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ECO
DELLE mu VALDESI
Slg. FEYROT Art
Via C. Cabella <
16122 GENOVA
Settimanale
della Chiesa Valdese
ABBONAMENTI / P«
1 L. 3.500 per 1 estero
Anno 107 - Nnm. 24
Una copia Lire 70
Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70
Cambio di indirizzo Lire 50
TOKRE PELLICE - 12 Giugno 1970
Amm.; Via Cavour 1 - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
Chiesa O banca ? n gemito della creazione
La chiesa di Pomaretto ha deciso, in
via sperimentale, di cancellare dalla
lista dei membri comunicanti, trasferendoli nella lista degli aderenti, i
membri di chiesa che da tre anni non
versano alcuna contribuzione. Questa
decisione, portata a conoscenza della
Conferenza del 1° Distretto riunita il
27 maggio scorso a Villar Perosa, ha
suscitato, naturalmente, molti commenti, anche critici, ma dal resoconto
dei lavori della Conferenza pubblicato
su questo giornale non risulta che
l’assemblea distrettuale abbia preso posizione in quanto tale, pronunciandosi
a favore o contro questa iniziativa. Forse non Tha fatto per riguardo al suo carattere sperimentale. Ciò nondimeno,
un parere della Conferenza, positivo o
negativo, non sarebbe stato fuori luogo.
I problema che la chiesa di Pomaretto
ha avuto il coraggio di affrontare esiste in tutte le chiese ed è giusto che il
peso di certe decisioni non venga lasciato sulle spalle di pochi.
Come valutare la decisione presa a
Pomaretto? È evidentemente un tentativo, discutibile ma comprensibile, di
ridurre il divario esi.stente tra la chiesa legale (ouella che appare dai registri) e la chiesa reale (quella che in
concreto si riunisce e cerca di vivere
l’Evangelo). Come si intende ridurre
tale divario? Depennando dall’elenco
dei membri comunicanti i nomi delle
persone che da lungo tempo manifestano nei confronti della comunità di
cui ulhcialmente fanno parte soltanto
disinteresse, indifferenza, distacco, malgrado tutti i tentativi fatti (con visite,
esortazioni, appelli, ammonizioni) per
associarli alla vita della chiesa. Si tratta, secondo ogni evidenza, di persone
refrattarie a -■ualsiasi azione pastorale
o fraterna di avvicinamento in vista
di una comunione di fede, speranza,
amore e ubbidienza: persone per le
quali essere membro di chiesa sembra da lungo tempo non significare più
nulla, se pure ha mai significato qualcosa. La loro iscrizione come membri
« comunicanti » (che di solito risale ai
tempi lontani di una confermazione sovente più subita che voluta) è una finzione: nella realtà non c’è « comunione » e neppure « comunicazione » con i
loro fratelli in fede. Nulla di strano che
questa situazione venga riprodotta nei
registri di chiesa e che daH’elenco dei
« comunicanti » scompaiano i nomi di
coloro che di fatto non comunicano né
intendono comunicare. La cancellazione di certi membri di chiesa dall’elenco
dei comunicanti (con relativa iscrizione in quello degli aderenti) è una operazione moralmente e spiritualmente
sostenibile, anche se è sconsigliabile
alla luce della parabola del grano e
della zizzania, e della parabola di Gesù
secondo cui è il vignaiuolo che pota la
vite e non sono i tralci vivi che tagliano quelli secchi. Comunque, la decisione della chiesa di Pomaretto, se attuata senza farisaismo, con senso di solidarietà nel peccato e con sofferenza per
non aver saputo « guadagnare » i nostri fratelli, appare legittima, anche se
rischiosa.
Quel che invece non appare né legittimo né ammissibile è che fra le varie
cause che determinano la cancellazione
dalla lista dei membri comunicanti Tunica espressamente menzionata dalla
chiesa di Pomaretto sia la mancata
contribuzione per un periodo di tre .anni. Perché si mette così in primo piano
la questione economica? Gesù e gli apostoli han parlato in maniera ben diversa. Certo, non è che a Pomaretto si
cancelli una persona dalla lista dei
membri comunicanti solo perché da
tre anni non contribuisce. La mancata
contribuzione è solo la goccia che fa
traboccare il vaso. Ma è estremamente
indicativo che la goccia che fa traboccare il vaso sia questa e non un'altra.
Su questa china, il criterio economico
finisce fatalmente per prevalere, fino a
diventare determinante. Di fatto lo è
già, almeno nel senso che nessuno oserebbe depennare una j>ersona che contribuisce, anche se da decenni non vive
in comunione con i fratelli e non partecipa alla lotta delTEvangelo. Si direbbe che nella nostra Chiesa la contribuzione copre moltitudine di peccati: finché essa arriva, si è inclini a passar sopra all’incredulità o alla miscredenza, al disinteresse, alla trasgressione dei comandamenti, e a tante altre
colpe; ma quando la contribuzione viene a mancare, tutte le altre colpe diventano imperdonabili e la Chiesa,
prima indulgente, diventa intransigente: Se non contribuisci, ti cancello. Fino a che contribuivi, potevo chiudere
un occhio; ma senza contribuzione,
non si può.
Tutto ciò è molto grave: dimostra
che in questo caso la Chiesa ragiona un
po’ come le banche ed esercita una di
sciplina in cui prevale il momento fiscale, suggerita da Mammona più che
dalla parola di Dio. Ma Mammona è
sempre un pessimo consigliere, specialmente quando sembra molto saggio e
ragionevole. Non bisogna fargli posto
alcuno, perché i suoi suggerimenti portano sempre lontano da Dio. Mammona
non ha mai ragione. La sua sapienza
è mortale per la Chiesa.
La questione delle contribuzioni non
doveva essere menzionata, neppure come goccia che fa traboccare il vaso.
In questa materia, Tunica linea di condotta evangelica sembra essere quella
indicata chiaramente dalTapostolo Paolo quando parlando ai cristiani di Corinto dell’offerta che egli si aspetta da
loro, dichiara: « Io non cerco i vostri
beni , ma voi » (2 Corinzi 12: 14). Il che
significa: Se non riesco ad avere voi,
non cerco neppure i vostri beni.
Paolo Ricca
L’impegno
e il voto
Al momento di andare in macchina non
abbiamo ancora i dati definitivi sulle votazioni svoltesi il 7 e T8 giugno nel nostro paese,
e siamo costretti a rinviarne una valutazione.
Ma ci è piaciuta questa nota, letta sul bollettino di una comunità; essa riflette la situazione e. ci auguriamo, lo spirito di tante altre
nostre chiese.
Raramente abbiamo avuto un principio di giugno "caldo” come quest'anno;
si arriva alle consultazioni elettorali
avendo alle spalle un lungo periodo di
lotta sociale, in un momento difficile
— economicamente come politicamente
— su un piano mondiale.
E' naturale che ognuno di noi, ogni
credente, si sia sentito e si senta corresponsabile e impegnato nella ricerca
sofferta di soluzione (provvisorie, naturalmente) che risultino utili al progresso del nostro paese. Il fatto stesso che
ognuno si fermi pensoso a riflettere su
quello che sia davvero per il bene comune è significativo: il credente — a
meno che non voglia proprio immaginare di essere il "visconte dimezzato"
della favola moderna — riconosce di
avere un impegno politico nel mondo,
di essere "come credente" obbligato a
delle scelte che, essenzialmente, concernono la giustizia (in una data società
come fra i popoli) e quelle libertà civili
che sono pegno di civiltà e di progresso.
Siamo in debito, come credenti chiamati alla predicazione del Vangelo, di
una precisazione di fondo: nella lotta
politica come in ogni altra cosa, l'insegnamento del Signore ci mette in guardia dalla violenza, dalla sopraffazione.
Rifiutate, anche se vi costa sofferenza,
il ricorso alla violenza, anche teoricamente.
In questi giorni numerosi fratelli e
sorelle sono impegnati nei seggi elettorali. Scorrendo tutte le liste dei candidati, abbiamo anche rilevato dei candidati evangelici, e li segnaliamo... Ci rallegriamo per questa diretta partecipazione alla campagna elettorale e siamo
certi che, nei diversi impegni, ognuno
voglia con evangelica probità compiere
il dovere suo, confortato dalla simpatia
dei fratelli.
A poche settimane dal terremoto che ha sconvolto vaste zone della Turchia e a pochi giorni dalle
inondazioni che hanno devastato — e la minaccia
non è svanita — la Romania inferiore, una catastrofe di dimensioni anche più paurose si è abbattuta
sul Perù. Il bilancio esatto del disastro, anche per
la difficoltà di comunicazioni con l’impervia regione andina ove si è verificato, potrà essere fatto soltanto a poco a poco. Si sa comunque che tre grandi
città e 25 villaggi sono stati completamente distrutti, 50.000 i morti, 800.000 i senza tetto, 15.000 i feriti.
Le autorità peruviane hanno annunciato che l’intero bilancio annuo della nazione — 630 miliardi di
lire — non basterebbe a ricostruire tutto ciò che è
stato distrutto.
Di fronte a una tragedia di tale entità, allo strazio di tante creature si resta senza parola, turbati
nel profondo. Si avverte soltanto il bisogno del gesto fraterno, silenzioso, nella coscienza angosciata
che la vita non può essere ridata, la famiglia, la
casa non può essere ricostruita; che si può solo fasciare qualche ferita, alleviare qualche miseria. Non
abbiamo a tutt’oggi notizia che le Chiese evangeli
che abbiano deciso di organizzare ufficialmente una
raccolta di offerte, ma confidiamo che si farà e che
sarà generosa.
Non possiamo però limitarci a questo, per ciò
che ci riguarda. Avvenimenti come questi ci ripropongono sempre il problema di quel che significano; « fenomeni naturali »? fatalità? Spesso la nostra religiosità tenta di eludere questi interrogativi conturbanti: segno evidente della debolezza della
nostra fede. Eppure non dobbiamo eludere la sfida,
la prova , il vaglio cui è sottoposta la nostra fede,
in vista della testimonianza che dobbiamo rendere
alla sovranità — e all’amore — del nostro Dio.
Non andremo dunque a fare ai peruviani — o ai
romeni, o ai turchi — i discorsi vani e troppo religiosi degli importuni amici di Giobbe, ma vogliamo
ascoltare in un silenzio attento il gemito della creazione che risuona fino a noi da terre lontane, e rileggere alcune delle pagine che qualche anno fa Vittorio Subilia aveva dedicato a questo tormentoso
problema, in un suo articolo su L’Evangelo della natura («Protestantesimo» 2/1958). Riportiamo qui
sotto l’inizio e la fine di quello scritto.
La nostra mentalità è singolamente
impreparata e refrattaria a pensare
in chiave cristiana la presenza del male negli elementi naturali e negli esseri extra umani o anche soltanto nella
parte corporea dell’uomo: noi abbiamo operato una riduzione delTEvangelo, privandolo della sua prospettiva
cosmica, per cui abbiamo finito per
spiritualizzare anche il male, limitandolo a essere un fenomeno puramente
interiore. Questa riduzione disincarnata e spiritualistica delTEvangelo ci
ha condotto a considerare fenomeni
quali la morte, 1 malattie, le catastrofi naturali, la legge di lotta e di sopraffazione che nel mondo degli
animali come perfettamente normali,
legittimi e inevitabili in seno alla creazione di Dio. L’espressione stessa con
cui li designarne rivela i presupposti
della nostra valutazione: noi diciamo
che sono « fenomeni naturali » e con
ciò intendiamo fenomeni conformi alla legge di natura, espressione immutabile della volontà del Dio creatore.
Riteniamo con ciò di avere una concezione della realtà del mondo non solo
fondata sulla evidenza, ma fondata
sulle ultime risultanze della scienza,
la quale ci informa che da milioni di
anni le leggi e la struttura della natura sono quali oggi noi le conosciamo
e non posson essere state ed essere
diverse.
Come è concepibile che le piante velenose e gli animali nocivi siano un
giorno stati diversi da quello che sono
attualmente; che gli animali costituzionalmente fatti per vivere a spese di
altri animali siano stati un tempo privi di ferocia e si siano procurato il cibo senza seguire la legge « mors tua
vita mea »; che le piogge abbiano adacquato la terra all’unico scopo di fecondarla e farla germogliare senza tramutarsi in tempesta devastatrice; che
i humi si siano limitati a funzionare
da deflusso delle acque e a servire da
canali utili alla navigazione e al trasporto, evitando la siccità alle terre
da loro attraversate, senza mai straripare e portare desolazione; che la neve sia caduta senza tramutarsi in valanga e i ghiacciai abbiano brillato al
sole senza produrre cadute di serac
chi; che i vulcani abbiano avuto la funzione di abbellire e variare il paesaggio, senza mai far colare la loro lava
incandescente; che la morte, la distruzione, l’annientamento, in tutte le loro
forme terrestri e interplanetarie, non
fossero la legge costante della natura?
(...)
Una solidarietà profonda vincola
l’uomo che ha peccato e su cui per
conseguenza pesa un destino di corruzione e di morte e la natura che lo circonda e che costituisce il suo mondo.
La creazione intera non risponde più
alla propria vocazione e allo scopo per
cui c staia cieata e data alTuomo: non
è più « buona », è diventata « vana »,
cioè simbolo eloquente e terribile del
grande rifiuto di Adamo, della riluttanza e della ribellione dell’uomo alla
volontà del suo Dio. Come l’uomo ha
introdotto fra sé e il suo Dio un disagio sconcertante e una disannonia tragica, così eguale distacco ed eguale attrito si è introdotto tra la natura e
l’uomo: l’uomo vive per sé e non per
Dio e compie le sue opere di follia e
di morte, e similmente la natura vive
per sé e non per l’uomo, rifiutandogli
il servizio che gli è dovuto e compiendo la sua opera di arbitrio e di distruzione. E l’uomo, incosciente delle conseguenze incalcolabili della disubbidienza, non capisce più il creato, non
sa che il creato soffre di questo stato
di peccato, di corruzione e di servitù,
per cui non può più rispondere ai fini
per i quali è stato creato. « Tutta la
creazione geme insieme ed è in travaglio » (Romani 8: 22).
Il misterioso ma immenso linguaggio di sofferenza che la natura parla,
che si leva dalle profondità inesplorate della creazione in travaglio, costituirebbe nel suo complesso il gemito
di una agonia cosmica senza speranza
se non vi fosse stato Cristo. Ma in
quanto Cristo è venuto, in quanto Cristo è stato crocifisso a significare che
tutte le cose vecchie sono passate, in
quanto Cristo è risorto a significare
che tutte le cose sono state fatte nuove, in virtù della dimensione cosmica
della sua opera redentrice, questo gemito si configura come le doglie del
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiimiiiii
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Schwarzenbach confessionale?
La stampa italiana ha dato notizia dei risultati della votazione
avvenuta in Svizzera il 7 giugno,
sulla proposta di legge tendente a
limitare il numero dei lavoratori
stranieri. Tali risultati confermano le previsioni fatte su queste
colonne: l’iniziativa del deputato
Schwarzenbach è stata respinta
con una maggioranza non rilevante (meno di 100.000 voti), la popolazione ha partecipato in maniera,
per la Svizzera, inusitata al referendum (la percentuale dei votanti
sfiora l’80%), sono stati contrari
i Cantoni più moderni e più ricchi, favorevoli quelli più poveri e
tradizionalisti.
Ma, nella complessa problematica che sta dietro a questa votazione, e sulla quale ci ripromettiamo di ritornare in maniera più ap
profondita prossimamente, si inserisce un elemento confessionale
in parte inatteso. Era infatti prevedibile che l’iniziativa fosse appoggiata dai Cantoni interni
(Schwytz, Uri, Unterwalden) poco
interessati ai problemi migratori e
fortemente tradizionalisti; era pure, in qualche modo, prevedibile
che le fossero favorevoli i bernesi,
già resisi celebri in tal senso per
il modo con cui hanno condotto la
disputa sulla autonomia del Giura; ma ha stupito il voto favorevole di Lucerna e Friburgo. Risulta
così che i Cantoni che rivendicano
la limitazione degli stranieri sono,
quasi esclusivamente. Cantoni a
maggioranza cattolica, mentre la
gerarchia si era espressa in senso
contrario, anche perché la maggioranza degli immigrati è di religione cattolica e in taluni casi (Gi
nevra, per esempio) la loro presenza ha fatto sensibilmente spostare
l’equilibrio a favore della Chiesa
romana. Si deve dunque pensare
che sull’interesse immediato e futuro abbia prevalso la mentalità
pesantemente conservatrice del
cattolicesimo svizzero?
Comunque sia, è certo che l’episodio non è finito con l’esito positivo di questa votazione, perché
anche Schwarzenbach ha ragione
di mostrarsi soddisfatto e sarà
quindi necessaria un opera lunga,
ferma e paziente per eliminare le
cause dei molti voti da lui ottenuti: a questa opera dovranno partecipare con chiarezza, ma con
molto equilibrio, gli stessi immigrati e i loro rappresentanti.
PiERUJiGT Jalla
parto di un mondo nuovo, fatto di nuovi cieli e di nuova terra, che corrisponde all’uomo nuovo ricreato in Cristo,
e gli è solidale nella redenzione come’
gli e stato solidale nella caduta.
Se manteniamo alTEvangelo il suo
carattere realistico e non Io vaporizziamo in uno spiritualismo disincarnato, se manteniamo alTEvangelo la sua
prospettiva universalistica e non lo riduciamo in limiti psicologici, comprendiamo che la redenzione ha da essere
totale: non è soltanto redenzione interiore, spirituale, è redenzione anche
del corpo dell’uomo ed è redenzione
anche delTambiente che era stato dato all uomo per aiutarlo a vivere. Ogni
cosa deve essere « liberata dalla sendtù della corruzione », dal pervertimento delie sue funzioni che Tha intaccata fino alle più intime strutture; ogni
cosa deve essere reintegrata nel fine
per cui era stata creata, nella libertà
di servire Dio e di conformarsi alTordine stabilito da Dio e allo scopo di
vita di ogni cosa creata e di ogni creatura.
Questa redenzione totale, secondo la
testimonianza neo-testamentaria, è già
avvenuta in Cristo: ma non è ancora
manifestata in tutte le sue conseguenze. Come sotto il peccatore che crede,
vive il giusto e come Dio toglierà il
peccato e farà apparire la giustizia,
così sotto la vita pervertita e tormentata della natura caduta nel disordine
e iiella vanità vive la natura liberata
e riscattata e così Dio nella natura toglierà la costrizione e farà apparire la
libertà.
Nella fede di Cristo noi non possiamo limitarci ad avere una conoscenza
fenomenica della natura, quale quella
che possono suggerirci l’osservazione
estetica delle cose e le nostre reazioni sentirnentali nei confronti del mondo esteriore o quale quella che possono fornirci le scienze naturalistiche in
vista dello sfruttamento tecnico-utilitario delle risorse della natura. Cristo,
fondamento oggettivo della redenzione
che abbiamo in comune con la natura,
è anche il fondamento della conoscenza che abbiamo della natura: conoscenza della caduta della natura e conoscenza della redenzione della natura.
QuelTEvangelo che c’insegna ad amare e a comprendere il prossimo che
con noi pecca e che con noi soffre del
suo peccato, ci insegna pure — e noi
troppo trascuriamo questo suo insegnamento — ad amare e a comprendere la natura, ad avere simpatia per la
natura, a sentirla vicina a noi e solidale con le realta ultime della nostra
fede. L’Evangelo ci dà un nuovo senso
della natura, per cui la guardiamo con
sguardo diverso e non possiamo più
considerarla come uno scenario che
colpisce i nostri organi visivi e che resta estraneo a noi e staccato da noi,
statico, immutabile. L’Evangelo ci rende capaci di considerare la natura, la
natura fatta del bestiame, delle stelle,
delle montagne, delle piante, delle acque, dei fiumi e dei laghi, dei fiori, dei
boschi, dal punto di vista del perdono,
della misericordia, della riconciliazione, della redenzione e della speranza
della redenzione, della sapienza, della
bontà, della gloria di Dio. La prospettiva pensosa della fede che ha assunto
Cristo a norma anche della propria
coscienza della natura, permette allora di comprendere che il segreto di
ogni vita che palpita nell’universo sotto il sole, è la tensione di speranza
verso il giorno di Cristo.
Vittorio Subilia
2
N. 24 — 12 giugno 1970
= IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
Far sentire che la Bibbia è un libro contemporaneo
Frutto dell’intenso lavoro di un folto gruppo di esegeti e di letterati anglicani, battisti, congregazionalisti. metodisti, quaccheri e presbiteriani, la New English Bible. giunta ora a compimento, unisce
felicemente un marcato fine missionario e un rigore scientifico di prim’ordine: un esempio per tutti
Verso
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Quando, nel 1946, l’Assemtolea Generale (cioè il Sinodo) della Chiesa Presbiteriana di Scozia, sollecitata dalla base, delegava una commissione perché
Si incontrasse con rappresentanti degli Anglicani, dei Metodisti, dei Battisti
e dei Congregazionalisti per studiare
la possibilità di una revisione o di una
nuova traduzione della Bibbia, non pensava probabilmente che l’opera avrebbe visto la luce solo 24 anni dopo. Eppure il proposito che le chiese protestanti e anglicane avevano in mente
era grandioso: si trattava infatti di
produrre una Bibbia non per sostituirla, nell’uso corrente, a quella in uso
fino dal 1611 (la cosiddetta «Versione
Autorizzata », chiamata anche « del Re
Giacomo »), né per il culto né per la lettura privata dei credenti. La nuova traduzione doveva essere fatta per quella
parte (numericamente non scarsa, purtroppo!) della popolazione che non è
più in relazione con la chiesa, in nessuna delle sue denominazioni; gente
per la quale il linguaggio tradizionale,
arcaico, della Bibbia del 1611 suona irreale, trasportandola in un mondo che
è morto e sepolto da più di un secolo,
col rischio di far apparire la fede e la
vita cristiana come qualcosa che è fuori
della realtà concreta del mondo di oggi. Infatti, cos’altro c’è che si esprima,
al giorno d’oggi, nel linguaggio e con la
mentalità di tre secoli fa? Le fiabe di
La Fontaine, forse... Se la Bibbia deve
servire agli uomini d’oggi, bisogna che
questi la sentano come qualcosa di vivo, che tratta di problemi vivi e attuali; i giovani devono sentire la Bibbia come un libro « contemporaneo ».
Compito del traduttore è distruggere le
barriere che il linguaggio della traduzione rischia di mettere fra il messaggio della Bibbia e l’uomo di oggi.
Nell’incontro fra i rappresentanti delle varie chiese l’accordo si fece immediatamente su un punto fondamentale:
non si poteva pensare neppure un istante a fare una « Riveduta » della Bibbia
del 1611: bisognava invece affrontare
il problema alla radice con una traduzione fatta direttamente sugli originali.
Vennero formati quattro gruppi di lavoro: uno per l’Antico Testamento, uno
per il Nuovo Testamento, uno per gli
Apocrifi delTAntico Testamento, e un
quarto di letterati per la revisione dei
testi dal punto di vista stilistico.
Il lavoro di traduzione degli Apocrifi
si spiega per il rispetto che una parte
della tradizione anglicana ha per questa sezione della letteratura del giudaismo post-esilico: comunque la Bibbia sarebbe uscita in due edizioni, una
con gli apocrifi e l’altra senza (come di
fatto è avvenuto).
Ogni gruppo di lavoro riparti i vari
libri fra i suoi membri e anche fra
altri collaboratori e poi li rivide collegialmente prima di passarli ai letterati.
Questi rivedevano versetto per versetto
il primo elaborato e cercavano non solo
di renderlo chiaro e scorrevole, ma anche di eliminare ogni residuo di linguaggio non appropriato ai singoli generi letterari che si trovano nella Bibbia. Finalmente, il testo tornava al
gruppo che l’aveva prodotto, cioè agli
esegeti, che si accertavano che corrispondesse esattamente al senso deU’originale. L’ideale che i quattro gruppi di
lavoro si erano proposto era infatti che
al significato di ogni espressione e di
ogni frase deH’originale (ebraico o greco) corrispondesse un identico significato dell’espressione o frase usata per
tradurlo in inglese — senza tentare Tirapossibile impresa di rendere ogni singola parola dell’ebraico o del greco con
un equivalente inglese, impresa che oltre a non essere sempre materialmente
possibile ha molto spesso come risultato di travisare il vero significato o di
produrre un testo incomprensibile.
Il Nuovo Testamento fu pubblicato
nel 1961; l’Antico Testamento e i suoi
apocrifi sono apparsi nella Bibbia intera il 15 marzo di quest’anno. L’Antico
Testamento occupa 1164 pagine, gli apocrifi 275, c il Nuovo Testamento .336.
La numerazione ricomincia ogni volta
da 1, per permettere di avere senza difficoltà l’edizione senza apocrifi, e quella
del solo Nuovo Testamento.
Il volume è stampato a riga intera,
non a due colonne; le sezioni poetiche
sono stampale in forma strofica, come
nelle edizioni più pregevoli della nostra
« Riveduta ».
Sarebbe interessante esaminare qua
e là il modo in cui sono state tradotte
le pagine più note della Bibbia. Ma chi
può apprezzare veramente lo sforzo che
è stato fatto, e il suo valore dal punto
di vista della comprensibilità o dello
stile, è solo chi può permettersi di leggerle in inglese. Tentare di ritradurle
in italiano ri.schia di dare un’impressione completamente falsa delle cose. Vorrei tuttavia tentare di presentare, in
italiano, l’inizio dell’epistola ai Romani,
seguendo fedelmente le espressioni usate dalla New English Bihle.
« Da Paolo, servo di Gesù Cristo,
apostolo per vocazione di Dio, messo
a parte per il servizio dell'Evangelo.
Questo vangelo Dio l'annunzio in
anticipo nelle sacre scritture mediante i suoi profeti. Riguarda il suo
Figliuolo: sul piano umano è nato
dalla famiglia di Davide, ma sul piano dello spirito — lo Spirito Santo
— è stato dichiarato Figlio di Dio da
un atto rìQtente, dal fatto che risuscitò dai morti-, si tratta di Gesù
Cristo, nostro Signore. Per mezzo di
lui ho avuto il privilegio d’un incarico nel suo nome-, di guidare alla
fede e all’ubbidienza persone di ogni
nazione, e fra di esse anche voi, voi
che avete udito la chiamata e appartenete a Gesù Cristo.
Mando saluti a tutti voi a Roma,
voi che Dio ama e che ha chiamati
ad essere il popolo a Lui consacrato.
Grazia e pace a voi da Dio nostro
Padre e dal Signore Gesù Cristo ».
Una delle differenze più caratteristiche rispetto alle Bibbie tradizionali è
stato Taver molto ridotto l’uso dei pronomi e delle forme verbali di seconda
persona singolare, che gli inglesi usano per rivolgere la parola a Dio. Nella
nuova Bibbia il pronome thou è rimasto solo nelle parole rivolte a Dio (p.
es. nei Salmi che si rivolgono all’Eterno, o nella preghiera di Gesù in Giov.
17) ma non nelle conversazioni ordinarie (p. es. nei dialoghi fra Gesù e gli
infermi da lui guariti, fra Gesù e Nicodemo e così via).
Se dobbiamo dare una valutazione
complessiva della nuova Bibbia inglese,
possiamo dire che essa unisce felicemente un fine missionario (rendere la
Bibbia leggibile alle persone che sono
diventate estranee alla chiesa) e un rigore scientifico di prim’ordine. Le soluzioni adottate al fine della comprensibilità sono sempre fondate su una solida esegesi dei testi originali. Certo,
non si vuol dire con questo che essa
sia Tultima parola in fatto di traduzioni della Bibbia: ogni opera stimola
sempre il sorgere di altre che la perfezionino; ma è certamente un esempio
dei grandi progressi che si possono fare
per portare la Parola di Dio all’uomo di
oggi in una lingua non troppo dissimile
da quella che egli parla nella sua vita
di tutti i giorni.
All’impresa, diretta per il Nuovo Testamento da C. H. Dodd e per l’Antico
Testamento da sir Godfrey Driver, hanno partecipato, oltre alle chiese menzionate sopra, anche la Società degli
Amici (cioè i quaccheri), la Società Biblica Scozzese e la Società Biblica Britannica e Forestiera. E’ dunque una
Bibbia « protestante », senza partecipazione cattolica. Ciò è dovuto senza dubbio all’epoca in cui è nato il progetto
(1946): la collaborazione fra cattolici e
protestanti nella traduzione e edizione
della Bibbia è un fenomeno post-conciliare, e i progetti di traduzione in collaborazione sono, al momento attuale, alcune centinaia. Tuttavia la rigorosa
obiettività scientifica della New English
Bible è Stata riconosciuta anche da parte cattolica, e molti la usano come strumento esegetico di prim’ordine anche
in quella confessione.
Noi possiamo ricevere dalla New
English Bible diversi insegnamenti:
a) un richiamo all’imperativo categorico della fede evangelica, di diffondere la Parola di Dio nella forma più
accessibile alTuomo di oggi;
b) un esempio di profonda serietà
scientifica (ventiquattro anni di lavoro
per tradurre la Bibbia!): la finalità pastorale e missionaria non rende superfluo il rigore esegetico;
c) infine, la prova ohe il proposito
di attualizzare il testo della Sacra Scrittura non comporta necessariamente la
adozione di un linguaggio volgare o privo di dignità letteraria. Certamente questa Bibbia rappresenterà per molti decenni un successo editoriale del protestantesimo di lingua inglese.
Bruno Corsani
/ lettori ricorderanno che abbiamo già pubblicato,
nei mesi scorsi, una serie di articoli preparatori alla
prossima Assemblea generale dell'Alleanza riformata
mondiale (Nairobi, agosto 1970). Il Dipartimento teologico dell’ARM ha diffuso, tramite il suo bollettino,
lo studio sul tema centrale — « Dio riconcilia e libera » — preparato dal prof. Jürgen Moltmann, docente
a Tubinga. Il testo dello studio è seguito da quattro interessanti commenti, richiesti dalla redazione del bollettino, di un teologo anglicano, cattolico-romano, luterano e ortodosso. Cominciando con questo numero, ci
proponiamo di pubblicare gradatamente le succose
pagine del Moltmann ed eventualmente parte dei commenti. Tenendosi =
in una zona del mondo attualmente meno “calda" del Brasile (ma tut- E
t’altro che quieta), l’Assemblea di Nairobi fa colare meno inchiostro e =
polarizza assai minore attenzione di quanto avviene per l’Assemblea Iute- =
rana di Porto Alegre; non è però una ragione per non pensare alla sca- =
denza che concerne più direttamente noi riformati, insieme ai congrega- E
zionalisti. =
Dio riconcilia e libera |
É stato il cristianesimo a dare i natali alla parola "riconci- |
liazione”. Il messaggio della riconciliazione del mondo con Dio =
per mezzo di Gesù Cristo (2 Corinzi 5: 18-21) è al centro della |
fede cristiana. Può quindi essere qualificato "cristiano" soltanto |
ciò che si dice, si fa, si soffre al servizio della riconciliazione nel §
mondo. =
Ma il cristianesimo ha abusato della parola "riconciliazio- |
ne”, l'ha tradita, sfigurata, trascinata nel fango. Falsi profeti par- |
lano di pace là dove non c’è pace. Si confonde spesso la riconci- |
liazione con una politica d’acquetamento. Si abusa della riconci- |
liazione per sfuggire ai conflitti. Si invitano i partiti in lotta a |
riconciliarsi, per restare personalmente neutrali e non essere co- =
stretti a prendere posizione. Chiediamo di "far la pace” con i |
nostri nemici, evitando così la dolorosa confessione della nostra =
colpa. Confondiamo l’amore con la tolleranza verso il male. La =
riconciliazione senza giustizia diventa un mantello che copre la |
nostra inazione. La riconciliazione si trasforma in un voto pio, |
in una pia intenzione. La parola "riconciliazione ” ha perso ogni =
valore, perché suona bene e non costa più nulla. |
Non possiamo purificare la parola “riconciliazione”, perché =
è utilizzata, e in modo abusivo, in tutte le lingue umane. Ma pos- |
siamo risollevarla dalla polvere e cercare di santificarla dandole |
un contenuto nuovo e cercando di metterla in pratica in modo =
nuovo. A tale scopo dobbiamo imparare ad acquistare uno sguar- |
do più critico di quanto non l’abbiamo avuto finora, per distin- §
guere fra la vera riconciliazione e le false riconciliazioni. =
Jürgen Moltmann =
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiinmiiiiiiii
Il (iiiiiiiimiiiiiiii
iiiiiiiMimiiimiMi
'iimiimiiiMiiiiiiiii
NOTE IN MARGINE A UN CENTENARIO
...e se ritornano “i papisti,,?
I nostri nonni li chiamavano « papisti », quei cattolico-romani, che tutta la
loro fede, la loro religiosità, assommavano in una sorta di culto del papa;
essi erano gli ultimi eredi di un’agra
tradizione protestante, viva particolarmente nei paesi anglosassoni. D’altra
parte, le generazioni seguenti hanno osservato — dal Pio IX del Vaticano I
a) Pio XII di fresca memoria — il trionfalismo pontificio passare sulla vecchia
chiesa latina con la forza di un ciclone
devastatore: alla definizione delTinfallibilità hanno fatto seguito la caccia alle
streghe (moderniste) e il livellamento
teologico; la centralizzazione burocratica s’è accompagnata alla demolizione
delle libertà locali; mentre uno parlava
per tutti, il popolo di Dio è stato strumentalizzato, senza che potesse esprimere nulTaltro che un devoto incondizionato assenso. Per i cattolico-romani
il papa è stato davvero « Sua Santità
di nostro Signore ».
Col Vaticano II si è aperta la prospettiva di un ’’ridimensionamento” del
papa. Mentre la riscoperta del sacerdozio universale, il principio della collegialità dei vescovi, la caratterizzazione
delle chiese locali, il riconoscimento
d un pluralismo teologico, ecc. aprivano
argomenti che in prospettiva concernevano il papalismo, d’altro canto si procedeva a una sorta di ’’destalinizzazione” ecclesiale: la polemica contro il
trionfalismo papale, la critica di una
chiesa ’’costantiniana”, la protesta contro i metodi di governo della Curia, ecc.
rientrano nel quadro di un severo giudizio del « cullo della persona » che
aveva invischiato l’umanità, umiliandola.
Ma dalTestate 1968 — con un ritmo
crescente e secondo una linea precisa
— papa Paolo VI ha imboccato decisamente la strada della restaurazione, su
tutta la gamma dei motivi; sembra che
sol un monarca as.soluto possa governare questa chiesa romana, c che ciò
.sia inevitabile sul terreno dottrinale
come su quello disciplinare. Il modello
di pontefice è Eugenio Pacelli, del quale
l’attuale papa è stato fedele collaboratore; un modello da riprodurre anche
in quelle tecniche di propaganda che
sembravano consumate dall’abuso.
La massa popolare non afferra i motivi teologici che sottostanno a certe
decisioni, spesso è indifferente di fronte
alla lotta per la libertà cristiana che
conducono esigui gruppi, però è sottoposta a una propaganda massiccia, che
si avvale della stretta collaborazione
dello Stato. La coreografia delle cerimonie reclamizzate, le manifestazioni
spontanee preordinate nei dettagli, i
viaggi ’’apostolici” a spese dell’erario
pubblico, la strumentalizzazione della
stampa, della radio-TV... sono cose che
cadono sotto gli occhi di tutti e lascia
no perplessi gli uni, scandalizzati gli
altri.
Non vediamo come sia possibile evitare la denuncia ferma e aperta di un
neo-papismo che si tenta addirittura
di far sopportare a noi protestanti, servendosi del tranquillante ecumenico.
“Roma papale,,
Queste considerazioni sono insorte
alla lettura di tre suci osi articoli dedicati da Giovanni Comi al nostro Luigi
De Sanctis, del quale ricorreva il centenario della morte (in «Voce Metodista », XX: 1. 2. 3). Sullo stesso periodico
Alfredo Sonelli ha scritto una pagina
meditata sulla « attualità di Luigi De
Sanctis ».
Chi sia questo L. De Sanctis forse
oggi pochi lo sanno, anche se abbastanza recente è lo studio biografico che il
prof. Valdo Vina-y gli ha dedicato con
la consueta perizia. Si tratta del maggiore polemista che abbia contato il
nostro protestantesimo delTQttocento:
articoli di giornale, apuscoli e soprattutto la diffusissim.'i sua Roma Papale, documentano una attività tutta
diretta allo smascheramento del cattolicesimo della Restaurazione.
Si tratta di un uomo e di situazioni
ben diverse delle contemporanee; basti
pensare, per esempio, che il De Sanctis
— sacerdote convertito, violentemente
osteggiato — insegnava alla Scuola
Teologica valdese come in una roccaforte, mentre oggi un professore della
stessa Facoltà Teologica dà un corso
in un seminario pontificio. L’ex-prete
combatteva un « papismo » che cono•sceva esattamente, e si serviva di argomentazioni spesso legate a latti contingenti, espressioni del dogma cattolico ormai oggi abbandonate dai cattolici .stessi. Il fatto che tante di quelle
po.si/.ioni contro le quali polemizzava il
De Sanctis siano state abbandonate,
conferma la validità dei suoi argomenti; però i suoi scritti oggi non fanno
certo più testo.
Resta però aperto il problema di fon
RICERCA m NOTIZIE
SU DON BRIZIO CASCIOLA
II prof. Ferdinaiulo Aronica, docente
di Teologia presso l’Istituto Salesiano
di Mes.sina, per una sua ricerca sulla
attività ecumenica di don Bri/.io Ca.sciola, sarebbe gratissimo a chi volesse
comunicargli notizie, lettere o altri documenti. Cbietle inoltre di essere aiutato nella raccolta che sta facendo di
riviste protestanti o d’ispirazione protestante. dal 1900 a oggi (Bilychnis, Rivista Cristiana, Protestantesimo, Fede
e Vita ecc.). Il suo indirizzo è: C. P.
256 - 98100 Messina.
do: e se tornano « i papisti », non è
necessario un ricorso alla polemica,
una nuova polemica col neo-papismo?
non occorre una nuova Roma papale? La domanda la gireremmo volentieri a quei fratelli che, per doni o predilezioni personali, hanno trovato nelT ecumenismo dei vertici ecclesiastici
l’ambiente adatto per esprimere le posizioni del protestantesimo italiano,
oggi. Ma tutti noi siamo obbligati a riflettere, a chiederci se di fronte al fatto
mas.S'iccio del neo-papismo si debba o
no prendere una posizione dichiaratamente polemica, a livello del popolo di
Dio.
Irenismo e polemica
La nostra generazione è stata addomesticata da un discorso che, in sé, non
fa una grinza: ■— Non si deve fare polemica, si è detto. La Parola di Dio polemizza da sé, basta proclamare la verità. — In effetti le comunità hanno
percepito piuttosto una implicita dinunzia a un confronto, un disarmo di
fronte a un cattolicesimo ufficiale non
meno eretizzante di prima. Qra noi diciamo il nostro dissenso, è vero, ma su
argomenti spesso di disimpegno pratici, e con un linguaggio raffinatamente
iniziatico. (Invece il papa che va a Ginevra ci sfida con bella chiarezza: « Io
sono Pietro » dice).
In fondo dobbiamo anche trovare
una occasione di testimonianza, in questa massiccia ripresa del « papismo »,
e vedere in quale misura un irenismo
veramente evangelico si incontri con la
denunzia della prevaricazione teologica
e pratica. Non si tratta di rispolverare
un qualsiasi vecchio « arsenale antipapale », ma di essere chiari col popolo,
con la gente semplice che troppo spe.sso tagliamo fuori dal discorso, deludiamo coi fumogeni di un argomento brillantemente elusivo. Insomma, nella carità diciamo il nostro « sì » ed anche il
nostro « no », percependo la responsabilità che abbiamo verso i .semplici, la
massa degli umili che è oggetto di propaganda, che è strumentalizzata senza
pietà.
Noi abbiamo la responsabilità di additare la prigionia dello Spirito Santo
nella istituzione ecclesiastica, di rifiutare apertamente il narcisismo di uomini e strutture in contemplazione di
se stesse e intente a salvare_ se stesse;
noi siamo costretti a stigmatizzare ogni
culto della persona umana, a smascherare la logica del trionfalismo, a indicare le conseguenze disastrose — sul
piano ecclesiale come su quello mondano — di questa massiccia ripresa delTintegrismo curiale. Paolo VI, come il
III e il IV, è un papa della Controriforma; ormai è chiaro.
Luigi Santini
Il programma
elettorale dì Gesù:
concretezza o utopia ?
Matteo 5: 1-12
Potete leggere “le beatitudini” come il programma, il manifesto elettorale di Gesù che
inizia la campagna elettorale
del Regno di Dio. Sono parole
che abbiamo letto insieme tante volte, che suonano profonde
nella coscienza evangelica, ’
pongono degli interrogativi
drammatici.
Si tratta forse di “belle parole”, di tutto un discorso campato in aria, inattuabile nel
mondo?
Abbiamo forse qui una sorta
di medicina utile a rendere più
sopportabili i mali della vita,
una presa di tranquillante o di
droga "religiosa”?
Senza esitazione rileviamo
che nessun libro al mondo abbiamo trovato di tale crudo
realismo come la Bibbia e che
l’avere ridotto la fede cristiana
a oppio dei popoli è stato il più
grave tradimento operato dalle
istituzioni ecclesiastiche.
Crediamo che Gesù ha voluto
parlarci con estrema concretezza, dicendoci il significato autentico del " ravvedimento ”
(Matteo 4: 17) al quale ci chiama. Ravvedersi è pensare in
modo nuovo, in modo diverso,
radicalmente diverso: le beatitudini esemplificano questo capovolgimento di valori proposto
dal Signore. È un fatto: Oggi
vi sono creature che piangono,
che lottano per la giustizia e
per la pace, che sono pei’seguitate; creature che sono umili,
mansuete, pacifiche, e nonostante tutto conoscono il primato
di queste scelte di vita. Per loro il Signore dice che seguendo
Lui, nella lotta per il Regno,
tutto questo ha una concreta
certezza di vittoria, è un realistico costruire una città nuova.
Le esperienze della vita civile,
non solo di quella personale, ci
confermano che la sola valida
novità rivoluzionaria la offre
Gesù.
L. S.
3
12 giugno 1970 — N. 24
pag. 3
In un momento particolarmente
« dillìcile » quale quello attuale, sia per
coloro che si dichiarano credenti, sia
per quanti, credenti o non credenti, ritengono necessario il cambiamento radicale di questa società, penso che sia
giusto chiedere il massimo sforzo di
chiarezza e di approfondimento ai fratelli che intendono indicare agli altri
delle linee di testimonianza e di azione politica. Poiché ritengo che il fratello Paolo Ricca sia concretamente
impegnato nella ricerca di queste linee, considero necessario inter\'enire
MARCO ROSTAN RISPONDE A PAOLO RICCA
Le classi e la fede
su quanto egli ha scritto nell'articolo
« Le classi e la fede » pubblicato sul
n. 22 (29-5-'70) del nostro settimanale.
Cercherò innanzi tutto di riassumere,
spero senza deformazioni, il pensiero
che Ricca espone nell’articolo.
Il problema: la vera divisione è qoeiia fra
credenti e increduii, o qoeiia di ciasse ?
1. Prendendo lo spunto da un versetto del libro degli Atti (e tutti quelli
che credevano erano insieme - Atti
2: 44) Ricca constata che oggi, pur auspicando l’unità, siamo divisi. Una delle principali divisioni è quella di classe, messa in evidenza da Marx. Tuttavia, si chiede Ricca, se la chiesa della
Pentecoste ha saputo superare neH’unità in Cristo le divisioni reali che erano presenti, allora come oggi, nella società, questo significa che non è vero
quanto allerma il sottoscritto (esprimendo una convinzione non solo personale), che cioè la vera divisione non
è quella tra credenti e non credenti,
ma quella in classi. La mia affermazione è in netto contrasto con il Nuovo Testamento, per il quale c'è unità
di fede e non di classe, e una divisione tra credenti e non credenti prima
die in classi. In realtà, prosegue Ricca,
è proprio l'unità in Cristo che scardina la divisione in classi; ciò che tuttavia va detto con altrettanta forza è
che la chiesa, nel suo comportamento
storico, non ha vissuto tale unità e
non ha quindi reso credibile il suo annunzio; spesso anzi ha strumentalizzato tale unità per nascondere la divisione di classe. Suo compito era invece quello di farla saltare. Concludendo Ricca alferma che l’infedeltà della
chiesa non deve creare una sorta di
sfiducia verso l’evangelo, che sarebbe
mortale per la fede. Pur essendo immersi in una società classista — oggi
come venti secoli fa — dobbiamo invece sforzarci, con l’aiuto dello Spirito, di rivivere l'unità in Cristo e la solidarietà fra credenti, realtà che restano decisive e fondamentali per qualsiasi altro discorso o comportamento.
Iln'argomentazione
idealistica e non storica ha
come conseguenza appelli
moralistici
2. Una prima osservazione, di carattere generale, che ritengo di dover fare
a questo modo di argomentare è che
esso è fondamentalmente idealistico e
non storico. Lo schema è questo (è
quello di mille sermoni, ma anche di
mille discorsi che vorrebbero esser politici e concreti): si parte da un versetto, spesso isolato dal contesto del
libro e a maggior ragione dal contesto
storico; si passa ad alcune constatazioni sulla situazione del mondo o della chiesa oggi; si osserva che molti
problemi « attuali » erano già presenti
al tempo di Gesù o delle comunità primitive, e si dice che erano sostanzialmente simili; tornando al versetto si
nota come, tuttavia, i credenti di allora fossero fedeli a Gesù Cristo e vivessero una vera fede in parole e atti;
poi si osserva, per contrasto, come la
chiesa successiva fino a noi abbia perso tale fede adeguandosi al mondo e
si dice che il compito della chiesa era
quello di fare ciò che non ha fatto; infine si conclude che la chiesa può sbagliare ma la bibbia no, e che perciò si
tratta di rivivere, nelle condizioni di
oggi, l’autenticità della fede dei discepoli o dei primi cristiani (o dei riformatori) che ci vien descritta nella
bibbia.
Dico che è idealistico perché il presupposto è che ci siano delle idee, nella bibbia o non nella bibbia, che hanno un valore perenne (ad es. l’idea dell’unità, l’idea della divisione) e che
possono essere riproposte in modo
uguale a distanza di secoli per trasformare la realtà; dico che non è storico
perché non si possono isolare le idee
dai contesti che le hanno espresse, e
non si può isolare la bibbia dal modo
in cui essa è stata scritta, letta, interpretata nei vari secoli dalla chiesa o
fuori dalla chiesa.
Naturalmente sarebbe del tutto accademico tacciare un discorso di idealismo per puro gusto di critica letteraria; il fatto è invece che proprio
perché molti dei nostri discorsi sono
idealistici, le indicazioni che ofi'riamo
ai fratelli sono sbagliate o quanto meno sono appelli moralistici o volontaristici: quindi non portano le conseguenze che ci aspettavamo. Per moralismo intendo il voler risolvere un problema senza analizzarlo, volerlo chiudere quando esso rimane un problema
aperto; per volontarismo intendo l’esporre alla gente delle idee, o delle situazioni ideali, e pretendere che essa
vi si adegui senza prendersi la pesante responsabilità di indicare in che
modo, con quali mezzi, attraverso qua
li strade è possibile, perlomeno, cambiare la situazione presente.
3. Nel caso dell’articolo di Ricca mi
sembra che il problema che si vuol risolvere in modo affrettato e senza analisi sia la presenza, tra gli uomini, di
molte divisioni e principalmente di
quella di classe e, d’altro canto, il richiamo, contenuto nel Nuovo Testamento, all'unità fra coloro che credono. La prospettiva che si indica alla
chiesa è, da un lato, la concreta realizzazione di una solidarietà fra i credenti, uniti in Cristo al di là delle divisioni di classe; dall’altro la necessità
che tale unità faccia saltare, intanto
nella chiesa, ma penso che Ricca intenda anche fuori, la divisione tra gli
uomini.
In società a regime diverso
e in epoche diverse varia il
tipo di divisione
4. Veniamo al primo problema. Parlare di divisione nei termini dell’articolo di Ricca (« tra le innumerevoli divisioni che lacerano in tutte le direzioni il corpo deU'umanità odierna, una
una delle più profonde è (...) la divisione di classe ») mi sembra improprio. Innanzi tutto perché non esiste
l’umanità, ma esistono società diverse,
diversi sistemi o regimi, più o meno
in aperto conflitto tra loro, in secondo
luogo perché — proprio per questo —■
le divisioni intanto variano a seconda
che si verificano in una società capitalista o in una socialista, per esempio,
ma soprattutto variano nel tempo e
non solo come importanza, ma come
caratteristiche costitutive. Si tratta di
una precisazione importante, perché
dal modo in cui individuiamo tali divisioni, e le loro cause, dipende anche
la possibilità o meno del loro superamento: non si può quindi affermare
che la divisione di classe sia vecchia
come l’uomo e che sia uguale oggi come al tempo di Gesù. Facciamo un
esempio; se al tempo di Gesù il fatto
puro e semplice che uno schiavo e il
suo padrone stessero insieme a tavola
costituiva, di per sé, un superamento
della divisione di classe esistente nel
primo secolo, quindi un atto estremamente rivoluzionario per la società del
tempo, oggi il fatto che un industriale,
un tecnico specializzato e un operaio
generico stiano seduti sullo stesso banco è una cosa assolutamente normale.
Perché? Mi pare che il motivo sia uno
solo: cioè che la divisione della società schiavistica o feudale è compietamente diversa da quella della società
capitalistica, in cui lo stare insieme di
uomini appartenenti a classi diverse
non costituisce certo un gesto rivoluzionario. Se no a quest’ora avrebbero
già chiuso gli stadi e abolito le urne
elettorali, che — come si sa — sanciscono l’eguaglianza di tutti i cittadini.
Se allora intendiamo identificare nella divisione di classe — e questa era
probabilmente l'intenzione di Ricca —
la manifestazione attuale del peccato,
cioè della disobbedienza degli uomini
a Dio, questo peccato va chiaramente
identificato se non vogliamo che la lotta contro Satana sia una battaglia contro i mulini a vento. Marx ci ha spiegato perché, di tutte le divisioni, quella fondamentale sia quella che separa
coloro che detengono i mezzi di produzione (i capitali e le macchine) e
quindi il potere, da coloro che hanno
soltanto la propria forza-lavoro da
vendere ai primi per campare. Ma dopo Marx, altre « pietre » hanno parlato
approfittando del silenzio dei discepoli,
per spiegare che questa divisione non
isola, una volta per tutte, da una parte la classe borghese e dall’altra il proletariato, facendo di questa situazione
un paradigma in base al quale sono
interpretabili, senza ulteriore sforzo di
analisi, tutte le società passate e future.
Per cui se resta vero che la divisione fondamentale tra gli uomini della
nostra società — per limitarci a quella
in cui viviamo — è una divisione di
classe e non di fede o di qualche altra
cosa, è vero che tale divisione non corre sempre lungo la stessa linea: anzi
va continuamente individuato chi sta
da una parte e chi dall’altra, al mutare delle condizioni storiche. Non solo:
ma poiché una società che si basa sul
dominio di una classe e sullo sfruttamento è costretta, per svilupparsi, ad
estendere questa forma a tutto il campo produttivo — quindi dalla scuola
alla fabbrica, all’organizzazione del
tempo libero, ai l 'assistenza — la divisione di classe non è affatto evidente
e lampante, ma tende a dissolversi in
una serie di piccole e minute differenze tra chi ha un po' più di potere e chi
un po' meno. Ira chi è specialista o
tecnico e chi no, tra chi guadagna
qualche lira in più all’ora e chi qualche lira in meno. Sarebbe utile per tutti rendersi conto di che cosa significa
esattamente e di come è penetrata in
noi, nei nostri pensieri, nella nostra
etica, nel nostro modo di educare i figli la divisione < .pitalistica del lavoro;
qui volevo limi; ¡rmi ad osservare che
quando si parla di società divisa e di
necessità di far saltare tale divisione
non ci si può scaricare della responsabilità di individuare tale divisione, di
spiegare e di analizzare i meccanismi
attraverso cui essa si manifesta. E poiché non c’è nessun rapporto immediato tra il riconoscere la divisione e il
farla saltare da parte di coloro che
sono attualmente sfruttati, non si può
evitare il discorso sul come la classe
operaia e i suoi alleati diventano effettivamente classe, sriluppando la coscienza di essere antagonista a tutto il
sistema, e quindi protagonista di una
rivoluzione che non emancipa solo gli
operai ma tutta la società; non si può
saltare il discorso sull’organizzazione
rivoluzionaria del proletariato se si vogliono evitare degli svarioni, come
quello di pensare che la chiesa possa
far saltare la divisione di classe.
5. Abbiamo visto come, nell'articolo
di Paolo Ricca, a questa divisione si
contrapponga, per lo meno nel I secolo, l’unità della chiesa della Pentecoste. Da questa considerazione nasce
poi l’affermazione centrale, secondo la
quale nel Nuovo Testamento si trova
una divisione degli uomini tra credenti
e non credenti, e tale divisione è fondamentale, mentre resta secondaria quella di classe. Sono d’accordo nel ritene
■iiiiiiiiiiiiiiiiiuiimiiiiiiiiiiii
'"iiiiiiiiitmiiiMiimimiimia iii
iiiimiiiiitimiiiiiiiiiiiimiiiiH
INVITO AD AGAPE
Scuola e società
Il campo cadetti estivo aflronterà la problematica suscitata
dal movimento studentesco, seguendone i metodi di analisi
Tradizionalmente i temi dei campi cadetti
-sono .suggeriti dai campisti stessi. Quest’anno,
si sareblte dovuto affrontare il tema Scienza e
fede, ma i cadetti presenti al campo cadetti
invernale hanno ritenuto più urgente affrontare il tema della scuola (che atl Agape è stato
dibattuto in un campo invernale del 1963 ma
mai in un campo cadetti), per cui il tema del
campo è stato cambialo anche se il programma generale era già stampato.
Nel corso del campo su Scuola e società non
intendiamo centrare la nostra attenzione sui
jìroblcmi interni della scuola (funzionamento,
programmi, progetti di riforma), anche se questi problemi saranno presenti ; il centro di interesse è costituito dal rapporto tra la scuola
con i suoi diversi livelli e gradi di istruzione,
e la società che accoglie e integra appunto a
livelli diversi.
Che la scuola fosse organizzata in funzione
della società e delle sue esigenze era cosa nota
anche prima dell’inizio del movimento studentesco. Ma è il movimento studentesco che ci
ha fornito i metodi di analisi riferiti alla .scuola. Intendiamo quindi servirci di questi metodi per analizzare alcuni aspetti della scuola,
soprattutto la funzione della scuola nella divisione .sociale del lavoro e l'autoritarisrao, nelle
sue diverse forme e gradazioni, come mezzo di
integrazione in un sistema di vita e in una
■società che su questa base è modellata.
Una parte importante avrà nel campo una
ricerca sui libri di testo condotta dai partecipanti per valutare criticamente l’impostazione degli studi in questo contesto. In tutto il
campo, del resto, una parte preponderante avrà
la ricerca e la partecipazione attiva dei cadetti, mentre saranno limitate al massimo le
« conferenz.e », anche se alcuni esperti seguiranno il campo mettendo a disposizione le loro
conoscenze e competenze.
Nel quadro del campo avremo come ogni
anno un programma biblico nella forma di
]>redicazioni serali seguite eventualmente da
discussione. Gite, giochi, serate organizzate
completeranno il programma di questo campo il cui risultato dipenderà — forse più che
per altri campi — dall’apporto vivo e attivo
che i partecipanti sapranno dare.
Il campo, che si svolgerà dal 26 giugno alril luglio, sarà diretto da Franco Giampiccoli. Paolo Ribet e un’équipe di collaboratori.
Informazioni e iscrizioni pre.s.so la Segreteria
di Agape, 10060 Frali (Torino),
(Inf/Agape)
re che la divisione di classe sia secondaria nel Nuovo Testamento per il
semplice fatto che non se ne parla; così come non ho dubbi sulla necessità
che la fede ci renda capaci di annunziare il nuovo mondo di Cristo e di viverne alcuni segni senza aspettare la
fine della divisione. Bisogna d’altra
parte rendersi conto che, proprio coloro che in definitiva hanno accettato la
società attuale e intendono solo ammodernarla, sono quelli che non si
stancano di ripetere che non si può
fare niente finché non si è cambiata
la società e abolita la divisione.
Non credo che il Nuovo
Testomento conosca una
divisione londamentale
ira credenti e increduli
Ma la questione di fondo è che non
credo che il N. T. conosca una divisione fondamentale e significante tra
credenti e increduli, e penso pertanto
che per noi, oggi, sia estremamente pericoloso farla diventare tale. Direi innanzi tutto che, proprio nel versetto
scelto da Ricca — « e tutti quelli che
credevano erano insieme » — non è
contenuta né l’unità dei credenti, né
la divisione tra loro e gli altri. Il versetto fa parte di uno di quei brani in
cui — come mi sembra spieghi molto
bene Sergio Rostagno in un suo studio
pubblicato su « Gioventù Evangelica »
n. 3/1969 — si rispecchia la nozione
delle origini della chiesa, come se la
figuravano i cristiani verso la fine del
I secolo, e in cui (vedi Atti 2; 42-47;
4: 32-35; 5: 12-16) si generalizzano in
forma sistematica alcune notizie particolari, quale quella che alcuni cristiani dessero i loro beni alla comunità.
Ora questa nozione di mettere in comune i beni — in seguito idealizzata e
interpretata come comunismo primitivo basato sull’amore — mi sembra
faccia un tutt’uno con lo « stare insieme » del versetto 44 che è immediatamente precedente.
In sostanza mi sembra che questo
brano del libro degli Atti non possa
esser interpretato come l’enunciazione
di un carattere costitutivo della comunità o della chiesa — l’unità nella
fede — contrapposto alla divisione di
coloro che « stanno fuori »; ci vedo
piuttosto il racconto di una testimonianza, non generale ma di alcuni, non
continuativa ma episodica, provocata
dalla predicazione dei discepoli e dalla presenza dello Spirito in certi gruppi di credenti del I secolo, i quali, ad
un certo momento, hanno scelto di essere insieme, cioè di vivere insieme, e
di mettere in comune i beni, assumendosi il rischio di credere che questa testimonianza costituisse un segno della
novità di Cristo per la società in cui
vivevano. Tutto questo non toglie che
la caratteristica fondamentale di questa società fosse resistenza dell’impero romano e della sua politica imperialistica, e che gli uomini si dividessero
di fatto in cittadini romani e cittadini
colonizzati, in padroni e schiavi.
Queste precisazioni dovrebbero servire ad eliminare l’idea — che per la
verità Ricca non esprime, ma che è
tuttavia diffusa — secondo la quale la
sovranità di Cristo che spezza le divisioni umane si manifesta là dove i credenti stanno insieme, cioè in definitiva
nella chiesa: e che dunque si tratta di
superare il peccato che è nel mondo
(la divisione) facendo sì che, progressivamente, la chiesa estenda il suo
campo d’azione sul mondo e lo modelli a sua immagine.
6. Credo che, quando nel Nuovo Testamento si parla di comunità o di
credenti che stanno insieme, o di chiesa, non si intenda mai fornire un modello organizzativo grazie al quale è
possibile superare o risolvere i problemi o le contraddizioni in cui si dibattono quelli che non credono.
Anzi si tende ad escludere in assoluto l’idea di un corpo « separato » che
costituirebbe il luogo privilegiato per
rincontro dei credenti con Dio: questo luogo è invece la realtà intesa nel
suo significato più completo e totale.
Non mi sembra quindi che ci dobbiamo riproporre un problema ecclesiologico, sul come e da chi è costituita la
chiesa, sui caratteri che la costituiscono e che la distinguono (o la dividono)
dal resto degli uomini, ma che il problema sia essenzialmente pratico. Il
proposito di stare insieme, da parte di
coloro che credono, ha senso soltanto
se dipende dalla vocazione di Dio. Ora,
nella vocazione, ciò che mi sembra essenziale è che essa manifesta al chiamato una realtà — l’amore di Dio in
Cristo — che è universale, è già, fin
d’ora, vera per tutti: che senso ha, allora, la distinzione — o la divisione di
cui parla Ricca — tra chiamati e non
chiamati, tra credenti e non credenti,
se l’amore di Dio, proprio in quanto è
vero per tutti, mette in primo piano il
rapporto orizzontale tra gli uomini? È
possibile vivere la propria vocazione
considerando gli altri come oggetto di
missione o di indottrinamento teologico? Credo che il comandamento di
amare il nostro prossimo come noi
stessi (cioè proprio negli stessi termini in cui vogliamo essere amati noi)
ci impedisca di fare questo; credo allora che Tunica possibilità sia quella
di vivere la nostra vocazione come se
la chiamata del Signore fosse ancora
davanti a noi, e non alle nostre spalle;
quindi non divisi, ma insieme a coloro
che ancora la ignorano, dalla loro stessa parte. Non divisione quindi tra credenti e increduli, ma rapporto tra uomini, dei quali alcuni possono già riconoscere, per grazia, la realtà nuova
di Cristo, e altri non sono ancora a
questo punto, pur vivendo oggettivamente già in questa nuova realtà, che
è per il mondo.
7. Spero di aver chiarito, almeno in
parte a causa della inevitabile superficialità, perché, insieme ad altri fratefli, sono tuttora convinto che gli uomini si dividano in classi e non tra
credenti e non credenti. Ricca ha poi
pienamente ragione quando accusa la
chiesa di aver vissuto in un quadro
religioso strumentalizzando l’unità in
Cristo per nascondere e quindi contribuire al mantenimento della divisione
di classe: ma, mi chiedo, era possibile ad una chiesa che si è considerata,
con il sostegno di alta teologia, un corpo separato dal mondo, che per secoli
ha considerato i non credenti oggetto
a volte di crociate e di guerre, a volte
di missione, a volte di assistenza e
solo recentemente anche di « dialogo »,
era possibile che una simile chiesa potesse fare diversamente? O la divisione di classe non era penetrata in essa,
nei suoi culti e nelle sue opere sociali, nel suo modo di leggere la bibbia
e di evangelizzare al punto che questa
chiesa non solo non era in grado di
denunciare la divisione di classe, ma
contribuiva a nasconderla raccontando alla gente che, purtroppo, il buon
Dio non aveva concesso a tutti le stesse possibilità per « riuscire »!
Non c’è quindi — caro Ricca — il
pericolo di una sfiducia nell’evangelo;
c’è invece il pericolo, per la chiesa e
per i cristiani, di un disprezzo e di
una sfiducia verso gli uomini, verso
quelli che sono diversi da noi, quelli
che non sono « del nostro giro ». Per
cui, credo, sia un segno di speranza il
fatto che in alcuni luoghi, in alcune
occasioni, alcuni credenti, singolarmente o come gruppo, siano in vari
modi all’opera contro la divisione tra
gli uomini, assieme ad altri che da
gran tempo si sono impegnati in questo compito anche senza riconoscere
come Signore colui che ci ha chiesto
di amare il prossimo come noi stessi.
Certo essi non faranno saltare l’attuale divisione di classe della società
capitalistica; questo lo faranno alcuni
milioni di proletari organizzati e guidati da un’avanguardia rivoluzionaria.
La speranza è data dal fatto che questi gruppi, lavorando nella prospettiva
di una simile organizzazione rivoluzionaria, riescano già fin d’ora a realizzare — in alcuni momenti — dei rapporti non più di divisione e di predominio, ma di amore e di uguaglianza. Per
i credenti che si trovano « da questa
parte » penso che si tratti di vivere
questi momenti nella prospettiva dell’agape di Cristo, cioè di qualcosa che
ci è dato per grazia e non per la nostra capacità, penso che si tratti, con
l’aiuto dello Spirito, di dirlo anche a
quelli che ancora non ci credono.
Marco Rostan
iimimiimiiimimmiiiimimitiMiiniiiii'
Esiste una
pedagogia evangeiica?
/segue da pag. 4)
portare una tensione interiore, qualcuno che
Sì aspettare, che comprende che l’uomo non
vive soltanto di cose materiali, che si astiene
dal giudicare a priori, che rimane calmo, che
mantiene la sua parola, qualcuno per cui gli
ideali hanno più valore di ogni altra cosa.
Il Cristianesimo e la Riforma sono stati
una contestazione, e noi che ci diciamo cristiani e riformati, dobbiamo continuamente lasciarci richiamare dalla Parola di Dio.
Nel terminare la sua interessante conferenza il prof. Dufour conclude che la pedagogia
evangelica esiste, ed è quella che muove i
suoi passi dietro l’esempio di Gesù Cristo, il
quale non ha mai respinto il dialogo, anzi in
molti casi l’ha soUecitato, vedi il suo colloquio con la Samaritana, con il Centurione,
ecc. Considerando la parabola del figliuol
prodigo, cerchiamo di imitare la misericordia
del Padre che non muove rimproveri, ma accoglie e perdona; noi rassomigliamo troppo
spesso al figlio maggiore della parabola che
guarda con disprezzo il fratello più giovane.
Verso i nostri giovani noi professori — dice
ancora l’oratore — dobbiamo dimostrare non
una debole compiacenza ma amore e fermezza, non intransigenza di principi, ma apertura; dobbiamo evitare sempre la repressione,
e chiedere la collaborazione degli studenti per
il compimento della nostra opera.
La conferenza è stata seguita da una breve
discussione a cui hanno preso parte i sigg.
prof. Armand-Hugon e prof. Roberto Eynard.
* * *
Durante la loro permanenza alle Valli, i
membri del Comitato bernese hanno visitato i
luoghi e i monumenti più .significativi vaidesi, da Sibaud, al Collegio dei Barbi, alla
Ghei.sa della Tana, a Chanforan ed hanno sostato al Museo e alla Biblioteca della Casa
Valdese.
La mattinata del sabato è stata dedicata alla
visita al Collegio, dove hanno a.s,sistito ad alcune lezioni, rendendosi in tal modo conto de
vita dell’attività deH’Istiluto da loro seguito
con tanto affetto e generosità. La lezione di religione ha visto raccolti gli studenti valdesi
del Ginna.sio Liceo, ai quali i pastori Blaser e
Dufour hanno rivolto significativi messaggi.
Salutiamo ancora questi cari amici, esprimendo a loro e ai fratelli del Bernese la profonda ricono.scenza del Collegio Valdese.
E. R.
4
pag. 4
N. 24 — 12 giugno 1970
Scuola Media: a che punto siamo?
Alcuni insegnanti e studenti rispondono (3)
ELENA BEIN - MARIELLA TAGLIERÒ
Troppi insegnanti considerano la scuola unicamente in prospettiva interna, senza comprendere il nesso scuola-società
13 Si può parlare di democrazia
nella scuola oggi?
2) Quali sono i poteri del preside?
3) Qual è il contributo degli insegnanti alla riforma della scuola?
4) Che cosa pensa che la società
si attenda dalla scuola?
1
La scuola, come istituzione funzionale al sistema sociale esistente, ne ripropone al suo interno la struttura gerarchico-piramidale, in cui tutte le decisioni sono prese dall’alto (ministro,
ispettori, provveditori, presidi) senza
che vi sia possibilità di controllo e di
intervento per chi sta in basso.
Gli allievi e le loro famiglie non hanno infatti nessuna possibilità di partecipare alle decisioni che riguardano la
scuola, cioè alla sua gestione.
La famiglia è sostanzialmente « fuori » della scuola: tutto si limita ad alcune conversazioni con i professori per
conoscere il rendimento dei figli.
Nel meccanismo decisionale il ruolo
giocato dagli insegnanti è ambivalente: essi sono al tempo stesso oggetto
della gestione burocratico - autoritaria
della scuola e soggetto di autoritari
MASSIMO SIBILIA
smo (che si manifesta ad esempio nella scelta dei contenuti, nelTuso selettivo del voto ecc.).
La mancanza oggettiva di potere decisionale agli insegnanti non si traduce
spesso in una presa di coscienza del
loro ruolo subalterno, ma diviene occasione di atteggiamento autoritario
nello spazio loro concesso, come tipico
compenso psicologico.
Per questo anche il tipo di rapporto
alTinterno della classe tra professore
ed alunni si ripropone come essenzialmente autoritario e antidemocratico:
il professore è « colui che decide », colui che siede in cattedra, spiega la lezione, interroga, giudica, mentre gli allievi non hanno alcuna possibilità di
partecipare in modo attivo e autonomo.
Per questo non si può parlare di democrazia nella scuola di oggi perché
una struttura democratica significa gestione di base del potere decisionale
anche nella scuola (allievi, famiglie.
professori insieme) e assetto democratico di rapporti alTinterno della classe,
significa configurare la classe come comunità di lavoro in cui professori e allievi collaborano e decidono insieme.
In tal modo l’insegnante abbandona
ogni ruolo autoritario e diviene semplice membro della comunità-classe e tra
gli allievi si instaurano rapporti di solidarietà e collaborazione in antitesi allo spirito egoistico-competitivo che caratterizza la scuola odierna.
Ci sono due modi possibili di intendere la « riforma della scuola ». Nel significato corrente si pone come esigenza di miglioramento e di aggiornamento dell’attuale sistema scolastico (es.
reclutamento più razionale degli insegnanti, sistemazione giuridica degli
stessi ecc.).
A questo livello certamente si può
La scuola, sovrastruttura del sistema esistente, non può fare altro che ricalcarne gii schemi autoritari e burocratici
Il discorso, a mio parere, deve prendere l’avvio da una considerazione di
carattere generale: noi assistiamo nella società nella quale viviamo ad una
organizzazione autoritaria ad ogni livello.
Nella fabbrica, ad esempio, il padrone comanda e l’operaio obbedisce, non
ha cioè alcun potere decisionale, è oggetto di sanzioni disciplinari; nello
stato, ogni decisione politica viene presa ad alto livello e spetta a pochi.
Si tratta dunque di una società
strutturata verticisticamente, burocraticamente, in cui viene soffocata ogni
possibile forma di vita democratica.
La scuola, sovrastruttura del sistema sociale esistente, non può fare altro che ricalcare fedelmente gli schemi autoritari e burocratici e propagandare l’ideologia, la mentalità, le
abitudini vigenti.
L’autoritarismo della scuola consiste
ad esempio nell’accentramento di ogni
potere di decisione sull’allievo, nelle
mani del professore; egli lo interroga,
valuta in quale misura ha appreso (il
più acriticamente possibile...) la lezione, gli dà un voto che, nella struttura
attuale della scuola, anche se rispecchia effettivamente e « scientificamente » la preparazione dello studente, si
rivela strumento di divisione, di frazionamento, di rivalità tra gli studenti
i quali fanno a gara a chi prende il voto migliore, sempre preoccupati di essere più bravi degli altri per « meritare » di più.
Vediamo come questa mentalità
competitiva, arrivistica, di escalation
personale sia alla base della nostra società nella quale domina il pensiero di
fare sempre di più e meglio per avere
vantaggi materiali (soldi, privilegi...),
naturalmente non tenendo conto che
così facendo si mette il piede sul collo
di qualcun altro.
Vi è poi un’altra forma di autoritarismo: il rapporto professori-studenti
è strutturato in modo che le decisioni
le prende il professore, da lui dipendono gli eventuali cambiamenti nei metodi didattici. I contenuti delle materie di studio sono scelti ed imposti
dall’alto, senza interpellare chi è l’oggetto dell’insegnamento e i eontenuti
sono del tutto alienanti dalla realtà
che lo studente vive (classico l’esempio del greco e del latino).
Sottoposto a tutti questi meccanismi autoritari, lo studente sarà il futuro cittadino obbediente e sottomesso alle leggi, che non oserà mettere in
discussione la struttura autoritaria
della società, dato che a scuola è sempre stato abituato ad obbedire.
Quindi non si può parlare di democrazia (cioè di potere decisionale spettante a tutti), infatti la demoerazia
non consiste nel discutere, ad esempio, di qualsiasi argomento, nel lasciare esprimere allo studente il suo Pensiero senza reprimerlo, quando le decisioni sono, di fatto, prese dall alto.
La figura del preside fa venire in
mente quella del caporale; comanda,
di fatto, sui professori, ha il potere
maggiore nelle decisioni dei consigli
dei professori, comanda sugli allievi
(scavalcando gli insegnanti), ha la funzione di dirigere la vita scolastica, e
dal lato amministrativo e da quello
disciplinare.
E qui si apre il grosso discorso: il
preside ha il compito di assicurare il
perfetto funzionamento dell’attività
scolastica cioè le lezioni che devono
svolgersi regolarmente, gli studenti
che devono comportarsi bene, non
permettersi di contestare le materie, i
professori, la scuola. La sua è dunque
una funzione repressiva, di controllo,
che si è rivelata tale allo scoppio della contestazione studentesca, quando
ha chiamato la polizia per scacciare
dalla scuola chi Taveva messa in discussione.
Egli è il garante di fronte alle autorità superiori (Provveditori, Ministro
della P. I.) del buon funzionamento
della scuola. Anch’egli quindi vincolato, come i professori, ad un sistema
autoritario e di vertice.
Attualmente gli insegnanti non hanno dimostrato chiarezza di vedute nelle loro agitazioni. Le loro lotte sono
state e sono inserite nel quadro di rivendicazioni puramente « sindacali »,
corporative (di categoria), economiche
(riassetto delle carriere, miglioramenti
salariali) ma non hanno per niente carattere « politico », non investono per
nulla cioè i problemi alla base della
scuola.
Le loro rivendicazioni non riguardano, se non di sfuggita e a parole, il
problema pedagogico, delTinsegnamen
....................
miiiiiximHniMiiiiiMiiiMMiimiiiiiiiiiimi
to, del carattere classista e selettivo
della scuola. E questo perché non si
è costituito nessun movimento autonomo di massa degli insegnanti con carattere ed incidenza politica, al di fuori delle organizzazioni tradizionali
(sindacati). Le riforme della scuola,
vagheggiate e indicate nelle loro rivendicazioni, non superano il carattere
appunto di « riforma », cioè di cambiamento alTinterno di una struttura di
determinate contraddizioni che non
vengono superate, ma solo razionalizzate.
La gente, il popolo, chi, soprattutto
dalla scuola è stato escluso, vede in
essa la sola possibilità di salvezza, di
« sistemazione », di raggiungimento di
traguardi ambiti. E quindi vi manda i
figli soportando sacrifici economici
non indifferenti perché ottengano il diploma, la laurea, abbiano un lavoro
redditizio e « di prestigio » che gli permetta di affiggere alla porta la targhetta « Dott., Prof. ».
Questo, in effetti si verifica solo per
una parte di studenti, quelli che seguono l’indirizzo « classico », infatti gli altri indirizzi scolastici non fanno altro
che rispecchiare la divisione sociale
del lavoro (dirigente, tecnico, impiegato, operaio) cioè la divisione tra lavoro manuale e intellettuale. Queste aspirazioni (che sono legittime ma solo in
una società giusta) sono strumentahz
zate per perpetuare le divisioni sociali tra chi ha e chi non ha, tra chi comanda c chi obbedisce.
Massimo Sibilia
immmimimiiiiiiitmiiiiiimiiiiiimiiiii
mimiiiitimtiimiMMMiiliimtiiimiiiiiiMiimiimiiiiiiiniimimi
iiiiMmiiiiiiiiiiiuiiinuiiiiitiimiiiiiiimiiiiMiiiimmiuimmiinmiiMiimiiiiiiiimHiiiiiiiimiiiiiimitmiiimuiiiiimiiiiiimiiiiiimiiiitiiiiii
'iiiMimiiiiimiiiiiiiiiiiiii
Esiste una pedagogia evangeiica?
?
Questo è il titolo della conferenza che ha
avuto luogo nella Foresteria di Torre Pellice
sabato sera .30 maggio. L'oratore è il prof,
past. Dufour direttore <lel Collège Protestant
La Châtaigneraie che ospita numerosi allievi;
il prof, c venuto per tre giorni a Torre Pollice,
invitato dal Comitato del Collegio Valde.se,
con una équipe guidata dal pastore Blaser e
costituita dai signori, membri del Comitato
Bernese: pastori Liithi. Aeschimann e von
Weisscniluh per inendere contatto con i professori fiel Collegio, rendersi conto personalmente dei problemi del nostro istituto, e per
visitare le Valli.
Il prof. Dufour esordisce con alcune citazioni tratte da libri che sono stati pubblicati in
quest’ultimo decennio in varie nazioni (Olanda. Francia, Svizzera) intorno alla contestazione della gioventù moderna : « contestazione
e gioventù del giorno d’oggi »; « evangelo e
rivoluzione »; « sociologia e contestazione »;
« Tuniver.so contestatario ».
L’oratore espone la tesi che la sconvolgente
scalata alla violenza, il bisogno di distruzione
che si verifica nel nostro tempo sono dovuti
al fatto che attualmente non vi è una grande
guerra : il forte aumento demografico porterebbe alla guerra, ma la paura delle bombe
atomiche trattiene per il momento i popoli
da! farla; perciò l'aggressività che non si
esprime attualmente con la guerra, si e.sprime
con la violenza e la furia devastatrice dei
contestatori.
Un secondo motivo dello scatenarsi delTaggressività è la scomparsa deU’autorità paterna :
affermare che gli insegnanti si dimostrano sensibili a tale tipo di riforma
(lo dimostrano Taccordo unanime raggiunto dai sindacati della scuola e l’adesione maggioritaria degli insegnanti
stessi agli attuali scioperi).
Ma vi è un modo alternativo di concepire la riforma della scuola, come
proposta di una scuola diversa, autenticamente democratica nel significato
prima chiarito, il che implicherebbe un
mutamento radicale delTattuale sistema scolastico in rapporto inscindibile
con il più generale mutamento del sistema sociale. Ma questo tipo di impegno non trova rispondenza nella maggior parte desìi insegnanti che rivelano
scarsa preparazione politica, incapacità di dar vita a una organizzazione che
non sia quella burocratico-esterna del
sindacato; coscienza solo corporativa
e rivendicativa di fronte ai problemi
della scuola, visti sempre solo da una
prospettiva interna senza comprendere
il nesso scuola-società.
La scuola è parte integrante di ogni
sistema sociale e ogni sistema sociale
tende inevitabilmente alla propria conservazione. Qual è il ruolo richiesto alTistituzione-scuola in questo processo
di conservazione?
Alla scuola spetta il compito di trasmettere i valori, i comportamenti, i
modelli culturali tipici della società
esistente (es.; competitività, egoismo,
arrivismo ecc.) al fine di formare individui perfettamente « integrati », che
si adatteranno cioè in modo acritico e
consenziente alla status quo.
Per questo nella scuola si evita di
affrontare i problemi della realtà attuale: l’ingiustizia che caratterizza i
rapporti tra ’i uomini, le contraddizioni della società in cui viviamo (es.:
la geografia è insegnata solo in modo
descrittivo, senza spiegare il perché dei
fenomeni sociali e politici).
Al contrario la scuola dovrebbe aiutare a prendere coscienza della realtà
sociale che ci circonda, affinché ognuno
capisca che il suo compito sarà quello
di adoperarsi a cambiare il mondo, a
renderlo più giusto. In tal modo la cultura cesserebbe di essere conservazione
di ciò che è, ner diventare presa di coscienza e anticipazione di ciò che dovrebbe essere.
Elena Bein - Mariella Taglierò
le Chiese e la crisi dell’educazione
Bergen (soepi) - Benché nei paesi in via dì
sviluppo si sia registrato, neirultimo decennio, un netto aumento delle spese per l’insegnamento e delle iscrizioni scolastiche, il numero di analfabeti cresce ogni anno ed è oggi
di oltre 800 milioni.
Il problema drammatico, che preoccupa
pure rUNESCO (la quale ha lanciato per il
1970 l'Anno internazionale deH'educazione), è
stato affrontato da 29 specialisti dell’educazione, riuniti ultimamente nel Centro ecumenico
dì Bergen, nei pressi dì Amsterdam. Gli intervenuti hanno fra l’altro pregato con insistenza
ii CEC e le Chiese-membro dì pronunciarsi
nettamente contro il razzismo in campo educativo e di operare in vista della democratizzazione deirinsegnamento.
tlIlllllllIIIIIIIMIIIKII'
•(I)
coni
I due
in una società dimezzata
la sicurezza sociale ha preso il posto della figura del padre, i legami aiTettivi .sono mollo
diminuiti, i figli si ribellano contro qualsiasi
tipo di jraternalismo. II <*onflitlo familiare genera odio, il conflitto affettivo da luogo all'angoscia. i vizi aumentano.
Un terzo motivo della contestazione è dato
dalla nostra società triqq«' utilitaria, e dal
fatto che troppi adulti hanno un comportamento infantile.
Nella nostra qualità di cristiani tocca a noi
avere un atteggiamento di apertura e di comprensione : la fede ei deve stimolare ad accettare di miHlificare le strutture nella chiesa e
nella scuola. I giovani hanno qualche cosa da
dire a <la dare nelTambiente della scuola: sia
nel Collegio Cévénol del Chambón, sia nella
Scuola internazionale di Ginevra .sono stati
formati Comitati di allievi, nei quali tutti
sono rappre.sentati. ed è stata fatta l’esperienza che è possibile in tal mtalo un clima di collaborazione tra professori e studenti, che prende il posto della contestazione, con notevole
vantaggio comune. Questi Comitati di studenti hanno aiutato a risolvere alcuni problemi. anche as.sai difficili.
Il prof. Dufour. continuando il suo discorso, afferma che è pos.sibile educare nella libertà
c per la libertà, in vista della democrazia. È
neces.sario perciò da parte dell insegnante essere .sempre pronto ed aperto al dialogo costante, onde evitare la paura e 1 odio. L’insegnante deve dimostrare di essere un vero
adulto, vale a dire : qualcuno che sa sop(continua a pag. 3)
L’intervento del signor Cazzola sul
problema della scuola nel numero dèlT« Eco-Luce » del 29 maggio 1970 è uno
degli ormai numerosi documenti della
alienazione marxista che domina un
certo settore dell’evangelismo italiano.
In tale prospettiva la contrapposizione manichea di due sole classi (borghesia e proletariato) è dogmaticamente
assunta come l’unico fondamento della
società in cui viviamo e come l’unico
metro di giudizio su tutto quello che
succede.
Da essa deriva quella enorme semplificazione e quella monotonia di giudizi
che ritroviamo in tutti gli iscritti di
quella tendenza, tanto uguali e « intercambiabili » tra loro ebe la loro così
vasta letteratura potrebbe essere condensata in poche paginette.
Il pluralismo dinamico della società
moderna, che neppure lo stato totalitario sovietico uscito dalla rivoluzione
d’ottobre è riuscito ad eliminare totalmente dalla società russa, nonostante
le purghe .staliniane che hanno fatto da
10 a 15 milioni di vittime, è naturalmente bollato come fenomeno borghese; il suo studio come espressione e
frutto di quella abominevole « scienza
borghese » che è la sociologia; il suo
risorgere nelle società comuniste come
ritorno alla società borghese; di qui
la comoda giustificazione sovietica ufficiale della dura repressione cecoslovacca!
11 chiliasmo rivoluzionario (pre-rivoluz.ionario d’ottobre) che ispira questa
tendenza, renutando .solo abnormi e
non pertinenti al sistema le aberrazioni staliniane e post-staliniane, non può
che predicare l’apocalissi della rivoluzione, come vortatrice di un rinnovamento assoluto delTuomo per decreto
di stato, cioè di un nuovo costantinianesimo non migliore deU’antico. Non a
^ Nel Nuovo Testamento il termine greco
aion (eone) — che traduciamo « secolo »,
« mondo », talvolta « economia » — esprime
la grande contrapposizione fra il mondo attuale, il presente secolo, l'umanità e il cosmo
nella loro attuale situazione « carnale » e
perduta, da una parte, e dall altra il secolo
avvenire, il regno di Dio, i nuovi cieli e la
nuova terra. Si tratta di una contrapposizione
cronologica e qualitativa assoluta, anche se
la fede cristiana crede che con la venuta di
Gesù Cristo e con la presenza dello Spirito
Santo — TEvangelo — le forze del mondo avvenire hanno incrinato in modo irreparabile
la ferrea compagine del mondo vecchio, che
tale resta in tutti i suoi « rinnovamenti » pur
rivoluzionari. t'ed.
caso alcuni anni fa ci è stato proposto
da uno dei nostri pastori « rivoluzionari », in una assemblea di chiesa, di utilizzare, ai fini della nostra predicazione
in Italia, l’eqLtazione; rivoluzione = redenzione!
Nella prospettiva di un ottimismo antropologico dicotomico per cui, come
nel « Visconte dimezzato » di Italo Calvino, il bene è tutto da una parte e il
male tutto dall’altra, il proletariato a.ssume la funzione vicaria di Gesù Cristo in terra, nuovo papa collettivo (con
le inevitabili deleghe ai capi carismatici) di una nuova ortodossia: quella
marxista.
Dopodiché tutto diventa di una semplicità e di una evidenza veramente
« totali », senza possibilità di incertezze critiche o di dubbi sistematici: ciò
che appartiene al « vecchio » eone *
(borghese) è perdutamente vecchio e
falso; ciò che appartiene al « nuovo »
eone (proletario) è assolutamente nuovo e vero.
L’uomo non conta più nulla: conta
solo il sistema, prima e dopo, ad eccezione naturalmente delle aberrazioni
staliniane che vengono stranamente
considerate o come un « incidente » storico fuori dal sistema, o come un ritorno ai « peccato » borghese, che evidentemente in una concezione dicotomica
di tal fatta è il solo peccato esistente;
anche il peccato è stato collettivizzato
ed eonizzato!
Di fronte alla potenza metafisica, metastorica e metapolitica di una tale concezione delTuomo e della storia, quale
interesse può avere la riforma della
scuola in Italia? Nessuno! Ed è ovvio:
è una riforma classista nel vecchio
eone!
Quale interesse può avere la democrazia nella scuola? Nes.suno! E ovviamente una falsa democrazia, frutto del
vecchio rapporto di forza del vecchio
eone!
Quale contributo possono dare gli insegnanti alla riforma della scuola? Nessuno! Se non uscendo dal sistema: cioè
facendo la rivoluzione proletaria!
Che cosa attende la società dalla
scuola? Niente! Perché la società non
esiste: esistono solo i due coni, ciascuno con la propria scuola: quella cosidetta « borghese » in cui possono insegnare anche gli insegnanti marxisti e
quella « proletaria » in cui potranno insegnare solo gli insegnanti marxisti, e
solo quelli appartenenti alla fazione
marxista in ouel momento al potere: e
questa è per costoro la scuola giusta e
vera.
Giorgio Peyronel
5
12 «ìunno 1970 — N. 24
pag. 5
IL LIBRO DI UN CITTADINO ISRAELIANO
“Israele senza sionisti,,
Propugnata dal parlamentare Un Avnery la nascita
di uno Stato arabo palestinese che si federi con Israele
La grave crisi del Vicino Oriente non
soltanto costituisce, assieme a quella
dell’Indocina, uno degli angosciosi
problemi del nostro tempo, dal quale
ognuno di noi si deve sentire toccato,
ma rischia di allargarsi ogni giorno di
più, fino a giungere alle estreme conseguenze di un conflitto di ben piu
vaste proporzioni. Questa guerra, oltre
che tanto sangue, ha pure già mito
scorrere parecchio inchiostro. Siccome però, in genere la pubblicistica
Ovi compresa quella « indipendente »)
o per interesse o per passione di parte
è orientata verso l’uno o l’altro dei
contendenti, non risulta facile avere
un quadro veramente preciso di questa situazione che è andata via via ingarbugliandosi sempre più.
Proprio in questi giorni, in cui cade
il terzo anniversario della « guerra dei
sei giorni », è uscito il libro di Uri Avnery, dal titolo Israele senza sionisti,
edito da Laterza nella collana « tempi
nuovi » (L- L500). Si tratta di un coraggioso libro di 350 pagine (non dimentichiamo che è scritto da un israeliano!)
che si leggono con straordinario interesse, dato che parecchie delle cose
esposte sono in parte sconosciute all’opinione pubblica, e danno al lettore
compartecipe del dramma che colà si
svolge informazioni aggiornate e realistiche. A nostra volta cercheremo di
estrarne alcuni punti fra i più salienti
(cosa non semplice, dato il gran numero degli argomenti trattati) nell’intento di rendere un servizio alla verità ed
ai lettori, che invitiamo a leggere il libro stesso per gli ovvi maggiori dettagli e notizie.
Anzitutto, una parola sull’autore:
Uri Avnery, ebreo, nato ad Hannover
nel 1924, è emigrato in Palestina coi
genitori all’avvento del nazismo. Ha
militato nell’Haganah — l’organo di
combattimento sionista — e ha combattuto nella guerra del 1948. Ha successivamente fondato il partito e il
settimanale « Ha’olam Hazeh » (Forza
Nuova), espressioni dell'antisionisrao.
È stato eletto deputato e siede all’opposizione con due seggi nella Kenesset,
il parlamento unicamerale; opposizione che si colloca al di fuori del quadro politico generale, nell’arco che va
dai sionisti conservatori ai comunisti.
Come è nato il sionismo e che cosa
è in effetti? Nel febbraio 1896 apparve
un libro del giornalista viennese Teodor Herzl, dal titolo Der Judenstaat
(Lo Stato ebraico) che ebbe sulle masse ebraiche europee — scosse dall’affare Dreyfus — l’effetto di mi fulmine.
Vi si propugnava l’idea che gli ebrei
non sarebbero mai riusciti a trovare
un posto nella comunità europea e che
perciò dovevano fondare una nazione
autonoma in Palestina, loro terra di
origine. Il libro non dedicava una sola
parola al fatto che in Palestina vi erano gli arabi: il termine « arabo » non
vi compare mai. Di conseguenza, giunti colà i primi gruppi di ebrei con l’appoggio del governo di sua maestà bri
tannica che, secondo la « dichiarazione Balfoui' », si impegnava a creare un
focolare nazionale ebraico, il sionismo
si urtò con una realtà che era interamente impreparato ad affrontare (pag.
53). Ne derivarono gli accresciuti sforzi sionisti di immigrazione e colonizzazione per neutralizzare il più possibile
le reazioni degli arabi che vedevano
nella cosa una minaccia mortale alla
loro esistenza nazionale.
Questa è stata la prima scintilla che,
attraverso ai vari stadi, ha portato alla situazione odierna. Eccone le tappe.
La prima fase è quella testé descritta
e l’autore la chiama la « fase dei bastoni e dei coltelli »: i pastori o i fittavoli arabi si rifiutavano di evacuare la
loro terra venduta ai Fondi ebraici dal
proprietario arabo assenteista. La seconda fase, quella dei « fucili e pistole
nascosti » si manifesta dopo la dichiarazione Balfour. La terza, quella dei
« carri armati, caccia e artiglieria »,
inizia col maggio 1948, quando cioè le
Nazioni Unite (che ora si dimostrano
del tutto impotenti a risolvere la crisi)
decisero di dividere la Palestina fra
uno Stato arabo ed uno ebraico: « Lo
stato arabo palestinese non divenne
mai realtà, vittima degli intrighi degli
stati confinanti. Lo stato ebraico di
Israele fu posto in essere con la forza
delle armi, superando una forte oppo
sizione » (pag. 76). Quarta fase: la
« giudaizzazione » del conflitto: ogni
ebreo, ovunque si trovasse, ha appoggiato le ragioni di Israele aiutandolo
in ogni modo possibile. Infine, la « internazionalizzazione » della guerra con
gli attentati in Europa e in altri continenti, oltre naturalmente alle martellanti azioni locali dei fedayyin, il movimento patriottico palestinese che
vuole opporre ad Israele uno Stato
nazionale palestinese in cui gli ebrei
sarebbero tollerati come comunità, ma
non come nazione. L’autore riconosce
subito dopo (pag. 324) che vi è una
grande affinità fra questa idea e quella
sionista di un Grande Israele, in cui
sarebbero gli arabi a venir tollerati.
Quale sarà la sesta fase? Vi è la terrificante prospettiva della ultima possibile « escalation »: un conflitto mondiale.
Nella suddetta progressione, uno dei
fatti più importanti avvenne nella metà del febbraio 1955 quando l’esercito
israeliano attaccò gli accampamenti di
Gaza, uccidendo parecchie dozzine di
soldati egiziani: è il punto di svolta
nella storia del Vicino Qriente. Nasser,
dopo questo attacco — come ebbe a
dichiarare più volte — onde supplire
all’impotenza del suo esercito, decise di
acquistare armi dal blocco sovietico
contro la strapotenza di quello israeliano, appoggiato da Francia e Stati
Uniti. Avnery, a proposito dell’appoggio francese, ricorda che era stato concesso come contropartita dell’appoggio alla potente repressione in Algeria per cui — oltre a tutto — Israele
dava così nuovo alimento all’odio arabo nei suoi confronti.
Nell’analizzare i fatti che menarono
alla guerra del 1967, Avnery considera
quelli che sono stati, secondo lui, gli
errori di Nasser, quali la chiusura del
golfo di Aqaba, l’ordine all’GNU di
evacuare le sue truppe, ordine accettato con fretta inopportuna, la successiva convocazione al Cairo del re Hussein di Giordania. Di contro, in Israele, l’entrata di Dayan alla Difesa, di
un uomo cioè identificato con le più
estremistiche posizioni antiarabe:
« Nasser era riuscito, con la sua serie
di errori, a spingere Israele in una
guerra da questi non voluta, e che
non poteva vincere » (pag. 37).
Per quanto riguarda il più grave
aspetto della crisi, e cioè la questione
dei profughi, l’autore non può che convenire che dopo la guerra del 1967 la
situazione si è notevolmente drammatizzata, sia per aver prodotto un nuovo enorme numero di profughi e sia
perché ha consolidato nella mente degli arabi la persuasione che Israele
tende, non appena gli sia possibile, ad
impadronirsi di nuovi territori ed a cacciarne gli abitanti (pag. 242). E vero
che il governo israeliano dichiarò di
essere pronto ad autorizzare i profughi
a ritornare, ma si trattava di una mossa tattica mirante ad attenuare le critiche universali: alla fine si permise
il rientro a meno del 10% di essi, frazionando però i nuclei familiari nella
loro integrità.
Di fronte all’accusa dei progetti annessionistici àeW establishment sionista, Avnery fornisce dettagliate prove: « L’attuale governo (presieduto da
Golda Meir che viene definita come
una donna intellettualmente sterile,
che brucia del sacro fuoco della integrità nazionale e privata e considera
pervasi di intima malvagità tutti gli
arabi, i russi e tutti i Gotnt, i Gentili)
conta 22 ministri e non ce n’è neppure
uno fra loro che sia disposto a fare
la pace senza annessione ». Detti ministri possono essere divisi in tre gruppi: un quarto di essi, appartenenti al
partito dell’Herut (Libertà), che è il
partito più militarista ed estremista,
vuole annettere tutti i territori occupati. Un secondo gruppo desidera la
annessione quasi totale, tranne il Sinai
e due altre piccole zone: questo gruppo comprende la grande maggioranza
del governo e tutti i ministri importanti. Infine un terzo gruppo, fautore
di un’annessione limitata, che vuol tenersi l’altipiano di Golan, già in via di
colonizzazione, la striscia di Gaza e
Gerusalemme. Con questo suo atteggiamento, Israele « ha reso alla Palestina un grande, anche se involontario,
servizio. Di più, ha offerto alla vita del
suo popolo un nuovo scopo: la lotta
contro l’occupante » (pag. 294).
Si giunge così a quello che deve essere considerato il punto focale della
crisi: « la guerra fra Israele ed il mondo arabo non è una normale guerra
fra Stati » (pag. 214). È lo scontro fra
il sionismo ed il popolo arabo palestinese estromesso colla forza dalla sua
terra ». Israele deve riconoscere la sua
appartenenza alla Regione ed assumere un atteggiamento positivo nei confronti delle aspirazioni nazionali dei
popoli arabi; il mondo arabo deve riconoscere che Israele esiste ed è diventato una componente della Regione
stessa. Senza questo doppio, reciproco
riconoscimento qualunque intervento
o mediazione straniera non è di alcuna
utilità. Non si può in alcun modo sostituire il confronto diretto fra Israele
e gli arabi ». La soluzione proposta da
Avnery e dal suo gruppo politico è
quindi della promozione di una Repubblica araba palestinese, implicante la
Rifugiati palestinesi
in Giordania: sotto
tenda o in baracca
da 5, IO, 20 anni?
restituzione di tutti i territori — senza
eccezione — occupati da Israele. Qgni
popolo arabo ha il suo Stato, tranne
quello palestinese, il cui territorio
venne in parte conquistato da Israele,
ed in parte spartito fra Egitto e Giordania allorché, nel corso del conflitto
del 1948, accorsero in difesa del popolo fratello. Questo nuovo Stato dovrebbe comprendere la striscia di Gaza, la
Cisgiordania, altre rettifiche di confine e la Transgiordania, se i suoi abitanti lo desiderano. A sua volta questa Repubblica palestinese, pacificata
con Israele, dovrebbe con essa avviarsi alla costituzione di una Federazione
Palestinese. Gerusalemme potrebbe così diventare — come città unificata —
la capitale sia dei due stati che della
federazione, risolvendo così un problema riguardo al quale « la cristallizzazione dei sentimenti religiosi e nazionali rende impossibile ad ambedue le
parti di fare marcia indietro ».
Una volta costituita la federazione,
si metterà in cammino una rivoluzione destinata a multare il volto di tutta
la Regione: « Per Israele significherà
l’inizio della pace e un rapporto di
concreta collaborazione con un genuino stato arabo; per la nazione palestinese significherà la fine della frustrazione, un posto sulla carta geografica,
la restaurazione della sua identità nazionale e, last but not least, la cessazione della sciagura dei profughi »
(pag. 228). ^
Sapranno la buona volontà ed il
senso di giustizia degli uomini giungere ad una soluzione di pace, proprio
anche nel rispetto della memoria dei
sei milioni di ebrei assassinati dalla
furia nazifascista? L’autore se lo augura, malgrado le attuali posizioni intransigenti, cui si stanno peraltro contrapponendo — da una parte e dall’altra — dei consistenti movimenti
orientati in senso pacifista. « Palestinesi e israeliani stanno ancora combattendo dopo 90 anni: nessuna delle
due parti riconosce ancora l’altra...
nessuna soluzione è possibile se non
sulla base del mutuo riconoscimento
delle due nazioni che vivono in questo
paese, e di una pace che tale riconoscimento abbia a suo fondamento ».
Roberto Peyrot
Due pesi e (due misure
Serie risenie avanzate da un gruppo di cristiani francesi sull’impostazione della "Conferenza mondiale dei cristiani per la Palestina , tenutasi recentemente a Beirut, nel Libano, e sulla quale abbiamo ampiamente riferito
Un certo numero di cristiani vicini al
mondo arabo hanno organizzato, nei giorni
scorsi, a Beirut, un ineontro che essi hanno
intitolato <c Conferenza mondiale dei cristiani per la Palestina ».
Quest’iniziativa su.scita in noi serie riserve:
1) Gli organizzatori della conferenza sono
liberi di adottare, nei confronti dei problemi
del Medio Oriente, l’atteggiamento politico
che pare loro più co.iforme alle esigenze fondamentali della giustizia e della fraternità
umane, ma abbiamo il diritto di fare scelte
diverse e di criticare le loro, se non ci sembrano rispondere appunto alle esigenze di
giustizia e di fraternità. È quanto facciamo,
di parte nostra, senza presentare le nostre opzioni come l’unica soluzione ammissibile per
i cristiani. Chiediamo loro di non pretendere
imporre le loro.
2) All’origine del movimento pro-palestinese v’è una preoccupazione di giustizia che
ci pare incontestabile, ma che purtroppo si
esercita a senso unico. Non siamo ammiratori
incondizionati dello Stalo d’Israele e della sua
politica attuale. Conosciamo le sofferenze dei
Palestinesi e degli Arabi, ma anche le sofferenze degli Ebrei e degli Israeliani venuti
dal mondo cristiano e dal mondo islamico.
Conosciamo la parte di responsabilità che le
potenze europee hanno nella genesi di questo dramma, ma sappiamo pure che le colpe
commesse non saranno riscattate da una politica unilaterale. Le rivendicazioni legiltime
degli Israeliani non possono fare dimenticare
quelle dei Palestinesi. Ma nemmeno le rivendicazioni legittime dei Palestinesi possono fare
dimenticare quelle degli Israeliani. Per quanto sia difficile, il riconoscimento reciproco di
queste sofferenze e di queste volontà nazionali
ci pare costituire la sola via verso la pace.
Non possiamo perciò tacere la nostra inquietudine, perché a partire dal giugno 1967
coloro che oggi organizzano questa conferenza
rifiutano ostinatamente di prestare la minima
attenzione aU’ebraismo in tutta la sua realtà...
Un atteggiamento così unilaterale non può
avere altro risaltato che di eccitare le passioni
e di ritardare l ora della pace,
3) Molti cristiani, in tutto il mondo, non approvano questa politica di allineamento incondizionato sulle tesi palestinesi. Essi auspicano
piuttosto un avvicinamento dei punti di vista
aflin di preparare una pace che accordi garanzie di esistenza agli uni e agli altri, in
tutta la misura del possibile... Ma i difensori
di queste posizioni più equilibrate non hanno
avuto, neppure loro, motlo di far udire la loro
voce a Beirut. Quest’incontro non rappresenta dunque affatto l’opinione generale dei
cristiani, ma soltanto un opinione fra le altre...
4) La giustificazione dell’antisionismo con
dubbie considerazioni teologiche è tanto più
pericolosa in quanto nuove manifestazioni di
antisemitismo appaiono un po’ dovunque nel
inondo. In tal modo alcuni pretendono rifiutare agli Ebrei, e solo agli Ebrei, il diritto all’esistenza nazionale, invocando qualche testo
sacro, o qualche tradizione, arbitrariamente separati dal loro contesto. Quest’ostracismo rassomiglia assai al vecchio antiebraismo, dal quale in parte deriva... Ciò vuol dire perpetuare
11 discriminazione che durante secoli ha fatto
degli Ebrei una minoranza perseguitata...
5) Deploriamo i riferimenti tendenziosi
dei testi preparatori della conferenza di Beirut
a uno o due passi della Dichiarazione votata
dal Comitato centrale del Consiglio ecumenico
delle Chiese, a Canterbury, il 20 agosto 1969,
mentre questo documento afferma :
« Il Comitato centrale proclama che
nessuna pace durevole è possibile senza il
rispetto dei diritti legittimi dei popoli pa
lestinese ed ebraico che vivono attualmente in questa regione, e senza la garanzia
internazionale reale delVindipendenza politica e dell’integrità territoriale di tutte le
nazioni della regione, compreso Israele ».
6) In una nota pastorale recente, il Comitato episcopale francese per le relazioni con
l’ebraismo ha denunciato « l’ambiguità di certe campagne che mescolano in modo indebito
argomenti religiosi e posizioni puramente politiche ». Alcuni hanno preteso, con molta leggerezza, che vi fosse in questo un’ingerenza
della gerarchia in campo temporale. Ma il
ruolo dei responsabili ecclesiastici consiste proprio nel ricordare, quando è necessario, le esigenze evangeliche e la loro portata universale.
E nel caso specifico il richiamo era particolarmente opportuno... In tal senso siamo profondamente d’accordo con il vescovo di Strasburgo, il quale ha precisato che « dei cristiani non
dovrebbero incitare alla lotta, ma alla riconciliazione fra Ebrei e Arabi ».
P ensiamo quindi che sia bene mettere in
guardia l’opinione pubblica contro ciò che ci
appare un’utilizzazione abusiva del cristianesimo a fini partigiani. Invitiamo i cristiani e
tutti gli uomini di buona volontà a guardarsi
dalle propagande sempliciste e a tentare di
comprendere tutte le parti in causa, gli Israeliani come i Palestinesi e i Palestinesi come
gli Israeliani. Non pretendiamo di presentare
una soluzione politica, poiché la pace non può
venire che dai diretti interessali. Evitiamo almeno di incancrenire la situazione cedendo
alla passione che genera odio, sotto qualunque
forma si presenti la passione.
(seguono 43 firme di cattolici e protestanti. sacerdoti e laici; fra i teologi segnaliamo André Dumas, Jacques Ellul, Edmond
Jacob, Xavier Léon-Dufour, Fr. Lovsky,
I. Marrou, Roger Mehl, Frank Michaéli,
Wilhelm Vischer).
Dove sono
gli apprendisti stregoni
Pubblichiitmo qui sotto la risposta che G.
Casalis. professore alla Facoltà protestante di
teologia di Parigi, ha inviato al direttore de
« La vie protestante », J.-M. Chappuis.
Sorvolo sui sorrisi che non mancherà di far
liorire. per coloro che conoscono la realtà, la
Sua meravigliosa affermazione : « i militanti
del Christianisme Social trascinati da Georges
Casalis ». Volesse il cielo che così fosse!
Mi dispiace che Lei pure si lasci trascinare a una polemica, senza essersi dato la pena
di controllare gli elementi di un dossier che
occupa largo spazio nella Sua argomentazione;
e se si tratta di vedere dove sono gli apprendisti stregoni, Lei sa, ma la presente glielo
confermerà, che li vedo più nelle forze delrimperialismo e del capitalismo internazionali
che in quelle dei popoli del Vietnam o della
Palestina che una disumana volontà di dominio spinge a cercare l’appoggio dell’Unione
.sovietica. Cosa della quale farebbero volentieri a meno.
Tutto il Suo articolo è un’arringa in difesa di una riconciliazione che non ha più
senso in Palestina di quanto ne abbia nel
Vietnam o negli Stati Uniti, o di quanto ne
avesse in Algeria finché non sono state realizzate le condizioni di giustizia e di libertà
che permettono agli oppressi gialli, arabi o
neri di parlare finalmente da pari a pari con
i loro antichi padroni.
Georce.s Ca.salis
Gli apprendisti
stregoni
dell'antisionisnio
Una prima « Conferenza dei cristiani
per la Palestina » si è riunita a Beirut.
Qrganizzata principalmente dai dirigenti del nostro confratello francese
« Témoignage chrétien », essa rende un
doppio servizio all’insieme della cristianità. Bisogna sottolinearlo, anche se a
suo riguardo si devono esprimere talune riserve, in verità abbastanza gravi.
Anzitutto, essa ci rende attenti ai
pericoli di una lettura letteralista delle
profezie bibliche, quando vengono messe in rapporto con lo Stato contemporaneo d’Israele. Siamo sensibili a questi
pericoli, i nostri lettori lo sanno, e a
questo proposito ci sentiamo in comunione di spirito con la Conferenza. Bisogna starci tanto più attenti, in quanto, trascinati dalla spaventosa logica di
tutte le potenze occupanti, gli Israeliani
commettono oggi errori e colpe di cui
nessuno ha il diritto di sottovalutare la
gravità. Lealmente, Emmanuel Haymann, redattore capo di « Liaison », rivista d’informazione e di cultura ebraiche pubblicato in Svizzera, lo riconosce, scrivendo a proposito dei casi di
tortura perpetrati da soldati israeliani:
« Questi soldati israeliani sono colpevoli di essersi lasciati trascinare nella
ronda infernale della violenza. Ma potevano fare altrimenti? ».
In secondo luogo, la Conferenza richiama giustamente tutti noi a prestare
attenzione alla sorte miserevole del popolo palestinese e alla legittimità delle
sue rivendicazioni. « Dove l’uomo è
sprezzato, Gesù Cristo è oltraggiato »,
dice il messaggio di Beirut. E’ indubbio che i Palestinesi vivono attualmente
in condizioni tali che, in assenza di una
soluzione politica, risponderanno al disprezzo del mondo con un’escalation
di violenza. La Conferenza fa bene a
tirare il segnale d’allarme in questo momento.
Questo è il duplice servizio reso a
tutti noi dalla Conferenza di Beirut. Ma
annunciavamo delle riserve. Eccole.
Trascinata dalla passione della giustizia, la sinistra francese, non riuscendo
a riportare successi consistenti all’interno delTesagono, si dà da fare ad
esportare il proprio zelo a tutti i punti
cardinali. E' affar suo. Ma poiché in
questo caso questa sinistra è dotata
di un coefficiente cristiano, abbiamo il
diritto di considerare le cose più da vicino. Si tratti dei militanti cattolici di
« Témoignage chrétien » trascinati da
Georges Montaron, o dei militanti protestanti di « Christianisme social » trascinati da Georges Casalis, è inquietante vedere tanti cristiani far tabula rasa
dei vincoli dolorosi e umilianti, ma incontestabili che uniscono teologicamente la Chiesa e Israele. Nel suo ultimo
numero il bollettino « L’Ami d’Israël »
ci ha appena offerto un dossier edificante al riguardo.
Se non ci stiamo attenti, raccoglieremo frutti amarissimi. Già vi sono in
Francia, e ho potuto constatarlo con i
miei occhi, dei cristiani ai quali questo
accecamento impedisce anche il semplice incontro con altri cristiani. Non
si può più dialogare, perché non vi è
più linguaggio comune riguardo ad
Israele. E’ grave. E lo pagheremo caro.
Ma saremo noi a pagarlo, costretti a
superare una difficoltà di più quando
SI tratterà di accreditare nella società
umana la nostra testimonianza caotica.
C’è però qualcosa di anche più grave,
perché altri dovranno pagare il prezzo
della nostra mancanza di discernimento. Se, invece di lavorare alla riconciliazione fra Arabi ed Ebrei, parteggiamo appassionatamente per gli uni contro gli altri, contribuiamo ad avvelenare relazioni già avvelenate daH’odio.
Non adempiremo al nostro compito.
Faremo un’opera di tenebre. In una
pubblica dichiarazione un gruppo di
cristiani francesi, nel quale si mescolano cattolici e protestanti, ha ricordato che il nostro primo dovere è «comprendere tutte le parti in causa, gli
Israeliani come i Palestinesi e i Palestinesi come gli Israeliani ».
Una certa intellighentzia parigina,
però, non si lascia mai mettere in difficoltà quando occorre mettere le sottigliezze della ragione a servizio delle
forze oscure della passione. In questo
momento è dunque d’uso dichiararsi al
tempo stesso contro Tantisemitismo e
contro il sionismo. Si è per gli Ebrei,
ma contro lo Stato d’Israele. Certo,
questa distinzione non è priva di significato. Ma non è neppure priva di ambiguità. E soprattutto va maneggiata
con estrema delicatezza. Perché fantisionismo — chi mai oserebbe negarlo
in tutta onestà? — risveglia e sviluppa,
giustifica e mantiene l’antisemitismo.
I nostri confratelli di « Témoignage
chrétien » e di « Christianisme social »
farebbero bene a rileggere la storia dell’apprendista stregone.
Jean-Marc Chappuis
L'articolo che precede è la traduzione del
testo del "fondo" redazionale pubblicato su
« La vie protestante » del 22 maggio 1970.
Questo articolo ha suscitato numerose reazioni, ora positive, ora critiche, che sono state pubblicate dal settimanale romando nella
sua edizione del 5 giugno. Fra queste risposte
riportiamo qui accanto quella di George Casalis, direttamente chiamato in causa da J.-M.
Chappuis. Altri interventi meritano di essere
riportati in futuro. red.
iiiiimitiiiniiimiimiiiiimii
6
pag. 6
N. 24 — 12 giugno 1970
Notizie dalle nostre comunità
Pramollo
Sìa pure con un po’ di ritardo desideriamo
tuttavia porgere un fraterno benvenuto a Gisella di Jaime Cesare e di Bertalot Laura; alla
neonata e ai suoi genitori l’augurio di ogni
benedizione nel Signore.
Sono stati battezzati: Long Daniele di Dante e di Pastre Elda (il 3 maggio). Travers Enrica di Federico e di Giglio Elvina (il 24 maggio). Il Signore faccia crescere queste creature « in sapienza ed in grazia dinanzi a Lui
ed agli uomini » ed aiuti i loro genitori nell’impegno assunto.
Domenica 3 maggio alcune componenti l’Unione Femminile hanno partecipato ad Agape
al Convegno delle Unioni Femminili delle
Chiese delle Alte Valli; una parola di viva
gratitudine al Pastore Giampiccoli e signora
per la fraterna accoglienza ed ospitalità.
Domenica 10 maggio circondati da numerosi parenti i coniugi Elena e Alessio Long
(Pellenchi) hanno celebrato, partecipando al
culto, cinquant’anni di vita in comune sotto
lo sguardo del Signore; nel corso del culto il
Pastore ha ringraziato il Signore per le benedizioni accordate a questi fratelli ed ha espresso loro i rallegramenti della chiesa.
L’Assemblea di Chiesa domenica 24 maggio
ha eletto deputati alla Conferenza distrettuale
di Villar Perosa i sigg. Long Eli (Arvure) e
Peyronel Guido Tournim); deputato al Sinodo
è stato nominato l’insegnante sig. Long Gino
(Pellenchi) e sunniente il sig. Beux EU (Tournim).
Nel pomeriggio della stessa domenica la
Scuola Domenicale ha preso parte all’annuale
festa di canto delle Scuole Domenicali delle
Chiesa della Val Germanasca e Val Chisone
a Villar Perosa: un grazie a questa Chiesa
per il rinfresco offertoci.
Domenica pomeriggio 31 maggio il bel temp » ha favorito lo svolgimento dell’annuale vendita di beneficenza organizzata dall* Unione
Femminile; a tutti i membri di Chiesa, giovani e meno giovani ed agli amici che hanno
collaborato con doni e con prestazione di mano
d’opera al buon risultato di quest’attività, la
nostra sentita gratitudine.
Martedì 2 giugno si è svolta la gita di
chiesa con meta Sirmione ed il lago di Garda,
sconosciuto a tutti noi, ma delle cui bellezze
recheremo a lungo il ricordo.
Teofilo Pons
Biella
La frequenza ai Culti si mantiene buona.
Abbiamo goduto della collaborazione, ormai
tradizionale, del Sig. Castellani e di una piacevole visita della Pastoressa Achenbach, che
tutti rivedono sempre volentieri. Grazie ad
ambedue!
Siamo giunti al termine della serie di studi
biblici del Mercoledì sera, dopo aver percorso
tutto il libro deir Apocalisse. Non siamo soddisfatti della partecipazione dei membri di
Chiesa a queste riunioni, anche se alcune serate sono state meglio frequentate e anche se
il gruppo (c fedele )> è stato assiduo e regolare
in modo esemplare.
I lettori ci scJimoìM)
Un lettore, da Terranuova Bracciolini:
Signor direttore,
Le vorrei porre alcune domande,
con preghiera di girarle a P. R., autore dell’artìcolo « Quei che prendon la
spada perìscon per la spada » pubblicato nel n. 20 del 15-5-1970, pervenutomi oggi soltanto, in virtù dei continui scioperi che deliziano l’Italia :
1) È proprio convinto P. R. di
poter qualificare paese neutrale la
Cambogia ove, da tanti anni truppe
vietnamite del nord e vietcong fanno
abusivamente da padroni (come nel
Laos) ed hanno creato basi e depositi
per le loro azioni contro il Vietnam del
sud?
2) È convinto P. R. di servire
l’Evangelo adulterando precise situazioni di fatto?
3) Come fa P. R. a definire « stupenda » la marcia dei centomila a
Washington, in vista della ignobile e
invereconda conclusione di essa nelle
piscine di quella città? (veggasi la rivista « Gente » n. 21 del 25-5-1970,
pagine 3, 96 e 97).
4) Ritiene P. R. di aver fatto una
buona scelta citando, in appoggio alla
sua tesi, l’analisi politica espressa da
Ferruccio Farri, come all’ultima pagina dello stesso numero dell’« EcoLuce ))? (quel Ferruccio Farri divenuto l’oracolo di Tullio Viola, apportatore di notizie tratte, quasi in esclusiva, da « L’Astrolabio » e « Le Monde »).
L’articolo dì P. R. dimostra, ancora
una volta, l’atteggiamento unilaterale
e incorreggibilmente fazioso dell’« EcoLuce » da alcuni anni. Tale atteggiamento nuoce, secondo il mio avviso,
alla coesione della nostra Chiesa.
La stampa evangelica dovrebbe essere stampa di edificazione e non di disgregazione.
Distinti saluti.
Alberto Priore
Rispondo alle domande poste secondo Vordine che esse hanno nella lettera.
1) La neutralità della Cambogia è
certamente relativa, ma sufficiente, a
mio avviso, ad aggravare la posizione
morale delle truppe americane e sudvietnamite che hanno invaso il paese.
2) L'Evangelo lo si serve solo con
la verità. La verità la si cerca, non la
si possiede. Ma dove la si cerca?
3) Non mi risulta che i centomila manifestanti di Washington — né la
maggioranza di essi — abbiano concluso la loro marcia nelle piscine della
città. Le stolte esibizioni di un^infima
minoranza nulla tolgono alla buona testimonianza resa da tutti gli altri.
4) Non ho citato Ferruccio Farri
in appoggio alla mia tesi, ma ho rinviato alla sua analisi i lettori desiderosi di avere una (possibile) valutazione politica delVavvenimento. In appoggio alla mia tesi (che del resto, più
che una tesi era un interrogativo) ho
citato una parola di Gesù contenuta in
Matteo 26: 52.
Resta aperto il problema della verità.
Una certa parzialità e unilateralità c’è
in ciascuno di noi e le informazioni di
cui ci serviamo sono anch^esse parziali e unilaterali. Ciascuno di noi, in
fondo, preferisce le. mezze twrità: sono
comode. Nessuno .vuole veramente sapere tutta la verità. Tutta la verità è
troppo, urta, fa male: si vive meglio
eludendola che cercandola.
Paolo Ricca
Una lettrice, da Noto (Siracusa) :
Sono un’abbonata del vostro giornale e pur appartenendo fin dal 1902
alla Chiesa Valdese di Pachino (Siracusa) vivo da qualche anno nella cittadina vicina di Noto e purtroppo quasi in isolamento tranne quando il Pastore Giambarrcsi veniva, e insieme andavamo alla Chiesetta di Avola che
fa parte della diaspora della Chiesa di
Pachino, un piccolo gruppo di contadini rimasti fedeli dopo che i più, finiti
gli aiuti americani, si erano dileguati.
Data la mia fede non solo di lunga
data, ma anche provata, sperimentata
per le infinite prove dolorose della mia
vita (oltre a tutte le vicissitudini di
una vita che ha sofferto 2 guerre pagate col sangue, l’ultima delle quali
con la perdita dei due soli figli che avevo) vedo con angoscia il secolarizzarsi
della Chiesa, anche di quella protestante che a differenza di quella cattolica,
più che cercare la propria gloria, cercava e annunziava la gloria di Dio!
Secondo il mio modesto parere, il
compito della Chiesa fedele, dovrebbe
essere il messaggio profetico del Signore che regna e che viene a stabilire,
quando i tempi saranno compiuti, il Suo
Regno di Pace e di Giustizia! Ohimè!
compito molto difficile, oggi più di prima, per l’acutizzarsi delle forze del male: ma proprio per questo, il compito
della Chiesa è più attuale e specifico e
più consono alla volontà del Signore!
Il mondo pieno di peccato e di violenza fa sanguinare il nostro cuore e preghiamo intensamente più per esso che
per noi, che ne abbiamo pure tanto
bisogno; ma non siamo noi, che possiamo cambiarlo e giudicarlo, solo Dio
può farlo e noi abbiamo fetle nelle
promesse che il Suo Regno di Pace
verrà sulla terra e la Sua Chiesa, la
Sposa di Cristo, andrà ad incontrarLo!
Mi si perdoni questo mio parlare, lo
si giudichi o meglio lo si prenda come
un travaglio del mio cuore dopo aver
letto diversi articoli di « Nuovi Tempi »
e ora anche dell’« Eco-Luce » che riflettono un po’ del nuovo indirizzo che ha
preso il protestantesimo; e sarò grata,
se mi si vorrà dare delle chiarificazioni, anche attraverso il giornale.
Con fraterni saluti, mi creda in Gesù
Cristo
Sandrina Giardina
ved. Carpinteri
Che i tempi siano malvagi, come ai
giorni di Gesù, che lo siano oggi in
modo particolarmente manifesto e stridente e che in tale situazione il compito della Chiesa resti sempre quello di
annunciare la sovranità di Cristo che
era, che c e che viene: come non concordare? Ma come portare que.sto annuncio?
La nostra sorella parla di **secolarizzazione*\ È una parola che può voler
dire molte cose, o comunque due cose
assai diverse:
1) immergersi nel mondo accettandone. con i problemi, pure le analisi e le soluzioni (di qualsiasi genere,
anche opposto): in altre parole, in modo cosciente o inconscio, accettare come
norma della riflessione, della valutazione e delVazione il presente .secolo,
nei suoi diversi orientamenti, anziché
¡'Evangelo;
2) ascoltare VEvangelo e cercare di
tnverlo, di rendergli testimonianza nel
mondo, nel « presente secolo », sforzandosi però di mantenere il riferimento alla norma biblica.
Il no.siro desiderio vivo e il nostro
sforzo sincero è di seguire la seconda
alternativa. Se e in qual misura ci
riusciamo, lo valutino i fratelli nello
sforzo del discernimento degli spiriti, e
lo giudicherà in ultimo appello il Signore di tutti noi.
Gino Conte
Le Conferenze della Domenica pomerìggio
sono state interrotte dopo Pasqua e riprenderanno in Settembre. I risultati di quest'anno
sono stati buoni e le conferenze ci hanno spesso offerto una possibilità di dialogo molto interessante con amici vecchi e nuovi.
Ai Culto di Pentecoste abbiamo avuto la
gioia di celebrare la confermazione di tre giovani e dì dare pubblico atto della adesione di
due persone, le quali, dopo essere state per
molto tempo fedelissime simpatizzanti, hanno
chiesto di diventare Membri effettivi della
Chiesa. Un culto con cinque ammissioni alla
Chiesa non può risultare che di iaooraggìaniento e soddisfazione per la Comunità. Noi
auguriamo ai nuovi Membri di serbare fede
all’iinpegno che hanno preso e di trovare molte benedizioni sul loro cammino nella Comunità.
Per la domenica 21 giugno abbiamo un impegno di particolare interesse : al mattino
(ore 11) Culto con la partecipazione della Comunità dì lingua inglese di Torino — il culto
sarà bilingue —. Subito dopo il culto di adorazione ci trasferiremo (tempo permettendo)
in una località tra Biella e Vercelli per la colazione al sacco e per un pomeriggio che permetterà un incontro anche con la Comunità dì
Ivrea. La giornata è tanto per gli adulti come
per le scuole Domenicali delle tre Comunità.
I Culti a Piedicavallo saranno celebrati, come lo scorso anno, al pomeriggio di ogni domenica, nei mesi di luglio e di agosto.
Per decisione degli esecutivi della Chiesa
metodista e della Chiesa vald^e sarà interrotto, almeno per il momento, Pabbinamento
fra le chiese di Vercelli e di Biella; la Chiesa
metodista può provvedere la comunità di Vintebbio di un evangelista, sicché il pastore di
Novara potrà curare efficacemente anche Vercelli e d’altra parte questa comunità rientrerà
più agevolmente neH'attìvità del Circuito metodista lombardo. Questo significa che la disponibilità del pastore Ayassot per la nostra
comunità aumenterà. Intanto, questo è stato
un anno nel quale i legami fra la chiesa dì
Biella e la comunità interdenominazionale di
lingua inglese dì Torino si sono ulteriormente
rinsaldati, con reciproco arricchimento.
Firenze
L'incontro ecumenico tenutosi a Camaldoli
il 28 maggio è stato largamente positivo, nonostante la inclemenza della stagione. Erano largamente rappresentati: la comunità della resurrezione, Ricerche bibliche, l’Isolotto, la comunità di Peretola, le tre comunità evangeliche fiorentine e nostri isolati di Arezzo e di
Perugia. Gli studi biblici a gruppi sono stati
proficui; ci siamo proposti di ritrovarci ancora,
e di dare maggiore spazio di tempo appunto
allo studio biblico.
Gli incontri con i gruppi cattolico-romani
dovrebbero avere finalmente chiarito una
idea : oggi, non è più vero che la Bibbia sia
una sorta di monopolio protestante; mentre
fra noi c’è una allarmante assuefazione, altrove si scopre la Scrittura, si coltiva il gusto
di una attenta lettura della Parola, come predica del Signore alla siua comunità. E allora,
come la mettiamo con certo nostro orgoglio?
Chi è questo ’’popolo della Bibbia"? Chiediamo con insistenza che nelle famìglie, nella vita
personale, nei campi gi<>\ anili, ecc. si studi la
Parola di Dio con rinj»ovata attenzione, sapendo che in quella vi è ÌI solo insegnamento,
la consolazione e l’intelligenza di tutte le cose.
Una proposta di lavoro ecumenico - Alla
Nave di Rovezzano si è iniziata la sistemazione
di un capannone che sarà utilizzato per l’adattamento al lavoro di im gruppo di invalidi
civili. Si domanda la collaborazione (intendi :
lavoro fisico), di giovani anche per una volta
la settimana: alla sera dopocena, il pomeriggio
o la sera del sabato, la domenica.
Pomaretto
Domenica 14 c. m. avrà luogo il saggio delVAsilo (Scuola Materna), alle ore 14,30 al teatro. Chi desidera visitare i nuovi locali della
Scuola lo potrà fare.
Domenica 21, il culto sarà presieduto dal
Gruppo Salutista di Torre, guidato dal maggiore Longo.
Nel pomeriggio si terrà una riunione all’aperto al Clot Inverso. Salutiamo con gioia i
nostri amici.
I culti si terranno alle ore 10, a partire
dal 21 giugno.
Villar Perosa
Precisazione del Concistoro
In merito al resoconto della Conferenza Distrettuale apparso su l’Eco delle Valli-Luce
n, 23 e per quel che concerne la comunità,
villarese, il Concistoro osserva che la contribuzione della propria Comunità alla
Chiesa supera del doppio la somma che
il Concistoro stesso si era impegnato nel 1969
di versare alla Chiesa. Sono però incluse in
questa somma la contribuzione per il Collegio
e l’affitto per il presbiterio che di solito non è
a carico dì nessuna chiesa, soprattutto autonoma.
Oltre a ciò, come un rappresentante del
Concistoro fece noto in Conferenza, la Comunità sostiene quest'anno, a prezzo di enormi sacrifici, la spesa di circa L. 7.000.000 per
ultimare la costruzione del proprio tempio attuata in solitudine e senza costare nulla alla
Amministrazione.
Tn avvenire, certamente, le contribuzioni
villaresi potranno essere aumentale, ma prima
debbono ancora attuarsi le costruzioni del presbiterio e di un convitto e la Comunità Villarese si prepara ad affrontare i sacrifici necessari.
Per il momento, più che recriminazioni di
inadempienza, sarebbero forse doverose e fraterne, parole di solidarietà e di simpatia.
Il Concistoro Valdese di Villar Perosa
Trombettieri tedeschi
prò Coiieoio ilaidese
Un gruppo di Trombettieri della Weslfalia
che, recentemente, ha accompagnato Amalia
Geymet in una « tournee » di sette conferenze
« prò Collegio ». nella loro regione, verrà ora
per qualche giorno nelle Valli Valdesi visitando alcune comunità, accompagnato da un
membro del Comitato Pro Collegio e raccogliendo quelle offerte che vorranno essere versale per questa nostra Istituzione.
Gli ospiti sono guidali dal M.o Werner
Benz capo dei 4.000 Trombettieri della Westfalia e prezioso amico dei Valdesi.
Le riunioni fino ad ora fissate sono le seguenti :
Sabato 20 giugno, ore 21, tempio di Luserna San Giovanni, con la collaborazione della
corale locale.
Domenica 21 giugno: Culto a Torino, ore 9
(Servizio per i fratelli Inglesi), attività pomeridiane e serali.
Martedì 23 giugno: Culto-concerto nel tempio di Rorà (ore 20,30-21).
Giovedì 25 giugno: Culto-concerto a Prarostino (ore 20,30-21).
Tutti i lettori sono cordialmente invitati e
speriamo che considerando gli enormi sacrifici
che simili attività comportano, molli vogliano
intervenire.
E. Geymet
Presidente Trombettieri Valdesi
Nell'isola d'Elba
Soggiorno alla Foresteria valdese di Rio Marina - Alle porte del
penitenziario di Poito Azzurro
Tre giornate indimenticabili, quelle del soggiorno a Rio Marina, nell’Isola d’Elba, organizzalo da Ade Gardiol coadiuvata da Geraldo
Mathieu e da Giovanni Ribel, per un gruppo
affiatato di 29 persone di Torre Pellice e Luserna San Giovanni. La primavera calda, i
monti coperti di macchie gialle di ginestre, il
mare limpido dall’azzurro cupo al verde smeraldino, le baie tranquille danno all’isola un
fascino pittoresco particolare.
La Foresteria valdese di Rio Marina, ormai
nota a molti pastori e membri di diverse comunità, è stata la nostra casa, alla quale si
tornava sempre volentieri.
Le presenza del maggiore Longo dell’Esercito della Salvezza e dì suor Dina ha facilitato
la visita al penitenziario sulla collina sovrastante Porto Azzurro. Mentre essi riuscivano
a prendere contatto con un carcerato evangelico, alcune di noi assistevano alla scarcerazione di alcuni detenuti, liberati in quest’anno di amnistia : scene dolorose, che ci hanno
sconvolte, vedendoli uscire soli e come smarriti, spesso senza che nessuno si facesse loro
incontro. Uno si chinò a baciare il muretto
del ponte, come se sentisse che lontano da
quella fortezza la vita gli sarebbe stata ancora più difficile. Poi si coprì il viso piangendo, e noi, smarrite davanti a tanto dolore,
l’abbiamo lasciato andare senza trovare una
parola di conforto da dirgli. Un altro scoppiava in singhiozzi all’udire la voce della figlia chiamarlo « papà! », accogliendolo dopo
23 anni di reclusione, dopo 8 anni dall’ultima
volta che l’aveva rivista. In carcere egli si occupava del giornale dei detenuti, che scriveva
a macchina e recava un po’ di luce, un vincolo agli isolati. Ora, salutandoci, se ne partivano felici.
Non è qui il posto per riferire dettagliatamente dì questo bel soggiorno soleggiato e
della vita fraterna, serena vissuta in gruppo.
Per due sere ci siamo radunati per il culto
nella bella chiesetta, ormai purtroppo quasi
abbandonata, soprattutto dopo la dipartita della sorella Acinelli, le cui figliole ci hanno accolti con affetto.
Siamo lieti di apprendere che, con molti
membri di nostre comunità, anche alcuni pastori soggiorneranno prossimamente, con le
loro famiglie, nella Foresteria valdese di Rio
Marina; e vorremmo caldamente invitarli a
visitare il penitenziario, dando la loro testimonianza e una parola d’incoraggiamento e di
fraternità a coloro che vi scontano una pena.
Ci auguriamo pure che, con la loro presenza,
i culti domenicali si facciano nuovamente frequentati.
Graziella Jalla
MniMiMiiiiimiiiminiiMiiiiMiiiiiiiiiiiiiimiiniMiiiiimiiiiKiiiiMMiiiiiiiiiiiiiirmiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiKitiiMim i
RETTIFICA
Nella relazione della Conferenza Distrettuale
il nome Fornerone Valdo, indicato tra i controrelatori va indicato come supplente, mentre
quale titolare risulta: Ermanno Armand Ugon.
iiiiiiimiiiiiiiimiiiiiimiimiiimi
miiiMtimiKnimmimiiiimiimiii
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La sera di sabato 6 giugno, presso
l’Ospedale Valdese di Torre Pellice,
ha risposto alla chiamata del Signore
Etiennette Marauda
in Bounous
Addolorati per la separazione, ma
fidenti nelle promesse del Signore, lo
annunciano: il marito Attilio; il fratello Federico; le sorelle Letizia ved.
Bonnet e Juliette con il marito Carlo
Alberto Balmas e figli; i cognati, le
cognate, nipoti, pronipoti e cugini.
« Ritorna, anima, al tuo riposo,
perché l’Eterno ti ha colmata
di beni» (Salmo 116: 7).
La funzione religiosa ha avuto luogo lunedì. 8 corr., nel Tempio Valdese
di Luserna S. Giovanni.
Si ringraziano sentitamente e con
riconoscenza tutte le gentili persone
che hanno assistito e visitato la cara
Estinta durante la malattia e quanti
con presenza o con scritti hanno dimostrato la loro simpatia nell’ora della separazione. Un ringraziamento
particolare ai Prof. Dario Varese e
Franco Operti, all’Ospedale Mauriziano di Torino, ai Dottori E. Gardiol e
De Bettini, alla Direttrice ed a tutto
il personale dell’Ospedale Valdese di
Torre Pellice per le amorevoli cure
prestate, ai Pastori Dott. Bogo, SonelU e Taccia e a quanti vorranno eventualmente ricordare la cara Estinta in
forma di beneficenza a favore dell’Ospedale Valdese.
Luserna S. Giovanni, 9 giugno 1970.
« Venite a me, voi tutti che siete
stanchi e carichi, e io vi darò riposo » (Matteo 11; 28).
Silvio, Angioletta e Lucetta Artus,
con il cuore affranto, ma sorretti dalle promesse divine annunziano la dipartenza della loro cara sposa e marn
ma
Frida Menusan
che il Signore ha richiamato a Sé improvvisamente il 3 giugno 1970 all’età
di 41 anni. Ringraziano quanti hanno
preso parte al loro grande dolore e li
hanno sorretti ed esortati nella così
dura prova.
Ghigo di Prali, 5 giugno 1970.
« Venite a me, voi tutti che siete
travagliati ed aggravati, e io vi
darò riposo» (Matteo 11; 28).
I parenti della compianta
Maddalena Bounous
ved. Giaiero
ringraziano sentitamente quanti hanno voluto dar loro una testimonianza
di simpatia in occasione della dipartita della loro venerata congiunta. Un
ringraziamento speciale ai Sigg. Medici ed al Personale dell’Ospedale di
Pomaretto ed alla nipote Letizia Broglia per la sua costante amorevole assistenza.
Pomaretto - Inverso, 20 maggio 1970.
Le famiglie Fornerone, commosse
per la dimostrazione di stima ricevuta
in occasione della dipartenza della
loro cara
Lidia Gardiol
ved. Fornerone
ringraziano sentitamente il pastore
Genre, il dott. Ros e tutti coloro che
in qualsiasi modo si sono uniti a loro
nella triste circostanza.
« Io mi confido in te, o Eterno.
Io ho detto: Tu sei l’Iddio mio,
i miei giorni sono in tua mano.
Salvami per la tua benignità ».
(Salmo 31: 14)
S. Secondo, 28 maggio 1970.
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7
12 giugno
1970 - N. 24
pag. 7
Un altro lutto per il battismo e per tutto il protestantesimo italiano
DISCUSSO NEL COLLOQUIO PASTORALE DELLE VALLI
Bruno Saccomani II problema deirinsegoameoto catechetico
A poche settimane dal padre,
Liutprando — pastore emerito — e
a pochi giorni dal collega e amico
Manfredi Ronchi, e altrettanto improvvisamente, ci ha lasciati anche
Bruno Saccomani. L’Unione delle
Chiese Battiste è provata dalla perilita di un altro dei suoi Ivadersl
Cresciuto in una famiglia pervasa
dallo spirito « pastorale » ed allo
»tesso tempo aperta agli ideali sociali e politici più vicini all Evangelo, Bruno Saccomani non tardò a rispondere alla chiamata di Cristo ed
entrò nel 1922 nella Facoltà Valdese di Roma.
Ma dovette lasciarla dopo due anni per sostituire nel ministerio a
Gioia del Colle (Bari) il padre, prima diffrdato e poi inviato .al confino
neH’isola di Ustica per le sue prese
di posizione contro il Fascismo.
Mentre completava la sua preparazione presso la Facoltà Battista, anche come studente esterno, si preparava moralmente e spir.tualmente al
futuro ministerio, sostenendo ad un
tempo le ostilità degli ambienti clericali e le vessazioni di quelli fascisti, sia a Gioia del Colle sia a Isola
Liri.
Dopo tm breve ministerio a Migiionico (Matera), accettò nel 1932
la chiamata da parte della Missione
Battista della Spezia al pastorato
presso la Chiesa di La Spezia. Qui
trascorse ben 18 anni, in un ministerio difficile (per i rapporti con i
membri Inglesi della Missione),
drammatico e durissimo (per gli sviluppi della guerra che colpi gravissimamente la città della Spezia e anche la Missione Inglese), eppure incoraggiante e perfino esaltante per i
risultati e gli sviluppi che raggiunse
con la creazione di tuia numerosa
comunità, aperta ai contatti con le
altre comunità Battiste e Evangeliche Italiane, ed impegnata nell’azione sociale.
Rientrato nel 1950 nell’Opera
Battista d’Italia, dopo un breve ministerio a Roma presso la Chiesa del
Teatro Valle, insieme con Manfredi
Ronchi, ministerio ch’egli allargò
con una vivace e coraggiosa opera
di predicazione pubblica in diverse
località a Nord di Roma (ricordiamo particolarmente Ronciglione e
Acquapendente), fu chiamato a Torino nel 1951 per prendere in mano
la guilla della comunità di Via Passalacqua, che lasciò solo per la chiamata presso il Padre.
I (juasi vent’anni del suo pastorato a Torino costituiscono il periodo
più fruttuoso del suo ministerio, con
lo sviluppo e il consolidamento di
(£uella che è attualmente la più numerosa delle comunità Battiste in
Italia. I fondamenti del suo pastorato a Torino sono stati la fedeltà
alla Parola di Dio ed ai principi del
Batt sino, ed a difesa di questi fondamenti Bruno Saccomani ha letteralmente combattuto, e molto sofferto, in questi ultimi anni di fronte alle manifestazioni del « dissenso » protestante ed alle affermazioni
del cristianesimo (( radicale », con
le sue teologie della secolarizzazione
e della morte, di Dio.
Insegnante di Omiletica all’Istitu; hulelfia di Rivoli nel ’51-52,
im-ia'.’ro del Comitato dell’Unione
e di vari altri Consigli e
Commi.ssioni, Segretario per l’Evaiigelizzazione dal 1959 al 1963, Bruno
Saccomani dedicò, però, sem])re il
meglio dei suoi ]>ensieri e «Iella sua
azione al consolidamento ed allo
svi1u])po dell’opera in Torino e nel
Piemonte, ove fu infatti l’an matore
del Consiglio dei Pastori, prima, e
poi dell’Associazione Battista ilei
Piemonte (di cui era attualmente il
Presidente) e dove si interessò fin
dall’inizio al Centro Battista di Rivoli, all’Evangelizzazione all’aperto
Casa Gay
Vacanze organizzate dal 15 luglio al 31
agosto, a Torre Pellice, per bambine dai
6 ai 14 anni. Compiti delle vacanze,
passeggiate, giochi, sport in un ambiente sano e familiare. Iscrizioni
aperte fino al 10 luglio presso « Casa
Gay» - 10066 Torre Pellice (To); tei.
(0121) 91.386.
in città e nella regione, ove diede
tempo e attività allo sviluppo di
« Villa Grazialma », e dove creò nel
1969 il Villaggio « Martin Luther
Kin^ » di Meana di Susa.
Il dolore della Comunità di Via
Passalacqua è grande, per la perdita del predicatore efficace e persuasivo, ma soprattutto del pastore
(quante persone ricordano di essere
state attratte all’Evangelo dalla sua
apertura di cuore e dalla sua comprensione umana!). A questa Comunità e in modo tutto particolare alla
vedova Signora Maria che ha combattuto con lui il buon combattimento j)er oltre 40 anni, ai figli ed
ai parenti tutti l’espressione del cordoglio fraterno deU’Evangelismo torinese e del Battismo di tutta Italia.
Enrico Paschetto
Farne un periodo di esperie nze, si'oizcrdt si di inciiie i
catecLineni nella vita della comunità
Nel corso del colloquio pastorale di
maggio, tenutosi come di consueto il
secondo lunedì del mese, è stato proseguilo il dibattito sul problema dell'insegnamento catechetico. Sono stati
presi ^ in esame i programmi attualmente seguiti nelle comunità delle
Valli ed il materiale in uso. Si è riscontrata una sostanziale unità di impostazione in tutte le parrocchie; due
anni di studio biblico (Antico e Nuovo
Testamento), due anni di catechismo
(studio del catechismo vero e proprio
e temi affini). 1 testi di maggior diffusione risultano essere, per il primo ciclo, « La voce dei Profeti » e « La voce
degli Apostoli », per il secondo il « Catechismo Evangelico » e « Io sono il
Signore il tuo Dio » di Roland de Pury.
Le diversità di metodi seguiti sono determinati da situazioni locali ed ambientali; difficoltà di avere i ragazzi a
causa delle diversità di orari, numero
ridotto di catecumeni nelle comunità
di montagna ecc. Si hanno così parrocchie in cui i ragazzi del primo biennio sono uniti in un unico corso, altre
in cui i corsi sono divisi. Più diversificata è invece la materia del secondo
biennio (3» e 4“ anno); accanto allo
studio del catechismo si pone la Storia valdese, « Ma il Vangelo non dice
così », la Storia della Chiesa, l'approfondimento di temi etici. Ovunque si
nota uno sforzo di inserire i catecumeni nella vita della comunità di cui
saranno membri con attività pratiche;
partecipazione alle assemblee di Chiesa, inchieste, colportaggio, preparazione di riunioni, dibattiti. Si può cosi
notare nel complesso delTistruzione
catechetica una sostanziale unità di
impostazioni e di materiale; il raggiungimento di una uniformità generale appare lontano sia per le tendenze individualiste sempre vive fra noi,
sia per le diversità di situazioni. Si deve anche prendere nota, ed i parteci
iiiiimmimiiimiiiiiimiimiiiiiiiiiimiiiiHiiii
H'iimutiiiuiimimiiiiiitiiuimmiiiiu'iii
HI 11 IH! HMMMMM ir-1 IH»Ml
All’Ospedale Evangelico Valdese di Torino
RIFORMA SANITARIA
ATTO
La riforma sanitaria non si fa in un giorno.
Lo sanno gli italiani, che non l’hanno ancora
fatta, lo sanno i francesi ed altri popoli che
l’hanno fatta e generalmente ne sono abbastanza soddisfatti. Una riforma di questo tipo
si riflette non soltanto sui grandi complessi
sanitari, ma raggiunge quelli minori. E se
nei grandi complessi determina terremoti e
diflicoltà, nei piccoli provoca qualche caso di
maretta. Questo non toglie nulla all’orientamento ben deciso della nostra assemblea, che
non intende fare dell’ospedale una opera di
tipo settario, ma un servizio fatto per la gente,
per tutta la gente di tutti i tipi e di tutti gli
orientamenti. Il problema della salute dell’tiomo non è un fatto unicamente privato.
Nel confermare questo orientamento di fondo il Concistoro ha dibattuto la questione del
direttore amministrativo. La legge sugli ospedali di zona lo prevede e lo esige. La sua
utilità è evidente come forza propulsiva ed
organizzativa nel vasto campo del lavoro interno e dei rapporti con lo stato e i vari enti
sanitari. Il Concistoro si è persuaso di questa
necessità ed ha chiamato a questo ufficio il fratello in fede dottor Giorgio Morbo, ben conosciuto ed apprezzato da molti per le sue capacità direttive e per il suo orientamento vocazionale. Noi auguriamo a questo fratello, per
il quale la Commissione dovrà stabilire i tempi
e i modi dell’assunzione, un lavoro efficace
e benedetto.
* * *
Il nostro fratello dottor Lionello Gay ha
brillantemente conseguito, per concorso pubblico, il titolo di primario e direttore del
servizio dì ricerche chimico cliniclie e istopatologche dell’ospedale civile di Saluzzo. Ci felicitiamo col nostro amico che ha chiesto
Taspcttaliva presso il nostro ospedale per alcuni mesi.
Approfittiamo di questa occasione per ricordare il profilo del dottor Gay come risulta
dalla relazione del dottor Carlo Varese: «Assunto rincarico di Medico Interno nel 1943,
come da verbale dfdla Commissione Direttiva
allora presieduta dallTng. Guido DecTcer, il
gioA-ane collega, da poco brillantemente laureato, ha disimpegnato in modo encomiabile
completamente disinteressato un compito difficile e faticoso con rara competenza e con diligenza.
« Per lunghi anni è stato incaricato del
Servizio di Guardia Notturna. Ha saputo attrezzare, rendere efficientissimo e dirigere il
I^alioratorio di analisi con indiscussa competenza e con uno scrupolo ammirevole, rendendo
tale Laboratorio efficiente in ogni sua parte
ili maniera tale da poter competere coi Laboratori dei principiilì Ospedali cittadini,
« Si è prodigato costantemente nei servizi
di corsia in ogni ora del giorno e della notte.
Ha contribuito in larghissima misura e direi
determinante, ai raggiungimento della fama,
die Tospedale Evangelico di Torino, risorto
dalle macerie della guerra, si è conquistata,
riconosciuta dalle Autorità Sanitarie Provinciali e Comunali e da un larghissimo cerchio della cittadinanza. Con esemplare modestia ha dato tutto se stesso all’opera, dedicando tempo, studi e fatica, rinunciando spontaneamente per il solo Tiene dell’ospedale ad
una attività scientifica e professionale che,
esplicata in altri campì, gli avrebbe permesso
di conseguire importanti titoli professionali e
di assurgere, date le sue qualità scientifiche
e didattiche, alla carriera universitaria. Sin
dair inizio della sua attività ha saputo
conquistarsi V incondizionata stima delle
varie Commissioni Direttive, che si sono nel
tempo succidute e di tutti indistintamente i
numerosi Sanitari dellospedale. l’aiTetto e la
riconoscenza di migliaia di ammalati e la più
pregevole considerazione da parte di tutto il
personale amministrativo ed infermieristico ».
Viva in tutti noi è la speranza che Lionello
Gay ritorni, arricchito di nuove esperienze,
nell’ospedale valdese di Torino per dargli,
con i colleghi, quell’impulso che tutti aspettiamo ».
:(! 4: *
Tra le fatiche improbe della Commis.,ione
direttiva l’adeguamento dello Statuto e Regolamento dell’ospedale alla legge generale sui
complessi sanitari, ha assunto un importanza
di primo piano. La commissione si è avvalsa
dell’aiuto di consulenti, fra cui il dott. Franco
Ramella e il dott. Mario Verardi, direttore
amministrativo dell’ospedale internazionale evangelico di Genova. Esprimiamo loro la nostra gratitudine. Il lavoro di revisione comporta la definizione delle condizioni essenziali
per il raggiungimento del decreto di equipollenza dei titoli del personale. Il Concistoro
ha ricevuto la prinic. bozza, che la commissione ripresenterà ilopo l’esame delle varie
osservazioni, che le .-aranno pervenute.
Dai primi di maggio la direzione sanitaria
dell’ospedale è stata a.ssunta dal prof. Dario
Varese. Mentre abbiamo espresso in sede concistoriale la nostra gratitudine al dottor Carlo
Varese per il suo lavoro di direttore, svolto
con abnegazione e intelligenza per tanti anni,
vogliamo dire a chi è stato chiamato a sostituirlo nelle sue mansioni, la nostra stima e il
nostro affetto. Sappiamo che non è un lavoro
facile, specialmente in questi tempi, nei quali
i rapporti con gli ambienti esterni sono resi
dfficili dai cambiamenti di legge e dai nuovi
orientamenti nel campo assistenziale, ma confidiamo che i doni, che gli sono stati concessi
dal Signore, potranno essere messi con profitto a disposizione dei malati. Possa questa
esperienza — continuata sotto il segno del
medico credente ; « Io lo curavo, Dio lo guariva » — essere salutare anche per il nostro
giovane fratello in questo momento e soprat
tutto in tutti gli anni che gli saranno concessi.
Qualcuno ha male interpretato le modifiche legali, connesse col passaggio dalla categoria di infermeria per malati acuti a ospedale di zona e ne ha concluso sventatamente che
il nostro ospedale valdese cessava di essere valdese. Questa notizia è radicalmente falsa, perché il riconoscimento dell’ospedale valdese
come ospedale di zona è basato sopra l’esplicito riconoscimento della autonomia giuridicoamministrativa dell’Ente, Si tratta quindi di
ribadire una volta di più il carattere ufficialmente e giuridicamente valdese deU’ospedale.
Ci sia concesso però di dire che l’aggettivo
valdese può essere morto e sepolto se lo spirito, che guida le nostre opere, non fosse nella
realtà dei fatti, nel comportamento dei collaboratori e nell’amore del servizio per i sofferenti, uno spirito evangelico nel quale il rispetto della vita dell’uomo è elemento irrinunciabile.
^
E concludiamo queste note informative sulla vita dell’ospedale con un saluto augurale a
Luca Eynard arrivato ad allietare la famiglia
del prof. Arnaldo Eynard e della sua signora
Lilla Baridon. Possa questo figlio di medico
crescere in statura, in sapienza e in grazia
davanti al suo Signore, recando nella sua vita
uno spirito di amore per chi soffre.
Carlo Gay
pariti al colloquio lo hanno fatto cori
interesse, del fatto che sempre più si
vede nel periodo della catechesi un periodo di esperienze e di stimoli più
che di addottrinamento, un periodo di
formazione in vista del rinnovamento
della comunità cristiana di domani.
I catecumeni sono cioè proiettati in
modo sempre più chiaro verso il loro
futuro impegno di credenti nel mondo.
Le linee di sviluppo dell’insegnamento catechistico emerse dal dibattito
sono le seguenti;
a) Trasformazione del periodo catechistico da studio a esperienza comunitaria. È percepibile ovunque, infatti, la tendenza a raggruppare le
classi di catechismo, a dialogare sui
problemi della fede nel tempo presente, a prolungare il periodo di riflessione comune oltre la data fatidica della
confermazione. Su questa linea si supererà forse la rottura tra catecumeno e membro di chiesa, il primo impegnato nello studio astratto, ma imposto come disciplina, il secondo disimpegnato nella sua vita cotidiana.
b) Importanza sempre crescente
dello studio biblico. La presenza della
Bibbia nelTinsegnamento catechistico
non è certo una novità di oggi, si riscontra invece come nuova la tendenza a meditare insieme sul testo sacro
sia durante il primo biennio che il secondo. Si scopre cioè che la funzione
essenziale dell’incontro settimanale al
catechismo è l’imparare come leggere
insieme la Scrittura; lettura che naturalmente sarà proseguita dopo il catechismo nella vita della comunità. Si
supererà forse, così facendo, il concetto che la Bibbia sia il libro dei ragazzi fino alla confermazione da sostituire con altre letture in seguito o con
nessuna lettura.
c) Da inventare è invece l’interesse per una riflessione teologica più approfondita, il gusto per la lettura, lo
studio ulteriore dei problemi che si
pongono oggi alla responsabilità dei
credenti. Occorre cioè che nella comunità catechetica, nella riflessione comune e nel dibattito sui problemi attuali sorga l’interesse per la lettura e
la formazione ulteriore dei membri di
chiesa.
d) Positiva risulta invece l’altra
linea di ricerca tentata; l’inserimento
nel lavoro catechetico di laici qualificati. Come accade per la scuola domenicale anche per il catechismo la presenza di monitori capaci di dare una
seria formazione evangelica risulta a
tutto vantaggio della vita della comunità. Campo da esplorare anche questo, fratelli da inserire nel lavoro comune, giovani da formare e da preparare in vista di un ministerio.
Giorgio Tourn
Chiese e istituti assistenziali
All’Uliveto, un nuovo incontro fra pastori e direttori d istituto del presbiterio della bassa Val Pellice
Ultimamente ha avuto luogo, alTUliveto, il secondo incontro tra i pastori
e i direttori d’istituti del cosidetto presbiterio della Bassa Val Pellice. Ci sono
nella zona ben 9 istituti valdesi, dipendenti da organizzazioni diverse, il cui
personale non ha l’occasione ¿’incontrarsi (4 Istituti educativi, 3 per persone anziane, 2 per ammalati).
Il primo scopo di questi incontri è
di stabilire sempre migliori rapporti
tra i vari istituti, di modo che ognuno
possa trarre dalTesperienza degli altri
il massimo profitto tanto materiale
quanto spirituale.
Il secondo scopo è quello di stabilire
maggiori contatti con le comunità vicine. Si sa come gli istituti operano in un
certo isolamento, e come direttori e
personale si dibattono in mezzo a molto lavoro e diflicoltà d’ogni genere, e
molti lo fanno con grandi sacrifici.
Gli scambi di idee, durante la riunione, sono stati i seguenti;
— I. Rapporti tra gli istituti e le comunità:
1 rapporti tra le comunità, nel loro
insieme, e gli istituti si limitano spesso
a una raccolta di doni in denaro e in
natura. Si è verificato che talvolta le
nostre comunità non sanno accogliere
il personale degli istituti che viene da
lontano (Non si parla in questa sede
delle iniziative private).
Si è insistito, durante la discussione,
che i membri delle nostre comunità andassero negli istituti a trovare personale e ricoverati, senza portare niente,
se non « una buona parola ».
Per sensibilizzare le comunità si è
detto che il lavoro e i problemi degli
istituti fossero largamente presentati
nelle varie attività; assemblee di chiesa, riunioni quartierali ecc...
Un questionario è stato distribuito,
nel corso della riunione, nel quale si
chiede ai direttori quali aiuti concreti
potrebbero aspettarsi da persone o
gruppi di persone delle comunità vicine. In base alle risposte si vorrebbe
cercare di creare, a partire da ottobre,
dei gruppi di persone volontarie per
rispondere alle richieste degli istituti.
— IL Ravvorti degli istituti tra loro:
21 e 28 Giugno 1970, a Pradeltorno
GIORNATE DIACONALI
PROGRAMMA DELLE DUE GIORNATE
ore 11 - Culto nel Tempio di Pradeltorno
ore 12,30 - Pranzo presso la Foresteria Valdese « La Rocciaglia »
ore 14,30 - Tema della giornata « L’incontro con l’altro »
Le nostre istituzioni ospedaliere, di assistenza e di educazione sono
innanzitutto opere di servizio reso, nel nome del Signore, a coloro che
l’Evangelo chiama i minimi (vecchi, bambini, malati). È dunque l’istituzione al servizio dell’uomo e non viceversa. Ma come è possibile, nel logorante lavoro di tutti i giorni, rendere esplicita questa verità? Come
possiamo qualificare evangelicamente il nostro servizio? Cosa vuol dire
« incontrare l’altro », l’anziano, il sofferente, il bambino, nella dimensione
umana realizzata e insegnata dal Cristo? Questo sarà il tema delle nostre
giornate. Cercheremo di esaminarlo sotto il profilo biblico e psicologico.
L’incontro è aperto a tutti coloro che nei nostri istituti e fuori di
essi, nella loro professione, sono più direttamente impegnati in un servizio assistenziale, e a ogni altro membro delle nostre Chiese che sente
la validità e l’urgenza del problema.
Le iscrizioni devono giungere entro il 18 Giugno (per la giornata
del 21) e entro il 25 Giugno (per la giornata del 28) al Pastore Alberto
Taccia, 10060 Angrogna (Torino), tei. (0121) 41444.
Qualche esperimento positivo è già
stato fatto, soprattutto fra gli istituti
educativi.
Si è pensato che sarebbero utili incontri per responsabili d’istituti del medesimo tipo, di modo che essi abbiano
la possibilità d’informarsi e aggiornarsi
su esperimenti e ricerche che si fanno
altrove.
— III. Le giornate diaconali:
In questi istituti c’è del personale
evangelico, legato da una vocazione comune, ma spesso non è seguito abbastanza. Sono già stati esperimentati
l'anno scorso con larga partecipazione,
degli incontri, « le giornate diaconali »,
organizzate dal Centro diaconale in collaborazione con la C.I.Q.V.; i temi trattati sono stati la vocazione, e il rapporto con le comunità.
Un prossimo incontro, diviso in due
volte, come si era già fatto, a causa del
problema dei vari turni del personale,
SI farà il 21 e il 28 giugno a Pradeltorno,
con il tema « rincontro con l’altro ».
— IV. Problemi di vita spirituale.
Nel corso della discussione sono stati
sollevati altri importanti problemi. Prima quello sul senso vocazionale del lavoro. Ci si è chiesto se sono molti quelli
che sentono veramente come una vocazione il lavoro che fanno; e si è detto
che ad ogni modo quelli che lo sentono
hanno bisogno di essere circondati.
Un altro problema è quello della vita
spirituale. Alcuni sentono la mancanza
di un vero legame tra le persone che
lavorano nello stesso istituto. Si è parlato del culto per il personale; l’attuazione, sperimentata in alcuni casi, sembra difficile; per avere un vero significato la richiesta dovrebbe partire dal
personale stesso, ed il culto potrebbe
essere fatto a turno, se fosse possibile.
Marie-France Coìsson
Convitto Maschile Valdese
10066 Torre Pellice (To)
VACANZE ORGANIZZATE
dal 29 giugno al 31 agosto
Si accettano ragazzi dai 7 ai 14 anni.
Piscina coperta. Possibilità di lezioni
di nuoto.
Per informazioni e prospetti telefonare
al (0121)91230 o scrivere
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N. 24 — 12 giugno 197(1
La Chiesa nel mondo
a cura di Roberto Peyrot
Il monimento misslonarn indipa nel PaGillGO
Una pagina ignorata della storia delle missioni cristiane
Porto Alegre; Si? No?
Pubblichiamo qui sotto il testo della
dichiarazione fatta dal dr. André Appel,
segretario generale della Federazione
luterana mondiale (FLM), a « Intervox », un notiziario radiofonico ecumenico trasmesso da Ginevra, circa la
prossima quinta Assemblea generale
della FLM prevista a Porto Alegre,
Brasile.
Mai finora un’Assemblea della FLM
aveva riscosso tanto interesse fra le
Chiese e Topinione pubblica. Ciò è dovuto alla combinazione del tema scelto,
Mandati nel mondo, con la situazione
particolare in cui versa la nazione ospitante, il Brasile. Nell’Europa occidentale e negli USA si sono manifestate
ultimamente preoccupazioni crescenti
per i rapporti relativi a torture e alla
negazione dei diritti dell’uomo, in Brasile. Il fatto che la Chiesa cattolica romana, attraverso alcuni dei suoi membri, sia stata accusata di sovversione,
pone ora il nroblema: quale dovrebbe
essere, ossi, la nostra testimonianza cristiana? Nessuno si sorprende nel ricevere risposte diverse, e anche opposte
a questa domanda. Alcuni pensano che
tenere FAssemblea in Brasile significherebbe dare un riconoscimento de
facto del regime militare che vi domina attualmente. Note di protesta inviateci giungevano ad accusarci di sostenere i metodi di tortura.
Altri sono convinti che il Brasile non
garantisce la possibilità di espressione
assolutamente libera a un’Assemblea e
che la sicurezza dei partecipanti sarebbe in pericolo.
Invece la Chiesa ospitante è sconvolta da tutta la campagna di stampa
e d’opinione. Inizialmente essa pensava a un incontro tradizionale, che seguisse i binari classici, un incontro interno della famiglia luterana. Essa non
s. rendeva conto della dimensione politica che una conferenza intemazionale
assume oggi. Devo dire che i suoi leaders hanno avuto un brusco e rapido
risveglio e che attualmente sono perfettamente consci di tutta una serie di implicazioni che l’Assemblea ha necessariamente.
Questa chiesa concorda che un’Assemblea della F.L.M. non potrebbe ignorare il contesto umano o sociale della
nazione ospitante ed è pronta a un confronto. È abbastanza interessante notare che la cosa preoccupa anche maggiormente i suoi ospiti.
La Giunta della FLM ha preso in considerazione le due possibilità. In caso di
cancellazione della convocazione, dovremmo probabilmente esprimere una
pubblica protesta contro alcune delle
condizioni vigenti in Brasile — ma senza la partecipazione della Chiesa ospitante. Alcuni interpreterebbero la nostra decisione come un tentativo di
sfuggire a una situazione difficile; altri,
invece, pensano appassionatamente che
SI tratterebbe di una effettiva testimonianza.
La Chiesa ospitante insiste ancora
perché l’Assemblea sia mantenuta in
Brasile, pensando che il suo scopo dovrebbe essere di aiutarli nel loro processo di apprendimento, sì da renderli
capaci, sebbene siano una Chiesa minoritaria, di assumere la loro responsabilità sociale e politica. Essi pensano che
una testimonianza resa in qualche altro
luogo e da gente esterna non porterebbe un contributo reale.
Ci troviamo dunque di fronte a un
vero dilemma, che speriamo sarà fecondo. La decisione finale, che dev’essere presa presto, dovrà valutare in modo
approfondito l’affermazione, da parte
della Chiesa ospitante, che nel caso di
convocazione a Porto Alegre saranno
garantite le condizioni per un dialogo
aperto, per una discussione libera, per
una testimonianza piena.
Il 1« giugno — e la notizia ci perviene al momento di andare in macchina
— la F.L.M. ha ribadito, in un comunicato diffuso dalla Giunta a Ginevra,
che la quinta Assemblea luterana si
terrà effettivamente in luglio in Brasile. La decisione, dopo tutte le discussioni degli ultimi mesi (che del resto
non saranno sicuramente state inutili), è ormai definitiva. L’Assemblea
non comporterà alcuna partecipazione
da parte del governo federale brasiliano, e si insiste fortemente sul fatto
che essa avrà un accentuato carattere
di « incontro di lavoro » e di « dialogo ».
Giunge tuttavia notizia che la Chiesa evangelica luterana di Lubecca
(Germania occ.) ha deciso di non inviare i suoi due delegati a Porto Aiegre. La Chiesa afferma che se il tema
« Mandati nel mondo » dev’essere discusso in modo serio, sarà impossibile
evitare di parlare della situazione concreta in cui versa il Brasile. In tal caso a subirne le conseguenze non sarebbe l’Assemblea della F.L.M., ma la
Chiesa ospitante. Si è domandato al
vescovo Heinrich Meyer di Lubecca, il
Direttore responsabile: Gino Conte
quale doveva partecipare aH'Assemblea come consulente, di non recarsi
a Porto Aiegre.
Da parte loro i delegati norvegesi
hanno pregato con insistenza la F.L.M.
di fare tutto quanto è in suo potere
perché l’Assemblea non sia utilizzata
dal regime brasiliano a fini politici.
I BATTISTI TEDESCHI
NON DESIDERANO ANCORA
DIVENTARE MEMBRI DEL CEC
Oldenburg (soepi) - L’Associazione delle
Chiese battiste evangeliche libere della Germania occidentale hanno deciso di attendere a
sollevare la questione della loro candidatura a
membro del CEC, lino a quando avranno una
esperienza sufficiente deH’ecumenismo « a livello locale ». Infatti numerose chiese battiste locali sono ancora ostili a un’eventuale
candidatura, com’è risultato da una conferenza
di lavoro sulle questioni teologiche, tenutasi
alla fine del Sinodo del Consiglio battista di
Germania, a Oldenburg. Esse pensano che è
più importante creare buone relazioni a livello locale, « a casa ».
IL CARDINALE CUSHING
VUOLE UN’AMNISTIA
PER I GIOVANI USA ARRESTATI
PER MANIFESTAZIONI
O RICERCATI PER DISERZIONE
Boston (Relazioni Religiose) - L’arcivescovo
di Boston, cardinale Cushing, si è rivolto alle
autorità degli Stati Uniti invitandole a decretare una amnistia generale per i manifestanti
che sono stati messi in carcere e per i disertori che hanno lasciato gli Stati Uniti. Il
74.enne porporato ha detto che gli americani
hanno bisogno di uno spirito di « riconciliazione » soprattutto nei confronti dei giovani.
Secondo il porporato i giovani USA sono confusi e protestano contro un mondo in cui non
riescono ad inserirsi. Inoltre essi desiderano
la pace ma vengono coinvolti dalla violenza,
cercano la bellezza ma la trovano solo negli
stracci e nelle droghe, cercano amore e trovano solo sesso.
Presso la Facoltà Protestante di Teologia, nelle isole Fiji, è stata inaugurata
recentemente una cappella dedicata alla memoria dei cristiani delle isole del
Pacifico, che hanno evangelizzato isole
spesso molto lontane dalla loro patria.
Poco si è parlato di loro e della loro
opera, se non occasionalmente nei racconti dedicati all’opera svolta dai missionari europei e americani.
Per la prima volta, in occasione della
inaugurazione di questa cappella, è stato preparato un elenco che indica i nomi, le date e il campo di lavoro di questi missionari. Ecco alcune cifre.
Le isole Fiji hanno mandato 269 missionari, quelle di Samoa 209, le isole
Cook 197, le Salomone 139. Di questi
missionari 561 hanno operato nella
Nuova Guinea, 98 nelle isole Salomone,
73 nelle Nuove Ebridi, e 38 nelle Isole
Gilbert e Ellice.
In un articolo pubblicato nella « International Review of Missìon », edita
dal Consiglio Ecumenico delle Chiese
(aprile 1970), il professore C. W. Forman della Università di Yale (Stati Uniti) sottolinea alcuni fatti interessanti
su questo movimento missionario indigeno del Pacifico.
L’apogeo di questa attività apostolica
si verificò tra gli anni 1900 e 1910, perché a quell’epoca le chiese indigene fondate dagli europei erano già abbastanza forti per poter fornire degli uomini
all’opera di espansione verso isole non
ancora evangelizzate, o dove i missionari europei non erano abbastanza numerosi. Dopo il 1910 il campo di azione
a loro aperto venne riducendosi gradatamente, poiché in tutte le isole, ad eccezione della Nuova Guinea, vi erano
ormai delle chiese cristiane abbastanza
forti per evangelizzare le tribù locali
rimaste pagane. Però lo zelo per la inissione è ancora vivo in molte comunità,
e continuano a mandare uomini e donne nella Nuova Guinea; ogni volta che
nelle Fiji o nelle Samoa giungono appelli per dei missionari, i candidati superano sempre il numero richiesto. Al
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 — 8.7.1960
Tip. Subalpina s.p.a - Torre Pellice (Tol
IL SOGNO
De Gaulle è in cammino verso
S. Giacomo di Compostella, il celebre
santuario nel quale un’antica leggenda pretenderebbe che sia sepolta la
salma di Giacomo il maggiore. Illustre
pellegrino, egli intende ripercorrere la
via degli antichi re di Francia.
« Uex-presidente della Repubblica
Francese e la sua consorte avevano
trascorso la prima notte in terra iberica, a Parador de Santillana del Mar,
a 28 km. da Santander. Al loro arrivo,
un veterano del reggimento di cavalleria che De Gaulle comandava a Metz
nel 1937, aveva offerto un mazzo di fiori alla Sig.ra De Gaulle.
La mattina del 4 c., fresco e riposato, il generale prese congedo dai suoi
ospiti e salutò, prima di salire in automobile, alcune persone che lo attendevano in piazza. Le due “D-S” nere hanno tosto preso la via della Galizia, seguite da una macchina della polizia e
da un manipolo di giornalisti. Contrariamente ad ogni congettura, il generale non s’è fermato a visitare né la
collegiale di Santillana, né le grotte
preistoriche d'Altamira (...).
È evidente che il generale ha voluto
ripercorrere il pellegrinaggio di migliaia e migliaia di Francesi, particolarmente intenso dieci secoli fa, prima
e dopo dell’anno mille. (...) E non deve stupire che egli abbia, una volta
tanto, rinunciato all’aereo che l’avrebbe portato direttamente da Orly, in tre
o quattro ore. Infatti, per apprezzare
la bellezza di Santiago, per sentirsi penetrati dalla potenza sacra della basilica dell’apostolo, occorre aver camminato sulla lunga via dei pellegrini, o
almeno essersi sottoposti a un certo
sforzo. Occorre aver ingoiato la polvere di Vézelay, sofferto il freddo dei
colli pirenei, e udito il vento urlare
nelle vallate deserte dei monti Cantabrici. Occorre aver sorpassato la cima
del monte Cebrero, e percorso i sentieri profumati della Galizia... Attraversata la Francia e la Spagna, ecco,
al termine della lunga marcia, apparire, così come a Carlo V o a S. Luigi di
Francia, i centoquattordici campanili
della città sulla quale (dice la tradizione) apparve anticamente una stella...
Il cammino, seminato di monasteri
e d’ospedali, è quello dell’epopea francese. L’Omero francese vi raccolse il
racconto delle avventure di Carlomagno e del paladino Orlando, e scrisse
così il primo grande poema nazionale
dedicato alla "Francia, dolce terra degli avi". Ecco quello che De Gaulle,
che non era ancora mai andato in Spagna, ha certamente voluto fare...
Il segreto dell’itinerario del generale
è ben tenuto. Le autorità ufficiali regionali non sono state informate: le
personalità locali dei ministeri, dell’arcivescovado, dei servizi dell’aeroporto, della polizia ecc., sono loro ad
interrogare i numerosissimi giornalisti, francesi e stranieri, arrivati in Galizia per la circostanza. (...) I resisten
ti e quei numerosi combattenti del
Fronte Francese di Liberazione, che
passarono dei mesi nelle prigioni di
quei paesi, si porranno forse il problema, se questo viaggio sia o non sia
opportuno... Tuttavia essi sanno che
De Gaulle ha dimostrato sempre il suo
attaccamento a tutti i popoli europei,
qualunque siano i regimi che li governano. La sua Europa non è forse quella che comincia dalle coste dell’Atlantico, a fianco delle frontiere del Portogallo, e arriva agli Urali, comprendendo i tre quarti delle repubbliche sovietiche? Non è forse quella comunità
che, nel regno dello spirito, esisteva
già nel M. Evo?
Ed ecco presentarsi un problema politico: il generale s’incontrerà col capo
dello Stato spagnolo? Questo problema se lo pongono tutti i giornalisti
spagnoli» C--C molti altri ancora, aggiungiamo noi!).
(Da un articolo di Charles Haquet,
sul « Figaro » del 6-7.6.1970).
LA DELUSIONE
Essa è ben grande oggi in Israele, e inacerbisce pericolosamente gli
animi!
« Una caricatura, pubblicata recentemente nel “Maariv”, giornale della
sera, riassume efficacemente le condizioni di spirito che regnano negl’israeliani: Israele è raffigurata in un piccolo soldato seduto sulla cima d’una
montagna rocciosa, che guarda coraggiosamente davanti a sé, mentre degli
orribili avvoltoi volano intorno alla
sua testa. Il significato è spiegato da
un versetto biblico:
« Io lo guardo dal sommo delle rupi
e lo contemplo dall’alto dei colli;
ecco, è un popolo che dimora solo,
e non è contato nel novero delle
nazioni » (Numeri 23: 9)
E una canzone, molto popolare quest’anno, intitolata “Il mondo intero è
contro di noi”, esprime anch’essa i sentimenti dell’israeliano medio: "Il mondo intero è contro di noi, ma noi ce ne
infischiamo: che tutti quelli che sono
contro di noi, vadano al diavolo”. Presentando questa canzone alla televisione, gli attori danzavano giuocando simultaneamente al pallone con un globo terrestre.
Questo stato d’animo, che s’esprime
in vari modi, è il risultato della profonda delusione degli israeliani, i quali speravano che, dopo la folgorante
vittoria militare del giugno 1967, sarebbe venuta la pace tanto desiderata
da tutti. A quell’epoca, soltanto una
piccola minoranza pensava che, malgrado quella stupefacente vittoria, il
conflitto arabo-israeliano non sarebbe
stato risolto con la forza. La maggioranza, invece, era convinta che, dopo
una simile sconfitta, agli arabi non restasse che chiedere la pace (perché
“gli arabi non capiscono altro che il
linguaggio della forza”, come tanto
spesso si sentiva dire) ».
(Da un articolo di Amnon Kapeliouk
su « Le Monde » del 6.6.’70).
l’ultima riunione della Associazione delle Facoltà teologiche del Pacifico è stato deciso di chiedere al Consiglio Ecumenico di indicare dei paesi, ovunque
nel mondo, dove indigeni delle isole
possano essere mandati in missione.
. contrasto con questa intensa attività missionaria degli indigeni protestanti, pochissimi furono i missionari
usciti da ranghi delle chiese cattoliche.
La ragione fu anzitutto il numero imponente di missionari cattolici occidentali, e il fatto che, fino a poco tempo fa,
il livello di preparazione degli ausiliari
cattolici fu mantenuto a un grado molto inferiore a quello vigente nelle missioni protestanti.
Una caratteristica di questo movimento missionario del Pacifico è che i
suoi missionari hanno operato come
avanguardia nelle regioni ancora pagane, spesso esposti all’ostilità dei pagani,
privi di ogni protezione, e in condizioni
materiali particolarmente disagiate. In
molte occasioni rimasero senza viveri
per lunghi periodi, o dovettero fuggire
col favore delToscurità. Un certo numero furono legati su delle zattere e
lasciati in balia delle correnti marine,
o uccisi e mangiati. Molti altri morirono di malattia, spesso dovuta alle
privazioni' inerenti a una attività in
paesi lontani dalla loro patria. Non vi
è dubbio che le sofferenze e le privazioni subite da loro furono superiori a
quelle cui furono esposti i missionari
occidentali, meglio equipaggiati e preparati.
Il loro coraggio, la loro consacrazione
e il loro entusiasmo andavano spesso
oltre limiti ragionevoli. B. Danks, un
pioniere missionario di New Britain,
dovette un tempo dare ordini precisi
ai suoi collaboratori indigeni perché
non si precipitassero tra due tribù durante le battaglie, per cercare di fare
cessare il combattimento. Alcuni evangelisti, nelTinterno della Nuova Guinea
offrirono sè stessi come sostituti di persone che stavano per essere uccise, sperando di indurre così gli uccisori a riflettere sul loro proposito e a rinunciarvi.
D’altra parte questi missionari intrepidi sono stati aspramente criticati per
altre caratteristiche che in un certo
senso erano la controparte delle prime. Il loro zelo li spingeva a non tollerare la concorrenza di altre missioni
cristiane, e particolarmente quelle cattoliche. Uno di loro incitò i membri della sua comunità a distruggere a colpi
di scure Tabitazione di alcuni missionari avventisti, stabilitisi di recente nell’isola dove predicava, e a farli accompagnare in canoa fino alTisola donde
erano venuti. Lo stesso zelo ardente li
spinse spesso a esercitare pressioni di
vario genere sui membri delle tribù che
evangelizzavano, e ad esigere una completa sottomissione alla loro autorità,
seguendo di fatto l’uso locale per cui
nel paganesimo gli stregoni esercitavano una autorità assoluta su tutti gli
aspetti della vita dei loro seguaci.
Ma, accanto a questi eccessi, vi sono
innumerevoli casi di missionari indigeni che seppero guadagnarsi la fiducia e
l’affetto delle popolazioni evangelizzate con resem"io di una vita tutta dedicata al servizio della gente. Le testimonianze che si trovano nella corrispondenza dei missionari europei dell’epoca sono decisamente in favore dei
loro colleghi indigeni. « Il loro lavoro
ha avuto pieno successo ». « Come siamo fortunati di avere quest’uomo con
noi! ». « Senza il suo aiuto e il suo sostegno fedeli e disinteressati non avremmo potuto far fronte alle difficoltà
Nel Lesotho
Tensioni tribali, politiche e religiose nel piccolo regno tributario dell'economia sudafricana
Il Lesotho è un piccolo paese dell’Africa australe, popolato da appena
un milione di abitanti. Chiamato Basutoland all’epoca del protettorato
britannico, è divenuto indipendente
nel 1966. Era ed è rimasto fortemente
legato all’Unione (ora Repubblica)
sudafricana, per evidenti ragioni economiche. Il piccolo paese ha un’importanza particolare per la Società
delle Missioni Evangeliche di Parigi,
perché è stato una delle prime regiogioni nelle quali essa ha inviato i propri missionari (fra i quali dei Valdesi) e quella popolazione ha legami
profondi con i Malozi, la popolazione
rhodesiana, ora zambiana fra la quale la Missione di Parigi ha operato in
modo particolare. La Chiesa evangelica del Lesotho è una Chiesa consistente, da tempo autonoma. Essa
non si mantiene estranea alla crisi
che, a meno di quattro anni dall’indipendenza, travaglia il piccolo regno
costituzionale.
Infatti il 30 gennaio scorso il capo
Leabua Jonathan, rifiutando i risultati delle ultime elezioni, a lui sfavorevoli, assumeva il potere e poneva
agli arresti il re Moshesh II, come pu
incontrate ». Una buona testimonianza
è pure resa all aiuto recato dalle mogli
di questi uomini ai missionari occidentali.
Alcuni dei difetti segnalati nei missionari deH’epoca eroica sono spariti
gradatamente, grazie ai cambiamenti
avvenuti nell ambiente, alla migliore'
educazione e preparazione di coloro che
vengono mandati in missione, e alTecumenismo che incoraggia una migliore
comprensione e valutazione delle altre
denominazioni cristiane.
In questi ultimi anni le chiese indigene hanno cercato di assumere l’intera responsabilità dell’opera che compiono i loro missionari, invece di accontentarsi di mandarli come ausiliari
dei missionari europei e americani. Per
esempio la chiesa delle Samoa ha assunto la completa responsabilità dell’opera svolta dai suoi missionari nella
Papuasia, d’intesa con la chiesa di quel
paese. Così hanno fatto pure le chiesedi Nauru e Rarotonga.
Come abbiamo detto, queste chiese
che hanno contribuito così efficacemente alla evangelizzazione nell’area delrOceano Pacifico, offrono ora di estendere il loro contributo ad altre parti
del mondo, se sarà loro offerta la possibilità di farlo. E l’articolo termina dicendo; « Speriamo che si trovi il mododi rendere possibile questo nuovo capitolo missionario delle Chiese delle
Isole dell’Oceano Pacifico ».
R. C.
Asterischi elvetici
Nel 1969 le Chiese riformate dei Cantoni
romandi hanno fatto pervenire al Dipartimentomissionario romando le seguenti somme ; Vaud,
fr. 1.223.000; Neuchâtel, fr. 493.000; Ginevra,
fr. 440.000; Giura bernese, fr. 365.000; Vailese, fr. 22.000, che sommate alla vendita di
francobolli obliterati, agli utili di manifestazioni diverse e ai doni danno un totale di 3
milioni di franchi svizzeri, pari a circa 420'
milioni di lire.
^ ^
La formazione del clero cattolico romanonel Canton Ticino sarà in avvenire curata
dalla Facoltà di teologia dell’Università cattolica di Friburgo. Infatti, dato il ristrettonumero di vocazioni le classi di teologia, come
pure quelle del ginnasio-liceo diocesano sono
state chiuse. I futuri sacerdoti seguiranno i
corsi del ginnasio-liceo cantonale a Lugano o
quelli del Collegio Papio di Ascona.
* *
Grazie all’appoggio finanziario della Chiesa
riformata del Cantone di Vaud, la segreteria,
aperta a suo tempo dalla Chiesa Valdese di
Losanna, che svolge una attività sempre piu
utile a favore -degli emigrati e di altri interessati senza distinzione di credo e di nazionalità (accanto al Servizio sociale protestante di
Losanna), sarà aperta tutti i giorni; indirizzo:
Place de la Palud, N. 18.
* :};
La Chiesa evangelica di Novaggio, presso
Lugano, la decana delle comunità riformate
del Canton Ticino è centenaria. Infatti fondata nel lontano 1870 da Ticinesi d’antico
ceppo, la Chiesa di Novaggio è stata l’unica comunità evangelica del Ticino, fino alla creazione (1883) della Comunità di lingua tedesca
di Bellinzona, che aveva una dipendenza di
lingua italiana a Biasca. Nel 1965 ha aderito
alla Comunità riformata trilingue di Lugano
c dintorni, affiliata alla Federazione delle Comunità riformate del Canton Ticino.
J. Rosetti
SOUIH WEST AFRICA
REPUBLIC OF SOUTH AFRICA
CAPE PROVINCE
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EAST lONOON
RORf~-lIZARErM
re il capo del partito d’opposizione,
che aveva conquistato 33 dei 60 seggi
al parlamento. L’indomani stesso le
personalità direttive delle Chiese chiedevano udienza al nuovo capo dello
Stato; esse richiedevano la fine dello
stato d’emergenza e offrivano la loro
collaborazione in vista di una riconciliazione fra gli avversari. Il loro passo restava senza risposta.
Come in altri paesi, posizioni politiche e appartenenza religiosa vanno
spesso di pari passo: i protestanti sostenevano il partito del Congresso (la
opposizione), mentre i cattolici appoggiavano il partito Nazionale, quello
del capo Leabua Jonathan. (Quest’ultimo accusa il suq rivale di essere infeudato al comunismo internazionale,
mentre, per parte sua, egli non nasconde le proprie simpatie nei confronti del regime della contigua Repubblica Sudafricana, dalla quale dipende in buona parte l’economia del
paese. Più grave è la discriminazione
che si opera fra cattolici e protestanti, dato che i posti nell’amministrazione e le prebende sono distribuite
di preferenza ai partigiani del capo
dello Stato, cioè ai cattolici.