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ORMA
SETTIMANALE DÉLLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI
VENERDÌ 19 NOVEMBRE 1993
ANNO 1 - NUMERO 44
IL MURO VATICANO
s.c.v.
MAURIZIO (ilROUMI
Dopo i muri di Gerico e
quelli di Berlino, cadranno anche i muri vaticani? La
giustizia (quella umana, beninteso, Di Pietro) riuscirà a
indagare sui misteri delle finanze di San Pietro, a verificare se il Vaticano è coinvolto in tangenti farmaceutiche e
in riciclaggio di tangenti Enimont?
A suo tempo le classi dirigenti italiane non vollero premere sulla Santa Sede per
l’estradizione di monsignor
Marcinkus, capo della Banca
vaticana (lor), sospettato negli anni ’70 dai giudici milanesi di gravissimi reati finanziari, commessi in collusione
con Calvi, Sindona, Celli e la
mafia americana. Invece la
Santa Sede non ha mai esitato
ad intervenire nella politica
dello stato italiano, prima e
dopo r inserimento dei Patti
lateranensi nella Costituzione
della Repubblica. Un’ingerenza decisiva, come dimostra la storia elettorale dell’Italia dal 18 aprile 1948 in
poi, con le parrocchie al servizio della De (per la difesa
della verità e della libertà, ci
mancherebbe!). Un’ingerenza
tenace anche quando incominciò il lento declino elettorale della «balena bianca» e
quando con i referendum sul
divorzio e sull’aborto apparve
chiaro che la dottrina
dell’unità politica dei cattolici
non bastava più a determinare
tutte le scelte di etica civile di
questa nazione.
Ma con i Patti del 1929 tra
lo stato fascista e la S. Sede
nacque anche la grande finanza vaticana: il cessato regno
Pontificio si transustanziava
nella «specie» di un miliardo
e 750 milioni, equivalenti a
500 milioni di dollari del
1984. Con questa somma
Bernardino Nogara (fratello
di monsignor Nogara consigliere e amico di Pio XI), primo amministratore di quello
che diventerà lo lor, costruirà
la Vatican Incorporated.
Chiese e ottenne di poter investire ovunque, anche all’
estero, e in qualsiasi attività:
petrolio, meccanica, ferrovie,
elettricità, armi, cemento,
edilizia, oro, banche nazionali
ed estere ecc. La secolare
condanna papale del prestito
a interesse era stata declassata
a condanna dell’interesse
spropositato. Una «provvidenziale» circolare dello stato
italiano del ’42 esonerava la
S. Sede dalle tasse sui dividendi azionari. Verso la metà
degli anni Settanta il capitale
produttivo della Santa Sede
era stimato in parecchi miliardi di dollari. «Pecunia non
olet» dicevano i latini, e la
Chiesa il latino lo conosce. E
il popolino romano, vedendo
le lussuose berline dei prelati
circolare per Roma targate
S.C.V. (Stato Città del Vaticano), conunentava, tra il cinico
e il rassegnato: Se Cristo Vedesse...
Non c’è da stupirsi se le inchieste della magistratura.
dopo aver investito gran parte
dei dirigenti democristiani,
lambiscono enti finanziari ed
eminenti personaggi ecclesiastici, da 50 anni legati a quel
ceto politico. Una prima ipotesi, ovviamente tutta da verificare, è che monsignor Angelini avrebbe percepito elargizioni di parecchi milioni
l’anno da varie case farmaceutiche in cambio di suoi interventi presso la commissione che stabilisce i prezzi dei
farmaci in Italia, o magari
presso le missioni cattoliche
nel mondo impegnate in opere di assistenza medica. Si
tenga presente che il mercato
italiano dei farmaci è il quinto nel mondo con un fatturato
di 17.000 miliardi nel 1991;
che a fronte di 400 farmaci
considerati, dall’Organizzazione mondiale della sanità,
necessari alla salute di un popolo, in Italia sono 5.782
quelli inseriti nel Prontuario
terapeutico nazionale e
10.448 quelli in circolazione
(dati di fine 1992). Un mercato grasso, se si considera che
in Francia il prezzo dei farmaci, a parità di costi, è mediamente la metà che in Italia. Una seconda ipotesi riguarda invece le tangenti
dell’Enimont versate in cct a
uomini politici di governo i
quali le avrebbero cambiate
in denaro, cioè riciclate, presso lo lor.
Prescindo, in questa sede,
dall’antica disputa se Gesù e
gli apostoli fossero assolutamente poveri, se la ricchezza
e il potere che comporta siano
compatibili con il seguire
SEGUE A PAGINA 11
Dio ci chiama nonostante le nostre contraddizioni e inadeguatezze
Invece di piangere^ lavorare per la giustìzia
_______________LIDIA MACOI_______________
«Ho veduto l’afflizione del mio popolo
che è in Egitto e ho udito il grido che gli
strappano i suoi angariatori; perché conosco i suoi affanni; e sono sceso per liberarlo dalla mano degli egiziani...
Or dunque vieni, e io ti manderò al Faraone perché tu faccia uscire il mio popolo...
Vai perché io sarò con te»
(Esodo 3,7,10,12)
Ci capita spesso di vedere e di ascoltare le disgrazie di gente che soffre.
Ogni giorno giornali e televisione ci mostrano immagini di sofferenza; tragedie
lontane, eppure tanto vicine. Da un lato
siamo tentati di non vedere e fingere di
non sapere; dall’altro, se seguiamo con
ansia tutti questi eventi, siamo colti da un
senso di impotenza. Indifferenza di chi
non vuole vedere e impotenza di chi vuole sapere. Tra questi due poli sembra oggi
svolgersi la nostra vocazione di credenti.
Indifferenza e impotenza non appartengono tuttavia al Dio che si presenta a Mosè. Mosè pascola tranquillamente il gregge del suocero, dimentico della sofferen
za degli israeliti e ignaro di ciò che sta
per accadergli. L’incontro con Dio trasformerà tutta la sua esistenza e lo coinvolgerà pienamente nella tragedia del
suo popolo. Ló stile liturgico del passo
ci fa capire quanto questo incontro sia
importante e solenne: una fiamma brucia, ma non si consuma. Dio si rivela come il Dio di suo padre, lo stesso Dio di
Abramo, di Isacco, di Giacobbe e si conclude con l’imperativo: «Vai e libera il
mio popolo».
Poco importa se al popolo in schiavitù
non resta che piangere e lamentarsi, senza
neanche riuscire ad articolare una chiara
invocazione di aiuto: il Dio di Abramo e
Sarai, di Isacco e Rebecca... il Dio di Gesù Cristo non è lontano, non dorme; non è
né indifferente né impotente. Anzi, è presente, partecipa alla sofferenza umana
con tutta la propria persona: «Ho visto egli dice - ...ho ascoltato, ...ho preso a
cuore ...sono venuto». Gli occhi, le orecchie, il cuore, le gambe: tutta la persona
di Dio in questa metafora partecipa alla
sofferenza degli israeliti. Dio non è né
cieco né sordo, né insensibile, ma viene e
libera.
L’esperienza di questa liberazione di
Quebec
Il nuovo
Codice civile
Il Quebec sta vivendo una
piccola rivoluzione con l’entrata in vigore, il 1° gennaio
1994, del nuovo Codice civile. Fra le nuove disposizioni
infatti, vi sono quelle riguardanti lo stato civile. Ormai sarà un funzionario pubblico ad essere amministratore unico dello stato civile.
Gli atti di registrazione delle
nascite, dei matrimoni e dei
decessi, nonché la richiesta
di copie di tali atti, saranno
centralizzati e vi sarà un unico registro di stato civile per
tutti i residenti nel Quebec.
D’ora in poi quindi, tali atti
non saranno più compiuti dai
ministri di culto ma esclusivamente dallo stato.
Semplice e comprensibile
in apparenza, questa riforma
rovescia completamente tre
secoli di storia e di tradizione del Quebec. La Nuova
Francia infatti aveva portato
con sé le regole dell’«Ancien régime», vale a dire che
i registri di stato civile erano
affidati ai sacerdoti in ogni
parroechia. Inoltre, fino alla
conquista del 1763, ai protestanti veniva negato il permesso di soggiorno. La necessità quindi di separare la
chiesa e lo stato non s’imponeva in quanto tutti gli
abitanti della Nuova Francia
erano in teoria di confessione cattolica romana. Per potersi assicurare l’alleanza del
clero cattolico, i conquistatori inglesi lasciarono alla
Chiesa cattolica il compito
di tenere i registri. Negli anni suceessivi, la provincia
del Quebec non conobbe le
riforme amministrative che
accompagnarono la Rivoluzione francese.
Con questa riforma lo stato del Quebec istituzionalizza di fatto la separazione
della chiesa e dello stato e
sancisce allo stesso tempo la
perdita di influenza della
Chiesa cattolica rispetto allo
stato, evidenziando la laicizzazione e il pluralismo della
società. (Spp)
venta il centro della confessione di fede
del popolo di Dio nella Bibbia; è cantata
nei salmi, costituisce la sostanza delle
leggi, è ricordata dai profeti. Il Dio della
Bibbia è il Dio di liberazione. La storia
del cammino di un popolo con il suo Dio
ha origine da questo evento: Dio ha liberato un popolo di schiavi e ne ha fatto il
«suo» popolo.
Come Mosè, la chiesa oggi pascola
tranquillamente il proprio gregge, ignara
della chiamata che Dio le rivolge. Come
Mosè la chiesa, dopo essere stata chiamata risponde perplessa, consapevole della
propria impotenza: «Chi sono io per andare da Faraone?». L’Iddio di Gesù Cristo, che ha conosciuto sofferenza e morte,
ha visto il dolore delle migliaia di bambini somali; ha udito il grido delle tante vittime della guerra ed è venuto per liberare.
Dio ci chiama, per quanto noi siamo inadeguati e pieni di contraddizioni; si vuole
servire di noi per compiere la sua liberazione. Di fronte alle sofferenze del mondo possiamo con il suo aiuto rompere il
cerchio dell’indifferenza, superare il senso dell’inutilità della nostra azione, trasformare i nostri timori in gioia per realizzare segni di giustizia.
Delle Chiese
Jugoslavia:
mai più la guerra
pagina 3
All’Ascolto
Della Parola
Il testimone
pagina 6
Cultura
Fellini
e il suo cinema
pagina 8
2
PAG. 2 RIFORMA
VENERDÌ 19 NOVEMBRE I993
Celebrato a Stoccarda il 150° anniversario della Gustav-Adolf Werk del Württemberg
Alle sorgenti della solidarietà: un modo di
vivere la realtà senza frontiere della chiesa
BRUNO BOSTAGNO
Nel 1832 si decide di erigere a Lützen, presso Lipsia, dove era caduto in battaglia duecento anni prima, un
monumento in memoria di
Gustavo Adolfo, il re di Svezia che, con il suo intervento
nella guerra dei Trent’Anni,
aveva ridato forza e unità al
protestantesimo in Europa.
Ma un cittadino di Lipsia,
Gottlob Grossmann, ha un’
idea più geniale: ricordare il
re svedese continuandone
l’opera, non più con le armi,
e neanche con un intento anticattolico, ma con la creazione di un fondo per sostenere i
protestanti in diaspora. Nasce
così la Società Gustavo Adolfo, oggi diffusa capillarmente in tutta la Germania e
dal 1946 legata strutturalmente all’organizzazione della Chiesa evangelica, con il
nome di Gustav-Adolf Werk,
abbreviato in Gaw.
Queste e altre cose venivano ricordate a Stoccarda il 21
ottobre, celebrando i 150 armi
dal riconoscimento statale
della Gustav-Adolf del Württemberg. L’occasione vedeva
riuniti numerosi collaboratori
o semplici membri, oltre ai
rappresentanti delle chiese
sorelle all’estero. I colloqui
personali sono in questi casi,
se non importanti come i momenti ufficiali, almeno altrettanto ricchi di informazioni e
scoperte. A colazione mi siedo vicino a uno sconosciuto;
ci presentiamo, sorride amichevolmente quando gli dico
da dove provengo e ha subito
un ricordo: «Ho studiato a
Basilea con Luciano Deodato»; è il vescovo Eugen Miko
della Chiesa evangelica in
Slovacchia. Si ricorda naturalmente di Giorgio Girardet;
chissà perché, è convinto che
non sia più di questa terra; gli
assicuro che è vivo e sempre
molto attivo. Poi gli chiedo se
giudica positivamente la separazione dalla Cechia; il vescovo assume un’espressione
preoccupata e mi risponde in
modo decisamente negativo.
Prima le chiese avevano ottimi rapporti; la separazione ha
complicato il loro funzionamento e la situazione economica generale sta peggiorando. Gli dico che anche da noi
c’è chi vuole la separazione
del Nord dal Sud, pensando
di trame vantaggi economici:
«Ma questo è disumano!»,
commenta.
Il motto dell’incontro testimonia dell’interesse primario
che la Gustav-Adolf ha sempre avuto e continua ad avere
per la predicazione: «Ascoltare Dio nel cammino comune». Al mattino prendiamo
posto nella grande sala del
Hospitalhof, in pieno centro
di Stoccarda, attorno ai tavoli
familiarmente apparecchiati
già in vista del pranzo e decorati con foglie dai caldi colori
autunnali. Ascoltiamo numerosi saluti, tra cui quelli
dell’amico Epting, ora presidente nazionale del Gaw, e di
Hanna Brunow Franzoi della
Chiesa luterana in Italia, che
parla a nome di tutte le chiese
della diaspora e non manca di
sottolineare i fraterni rapporti
con le chiese valdesi e metodiste.
Poi è la volta di Heinz Joachim Held, ex presidente della Chiesa dell’Assia e ora in
emeritazione, che tiene la relazione ufficiale sul tema
«Cristiani nel mondo» e ci
parla delle diverse dimensio
Gustavo II Adolfo re di Svezia in un dipinto di J. J. Walter che lo raffigura alla battaglia di Breitenfeid (Strasburgo)
ni della diaspora: sarà la forma della chiesa in futuro, anche in paesi come la Germania, Diaspora non significa
solo dispersione geografica; è
prima di tutto la condizione
dei cristiani, che non hanno
in questo mondo dimora stabile e vivono seguendo Gesù.
A questo punto Held cita, sapendo di nominare una persona ben nota ai presenti, un
«teologo valdese di nome
Paolo», il quale in una riunione di «Fede e costituzione»
ha sostenuto con la sua abituale vivacità la necessità che
il nostro impegno non si limiti alla fede apostolica, ma includa anche la vita apostolica.
Held, che ricorda il ministero svolto in gioventù nel
Rio de la Piata e che cita Ricca; il vescovo evangelico del
Württemberg, Theo Sorg, che
in attesa del pranzo mi saluta
e ricorda di aver predicato a
Prali quando era pastore Aldo
Comba; e poi tante persone
che si aprono in un sorriso
pieno di gioia appena dico
che sono valdese: mi convinco che nella Gustav-Adolf il
contatto con le chiese della
diaspora protestante significa
molto di più che fare collette:
è un modo di vivere la realtà
senza frontiere della chiesa; e
capisco perché tutti i fratelli e
le sorelle tedeschi che hanno
parlato abbiano insistito sulla
funzione di rinnovamento e
di apertura che la GustavAdolf può avere nelle stesse
chiese di Germania.
Dopo il pranzo, durante il
quale ho chiacchierato con
Susanne Labsch e con una
vecchia amica di Stoccarda,
Nei paesi dell'America centrale
Le chiese battiste
alla ricerca dell'unità
Dal 1“ al 4 settembre i battisti dell’America centrale (Costarica, E1 Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua,
Panama) e quelli del Messico
si sono incontrati in Honduras, al Centro battista del lago
Yojoa, per la prima Conferenza battista di questa zona.
L’incontro è stato reso possibile dalla cessazione delle
guerre civili in Nicaragua e
Salvador. Quest’area tribolata
è ora in pace dal punto di vista militare ma è sommersa
dai problemi sociali: povertà,
disuguaglianze sociali, criminalità, droga, disoccupazione,
delinquenza giovanile, bidonville e tante altre piaghe accresciute dalla rapida urbanizzazione di masse di contadini.
1 battisti cercano di annunciare l’Evangelo in queste situazioni. E le chiese crescono.
In Guatemala, per esempio, i
credenti battezzati erano
1.500 circa 40 anni fa, oggi
sono oltre 17.000: la maggior
parte dei nuovi membri è india, fra quelli che più soffrono
nella situazione attuale.
Ci sono molti gruppi battisti
in America centrale non inseriti né nell’Alleanza mondiale
battista né nell’Unione dei
battisti deU’America Latina: a
loro è stato esteso l’invito a
venire alla Conferenza e sono
accorsi numerosi partecipando con gioia e in piena comunione. Così è stato per la Missione battista internazionale
del Nicaragua che conta 4.000
membri, per i battisti conservatori dell’Honduras, per le
chiese battiste indipendenti
del Salvador, dove nella capitale, San Salvador, c’è una
comunità che conta 5.000
membri.
L’incontro è servito per gettare le basi per una collaborazione più stretta, perché è
sentita la necessità di una
maggiore unità fra i battisti di
quest’area.
La situazione politica di
questi ultimi anni ha lasciato
ii segno nelle chiese, dove in
aggiunta alle sofferenze generali si è verificata talvolta la
spaccatura fra fratelli e sorelle
che si sono trovati su fronti
opposti. C’è anche un’opera
di riconciliazione da compiere
ed essa è favorita dalla conversione di molti che in passato si sono combattuti a mano armata.
Ma l’evangelizzazione non
significa quietismo e disinteresse verso i problemi sociali e le ingiustizie. Vi sono ora
ex leader sindacali e politici
che svolgono ministeri sociali
nelle chiese e nelle Unioni
battiste di questi paesi.
Ci sono anche problemi di
libertà. Esiste ancora persecuzione religiosa, come testimoniano i battisti del Messico che subiscono violenze
private e assalti alle loro chiese da parte di folle fanatiche,
talvolta guidate da preti cattolici.(Swa News)
agapina dei tempi di Vinay,
ci trasferiamo nella vicina
Stiftskirche per il culto, in cui
predica il Sovrintendente
Gerhold della Stiria (Austria),
che ho incontrato l’anno scorso a Torre Pellice insieme
con un gruppo di pastori della
sua chiesa.
Alla sera i collaboratori
della Società, condotti dall’
infaticabile segretario Weissgerber, ci fanno ripercorrere,
con una specie di cabaret, la
storia della Gustav-Adolf. Ma
il gran colpo della serata è
l’intervista con il decano
Giessel, novant’anni appena
compiuti e splendidamente
portati, che rievoca fatti e
persone, a partire dagli anni
Venti, con impareggiabile
verve. I suoi desideri? Che la
Gustav-Adolf si radichi sempre di più nelle chiese, che le
sue feste riuniscano di nuovo
migliaia di partecipanti come
in passato, che non si svolgano solo in locali ecclesiastici
ma abbiano sempre un momento pubblico nella Marktplatz, la piazza centrale; infine, che i discorsi siano brevi.
A questo proposito racconta
un episodio che ha come
protagonista Otto Dibelius,
l’autorevolissimo leader della
chiesa tedesca negli anni della ricostruzione. In una certa
occasione si era deciso di fissare un limite per i discorsi;
ma chi sarebbe andato a dirlo
a Dibelius? L’incarico tocca a
Giessel, il quale va da Dibelius e gli dice: «E stato fissato
un limite di tempo per gli
oratori; tranne che per lei, naturalmente». Dibelius domanda: «Qual è il limite?». «Venti minuti», gli risponde Giessel: «Parlerò venti minuti»,
promette Dibelius e l’indomani, allo scadere del ventesimo minuto, termina il suo
discorso con una precisione
cronometrica.
Al termine della serata vedo uscire i presenti, tra cui
molte donne; donne che hanno svolto una parte importante nella vita della Società, come Elfriede Lempp, vent’anni alla direzione del lavoro
femminile nella GustavAdolf del Württemberg, del
quale ora un bel libro appena
uscito racconta la storia, iniziata nel 1860. Vedo passare
queste donne e mi rendo conto di avere davanti a me la
realtà stessa della solidarietà.
Non c’è opera della nostra
chiesa che non abbia ricevuto
aiuto dalla Gaw: ospedali,
convitti, case per anziani, attività culturali e altro ancora.
Ho sempre sentito riconoscenza per questi aiuti e responsabilità per il loro buon
uso. Ma qui ho potuto vedere
come sono nati, come nascono; ho avuto come l’impressione di trovarmi alle sorgenti
della solidarietà. Quei volti
aperti e sereni esprimevano
non l’atteggiamento superiore
del benefattore, ma la consapevole fedeltà e sollecitudine
di chi è membro di una stessa
famiglia. Su quei volti potevo
leggere l’impegno di una vita: molte ore di preghiera, le
fatiche dei viaggi, la cura di
informarsi e di trasmettere le
informazioni, le invenzioni di
sempre nuove iniziative per
interessare altre persone e
guadagnarle alla causa della
solidarietà evangelica.
Davvero ci si può associare
al voto dei presenti nella sala
del Hospitalhof: che questa
solidarietà di fede continui e
si estenda. Nell’ascolto di
Dio, nel cammino comune.
Dal
Germania: deceduto il teologo
Helmut Goliwitzer
BERLINO — E morto domenica 17 ottobre a Berlino il noto
teologo Helmut Goliwitzer, all’età di 84 anni. Nato in Baviera,
luterano, era uno dei maggiori discepoli di Karl Barth. Succedette a Martin Niemòller - arrestato nel luglio 1937 - nella
chiesa di Berlino Dahlem dove la sua predicazione non faceva
mistero della sua solidarietà con gli ebrei. Aderì alla «Chiesa
confessante» che si opponeva al nazismo. Professore di teologia
sistematica a Berlino dal 1957 al 1975, Goliwitzer pronunciò
nel marzo ’68 un discorso rimasto famoso di fronte a 10.000
studenti. Negli anni recenti fu esponente di primo piano del movimento tedesco per la pace. Di Goliwitzer l’editrice Claudiana
ha pubblicato varie opere: «Vietnam, Israele e la coscienza cristiana» ; «I ricchi cristiani e il povero Lazzaro. L’Occidente cristiano e i paesi del Terzo Mondo» ;«Regno di Dio e socialismo:
la critica di Karl Barth»; «Vivere senz’armi - L’Europa sotto la
minaccia della bomba N»; «11 poema biblico dell’amore tra uomo e donna. Il cantico dei Cantici»; «Incontrarsi dopo Auschwitz»; «Interrogativi sul senso della vita»; «Liberazione e
solidarietà. Introduzione alla teologia evangelica».
Africa: «Chiesa, potere
e democrazia»
DAKAR — Rappresentanti delle chiese francofone membri
dell’Alleanza riformata mondiale (Arm), riuniti dal 16 al 22
agosto scorso a Dakar (Senegai) sul tema «Chiesa, potere, democrazia», hanno chiamato le chiese africane a «impegnarsi risolutamente nella dinamica di pentimento e di rinnovamento
della loro fedeltà a Gesù Cristo per un patto di speranza». I partecipanti hanno riconosciuto «la parte considerevole, a volte
determinante, che alcune delle nostre chiese sorelle, nel Madagascar, in Sud Africa, in Congo, in Zambia, hanno avuto nei
processi difficili di ripristino del diritto, della libertà, della pace
giusta». Ma «molto spesso nel passato - hanno deplorato - abbiamo voltato le spalle all’Evangelo e lasciato beffeggiare questi valori. Abbiamo contribuito all’instaurarsi e al mantenimento di un ordine sociale fondato sull’oppressione e sulla violenza, sulla corruzione e sull’impostura. In alcuni paesi, l’idolatria
del potere dello stato, incarnato da una sola persona, è stata anche imposta come una religione con la nostra complicità, o addirittura con il nostro consenso!». La dichiarazione è stata sottoscritta dai rappresentanti dell’Alleanza riformata mondiale e
da delegazioni del Camerún, del Gabon, della Nigeria, del Togo e dello Zaire e da Philippe Kabongo-Mbaya, dalla Francia,
che è stato il coordinatore della conferenza. «Se riconosciamo
che il fallimento socio-economico dell’Africa è dovuto ampiamente agli africani stessi - affermano - restiamo consapevoli
che l’ordine attuale del mondo pone la nostra Africa fuori dal
mondo e fuori dalla vita. Ma tocca a noi, qui sul continente, avviare nuove strategie...».
Usa: morto Arie Brouwer
ex responsabile del Cec
TEANECK (New Jersey) — È morto di cancro all’età di 58
anni Arie Brouwer, che dall’83 all’85 era stato segretario generale aggiunto del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) e presidente dell’unità «Giustizia e servizio». NeH’85 aveva lasciato
Ginevra per diventare segretario generale del Consiglio nazionale delle chiese degli Stati Uniti (Ncc). Il segretario generale
del Cec, Konrad Raiser, ha reso omaggio alla «presa di posizione coraggiosa di Arie Brouwer a favore della giustizia per i più
poveri e i più deboli e al suo impegno instancabile in nome di
una costosa riconciliazione, in particolare tra il suo paese e l’ex
Unione Sovietica, tra i popoli del Sud Africa e tra quelli del
Medio Oriente». Negli ultimi anni. Arie Brouwer si è dedicato
alla rete di azione e di studio cristiana «Artigiani della pace in
Medio Oriente». Dall’ottobre ’92 era pastore della Chiesa riformata d’America a Glen Rock, nel New Jersey.
Svizzera italofona
Commissione dei mass media
LOSANNA — Il Consiglio della Federazione delle chiese
protestanti in Svizzera (Feps) ha accettato gli statuti della Commissione per le trasmissioni protestanti alla radio e televisione
svizzere di lingua italiana. La Commissione è composta di
membri della Chiesa ticine.se, della Chiesa cantonale dei Grigioni e dell’Acelis (Associazione delle chiese evangeliche di
lingua italiana in Svizzera). Siccome l’Acelis non ha risorse finanziarie proprie che le permettano di contribuire alla gestione
della Commissione, la Feps versa un contributo al lavoro dei
media delle chiese della Svizzera italofona. In cambio, la Commissione aiuta la Feps con la traduzione e la diffusione di testi
e prese di posizione della Federazione delle chiese evangeliche
in Italia. Inoltre la Commissione si è detta interessata a una
cooperazione con il servizio stampa della Feps.
Cechia: Assemblea del Cege
LITOMYSL — Dal 17 al 24 ottobre si è tenuta a Litomysl
(Repubblica Ceca) la 24“ Assemblea generale del Consiglio
ecumenico dei giovani in Europa (Cege) sul tema «Youth m
transition - building thè bridges». In questa occasione si sono
riuniti i delegati di 21 paesi per discutere i problemi dell’Europa di oggi e per stabilire un programma di attività per gli anni a
venire. La delegazione italiana era composta da Silvia Rostagno. Bruno Gabrielli e Giorgio Bonnet, in rappresentanza della
Federazione giovanile evangelica italiana (Fgei).
3
VENERDÌ 19 NOVEMBRE 1993
Vita Delle Chiese
PAG. 3 RIFORMA
Servizio rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
I principi e l'azione concreta per costruire
la pace nei territori dell'ex Jugoslavia
____SALVATORE TONTI_
SALVATORE TONTI
Dal 5 al 7 novembre si è
svolto a Firenze un convegno organizzato dal Servizio rifugiati e migranti della
Federazione delle chiese
evangeliche in Italia dal titolo
«Non impareranno più la
guerra (Isaia 2, 4 )», sulla
situazione dei paesi della ex
Jugoslavia.
Al convegno hanno partecipato rappresentanti delle
comunità evangeliche italiane, rappresentanti delle chiese evangeliche della Croazia
e dellTstria, un rappresentante del Comitato italiano di solidarietà a cui partecipa la
Fcei, un rappresentante dell’
organizzazione olandese cattolica Ikv (Consiglio delle
chiese olandesi per la pace).
È stato un incontro che ci
ha dimostrato quanto sia importante la questione del linguaggio nel dialogo tra culture diverse. Il linguaggio non è
mai neutrale, e qui ne abbiamo avuto un esempio. La denominazione «ex Jugoslavia»
richiama semplicemente alla
nostra mente un certo territorio con una complessa suddivisione geopolitica. Per il fratello croato essa richiama un
passato che si vuole dimenticare, il timore che possa tornare, la propria patria croata,
contrapposta alle altre entità
statali esistenti. Nel contempo è emersa con forza la necessità di ascoltare l’altro
senza giudicare, cercando di
immedesimarsi nella sua
esperienza, per meglio comprenderla, andando oltre l’apparenza delle parole.
Il convegno si è aperto con
la relazione di Gian Franco
Schiavone, del Comitato italiano di solidarietà, su «Origini del conflitto ed evolversi
della situazione nella ex Jugoslavia». La sua esposizione
ha cercato di rendere la complessità dei fattori storici, culturali, economici interni ed
esterni che hanno contribuito
a creare l’attuale situazione di
conflitto Una complessità che
rende difficile ricercare e trovare una o più cause scatenanti assolute, e definire con
certezza (come purtroppo si è
fatto e si continua a fare...)
chi abbia ragione e chi abbia
torto (perché torti e ragioni
sono distribuiti tra tutte le
parti in guerra). Schiavone ha
inoltre messo in evidenza le
colpe gravi dell’Occidente, e
dell’Europa in particolare,
nello scatenamento del conflitto.
La relazione di Giedter
Berge, dell’Ikv, ha illustrato
le linee fondamentali del pacifismo cattolico olandese
sulle nuove sfide al diritto internazionale dopo la guerra
fredda e la fine del comunismo dell’Est; la nuova violenza internazionale, che si è
creata dopo la fine del bipolarismo Est-Ovest; il risorgere dei nazionalismi politici e
religiosi, che hanno bruscamente e drammaticamente riportato indietro di un secolo
la storia. La sua relazione ha
suscitato in alcuni di noi delle
perplessità, ad esempio perché nulla ha detto, come ci
saremmo aspettati, dell’«ingerenza umanitaria» secondo
il papa di Roma. Che cosa deve significare questa espressione? Come si deve attuare
tale ingerenza, pacificamente
oppure militarmente, sia pure
in modo limitato? Poi anche
per quanto diceva a proposito
di una certa «popolarità»
J
Bosnia: l’assalto al camion per l’acquisto del pane
all’interno dei circoli pacifisti
di organizzazioni come la
Nato.
È stata quindi la volta dei
rappresentanti delle chiese
evangeliche della Croazia a e
deiristria. La relazione dei
fratelli croati sul lavoro delle
chiese nell’ex Jugoslavia ha
dato un altro esempio delle
differenze culturali tra loro e
noi. Certe espressioni come
«il Satana serbo»; oppure
l’affermazione che la guerra
potrebbe essere un’occasione
offerta da Dio per un’evangelizzazione e una testimonianza; oppure ancora
l’iniziativa di offrire il libro
del Nuovo Testamento ai soldati al fronte, nella speranza
che esso faccia maturare una
conversione: tutte cose che ci
hanno molto colpito, che ci
riesce difficile comprendere e
accettare.
Importante è stato anche
l’intervento del pastore Lino
Lubiana, della Chiesa evangelica luterana di Fiume. Si è
notata una certa differenza di
impostazione culturale tra lui
e gli altri, dovuta forse al fatto di essere di origine italiana, cresciuto e formato intellettualmente in Norvegia, dove i suoi genitori espatriarono
dopo l’ultima guerra: un fatto
che per Lubiana ha un certo
valore, come mi ha confidato
mentre pranzavamo quando
ha posto l’accento sulla necessità di aiutare la guarigione dei cuori, lacerati da ferite
che richiederanno decenni per
rimarginarsi. In effetti questa
guerra è forse quella, tra tutte
le guerre di questo secolo,
che ha avuto gli effetti più
devastanti sulla popolazione
civile, non solo sui corpi ma
soprattutto sugli animi (ricordiamoci, ad esempio, dei
bambini e delle donne stuprate in condizioni che hanno
aggiunto dolore a dolore,
umiliazione a umiliazione).
Vorrei infine dare conto
brevemente di quanto è emerso dal dibattito dei gruppi di
lavoro. Sono stati due. Il primo, coordinato da Eugenio
Rivoir, pastore a Forano, aveva per tema «Riconciliazione
e pacificazione»; il secondo,
coordinato da Claudio H.
Martelli, pastore metodista a
Trieste, era intitolato «Interventi di solidarietà concreta».
Entrambi i gruppi hanno lavorato sodo e fatto emergere
questioni e proposte interessanti. Per quanto riguarda il
primo, questi sono alcuni dei
problemi toccati: a) il rapporto tra pace di Dio o con Dio e
pace degli stati e fra gli stati;
b) che cosa significa lealtà
nei confronti della propria patria; c) il nostro rapporto, come chiese, con l’industria
militare; d) la necessità, parlando di pace, di affrontare
anche le questioni politiche
ed economiche; e) un’interrogazione posta ad un certo tipo
di pacifismo eroico e romantico, perché «la pace è vita e
non sterile martirio collettivo»; f) la necessità di riscoprire il senso della tolleranza
e la capacità di inunedesimarci nella situazione dell’altro.
Il gruppo ha ribadito la necessità di tenere aperti canali di
informazione tra noi e chi vive nei luoghi del conflitto ed
ha evidenziato che il dibattito
su riconciliazione e pacificazione avviene, e deve avvenire, di pari passo all’attuazione
di forme di collaborazione
concreta.
Il secondo gruppo ha stabilito cinque principi generali
che devono guidare gli interventi di solidarietà delle nostre chiese: 1) appoggiare le
organizzazioni dell’ex Jugoslavia che lavorano nel campo della diaconia; 2) evitare
ogni forma di assistenzialismo, per favorire il recupero
dell’autonomia da parte delle
comunità locali; 3) porsi dentro i conflitti etnici e le dispute religiose, in modi che aiutino a superare tali conflitti; 4)
collaborare con gruppi di vo
lontariato laico e religioso e
organizzazioni ecumeniche
intemazionali, nel rispetto di
questi principi generali; 5) intervenire come credenti al di
fuori di ogni connotazione
nazionalista. Tra i progetti sono stati indicati; a) apertura di
un canale con l’organizzazione «My neighbour» (il mio
prossimo), presentataci dal
pastore croato Mickulich; b)
preparazione di personale per
un lavoro diaconale, richiesto
dal pastore Lubiana; c) sostegno a progetti nel campo
dell’informazione; d) l’apertura di canali di solidarietà
con serbi, macedoni, albanesi
ecc.
Il pastore Lubiana, nel culto che si è tenuto nella vicina
chiesa battista, commentando
2 Corinzi 6, 20, ha infine
chiuso degnamente il convegno, lanciando un appassionato appello all’amicizia tra
culture e tra etnie, ricordando
che, come dice Paolo, noi siamo innanzitutto «ambasciatori inviati da Cristo», prima
che appartenenti a una determinata nazionalità; e che codesta amicizia deve fondarsi
sulla consapevolezza del nostro peccato, che il nostro debito con Dio è assai più grande del debito nei confronti
degli altri uomini e delle altre
donne; che gratuitamente abbiamo ricevuto, nonostante
tale peccato, e gratuitamente
dobbiamo dare.
EX JUGOSLAVIA
MAITIÙ
LA GUERRA
EUGENIO RIVOIR
Da tempo bisognava
parlarne. Ma non si
sapeva come, con chi;
non si sapeva bene neppure di che cosa parlare.
Un paese vicino a noi,
sconvolto in una esplosione di ferocia e di pazzia senza limiti, inimmaginabile per molti: c’era
una volta la Jugoslavia.
Gli scopi degli organizzatori erano almeno tre:
cercare di capire che cosa è successo e che cosa
succede; incontrare gli
evangelici che vivono
dalTaltra parte dell’
Adriatico; vedere che cosa si può fare per aiutare
(e dove e con quali partner).
Che dire alla fine di
questi neppure due giorni di incontro? Innanzitutto una parola di ringraziamento a coloro che
hanno preparato questo
tentativo di messa a punto. Abbiamo infatti scoperto che non sapevamo
(quasi) niente e che siamo davanti a un compito
immane. Quello che è
stato definito un paese
passato dallo sfruttamento all’abbandono (o un
paese diventato inutile) è
vicinissimo a noi, ma pochissimi lo conoscono; è
come se lo abbandonassimo anche noi: è abbandonato due volte! Un
esempio fra tanti: imparare a capire come gli
abitanti di questo territorio vivono la tragedia di
ieri e oggi è essenziale (e
molti di noi che non hanno vissuto, o hanno dimenticato perché passato
da tanto tempo, le esperienze di una guerra non
sanno che cosa questo significhi): cittadini di uno
stesso stato che diventano stranieri gli uni gli altri, le autorità di prima
che ora non contano nulla, le rivendicazioni,
l’odio nuovo che prende
i colori del patriottismo,
ecc.).
Ancora: come vive una
comunità di credenti una
situazione di guerra? Per
fare un altro esempio:
che cosa significa annunciare l’Evangelo? Quando i mezzi di comunicazione trasmettono le foto
dei soldati che hanno in
mano il fucile e però anche la Bibbia che tu hai
pensato di regalare? Dopo la constatazione di
aver imparato a capire
qualcosa (ma proprio solo qualcosa!), c’è quindi
la certezza amara che il
discorso sul «che fare?»
deve ancora cominciare
(o, diciamo meglio, è appena cominciato).
Ma cinquanta persone
che si ritrovano e cercano di aiutarsi a capire sono un piccolo pezzo
d’Europa che sta uscendo attonito da un lungo
periodo che era sembrato
a molti un periodo di pace (e invece era solo indifferenza). Ora, a pochi
chilometri da noi, c’è
miseria, c’è odio, c’è fame, ci sono feriti nella
membra e nella psiche.
Le parole di Isaia che
hanno dato il titolo al
convegno («Non impareranno più la guerra»)
possono sembrare pazzia
alla gente del nostro
tempo. Per dire la nostra
volontà di non abbandonare il campo abbiamo
voluto alla fine incontrarci, tutti insieme, con
una comunità evangelica
fiorentina:, nel culto un
pastore italiano, Mario
Marziale, e un pastore
croato. Lino Lubiana, ci
hanno parlato di ticonci^
liazione. Con questa parola si è chiuso il convegno: siamo in molti a
cercare di capire che cosa vuol dire, cercando di
informarci nel modo migliore possibile.
Al Servizio cristiano di Riesi una esperienza di formazione nel campo agroalimentare
Iniziato un nuovo corso professionale
Martedì 2 novembre sono
iniziati al Servizio cristiano di
Riesi i «Corsi di specializzazione per esperti nella qualità
e nella valorizzazione dei prodotti agroalimentari», a cui
sono stati ammessi 15 studenti tra cui due valligiani: Sandro Bellion dei Chabriols
(Torre Pellice) e Marco Bruno
di Villar Perosa.
Questo corso è stato presentato alla Regione Sicilia nel
settembre ’92 come nuovo
progetto del Servizio cristiano, ed è nato sulla scia e
sull’esperienza del precedente
corso di «Ingegneria del territorio» svoltosi nel nostro Centro di Riesi. Solamente nello
scorso mese di settembre si è
saputo che il progetto del Ser
vizio cristiano era stato finanziato dalla Regione con il
«Fondo sociale europeo», e
che i corsi avrebbero dovuto
iniziare il 1° novembre e terminare nel maggio ’94.
Non c’era tempo da perdere, e nel giro di un mese e
mezzo è stato pubblicato il
bando di concorso, sono state
raccolte 25 iscrizioni e sono
stati fatti gli esami di ammissione al corso. Ne sono
usciti 15 allievi regolarmente
iscritti che avranno diritto ad
un presalario di 400.000 lire
mensili, e 5 allievi ammessi
alle lezioni come uditori.
Tutto ciò è stato possibile
grazie al supporto tecnico e
organizzativo dello Csea
(Consorzio per lo sviluppo
dell’ elettronica e dell’automazione), con sede a Torino,
che già aveva organizzato il
precedente corso di «Ingegneria del territorio».
Il corso, di 1.000 ore, sarà
strutturato con una prima fase
propedeutica in cui si affronteranno materie come economia, metodi di analisi del sistema agroalimentare, statistica, chimica propedeutica, legislazione, biologia e microbiologia, e con una seconda
fase specialistica in cui si affronteranno il marketing, le
tecnologie della conservazione e trasformazione dei
prodotti agroalimentari, le
tecniche di analisi, e le principali filiere agroalimentari.
I docenti delle varie mate
rie, mandati dallo Csea, si alterneranno da Torino ogni settimana, mentre il responsabile
del Corso a Riesi, cioè il «tutor», sarà Sergio Borroni, che
fa parte del gruppo residente.
Borroni dovrà seguire gli
studenti soprattutto nella seconda fase, quando si muoveranno sul territorio per le
esercitazioni pratiche e gli
stage.
Al Servizio cristiano, nella
sede che fu il Centro di formazione meccanici Riesi, ora
sta nascendo un nuovo Centro
di formazione professionale
permanente, che ogni anno
promuoverà un nuovo progetto per cercare di dare una risposta al grave problema della
disoccupazione in Sicilia.
4
PAG. 4 RIFORMA
Vita Delle Chiese
venerdì 19 NOVEMBRE 1993
A Luserna San Giovanni il corso di formazione per le corali
Il canto corale^ gioia e armonia
________PAOLA REVEL________
Il 12° corso di formazione
di canto corale diretto dal
m.o Sebastian Korn è terminato con un concerto al tempio
di Luserna San Giovanni: domenica 24 ottobre un folto
pubblico ha lungamente applaudito il frutto di una enorme mole di lavoro, portato
avanti durante i tre ultimi corsi e via via sfrondata per lasciare spazio a un ristretto numero di canti sul tema del Natale. Il concerto ha visto la
partecipazione del Gruppo
flauti vai Pellice e dell’organista Walter Gatti.
Se tutti hanno potuto notare
la bravura del maestro Korn
nel guidare il coro, al di fuori
dei coralisti pochi conoscono
la pazienza con cui egli insegna i pezzi: non si tratta solo
di eseguire perfettamente la
musica, dando il giusto valore
alle note e alle pause, tenendo
conto di ogni sfumatura, ma
di interpretare il testo, di dare
la dovuta importanza alle parole: musica e testo sono un
tutto unico; senza dimenticare
che il canto è anche preghiera.
In questi anni sicuramente i
coralisti hanno trovato un valido aiuto per migliorare le
proprie capacità vocali e interpretative, e i direttori di corale
si sono potuti confrontare,
hanno ricevuto consigli tecnici per migliorare la qualità
delle corali stesse.
Fianco a fianco con i coralisti, seduti «dall’altra parte», i
direttori hanno imparato anche a conoscere le difficoltà
di chi si trova a dover imparare e interpretare un pezzo. Ma
la lezione di Kom (che ha studiato all’Accademia musicale
La corale ecumenica di Milano
di Monaco di Baviera, insegnante di varie discipline musicali, solista egli stesso di
lieder e pianista specializzato
nell’accompagnamento di tale
repertorio tedesco, ha collaborato a lungo con Karl Richter, e dal 1985 vive in Italia
svolgendo l’attività di libero
professionista) è anche lezione di grande umanità, di rispetto verso l’altro, e questi
corsi sono riusciti a creare
rapporti di affiatamento musicale, di amicizia e spirito di
gruppo.
Certamente i corsi non sono
accessibili a tutti i coralisti:
occorre una base che non tutti
hanno. Ci sono delle proposte
per spostare il corso in vai
Chisone per permettere la partecipazione di un numero
maggiore di coralisti.
In vari periodi storici gli atti dei Sinodi toccano il tasto
del canto nella chiesa, e in
particolare il canto dei Salmi.
Tra gli atti del Sinodo del
1707, svoltosi a Torre Pellice,
redatti in francese, al n. 18,
troviamo una proposta interessante: per invogliare il po
polo al canto l’Assemblea ordina ai maestri di scuola «di
scegliere tra gli alunni e insegnare loro la musica e far loro cantare tutti i giorni qualche versetto».
Il Sinodo del 1711 ritorna
sullo stesso argomento, minacciando di allontanare dalla
comunione coloro che pur sapendo cantare non si uniscono
agli altri nel canto dei Salmi.
Più tardi, trovandosi alle Valli
intorno agli anni 1823-24, il
Gilly scrive che «i valdesi
cantano tutti in chiesa, ma
con più serietà che armonia».
Anche nel passato, quindi, il
canto ha avuto estrema importanza: come lode a Dio, essenzialmente, ma senza trascurare l’esecuzione musicale, che
è importante sia per chi ascolta sia per chi esegue. Lo stesso Calvino raccomanda il canto come prerogativa del credente: anche l’usignolo sa
cantare bene, ma la caratteristica dell’uomo è di sapere il
significato di ciò che dice:
dobbiamo cantare con l’intelligenza e con il cuore «per
non smettere mai di cantare».
La Festa della Riforma: incontro interdenominazionale a Roma
Ricostruire la speranza
quando la Parola di Dio è rara
Sotto una pioggerella fine
ed insistente giungevano a
gruppetti, domenica 7 novembre, sin dalle 9 del mattino evangelici, simpatizzanti,
o amici invitati all’appuntamento conclusivo della Festa
della Riforma di Roma, tenutosi al Teatro Nazionale. Era
stata una settimana densa di
incontri per le chiese promotrici, ossia per le comunità
evangeliche del centro città.
Luterani, battisti, valdesi, metodisti, credenti della Chiesa
di Scozia e della Chiesa protestante di lingua francese si
erano mobilitati con entusiasmo con lo scopo dichiarato
di «parlare alla città» e contribuire con la propria testimonianza pubblica a «ricostruire la speranza» in un momento storico di grande disgregazione e diffuso smarrimento. Questo dunque il tema scelto per la manifestazione che ha voluto significativamente prendere spunto
dall’annuale celebrazione
delle nostre chiese della
Riforma protestante, movimento di radicale rinnovamento e ricostruzione. In poco tempo il teatro si è gremito
di circa milleduecento persone e il programma ha avuto
inizio col canto di alcuni inni
tradizionali della Riforma.
Tutto rincontro ha voluto
mettere il canto, espressione
classica per le nostre chiese
di preghiera, di comunione
fraterna e di gioia, in primo
piano. Abbiamo infatti potuto
ascoltare il canto di ben quattro corali e questo ha senz’al
Discussione sul ministero pastorale all'assemblea del IV circuito valdese e metodista
Chi è e cosa fa il pastore nelle nostre chiese?
VICTORIA MUNSEY __________: u.ì _____________________________
_______VICTORIA MUNSEY______
Come dovrebbe profilarsi
il ministero pastorale
oggi e nel prossimo futuro?
Quali sono le opportunità per
una testimonianza rinnovata
e ampliata nel mondo laico e
quali sono i fabbisogni critici
che esistono nella nostra comunità di fede? E come può
svolgere un pastore (non
avendo il dono dell’ubiquità)
tutti i ruoli necessari in una
realtà sempre più complessa?
L’assemblea del IV circuito
delle chiese valdesi e metodiste, tenutasi il 16 ottobre,
ha visto un dibattito stimolante al riguardo.
E stato il pastore Gianni
Genre ad aprire la discussione, con la presentazione di
una raccolta di dati assai
preoccupanti sulle tendenze
numeriche nelle chiese e nel
corpo pastorale attivo: dal
1980 al 1992 registriamo un
calo di 1.320 membri di
chiesa (-6%) di cui 969 nel
Nord, e un calo di pastori pari a -5, 4%.
Ma come .sempre le statistiche ci dicono solo una parte della storia, perché qualsiasi ricerca quantitativa ha i
suoi limiti intrinseci nel descrivere la realtà. Nel suo intervento, Genre ha affrontato
un tema più ampio e senza
dubbio più significativo, cioè
la «qualità della vita cristiana». Citando uno studioso
francese ha ribadito che il
protestantesimo è una vocazione: oggi come in passato i
protestanti sono chiamati a
una sempre maggior riflessione per cogliere la dimensione della profondità, invece
di cedere supinamente al
consumismo scatenato del
mondo laico; sono chiamati,
come chiesa della Parola, a
sostenere che essa ha ancora
un senso come miglior mezzo di comunicazione in un
momento di svalutazione delle parole, di sfiducia nei discorsi.
Infine il protestantesimo ci
chiama alla responsabilità individuale senza bisogno di
mediazione. Tutto ciò conferma l’importanza della lettura biblica e la necessità di
rivedere il senso (inteso come significato ma anche come direzione) del ministero
pastorale oggi. Sfidato e sollecitato dalle esigenze amministrative e quotidiane, il pastore deve rivalutare le proprie priorità.
Franco Taglierò ha notato
la tensione fra le richieste
delle comunità al pastore e le
capacità individuali che i pastori possono mettere a disposizione delle comunità
stesse. Il pastore Taccia ha
riflettuto sull’ironico fatto
che oggi viviamo un momento storico che mostra possibilità immense verso l’esterno
ma, allo stesso tempo, un atteggiamento che ha caratterizzato come «indifferenza
completa» delle comunità,
all’infuori di alcuni piccoli
gruppi.
Secondo Taccia il mondo
cattolico e quello laico sono
aperti come mai prima ai
concetti e ai principi protestanti; è questo un momento
ricco di potenzialità. Purtroppo i laici e i cattolici in cerca
di un’apertura verso il pensiero e la realtà protestante
sono accolti con freddezza e
disinteresse quando si avvicinano alle nostre chiese (e
aggiungerei che anche questa
«cultura», questo atteggiamento verso chi si avvicina a
noi daH’estemo dovrebbe essere valutato come uno degli
elementi della nostra «qualità di vita cristiana», e neanche come elemento di minore importanza).
Un fratello della vai di Susa ha confermato questo punto con un racconto: un giorno ha ricevuto una telefonata
di un operaio cattolico che
voleva lasciare il suo patrimonio alla Chiesa valdese
perché, diceva, «voi siete i
veri cristiani». Però, continuava l’intervento, il potenziale benefattore non ha mai
pensato di poter frequentare
direttamente i nostri culti.
Per lui i valdesi, da un certo
punto di vista, erano come
gli ebrei: una comunità di
nascita e non di adesione
consapevole.
11 pastore Bernardini ha
poi commentato il ruolo del
pastore paragonandolo alla
spina dorsale nel corpo umano. D’accordo sulla visione
del pastore di oggi, sovraccaricato di responsabilità sia
dentro che fuori le comunità,
ha suggerito una rivalutazione del ministero dei laici. La
spina dorsale è essenziale
perché il corpo (la chiesa)
stia in piedi ma, come l’Evangelo ci insegna, un corpo
ha tante membra e ognuno
deve fare la propria parte.
Una discussione animata e
importante, dunque, che ovviamente si è conclusa senza
risoluzioni definitive. E giusto così, perché si tratta di un
tema che riguarda non solo
un circuito ma la chiesa intera. Nonostante questo, la discussione ha messo in luce
delle domande profonde e significative, sottolineando anche l’importanza dell’Assemblea di circuito come
luogo adatto non solo per
l’amministrazione ordinaria
ma anche per affrontare insieme le problematiche di
base, le possibili soluzioni e
le opportunità crescenti delle
tro contribuito a creare quel
clima di festa e comunione
ideale con la testimonianza di
fede di chi ci ha preceduti,
che ha poi caratterizzato tutto
l’incontro.
L’intervento del pastore
Giorgio Bouchard, presidente
della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, ha ripercorso le tappe storiche
della presenza protestante a
Roma sin dall’epoca delle
persecuzioni, ha ricordato come la passione per la Bibbia
abbia da sempre caratterizzato questa presenza come ai
tempi della repubblica romana del 1948 quando fu stampato e diffuso il Nuovo Testamento, o successivamente
quando un colportore con un
carretto colmo di Bibbie trainato da un cane varcò il 20
settembre 1970 la breccia di
Porta Pia.
Quattro testimonianze sono
poi seguite, sollecitate dalla
domanda cruciale: «Protestanti perché?». Franca Long,
valdese, ha messo l’accento
sul come la vocazione alla libertà dell’Evangelo e alla responsabilità del servizio abbia da sempre costituito il riferimento per la sua esistenza
di credente, a partire dall’affermazione biblica: «Voi siete stati chiamati a libertà, solo
non fate della libertà un’occasione per favorire il vostro
egoismo».
Anna Maffei, battista, ha
affermato l’attualità della
forza liberante e rigeneratrice
di una lettura «senza mediazioni» della scrittura. II pa
store metodista Claudio H.
Martelli ha poi affermato la
necessità di una testimonianza positiva, concreta e visibile che non sia una parlare
«contro» ma un rendere costantemente conto della speranza che è in noi. Ha concluso questa parte la bella testimonianza di Baerbel Naeve, che ha condiviso la sua
esperienza di aver vissuto in
Italia, paese così diffusamente cattolico, come luterana e
straniera in una condizione di
«doppia diaspora». Solo il
contatto e il confronto fraterno con la realtà di minoranza
delle chiese evangeliche italiane, per le quali prezioso è
da sempre il contributo del
pensiero di Lutero, le hanno
ridato coraggio e restituito
consapevolezza dell’importanza della propria tradizione
di fede.
Ha concluso la mattinata il
culto d’adorazione con la predicazione del pastore Paolo
Ricca, a partire dalla lettura,
bellissima, del testo della vocazione di Samuele (I Sam 3,
1-10). Ricostruire la speranza in un mondo in cui la parola di Dio è rara è possibile
solo se tale ricostruzione comincia da noi. Se ci disponiamo cioè all’ascolto di chi ci
chiama e ci apre al nuovo.
Solo quando avremo ascoltato la città con i suoi problemi,
avremo pregato per essa e ci
saremo messi in ascolto del
Signore che ci parla, allora
potremo cominciare davvero
a «parlare alla città». Siamo
pronti? (a.m.)
Federazione delle chiese evangeliche liguri
Maggiori collegamenti
Si è svolta lo scorso 3 ottobre l’annuale assemblea delle chiese aderenti alla Federazione ligure, contenuta come al solito nello spazio
troppo breve di un pomeriggio di domenica.
La discussione delle relazioni e le mozioni finali hanno risposto all’esigenza, manifestata da tutti gli intervenuti, di una migliore distinzione delle competenze tra
Federazione regionale e
Coordinamento Bmv, le cui
iniziative negli ultimi due
anni si erano sovrapposte.
Mentre il Coordinamento
Bmv dovrà occuparsi soprattutto degli incontri delle
scuole domenicali, della formazione e dell’aggiornamento dei predicatori locali e
dello scambio di predicazioni tra le chiese della Liguria,
Un seminario a Poggio Ubertini
Cristiani e IsIam
L’Alleanza evangelica italiana (Aei) ha organizzato a
Poggio Ubertini (Fi) il 17 e
18 settembre un .seminario internazionale sulla presenza
dell’Islam in Italia, con relazioni e testimonianze di
oratori specializzati.
L’Aei si propone di approfondire l’informazione e
la sensibilizzazione sui pro
blemi relativi ai rapporti con i
musulmani viventi nel nostro
paese, per promuovere rapporti reciproci privi di pregiudizi, rispettosi e pacifici.
L’Aei caldeggia inoltre un
concreto impegno evangelistico che porti alla fondazione di chiese cristiane in
Italia con persone provenienti
dal mondo islamico.
la Federazione accentuerà la
sua funzione di rappresentanza verso l’esterno e di
collegamento delle chiese federate con quelle non federate: un bollettino bi o trimestrale sarà lo strumento principale per questo servizio.
Al termine dei suoi lavori
l’assemblea ha eletto presidente Adriano Bettolini, della Chiesa valdese di Sampierdarena, in luogo di Massimo Torracca, giunto alla fine del suo secondo mandato,
che non voleva più essere
rieletto per altri suoi impegni
e in vista di una sua preparazione al pastorato nell’Unione battista, per il quale l’assemblea gli ha espresso il più
fraterno augurio, con il ringraziamento per il lavoro
svolto.
Si è dimesso dal Consiglio,
per impossibilità materiale a
seguirne i lavori, il pastore
Teodoro Fanlo y Cortés: perciò, per la prima volta, il
Consiglio è composto solo di
laici. Sono stati confermati
nel Consiglio della Federazione regionale Manuel Kromer, battista della chiesa di
via Vernazza (Genova centro), e Paola Stagnaro, metodista della chiesa di Savona;
sono stati eletti per la prima
volta Giacomo Grasso, valdese della chiesa di via Assarotti (Genova centro), e Marta Marzioli; battista della
chiesa di La Spezia.
A tutti questi fratelli le
chiese federate augurano
buon lavoro al servizio
dell’Evangelo.
5
\/F.NERDÌ 19 NOVEMBRE 1993
Vita Delle Chiese
PAG. 5 RIFORMA
Chiesa evangelica di Napoli-via Vaccaro
I giovani e
le diversità sessuali
Diversi nel comportamento,
ma uguali nell’amore-, è stata
questa la scoperta che abbiamo fatto nell’incontro del 13
ottobre organizzato dal gruppo
giovanile di via Vaccaro 20, a
Napoli, insieme a numerosi
simpatizzanti e alcune persone
«diverse» (3 omosessuali, un
bisessuale e un transessuale).
Dopo la presentazione dei
partecipanti ciascuno ha ricevuto un foglietto sul quale era
scritta una domanda sull’argomento delle diversità sessuali.
Dopo un tempo di riflessione
ognuno era invitato a dare la
sua risposta personale. Si è acceso un dibattito molto vivo e
appassionato, durato più di
due ore, condotto sempre nel
rispetto e nella cordialità.
L’interesse è cresciuto al punto da suscitare la richiesta di
un secondo incontro da tenersi
dopo due settimane dal primo.
Questo primo momento di
scambio si è concluso con un
agape a cui tutti hanno contribuito con qualcosa. Ci siamo
poi salutati arricchiti nella
mente e nel cuore, felici di
aver scoperto che certe paure e
certi pregiudizi, quando sono
onestamente riconosciuti, possono essere superati creando
poi comunione attraverso il
dialogo aperto e lo scambio di
Hai fatto
Fabbonamento
RIFORMA?
esperienze realmente vissute.
Per me che faccio parte dei
«diversi» e ho quasi sessant’anni, questo incontro è
stato un avvenimento che mi
ha dato di nuovo fiducia e speranza che il mondo possa cambiare. Mai mi sarei immaginato che un giorno sarei stato invitato da una chiesa a condividere con gli altri la mia vita,
mai avrei pensato di aprire il
mio cuore e presentarmi così
come sono, di non dovermi
nascondere e di essere accolto
come persona nella sua dignità
e unicità. È ritornato alla mia
mente il testo di Isaia 43,4 «Io
ti amo e ti stimo, tu sei prezioso per me», e la profonda consapevolezza della verità di
questa parola anche per me mi
ha ricolmato il cuore di gioia.
Chiesa metodista di Villa San Sebastiano
Festa della Riforma
con corale tedesca
THOMAS ELSER
Domenica 31 ottobre è
stata una grande giornata per la chiesa di Villa San
Sebastiano, perché ha avuto
la gioia di ricevere il «Vocalensemble Heidenheim», una
corale tedesca con ben 47
coralisti. In occasione della
festa della Riforma hanno
riempito il tempio con le armonie e il messaggio dei
musicisti riformati. Hanno
eseguito il mottetto di
Johann Sebastian Bach «Mio
Gesù, mia gioia» con la sua
serena melodia. Anche senza
capire le parole, la musica
comunica una grande allegrezza, pur senza dimenticare le miserie del mondo.
Sono stati poi eseguiti altri
Donne evangeliche della Lombardia
Le donne nella società
La Federazione delle donne
evangeliche in Italia (Fdei) ha
organizzato, a livello di Lombardia, un incontro che si terrà
sabato 20 novembre (ore ISIS) nei locali della Chiesa metodista di via Porro Lambertenghi, a Milano.
L’incontro nasce dalla constatazione di quanto il ruolo,
la funzione e l’impegno della
donna si impongano e debbano essere maggiormente valorizzati nell’ambito della chiesa e della società, che cambiano anche per la presenza
di sorelle extracomunitarie
che diventano sempre più numerose.
L’incontro prevede una meditazione a cura della pastora
Eliana Briante e le relazioni
di tre sorelle: Lilly Ng, cinese; Ana Lucia, brasiliana;
Grace Apana Gana, ghanese,
che parleranno delle loro
esperienze nel lavoro, nella
società e nella chiesa. Jolanda
De Bernardi farà inoltre un
intervento sul Decennio ecumenico di solidarietà delle
chiese con le donne.
mottetti di Heinrich Schütz
tratti da testi biblici; brani di
Felix Mendelssohn - Bartholdy, Joseph Haydn e anche
un «Pater Noster» a 5 voci di
Giuseppe Verdi che 1’«Ensemble» ha cantato in italiano.
Nel tempio risuonava il
«Lodate l’Eterno, voi nazioni tutte», seguito dall’«Alleluia!» del Salmo 117, splendide armonie che esprimevano la gioia della fede e la fiducia nel Signore. I volti dei
coralisti e le espressioni del
pubblico lasciavano trasparire profonda partecipazione e
intimo godimento.
È stato in questo modo vissuto un bel momento di testimonianza nello spirito della
Riforma: non solo la parola
parlata, ma anche la parola
cantata racconta la gloria del
Signore. La fede e la salvezza in Dio si esprimono in
modo meraviglioso e comunicano anche nel profondo,
coinvolgendo tutto l’essere
umano.
Anche la chiesa battista di
San Benedetto dei Marsi ha
partecipato al concerto e un
gran numero di simpatizzanti
e amici del paese.
Al concerto è poi seguita
un’agape fraterna. Siccome
non era molto possibile comunicare con le parole, si è
ricorsi alla mimica, facendo
entrare in campo le mani.
Abbiamo capito che siamo
tutti uno nella fede; bisogna
dunque sapere rompere la
solitudine e l’isolamento, vivendo l’esortazione del salmista: «Lodate l’Eterno, voi
nazioni tutte, e celebratelo
voi popoli tutti!».
*
«lÄI
Chiesa valdese di Biella
Ripresa delle attività
_______FRANCO TAGLIERÒ______
La Chiesa valdese di
Biella ha ripreso le attività con il culto del 10 ottobre, nel corso del quale sono
stati ammessi due nuovi
membri. I coniugi Stefano ed
Edwige Vesely, rientrati a
Biella a fine ’92, dopo più di
vent’anni di emigrazione in
Germania, dove frequentavano la Chiesa evangelica battista, hanno partecipato in
questi mesi alle attività comunitarie ed hanno infine
chiesto di entrare a far parte
della nostra chiesa. La comunità li ha circondati con il
suo affetto e la sua disponibilità.
La giornata di gioia e condivisione è proseguita con
l’agape fraterna al termine
della quale i presenti si sono
interrogati sulla vocazione
diaconale della chiesa. Alcuni fratelli e sorelle hanno
proposto un impegno nel
campo del servizio agli immigrati extracomunitari e ai
profughi, tentando un collegamento con altre forze sociali e religiose che, con
enorme fatica, cercano di
sensibilizzare al problema
una città particolarmente refrattaria e indifferente. In
una futura assemblea di chiesa l’argomento verrà ripreso
in modo più approfondito.
Sono anche ripresi gli incontri di studio biblico
interconfessionale che, men
silmente, riunisce alcuni vaidesi e cattolici impegnati. Il
tema affrontato, introdotto
normalmente dal pastore, è
quello della preghiera. Da
questo incontro, a cui talvolta partecipa il rettore del Seminario di Biella, sono nati
vivaci stimoli nei confronti
della diocesi in vista dell’organizzazione di iniziative inquadrate nella settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani. I contatti ecumenici a
Biella hanno avuto fino ad
oggi un carattere estremamente episodico, ma la probabile apertura alla conoscenza reciproca e al rispetto
della diversità confessionale
non può che essere positiva
in prospettiva futura.
All’inizio di ottobre la comunità riunita per il culto ha
manifestato, con il dono di
una Bibbia, la sua gioia e i
suoi fraterni auguri ai giovani Daniele Capostagno e Nicoletta Tubia, che si erano
uniti in matrimonio nel municipio di Cándelo qualche
settimana prima.
Chiesa battista di Lentini
Grazie Giuseppe!
_________ENZO CARUSO________
Davanti a quella torta,
con queir unica candela
immersa nella panna a significare cinquant’anni di lavoro per la causa dell’Evangelo, attorniato dall’affetto di
tanti fratelli e sorelle, Giuseppe non seppe più nascondere la sua commozione. Così, mentre ringraziava, la voce gli si serrò in gola. Per
fortuna, in suo soccorso arrivò un grande, affettuoso
applauso.
Quando Giuseppe entrò
per la prima volta nella chiesa battista di Lentini, io ero
piccolo così; così piccolo
che in chiesa mi ci portavano
in braccio. La chiesa, allora,
era solo un vecchio e freddo
camerone e il solo fatto di
entrarvi costituiva un atto di
fede e di coraggio; in quegli
anni predicava il pastore Filadelfo Maci e la sua voce,
così calda e suadente, aveva
su di me l’effetto di un sonnifero. E io dormivo, beatamente.
Per la pubblicità su RIFORMA
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Giuseppe Pittavina, dunque, ebbe il coraggio di entrare in quella chiesa spoglia
malgrado non mancassero a
Lentini cattedrali ricche e
imponenti.
Vi entrò da servitore dell’
Evangelo e con una fissazione: evangelizzare. Cominciò
accompagnando il pastore
Filadelfo Maci per i paesi di
mezza Sicilia (quei due incoscienti, pensate un po’, viaggiavano in motocicletta,
noncuranti del vento e della
pioggia).
Cominciò così Giuseppe e
da allora, cocciuto come un
mulo, ha continuato ad annunciare r Evangelo. Fino a
quando ha potuto Giuseppe
ha fatto il muratore e tra calce, cemento e impalcature,
sempre lo stesso chiodo fisso: annunciare l’Evangelo.
Quando tra immensi sacrifici
si abbatté il camerone per innalzare i muri della nuova
chiesa lui era lì, a mettere
pietra su pietra, con una
gioia incontenibile.
Dopo aver spento quella
candela sulla grande torta ricoperta di panna Giuseppe, a
80 anni, è partito per stabilirsi presso una sua figlia a San
Giorgio del Sannio, in provincia di Benevento.
A tutti noi, assieme alla
tristezza per il distacco, ha
lasciato la gioia di averlo conosciuto e amato per così
tanto tempo.
Grazie Giuseppe!
Domenica della Riforma a Milano
^identità riformata
come viverla
Il tema del pomeriggio comunitario, tenutosi il 31 ottobre nella accogliente chiesa
luterana di via Marco de
Marchi e organizzato dalle
comunità milanesi per la Domenica della Riforma, era
l’identità protestante.
Forse la prima risposta a
questo interrogativo venuta
da quel confronto non è tanto
da ricercare in ciò che è stato
detto quanto nella molteplicità di forme in cui le diverse
comunità si sono espresse
(canto, drammatizzazione, riflessione biblica e teologica,
memoria storica) che conferma ancora una volta come la
varietà e la diversità di modi
di essere, di sentire, di parlarsi e di parlare di Dio siano
una caratteristica che non limita ma anzi arricchisce le
nostre comunità.
Dopo un breve concerto
d’organo tenuto da Alessio Corti, che ha eseguito
musiche di MendelssohnBartholdy, e un rinfresco
è stato dato spazio ai contributi delle varie comunità. Ha esordito una rappresentanza del gruppo di
studio biblico di lingua
italiana della Chiesa luterana con un intervento
centrato sul significato
del dirsi riformati ma soprattutto cristiani nel
mondo contemporaneo. Intervallati da momenti di canto corale di tutti i presenti si
sono succeduti gli interventi
delle tre comunità battiste
dell’area milanese: una drammatizzazione sul tema storico
della nascita del movimento
battista per opera di Thomas
Helwis nell’Inghilterra del
XVII secolo, per reazione alle persecuzioni di Giacomo I,
l’interpretazione di due brani
da parte del cantautore Milone, la lettura di testi di Lutero
sul tema «sola fede».
La comunità metodista ha
presentato una serie di riflessioni individuali sui vari
aspetti della fede personale
mentre la comunità valdese
ha presentato un contrappunto tra il fondamento riformato del dono della grazia che
libera il cristiano in un quadro di responsabilità individuale e gli episodi della cronaca che quotidianamente testimoniano le conseguenze
della mancata attuazione di
questa novità di vita.
In chiusura, molto apprezzati per la freschezza e la
buona esecuzione, due brani
vocali eseguiti dal gruppo
«Alleluiah», presentato dalla
comunità avventista, che ha
eseguito «Oggi so», di propria composizione e lo spiritual «Freedom».
ROVIGO — La Chiesa battista organizza un corso metodologico-pratico per monitori di scuole domenicali (dei piccoli e
medi) nei giorni 27 e 28 novembre 1993. Il corso avrà inizio alle ore 15 del sabato e si concluderà nel primo pomeriggio di domenica. Sarà tenuto da Janet Graves, laureata in
pedagogia con specializzazione nell’insegnamento ai bambini nella chiesa, consulente e coordinatrice per la scuola
domenicale a Roma.
Il corso è aperto anche a fratelli e sorelle di altre comunità
evangeliche che esercitano (o si accingono a farlo) il ministero di monitore o monitrice. E possibile fornire ospitalità
a un numero ridotto di partecipanti. Per prenotarsi telefonare alla pastora Lidia Giorgi (0532-904308).
BOBBIO PELLICE — Domenica 7 novembre ha avuto luogo
il culto con celebrazione della Cena del Signore. La predicazione della Parola è stata riferita al significato della
Riforma per noi, situati nel nostro inquietante momento storico. Nel pomeriggio si è avuto rincontro delle sorelle
dell’Unione femminile che hanno continuato la riflessione
biblica sul libro di Ester. Alcune di loro hanno riferito sul
corso di animazione biblica delle Unioni femminili, svoltosi
a Vallecrosia. Una presentazione più dettagliata degli studi
tenuti avverrà in occasione del prossimo incontro, fissato
per domenica 28 alle 14, 30.
• Martedì 9 novembre ha avuto luogo la riunione quartierale
a Bobbio centro. L’argomento di studio è stato costituito
dall’esame del messaggio del Sinodo ’93 alle chiese.
• Invocando la benedizione del Signore, diamo un fraterno
benvenuto a Davide Tourn, secondogenito di Luigi e di
Loredana Geymonat. Ai genitori e al fratellino Matteo
esprimiamo la gioia della nostra chiesa.
VILLASECCA — La comunità ha subito un nuovo lutto con
la dipartenza della sorella Paolina Poèt ved. Massel deceduta all’età di 85 anni. La fede nel Signore, pastore dei credenti, che ha legato «magno Polinno» alle generazioni passate e alla sua comunità, possa essere di conforto ai suoi
cari.
LUSERNA SAN GIOVANNI — Claudio Pasque! sarà il pastore titolare della nostra chiesa a partire dall’autunno 1994,
quando scadrà il secondo settennio del past. Bruno Bellion.
L’assemblea di domenica 14 novembre ha visto una folta
presenza di membri elettori (213 su 298 iscritti nelle liste) e
l’attuale secondo pastore di Torre Pellice ha ottenuto un
ampio margine di consensi: 204 voti.
PORDENONE — Organizzato dall’Associazione per la pace e
dalla Chiesa battista si terrà govedì 25 novembre, ore 20,30,
al Ridotto del Verdi un incontro dibattito su «L’altro Martin
Luther King». Paolo Naso autore di un volume in rnateria
pubblicato recentemente dalla Claudiana parlerà sui temi
della non violenza, della questione razziale e della trasformazione sociale nell’America di oggi.
UDINE — Alle ore 10,30 nel tempio della Chiesa metodista
domenica 21 novembre si terrà un incontro delle donne
evangeliche sul tema: «Vivere la nostra spiritualità; libertà
dalla paura»
6
PAG. 6 RIFORMA
Della Parola
VENERDÌ 19 NOVEMBRE I993
IL TESTIMONE
ERMINIO PODESTÀ
L? autore dell’Apocalisse
fin dall’inizio parla di
testimoni, di testimonianza e
di testimoniare. Questi concetti, che hanno una grande
importanza nell’insieme della
sua predicazione derivano
dalla sfera del diritto e si
riferiscono alle dichiarazioni
vincolanti che una persona
pronuncia dinanzi al tribunale
su ciò che ha personalmente
sperimentato o visto. Il termine «testimonianza» conserva,
come in tutti gli scritti
dell’Antico e Nuovo Testamento, la sua connotazione
giuridica e indica la pubblica
professione della verità.
L’Apocalisse di Giovanni
mette, però, maggiormente in
luce il rapporto tra testimonianza e sofferenza più di
quanto non facciano gli Atti
degli Apostoli.
L'Apocalisse di Giovanni
Ma esaminiamo insieme i
passi in cui ricorre tale
terminologia per trarne una
valutazione precisa; iniziamo
con il termine «Martus», testimone.
Fra gli scritti di Giovanni
l’Apocalisse è l’unico che registri il vocabolo «testimone». In due passi su cinque.
in cui il termine ricorre, Cristo stesso è chiamato così.
Ma di questi due casi ci occuperemo in seguito. Negli altri
casi si riferisce a dei testimoni; analizziamo questi ultimi.
Apocalisse 11, 3; «E io affiderò ai miei due “testimoni" il profetizzare per milleduecentosessanta giorni rivestiti di sacco».
Qui, come possiamo constatare, il termine «testimone» si riferisce ai due testimoni di Dio che profetizzeranno, coperti di cilicio, per
tre anni e mezzo, nel periodo
che intercorre fra la sesta e
settima tromba, nella composizione scenografica del racconto apocalittico; nessuno
può loro nuocere perché hanno poteri divini. Solo quando
la loro testimonianza sarà
conclusa verranno uccisi dalla bestia che sale dall’abisso.
I loro cadaveri rimarranno insepolti per tre giorni e mezzo, con gioia dei nemici di
Dio, che essi infastidivano
con la loro predicazione. Dio
poi li risusciterà e li porterà
in cielo, mentre gran parte
della città andrà in rovina e
settemila persone periranno
nella catastrofe. Da questo
versetto si può dedurre, trala
«Poi mi fu data una canna simile
a verga; e mi fu detto: Levati e
misura il tempio di Dio e Valtare e
novera quelli che vi adorano; ma
tralascia il cortile che è fuori del
tempio, e non lo misurare, perché
esso è stato dato ai Gentili, e questi calpesteranno la santa città per
quarantadue mesi, E io darò ai
miei due testimoni di profetare, ed
essi profeteranno per milleduecentosessanta giorni, vestiti di cilicio».
(Apocalisse 11, 1-3)
SIETE TDTTi ABBOUArì A
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Abbonamento annuo L. 23.000 - Estero L.
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intestato a «L’amico dei fanciulli - Tavola
Valdese» - 20159 Milano - Via Porro Lambertenghi 28
sciando di scoprire chi sono
questi personaggi, perché mi
sembra più importante vedere cosa essi rappresentano,
che i testimoni sono tali non
perché spargono il loro sangue, ma perché profetizzano.
Il fatto di spargere il sangue
non fa che confermare la verità e la sincerità della missione per la quale Dio li ha
scelti.
Analizziamo ora un secondo versetto e precisamente
Apocalisse 2, 13: «So dove
risiedi; là dove c 'è il trono di
Satana; e tuttavia con.solidi il
mio nome, e non hai rinnegato la fede in me, neanche
durante i giorni di Antipa,
mio “testimone fedele”, che
fu ucciso fra voi, là dove Satana dimora». Dal contesto di
questo versetto veniamo a sapere che la scena si svolge a
Pergamo, città situata a settanta chilometri da Smirne,
capitale del regno degli Attalidi, famosa nel campo della
cultura per la sua ricca biblioteca di «pergamene». Essa è
anche rinomata per il tempio
di Eusculapio, Dio della medicina, alla cui piscina, ritenuta miracolosa, affluiscono
numerosi pellegrinaggi. Per
la comunità cristiana di questa città, di cui udiamo parlare qui per la prima volta, non
è facile attestare con fermezza il nome di Cristo e non
rinnegare la fede in lui.
Ma la comunità non si è lasciata distogliere a causa delle pressioni esterne: neppure
quando uno dei suoi componenti è stato ucciso. Pare che
la morte di Antipa non sia
conseguenza di una persecuzione in quel periodo, contro
i cristiani dell’Asia Minore;
sembra piuttosto che si tratti
di un linciaggio incontrollato
compiuto da alcuni avversari
allo scopo di intimorire i cristiani.
Il «testimone fedele»
Da questo versetto si può
capire che Antipa non è
detto testimone perché è stato
ucciso, ma viene ucciso perché è testimone, in quanto
proclama TEvangelo. Il termine «testimone fedele» va
inteso nel senso che pur essendo stato messo a morte
non si è lasciato intimorire e
ha continuato fino all’ultimo
a testimoniare Gesù Cristo.
Diamo ora un’occhiata ad
Apocalisse 17, 6: «E vidi la
donna ubriaca del sangue dei
santi e del sangue dei testimoni di Gesù». Da questo
versetto emerge chiaramente
la distinzione che l’autore del
libro fa fra i santi, ossia i cristiani, e i testimoni di Gesù,
ossia i servitori della Parola.
Pertanto si può affermare che
nell’Apocalisse viene presentata chiaramente la distinzione fra il termine «testimone»
e il martirio, perché accanto a
quelli che ricevono questo
nome esistono i santi uccisi
che sono pur essi martiri.
Questa è una considerazione
molto importante per capire
correttamente il termine «testimone» nell’Apocalisse.
Chi sono i martiri?
Un’altra constatazione da
fare è che, per l’autore
dell’Apocalisse, non è martire qualsiasi cristiano che
muore per la fede, ma sono
martiri coloro che si impegnano nell’evangelizzazione
e testimoniando convertono
altri alla fede e, a causa di
questo, vengono uccisi. II termine «Martus» (testimone) è
riservato a coloro che hanno
messo a prova la serietà di
una simile testimonianza e
sono rimasti fedeli anche di
«L’apostolo Paolo e i suoi collaboratori» di Carlo Marcantonio, Roma
fronte alla morte. Questi sono
i «testimoni fedeli».
A questo punto ritengo opportuno esaminare i due passi
in cui il testimone viene identificato con la figura di Cristo: Apocalisse 1, 15: «E da
Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti
e il principe dei re della terra. A lui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con
il suo sangue». Perché Gesù
viene definito «testimone fedele»? Proprio perché ha testimoniato fino in fondo la
sua ubbidienza per gli altri:
morendo ha dato prova di essere totalmente fedele a tale
vocazione. Nell’analizzare il
titolo di «testimone fedele»,
attribuito a Gesù, non si può
prescindere dal fatto che anche Antipa è detto «testimone
fedele». Ciò vuol dire che il
«Crocifisso» è prototipo di
«testimone» cristiano.
Gesù, l'autentico
testimone di Dio
Anche in Apocalisse 3, 14
si parla di Cristo «testimone fedele» in questi termini: «E all’Angelo della Chiesa di Laodicea scrivi; cosi
parla l’Amen, il testimone fedele e veritiero, il principio
della creazione di Dio». Qui
Amen, con una reminiscenza
della traduzione greca dell’
Antico Testamento detta dei
«Settanta» (Isaia 65, 16) si
identifica con Cristo stesso e
la risposta che egli dà al sì di
Dio è lui stesso. Pertanto egli
è l’autentico testimone di
Dio. Da Cristo in avanti tutti i
«testimoni» per essere fedeli
dovranno rifarsi al comportamento di Gesù, l’unico, comunque, e autentico «testimone fedele».
Il martirio è una conseguenza di questa testimonianza. Apocalisse 12, 11: «Ma
essi l’hanno vinto a cagion
del .sangue dell’Agnello e a
cagion della parola della loro testimonianza: e non hanno amata la loro vita, anzi
l’hanno espo.sta alla morte».
Questo versetto fa parte
dell’«inno celeste» nel quale
viene messo in risalto il significato della vittoria per la
comunità cristiana.
La professione di fede
La vittoria di Cristo sulla
croce non è vera solo nel
cieli, ma anche sulla terra dove i credenti lottano e soffrono ancora per la fedeltà alla parola di Dio. Anch’essi
sono resi partecipi della vittoria di Cristo, ancora nascosta,
ma già vera anche se a prezzo
di sacrifici e di morte. Perciò
anche il furore di Satana,
grande tentatore, è limitato
nel tempo. Anche qui «avere
la testimonianza» non indica
il valore di testimonianza nel
sangue, ma la professione
della fede resa a Gesù nella
missione. Il termine è però
usato per indicare una professione di fede che raggiunge il suo culmine nel sacrifi
cio della vita.
A conclusione di questa
analisi possiamo affermare
che, nell’Apocalisse, il concetto di testimone è il seguente: il testimone rende
una testimonianza ricevuta
dallo Spirito di Dio ed è
pronto a sostenerla anche di
fronte alle sofferenze e alle
persecuzioni.
Pertanto il martirio dovrà
risultare come una conseguenza della testimonianza
data al Signore, senza ripensamenti di alcun genere. Rimane, comunque, sempre
chiara la differenza fra la «testimonianza» in quanto proclamazione pubblica e la sofferenza che ne deriva. L’idea
tuttavia che la testimonianza
cristiana implica spesso il sacrificio della vita è fortemente presente nell’Apocalisse:
la successiva storia della giovane chiesa ne offrirà la
Preghiera
Signore, quando parliamo a vanvera,
quando parliamo per non dire nulla, quando non abbiamo il coraggio di «testimoniare» la tua presenza, la tua azione e il
tuo amore nella vita degli uomini e delle
donne, Signore, abbi pietà di noi.
Quando ci cascano le braccia di fronte
alla potenza del male in tutte le sue forme,
quando lo stiamo a guardare come una fatalità contro cui non si può far nulla, quando a queste forze non abbiamo il coraggio
di contrapporre una testimonianza convincente, quando ci dimentichiamo di pregare
per tutti quelli che sono messi alla prova,
Cristo, abbi pietà di noi.
7
spedizione in abb. post. Gr il A/70
In caso di mancato recapito rispedire a;
CASELLA POSTALE 10066
torre PELLICE
Fondato nel 1848
E Eco Delle "^lli mLDESi
venerdì 19 NOVEMBRE 1993
ANNO 129 - N. 44
URE 1300
A colloquio con un pastore e con i membri di diverse categorie professionali
Lavoro: c'è ancora uno spazio per l'etica?
PIERVALPO ROSTAN
Durante la scorsa Conferenza distrettuale i
delegati e i pastori delle
chiese delle Valli si trovarono a discutere di lavoro e
occupazione; al di là di una
crisi assai difficile e di cui
non si intravedono grandi
prospettive, si disse allora,
non possiamo prescindere
dal nostro rapporto personale col lavoro, dal senso che
ad esso attribuiamo e dal
discorso, più ampio, dell’
«etica del lavoro».
Il dibattito non è certo prerogativa del mondo valdese,
ma in esso dovrebbe avere
un’attenzione non marginale; cerchiamo, attraverso
alcuni pareri raccolti alle
Valli, di offrire alcune piste
di riflessione su questa
importante questione, a
cominciare dal rapporto che
singolarmente si ha col lavoro.
Aldo Lausarot, impiegato;
«Il lavoro dipendente è ben
difficilmente quella realtà
che ti permette di «realizzarti»; nemmeno credo che il
lavoro sia più per nessuno
una ragione di vita. Del
resto, pur avendo avuto sempre la possibilità di esercitare
la mia attività volentieri,
direi che il rapporto con la
realtà industriale non è sempre semplice».
- Il lavoro è scarso; va
bene accettare qualunque
lavoro, a tutti i costi?
«Oggi è molto difficile
poter scegliere il lavoro; per
altro il rifiuto di un posto, ad
esempio in una fabbrica di
produzioni belliche o con
lavorazioni inquinanti, viene
sempre più pagato sulla propria pelle».
— Etica del lavoro è anche
recuperare un senso del
«dovere» ?
«Molto dipende dalla singola persona. Atteggiamenti
di elusione dai propri ruoli
sono presenti sia nel pubblico che nel settore privato
anche se in quest’ultimo caso
esistono maggiori controlli.
Noto comunque come una
formazione riformata possa
contribuire a dare un minimo
di etica al modo di lavorare».
Eder Negrin, operaio:
«Parto da un concetto di lavoro come impiego costante
nel processo di produzione di
ricchezza in vista di un vantaggio materiale. Tuttavia
questo lavoro deve essere in
grado di contribuire alla crescita di un bene comune».
- Lei ha potuto scegliere il
lavoro?
«Non è stata una scelta; si
è trattato di imparare un
mestiere sulla base di quello
che le possibilità di formazione e le opportunità occupazionali offrivano nella
zona».
- Etica del lavoro cosa
può voler dire?
«In certi casi può anche
voler dire andare in conflitto
col datore di lavoro; se il
lavoro è uno strumento per
costruire qualcosa di positivo, non sempre ciò è possibile».
- Etica del lavoro è anche
saper dire di no al lavoro di
domenica?
«Come credente sono decisamente contrario a lavorare
di domenica; eppure spesso
gli operai si trovano chiusi in
forme di ricatto. Da un lato
manca il lavoro, dall’altro
viene chiesto lo straordinario; penso che si dovrebbe
poter lavorare un po’ meno
ma tutti, magari anche con
qualche rinuncia sul piano
del salario».
Enrico Tron, sindacalista;
«Parlare oggi di etica del
lavoro è molto importante. In
una trattativa si può essere in
grande difficoltà, sapendo
che spesso ci si trova davanti
a situazioni disperate.
Occorre saper riflettere, perché in questi momenti come
sindacalisti ci si trova in
qualche modo a decidere non
del proprio futuro ma di
quello di altre persone. Non
sempre il clima può essere
sereno. Se penso a come un
tempo si lavorava in queste
valli, all’importanza che il
lavoro rivestiva come strumento di sopravvivenza, ho
l’impressione che negli anni
del boom si sia un po’ sottovalutato tutto. Era facile
anche non studiare e trovare
comunque un posto, magari
grazie a qualche conoscenza.
Oggi non è più così e dobbiamo anche saper affrontare
enormi frustrazioni che
hanno radici lontane e coinvolgono tutti quelli che
hanno avuto qualche ruolo
pubblico in questi anni nelle
nostre vallate».
Sergio Ribet, pastore;
«Essere o avere? La persona
umana è determinata da quel
che è o da quel che ha? Nella
tradizione protestante spesso
c’è stata una sensibilità ancora diversa: la persona umana
è determinata da quello che
fa. “Sono (faccio) il fabbro”;
“Sono uno studente e farò il
medico”; “Sono la figlia
dell’oste” (con un doppio
rimando, alla figura \maschile
e al lavoro deil’uoùto). Per
l’etica del lavoro protestante,
che legava strettamente la
vocazione al mestiere, al
lavoro, la dimensione delT”homo faber” è stata estremamente importante. È così
ancora oggi? Può essere così
ancora oggi? È cambiata,
anche rapidamente, la possibilità di trovare lavoro, di
imparare un lavoro (il proprio
lavoro), il rapporto tra tecniche apprese e un lavoro determinato (non si prende la
patente solo per fare il taxista).
Oggi ascoltiamo sul lavoro
molti luoghi comuni, che
andrebbero verificati ad uno
ad uno; “Se uno vuole, il lavoro lo trova”; “Chi ha un
lavoro se lo tiene”; “Si licenzia ma si fanno fare gli
straordinari”; è tutto vero? In
genere cresce la diffidenza
per la politica; cresce un
interesse per l’economia. La
politica è sporca, è cosa di
questo mondo. L’economia è
pulita? È neutrale? È meno
mondana della politica? Chi
decide del nostro lavoro, del
nostro tempo, delle nostre
energie, di quali sono i nostri
bisogni; il fato, la fortuna, il
destino, Dio, noi stessi, le
leggi dell’economia? Una
riflessione su questi temi non
la possiamo rinviare».
Fra controllo e innovazione
Sappiamo utilizzare
le risorse delle valli?
GINO LUSSO
La crisi economica, che
tende ad aggravarsi ogni
giorno di più, obbliga (o
dovrebbe obbligare) ogni
struttura territoriale o organizzazione politica a prendere posizione su quali
potrebbero essere i modelli di
sviluppo futuro. A livello
regionale o nazionale il discorso è quanto mai complesso, per aree territoriali minori
e con caratteristiche sufficientemente omogenee, identificare alcuni scenari e invece meno ipotetico.
Alcuni dati mi sembra si
possano dare per acquisiti.
Innanzitutto è finita «la stagione» dei grandi insediamenti industriali, tessili o
meccanici, che poggiavano la
loro esistenza sulla quantità
di manodopera e sulle favorevoli condizioni territoriali
(fondamentalmente l’acqua e
le vie di comunicazione).
Identicamente debole si è
dimostrata la proposta di
puntare, totalmente e unicamente, su uno sviluppo che
poggia sul locale, sul dilettantesco, sul fai da te. Infine
un terzo elemento che mi
pare acquisito è che uno sviluppo economico reale,
anche di una piccola comunità, deve puntare su tutti
i settori: agricoltura, attività
manifatturiere e servizi privilegiando gli obiettivi dell’innovazione, del controllo e
della permanenza sul posto
della maggior quantità di
risorse o benefici prodotti.
Ci si rende subito conto
che questi due obiettivi sono
strettamente legati alle classi
dirigenti che gestiscono il
sistema produttivo di zona;
Incontro fra enti locali e Regione
Quale futuro
per le Usi montane?
Poco più che una formalità
rincontro svoltosi mercoledì
10 novembre scorso in Regione, quando dalla IV Commissione che si occupa di sanità e
assistenza erano stati convocati per consultazioni gli amministratori della provincia di
Torino per ulteriori verifiche
sul progetto di ripartizione territoriale delle nuove Ussl del
Piemonte.
Solo quattro consiglieri
della Commissione (Leo, Calligaro, Bortolin e Mollo), su
oltre venti, hanno incontrato
gli amministratori; confermata
la indifendibilità delle singole
Ussl montane, troppo piccole;
una certa disponibilità da parte
dei presenti è venuta sull’ipotesi di Ussl unica per le due
Comunità montane, ma occorrerà vedere se su questo progetto ci sarà il consenso di
tutti i Comuni. In precedenza,
nella stessa giornata, si era
svolto un incontro fra tre
membri della medesima
Commissione e una rappresentanza degli ospedali valdesi.
«Abbiamo portato una
memoria giuridico-istituzionale sui nostri ospedali - ci ha
detto il direttore amministrativo degli ospedali di
Torre Pellice e Pomaretto,
Silvio Vola -; abbiamo ritenuto di dover sottolineare alcuni
rischi quali la possibile caduta
di servizio reso alla popolazione in conseguenza dell’ accorpamento delle Ussl e il timore
di una perdita di livello dei
nostri ospedali». In Regione è
stato poi presentato un documento redatto dai primari
degli ospedali sul ruolo di un
ospedale di comunità come i
nostri.
Crisi per la fabbrica di Inverso Rinasca?
Maiera marmi: ora
è cassa integrazione
Molti sono punti interrogativi sul presente e sul futuro
della Maiera marmi, di
Inverso Rinasca. La fabbrica,
sorta nel 1968 per lavorare il
marmo di Rocca Bianca in
vai Germanasca, sta vivendo
un momento di difficoltà.
Questa ditta con i suoi 58
operai e una ventina fra
impiegati e tecnici lavora
marmi e graniti per produrre
materiali da rivestimento e
per pavimentazione. Finita
l’epoca del marmo d’oc, ora
la maggior parte della materia prima arriva da Carrara; il
grosso del prodotto viene
avviato all’esportazione
(Hong Kong ma anche Stati
Uniti dove attualmente si sta
usando il granito della
Maiera per l’aeroporto di
Denver).
Non è una di quelle aziende
di cui si parla spesso in valle,
ma nelle ultime settimane i
problemi si sono fatti abbastanza gravi, anche se si può
contare su una tecnologia
avanzata. Da settembre i
dipendenti non ricevono lo
stipendio nonostante abbiano
sempre lavorato e, da due settimane, tutti gli operai sono
stati messi in cassa integrazione a zero ore.
Crisi? Bisogna attendere.
Sono in corso trattative per
l’eventuale ingresso di
imprenditori nella società. «E
se questi nuovi azionisti non
entrano - si chiedono in molti
- che cosa succederà? Quale
sarà la sorte dei dipendenti?».
Per adesso non si sa.
Questa certamente è l’ennesima grave incertezza che dà
preoccupazione a numerose
famiglie della valle.
se le strategie di queste vedono, ad esempio, il territorio
delle valli esclusivamente
come luogo ricco di risorse
minerarie o di acque per salti
idroelettrici, ma le risorse
prodotte si investiranno però
in altri territori o settori,
prima o poi ci si ritroverà
come ci si è già ritrovati, con
cadenti capannoni, non adatti
neppure per essere utilizzati
come depositi. Ecco allora
l’esigenza di non sottovalutare alcune risorse utilizzabili:
gli alpeggi, le attività artigianali o industriali a base locale
ma, principalmente, usando a
vantaggio delle valli la risorsa attuale più importante:
l’acqua.
Più volte l’Eco delle Valli
ha affrontato il tema «acque»; credo tuttavia non sia
male insistere, perché parte
del futuro delle Valli dipenderà dalle scelte che verranno
compiute a questo riguardo,
sia sotto l’aspetto di disponibilità di risorse, sia sotto
l’aspetto ambientale.
Per avere un’idea dell’ordine di grandezza dei
parametri in discussione
basti dire che, oggi, utilizzando una portata di 200 litri
al secondo (che non è eccezionale) per un salto di 100
metri, conteggiando 7 mesi
di esercizio, agli importi di
pagamento Enel attuali, si ha
un incasso di circa 110
milioni annui. Se poi si tiene
conto che le leggi 9 e 10 del
’91 prevedono il finanziamento in conto capitale della
metà dell’investimento, pur
con tutti i limiti degli investimenti statali, ci si rende
subito conto del perché si sia
in presenza di una vera corsa
al rinnovo delle vecchie centraline idroelettriche.
Ma se è insensato permettere, per l’ennesima volta,
che le risorse della montagna
vengano portate fuori di essa,
ancora più grave è il pericolo
ambientale che la montagna
sta correndo. Lasciato al
«libero» sfruttamento dei privati, ogni favorevole salto
d’acqua verrebbe sfruttato
dimenticando ogni altro
aspetto, sia ambientale che di
usi irrigui, sia di equilibrio
idrologico generale. Se questo è vero, è ormai tempo che
gli enti locali, quali rappresentanti delle comunità locali,
uscendo dal fatalismo tradizionale, assumano una funzione di guida in questo settore compilando, innanzitutto,
una mappa aggiornata dei
salti abbandonati e dei salti
sfruttabili e, coinvolgendo le
tante organizzazioni che svolgono le loro attività sul territorio, rapidamente predispongano un piano generale
di intervento nel settore della
produzione idroelettrica.
L’alternativa è quella di
vedere sempre nuove risorse
delle comunità alpine utilizzate da privati, portate fuori
dall’alpe, con l’unico impegno da parte di chi potrebbe
incidere sugli eventi, di
disperarsi per la tristezza dei
tempi.
8
PAG. Il
L‘ Eco Delle ¥\lli \àldesi «
VENERDÌ 19 NOVEMBRE 1993
La Balziglia nel vallone di Massello
INCENDIO SULLA COLLINA DI LUSERNA — Ha assunto
proporzioni devastanti l’incendio che nella serata di giovedì
11 novembre ha semidistrutto l’abitazione del pastore Giovanni Bogo, a poche centinaia di metri dal Colletto di Luserna San Giovanni. Le fiamme hanno divorato buona parte
dell’interno della casa, in gran parte in legno; malgrado il lavoro di cinque squadre di vigili del fuoco accorse sul posto
l’incendio si è protratto per buona parte della notte. Il Concistoro della Chiesa valdese di San Giovanni ha deciso di aprire
una sottoscrizione a favore della famiglia Bogo anche perché
i danni, sicuramente considerevoli, non risultano coperti da
alcuna assicurazione.
A PINEROLO SI CERCANO SPAZI — A Pinerolo ci sono
solo birrerie la sera e biblioteca di giorno; i giovani non hanno molte alternative se vogliono ritrovarsi, e nessuna se poi
salta loro in mente di promuovere dibattiti e inventarsi bande
musicali o piccole filodrammatiche. Così almeno la pensano
in molti: diversi gruppi pinerolesi, tra cui il collettivo Zeroazero, Rifondazione Comunista e La rete, il Gruppo animalista
pinerolese, l’Arci, hanno sottoscritto una petizione al Comune in cui chiedono uno spazio dove i ragazzi possano ritrovarsi ed eventualmente provare sjjettacoh di animazione o suonare, giocare, studiare o, più genericamente (e perché no?),
«fare cultura». L’apposito spazio idoneo a contenere tutte
queste iniziative a quanto pare c’è, ed è ben individuato: si
tratta dell’ex cinema Primavera, chiuso ormai da molti anni
per inagibilità per motivi di sicurezza. Inizialmente, nel gennaio del 1990, il locale era stato concesso dalla giunta comunale al Museo della Cavalleria, che da tempo lamenta la necessità di ampliarsi; l’accordo prevedeva tra l’altro - sempre
secondo quanto riporta il documento - che il museo provvedesse alla ristrutturazione del locale e alle spese necessarie.
La concessione, valida fino al 2003, poteva essere revocata
prima della scadenza in caso di ragioni di interesse pubblico
o, come è prevedibile, in caso di un diverso utilizzo dei locali.
Nel giugno del ’92 viene infine stipulato l’atto di concessione
ma per adesso non si sono visti progetti di ristrutturazione.
PER CONOSCERE LA VAL PELLICE — Nell’intento di
promuovere la cultura nella vai Pellice, l’associazione Auser
ha organizzato un ciclo di incontri presso la sede, in via Ribet
7 a Luserna San Giovanni, dal 18 novembre al 7 dicembre,
sul tema «Per conoscere la vai Pellice». L’associazione Auser
promuove l’autogestione dei servizi e la solidarietà, ed è nata
su iniziativa del Sindacato pensionati italiani-Cgil per contribuire a migliorare la qualità della vita promuovendo nuove
forme di solidarietà. Il primo incontro si tiene giovedì 18 novembre alle 15, con un dibattito sull’«Aspetto storico», a cura
del Centro culturale valdese; seguirà «Storia socio-economica» giovedì 25 novembre, relatore Renzo Tibaldo e «Flora e
fauna», giovedì 2 dicembre, relatrice Marisa Bigo, addetta al
settore ecologia e tutela ambientale della Comunità montana
vai Pellice; concluderà il ciclo, martedì 7 dicembre, «Il cielo», a cura dell’associazione astrofili Urania, incontro che si
terrà presso la sede dell’Urania in via Roma 41 a Luserna San
Giovanni, dove sarà possibile vedere il Planetario. Tutti gli
incontri hanno inizio alle 15.
Nelle
Chiese Valdesi
VILLAR PELLICE — Venerdì 19 novembre alle 20,30,
nella sala del teatro, si svolge rincontro delle chiese del circuito per studiare la partecipazione al culto dei ragazzi della scuola domenicale e del catechismo.
• Domenica 21 novembre, dopo il culto delle 10,30, si svolgerà l’assemblea di chiesa per l’elezione del nuovo pastore;
perché l’assemblea di chiesa sia valida occorre la presenza della maggioranza dei membri elettori.
TORRE PELLICE — Domenica 21 novembre si svolge
una giornata comunitaria organizzata dal gruppo Fgei e
dairUnione giovanile dei Coppieri; sarà allestito un banco di
pesca e uno per la vendita dei libri; è prevista una gara di torte
a cui seguiranno canti e intrattenimenti vari. Le eventuali offerte saranno devolute a «Parole Sante» e a Radio Beckwith.
RORA — Domenica 21 novembre, dopo il culto delle 10, si
terrà ra.ssemblea di chiesa per l’elezione del nuovo pastore.
Ricordiamo ancora che, perché l’assemblea sia valida, occorre
la presenza della maggioranza dei membri elettori.
SAN SECONDO — Domenica 21 novembre alle 15, nella
sala della chiesa si svolge un incontro dei Concistori delle
valli sul ruolo dell’anziano. Introducono il tema Giorgio
Toum, Elena Vigliano e Paola Geymonat.
Intervista al sindaco, Roberto Bergeretti
San Germano
ha puntato sullo sport
Roberto Bergeretti, alla seconda esperienza come sindaco di San Germano Chisone, è sicuramente fra i più giovani sindaci del Pinerolese. In
un tempo in cui c’è sempre
meno voglia di assumersi responsabilità di amministratore
come si pone rispetto al suo
ruolo?
«I Comuni hanno ormai pochissimo potere rispetto agli
enti superiori come Regione o
Provincia, poche risorse, poche strutture e personale. In
ogni caso ogni decisione viene assunta dopo un ampio
confronto a livello di giunta, e
anche in Consiglio con la minoranza. Tendenzialmente ho
sempre cercato di coinvolgere
tutti gli interessati prima di
assumere qualsiasi decisione
e penso che continuerò in
questo modo, anche se le ultime leggi finiscono per dare
ben più potere al sindaco e alla giunta».
- Per alcuni anni molti amministratori della vai Chisone
hanno avuto proprio negli enti
da lei citati dei punti di riferimento quali gli ex assessori
Trovati e Maccari, oggi coinvolti in vicende di Tangentopoli; oggi vi sentiti in qualche
modo orfani o traditi?
«Si tratta di vicende che
hanno scosso molto la valle;
ciò che sappiamo lo abbiamo
colto dai giornali visto che
con loro non abbiamo più
avuto contatti diretti. Se essi
hanno commesso irregolarità
è giusto che paghino ma per
quanto ci riguarda noi non
abbiamo mai avuto particolari agevolazioni. Dispiace
comunque che persone che
credevamo fuori da certi ambienti ne siano invece risultati
coinvolti; questo lascia soprattutto un segno di carattere morale tale da produrre
un forte sbandamento fra le
forze politiche e gli amministratori della valle».
- Pensando ai settori di
maggiore intervento della sua
amministrazione si può ben
dire che abbiate fatto molto
nel settore sportivo, una palestra e un campo sportivo; era
tutto necessario?
«Nell’arco di tempo delle
due tornate amministrative ci
siamo occupati prima di alcuni settori primari, quali il metanodotto, gli acquedotti, le
fognature e la depurazione; il
tutto con un investimento
complessivo di oltre 3 miliardi. Si siamo poi mossi per gli
impianti sportivi. Il vecchio
campo di calcio non aveva le
misure regolamentari e gli altri campi della valle non sempre sono utilizzabili. Per la
palestra ci siamo mossi nell’ambito dei finanziamenti
concessi in occasione dei
Mondiali di calcio e nel giro
di due tre anni dovremmo riuscire a realizzare il complesso sportivo».
- In molti comuni esistono
aree la cui destinazione o non
destinazione fa discutere; a
San Germano esiste tutta la
zona dell’ex cotonifìcio Widemann. In parte si sono insediate attività artigianali ma
esiste un progetto globale, di
tipo residenziale o produttivo?
«Si tratta di strutture difficilmente utilizzabili a livello
industriale e tra l’altro ormai
in parte fatiscenti. Il mio sogno sarebbe quello di utilizzare la parte a valle, più vicina
al Chisone, a scopi artigianali
o di industria leggera, mentre
la parte più a monte potrebbe
essere inserita in un piano di
ristrutturazione urbanistica
con nuovi vani per una popolazione giovane che oggi non
trova casa a San Germano».
Avanzo di bilancio per il Comune di Frali
Qualche soldo in più
per il turismo
MILENA MARTINAT
Deficit, mancanza di fondi, conti in rosso. Troppo spesso questi sinonimi del
più comune «senza soldi» sono la realtà di oggi. Invece
delle entrate non prevedibili,
derivanti in massima parte
dall’Invim, hanno fatto sì che
il Consiglio comunale di Prali
fosse chiamato a decidere
sulla destinazione di un avanzo di bilancio.
«Nel Consiglio comunale
del 13 ottobre - spiega il sindaco di Prali, Franco Grill - è
stato deciso di utilizzare questo avanzo di bilancio non solo per opere che riguardano
strettamente i pralini residenti, ma soprattutto in opere rivolte anche ai turi,sti». Di che
cosa si tratta? «Sarà costruito
un ponte in legno e pietra sul
torrente Germanasca in frazione Ghigo, che servirà sia
per la pista di fondo che per
ie passeggiate estive a piedi,
cavallo, mountain bike. Sarà
potenziato l’impianto di
illuminazione sulla strada
Ghigo-Malzat-seggiovia. Un
contributo sarà devoluto alla
costruzione di una pista fore
stale a Rodoretto; sempre a
Rodoretto sarà sistemata la
strada per la borgata Amaud.
Un’altra parte dei fondi è
stata stanziata per l’adeguamento alle norme antinfortunistiche per i mezzi fresaneve. Migliorie volte anche
per il turi.smo; in questi giorni
arriverà un nuovo battipista
per la pista di fondo, acquistato con un mutuo con il
Credito sportivo».
Iniziativa nel settore socio-assistenziale
Un corso per scoprire
^assistenza domiciliare
CABMELINA MAURIZIO
Da circa un mese trenta
aspiranti assistenti domiciliari hanno cominciato a
frequentare il corso di qualificazione avviato a Torre Pellice grazie a finanziamenti della Comunità economica europea (Fondo sociale europeo)
in convenzione con la Regione Piemonte che lo ha autorizzato.
L’iniziativa curata e caldeggiata dai vari operatori
dei servizi socio-assistenziali
rappresenta un tentativo valido e qualificato per fornire
a giovani disoccupati una
possibilità in più nella ricerca
del primo lavoro. Gli ammessi a frequentare il corso,
che prevede un impegno totale di circa 600 ore suddivise
tra teoria e pratica, sono stati
trenta, selezionati tra i circa
settanta che si erano presentati alle prove di ammissione.
Si tratta in generale di donne
(sono al momento solo quattro i maschi che frequentano), età media intorno ai
trent’anni, in possesso di un
titolo di studio di scuola secondaria superiore, interessate alla professione, come
è stato possibile accertare dai
diversi tipi di test ai quali sono state sottoposte durante le
prove per Fammissione.
Il corso, che prevede anche
un certo numero di ore di tirocinio, ha lo scopo di fornire
non solo competenze teoriche
(elementi di diritto, legislazioni nazionali e regionali,
elementi di educazione sanitari) ma anche e soprattutto
vuole mettere i futuri assistenti domiciliari a contatto
con la realtà dei vari istituti e
delle varie sedi dove potrebbe
esserci per loro un possibile
sbocco lavorativo. Proprio
per questo ciascuno di loro
avrà la possibilità, durante le
ore pratiche, di svolgere per
un certo periodo (circa trecento ore) il tirocinio presso
alcuni istituti, foyer e altre
strutture presenti sul territorio
della vai Pellice.
Pensando al dopo abbiamo
chiesto ad Arlette Ricca, direttrice della Casa delle diaconesse di Torre Pellice, e a
Mariena Scassellati Gaietti,
ideatrice e organizzatrice del
corso, di parlarci delle prospettive future per quanti porteranno a termine il corso di
formazione professionale.
«La necessità di avere personale competente - ha detto
la direttrice della Casa delle
diaconesse - è molto forte,
soprattutto qui nelle nostre
valli dove la popolazione di
anziani rappresenta una buona percentuale del totale e
dove sono presenti molte
strutture che prevedono la figura professionale dell’assistente domiciliare e dei servizi tutelari. La nostra speranza
è che una buona parte di coloro che supereranno il corso
potrà inserirvisi, nonostante
la crisi dell’occupazione, facendo leva proprio sulla maggiore qualificazione».
«Di assistenti domiciliari afferma la signora Gaietti c’è bisogno ed è proprio per
questo che è stato organizzato
il corso. Purtroppo, come è
noto a tutti, i finanziamenti
sono pochi. E probabile che i
futuri operatori che usciranno
da questo corso, tutti molto
motivati e almeno per il momento entusiasti, possano rispondere in modo adeguato
all’esigenza sempre più rilevante, in modo particolare
nelle nostre valli, di avere del
personale idoneo all’assistenza domiciliare».
Un servizio nazionale istituito per legge
Occorre ripensare
alla protezione civile
MARILENA LONG
A Frali ci sono anche i cannoni,
ma è megiio la neve naturale
In questo periodo di piogge
insistenti abbiamo notizia
di alluvioni e nubifragi in varie regioni d’Italia; nella nostra zona, per fortuna, a parte
il disagio, non si sono registrati gravi problemi, ma come si affronterebbe una calamità naturale, quale appunto
lo straripamento di un fiume,
un terremoto, un incendio?
Lo abbiamo chiesto a Gino
Long, assessore alla Protezione civile della Comunità
montana valli Chisone e Germanasca, che ha partecipato
all’inizio di settembre a un
corso sulla formazione della
Protezione civile a Torino, a
Villa Guaiino. Ecco quanto ci
ha detto: «La legge n. 225 del
1992 istituisce un servizio nazionale di protezione civile
che fa seguito alle leggi quadro sul volontariato nello
stesso campo. Tutti i Comuni
e anche la Comunità montana
devono dotarsi di un piano di
protezione civile. Torino si
avvale dell’ufficio comunale
di Protezione civile, che durante le emergenze attiva e
gestisce la sala operativa. Al
momento noi abbiamo già diverse squadre in grado di
operare in un momento di bisogno. Il 1° dicembre sarà la
giornata della protezione civile in tutte le scuole».
Dato che il maestro Long è
anche assessore all’Agricoltura, si è parlato della collaborazione che si sta avviando
con la Comunità montana vai
Pellice rispetto alla lavorazione del latte.
«La nostra cooperativa
agricola, in possesso di un
automezzo refrigerante potrebbe “esportare” del latte
presso la latteria di Bobbio
Pellice, dove la struttura è
adatta per la lavorazione. Si
prevede quindi il potenziamento dei punti vendita. Al
momento sono stati presi
contatti ed effettuati incontri,
speriamo di arrivare in tempi
brevi a una collaborazione
concreta».
L'Eco Delle Valli Valdesi
Via Pio V, 15-10125 Torino
Tei. 011/655278
Reg. Tribunale di Pinerolon. 175/60
Resp. Franco Giampiccoli
Stampa: La Ghisleriana Mondov)
Spedizione in abb. post.; Gr 2A/70
9
\/ENERDÌ 19 NOVEMBRE 1993
li
PAG. Ili
Potenziamento con l'acquisto di nuove apparecchiature
Radio Beckwith si amplia
Presto da Cuneo alla vai Chisone
FEDERICA TOURN
Sono state perfezionate la
scorsa settimana le pratiche per l’acquisto, da parte di
Radio Beckwith evangelica,
deiremittente pinerolese Radio Norditalia, remittente
privata più seguita della zona
che ha deciso di chiudere l’attività con la fine dell’anno.
«È stata una occasione che
non potevamo non cogliere dice il presidente dell’associazione Lo Bue, proprietaria
della radio evangelica di Torre Pellice, Paolo Gay da
diversi anni stavamo cercando il modo per estendere la
nostra audience anche alla
vai Chisone e alla vai Germanasca e nell’attuale situazione di stallo rispetto all’assegnazione definitiva delle
frequenze rischiavamo di dover aspettare ancora a lungo.
Del resto la stessa Conferenza distrettuale delle chiese
delle valli, qualche anno fa,
aveva deciso di sostenere Radio Beckwith nell’auspicio di
un’estensione del bacino di
ascolto anche al di fuori della
vai Pellice e del Pinerolese».
- Acquisterete tutte le apparecchiature di Radio
Norditalia?
«L’emittente di Pinerolo ha
attualmente due diverse frequenze, una (96,500 mhz) copre tutto il Pinerolese e raggiunge anche la città di Cuneo, l’altra (104 mhz) copre
il sud-ovest del Piemonte; ci
sono poi gli studi di Pinerolo.
Noi acquistiamo la frequenza
Incontro con Franco Calvetti sul Centro culturale valdese
Mostre, museo e biblioteca
la cultura occasione di dialogo
■’SfesssssaeeesesseiSSSmèmx,
Al lavoro in cabina di regia
e le apparecchiature per
diffondere sui 96,500 infm».
- Dunque Radio Beckwith
sarà ascoltabile in tutte le valli
valdesi? Entro quanto tempo?
«Il grado di estensione del
segnale nelle valli Chisone e
Germanasca deve ancora essere valutato nei dettagli; attualmente Radio Norditalia
raggiunge buona parte della
vai Chisone (San Germano,
vaiar Perosa, Perosa Argentina, Pinasca) e con qualche difficoltà Pomaretto e
Perrero. Stiamo studiando
soluzioni tecniche per migliorare la ricezione in vai Germanasca. Per quanto riguarda i tempi, il passaggio delle
consegne dovrebbe avvenire
nei primi giorni di gennaio
1994».
- Tutta l’operazione comporta dei costi non indifferenti...
P( G'I'A
Le centraline
in vai Pellice
Desideriamo intervenire nel
dibattito aperto sulle centrali
elettriche in vai Pellice. È necessario prima di tutto sgombrare il campo da un possibile
equivoco: non siamo pregiudizialmente contrari agli impianti idroelettrici, ma vogliamo che il problema della produzione di energia elettrica
non sia affrontato in modo
anarchico e al di fuori di qualunque programmazione delle
risorse del territorio e di salvaguardia dell’ambiente
montano. Questo è proprio
quanto ci sembra stia accadendo in alta vai Pellice, dove appunto il proliferare delle
centrali (due in attività, una
in costruzione, due o più in
progetto) rischia di compromettere in modo irreversibile
le caratteristiche territoriali e
ambientali.
Le concessioni alle ditte
che costruiscono e gestiscono
questi impianti non tengono
conto infatti di nessun criterio
di salvaguardia dell’ambiente
fluviale: spesso (e per lunghi
periodi) il torrente è completamente prosciugato a valle delle opere di presa, senza
garantire (come impongono
le leggi) un rilascio costante e
controllabile. È facilmente intuibile quali possono essere le
conseguenze sulle falde acquifere e per il processo di
autodepurazione del corso
d’acqua.
Perché le amministrazioni
autorizzano delle operazioni
così distruttive con, tra l’altro, infrastrutture (centrali.
opere di presa, tubazioni,
sbancamenti) non certo tali
da armonizzarsi con il territorio? Anche dal punto di vista
delle tecnologie applicate bisognerebbe poi porsi il problema se, nel rapporto tra costi (in termini soprattutto di
distruzione dell’ambiente) e
benefici (produzione di energia elettrica), il sistema adottato (molte centrali di medie e
piccole dimensioni, gestite da
privati che rivendono il prodotto all’Enel) sia quello migliore o se non sia determinato da altre logiche.
Viene allora spontaneo
pensare ad un prevalere dell’
interesse privato e a una vera
e propria svendita delle ricchezze del territorio quando,
a fronte di molti miliardi di
profitti delle ditte che gestiscono gli impianti, si viene a
sapere che poco o nulla (in
termini di posto di lavoro e di
soldi) ritorna alle comunità
locali. Ci spiace dirlo ma,
proprio in campo ambientale.
Tangentopoli ci ha insegnato
a diffidare delle operazioni in
cui c’è una tale sproporzione
tra interesse pubblico e profitti privati. Qualcuno potrà
rassicurarci? Come non essere colpiti, infine, dalla poca
sensibilità e dal poco amore
per il proprio territorio dimostrato da chi autorizza la distruzione di un luogo, come
la Comba dei Carbonieri, così
tradizionalmente legato al
tempo libero degli abitanti
della vai Pellice e meta di innumerevoli gitanti (proprio di
quel turismo quindi che, in
altra sede, si proclama di voler promuovere)?
Legambiente
Circolo vai Pellice
«Effettivamente è così; si
tratta di diversi milioni fra
apparecchiature per i trasmettitori e per gli studi, che
dobbiamo migliorare. Per
far fronte alle spese contiamo sull’aiuto delle chiese
locali e di amici esteri. Abbiamo presentato il nostro
progetto a tutte le chiese del
distretto augurandoci che
venga capita l’importanza
del momento e dunque di ricerverne una positiva risposta. Fra l’altro mi piace sottolineare il rinnovato entusiasmo intorno alla radio.
Siamo entrati nel decimo anno di trasmissioni e con l’autunno abbiamo coinvolto un
buon numero di giovani collaboratori, il che conferma
anche quel ruolo di aggregazione giovanile che Radio
Beckwith ha saputo esercitare in questi anni».
CARMELINA MAURIZIO
Franco Calvetti è in questo momento il presidente
facente funzioni del Centro
culturale valdese di Torre
Pellice, in seguito alla nomina di Gianni Rostan, effettivo
presidente, alla moderatura
dopo il Sinodo ’93. A lui abbiamo chiesto di illustrarci
programmi, linee guida e progetti di questa importante arteria culturale del mondo valdese italiano e delle Valli in
particolare.
«I nostri sforzi in questo
momento sono tesi non solo a
migliorarci in continuazione,
ma anche a farci conoscere e
a proporci come punto di
riferimento culturale nel Pinerolese e in tutta Italia. Per
questo stiamo curando con
particolare attenzione, grazie
anche alla collaborazione di
molte persone valide, la biblioteca, che attualmente consta di circa 70.000 volumi e
di altri 10.000 non catalogati;
vorremmo non solo arrivare
ad essere il più aggiornati
possibile, ma anche ad essere
informatizzati, in modo da
poterci collegare alle altre biblioteche italiane. Siamo davvero contenti, comunque, di
quello che sin qui si è fatto e
possiamo dire con orgoglio di
essere in possesso di ottimo
materiale, di alcune edizioni
rare e della collezione di Bibbie forse più importante
d’Italia.
Anche al museo, inaugurato
circa quattro anni fa, dedi
chiamo cura particolare, anche perché è meta continua di
scolaresche. Afl’interno del
Centro vi è poi una sala per
mostre permanenti e sino ad
oggi ve ne sono state ospitate
nove. Di tanto in tanto esponiamo alcune delle opere di
Paolo Paschetto che ci sono
state lasciate dalla famiglia».
- Quali sono i progetti a
breve scadenza del Centro
culturale?
«I nostri programmi, che mi
stupisco sempre di vedere così numerosi vista l’esiguità
del personale di cui possiamo
disporre, prevedono la continuazione di alcune attività già
in corso, come per esempio il
seminario Miegge che si svolge settimanalmente a Pinerolo
e che prevede lo studio di filosofi contemporanei: in questo momento ci stiamo occupando di Calvino.
Uno spazio nuovo all’interno del Centro sarà poi quello
della «Finestra», ovvero una
finestra appunto su attività e
aspetti della vita delle valli
valdesi. Un altro settore importante è anche quello
dell’aggiornamento per docenti, che quest’anno in maniera particolare si avvarrà del
prezioso contributo di un
maestro di Angrogna, JeanLouis Sappè, che ha avuto il
distacco dall’insegnamento
proprio per collaborare con il
Centro culturale valdese a
progetti relativi alla formazione. Ricordo poi che in collaborazione con le valli Chisone
e Germanasca cureremo alcu
ni incontri sulla storia e le tradizioni locali; rinnoveremo
l’iniziativa tesa a valorizzare
il francese nelle valli Pellice,
Chisone e Germanasca con le
settimane del francese; ci sarà
anche una mostra a Massello
sulla storia dei valdesi di
quella zona.
Ci stiamo anche preparando
con un buon anticipo alla partecipazione alle varie manifestazioni che si terranno per ricordare l’ungherese Kossuth e
forse avremo alle Valli la presenza dell’ambasciatore ungherese; questa iniziativa è
curata in collaborazione con il
Centro di cultura evangelica
di Torino. Prevediamo inoltre
un incontro con i catecumeni,
affinché i giovani valdesi possano toccare con mano il Centro culturale, come luogo
chiave della cultura protestante italiana. La nostra presenza
sarà importante inoltre anche
durante la giornata comunitaria del prossimo agosto, sul
tema “Il caso americano: protestanti e democrazia”, che
vedrà la presenza del mondo
protestante italiano proprio
qui a Torre Pellice».
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PAG. IV
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venerdì 19 NOVEMBRE 1993
Appuntamenti
Giovedì 18 novembre — TORRE PELLICE: Amnesty International, in occasione dei dieci anni di attività in vai Pellice, organizza un incontro con il prof. Carlo Ottino, alle 16,45 presso la
Biblioteca valdese in via Beckwith 2, sul tema L’educazione ai
diritti umani: itinerari didattici.
Venerdì 19 novembre — PINEROLO: alle 21, nel salone delle
Feste in via Duomo 1, la Società storica pinerolese e il Circolo
sociale organizzano una conferenza sul tema Unificazione nazionale, dualismo Nord-Sud, ruolo della massoneria e il «caso» di Pinerolo. Relatore della serata è lo storico Aldo Mola.
Sabato 20 novembre — PEROSA ARGENTINA: per il ciclo
«Vita e cultura delle valli Chisone e Germanasca», alle 17, nella sala consigliare della Comunità montana verrà presentato il
quaderno di documentazione della Comunità montana valli
Chisone e Germanasca Processi lavorativi tradizionali al
Gran Dubbiane di Pinasca di E. Bertocchio.
Sabato 20 novembre — TORRE PELLICE: in occasione degli
incontri di musica popolare in vai Pellice organizzati da Tacabanda, alle 21 nel salone della Foresteria valdese, concerto di
musica occitana dei Lou Serio!, il più giovane gruppo di musica occitana, composto da sei ragazzi della valle Stura tra i 14 e
20 anni d’età.
Sabato 20 novembre — TORRE PELLICE: alle 21, nel tempio
valdese, si terrà un concerto del Coro alpino Valpeliice.
Domenica 21 novembre — TORRE PELLICE: alle 15,30, presso la Foresteria valdese, pomeriggio comunitario organizzato
dal gruppo di Amnesty International.
Domenica 21 novembre — POMARETTO: alle 20,30, nel tempio valdese, il coretto valdese di Torre Pellice propone Tenemos esperanza: l’America Latina nei canti della fede e della
lotta popolare. L’ingresso è libero. Le eventuali offerte raccolte
nella serata verranno destinate alla Chiesa di Gesù Cristo del
Madagascar per progetti di sviluppo.
Lunedi 22 novembre — SALUZZO: in occasione del progetto
storico pluriennale «Dall’eurocentrismo alla mondialità», per la
serie di incontri per studenti, alle 10,30 presso l’Istituto magistrale statale A. Nanni si terrà un incontro sul tema Un esempio
di decostruzione degli strumenti culturali e didattici: dalla
carta di Mercatore a quella di Peters.
Martedì 23 novembre — PINEROLO: in occasione del corso
gratuito organizzato dall’Anapaca, alle 20,30 presso la Scuola
infermieri dell’Ospedale civile, in via Trieste 42, i dottori Costa
e Curmaci parleranno del Dolore: terapie del dolore e di supporto.
Giovedì 25 novembre — TORRE PELLICE: la sezione di Torre
Pellice dell’Università della terza età presenta alle 15,30, nel
salone della Scuola mauriziana in via al Forte 2, una conferenza
con diapositive di Olga Cistemino Fogliano sul tema Le donne
nella storia.
PALLAVOLO — Prosegue la marcia della pallavolo
femminile di Pinerolo nel
campionato nazionale di Bl.
Sabato, al palasport di via dei
Rochis, le ragazze pinerolesi
hanno affrontato una delle
squadre meglio attrezzate del
campionato, il Pistoia, vincendo dopo una partita altalenante. In vantaggio subito
di due set, il Pinerolo ha dovuto subire nella terza frazione e nella quarta, sul 6 a 0 a
loro vantaggio, si sono disunite dopo un paio di decisioni
arbitrali sfavorevoli. Anche
l’ultimo decisivo tie break è
stato molto incerto ma alla fine è stata vittoria.
Tutti soddisfatti, compreso
il presidente Mina che sottolinea: «L’estremo equilibrio
del campionato, dove non
esistono formazioni particolarmente deboli e ogni partita
può essere giocata alla pari».
Si gioverà di questa situazione il pubblico, abbastanza numeroso sabato scorso. Sabato prossimo il Pinerolo femminile sarà in trasferta a Santa Croce sull’Arno,
per una delle partite sicuramente più difficili.
Nel campionato di Bl maschile invece il Pinerolo è
stato battuto per 3 a 0 a Bassano, ma il punteggio è oltremodo severo con i ragazzi
di Vignetta.
Torneo Baudrino Amatoriale femminile
3S Nova Siria - G.S. Porte
3-1
Cercenasco - Barge A 3-0
Classifica: 3S Nova Siria,
Maxisconto Cavour, A. S.
Cercenasco 6 punti; Villafranca 4 punti; Pablo Nemda
A 2 punti; Barge Volley A,
Barge Volley B, Pablo Nem
da B, G. S. Porte 0 punti.
Torneo Storello Amatoriale
maschile
Svet - Dsa II Meridiano 1-3
Dsa II Meridiano - 3S Luserna 3-2
Riccio Bricherasio - Svet 2-3
Classifica; Dsa II Meridiano 8 punti; 3S Lusema, Svet
4 punti; Pallavolo Pinerolo 2
punti; Club Chisola Volley,
Volley La Torre, Riccio Bricherasio 0 punti.
CALCIO — È un Pinerolo
che gioca e diverte quello
delle ultime settimane; domenica, nell’undicesima giornata del campionato dilettanti, i biancoblù hanno superato
nettamente la capolista Camaiore con un perentorio 3 a
0. Per la verità il primo tempo è stato assai equilibrato
con un paio di buone occasioni su entrambi i fronti.
A pochi minuti dal termine
l’espulsione di un giocatore
ospite cambiava un po’ gli
equilibri della partita. Nel secondo tempo Labrozzo andava a segno ben tre volte, l’ultima su rigore.
Il Pinerolo sale così in
classifica a 12 punti e affronterà domenica prossima in
trasferta il Cuoio Pelli.
BOCCE — La terza giornata del campionato di Al
presentava il derby pinerolese; il Veloce club ha superato
nettamente la Valpeliice per
13 a 3; mentre la capolista
Turbosider andava a vincere
alla grande a Noventa per 14
a 2 un’altra aspirante allo
scudetto, la Chiavarese andava ancora una volta sotto in
casa perdendo per 6 a 10 con
il Plozner.
Sabato prossimo incontro
al vertice fra Turbosider e
Veloce club; la Valpeliice af
fronterà in casa la Chiavarese.
TENNIS TAVOLO —
Ecco i risultati dell’ultima
partita di andata dei campionati della Polisportiva Valpellice: in serie C nazionale,
Rosso, Galofaro e Malano
hanno perso contro il Cus Torino con un risultato di 1 a 5.
Ottima invece la prova e lo
spettacolo offerti da Fabrizio
Cadamagnani della categoria
nazionale ragazzi (13 anni).
La serie DI vince per 5 a 2
contro il K2 Torino, con Gay
che segna 5 punti, Sergio
Ghiri e Piras che realizzano
un punto ciascuno.
Nella serie D femminile,
ancora una vittoria per Bruscagin e Quarantelli che hanno vinto per 5 a 0 a Moncalieri.
1 tre campionati rimangono
fermi fino all’8 gennaio ’94;
prende invece il via la D3 regionale maschile, che disputerà la prima partita il 18 novembre a Collegno.
Cinema
TORRE PELLICE — Il cinema Trento ha in programma
per giovedì 18 e venerdì 19 novembre alle 21,15 e sabato alle
20 e 22,10 L’età dell’innocenza; domenica alle 16, 18, 20 e
22,10 e lunedì alle 21,15 Nel
centro del mirino.
BARGE — Il cinema Comunale ha in programma per giovedì 18 Jurassic Park, venerdì
19 Stefano Quantestorie, sabato
20 Un’anima divisa in due; da
domenica 21 a giovedì 25
Cliffhanger (l’ultima sfida).
Giorni feriali alle 21 e domenica
alle 15,17,19 e 21.
»ERVIZI
USSL42
CHISONE - GERMANASCA
Guardia medica:
notturna, prefestiva, festiva:
Ospedale valdese, Pomaretto,
tei. 81154.
DOMENICA 21 NOVEMBRE
San Germano Chisone: Farmacia Tron , tei. 58766
Ambulanze:
Croce verde, Perosa: tei. 81000
Croce verde. Porte : tei. 201454
USSL 43 - VALPELLICE
Guardia medica:
notturna, prefestiva, festiva:
telefono 932433
Guardia farmaceutica:
DOMENICA 21 NOVEMBRE
Villar Pellice: Farmacia GayPiazza Jervis, tei. 930705
Ambulanze:
CRI - Torre Pellice, tei. 91996
Croce Verde - Bricherasio, tei.
598790
USSL 44 - Ptr^ROLESE
Guardia medica:
notturna, prefestiva, festiva:
Ospedale civile, Pinerolo, tei.
2331
Ambulanza:
Croce Verde, Pinerolo, tei.
22664
SERVIZIO ELIAMBULANZA
telefono 118
ANTICHITÀ, mobili, oggetti vari privato acquista. Telefonare 0121-40181 dopo le
ore 18.
VENDO ficus, tei. 0121933231
A Torre Pellice, nel 1886, Giuseppe
Morè, abile pasticcere pinerolese,
apre un laboratorio di pasticceria a
cui affianca, dopo i primi faticosi anni
di lavoro, un negozio di vendita con
annesso caffè.
Il prodotto che sin da quegli
anni si afferma è di grade qualità.
La Tradizione deile Valli Valdesi
Gli ingredienti sono tutti naturali
delle campagne della Val Pellice.
Il marchio Morè, sempre più noto e
apprezzato, viene depositato per la
prima volta nel 1933. Da allora i due
valletti che portano il vassoio con le
caramelle contrassegnano le
confezioni Morè.
Molte delle persone che oggi
lavorano alla Morè hanno tradizioni
familiari legate all’Azienda e hanno
appreso dai loro padri l'arte dolciaria
le misure, i tempi e la pazienza
artigiana per preparare il
prodotto e seguirne con
amore la realizzazione.
L'avvento della mèccanizzazione non ha cambiato la
qualità dei prodotti Morè.ll gusto
caratteristico dei fóndants, la
vellutata bontà delle gelatine alla
frutta e la spiritosa fragranza dei cricri sono sempre gli stessi e
rimarranno inalterati, sicuramente
ancora per un altro secolo.
Oggi Morè presenta la prima serie dei
suoi cofanetti regalo con le preziose
litografie dei luoghi valligiani tanto
cari alla nostra memoria, con il
commento di Osvaldo Coisson, tratte
dal volume "The Waldenses" di
William Beattie. Possono essere un
bel regalo per Natale o per ogni
circostanza dove occorre portare,
anche a chi é lontano da Torre Pellice
un pò delle nostre tradizioni.
■"“""""""■"""“a»™"™ ""
Vogliate compilare correttamente il Buono d'Ordine e spedire in busta Chiusa a:
MORÈ-ViaFilatoio, 16-10066TorrePellice/To-Tel.OI2l/953222-9l27l - FaxOI2l/932934
Cofanetto "Antica Torre Pellice"
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Nome...................................................
Cognome................................................
Indirizzo..............................................
Città..................................................
Provincia....................................Telefono.
aD bD
C.A.P,
In consegna dal 18 ottobre 1993 ■ Spese trasporto in Italia; L. 17.000 (Calabria e Isole L 25.0001 •
Pagamento mezzo contrassegno alla consegna delle confezioni. Estero: pagamento all'ondine più spese trasporto.;
11
VENERDÌ 19 NOVEMBRE 1993
Attualità
PAG. 7 RIFORMA
Il dibattito sul costo del lavoro e sulla riduzione dell'orario. Occupati e disoccupati
Se 29 ore vi sembrati poche...
GI0R6I0 CARDIOL______
Peppino Businco, 28 anni,
si è ucciso domenica 7
novembre. Era disoccupato,
solo e senza casa. È una vittima della disoccupazione. Noi
tutti, la nostra società organizzata, non abbiamo saputo fare
nulla per lui. Quanti altri Peppino ci saranno prima di venire a capo del problema della
mancanza di lavoro?
I disoccupati nei paesi della
Cee sono oltre 31 milioni. In
Italia gli iscritti alle liste di
collocamento sono 5,2 milioni
mentre le persone effettivamente in ricerca di lavoro erano, nel luglio scorso, 2,5 milioni, 1T1% della popolazione
in condizione lavorativa. E il
peggio deve ancora venire.
La crisi dell’occupazione è
generalizzata in tutta l’Europa
occidentale. I tassi di disoccupazione sono del 12,1% in
Francia, del 11,3% in Germania, del 10,4% in Gran Bretagna, del 9,3% in Olanda contro il 6,5% in Usa e il 2,6%.
La crisi è strutturale. Prendiamo ad esempio Pindustria
dell’automobile. «La Fiat cinque anni fa aveva una capacità produttiva di 2,2 milioni
di vetture l’anno, gli organici
però consentivano una produzione solo di due milioni di
vetture - mi spiega Rocco, di
uno dei Consigli di fabbrica
autoconvocati Oggi, dopo
la chiusura dello stabilimento
di Chivasso la capacità produttiva è di 2 milioni di vetture l'anno, e gli attuali occupati possono produrne 1,8 milioni. La Fiat però produce solo
1,2 milioni di auto l’anno. Si
piegano così i 13 mila eccedenti di cui si parla».
Domani, con l’apertura del
modernissimo stabilimento di
Melfi, la capacità produttiva
della Fiat salirà a 2,5 milioni
di auto l’anno, e gli attuali addetti potrebbero produrre, a
orario completo, 2,2 milioni di
vetture. Un numero così alto
di autoveicoli non può essere
assorbito dal «mercato». È
ipotizzabile una vendita massima di 1,5 milioni di pezzi
(sempre se l’effetto «Punto»
Operaio alla catena di montaggio della Volkswagen
funziona) e quindi gli eccedenti saranno almeno 20 mila.
L’esempio della Fiat, con
altri numeri, vale anche per le
industrie dell’elettronica, della
chimica, del tessile. Le macchine sostituiscono il lavoro
umano con un ritmo di crescita superiore all’aumento dei
prodotti assorbibili dal mercato. L’economista Giorgio
Lunghini osserva a questo
proposito che «l’introduzione
di nuove tecnologie nei processi produttivi non si traduce
in grandi progetti di investimenti capaci di effetti moltiplicatori che almeno in parte
compensino il risparmio di lavoro (di lavoratori) bensì in
una diminuzione generalizzata
dei coefficienti tecnici». E il
Cer, il Centro Europa ricerche, nel suo ultimo rapporto
sulla disoccupazione osserva
come tra l’87 e il ’92 l’intero
sistema economico italiano ha
visto aumentare l’occupazione
complessiva dello 0,4% mentre il prodotto lordo interno
(Pii) è cresciuto dell’8% (a
prezzi costanti). Il Cer ha anche calcolato che ci vorrebbe
una crescita annua del Pii del
4% per mantenere gli stessi livelli occupazionali. Un tasso
di crescita assolutamente fuori
portata per il nostro paese.
Il Wall Street Journal, analizzando l’economia statuni
tense, conferma l’analisi del
Cer e rileva come nelle riprese
economiche passate un aumento del 6% del Pii portava
con sé un aumento dell’occupazione del 2,2%, oggi la stessa ripresa porterebbe un aumento dell’occupazione del
1,7%.
Per tamponare la crisi e
l’emorragia dei posti di lavoro
i governi e le organizzazioni
sindacali hanno messo a punto
alcuni strumenti congiunturali. In Francia il Senato ha approvato (contrari i socialisti e
i comunisti) una legge «sperimentale» che consente una riduzione di orario di 7 ore (da
39 a 32) con una perdita di salario di circa il 10%. In Germania alla Volkswagen, per
salvaguardare 30 mila posti di
lavoro (su 102 mila totali), si
pensa di portare la settimana
lavorativa a 4 giorni con un
orario settimanale di 28 ore e
50 minuti e una parallela riduzione del salario del 20%. In
Olanda chi lavora nella pubblica amministrazione già da
qualche tempo ha un orario di
32 ore. In Belgio chi ha compiuto 55 anni può usufmire di
una riduzione di orario attraverso prepensionamenti parziali (ad esempio lavorare 18
ore come salariato e ricevere
altre il corrispettivo delle altre
18 come pensione). In Gran
Bretagna si è consentito il cosiddetto job splitting, cioè la
condivisione tra più persone
dello stesso lavoro.
In Italia governo, sindacati,
organizzazioni padronali hanno messo a punto un pacchetto di misure (cassa integrazione, contratti di solidarietà eioè
riduzioni di orari e di salario
per evitare licenziamenti, contratti a termine, lavoro in affitto) che tutte le parti sociali
considerano avere qualche
chance, ma che nessuno crede
sia risolutivo del problema.
«Tanto più il legislatore faciliterà il ricorso alla cassa integrazione speciale - scrive il
Cer nel suo rapporto - tanto
minore sarà per le imprese la
convenienza a ricorrere a
strumenti che richiedono una
procedura di consultazione
sindacale complessa, pongono
maggiori problemi organizzativi e non costituiscono l’anticamera del prepensionamento
anticipato come spesso è stata
la cassa integrazione».
Questa osservazione spiega
la resistenza della Confindustria a realizzare anche in Italia una consistente riduzione
dell’orario di lavoro e a preferire a questa misura l’adozione dei tradizionali ammortizzatori sociali.
(primo di una serie
di quattro articoli)
Posizione della Chiesa battista di Livorno
Far funzionare
la scuola pubblica
Nella guerra (assurda ma
vera) fra il governo - nella
persona del ministro della
Pubblica Istruzione - e la
scuola pubblica, per un attimo il buon senso ha avuto la
meglio e la scuola ha vinto
una piccola schermaglia. Il
decreto interministeriale e il
decreto Jervolino bis hanno
per fortuna evitato la maggior parte dei danni immediati che l’originale decreto
Jervolino dell’agosto scorso
stava provocando. Ma da
questa esperienza la scuola
esce ancora malconcia, e rimangono interrogativi inquietanti.
Per favorire un’armoniosa
convivenza sociale, in una
società complessa come quella italiana, è necessario che la
scuola pubblica funzioni bene. La scuola deve contribuire a formare le basi culturali
e la preparazione tecnica che
permetteranno ai giovani di
affrontare le realtà della vita
in maniera razionale e allo
stesso tempo creativa.
Che la scuola pubblica italiana non esplichi questo
mandato è davanti agli occhi
di tutti da molto tempo. Se
per la maggior parte dei ragazzi la scuola è diventata
un’esperienza noiosa, frustrante e spesso angosciosa,
la responsabilità è da attribuire, prima, ai governi che nei
fatti non considerano la scuola come un investimento essenziale per il bene della collettività, poi a una cronica
mancanza di buon senso a livello ministeriale e di Provveditorato e, infine, al comportamento di non pochi insegnanti.
Per fortuna sembra che alcune riforme lungamente attese stiano per andare in porto.
Però, se si voleva qualcosa
che degradasse e squalificasse la scuola pubblica ancora
di più, non si poteva chiedere
di meglio del decreto legge
del 9 agosto 1993. L’applica
Convegno dell'Llniversità di Urbino sui nuovi termini del diritto ecclesiastico
Principio pattizio e realtà religiose minoritarie
PAOLO GAY
Nei giorni 22, 23 e 24 ottobre si è svolto a Urbino un seminario di studi sul
tema Principio pattizio e
realtà religiose minoritarie,
organizzato dalla locale università (Facoltà di giurisprudenza, Scienze politiche. Istituto superiore di scienze religiose). Il seminario ha visto
radunata una sessantina di
studiosi di Diritto ecclesiastico, professori universitari, ricercatori, dottorandi, studenti, appassionati provenienti
da tutta Italia.
Ha aperto i lavori il prof.
Varnier (Università di Genova) che ha evidenziato il
sempre crescente interesse
del mondo accademico per le
nuove aperture, le nuove richieste, i nuovi problemi che
si presentano al mondo del
diritto in seguito alle legittinte rivendicazioni di confessioni religiose in un certo
senso nuove per la realtà italiana.
Sull’esigenza dello stato di
definire giuridicamente che
cosa sia una confessione reli
giosa si è soffermato il prof.
Ferrari (Università di Torino)
con una relazione in cui ha
proposto un paradigma di
confessione religiosa che ha
dato luogo a discussione già
soltanto sulla necessità di definire criteri precisi e, in definitiva, esclusivi.
Dopo una relazione del
prof. Bordonali (Università
di Palermo) su «Verifica e
revisione delle Intese», in cui
si sono messi in luce aspetti
problematici dei testi pattizi
finora conclusi, la dottoressa
Scandura (Ufficio studi e affari legislativi della direzione
generale degli affari di culto
presso il ministero dell’Interno) ha informato sulla collaborazione tra amministrazione dello stato e mondo accademico per giungere a un
censimento delle confessioni
e dei movimenti religiosi in
Italia; nonostante le assicurazioni fornite, molti sono i
dubbi e le perplessità sollevate dai partecipanti al seminario sull’iniziativa: come ha
ricordato il prof. Giorgio
Peyrot non si può dimenticare che il ministero dell’Inter
no è anche il ministero della
polizia, e che talune poco
spiacevoli esperienze del
passato sono difficili da dimenticare.
Il prof. Grassi (direttore
dell’Istituto superiore di
scienze religiose dell’Università di Urbino) ha presentato una relazione di carattere sociologico sulle nuove
confessioni religiose affacciatesi in Italia negli ultimi
40 anni; il prof. Fantappiè ha
illustrato l’evolversi del pensiero canonistico nei confronti delle confessioni religiose diverse da quella cattolica romana attraverso l’esame dei Codici di diritto canonico del 1917 e del 1983 nelle norme che le riguardano.
Si è svolta quindi un’interessante tavola rotonda, anche se forse un po’ sacrificata dal tempo tiranno, coordinata dal prof. Parlato (Università di Urbino) con rappresentanti di confessioni religiose «nuove» per l’Italia:
un testimone di Geova, un
archimandrita ortodosso, un
esponente della Chiesa di
Cristo dei Santi degli ultimi
giorni (mormoni), un buddista, un membro del Concistoro della Chiesa evangelica
luterana in Italia e infine un
esponente Babai hanno esposto i fondamenti della rispettiva confessione e le linee
conduttrici della loro posizione di fronte allo stato.
Una relazione di inquadramento generale sui rapporti
tra lo stato e i gruppi religiosi è stata svolta dal prof.
Tozzi (Università di Salerno), e quindi il prefetto
Troiani (direttore generale
degli Affari di culto, ministero dell’Interno) ha illustrato
il ruolo odierno della direzione generale e i problemi posti dalle Intese ex art. 8 della
Costituzione.
Un panorama di questioni
legate al matrimonio dopo le
Intese, e altri che nuove intese potranno porre è stato
tracciato dal prof. Albisetti
(Università di Parma), mentre il prof. Adami (Università
di Ferrara) ha individuato i
principi giurisprudenziali in
tema di confessioni religiose
enucleabili dalle ultime sentenze del Consiglio di Stato e
soprattutto della Corte Costituzionale.
L’esperienza spagnola in
tema di Intese con le confessioni religiose dopo l’approvazione della nuova legge
organica sulla libertà religiosa è stata illustrata dal prof.
A. de la Hera (Università
Complutense di Madrid). Il
prof. Sinagra ha narrato invece dell’esperienza cipriota.
Ultima relazione è stata
quella del prof. Onida (Università di Firenze) che ha richiamato i presenti alla sostenibilità del principio dei
diritto comune come alternativa al sistema di coordinazione per intese indicato dalla Costituzione, principio
forse anche compatibile con
intese su argomenti particolari per far salve le singole
diversità delle confessioni religiose presenti sulla scena.
Sempre interessanti gli interventi che hanno seguito le
varie relazioni (si ricordino
quelli dei prof. Lariccia, Bellini e Peyrot), di cui la sintesi
potrà esser letta nel volume
degli atti che uscirà tra un
anno circa.
zione di questo decreto
avrebbe comportato la soppressione di numerose sezioni intermedie e terminali sia
nella scuola media inferiore
sia in quella superiore. Oltre
ai disagi degli studenti che
avrebbero visto scomparire la
loro sezione tutti i ragazzi si
sarebbero ritrovati in sezioni
talmente numerose da rendere praticamente impossibile
un serio apprendimento.
Ma è molto, peggio ciò che
si sarebbe verificato per
quanto riguarda i portatori di
handicap. Con il sistema di
sostegno che è già compietamente inadeguato, le scuole
sarebbero state costrette a
formare sezioni con un portatore di handicap di 22 o 23
studenti (invece dei 21 stabiliti per legge). E si pensava
addirittura di mettere due
portatori di handicap in una
sola sezione per poter alzare
il numero di alunni nelle altre sezioni. Questo avrebbe
significato condannare queste sezioni a una totale improduttività.
Se questo decreto avrebbe
creato grossi problemi in situazioni che si possono definire «normali», applicarlo in
aree di estremo disagio sociale avrebbe avuto l’effetto
di dare una mano alla criminalità organizzata. Nel meridione la scuola, pur disastrata, è spesso l’unica istituzione di cui lo stato dispone per
offrire ai giovani un’alternativa alle attrattive della mafia.
«Amare il tuo prossimo
come te stesso» significa impegnarsi affinché anche l’altro abbia ciò che ognuno desidera per se stesso. Ogni genitore desidera per suo figlio
una scuola tranquilla dove si
può studiare con entusiasmo,
interesse e profitto. Poiché la
scuola pubblica non risponde
più a questa descrizione,
molte famiglie si rivolgono
alle scuole private.
Ma quale che sia la scuola
che i nostri figli frequentano,
ai credenti deve interessare il
buon funzionamento della
scuola pubblica quale garanzia di una società democratica, pluralistica, tollerante,
creativa e pacifica. Qualsiasi
cosa che danneggi la scuola
pubblica causa un danno alla
società.
In questo momento critico
per il paese i credenti devono
unire le loro voci a quelle di
tutti i cittadini affinché il governo capisca che la nazione
intera non accetta questo atteggiamento verso la scuola.
Attraverso le loro associazioni e i partiti, i credenti devono far pressione sul Parlamento e sul governo affinché, prima, venga respinta la
logica del decreto Jervolino,
e poi si cominci seriamente a
investire nella scuola invece
di tagliare le sue risorse.
Lecce
Scuola e laicità
Si è svolta lo scorso 6 ottobre l’assemblea provinciale
del comitato «Scuola e Costituzione».
Oltre ad aver abbozzato un
primo programma di iniziative, il comitato ha provveduto
alla rotazione dei compiti di
coordinamento e rappresentanza.
12
PAG. 8
RIFORMA
VENERDÌ 19 NOVEMBRE 1993
GLI ANNI IN CUI SCOPRIMMO FELLINI
LA SUA PARTE DI COLPA
RENZO TURINETTO
Il nostro gruppetto di amici
non andava al cinema (o a
teatro o in una sala di musica)
così a caso. Nella diversità
dei gusti, discuteva come passare fuori le poche serate che
i pochi soldi permettevano.
Avevamo rispetto e qualche
timore reverenziale verso le
forme d’arte, le seguivamo attenti, perfino assorti e compunti. Tuttavia non si creda
che fossimo «blasé» o, peggio, avessimo il sussiego dei
«posh», due parole che
avremmo conosciuto solo piià
avanti.
Anzi a volte ci divertimmo di
ingenua perfidia con il soprano sovrappeso che nel morire
di mal sottile si appoggia al
precario tavolino facendolo
crollare; col direttore d’orchestra onusto più di anni che di
gloria imbragato in un girello
da infante altrimenti non si
regge in piedi come diceva
uno di noi; e (il massimo) con
le pallottole dei pionieri che
ammazzano infallibili i pellerossa, ogni colpo un morto,
mentre le loro povere frecce
si conficcano regolarmente
nelle ruote dei carri yankee.
Noi tifavamo indiano, una
causa persa.
Si cercava di capire (di noi?
della vita? del mondo?) parlando, guardando, leggendo,
ascoltando, pensando. Ancora
oggi, come fanno i vecchi
evocando la gioventù (il loro
Amarcord), la commozione si
mescola con altri fremiti e vibrazioni se si ripensa la «Antologia di Spoon River» con i
morti in scena o la prima volta dei «Carmina Burana» e
così via.
Arrivò l’epoca che il mondo prese a marciare in fretta.
Dopo «Volare» (titolo inesatto ma comune) un amico cosparse la cucina di larghe pennellate blu. Dopo «La dolce
vita» trovammo un nuovo vocabolario e nuove immagini.
Anche esistenziali. Non tanto
i paparazzi e il bagno nella
fontana, ma il suicidio dell’
intellettuale Steiner ci fece
accanire in lunghe ma fruttuose conversazioni; Fellini rimestava i nostri sentimenti. In
mezzo agli altri, ecco in disordine lo struggimento di
«Luci del varietà», le (profetiche? anticipatrici?) «E la nave
va» e «Prova d’orchestra», il
più cerebrale «Otto e mezzo».
Leggo che nell’idea di Fellini
«Amarcord» «voleva essere
l’addio a una certa stagione
della vita, quell’inguaribile
adolescenza che rischia di
possederci per sempre».
A quel momento la nostra
minuscola cricca si era ridotta, per altri versi estesa, in
ogni caso modificata. Da tem
Appuntamenti
Venerdì 19 novembre — BERGAMO: Alle ore 21, presso il
Centro Progetto (via Longuelo 83), il prof. Giorgio Spini
parla sul tema: «Il protestantesimo e le rivoluzioni del nostro tempo».
Sabato 20 novembre — TORINO: Alle ore 15, nel Salone
valdese di corso Vittorio Emanuele 23, il prof. Luigi Bonanate, docente di Relazioni internazionali, il filosofo Ugo
Perone e lo psicanalista Ettore Zerbino parlano sul tema:
«Nazione umana: nazionalismi e umanità».
Venerdì 26 novembre — TORINO: Alle ore 21 a Palazzo Civico (via Milano 1), Marco Buttino e Gian Giacomo Migone (Università di Torino), e Rashid Kaplanov (Accademia delle Scienze di Mosca) parlano sul tema: «Mercato,
crisi e guerre nell’ex Unione Sovietica».
Venerdì 26 novembre — PAVIA: Alle ore 17,30, nella Sala
bianca dell’Almo Collegio universitario Borromeo, il prof.
Paolo Ricca presenta il libro: «Il servo arbitrio. Risposta a
Erasmo» di Lutero. Introduce il prof. Franco Alessio (Università di Pavia) e partecipa la prof. Fiorella Pintacuda De
Michelis, curatrice del volume.
PROTESTANTESIMO IN TV
Lunedi 29 novembre - ore 9,30 circo - Roidue
j . Attualità evangelica \ ’ ’
< ' Protestanti e diritti umani in Messico
' 'fi- ! 1 : . 1.: ■ I J
; ,, . .1. «Costrmre una speranza»
Manifestazione delle chiese protestanti di Roma .
po eravamo fuori dell’età del
malessere ma pienamente
dentro a un’altra, diversa e
sopraggiunta. Colpa e merito
di Raskolnikov che si fa leggere da Sonja la resurrezione
di Lazzaro; del «Grande freddo» che denuda l’interiore;
della «Società dei poeti estinti» (in Italia «L’attimo fuggente») che quasi ci fa riprendere il «Cuore», intanto che si
andava a scuola da Chaplin,
Bergman, Woody Alien...
Se Frank Capra non era tutta l’America né lo era John
Wayne (per fortuna), Fellini
non era tutta l’Italia. Consolidò il nostro antico gruppetto
ma in parte ebbe anche la colpa di scomporlo: perché sotto
la spinta di forti emozioni noi
ci «volemmo confidare cose
troppo segrete e la nostra
amicizia si raffreddò» (come
scriveva Enrico Emanuelli a
proposito delle confidenze fra
soldati sotto le bombe) come
purtroppo può succedere.
Avevamo infranto una regola
di Wittgenstein, «ciò di cui
non si deve parlare si deve tacere».
Sobrietà dunque anche per
la morte del grande Fellini,
fuggendo il disgustoso commento funebre di un telecronista, dove «non si distingueva più chi era la salma» (Beppe Grillo).
Alcuni aspetti meno noti nelle produzioni del regista
Fellini non era solo sognatore
ma sapeva interpretare Ntalia
ALBERTO CORSANI
Stupisce la messe di celebrazioni, ricordi, interpretazioni che si sono affastellati
nei giorni successivi alla
scomparsa di Federico Fellini:
non mi sembra che si fosse
verificato tutto questo per la
morte di Luchino Visconti;
quella di Pasolini, poi, fu violenta e legata a cose di cui non
si doveva parlare; quella di
Rossellini interessò pochi. E
stupisce anche l’abbondanza
di articoli, interventi, commemorazioni volte a compiangere il creatore di miti, il «sognatore», l’acrobata della
macchina da presa, il direttore
di circo. E una visione, intendiamoci, che ha molto di vero,
ma che mi sembra riduttiva.
Che il mondo della cultura,
dello spettacolo e perfino della politica facciano quadrato
intorno a un personaggio tanto celebrato all’estero forse
non deve sorprendere in un
momento di crisi di valori;
ma sembra che nel momento
stesso in cui lo si celebra, si
limiti il raggio d’azione del
regista, lo si confini nelTangolino del produttore di ombre, del creatore di illusioni,
nella «turris eburnea» del
poeta sommo che ci ha fatto
sognare per anni.
In realtà la storia e l’attualità del nostro paese sono entrate nei film di Fellini, in misura quantitativamente inferiore ai sogni e all’autobiografia, ma con esiti forse superiori. Alla presenza della contemporaneità nell’opera di
Fellini ha richiamato Ìo scrittore Antonio Tabucchi sul
«Corriere della sera»: («Altri
registi hanno raccontato la
storia d’Italia con più apparente realismo (...) Fellini
raccontava l’Italia interiore,
quella che tutti noi ci portiamo dentro»), dalla ricostruzione (Lo sceicco bianco. La
strada) a via Veneto (La dolce
vita) al mondo dell’irrealtà televisiva di Ginger e Fred.
Era un mondo, si può aggiungere, la cui cifra comune
è stata rappresentata dall’intermediazione della messa in
scena: la vita come continua
esibizione di sé, spettacolo, i
rapporti umani come gioco
delle parti: il circo, il set cinematografico (Otto e mezzo è la
storia di un regista alle prese
con una crisi di creatività), il
varietà (Luci del varietà fu nel
1951 una co-regia con Alberto
Lattuada), la tv, l’opera lirica
(evocata in un film a torto
considerato minore, E la nave
va) sono giganteschi schermi,
maschere che i personaggi di
Fellini (già di per sé evocativi,
tanto quelli grotteschi e «plebei», quanto quelli teneri come la Gelsomina della Strada)
sono costretti a mettersi addosso per poter comunicare.
Gli italiani, sembra dire tutta la sua filmografia, non sono
stati capaci di parlarsi senza
ricorrere ai panni di scena,
non dialogano né agiscono se
non in nome di una categoria
(i nobili decaduti, i lacchè di
improbabili corti, i ruffiani del
potere, nella Dolce vita ma
anche negli anni del fascio di
Amarcord) rassicurante sotto
il cui ombrello ci si può sentire realizzati. Non è solo questione di opportunismo (ottenere vantaggi legandosi a questa o quella «cordata»): è un
vizio costitutivo di un carattere, una fragilità dell’individuo
che viene presa di mira
dall’arguzia di Fellini.
La riprova si ha con i film
che hanno a che fare con il
passato, che meno vivono di
ricordi e di autobiografia: il
Satyricon da Petronio Arbitro
(1967) e il Casanova (1976).
Due momenti di crisi profon
da, fasi di passaggio da
un’epoca all’altra: la Roma
decadente del pre-cristianesimo, che pare tutta una «suburra» di gozzoviglie e vizio,
ma anche di questioni metafisiche che si presentano atroci
e ultimative (fino all’agghiacciante testamento di Eumolpo, che lascia i propri averi a
chi avrà il coraggio di mangiarne il cadavere: neanche
Pasolini fu tanto crudo
nell’evocare la brama del potere e della ricchezza); e il cosmopolitismo del libertino,
che (con molte libertà storiche, trattate sempre sotto il
segno del plausibile) impazza
fra l’Austria di Maria Teresa,
l’Inquisizione a Venezia, rincontro con Voltaire in Svizzera, una corte tedesca, per
esprimersi nella seduzione e
ritrovarsi solo come un cane,
macchina adulata dai soliti
cortigiani tanto quanto fu
combattuta dall’ortodossia e
dalla morale: sempre comunque vittima strumentalizzata.
Se è tipico dell’artista di
genio parlare per immagini,
per accenni e ammiccamenti,
suggerire il reale con la favola, l’ironia e l’inconscio, Fellini incarna questa genialità,
anche se qualcuno si spinge
più in là e, come Goffredo
Fori sull’«Unità», rimpiange
che il regista non abbia avuto
uqa vocazione più «minoritaria» (dice addirittura più
«protestante», richiamo ormai abusato), coerente con il
lato amaro dei propri film;
quello che oggi si vorrebbe
rimuovere.
Una scena da «Fellini-Satyricon» (1969)
Roma: una conferenza in occasione della settimana storica in cui si ricorda la Riforma
I valdesi e Ntalia del Risorgimento
_______DANIELA BRACCO_______
Nella settimana «storica»
della Riforma le chiese
protestanti del centro storico
di Roma hanno voluto anche
ricordare che la diffusione
del messaggio evangelico in
questa città è storia recente:
è iniziata effettivamente solo
poco più di un secolo fa, cavalcando l’ondata del Risorgimento.
Di valdesi e Risorgimento
si è infatti parlato nella conferenza tenuta da Mario Cignoni nel tempio di via IV
Novembre, non casualmente
di giovedì 4 novembre. Ha
fatto seguito un originale intervento del dott. A. M. Arpiño, presidente del comitato
dell’Istituto per la storia del
Risorgimento e, per tutti gli
intervenuti, una simpatica
cena.
La conferenza ha dunque
tracciato un percorso che
coinvolge «pesantemente» i
valdesi con la storia delTIta
lia liberale e liberata. Il 184849 figura come una prima
tappa di storia fatta di moti,
di lotta allo straniero, di statuti, della prima guerra di Indipendenza e, soprattutto,
delle Repubbliche. Quella
romana sposa con entusiasmo la causa mazziniana.
Il Mazzini stesso, quale
triumviro assieme a Saffi o
Armellini, invita il popolo a
leggere liberamente il Vangelo. Dietro a questo discorso c’era la frequentazione
con il pastore francese Paul,
il quale aveva fatto stampare
a Roma ben 4.000 copie del
Nuovo Testamento tradotto
dal Diodati (un vero evento
nella città del papa) e ne
aveva regalata una copia al
rivoluzionario con «dedica»
incisiva: «Dove è lo Spirito
del Signore, ivi è libertà» (II
Corinzi 3, 17).
La restaurazione di Pio IX
che seguì il fallimento della
Repubblica romana fu sancito dal rogo di 3.000 di quelle
Bibbie «non autorizzate».
L’oscurantismo tocca il suo
apice, come sappiamo, con
la proclamazione dell’infallibilità del papa (1870). Fu
l’ultimo atto.
Il giorno della breccia di
Porta Pia, vissuto quasi come un «giudizio universale»
dai protestanti, vede entrare
in Roma accanto ai bersaglieri sei colportori con un
carico di Bibbie evangeliche
in un carretto trainato da un
cane (causticamente chiamato Pio IX).
È stato questo il simbolo,
commenta Cignoni, di una
Bibbia che entra in Roma
non a cavallo, in trionfo,
bensì su un carretto e con un
cane; una Bibbia semplice,
nuda, «sola Scriptura». La
Chiesa valdese, insieme a
metodisti e luterani, partecipa alla dirompente evangelizzazione, coinvolge la gente comune desiderosa di conoscere il messaggio di vera
libertà data dal Vangelo, in
contrasto con una tradizione
clericale chiusa e oppressiva.
Lavoratori umili, artigiani,
piccola borghesia di media
cultura ma anche personaggi
di spicco, come il marchese
Especo e il conte Friggeri
sono il nucleo della prima
comunità valdese romana,
che celebrerà la prima Santa
Cena nel dicembre del 1871.
Pochi anni dopo, sul terreno
ceduto dal principe Barberini Colonna Sciarra, sorge il
tempio a via IV Novembre,
grazie ai fondi raccolti dai
fratelli scozzesi per sfatare
un luogo comune!).
Di qui i valdesi cominciarono a parlare a Roma, città
sorda e difficile, oggi più di
ieri. Di qui, e da un Risorgimento che forse non è ancora concluso (ci accorgiamo
in questi giorni che la nostra
democrazia è storicamente
troppo giovane per dirsi solida), la Parola ha potuto riconoscersi nel volto della libertà.
13
venerdì 19 NOVEMBRE 1993
Cultura
PAG. 9 RIFORMA
Napoli: un convegno internazionale presso l'istituto Suor Orsola Benincasa
Una continua interrogazione alla base
del dialogo fra teologia e filosofia
LUISA NITTI
A partire dal rapporto fra
teologia e filosofia che,
lungi dal trovare sistemazioni scontate, continua a riproporsi come problema ha preso avvio, a Napoli, un importante convegno internazionale di studi: dal 25 al 28 ottobre presso l’istituto Suor Orsola Benincasa numerosi teologi e filosofi di grossa fama,
italiani e stranieri, si sono
confrontati sul tema «Teologia e filosofia in dialogo».
Le giornate del convegno
sono state scandite da un
programma molto denso, articolato in tre grosse sezioni:
in primo luogo una parte metodologica, introdotta e presieduta dal cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, rinveniva le «ragioni del dialogo»: fra gli altri, hanno preso
parte a questa fase dei lavori
Massimo Cacciari, Emanuele
Severino, Bruno Forte. Un
secondo grosso blocco era
costituito da un’analisi di tipo storico-fenomenologico,
in cui si analizzava il dialogo
fra le due discipline nell’ambito della storia di tre nazioni: la Francia, la Germania e
l’Italia.
In maniera necessariamente schematica, ma non per
questo ineffieace, il cardinale
Paul Poupard, che introduceva i lavori della giornata, ha
fornito le coordinate essenziali di quest’ambito di ricerca; ha così individuato dinamiche diverse nel dialogo fra
teologia e fdosofia, che vanno dair«aut aut» del caso
Giorgione: i tre fiiosofi
italiano (per molti secoli in
Italia le due diseipline sono
state considerate in maniera
antitetica), alla compenetrazione e reciproca inclusione
della interrogazione filosofica e dell’ascolto credente,
esprimibile nell’«ut ut» del
caso francese, fino all’«et et»
della Germania, espressione
di una coordinazione nell’autonomia (al discorso teologico viene riconosciuta scientificità; alla fede si può pervenire attraverso un discorso
scientifico).
Particolarmente impegnativa (per i temi in diseussione
come per il fitto numero di
interventi) è stata la terza
parte, che riguardava più direttamente l’aspetto tematico
del dialogo: la questione di
Dio, l’antropologia, la que
Teologi, filosofi e problema etico
Di fronte al
«moto di senso»
In quale modo dunque, e a
partire da quali luoghi gli
sforzi di teologi e filosofi
possono incontrarsi, in campo etico? Se gli uni come gli
altri vivono l’epoca della radicale disgregazione e se entrambi, a partire dalla propria
specificità, corrono il rischio
di non poter dire più nulla
sulle «cose ultime» né sulle
«penultime», è anche vero
ehe proprio a partire da questo «vuoto di senso» teologia
e filosofia devono riprendere
ad interrogarsi reciprocamente.
D’altronde se si parla di
crisi e disgregazione, il pensiero non va solo a monte,
indagando la fine delle grosse ideologie o dei grandi sistemi filosofici, ma precipita
con uguale forza a valle, nelle contraddizioni attualissime
del mondo, del nostro paese,
della città stessa in cui viviamo.
Secondo Bruno Forte «la
cosiddetta fine della modernità e l’insorgenza del postmoderno accomunano filosofia e teologia in una nuova
“povertà”. Una “povertà”
che è ricchezza, perché è
apertura alla responsabilità
verso altri (...) impossibilità
di separare il momento teoretico puro dall’esistere per gli
altri e dall’essere solidali con
essi».
Si fanno allora strada delle
possibili piste.
Chiaro emerge il richiamo
a una apertura verso lo spazio della responsabilità e della solidarietà, ehe significa
farsi carico comune del dolore del mondo, come qualcosa
da affrontare qui e ora, insieme a chi ci sta di fianco: il
problema del limite e quello
della finitezza non sono eludibili dall’orizzonte dell’una
come dell’altra disciplina.
A tale proposito Mario
Ruggerini ha elaborato due
emblematiei interrogativi,
che la filosofia e la teologia
dovrebbero idealmente porsi.
La prima dovrebbe rispondere del proprio emarginare il
diseorso teologico: «La filosofia, nata come esperienza
religiosa, oggi viene al suo
destino: non parla più di Dio;
essa dovrebbe riprendere ad
interrogarsi sul mistero, che
è ciò che suscita il pensiero
stesso; (...) perdere il concetto di Dio come alterità significa perdere il concetto
stesso di finitezza, della propria finitezza».
Ma anche la teologia, secondo Ruggerini, «non può
non occuparsi della finitezza,
anzi deve assumerla come
misura del proprio pensare:
Dio stesso assume la radicale
finitezza, diventa finito attraverso l’incarnazione».
stione etiea e il rapporto fra
tempo ed eterno, storicità e
trascendenza.
A dire degli organizzatori
del eonvegno (il filosofo
Vincenzo Vitiello e il teologo Bruno Forte) il senso del
dialogo fra filosofia e teologia va rieercato in primo luogo in una sorta di antico accordo, una coappartenenza
originaria delle due diseipline. Se tradizionalmente si
può dire che la teologia sia
tesa all’«ascolto» (dell’alterità divina, della Parola che
ei interroga) e, dal canto suo,
la filosofia nasca da una interrogazione radicale sul senso del mondo, è innegabile
che la teologia come la filosofia siano al centro dell’intreccio di entrambi gli atteggiamenti: il «domandare» del
filosofo partecipa dell’«ascoltare» del teologo, così
come quest’ultimo non resta
immune dalle domande radicali poste dalla filosofia.
D’altra parte la teologia
non può mai dirsi «sicura»
del proprio oggetto, né anzi
può pretendere di «possedere» Dio eome mero oggetto
di disquisizione, ma è costretta anch’essa ad una continua interrogazione: è stato
osservato che, paradossalmente, proprio chi crede è
portato di eontinuo a dubitare; e la filosofia, per parte
sua, «nasce come esperienza
religiosa, l’esperienza del
mistero del principio delle
eose»: così Mario Ruggerini
ha sintetizzato la convergenza originaria fra le due discipline.
È plausibile dunque riconoscere nella stessa origine
del domandare filosofico un
atteggiamento religioso, in
quanto stupore di fronte al
mondo, meraviglia originaria
rispetto all’ordine ingiustificato del eosmo. Così è per
Platone, che nel Teeteto afferma: «Tale è principalmente la passione (pathos) del filosofo: stupire. Né altro inizio e principio ha il filosofare che questo». Prima ancora
che colui o colei che «agisce» le sue interrogazioni,
il/la filosofo/a è dunque una
persona che «patisce» la meraviglia per l’ordine gratuito
del mondo quale gli si rivela,
anche se in maniera sempre
ambigua e celata.
Non certo in secondo piano, per chi ha organizzato il
convegno, stava un secondo
motivo di convergenza fra
l’elaborazione filosofica e
quella teologica: dalla stessa
struttura tematica delle giornate emergeva l’esigenza che
i teologi e i filosofi presenti
si incontrassero nella ricerca
di linguaggi comuni, atti ad
esprimere la crisi del nostro
tempo.
Di fronte alla definitiva
crisi di ogni fondamento, alla
crisi delle ideologie forti che
«davano forma» al mondo
sostenendo in modo saldo le
scelte etiche dei singoli e
delle collettività, si percepisce in modo chiaro la «nostalgia» di un modello (teoretico ed etico) che possa
riavvicinare (in virtù della
reciproca debolezza) il mondo laico e quello cristiano.
I rapporti fra cattolici e laici
I limiti del dialogo
Non tutti i contributi, nei
quattro giorni di convegno,
sono andati nella direzione
di un pacifico o scontato
procedere di filosofia e teologia lungo sentieri intrecciati. Credo che tutto rimpianto del convegno guardasse con favore ad una convergenza di fondo fra esponenti della cultura cattolica e
laica: teologia e filosofia non
sempre si sono corrisposte,
ma l’attualità stringente che
stiamo vivendo le porta necessariamente a studiare la
possibilità di un’opzione etica comune.
In una chiave un po’ diversa, invece, il filosofo Carlo
Sini, tra altri, ha energicamente reagito allo stesso impianto teorico del convegno,
così come viene espresso nel
dépliant di presentazione,
dove si legge un brano tratto
da «Esistenza e persona» di
Luigi Pareyson: «Il cristianesimo, oggi, non è cosa davanti a cui si possa restare
indifferenti. Bisogna scegliere o per o contro. Non c’è
via di mezzo: ogni posizione
intermedia è stata spazzata
via dalla crisi della cultura
moderna; (...) di fronte alle
rovine della cultura moderna, nasce il problema di una
nuova cultura (...) ed è qui
che la scelta per o contro il
cristianesimo diventa decisiva».
Sini ha voluto precisare
con forza la piena autonomia
della filosofia, denunciando
il rischio sempre in agguato
di una «vocazione integralistica che, riducendosi a sopraffazione, impoverisca
l’una come l’altra disciplina». Solo sperimentando i limiti di entrambe e dando
spazio a «ciò che entra in
gioco» in ciascuna di esse è
possibile davvero riconoscere la reciproca alterità.
Più in generale, secondo
Sini, bisogna sapere ammettere la possibilità per ciascuno di essere «esposto» alla
verità, anche se in un modo
diverso, in maniera dissimile
ma ugualmente valida.
Così, in risposta al vescovo ausiliario di Roma Clemente Riva, che nel parlare
della Bibbia la definiva il
«codice dell’umanità». Sini
ha ribadito il rischio di una
occidentalizzazione della
cultura planetaria, attuata in
virtù di una sintesi che non
tiene in giusto conto proprio
l’alterità e la specificità
dell’altro.
Infine è impossibile non
notare il fatto che, a fronte di
un impianto dei lavori così
curato e ricco, gli organizzatori abbiano del tutto trascurato di invitare interlocutori
di parte protestante.
Ugualmente vistosa è stata
la mancanza di relatrici; eppure non mancano nomi
femminili di rilievo sia in
campo teologico che filosofico. Possibile che su un numero complessivo di relatori
che superava la cinquantina
non fosse prevista una sola
donna?
Italo Calvino
Libri
L'ansia del repertorio
A chi non è capitato, da ragazzo, di giocare in due o tre a
guardare, naso all’insù, un qualcosa che non esiste, commentando perplessi, per vedere quanti si fermavano a guardie, restavano interdetti e poi capivano di essere stati buggerati?
Qualcosa di simile lo scrisse l’Italo Calvino poco più che
ventenne, nel racconto che apre la raccolta Prima che tu dica
«Pronto»*, che unisce testi dell’autore giovane (apologhi e
racconti) a altri dell’ultimo periodo (1968-1984). «L’uomo
che chiamava Teresa» riunisce per l’appunto una piccola folla
sotto un edificio, per chiamare a gran voce: Teresa! In realtà
nessuno la conosce, anzi, magari Teresa non esiste proprio,
ma allo scrittore interessano le dinamiche che si stabiliscono
tra le persone in una situazione data.
I «reticolati» dei rapporti tra gli individui torneranno a piene mani nelle fasi successive della produzione letteraria di
Calvino: il mondo gli apparirà sempre più come un intreccio
di saperi, reti comunicative e tecnologiche, in un processo che
si esiterà con l’avvento delle tecnologie informatiche.
Preveggente in alcune sue immagini, Calvino ha lasciato fra
le carte destinate alla pubblicazione postuma alcuni squarci
bellissimi: l’ansia, tipica dei nostri anni, di conoscere il mondo procedendo alla schedatura e all’accumulo («La memoria
del mondo»), il costruire ipotesi nel calcolare le possibili cause e gli effetti dei rapporti fra quattro persone asserragliate in
una casa, secondo la logica del computer («L’incendio della
casa abominevole») fanno parte del nostro modo di ragionare
anche nella quotidianità, anche quando meno ci riflettiamo.
La grandezza dello scrittore Calvino (ma anche quella di
Primo Levi, che nelle Storie naturali e in Vizio di forma anticipò perfino la realtà virtuale) sta nell’aver proposto anni fa il
fascino ma anche i lati grotteschi di queste realtà che oggi ci
piovono addosso. Meno interessante il racconto strombazzato
da alcuni giornali in anteprima perché dedicato al desiderio di
punizione dei politici («La decapitazione dei capi»), sentimento di basso profilo, viscerale e vendicativo.
(*) Italo Calvino: Prima che tu dica «Pronto». Milano, Mondadori, 1993, pp 318, £ 30.000.
Offese ai diritti umani
Se si segue l’ordine alfabetico in cui il Rapporto 1993 di
Amnesty International* presenta le situazioni dei diversi paesi
in materia di violazione dei diritti umani, si potrebbe essere
tentati di ritenere cbe l’Italia abbia ben poco di cui preoccuparsi. L’immane quantità di dolori, sofferenze, atrocità perpetrate nell’ex Jugoslavia (che viene dopo la voce Italia) è tale
da far apparire poca cosa il maltrattamento di detenuti (oltretutto detenuti per crimini di mafia), la mancata approvazione
della nuova legge sull’obiezione di coscienza (ora approvata
dalla Camera), le percosse a alcuni extracomunitari, e perfino
il suicidio (?) in carcere di un giovane tossicodipendente.
In realtà, a parte il fatto che umanamente queste possono essere tragedie piccole e grandi come tante, la forza di Amnesty
International sta proprio nell’implacabilità fiscale e notarile
con cui passa al setaccio situazione dopo situazione, paese dopo paese.
E poco probabile che qualcuno passi indenne, ma di questo
sono proprio i governi a dover farsi carico; le autorità poliziesche, militari, politiche sono controllate, ma dovrebbero esercitare esse stesse il controllo delle procedure e il rispetto di
quelle convenzioni intemazionali che in troppi hanno firmato
senza poi rispettare.
Tra l’altro il Rapporto punta anche l’attenzione (giustamente) contro i movimenti armati di opposizione che, specularmente ai governi, travalicano i limiti della lotta diventando
violatori dei diritti umani (sono i casi di India, Israele e Territori occupati. Perù, Sri Lanka).
L’introduzione al Rapporto elenca i modi delle violazioni
(torture, processi non equi, repressione del dissenso, condanne
a morte, ecc.): elenco che purtroppo conosciamo da tempo:
quando i governi faranno della tutela dei diritti umani una vera e propria priorità? Quando, per fare un esempio non trascendentale e praticabile, solo che lo si voglia, tutti i governi
si adopereranno «nella formazione delle forze di polizia, dei
militari, dei diplomatici e degli altri funzionari pubblici alla
tutela dei diritti umani in patria e all’estero»? Quando un
ascolto più serio delle istanze condotte da Amnesty in sede di
organizzazioni umanitarie internazionali (Onu, Unesco,
Csce)?
(*) Amnesty International: Rapporto 1993. Torino, Sonda, 1993,
pp 475, £ 32.000.
14
PAG. 10 RIFORMA
VENERDÌ 19 NOVEMBRE 1993
Appunti di viaggio: alla scoperta dell'America - 2
Le radici e lo sguardo
_______GIORGIO TOUBN________
Centinaia di chilometri.
separano Atlanta da
Valdese, distanza più che
geografica, storica; qui non
ci sono schiavi, c’è l’Europa.
Come i peschi selvatici, che
ripiantati due o tre volte diventano domestici, così gli
sradicati dalle Valli di cento
anni fa hanno attecchito su
queste colline: costretti a rinunciare al loro sogno di
agricoltori da una terra ingrata hanno creato opifici facendo della loro cittadina una
sintesi felice di sviluppo economico e ambiente ecologicamente sano.
Anche a Monett, nel Missouri, c’è l’Europa e c’è il
trapianto, duplice perché qui
i coloni passano dalle Valli
aH’America Latina, per finire
a New York e da qui, risucchiati dalla corrente migratoria, finiscono oltre il Mississippi, per fermarsi dove si
ferma il treno. Anche questi
a dissodare terre improduttive per finire allevatori o manovali a posare traversine
sempre più a ovest.
Due paesi valdesi
Due paesini, due chiese,
due cimiteri, tutto nato nelle
stesse condizioni, intorno
agli anni ’90 del secolo scorso, della stessa gente, di Frali
e Pramollo, Salza e San Giovanni, gli stessi cognomi, lo
stesso ricordare velato dalla
nostalgia, e il riemergere sofferto di una lingua di infanzia o conquistata a fatica.
La pianta era la stessa, il
trapianto l’ha resa totalmente
diversa. Una diversità che
non deriva solo dalla distanza e dalla natura, sconfinata
pianura e colline coperte di
foreste, ma nasce dalla diversità degli atteggiamenti che
si hanno di fronte alla propria identità, nel ricordo o
nell’avventura.
La domenica a Valdese è
come la si immagina: culto,
lunch comunitario, visita ai
luoghi del paese e la cena
presso l’Associazione di mutuo soccorso, tutto come previsto, con la spontaneità fraterna di parenti ritrovati.
L’America a cui si è meno
preparati è quella del ricordo, che anima rincontro: il
monumento del centenario,
le manifestazioni, le targhe,
il museo, luogo di amorevole
raccolta di realtà morte che
La chiesa di Valdese (North Carolina, Usa) (da «Valli nostre» 1986)
furono vive: asce da squadrare tronchi, cestini, zappe e
zoccoli, il mondo della Frali
di un secolo fa, trasportato
allora o in anni recenti con la
stessa passione con cui il
Metropolitan acquisisce un
Canaletto, mondo che qui,
sulle colline della Carolina,
non è mai esistito.
Ma perché zappe e patuà
di Frali e non asce e parlata
degli irochesi, che su queste
colline hanno vissuto prima
di scomparire nel nulla? Perché recitare ogni anno il
dramma che evoca la vicenda valdese negli schemi di
una dinasty antica, lontana
migliaia di chilometri e di
cui non si conosce quasi più
nulla? Perché laggiù sta la
radice dell’identità, il grembo materno dove si è stati
concepiti, perché l’Europa è
la madre che ci ha generati
come nazione.
Lo si sarebbe forse compreso meglio iniziando il
viaggio da Boston, dalla
spiaggia di Plymouth, da dove è iniziata la vicenda del
Nuovo Mondo, ma si percepiva nettamente anche a Valdese, fra gente prossima di
sangue e fede; una vicinanza
e una lontananza egualmente
intense, frutto del ricordo
che unisce e divide le generazioni. Noi eravamo l’immagine della madre, del
mondo che ti ha partorito; loro, come i figli non più adolescenti, iniziano a ricordare,
pur avendo scelto la propria
strada.
Forse questo era il senso
del museo di Valdese, del
patchwork gigantesco, opera
La Comunità evangelica luterana di Roma
cerca
n. 1 assistente alla comunità
Contratto di lunga duarata con l’inizio 1® aprile 1994; è titolo
di preferenza la conoscenza della lingua tedesca. Conoscenza 0 titolo di studio nella cura degli anziani o malati sono graditi, ma non sono indispensabili.
Possono essere offerti corsi di preparazione professionale;
alloggio e automobile di servizio a disposizione.
Inquadramento economico secondo le tariffe di categoria,
che comunque sarà trattato personalmente.
Campo d’attività
1. Visite regolari a domicilio agli anziani delle comunità, fina
lità; creare una relazione di fiducia, assistenza ai malati
non gravi, aiuto a faccende burocratiche.
2. Collaborazione al circolo delle donne (settimanale) e ai
«bazar».
3. Partecipazione alle riunioni settimanali dei collaboratori
della comunità.
4. Assistenza ai lavori nel centro della comunità, p.e. prepa
razione per riunioni e incontri, occasionalmente servizio
telefonico etc.
5. Formazione di un servizio «visitatori a domicilio» tra i
membri laici della comunità.
Ogni chiarimento o offerta può essere indirizzato a:
Chiesa evangelica luterana, via Toscana 7. Roma. tei. 06-4817519
di mesi, che nella chiesa ricorda il centenario: lo sguardo verso l’Europa, la terra da
cui si viene e più ancora dove affondano le radici
Anche a Monett si ricordava l’Europa, ma lo sguardo
era altrove; abbiamo visitato
il Centro sociale delle chiese,
un vasto locale dove una responsabile con volontarie ordina il materiale donato che
è ceduto a prezzi di liquidazione. E la politica dei nostri
aiuti americani di buona memoria e pareva di essere nel
dopoguerra, fra le balle di
vestiti e le scatole di formaggio giallo; la guerra è finita
da un pezzo, per noi, ma per
l’America resta viva la cultura puritana del non spreco:
buttare non significa liberarsi
ma solo sprecare (rileggere
le pagine di Giorgio Spini
sul nobile spagnolo che spreca e il borghese olandese che
economizza) e questo vale
anche a Monett, paesino del
West: una strada, una banca,
due negozi.
Le radici europee
Anche qui, come a Valdese, la radice è l’Europa protestante della amministrazione municipale sovrana nel
gestire scuole, polizia, finanze, ma non più ricordo, qui è
progetto; lo sguardo non si
volge a Est ma lungo la ferrovia verso l’Ovest. E anche
noi abbiamo raggiunto la penultima frontiera: Las Vegas,
che esprime questo indescrivibile universo, tutto falso,
come il nostro albergo, 1’Excalibur, kitsch medievale,
dalla struttura ai camerieri in
braghe gialle, nel cui salone
grande come una piazza le
macchinette mangiasoldi
funzionavano notte e giorno.
Capitalismo impazzito, gestione spregiudicata del vizio? Vero, ma basta? Pensavo a Sanremo, al suo casinò
fra le palme, un vecchio signore, compassato e sfiduciato, al Corriere della sera
(sfogliato in non so quale aeroporto) una «gazette» del
ducato di Parma nell’Impero
di Napoleone. Qui, sulla penultima frontiera del West,
non si respirava l’aria della
Parma di Stendhal ma quella
violenta, aggressiva, dinamica di un mondo in divenire,
di un impero che milioni di
messicani e di asiatici trasformeranno nei prossimi 20
anni, e oltre le montagne azzurre nella sera l’ultima frontiera, la California e oltre
l’Oceano la sconfinata Asia.
Le radici sono a Frali, ma
lo sguardo si volge verso
quelle masse e quei problemi, perché là è il futuro della
storia, e l’America del West
lo sa.
(Secondo di una serie di
quattro articoli)
Iniziativa della Federazione delle chiese evangeliche liguri
Interrogati i candidati a sindaco
NeH’imminenza della scadenza elettorale del 21 novembre la Federazione delle
chiese evangeliche della Liguria si è rivolta ai candidati a
sindaco di Genova con una
lettera in cui si pone l’accento
su alcuni punti programmatici
per il futuro.
«In un momento di particolare gravità per la democrazia
nella città di Genova e nel
paese - recita la lettera -, rifacendoci alla stretta interconnessione storica tra valori democratici e protestantesimo,
richiediamo ai candidati a sindaco un impegno per la rinascita della democrazia, sostituendo la cultura della delega
con un’etica della responsabilità personale. Fatto salvo che
le responsabilità principali del
degrado della vita democratica sono da attribuire agli amministratori, riteniamo che
ogni cittadino genovese debba
fare un’autocritica di scarsa
vigilanza sull’operato delle
persone da lui elette».
Su questa osservazione abbiamo chiesto l’opinione dei
candidati. Secondo Boffardi
(sostenuto da Rifondazione
comunista) la responsabilità
personale più pesante è sicuramente di aver pensato che il
processo democratico si risol
vesse nel dare il voto. La
mancata partecipazione di tutti alla vita democratica, pur
considerando le elevate colpe
degli altri, ha permesso quel
degrado a cui purtroppo oggi
assistiamo. Si augura che in
futuro la gente ritrovi il gusto
della cosa pubblica, riscoprendo l’utilità del lavoro nelle
circoscrizioni, nei comitati di
quartiere e nelle associazioni.
Sansa (sostenuto da Pds,
Alleanza per Genova, Lista
Pannella, Verdi, Rete e Lista
«Lavoro e pensione») ritiene
che le più grosse responsabilità dei cittadini stiano nello
«scaricabarile», nella mancanza di coraggio; nel suo posto
ha la possibilità di vigilare sul
buon funzionamento della cosa pubblica. Non è lecito considerarsi dispensati dal fare, a
causa di istituzioni corrotte.
Secondo Signorini (candidato per l’Unione di centro,
Rinnovamento socialista e Lista «Vince la gente») più che
al passato bisogna rivolgersi
al futuro, futuro da costruire
riscoprendo i valori delle democrazie occidentali e precisamente liberalismo, socialismo democratico e cattolicesimo democratico. Solo riscoprendo queste linee guida è
possibile costruire uno stato
moderno, democratico ed efficiente. Nell’azione politica è
indispensabile ritrovare assennatezza, il gusto del confronto
e del convincimento per riportare la democrazia su giusti
binari.
Il candidato Plinio (sostenuto dal Msi) ritiene questa osservazione una sacrosanta verità. La corruzione imputabile
al vertice ha, sotto certi aspetti, contaminato anche la base.
Nel passato la gente trovava
comodo scambiare il voto con
favori, danneggiando così gli
altri cittadini. Il sistema politico degli ultimi anni, oltre che
corrotto e marcio, era anche
diseducativo concedendo come privilegio e favore cose di
diritto dei cittadini; certamente bisogna tener conto dello
stato di necessità in cui operavano i cittadini i quali spesso
ottenevano favori o non mangiavano. Per il futuro, il candidato si augura che il cittadino frequenti le sedute del
Consiglio comunale, facendo
attenzione ai comportamenti
delle persone da lui elette; una
responsabilizzazione di tutti in
luogo della consueta passività
è indispensabile.
Il candidato Serra (sostenuto dalla Lega Nord) a tutt’oggi
non ha risposto.
Chiese vaHese di Sampierdarena e metodista di Sestri
Le nostre responsabilità politiche
GIANCARLO GIOVINE
Una giornata «politica».
Tale è stata domenica 7
novembre per la Chiesa valdese di Sampierdarena e per la
Chiesa metodista di Sestri.
«Politico» è stato l’avvio
della giornata con la predicazione del pastore Valdo Benecchi su I Samuele 12 e Romani 13. La fedeltà alla parola
di Dio comporta anche per il
credente obbedienza e lealtà
all’autorità civile in quanto essa è suscitata da Dio per un
importante servizio: il bene e
l’ordine della città. Ma questa
obbedienza deve essere costantemente critica affinché
l’autorità non tradisca il servizio che le è stato affidato, non
travalichi i propri limiti servendosi del proprio potere non
per il bene dei cittadini ma per
soddisfare le proprie ambizioni o per arricchirsi. Un’obbedienza vigile, una lealtà critica. Tu presidente della Repubblica, tu presidente del Consiglio, tu sindaco, non hai
un’autorità in proprio da esercitare arbitrariamente o per
accrescere il tuo potere personale. Siamo responsabili della
volontà di Dio verso l’autorità
che abbiamo contribuito a
eleggere, ma siamo anche responsabili dell’autorità verso
Dio. Far politica fa parte della
nostra vocazione di credenti.
Dietro le parole del pastore
e nelle menti di numerosi presenti, fra i quali un gruppo
della Chiesa battista di via
Dattilo, era ben presente la
prossima scadenza elettorale
del 21 novembre in una situazione in cui la crisi economica, il degrado ambientale e so
Nella collana «Studi storici» è uscito:
Cesare G. De Michelis
LA VALDESIA
DI NOVGOROD
«Giudaizzanti» e prima Riforma (sec. XV)
pp 262, 4 tav. a col. e 9 ill.ni, L. 38.000
La vicenda misteriosa degli eretici di NovgorodMosca (detti «giudaizzanti») alia fine del ’400. L'autore formula l'ipotesi (sorretta da numerosi riscontri e
indizi) che questa «eresia» non sia altro che la manifestazione «russa» di una tradizione che si richiama
al movimento valdo-hussita, confermando così che il
valdismo airepoca hussita aveva varcato non solo i
confini politici ma anche quelli linguistici e religiosi
penetrando perfino nella lontana Sarmazia, cioè ne!
mondo slavo-ortodosso.
Ì~1 a
J Claudiana
VIA PRINCIPE TOMMASO, 1 -10126 TORINO
TEL. 011/668.98.04 - C.C.P. 20780102
ciale, la disoccupazione, la
corruzione, il razzismo sonò
segni evidenti di un modo ingiusto di governare la città e il
paese, ma anche della caduta
di vigilanza democratica e del
carente senso di responsabilità
dei cittadini. E noi chiese
evangeliche ci portiamo la nostra parte di responsabilità,
come ha messo in evidenza il
messaggio del Sinodo.
L’assemblea ha ampiamente
discusso il messaggio del Sinodo. Dopo aver riconosciuto
le nostre responsabilità, abbiamo pregato il Signore per la
nostra conversione, affinché
siamo resi capaci e idonei per
testimoniare l’Evangelo in
questi tempi difficili.
Alla fine del dibattito l’assemblea ha approvato un documento in cui viene affermata da parte nostra la necessità
di «assumere l’abito dell’
amore e della solidarietà nei
confronti di quanti maggiormente soffrono per le conseguenze disastrose della crisi:
gli emarginati, i disoccupati,
gli immigrati, tutti coloro che
patiscono la solitudine in una
situazione in cui la società si e
dimenticata di loro. Le chiese
ritengono che tale assunzione
di responsabilità debba coinvolgere l'intera vita del credente evangelico, nel suo lavoro, nei rapporti sociali,
nell'esercizio degli stessi diritti politici e civili».
«E con questo .spirito - conclude il documento approvato
all’unanimità - che intendiamo andare avanti, con rispetto nei confronti delle istituzioni democratiche e lealtà ne'
confronti dell'autorità civile
che è ministerio dato da Dio,
nella consapevolezza pero
che, come recita la Confessione di Barmen, "Gesù Cristo,
così come ci viene attestato
nella Sacra Scrittura, è l’unica Parola di Dio. Ad essa
dobbiamo prestare ascolto; in
essa dobbiamo confidare e ad
essa dobbiamo obbedire in vita e in morte’’».
15
\/F.NERDÌ 19 NOVEMBRE 1993
La Pagina Dei
PAG. 1 1 RIFORMA
;ta
La Lega e i
protestanti
Caro direttore,
non passa ormai settimana
che su «Riforma» qualche leghista verosimilmente delle
nostre chiese non senta irrefrenabile il bisogno di testimoniare la sua fede in Bossi e
nel suo verbo.
Dopo le amenità del prof.
Miglio, che a settembre si è
compiaciuto di definirsi «calvinista», senza sapere molto
di Calvino e della Riforma,
sono giunte un mese dopo,
inequivocabili e mai smentite
da altri esponenti della Lega,
alcune dichiarazioni della deputata leghista e cattolica Irene Pivetti, che sostiene in
buona sostanza la necessità
che i diritti di libertà delle
minoranze religiose in Italia
siano limitati a favore della
confessione cattolica dominante. Espressioni simili suonerebbero coerentemente in
bocca a qualche militante di
Comunione e Liberazione o
dell’Opus Dei o del Movimento Sociale. Ti invio copia
di una lettera che il nostro pastore Valdo Benecchi ha inviato al «Secolo XIX» per rispondere alla Pivetti: ti prego
di pubblicarla; vi è qui abbondante materia perché i leghisti che sono fra noi riflettano sulla compatibilità tra
l’appartenenza a una chiesa
evangelica riformata e la militanza leghista.
Per me le dichiarazioni della Pivetti, lungi dall’essere
un’altra delle tante sparate leghiste a sensazione, sono perfettamente in linea con i propositi di esclusione e di oppressione dei più deboli, di
cui la Lega non ha mai fatto
mistero, fondandovi anzi sopra le sue fortune. Intanto, i
leghisti evangelici (è una
contraddizione in termini, ma
me la si passi per brevità) potrebbero fare un’utile opera di
moderazione in seno alla Lega, per dissuaderne i capi dal
tentare la divisione del paese.
È meglio che non ci provino.
Non lo dicono solo certi ridi
coli generali come Canino, lo
sentono e lo affermano in
modo molto più serio tanti
italiani e tanti evangelici, per
i quali la Repubblica unita e
indivisibile, la Costituzione
democratica del 1948 e lo
Stato sociale che essa disegna
sono beni irrinunciabili, al di
là di ogni transeunte regime
democristiano o craxiano.
Non ci provate, leghisti.
Giacomo Quartino
Genova
I partigiani
combattenti
Oggi per Forze armate si
intendono coloro ai quali la
nostra Italia democratica affidò sul nascere il compito di
difendere la neonata nazione
e la sua Costituzione. Non
considero appartenenti alle
Forze armate chi fece parte
dell’«esercito di Salò» in
quanto essi appartenevano in
realtà all’esercito tedesco di
Hitler. I partigiani sono, per
così dire, i padri delle Forze
armate attuali; si riunirono infatti i reparti combattenti per
garantire all’Italia la libertà
dal nazifascismo, misero le
basi ideali della Costituzione
dell’Italia democratica. I partigiani combatterono per la libertà e la pace, le Forze armate vennero incaricate dalla
Costituzione di mantenere la
pace e la libertà da essi conquistata. Sia le Forze armate
che i partigiani combattenti
sono in sostanza idealmente
la coscienza sempre armata
della nazione in difesa di questi valori.
Attualmente la situazione è
un po’ confusa: i partigiani,
sull’onda di una voluta, carezzevole memoria dei «bei
tempi antichi» o di un altrettanto voluto slancio verso un
«nuovo» ingombro di fantasmi e di nebbie, come «banditi»; ben spesso visti come
progenitori delle «brigate rosse» e in genere del terrorismo
(l’unico, il vero, quello di sinistra), le Forze armate viste
in modo ancor più confuso.
Esse sono infatti un contenitore di: a) giovani sottratti per
un anno dalla disoccupazione
Riforma
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Riforma è il nuovo titolo della testata La Luce registrata dal Tribunale di Pinerolo con II n, 176
del 1° gennaio 1951, responsabile Franco Giampiccoli. Le modifiche sono state registrate
con ordinanza In data 5 marzo 1993.
Nella foto di prima pagina: Gii occhi deila paura in Georgia
grazie al servizio di leva; b)
proposte di lavoro (formazione di un esercito con studio e
carriera); c) biechi disegni di
golpe; d) depositarie dell’eroismo italiano (naturalmente passato); e) ottimi acquirenti di fondi di magazzino a caro prezzo (secondo le
tradizioni dell’esercito manipolato dalle patriottiche
mani della grande industria
italiana, vedasi le spedizioni
Csir e Armir in Russia). Probabilmente ho dimenticato
qualcosa; a voi raggiungerlo.
L’on. Bossi pretende (oltreché a Palazzo Chigi) che l’attuale presidente della Repubblica si ritiri dopo le elezioni,
che il nuovo Parlamento sia
costituente, che si abolisca
l’attuale Costituzione e si
stenda la Costituzione federale della «Nuova Italia». A
questo punto ci si chiede: partigiani combattenti e Forze
armate quale ruolo avranno in
essa? Forse le Forze armate
diventeranno milizia pretoriana dei leghisti, ma i partigiani
combattenti ho proprio l’impressione che saranno ricordati come le «piccole cose di
cattivo gusto» nel salotto di
nonna Speranza... Speranza
di libertà sarà stata l’ultima
parola di coscienza ormai disarmata di una nazione in disarmo.
Partigiano Lionello Gaydou
Moncalieri
Studiare la
Resistenza
Al sig. Giovanni Petti, che
sul n. del 22 ottobre domanda
come avrebbe fatto l’Italia
senza la Repubblica di Salò chiamata anche correntemente «repubblichetta» - rispondo che i tedeschi non hanno
trattato l’Italia meglio di altri
paesi occupati, validamente
aiutati dai neofascisti repubblichini che alle malefatte dei
primi hanno aggiunto le proprie lasciando ferite a tutt’oggi aperte. Studiando gli avvenimenti di quel periodo emerge che a volte i tedeschi furono meno feroci dei fascisti.
Non si trattò solo di conflitto armato: la Resistenza facilitò la ripresa civile, politica
ed economica.
Un solo esempio: le giunte
clandestine per l’amministrazione dei comuni e dall’altra
parte l’attività del prefetto capo della provincia Zerbino,
che minacciò di irrorare con
l’iprite le valli valdesi (cfr.
«Gioventù evangelica», febbraio 1963, e D. Gay Rochat,
La Resistenza nelle Valli Vaidesi, p. 80) e molto altro vi
sarebbe da dire...
Mi sia permesso di suggerire, sommessamente, al sig.
Petti di aggiornarsi meglio su
quel periodo.
Giulio Giordano
Torre Pellice
Gioco dei se...
Nel continuare il gioco del
«se...», ripreso da Larino
(Cb), a prescindere dal fatto
incontrovertibile che Mussolini non assunse la guida del
governo di Salò volontariamente ma bensì costrettovi da
Hitler a Rastenburg, devo
chiedere:
1) Che destino avrebbe
avuto l’Italia se non ci fosse
stato Ciano a firmare, il 22
maggio 1939 a Berlino, nella
cancelleria del Reich, il «patto d’acciaio»?
2) Che destino avrebbe
avuto l’Italia se non ci fosse
stato Mussolini a dichiarare
arrogantemente guerra alla
Gran Bretagna e alla Francia
il 10 giugno 1940 dal famige
Fcei
. In aiuto
allindia
11 Consiglio ecumenico
delle chiese (Cec) si è mobilitato, in accordo con le
agenzie intemazionali cristiane di soccorso, per inviare aiuti immediati nelle
zone colpite dal terremoto
nell’India sud-occidentale,
nella notte tra il 29 e il 30
settembre.
La Federazione delle
chiese evangeliche in Italia si associa all’iniziativa
del Cec: eventuali contributi in denaro possono essere versati sul conto corrente postale n. 38016002
intestato a Federazione
delle chiese evangeliche
in Italia, via Firenze 38,
00184 Roma, specificando
nella causale «prò terremotati dell’India».
rato balcone di palazzo Venezia?
Utile sarebbe la lettura, anche a proposito del «tradimento», dei testi seguenti:
W. L. Shirer, Storia del
Terzo Reich, Einaudi, 1963.
F. K. von Plehwe, Il patto
d’acciaio, Longanesi, 1970.
Diario di Ciano, Rizzoli,
1971.
Inoltre chiedo: qualcuno di
Larino era a Genova nel mese
di giugno 1944? Il pomeriggio di venerdì 16 avrebbe assistito all’assalto di quattro'
stabilimenti industriali da
parte delle SS coadiuvate dalla polizia italiana e dalle formazioni nere, tutti ben armati, con la cattura di lavoratori
ignari (operai, anche seminudi, data l’ora di cambio del
turno, impiegati e laureati,
ognuno privo del minimo bagaglio) e il loro imbarco su
due convogli ferroviari merci,
40 per carro, con destinazione, dopo un viaggio bestiale
di 40 ore per 980 km,
Mathausen. Erano 1.288.
Questo mentre eravamo in
regime di salvaguardia della
Repubblica sociale, che aveva pure fornito la scorta fino
all’ingresso del campo citato.
E poi si chiede che si dica
la verità! Ahimè!
Carlo Bertonelli - Genova
Titolo sbagliato
Caro direttore,
la lettura dell’articolo «Tramonti di Sopra: non parte la
collaborazione» (Riforma del
22 ottobre), e in particolare il
titolo (la cui scelta è in genere redazionale) ha profondamente colpito e addolorato le
sorelle e i fratelli della nostra
comunità. Per amor di brevità
citiamo solamente il fatto che
la collaborazione fra le chiese
evangeliche del Nord-Est risale all’immediato dopoguerra e si è sempre sviluppata
negli anni.
Per evitare polemiche, riportiamo il testo della lettera
che l’assemblea della nostra
comunità ha inviato in data 4
ottobre al sovrintendente del
VII circuito, pastore Eugenio
Stretti
«Carissimi fratelli e sorelle,
in un’assemblea di chiesta
straordinaria, ieri 3 ottobre
1993, la comunità evangelica
battista di Pordenone ha letto
la vostra lettera, a firma del
past. Eugenio Stretti, e ha discusso circa l’eventualità della,cura pastorale della comunità di Tramonti.
L’assemblea è giunta alla
conclusione che la comunità
di Pordenone, e quindi il suo
pastore, trovano piuttosto difficile un impegno sistematico
e continuato di cura pastora
le nei confronti della comunità di Tramonti in quanto
iniziative nell’ambito della
presenza evangelica in Pordenone richiedono attualmente tutta la nostra attenzione e tempo.
La comunità di Pordenone
è però pronta a offrire la sua
collaborazione in tutti quei
momenti in cui si renderà necessaria, e nella predicazione, e in ogni altra circostanza. Cogliamo l’occasione per
porgere il nostro saluto fraterno all’assemblea di circuito riunita a Padova.
Per la comunità di Pordenone
Pasquale Castelluccio».
Per concludere riteniamo
che articoli ( e titoli) di quel
tenore non siano di aiuto allo
sviluppo della «Collaborazione territoriale» approvato
dall’Assemblea-Sinodo del
1990.
Il Consiglio della Chiesa
evangelica battista
di Pordenone
La toga
del pastore
Come ogni anno sono rimasto perplesso e contrariato dal
vedere il corteo sinodale
aperto dalle funebri divise pastorali. Meno male, pensavo
fra me e me, che non ci sono
qui i miei amici e colleghi:
come spiegare loro che dentro quelle toghe non ci sono
dei preti? E come giustificare
ai loro occhi, come anche ai
miei, che ci si conci in tal
modo?
Già come origine (cfr. l’articolo del prof. Corsani su
Riforma n. 35), la toga non è
un simbolo dignitoso per un
servitore della chiesa: un segno di appartenenza ai maggiorenti della città, una differenziazione dagli incolti e dagli umili. In seguito poi,
quando avvocati e notai l’abbandonano, diviene il simbolo del valore della predicazione indipendentemente dalla
persona che dà l’annuncio.
Ma allora perché non la mette
chiunque predica, anche se
non pastore?
A parte la valutazione sulle
sue origini, è nel suo messaggio ai giovani d’oggi e agli
italiani in generale che va
considerata l’opportunità di
questo simbolo. Il nostro dovere come chiesa è di evangelizzare. E chi dovremmo
evangelizzare in Italia se non
chi è deluso e allontanato da
Cristo per «colpa» della
Chiesa cattolica?
Pensando a queste persone
dobbiamo tener presente che
nonostante tutte le nostre parole, la toga gli farà apparire
il pastore omologo al prete.
Poiché bisogna pensare che i
simboli, come le parole, non
ci appartengono, nel senso
che non possiamo costringerli
a un significato differente da
quello che hanno per la comunità nazionale in cui viviamo. E questo vale soprattutto
quando la nostra immagine
va sui mezzi d’informazione.
È proprio al Sinodo, nella
cerimonia d’apertura, che va
abolita la toga. Abbiamo infatti la possibilità di un breve
spazio per parlare a milioni di
italiani e facciamo parlare
quei neri grembiuli?
Stefano D’Archino - Roma
patuà di oltre oceano...» In
esso la città di Las Vegas veniva descritta come una città
del New Mexico, in realtà
Las Vegas è nel Nevada.
Di più i partecipanti al
viaggio non sono arrivati in
aereo come risulta dallo scritto ma in autobus. Ci scusiamo con l’autore.
Nell’ultimo numero, n. 43,
in prima pagina è saltato il
nome dell’autore della meditazione di prima pagina. E
Gabriele Lala, segretario
dell’Unione predicatori locali.
Ci scusiamo con gli interessati e i lettori.
Errata
DALLA PRIMA PAGINA
s.c.v.
Cristo. È doveroso credere,
dopo le chiare affermazioni
del pontefice contro la corruzione, alla volontà, dichiarata
dalle autorità vaticane, di cooperare con la magistratura
nell’accertamento della verità.
Due interrogativi sottopongo
ai lettori. 1) Perché la stampa
(tutta, in questo caso), così solerte nel rifriggere quotidianamente per settimane episodi di
minore entità, delle ipotesi di
«tangenti sacre» dà la notizia
ma non ci torna su? Stampa
Copre Vaticano? 2) Se il presidente della Repubblica dovesse pronunciarsi circa
l’estradizione di un’alta autorità vaticana eventualmente richiesta dalla magistratura italiana, cosa direbbe?
L’uso delle forbici elettroniche per ridurre gli articoli
dei nostri collaboratori gioca
brutti scherzi.
Nel n. 41, pag. Ili, dell’Eco
delle valli valdesi abbiamo
pubblicato un articolo di Edgardo Paschetto dal titolo «Il
«In quel medesimo giorno, fattosi
sera, Gesù disse loro: Passiamo
all’altra riva»
Marco 4, 35-36
Il Signore ha chiamato a sé
Alga Luchini
ved. Presciuttini
Ne danno il doloroso annuncio
le figlie, i fratelli, le sorelle e I parenti tutti.
Roma, 6 novembre 1993
Il presidente, la Commissione
direttiva, i direttori amministrativo
e sanitario e II personale tutto dell'Ospedale evangelico di Torino
prendono viva parte al cordoglio
del dott. Franco Rostan, aiuto della divisione chirurgia, per la
scomparsa della moglie, signora
Donatella Guerini
Torino, 10 novembre 1993
RINGRAZIAMENTO
«Mi sono rivolto al Signore
ed egli mi ha risposto,
da ogni mia apprensione
mi ha liberato»
Salmo 34, 5
I familiari di
Costantino Nicodemo
esprimono profonda gratitudine
a tutti coloro che hanno manifestato la loro solidarietà in questo
triste momento.
Un grazie particolare al pastore
Klaus Langeneck, al dott. Griffa,
al personale dell'Asilo valdese di
San Germano, al personale medico e infermieristico dell'Ospedale
valdese di Pomaretlo e alla Croce
Verde di Porte.
Prarostino, 17 novembre 1993
RINGRAZIAMENTO
I familiari di
Paolina Poèt ved. Massel
desiderano ringraziare sentitamente tutti coloro che hanno manifestato solidarietà e amicizia in
questo triste momento.
Chiotti, 12 novembre 1993
Redattori e tipografi sono vicino a Danilo e Dario Massel in occasione della scomparsa della loro nonna
Paolina Poèt ved. Massel
Torre Pellice, 12 novembre 1993
16
PAG. 12 RIFORMA
VENERDÌ 19 NOVEMBRE 1993
Eletto in un quartiere della capitale un membro del partito nazionale britannico
Anche a Londra prevale il candidato razzista
Il mese scorso, per la prima
volta nel Regno Unito, un
seggio parlamentare è stato
vinto, in un’elezione locale a
Tower Hamlets (Londra), da
un membro del British National Party (Bnp, il partito nazionale britannico). Il primo
successo elettorale di questo
partito minoritario non è un
fatto positivo come potrebbe
sembrare in un paese in cui il
sistema elettorale lascia poco
spazio ai partiti di minoranza.
Infatti questo risultato, che
potrebbe significare un progresso in senso democratico proprio perché un seggio è
stato tolto ai conservatori e ai
laburisti che hanno dominato
la scena politica fin dal 1922
quando l’ultimo primo ministro liberale, Lloyd George,
fu sconfitto - è stato accolto
dalle chiese con grande
preoccupazione. Il motivo di
questa preoccupazione può
essere facilmente capito dallo
slogan usato dal Bnp nella
propria campagna elettorale:
«La Gran Bretagna ai britannici, rimandare i neri ai loro
paesi d’origine».
In una lettera alla stampa i
pastori e i membri delle chiese di quell’area hanno scritto:
«Quali persone che vivono e
lavorano in Tower Hamlets,
la nostra preoccupazione per
quanto riguarda l'elezione
del candidato del Bnp nasce
dal nostro diretto coinvolgimento. The Isle of Dogs (il
settore di Londra dove si trova Tower Hamlets, che in
passato dava lavoro a tutti
nei «docks»; allora africani e
giamaicani lavoravano e vi
Un minatore Inglese
vevano in armonia con la popolazione bianca; poi nuovi
edifici per uffici e appartamenti costosi hanno distrutto
la città vecchia producendo
povertà e disoccupazione,
ndr) è una zona di Londra
molto trascurata. I numerosi
disoccupati, che raggiungono il 25% dei lavoratori, sono fortemente irritati per la
mancanza di abitazioni (...) e
questo è vero per tutti i gruppi etnici della zona e non solo per la popolazione bianca.
La “mitologia” locale parla
di un trattamento preferenziale per la comunità del
Bangladesh anche se le statistiche contraddicono queste
voci: ma è chiaro che il Bnp
sfrutta queste false dicerie a
proprio vantaggio alimentandone la malvagità perniciosa. In una società in cui il
razzismo è endemico esso si
manifesta con facilità quando le condizioni sociali e
economiche della popolazione lo favoriscono. Così avviene che, quando le case costruite sono poche e care e i
senza lavoro e senza stipendio non sanno dove andare è
molto facile, in un contesto
simile, fare delle minoranze
un capro espiatorio».
Il rev. Brian E. Beck, presidente della Conferenza metodista britannica, ha scritto:
«So che i metodisti del Regno
Unito deplorano i risultati
delle elezioni di Tower Hamlets. Anche se il candidato del
Bnp è stato eletto con una
maggioranza minima, la sua
elezione è un sintomo del crescente razzismo in alcune
parti del nostro paese».
Un altro pastore londinese
ritiene necessario «che le
chiese attraverso tutto il Re
gno Unito dichiarino ad alta
voce e con chiarezza che il
razzismo è profondamente
iniquo. Nei nostri studi biblici, nel nostro impegno nella
società dobbiamo opporci a
esso con decisione», e ha
concluso con queste parole:
«Prego il Signore che ci dia
la forza di guardare anche
dentro le nostre chiese per
snidare anche il razzismo che
si nasconde ancora in mezzo
a noi».
La divisione per gli Affari
sociali della Conferenza metodista ha dichiarato: «Questo
voto, che ha eletto il candidato del Bnp, non è essenzialmente razzista ma rappresenta una protesta contro l’uso
delle risorse deciso dal governo. La maggioranza di coloro che hanno votato per il
Bnp non sostiene le sue idee
maligne e brutali, ma ha votato contro un sistema che
nega case e lavoro per le famiglie.
Si deve denunciare con forza la politica del Bnp, ma si
deve condannare con forza
anche il nostro governo per il
suo rifiuto di rendere disponibili le risorse necessarie
per rendere Tower Hamlets
un luogo accogliente per persone di ogni razza».
Anche gli abitanti di Cheltenham, altro distretto di
Londra, sono stati accusati di
razzismo quando recentemente il candidato favorito del
Partito conservatore, il nero
John Taylor, è stato sconfitto
nelle elezioni parlamentari.
(a cura di Florence Vinti
da «Methodist Recorder»)
Uruguay: preoccupazioni delle chiese
I bambini della strada
minacciati di morte
I bambini e gli adolescenti
della strada della capitale
uruguaiana, Montevideo, temono per la propria vita.
Volantini firmati da un
gruppo che si autodefinisce
«Squadrone della morte» e
che minaccia di sterminare i
bambini della strada e i giovani delinquenti, sono recentemente apparsi in una zona
popolare della capitale. Gli
autori dei volantini, che affermano di essere ex poliziotti ed ex militari, assicurano di essere «disposti a pren
dere le misure più drastiche,
le stesse che vengono utilizzate in Brasile» e minacciano
di uccidere i bambini e gli
adolescenti che commetteranno «delitti di strada».
La possibilità di vedere la
capitale uruguaiana confrontata allo stesso dramma del
Brasile con i tristemente famosi «squadroni della morte» preoccupa le chiese del
paese.
Un’inchiesta è stata aperta,
ha assicurato il capo della
polizia di Montevideo.
Tailandia: un progetto delle chiese battiste
Lottare contro l'Aids
Oltre 40.000 dollari sono
già stati inviati dall’«Aiuto
mondiale battista» ai battisti
della Tailandia per la lotta
contro l’Aids.
In Tailandia, come in altri
paesi in via di sviluppo, 1’
Aids sta crescendo con grande
rapidità, soprattutto fra le popolazioni tribali, dove viene
diffuso dalle donne scese in
città che spesso non hanno
trovato altro mezzo che la
prostituzione per sopravvivere, e dai giovani delle tribù
che lavorando in città hanno
perso alcuni dei loro valori
tradizionali. Le popolazioni
tribali sono spesso animiste e
vedono l’Aids come una malattia portata dagli spiriti.
I battisti tailandesi sono fortemente impegnati sia in
un’opera di evangelizzazione
che trasformi la vita di queste
persone sia in un progetto
educativo e sanitario a favore
della popolazione, fornendo
assistenza e materiale informativo nelle diverse lingue
della zona.
(Bwa News )
Riforma.
Non perdete
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abitudine.
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