il duro compito affidatogli.
Nel mese di agosto abbiamo iniziato un
esperimento, in comune con la Chiesa Metodista, unificando i culti per i primi 15 giorni nella chiesa valdese e negli ultimi 15 giorni nella chiesa mletodista.
Ringraziamo di cuore la Sig.na Mirella
Abate che ha sostituito i pastori nella prima
quindicina di agosto, con piena soddisfazione
della comunità.
Dopo lunga malattia ci ha lasciati il 7 settembre il fratello Luigi Vidossich, per molti
anni membro del Consiglio di Chiesa. A tutta
la sua famiglia rivolgiamo un pensiero particolarmente affettuoso e solidale,
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimmiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
PERSONALIA
Si sono sposati — nel municipio di Palermo e nel tempio di Frali — Nice Impallomeni e Renato Malocchi, quest’ultimo impegnalo nel Servizio stampa-radio-televisione
della Federazione delle Chiese Evangeliche in
Italia. Rivolgiamo loro il nostro augurio fraterno.
* *
A Paulette e Gianni Pons, a Torino, è nato il primogenito, Davide: ì nostri migliori
auguri per il pìccolo e per i suoi.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii^
Doni pro Eco-Luce
Marcella Gay, Pinerolo L. 10.000; Lalla
Conte, Torino, in mem. di Giuseppe Pagliano 5.000: Id., in memoria di Jean Bertin
5.000.
Grazie! (continua)
Il li! di Ktiiiziine
la prina KHU CAIECHEIICII
Cogliendo al volo i suggerimenti
emersi nel dibattito sinodale di quest’anno in merito agli studi teologici
e alla preparazione ai ministeri, si sta
costituendo una « scuola catechetica »
che prenderà l’avvio durante il weekend del 14-15 ottobre, a partire dalle
ore 15 del sabato, presso la Foresteria
valdese di Torre Pellice.
Le iscrizioni vanno- comunicate a:
Giorgio Tourn, viale Piazza d’Armi 21,
10064 Pinerolo; e a Paolo Ricca, C.so
Sommeiller 21, 10128 Torino.
Per altre informazioni su questo
progetto, vedere 1’« Eco-Luce » N. 37
del 15 settembre, in 5^ pagina.
A TORINO
L'Ist. Artigianelli Valdesi
cerca un Direttore
e offre posti
Istituto Artigianelli Valdesi
Casa de Fernex - TORINO
Via Petrarca 44 - Tel. 652.287
Catanzaro
VISITE
La sera del 14 agosto u. s. arrivavano, provenienti dagli U.S.A., Filippo e Annetta Scorza e Davide, Claudina e Lerry Scorza : il primo, figlio del pastore Antonio Scorza e il secondo, figlio delPanziano Nicola Scorza (entrambi i genitori, dopo un lungo ministerio
in America fedeli alPEvangelo, sono entrati
nella pace del Signore). Abbiamo apprezzato
con gioia la visita di questi due giovani e
delle loro famiglie, per Tamore che portano
ai loro parenti in Italia, e soprattutto per
l’affetto cristiano e per l’impegno evangèlistico per l’opera Valdese in terra di Calabria.
Durante il breve soggiorno in Catanzaro,
hanno visitato il campò Bethel della Sila, si
sono rallegrati per la bellezza del panorama
e del grande verde dei pineti. Si sono un po’
rammaricati che questo bel campo non sia
completo per l’abitabilità.
La sera del 16 hanno visitato la Comunità
di Vincolise e S. Pietro, dove il pastóre Santoro presiedeva il culto, mercoledì sera.
Voglia il Signore benedire questi giovani
fratelli e le loro famiglie, affinché continuino l’opera incominciata dai loro genitori molti anni fa e continuino a servire il Signore
nella testimonianza, nella fedeltà e nell’amo
re in attesa del ritorno di Cristo Gesù e del
suo Regno che viene.
Mentre riprende l’attività autunnale, voglia il Signore benedire e dare forza nuova
ai suoi servi e a tutto il suo popolo per far
conoscere la sua pace e la vita che Egli dà
al mondo.
Ernesto Scorza
iiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiimimiiiiiiiu
Doni per l’Asilo dei Vecchi
di Luserna San Giovanni
In memoria di C. A. Balmas : Emilia AllioAyassot L. 5.000; in mem. di Giovanna Gönnet ved. Bonjour: le figlie Maria e Giovanna
10.000, G. Villa e Iolanda e Lina Gönnet
20.00, gli inquilini e vicini di casa 17.000;
in mem. di Etiennette Marauda-Bounous e di
Valentine Tron: Tinette 3.000; In mem.
dei suoi cari; Matilde Bellion 25.000; per
l’Asilo: Falchi Velia 1.000; Gay Emma 2
mila; Pampuro Renato 1.000; Pampuro Renalo e Armida 1.000; Roth Thoeni Annie
6.000; Malacrida Lillia 2.000; Monnet Roberto (Bricherasio) 15.000; Revel Luigi 10
mila; N. N., Niee 10.000; Società di cucito
« Le Printemps » 250.000; E. S. V. 1.000.000.
Il Comitato Direttivo è ada ricerca
di un direttore della casa de Femex,
casa preparata ad accogliere 40-45 giovani studenti ed operai. La persona
cercata deve avere interesse per i rapporti con la gioventù, e avere fatto studi di pedagogia o analoghi.
Per chi desidera venire alla Casa de
Fernex sono ancora liberi alcuni posti.
Farne domanda al Comitàte Direttivo
con indicazione dei dati di nascita, studi compiuti e da compiere, mestiere o
professione.
Ringraziando vivamente, e in attesa di altre contribuzioni, segnaliamo il nostro numero di conto corrente 2/16974 intestato Asilo
dei Vecchi di Luserna S. Giovanni.
RINGRAZIAMENTO
La famiglia del compianto
Aldo Fornerone
commossa e riconoscente pei la
grande dimostrazione di stima e di
affetto tributata al suo Caro, ringrazia tutti coloro che con fiori, scritti,
parole di conforto, hanno preso parte
al suo immenso dolore.
Negli ultimi mesi la nostra comunità è
stata animata da varie occasioni liete.
Anzitutto, tre battesimi: il 18 giugno è
stato battezzato il piccolo Luigi Parrotta, il
30 luglio il piccolo Francesco La Face e il
13 agosto il piccolo Antonio Parisi. Il pastore Santoro, in queste occasioni, ha raccomandato alla comunità di ricevere questi nuovi
agnelli del gregge del Signore, essendo responsabile con i genitori di queste creature
affinché siano un giorno testimoni di Cristo e
del suo Regno; ha ricordato il senso del battesimo, in riferimento ai passi biblici di Romani 6 e di Giovanni 3; ha ricordato che i
figli dei credenti sono — come dice la nostra
liturgia — posti all’ombra della grazia di
Dio, come i loro genitori.
Anche due coppie di sposi hanno dichiarato, nel nostro tempio, la volontà di vivere insieme sotto lo sguardo del Signore. Il 13 maggio erano Gary Wayne Son (Maryville, Missouri), un militare americano in servizio in
una base sullo Jonio, e Vincenza Teresa Papalia, figlia di un artigiano della nostra città; e il 10 settembre erano i nostri fratelli
Enzo Citriniti e Gisella Bellandi, quest’ultima
convertita da qualche tempo, proveniente da
famiglia cattolica. Nei due casi il pastore ha
annunciato l’Evangelo a tutti i convenuti e
invocato la benedizione dtl Signore sugli sposi, augurando loro a nome della comunità di
viverne quotidianamente.
Purtroppo, però, la nostra comunità è stata anche provata dalla morte della sorella
Anna Procopio Goteri, all’età di circa ottanta
anni, il 18 agosto scorso. Compagna di un
vecchio membro della nostra Chiesa e del
suo Consiglio, da molti anni malata, si rammaricava di non poter partecipare al culto.
Si era convertita, con il marito, circa 25 anni
fa, e dopo aver annunciato TEvangelo della
risurrezione in Cristo, il pastore ha ricordato la fede della nostra sorella e le sue doti di
donna cristiana che restano per noi esempio
nella scelta della vita in Cristo. Al fratello
Ernesto, privato della sua buona compagna,
ai figli Aldo, Ezio, Egidio, Tiziana e Nuccia
rinnoviamo le nostre fraterne condoglianze.
Esprime inoltre particolare riconoscenza ai Sig. Pastore A. Genre, al Dr.
Ghigo, al Dr. Demo, i Sigg. Medici,
Rev. Suora e gli Infermieri Bep. Medicina dell’Ospedale «E. Agnelli», al
Gruppo A.N.A. di S. Secondo, U. S. di
S. Secondo, ai vicini di casa ed agli
amici a Lui tanto cari.
S. Secondo, 17 settembre 1972.
Le faini^ie Comba, Godine e Martin, profondamente commosse per l’affettuoso commiato reso al loro caro
Arturo Comba
ringraziano riconoscenti tutti quanti
hanno partecipato al loro dolore.
Un grazie particolare ai Pastori signori Deodato e Tourn.
Pinerolo,- 19 settembre 1972.
« Beati i puri di cuore, perché
essi vedranno Iddio »
(Matteo 5; 8).
RINGRAZIAMENTO
La famiglia della compianta
Luigia Giordan
vedova Armand-Hugon
ringrazia vivamente tutti coloro che
si sono uniti al suo dolore. In particolare esprime la sua riconoscenza alla
direzione ed al iterssnale del Rifugio
Carlo Alberto di Luserna S. Giovanni
per l’amorevole assistenza.
Torre Felice 26 settembre 1972.
RINGRAZIAMENTO
Albertina Bertalot, profondamente
commossa e riconoscente ringrazia
tutti ed ognuno, di Torino e Luserna
per l’immensa, affettuosa dimostrazione ricevuta durante la lunga, dolorerà prova del suo caro marito
Giovanni Bertin (Jean)
e poi l’ultimo estremo omaggio alla
Sua memoria. In modo particolare t
Proff. Silvestrini e Raso, i Loro quattro allievi, infermiere e infermieri
della Cllnica Chirurgica Prof. Morino; l’infermiera Adele Lanza che lo
vegliò cinque mesi; i Pastori Conte,
Ricca, Taccia, Micol (Villar), Zotta
{Rimini) le Signore della Chiesa di
Torino e tutti coloro che tanto affetto e conforto hanno dato.
« Non vi saran più cordoglio,
né grido, né dolore poiché le
cose di prima sono passate e
Dio muta l’ombra di morte in
aurora ».
(Apocalisse 21: 4 - Amòs 5: 8).
8
pag. 8
N. 39 — 29 settembre 1972
ECOLOGIA
Realismo por II . .
MEDIO OR!ERTE organismi e I ambiente
Tra poco più di un mese e mezzo ci
saranno le elezioni nella Germania Federale. Non so come voteranno i tedeschi dell'ovest, se sapranno apprezzare la politica del Cancelliere Brandt,
oppure se preferiranno l’equivoco perenne della politica democristiana.
Quello che riconosco a Brandt e al
suo governo è il coraggio di aver affrontata la realtà storica e di aver
chiuso il problema delle frontiere. Non
è stato un atto da poco l’aver affrontata con chiarezza una realtà che è stata al suo tempo estremamente drammatica. Intere popolazioni tedesche e
polacche sono state trasferite dai loro
paesi nativi in altre zone; regioni da
secoli tipicamente tedesche o polacche
hanno cambiato fisionomia. Ben pochi
hanno protestato ad ovest e ad est: si
è considerato tutto ciò come ima drammatica esigenza storica, una condizione indispensabile per rompere una situazione che aveva dato pretesto a
guerre e per cominciare un nuovo cammino di pace. Si è parlato poco di « disperazione » dei profughi; non c’è stato terrorismo, né lo si sarebbe permesso. Nessuno vorrebbe che si tornasse indietro e chi ha buon senso è
grato al governo Brandt di aver dissipato anche le sterili illusioni di cui si
sono valsi i vari governi democristiani tedeschi del dopoguerra per conservare la loro egemonia politica, fondandola sul sentimento nazionalistico.
È strano che questo realismo politico cessi del tutto quando ci si riferisce al Medio Oriente. La tragedia di
Monaco e la reazione d’Israele hanno
fatto rispolverare tutti i luoghi comuni in proposito.. Gli uni hanno indicato come ragione profonda del dramma
la « disperazione » dei palestinesi; gli
altri, pur combattendo il terrorismo,
ne hanno in parte accettata la giustificazione e hanno abbondato in consigli
verso Israele che dovrebbe prendere
l’iniziativa di una soluzione pacifica
del dramma. Mi sembra che in un caso come nell’altro si sia — per motivazioni diverse — fuori del realismo
storico e, quindi, si sostituisca il sentimentalismo alla reale ricerca di una
composizione.
La questione medio orientale va vista con estrema precisione e il criterio
di valutazione veramente oggettivo è
dato non dalle intenzioni, ma dalla
realtà. Due fatti vanno presi in considerazione: la irreversibilità della costituzione dello Stato d’Israele e la impossibilità di risolvere il problema palestinese anche col ritorno — di fatto
impossibile — alle frontiere del 1967.
La costituzione dello Stato d’Israele
è uno di quegli eventi che lo sviluppo
storico rende inevitabili. Certe situazioni maturano al di là della previsione dei singoli e di intere generazioni.
Cosi si è formata l’Italia (che non era
mai esistita politicamente), così si sono formati quasi tutti gli stati attuali.
Non è necessario scomodare la Bibbia
per spiegare la costituzione dello Stato d’Israele, anche se la storia del popolo ebraico, dalla dispersione ad oggi ha un’epopea quale pochi altri popoli hanno. Spiegazioni logiche adeguate non ce ne sono, né hegeliane, né
marxiste: c’è il fatto dinanzi al quale
gli uomini cercano spiegazioni.
L’altro fatto è anch’esso al di sopra
dei ragionamenti umani. Israele non
ha tolto ai palestinesi profughi vasti
territori, ricchezze naturali che avessero servito a dare ai loro abitanti una
sistemazione umana. Il Sinai è arido
deserto abitato solo da tribù nomadi;
la fascia di Gaza e la Cisgiordania non
hanno mai visto sistemazioni fioride e
non permetterebbero mai a due milioni di persone una prospera sistemazione. Israele stesso non potrà ricevere
una popolazione molto superiore alla
attuale, benché si stia conquistando
con duro lavoro il deserto. Il ricevere gli attuali profughi costituirebbe
un grosso problema per gli israeliani
e per gli stessi profughi arabi; il cedere i pochi chilometri quadrati lascierebbe i profughi nella loro miseria.
Quei pochi chilometri quadrati di pietraie hanno valore strategico per Israe^
le, ma non servono affatto agli arabi
che di spazio ne hanno a iosa. Per questo Israele li difende e i governi arabi
non hanno interesse reale di affrontare un conflitto per riconquistarli.
Questo è il fatto che non si vuol
prendere in considerazione, ma è anche la vera ragione della impossibilità
di risolvere il problema palestinese
puntando sulla rinuncia di Israele ai
territori occupati.
La disperazione dei profughi esiste,
come già esisteva prima e come esiste
la disperazione delle popolazioni arabe
dei paesi circonvicini, anche se non la
si prende in considerazione, perché fa
comodo ignorarla. Mentre la Germania Occidentale e la Polonia hanno assorbito le popolazioni che sono state
sradicate dopo la guerra, gli stati arabi confinanti con Israele, non hanno
assorbito i profughi palestinesi. Certamente questo è dipeso da un calcolo
politico: i profughi relegati in campo
di concentramento costituivano una
massa d’urto contro il nemico comune. Ma al di sopra di questo calcolo
sta il fatto che tali stati erano e sono
tuttora nella impossibilità di farlo per
le loro condizioni storiche, sociologiche e culturali. Enormi ricchezze s<>
no state sperperate negli armamenti,
perché le armi sono le cose più idiote
che l’uomo possa procurarsi e sono a
disposizione delle popolazioni più arretrate. È molto più facile fanatizzare
una popolazione e istruirla all’uso del
le armi, piuttosto che prepararla all’uso intelligente delle braccia e del
cervello. Il clima di guerra serve a coprire l’ignavia politica e a far sopportare alle popolazioni la miseria. La più
grave colpa delle nazioni potenti, Russia compresa, è di aver trescato con
i governi imbelli, pur di continuare la
loro politica di potenza, e di aver trascurato le vere necessità dei popoli.
Tutti sono pronti a fornire armi, ma
ben pochi sono disposti a dare veri
aiuti economici e culturali.
I movimenti rivoluzionari sorti dopo
il giugno 1967 sono stati corrotti fin
dal principio dalle enormi ricchezze
messe a loro disposizione e anche loro hanno cercato armi, piuttosto che
pensare ad organizzare politicamente
ed economicamente i profughi nelle
terre dove avrebbero potuto avere prosperità economica reale. Borghesi improvvisamente diventati potenti non si
sono accorti che fomentando l’odio di
razza e volendo ad ogni costo la distruzione d’Israele, facevano soltanto
il gioco dei governi reazionari ed imbelli, perdendo ogni possibilità di giovare alle popolazioni. Accortisi troppo
tardi di essersi rovinati col loro stesso gioco, cercano di non tornare alla
condizione di sconosciuti, fomentando
odio e terrore. Il terrorismo potrà continuare, ma i movimenti rivoluzionari
palestinesi proseguendo così non sono
in grado di far nulla di positivo per i
profughi palestinesi. La tragedia di
Monaco non è stata l’eco della disperazione dei palestinesi, ma soltanto
una delle tante dimostrazioni del disinteresse di borghesi rivoluzionari per
i profughi palestinesi, perché i terroristi ben sapevano che il loro gesto
avrebbe provocato la reazione d’Israele e qualsiasi altro paese, Cina compresa, avrebbe fatto lo stesso. Non dico questo per giustificare Israele, ma
è sincero dire che non c’è nessun uomo, nessun movimento tanto puro da
assicurare che in circostanze simili
avrebbe agito-, diversamente. Il terrorismo non giova ai profughi palestinesi, ma i profughi palestinesi giovano
ai terroristi!
Dato che Israele continuerà ad esistere, dato che riammettere i profughi palestinesi nei territori occupati
nel giugno del 1967 — oltre ad essere
impossibile — non servirebbe a risolvere i loro problemi, l’unica soluzione
— al di fuori di ogni sogno — è che
i profughi trovino adeguata sistemazione nelle zone spopolate dove si trovano e l’unica richiesta sensata — a
mio avviso — che si può fare ad Israe
le è che ripaghi le popolazioni sradicate con aiuti economici e culturali,
affinché possano uscire dalla miseria
secolare e costituirsi una vita sociale e
politica moderna. Certamente questo
non dipende soltanto da Israele, ma
non si sa se davvero l’abbia proposto.
A una soluzione del genere si arriverà presto o tardi, perché i governi
arabi non troveranno più a lungo utile
il mantenere i profughi in campo di
concentramento. Se gli uomini non accettano la logica dei fatti, essa finisce
coll’imporsi a loro. Purtroppo, in questo secondo caso, si arriva solo dopo
molte tragedie! Ma gli uomini sono
fatti così.
Questo mio discorso può apparire
reazionario e forse anche disumano,
ma a me sembra estremamente sincero, mentre non trovo affatto sincera la
solita ripetizione di discorsi moralistici apparsi anche nella nostra stampa
recentemente. Val meglio dire agli uomini le cose come sono e non ipnotizzarli con illusioni.
Per richiamarmi al punto di partenza, come preferisco il realismo di
Brandt al nazionalismo fasullo della
democrazia cristiana tedesca, così preferisco il parlar chiaro ai profughi palestinesi che il vivere alle loro spalle
come i governi arabi e i capi dei movimenti rivoluzionari che li sfruttano.
P&T ulcuTie settitncine Renuto Bolynci ci ha. guidato in una riflessione piena d^in~
teresse e d’interrogativi anche drammatici sull’avvenire della società umana,
a scadenza anche non tanto lontana, se essa continuerà sulle linee di "sviluppo attuali. E si è visto quanto il problema economico — con le sue cause e i
suoi riflessi di ordine sociale e politico — si intrecci con il problema ecologico.
Pietro Comba, inizia ora una collaborazione sul problema ecologico, appunto,
con una serie di articoli che vogliono chiarire, nel modo più semplice possibile,
i termini della questione dell’ambiente in cui viviamo; da questa “base” si potrà partire, poi, per una riflessione sulla nostra responsabilità. Le due linee di
meditazione su cui ci invitano questi due collaboratori, con contributi che speriamo avranno una regolarità periodica, concernono direttamente il nostra
compito di cristiani, "padroni dopo Dio" dell’ambiente in cui ci ha posti.
Alfredo Sonelli
Una sottile pellicola avvolge la terra, come il foglio di carta che circonda un’arancia, e ha un aspetto irregolare e discontinuo; si tratta della regione dove fiorisce la vita, e la si chiama biosfera, in analogia con la litosfera, che è il corpo roccioso del pianeta, e con l’atmosfera, che è l’insieme dei gas che ravvolgono. In questa
sfera della vita, la materia è presente
nei suoi diversi stati: le distese d’acqua, il terreno e le rocce solide, l’aria.
I raggi del sole, opportunamente schermati dall’atmosfera, portano con le loro radiazioni un continuo flusso di
energia che permette i vari processi
vitali, e questi hanno luogo solo dove
c’è acqua in misura sufficiente. Questa
necessità dell’acqua è così evidente che
alcuni fra i primi filosofi greci avevano identificato in essa il primo principio della vita.
Anche se oggi non si ricerca più la
Angela, Angela
Angela Davis è a Praga, dove ha fatto una conferenza stampa. Le è stato
chiesto di prender posizione sui processi cecoslovacchi. Ha risposto che
stava facendo solo un giro di ringraziamento verso coloro che l’avevano sostenuta, e che si occupa dei detenuti
politici solo nel proprio paese.
E va bene. Ospiti dèi governo e del
partito cèco, non poteva probabilmente
dir altro. Ma qualche tempo fa, in
America, ricevette una lettera di Jiri
Pelikan, che le chiedeva — in nome della stessa campagnà che era servita a
liberare lei — di aiutare i prigionieri
politici cèchi. Sul Times Angela Davis
fece dire dalla sua « portavoce », la signorina Charlene Mitchell, che non
avrebbe risposto a Tiri Pelikan. E perchè? « La signorina,Davis ritiene che
non sia lecito lasciéke un paese socialista per rientrare nel sistema capita
lista. Chi fa questo, anche se si dice
comunista, si oppone obbiettivamente
al socialismo. D’altra parte la signorina Davis ritiene che coloro che sono in
difficoltà o in prigione nei paesi dell’est, lo sono perchè colpevoli di atti di
sovversione contro il socialismo ».
Dunque, in galera, corripagno comunista Huébl: non solo il comunista Husak, ma la comunista Angela Davis ti
condannano. E non credere che sia
l’errore d’una piccola e male informata
militante nera. Angela Davis è la più
brillante allieva di Herbert Marcuse,
ferrata in storia e filosofìa. Peccato che
non si applichi un po anche al socialismo. Il che non le impedisce di parlarne, schierandosi — lei che pur ne
sa qualcosa — dalla parte della normalizzazione di polizia.
(da « Il Manifesto » del 24-9-1972)
LORDURE
POLITICHE
-if Nei precedente n. 38 di questo
settimanale (del 229), abbiamo riportato un parere (molto assennato, ci
sembra) sull’unica possibilità esistente
d’avviare trattative di pace nel Medio
Oriente (artic.: « Vincere la diffidenza»): e cioè che tocchi ad Israele offrire possibilità serie di discussione alle controparti, senza porre alcuna condizione pregiudiziale. Ma ecco che le
cose continuano ad andare proprio in
direzione diametralmente opposta!
« La signora Golda Meir ha cominciato a “mangiare la sua minestra con
una forchetta” (come già fecero i Francesi nel Nord-Africa, poi gli Americani
nell’Indocina). Davanti al parlamento
israeliano, essa ha detto: “Noi non abbiamo bombardato i campi dei profughi. Contrariamente ai terroristi arabi, noi attribuiamo gran prezzo alla vita umana”. Quando Golda Meir parla,
essa mette sulla bilancia il peso della
sue età avanzata e di cinquant’anni di
milizia disinteressata, spesi per una
causa che molti reputano giusta.
Orbene Golda Meir non ha detto la
verità: essa sa che, a fianco di alcuni
"fedayin”, la maggior parte delle vittime dei bombardamenti effettuati dagl’israeliani per rispondere alla strage
di Monaco, sono dei civili palestinesi,
libanesi, siriani. Essa sa che diecine
di bambini erano fra i morti e i feriti:
per es. i bambini di Nahr el Bared (Libano), d’età fra i cinque e i dodici anni. Erano le 17,30 ed essi giocavano su
un terreno di periferia (nè coltivato,
nè occupato da costruzioni). Fortunatamente per i quattro morti, essi non
hanno avuto il tempo di soffrire. Ma i
feriti rantolano all’ospedale, coi piccoli ventri fasciati dalle grandi bende ».
Cosi inizia un lungo e interessante
articolo di Guy Sitbon, sull’argomento,
pubblicato da « Le Nouvel Observateur » del 18-24.9.’72. Il Sitbon afferma
d’esser stato personalmente a Nahr el
Bared alcune ore dopo il bombardamento, poi a Hame, in Siria. « Dovunque è, accaduta la stessa^.cosa: la maggioranza dei “fedayin” 'armati erano
partiti prima dei bombardamenti; non
restavano più che dei miserabili senza
difesa. La signora Meir getti dunque
soltanto un colpo d’occhio sulle fotografie prese sui luoghi dei bombardamenti: non sono semplici testimonianze come le mie, ma delle prove.
Ormai gl’israeliani sono entrati nell’era delle "lordure”. Essi rriirano a dei
Palestinesi armati, ne uccidono qualcuno ma, nello stesso tempo, assassinano bambini: lordure! Vogliono colpire un campo, e invece bombardano
un villaggio druso, amico d’Israele:
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
anche nell’azione contro-terrorista in
Europa. Dopo aver avuto, per venticinque anni, la riputazione (fondata) di
“far la guerra pulitamente”, gl’israeliani hanno cominciato a lanciarsi nello
“sporco trògolo”. Questa è forse l’inattesa “vittoria” di “Settembre Nero ’.
La nuova organizzazione palestinese,
anch’essa, non è che ai suoi inizi. Le
minacce del governo israeliano, di perseguitarla ovunque nel mondo, la fanno penetrare ancor più profondamente
nella clandestinità e nelle profondità
segrete e chiuse: è questa la condizione della sua sicurezza, ma anche quella della sua progressiva incontrollabilità. Contrariamente aU’Organizzaztone
della Liberazione Palestinese ed al ”Fatah”. Settembre Nero ha bisogno di
poco denaro per condurre a buon fine
le proprie operazioni. Fino ad oggi esso è stato finanziato da una corrente
ufficiale, ma ecco che già delle cellule
di Settembre Nero vanno a procurarsi, con procedimenti molto persuasivi,
i fondi necessari presso ricchi Arabi risiedenti in Europa.
Si prevede dunque che sorgano, un
po’ dappertutto, molti ’’Settembre Nero”, rigorosamente indipendenti fra loro, totalmente sfuggenti al controllo
dei “leaders” conosciuti. I Palestinesi
sono dispersi sui cinque continenti e
i loro studenti sono sempre più collegati, nelle università europee, ai gruppuscoli della sinistra anarchica. Una
delle ipotesi sulle quali si lavora attualmente nelle cancellerie occidentali
è perciò questa: bisogna attendersi,
nelle settimane e nei mesi futuri, delle
azioni terroriste multiple ovunque nel
mondo, provocate dal problema palestinese, ma che rischiano di superarlo ».
Noi non siamo d’accordo con l'articolista in ogni dettaglio. Per es. non
riusciamo a vedere un contrasto (se
abbiamo ben compreso), fra una presunta politica «pulita» da parte di
Israele prima della strage di Monaco,
e una politica « sporca » uopo tale strage. Anzi diremmo che già da un anno,
e forse anche più, Israele ha cominciato a compiere delle « lordure » che
lo disonorano come società e come
Stato.
UN’OPERA CHE RESTERA’
poche settimane fa
(anzi fino a pochi
giorni fa) speravamo e credevamo
ch’egli rimanesse al
potere: ci sembrava che esistessero
molti e validi motivi per crederlo (ad es. i motivi esposti
da « L’Espresso » del 10 c., p. 2). Ma le
ultime notizie, culminanti in quella della decisione del Presidente Gustav Heinemann di sciogliere in anticipo il Parlamento e d’indire le elezioni politiche
ner il 19-11 o. v., rendono incerta la rielezione di Brandt al cancellierato.
Su « Le Monde » del 24-25-9, Manuel
Luebert scrive: « Il bilancio dei tre
anni spesi da Brandt al set vizio della
"Qstpolitik”, è considerevole. Accettando le frontiere attualmente esistenti in
Europa e proclamando la propria volontà di rinunciare alla forza per modificarle, la Repubblica Federale ha
chiuso un periodo di vent’anni d’ambiguità e d’illusioni. Essa si è liberata
dalla tentazione d’tin ’’revanscismo”,
già moribondo (è vero), ma che i responsabili della propaganda del Cremlino non esitavano ad agitare come
uno spauracchio. Essa ha anche gettato le basi della collaborazione: prima in campo economico, poi senza
dubbio in campo culturale, infine (perchè no?) in campo politico, fra Bonn
e le capitali dell'Europa Orientale.. Un
ravvicinamento di tal genere implica,
a lungo termine, dei rischi. Ma altrettanto vano sarebbe il non voler comprendere la portata d’una simile distensione nel cuore del Vecchio Continente, cioè l’influenza che questa avrà
sull’insieme dei rapporti fra i paesi
dell’occidente e dell’oriente dell’Europa, a cominciare dalla conferenza sulla sicurezza (europea).
’’Ostpolitik” è il nome d’un nuovo
’’Drang nach Osten”, così diverso dall’antico! '. Al di là dei testi scritti, di
questo periodo resteranno alcune immagini indimenticabili che conferiscono all’impresa una vera, genuina dimensione umana: quella anzitutto,
simbolo d’umiltà e di rimorso, del cancelliere Brandt inginocchiato, con la
fronte bassa, sulla fredda pietra del
monumento commemorativo degli ebrei di Varsavia; quella della folla di
Erfurt che giuoca di furberia (arma
dei deboli) per acclamare il rappresentante dell’altra parte della Germania; quella infine dei berlinesi occidentali, che attraversano senza ostacoli il
muro, dopo undici anni di separazione, quasi totale, dai loro fratelli di BerHno-Est ».
lordura! Domani, vi saranno “lordure”
E’ quella, a nostro parere, di
Willy Brandt, l’attuale cancelliere della Germania Federale. Ci è stato e ci è
molto simpatico, gli abbiamo voluto
bene e gliene vogliamo ancora. Fino a
causa prima della vita, né se ne vuole
dare una spiegazione sbrigativa, è certamente indicativa la definizione che
ne dà Cotrunei: un equilibrio perennemente instabile. Questa espressione ci
fa infatti intuire la presenza di un alto numero di fattori che, sommandosi
e influenzandosi, realizzano quelle condizioni che permettono l’esistenza degli organismi.
Si fissa a 4 miliardi e mezzo di anni
fa la formazione della terra, seguita
dal lunghissimo processo di solidificazione della sua crosta e dalla comparsa delle rocce, e si data a 3 miliare)'
di anni fa l’apparizione delle prime
forme di vita. L’atmosfera di allora era
una miscela di gas, ricca specialmente
di anidride carbonica, azoto, metano e
vapor d'acqua. L’ossigeno compariva
solo legato nei composti, e non poteva
schermare le radiazioni ultraviolette
del sole; p-er questo motivo gli organismi viventi si trovavano nelle acque.
La grande rivoluzione che essi compirono a partire da circa due miliardi
di anni fa, fu di legare le molecole di
acqua, contenenti idrogeno e ossigeno,
con quelle di anidride carbonica, contenenti carbonio e ossigeno, per forrnare dei composti chiamati carboidrati o zuccheri, liberando nello stesso
tempo molecole di ossigeno puro. Era
la comparsa della fotosintesi, parola
greca che vuole appunto dire unione
mediante la luce, perché l’energia della luce del sole è quella forza che permette a tanti organismi vegetali, ieri
come oggi, di fissare l’acqua e l’anidride carbonica nei loro tessuti. La conseguenza di due miliardi di anni di fotosintesi è che l’atmosfera si è arricchita di ossigeno libero, che fermando
le radiazioni nocive agli organismi ha
perrnesso loro di lasciare le acque e
distribuirsi sulle terre emerse.
La lunga storia dell’evoluzione nella
biosfera ci è in parte sconosciuta; possiamo però seguire un filo logico, che
è il progressivo perfezionamento dei
vari ambienti, tendenti tutti a una con
dizione di « maturità » nella quale l’energia ricevuta viene interamente impiegata per il sostentamento del maggior numero possibile di specie animali e vegetali, dipendenti a loro volta
le une dalle altre.
Succede per esempio che il sole irradi una foresta, e le foglie degli alberi e del sottobosco compiano la fotosintesi, descritta sommariamente poco
prima. Quest’energia acquistata permette da una parte la crescita della
pianta e l’insieme dei suoi processi vitali, e dall’altra viene immagazzinata
nei tessuti di riserva. Supponiamo ora
che un erbivoro mangi questa pianta;
nel corso della digestione egli assume
l’energia fissata negli zuccheri e la utilizza per muoversi, crescere, ecc. Se a
questo punto un carnivoro lo mangia,
non fa che trasferire a sé l’energia che
era impiegata dalle proteine dei muscoli dell’erbivoro. E a sua volta il carnivoro, morendo, subirà la decomposizione, cioè i bacteri demoliranno le
cellule del suo corpo, riversando nell’aria, o sul suolo, o nell’acqua le sostanze chimiche che formavano il corpo dell’animale e l’energia che le univa.
Questi fenomeni, che naturalmente
sono molto più complessi delle schematizzazioni che se ne fanno, costituiscono le catene alimentari dei consumatori e dei decomponenti, che mostrano la logica dei rapporti organismiambiente, inquadrati dal punto di vista
degli scambi energetici. Ed è proprio
attraverso i lunghi tempi deH’evoluzione e della selezione che si sono affermati nella biosfera determinati ecosistemi, cioè ambienti come la foresta
o la palude, nei quali l’energia ricevuta dal sole permette la respirazione
delle piante, la loro crescita e conseguentemente mantiene in vita il maggior numero possibile di specie animali, dipendenti le une dalle altre, senza
che ci sia accumulo o spreco di energia, la preziosa energia del sole.
Si vede così come la natura sia tesa
in un processo spontaneo e immanente di perfezionamento delle sue strutture, e su questa base si può aprire il
discorso sulla presenza dell’uomo e i
suoi interventi.
Pietro Comba
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!
-ff Dal 3 al 10 settembre si è tenuta, a
Bucarest, la terza Conferenza niondìàle di futurologia dedicata a « L’avvenire comune degli uomini ». In preparazione, il laboratorio di
ricerche prospettiche dell’Università di Bucarest aveva pubblicato un « Corso di prognosi » che riassume il lavoro collettivo dei ricercatori romeni.
^ « Drang nach Osten » significa « Spinta
verso Oriente » : era uno degl’infelicissimi
slogan
mina.
imperialisti della Germania Gugliel
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Coop. Tip. Subalpina - Torre Pellice (Torino)
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