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1 LAVORI DELL’ASSEMBLEA
Un documento
travagliato
Il Preambolo, le Affermazioni e gli Atti di
Alleanza - La prossima tappa sarà Canberra
Nel marzo 1988 il Comitato
esecutivo del CEC, riunito a
Istanbul, stabiliva che « l’obiettivo dell’assemblea mondiale
(JPIC, ndr) sarà quello di fare
affermazioni teologiche sulla giustizia, la pace e la salvaguardia
del creato, di individuare le principali minacce alla vita in questi tre ambiti mettendone in evidenza l’intreccio, di compiere e
di proporre alle chiese atti di
reciproco impegno in risposta ad
esse ».
Nell’aprile 1989 il Gruppo preparatorio dell’assemblea consegnava ai traduttori una prima
bozza di documento preparatorio
diviso in due parti, 30 pagine
dattiloscritte alle quali le chiese erano invitate a reagire inviando entro il 15 ottobre i loro
commenti, sulla base dei quali
sarebbe stata elaborata la seconda bozza. La I parte, la più lunga — contenente un’analisi dei
principali elementi della crisi
mondiale e delle principali controtendenze e le grandi linee della risposta teologica delle chiese, fra confessione di peccato e
confessione di fede — avrebbe
costituito il documento sulla base del quale si andava a Seoul,
ma non sarebbe stata sottoposta
all'approvazione, bensì solo alla
discussione dell’assemblea. La II
parte, cioè le restanti sette pagine — contenente sette « Affermazioni » con Un preambolo e
una conclusione sul senso delI’« alleanza » (covenant) proposta — avrebbe costituito il punto di partenza per l’approvazione di affermazioni e di impegni propri da parte dell’assemblea. Inoltre, il Gruppo preparatorio suggeriva quattro temi sui
quali l’assemblea avrebbe potuto decidere di « raggiungere un
accordo in vista deirazione »: 1)
La crisi del debito internazionale; 2) Le strategie di « sicurezza totale »; 3) L’« effetto serra »;
4) Una nuova qualità della « koinonìa » e della « diakonìa » nelle
chiese.
Probabilmente a causa della
ristrettezza dei tempi — non più
di quattro mesi e, per le chiese deH’emisfero nord, quelli estivi — alla scadenza prevista i
commenti raccolti non superavano le 250 unità. La seconda bozza del documento preparatorio
— 52 pagine — presentava la
stessa struttura della precedente:
una prima parte di analisi e di
confessione, una seconda contenente otto « Affermazioni » e in
più una terza parte contenente
gli articoli di tre « Atti di alleanza » sui primi tre temi .suggeriti dal Gruppo preparatorio, mentre cadeva il suggerimento relativo a « koinonìa e diakonìa ».
A Seoul i 400 delegati presenti,
suddivisi per temi e sottotemi in
20 gruppi con l’ausilio dei consulenti cattolici e di alcuni « stevvards », affrontavano per prima
NUMERO SPECIALE
Lire 2.000
Supplemento al n. 19 dell'11 maggio
1990
Spedizione in abbonamento postale
Gruppo II A/70
delle valli valdesi
settimanale deUe chiese valdesi e metodiste
SEOUL '90
cosa la discussione generale sulla prima parte, elaborando a loro volta commenti che un apposito comitato di redazione raccoglieva in un documentino di 4
pagine. Data l’asprezza delle critiche levatesi da molte parti, soprattutto sui capitoli dedicati all’analisi della crisi mondiale, la
presidenza dell’assemblea, nell’impossibilità di procedere seduta stante alla rielaborazione di
32 pagine di documento, proponeva di affidare a un comitato
« ad hoc » la stesura, dopo l’assemblea e sulla base delle indicazioni emerse, di un nuovo documento base analitico-teologico.
L’assemblea bocciava la proposta e, di fatto, declassava la prima parte dell’elaborato da documento base a semplice materiale di discussione. Il comitato
di redazione veniva tuttavia incaricato di redigere una proposta di preambolo teologico che
precedesse le « Affermazioni » e
gli Atti di alleanza nel documento finale deH’assemblea, ma anche questo testo, pur distribuito
ai delegati, non poteva alla fine
essere discusso per mancanza di
tempo.
In una seconda sessione i gruppi discutevano e proponevano
emendamenti alle « Affermazioni » della seconda parte del documento preparatorio. Un nuovo
comitato di redazione rielaborava un testo contenente due « Affermazioni » in più (sui giovani
e sui diritti umani) che i delegati, in seduta plenaria, emendavano e approvavano punto per
punto, raggiungendo tuttavia quasi sempre l’unanimità nel voto
conclusivo su ogni « Affermazione ». La sessione sulle « Affermazioni » assorbiva così la gran parte del tempo a disposizione.
Nella tei-za ed ultima sessione
i gruppi lavoravano sulla terza
parte de] documento preparatorio, i tre Atti di alleanza, e alcuni di essi ne proponevano un
quarto sul razzismo. L’apposito
comitato di redazione non riteneva tuttavia di doverlo far proprio, provocando una drammatica manifestazione di dissenso in
plenaria da parte dei delegati di
colore che ottenevano, per acclamazione, l’approvazione della
proposta. Per mancanza di tempo l’assemblea riusciva a discutere e ad approvare titoli e sottotitoli di ciascun Atto di alleanza, ma non gli impegni pratici rielaborati su ogni tema dal
comitato di redazione. Veniva
tuttavia accolta la proposta di
rinviare comunque anche quel
materiale alla discussione delle
chiese in vista deU’Assemblea
del CEC di Canberra (1991), alla cui adozione andranno per altro proposte anche le dieci « Affermazioni-» già approvate a
Seoul.
Bruno Gabrielli
Veduta d'insieme durante il culto di apertura dell’assemblea su « Giustizia, pace, salvaguardia del
creato », svoltasi a Seoul dal 6 al 12 marzo 1990, ed organizzata dal Consiglio ecumenico delle chiese.
Un'assemblea creativa
« E’ soddisfatto di questa assemblea? ».
« Noi ». •
« Ritiene che abbia raggiunto lo scopo per
cui è stata convocata? ».
« No! Ma se mi date 5 milioni di dollari e
un’altra settimana in cui poter lavorare, potremo giungere ad un buon risultato ».
In questo scambio di battute tra un giornalista e Emilio Castro, segretario generale del
Consiglio ecumenico delle chiese, nel corso della conferenza stampa finale al termine dei lavori dell’assemblea, può essere sintetizzata la
grandezza e la miseria della « Convocazione per
la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato », tenutasi a Seoul dal 6 al 12 marzo.
Non è stata un’assemblea facile; ma avrebbe potuto essere altrimenti? Chi aveva vissuto
l’incontro analogo, tenutosi a Basilea nel maggio scorso, pensava di ritrovare a Seoul il clima
della festa, la gioia, l’accoglienza della città,
l’unità di fondo delle diverse voci. Non teneva
però in debito conto il fatto che una cosa è
considerare i problemi, per quanto ardui, avendo un medesimo retroterra culturale e religioso,
altra cosa è confrontarsi con culture diverse,
modi diversi di vivere e intendere la stessa fede
cristiana. Un conto è trovarsi in ima città come Basilea, culla dell’umanesimo cristiano, un
altro è invece essere in una megalopoli dell’estremo oriente dove il cristianesimo, pur essendo un fenomeno in crescita, è condiviso comunque dal non più del 30% della popolazione.
Non solo; un conto è parlare, tra di noi, dei
problemi della giustizia, un altro è confrontarsi
direttamente con quanti vivono sulla propria
pelle il dramma dell’apartheid, della miseria,
della guerra, della fame. Allora le parole pensate prima non sembrano rendere appieno il
senso della tragedia, né riprodurre con fedeltà
il grido degli oppressi. Non si può parlare per
delega o per procura; bisogna prendere tempo,
fermarsi ad ascoltare le storie della sofferenza,
entrare nelle situazioni.
Seoul è stata preoccupata di ascoltare, più
che di dire. Non ha avuto timore di uscire con
un documento provvisorio, esposto al rischio di
non essere considerato, perché sprovvisto dell’investitura finale; sapendo che, comunque,
esso sarebbe stato certamente più vicino al sentire della gente comune di quanto non possa esserlo un documento ben elaborato, in ogni suo
dettaglio, da esperti in grado di calibrare aggettivi e verbi.
A Seoul il primo e il terzo mondo si sono
confrontati. Nonostante la comune fede cristiana il confronto, se autentico, non poteva essere
indolore.
Seoul non è stato né punto di arrivo né punto di partenza, ma tappa di un processo; certo,
una tappa importante per molti motivi. Anzitutto perché incontro mondiale dopo molti incontri regionali (tra cui Basilea); poi perché
confronto con il mondo non cristiano, con le
sofferenze, le lotte, le speranze dell’umanità;
infine perché momento di intensa unità.
La chiesa cattolica non ha voluto venire-pienamente; ha preferito stare in una posizione un
po’ defilata, ma è stata ben presente a livello
di popolo. Gli ortodossi hanno manifestato il
loro dissenso sull’ordinazione delle donne,
uscendo durante la predicazione di Barbara
Harris, ma hanno anche dichiarato la loro piena adesione al processo JPIC. Dissenso non significa separazione; unità non significa omologazione 0 livellamento. Seoul dunque rimarrà
tappa di un cammino arricchito di nuove voci,
allargato a nuove aree, chiarificato nei suoi
contenuti. Un invito a lavorare in vista del
prossimo appuntamento: Canberra 1991.
Luciano Deociato
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Speciale Seoul ’90
Il maggio 1990
LA PREDICAZIONE DI BARBARA HARRIS
SALVAGUARDIA DEL CREATO
Le chiese riconoscano
il proprio peccato
Jahveh è il Signore della natura, della storia e della giustizia Viviamo in una situazione transitoria, in attesa del mondo nuovo
Il creato tra peccato
e redenzione
« Viviamo giorni oscuri, segnati dalla tragedia, sofferenza, disperazione, incertezza, delusione.
Ma la maggior parte di noi affronta con fatica gli aspetti più
oscuri dell'esistenza e quelli che
lo fanno se ne allontanano rapidamente, per vedere le cose più
in rosa. E’ umano e necessario.
Ma la grande tentazione che ci
insidia, voi e me, è quella di
accettare con troppa facilità una
falsa luce, ima falsa pace, una
sicurezza infida, e di non andare a fondo della realtà della tristezza, della sofferenza e delle
tenebre che stiamo attraversando ».
Barbara Harris, anglicana degli Stati Uniti, prima donna ad
essere consacrata vescovo, descrive così la situazione nella
quale ci troviamo, durante il culto del martedì mattina, 6 marzo. Un culto tutto centrato sulla confessione di peccato e costruito sulla base di una dura
e impegnativa pagina del profeta Amos, com’è quella del capitolo 5. « Colto dal presentimento della condanna che colpirà
l'Israele apostata che rifiuta di
ravvedersi — osserva B. Harris
— il profeta Amos ritorna costantemente su tre temi: Jahveh
è il signore della natura, Jahveh
è il signore della storia e Jahveh è il signore della giustizia ».
Ma di questi tre temi la Harris
ha sviluppato soprattutto quello
della giustizia e del pentimento.
Crisi e drammi
del mondo odierno
Dopo aver descritto sommariamente le crisi e i drammi del
mondo odierno, dall’Europa orientale aH’Africa del Sud passando per l’America centrale, la
Harris ha ossen'ato: « Credo che
ci troviamo attualmente in un
paesaggio situato tra la sera di
un mondo in naufragio e l’alba
di un giorno nuovo. Alcuni di
noi non sopravviveranno alla
tempesta che, forse, imperverserà neH’oscurità della notte che
incombe, a meno che non troviamo in queste tenebre la mano di Dio, la luce del Cristo.
Quando Gesù ha iniziato il suo
ministero, ha predicato dicendo:
Ravvedetevi, il regno dei cieli
è vicino! (Matteo 3: 2). Il pentimento non è uno stato d’animo
che si può cogliere o accettare
facilmente; implica che noi ammettiamo che tutto il corso della nostra vita è stato orientato
male. Tutta la nostra vita ha
seguito una direzione sbagliata,
che dobbiamo cambiare, rinnegare, e riconoscere che i nostri
guadagni sono in realtà delle
perdite (...).
Colpevoli di
ipocrisia
Noi, come chiesa, siamo colpevoli di ipocrisia. Predichiamo
agli altri che sono peccatori e
che si devono pentire, confessare, ricercare il perdono di Dio;
ma non sento mai che dobbiamo confessare i nostri peccati.
Sento spesso citare Giovanni 3:
16: ’’Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato...", eppure vedo
I." chiesa mendicare per assicurare la sopravvivenza delle proprie istituzioni, più spcs.so di
quanto non l’abbia vista donare.
Ho visto la chiesa tacere, quando invece avrebbe dovuto essere un Nathan che affronta il re
e gli dice: Tu sei quell’uomo!
Barbara Harris, prima donna vescovo della chiesa anglicana.
(2 Samuele 12: 7). Ho visto Dio
costretto a spostare le montagne perché noi, i suoi discepoli,
eravamo rimasti silenziosi.
Silenzio di fronte
alla tragedia
Odo ancora le accuse degli ebrei che rimproverano alla chiesa di essersi fatta da parte quando, a milioni, venivano gasati
nella seconda guerra mondiale.
Non ha sentito, non ha detto,
non ha visto nulla. Vedo i poteri legislativi ed esecutivi spendere miliardi di dollari per forgiare delle spade dagli aratri e
delle lance dalle roncole (cfr.
Isaia 2: 4, ndt).
Se il suono della tromba è
flebile, chi si preparerà alla battaglia? Fintanto che noi come
chiesa non ci pentiremo e non
confesseremo il nostro peccato,
rimarremo una tromba che non
suona e il popolo che attende
il nostro segnale non si preparerà alla battaglia ».
L’appello al pentimento è stato accompagnato da alcune testimonianze di sofferenza.
Un piccolo, ma significativo, incidente ha turbato lo svolgimento del culto: quando il vescovo Barbara Harris ha iniziato la predicazione la delegazione ortodossa ha abbandonato
l’aula, per protesta contro l’ordinazione delle donne.
Marga Buhrig, teologa, ha tenuto il culto iniziale dell’assemblea di
Seoul.
Il culto iniziale del 5 marzo è
stato presieduto da Marga Biihrig, riformata, svizzera, residente a Basilea e dal 1983 copresidente (insieme ad altre sei persone) del Consiglio ecumenico
delle chiese.
Nel corso della liturgia sono
stati inseriti elementi tipici della cultura coreana: i tamburi.
IL DISCORSO DI PREMAN NILES
Il senso dell’alleanza
E’ espressione della grazia di Dio - L’arroganza e la disubbidienza
umane richiedono che compiamo un atto di pentimento e conversione
Preman Niles, responsabile del
programma « JPIC » per il CEC.
L’alleanza di Dio con gli esseri umani e ron tutto il creato
non è un accordo o un'alleanza
tra contraenti uguali. E’ un giuramento, una promessa di Dio.
L’alleanza è espressione della sua
grazia, Dio mantiene questa alleanza e si mostra fedele. In Gesù Cristo l’alleanza di Dio è stata sancita per sempre, ed è aperta a tutti, senza barriere di nazione, razza, sesso o altro ancora.
Dio non spezza questa alleanza. Noi, esseri umani, lo facciamo, e dobbiamo perciò rinnovare la nostra alleanza con Dio. La
disubbidienza di cui ci rendiamo colpevoli rompendo l’alleanza si esprime nel fatto che neghiamo che il mondo appartenga a Dio, un’appartenenza che
egli esprime non con la proprietà in senso umano, ma nello
slancio dell’amore che si manifesta nella cura « parentale » di
Dio e nella sua sofferenza con
l’intero creato.
La crisi della nostra epoca è
perciò essenzialmente causata
daU’arroganzq e dalla disubbidienza umane, che richiedono un
atto di pentimento e il rinnovamento della nostra alleanza con
Dio: si tratta per noi di ricordare ciò che Dio ha fatto, di
pentirci e di ritornare a lui.
Questo determina anche delle
implicazioni nel nostro rapportarci gli uni agli altri. Il rinnovamento dell’alleanza è un atto
collettivo, ed è qui che constatiamo che l’insieme delle nostre relazioni si trasforma nel
rinnovamento della nostra alleanza con Dio.
Siamo chiamati a ricostituirci
come « comunità di alleanza »
aperta, con Dio e con gli altri,
in un processo che riconosce ma
che non accetta come definitive
o determinanti le divisioni e le
differenze che esistono tra di noi.
Siamo chiamati ad una comunità aperta, rivolta a quanti, compreso il creato sofferente, lavorano e aspirano alla giustizia,
fonte di pace, di shalom e di
integrità. Questo significa che vogliamo tendere la mano a tutti
gli esseri umani, qualunque siano la loro fede o le loro convinzioni, che sono impegnati nella
medesima lotta.
Chi si trova ogni giorno alle
prese con l’ingiustizia, con l’assenza di pace, o con la violenza
inflitta al creato non separa questi problemi, ma li vive come
un’unica realtà. E tuttavia, in
sede di dibattito ecumenico, abbiamo avuto aspre discussioni
tra i promotori di queste tre
« preoccupazioni ». Abbiamo avuto la tendenza a « compartimentare » le questioni in tre categorie, per poi trovarci impossibilitati a riunirle. E qui vogliamo
uscire da questa impasse.
Allora credo che dobbiamo partire con raffermare che c’è una
sola lotta, nella quale noi ci impegniamo su tre fronti: è così
che il processo « JPIC » è vissuto e percepito da chi lavora quo
tidianamente per la giustizia, la
pace, la salvaguardia dell’ambiente.
In larga misura è il contesto
a determinare quale dei tre problemi costituisca il fronte originario. E aggiungerei che, qualunque sia la questione che trattiamo, la pace, l’ambiente, o i
diritti umani, la chiave per la
comprensione e l’approccio a
questi problemi è l’aspirazione alla giustizia e la lotta in suo
favore. La giustizia è fondamento per l’integrità del creato, ed
è componente indispensabile per
una autentica pace.
Le tre questioni sono vissute
nel mondo intero, ma in modi
diversi in luoghi diversi. La via
da seguire, allora, sta proprio
nel non cercare di articolare la
lotta in termini mondiali, ma
piuttosto nello sforzarci a sostenere reciprocamente le nostre
lotte in ogni luogo, perché si
tratta di impegni che travalicano i confini nazionali o regionali.
Wilfried Warneck di « Church
and Peace », il movimento delle
chiese storiche pacifiste.
che rappresentano col loro suono cupo la terra, e i cimbali, che
rappresentano il cielo. Durante
la preghiera sono stati ricordati
i nomi dei martiri della fede e
di quanti altri hanno speso la
loro vita per la giustizia, la libertà, i diritti degli uomini e
dei popoli.
Il testo della predica era costituito dal Salmo 104, un salmo ampio di lode a Dio per tutta
la creazione, vista come « un’immensa rete nella quale tutti gli
elementi s’incrociano tra loro ».
Tutte le creature dipendono da
Dio, vivono le une delle altre, le
une con le altre.
Il credente considera con meraviglia l’opera stupenda di Dio,
e gli rende lode.
« Ma noi — s’è domandata la
Buhrig, facendo riferimento ai
guasti apportati all’ambiente —
possiamo ancora lodare Dio? ».
« Una cosa mi sembra certa
— ha aggiunto la Buhrig —, non
possiamo ritornare al tempo in
cui è stato scritto il salmo. E
d’altra parte, già a quell’epoca,
la creazione non era più quella
che era uscita dalle mani di Dio,
sebbene gli uomini non avessero
allora il potere che hanno oggi ». Eppure, allora come oggi,
non possiamo vivere senza lodare Dio, senza la gioia profonda di
fronte all’abbondanza e allo
splendore della creazione, « senza l’aspirazione verso la giustizia e Tintegrità » del creato.
Non si tratta, quindi, di coltivare una nostalgia romantica
verso un passato che, forse, non
è mai esistito, ma di imparare
ad amare nuovamente la creazione di Dio. «Allora riconosceremo
anche quanto le strutture politiche ed economiche contribuiscono a distruggere il creato, e
quanto queste strutture conducano a nuove ingiustizie. L’ingiustizia nei confronti degli esseri umani, la mancanza di pace
e la violazione della natura sono
legate tra loro. E’ un cerchio
vizioso che solo l’amore di Dio
può spezzare. (...) Lo shalom è
il dono escatologico di Dio, ma
è anche il mandato che Dio ci
ha affidato ».
« Nel salmo la sola cosa che è
detta dell’uomo (cfr. versetto 23)
è che egli deve lavorare; cioè
ha la facoltà e il dovere di partecipare attivamente alla creazione di Dio. Può averne cura,
realizzare delle possibilità nascoste in essa, può sfruttarla e di
struggerla ».
L’attesa di nuovi cieli e di una
nuova terra deve far crescere
in noi la volontà di prenderci
cura della vita nel senso in cui
Dio la intende e resistere cosi
con tutte le nostre forze ad ogni
violenza distruttrice.
Ecco perché la « salvaguardia
del creato » fa parte a pieno titolo della questione della giustizia e della pace.
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11 maggio 1990
Speciale Seoul ^90
POVERTÀ’ ED EMARGINAZIONE
IL DISCORSO INAUGURALE
Anche la terra
soffre con i poveri
Nonostante l’esibizione del benessere, anche gli Stati Uniti vivono
le contraddizioni di una realtà sociale che opprime gli emarginati
Il volto tragico di Seoul. Bambini coreani giocano in uno dei sobborghi più poveri della capitale.
Il quartiere di Washington D.
C. in cui vivo, Columbia Heights,
fu teatro degli scontri di piazza
al seguito dell’assassinio di Martin Luther King nella primavera
del 1968. Esso è diventato un
quartiere malfamato che porta
ancora su di sé le cicatrici della
violenza che esplose quando le
speranze popolari andarono distrutte. Oggi ancora si vedono,
lungo le sue strade, case distrut
te dalla rivolta. Da 14 anni la
comunità di Sojourners vive a
Washington D. C., nel quartiere
dell’emarginazione e della violenza, accanto alla Washington
monumentale e linda dei turisti.
Ma Washington negli USA è diventata la capitale del crimine
e Columbia Heigts la capitale
della capitale del crimine. Washington è diventata parabola
della crisi mondiale in cui viviamo, è lo specchio del mondo.
Ricchezza e miseria si fronteggiano. La città che conta un numero record di agenti immobi
LA GERMANIA DEL « DOPO MURO »
Speranze e incertezza
Una manifestazione nella Germania orientale, nello scorso dicembre.
La rapida trasformazione ha acceso speranze ma lascia incertezza.
« Vedere il muro venir giù era
una liberazione interiore che non
si può descrivere ». Così si è
espressa Birgit Dihhert, studentessa di Lipsia, mentre alle sue
spalle dei giovani costruivano
simbolicamente una sorta di muro, per poi disfarlo.
« Passare per la prima volta
all'Ovest — ha proseguito la Dibbcrt — vuol dire vivere un grande enitisiasmo, ed è anche un
grande passo per la stima che
il mio popolo ha di se stesso.
Tuttavia l’entusiasmo e la speranza stanno lasciando spazio all’incertezza per il nostro futuro.
Personalmente ero persuasa
che fosse giusto abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione. Ma la maniera in cui
il socialismo è stato realizzato
nel mio paese doveva essere criticata. Coloro che hanno detenuto il potere si sono lasciati cor
rompere dal potere stesso, e si
sono ridotti a restarvi attaccati mediante un sistema di sorveglianza, e mediante la costruzione di barriere... ».
Per la Dibbert tuttavia alcuni valori stanno vacillando: il
fatto che si trovasse pane a buon
mercato ha spinto gli agricoltori
ad acquistarlo per il bestiame,
la garanzia di un salario ha spinto molti lavoratori a fare il minimo. E c’è da preoccuparsi per
la futura società della Germania unita, in cui ritornerà l’economia di mercato. Occorre però salvaguardare dei valori come
il lavoro comunitario, la sicurezza dell’impiego, il coraggio della
chiesa di criticare lo Stato. « Sarebbe grave — ha concluso la
studentessa — che tra 40 anni
ci facessimo dire che abbiamo
abusato della libertà come la
DDR aveva finora abusato del
socialismo ».
La giustizia al centro
liari presenta anche cifre di mortalità infantile degne del terzo
mondo.
La disoccupazione nell’ambito
della popolazione di colore supera il 60%. Ogni anno i 19 milioni di turisti che vengono a
visitare la capitale degli States
spendono 1,5 miliardi di dollari mentre la prigione del distretto non ha abbastanza soldi per
acquistare carta igienica. Gli
hôtel del centro città prosperano mentre cresce il numero dei
senzatetto. Una percentuale altissima è implicata nel traffico
della droga e per molti poveri
questo commercio rappresenta
l’unica fonte di sussistenza.
Washington, come il resto del
mondo in cui viviamo, ha una
economia a due livelli. In alto il
settore lucrativo e prospero, in
basso una popolazione sempre
più povera al servizio di un’economia estremamente complessa e consumista.
Come nella parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro,
milioni di figli di Dio sono buttati fuori dai confini dell’economia mondiale.
Anche la terra soffre con i poveri. Negletto a livello politico
e sottomesso ad un inquinamento intensivo il nostro habitat si
va via via degradando e non
sfuggiremo alle conseguenze del
nostro comportamento.
Come ha detto il capo indiano
Seattle: « La terra non appartiene agli esseri umani. Sono gli
esseri umani che appartengono
alla terra. Tutto è legato. Ciò
che capita alla terra capita ai
suoi abitanti ». Nel nostro quartiere bambini di 8, 9, 10 anni portano beeps (trasmettitori portatili, ndt) alla cintura perché
i rivenditori di droga li possano chiamare quando bisogna fare una corsa per un cliente. Usare i bambini rappresenta per i
mercanti di morte un pericolo
minore dal punto di vista legale. I bambini possono così guadagnare somme altrimenti inimmaginabili.
Ma la droga non è l’unico stupefacente. L’altra droga è il denaro che crea corruzione e violenza. Possedere e consumare è
diventato la nostra religione.
Questa società ti presenta i beni
di consumo senza che tu li possa raggiungere. Il materialismo
uccide i poveri e distrugge l’anima della nazione. Non usciremo da questa crisi senza una
profonda conversione di valori.
La cosa peggiore è che non
abbiamo nessun senso di solidarietà, di comunione, di legami
profondi. Quello che succede nel
mio quartiere illustra molto bene il fenomeno. Molti politici oggi applaudono al crollo del comunismo nell’Est. Ma la storia
raggiungerà anche l’Occidente.
Non possiamo applaudire l’avvento della democrazia in Polonia o
la lotta dei lituani o degli studenti cinesi se allo stesso tempo
teniamo soggiogati i lavoratori
sudafricani, i contadini salvadodoregni e gli abitanti delle bidonville coreani.
Quando il vento del Sud soffierà, portando con sé le speranze dei poveri del pianeta, quelli che dal Nord dirigono l’apartheid economico del mondo sentiranno un brivido. Oggi assistiamo al crollo del muro della repressione ideologica. Domani i
muri invisibili del commercio,
della finanza e dell’oppressione
economica internazionale crolleranno anche loro.
Jim Wallis
Frank Chikane, segretario generale del Consiglio delle chiese del
Sud Africa (SACC), ha
tenuto la relazione introduttiva deH’incontro
di Seoul, nel pomeriggio
di martedì 6 marzo.
« Abbiamo diviso '—
ha detto Chikane — il
mondo tra poveri e ricchi, bianchi e neri, donne e uomini, est ed
ovest. Abbiamo pensato
di poter accumulare
ricchezza a spese degli
altri, di poter proteggere la nostra libertà a
spese degli altri, di poter assicurare la nostra
sicurezza a spese degli
altri. La realtà ci ha fatti scoprire fratelli e sorelle, senza tener conto
delle razze, delle classi,
del colore della nostra
pelle, delle nostre credenze. Ci ha fatti scoprire popolo di Dio. Siamo costretti a scoprire
il nostro destino comune, i nostri interessi comuni. Sentirsi responsabili gli uni degli altri
non è più una questione morale, ma è una
questione che attiene
alla realtà ».
« (...) La giustizia è il
nostro tema centrale. Frank
Non ci può essere pace senza giustizia. 11 documento "Kairòs”, pubblicato
dalle chiese sudafricane nel 1985,
affermava che non ci può essere
pace senza giustizia e riconciliazione, senza cioè nominare il peccato che ci divide gli uni dagli
altri ».
« I rapporti tra giustizia e pace sono evidenti; non altrettanto, però, è il rapporto tra giustizia e salvaguardia del creato.
Introdurre questa nozione nel
nostro ordine del giorno ha fatto pensare a una cospirazione
di quanti traggono benefici dalla nostra povertà e dalla nostra
oppressione per distoglierci dal
nostro combattimento per la giustizia. E’ difficile per chi è privato dei propri diritti, spodestato della propria terra, sentirsi
coinvolto dalla questione della
salvaguardia del creato ».
« L’illuminismo ci aveva promesso un mondo controllato dalla scienza, una natura piegata al
nostro servizio. Gli uomini hanno fatto delle scoperte e delle
invenzioni notevoli. Hanno potuto produrre bombe atomiche e
nucleari. Tutte queste scoperte
sono state fatte in un tempo assai breve e l’umanità ha credu
Chikane nel corso del culto finale
dell’assemblea.
to di poter vivere in modo autonomo, senza più bisogno di
Dio... Ma io credo — ha aggiunto Chikane — che ora essa deve
fare i conti con le sue debolezze ed essere anche abbastanza
umile da riconoscerle. Dobbiamo
mettere ima fine al cerchio vizioso della distruzione del mondo e di noi stessi. (...) Dobbiamo mettere un termine al razzismo e al sessismo, alla povertà,
e al debito che grava sui paesi
poveri, che questi non potranno
mai pagare ».
Frank Chikane ha inoltre osservato che questo incontro del
Consiglio ecumenico si svolgeva
in un momento privilegiato della storia. Gorbaciov con la sua
politica ispirata alla glasnost e
alla perestroika ha avuto un’influenza sul mondo intero. Egli
infatti ha posto l’obiettivo della sopravvivenza dell’umanità al
di sopra degli interessi di classe, di gruppi nazionali, delle ideologie. Da qui il ravvicinamento
tra Washington e Mosca, ed anche la soluzione di conflitti regionali come in Angola e in Namibia. Bisogna dunque saper cogliere il kairòs nel momento in
cui lo si vive.
GLI ORTODOSSI A SEOUL
Siamo nel processo JPIC
« Che cosa pensano gli ortodossi? ». « Non mi pare che siano d’accordo... ». « Hai visto, sono usciti per protesta...! ». E in
effetti è successo che essi siano usciti quando Barbara Harris, primo vescovo donna, ha cominciato a predicare.
Insomma, gli ortodossi sono
stati molto osservati dalla stampa, in particolare da quella italiana.
E’ fuor di dubbio che essi si
sentissero a disagio in una assemblea nella quale risuonava
molto la parola « giustizia », ma
poco la parola « amore », dove
erano presenti i problemi della società (il débito, la povertà, l’oppressione...), e poco quelli dello spirito. Ma dal disagio
alla dissociazione il passo è molto lungo. Il disagio era dovuto
ad un linguaggio inconsueto, a
tematiche in parte estranee al
mondo ortodosso, all’impossibilità di poter condividere al cento per cento posizioni di chiese
sorelle.
A ristabilire la realtà delle cose è però venuta il 10 marzo
una dichiarazione di Cirillo, arcivescovo di Smolensk (URSS),
responsabile del dipartimento degli esteri della chiesa ortodossa
russa, il quale, pur riconoscendo
una certa diflBcoltà da parte degli ortodossi ad entrare nel linguaggio della « Convocazione »,
ha dichiarato la loro piena solidarietà e partecipazione al processo JPIC. In particolare ha
notato che, grazie ai cambiamenti avvenuti in Unione Sovietica
in questi ultimi due anni, i loro
interessi si erano spostati dalla
questione della pace e degli armamenti a quella della giustizia e della salvaguardia del creato.
4
Speciale Seoul ’90
Il maggio 1990
TESTIMONI DELLA SOFFERENZA
NeH’arcipelago
della prostituzione
Industria del sesso e mercificazione della persona nel racconto di
una ragazza filippina, costretta come tante altre a vendere se stessa
La mia esperienza è simile a
quella di molte donne filippine.
Alcune le ho conosciute personalmente, altre — e sono parecchie migliaia — non le ho mai
incontrate. Ma oggi sarò la loro voce, parlerò al loro posto.
Il mio nome? Ho avuto molti
nomi durante la mia vita. Il mio
ultimo nome è: AIDS. Me lo ha
dato il mio medico. Questo nome influenza il mio prossimo
futuro. La mia storia non è bella, non vi piacerà, ma ascoltatela brevemente.
Il mio primo nome fu: Baby.
Così mi chiamarono mia madre
e mio padre. Vivevamo nell’isola
di Mindanao nelle Filippine. Mio
padre lavorava la terra. Un giorno giimse l’esercito e ci cacciarono. Imparai molto presto cosa significhi essere senza casa.
Costruimmo una baracca e per
andare a lavorare mio padre doveva camminare 8 chilometri al
giorno. Arrivai a 15 anni e decisi
che dovevo fare qualcosa per
aiutare la mia povera famiglia.
Il comandate della guarnigione che presidiava il mio paese
mi propose di andare in Giappone per fare la ballerina professionale. Avrei guadagnato molto. Prima però dovevo andare
a Manila per imparare. Così dovetti cambiare nome, divenni:
Marni. A Manila finii per trovarmi ad intrattenere i clienti dei
bar della Mabini Street. Dopo
un po’ ci fu il trasferimento in
Giappone.
All’aereoporto un uomo ci confiscò il passaporto e ci disse che
avremrno fatto le spogliarelliste
in certi locali. Non potevo stare
Manila, Filippine: centinaia di donne condividono la tragica realtà
della prostituzione.
più di dieci giorni in un posto.
Ci spostavamo continuamente; a
volte si partiva precipitosamente
all’alba. I soldi che mi davano
i clienti me li prendevano gli uomini dell’organizzazione. Alla fine il mio protettore mi disse che
dovevo pagare raflìtto ai proprietari che mi avevano ’’ospitata”;
la cifra da pagare era sui 600.000
yen, non avevo scelta.
E fu allora che il mio nome
cambiò ancora una volta e divenne: prostituta. La mia unica
conversazione con i clienti si riduceva a rispondere, a chi mi
chiedeva « quanto vuoi? », « non
sono un oggetto in vendita, sono
una persona». Sovente i clienti
mi picchiavano. Molti uomini
non vedevano la differenza tra
me e un oggetto. Alla fine tentai
di fuggire e così potei per qualche giorno riposarmi, era la
prima volta che mi capitava da
quando ero in Giappone. Fui
presto nuovamente scovata, picchiata e riportata di peso in
squallidi locali notturni. Riuscii
di nascosto ad inviare un po’
di denaro a mia madre nelle Filippine; poverina, lei pensava
che io fossi una cantante in un
bei locale alla moda. Se solo
avesse saputo quanto mi era costato quel denaro che le inviavo!
Alla fine rientrai a Manila. Conoscevo ormai i « magnaccia »
giapponesi, filippini, manager,
gangster, prostitute, poliziotti,
immigrati, maniaci... tutti partecipi della plurimiliardaria industria del sesso. E naturalmente
conoscevo tanti clienti con le tasche piene dì soldi. A volte compiangevo le loro mogli, le loro
famiglie che spesso ignoravano
le loro abitudini sessuali.
Perché noi dobbiamo restare
GLI ABORIGENI AUSTRALIANI
L’arrivo deU’uomo bianco
e la perdita dell’identità
I colonizzatori, in Australia e nelle altre terre di conquista, hanno portato la morte, l’asservimento, la distruzione delle culture
All’inizio Dio creò la terra. Al
centro di essa c’era una piccola isola dove il cibo era abbondante, la vegetazione e la vita
rigogliose, e i minerali si trovavano a profusione. Gli abitanti
sembravano molto strani agli occhi del resto del mondo, perché
erano neri. Era un popolo con
una spiritualità molto ricca, che
veniva espressa nelle storie delr« epoca del sogno»; in una di
queste uno spirito, lo spirito
bianco, trasmetteva ai miei antenati le leggi che dovevamo rispettare. Si dice che questo spirito fosse Dio, così come le nostre leggi sono molto vicine a
quelle della Bibbia: dovevamo
dividere tutto secondo giustizia,
amare i nostri fratelli e le nostre sorelle, curare la terra e rispettare tutte le creature.
Per 40.000 anni questo popolo
visse in pace e in armonia con
la terra, mantenendola così come Dio gliela aveva data. E questo fino al 1788, quando i bianchi arrivarono a invaderci. La
mia gente si mostrò inizialmente molto accogliente, non .sapendo che i bianchi sarebbero di
ventati un incubo che dura ormai da 200 anni.
Gli europei arrivarono sempre
più numerosi, e gli aborigeni furono spinti sempre più all’interno del continente. L’uomo bianco portò delle malattie, gli aborigeni furono attaccati e capirono che avrebbero dovuto combattere per difendersi. Morirono
in più di 600.000: furono avvelenati i loro pozzi, furono fucilati; furono contaminati dal vaiolo, che decimò intere tribù; le
donne furono violentate, i bambini massacrati crudelmente.
L’uomo bianco distrusse le foreste per costruire le strade, importò delle bestie che distrussero la vegetazione. La sua cupidigia si fece ancora più distruttiva quando scoiprì oro, petrolio
e uranio. Poi capì che serviva
manodopera per le sue aziende,
e riunì degli indigeni che furono ridotti in schiavitù: e questo con l’aiuto della chiesa e del
governo.
Tanti e tanti bambini aborigeni furono strappati alle loro madri e piazzati nelle « missioni »
in silenzio? Perché dobbiamo
vendere il nostro corpo affinché
le nostre famiglie non muoiano
di fame? Un amico propose di
aiutarmi. Ma fu peggio di prima, mi trovai ad entrare in concorrenza con 16.000 altre prostitute. Ero in vetrina e gli uomini mi sceglievano come si sceglie la verdura al mercato. Quando uscivo per i marciapiedi vedevo frotte di bambini, molti
di loro erano figli di militari
americani. Bambini che vendono droga, o cercano cose e cibo
nella spazzatura o si danno alla prostituzione.
L’industria del sesso nutre la
nostra povertà. Occorre non so
lo scandalizzarsi di queste cose
ma agire, fare qualcosa.
Non è sufficiente condannare
la prostituzione, occorre aiutare
ciascuna di noi a trovare un lavoro che abbia senso, che dia un
giusto salario e buone condizioni e dignità. Ora non so cosa
mi succederà. Sulla mia scheda
personale il medico ha scritto:
portatrice di AIDS. Ciò significa
che la mia vita non ha più speranza.
Adesso che conosci tutti i miei
nomi, riesci ancora ad essere indifferente e sentirti non responsabile? Pensaci!
Trad. e adattamento a cura
di G. Platone
L’INDIA DELLE CASTE
La fede ci
immerge nel mondo
Gli intoccabili, vittime di qualsiasi ingiustizia - Urgente l’impegno a fianco dei poveri
Seoul, martedì 6 marzo: il culto che ha visto la predicazione di Barbara Harris, prima donna vescovo della Chiesa anglicana.
perché imparassero a diventare
dei « bianchi » di seconda classe, fatti per servire i propri padroni.
Ancora oggi, nel 1990, noi, gli
aborigeni, ci battiamo perché
venga instaurata la giustizia, e
perché tutta la verità sia finalmente detta sulla nostra terra,
sulla nostra cultura, sui nostri
luoghi sacri e sui nostri diritti
fondamentali.
Ci battiamo ancora contro la
distnjzione e la violazione compiuta nei confronti della nostra
terra e, su un piano più ampio,
riteniamo che il mondo cominci
adesso a rendersi conto degli atti distruttivi compiuti nei suoi
confronti.
Noi, aborigeni d’Australia, leviamo la voce e lanciamo un grido: « Siamo dei sopravvis.suti! ».
Credo che per l’umanità sia
ormai tempo di pagare per tutte le ingiustizie inflitte alle creature di Dio. Se teniamo alla giustizia, alla pace e al creato, quali misure prenderemo perché essi siano salvaguardati?
Anne Pattel-Gray
L’India è indipendente dal 1947.
Poco tempo dopo, il 29 novembre 1948, nove mesi dopo la morte di Gandhi, padre della nostra
nazione, che combattè non solo
per l’indipendenza ma anche per
l’abolizione dell’« intoccabilità »,
l’Assemblea costituente votò una
legge che aboliva questa nozione.
I cosiddetti « fuori casta ». o
intoccabili, possono dire che Gandhi ha reso loro la libertà? Niente affatto.
Io vi parlo dopo 40 anni di indipendenza, ma il sistema rigido e spietato delle caste esiste
ancora. Gli intoccabili sono ancora vittime di ingiustizie di tutti i tipi; non hanno ancora il
diritto di entrare nei villaggi delle altre caste con le scarpe e
i vestiti. E’ loro proibito entrare nei templi, e non è raro
che degli indù della casta più
alta facciano irruzione nei villaggi degli intoccabili, mettendo
a fuoco, uccidendo e violentando le donne.
Gli indù fanno risalire la teoria delle caste ai testi sacri, e
Gandhi ha combattuto l’intoccabilità senza però abolire il sistema delle caste. Oggi, in concomitanza con il rinforzo delle caste
in campagna, c’ò un risorgere del
fondamentalismo, dello sciovinismo, dei conflitti tra comunità
e tra caste. La violenza di cui
si rendono colpevoli i proprietari terrieri tende a perpetuare
la dominazione più che millenaria, basata sulle caste. Di fronte alle loro violenze lo stato risponde in modo repressivo e autoritario, costruendo un gigantesco apparato militare e poliziesco. I problemi che abbiamo di
fronte sono perciò questi: come
garantire i diritti democratici
delle classi dei lavoratori, e in
particolare dei « dalit » (oppressi); come resistere alle forze
reazionarie, autoritarie e imp>erialiste; come dare statuto di
movimento popolare alle agitazioni che vengono dalle masse; come opporsi a chi cerca di dividerci; come tradurre questi fatti in realtà pratiche, in prospettiva nazionale; come trovare al
leati a tutti i livelli. Chi sosterrà il movimento popolare dei
« dalit »?
Ho imparato un pò’ per volta una bella e forte verità: « La
fede cristiana non ci separa dal
mondo; al contrario, essa ci immerge totalmente in esso ». All'interno delle nostre lotte cerchiamo anche di comunicare l’annuncio di Dio. Impegnarci a fianco dei poveri e favorire lo sviluppo delle comunità di base,
questa è la nostra vocazione. I
roveri mettono in questione la
società, la chiamano alla conversione e molti fra i poveri incarnano nella loro vita le virtù
evangeliche della solidarietà, del
servizio e della semplicità. I nuovi valori e un certo risveglio culturale stanno producendo una
« koinonìa », una comunità che
guarisce e circonda, capace di resistere agli attacchi. L’Evangelo
è per noi un’arma a doppio taglio: spezza l’ipocrisia, la cupidigia e l'ingiustizia dei potenti,
ma abbatte anche il letargo, l’apatia e la disperazione degli oi>pressi. La resurrezione di Gesù
e li suo potere liberatorio e vittorioso sono stati vissuti proprio
da quelli che Gesù aveva visto
come poveri, deboli e oppressi,
che avevano riposto in Dio la
propria speranza.
Felix N. Sugirthara.)
5
11 maggio 1990
Speciale Seoul ’90
IL MESSAGGIO ALLE CHIESE
Adesso è l’ora!
1. Adesso è l’ora di rinnovare il nostro impegno nel patto di
Dio. Il momento storico è eccezionale. La vita sulla terra è minacciata dall’ingiustizia, dalla guerra e dalla distruzione del creato perché ci siamo allontanati dal patto di Dio. Consapevoli
delle opportunità che ci sono offerte noi invochiamo il perdono di Dio. Assistiamo a molti cambiamenti forieri di speranza.
2. Adesso è l’ora di riconoscere e far nostri i risultati ottenuti nell’opera di collegamento tra lotte locali e regionali per
la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. I nostri contesti
e le nostre sensibilità sono diversi ma occorre superare le nostre
divisioni. Dobbiamo favorire il più ampio sostegno possibile delle
chiese per i movimenti popolari. Non ci sono sforzi competitivi
per la giustizia, la pace e l’integrità del creato. C’è soltanto
un’unica lotta globale.
3. Adesso è l’ora di consolidare tutte le lotte per la giustizia,
la pace e la salvaguardia del creato. Dobbiamo liberarci dalla
sudditanza nei confronti delle strutture di potere che ci rendono
ciechi e complici della distruzione. I cristiani devono entrare in
maniera attiva nel mondo in cui Gesù è venuto.
4. Adesso è l’ora di unirsi alla lotta del popolo coreano per
la sua riunificazione e di sostenere la sua richiesta e la sua preghiera per un anno di giubileo nel 1995.
5. Adesso è l’ora in cui il movimento ecumenico necessita
di un maggiore senso di impegno e solidarietà, vincolante e reciproco. nelle parole e nelle azioni. Alla promessa del patto di
Dio per il nostro tempo e il nostro mondo noi rispondiamo affermando:
— che l’esercizio del potere è una cosa di cui si deve rendere
conto a Dio;
— la scelta di Dio a favore dei poveri;
— la pari dignità di tutte le razze e di tutti i popoli;
— che l’uomo e la donna sono stati creati a immagine di Dio;
— che la verità è il fondamento di una comunità di uomini liberi;
— la pace di Gesù Cristo;
— che la creazione è amata da Dio;
— che la terra appartiene al Signore;
— la dignità e l’impegno delle giovani generazioni;
— che i diritti umani sono un dono di Dio.
6. Adesso è l’ora per il movimento ecumenico di esprimere
in tutte le sue articolazioni la visione che gli è propria, e secondo la quale tutti coloro che vivono sulla terra e hanno a cuore
il creato sono una famiglia in cui tutti i membri hanno pari diritto alla pienezza della vita. Questa visione, che nella sua natura è spirituale, deve manifestarsi in azioni concrete. Sulla base dell’esperienza spirituale fatta a Seoul ci siamo impegnati a
operare per:
— un giusto ordine economico e la liberazione dalla schiavitù
del debito estero;
— una vera sicurezza per tutte le nazioni e tutti i popoli e una
cultura della nonviolenza;
— la preservazione del dono dell’atmosfera terrestre e la creazione di una cultura in armonia con la salvaguardia del creato;
— lo sradicamento del razzismo e della discriminazione a tutti i
livelli, per tutti, e l’eliminazione di modelli di comportamento
che perpetuino il peccato del razzismo.
7. Adesso è l’ora di riconoscere che la strada davanti a noi
è ancora lunga. Porteremo nelle nostre chiese e nei movimenti le
affermazioni e gli impegni sottoscritti a Seoul, invitando altri a
unirsi a noi. Insieme a loro ci batteremo per la realizzazione della
nostra visione. Siamo responsabili gli uni verso gli altri e davanti
a Dio. La nostra preghiera è che non perdiamo l’occasione (il
kairòsj verso la quale Dio ci ha condotti.
IL DOCUMENTO FINALE
GIUSTIZIA, PACE,
SALVAGUARDIA
DEL CREATO
Un processo globale per l’impegno reciproco - Una parte dei testi è
stata approvata dal Comitato centrale del CEC (Ginevra, 25-30 marzo)
I testi che seguono sono i documenti principali della Convocazione mondiale su giustizia, pace e salvaguardia del creato che
si è tenuta a Seoul (Corea) dal
5 al 13 marzo. Essi intendono
presentare ciò che la Convocazione di Seoul è riuscita a produrre, e indicarne le implicazioni e le conseguenze per le chiese e il movimento ecumenico.
La Convocazione mondiale su
pace, giustizia e salvaguardia dei
creato voleva essere una fase del
processo lanciato dall’Assemblea
ecumenica di Vancouver (1983),
la quale aveva chiamato le chiese « a impegnarsi in un processo conciliare di reciproco impegno (patto) a favore della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato ». Come disse il Comitato centrale del Cec
(1987) la Convocazione doveva costituire « tm passo decisivo nell’adempimento del mandato della sesta Assemblea... e segnare
una fase importante sulla via di
comuni e impegnative dichiarazioni e iniziative sui problemi
urgenti della sopravvivenza dell’umanità ».
Nonostante numerose difficoltà la Convocazione è riuscita a
raggiungere questo obiettivo, affrontando diversi aspetti della
pace, della giustizia e della salvaguardia del creato come parti
inseparabili di un’unica realtà.
Questo è qualcosa di nuovo. Ed
è una novità che ritroviamo anche in ciò che siamo stati capaci di fare insieme. Un gruppo
di persone provenienti da varie
parti del mondo, con entroterra
confessionali diversi e tipi diversi di capacità ed esperienze,
è riuscito a decidere, spesso all’unanimità, di sottoscrivere e
avviare un processo globale di
mutuo impegno (un patto) per
la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato. E a produrre, come parte di questo processo, una dichiarazione ecumenica
di fede e di speranza nei confronti delle crisi del nostro tempo. E’ stato Un risultato di rilievo se si tiene presente che i
partecipanti erano un migliaio,
anche se solo 4(X) avevano diritto di voto.
Poiché la Convocazione mondiale è una conseguenza di ciò
che l’Assemblea di Vancouver
aveva chiesto al Consiglio ecumenico di fare in merito al grande tema della pace, della giustizia e della salvaguardia del creato, il Comitato centrale del Cec
nella sua riunione di Ginevra del
marzo 1990 deve preparare un
rapporto sulla Convocazione per
la prossima Assemblea di Canberra, con particolare riferimento anche a quanto il Comitato
centrale stesso ha detto, nella
sua riunione di Mosca (1989), sulle implicazioni della Convocazione:
1) che il significato dell’iniziativa di reciproco impegno della Convocazione — che porterà
una qualità nuova nella vita del
movimento ecumenico — dovrà
trovare espressione in tutti gli
aspetti dell’Assemblea di Canberra (culto, ecc.);
2) che (all’assemblea) un’intera seduta plenaria dovrà essere dedicata ail’adozione dell’impegno della Convocazione di
Seoul;
3) che tempestiva attenzione
deve essere dedicata alle iniziative necessarie a portare avanti
gli impegni della Convocazione
neH’insieme del movimento ecu
menico e nel Cec dopo l’Assemblea.
Nell’affrontare questi e altri
compiti concernenti la pace, la
giustizia e la salvaguardia del
creato alla luce di quanto la Convocazione ha potuto produrre, il
Comitato centrale dovrà tener
presente che essa non è riuscita a condurre a termine l’intero
suo lavoro, per la grande quantità di tempo impegnato e a causa della pluralità di opinioni e
posizioni presenti, né a raggiungere il necessario consenso.
La Convocazione aveva tre scopi:
1) Formulare una propria risposta alla prima parte della seconda bozza preparatoria dedicata a una descrizione analitica
delle minacce contro la vita e
naria ma per mancanza di tempo non è stata discussa e adottata.
Le Affermazioni sono state discusse e adottate dall’intera Convocazione, dopo lunghi dibattiti,
con larghissimo voto di maggioranza.
Le parti evidenziate della Dichiarazione di solidarietà nel
patto e del Patto che espongono
le basi e gli intenti del documento sottoscritto alla Convocazione sono state tutte discusse
e adottate dall’assemblea. Non
ci fu sfortunatamente tempo per
discutere e adottare in seduta
plenaria le conseguenze delle prese di posizione che dal patto derivano, anche se tutte le conseguenze di ciò che significa essere uniti in una solidarietà fon
Seoul, 5 marzo: il culto che ha inaugurato l’assemblea mondiale.
alle risposte delle chiese. La convocazione non è riuscita a raggiungere un accordo su questo
punto, non essendo stata in grado di far fronte alla pluralità di
diverse e talora conflittuali preoccupazioni locali, regionali e settoriali.
2) Pronunciarsi in proprio utilizzando la seconda parte del documento. Questo è stato fatto.
3) Impegimrsi in un solenne
patto di solidarietà utilizzando
la terza parte del documento
preparatorio. Questo è stato fatto a livello di accettazione di posizioni e politiche generali, ma
non a livello di dettagli.
Pertanto, a) i documenti qui
pubblicati non hanno tutti la
stessa rilevanza ufficiale, perché
alcuni furono adottati dalla convocazione in seduta plenaria e altri no, anche se tutti sono il prodotto diretto del lavoro della Convocazione, e b) il Comitato centrale del Cec deve affrontare il
problema del completamento del
lavoro non condotto a termine
dalla Convocazione.
Per quel che concerne la rilevanza ufficiale:
Il Messaggio della Convocazione è stato discusso e adottato
dalla Convocazione.
Delle tre parti che formano il
Documento finale della Convocazione mondiale:
Il Preambolo è stato redatto
da uno dei gruppi di preparazione dei documenti della Convocazione sulla base del materiale prodotto dai gruppi di lavoro. E’ stato un lavoro lungo e
minuzioso.
La bozza è stata presentata
alla Convocazione in seduta pie
data sul patto erano state elencate dal gruppo di preparazione
dei documenti della convocazione sulla base delle raccomandazioni fatte dai gruppi di lavoro.
E’ Spiacevole che non ci sia stato tempo per discutere e adottare queste Sconseguenze in seduta plenaria perché esse segnalano molti dei momenti significativi in cui la solidarietà nel
patto che abbiamo tra noi stipulato diventa per noi concreta e vincolante. Ma queste conseguenze vanno tradotte sul terreno della realtà in un processo
che si presenta aperto, è un invito a concretizzare il patto nelle situazioni in cui viviamo. A
questo proposito la Convocazione mondiale ha adottato in seduta plenaria la seguente mozione: « Come partecipanti alla Convocazione di Seoul noi ci impegniamo personalmente nei patti
che qui seguono e a discutere
questi patti e le loro implicazioni pratiche nelle nostre chiese,
e chiediamo a tutte le chiese a
riferirne i risultati all’Assemblea
1991 del Consiglio ecumenico delle chiese ».
Oltre al patto principale sottoscritto dalla Convocazione si sono avute molte altre iniziative
di patti di carattere internazionale o interregionale che la Convocazione ha accolto con favore,
senza però adottarle. Anch’esse
costituiscono una parte importante del lavoro della convocazione, perché esemplificano in
molti modi cosa voglia dire essere una comunità unita in un
patto.
Volkmar Deile
Preman Niles
6
Il documento finale
Il maggio 1990
Preambolo
Dal 5 al 12 marz9 1990 rappresentanti di molte chiese e movimenti cristiani di Africa, Asia, Europa, America Latina, Medio Orientó, Am^ica del Nord, dei Caraibi e del Pacifico si sono riuniti a
oeoul (Corea) per cercare una comune risposta alla minaccia del1 ingiustizia, della violenza e del degrado dell’ambiente umano. Hanno nassunto le loro conclusioni nel rapporto che segue e che è
rivolto a tutti i cristiani, alle congregazioni, a chiese e movimenti
nella speranza che esso possa contribuire a rafforzare un’ampia collaborazione con chiunque condivida le nostre preoccupazioni e i
nostri impegni.
Seoul. I aeLe^ati riuniti per uno dei momenti di culto che hanno
contrassegnato la convocazione mondiale del marzo scorso.
1 - DÌO,
il dispensatore
della vita
Siamo convenuti a Seoul per
cercare una comune risposta alle
minacce che la nostra generazione ha di fronte a sé. Siamo venuti perché siamo uniti nella convinzione che Dio, il dispensatore
di vita, non abbandonerà il creato. Siamo venuti con fiducia e
speranza e al tempo stesso con
profonda ansietà per la situazione
odierna e per le prospettive future. L’umanità sembra essere
entrata in un periodo qualitativamente nuovo della sua storia. Essa ha raggiunto la capacità di distruggersi. La qualità della vita è
in continuo calo, la vita stessa è
in pericolo. Ci troviamo di fronte a minacce nuove, intrecciate
tra loro in maniera complessa:
— di fronte a forme radicate e
mortali di ingiustizia: mentre alcuni cittadini della nostra terra
usufruiscono di un’influenza e di
un potere senza precedenti, altri,
milioni, sono soggetti a micidiali
condizioni di povertà, fame e oppressione;
— di fronte a una violenza generalizzata che si manifesta in
conflitti visibili e nascosti e in
crescenti violazioni di fondamentali diritti umani: torture, uccisioni extragiudiziarie e genocidio
sono diventati caratteristiche distintive del nostro tempo;
— di fronte al rapido degrado
dell’ambiente: i processi dai quali
dipende la vita vengono sistematicamente intaccati; molte specie
di animali e di piante sono già irreversibilmente estinte. Il vero
pericolo è costituito dall’interazione di queste minacce. Insieme,
esse rappresentano una crisi globale. Se non vengono introdotti
subito cambiamenti di vasta portata la crisi si aggraverà e potrà
trasformarsi in una vera catastrofe per i no.stri figli e i nostri
nipoti.
2 - Il patto di Dio
Di fronte alle incertezze del futuro, noi vogliamo ricordare il
patto di Dio con l’umanità e con
l’intero creato.
— Dio, che è amore, non dimora in cieli irraggiungibili ma è
presente nel creato quale sua
forza sostentatrice. Dio è presente in tutto ciò che respira e cresce. Gli esseri umani, uomini e
donne, sono stati creati come
suoi collaboratori, chiamati a testimoniare deH’amore di Dio che
abbraccia ogni cosa.
— Anche se gli esseri umani
so l’incarnazione di Cristo e la
sua morte sulla croce: la suprema espressione dell’amore che si
dona. Attraverso la resurrezione
l’irrevocabile sì di Dio alla vita
è divenuto manifesto.
— Con il battesimo siamo stati fatti partecipi del patto di Cristo e ogni volta che celebriamo
l’eucarestia udiamo di nuovo le
parole: « Questo calice è la nuova
alleanza che Dio stabilisce per
mezzo del mio sangue » (I Cor.
11: 25). Il segno dell’eucarestia
anticipa qui e ora il nuovo regno
di giustizia e di pace di Dio, i
nuovi cieli e la nuova terra che
sono a venire; è un pasto che dividiamo con Cristo, il quale si
identifica con chiunque patisca
ingiustizia e violenza.
— La comunità del patto è
aperta a tutti. A Pentecoste ogni
barriera è stata abbattuta. A mezzo dello Spirito una nuova comunità viene raccolta, tratta dalla dispersione e l'ostilità di nazioni, religioni, classi, sessi, età e
razze. A mezzo dello Spirito è stato aperto, a tutti noi, l’accesso a
Dio. Lo Spirito ci incalza perché
riconosciamo e gioiamo per i doni di Dio in tutti e in ogni luogo.
3 - Il discepolato
in un perìodo
di sopravvivenza
Che cosa significa per i cristiani rispondere al patto di Dio in
questo momento della storia?
— Cristo ci chiama a un discepolato radicale. Le minacce che
oggi incombono su di noi ci ricordano il prezzo che dobbiamo pagare per esserci allontanati dal
patto di Dio. L’amore di Dio, che
salva e risana, può manifestarsi
solo se seguiamo Cristo senza
compromessi.
— L’amore di Dio cerca in primo luogo il debole, il povero e
l’oppresso. Il ricordo delle vittime della violenza umana non
andrà perduto presso Dio. Noi conosceremo la presenza e l’amore
di Dio ogni volta che ci identificheremo con coloro che patiscono l’ingiustizia, partecipando alla
loro lotta contro le forze oppres
La partecipazione delle donne, per quanto limitata numericamente,
è stata significativa e coinvolgente.
continuano a rifiutare e offendere
la condizione e il ruolo loro assegnati, Dio non li abbandona a se
stessi. Egli è sempre pronto a ristabilire la comunione infranta.
Il segno dell’arcobaleno ci rammenta la promessa: « Io stabilisco un’alleanza con voi e con
tutti i vostri discendenti e con
gli esseri viventi intorno a voi... »
(Gen. 9: 9-10).
— Più e più volte nel passato
Dio ha scelto persone che
testimoniassero della sua volontà
di salvezza. Abramo ricevette la
promessa di essere una benedizione per tutte le nazioni (Gen.
12: 3) e lo scopo del patto di Dio
con Mosè era di fare di Israele
un servitore del mondo intero
(Es. 19: 5).
— I patti di Dio ebbero compimento in Gesù Cristo. La promes.sa di un nuovo patto, scritto
nei cuori degli esseri umani, divenne realtà nella storia attraver
il valore intrinseco della creazione.
— Per poter dare una risposta
adeguata alle minacce globali del
nostro tempo le chiese devono
scoprire nuovi modi per esprimere la loro vocazione universale.
Devono vivere e agire come un
unico corpo, trascendendo i confini delle nazioni e facendo anche
cadere le barriere dell’ingiustizia
a causa delle quali il Corpo di
Cristo si trova oggi smembrato.
4 - Pentimento
e conversione
Nell’atto stesso di indicare queste implicazioni del patto di Dio
ci rendiamo conto delle dimensioni del tradimento che con la
nostra testimonianza e la nostra
vita commettiamo nei confronti
dell’amore di Dio. Abbiamo costruito con le nostre mani il vicolo cieco nel quale ci troviamo.
Per uscirne è necessario un radicale riorientamento.
Dio ci chiama tutti al pentimento e alla conversione. Riconciliatevi con Dio, la fonte della
vita! Ma questa chiamata non ha
lo stésso significato per tutti. La
chiamata di Gesù alla vita assunse molte forme: per i ricchi significò liberarsi da mammona,
per i malati credere nell’amore
e nel potere risanatore di Dio,
per i privilegiati dividere con altri ricchezza e potere, per gli oppressi vincere la disperazione,
per gli istruiti rinunciare all’orgoglio della superiorità, per i deboli acquistare la fiducia in sé.
Anche oggi la chiamata di Gesù
assume forme differenti. Noi viviamo in situazioni radicalmente
diverse e siamo ancora lontani
dall’aver capito le implicazioni di
queste differenze. Ma al tempo stesso la chiamata di Gesù ci
giunge attraverso le minacce del
nostro tempo. Pentimento e conversione sono diventati una questione di sopravvivenza.
Chi siamo noi di fronte a Dio?
Non possiamo trovare le risposte
da soli. Siamo responsabili gli
uni di fronte agli altri e abbiamo
bisogno gli uni degli altri per imparare chi siamo di fronte a Dio.
Una comunità globale di reciproca solidarietà nascerà soltanto
quando avremo imparato ad
ascoltarci a vicenda, a vederci attraverso gli occhi degli altri, a dividere con altri le nostre perplessità e a valutare insieme i nostri fallimenti.
5 - Una comunità
di speranza e
compartecipazione
La conversione è la porta che
conduce a una nuova e ferma speranza, la convinzione che il corso della storia può cambiare.
Siamo facilmente sopraffatti dai
dubbi: il potere non ha forse
sempre avuto l’ultima parola? Le
vittime non sono forse inevitabili? Guerra e odio non fanno
forse parte della condizione umana e non possono quindi essere
superati? Lo sviluppo tecnologico
non ha forse una propria dinamica e non può quindi essere con
dotto a invertire la rotta, né padroneggiato?
Le speranza cristiana è un movimento di resistenza contro il
fatalismo.
Vogliamo dividere questa speranza con tutti. Vogliamo unirci
a tutti in uno stesso movimento.
Vogliamo imparare dalla loro
esperienza e dalla speranza che li
sostiene nella loro lotta.
«L'amore di Dio cerca il debole, il povero ». La Manila povera.
6 - Cantate un nuovo
canto ai Signore
Questo invito significa qualcosa
di più che un cambiamento di tono. Il salmista ci invita a celebrare le cose nuove che Dio sta operando in mezzo a noi. Siamo invitati a essere aperti nei confronti del futuro e a interpretare sempre di nuovo i segni dei tempi.
Mentre riflettevamo sulla risposta da dare oggi al patto di
Dio ci siamo resi conto della
grande rapidità con la quale la
scena mondiale sta cambiando, e
del conseguente emergere di nuove sfide. Ci è apparsa chiara la
verità del proverbio cinese: di
solito è più tardi di quanto non
pensiamo. E’ quindi necessario
che restiamo uniti nel processo
di reciproco impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia
del creato, e che siamo disponibili a una visione, a impegni e
azioni nuovi.
All’inizio del suo ministerio,
nella sinagoga di Nazaret, Gesù,
citando il profeta Isaia, proclamò
« l’anno accettevole del Signore »
(Luca 4: 19).
L’espressione si riferisce all’anno del giubileo (Lev. 25) che si
doveva celebrare ogni cinquanta
anni in Israele come occasione
per riparare agli atti di ingiustizia e di oppressione commessi e
per riconoscere i limiti dei diritti
che l’umanità rivendica sul creato di Dio. Gesù proclama un giubileo permanente e pone quindi
alla chiesa il compito perenne di
essere testimone delle richieste
di giustizia e di riconciliazione, e
della dignità e dei diritti della natura.
La comunità del patto è una comunità di un giubileo al servizio
di tutti.
sive che disumanizzano Tumanità e distruggono il volto della
terra. La collera e la ribellione
degli oppressi sono un segno di
speranza per un futuro più umano.
— A causa della complessità
della società moderna e della fragilità della pace tra le nazioni, i
conflitti violenti rappresentano
oggi un pericolo ancora più grande che in precedenti periodi della storia. La guerra come strumento per la soluzione dei conflitti va assolutamente abolita. La
chiesa è chiamata a essere una
forza di giustizia, di riconciliazione, di pace.
— Il patto di Dio si estende al
di là degli attuali abitanti della
terra, è rivolto alle generazioni
future e a tutta la creazione. Perché l’umanità sopravviva è necessario che vengano riconosciuti i
diritti delle future generazioni e
Una delle varie « azioni simboliche » che si sono susseguite in vari
momenti dell'assemblea.
7
11 maggio 1990
Il documento finale
Affermazioni sulia giustizia,
la pace e la salvaguardia
del creato
Introduzione
In questo mondo contrassegnato dall'ingiustizia., dalla violenza
e dal degrado dell’ambiente noi vogliamo riaffermare il patto di Dio,
che è rivolto a tutti e ha in sé la promessa di una vita piena e
fondata su giusti rapporti. Rispondendo al patto di Dio, noi professiamo la nostra fede nel Dio Trinitario che è la fonte stessa della
comunione.
La nostra risposta al patto, oggi, ci conduce a fare le seguenti
affermazioni su problemi urgenti che pongono in gioco la giustizia.,
la pace e la salvaguardia del creato. Esse rappresentano ferme convinzioni, nate da lunghi anni di dialogo e di battaglie ecumeniche.
Facciamo queste affermazioni come cristiani consapevoli che
molti, appartenenti a fedi e ideologie diverse, condividono queste
preoccupazioni e sono guidati dai toro particolari modi di intendere
la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. Con essi noi cerchiamo pertanto dialogo e collaborazione, guidati dalla visione del
nuovo futuro necessario alla sopravvivenza del nostro pianeta.
Possiamo fare queste affermazioni soltanto riconoscendo i nostri difetti e le nostre mancanze, e rinnovando il nostro impegno
nei confronti della realtà del regno di Dio. Questo significa resistere
nei pensieri, nelle parole e nelle azioni alle forze della separazione
e della distruzione, e vivere in solidarietà attiva con chi soffre.
Affermazione I
Affermiamo che di ogni forma
di esercizio del potere va reso
conto a Dio.
I] mondo appartiene a Dio.
Pertanto tutte le forme umane
di potere e di esercizio umano
deH’autorità dovrebbero essere
di servizio ai fini di Dio nel mondo e di esse si risponde al popolo, a beneficio del quale sono
esercitate. Coloro che detengono
il potere — economico, politico,
militare, sociale, scientifico, culturale, legale, religioso — devono essere servitori della giustizia e della pace di Dio. In Cristo la potenza di Dio si manifesta nella sofferenza redentrice,
come amore misericordioso che
si identifica con l’umanità avvilita e sofferente. Questo abilita
tutti a proclamare il messaggio
di liberazione, amore e speranza che offre una vita nuova, a
opporsi all’ingiustizia e a lottare
contro le forze della morte.
— Affermiamo quindi che tutte le forme umane di potere
c di esercizio umano dell’autorità sono sottoposte a Dio
e che di esse si risponde al
popolo. Questo significa che
il popolo ha diritto a una piena partecipazione. In Cristo,
Dio ha rivelato in maniera
definitiva il significato del potere come amore misericordioso che prevale sulle forze
della morte.
— Ci opporremo a qualsiasi
esercizio del potere e dell'autorità che cerchi di monopolizzare il potere, impedendo
così processi di trasformazione che mirino alla giustizia,
alla pace e alla salvaguardia
del creato.
— Ci impegniamo a sostenere
il potere costruttivo dei movimenti Popolari nella loro lotta a favore della dignità umana e della liberazione, e per
forme di governo e strutture
economiche giuste e fondate
sulla partecipazione.
Affermazione II
-Affermiamo la scelta di Dio a
favore dei poveri.
I poveri sono tutti gli sfruttati e gli oppressi. La loro povertà non è accidentale. E’ molto
spesso il risultato di politiche intenzionalmente decise che si risolvono in una sempre maggiore accumulazione di ricchezza e
potere. L’esistenza della povertà
è uno scandalo e un crimine. E’
una bestemmia dire che è la volontà di Dio. Gesù è venuto perche tutti « abbiano la vita, una
vita vera e completa » (Giov. 10:
IO). Nella sua morte e resurrezione Cristo smascherò, c con
questo sconfisse, le forze che negano ai poveri il loro diritto a
una vita completa (Luca 4; 1621). Dio esprime una scelta preferenziale a favore dei poveri.
La gloria di Dio si riffette nel
povero che gode di una vita completa (arcivescovo Romero). Nel
le grida dei poveri udiamo la
voce di Dio che ci sfida.
Coloro che la società tratta come « i minimi » sono descritti
da Gesù come sue sorelle e suoi
fratelli (Matteo 25: 31-46). Noi
sosteniamo la necessità di servizi diaconali e di risposta urgente alle emergenze, ma riconosciamo che nel nostro tempo
non si può rispondere ai bisogni dei « minimi » senza trasformare in maniera fondamentale
l’economia mondiale con modificazioni strutturali. La carità e
i programmi di aiuto non possono bastare a rispondere ai bisogni e a proteggere la dignità
dei più poveri del mondo, miliardi di persone, in maggioranza
donne e bambini. La soluzione
della crisi del debito può essere trovata solo per mezzo di un
ordine economico mondiale giusto ed equo e non con palliativi
come la rinegoziazione dei debiti.
— Affermiamo la scelta preferenziale di Dio a favore dei
poveri e dichiariamo che il
nostro dovere come cristiani
è di fare nostra l’azione di
Dio nelle lotte dei poveri nella liberazione di noi tutti.
— Ci opporremo a tutte le
forze, le politiche e le istituzioni che creano e perpetuano la povertà o Faccettano
come inevitabile e ineliminabile.
— Ci impegniamo ad affiancarci alle organizzazioni e agli
sforzi volti a ottenere l’eliminazione dello sfruttamento
e dell’oppressione.
Affermazione III
Affermiamo la pari dignità di
tutte le razze e di tutti i popoli.
In Gesù Cristo tutti, quale sia
la loro razza, casta o origine etnica, sono riconciliati con Dio
e gli uni con gli altri. L’ideologia del razzismo e la pratica della discriminazione sono un rifiuto della ricchezza c varietà del
disegno di Dio per il mondo e
una violazione della dignità della personalità umana. Ogni forma di razzismo — sia esso individuale, collettivo o di sistema — deve essere definito peccato e la sua giustificazione eresia.
Respingiamo il pervertimento
del linguaggio dei diritti umani
c dei popoli ai fini di un’affermazione di cosiddetti « diritti di
gruppo », un’affermazione che
nroduce divisione e cerca non di
liberare ma di mantenere lo
sfruttamento economico e il privilegio di potenti minoranze.
Pertanto, rammentando il patto di Dio che dichiara « Tutte
le famiglie della terra sono mie »:
— Affermiamo che gli appartenenti a ogni razza, casta o
gruppo etnico hanno pari dignità. Nella diversità stessa
fiche loro culture e tradizioni
essi riflettono la ricca pluralità del creato di Dio.
— Ci opporremo alla negazio
ne dei diritti degli esseri
umani appartenenti a gruppi
razziali, etnici, di casta o indigeni sfruttati e oppressi. Ci
opporremo a ogni tentativo,
da parte di culture e gruppi
dominanti, di negare loro identità culturale, piena cittadinanza ed eguale accesso
al potere economico, sociale,
politico ed ecclesiale. Ci opporremo all’oppressione e allo sfruttamento di donne e
bambini, i più dolorosamente colpiti.
— Ci impegniamo pertanto ad
agire contro le forze del razzismo, del pregiudizio etnico
e di casta, e ad essere solidali con chi ne è vittima e con
le sue lotte.
Affermazione IV
Affermiamo che l’uomo e la
donna sono stati creati a immagine di Dio.
Dio creò l'uomo e la donna a
Sua immagine (Gen. 1: 27). Questa creazione a immagine di Dio
è la base di un rapporto dinamico tra donne e uomini per la
trasformazione della società. Cristo ha affermato il valore delle
donne come persone e il loro
diritto a una vita di dignità e
pienezza. Donne e uomini, come
nuove creature in Cristo (2 Cor.
5: 17), devono operare insieme
per un mondo nel quale tutte
le forme di discriminazione siano eliminate. Pertanto, nel ricordare il patto di Dio:
— Affermiamo il potere creativo dato alle donne di battersi per la vita ovunque sia
la morte. Nella comunità di
Gesù le donne trovano accettazione e dignità: con esse
egli ha condiviso l’imperativo
di recare la buona novella.
— Ci opporremo alle strutture patriarcali che perpetuano la violenza contro le donne nella casa e in una società che ha sfruttato il loro lavoro e la loro sessualità. In
questo contesto volgiamo particolare attenzione alle donne
più vulnerabili, quelle che sono povere e/o nere, Dalit (intoccabili, n.d.t.), membri di comunità indigene, rifugiate, lavoratrici emigrate e appartenenti ad altri gruppi oppressi. Ci opponiamo a tutte le
strutture di dominio che escludano i contributi teologici e spirituali delle donne e
rifiutino la loro partecipazione ai processi decisionali nel
II pastore Gottfried Forck, vescovo di Berlino-Brandenburgo.
la chiesa e nella società.
— Pertanto, incoraggiati dalla perseveranza delle donne
nelle loro lotte per la vita,
in tutto il mondo, ci impegniamo a cercare le vie da
seguire per realizzare una
nuova comunità di donne e
di uomini.
Affermazione V
.Affermiamo che la verità è il
fondamento di una comunità di
uomini liberi.
Gesù Cristo visse una vita
aderente alla verità. Vivendo la
verità di Dio entrò in conflitto
con i valori e i poteri della società. Comunicò il suo messaggio
di verità al popolo, insegnando e
predicando con semplicità di linguaggio, di immagini e di esempi.
La capacità e possibilità di co
municare e apprendere sono tra
i più grandi doni di Dio. Mettono in rapporto e uniscono gli individui in comunità e le comunità nell’unica grande famiglia umana. La comunicazione e l’educazione al servizio della giustizia,
della pace e della salvaguardia
del creato hanno una responsabilità impressionante per il futuro.
« Queste son le cose che dovete
fare: dite la verità ciascuno al
suo prossimo; fate giustizia, alle
vostre porte, secondo verità e
per la pace » (Zac. 8: 16).
Qggi nuove tecnologie offrono
la possibilità di una più diffusa
comunicazione ed educazione
per tutti. Al tempo stesso il cattivo uso che se ne fa mette in
pericolo le finalità vere della comunicazione e dell’educazione. Ci
troviamo di fronte a ignoranza,
analfabetismo, propaganda, disinformazione e menzogne. Pertanto, ne] rispondere al Dio di verità che ci fa liberi;
— Noi affermiamo che l’accesso alla verità, all’educazione,
all’informazione e ai mezzi di
comunicazione è un fondamentale diritto umano. Tutti hanno il diritto di ricevere un’educazione, di parlare con voce
propria, di esprimere le proprie convinzioni e credenze, di
essere ascoltati da altri e di
avere la possibilità di disingue il vero dal falso.
— Ci opporremo a ogni politica che neghi la libertà d’espressione; che incoraggi la concentrazione dei mezzi di comunicazione nelle mani dello stato
o di potenti monopioli economici; che tolleri la diffusione
del consumismo, del razzismo,
del sessismo, dello sciovinismo in tutte le sue forme,
dell’intolleranza religiosa e
dell’inclinazione alla violenza,
e che consenta la crescita dell’analfabetismo e la riduzione
delle strutture educative in
molti paesi. Questo vale per
ogni settore della chiesa e della società.
— Ci impegniamo a creare
strumenti che permettano ai
dimenticati e ai vulnerabili di
imparare, e a chi è costretto
al silenzio a farsi udire. Ci adopereremo per far sì che la verità, inclusa la Parola di Dio
e una corretta presentazione
di altre fedi, sia comunicata
attraverso i media moderni in
maniera immaginativa, profetica, affrancante e rispettosa.
Affermazione VI
Affermiamo la pace di Gesù Cri
sto.
L’unica base possibile di una
pace duratura è la giustizia (Is.
32: 17). La visione profetica della pace nella giustizia è questa:
« Delle loro spade fabbricheranno vomeri, delle loro lance, roncole; una nazione non leverà più
la spada contro l’altra e non impareranno più la guerra. Sederanno ciascuno sotto la sua vigna e sotto il suo fico, senza che
alcuno li spaventi; poiché la bocca dell’Eterno ha parlato ».
Gesù ha detto; « Beati quelli
che s’adoperano alla pace » e
« amate i vostri nemici ». La
chiesa come comunità del Cristo
crocifisso e risorto è chiamata
a un ruolo di riconciliazione nel
mondo. Dobbiamo capire cosa
comporti l’adoperarsi per la pace: una consapevole accettazione della vulnerabilità.
In Gesù Cristo Dio ha spezzato le catene dell’ostilità tra nazioni e popoli, e oggi ancora ci
offre il dono della pace nella
giustizia. Non c’è ferita, ostilità
o peccato che sia fuori della
portata della pace che supera ogni comprensione. Per la fede
biblica la vera pace significa che
ogni essere umano vive in un sicuro rapporo con Dio, il vicino,
la natura e se stesso.
La giustizia di Dio consiste
nel proteggere «i minimi» (Matteo 25: 31-46) e i più vulnerabili
(Deut. 24). Dio è il difensore del
povero (Amos 5).
Non può esserci pace senza
giustizia. E questa pace non può
essere raggiunta né garantita a
mezzo di dottrine di sicurezza
nazionale di anguste vedute,
perché la pace è indivisibile. La
vera sicurezza dev’essere basata
sulla giustizia per tutti, specialmente per chi è più soggetto al
rischio, e sul rispetto per l’ambiente.
— Affermiamo il significato
pieno della pace di Dio. Siamo
chiamati a cercare ogni mezzo
possibile per stabilire la giutizia, raggiungere la pace e
risolvere i conflitti con una
nonviolenza attiva.
— Ci opporremo a dottrine
della sicurezza basate sull’uso o Sulla minaccia delle armi di distruzione di massa,
alle invasioni, agli interventi e le occupazioni militari, e
a dottrine della sicurezza nazionale che mirino a controllare e soffocare il popolo per
salvaguardare i privilegi di
pochi.
— Ci impegniamo a praticare
la nonviolenza in tutti i nostri rapporti personali, a operare perché la guerra come
mezzo legalmente riconosciuto per la soluzione dei conflitti venga bandita, e a fare
pressione sui governi perché
si istituisca un ordine legale
internazionale che operi per
la pace.
Affermazione VII
Affermiamo che il creato è amato da Dio
Come Creatore, Dio è la fonte
e il sostegno del cosmo intero.
Dio ama la creazione; le sue vie
misteriose, la sua vita, il suo dinamismo, tutto riflette la gloria
del suo Creatore. L’opera di riconciliazione di Dio in Gesù Cristo riconcilia tutte le cose e ci
chiama all’opera risanatrice dello Spirito in tutto il creato. Poiché il creato è di Dio e la bontà
di Dio permea tutto il creato,
noi crediamo che la vita sia sacra. La vita nel mondo, e così
nelle sue generazioni presenti e
future, è oggi in pericolo perché l’umanità è venuta meno
all’amore per la terra vivente
e perché i ricchi e i potenti
l’hanno saccheggiata come se
essa fosse stata creata per soddifare mire egoistiche. Le dimensioni della devastazione possono ben essere irreversibili e
ci costringono quindi ad agire
con urgenza.
Per secoli si è fatto un cattivo uso di affermazioni bibliche,
come « avere dominio » e « sottomettere la terra », per giustificare azioni distruttive nei confronti dell’ordine creato. Nel
pentirci di questa violazione
noi accettiamo l’insegnamento
biblico secondo il quale l’umanità, creata a immagine di Dio,
ha la responsabilità specifica di
un servizio che riflette l’amore
creatore e vivificante di Dio, dedito alla cura del creato e che
viva in armonia con esso.
— Affermiamo che il mondo,
in quanto opera della mano
di Dio, ha una propria inerente integrità; che la terra,
l’acqua, l’aria, le foreste, le
montagne e tutte le creature,
inclusa l’umanità, sono «buone » agli occhi di Dio. L’integrità del creato ha un aspetto sociale, che riconosciamo
nella pace con giustizia, e un
aspetto ecologico che riconosciamo nel carattere di autorinnovamento, di capacità di
sussistenza degli ecosistemi
naturali.
— Ci opporremo alla pretesa
che tutto, nel creato, sia solamente risorsa a disposizione dello sfruttamento umano; all’estinzione di qualsiasi altra specie a benefìcio dell’uomo; al consumismo e a
una nociva produzione di
massa; all’inquinamento della terra, ddl’aria e dell’acqua; a tutte le attività umane che stanno oggi conducendo a probabili, rapidi mutamenti de] clima; a politiche
e progetti che coatribuiscascano alla disintegrazione del
creato.
Ci impegniamo pertanto a
essere al tempo stesso membri della comunità vivente
del creato, di cui siamo semplicemente una specie, e mem
(continua a pag. 8)
8
8
Il documento finale
Il maggio 1990
(segue da pag. 7)
bri della comunità del Patto
di Cristo; in ogni cosa collaboratori di Dio, tenuti alla responsabilità morale di rispettare i diritti delle generazioni future, e di salvaguardare
rintegrità del creato e di adoperarci per essa, sia per il
suo valore intrinseco sia perché sia possibile realizzare e
mantenere la giustizia.
Affermazione Vili
Affermiamo che la terra appartiene al Signore.
La terra e l’acqua forniscono
la vita all'umanità — anzi a tutto ciò che vive — oggi e per il
futuro. Ma milioni di persone
sono private della terra e soffrono a causa dell’inquinamento
dell’acqua; la loro cultura, la loro spiritualità e la loro vita vengono distrutte. Popoli indigeni e
storici custodi della propria terra hanno subito e continuano a
subire in modo particolare una
azione di separazione oppressiva dalla propria terra a opera
di politiche governative, di violenza, furto e inganno e di genocidio culturale e fisico. Essi attendono l'adempimento della
promessa secondo la quale i
mansueti erediteranno la terra.
Quando c’è giustizia nella terra
i campi e le foreste e ogni cosa vivente si rallegreranno e festeggeranno (Salmo 96: 11-12).
Pertanto:
— Affermiamo che la terra
appartiene a Dio. L’uso del
suolo e dell’acqua da parte
dell’uomo dovrebbe permettere alla terra di ricostituire
con regolarità la sua capacità
di riproduzione salvaguardandola e procurando spazio alle sue creature.
Ci opporremo a ogni politica che consideri la terra un
semplice bene commercializzabile, che permetta la speculazione a spese dei poveri,
che scarichi rifiuti velenosi
nella terra e nell’acqua, che
incoraggi lo sfruttamento, una
distribuzione non equa e la
contaminazione della terra e
dei suoi prodotti, o che impedisca a chi vive direttamente della terra di esserne il vero gestore.
— Ci impegniamo a essere solidali con le comunità indigene che si battono per la
propria cultura e spiritualità,
per i propri diritti sulla terra
e il mare, con contadini e agricoltori poveri che chiedono
la riforma agraria e con i lavoratori agricoli stagionali, e
ad avere rispetto per lo spazio ecologico di altre creature viventi.
Affermazione IX
Affermiamo la dignità e l’impegno delle giovani generazioni.
Gesù ha attivamente sostenuto
la dignità delle giovani generazioni. Il suo avvertimento che
se non diveniamo simili a piccoli fanciulli non potremo entrare nel regno di Dio (Luca 18: 17)
e l’invito rivolto da Paolo a Timoteo di non permettere che
nessuno disprezzi la sua giovinezza (I Timoteo 4: 11), implica
una sfida alla società perché costruisca comunità umane che con
meraviglia e curiosità, gioia e
vulnerabilità, con cuore, anima e
corpo assicurino la continuità
delle generazioni nell’amore di
Dio. La povertà, l’ingiustizia e
la crisi del debito, la guerra e
il militarismo colpiscono duramente i bambini disorganizzando le famiglie, costringendoli a
lavorai-e in giovane età per sopravvivere, infliggendo loro la
malnutrizione e il pericolo stesso della morte. Milioni di bambini, e particolarmente di bambine, non conoscono la sicurezza che permetterebbe loro di godere la fanciullezza. L’aumento
della disoccupazione, specialmente tra i giovani, crea di.sperazione. Pertanto:
— Affermiamo la dignità dei
bambini, che deriva dalla loro particolare vulnerabilità e
dal loro bisogno di amore;
il ruolo creativo, di sacrificio,
che i giovani hanno nella costruzione di una società nuova, e riconosciamo il loro diritto ad avere una voce profetica nelle strutture che influiscono sulla loro vita e la
loro comunità;
i diritti e i bisogni delle giovani generazioni come elementi fondamentali nella definizione delle priorità educative
e dello sviluppo.
— Ci opporremo a ogni politica o autorità che violi i diritti delle giovani generazioni,
e che le offenda e le sfrutti.
Il diritto umano dell’obiezione di coscienza va pienamente rispettato.
— Ci itnpegniamo ad assolvere la nostra responsabilità di
appoggiare i giovani nella loro lotta per la propria realizzazione, la partecipazione e
una vita di speranza e di fede, e a creare condizioni che
permettano a tutti i bambini di vivere con dignità, grazie alle quali vecchi e giovani si scambino le rispettive
esperienze e imparino a vivere gli uni dagli altri.
Affermazione X
Affermiamo che i diritti umani sono un dono di Dio.
C'è un rapporto inscindibile
tra la giustizia e i diritti umani. I diritti umani scaturiscono
dalla giustizia di Dio che raggiunge con azioni concrete di liberazione dall’oppressione un popolo ridotto in schiavitù, emarginato e sofferente (Es. 3: 7). Riconosciamo con contrizione che
come chiese non siamo stati certo in prima fila nella difesa dei
diritti umani, e che molte volte
con la nostra teologia abbiamo
giustificato la loro violazione.
Il termine « diritti rnnani » va
inteso chiaramente come qualcosa che si riferisce non soltanto
ai diritti individuali ma anche
ai diritti collettivi, sociali ed economici dei popoli (indipendentemente da eventuali impedimenti di partenza), come il diritto alla terra e alle sue risorse, all’identità etnica e razziale
e all’esercizio della libertà religiosa e politica. Il diritto alla
sovranità e all’autodeterminazione, perché i popoli possano elaborare i propri modelli di sviluppo e vivere liberi dalla paura e dalla manipolazione, è im
fondamentale diritto umano e va
rispettato, come va rispettato il
diritto delle donne e dei bambini a una vita libera dalla violenza, nella casa e nella società.
— Affermiamo che i diritti
umani sono un dono di Dio
e che la loro promozione e
protezione sono essenziali per
la libertà, la giustizia e la pace. La difesa e la protezione
dei diritti umani hanno bisogno di un sistema giudiziario indipendente.
— Ci opporremo a tutte le
strutture e ai sistemi che violino i diritti umani e neghino agli individui e ai popoli
la possibilità di realizzare appieno le proprie capacità potenziali; ci opponiamo in particolare alla tortura, alle sparizioni, alle esecuzioni extragiudiziarie e alla pena di moi*.
te.
— Ci impegniamo ad azioni
di solidarietà a favore delle
organizzazioni e dei movimenti che operano per la promozione e la protezione dei diritti umani; ci adopereremo affinché i diritti umani siano
adottati e pienamente applicati, con l’istituzione di stmmenti efficaci.
— Ci impegniamo inoltre a
lavorare per la piena integrazione sociale delle persone disabili nelle nostre comunità,
con il ricorso a tutti i mezzi
possibili, inclusa l’eliminazione delle barriere economiche,
religiose, sociali e culturali,
garantendo in particolare l’accesso a edifici, alle fonti di
documentazione e informazione ed eliminando gli ostacoli
che impediscono a queste persone di partecipare in pieno
alla vita delle nostre comunità.
La solidarietà del Patto
Introduzione
1 - Le affermazioni che precedono sono parte della nostra rinnovata risposta al
patto di Dio. Esse rappresentano l’indirizzo di base che il
nostro impegno alla giustizia, alla pace e alla salvaguardia del creato deve seguire. Ma la nostra risposta
al patto di Dio deve andare
oltre il generale rinnovo dell’impegno implicito in queste
affermazioni; esso deve condurre a un’azione concreta,
scaturente dalla rinnovata fedeltà al patto.
2 - Il « Patto » che segue
fornisce esempi dell’azione
fedele oggi necessaria per sanare il degrado e la violazione della vita e la divisione
delle nostre comunità. Essi
traducono la risposta al patto di Dio in iniziative di impegno reciproco all’interno
della comunità del patto. La
creazione di vincoli di solidarietà relativi a questioni e
preoccupazioni specifiche, di
reti di comunicazione e di appoggio, rappresenta oggi la
più urgente priorità d’azione.
Questo sottolinea il fatto che
la risposta umana al patto di
Dio è un atto comunitario.
3 - Le cause e le conseguenze dell’ingiustizia, della violenza e della distruzione dell’ambiente sono strettamente
intrecciate, anche nel modo
in cui investono la vita degli
esseri umani. La nostra azione deve quindi assumere forme che riflettano questa interconnessione, e questo è un
aspetto importante della solidarietà del patto che tra noi
stringiamo. Il secondo aspetto è questo; la nostra solidarietà del patto si volge a Dio
nel segno del pentimento e
dell’obbedienza e si volge
verso l’umanità sofferente e
Tambiente ferito, per cui si
può dire che la dimostrazione vera della sua realtà sia
data dal modo in cui noi sentiamo di dover rendere conto ai poveri e gli oppressi e
all’intero creato.
4 - Nel far confluire in
un’unica lotta i tre punti base, pace, giustizia e salvaguardia del creato, occorre
tener conto dèi fatto che la
povertà, la mancanza di pace
e il degrado dell’ambiente sono manifestazioni delle molte dimensioni di una sofferenza che ha le sue radici in
più generali strutture di dominio, come il razzismo, il
sessismo, il predominio di casta e di classe, presenti in
forme diversificate e insidiose in tutte le situazioni di
sofferenza. Nel porre una comune visione di speranza a
fondamento delle nostre azioni di lotta in questo campo, noi dovremmo pertanto
tenere seriamente conto delle
prospettive di coloro che sono razzialmente oppressi e
culturalmente dominati, e
anche di altri tipi di analisi,
come le prospettive femministe delle cause e degli effetti
della povertà, della violenza
Frank Chikane con il segretario del CEC, Emilio Castro.
e dell’uso scorretto del creato.
5 - Per questo specifico
« Patto » sono state scelte
quattro aree, come esempi
dell’urgente azione comunitaria oggi necessaria. Esse
esprimono un concreto impegno a operare;
— per un ordine economico
giusto e per la liberazione
dalla schiavitù della crisi
del debito;
— per una vera sicurezza
per tutte le nazioni e tutti i popoli;
— per preservare il dono
dell’atmosfera della terra
che alimenta e sostiene la
vita del mondo;
— per estirpare, per tutti, il
razzismo e la discriminazione a livello nazionale e
internazionale.
6 - Queste quattro aree sono state scelte perché rappresentano questioni di portata
mondiale e perché sono chiaramente interconnesse sia all’origine che nelle loro manifestazioni. Tutte e quattro
esigono un’azione urgente, se
vogliamo affrontare in termini concreti, in questo tempo
di crisi, i temi della giustizia,
della pace e della salvaguardia del creato. Ma non esauriscono assolutamente la nostra risposta al patto di Dio
e la nostra solidarietà nel
patto. Al centro del nostro
sforzo collettivo sta la necessità di riconoscere le barriere e le forme di oppressione
che ci dividono e di operare
perché razzismo e sessismo
siano interamente estirpati
in tutte le nostre società.
7 - Questo quadruplice patto rappresenta un impegno
che i delegati alla Convocazione mondiale sulla giustizia, la pace e la salvaguardia
del creato hanno accettato in
solidarietà gli uni con gli altri. Abbiamo solennemente
confermato questo impegno
davanti a Dio nella cerimonia liturgica della Convocazione. E abbiamo con questo
collocato il nostro « Patto »
nel contesto del patto di Dio.
Ma non si tratta di un’iniziativa fine a se stessa. Essa è intesa, piuttosto, come l’inizio
di un processo che si muove
oltre i partecipanti alla Convocazione e si apre a tutte le
chiese, le congregazioni e i
movimenti cristiani e oltre
ancora, a tutti coloro che lottano per la giustizia, la pace
e l’integrità del creato, quali
che siano le loro convinzioni
religiose o ideologiche. Questo « Patto » è quindi uno
schietto invito a entrare in
questa rete di reciproco impegno nell’azione.
8 - In questo processo di
ricezione e di conferma le direttrici dell’azione vanno adattate alle circostanze di
fatto, e questo può condurre
a cambiamenti. Ciò che è importante è l’interconnessione
e la reciprocità delle azioni,
non la loro adozione di metodi identici. Il patto qui presentato è un esempio che fornisce un quadro di riferimento. Altri patti imperniati su
questioni più specifiche hanno già preso forma durante
la Convocazione, e di essi è
stata resa testimonianza nella cerimonia conclusiva.
9 - L’emergente rete ecumenica di vincoli di solidarietà ha bisogno di una certa
struttura di supporto. Questa Convocazione confida che
il Consiglio ecumenico delle
chiese vorrà fornire gli strumenti tecnici necessari a
mandare avanti ed estendere
questo processo. Il Cec è sorto da un patto sottoscritto
dalle chiese alla prima Assemblea del 1948. Ha descritto la sua vocazione come un
« sodalizio nell’impegno ». I
patti che noi proponiamo si
concludono quindi con un
appello al Cec perché faccia
ufficialmente proprio questo
processo ecumenico per un
patto di giustizia, pace e salvaguardia del creato, e ne garantisca la continuità alla
sua prossima settima .Assemblea.
Un’urgente richiesta a questo riguardo tocca le celebrazioni del 500" anniversario
della colonizzazione delle
Americhe. Il Cec dovrebbe
occuparsi di questa complessa questione e dedicarsi a essa in maniera approfondita
in modo che nella sua prossima seduta il Comitato centrale del Cec possa approntare un documento adeguato e
un possibile patto per l’Assemblea generale del Cec a
Canberra nel 1991.
9
11 maggio 1990
Il documento finale
TRA PENTIMENTO E PERDONO
IL PATTO
Noi, partecipanti alla Convocazione mondiale su Giustizia, pace e salvaguardia del creato, tenutasi a Seoul nel mese di marzo 1990,
sottoscriviamo i patti che qui seguono, e ci impegniamo a presentarli e a sollevare i problemi
della loro applicazione pratica all’interno delle
nostre chiese, e a riferirne alla settima assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese (Canberra, febbraio 1991).
RICORDANDO che il patto di Dio, che è
giustizia e pace, abbraccia tutto il creato.
PROFESSANDO la nostra fede nelle divine
promesse di giustizia e pace sulla'terra intera.
PENTITI di esserci allontanati dal patto
di Dio per la giustizia, la pace e la salvaguardia
del creato.
RINUNCIANDO a tutti gli idoli della ricchezza, del potere, di razza e di superiorità di
genere a causa dei quali l’umanità soffre e la
terra viene dominata, saccheggiata e distrutta.
CELEBRANDO la giustizia e la pace di
Dio e il mistero della creazione di Dio.
APRENDO la nostra vita per rispondere
con fedeltà al patto di Dio con tutte le creature
viventi, anzi con la terra intera, sottoscriviamo
i seguenti Patti:
Israeliani e palestinesi si impegnano per un patto di pace.
I. Per un giusto ordine economico per tutti a livello locale, nazionale e internazionale: per la liberazione dalla schiavitù del debito
estero che pesa sulla vita di centinaia di milioni di persone... Ci
impegniamo a operare e a impegnare le nostre Chiese a operare
1 - Per politiche e sistemi economici che riflettano il fatto che
uomini e donne vengono prima di
ogni altra cosa.
Questa condizione basilare implica che;
1.1 - I sistemi economici esistono per l’umanità, e non il contrario.
1.2 - 11 principio organizzativo
basilare è l’assunzione di potere e
la partecipazione popolare.
1.3 - L’idolo del materialismo
va sostituito dal rispetto per gli
esseri umani, per le altre creature
e per l’ambiente.
1.4 - Le economie ricche dovrebbero accettare limiti alla propria crescita in modo che le risorse possano essere messe a disposizione di una produzione che mi7i a soddisfare i bisogni fondamentali di tutti.
1.5 - Nessun individuo dovrebbe accrescere la propria ricchezza
a spese altrui.
1.6 - Le politiche economiche e
sociali vanno fondate sulla giustizia per tutti, indipendentemente
dalla razza, dal sesso o dalla casta, e non continuare con programmi frammentari di carità paternalistica.
1.7. - Le politiche economiche e
sociali vanno fondate sulla partecipazione e l’assunzione di potere
da parte del popolo, a tutti i livelli, invece di sfruttare gli individui come consumatori e fattori di produzione.
1.8 - Le politiche economiche
devono riflettere la priorità della
giustizia per tutti sul guadagno
finanziario.
1.9 - La parità di accesso per
tutti all’educazione e a un’occupazione valida con occasioni preferenziali a favore di quanti siano
discriminati per ragioni di razza,
casta e sesso, va considerato il
fondamento indispensabile di una
economia giusta.
1.10 - Deve essere abolito l’ingiusto sistema economico che costringe donne e spesso anche bambini e uomini a prostituirsi e adattarsi ad altre attività deU’industria
del sesso per sfamare se stessi e le
proprie famiglie.
1.11 - Le scelte economiche e
politiche devono essere determinate dai bisogni fondamentali di una
società e dei suoi membri c non
dai valori e dagli interessi economici di grandi corporazioni transnazionali e di istituzioni monetarie internazionali come il Fondo
monetario internazionale e la Banca mondiale.
1.12 - Dobbiamo mirare a stabilire il principio che governi, organismi internazionali, grandi
compagnie transnazionali e altre
organizzazioni come le chiese e
istituzioni legate alle chiese devono rendere conto a tutti, e specialmente a coloro che sono colpiti in
maniera negativa da determinate
politiche economiche.
1.13 - Che dobbiamo individuare le cause della struttura del sessismo che fa delle donne e dei
bambini le vittime principati della
povertà e operare per abolirle.
1.14 - 11 valore economico del
lavoro delle donne va riconosciuto e debitamente valutato.
1.15 - Dobbiamo cercare attivamente un sistema di valori fondamentalmente nuovo fondato sulla giustizia, la pace e la salvaguardia del creato che serva da guida,
alle scelte politiche ed economiche.
2 - Per l’applicazione di questi principi nelle scelte e nella pratica delle chiese e delle istituzioni
a esse collegate.
Questo implica, tra le altre cose,
che:
2.1 - Le chiese devono ribadire
che l’attività economica, al pari
di ogni altra dimensione della vita
umana, è sottoposta al giudizio di
Dio.
2.2 - Le chiese devono riconoscere la necessità di liberarsi della
loro complicità con sistemi economici ingiusti e riconoscere il
ruolo fondamentale svolto dai
movimenti popolari nella lotta per
la giustizia economica.
2.3 - Le chiese devono amministrare in spirito di servizio le loro entrate e i loro beni, come terreni, immobili e investimenti, ed
essere guidate nelle loro scelte da
un’opzione preferenziale a favore
dei popoli.
2.4 - Le chiese devono adottare
e applicare le linee direttive per
una distribuzione ecumenica delle
risorse elaborata in una consultazione ecumenica su questo argomento tenutasi all’Escorial nel
1987.
2.5 - Le chiese devono appoggiare sistemi alternativi di produzione, di commercio, bancari e
creditizi fondati sulla giustizia, la
pace e la salvaguardia del creato,
e devono aumentare i loro investimenti nella società cooperativa
ecumenica per lo sviluppo di almeno il 50% nei prossimi cinque
anni, dando così forma concreta
alla convinzione che la resa sociale degli investimenti ha la priorità rispetto alla resa finanziaria.
2.6 - Le chiese e le istituzioni a
esse collegate devono lanciare
"campagne per l’alfabetizzazione
economica” al line di educare tutti al funzionamento delle politiche
e dei sistemi economici.
2.7 - Le chiese parteciperanno
attivamente in campagne per la riduzione del carico del debito commerciale, con la cancellazione totale o almeno del 50% dei debiti
governativi.
2.8 - Le chiese devono appoggiare e partecipare attivamente al
programma del Cec, ’’Un decennio ecumenico di solidarietà delle
chiese a favore delle donne (19881998)’’ e agevolare le iniziative di
collegamento tra le donne.
3 - Per la liberazione dalla
schiavitù del debito estero e per
una giusta struttura del sistema
finanziario internazionale, che influisce sulla vita di centinaia di
milioni di persone.
Questo implica, tra le altre cose,
che:
3.1 - Il sistema finanziario internazionale sia ristrutturato sulla
base dei principi di una generale e
diretta responsabilità, di un’equa
distribuzione e di una giusta mercede per i lavoratori.
3.2 - Le politiche commerciali
internazionali siano basate su una
giusta mercede per i lavoratori e
un equo prezzo per tutte le merci, e che l’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (Gatt)
debba conformarsi a questi principi.
3.3-1 ricchi debbono partecipare ai costi delle politiche correttive necessarie per eliminare gli
intollerabili carichi del debito che
gravano sui poveri.
3.4 - Vadano ricercate con urgenza soluzioni praticabili e durature della crisi del debito, prendendo atto del fatto che essa mantiene in condizioni di servaggio intere economie, è uno strumento di
dominazione straniera, peggiora le
condizioni economiche di donne,
bambini e di altri gruppi emarginati, ignora il fatto che la ricchezza dei paesi del Nord nasce in larga misura dallo sfruttamento dei
paesi del Sud, impedisce il soddisfacimento di bisogni fondamentali, conduce alla distruzione dell’ambiente e costituisce una minaccia per la pace .
3.5 - Qccorre appoggiare le iniziative ispirate all’anno del giubileo, lanciate da diverse chiese, e
movimenti a favore della cancellazione del debito dei paesi poveri.
3.6 - Dobbiamo opporci a ogni
condizione alla cancellazione del
debito proposta da terzi, anche se
benintenzionati, e appoggiare soltanto condizioni richieste da organizzazioni popolari e organismi
ecumenici dello specifico paese
debitore.
3.7 - Qccorre appoggiare l’iniziativa per creare un Fondo ecumenico per combattere la crisi del
debito, al quale i beneficiari di
interessi potrebbero versare il
10% dei propri interessi, e che
sosterrebbe finanziariamente iniziative volte a denunciare le cause
e gli effetti della crisi internazionale del debito.
3.8 - Vanno denunciate le correnti politiche correttive che il
Fondo monetario internazionale impone alle nazioni indebidate perché esse causano una riduzione del cibo disponibile per
i poveri, accrescendo così la malnutrizione e la sottoalimentazione,
le malattie dovute alla fame e la
mortalità infantile.
II. Per una vera sicurezza di tutte le nazioni e i popoli
— Per la demilitarizzazione delle relazioni internazionali
— Contro il militarismo e le dottrine e i sistemi di sicurezza nazionale
— Per una cultura della nonviolenza come forza di cambiamento e di liberazione
Ci impegniamo a lavorare e a impegnare le nostre Chiese a operare
1 - Per una comunità di chiese
che affermino la loro identità di
corpo di Cristo recando testimonianza dell’amore liberatore di
Dio.
1.1 - Praticando la chiamata del
Signore all’amore per il nemico.
1.2 - Qperando per la pace con
giustizia per tutto il creato, terra,
acqua, spazio e aria e in cui la
violenza, compresa la violenza
strutturale, sia minimizzata.
1.3 - Allontanandoci dalla dottrina della guerra giusta, tradizionale in molte chiese, a favore della
dottrina di una pace giusta.
1.4. - Rinunciando a ogni giustificazione, teologica o d’altro tipo, dell’uso oppressivo e a fini di
minaccia della potenza militare,
vuoi con la guerra vuoi tramite altre forme di sistemi oppressivi di
sicurezza.
1.5 - Promuovendo attivamente una cultura della nonviolenza
grazie alla quale il razzismo sia
debellato e si affermi la pari dignità di tutte le razze.
1.6 - Edificando una nuova comunità di donne e di uomini che
sconfigga la violenza strutturale e
la discriminazione contro le donne.
1.7 - Testimoniando l’amore di
Cristo che significa, quando la fedeltà a Cristo entra in conflitto
con quella alla nazione, confessa
re che la prima è superiore alla
seconda e dichiarare di essere disposti a vivere senza la protezione
delle armi.
1.8 - Creando e coordinando ministeri della giustizia e della pace
che includano un servizio nonviolento globale e che possano fare
avanzare la lotta per i diritti umani e la liberazione ed essere utilizzati in situazioni di confitti, di
crisi e di violenza.
2 - Per una nozione globalizzante della sicurezza che tenga conto
degli interessi legittimi di tutte le
nazioni e di tutti i popoli. Questa
sicurezza comune deve nascere
dalla realizzazione di una pace
nella giustizia e include la difesa
del creato di Dio.
2.1 - Con l’istituzione di un ordine internazionale economico e
sociale che permetta a tutte le nazioni e a tutti i popoli di vivere in
dignità e senza paura.
2. - Attraverso il ripudio e il
superamento dello spirito, della logica e della pratica della deterrenza a mezzo di strumenti di distruzione di massa, il cui uso violerebbe il principio della Immunità dei
non combattenti.
2.4 - Attraverso il rafforzamento del ruolo di pacificazione delle
Nazioni unite e il riconoscimento
della giurisdizione della Corte internazionale di giustizia.
3 - Perché si fermi la militarizzazione, specialmente dei paesi del
terzo mondo.
3.1 - Con lo smantellamento dei
complessi industriali-militari e il
blocco del commercio e del trasferimento di armi.
3.2 - Con il ritiro di basi e truppe militari da paesi stranieri.
3.3 - Con l’opposizione alle dottrine della sicurezza nazionale delle strategie dei conflitti a bassa intensità e dei concetti di ’’guerra
totale’’ e di ogni altra forma di
destabilizzazione.
3.4 - Con l’istituzione e il rafforzamento di norme e istituzioni
democratiche che garantiscano la
giustizia e i diritti del popolo e
ne consentano la partecipazione
ai processi decisionali.
4 - Per la demilitarizzazione
delle relazioni internazionali e la
promozione di forme nonviolentc
di difesa.
4.1 - Con un impianto difensivo, non minaccioso e non offensivo delle misure di sicurezza e lo
sviluppo di una difesa su base eivile.
4.2 - Con la riduzione e la successiva abolizione di tutte le armi
atomiche e, finché esistono armi
nucleari, con un progressivo svi
(continua a pag. 10)
10
10 Il documento finale
Il maggio 1990
(segue da pag. 9)
luppo del controllo internazionale
e accurate misure di verifica.
4.3 - Con la riduzione e la limitazione degli armamenti convenzionali e l’eliminazione delle armi
chimiche e biologiche.
4.4 - Con la cessazione immediata di tutte le prove di armi nucleari e il blocco della proliferazione delle stesse tramite il rafforzamento del Trattato di non
proliferazione, facendo sì che gli
stati in possesso di armi nucleari
assolvano i loro obblighi di disarmo sanciti dal Trattato di non proliferazione.
4.5 - Con misure unilaterali di
disarmo e con misure e processi
bilaterali e multilaterali di disarmo.
4.6 - Con la prevenzione della
corsa agli armamenti nello spazio.
da realizzarsi assicurando l’osservanza del Trattato sui missili antibalistici.
4.7 - Denuclearizzando le marine da guerra di tutto il mondo e
incoraggiando gli stati a rifiutare
ospitalità a navi che non possono
dimostrare in maniera convincente
di non avere armi nucleari a
bordo.
5 - Per una cultura di nonviolenza attiva, mirata alla promozione della vita, nonviolenza che
non consiste nel ritirarsi di fronte
a situazioni di violenza e di oppressione ma è un modo di operare per la giustizia e la liberazione.
5.1 - Esprimendo e perseguendo
un’opzione preferenziale a favore
della soluzione pacifica dei conflitti.
5.2 - Appoggiando il diritto dell’obiezione di coscienza al servizio
militare e alle tasse destinate agli
armamenti e fornendo forme alternative di servizio per la pace e
di tassazione.
5.3 - Sconfiggendo la violenza e
particolarmente la diffusa violenza contro le donne e i bambini,
nell’educazione, nelle famiglie,
nelle scuole, sul lavoro e nei mezzi di comunicazione di massa.
5.4 - Opponendosi alla militarizzazione, particolarmente in quanto
essa colpisce le donne e i bambini
privandoli dei loro diritti umani,
della dignità e della salute.
5.5 - Riconoscendo e appoggiando le donne come costruttrici di
una cultura della nonviolenza e
protagoniste di una resistenza rionviolenta contro politiche di oppressione e di sfruttamento.
Seoul, cittcì dai diversi
volti. Questo è il villaggio
Olimpiadi del 1988.
olimpico per le
III. Per preservare il dono delVatmosfera terrestre che alimenta e
sostiene la vita del mondo
— Per costruire una cultura che sappia vivere in armonia con la
salvaguardia del creato
— Per combattere le cause dei cambiamenti distruttivi delVatmosfera che minacciano di sconvolgere il clima della terra e provocare vaste sofferenze
Ci impegniamo a operare e a impegnare le nostre Chiese a operare
1 - Per contribuire alla ricerca
di metodi che ci permettano di vivere in armonia con il creato di
Dio.
1.1 - Approfondendo la nostra
comprensione della Bibbia, riscoprendo vecchie tradizioni (per es.
l’insegnamento patristico sul creato) ed elaborando nuove indicazioni teologiche sul creato e sul
posto che l’umanità ha in esso
con la disponibilità ad imparare
dalle intuizioni dei popoli indigeni
e dei popoli di altre fedi e ideologie, oltre che dalla tradizionale
saggezza delle donne.
1.2 - Promuovendo nelle nostre
comunità ecclesiastiche una spiritualità che abbracci il carattere
sacramentale del creato e sfidi gli
atteggiamenti consumistici.
1.3 - Elaborando programmi
educativi che aiutino tutti ad adoperarsi per la salvaguardia del
creato e adottando nelle nostre
chiese uno stile di vita comunitario e metodi per l’uso delle risorse che esprimano e rafforzino un
sempre maggiore rispetto per il
creato di Dio.
1.4 - Lavorando insieme, a livello globale e locale, con ambientalisti, scienziati, attivisti sociali,
giovani, dirigenti politici, economisti e altri di diversa origine culturale, politica e religiosa che siano alla ricerca di modelli di società giusti, capaci di mantenere
l’equilibrio del creato. Questa collaborazione potrebbe manifestarsi
in molti modi, per esempio tramite la partecipazione delle chiese
alla ’’Giornata mondiale dell’ambiente”.
1.5 - Proteggendo e celebrando
il dono divino del creato dividendo le risorse della terra secondo
criteri che migliorino la vita di tutti, respingano consumi eccessivi,
promuovano modelli di riciclaggio, che forniscano abitazioni adeguate e adeguati mezzi di trasporto, forme sostenibili di produzione agricola e industriale, e soddisfino i bisogni fondamentali di
tutti.
1.6 - Rifiutando e combattendo
formulazioni gerarchiche che pongono una razza al di sopra di
un’altra, gli uomini al di sopra delle donne, o gli esseri umani al di
sopra dell’ambiente naturale, e accettando la responsabilità di una
continua autocritica, necessaria
per la costruzione di un mondo
più armonioso.
chiesta della loro sostituzione con
tecnologie alternative, e sollecitando una collaborazione internazionale che le rende disponibili, a
condizioni economiche eque, ai
paesi in via di sviluppo.
3.3 - Battendosi contro la distruzione delle foreste, preservando gli
ecosistemi forestali e incoraggiando il rimboschimento e l’introduzione di varietà adatte di piante,
e denunciando le ingiustizie e gli
atteggiamenti che alimentano la
distruzione delle foreste nel mondo.
3.4 - Rafforzando le misure governative volte ad accrescere l’efficienza della produzione di energia e del suo uso e a favorire il
contemporeneo trasferimento di
tecnologie ecologicamente valide
dai paesi industrializzati a quelli
in via di sviluppo, in modo che la
pressante necessità di un’adeguata
disponibilità energetica di questi
ultimi possa essere affrontata in
maniera sostenibile. A questo fine
appoggiamo l’istituzione, nel quadro delle necessarie misure governative, di una tassa sui combustibili fossili, soprattutto nei paesi
industrializzati.
3.5 - Promuovendo attivamente
l’individuazione in tutto il mondo
2 - Per partecipare agli sforzi
globali, locali e personali a favore
della salvaguardia dell’integrità e
della qualità atmosferica del mondo.
2.1 - Mantenendo noi stessi e le
nostre chiese informate sulla crisi in atto a causa dei danni inferti
all’equilibrio chimico dell’atmosfera e dai mutamenti dei modelli
climatici.
2.2 - Rispondendo agli avvertimenti della comunità scientifica,
alla saggezza dei popoli di tradizione tribale e a coloro che sono
più facilmente colpiti dai mutamenti climatici.
2.3 - Creando, tramite la collaborazione ecumenica, politiche e
programmi specifici che mobiliteranno i cristiani in tutto il mondo in campagne che mirino a salvare la stabilità dell’atmosfera.
2.4 - Partecipando a organismi
di collaboraione con altre chiese,
organizzazioni ambientalistiche,
movimenti popolari, associazioni
scientifiche e altri gruppi impegnati in un’opera di educazione e in iniziative concrete di
opposizione alle cause della distruzione dell’atmosfera.
2.5 - Appoggiando gli sforzi di
organismi internazionali come il
Programma per l’ambiente delle
Nazioni unite (Unep) e l’Organizzazione per l’educazione, la scienza e la cultura delle Nazioni unite
(Dnesco) per proporre trattati tra
le nazioni di tutto il mondo per la
protezione dell’atmosfera a favore delle future generazioni.
3 - Per resistere in maniera globale alle cause della distruzione
dell'atmosfera e combatterne le
conseguenze.
3.1 - Riducendo 1’eniissione globale di biossido di carbonio del
2% all’anno, come raccomandato
da recenti conferenze scientifiche
internazionali. Questo significa
che i paesi industrializzati responsabili delle più forti emissioni dovranno ridurle del 3%, o più,
all’anno, riconoscendo la necessità
di una sostenibile espansione energetica nei paesi in via di sviluppo;
a questo fine si rende necessaria
una corrispondente regolare riduzione dell’uso di combustibili fossili.
3.2 - Bandendo 1 uso di cloro- L’Assemblea di Seoul è stata caratterizzata dall’ircontro, in alcuni casi problematico, tra diverse cui
fluorocarburi e sostenendo la ri- ture, htclla foto i numerosi delegati provenienti dall’Africa.
di fonti rinnovabili di energia alternativa e un sempre maggiore
uso futuro di carbone, petrolio e
gas, in decisa opposizione alla
moltiplicazione dei reattori atomici e all’ulteriore smaltimento delle scorie nucleari nel terreno e nelle acque.
3.6 - Proponendo e appoggiando nuovi sistemi di trasporto per
frenare in maniera decisiva l’inquinamento atmosferico e il surriscaldamento globale di cui essa
è una delle fonti, e impegnandoci
a usare i mezzi di trasporto pubblici piuttosto che quelli privati e
a limitare il più possibile i viaggi
aerei.
3.7 - Istituendo un fondo internazionale di solidarietà atmosferica, finanziato da una tassa sulle
emissioni di biossido di carbonio
superiori alla media mondiale e
utilizzato per fornire, ai paesi in
via di sviluppo, tecnologie meno
nocive per l’ambiente e mezzi adeguati per progetti che mirino a
combattere il diboscamento e a
promuovere il rimboschimento.
3.8 - Chiedendo alle grandi industrie — pubbliche e private, nazionali e internazionali — di adottare una prassi responsabile nei
confronti dell’ambiente.
4 - Per chiedere alle chiese di
porsi alla testa di un’indispensabile inversione di orientamento.
4.1 - Rafforzando la pubblica
accettazione dei provvedimenti necessari in campo politico ed economico per giungere a uno sviluppo sostenibile.
4.2 - Concentrando l’attenzione sulle implicazioni etiche dell’indicazione di obiettivi a lungo
termine che dovranno includere
un’equa quota di consumi di energia prodotta da combustibili fossili per ogni cittadino del mondo.
4.3 - Seguendo attivamente importanti negoziati internazionali
(vedi la revisione del Protocollo di
Montreal e la Conferenza delle
Nazioni unite sull’ambiente e lo
sviluppo nel 1992) come già si è
fatto con successo in occasione degli accordi di Helsinki sui diritti
umani.
4.4 - Incoraggiando progetti bilaterali e multilaterali di sviluppo
che includono la piena partecipazione delle popolazioni direttamente interessate.
4.5 - Educando con appositi programmi le parrocchie e le congregazioni e riformando in maniera radicale la vita delle nostre comunità, procedendo a una verifica
ecologica finalizzata a una valutazione critica della progettazione
e dell’uso delle proprietà ecclesiastiche, inclusi terreni e altre risorse, sulla base di una comprensione
di ciò che significano vita comunitaria solidale e salvaguardia del
creato.
5 - Per impegnarci personalmente a promuovere e facilitare il
raggiungimento di questi obiettivi.
5.1 - Con la testimonianza e lo
stile di vita;
— passando dal trasporto privato
a quello pubblico;
— riducendo, ovunque sia possibile, i viaggi aerei;
— adottando abitudini che consentano di ridurre il consumo
di energia.
5.2 - Con la solidarietà nei confronti delle popolazioni danneggiate dai mutamenti climatici.
(continua a pag. 11}
11
11 maggio 1990
Il documento finale 11
IV. Per Vestirpamento del razzismo, per tutti; a livello nazionale e
internazionale
— Per Vabbattimento delle barriere che dividono gli individui e i
popoli a causa della loro origine etnica
— Per Veliminazione dei modelli di comportamento economico, politico e sociale che perpetuino, e consentano agli individui di perpetuare consapevolmente e inconsapevolmente, il peccato del
razzismo
Ci impegniamo a operare, e a impegnare le nostre Chiese a operare
(segue da pag. 10)
1 - Per sistemi e politiche fondati sulla giustizia che rispecchino
il fatto che ogni essere umano è
amato da Dio indipendentemente
dalla sua razza, casta od origine
etica.
2 - Per l’adozione concreta di
questi principi nelle politiche e
nella prassi delle chiese e delle
istituzioni ad esse collegati.
Pertanto, in questa Convocazione, alla presenza di Dio, noi ci impegniamo in un patto reciproco a
confessare e a pentirci della nostra responsabilità consapevole o
inconsapevole nei confronti del
razzismo che permea le chiese e
la società.
Ci impegniamo in un patto reciproco a riconoscere la nostra complicità nella violenza razzista commessa nel primo mondo e a bat
terci contro di essa.
Ci impegniamo in un reciproco
patto ad aderire in maniera attiva
alle battaglie per i diritti sulla terra delle popolazioni indigene, che
sono parte della loro lotta contro
istituzioni e politiche razziste che
le depredano delle loro terre e risorse.
Ci impegniamo in un patto reciproco ad aumentare i nostri sforzi nella lotta contro il sistema dell’apartheid in Sud Africa, che mira anche a destabilizzare gli stati
del fronte nell’Africa del Sud.
Ci impegniamo in un patto reciproco a usare l’occasione del 500°
anniversario dell’invasione delle
Americhe a fini non di glorificazione ma di confessione, riparazione e pentimento per il genocidio e
lo sfruttamento brutali dei popoli
indigeni.
Ci impegniamo in un patto reci
proco a sostenere la continuità
della scelta prioritaria a favore
della questione del razzismo, e
particolarmente il mantenimento
de! Fondo speciale e del Programma per la lotta contro il razzismo
del Cec che costituiscono una concreta dimostrazione della solidarietà delle chiese nei confronti di
chi è oppresso per motivi razziali.
Ci impegniamo in un patto reciproco a garantire ai gruppi oppressi per motivi razziali, nel Nord e
nel Sud, piena appartenenza alla
famiglia ecumenica in termini di
partecipazione e di rappresentanza.
Ci impegniamo in un patto reciproco a indire una Giornata
mondiale di preghiera sul razzismo nella quale vengano fornite a
tutte le chiese del Cec indicazioni
liturgiche e informazioni di base
aventi per oggetto il razzismo.
NELLA SOLIDARIETÀ’ DEL PATTO
Dossologia
Essendoci impegnati
nella solidarietà del patto sottoscritto
e memori di essere amministratori del creato
ci uniamo a tutto ciò che tu hai fatto
per celebrare la tua gloria
e cantare le tue lodi.
Gloria a Dio
che nel principio creò tutte le cose
e vide che tutto era buono.
Gloria a Gesù
primogenito della nuova creazione
e redentore di ogni cosa.
Gloria allo Spirito
che nel principio aleggiava sulle acque
e che riempie la creazione del tuo amore.
UN CAMMINO COMUNE
Gli impegni sottoscritti
Giustizia, pace, salvaguardia del creato: le linee d’azione, gli intenti, i programmi da sviluppare - Ora la parola passa alle chiese
1. Tra israeliani e palestinesi. Per lavorare insieme per la
pace in Israele e il riconoscimento dello stato palestinese. Richiesta di appoggio internazionale.
Rabbi Jeremy Milgrom, 12 Yiftab St., 93503 Jerusalem, Ir
srael.
Rev. Mitri Raheb, Betblebem,
Box 162.
2. Tra le chiese britanniche e le
chiese del Sud Africa. Perché
continuino le sanzioni finché non
ci sia un cambiamento profondo e irreversibile in Sud Africa.
Rev. Kenyon Wright, Scottish
Churches House, UK ■ Dunblane FK 15 OPJ.
Rev. Frank Chikane, South African Councii of Churches.
3. Tra singalesi e tamil dello
Sri Lanka. Per lavorare insieme
con le chiese dello Sri Lanka per
una giusta pace.
Nirmal Mendis, 13 Hospital
Road, Ampara, Sri Lanka.
4. Tra la commissione «Chiesa e pace » nella Repubblica federale della Germania, il Comitato mondiale dei quaccheri, il
Comitato internazionale mennonita per la pace, la Chiesa dei
fratelli, con adesioni individuali
da Stati Uniti, Giappone, Uruguay, Zaire, Olanda, Germania
occidentale e orientale. Per istituire ministeri ecumenici per
Giustizia, pace e salvaguardia
del creato, inclusi servizi per
una pace globale.
5. In America latina, con i popoli indigeni delle Americhe:
— sotto il segno del pentimento, per saldare con questi popoli il debito risalente alla dominazione da parte della Spagna,
del Portogallo, di altre nazioni
europee e degli Stati Uniti; siamo tutti complici:
— per ripensare i metodi dell’evangelizzazione in modo da
ristabilire la cultura di questi
popoli e appoggiare la loro lotta per la terra e i loro diritti;
— per correggere e migliorare i rapporti interpersonali e isti
tuzionali a favore di una spiritualità che obbedisca allo Spirito Santo, per la pace, la giustizia e la libertà;
— per chiedere il concorso delle chiese della Spagna, del Portogallo, dell’Europa e degli Stati
Uniti.
Rev. Felipe Adolf, Latin American Counoil, C.P. 85-22, Quito,
Ecuador.
6. Tra la Chiesa unita di Cristo (Filippine) e la Chiesa evangelica (Kreis Koblenz) della
Germania occidentale. Perché
queste due regioni, del Nord e
del Sud, lavorino insieme per
denunciare strutture e forze ingiuste.
Rev. Gemot Jonas, Im Trinnel,
D-5440 Mayen, Repubblica federale tedesca.
Rev. Rudolfo Bascot, Aoc House,
Alviola Vili. Butuan City, Filippine.
7. Tra numerosi individui di
molti paesi che si richiamano a
« interessi evangelici » [evangelicals]. Impegno a far conoscere
nei loro ambienti il valore profondo dei punti centrali di Giustizia, pace e salvaguardia del
creato.
Tokumboh Adeyemo, Calvin de
Witt, Joe Petersen, Ron Sider, 312 W. Logan Street, Philadelphia, PA 19144, Usa.
8. Tra tutti i delegati dei Claraibi presenti alla Convocazione. Per un lavoro capillare di
informazione e solidarietà con il
popolo di Haiti.
William Thompson, Rev. Dr. Emmette Weir, Methodist Church,
Box N3702, Nassau, Bahamas.
9. Tra i movimenti popolari
del Salvador e delle Filippine.
Per lavorare insieme per im reciproco sostegno tra paesi in
lotta per una pace con giustizia.
Enrico de la Torre, Marta Be
nedivides, Apda 57-317, CP
06501 Mexico City, Messico.
10. Tra la Chiesa unita del Canada, i partecipanti statunitensi
a Giustizia, pace e salvaguardia
del creato, la Federazione delle
chiese protestanti svizzere, la
Chiesa di Svezia, la Chiesa presbiteriana del Canada, il Consiglio nazionale delle chiese d’Olanda, la Chiesa metodista di
Gran Bretagna, la Federazione
delle chiese evangeliche della
Repubblica democratica tedesca.
Per lavorare, come chiese di paesi del Nord che sono i maggiori inquinatori, per la riduzione
delle emissioni di gas che contribuiscono aU’efletto serra e per
la protezione dello strato di ozono.
David Hallman, United Church
House, 85 St Clair Ave. E., Toronto, Canada M47 1M8.
11. Tra le chiese del Pacifico
e le chiese francesi: a) per lavorare a favore dell’indipendenza del popolo aborigeno canaco;
b) per la protezione della terra
e della popolazione di Mataiva
(piccolo atollo vicino a Tahiti)
contro la minaccia di distruzione rappresentata dalle ricerche
minerarie australiane.
François Roux, Dick Aui, 14 rue
Chevalier de la Barre, F 3440
Lunel, Francia.
12. Tra delegati dell’Olanda, del
Consiglio nazionale delle chiese
delle Filippine, della Commissione giustizia e pace per i lavoratori filippini immigrati. Per porre fine allo sfruttamento delle
donne in tutto il mondo, e particolarmente del commercio di
donne filippine.
June Rodrig;uez, Sr. Cres. Lucero, Nono! Hacbrink, 173 Haarlemme derdijk, 1013 Kh, Amsterdam, Olanda.
13. Tra una rete di solidarietà
nel patto nella Repubblica federale della Germania e le comunità nere minacciate in Sud Africa.
Per continuare a lavorare insieme contro trasferimenti forzati
nelle « homelands »•
Aimegret Zeilinger, Rev. Piet
Moatshe, Box 4921, Johannesburg 2000, Sud Africa.
14. Tra i delegati dello Sri Lanka e della Palestina. Per scambiarsi esperienze e sostenersi a
vicenda come popoli oppressi.
Rev. Mitri Rahab, Bethlehem,
Box 162
Nirmal Mendis, 13 Hospital Road,
Ampara, Sri Lanka.
15. Tra i delegati della Polonia, Cecoslocacchia, Svezia,
Svizzera nella loro qualità di
paesi non coinvolti nella zona demilitarizzata della Corea. Per lavorare insieme ai coreani a favore di una riunificazione pacifica.
Lukas Vischer, Sulgenauweg 26,
CH-3004 Berne 23, Svizzera.
16. Tra TInterchurch Peace
Councii (Olanda) e la Sojourners
Community (Usa). Per la convocazione di un incontro tra gente
del Sud e dell’Est, per discutere
gli effetti di realtà politiche in
cambiamento.
Laurens Hogebrink, 1321 Otis St.,
Olanda
Jlm Wallis, Box 29272, Washington, D.C. 20017, Usa.
17. Tra i giovani presenti alla
Convocazione. Una serie di impegni tra cui: a) un’attiva partecipazione giovanile sui temi
di Giustizia, pace e salvaguardia
del creato; b) diffusione di informazioni tra i giovani; c) appoggio al Movimento coreano del
giubileo; d) appoggio alle popolazioni indigene e tribali; e) opposizione alla militarizzazione.
18. Tra i delegati degli Stati
Uniti sui temi di Giustizia, pace e salvaguardia del creato: a)
con la Corea, appoggio all’anno
del giubileo; b) con il Sud Africa, perché si mantengano e si
intensifichino le sanzioni; c) con
il Canada, per i problemi dell’ambiente; d) impegni reciproci
su molti temi riguardanti la
giustizia negli Stati Uniti.
Dwain Epps, National Counoil
of Churches, 475 Riverside
Drive, New York, NY 10115,
Usa.
19. Consiglio delle chiese del
Medio Oriente. Per un lavoro comune sui temi di Giustizia, pace e salvaguardia del creato.
Metropolita Yohanna Ibrahim,
Arcidiocesi ortodossa siriana,
Sulaimwnya, Aleppo, Siria.
20. Tra vari partecipanti alla
Convenzione dall’Europa, America del Nord, Filippine, Sud Africa, America centrale, America
del Sud. Per aiutarsi a vicenda a percorrere « la via di Dama^
SCO », come indicato nel documento di Damasco (’’Kairòs e
conversione”).
Joe Barndt, Marta Benavides,
Cornelia Füllkrug - Weitzel,
Prinz regenstr. 89, D-1000 Berlin 31, Repubblica federale di
Germania.
RICHIESTE DI ASSOCIATI
PER PATTI SPECIFICI
1. Dalle chiese del Pacifico a
chiese di Germania e Usa (in
particolare). Per bloccare i progetti statunitensi di trasferire depositi di armi chimiche dalla
Germania all’isola di Johnston
nel Pacifico: l’isola è frequentemente colpita da cicloni tropicali, e da essa grandi correnti
aeree e oceaniche si dirigono
verso le isole Marshall e Kiribati.
Greenpeace.
2. Da parte di disabili, a livello internazionale. Ricerca di appoggi alla richiesta rivolta al
CEC di seguire una prassi che
renda tutti gli incontri accessibili ai disabili e consenta ima
loro piena partecipazione.
Ron Chandran Dudley, 33 Wilkinson Road, Singapore 1543,
3. Da parte del movimento de gli immigrati neri in Germania.
Si chiede al movimento nero degli Stati Uniti appoggio e partecipazione a comuni strategie
antirazziste.
Ausitin Peter Brandt, FriedrichEbertStr. 143, D4100 Duisburg 18.
4. Dalla coalizione ecumenica
hawaiana. Si cercano appoggi
per il movimento dei nativi hawaiani e la campagna per l’autodeterminazione sul diritto alla
terra degli hawaiani e l’impatto
ambientale del turismo.
Rev. Kaleo Patterson, Box 113,
Kapaa, 96746 Hawaii.
12
12 Speciale Seoul ’90
Il maggio 1990
INTERVISTA AL RABBINO JEREMY MILGROM
Israeliani e palestinesi
insieme per la pace
Lottare contro l’occupazione, porre fine alle violazioni dei diritti
umani - E' necessario il riconoscimento di uno stato palestinese
Chi ha interesse al dialogo
ebraico-cristiano rischiava di ritornare da Seoul con la stessa
delusione di quando è tornato da
Basilea. Un vuoto del documento
di Basilea è stato infatti il rapporto con gli ebrei. L’ecumenismo ci dice che abbiamo bisogno
di essere uniti neH’essenziale; il
rapporto con l’ebraismo, come
disse Barth, è il problema ecumenico fondamentale. E sono
molti a pensare che il vizio di
origine del nostro ecumenismo è
il divorzio da Israele.
A Seoul la delusione era che
per tutte le sessioni plenarie dell’assemblea si è visto solo lo zucchetto di im giovane rabbino seduto nel settore degli invitati, e
si sono ascoltati due semplicissimi riferimenti alla shoah durante il culto.
Finché rii marzo, aH’improwiso, alla vigilia del termine dei lavori, è caduta sull’assemblea una
pioggia di impegni, fra cui il primo è il sedente: « I partecipanti israeliani e palestinesi, rappresentanti le comunità musulmana,
ebrea e cristiana, hanno preso
l’impegno di lottare contro l’occupazione dei territori palestinesi
da parte di Israele, dimettere fine
alla violazione dei diritti dell’uomo, alla costruzione di nuove colonie di residenti e altresì di adoperarsi in tutto per il riconoscimento, accanto a Israele, di uno
stato palestinese indipendente ».
E’ stato un momento di commozione altissima, preparato da
una buona regia: la lettura è stata fatta mentre due dei rappresentanti delle tre comunità, in
piedi, tenevano un pannello bianco; alla fine della lettura i due
pannelli sono stati voltati e si è
vista la bandiera palestinese e la
bandiera di Israele. Uno scroscio
di applausi.
Questo impegno, a cui non è
stato facile arrivare, si pone sulla linea dei fatti e non delle dichiarazioni; e questo sia per la
presenza operativa di persone
provenienti dalle tre comunità,
sia per il contesto dell’assemblea,
che voleva essere il luogo in cui
inizia un cambiamento; per questo i partecipanti hanno stabilito
fra loro dei patti bilaterali o mul
Da Seoul uno spiraglio di pace anche per il Medio Oriente?
tilaterali che riflettono la loro
volontà di risolvere una serie di
situazioni di crisi nel mondo.
Ho incontrato il rabbino Jeremy Milgrom in due momenti, prima e dopo l’atto di impegno.
Il rabbino era presente a Seoul
invitato dal CEC in quanto fondatore e condirettore deH’associazione « Clergy for peace », dove per la prima volta nell’88 a
Gerusalemme, dopo una protesta
per la violazione dei diritti umani, i ministri religiosi ebrei, cristiani, musulmani e drusi e le loro congregazioni si sono ritrovati
insieme in un comune intento
per la pace e la giustizia.
Ad una domanda sul dialogo
tra ebrei e cristiani il rabbino ha
risposto: « Mentre il dialogo tra
ebrei e cristiani nella diaspora si
focalizza sulla lotta all’antisemitismo e sulla paura che esso si
rinnovi, in Israele il dialogo si
focalizza sulla realtà del conflitto
tra Israele e Palestina. Il mio impegno è di fare un ponte fra questi due gruppi; entrambi parlano
da un punto di vista religioso,
ma sono incompleti l’uno senza
l’altro. I due gruppi devono incontrarsi e parlarsi e affrontare
la realtà, sia la sofferenza del passato, V"olocausto”, sia la soffe
Paola Peloso
UN IMPEGNO TRA CRISTIANI, EBREI E MUSULMANI
Dalla giustizia ia pace
Noi, israeliani e palestinesi, profondamente preoccupati per la crescente militarizzazione della regione e la violenza inflitta a vittime delle
due parti, vi chiediamo di
unirvi a noi in im momento
di silenzio per onorare la
loro memoria.
Momento di
silenzio
Noi, quali rappresentanti
delle religioni della nostra
comune Terra Santa, cristiani, ebrei e musulmani, vogliamo cercare di trarre dai valori profetici e liberatori delle nostre fedi e tradizioni il
modo per soddisfare in pace
e con giustizia le aspirazioni
nazionali del popolo palestinese e di quello israeliano.
Incoraggiati dalla dichiara
zione di indipendenza del
Consiglio nazionale palestinese del novembre 1988 ci
impegniamo a lavorare per i
seguenti obiettivi:
— la fine dell’occupazione
israeliana e della violazione
dei diritti umani;
— la fine della creazione di
insediamenti israeliani nei
territori occupati;
— il reciproco riconoscimento e l’autodeterminazione
di entrambi i popoli tramite
negoziati tra Israele e l’Olp;
— la sovranità per entrambi i popoli tramite il riconoscimento di uno Stato palestinese e di una patria palestinese accanto allo Stato di
Israele.
Chiediamo al Consiglio ecumenico delle chiese e alle
chiese che ne fanno parte di
appoggiare i tentativi internazionali di pace, di promuo
vere il dialogo tra palestinesi e israeliani e di combattere gli stereotipi antiarabi e
antiebraici. Chiediamo inoltre alle chiese di incoraggiare le iniziative di pace e di
unirsi a noi nelle nostre comuni preghiere e azioni per
la pace.
« ...poiché, ecco, io creo Gerusalemme per il gaudio, e
il suo popolo per la gioia...
quivi non si udran più voci di
pianto né gridi di angoscia...
Essi costruiranno case e le abiteranno, pianteranno vigne
e ne mangeranno il frutto.
Non costruiranno perché un
altro vi abiti, non pianteranno più perché un altro mangi... Non si affaticheranno invano e non genereranno per
veder morire... Non si farà più
danno né guasto su tutto il
mio monte santo, dice l’Eterno » (Isaia 65: 18-25).
SEOUL IN CIFRE
400 delegati
con diritto di voto
I costi per i viaggi e i soggiorni - La partecipazione secondo le regioni di provenienza
L’assemblea mondiale « Giustizia, pace, salvaguardia del creato » è costata al Consiglio ecumenico delle chiese circa 1.800.000
franchi svizzeri, pari a circa 1 miliardo e mezzo di lire italiane. Questi costi sono relativi alle spese di
viaggio e soggiorno di tutti quei
delegati ai quali le chiese non potevano provvedere direttamente,
dei consiglieri e degli invitati. La
Santa Sede, presente con 20 osservatori, si sarebbe impegnata
a partecipare al 10% delle spese
di organizzazione.
Le cifre ufficiali, distribuite l’8
marzo, davano il seguente quadro:
Giornalisti accreditati
(di cui 110 coreani)
267
Tra i delegati si potevano contare 146 donne, pari al 36%, e 258
uomini, pari al 64%.
I delegati erano così ripartiti
Delegati con diritto di voto
Consiglieri
Invitati
Visitatori registrati
Stewards
Personale del CEC e personale « cooptato »
secondo la provenienza:
Africa 67 (17%)
Asia 71 (18%)
Caraibi 15 (4%)
Europa 122 (30%)
America latina 31 (8%)
Medio Oriente 6 (1%)
Stati Uniti 70 (17%)
Canada 9 (2%)
Pacifico 13 (3%)
404
59
39
116
33
116
7 cattolici romani presenti a
Seoul, oltre i 20 delegati della
Santa Sede, erano circa 10, tra visitatori, consiglieri, giornalisti. A
questi poi bisogna aggiungere impiegati del CEC e stewards.
renza di oggi dei rifugiati palestinesi. Senza paura gli uni di perdere i contatti se criticano Israele e senza attribuire a Israele
l’accusa di un nuovo "olocausto”
contro i palestinesi. Sono queste
accuse reciproche che purtroppo
avvengono in Israele, a Roma e
ovunque ».
« Il problema dell’ “olocausto”
— ha continuato il rabbino — è
stato molto presente nei gruppi
di studio dell’assemblea. Una
certa critica a Israele aveva toni
antisemiti e noi lo abbiamo avvertito. Le persone del terzo mondo ignorano V’olocausto” o lo
contestano come un fatto che riguarda solo l’Europa. E qui c’è
la responsabilità dell’educazione
delle chiese ».
Per quanto riguarda il « patto
di alleanza » approvato in questa
assemblea, il rabbino porta avanti una posizione espressa da un
gruppo certamente minoritario,
ma che pone un interrogativo
nella situazione globale. Ho trovato la sua testimonianza carica
di profezia; forse il futuro andrà
in questa direzione, ma sento che
oggi noi non possiamo respingere
la sua provocazione.
delle valli valdesi
settimanale delle óblese valdesi e metodiste
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Chiese.
La redazione ringrazia Pier Luigi Bertin, Predino Borno, Sergio Giàcon, Piero Granerò, Paolo Griglio, Enzo Jouve, Paolo Rostagno, tipografi,
per la collaborazione prestata nell'allestimento di questo speciale.
13
11 maggio 1990
Speciale Seoul ’90
LA PARTECIPAZIONE DELLE DONNE UN TRIBUTO UMANO PER LA GIUSTIZIA
La povertà è femminile La voce dei giovani
Le predicazioni e la dimostrazione a favore dei detenuti politici La drammaticità delle guerre e una cultura che è ancora maschilista
Sebbene fossero solo il 36%
dell’insieme dei delegati, a Seoul
s’è molto sentita la voce delle
donne. Non solo nella critica al
documento, a loro dire ancora
troppo legato ad un linguaggio
maschilista, ma anche e soprattutto nei lavori deH’assemblea. A
mio modesto giudizio le predicazioni più belle sono state quelle
di Marga Bührig, che ha presieduto il culto iniziale con una
profonda ed equilibrata riflessione sul salmo 104, riuscendo
a far comprendere perché non
si può scindere il problema della giustizia da quello della salvaguardia del creàto; e quella di
Barbara Harris, anglicana, primo vescovo donna. Una predicazione robusta, impietosa, ma vera, che ha costituito la spina
dorsale dei lavori deH’assemblea.
A guidare il dibattito nelle riunioni plenarie è stata im'altra
donna: Janice Love. E’ stata una
grossa fatica perché la discussione è stata a tratti tesa.
Fuori dell’aula sono state delle donne a inscenare una dimostrazione a favore dei detenuti
politici. Si calcola siano almeno
trecento i detenuti, colpevoli di
essere contrari alla divisione delle due Coree ed all’occupazione
americana. La sera del 7 marzo
una trentina di donne, con un
nastro bianco sulla fronte, tipo
kamikaze giapponesi, hanno accolto le migliaia di persone che
venivano per assistere ad un
magnifico spettacolo, Korea’s
Night, di danze e musiche, con
slogan che chiedevano la libe
razione dei loro parenti detenuti. Anche qui in Corea, come in
Plaza de Mayo, come in tanti al
tri posti, sono quelle che portano il peso dell’ingiustizia.
Sono state le donne a dare le
testimonianze più toccanti riguardo la sofferenza: la violenza sessuale, la prostituzione, l’emarginazione... Sono loro a portare il peso maggiore della povertà. « La povertà è femminile», si è sentito ripetere. In un
documento preparato dal gruppo «Donne» del Consiglio ecumenico viene detto: « Le donne Hanno riconosciuto che in ogni parte del mondo, anche nel Nord,
e in misura sempre più crescen
te la povertà è femminile». Milioni di donne debbono preoccuparsi del cibo, del vestito e perfino
dell’abitazione per le loro famiglie; ma il lavoro delle donne viene pagato meno di quello dell’uomo. Esse portano perfino il peso
maggiore del debito dei paesi del
terzo mondo; loro, che non hanno alcuna responsabilità in scelte politiche fatte in genere da
uomini, sono poi quelle che ne
soffrono maggiormente a livello
di salute, o di ritmi di lavoro.
Anche per quanto riguarda i
processi di militarizzazione, sono le donne a pagare un alto
costo. « Esse sostengono — è
stato osservato — il peso maggiore dei conflitti regionali e delle guerre ».
Le prospettive per il futuro
non sono incoraggianti: lo sfruttamento delle risorse naturali e
il proseguimento di questo tipo
di sviluppo aumenteranno sempre più la dipendenza dalla
scienza e dalla tecnica, negando
così i valori di umanità e limitando gli spazi di libertà.
Su un altro versante la cultura,
la tradizione e la religione hanno ridotto la donna in un ruolo subalterno, negandole il dirit-'
to di esprimersi. In particolare,
è stato osservato, il fondamentalismo religioso, in tutte le religioni, ha sempre significato una
sottomissione per la donna.
E’ fondamentale per la chiesa
dei prossimi anni iniziare un
movimento che miri alla creazione di una comunità di uomini e donne.
La sera del 7 marzo le donne
hanno organizzato un «Forum»,
condotto da Elisabeth Raiser,
delegata della Germania occidentale, nel quale, servendosi di
tecniche diverse, dal canto alla
danza, alla poesia, al mangiare
hanno rriesso in evidenza i principali punti negativi del disagio
e della sofferenza femminile.
L. D.
COREA: UNA TERRA DIVISA
Il 38° parallelo
A circa 50 km. a nord di Seoul
si stende il 38“ parallelo. Chi negli anni ’50 era già nato, si ricorderà certamente la tragedia
della guerra di Corea. Allora,
come si seppe più tardi, gli
americani, per aver ragione degli avversari, avevano anche progettato un bombardamento atomico sulla Corea del Nord (Hiroshima e Nagasaki erano avvenute poco prima ed avevano segnato la conclusione della guerra col Giappone); poi, fortunatamente, non mandarono ad effetto questo folle progetto (ma i
coreani avevano già dovuto
provare ciò che era un bombardamento atomico, perché ben
20.000 di loro erano rimasti colpiti dalle radiazioni delle due
bombe sganciate sul Giappone).
L’esercito della Corea del Nord
e quello della Corea del Sud
si fermarono sulla linea del 38”
parallelo e da allora, cioè dal ’53,
sono rimasti attestati sulle loro
posizioni.
Dunque le due Coree non hanno ancora conosciuto la pace.
Tra poco saranno passati 40 anni: quella terra è ancora divisa,
e poiché le due nazioni sorelle sono in stato di guerra, tra il
Nord e il Sud non è possibile
alcuna comtmicazione. Ci sono
famiglie intere che non sanno
più nulla dei loro congiunti oltre la linea deH’armistizio. Nella
Corea del Sud una famiglia su
quattro ha dei parenti dall’altra
parte.
A Seoul si attende i’invasione
del Nord. Mentre era in corso
l’assemblea, i giornali hanno dato notizia che i nordcoreani erano stati sorpresi mentre scavavano un tunnel sotto il 38“
parallelo, per poter così invadere,
inaspettati, il Sud.
La notizia ha dell’incredibile,
ma tanto basta per tener desta la tensione e ridurre al silenzio ogni tipo di opposizione,
da quella politica a quella sindacale.
Uno spettacolo di danze popolari in una serata dell'assemblea.
Un gruppo di pochi fortunati
giornalisti ha potuto visitare la
linea delTarmistizio, accompagnato da funzionari dell’ONU. Sono
stati posti sotto la protezione
deirONU e muniti di un ben visibile cartellino sulla giacca si
sono avvicinati aila baracca nella quale avvengono incontri tra
rappresentanti del Sud e quelli
del Nord.
Al centro della baracca passa
la linea di demarcazione. Il tavolo è per metà in territorio del
Nord e per metà in quello del
Sud.
I giornalisti, come mi ha raccontato Luigi Sandri, sono messi debitamente in guardia: « Attenti, si tratta di un nemico pericoloso, pronto a sparare! ».
« Evitate accuratamente gesti che
lo potrebbero irritare! ».
I giornalisti si siedono ai tavolo, prendono nota delle spiegazioni e delle informazioni che
vengono loro date. Fuori, ai vetri, appaiono le facce del terribile nemico. Un soldatino nordcoreano si fa sempre più vicino
al vetro. Cerca di spingere lo
Siamo i giovani, che rappresentano il 7,8% di questa Convocazione mondiale per la giustizia, la pace e la salvaguardia
della creazione.
Non abbiamo belle parole da
offrire per il documento della
Convocazione. Abbiamo già offerto delle vite alla lotta per la
giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. Ricordate
Kwangju, Corea, nel maggio del
1980: 2.000 giovani morti. La Palestina dell’« mtifada »: 850 giovani morti. La Birmania, 1988:
8.000 morti. La Romania, nel dicembre del 1989, con 7.000 morti. Ricordate il Cile, il Sud Africa,
lo Sri Lanka, la Germania orientale, il Libano, E1 Salvador, le
Filippine, il Nicaragua, il Sudan, l’Argentina e tanti altri paesi. Ricordate l’infinito numero di
Un giovane coreano con il bimbo: avranno un futuro più giusto?
guerre, le sparizioni, le sofferenze prive di senso. Di tutto questo noi eravamo già partecipi
molto prima che «Giustizia, pace e salvaguardia del creato »
diventasse un programma, im
documento, un comitato. Vogliamo parlare della solidarietà della
gioventù nei confronti delle nostre sorelle e dei nostri fratelli
nella lotta e nel cambiamento,
nell’evangelizzazione di tutta la
terra.
Noi non poniamo la nostra
speranza in questa Convocazione, ma nei movimenti, nelle chiese, nei luoghi in cui viviamo la
giustizia, la pace e la salvaguardia del creato.
Ma in ogni caso questa è una
occasione per noi. Il 4 marzo,
durante il nostro forum giovanile, abbiamo fatto insieme ima
marcia fino alla base americana di Camp Jackson, per pro
testare contro ogni presenza militare straniera in questa i)enlsola, e contro le iniziative americane che prolungano la divisione tra il Nord e il Sud del
paese. Condanniamo in maniera
specifica le esercitazioni militari ’’Time Spirit” in preparazione
di una guerra nucleare. Abbiamo
dimostrato con l’azione la nostra disponibilità a condividere la sofferenza del popolo coreano e la sua speranza di avere
un « Giubileo » per la riunificazione.
Malgrado i dubbi da noi espressi nei confronti di questa
Convocazione ci impegniamo a
dare il nostro pieno contributo
al vostro incontro. Avete bisogno di noi in questo momento
di passaggio dalle belle parole
alle azioni che incarnino la speranza dei poveri e della gioventù. Desideriamo vivere con
voi questa lotta.
TESTIMONIANZA
Storia di una
donna immigrata
sguardo all’interno, forse per capire chi sono i visitatori di questa volta.
Sandri è seduto vicino alla finestra. Con la coda deH’oochio
vede questa faccia, si gira istintivamente per guardarla meglio.
Solo il vetro separa i due. A questo punto Sandri mostra al nordcoreano il cartellino sul bavero,
sul quale c’è scritto « giornalista ». Vede le labbra del nordcoreano sillabare con difficoltà la
scritta, e poi finalmente capirla.
Allora il suo volto serio si illumina di un sorriso e chiama gii
altri compagni. Al di là del vetro Sandri sorride.
Il temibile nemico, agguerrito
e feroce, l’invasore, altri non è
che un ragazzo come tanti aitri,
curioso e desideroso di conoscere, di avere contatti e scambi,
di allacciare rapporti dì amicizia.
Ma allora, il nemico esiste veramente? E se esiste, dov’è?
Nella realtà oggettiva o solo nel
la nostra mente?
Luciano Deodato
Come donna algerina, immigrata in Francia, devo dire che
non ho fatto una scelta, ma l’ho
subita, quando i miei genitori
sono stati costretti all’espatrio a
causa della guerra coloniale. La
Algeria del 1962, ottenuta l’indipendenza, si presentava come
un « paesaggio lunare » a chi vi
arrivasse allora. Colpiti nella
carne, derubati del loro territorio, gli algerini si sono trovati
in uno di quelli che pudicamente vengono chiamati « paesi in
via di sviluppo ».
Molti ci chiedono perché non
torniamo a casa, ma con un lavoro ci si accontenta. La generazione dei nostri padri è stata
quella « del silenzio », pura forza lavoro. Noi abbiamo cercato
di immaginarci un diverso futuro. Ma ora viviamo un’epoca
difficile, che segna l’ascesa dell’integrismo, sia religioso sia politico, nei vari continenti.
La società dell’Europa occidentale in cui noi oggi viviamo
da stranieri è composta dalla
maggioranza nazionale e dalla
minoranza, fatta di extraeuropei.
Viviamo tre diverse forme di
esclusione: 1) veniamo dai paesi
in via di sviluppo. 2) Ci presentiamo come immigrati; 3) L’essere donna comporta altre particolarità a tutti i livelli.
E tuttavia esigiamo di essere parte di questo mondo in
cammino, perché ci coinvolge.
Per questo gli stranieri partecipano attivamente in questa Francia che amano, e che hanno scelto per viverci con le loro famiglie. Essi condividono anche i
valori degli amici francesi, benché certa stampa dica il contrario.
Una gran parte dei maghrebini resterà in Francia, e questo i
politici lo sanno, anche se fingono d’ignorarlo. Viviamo nql paese in cui sono stati espressi i
« diritti dell’uomo », anche se è
vero che ogni tanto ci vengono
dei dubbi...
L’Europa è e sarà multiculturale, e con questa realtà bisogna
fare i conti. Gli ultimi eventi
dell’Est, di cui siamo felici, scuoteranno i rapporti Nord/Sud. Si
impone la vigilanza perché ogni
continente possa affrontare il
proprio sviluppo economico e
perché la cooperazione tra i paesi in via di sviluppo e i paesi industrializzati sia il più possibile armoniosa.
E’ urgente che gli organismi
di difesa dei diritti delTuomo
facciano pressione sui governi
perché essi prendano misure affinché gli stranieri presenti sul
loro territorio non siano più gli
ultimi anelli dì una società malata dei suoi propri problemi.
La misura che chiediamo è
l’ottenimento del diritto di voto
amministrativo, visto che paghiamo le tasse. Questo ci permetterà di farci riconoscere e
di farci rispettare. Saremo elettori e non più parassiti. Se la
Francia acconsentirà a questa
richiesta, si renderà meritevole di un passo per l’integrazione.
E’ in questa Francia che vorremmo vivere, in una Francia che
riconosca il proprio passato; la
nostra memoria è comime, siamo ormai compagni di strada.
Diceva Saint-Exupéry: « Se sei
diverso da me, fratello, lungd da
nuocermi mi arricchisci ».
14
14 Speciale Seoul ’90
Il maggio 1990
INTERVISTA A JEAN FISCHER
Basilea e Seoul
Seoul. Un gruppo di giornalisti nel corso della conferenza stampa
tenuta dal segretario del CEC, Emilio Castro.
« Qui il problema della giustizia è un vissuto quotidiano, una realtà
drammatica »: le nostre analisi razionali non risolvono il problema
Per un europeo sbarcato a
Seoul era inevitabile fare un confronto tra questa assemblea e
quella che, nel maggio dello scorso anno, si era svolta a Basilea
e che aveva visto per la prima
volta nella storia delle chiese europee la partecipazione su un
piano del tutto paritario delle
chiese protestanti, ortodosse e
cattoliche. Basilea era stata vissuta come tappa preparatoria
dell’assemblea di Seoul; un avvenimento regionale, premessa
per un incontro universale. In
molti quindi c’era l’idea che
Seoul sarebbe stata una Basilea
più grande, dilatata a tutto il
mondo. La realtà, invece, con la
quale si ha avuto a che fare, ha
lasciato perplesso più di un osservatore europeo.
Abbiamo voluto parlare del
pro’olema con una persona quanto mai autorevole in materia,
ring. Jean Fischer, segretario generale della Conferenza delle
chiese europee (KEK), alla quale partecipano ortodossi e protestanti, e uno degli organizzatori dell'incontro di Basilea.
« Non bisogna cadere nella
trappola — ha detto Jean Fischer — di un paragone tra Basilea e Seoul. Non si devono paragonare cose tra loro incomparabili, anche se trattano dei medesimi argomenti. In Europa c'è
un'unità di fondo, data da una
eredità culturale e religiosa comime; ed è questa che ha permesso di fondere insieme i diversi elementi. Un altro elemento che rende incomparabili i due
avvenimenti è rappresentato dalla decisione del Vaticano di inviare solo 20 persone con voce
consultiva. E’ stato un duro colpo per tutti; non solo per il Consiglio ecumenico delle chiese
(CEC), ma anche per tutte quelle chiese che avevano vissuto bene l'avvenimento di Basilea.
Inoltre, anche in Europa abbiamo trattato dei temi "giustizia, pace, salvaguardia del creato" (JPIC), sottolineando la parola giustizia. Ma ciò che mi colpisce qui (a Seoul) è che quelli
che hanno parlato della giustizia lo hanno fatto in termini
che riflettono un vissuto quotidiano, per cui essa emerge come una realtà drammatica che
INCONTRO CON EMILIO CASTRO
Amare Dio con tutte
le nostre forze
Rispetto a Basilea ce continuità, anche se
con uno stile diverso - La questione cattolica
ti dell’Europa centrale e dell'est)
è la constatazione che le cose
si muovono e qtdndi la speranza che esse possano cambiare in
meglio.
Un altro elemento di cui bisogna tener conto è dato dalla
impossibilità di fare delle analisi generalizzanti. E' un problema che si pone già in Europa,
dove è assurdo parlare di Europa dell'est come di un tutto monolitico e coerente. AH'intemo
della stessa Unione Sovietica v’è
una grande diversità di situazioni. Vi sono, certo, delle costanti, come per esempio il problema del debito dei paesi del terzo mondo, o quello dei regimi
unici di molti stati africani, o
la situazione di pauperizzazione
dei paesi latinoamericani. Ma
non possiamo razionalizzare questi problemi, individuarli nella
loro globalità e studiare per essi soluzioni a lungo termine. Ci
sono questioni specifiche di una
urgente drammaticità, come quella descritta dal mio collega latinoamericano, quando ci dice:
"Vi prendete gioco di noi. Abbiamo 30 milioni di bambini che
sono orfani, del tutto abbandonati a se stessi e privi di qualsiasi cosa. I ricchi invocano l’intervento della polizia, perché sono pericolosi e vogliono allontanarli”. In Europa noi non conosciamo un problema di questo
tipo ».
Per quanto poi riguarda la
presenza e il peso delle chiese
ortodosse, ben caratterizzati a
Basilea, e un po' meno a Seoul,
tanto da far credere ad alcuni
settori della stampa a una specie di disimpegno degli ortodossi per allinearsi su posizioni vaticane, Jean Fischer ha osservato
che « gli ortodossi, nella loro
maggioranza, si trovano in Europa e quindi sono a loro agio
nei dialogo intereuropeo, ma non
hanno né resperienza, né il radicamento nel terzo mondo. Questo li spiazza un po’ rispetto al
modo in cui il dibattito si sviluppa. A Seoul abbiamo delle
grida che esplodono, situazioni
come quelle dell’Etiopia, del Salvador e di tante altre parti del
mondo ». Ha inoltre totalmente
escluso che essi nutrano nostalgie verso la chiesa cattolica.
Nel corso dei lavori dell’assemblea il segretario generale del
Consiglio ecuihenico delle chiese,
dr. Emilio Castro, ha acconsentito ad avere un incontro con
alcuni giornalisti italiani. Ne è
uscito un vivace dialogo, di cui
riportiamo qui alcuni momenti
salienti. ,
Una prima domanda riguardava la continuità e la differenza
tra Basilea e Seoul. Ecco la risposta:
« La continuità c’è; lo stile però è diverso. In Europa s’è lavorato su un documento, meditato parola per parola. Qui si
tratta invece di un incontro del
mondo. Ci sono i latinoamericani con le loro chitarre, i coreani con le loro arie marziali
e gli africani che chiedono, gridando, il riconoscimento delle
loro culture tradizionali. Lo stile è più caotico; è un incontro di
Emilio Castro, Bruno Gabrielli e
Marco Davite (« Protestantesimo»),
L’OPINIONE DI CARL FRIEDRICH VON WEIZSAECKER
Una voce critica
of ^
Il processo JPIC ha vissuto una
altra tappa fondamentale con
Seoul.
supera la maniera in cui la si
percepisce in Europa. Ed è una
cosa che mi turba. Da noi abbiamo i "nuovi poveri”, ma non
abbiamo le condizioni esistenziali che determinano la morte di
migliaia di persone. In questo
contesto va letta e interpretata
l’impazienza di quanti chiedono
che cessi una situazione in cui
le forze della morte agiscono in
maniera intollerabile. Ciò che mi
ha colpito in tutti gli interventi
è una specie di grido di disperazione di gente che dice: più
si va avanti e più la situazione
{leggiora. Il sentimento, invece,
che prevale in Europa (specialmente dopo Basilea e dopo i fat
Lo scienziato e filosofo C. F.
von Weizsäcker, elemento di
spicco del protestantesimo tedesco, e voce ascoltata con attenzione nel mondo ecumenico, era
presente a Seoul. Come fisico è
molto preoccupato dell’effetto
serra, il progressivo riscaldamento cioè dell’atmosfera terrestre che minaccia di sciogliere i
ghiacci dei poli, con il conseguente innalzamento del livello
dei mari. In questi ultimi anni
Weizsäcker è stato il portaparola delle chiese evangeliche tedesche, favorevoli ad un «Concilio » di tutte le chiese per la
pace.
Nel corso dell’assemblea di
Seoul, egli non ha mancato di
esprimere una posizione critica, ripresa con una certa ampiezza dalla stampa tedesca.
Mentre i lavori di Seoul erano
in pieno svolgimento, ha rilasciato la seguente intervista:
— E’ possibile fare un confronto tra Basilea e Seoul?
— Basilea è stato un incontro
più facile di questo di Seoul. Là
c’erano solo degli europei con lina cultura comune. Qui invece ci
sono origini molto diverse; inoltre qui il Vaticano ha inviato
solo degli osservatori. Sarebbe
stato preferibile che la chiesa
cattolica partecipasse pienamente (...). Spero che ci possa essere una nuova convocazione. Ma
con i cattolici, questa volta!
— Una difficoltà di questa assemblea è data dai tempi ristretti.
— Un vero concilio deve avere
una certa durata. Prendiamo il
Concilio Vaticano II: è durato
quattro anni! So che non si è
potuto adoperare il termine
« concilio » per questo incontro,
perché è un termine del diritto
ecclesiastico che ha un significato particolare sia per i cattolici che per gli ortodossi. Ma è
anche una parola storica: i concili ecumenici, assemblee di tutte le chiese...!
Comunque sia, ci vuole del
tempo per preparare dei testi
nei quali ogni parola deve essere
pesata. E questo è impossibile
a farsi nel corso di una settimana soltanto!
— Ritiene che il testo predisposto per questa assemblea non
corrisponda ai problemi dei partecipanti?
— Gli africani hanno detto che
non ci si ritrovano. Se lo dicono,
è un segno di cui va tenuto conto. Io penso che il testo possa
essere modificato; non è ancora
quello finale. Il testo che ho letto utilizza un linguaggio teologico per addetti ai lavori. Ma se
vogliamo che esso raggiunga i
suoi veri destinatari, lo dobbiamo tradurre.
— Lei ha l’impressione che
nell’assemblea cresca un senso di
frustrazione?
— In un certo modo, sì. Prendiamo gli africani, per esempio:
per loro conta una sola cosa (il
che è ben comprensibile), cioè
la liberazione degli africani del
sud. E per loro è tutto. Il testo
enumera, invece, sedici priorità
e, tra queste, anche l’Africa del
sud.
— Che cosa prova, avvicinandosi alla conclusione dell’incontro?
— Sentimenti contrastanti.
Penso che questo incontro sarà
inferiore alle nostre aspettative,
ma neanche negativo. Il testo
del documento finale, secondo
me, è troppo teologico; ma prima
della fine dell’incontro potrà essere migliorato.
Intervista a cura di
Marie-Jo Hazard
di L’actualité relìgieuse
dans le monde
culture, molto più ricco e più
positivo. Qui stiamo cercando di
capire fino a che punto europei e
non europei possono lavorare insieme. C’è il problema dell’ordine
economico internazionale. E’ una
questione che riguarda anche
l’ecologia: non ci possono chiedere di salvare l’Amazzonia, mentre continuano a strangolarci
col debito, per cui siamo costretti a venderla a pezzi ».
Alla delicata questione della
presenza ridotta dei cattolici Castro ha osservato:
« Siamo molto contenti della
partecipazione del "pueblo catolico”. La chiesa cattolica è qui
come ’’pueblo de Diòs’’. Siamo
molto contenti della partecipazione dei consulenti (advisers)
che la Santa Sede ci ha inviato.
Stanno lavorando come tutti gli
altri. Ciò significa che alla fine
il documento conterrà anche una
componente cattolica, cioè cristiana. Ed è proprio ciò che volevamo: un incontro di tutti i
cristiani. La mia speranza è che
il risultato della conferenza abbia un valore in sé, in modo tale da influire su tutte le chiese,
sia quelle presenti, sia quelle
assentì. La Santa Sede ha ritenuto, per motivi giuridici, di limitare la propria presenza ai
consulenti. Essa ha guardato di
più al passato. Io credo che col
mondo cattolico che è qui presente, e che s’incontra con ortodossi e protestanti, siamo uniti ».
Seoul è stata la prima occasione d’incontro tra delegati dell’Est
e del Sud, dopo i cambiamenti
avvenuti in Europa. Quale azione intende svolgere il CEC?
«Nel quadro del lavoro ecumenico cerchiamo di fare il possibile perché ci sia la comunicazione di esperienze e si crei
solidarietà tra i paesi dell’Est
e quelli del terzo mondo. In
maggio, a Mosca, ci sarà un incontro di tutti i rappresentanti
delle chiese dell’Est e di quelle
del terzo mondo sul tema delle
nuove sollecitazioni che si sviluppano e il loro impatto sulla
situazione globale e su quelle
particolari. Penso per esempio
alla Namibia, che deve inventare il suo modello di sviluppo, e
all’Africa del Sud. Quello di un
modello alternativo di società
è un grande problema ».________
"E^tato’ìnflni chiesto al dr.
Castro che cosa succederà dopo
Seoul.
« i patti stipulati a Seoul saranno inviati a tutte le chiese e
il CEC domanderà loro di prendere una posizione ufficiale.
A Canberra (dove nel ’91 si
svolgerà l’assemblea generale del
CEC, ndt) i delegati, con l’autorizzazione delle loro rispettive
chiese, valuteranno l’opportunità di proclamare ufficialmente
questi patti. In questo senso il
processo conciliare avanza. Roma e gli ortodossi hanno un sen
so d’insicurezza e, al limite, quasi di sfiducia nei confronti di un
cammino verso l’unità, caratterizzato dall’attivismo. Preferirebbero percorrere un cammino diverso, più preoccupato della dottrina. per superare le divergenze tra le chiese. Ma io non credo
che nella chiesa cristiana noi possiamo separare l’amore dall’azione di Dio, l’adorazione dalla
diaconia. Non possiamo fare una
discussione dottrinale senza la
preghiera e la comunione. E’
più facile giungere ad una comprensione comune se siamo impegnati insieme in una lotta comune. Dio ci chiede di amarlo
non solo con la nostra mente,
ma anche con il nostro cuore,
e la nostra forza».
15
11 maggio 1990
Speciale Seoul ’90 15
LA CRITICA VATICANA A SEOUL
Troppa politica
Le assemblee ecumeniche dovrebbero avere
carattere ecclesiale - Tre auspici per il CEC
« La Chiesa cattolica romana
auspica che le conferenze ecumeniche restino veramente delle
assemblee ecclesiali, e non diventino politiche ». Così ha dichiarato nella conferenza stampa del
10 marzo il professor René Coste,
a nome della delegazione della
Santa Sede presso l'assemblea di
Seoul.
Se la Chiesa cattolica ha preso la decisione di non inviare
a Seoul dei delegati con diritto
di voto — ha precisato Coste —
non è per non avere riflettuto
su questo: essa resta profondamente coinvolta in tutto il processo in favore della giustizia,
della pace, della salvaguardia del
creato. « Non eravamo abituati
a ragionare insieme, tra cristiani, sui problemi della società.
Non dobbiamo stupirci, dunque,
che vi siano stati come dei balbettamenti ».
All’inizio della conferenza stampa il professor Coste, che insegna teologia a Tolosa, ha dato
lettura di una dichiarazione, articolata in quattro punti, che potremmo così riassumere:
— In base al Nuovo Testamento l’alleanza è definitiva; tra
mite Cristo essa è offerta a tutta l’umanità, e la chiesa la riceve con gioia. Per la comunità
dei credenti l’eucarestia ne rappresenta il sacramento. La comunità (koinonìa) in Cristo ha
preso il posto dell’antica alleanza.
— L’alleanza proposta ai delegati a Seoul non deve farci dimenticare il concetto neotestamentario di « koinonìa », che è
più largo.
— Nella teologia cattolica non
siamo abituati ad intendere i rapporti tra le chiese sotto forma
di « alleanza »; i concetti fondamentali e dinamici in questo settore sono quelli di unità e di
« koinonìa ».
— Sarebbe sicuramente produttivo ricorrere a delle alleanze tra chiese, nell’attesa di rinnovare l’alleanza che Dio offre
sempre all’umanità intera; queste alleanze potrebbero riguardare due o più chiese nei settori
della giustizia, della pace, della
salvaguardia o della gestione del
creato, che sono al centro della
missione evangelizzatrice di cui
è investita la chiesa.
Di fronte alla domanda posta
René Coste, delegato a Seoul della Santa Sede.
da un giornalista, René Coste ha
rivolto tre richieste, o auspici,
al Consiglio ecumenico delle chiese:
— che queste conferenze ecumeniche restino veramente delle assemblee ecclesiali, senza diventare politiche, anche se esse
devono poi orientarsi ad un impatto con la società;
— che tutti abbiano la preoccupazione per una teologia profondamente definita, e per ima
analisi obiettiva, se possibile
scientifica, dei problemi affrontati.
— che l’approccio sia sempre
impregato deH’amore di Dio in
Cristo.
Théo Buss
GLI ITALIANI A SEOUL
Una preghiera comune
La confessione di peccato e gli impegni che ci dobbiamo assumere Importante il coinvolgimento delle nostre chiese e delle comunità
Signore, ti lodiamo e ringraziamo per quest’assemblea di
tuoi discepoli. E’ un dono che ci
riempie di gioia e ci affida una
grande responsabilità.
Ti lodiamo e ringraziamo per
l’opera del tuo Spirito nel quale
tante donne e uomini ascoltano
il grido dei poveri, degli assetati
di giustizia e di pace, della creazione violentata, mettendosi in
un cammino di conversione.
Come tuoi discepoli, diversi ma
uniti nella fede in te che in
Gesù Cristo hai amato tutta l’umanità e l’intera tua creazione,
vogliamo però anche confessarti
il nostro peccato per non aver
saputo portare avanti quel livello di comunione vissuto nel cammino ecumenico in Europa (Assisi 1988, Basilea 1989).
Aprici alla conversione e sostieni per il tempo che viene
l’entusiasmo che ci ha accompagnato in questa assemblea per
accogliere la tua alleanza di Gesù Cristo, affinché siamo capaci
di agire e impegnare le nostre
chiese:
— per un modello di sviluppo
e uno stile di vita individuale e
collettivo che rispetti la dignità
di tutte le creature e il diritto
di tutta l’umanità a trarne sostentamento;
— per la cancellazione del debito estero che soffoca i paesi
del sud del mondo, come primo
passo verso la creazione di un
ordine economico internazionale
più giusto, basato non sulle logiche del mercato ma sul rispetto della dignità della persona e
del diritto dei popoli all’autodeterminazione;
— per la piena accoglienza
delle minoranze, dei rifugiati, dei
lavoratori migranti, contro ogni
forma di discriminazione razziale, etnica o religiosa;
— per la piena partecipazione
delle donne ai diritti, alla vita,
alla costruzione della nostra società e delle nostre chiese;
— contro la militarizzazione e
in particolare contro l’installa
zione di nuovi sistemi d’arma;
per la riduzione delle spese e
delle strutture militari, per la
diffusione della cultura della
nonviolenza e dell’obiezione di
coscienza;
— per un sostegno e partecipazione a quegli sforzi popolari che
cercano di cambiare le condizioni di disumanità e di violenza
strutturale, in particolare nel
Meridione.
Signore, dacci la forza di es
sere fedeli a questi impegni.
Fa’ che con il tuo aiuto andiamo avanti in questo processo
ecumenico per la giustizia, la
pace e la salvaguardia del creato
coinvolgendo sempre di più le
nostre chiese. Rendici capaci di
diffondere la notizia, gli impegni e le sollecitazioni di questa
assemblea come un dono e un
invito a camminare insieme nelle vie delia pace finché venga
il tuo Regno. Amen.
LA DICHIARAZIONE FINALE
Il saluto
dei
presenti
Il grido dei poveri ci chiama a testimoniare
Cristo - Occorre collaborare il più possibile
Dopo essersi riuniti più volte,
i partecipanti cattolici (circa
100) all’assemblea di Seoul hanno redatto un messaggio che tre
di loro hanno letto all’assemblea
stessa: suor Aurelia (Filippine),
Jan ter Laak (segretario di Pax
Christi in Olanda) e il capo della delegazione della Santa Sede,
mons. Basii Meeking, vescovo della Christchurch (Nuova Zelanda).
« Siamo ben coscienti che viviamo un’epoca in cui molti sistemi di sopravvivenza sulla terra vengono distrutti in maniera
devastante e distruttiva. La portata di questa minaccia e il grido dei poveri ci chiamano a testimoniare del Cristo agendo insieme adesso », dice il messaggio nella sua parte centrale. Dopo aver riconosciuto che la mag
LA PARTECIPAZIONE DEI CATTOLICI
L’opinione di un
delegato riformato
Rispetto a Basilea, Seoul ha dimostrato maggior coraggio di fronte alle sfide di oggi
gior parte dei problemi ha origine nell’ingiustizia dominante,
i partecipanti cattolici hanno affermato di essere « impegnati ad
adoperarsi insieme (al CEC, ndr),
dove questo sia possibile, in favore della giustizia, della pace
e della salvaguardia del creato,
là dove viviamo, là dove lavorianto ».
La Santa Sede aveva inviato
a Seoul 20 membri consultivi
(teologi incaricati dal papa di
fornire la loro opinione su problemi di fede e di disciplina).
Ha anche contribuito con riflessioni teologiche e con una collaborazione per il personale e
sul piano materiale. I cattolici
erano presenti anche fra i consiglieri, Consigli di chiese continentali, visitatori, steward e anche fra i giornalisti.
(Questo articolo è stato scritto per il numero di maggio del
mensile dei missionari comboniani « Nigrizia », che gentilmente ha acconsentito alla sua pubblicazione su « U Eco-Luce»).
Sono quattro le principali critiche apertamente mosse da parte vaticana all’assemblea di
Seoul: scarsa serietà teologica,
scarsa serietà di analisi, troppo
Antico Testamento, troppa politica e troppo poco Evangelo.
Che su queste critiche, prese
in astratto, il prof. Coste abbia
potuto registrare consensi anche
fra gli ortodossi, gli anglicani,
i luterani e « gli stessi riformati » non stupisce più che tanto.
I tempi dell’elaborazione del documento base e soprattutto la
durata dell’assemblea erano talmente risicati da non permettere più della discussione e della
messa in comune di alcune affermazioni e di alcuni impegni
di fondo, suggeriti da quanto sta
accadendo a livello mondiale alla luce di una lettura della Parola di Dio.
Inoltre era prevedibile che soprattutto i delegati delle chiese
del sud del mondo, in un’assemblea che in qualunque momento poteva mettere in discussione i compromessi elaborati dagli organizzatori, avrebbero fatto sentire tutto il peso della
drammaticità della loro situazione e dell’urgenza senza precedenti di soluzioni politiche, qui
e ora, alla crisi mondiale, riscontrando un’affinità più immediata
con la speranza storica del popolo della promessa che non con
l’escatologia realizzata o puramente spirituale, comunque individualistica e astórica, a cui
la cristianità ha il più delle volte ristretto la propria visione.
Chi non avesse voluto fare i
conti con l’inevitabilità di questi due elementi — la ristrettezza dei tempi, dovuta alla strutturale fragilità e povertà di mezzi del Consiglio ecumenico delle
chiese, e la gravità delle condizioni dei popoli del Sud — non
poteva che uscire deluso, quando non Contrariato, dall’andamento e dal prodotto finale dell’assemblea. E’ tuttavia assai più
degno di nota che, pur rischiando più volte di sciogliersi nel
conflitto, Tassemblea abbia alla
fine saputo autogovernarsi al
punto di riuscire a discutere a
fondo e approvare in plenaria,
quasi sempre all’unanimità (anche grazie al voto dei delegati
ortodossi, anglicani e luterani,
nonché della pattuglia dei cattolici « di movimento ») le dieci
affermazioni e i titoli dei quattro atti di alleanza scaturiti dall’esame dei gruppi di lavoro.
Ma le critiche di Coste non
partono da un modello astratto,
bensì daH’esperienza dell’Assemblea ecumenica europea « Pace
nella giustizia » di Basilea, il cui
comitalo preparatorio egli indica come esempio di capacità di
« ascolto » reciproco fra teologie
e ideologie diverse, quasi che
Seoul avesse potuto essere concepita come il puro e semplice
aggiustamento a livello mondiale di quel modello.
Ora è ovvio che, sia pur .soltanto per motivi culturali — e
non senza conseguenze a livello
teologico e politico — l’operazione non avrebbe mai potuto
funzionare a meno di imporre,
come tante volte in passato, un
opprimente eurocentrismo. Ma
c’è di più: Basilea si era potuta mantenere sui binari tracciati dal comitato promotore ed era
potuta arrivare a un’approvazione pressoché unanime del suo
lungo documento finale in virtù
di una procedura che riduceva
al minimo le possibilità d’intervento deH’assemblea. Il risultato era stato un gran successo
ecumenico-diplomatico, un compromesso di discreto livello per
la prima assise dei cristiani d’Europa dopo 900 anni, ma che per
serietà teologica, di analisi e di
predicazione dell’Evangelo era
almeno altrettanto discutibile
delle affermazioni e degli atti
di alleanza approvati a Seoul (si
pensi, per esempio, alla risibile
« confessione di peccato » o alla «particolarità » riconosciuta alla « protezione della vita non ancora nata » come « criterio supremo nella ristrutturazione del
II cardinale Kim, primate cattolico di Corea.
l’ordine sociale»!). Senza voler
togliere nulla all’importanza dell’assemblea europea, che per
molti aspetti resta un awenimem
to insuperato, Seoul, nei limiti
e con l’apertura di cui si è detto, ha dimostrato ben altro coraggio nell’affrontare le sfide dell’Evangelo della giustizia, della
nonviolenza, della nuova creazione qui e ora, in mezzo alle contraddizioni delle donne e degli
uomini del nostro tempo. E ha
dimostrato ben altra consapevolezza di quel « kairòs » che, col
suo portato di promessa e insieme di giudizio — come ha predicato il pastore pentecostale
Frank Chikane, segretario del
Consiglio delle chiese del Sud
Africa, nell’unica vera relazione
« di linea » deH’assemblea —
spazza via comuniSmi e anticomunismi, creando un « vuoto
ideologico » che, per quanto ci
compete, siamo chiamati a riempire non con le « minestre riscaldate » dei confessionalismi o
delle teocrazie, ma aprendo le
orecchie nostre e del mondo al
gemito del creato e rinnovando
i nostri impegni verso il Dio dell’alleanza e fra di noi per la giustizia, la pace e la salvaguardia
del creato, dentro ai movimenti
che lottano per i diritti e la liberazione di tutti.
C’è un tempo per ogni cosa.
Basilea, all’insegna del compromesso fra cristiani europei, ha
segnato un netto passo avanti
verso una nuova unità fra le confessioni storiche del Vecchio Continente. Seoul, all’insegna della
radicalità imposta dalla chiesa
dei poveri e degli oppressi, ha
segnato un passo avanti altrettanto netto verso una maggiore
fedeltà della cristianità mondiale all’Evangelo della liberazione.
Entrambi i cammini ci appaiono irti di difficoltà e di pericoli,
ma anche gravidi di speranza.
Bruno Gabrielli
16
16 Speciale Seoul ’90
Il maggio 1990
DENUNCE DA PARTE DI AMNESTY INTERNATIONAL
I diritti umani in Corea del sud
Repressione, tortura e celle segrete non appartengono solo al passato - Migliaia di persone incarcerate per motivi politici - L’accusa più diffusa: appoggio alla Corea del Nord
Una scena ricorrente: la polizia contro i dimostranti
L’economia coreana è in espansione; ma il suo risvolto è assenza di garanzie sociali per la popolazione, sfruttamento della
mano d’opera (60-65 ore settimanali, 3 giorni di ferie!), propaganda ideologica anticomunista. Amnesty International si occupa
molto della Corea del Sud, dove i diritti umani sono in molte occasioni violati.
Mentre si guardavano tempo
fa, alla televisione, le stupende
immagini delle Olimpiadi di
Seoul nella Corea del Sud, non si
poteva davvero immaginare che
anche in questo paese venivano
violati i diritti umani. Anche qui
c’erano e ci sono tutt’oggi persone detenute, torturate, assassinate soltanto per l’esercizio non
violento dei loro fondamentali diritti. Le denunce di Amnesty sono al riguardo irrefutabili: « Noi
confermiamo quanto scritto nei
nostri Rapporti e ribadiamo la
nostra richiesta per la liberazione di tutti i prigionieri per motivi di opinione » ( dal comunicato
stampa del 23.2.’90 sulla Corea
del Sud).
Il Presidente sudcoreano Roh
Tae-Woo, quando era stato insediato nella sua carica nel febbraio ’88, aveva dichiarato; « L’epoca in cui si tolleravano le repressioni e le torture nelle celle
segrete appartiene al passato! ».
Eppure diverse persone arrestate neH’aprile dello scorso anno
hanno affermato di essere state
Un dimostrante a Seoul.
tenute in isolamento, picchiate
e costrette a rimanere sveglie
per lunghi periodi di tempo.
DaH’aprile ’89 si
aggrava la situazione
Dopo l’amnistia presidenziale
del dicembre ’88 circa 2(X) prigionieri arrestati nel ’60 e ’70 erano ancora in carcere e nell’agosto
’89 il numero dei prigionieri politici era salito a più di 800, senza
contare le migliaia di persone
che erano state detenute per brevi periodi di tempo per aver preso parte a dimostrazioni e scioperi. Alcimi dissidenti e leader
studenteschi erano fuggiti per
sottrarsi all’arresto. Fin dall’aprile ’89 alcuni prigionieri erano
stati tenuti in ’’incommunicado”
ed era stato loro vietato di incontrarsi con i familiari e gli avvocati.
Nello stato della Corea del Sud
è in vigore la pena di morte. Per
frenare l’aumento della criminalità, nell’agosto ’89 sono state giustiziate sette persone. Nei due
anni precedenti non vi erano state esecuzioni capitali. E’ evidente
un peggioramento della situazione, nel 1989, rispetto alle violazioni dei diritti umani.
Per tale motivo Amnesty International ha promosso quest’anno un’Azione speciale a livello di Gruppo, coinvolgendo
quindi anche il Gruppo Italia 90
della vai Pellice. I membri dei
Gruppi sono invitati a rivolgere
appelli alle autorità sudcoreane
per chiedere l’abolizione della
tortura e della pena di morte, oltre al rilascio dei prigionieri di
opinione.
Le pene detentive di questi prigionieri sono, a volte, molto lunghe. Il governo ha annunciato
che procederà alla liberazione di
detenuti anziani e malati da molto tempo in carcere, ma solo alla
condizione che abbiano tenuto
una buona condotta e abbiano
« riveduto le loro posizioni » !
Accusa di
spionaggio
Occorre a questo punto spiegare che il termine ’’spionaggio”,
com’è internazionalmente accettato, è inteso dalle autorità governative sudcoreane in senso diversificato e molto più ampio.
Una semplice e legittima aspirazione a vedere unificate le due
Coree, un contatto con i nordcoreani o una visita non autorizzata in questo paese possono già
creare i motivi per una accusa di
spionaggio e portare a pesantissime condanne, come l’ergastolo.
Vengono accusate persone che
non hanno mai operato a favore
della Corea del Nord, né mai consegnato ad essa informazioni segrete, come Amnesty in alcuni
casi ha documentato e dimostrato, ma hanno solo svolto attività politiche in modo pacifico
ed esercitato i loro fondamentali diritti di libertà di associazione e di parola. Vengono anche
arrestati cittadini dopo soggiorni
in Giappone, Europa e Stati Uniti ed accusati di presunti contatti
con organizzazioni e individui
simpatizzanti della Corea del
Nord.
Dall’aprile all’agosto ’89 ci furono arresti di appartenenti
all’Alleanza democratica nazionale e ad altre associazioni, come il Consiglio nazionale delle
chiese. Tutti sono stati accusati,
in base alla legge di sicurezza
nazionale, di attività di appoggio alla Corea del Nord. L’Alleanza democratica nazionale, considerata ’’sediziosa” dal governo, si
impegna a favore delle riforme
democratiche, i diritti dei lavoratori, il ritiro delle armi nucleari
e delle truppe USA e la ripresa
del dialogo Nord-Sud. La maggior parte dei suoi dirigenti è oggi in detenzione.
Una donna
decisa
Era membro dell’Alleanza la
giovane Im Su-Kyong, studentessa di lingue straniere all’Università di Seoul, che fece della riunifìcazione delle due Coree la sua
ragione di vita. Collaborò segretamente all’organizzazione del
Festival mondiale della gioventù
di Pyongyang nella Corea del
Nord. Poi sfidò il divieto del ministro dell’Istruzione per gli studenti sudcoreani di partecipare
al Festival. Malgrado il divieto, gli
studenti tentarono di attraversare a piedi la linea di demarcazione tra le due Coree, al 38° parallelo, ma vennero arrestati. Im
Su-Kyong riuscì ad entrare nella
Corea del Nord via Giappone e
Germania Federale. Organizzò
una marcia della pace, nella vana speranza di poter percorrere
tutta la penisola di Corea. Tentò
poi il rientro nel suo paese attraverso il villaggio neutrale di
Panmunjon al confine, ma il comando delle N.U. che vi staziona, in mancanza del consenso del
Sud Corea, glielo vietò. La giovane fece ancora un tentativo, ma
inutilmente. Allora iniziò uno
sciopero della fame. Non si sa in
che modo, ma alla fine riuscì a
rimpatriare il 15 agosto. Fu arrestata e incarcerata.
Amnesty International, che la
considera prigioniera di coscienza, ha comunicato in questi giorni che Im Su-Kyong è stata condannata il 5 febbraio scorso a 10
anni di carcere. E’ stata accusata.
Im Su-Kyong. Dieci anni di carcere per aver passato il confine
tra le Coree.
in base alla legge di sicurezza nazionale, di visita illegale nella Corea del Nord.
Si può scrivere per chiedere la
sua liberazione a :
Kang Young-hoon, Prime Minister
77, Sejong-no - Chongno-gu
Seoul - Republic of KOREA.
Anna Marnilo Reedtz
Quale futuro si prospetta per i più giovani? Ancora divisioni, stec
cali e repressioni?
CHIESE BATTISTE, METODISTE, VALDESI
Il processo JPIC in Italia
Ricompren(dere il senso di molte iniziative già avviate e consolidate - Importante discutere il senso di Seoul nelle nostre assemblee
Seoul è stata una bella assemblea. Perché non rimanga soltanto una bella assemblea, tuttavìa,
è ora necessario che tutte le chiese, ma soprattutto le chiese che
vi erano rappresentate, prendano sul serio la parola che vi è
stata predicata e gli impegni che
ne sono scaturiti, ciascuna secondo la propria vocazione e i
propri cloni.
Che cosa suggerire alle nostre
chiese battiste, metodiste e vaidesi — ci siamo chiesti all’incontro della Commissione JPIC dello scorso 26 marzo — per far
crescere nel nostro paese quell'alleanza per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato
ver.so la quale Seoul, a livello
mondiale, ha costituito il primo
atto formale?
Tanto per cominciare, le chiese — ciascuna a casa propria
— potrebbero da subito interrogarsi su quali delle loro attuali
attività possano essere iscritte
nel quadro del processo conciliare JPIC. « Assemblea nuova,
vita nuova », d’accordo, ma « vita nuova » significa anche riconcepire il senso di quanto già si
va facendo e non soltanto chiedersi in quale direzione si potrebbero aprire nuove piste di
predicazione e nuovi cantieri di
lavoro, per poi magari concludere che non se ne hanno le for
ze. Pensiamo a quanti sono attivi sulle questioni dell'immigrazione, del Mezzogiorno, del Sud
Africa, della Palestina, delle Filippine, della militarizzazione,
dell’ambiente e via dicendo.
In secondo luogo, sarebbe auspicabile che le chiese arrivassero alle loro prossime scadenze assembleari — circuiti, distretti, Sinodo, Assemblea battista —
avendo letto e discusso le Affermazioni e gli Atti di alleanza di
Seoul in maniera più diffusa e
approfondita di quanto si sia riusciti a fare lo scorso anno per
Basilea. La stringatezza dei documenti ce lo consente.
Ma soprattutto ci sembra che
un’occasione da non perdere sia
quella offertaci dall’Assemblea
BMV di novembre. Nel documento preparatorio, a pag. 52, leggiamo: « L'azione evangelistica
(...) è essenzialmente un’azione
tesa all’emancipazione, alla liberazione. In questo senso essa sarà (...) un’azione profetica che
richiama i singoli e le chiese ad
una lotta ben precisa contro nemici ben precisi, in favore di
vittime deboli ben identificate.
Evangelizzazione e lotta per la
giustizia, per i diritti umani, per
la pari partecipazione di donne
e uomini, per la pace, per un
assetto economico e produttivo
che sia rispettoso del mondo
creato, sono aspetti della stessa
azione della chiesa e non semplici attività tra loro alternative ». A pag. 63, nel questionario,
si suggerisce come risposta alla
domanda sulla « specificità dell’evangelizzazione » in Italia « un
insieme di attività programmate
in comune dalle chiese, legate
tra loro da un patto di reciproco riconoscimento ». Perché l’Assemblea di novembre non dovrebbe dunque poter segnare il primo atto di un’alleanza BMV (allargabile in un secondo momento a quant'altri vorranno aggregarsi, evangelici federati e non
federati e, non ultimi, tanti cattolici « in movimento ») nello
spirito delle risoluzioni di Seoul?
Non siamo stati in grado, al
termine del nostro incontro —
Come sempre troppo breve! —
di definire la nostra proposta
meglio di così. Faremo tutto
il possibile per provvedere in
tem,po utile. Nel frattempo, sarenìo grati a quanti vorranno
esprimersi su questa ipotesi c
fornirci eventualmente i loro suggerimenti.
L’indirizzo della Commissiono
JPIC è presso la Tavola valdese, via Firenze 38, (X)184 Roma.
Bruno Gabrielli
Coordinatore Commissione BMV
pace, giustizia, salvaguardia
del creato