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ECO
DELLE WU VALDESI
BtBLIOTECA VALDESE
10066 TORRE PEIL ICE
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 109 - Nani. 6
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TORRE PELLICE - 11 Febbraio 1972
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Fedeltà nelle cose minime
È ben noto a tutti il rischio che
la ricorrenza del 17 febbraio porti
con se qualche manifestazione di
«quella retorica patriottarda, che
già da tempo è stata ampiamente
denunciata e deprecata: non tanto per le sue manifestazioni più inaenue e in fondo comprensibili,
quanto piuttosto perché essa è un
indizio della crisi di una chiesa
che, avendo perduto il senso della
sua vocazione storica, è ridotta a
compiacersi della fedeltà dei padri
e in essa si esalta come se fosse
attuale.
È dunque necessario uscire dall’equivoco e ricuperare il valore
fondamentale della vocazione storica delle Chiese Valdesi: essa
rientra, è chiaro a tutti si spera,
nel quadro dell'impegno e delle
responsabilità missionaria della
chiesa, che è la sua ragion d’essere
ovunque. La Chiesa di Gesù Cristo
non è convocata per curare il proprio benessere spirituale o coltivare sacre memorie, ma per testimoniare dell’Evangelo e per annunciare il Regno di Dio che viene, levandone i segni nel contesto equivoco e turbato della storia contemporanea.
Queste parole potrebbero essere
applaudite a un pranzo del 17 febbraio e tutti si sentirebbero allora
soddisfatti e contenti, intonando
poi lietamente qualche canzone.
Ma questo vuol dire allora che,
nella circostanza concreta della celebrazione, anche il richiamo ai
grandi motivi di fondo della storia
valdese e l’accento posto sulla responsabilità di oggi, in quanto siano parole altisonanti e generiche,
scadono nuovamente nella retorica occasionale e diventano, come
è stato detto e tanto discusso, « pal'ola inefficace ».
Sarebbe allora più sobrio e più
coerente non fare alcuna celebrazione, se non fosse pur necessario
e forse utile cogliere l’occasione
inevitabile per un richiamo serio e
consapevole. In realtà è urgente
ritrovare e rimeditare la speranza
della vocazione che ci è stata rivolta; ma appunto non nelle commemorazioni, nei momenti di patetica emozione, quali musiche, canti,
trombe e bandiere possono suscitare in noi. Occorre piuttosto rimeditare sulla speranza della nostra vocazione nel contesto delle
piccole cose quotidiane, nella ricerca di una coerenza che non si
ammanti di retorica, ma che sia
impegno nel quadro limitato della
nostra esistenza come chiese e come credenti. Gesù diceva: « chi è
fedele nelle cose minime è pur fedele nqlle grandi » (Luca 16: 10).
È una specie di controprova che
vale tutti i giorni: la fedeltà alla
vocazione perenne si verifica nella
fedeltà nelle cose minime, nel contesto circoscritto dell’esistenza di
ogni giorno.
Difficile fare un’esemplificazione, senza ricadere nel teorico e
nell’inefficace. Il contesto circoscritto è il luogo dove ci troviamo,
dove lavoriamo, dove siamo raccolti insieme come chiesa, sia pure nelle molteplici forme di questo
fatto, che non è ormai più soltanto
la parrocchia tradizionale che amiamo criticare. È il luogo dove
ci è dato (sola gratia! questo non
è retorica) di esprimere la coerenza della fede, anche quando essa
è un po' traballante. È il luogo dove occorre verificare quella coerenza nel confronto tra la Parola
di Dio e i fatti reali, il mondo intorno a noi e i suoi problemi, per
non essere uomini che non sanno
più testimoniare dell’ Evangelo
perché non sanno più metterlo in
relazione con la loro vita di ogni
giorno.
La fedeltà nelle cose minime reclama dunque delle scelte coerenti. Questo è scomodo, perché comporta riflessione, critica, rischio.
E il nostro istinto immediato non
ama il rischio, si ritrova bene nella quiete spirituale delle comunità tranquille, rifugge dal nuovo
senza verificarlo, non ha voglia di
compromettersi con il mondo di
fuori, magari con la scusa di voler
salvaguardare la libertà dell’Evangelo; col bel risultato poi di asservire l'Evangelo agli schemi ed ai
presupposti di una società nella
quale ci troviamo, tutto sommato,
abbastanza bene per fare i fatti
nostri. Per esser trovati fedeli nelle cose minime non bisogna aver
paura di rischiare e di compromettersi; non bisogna aver paura di
buttare all’aria, se necessario, il
nostro saggio modo di vivere, gli
strumenti delle nostre valutazioni,
la tranquillità del nostro avvenire.
« Se non siete stati fedeli nelle
ricchezze ingiuste, chi vi affiderà
le vere? » (Luca 16: 11).
Fatalmente il discorso del moderatore della Tavola Valdese arriva a questo punto, c’era da aspettarselo!, a parlare di finanze. Cioè,
tanto per restare nella circostanza,
di settimana di rinunzia o della
riconoscenza, comunque la si voglia chiamare.
È anche questa una fedeltà nelle
cose minime, una fedeltà nelle ricchezze ingiuste? La risposta sta
nella decisione di ognuno di noi.
Ma anche qui, quello che importa è di saper operare delle scelte
coerenti; di non temere il rischio
dell’impegno; di non cercar delle
scuse per non esser disturbati. Allora anche nel quadro deH’offerta
e del dono la decisione sarà veramente libera e la coerenza della
fede porterà i suoi frutti.
ASPETTI DELLA RIFORMA DELLE CHIESE
Conversione politica
Se la proposta di conversione politica delle chiese come momento necessario della loro riforma suscita ancora tra i loro membri ampie riserve
e talvolta aperta ostilità non è solo
perché molti credenti amano l’immagine di una chiesa neutrale, al di fuori
o al di sopra delle parti in lotta, isola
di pace e conciliazione in xm mondo
caratterizzato da interminabili conflitti e sempre nuove lacerazioni. Tra
una chiesa politicamente neutrale e
una chiesa politicizzata molti preferiscono istintivamente la prima, giudicandola, a torto, più conforme alla
sua vocazione. In realtà tutti sanno
che una chiesa politicamente neutrale è altrettanto politicizzata quanto
quella che neutrale non è o non vuole
essere; solo che è politicizzata in senso conformista e conservatore. Si è
politicizzati non solo quando si fa politica ma anche quando la si subisce
passivamente, come di solito accade
nelle nostre chiese.
La riluttanza delle chiese a politicizzarsi non è però sempre e soltanto
dovuta al conformismo politico dei loro membri, o alla comprensione della
conversione in termini soltanto indi
Neri Giampiccoli
iiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiii'iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiHMKiiiiimiiiiimiiiiiuHiiiuiiiHMiiiiiniiiiiinimiiiimiiiiiiiiiiiimiiiiiiimiiimimiiiiiiiiiimiiitiiminiiiiiiiii liiiiiiiiiiiiiiiiimi
Siamo a un altro XVII Febbraio
Da deve viene - Deve va la eestra Chiesa ?
Abbiamo camminato al riparo del
nostro passato come il pecoraio di Maremma sotto il suo grand’ombrello
verdone: a pioggia e sole, è buono per
tutti i tempi. (Però le lame del vento
e della stagione torta, e la calura ribollente dalla terra, ti lavorano l’uomo: quando l’ombra s’allunga, allora
s’avvede che l’ombrello non basta più).
Anche noi ci siamo avveduti che
il nostro passato — detto « storia valdese » — non basta più. Tra stupore
e pietà degli adulti, le nuove generazioni han mostrato chiaro che quel
passato al quale tradizionalmente ci
riferiamo non le interessa, le annoia
e, per finire, sembra poco attendibile.
In effetti una Chiesa che s’era caratterizzata per un’assidua e amorosa
cultura della propria storia, oggi cerca
affannosa qualche raro giovane studioso disposto a impegnarsi su quel
terreno. Perché?
Quale passato
Osservate a distanza una storia valdese, dal loggione. Come nell’opera ottocentesca, il popolo fa massa ai margini delle quinte e dei fondali di maniera, e si fanno avanti i mattatori selezionati: sono gli eroi dei tempi delle persecuzioni, poi le grandi personalità (pastori e « benefattori »), quindi gli edificatori dell’evangelizzazione
(pastori, professori di teologia, società missionarie). In sostanza il gruppo
dirigente intellettuale, ecclesiastico e
laico, ha fatto e fa la propria storia,
identificandola con quella del Valdismo. Ed è invece storia di un gruppo
, sociale emerso a fine ’700 e consolidatosi nel secolo seguente; è storia, inoltre, che per metà appartiene alla letteratura militare e per metà alTagiografia canonizzata — ma con ben altro vigore — dai M. Piaccio Illirico,
Crespin, ecc.
Questo passato o, meglio ancora,
questo modo di proporre una riflessione sul passato della Chiesa, è per le
nuove generazioni un invito all’iconoclastìa e al disinteresse. D’altra parte,
non è con un gesto velleitario che un
credente, oggi, può sbarazzarsi di un
passato della propria Chiesa che è vivo, percettibilrhente attivo. Nessuno
può afferrare veramente la situazione
presente e interrogare il domani, se
non è consapevole del condizionamento che porta in sé come una forza cri- fica.
A me sembra che quei rari tentativi
che negli ultimi anni sono stati fatti
per capire il senso della nostra storia
abbiano un valore innegabile, anche
se feriscono venerande tradizioni: solo da indagini settoriali nuove, solo
partendo da premesse inedite e con
diverse impostazioni di metodo, di ricerca, potremo rinnovare un interesse vitale per la storia valdese. Potremo proporre alle nuove generazioni
una storia credibile, cioè capace di fare riflettere, di stimolare l’uomo concreto di questo scorcio di secolo. Un
uomo, badiamo bene, immerso in pro
blemi concreti, pressanti, ma sempre
condotto a valutarlj^efla storia in atto, vissuta come ;^osecuzióne consapevole di un passato. Rottura e continuità sono ambedue segni della nostra crisi di civiltà.
Un passato molto prossimo
Nella nostra storia degli ultimi cinquant’anni ci sono cose che danno
noia come le vespe sull’uva. Preferiamo che ci mettano le mani sopra « gli
altri »: che si pungano loro! La ragione appare evidente: è il periodo che
registra il collasso del gruppo dirigente liberal-fascista, la resa dei conti per
la Chiesa dell’ordine pubblico, del militarismo patriottardo, della rispettabilità soprattutto.
Dalla prima guerra mondiale il
gruppo di guida della Chiesa uscì con
un programma preciso: tenere in pugno, a ogni costo, la direzione; organizzare per controllare, far buon viso
a ogni situazione politica, pur di sopravvivere, dignitosamente, s’intende.
Allo sterminio delle scuole seguì la
svendita degli immobili, il rifiuto di
ottime vocazioni pastorali, im cauteloso quanto innegabile filofascismo,
l’ottusa opposizione al barthismo. Infine, la riduzione delle comunità a
ghetti, a sale di convegno per consumatori d’afrodisiaci spirituali. È in
questo clima, con un cosidetto « popolo-chiesa » così allenato, che siamo '
stati scaraventati nella società ribollente del secondo dopoguerra.
Oggi noi tutti pecchiamo per un
amore sbagliato, quando esaltiamo la
testimonianza dell’esiguo e ben poco
ascoltato drappello barthiano, e non
abbiamo il franco coraggio di fare
quella storia. Forse a toccare con mano l’abisso di rispettabilità, il laccio
del diavolo della gente d’ordine che ci
aveva ghermiti..., forse capiremmo
meglio le ragioni di certi atteggiamenti rifiorenti nelle nostre assemblee, come quelle di una protesta giovanile
che, al limite, si fa rottura e abbandono.
L’evangelizzazione edilizia
I settari ci dicono che non evangelizziamo più; noi pptremo rispondere
che comunque seguitiamo a costruire
con vero zelo. E siamo coerenti con
una storia .valdese che è punteggiata
da inaugurazioni di templi, ospedali,
opere, come pietre miliari sulla via
verso il Regno.
Durante l’ultimo Sinodo abortì purtroppo in polemica un tema di fondo:
il rapporto fra la missione della Chiesa e la sua attività edilizia o, se preferite, fra l’annunzio della povertà
evangelica e la politica finanziaria della Chiesa. La costante storica sta tutta
dalla parte dell’edilizia, ma c’è da chiedersi se oggi non sia necessario un
radicale cambiamento per recuperare
un aggancio missionario nella società
italiana.
La povertà è anche una dimensione
« politica » dell’uomo, ed oggi ha riacquistato quel significato di protesta
evangelica totale che aveva nel medioevo: il Valdismo è stato « evangelizzatore » quando ha centrato in tutta
la sua ampiezza — di fede e di vita
nella società — il significato del messaggio concernente Cristo che portava. Ma oggi in troppi s’ha paura delle
implicazioni « politiche » della testimonianza evangelica, si diffida delle
Beatitudini, e addirittura ci s’ingolfa
in una caccia alle streghe che ci allinea con i conservatori dei sistemi di
questo mondo.
Il Valdismo è diventato una Istituzione, ed ha le reazioni tipiche di una
Istituzione, pur portando in sé l’impronta à'un movimento religioso-politico: riusciremo a ri-stabilire la validità, la complementarietà, delle due
componenti? È la condizione, a mio
avviso, per uscire dal vicolo cieco in
cui ci siamo cacciati con la pretesa
irrazionale della apoliticità da tm lato e della forsennata politicizzazione
dall’altra. Comunque, anche dalla riflessione sul passato dobbiamo pervenire a questa domanda: a che punto
è, dove va la nostra Chiesa?
L’eredità dei padri.
Noi siamo portati alla rettorica. Anche questa frase diventa spesso rettorica nel contesto celebrativo del « XVII
Febbraio », se dimentichiamo due cose: 1. l’eredità dei padri sta nelle comunità valdesi sparse per l’Italia di
oggi; 2. su questa eredità viviamo dal
principio del secolo, e ormai siamo all’osso.
Noi non abbiamo una storia del popolo valdese, né alle Valli né oltre;
non sappiamo in quali situazioni —
economiche, sociali, culturali, ecc. —
ogni comunità ha vissuto e tramandato la fede. Non sappiamo perché siamo stati vivi in Italia e non in Patagonia. Eppure è solo così, quando la
storia è passato di tutti, che ogni comunità valdese può ritrovare la propria identità, esercitare una salutare
autocritica, capire perché il Signore
l’ha voluta vivente in un dato luogo,
in una particolare società.
Siamo in un tempo che taglieggia le
eredità, le rifiuta come privilegio e le
sospetta come pregiudizio. E v’è un
giudizio di Dio che si avventa anche
contro i residui dell’eredità dei padri,
se questa ci serve solo per dire che.
« Noi siamo progenie d’Àbramo, e non
siamo mai stati schiavi di alcuno »
(Giov. 8: 33). Non è dunque sul terreno fasullo d’un millantato credito
che possiamo valutare un passato del
quale siamo innegabilmente figli per il
fatto che apparteniamo alla Chiesa
Valdese. Ma è solo su quello della verità, e la storia è umile paziente ricerca della umana verità di un popolo
credente che s’interroga sul suo passato per fare il punto della situazione,
e guardare avanti.
L. Santini
viduali o al tradizionale divorzio tra
ri spirituale e il temporale. Se le chiese sono restie a far entrare la politica
nel loro orizzonte di vita e di testimonianza è perché temono, politicizzandosi, di perdere la loro identità di
chiesa e tradire la loro missione.
Forse il conservatorismo che finora
ha caratterizzato le nostre chiese è
più ecclesiastico che politico, nel senso che ciò che sta a cuore ai credenti
conservatori non è tanto di conservare « il sistema » quanto di conservare
alla chiesa quella che essi ritengono
essere la sua identità propria; essi
temono ima politicizzazione della chiesa non tanto perché questo può contribuire a mutare l’assetto della società attuale quanto perché, a loro avviso, la chiesa ne risulterebbe snaturata. Certo le due cose si richiamano
e condizionano a vicenda: la paura di
uno snaturamento della chiesa a motivo di una particolare scelta politica
si intreccia con la paura di questa
scelta, e viceversa. Fatto sta che molti guardano con diffidenza alla politicizzazione della chiesa non tanto per
motivi politici in senso proprio quanto per motivi ecclesiologici: la chiesa
come tale non deve far politica; se la
fa, non è più chiesa.
Parlare di conversione politica delle chiese significa credere nella possibilità di una politicizzazione della
chiesa che non comporti il suo snaturamento né il tradimento della sua
missione ma sia al contrario un atto
di ubbidienza alla parala di Dio. C’è
una vera e una falsa politicizzazione
della chiesa (H. Gollwitzer): le chiese
fanno bene a guardarsi da una falsa
politicizzazione ma fanno male a temere una vera politicizzazione. Quest’ultima non è certo un’impresa facile, ma anche esser cristiani non è
facile. E un’impresa rischiosa, ma come può la fede vivere senza rischiare?
Il pericolo maggiore, ovviamente, è
che la politica diventi predominante
(«la politica prima di tutto») nel senso che diventi il contenuto stesso dell’Evangelo anziché essere una risposta ad esso; la politica non potrà mai
diventare Evangelo perché l’Evangelo
c’è già, non è da fare, è da credere e
annunciare: l’Evangelo è quei che Dio
ha fatto in Cristo, non quello che noi
facciamo. Quando la politica diventa
tutto, l’Evangelo rischia di diventare
nulla. L’altro pericolo è che la chiesa,
politicizzandosi, divenga setta (c’è però da chiedersi se le chiese non politicizzate di oggi non siano, in realtà,
delle sètte rispetto alTumanità! ): la
chiesa diventa setta, in questo caso,
quando non è più il Signore che la governa ma una idea o un programma
politico particolare, cioè chi comanda
non è più il Signore ma l’uomo, con
le sue idee (che diventano più importanti del pensiero di Dio), le sue scelte (che acquistano più peso dell’elezione di Dio), le sue parole (che prevalgono sulla parola di Dio). In una
chiesa di questo genere, Dio diventa
segretamente superfluo.
Questi rischi sono reali ma non fatali. Bisogna esserne consapevoli senza lasciarsi paralizzare da essi. Ma allora come si può configurtire la conversione politica delle chiese? Sarebbe assurdo pretendere di rispondere
a una domanda di questo genere. Ecco alcune scarne osservazioni introduttive, non nuove ma che forse non
è inutile riproporre.
1) E urgente che i numerosi equivoci relativi alla questione chiesa e
politica siano dissipati e che si riconosca che il problema della politica
non è altro che il problema del prossimo. La chiesa non può non fàr politica per lo stesso motivo per cui
non può disinteressarsi del prossimo.
Bisogna rendersi conto che la fuga
dalla politica è, per un verso almeno,
fuga dal prossimo, cioè un atto anticristiano.
2) Il neutralismo politico delle
chiese è colpevole perché induce al
disimpegno. Colpevole è anche un altro atteggiamento tipico delle chiese:
l’attendismo, lo stare a guardare,
aspettando che il peggio passi. Non è
certo questo il compito politico della
chiesa. Per adempierlo non basta neppure che la chiesa si ponga come
"momento critico permanente’’ della società: benché fondamentale, la
profezia politica non esaurisce il mandato della chiesa che comprende anche la diaconia politica; la Parola non
va solo detta ma fatta. Questo significa lottare. Come è un combattimento Tevangelizzazione, così lo è anche
(continua a pag. 2)
Paolo Ricca
2
pag. ¿
N. 6 — 11 febbraio 1972
ACCOSTARSI alla BIBBIA
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Un’esperienza totalitaria
Con una immagine molto significativa, l’apostolo Pietro paragona la parola profetica, cioè le profezie dell’Antico
Testamento, ad una « lampada splendente in luogo oscuro, finché spunti il
giorno e la stella mattutina sorga nei
vostri cuori » (2 Pietro 1: 19). E un’immagine da non dimenticare, specialmente nella lettura dei libri profetici
delTAntico Testamento. In molte pagine c’è una attesa intensa, piena di timore e di speranza. « La fede dell’Antico Testamento — scrive Georges Pidoux
— poggia su due certezze ugualmente
profonde e indissolubilmente legate.
Una parte dal fatto che Dio è venuto
nel passato ed è intervenuto in favore
del suo popolo. L’altra certezza è la
speranza che Dio verrà di nuovo nel
futuro. Come la Chiesa cristiana è posta fra l’Ascensione e il ritorno di Cristo, così la vita d’Israele, popolo che
in un certo senso raffigura la Chiesa, si
svolge fra le manifestazioni di Dio nel
passato e la sua manifestazione negli
ultimi giorni, nella quale è implicito il
regno messianico ».
Chi fosse veramente il Messia, cioè
l’Unto da Dio, atteso da molte generazioni, l’Antico Testamento non lo dice
in modo chiaro. Il Messia poteva assumere la figura di un re ideale, capace
di dare al popolo prosperità e pace,
proveniente dalla dinastia davidica; ma
poteva anche essere una creatura celeste, come quella che sta al centro della
visione di Daniele: « uno simile a un
figliuol d’uomo al quale furono da.ti dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli, tutte le nazioni e lingue lo servissero » (Dan. 7; 13-14).
Tuttavia la fede della Chiesa primitiva fu condotta a riconoscere in Gesù
di Nazareth il Messia, cioè il Cristo, ed
a confessare la propria fede in Lui. Era
veramente lui l’Atteso, anche se i Giudei di quel tempo aspettavano un altro
personaggio che rispondesse rneglio alle loro speranze ed alle loro rivendicazioni politiche. Il grido di gioia dei primi discepoli fu questo: « Abbiam trovato il Messia, colui del quale hanno
scritto Mose nella legge, ed i profeti >>
(Giov. 1: 4145). Infine, Gesù rese testimonianza a se stesso nella sinagoga di
Nazareth quando, dopo aver letto la
profezia d’Isaia che dice: « Lo Spirito
del Signore è sopra me; per questo Egli mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato a bandir liberazione ai prigionieri, e ai ciechi ricupero
della vista; a rimettere in libertà gli oppressi e a predicare l anno accettevole
del Signore », chiuse il libro, si mise a
sedere e disse: « Oggi si è adempiuta
questa scrittura, e voi l’udite » (Luca
4: 17-21).
* * *
Verso Gesù Cristo converge la testimonianza biblica dei profeti e degli
apostoli. L’Antico Testamento annunzia
la venuta del Messia; il Nuovo Testamento attesta che Gesù di Nazareth e
il Cristo, il Messia che doveva venire.
Sotto questo profilo c’è una evidente
unità fra l’Antico e il Nuovo Patto;
non solo, ma si può anche parlare d!
una unità spirituale fra i credenti di
quelle lontane generazioni ed i credenti del nostro tempo. Il cammino degli
uni è stato quello della fede e dell
sa* il nostro cammino è ancora quello
della fede e della speranza. Una speranza « che non rende confusi ». Quando
Gesù Cristo tornerà, il cammino dei
profeti e quello dei cristiani di tutti i
tempi raggiungerà la sua vera meta, allora sarà evidente che « quante sono le
promesse di Dio, tutte quante hanno in
lui (Cristo) il loro “sì”», cioè il loro
adempimento (2 Cor. 1: 20).
Nella notte dei tempi, la via della tede è stata illuminata dalla parola profetica, come da «una lampada splendente in luogo oscuro ». Le profezie
messianiche hanno un tono solerine e
mscstosoi « Poi iiyi tciyì'io uscivà. dui
tronco d’Isaia, e un rampollo spunterà
dalle sue radici. Lo Spirito deU’Eterno
riposerà su lui: spirito di sapienza e
d’intelligenza, spirito di consiglio e di
forza, spirito di conoscenza e di timor
dell’Eterno... In quel giorno, verso la
radice d’Isai, issata come vessillo dei
popoli, si volgeranno premurose le nazioni, e il luogo del suo riposo sara glorioso» (Is. 11: 1-10). ^
Indubbiamente c’è qui un allusione
alla dinastia davidica. Isai era stato il
padre del re Davide, colui che Israele
considerò sempre come il padre del re
Davide, colui che Israele considerò
sempre come il re ideale, una prefigurazione del Messia invano atteso dai
contemporanei di Gesù e non riconosciuto quando Egli venne non nello
splendore di una gloria terrena, ma nell’umiltà e nella povertà della Parola
fatta carne. Ma quale uomo era stato
veramente all’altezza del Messia profetizzato da Isaia? Chi fu realmente colui
del quale Michea parlava in questi termini: « Da te, o Bethleem Efrata, piccola per essere fra i migliai di Giuda,
da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini risalgono
ai tempi antichi, ai giorni eterni... Egli
starà là e pascerà il suo gregge colla
forza dell’Eterno, con la maestà del nome dell’Eterno, del suo Dio, e sarà lui
che recherà la pace » (Mie. 5: 1-4)?
Questi testi profetici illuminano il
nostro cammino, e non soltanto a Natale. Al di là della figura di Davide, con
1.; sue luci e le sue ombre, si delinea la
figura del « Figliuol di Davide », nato
a Bethleem in Giudea, secondo la carne
ma le cui origini « risalgono ai giorni
eterni ». La parola profetica dell’Anti
co Testamento non è semplicemente
una fuga da questo mondo verso un
avvenire migliore o addirittura una belLt composizione poetica libera di spaziare nel campo della fantasia umana.
È invece qualcosa di essenzialmente diverso; l’autore dell’Apocalisse ha definito la profezia in termini precisi è indimenticabili con queste parole: « La
testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia» (19: 10).
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Per quale ragione l’apostolo Pietro
scrive ai suoi lettori queste parole:
« Abbiamo pure la parola profetica, più
ferma, alla quale fate bene di prestare
attenzione, come ad una lampada splendente in luogo oscuro »? Più ferma di
che cosa? Della predicazione apostolica? Evidentemente no; e tanto meno
della rivelazione contenuta nel Nuovo
Patto. Forse siamo vicini al pensiero
dell’apostolo se lo interpretiamo così:
la parola profetica delTAntico Testamento, in modo speciale la profezia
messianica, è più ferma per il fatto che
ora molte profezie si sono già adempiute in Gesù Cristo, per quanto riguarda
la sua apparizione, la sua passione e
la sua risurrezione. Ma quella stessa
parola profetica ci aiuta a guardare davanti a noi e ad attendere il compimento di quelle promesse che concernono
i tempi finali, il glorioso ritorno di
Cristo e la venuta del suo Regno.
La nostra fedeltà cristiana e la nostra
maturità di credenti non possono fare
a meno della parola profetica, annunziata e creduta; ed è superfluo dire che
non possiamo fare a meno della parola
di Cristo e dei suoi discepoli. Gesù Cristo è il « sì » che Dio ha pronunziato
per noi, nella sua misericordia. Un
« sì » quando gli uomini avrebbero meritato un « no », il « no » del giudizio.
Un « sì » che non ci disimpegna, anzi
ci impegna ad operare con ubbidienza
« finché spunti il giorno ». Quel che la
comunità cristiana deve attestare non
è un « sì » umano, anche se cristianamente riveduto secondo i tempi e le loro esigenze; ma piuttosto il « sì » della
grazia e della promessa.
Fino alla fine dei tempi, nel modo
più chiaro e più penetrante. In mezzo
alle tenebre ed alle false luci del tempo
presente, guidati dalla parola profetica
come da una « lampada splendente in
luogo oscuro, finché spunti il giorno è
la stella mattutina sorga nei nostri
cuori ».
Quale stella? quale luce? Nell’ultima
pagina della Bibbia, il Signore viverite
si rivolge in visione all’apostolo Giovanni e gli dice: « Io sono la radice e
la progenie di Davide, la lucente stella
mattutina ».
Ermanno Rostan
« Fu detto: chiunque ripudia sua moglie, le dia l’atto di divorzio.
Ma io vi dico: chiunque manda via la moglie, salvo che per cagion di fornicazione, la fa essere adultera; e chiunque sposa colei che è mandata
via, commette adulterio ». (Matteo 5: 31-32).
Questo testo riflette una situazione
sociale diversa dalla nostra: nel mondo
ebraico antico, in linea di massima solo il marito aveva il diritto di rompere
l’unione coniugale, ripudiando sua moglie: i casi di separazione ad iniziativa
della moglie erano rarissimi: e questo
dipendeva dalla aperta condizione di
subordinazione in cui la donna si trovava a quei tempi nei confronti dell’uomo. Questa subordinazione apriva la
via a ogni possibile abuso e sopraffazione. Perciò il Deuteronomio (24: 1-4)
esigeva che quando un uomo mandava
via la moglie, rispettasse una certa procedura: doveva redigere un « libretto
di ripudio », cioè un vero e proprio documento legale, che tutelava un minimo di diritti della donna, e soprattutto
le garantiva la possibilità di contrarre
un nuovo matrimonio, evitandole di essere ributtata ai margini della società.
Le intenzioni soggiacenti a questa
norma erano dunque positive, ma dato
il regime di disparità vigente tra uomini e donne, queste ultime erano largamente esposte alla prevaricazione, se
non al ricatto, maschile; e del resto,
proprio le correnti più « progressiste »
della teologia giudaica tendevano ad
amplificare considerevolmente la gamma delle motivazioni valide per un ripudio: fino ad includervi la perdita del11 bellezza esteriore, o un errore di cucina. Naturalmente a queste interpretazioni « progressiste » se ne contrapponevano altre assai più rigide, che riconducevano in definitiva alTadulterio
Tunica motivazione valida per il ripudio.
Gesù però non opta per una interpretazione più rigorista o più « progressista » della tradizione morale di Israele.
Egli si riferisce direttamente alla volontà di Dio, ed in base ad essa afferma
il carattere totalitario dell'unione coniugale. La questione non è di rendere
un po’ meno iniquo un rapporto giuridico fondato sull’assoluta prevalenza
del marito, sia durante il perdurare del
matrimonio, sia in occasione della sua
rottura: né si tratta di annacquare il
tutto in una massa di codicilli accomodanti che rendano più tollerabili le situazioni di crisi e di transizione.
La vera questione è di avere ben chiaro davanti a noi il carattere specifico
del rapporto coniugale: esso non è un
mero fatto giuridico, perché investe la
personalità dei due coniugi a un livello
di profondità incalcolabile. Perciò esso
non può essere considerato come un
episodio, sia pure »mpio e interessante,
della vita umana: non ne è un episodio,
perché ne è, o ne può essere, una dimensione costitutiva. Qve questa di
mensione sia stata scelta consapevolmente da due persone, non può più essere eliminata senza che si sbocchi nell’errore e nella sconfitta: il matrimonio
è uno di quei fatti che hanno un carattere irreversibile; e tutto deve essere
fatto e detto affinché i credenti abbiano
chiara coscienza di questa irreversibilità.
Naturalmente questo testo non suggerisce una visione romantica del matrimonio: non meno delTadulterio che
è la sua controfigura negativa, il matrimonio appartiene rigorosamente al
mondo delTaziowe umana, e non sfuggo alle contraddizioni di tutto ciò che
è umano: esso non appartiene al mondo della poesia, ma a quello della prosa. Ma nella prosa si possono anche
scrivere dei capolavori: e un matrimonio veramente realizzato è un capolavoro che sarebbe follia distruggere: i
capolavori sono fatti per durare.
Ma il nostro testo non propone neppure una visione legalistica della durata del matrimonio: il fatto che il matrimonio sia un’esperienza totalitaria,
non deve necessariamente tradursi nel
concetto giuridico della sua indissolubilità, sia che questo concetto venga limitato nell’ambito della chiesa, sia che
esso venga esteso alTambito dello stato.
Il carattere impegnativo e totalitario
del matrimonio deve essere tenacemente proposto dai credenti agli uomini di
tutto il mondo: non può essere imposto a nessuno, neanche se la maggioranza dei cittadini di una nazione sono
del parere che il matrimonio debba essere considerato come indissolubile.
Del resto il concetto di indissolubilità
è un concetto puramente negativo: esso sta alla realtà vera del matrimonio
come il comandamento di « non uccidere » sta al comandamento di amare
il nostro prossimo come noi stessi.
Fare di questa parola di Gesù un comandamento puramente negativo equivarrebbe a farne la bandiera d’una morale ipocrita e repressiva, mentre essa
vuole essere uno stimolo energico ed
efficace a riconoscere anzitutto, e a rispettare poi, le incalcolabili capacità
creative che sono contenute in una vita coniugale vissuta fino in fondo: il
matrimonio è forse l’unico rapporto
umano in cui si possa giungere ad una
totale trasparenza e ad una completa
comunione tra le persone. Certo, perché queste possibilità creative vengano
realizzate, è necessaria una mobilitazione di energie completa e definitiva:
questo va detto e ripetuto, senza stancarsi.
La nostra situazione è però ben diversa da quella del tempo di Gesù: alla
iiiiiiiiimnniiiiiiiiiiimiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!iiiiiiii iiiiiiiiiiiiiiiiiimmiiiiiiiiiiiiiiiiiii: iiiiiiiiiiMiiiininiiiiiiiiiiiimiiiiHmmimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimM!immiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMi!ii
Un’indagine promossa dal Consiglio della Chiesa Evargelica in Germania (EKD - Ovest)
Sulla dottrina di Rari Barth sul battesimo
Un gruppo di teologi, incaricato di esaminare la dottrinabattesimale barthiana, i problemi esegetici che comporta e i
riflessi sulla prassi della chiesa, ha pubblicato una raccolta di saggi che accrescono il "dossier" — La questione di
fondo non è tanto il battesimo dei fanciulli o degli adulti, ma il senso del “sacramento”.
Nel dibattito suTa retta comprensione del battesimo e sulla corretta
prassi battesimale è di grande importanza la dottrina barthiana relaiiva al
battesimo. Il Consiglio della Chiesa
Evangelica nella Repubblica Federale
Tedesca ha perciò pregato un piccolo
gruppo di teologi di esaminare e dibattere la dottrina battesimale di
Barth e in particolare i problemi esegetici che comporta. Il problema era:
quali conseguenze dogmatiche si devono trarre dalla constatazione storica che nel Nuovo Testamento la fede
precede il battesimo?
Qra i vari contributi sono s'ati ra
colti in un volume, pubblicato dal Gutersloher Verlagshaus, con una prefazione di Fritz Viering.
COME BARTH COMPRENDE
IL BATTESIMO
Questo tema viene esposto in ur
contributo del prof. W. Kreck. Per cominciare egli delinea i vari concetti
barthiani di battesimo: di Spirito, di
acqua, dei fanciulli. Secondo Barth il
battesimo di Spirito è immediata autoattestazione e autocomunicazione di
Gesù Cristo, un evento che sta all’origine e che addita l’avvenire. Qccorre
precisare, delimitando, che la parola
di Cristo rivolta in modo immediato
alTuomo risuona, sì, con la partecipa
zione della Chiesa e del suo servizio
di testimone e chiama a far parte della Chiesa; questa però non è né l’autrice né la mediatrice della grazia e
della sua rivelazione. Il volgersi di Dio
a noi esige e permette la decisione dell’uomo, ma l’uomo non sperimenta il
battesimo dello Spirito nel momento
e per il fatto di ricevere il battesimo
d’acqua. Quest’ultimo non è che una
forma di decisione umana, che corrisponde e risponde al movimento di
Dio. Il rimando al cosidetto ordine
battesimale (Matteo 28: 19) è insufficiente; il fondamento del battesimo
cristiano va ricercato nella stoi ia stessa di Gesù Cristo, nel suo battesimo
per opera di Giovanni.
In base alla sopra esposta concezione del battesimo, Barth mette in discussione la prassi dominante del battesimo dei fanciulli. Una prassi che
ha fatto riflettere anche i Riformatori,
senza che essi giungessero a una so
luzione. Secondo Barth il battesimo
dei fanciulli non dovrebbe essere semplicemente una piccola appendice della dottrina battesimale, ma dovrebbe
esservi implicitamente e inclusivamente radicata. Come fa notare il Kreck,
non è ingiustificata la messa in guardia contro i pericoli di una prassi battesimale nella quale manchi il necessario libero ’si’ del battezzando al battesimo. Il battesimo dei fanciulli è diventato oggi discutibile anche per il
fatto che per molti si è ridotto a puro rito e ne restano incompresi il senso e la portata. Ma la critica che Barth
muove nella sua dottrina del battesimo non si limita ad attaccare la prassi battesimale , ma si rivolge pure in
modo generale contro la concezione
che i Riformatori hanno avuto dei
mezzi di grazia (i ’sacramenti’).
Altri contributi concernono la « Critica della concezione sacramentale del
battesimo» (E. Jùngel), «Parola e sacramento nella teologia di Parlo» (E.
Lohse), « Le proposizioni del Nuovo
Testamento relative al battesimo »,
« Presupposti storici c formazione del
battesimo cristiano », « Tesi battesimali degli apostoli e delle epistole apostoliche » (E. Dinkler).
INTERROGATIVI CRITICI
Il prof. Beckmann li rivolge alla dottrina battesimale barthiana, mettendo
in discussione la distinzione di fondo
e la separazione pratica fra battesimo
di Spirito e battesimo d’acqua, e il
fatto se sia esegeticamente sostenibile
trovarne il fondamento nel battesimo
nel Giordano. Il Beckmann considera
pure contradditoria l’affermazione di
Barth che il battesimo dei fanciulli sia
diventato costume distiano generalizzato soltanto in connessione con la
vittoria del cristianesimo; la realtà
storica è infatti diversa. Egli considera pure non dimostrata la concezione
che attribuisce al battesimo d’acqua,
nel Nuovo Testamento, un carattere
puramente etico. Egli concorda con
Barth che nel corso dei secoli sono apparse debolezze nella fondatezza biblica del battesimo dei fanciulli. Il fondamento teologico del battesimo dei
fanciulli presupponeva e presuppone
nelle Chiese della Riforma che il battesimo sia considerato come azione di
Dio per la salvezza dell’uomo, il suo
inserimento nella grazia di Gesù Cristo mediante l’annuncio del perdono
dei peccati.
Malgrado queste ricerche approfondite, il Consiglio non è giunto a formulare una risposta unanime. Unanime è nel considerare la dottr'na battesimale di Barth come una vigorosa
interpellanza alla teologia e alla Chiesa, che ci costringe a riesaminare criticamente la dott'ina battesimale tradizionale (sia quella luterana che quella riformata e quella catto’ira) e l’attuale prassi battes’ma'e; nel ritenere
che la base esegetica data da Barth alla sua dottrina battesimale è discutibile dal punto di vista del metodo, ma
che rivolgendogii queda critica non si
chiude il problema se quella dottrina
abbia o meno il suo fondamento nella
testimonianza che il Nuovo Testamento rende a Cristo; nel pensare infine
che non si può decidere su'la natura
del battesimo partendo dal problema
teologico particolare del battesimo dei
fanciulli, importante per la prassi battesimale ecclesiastica, ma che inversamente la problematica del battesimo
dei fanciulli dev’essere esaminata e valutata in base alla concezione globale
del battesimo.
COMPITI CHE NE DERIVANO
Ecco i compiti che stanno davanti
alla Chiesa e alla teologia in riferimento alle questioni controverse sopra accennate: 1) Di fronte al fatto
che le affermazioni del Nuovo Testamento sulla natura del battesimo non
hanno carattere unitario, nell’esegesi
dei testi battesimali neotestamentari
occorre fare una scelta in base alla
norma critica della Parola (« sachkritische Entscheidungen »). 2) Qccorre
risolvere il problema di quali deduzioni dogmatiche si debbano trarre dalla constatazione storica che nel Nuovo Testamento la fede precede il battesimo. 3) Bisogna sviluppare nella
sua portata teologico-polemica la dottrina evangelica della cooperazione fra
Dio e l’uomo. Da un chiarimento di
questi problemi dipende, secondo il
Consiglio delTEKD, una soluzione valida delle questioni battesimali.
(E.P.D.)
rigidezza di un matrimonio retto dall’arbitrio del marito, si è sostituita una
crisi crescente dell’istituto familiare.
La società contemporanea, che così
spesso costringe marito e moglie a lavorare in luoghi diversi e lontani, rende difficile la creazione di un ambiente
unitario, in cui la vita coniugale possa
essere vissuta fino in fondo: perciò la
creazione di un matrimonio autentico
e totalitario diventa cosa sempre più
rara, e ardua. Perciò anche le crisi familiari diventano sempre più frequent', e il divorzio si impone talvolta come
una triste necessità: di questa crisi, di
questa necessità dobbiamo prendere atto senza approvarle, così come accettiamo di celebrare dei funerali senza con
questo farci esaltatori della morte. A
chiunque divorzi presenteremo dunque
le nostre condoglianze: ma non chiuderemo la porta all’eventuale ricostruzione d’una nuova vita familiare che passi attraverso la via della croce e della
risurrezione, cioè attraverso la remissione dei peccati e la giustificazione
mediante la sola fede. Le tragedie familiari non sono peccati di natura diversa da tutti gli altri, e non vanno
« privilegiati » né in senso positivo né
in senso negativo. Non sono certo peccati più gravi del furto o dell’assassinio, della guerra o dell’oppressione. Sono una delle tante realtà negative nei
cui confronti i credenti hanno ricevuto
lì precisa chiamata di predicare Tevangelo e di costruire una comunità caratterizzata da rapporti insieme sinceri ed
autentici, fraterni e creativi.
Proprio per questo i credenti possono
affrontare in modo sereno la crisi della
famiglia che è propria del nostro tempo: perché sono consapevoli che questa crisi può essere superata non già
ricorrendo alla forza costrittiva delle
leggi dello stato, ma facendo fiducia
alla capacità comunicativa e contagiosa di cui sono dotate le autentiche esperienze di amore totale e duraturo tra
uomini e donne che si sanno legati da
un patto che è eterno solo perché eterna è la grazia di Dio che ci viene rinnovata ogni giorno.
Giorgio Bouchard
illiiiiliiiiiiiilillii\iiiiiniiiiiiiiiiiiiiiii!iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Conversione politica
(segue da pag. 1)
fare la volontà di Dio nel mondo. Le
chiese sono disabituate a lottare. I
sinodi le invitano quasi sempre solo a
studiare, quasi mai a lottare. I cristiani non possono continuare a lasciare
portare dagli altri il peso delle battaglie per la libertà, la giustizia, il diritto.
3) Far politica, ma quale? Ecco la
domanda decisiva. Potremmo rispondere con TEvangelo: far la politica
dei poveri. Finora la chiesa non Tha
mai fatta. Ha cercato di fare una politica per i poveri, non ha mai fatto
la politica dei poveri. Pochi uomini,
come Valdo e Francesco, hanno capito o almeno intuito il rapporto esistente tra Evangelo e poveri. Ma oggi chi sono i poveri? Nella società industriale sono senza dubbio il proletariato, nelle sue varie espressioni.
C’è chi esita di fronte a questa identificazione. Certo essa non è esclusiva,
ma il rapporto tra i poveri di cui parl.i TEvangelo e il proletariato della
società industriale in cui viviamo non
può essere eluso. Se i poveri non sono
i proletari, chi sono?
4) Lungo questa linea di riflessio
ni si parla oggi in ambienti cristiani
di « scelta socialista ». Le ACLI Thanno fatta, non senza opposizioni e dissensi. Diversi credenti oggi ravvisano
nella « lotta per il socialismo » il loro
impegno politico fondamentale. Queste opzioni vanno tenute presenti ma
non assolutizzate. Conversione politica delle chiese non significa anzitutto
acquisire un nuovo credo politico ma
acquisire una nuova consapevolezza
politica: non più stare a guardare ma
entrare nel vivo della storia, non più
soltanto criticare ma lottare, non più
accettare qualunque tipo di società
(purché faccia posto alla chiesa) ma
cercare una nuova società costruendola lentamente e faticosamente sul
principio delTuguaglianza sostanziale
degli uomini e, in Cristo, della loro
fraternità. Paolo Ricca
illllliiiilllllilliiiiiiiiiliiiiiilliiiiiiiiiii iiiiiuiiiiimmiiiiMi
Centro “P. Andreetti” - S. Fedele Intelvi
VI Convegno teologico
La risurrezione
Dal 20 al 22 febbraio, presso il Centro Evangelico « P. Andreetti » di S. Fedele Intelvi,
a cura del Centro stesso e della Federazione
Regionale Lombarda è organizzato il VI Convegno teologico. Esso, come fissato dal Convegno dello scorso anno, avrà come tema la risurrezioìie. I lavori del convegno saranno articolati in cinque lezioni (seguite da discussione); le prime tre, date dal prof. Bruno Corsani, avranno come tema : La proclamazione della risurrezione negli evangeli; le ultime due,
date dal past. Sergio Rostagno, presenteranno
L'i risurrezione: Introduzione. questioni di metodo - Il segno di una nuova realtà.
Il Convegno inizierà con la cena di Domeni^
ca 20 (ore 19,30) c terminerà con il pranzo
(ore 13) di martedì 22. La quota di partecipazione si aggirerà sulle 4.000 lire (si suddivideranno le spese vive). Prenotarsi immediatamente presso il past. S. Briante, Via T. Grossi 17. 22100 Como. tei. (031) 273440.
3
11 febbraio 1972 — N. 6
pag. 3
la storia valdase da riscriïiîre Lo storico Pietro Gilles
Esponevo recentemente ad un anziano di una nostra comunità il progetto, che si sta preparando, di una
nuova Storia valdese, la quale tenga
conto degli ultimi studi e si possa presentare come un documento per i lettori di oggi. Con mio grande stupore,
però, la sua reazione è stata diversa
da quella che mi sarei aspettato. Anziché rallegrarsi ed informarsi sullo
stato del lavoro, sul progetto, sulla
data di pubblicazione anche, si è mostrato preoccupato: Come, una Storia
valdese nuova? Ce n’è già una, quella
che abbiamo letto e su cui abbiamo
studiato, di Ernesto Comba, se non
sbaglio; perché scriverne un’altra? La
storia non cambia.
E così non abbiamo che due soluzioni; ripetere le cose già dette, esattamente come sono state scritte dagli
storici di ieri, o stare zitti; la storia
non si può più studiare, si può solo
conservare. In realtà dall’epoca di
Ernesto Comba molte cose sono cambiate, che ho cercato di illustrare a
quel mio fratello in fede, che forse
egli non ha inteso del tutto, ma che
rendono necessario riscrivere la storia del nostro passato valdese. Molto
brevemente vorremmo in una serie di
brevi altricoli prospettare alcuni di
questi punti e di queste novità.
Fra i tre « grandi » del XVII secolo, fra il discutibile Perrin e il Léger imbevuto di spirito barocco il
Gilles è il « classico », accurato raccoglitore di fonti, scrittore elegante e saporito, araldo convinto della
« svolta » riformata nel movimento valdese.
Valdo, non Pietro
Iniziamo dal fondatore del movimento stesso: Pietro Valdo. Tutti sanno che i valdesi derivano dalla sua
protesta, e tutti sanno che si tratta di
un ricco mercante di Lione fattosi povero che andava in giro predicando il
vangelo in provenzale. Il prof. Giovanni Gönnet ha proposto da anni alla
nostra attenzione il problema di questo personaggio, ma le sue ricerche,
per quanto documentate, non sembrano essere state accolte con grande entusiasmo. Eppure sono fondamentali
e tali da imporre serie modifiche alla
nostra Storia valdese, sin dalla prima
pagina. , ,
Egli ha stabilito anzitutto, in modo
inconfutabile, che il fondatore del
movimento valdese non si chiamava
Pietro. Usare ancora oggi questo nome significa commettere un errore
storico. Come si chiamava allora? Un
nome doveva pur averlo! Certo, e se
avesse vissuto al giorno d’oggi sarebbe molto più semplice perché avrebbe
un nome italiano o francese, rna nel
XIII secolo lo chiamano Valdesius, in
latino; in lingua comune può essere
Valdesio, in provenzale Valdès o Vaudès Pietro comunque no. Come mai,
dirà qualcuno, lo si è sempre chiamato così? non se lo sono inventato gli
storici il nome Pietro, da qualche parte deve esserci. C’è, infatti, rna in documenti valdesi molto posteriori e c è
una ragione, precisa e molto significativa, che ha condotto i valdesi del 13UU
a inventare quel nome per il fondatore del loro movimento; ci tprnere
m.o su. .,
La battaglia del prof. Gönnet per il
nome di Valdesio non è una idea originale, un pallino corne ce ne sono
tanti in giro: se è storicamente accertato che le cose stanno così, bisogna
rivedere le nostre Storie valdesi ^ dalla prima pagina. Ma c’è di più: dietro
la questione del nome di Pietro-Valdesio c’è molto di piu che un pallino
di erudizione, c’è l’esistenza di un uomo e quell’uomo siamo certi di conoscerlo bene, di aver già esplorato tutte le sue intenzioni ed il suo carattere? È un mercante, dicono le narrazioni storiche, ma che tipo di mercóte? Un uomo che si è arricchito trath
cando più o meno onestamente, dirà
qualcuno, un avventuriero del commercio, come ce ne furono tanti nei
secoli; non necessariamente, dirà un
altro, può essere un uomo intelligente, lavoratore, economo, che sa amministrare i suoi beni: un manager
spregiudicato, amante della vita facile
o un serio dirigente, tutto casa e famiglia?
Esaminato sotto il profilo morale
Valdesio sarà forse sempre un enigma
ma il suo volto assunie una fisionomia diversa e molto più concreta se
La storiografia valdese ha ormai
quattro secoli abbondanti di vita, da
quando nel 1561 vedevano per la prima volta la luce degli scritti riguardanti le vicende dolorose di quegli anni: si trattava di brevi relazioni di
quei fatti, da usare quali fonti o documenti, mentre solo verso la fine del
secolo il Miolo poi scriveva quella che
effettivamente si può chiamare una
« soria » (ora felicemente ripubblicata e commentata da Enea Balmas).
Storia, in quanto essa rispondeva non
soltanto ad un’esigenza documentaria
(come d’altronde quella coeva del Lentolo), ma voleva pure risolvere alcuni
problemi generali; era in sostanza il
frutto di un ripensamento sui fatti più
che un’esposizione di essi.
Nel secolo successivo, ci troviamo
di fronte a tre scrittori di storia; Perrin (1619), Gilles (1644) e Leger (1669),
diversamente importanti e fortunati.
Di essi, il più valido sotto ogni aspetto è senza dubbio Pietro Gilles, la cui
importanza documentaria è di primissimo piano per la storia valdese di
circa un secolo.
Egli d’altra parte fu testimone ed
attore di buona parte degli avvenimenti narrati nelle sue pagine, ed eb
lo guardiamo dal punto di vista della ventura di poter avere di prima
sua classe sociale. Chi sono i mercan- -
ti nella Lione del XII secolo, nel tempo suo? Uomini decisi a conquistarsi
un posto nella vita, coraggiosi, intelligenti, pronti a tutto, a rischiare e perdere pur di farsi strada. Sono gli uomini nuovi di una nuova società, quella delle città, dell’industria, del commercio. Essi hanno due nemici; i nobili nei loro castelli, che occupano le
terre e le sfruttano con i loro servi
della gleba, ed il elmo: vescovi feudatari (come quello di Lione) o conventi
che tengono in mano il culto e le
scuole, cioè il potere della cultura.
Ed eccolo il nostro Valdesio prendere vita in questa Lione piena di
passioni, di sommosse, di guerriglie
e
ria delle cose avvenute in le chiese di
queste tre valli dal 1600 in qua, e è
dato carigo a Mr. Pietro Gillio... ».
L’anno precedente era stata pubblicata la storia del Perrin, ma si vede che
essa non aveva soddisfatto molto; essa si presenta infatti come un centone
di notizie piuttosto incerte, prive di
efficacia narrativa, poco documentata,
Il Sinodo chiede una storia dell2
chiese valdesi: queste prendono coscienza di sé, di « fare » storia.
Questa esigenza delle chiese valdesi
di avere la loro storia, « di queste tre
valli», è abbastanza significativa: rivela infatti la consapevolezza che esse
ormai hanno acquisito di essere una
parte non trascurabile del mondo riformato (e la storia delle chiese riformate del Beza aveva soprattutto presentato la riforma francese), ed esprime la coscienza di un’entità che non
aveva nulla da spartire con lo stato
sabaudo. L’istituzione « chiesa » voleva
presentarsi come tale, ed avvertiva di
avere « fatto » una storia, che bisognava pure scrivere.
Pietro Gilles impiegò peraltro molli
anni a radunare la documentazione ed
a scrivere le sue pagine: ma aveva la
attenuante del lavoro di pastore e di
moderatore, oltre agli impegni della
mano una (Quantità di notizie e di do
cumenti. , .cti famiglia, che gli forniscono una vali
^ da sfusa. Nel 1627 egli diceva: « J’y ai
egli era figlio di Gilles dei Gilles, che
era stato uno degli ultimi barba itine
ranti; e prima che questi morisse nel
1588, il giovane aveva avuto modo di
raccogliere da lui una buona serie di
notizie sulla diaspora valdese, specie
quella delle Puglie, sugli avvenimenti
del Sinodo di Chanforan, sulla guerra
del conte della Trinità (1560-61), e via
dicendo. Tornato poi dai suoi studi a
Ginevra, era stato nominato pastore a
Pramoll’o, solo un quarto di secolo dopo che quella comunità era passata interamente al Valdismo (1572), udendone le relazioni dalla viva voce degli
indiscusse di serietà, sobrietà ed efficacia.
La serietà di Gilles non ha mai potuto essere intaccata: tutte le sue informazioni, a confronto fatto, sono
sempre risultate veridiche ed esatte,
ed anche il suo polemico avversario,
priore Marco Aurelio Rorengo, pubblicando nel 1649 la sua « Historia delTintroduttione delTheresie... », non riusciva che ad avanzare basse insinuazioni od infantili calunnie.
Dietro alle pagine di Gilles si intravede un uomo profondamente convinto delle sue idee, solido nella sua fede
riformata, integro nella sua vita, tutto debito alla sua chiesa: « Celui que
Dieu avait conservé en vie (egli parla
di sé, in occasione della peste del 1630)
— nonobstant l’affliction de sa maison,
ici moururent de peste ses quatre fils
ainés — ne cessa jamais de continuer
les prédications és dimanches et jours
ouvriers, or ça or là, en toutes les églises circonvoisines, deux fois le dimanche pour le moins, mais le plus souvent trois fois, visitant aussi et consolant les pestiférés partout où il pouvait aller, combien qu’il lui fût nécessaire de passer par les gros villages
pleins de peste et d’épouvantement... ».
Il riferimento alla Riforma,
forza e condizionamento
dell’opera del Gilles.
L’opera storica del Gilles soggiace
tuttavia ad un condizionamento: quello di voler inserire la vicenda valdese
nel quadro della storia della riforma.
Lo denuncia il titolo stesso, che ci
vuole presentare una storia « ecclésiastique » delle chiese « réformées », anticamente chiamate « églises vaudoises », e l’autore stesso si presenta come ministro della chiesa « réforinée »
di Torre. Questo accento sulla validità
della Riforma gli fa chiamare « réformés » anche i Valdesi del Medio Evo,
a partire da Valdo di Lione, dal quale
V .• 1.10 IC ILCldit-lt-'AJX vive* * ^
di guerre vere e proprie; non e solo e sposatosi con Lucia Cima, ri
un omino dietro il suo banco che ven- — ■ •
de tela, è un contestatore delTordme
stabilito che cerca con i suoi amici di
fare della vecchia città feudale un
« comune » moderno. Vero, e ci riesce
simpatico così, ma
_____________________ ecco che lo scopriamo a trafficare col vescovo ed il
capitolo, ad amministrare i loro beni
avendo dei diritti su certi forni e mulini. È cioè un uomo che sa cercare alleanze (col potere religioso contro il
potere feudale) come tutti i mercantr
■1. ^ ____ __ ....1 y-vtTo +
chesato di Saluzzo.
Pietro Gilles fu inoltre sovente membro della Tavola e parecchie volte mo
deratore, e quindi informato di prima
mano di quanto succedeva; durante la
famosa peste del 1630, lui soltanto con
un collega si salvarono tra i quattor
toutefois employé autant d’heures que
j’ai pu dérober à d’autres occupations,
sachant bien qu’un autre difficilernent
pourrait trouver la suite des affaires
comme moi, qui ai tant pris de la
peine à la chercher... Si Dieu m’allonge la vie encore quelque temps, j’espère mettre hors la matière en quelque
disposition... ». Si vede che il passare
dei secoli non muta davvero molto il
sistema di lavoro e la fatica degli scrittori di storia!
Venne poi la peste del 1630; e Gilles, che aveva ormai scritto in buona _ ^_________
parte la sua storia in italiano, pensò per lui inizia la protesta valdese,
bene di riscriverla in francese, lingua Si tratta, per il Gilles, di contrapche prese il sopravvento nelle Valli porre alla Chiesa ufficiale un’altra
dopo quel fatto, per la massiccia pre- chiesa, quella «riformata», anche e
senza di pastori ginevrini e francesi, forse proprio perché da parte cattoli
-r-. — ----uA cjjg q\[ mip5;ta riforma è chiamata sdegno
il pastore vai
fugiata di Dronero, aveva attraverso
questa parentela potuto apprendere
molti dettagli sulla situazione dei ri- . ---------- ----------------------------------------
formati nelle valli cuneesi e sulla ime _gj. jjqj perché l’italiano che gli ca questa riforma è chiamata sdegno
delle comunità evangeliche nel mar- g^j^osgiamo e assai pesante e noioso ------------------------------n vnt
mentre il suo francese è elegante, scorrevole, saporito.
E così passarono ancora alcuni anni,
e bisogna arrivare al 1644 perché Jean
de Tournes pubbhcasse a Ginevra il
volume. (Esso fu ristampato poi nel
1656, tradotto ed aggiornato m olan
e che forse spera nel rinnovamento ^jg^ pastori valdesi, ed e logico che le - ^ ripubblicato nel 1881
della chiesa nella sua citta.^ pagine da lui consacrate a quella vi- moderatore Lantaret).
cenda siano ricche di pathos e di f g’anno seguente, 1645, Pietro Gilles
poesia. -■---
Ed è in questa città in fermento e
fra questi uomini pieni di carica ribelle che nasce il movimento valdese;
con una crisi, certo, la crisi del mercante Valdesio, ma di questo ci si occuperà un’altra volta.
Giorgio Tourn
Fu in occasione del Sinodo del 1620
che venne dato incarico al Gilles di
scrivere la storia dei Valdesi: « È ordinato che si ridurrà in scritto Thisto
.iiiiiiiiii
Notiziario Evangelico Italiano
settantaquattrenne, cessava di vivere
* * *
Abbiamo detto all’inizio che dei tre
storici valdesi del ’600, Gilles è il migliore. Gli appartengono infatti dot:
La scelta della FGEI e il suo prezzo
Il resoconto del convegno tenutosi l 8 dicembre scorso presso VIstituto « Betania » di Roma, steso dal past. Angelo Chiarelli (delle comunità battiste romane di Centocelle e di Via
Urbana) come circolare ai responsabili battisti
e da noi pubblicato sul n. 2 (14-l-’72), ha suscitato numerose reazioni. Abbiamo ricevuto
copia di circolari inviate a tutti i responsabili
deirUCEBI (Unione battista) e della FGEI
dalla Chiesa battista di Roma-Garbatella, a firma del past. Valdo Corai, e dall’Unione giovanile evangelica di Ariccia. Per ragioni di
spazio, e poiché in buona parte riportano gli
stessi argomenti, siamo costretti a condensare
i punti essenziali:
— si rimprovera al past. Chiarelli e a chi
lo appoggia di muoversi per « salvare quel Movimento Giovanile Battista che non hanno
mosso un dito per non far morire », e di non
essere intervenuti nel dibattito, a S. Severa e
prima, in modo aperto e leale;
__ si deplora che la riunione di Centocelle
sia stata tenuta in concomitanza con quella indetta a S. Benedetto dei Marsi dalla FGEICentro;
— si afferma che la riunione di Centocelle
non è stata indetta chiaramente con lo scopo
di raccogliere coloro che dissentono dalla confluenza del MGB nella FGEI, e dalla linea di
quest’ultima; alcuni presenti alla riunione in
questione si sono poi distanziati dalla medesima (singoli membri delle chiese della Garbatella e di Isola del Uri). La presentazione che
il past. Chiarelli ha fatto della riunione fa
apparire la partecipazione del "dissenso piu
numerosa e più generale di quanto non sia
stata in realtà.
La comunità della Garbatella conclude.
(( Precisato quanto sopra, unanimemente deploriamo la disinformazione che dà la eircolare e questa "politica ecclesiastiea” sotterranea
e concorrenziale che approfitta delle persone
in modo scorretto. Dichiariamo che questa politica la abbiamo lasciata da tempo e che non
tolleriamo che essa venga riesumata e attuata
nei confronti di nessuno. Siamo, invece, per
un dialogo aperto, franco, scoperto — come
vuol essere questa circolare (n.d.r.: a dire il
vero, altrettanto "pubblica” e quindi aperta e
franca ci pare fosse la circolare stigmatizzata;
questo per la forma, circa il contenuto non abbiamo elementi di giudizio) — con tutti e
dove le varie posizioni possano confrontarsi,
come del resto è stata la linea che il MGB ha
sempre seguito fino ad ora senza escludere
nessuno. Diciamo anche che la “politica ecclesiastica’’ seguita da questo gruppetto è per
noi in stridente contrasto con chi dice di voler
seguire una linea "positiva” e di "evangelizzazione” (...). Diciamo perciò basta con questo modo di procedere che è stata la caratteristica di alcuni delle generazioni passate e che
h.j dissanguato le comunità, mentre siamo
consapevoli che se viviamo per grazia mediante la fede, in seguito alla Sua fedeltà, possiamo essere aperti a nuove situazioni proprio
in segno di ubbidienza al Suo volere ».
L’Unione giovanile evangelica di Ariccia
(Roma) conclude: «Consideriamo ipocrita
l’affermazione del pastore Chiarelli in cui dichiara di non avere parlato — lui e i suoi amici __ al momento opportuno per non ledere la
libertà di chi la pensava direttamente da loro.
Ci chiediamo se il pastore Chiarelli non stia
inventando una nuova etica per la quale non
si discute con coloro che dissentono da noi,
né si risponde agli inviti al dialogo riservandoci poi, di boicottare il lavoro da questi compiuto. Pertanto noi riteniamo che i ruotivi
addotti a sostegno di tale manovra motivi che riguarderebbero la predicazione e la
fedeltà denominazionale — non siano che pretesti per il raggiungimento di altri scopi, in
quanto i giovani Battisti che hanno aderito
alla FGEI — quelli cioè che erano 1 unica
realtà dell’MGB — non hanno mai dichiarato né inteso di darsi a una predicazione che
non fosse quella dell’Evangelo del Regno di
Dio, né di rinunciare a quei principi che sono
tradizionalmente detti “battisti”. Non ci pare,
piuttosto, che le manovre di Chiarelli e amici a tali principi possano rifarsi. Da parte nostra stigmatizziamo l’azione non coerente con
la verità dell’Evangelo di Chiarelli e amici;
rinnoviamo il nostro consenso allo scioglimento dell’MGB; riconfermiamo la nostra adesione alla FGEI; auspichiamo che le Chiese,
i giovani e l’Assemblea generale dell’UCEBI
sappiano distinguere la buona dalla cattiva
coscienza, la convinzione dalla suggestione,
l’utile e retto dallo sleale e disutile ».
Inoltre è pervenuta questa dichiarazione
della Giunta della FGEI Toscana:
La Giunta della FGEI Toscana, riunita a
Pistoia domenica 16-1-1972 per programmare il lavoro giovanile nella regione, ha altresi preso in esame il fatto che viene fatta
girare fra i gruppi battisti, una lettera circolare firmata Past. Angelo Chiarelli e contenente il resoconto di una riunione tenutasi a
Roma l’8-12-1971.
In tale lettera viene proposta la possibilità
di una ricostruzione del disciolto MGB.
La Giunta ritiene opportuno innanzitutto
deplorare il fatto che tale riunione sia stata
tenuta in una data che impegnava i giovani
evangelici del Lazio per un incontro indetto
altrove dalla FGEI Centro.
In questo comportamento ravvisa una duplice scorrettezza : prima di tutto il carattere
alternativo della riunione di Roma; in secondo luogo il fatto che tale riunione sia volutamente avvenuta nell’assenza di una gran parte di giovani impegnati altrove con la FGEI.
La Giunta mette in guardia i Gruppi contro questo tentativo di infrangere la vocazione unitaria dei giovani evangelici italiani, più
volte espressa e riaffermata, ad opera di elementi, che oltre tutto sono stati fino ad oggi
estranei al lavoro giovanile sia nella FGEI sia
neH’MGB, di cui oggi dicono di volere la
continuazione.
La Giunta infine invita il Consiglio Nazionale della FGEI ad intervenire mettendo in
atto tutte le opportune misure per far cessare
tali gravi manifestazioni.
La Giunta della FGEI Toscana
Franco Compagni,
Marco Santini,
Emanuele Impallomeni,
Patrizio Comparini,
Franco Scaramuccia
A questa dichiarazione, che pubblichiamo
solo ora per mancanza di spazio ma che è già
comparsa quasi integralmente su « JVuovi Tempi », rispondono alcuni giovani evangelici romani. A chi ci contestasse (non si sa mai) la
“scorrettezza” del riferimento a «Nuovi Tempi », facciamo notare che su quel periodico
l’attaccato resoconto di A. Chiarelli non era
stato riportato se non in un condensato di
poche righe.
Signor direttore,
abbiamo letto con sorpresa la notizia pubblicata su « Nuovi Tempi » del 23 gennaio
1972 col titolo « Un’azione due volte scorretta », della « denuncia » da parte della EGEI
toscana della riunione « alternativa » svoltasi
a Roma il giorno 8 dicembre dello scorso anno.
Parlando di scorrettezza, crediamo che la
maggiore sia di parlare e soprattutto di prendere posizioni cosi gravi e pericolose senza una sufficiente informazione. Cercheremo di
chiarire alcuni punti, richiamandoci proprio
al contestato resoconto del pastore Chiarelli,
pubblicato su « La Luce » del 14 gennaio ’72.
Affermiamo innanzi tutto l’inesistenza della
duplice scorrettezza ravvisata dalla FGEI toscana. La riunione dell’8 dicembre non voleva
essere alternativa in senso polemico e di opposizione alla FGEI, come sembrano aver interpretato gli autori della « denuncia ». Dice
infatti la relazione della riunione : « ... che
non si ha intenzione di escludere alcuno, che
si vuole presentare a tutti la possibilità di partecipare a questa proclamazione dell Evangelo. Inoltre si è affermato che altri hanno il
diritto di fare scelte diverse, nella piena libertà. in modo che ciascuno segua coerentemente
la propria strada. All’obiezione di chi chiedeva perché queste cose non sono venute fuori a
S. Severa, durante l’ultimo congresso del MGB,
si è risposto che l’assenza di alcuni era voluta
e responsabile. Il MGB aveva già da tempo
scelto una sua linea che coincideva con quella della FGEI, per cui non era sembrato giusto ostacolare chi aveva fatto una determinata scelta dal seguire la sua strada. In realtà
queste cose non si decidono a maggioranza.
Hanno troppa importanza perché uno debba
sentirsi legato alla decisione di altri. Chi pensa che il MGB, come organizzazione denominazionale che punta ad una determinata forma di evangelizzazione, ha fatto il suo tempo
è libero di lasciarlo per cercare nuove forme
(continua a pag. 6)
sámente « prétendue >
dese sente l’orgoglio tutto calvinista
di avere ritrovato la vera chiesa, ed
in questa visione trova logicamente
posto anche l’opera del Valdismo, sia
esso anteriore o posteriore a Chanforan. In questa tradizione si pone anche lo scopo della storia del Gilles,
« afin que nous soyons aussi instruments de la grâce de Dieu, pour conserver à nous-mêmes et à notre postérité cet héritage inestimable qu’ils
nous ont laissé, à l’honneur de Dieu,
édification de nos prochains et salut
de nos âmes ».
* * *
Nel 1646, un anno dopo la morte del
Gilles, un altro sinodo valdese dava
incarico al moderatore Jean Léger di
scrivere un’altra storia dei valdesi,
cosa poteva essere successo da suggerire una tale decisione? In che cosa
non soddisfaceva la storia del Gilles?
Se non si vuole accusare a vuoto i
Valdesi di non essere mai contenti (allora come adesso!) dei loro storici, bisogna vedere in che cosa la storia del
Léger doveva poi essere diversa da
quella del suo predecessore.
E qui il discorso potrebbe essere
lungo; ma ci vogliamo limitare a due
osservazioni, che ci paiono in ^ parte
giustificare l’incarico dato al Léger.
In primo luogo, si osservi il titolo
dell’opera di quest’ultimo, dove egli
presenta una storia « générale » delle
chiese « evangeliche » o « valdesi »; la
visione, cioè della chiesa riformata cede il posto a quella della chiesa evangelica, con la specifica storica di valdese. Questo significa che di fronte alla forza massiccia del cattolicesimo
secentesco, che forse Gilles non aveva
del tutto individuato, di fronte all istituzione pesante e soffocatrice, occorreva rifarsi non tanto alla riforma, sacrosanta ma sempre umana, quanto
piuttosto al cristianesimo primitivo,
evangelico. ... ,
Ed ecco che allora la stona dei vaidesi diventa « générale », perché, al
di là di Valdo di Lione, Léger risale,
con molti salti mortali e grande spie
giudicatezza, all’origine apostolica:
non si tratta più di una chiesa riformata, ma di una derivazione diretta
deH’evangelismo primitivo: «la pure
vérité évangélique, constamment conservée dans les Vallées dès le temps
des Apôtres, où je prouve^ invinciblement qu’elle n’a jamais pû être altérée par les traditions de Rome, qu elle ait eu besoin de réformation... ».
Perciò la storia del Léger non sara
più una presentazione delle tradizioni
riformate, ma la « véritable histoire
des persécutions que ces pauvres Vaudois ont presque de tout temps sopffertes,et des incomparables rnerveilles
que le Dieu des armées a faites... ».
Si passa così dalla storia intesa come maestra di vita e come serie di
esempi al martirologio: e sarà inevitabile che molto di più questo che
quella si prestino alla celebrazione, all’agiografia, all’oratoria sacra.
Se Gilles è in sostanza un « classico », il Léger senza volerlo ha respirato a pieni polmoni l’aria dell Europa barocca del suo secolo.
Augusto Armand Hugon
4
Z
pag. 4
N. 6 — 11 febbraio 1972
Cronaca delle Valli
topoisabillti nel tempo preseete Convitto Femminile Valdese
fel
Un altro XVII
un’altra festa, dopo
prima di quella di
pre, la porta è apert;
do che la tradizioni
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mane aperta, anch
ta come la prima;
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ra in cui siamo p;
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Dove non c’è qiti
del « presente », a
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ci sdraiamo.
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sente significa inna
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segnato. La libertà,
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rica come quella
ha significato solt^;
no impegnati nel
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tori di pace », per
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no di dare dei seg:
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ta reazione. Oggi
mente diminuita;
sapere che nel V
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Da due anni o:
bbraio ci aspetta;
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a ad un puro ricore ci porta puntualè il giorno per eci membri delle noijicordano di essere
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nostre responsabi■èsente.
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:onda porta che la
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inche il « passato »
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bilancio e stiirufficio
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alle Olimpiadi di Sappi
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e tiro).
è teatro di una sanguinosa guerra civile: le nostre comunità lo hanno sin
qui ignorato o si sono limitate a considerare la cosa come il frutto di fanatici estremisti e dell'una e dell’al
tra parte. Non vi è stato però uno
sforzo per esaminare a fondo le cause di questo conflitto. Nonostante
questo, continuiamo a credere di essere dei credenti che amano e difendono la libertà, che amano e difendono la giustizia.
il peso della tradizione e quanto
mai pesante e spesso ci impedisce
comprensione e movimento: è diventato vangelo. Come è possibile che in
alcune assemblee di chiesa e Concistori si discuta ancora per stabilire
nei minimi particolari l’organizzazione del .XVII febbraio, se e come vada
fatto il corteo, se sia ancora lecito o
no portare a spasso le bandiere e se
introdurle in chiesa o lasciarle fuori? Non sono queste discussioni di
scribi e farisei che calpestano il comandamento di Dio per ossequiare la
tradizione umana?
Il Cristo non ha inneggiato all’anar
chia ma nemmeno ha reso omaggio
alla tradizione umana; e nemmeno si
è dimostrato equidistante dai problemi che gli si sono posti ma li ha affrontati con fermezza. Per questo è
stato combattuto e poi elimirato. Pe ■
un momento la tradizione ha vinto
ma non per sempre.
Essere responsabili nel tempo presente, amare la libertà e la giustizia,
comporta questo rischio; i nostri padri hanno saputo rischiare ed hanno
potuto rischiare perché il loro rischio
era innanzitutto il rischio della fede.
Questo rischio è sconosciuto per la
nostra generazione; è più comodo vivere nell’ombra delle gloriose gesta,
soprattutto quando si sa che non so
no una favola ma una grande pagina
di storia.
Ermanno Genre
dibattito suila Gonferinaziooe
avuto luogo il proli Concistoro ed i
irto corso con le loi|ntro era stato prolettere una fraterna
sul problema della
le persone che sono
1 essa interessante:
ani catecumeni che
ri prossimi mesi la
landa di ammissione
l’altra i fratelli ,maglunità fanno già paranziani responsabili
..e modo di un even¡nantenimento della
Ò emerse ancora una
zioni già registrate
analoghe: da parte
Ini la volontà di una
sponsabile alla vita
ibraio avrà luogo a PaìEestazlone internazionale
m. Da Torino è prevista
nza che partirà sabato
¿iale.
febbraio, alle Valli, conl’Università di Bochum
opo di studenti con il
ranno il loro lavoro a
immessa di 63.000 divise
ubappalto, la Marini di
dà segni di ripresa :
35-40 dipendenti a
lile che il numero au
stato a Pinerolo il proella : il verdetto è stato
il fatto non costituisce
ha dovuto .solo pagare
0 lire. L’accusa era di
icamente un manifesto
di posizione del MoviInternazionale sulla
funzione degli eserciti.
io SI è riunito a Torre
i Valle: s’è discusso sul
tecnico. Si è preso atto
cnico Roland e si è prodei geometra E. Char
L’Orfanotrofio Valdese di Torre Pellice ha cambiato nome e gestione amministrativa,
ma con lo stesso spirito, prosegue la sua missione educatrice, ispirata alV Evangelo
(bbio Pelliee ha acquistaloderno spartineve a tordella neve. La spesa, di
•e, assicura un ottimo c
la quanta la popolazione.
sciatori italiani presenti
loro c’è anche un angroche fa parte della naziosa di « Biathlon » (fondo
della comunità ma che coincida con
una libera professione di fede e soprattutto che sia spogliata il più possibile
da quel carattere di festività e di cerimonia che ha assunto ormai la confermazione nelle nostre comunità. Si è
fatta strada la convinzione che la professione di fede non sia nella confermazione stessa ma da un lato nella
partecipazione alla comunione e dall’altra nell’impegno concreto nella testimonianza dell’evangelo. Da una inchiesta effettuata dai catecumeni stessi presso giovani confermatisi negli anni recenti era emerso abbastanza chiaro che per troppi di questi si era trattato di una semplice formalità che
« non aveva cambiato proprio nulla
nella vita » e che comunque non li aveva inseriti nella vita della Chiesa. E
possibile prevedere al posto della cerimonia di confermazione una semplice
comunicazione da parte del pastore
che i catecumeni del quarto corso hanno fatto domanda di essere ammessi
nella comunità, lasciando poi a loro di
accostarsi alla S. Cena in una domenica successiva? È cioè possibile sostituire alla cerimonia una semplice notifica
come si fa per una nuova famiglia che
entra a far parte della comunità con
conseguente eliminazione di corteo, fotografia, gruppo di giovani in costume?
Il problema è rimasto aperto anche se
la maggioranza dei presenti sembrava
considerarlo con favore. Dovrà essere
riesaminato serenamente nelle prossime settimane per rispettare il più possibile la volontà di espressione dei giovani e nello stesso tempo evitare il fare riforme avventate e gratuite.
Da parte dei genitori sono invece
emerse preoccupazioni ben note anche
queste: se un giovane non fa la confermazione che sarà domani? Membro
della Chiesa? No, perché non ne ha diritto; catecumeno perpetuo? Un po’ difficile pensarlo. Dove maturerà la sua
fede se, come afferma, non ha ancora
lo idee chiare? È stato risposto, abbastanza esattamente, che la comunità
fornisce attualmente gli strumenti necessari per effettuare questa preparazione: studi biblici, predicazione, corsi
vari, basta saperli utilizzare.
Unanime è stata invece l’opinione dei
presenti sulla opportunità di avere, nel
giorno della ammissione in Chiesa dei
nuovi membri un pranzo comunitario,
che in qualche modo sottolinei il carattere comunitario del gesto. Non dunque un pranzo in famiglia con parenti
ed amici più o meno numerosi ma una
agape con i fratelli della comunità che
ridimensioni anche il carattere di « festa ».
Il dibattito estremamente acceso a
cui hanno partecipato con passione tutti i presenti, giovani ed adulti non è
che la prima parte di un cammino di
ricerca da compiere insieme nella ricerca della vocazione evangelica a cui
siamo chiamati. Ha comunque dimostrato quanto necessario sia nella ricerca attuale avere scambi di vedute e
momenti di ricerca comune senza che
ogni decisione venga presa dall’alto e
subita dalla comunità spesso senza
comprendere.
DUE ATTI SINODALI
Per decenni l’Orfanotrofio femminile
di Torre Pellice, uno dei più antichi
Istituti valdesi, ha compiuto fedelmente e silenziosamente la sua importante
missione, senza che il Sinodo abbia dovuto occuparsene. Ma in questi due ultimi anni la massima assise della nostra Chiesa ha approvato due brevi risoluzioni, operando due modifiche di
natura puramente formale ma importanti per il futuro dell’Istituto.
Il Sinodo del 1970 con atto n. 40 ha
stabilito quanto segue: « Il Sinodo delibera che l’Orfanotrofio femminile di
Torre Pellice, assuma la denominazione
di "Convitto Femminile Valdese" ». Il
cambiamento della denominazione intendeva da una parte prendere atto di
una situazione di fatto verificatasi in
questi ultimi anni, cioè la progressiva
diminuzione di bambine orfane, ridotte
ormai a poche unità e daH’altra eliminare l’impressione del tutto formale di
azione caritatevole in senso deteriore,
che oggi più che mai sembra collegata
al termine « orfanotrofio ». Il termine
convitto sembra i-ender maggior ragione a un Istituto che vuole rimanere aperto a tutte le bambine in qualsiasi
condizione si trovino, e che abbiano
bisogno della sua funzione educativa.
Il Sinodo del 1971 votava inoltre il seguente Atto (n. 53) « Il Sinodo delibera
di riaffidare alla Tavola il Convitto
Femminile Valdese di Torre Pellice,
invitandola a nominare un apposito comitato per la gestione ».
Si decideva cioè lo scorporo del Convitto Femminile dagli Istituti affidati
alla ClOV. L’Orfanotrofio era entrato a
far parte degli Istituti gestiti dalla
CIOV fin dal 1890. Lo scorporo sembrava determinato essenzialmente da due
ragioni; la prima era relativa alTorientamento generale della CIOV, sempre
più dichiaratamente rivolto verso una
attività di tipo ospedaliero-assistenziale, e la seconda riguardava la gravissima situazione finanziaria in cui da diversi anni l’Istituto era venuto a trovarsi, accumulando un deficit annuo,
mai coperto, che rendeva sempre più
critica la situazione. Come si esprime
la stessa relazione CIOV 1971, dopo aver invitato la Tavola a creare un appo
sito comitato col « compito di occuparsi esclusivamente dell’Istituto »; « In
questa situazione la CIOV la quale sinora ha retto anche Tamministrazione
dell’Orfanotrofio Femminile Valdese di
Torre Pellice senza mai porre a carico
della Tavola i deficit finanziari, sente
vivamente tutta la sua responsabilità e
riconosce di trovarsi nelTimpossibilità,
perdurando l’attuale stato di cose, di
continuare a dirigere amministrativamente questo Istituto ».
IL COMITATO
In ottemperanza dunque all’o.d.g. sinodale, la Tavola riassumeva la responsabilità diretta dell’Istituto affidandone la gestione a un Comitato così composto: Sig.ra Eynard Fiorentine, Sig.ne
Franca Coisson e Miriam Bein, Sig. Roberto Eynard, Past. Alberto Taccia,
Presidente. Fanno inoltre parte del Co
vi ricordiamo che la col'etta
del XVII Febbraic è in favore
del Convitto Femminile di Torre Pellice e di Villa Olanda.
mitato la Sig.na Marcella Gay, quale
rappresentante della Tavola e la Sig.ra
Rossi Luciana, Direttrice dell’Istituto.
Il Comitato ha inoltre cooptato, considerandoli membri aggiunti, per il proprio lavoro le seguenti persone: la Signora Mariena Gaietti, Assistente del
Servizio Sociale del Consiglio della Val
Pellice, per il necessario collegamento
con tutta l’opera assistenziale della
Valle e per i rapporti con i vari Enti
regionali, provinciali e nazionali di tutela e patronato; il Geometra Pierangelo Ronfetto per tutte le questioni di ordine tecnico concernenti lo stabile, la
Sig.ra Jolanda Bertone per la parte amministrativa, finanziaria e contabile.
Tutte queste persone, unitamente alle
Sig.ne Jolanda Monnet e Eldina Long
dell’équipe interna dell’Istituto, costituiscono un valido gruppo di collaboratori che con grande spirito di disponibilità, intende prendere in mano e
portare avanti il lavoro del Convitto,
risolvendo con l’aiuto e la collaborazio
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiiiimmiùiiiiiiiimimiiiiriiimiimniiiiiiiiimmiiiiiiimiiiiiiimimiinmmmHiiiminm
Quando il passato diventa Vanyelo
G. Tourn
Nell’introduzione al volume: « Irlanda inquieta: una guerra di religione? », edito dalla Claudiana (e che raccomandiamo ai lettori), Tullio Vinay
scrive: « solo liberandoci dal passato,
dalle sue esperienze, dal ricordo delle
sue « glorie » e delle sue opipressioni,
si può cominciare un cainmino nuovo ». Questo nuovo cammino è oggi
quanto mai lontano dal Nord Irlanua. La guerra civile nell’Ulster continua a seminare morte, terrore, odio
e vendetta. E di questo i protestanti
ne sono i maggiori responsabili. Non
si tratta di una guerra di religione come da qualche parte si vuole sostenere. Si tratta di un, problema politico
che richiede una soluzione politica.
Forse non è esagerare troppo dire
che per le minoranze cattoliche si
tratta di poter ottenere buona parte
di ciò che i Valdesi hanno ottenuto
nel 1848. Allora come ora è chi detiene il potere che deve concedere ciò
che spetta di diritto. Ciò che divide
cattolici e protestanti nell’Ulster non
è la religione ma la politica; anche
qui i fronti confessionali non reggono
ad una distinzione netta. Un terzo degli abitanti dell’Irlanda del Nord sono cattolici e nazionalisti, vogliono
cioè essere indipendenti, mentre due
terzi sono protestanti, vogliono mantenere le cose come sono, impedendo
la separazione fra la Gran Bretagna e
l’irlanda del Nord.
Sotto a questi programrni si nascondono naturalmente degli interessi economici contrastanti. Intanto,
con il paravento della religione l’Inghilterra continua ad opprimere politicamente e militarmente le rninoranzo cattoliche. Come scriveva il proL
G. Casalis sul n. 11-12 (1970) di « Christianisme Social », « nessuna famiglia
spirituale, nessuna corrente ideologica, nessun partito è al riparo dalle
peggiori deviazioni ». Queste parole
possono oggi essere ricordate non soltanto ai fratelli protestanti del Nord
Irlanda vittime della loro tradizione,
dei loro pregiudizi e dei loro privilegi, ma anche a noi che così poco abbiamo imparato dalla storia. Quando
avremo fra le mani l’opuscolo del 17
febbraio sulla Notte di S. Bartolomeo,
quando penseremo a questa feroce
strage non potremo farlo senza pensare che oggi nell’Ulster il sangue
scorre ancora ed è soprattutto sangue
cattolico; ma è lo tesso sangue versato quella tragica notte di S. Bartolomeo, lo stesso che oggi scorre nel
Vietnam ed ovunque ci sia oppressione. Sempre nello stesso numero di
« Christianisme Social » Casalis ha
ha scritto che: «Qualunque sia il cc
lore, Tetichetta dell’oppressione, essa
è odiosa è intollerabile; qualunque
sia il volto degli oppressi — si tratti
ad esempio dei Baschi o degli Irlandesi, dei Palestinesi o dei Vietnamiti
— qualunque sia la loro razza o la loro appartenenza ideologica, siamo solidali con la loro lotta. Infatti dovunque nel mondo un uomo, una classe o
un popolo si rivolta contro gli abusi
del potere, la discriminazione razziale, i privilegi economici o gl’intralci
alia libertà di pensiero, dovunque degli uomini rifiutano di piegai si davanti al terrore e preferiscono morire in
piedi piuttosto che vivere umiliati, siamo noi stessi in gioco. Dovunque la si
combatta, la lotta per i diritti civili e
una lotta per la nostra libertà di uomini e per la dignità comune. Non si è
liberi, quando si sa che altri sono incatenati; non si è diventati veramente
umani, se si vive in un mondo nel quale la giustizia e il diritto sono rifiutati
ad altri uomini. La lotta dei cattolici
deirirlanda del Nord è dunque la lotta di tutti coloro che nel mondo vogliono la pace e la fraternità.
E. Genre
Abbonatevi
airaEco-Luce))
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiimiimiiiiiiiiiiir’iiiiMi! ;;; :i
COOP.
Tipografica Subaipina
Lavori commerciali
Giornali, riviste, libri
Pubblicazioni varie
VIA ARNAUD, 25 - TORRE PELLICE
Telefono 91.334
iiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiimiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiim
ne di tutti, i numerosi problemi che via
via si presenteranno.
RESPONSABILITÀ’
FINANZIARIA
Con il 31 dicembre 1971 la CIOV ha
chiuso la propria gestione e con il 1°
gennaio 1972 è subentrato il nuovo Comitato. Il problema più grave è ancora
quello finanziario. Il Comitato ha impostato un bilancio preventivo per i primi sei mesi digestione che comporta
già un deficit di 1.800.000 lire. Non è
possibile fare grosse economie sulle
spese di vitto e di riscaldamento: le
bambine hanno diritto a tutto il confort necessario, senza lusso, né sprechi
il Convitto deve offrire un quadro normale di assistenza dove il necessario
deve essere in ogni modo assicurato.
Non è possibile d’altra parte continuare a far portare al personale il peso della situazione, mantenendo salari al di
sotto del minimo vitale e imponendo
un carico di lavoro e di responsabilità
al di sopra del normale. Un grosso problema è quello delle rette: si cercherà
ove possibile di operare un aumento.
D’altra parte l’Istituto intende rimanere fermo al principio che fin dalTinizio
ha animato la sua azione: cioè essere
aperto in modo del tutto particolare
a bambine in condizioni economiche e
sociali difficili per offrir loro un focolare in grado di provvedere al loro mantenimento ed educazione. In questi casi poco o nulla si può chiedere alle famiglie: è necessario rivolgersi agli Enti di tutela e di patronato con i quali
bisogna svolgere lunghe e logoranti procedure per giungere spesso a risultati
non soddisfacenti.
Il costo di ogni posto letto (in numero di trenta) è di 40.000 lire al mese Circa; attualmente la media delle rette
mensili pagate dalle famiglie o dagli
Enti è di 24.000 lire per 25 bambine presenti. La situazione non è dunque rosea.
Il nuovo Comitato non ha soluzioni miracolistiche da proporre, può semplicemente porre l’interrogativo di sempre:
la Chiesa Valdese avverte la propria responsabilità diretta verso quest’opera?
E parlando di Chiesa non intende la
istituzione ecclesiastica, ma i singoli
membri che la costituiscono. È soltanto nella misura in cui tutti sentiranno
la loro propria corresponsabilità con
un’opera che non ha affatto esaurito la
(sua funzione sociale, educativa e formativa, che questa potrà non solo mantenere, ma estendere e sviluppare il
proprio servizio.
LE OSPITI
Attualmente le bambine ospitate sono venticinque (l’ultima delle quali è
la 712=" ospite accolta dal 1854). Diciotto
valdesi e sette cattoliche. Quattordici
provenienti dalle Valli, sette da Torino
e quattro da altre province italiane. Sette bambine provengono da famiglie
con genitori separati, cinque sono orfane di madre e una di padre, le altre sono situazioni relativamente normali.
Tredici bambine frequentano le scuole
elementari, otto le medie, tre sono sotto i sei anni e una segue una scuola
professionale.
Nel complesso si tratta di un gruppo
molto simpatico, dove naturalmente
non mancano i problemi tipici dell’età
che spesso sono maggiormente aggravati in alcuni soggetti. Alle responsabili è richiesto molto spirito di dedizione, molto amore, comprensione, dolcezza non disgiunta da chiarezza di idee e
da fermezza dove è necessario. L’opera
educativa e formativa delle adolescenti
non facile già in normali e equilibrati
ambienti familiari, è tanto più difficile
in Istituto, data la diversità dei caratteri, della formazione (o deformazione)
precedente, il diverso grado di sensibilità e di ricettività.
Il vecchio « Orphelinat » ha tratto la
propria ragion d’essere dalla vocazione
evangelica del servizio verso chi materialmente o moralmente aveva bisogno
di aiuto. In questa certezza e in questa
fede ha vissuto per ben centodiciannove anni attraversando periodi sereni e
anni di grave difficoltà.
Il nuovo Comitato e l’attuale personale dell’Istituto desidera esprimere alla CIOV e a tutti coloro che hanno lavorato nell’Istituto con dedizione e
amore, un pensiero di viva riconoscenza. Esso intende proseguire l’opera che
fu loro, con lo stesso spirito di servizio
e di disponibilità.
Cambiata l’etichetta e la gestione, la
vocazione di fondo rimane intatta; il
Signore ci illumini e guidi nel lavoro
che nel suo nome è stato iniziato e
condotto e che intendiamo portare avanti, come segno del suo amore e della
sua cura per i minimi e i piccoli di questo mondo.'
Alberto Taccia
Rimandiamo al prossimo numero la
« storia » del Convitto ieirtminile di
Torre Pellice.
5
pag. 6
N. 6 — 11 febbraio 1972
I NOSTRI GIORNI
UOMINI, FATTI, SITUAZIONI
Il massacro
di Londonderry
Mentre scriviamo queste note (che
dobbiamo inviare per lunedì 7 mattino in tipografia) siamo alla vigilia della « marcia » su Newry e vale a dire
della grande manifestazione in programma da parte del movimento cattolico per i diritti civili, che si batte
per l’eguaglianza socio-politica, contro
il confino di polizia e per la riapertura dei campi di concentramento dove
sono racchiuse centinaia di persone.
La città è presidiata (diremmo meglio: occupata) da migliaia di militari
inglesi — fra cui il famigerato 1« battaglione paracadutisti autore del massacro di Londonderry — affiancati dalle formazioni paramilitari protestanti
integrate al comando britannico.
L’IRA, il movimento clandestino armato di liberazione irlandese, ha fatto circolare fra i giornalisti la notizia
che i suoi uomini non cercheranno lo
scontro durante la suddetta manifestazione. Ci auguriamo di cuore che il
massacro non si ripeta.
Perché non si può definire diversamente quanto è avvenuto domenica
30 gennaio, e che costituisce il più grave episodio di violenza istituzionale
che si sia mai registrato nell’Ulster.
Com’è noto, i « parà » britannici hanno bestialmente e improvvisamente
aperto il fuoco contro i dimostranti
ed hanno massacrato tredici giovani,
tutti disarmati. Alcime voci dicono
che si sia cercato di eliminare la deputatessa Bernadette Devlin che era
appunto alla testa del corteo e che, come si sa, è la « leader » dei cattolici irlandesi.
Questo procedere del governo conservatore britannico — affiancato dai
conservatori protestanti di Belfast —
è comunque così chiaramente repressivo e terroristico che, proprio all’intemo della stessa maggioranza governativa protestante, ha provocato degli sbandamenti: già da tempo, anzi,
si erano manifestate opposizioni assai
aspre al momento del dibattito sulle
leggi speciali di polizia. Alcuni deputati unionisti, che vorrebbero lasciare
il partito, hanno dichiarato di volersi
sottrarre alle sanguinose complicità
che legano il gruppo dirigente agli oltranzisti protestanti dell’ordine degli
Orange.
Tutto questo succede mentre si inneggia alla « grande Europa » e alla
data « storica » che ha ratificato l’accordo sul prezzo europeo del merluzzo, del burro e magari dei cannoni.
Ben altrimenti « storica » è la data
del 30 gennaio che segna ima nuova
Contro la repressione
all'Est
Un gruppo di intellettuali di sinistra, fra cui si annoverano i nomi di
Ercole Bonacina, Tristano Codignola,
Riccardo Lombardi, Ferruccio Farri,
Aldo Visalberghi e vari altri, ha fatto
una dichiarazione in cui fra l’altro
viene affermato :
« È un dovere per gli uomini di sinistra non lasciare sotto silenzio la politica persecutoria contro Vopposizione
ideologica e culturale che VUnione sovietica conduce da alcuni anni e che
ha avuto un indice così grave nei recenti processi. Tra i Paesi minori delVEst fa spicco la Cecoslovacchia, ridotta, al di là dell’arresto del giornalista
Ochetto, che fermamente condanniamo, ad una tetra caserma conformista.
In questa sede — prosegue la nota
— la nostra protesta non riguarda il
regime comunista in quanto tale... ed
abbiamo ben presente come le persecuzioni dottrinali, le involuzioni autoritarie, il terrorismo ideologico e le
violenze dittatoriali inquinino tutti i
continenti e lascino ormai poche isole
di accettabile democrazia. Ma la vicinanza ed il peso politico per l’Italia e
per l’Europa sono tali che non ci può
lasciare indifferenti il peggioramento di
un certo clima segnato da progressive
chiusure autoritarie e dalla caduta delle speranze ancora recenti di liberalizzazione».
vergogna del nostro continente; vergogna che ci viene da paragonare al
recente e per tanti versi analogo rnassacro organizzato dai colonialisti bianchi in Rhodesia contro gli africani che
dimostravano per gli accordi stipulati (guarda caso) colla Gran Bretagna.
Sono fatti di fronte a cui la non mai
abbastanza deprecata _ repressione in
Cecoslovacchia impallidisce.
Quale televisione?
Nel corrente anno 1972 scadrà la concessione ventennale dello Stato nei riguardi della Rai TV e attorno a questa
importante questione stanno prenderido posizione i più disparati interessi.
Il deputato socialista Scalfari, constatando che questo organo di informazione (si fa per dire) si è ridotto
ad essere la supina espressione del
partito di maggioranza e sovente di
una determinata corrente, predone
che per trasformare il monopolio di
Bemabei in «qualche cosa di più decente» si proceda a una sua «liberalizzazio
ne » dato che le altre forze di governo e politiche saranno sempre soccombenti di fronte allo strapotere de.
Il giornale del partito comunista,
« L’Unità » si è detto nettamente contrario a una iniziativa del genere che
avrebbe la conseguenza di « mantenere una TV di Stato brutta» e una TV
privata « al servizio dei monopòli »,
con esclusione del mondo dei lavoratori.
Il dissidente « il manifesto » per
contro, nel definire ferrea » Tanalis. di Scalfari si schiera per la cessazione del monopolio de. televisivo e
che venga accordato a quest’organo di
diffusione la libertà piena, come sancito dall’art. 21 della Costituzione (secondo cui « tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero colla parola. Io scritto e ogni
mezzo di diffusione »).
Scalfari precisa che la sinistra (dato che oggi si possono installare stazioni con poca spesa) « di cose da
dire ne ha molte, di vergogne da denunciare ne ha ancora di più, di tabù
da dissacrare ce n’è fino alla noia e
di buona cultura da trasmettere ne
abbiamo a volontà ». Nel constatare
che vi sono quattro canali disponibili, egli propone che si facciano quattro ^ reti nazionali indipendenti Luna
dall’altra e con orientamenti politici
diversi: « si aprano le finestre, senza
di che moriremo soffocati dal puzzo ».
Il « puzzo » in effetti, lo sentiamo
spesso e già lo abbiamo denunciato
in occasione delle recenti elezioni
presidenziali (n. 52 del 24 dicembre).
Un altro caso, assai meno conosciuto, è la scorrettezza usata nei riguardi del giornalista Giorgio Bocca, che
ne parla sul settimanale « Tempo ».
Egli era stato invitato dalla TV a partecipare alla trasmissione di « Controcampo » dedicata a « quale patria? » (Ricordando l’episodio, chiede
a Bernabei: « ti pare sensato chiedere
le opinioni di una persona e poi non
trasmetterle al pubblico? »). Nel suo intervento conclusivo. Bocca ebbe a dire
che per lui il concetto di « patria » è
dato da quanto vi è di più avanzato e
democratico nella costituzione repubblicana e che perciò i fascisti non possono essere considerati « compatrioti ».
Questa è l’opinione che è stata ritenuta
scandalosa, da non usare in un momento in cui « come dicono gli ipocriti, bisogna unire e non dividere gli italiani »,
In un momento in cui i rigurgiti del
fascismo si fanno sempre più sensibili
e intollerabili.
E chiaro che, così com’è oggi, la
Rai-TV è ben lungi dall’assolvere al suo
compito e che è necessaria una soluzione alternativa in grado di fornire a
uno dei più popolari mezzi di diffusione quella pluralità di voci e quella libertà di espressione (e di notizie) che
sono alla base della democrazia.
Roberto Peyrot
Echi della settimana
a cura di Tullio Vioia
L’ULTIMA CONTESTAZIONE
GIOVANILE
A- È quella^ del cosiddetto « Movimento di Gesù », che va rapidamente
diffondendosi in USA con forti caratteristiche sue proprie. Riportiamo il
seguente articolo sull’argomento, apparso sulla rivista francese « Lectures
pour tous» (n. del febbraio 1972).
Non vi aggiungiamo' alcun commento, perché non ci sentiamo di esprimere giudizi su un fatto, religioso e sociale, che ancora conosciamo così poco. Ma il lettore che volesse saperne
di più, può leggere un altro ben più
ampio articolo, sullo stesso n., a firma Claude Brund, dal titolo; « Gesù
contro la droga ». Ivi si leggono le impressioni che l’autore ha riportate personalmente, in recenti incontri e conversazioni con quei giovani a Parigi.
« Era un locale per lo “strip-tease"
a S. Antonio (Texas), ed ora è un
"night-club cristiano", nel quale pregano in coro ragazzi e ragazze: ambiente di "jam-session" (= riunione
musicale di jazz). Altrove i caffè e le
osterie sono divenuti “caffè cristiani",
oppure “bar con juke-box all’insegna
del Cristo". Il “Movimento di Gesù"
è passato di là!
Un po’ dappertutto, nel territorio
USA, si aprono dei “Foyers ctistìani"
per piccole comunità ferventi. Giovani che pregano, cantano al sole, levano verso il cielo i loro volti estatici e
le mani- giunte, oppure camminano
gravemente in processione, vestiti di
tela di sacco, la fronte segnata di cenere. Sulle spiagge e sulle rive si assiste a gioiosi battesimi collettivi, nei
quali si mescolano, fra loro, canti e
bikini fioriti, ragazzi in "blue-jeans" e
“ragazzine di Gesù", le piccole “figliole del Cristo".
“È il più grande rinnovamento spirituale che gli USA abbiano mai conosciuto" afferma un leader cattolico della California.
Questo movimento solleva paradossalmente centinaia di migtiùia di giovani americani, anzi certamente molti di più, in concomitanza con la triplice ondata droga - erotismo - violenza. Le loro T-shirts ( = magliette
succinte), i loro braccialetti - orologi,
i loro distintivi porta-fortuna, recano
le scritte: “Gesù è il mio Signore", oppure “Gesù vi ama". Il loro segno di
riconoscimento: il pugno chiuso con
l’indice puntato verticalmente verso il
cielo. In piena strada vi parlano di
Cristo, al telefono sostituiscono il rituale “allò!", con la formula: “Gesù
vi ama".
“Ciò che colpisce (dice un osservatore) è la loro gioia, con la capacità
d’infonderla agli altri".
È stravagante, in qualche suo aspetto, questo movimento? In ogni _ caso
esso è quanto di più ecumenico si possa immaginare: accoglie alla rinfusa
protestanti e cattolici, ebrei ed agnostici. Non è facile attribuirgli un’origine ben definita. Si può dire che esso
è nato per generazione spontanea nel
1967, in conseguenza d’iniziative disperse, come ad es. quella di Tony e
Susan Alamo, artisti di music-hall di
Los Angeles in California. Questi vennero a Gesù, percorrendo un sentiero
praticato dall’aiuto ch'era stato prestato a dei giovani diseredati incontrati per caso.
Si può dire che il movimento è formato da tre correnti principali che si
rinforzano l’una con l’altra, malgrado
le loro differenze. V’è anzitutto il "Jesus People" (^Popolo di Gesù), derivante da certi ambienti hippies di San
Si può prevedere un cattolicesimo
più progressista in Irlanda?
Dublino (epd) — Con il ritiro dell’ottantaseienne arcivescovo di Dublino, dr. J. Me ()uaid, è scomparso dalla
scena il simbolo deH'orientamento
conservatore del cattolicesimo irlandese. Nei trent’anni e più del suo ufficio quale primate d’Irlanda egli ha
avuto, con l’aiuto dei parroci di campagna più anziani ed estremamente
conservativi, un’influenza profonda
sulla vita e sulle prospettive dei cat
tolici irlandesi. Il suo succes.sore, il'
quarantasettenne Dermont R|yan viene considerato assai più progressista.
È comunque dubbio se il nuovo primate riuscirà ad imporre le sue idee
più moderne, finché continuerà a far
sentire la propria influenza la generazione anziana dei parroci locali, i quali
possono contare su un forte appoggio
da parte di larghi strati della popolazione.
viiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiimiiiitiimimiiiiniMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMimi:iiiiiiiii
Un recente convegno di studi, a Reggio Calabria
Minoranze linguistiche in Italia
Francisco. Questi “innamorati di Gesù", o “folli di Gesù" (come anche si
chiamano), devono a tale origine il
loro aspetto, tanto pittoresco quanto
generalmente capellone. Poi vengono i
'Straight People" ( —gente normale),
che sono i più numerosi, preferiscono
i capelli corti e i maxi-cappotti. Infine
vengono i paradossali “Catholc Pentecostals" (= pentecostali cattolici), la
cui denominazione contraddittoria fa
coabitare le austerità dei riti romani
con le estasi brucianti.
Nel movimento, vi sono a'cuni che
vedono in Gesù un contestatore della
siM epoca, od ancora l’immagine idealizzata del padre che è loro mancato.
Ma i più hanno fede in un Gesù soprannaturale, al quale dedicano un
potenziale d'entusiasmo e di dono di
sé, pari a quello che precedentemente
usavano sprecare a beieficio di effimeri idoli.
“Ben lo sappiamo (essi dicono): la
risposta a tutto è Gesù!”.
E la chitarra è sempre là, nelle mani di questa nuova generazione che si
proclama “di Gesù rock". A New York
trionfa la commedia musicale “Godspell", il cui eroe non è altri che Gesù,
proprio come quell’altro pezzo di teatro: “Gesù Cristo Superstar". Non è
forse un pastore presbiteriano che recentemente ha adottato la seguente
formula (certo non banale!): “Io ti
battezzo nel nome del Padre e di Gesù Cristo Superstar"?
Una delle facoltà più straordinarie
del movimento: il suo miracoloso potere sulla droga. (...) Numerosi schiavi degli stupefacenti hanno buttato via
il loro materiale e rinunciato definitivamente al loro tiranno. Anche la sessualità riceve un colpo mortale con
questi giovani, che ritrovano in comune l’ideale d’una purezza divenuta anacronistica. (...)
Questi giovani mostrano un’ambizione universale: “Nel 1976, assicurano,
noi avremo fatto penetrare Gesù nella totalità degli Stati Uniti, nel 1980
nel resto del mondo!".
Si tratta di sapere però se tutto
questo non sia altro, per avventura,
che un immenso fuoco di paglia!
“Certamente no (rispondono degli
osservatori imparziali): è un fenomeno più profondo e più solido di quanto non si pensi" (...) In ogni caso risulterà dimostrato, una volta di più,
la forza d’impatto (sempre nuovamente rinnovatesi) che conserva, attraverso i secoli. Colui che morì quasi due
mila anni fa, un venerdì sera, a Gerusalemme ».
ALLA RICERCA
DI CONTATTI SEGRETI
Una tale ricerca è fatta simultaneamente da cinesi e sovietici (cosa
generalmente sconosciuta), malgrado
tante e tanto gravi manifestazioni di
ostilità!
« La persistenza con cui la stampa
sovietica conduce, da sei mesi, la sua
polemica anti-cinese, non ha disturbato Pechino nel suo recentissimo acquisto, nell’URSS, di cinque “Illiuscin
62". Né ha impedito all’URSS di fare
alcune piccole concessioni territoriali
alta Cina: precisamente di alcune isole sul fiume Amur, e così dell'isola di
Damanski suU’Ussuri (proprio di quella che fu teatro, nel marzo '69, d’un
vero combattimento di frontiera).
I sovietici potrebbero anche cedere
ai cinesi 80 fcm.* di fronte a Khaba
Le nostre Vallate sono considerate
generalmente bilingui (italiano e francese) con riferimento alle così dette
lingue di cultura, ma, linguisticamente
non si può fare una netta distinzione
fra lingue e dialetti, per cui la maggior parte dei nostri convalligiani che,
oltre all’italiano e il francese, parla anche il suo patois (provenzale) e il piemontese, è da considerarsi quadrilingue, come quadrilingui sono i Valdostani e parecchie altre vallate alpine
e, comunque trilingui, tutte le vallate
di parlata provenzaleggiante e francoprovenzale delle province di Cuneo e
di Torino. Ma non sono i soli « alloglotti » o « mistilingui » della Repubblica Italiana. Oltre che nella provincia di Bolzano, il tedesco, o suoi dialetti, sono parlati in alcuni villaggi
della Val d’Aosta e delle province di
Novara, Verona e Trento. Nelle Valli
dolomitiche è parlato il Ladino e nel
Friuli una varietà dello stesso Ladino,
detto appunto friulano. Lo sloveno è
parlato da buona parte della popolazione della provincia di Trieste ed in
altre zone della Venezia Giulia. Questo, perché i confini sono barriere artificiali create dai politici, mentre la
storia dimostra che le Alpi non sono
mai state un ostacolo insuperabile, ma
anzi che le stesse forme di civiltà si
sono sviluppate su entrambi i loro
versanti.
Le zone mistilingui in Italia non sono però solo ai confini, come sembrerebbe naturale, ma isole alloglotte si
estendono lungo tutta la penisola. Tre
villaggi croati in Molise, diversi villaggi di parlata albanese in Puglia, Calabria e Sicilia, paesi di lingua greca in
Puglia e Calabria. Ad Alghero, in Sardegna, parte degli abitanti usano la
lingua catalana.
Tutte queste minoranze linguistiche
dovrebbero essere tutelate dalla Costituzione che all’àrticolo 6, dice: « La
Repubblica tutela con apposite nonne
le minoranze linguistiche ». In pratica però, tranne poche eccezioni, queste « apposite norme » non sono mai
state emanate.
A difesa dei diritti delle minoranze
è stata creata nel 1967 la Sezione per
l’Italia delTAIDLCM (Associazione Internazionale per la Difesa delle Lingue e delle Culture minacciate), che si
riunisce due volte all’anno, scegliendo
per le sue riunioni delle località dove
vi siano delle minoranze linguistiche.
La prima riunione di quest’anno ha
avuto luogo il 3 e 4 gennaio a Reggio
Calabria, per prender contatto e visitare i gruppi di parlate greca e albanese di quella regione. Alla riunione
hanno preso parte parlamentari, deputati regionali, autorità locali e numerosi rappresentanti delle minoranze
etnico-linguistiche italiane. A rappresentare le vallate provenzali (od Decitane) erano presenti due « occitani »
delle Valli Valdesi: la prof. Frida Malan ed il sottoscritto. In un suo intervento, Frida Malan, oltre k portare il
saluto delle vallate eccitane e valdesi,
ha toccato anche i problemi sociali
dei quali, nella sua qualità di Assessore all’Igiene della città di Torino, essa
ha particolare competenza. Il suo intervento è stato vivamente apprezzato e commentato dall’assemblea.
Nel corso del dibattito è stato anche ricordato come le Valli Valdesi
abbiano un particolare legame storico
con la Calabria, dove, nel piccolo villaggio di Guardia Piemontese (di cui
conosciamo le tragiche vicende storiche) è ancora vivo un dialetto provenzale simile a quello parlato nelle nostre Valli.
Sono state illustrate, da parte del
segretario dell’AIDLCM dott. Gustavo
Buratti, le iniziative prese dalTAss(>
ciazione durante l’anno scorso, particolarmente durante la preparazione
degli Statuti delle Regioni, riuscendo
lllllliiiillllllliiiillliilllliiliiiilllliiliimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
rovsk, nella regione del delta dell’Ussuri (dove questo si getta nell’Amur).
Ciò permetterebbe ai cittadini di Mao
di passare più facilmente da un fiume
all’altro.
Infine l’accordo commerciale, firmato nell’ottobre scorso, autorizza la venuta a Mosca, due volte la settimana,
d’un aereo cinese, per portare prodotti alimentari all’ambasciata cinese (in
“Via dell’Amicizia"!), proprio come ai
tempi della buona amicizia cino-staliniana. E chissà che l’aereo non serva,
ben presto, a rifornire anche le cucine dell’Hòtel Pekino... ».
(Da un articolo di R. Lacontre sul
« Figaro » del 3.2.’72).
in vari casi ad ottenere che un articolo dello Statuto Regionale prevedessedelle norme a tutela di queste minoranze.
Per interessamento di alcuni parlamentari che hanno preso a cuore il
problema, è ora in corso un’inchiesta
da parte dell’Ufficio Studi del Parlamento presso tutti i comuni dove risultano esservi popolazioni alloglotte
per una più approfondita indagine del
fenomeno. « Fenomeno » (così è statodefinito dalla circolare dell’Ufficio Studi) che ora comincia ad essere più conosciuto di un tempo, tanto che anche
la televisione si è degnata, in questa.
occasione, di segnalare questa riunione in un suo programma.
La seconda giornata è stata dedicata ad una interessante visita ad alcuni villaggi greci (o grecani come vengono indicati localmente) abbarbicati
lungo le selvagge pendici delTAspromonte, dove la mancanza di strade (talune ora in costruzione) e le scarsissime risorse economiche che rendono
precaria la sussistenza hanno obbligato la quasi totalità della popolazione
ad emigrare.
Q. COISSON
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
La scelta della FGEI
(segue da pag, 3)
di testimonianza, e chi crede ch’esso sia ancora valido ha tutto il diritto di restarvi e di
potenziarlo ».
Queste parole rispondono anche all’osservazione che la gioventù battista aveva decìso di
confluire nella FGEI. Evidentemente vi sonodei giovani che non condividono questa linea
e che hanno il diritto di esprimere la loro vocazione cristiana nelFambito di gruppi e organizzazioni che permettano loro tale espressione.
Per quanto riguarda la seconda scorrettezza^
citeremo ancora la suddetta relazione : « In
realtà neanche tutti erano d’accordo di averequest’incontro in un giorno in cui erano già
previsti un convegno regionale delle Unioni.
Femminili ed un altro della FGEI. Si è chiarito che con tutta la buona volontà non è stato possibile trovare un’altra data adatta, essendo stato escluso il 6 gennaio perché alcunechiese hanno attività per i bambini ». La data
dell’8 dicembre era stata infatti fissata duranteuna precedente riunione durante la quale erano state considerate tutte le altre possibili soluzioni per evitare questo accavallarsi di incontri. La decisione quindi non è stata assolutamente dettata da una volontà di ostacolare o contestare la riunione FGEI.
Inoltre tutti i presenti partecipavano alla:
riunione a titolo assolutamente personale, non.
avendo nessuna delega da parte delle unioni:
e non potendo decidere per altri su questioni
dì coscienza, come la relazione afferma chiaramente : « Ognuno si trova in questo comitato a.
titolo personale, cioè senza impegnare né la
comunità né l’eventuale unione giovanile d’appartenenza ».
Ma ci sembra di ravvisare un fatto estremamente grave''nell’atteggiamentó" della FGEI
toscana. Una denuncia di tale genere ha il.
chiaro significato di voler impedire ad altri
la libera manifestazione delle proprie convinzioni e soprattutto la attuazione della propria
vocazione. Questa è chiaramente repressione.^
La FGEI è libera di seguire una certa linea,,
coerente con le proprie convinzioni e con la
propria vocazione. La FGEI deve lasciare liberi coloro che hanno altre convinzioni e altra
vocazione di esprimersi e dì concretizzare in
una attività pratica quei doni ricevuti dal Signore.
L’atteggiamento della FGEI toscana è definibile col termine di totalitarismo, perché chiaramente non vuole nel protestantesimo italiane l’esistenza di altri gruppi giovanili, vuole
rimanere l’unica voce della gioventù evangelica, sopprìmendo e reprimendo tutte le altre
voci che talvolta si alzano nella caotica situazione nella quale si trovano le nostre Chiese*
Sovente si è parlato di maggioranza silenziosa (non vogliamo ora discutere se sia effettivamente maggioranza o meno) e dì quesrtewweniva appunto criticato il silenzio. Ora che ha comincialo a parlare le si lasci portare il proprio contributo alla vita delle Chiese sulla base di quell’amore e di quella libertà che sono
i fondamenti del Cristianesimo.
Riceva i nostri migliori saluti,
Valdo Bertalot, Erminia Marano,
Marco Scuderi, Carlo Vicari
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Coop. Tip. Subalpina - Torre Pellice (Torino)