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Aimu 1 XXVIJ - N. 44 '
TORKE PELIJCE, 14 Novimbrc 1917^;
Spcdizionp in abbonnniei to po'• I Gruppo
Prezzo LIrtt f O
SETTIMANALE DELLA
LEGAMI D'AMORE
Quanto amo questa parolai!
sa ci presenta in una luce particolare
l’anior cii Dio, quell’Amore di cui
ragioniamo spessgt e volentieri, senza forse afferrarne tuMd la pprtata...
Questa jiortata è per l’appunto
messa qui in evidenza: ci viìen ricordato qual sia il metodo divino di azione nei cuori e nel mondo; e sono
implicite le dite conseguenze che soatur¡scoilo dii sì amorevole metodo.
So li aiìirnvo con corde umane, con
legami d'amore. (Osea XI, IJ
Es-.
Spett
ÍÍ
ò i-l mate e aU&'n^^^cvi,
jezmámente al iJine,, Rom. 12: 9
CHIESA VALDESE
SILVIO PONS
RAFFRONTI
lascia che il suo debole figlio, oostoft-.
temente ricada nel peccato?
LI ATTIRAVO, Il Signore dunque
« aUiia». La sua azione si svolge esst nzinlmeilt'e, non per mezzo, delila
potenza travolgente della sua Santità e della sua Giustizia, bensì con la
persuasione della sua Bontà. ■
Sembra che Osea, il profeta della
Misericordia divina, abbia avuto —
come Eliuij net deserto — la visione
nnticfjpata di quei che ÌfEvangehi appieno rivela: l’Iddìo Avitissimo,, Sovrano, Oifiera di preferenza col suono dolce e sommesso, anziché con la
violenza diel vento', del terremoto,
<i< l ¡fticif.vt... -— ” IckUo ha tanto amato il mondo”. ’’Dio è amore”.
Il
Ma come mai, allora, codesto Ampre sovrano, onnipossente^ non inter: t'irne Egli ,;n nianitra più efficace
ni l inondo sconvolto?
bdite: ’Ai attiravo”, dice, CON
CORDE UMANE; con vincoli, cicè,
8(!nhibili la chi possiede un cuore u- '
Ulano; a chi è capace d: comprendere l’affetto; a chi, sentendosi amato, .si sente spinto ad! amare..
fi Creatore, ché ha fatto l’uomo a
sua immagine, non costiin^,, nè si
inifxoiie: prende sul scribi la libertà
vh Egli, ha concessa alla sua creatiira
m, >raJe. Preziosa libertà^ che ha la
sua dfignità t? grandezza divina, ma
che ha pure i suoi pericoli in un
mondo ’in divenire” cani’è queMo'
nttìud(\ dove necessaria è la lotta.
Ora. è precisamente per il cattivo uso della sua libertà che ii mondo
soffre; è ¡terchè preferisce il giogo
Ci,•! rotto delle proprie passioni egoiste, che Tmnanità sconta le sue ribelUonì. Cornei l’Israele antico: !’vede che mala ed amara co.sa è abbandonare TEterno, il suo Dio, e il non
aver di Luè alcun timore^’.
Insensato adunque chi pensasse
di fap Dio responsdbd^ dei delitti
jier.>cui la nostra dplente storia grmv
da lagrime e sangue! Non serve dubharà! Non serve tèoabdtralre! —.
Cre.r6imte, rioordaio. E qumdoj, il
Cielo sembrando chiuso alle tite ardenti .supplicazioni mentre l’iniquità
va crescendo, tu aldi TAvversario
sghignazzare mdl'ombra: " Eh! l’Iddio tuo, dov’èf”, sappi rispondere
coti incrollabile fiducia: ’’L’Iddio
mio è il LHó dii amare che. ” usa di
¡Hizìentsa, non volendo chè alcuni per
r.iscano ma che tutti giungano a ravvedersi...^’.
Ed Egli attira, infine, CON LEGAMI D’AMORE, Questo conoeirne pai*
•icolai-mente la vita cristianaPotremmo invero chiederci, talcr
ra, come mai il Padre Celeste non ci
tende Egli più forti, veramiente vàtoitiirsi nel ” buon combattimento”?
Egli, l’Amore che può tuttOf perchè
Credent!, si tratta di metìjere in che
modo ndi realmente ci lasòiamo afferrare dai cordami del Divino Ampre. Quat’è, praticamipnte, la presa
che essi hanno su di noi?
Certo, .noi crediamo; anzi, ci' è
dolce sentirci l’oggetto dell’Etèrno
Amjrre. Eppure, non oonosdamo abbastanza Id gùiia tìti questo! Tuostro
credere; la fede non è abbastanza
per ubi '‘’’certezza”, ’’dfmktstrazior
ne”, ’’potenza che vince il mondo’
...Perchè?
Perchè — sia pure inconsciamente
— professiamo a volte una pietà ancora troppo pagana: ci ricordiamo di
Dio e ci serviamo di Lui, secondo il
bisogno, come di un pptente Protettore, anziché sentirci preoccupati di
servire Lui, qi Lui censacrandoefi.. Ed
ecco allora le nostre più sante risoluzioni trasformarsi in vergognose
sconfitte!
Od è perchè, <|ft fondo, abbiam panra di Dio: c’illudiamo di poterci nasccndére da Lui, come Adamo ed
Èva; ci è molesto il pensiero eh’E gli
legge... anche in quegU àngoli nostri,
dove non ci piace che si accenda il
lume. —■ Or, ’’chi ha paura non è
perfetto nell’amore”-,
,E’ perchè, insomnus, sono ancora
troppi i nostri ’’interdetti”, i quali
dimostrano il nostro scarso amore,
in risposta al Suo infinito amore.
Nc! Non così! Chè se pensiarrm invece al fatto ch’Ei non cessa dii attirarci a Sè (in quanti mai modi: con
la gioia e col dolóre, con benedizioni di ogni g/eniere e con prove animemitrici, tutto facendo cooperare al
bene di chi L’amai, rioni possiam]p
non cadere in ginocchio, adoranti;
« Voglio servirli sempre, o mio Si. gnore,...
Padre, mi volesti amar! ».
LEGAMI D’AMORE.'
Non è egli vero che, per essi, s’illuminano agli occhi nostri tanie cose
che ci conturbano nel caos indecifrar
bile della vita?
' E — quel che più monta — essi
ci aiutano a più decisamente amare
Colui che ci ha amati il primo.
Luigi Marauda
Precieux souvenirs
du Synode
Les messages que les églises locales
échangent entr’elles sont une'des plus
anciennes traditions que les chrétiens
conservent. Suivant les lieux, les temps
et les circonstances ces messages ont
exprimé l’encouragement à persévérer
dans la foi, la sympathie pour les souffrances ou les difficultés, quelques fois
des avertissements et même des rappels à la volonté, du Seigneur et enfin
simplement des salutations, en témoignage de la fraternité spirituelle.
Notre petite église Vaudoise beneficie depuis des siècles aussi de cette
forme de fraternité avec un grand nombre d'églises répandues dans le monde
entier. Est-ce à cause de sa minuscule
dimension, comme le plus petit d'une
.nombreuse famille qui est l’objet des
soins particuliers de tous ses frères?
Estrçe à cause de son âge venerable,
parmi les églises réformées qui lui ont
succédé ? Quelque puisse être les respect que nous devons à l'histoire de
nos pères nous savons que "notre egUse
ne peut pas vivre des ” rentes ” de
son passe glorieux et que la vaste sympathie dont nous jouissons est une pure bénédiction, de Dieu en même temps
qu'une grande responsabilité, vers notre avenir.
dislincii/, en un mot ce n'était pas le
jeuai aes etrangers ’ niais le jeuüi
ue nos freres, le jeudi de Ui famiue
cureuenne. L esprit d'unice, le ventame oecuménisme en Christ était la, en
action.
Dans cette étroite fraternité que nous
devons culiiver en toute occasion et de
toute manière, ciiacun de nous a quelque chose à donner.
Une lettre amicale et personnelle aux
delègues que nous avons connus, un
mot de souvenir dans les circonstances
particulières, un signe de sympathie
a l occasion des événements heureux
ou tristes qui touchent les églises ou
les pays de chaque delegué, voilà autant de moyens dre fortifier ces liens qui
dépassent en valeur et importance tous
tes autres que cette terre peut nous
offrir.
Ld grande popularité dont jouit à
l'époque du Synode le jeudi des étrangers ’ ' est un signe que lions apprécions les messages que tant de delegues nous apportent: sachons aussi en
tirer tous les enseignements qu’ils contiennent.
Cette année les messages que nous
avons reçu ont. été particulièrement
nombreux et chaleureux, mais la chose
gui nous a le plus frappé c’est une
inspiration nouvelle et plus intense, ou
plus exactement un sentiment nouveau
d’une très ancienne vérité de .la Parole
de Dieu. Tous ceux qui nous ont adressé leur message, nous ont fait
sentir la parole des frères en
h foi et cette fraternité a dépassé et
mis dans T ombre tout autre caractère
Entre autres il y a eu cette année un
message tout particulièrement fraternel et utile pour nous. Celui du pasteur
Andre Muller, délégué, de la Fédération Protestante de France. M. Muller en nous faisant remarquer la ressemblance qui existe entre la position
des protestants en France — pays à
grande majorité catholique — et notre
position en Italie, a aussi insisté sur les .
limitations qui nous sont imposées, aussi bien qu’à nos frères de France, par
la pauvreté des moyens financiers et
des forces de travail dont nous disposons par rapport à l’étendue et à l'importance de notre mission évangélique.
Nous sommes « les uns et les autres,
exposés à un© grande tentation» a
conclu M. Muüer, «ceUIe de rabaisser
notre tâche au niveau de nos moyens,
au lieu d’élever nos moyens à lia hauteur de notre tâche».
C’est un avertissement à ne pas oublier!
E. ROLLIER
Sette e duecentocinquantacinque anni fa nelle nostre Valli
iFra Talba del 19 e la notte sul 25
giugno 1940 il li Corpo d’Armata dell’Esercito itaili'ano, inferendo quello Ohe
poco tempo fa, ancora, l’on. Callosso
chtamaiva « ¡1 colpo di pugnale alla
schiena della Francia in aigonk », gettava anOie De nostre Valli in una delle
più tristi e depijorevolii aiyventure di
guerra avente per scopo nientemeno
che rinvasione della Frtocia sotto la
guida dell’aUora principei di Piemonte.
, Così, tristissiimo, si avverava ¡1 presentimento di molte brave mamme nostre
che non nascondevano la loro ansietà
nel pensare ohe uti tale leiyento potesse
mettere, 1 una contro il’altira armate,
tante nostre famiglie imparentate con
cittadini dell’altro versante alpino o con
gente di Marsiglia, di Lione, di Parigi, ecc., eco. e pensammo ai fratelli m
fede ohe, l’uno contro l’altro armati,
SI sarebbero visti, tramutar dagli eventi, diventare l’uno all’altro Caini !...
Sette anni or sono, soltanto, ' accadeva questo! Sembra nijossibile! Ma
le sfide della storia all’iitnpossibilitii., cd
alla presunta impossibilità, sono un tremendo monito contro le facili nostre
irduoioni. L’uomo deve louare, quando
è in tempo, condro if formarsi dà quals'asi psicosi di gueirna, seminando l’amcife, nient’altro ohe il più assoluto amore.
Questo accenno a quanto accadeva
da noi, così di recente, ric/hiama però
utla nostra mente un analogo tenitaiti-vó
d invasione della Francia, ohe, nelle
sue direttive di marcia, non fu certo
estraneo a suggerire 1© linee tattiche
e non nuove, seguite ora dai capi delI ingrata ed ingìorio^ spedizione voluta dairimperialismo di cibi aliena dorninava tutte Ile volontà del popolo italiano. r- Intendo riferirmi alia spedizione di Eugenio di Savoia-, preparata
nei.il aprile e poste in atto niel maggio
1692.
!|l!|t#
Eugenio di Savoia, ohe fin dal 1691
era generale in sottordine del Maresciallo im.periale Conte Enea Silyio Caprara, comandante supremo delle forzi
austro-ispane-sabaude in Italia oontre
i Francesi di Luigi XIV, non potendo
contare sul dominio del mare por invadere la Francia lungo il iliiforale, propose al Caprara di lanciarsi sull’alta
Provenza e sul Dalfinato per obbligare '
il Re Sole q ritirare le sue truppe dalritalia. Purtroppo, per le nostre Valli,
egli scelse i] settone alpino compreso
tra la valle di Lusema e quella della
Stura di Demonte per cadere sulle retrovie del Maresciallo. Catinat che teneva la Dora Riparia. Eugenio inien:
deva puntare sulla valle della Durance
per aprirsi, in direzione di Grenoble e
di Gap, la via stessa di Parigi.
Sette anni or sono, come duecentocmquantacinque anni fa, D’esercito doveva seguire tre principali direttrici di
rniarcia e, quel ohe più conta per noi,
doveva servirsi di gente del luogo in
modo particolaricsimo, come due secoli e mezzo prima.
Il Corpo di destra deillo schieramento di Eugenio era formato essenaialmente di alpigiani valdesii aiutati dalla
milizia paesana piemon.fese. Così i sabaudi, tra una persecuzione e Taltra,
seppw .semipre valersi dei nostri montanari, quando non 11 perseguitavano
per soddisfare alle insistenze o dei lo
ro o dei re di Francia o dei potenti
di Roma. Comunque compito dei Vaidesi era di imipedire ogni tentativo di
Catinat di passare dalla Dora Riparia
neH’alta valle del Po ; essi dovevano,
insommia, presidiare te Vaile) di Lusernaj ¡e-diifcnderne ila tesfeita; in ipari
tempo dovevano lanciare una colonna
celere nella valle del Quèyras per obbligare il Catinat a riipassarei il Cenisio
Se non voleva essere, prevenuto o preceduto in Val Moriana od a Grenoble
da gente usa-, assai più delle di lui truppe, alla rapidità di mosse im montagna
e animate non eerto da eccessivo amore per il «cristianissimo Re di Francia». di altri due corpi, dovevano
l’uno risalire la valle del Po e D’altro
delte Stura di Dernonte punitando l’uno
su Guillestre e su Embrun e l’altro su
Baroellonetta.
Ma, anche alllor,., duecentocinquantacinque anni 6a, come sette anni or
sono, entrarono in gioco le forze delte
politica ad arenare raudace e foMe impresa di Eugenio, tanto oh© il corpo degli alpigiani valdesi dovette limitarsi a
fare buona guardia in Val Lusema
mentre te colonna ceDere, da esso distaccata, piombava in Val Moriana e
in Val Romance, ma si doveva arrestare al borgo del Quèyras.
Quanto ad Eugenio, pervenuto già a
Barcellonetta, doveva coprire la prò*
pria ritirata perchè l’ordine di ripiegare
era pervenuto dairimperatore d’Austria.
*4»|!
'Così , il Reggintento Valdese, con, te
sua bianca t>andieria tempestata di steliie azzurre, tutta ispirante candore e
celestiate pace, eccetto il triste motto
!< Patientia laesa fit furor » ohe le era
sfato im'posio,, fu lanciato a sgozzare
, fratelli, correligionari, compaesani del '
salvat'ore Amaud. E ciò a 'pOjShi giorni
di distanza dal meimorabile Sinodo dei
Coppieri in cui, pure, i convenuti pastori, avevano invocato raiuto di Dio
contro te guerra, avevano indetto « digiuni e solenini culti pubblici per imolomre dall’Eterno una pace duratura
sull’Europa cotanto travagliata dalle
.guerre».
'Così .duecentocinquantacinque anni
or sono; così', forse, sette anni fa;
così, forse, ancora altre volte nella sttv
ria; così, forse, afleora nell’avvenire?
Ndn bastano digiuni e preghiere, non
bastano rimpianti e riconciliazioni; non
basta deplorare ma occorre operare affinchè la volontà di Dio sia te nostra voloifttà, affinchè te sua volontà sia fatta
e la Sua volontà non è guerra, ma pace. (( Occorre obbedire a Dio piuttosto
che agli uomini», ecco il solo rimedio
e il solo dover© cristiano.
Belle, patetiche De Riconciliazioni sui
monti, nelle assemblee, e suite caria.
Ma se domani, la guerra si ripresenterà,
tra questi «ricoociliati», che cosa faranno essi, essi stessi...?
lo ascolterò quel che dirà Iddio
l’Eterno, poiché egli parlerà di
pace al suo popolo ed ai>uoi fedeli; ma non ritornino più alla
follia I
La benignità e la verità si sono
Incontrate, la giustizia e la pace si
son baciate. La verità germoglia
dalia terra, e la giustizia dai cielo
(Salmo 85; 8-11)
2
S’*»
Jt ^ ‘;^ ',«■
L'ECO DELLE VALU ÿ^^JESI
.. •.....;.■«
PAR
XXII
E)e San Gustavo je r«;touriie à Santa Fe
(300 km.) pour prendre le train qui, après
seize heures de voyage, me déposera à
Resistencia, capitale diu Chaco. J’ai le
temps de regarder les champs de blé, de
lin, de coton, les milliers d’animaux qui
paissent dans les prairies, les magnifiques
palmiers, les grandes forêts qui fournissent une quantité énorme de bois précieux.
J’ai le temps aussi de Hre. Et je Us un
• livre qui vient de paraître à Santa Fe, une
des grandes villes argentines' u Colonización Suiza en Argentina» par Gaston
Gori. La lecture est intéressante et le devienit d’autant plus que j’y ItrdUvte des
noms 'Vaudois. U s’ai^t de l’hiatoire de la
colonisation de la région de San Carlos
jusqu’en 1860,
Le Gouvernement avait donné à une
compagnie suisse de colonisation une vaste zone. Il fallait la peupler avec des colons européens. Je transcris la première page du contrat de colonisation :
1) Chaque famille de colons doit être
munie de : a) Certificat de santé et de vaccination; b) Vêtements suffisants, linge, literie, batterie de cuisine, instruments aratoires et harnais.
2) On avance à chaque famille de colons : a) 20 quadras de terre labourable ; b)
les matériaux pour la construction d une
haibitation faite suivant coutume (appelle
rauoho); c) deux paires de boeufs de uabour,
deux chevaux de trait, deux vaches à lait
avec leurs veaux; d) semences pour vmgt
jucharts maïs, pour 4 j. mani, pour 4 j.
bâtâtes ou pommes de terre, .pour 10 j.
froment, pour 2 j. légumes; e) tes Vivres
jusqu’à Ja première récolte.
3) La famlUe de colons ci-dessus s’obLge pM- contre de rerfiettre à radministration de la colonie le tiers- de ses récoltes
pendant cinq années. Apres ce déiai et
apr^ avoir rençui ponctueliement toutes
ses obligations, elle sera propriétaire de iO
nisation.à Gênes le 31 janvier 1860, Texte rédigé en français. Ils s’engiageaint à
émigrer avec un dhar complet, une charrue, des râteaux, des cordes, des faux avec
pierres à aiguiser, des bâches, des tenailles, des marteaux, des scies et un fusil.
quadras de terres, maisons, récoltes et bétaiiL Le coion n’a rien à donner de l’augmentation du bétail ni du bénéfice qu’il
en retire. Au bout de ta première année
chaque famille doit avoir cultivé au moins
20 jucharts et à la fin de la cinquième année au moins 50 jucharts, sans quoi elle
perdra ses droits à la propriété des terrains.
4) Dès qu'un nombre de 50 familles se
trouvera à la colonie, l’administration s’oblige d’établir un service divin au moins
une fois par semaine et de tenir école au
moins trois fois par sémaine. Les frais
sont couverts par la part des amendes y
revmiant et le reste sera supporté en partie
égale par l’administrâtion et les colons.
Les frais de construction de l’égfise, de la
maison d’éccde et de l’h^ital, aussitôt
qu on jugera avoir besoin de ces bâtisses,
seront ayancés par la société et do,Vtnt
eae remboursés par les colons en termes
annuels avec intérêt à 5% l’an d^is le
jour qu'on s’en sera servi. Le Consistoire
fixera la part de ces remboursements due
par chaque iaraiHe.
5) L’adnümstration établira au milieu de •
ia colonie une ferme modèle, qui sera dirigée par un économe suisse, expert en
affaires d’agriculture et qui aidera chaque
famille de colons de ses conseils et de ses
expériences de plusieurs années dans et
W®. .
6) Chaque famille de coions doit céder
gratis et à part égale avec son voisin le
terrain nécessaire pour les routes â établir
à côté de ses terrains. L’administration de
la colonie fixera la largeur des routes. Ls
Compagnie chargera im certain Bleynat de
faire connaître ■ la possibilité et les avantages d’une émigration dans la provincê de
Santa Fe aux famiMes.pièmpntaises et en
particulier aux populations ««des alentours
de Pignerolle ». L’auteur du livre donne la
liste Complète des familles qui émigrèrent
de France, de Suisse, d’Allemagne et d’Italie, Ses connaissances géographiques laissent à désirer puisqu'il place en Suisse
Kiclaret et Pralyl
Môs premiers
émigrants
Je transcris fidèlemem la liste des familles vaudoises comme Fauteur les donne.
FAMILLE JACUMIN - RICLARET <W¡s.
se)
Jean Pierre Jacumin de 47 ans
Madeleine Bertalotte de 38 ans
Anne Jaouijiln de 18 ans
Madeline Jacumin de 17 ans
François Jacumin de 14 ans
Jean Jacumin de 12 ans
Henri Jacumin de 34 ans
Cette famine signa -la contrat de cdo
FAMILLE'PONS - Praly (Suisse)
Jean Etienne Pons de 32 ans
Marguerite, sa femme, de 27 ans
Jean Etienne Pons, 9 ans
Jacob Henri Pons, 6 ans
Marie Louise Pons, 2 ans.
Ils signèrent le contrat à Gênes le 31
janvier 1860.
FAMILLE BERT - RICLARET
David Elert, 34' ans
sa femme
Adèle Bert, 4 ans et 6 mois
Jiacques Gardiol, 24 ans, né à Prarustin,
Jean Pierre Jeanrond; né à Faët.
FAMILJ.E PAUL TRON
Paul Tron, SI ans, né à Traverses, comme
ses enifants
Catherine Grilli, sa femme, 47 ans, née à
Praly
Jeanne Tron, 21 ans
Marguerite Tron, 19 ans
Catherine Tron, 17 ans
Marianne Tron, 13 ans
Jean Pierre Tron, 9 ans
Madeleine Tron, 4 ans.
Contrat signé à Gênes le 31 janvier 1860.
FAMILLE MARTHE CONSTANTIN
TRON TRAVERSES
Marthe Constantin mariée Tron, 39 ans
.lean Jacob Tron, 15 ans
.Jean Henri Tron, 7 ans
Jeanne Marie Madeleine Tron, 3 ans et 6
mois. •
Je transcris aussi le contenu d’une lettre dont le livre donne 1© fac-simlle. La
lettre est écrite par Jean Pierre Jacumin Colonie San Carlos - le 20 lévrier 1863
(le livre ne dit pas à qui elle est adressée).
. ’’Monsieur.
■ je vous prie de remettre à M. Pastore la
caisse, qui contient les plantes d’arbres,
les plantes sont à lai et la caisse est mienne. Il s’obbligera de me pajer les frais de
transbord et le transport de la Colette, depuis Buenos Ayres à Santafais, et tous les
frais relativement à cette caisse. Recevez,
cher Monsieur, mes plus empressées et
cordiales salutations. Votre dévoué serwteur Jacumin Jean Pierre”.
r.es familles italiennes iion Vaüdoises que
le livre mentionne sont : la famille Reale
lê~VÎgonër*ïa"faimille Olivero; la famille
joseph Barbero; la famille Jean Michel Taverna, "de Vigone; la famille- Chiaffredo
Rua, de Vigone; la famille Domenico Bernardi de Biblane ; deux familles Aymé de
■Fenestrellé, accompagnées par le prêtre
Pierre Maurice Aymé. I-es déscendants de
toutes Ces familles, vaudoises et non vaudoises, Se trouvent encore dans la région
de San Carlos que j’al eu le plaisir de visiter.
J’ai fini ma lecture et j’iaj franscrit ces
lignes. Il y a 14 heures que le train court à
tout© vitesse. Encor© deux heures et nous
serons à Resistencia.
ALB. RICCA
PER FEDE
.Passeggiavo qualclie settimana fa
per Torre PeJlica con alcune persone, giovane e-,, non più giovanissime, quando dall’altro lato della strada scorgiamo la cuffia bianca di i«tia
Diaconessa. Io mi staccai un attimo
dal gnippo 2>er andare a salutare la
Suora, poi, toi-nata di corsa, giunsi
appena,in tempo per udire una frase che mi colpì dolorosamente:
«Xe diaconesse? Som quattro gatti
j per di più mezzo malandate. Cosa
«tarino a fare, se non se ne trova mai
■una al momento buono?».
Io che, dico francatuemte, amo
molto le nostre Suore e tie coiiostio
la fatieosà vita di lavoro o di fede,
divenni di fiamma e molto jioro evangelicanumte sentii l’impulso di rispondere non tiopjH».,. dolcemente
a quelle parole pronunciate in tono
di disprezzo: ma mi trattenni, e preferii invece parlare un po’ a quelle
persone sidle Diaconesse, sia pure
con molta fermezza.
Più tardi, però, ripensando a f*uel
breve colloquio, mi venne in mento
che forse case non erano le uniche
persone a j>ensarla così, ohe anzi
molti, trampi nutrono la medesima
ìncompre^ione verso le nostre Suo*ne, e per questo ho dìesidlerato ripetere qui le parole dette quel giorno.
anche se tanto inq>erfetle e incomplete. -1
, « Som quattro gatti-,, »: e di chi la
colpa? Forije dell’esigua sehiiera che
c-ontinua a stare eroicamente sulla
breccia nonostante le fatiche e i pesi incompiarabili, nonostante sopratutto r incomprensione e l’indifferenza' di- cui è circondata, cosa che fa
moho più malie e scoraggia assai più
t-à. ogni fatica? U non torse nell'ora
ùi ci’is, che tutto il mondo atlraveisa
lu questo uopogucrra, non torse delia leggerezza ui cosiunu e di pcusieio
euo sempre maggiormeiue s-, mniua
anciie na tg, giovani 'V'ai.uc»., n«^ii
lorse nelle oieccnie ludjurue e soruc
ai nehiami di Dio?
sliîÿii
Si, sono poelie le Diaieonesse, ma
il iicoiioscerlo è, la più’ grave accusa
elle possiamo fai'o a noi stessi. Oggi.
Iddio ctiiaiua, oggi Iddio uice a molli t.)i noi: «tu, seguimi», ma «.oggi se
ucaie la Sua voce non indurale n voscio etiore», o a poco a poco e.-*oi si
auonzzerà, e uou sarà mai piu capace di ud-re I appeiJio de.l l aure.
a - .é pei: ai pia mezzo’ müluiulaitev.
Lcfianienie, poiicrie quitSio> UuUieiO
irrisorio c!|i suore è struttalo uno lu1 Ultima goccia Qi sangue; percuie la
genie sa solo preoccuparsi ylie non
_^anbiano troppo caldO' con la loro severa divisa, la cui austeiità è trovata
da molti una deprecabile anticaglia,
ma non pensa piuttosto che ognuna
*di esse è caricata di un lavoro C-jiieoi
\ olle superiore a quello che potrebbe
umanamente sio(stteine8jfe ; peirdiiè all’Os|>edalc di Pomaretto non riescono neppuiiè a prendersi un giorno di
riposo durante tutto Panno... Ma silenziosamente, umilmente le Diaconess® lavorano, lavorano finché D-o
loro concede un minimo' di forza fisica bastante, e dopo aueora, e sempre. Miracoli eiie solo per fedie possono! compiersi.
«... non se ne trova mai una..y> ; ge
iieralmeiUe si trova (o non si trova !)
quello clic si cerca : dunque queste
Diacoiu\sse lauto misconoselute c in*'
comprese sonoi ricercate, se ne sente
la neceasità, ' e vi è dunque un momento in cui si desidera il volto sereno, la mano carezzevole di una Sorella! Dunque se ¿joniani mancassero oompletamente, si avvertiiebbe lino strano senso di vuoto, e si comprenderebbe, fiualmmite, quale posto
importantissimo occupi niella socie, à
evangelica la Daconessa: «... non se
ne trova mai mia.credo allora
che questa sia di nuovo, un’accusa
cliJara e precisa contiro di noi, non
• certo contro di loro clic si divic^no
in mille attività, senza pei: questo
prodaiuarlo ai quatUo venti e affigj gerlo a tutti i muri, ccJhw si usa
■sp^so lare per le altre attività di
questa terra! Accusa contro Lutti noi
giovani Valdesi, elio laeuanio lo spirilo del mondo penelraie senijite più
pi-olondamente net nesUi cuori, elle
profeiiamoi pient.jeie la viia ailegraniiente e leggermeli le, eleggendo a
nostro unico iniio il «carpe diem»
otaz.ano, senza più volerci adoperare per il « cibo crie dura in vita eterna, ma solo pec il «ciba cllie pensee»,
(Jimentichi certo deli’iiiequivocialnle
parola di Cristo : • « Voi non poiete
servire a Dio e a Mammona».
Ma le nostre Diaconesse, -ncioilabili in mezzo al turbinare di passoni e di vizi ife cui ogni umana cosa
è scossa e travolta in questo triste secolo, oontinuano in ailenzio le loro
cpiotidiane fatiche, in silenzio sopportando le molte- quotidiane amarezze: poiché la ijola lede sorregge
tutta quest’opera, saldamente «radicata ed edificata in Cristo)), ma per
pxie le cose impossib-ii divengono
realtà, ed ecco « questa è la vittoria che Ila vinto il mondo: la nostra
Fede!” (I Giov. V: 4).
F. P.
}, t(» V. - CoiiVggno di powarctlo
Malgrado il maltempo, moltii giovaiii -delle Valli hanno .preso la vja del Tempio
di ,Pomaretto dowieoica 26-10, ed il Convegno è stato uno dei più riusciti © simpatici, tanfo nella parte religiosa ohe in
quella di fraterno affratellamento. Tema di
studio : L’UNITA’ DELLA CHIESA, Relatore il Pastore Néri GiampiccoÜ.
In tutte le attività umane si nota una
tremenda diversità fra ciò che costituisce
la teoria e ciò ohe; è ,la pratica. Quésto ci
scandalizza, tanto più se si avvera iper la
Chiesa, mentre dovremmo .pensare ohe ad
ogni individuo capita la stessa cosa in ogni momento : crea delle belle teorie, ma
non riesce poi a tradurle in pratica. Quanto all’unità della Chiesa una, lo scandalo
nostro è accresciuto dal fatto ohe vediamo
molte Cliiese, ma non «la Chiesa ».
L’Unità della Chiesa di Cristo è un mistero nascosto e comprensibile solo alla
Fede. .
Crediamo, ma non vediamo, la « santa
Chiesa Universale », come crediamo e non
vediamo il «Signore della Ghiesai». Vi è
un rapporto molto stretto fra la Chiesa e
il suo Signore, poiché, senza di Lui, la
Chiesa non vive.
Vi è un solo Signore e perciò pure, una
sola Chiesa, corpo di Cristo, Essa è la
presenza particolare del Cristo nel mondo
assurdo e sdocco in cui viviamo, ma noi
vediamo solo « le Chiese » colle loro divisioinl, i loro nomi particolari, le loro lotte, Cose tutte die non sono altro ohe il
segno evidente della contraddizione umana.
Scandalizzarsi di questo non serve, criticare da spettatore neppure. Bisogna ricevere ili messaggio della unità, impegnarsi
a fondo, riconoscendo lo scandalo che è di
ognuno di noi, per attenuaPlo e superarlo.
Ed ecco il movimento Ecumenico delle
Chiese.
Esso afferma e riconosce Cristo come unico Signore, ed è rappresentato da un
Consiglio Ecumenico delle Chiese che non
e ancora l’unità della Chiesa (poiché manca l’unità dei .Sacramenti, del governo,
eoe.), ma è un tentativo di tradurre in
pratica l'ideale deirimità delia Chiesa, ed
oftre la possibiJità di accogliere il balenare
di una nuova luce, quando a Dio piacesse
concedercela. Ciascuno di noi ha li dovere
di mostrare che, pur come Chiesa particolare, la nostra fede neU’unità non è aftievoOita ;'AGAPE è un segno di questo,
quattro muri (per ora) ohe pure hanno un
significato di ecumeitismo. Questa è la. nostia fede neli’unità della. Chiesa, corpo di
^.risto.
Sui pùnti prindipaii della relazione si
accende una buona discussione àlimmtata
in un primo tempo dal pastore Carlo Gay
con una precisa dam.anda ai Fratèlli Menno.
niti presenti, circa .ratteggiamento delle loro Chiese di fronte al problema dell’iunità.
Rj istponde Mr, Richard Bentziii^er X®ordando che 1© Chiese Protestanti degli Stati
Uniti si sono già strette in una Federazione, ma in forma diversa da quella ohe
potrebbe. adottarsi-" in Italia.
Resta i} fatto oh© il Consiglio Ecumenico delle 'Chiese cerca anche di essere
qualcosa di più di una Federazione, piur
non giungendo a formulare un unico Credo per 1© Chiese tutte, cosa per ora non
possibile 6 forse neppure desiderabile.
Vari© domande e riserve su punti della
relazione, sullo Bcanidalo dei|le divisioni,
sulla ricchezza spirituale di esse, e, specialmente sul Consiglio Ecumenico, mostrano rinteresse dei giovani per l’argomento
e la preoccupazione di alcuni circa il suo
funzionamento e la sua più completa attuazione.
Ili canto deirinno n. 76 ha chiuso la
parte religiosa di questo bel Conveg.no a
cui è seguito un cordiaie tè dell’Uoiotie
di Pomaretto, benemerita fra tutte per il
suo spirito di ospitalità e di affetto sempre
cordiale. AMINA BOSslO
)er le ^Gool6 Domenicali
Lezione del S3 novembre
IL PASSAGGIO
DEL MAR ROSSO
Lettura : .Esodo XIII : 17-22; XIV : 131. —• Imparare : XIV : 21-28.
Gli Israeliti, bruscamente liberati dà U;
na servitù seoofare,, hiailno lasciato l’Egitto frettolosamente, gattendo da Succoth.
Erano circa seicento miila, senza coiiitare i
bambini, e oonducévano con sè i loro armenti ed i loro averi. E l’Eterno andava
dinanzi a loro ; di giorno, in una colonna di
nuvola per guidarli, e di .notte in una
colonna, di fuoco per illuminarli, onde potessero camminare giorno e notte.
Per non affrontare delle popolazioni ostiiii, si scostano dalla via del Mediterraneo.
,e con ampio giro si avviano verso il Sud,
lungo 11 deserto oh’è ad Ovest del Mar
Rosso, diretti’ ad uno stretto braed'O di
m.a.re, a.ppena largo tr© o qualtro chilometri, ohe si inoltra versò Suez.
Bd ecco che Faraone, pentito di averli
lasciati partire, li. «nsegue eoli suo esercito, forte .di un nugolo di carri e cavalieri
e sta per raggiungerli In prossimità del
mare. Spaventati grandemente a quella vista. e desolati di aver lasciato l’Egitto, gii
Israeilitì si aiwiiliiscono; e gridano all’Eterno Invocando aiuto.
A viste umane, sono perdiuti.. Ma Dio vigila. E in risposta alle loro preghiere, egli
solleva un vento impetuoso da Nerd-Est
che, per un fenomeno non raro in quelle
regioni, fa rifluire le acque del mare, e
mette a secco una .lingua di terra sufficiente al loro passaggio. Cosi gli Israe iti
pa’ssano all’altra sponda. — E quando l’esercito di Faraone, baldanzoso, s’inoltra a
sua volta per quel cammi.no improvvisato,
un .potente soffio .dS vento, congiunto al riflusso de.lla marea, respinge le acque su
quei ipa.ssaggio, © ne vengono inghiottiti
e carri e cavalieri.
Non è il caso dii prendere alla lettera U
racconto biblico, che è qui epopea, enfatica
di im.aravigliosa liberazione. Le , acque, ad
esempio, eh© si dividono per dar passaggio
agli Israeliti non hanno perciò da intendersi come alzate ve.rticalime,nfe a guisa di
miurag’Jioni. ma tali che col loro arretramento bastavano a costituire dal!© due parti un .baluardo insormontabile.
Il racconto bibiko ci mostra una volta di
più, sempLicemente, che Dio si serve di
forze naturali per esaudire fe preghiere dei
suoi figliuoli. E quando sia necessario, ne
fa agire delle altre, a noi ignote. Il miracolo, che rimane per intero, risiede .nell’intervento di quelle forze al mom.e.nto e
per li fine voluto da Dio
INSEGNAMENTI.
Non vi è distretta, per grande che sia,
da cui, coi più impensati interventi, Dio non
■ci possa tiiberare. Egli vuole sem.pre il
nostro più gran bene ; © se abbiamo, una
fede vivente, potremo scorgere sempre davanti a noi quella colonna luminosa che Dio
innalza par guidare i nostri passi.
Ci dia Egli di saperlo magnificare con
quelle espressioni di lode e di riconoscenza profonda ohe hanno ispirato il .maraviglioso cantico d’Israele dopo la sua miracolosa liberazione.
G. Bonnet
Dir, liesp. Ermanno Rostan
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ringrazia tutte le persone che le hanno dimostrato simpatia ed affetto con la presenza ai. funerali, fiori e scritti.
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