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Roma, 12 Dicombr* 1008
SI pubbli«» ogni Sabato
ANNO I-N. 50
V.
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LA LUCE
Propugna gl’interessi sociali! morali e religiosi in Italia
ABBONAMKNTI
Semestre L. 1,50
« 3,00
Italia : Anno L. 2,50
Estero ; » » 5,00 — «
Un numero separato Cent. 6
I manoseritti non si restituiscono
INSERZ:iONI
Per linea e spazio eorrispondente L. 0,15
« « da 2 a 5 volte 0,10
* * da 6 a 15 volte 0,05
Per colonna intera, mezza colonna, qnarto di colonna e
per avvisi ripetuti prezzi da convenirsi.
Direttore e Amministratore : B. Celli, Via Magenta 18, Roma
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per Iranno che va
e per Iranno che viene
Siam qnasi alla fine deH’anno; eppure un
certo numero di Lettori non ci ha ancora
mandato le L. 2,50 delFabbonamento !
Li preghiamo di volerci saldare ininiediataniente il loro debito, inviandoci con la
stessa cartolina-vaglia altre L. 2,50 per l’abbonaniento dell’anno 1909 che sta per cominciare.
Rinnovate dunque, sollecitamente, cari Amici e gentili Lettori, il vostro abbonamento e
parlate d’intorno a voi della LUCE, procurandole nuovi abbonati. A tal fine, facciamo
specialissimo assegnamento su la cortesia,
Falfetto e lo zelo dei nostri cari colleghi, i
pastori delle Valli e del rimanente d’Italia.
Coloro, che non essendo ancora abbonati,
ci in\(ieranp>Ot,^Vitft 2,50,y 1909
riceveranno anche i numeri di dicembre
senz’altra spesa. ^
Il prezzo d’abbonamento è mantenuto a L. 2,50
per tutti coloro che avranno pagato il loro abbonamento PRIMA del 31 gennaio 1909, dopo di che
esso verrà portato a 3 lire.
Per le molte difficoltà avveratesi negli scorsi
anni, sono SOPPRESSI gli abbonamenti postali
coll’estero. I nostri Amici dell’estero si compiacciano di valersi di vaglia internazionali, per pagare il loro abbonamento.
Siccome Pamministrazione della “ Rivista Cristiana „ ha in animo di offrire speciali facilitazioni
per l’abbonamento a detto periodico, la cui dire,
zione verrà assunta col 1-gennaio 1909 dal signor
E. Gianipiccoli, NON si faranno più “ abbonamenti
eoffiulativi „ colla LUCE.
L’Amministrazione della Rivista (107 Via Nazionale, Roma) concede l’abbonamento per 4 lire
a tutti coloro che ne avranno versato l’ammontare
prima del 31 gennaio 1909; dopo di che esso sarà
mantenuto a 5 lire.
BAZZAR
L’annua fiera di Beneficenza (Razzar) a favore
dell’Istituto Gould, avrà luogo in Roma, piacendo
a Dio, ai primi di Marzo p. v. Ricordarlo ai nostri
lettori é volerli associare a questa buona opera ;
il farlo in tempo é dare loro modo di disporsi a
spedire oggetti confezionati ed altri che verranno
raccogliendo man mano. Parecchie società di cucito, unioni della gioventù e scuole Domenicali si
sono ricordate degli orfanelli del Gould, per lo
passato ; speriamo che vorranno ricordarsene ancora in avvenire.
Rivolgere comunicazioni al riguardo e spedizioni d'oggetti alla signora M. Muston 107, Via
Nazionale, Roma.
SOMMARIO
Guardando attorno. — Variazioni romanistiche. —
S. Pietro fondatore della chiesa di Roma ? — Senza
Cristo e con Cristo, A. C. G. — Lo Zambesi e la
vecchia Livingstone, G. D. Turino. — Delitti e
pene, Enrico Rivoire. — La Scuola Nazionale, G.
d. P. — La religione ufficiale, II, Arturo Mingardi. — Sul Modernismo, e. r. — Alcune idee
di Tyrrel, D. T. — Galleria scientifico-religiosa ;
Andrea Maria Ampère, E. M. — Il Conte Piero
Guicciardini. — Ci sono avvezzi ! Giuseppe Ban-.
Ghetti. — Il Giubileo delle nostre Colonie. — In
sala di Lettura. — Eroine Valdesi (nuova serie),
Teofilo Gay. — Dal Chiosco alla Libreria.
Gaardapdo attopno
(Noterelle e Spigolature)
Grande giostra oratori^ alia Camera • intorno alla
politica tittoniana, con strepitoso trionfo ministeriale.
' Non è il caso di dire ; parturiunt montes : nascetur
ridiculus mus ?
* *
Gli studenti universitari, per la Società Dante Ali■ ghieri, a Roma in ispecie, sono andati entusiasticamente raccogliendo danari per le vie, dovunque, con
lo scopo di veder sorgere finalmente un’Università
italiana a Trieste. Ecco un bel risveglio di patriottismo 1
m •
Quest’anno è stato l’anno dei Congressi. Ed eccone
ancora uno, sebbene l’estate sia trascorsa da un pezzo,
e il nuovo anno s’avvicini a passi di gigante.
Alludiamo al Congresso per le Biblioteche popolari,
che ha attirato alla Capitale anche amici evangelici;
come, ad esempio, il cav. Alessandro Vinay, professore nel nostro Liceo pareggiato di Torrepellice e benemerito soprintendente di quella Biblioteca.
«
• •
Questi ultimi sono stati giorni di onoranze.
Onoranze al senatore Giovanni Faldella, che si ritira dalla “ vita politica elettiva „.
Onoranze alla memoria della illustre attrice tragica Adelaide Ristori, a Londra. “ La festa terminò
con la recitazione di una ode di Luigi N. Parker intitolata Apoteosi di Adelaide Ristori. Si esagera ogni
cosa in questo piccolo mondo !
Onoranze a Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, in occasione delle sue feste giubilari. Folla
enorme, panico improvviso, quattro morti e un monte
di feriti... Poco gusto per conseguenza : l’imperatore
ne è rimasto accasciato e fa dir messe! L’Austria è
tutta sottosopra. Praga in istato d’assedio. Povera
gente !
Infine, onoranze o proposta d’onoranze a Giovanna
d’Arco; la quale, bruciata per eretica, ora sarà beatificata come... Pio IX. Chi si contenta di queste farse
crudeli goda pure !
*
Ecco una saporita noterella che le Battaglie d’oggi
ci offrono.
“ Il frate cappuccino Gaetano M. da Bergamo narra
dei casi da lui stesso accertati, di predicatori che,
per commuovere l’uditorio, simulano deliqui o estasi
e ricorrono a stratagemmi che s’erigono sulla più
sfacciata menzogna: un Cristo annuisce con il capo
alle parole d’un sacro oratore; un Crocefisso versa
sangue dal costato, spruzzandone i fedeli; un predicatore con impaziènte ferróre si batte sul pulpito suscitando una gara, anteriorinente concertata, con l’assistente che pietosamente tenta togliergli di mano il
flagello; un quaresimalistà si conficca sul capo una
corona di spine e ne sprizza il sangue da una vescica
nascosta intorno alla chierica, écc. „.
*
Le stesse Battaglie riassumono nel modo seguente
il libro di Carlo M. Rocco, intitolato: Il modernismo
per gli studiosi di scienze morali (appunti ed im'pressioni su VEnciclica “ Pascéndi ,,) Napoli, 1908.
“ 11 giovane A., già noto per altre pubblicazioni, in
questo libro prende ad esaminare serenamente i postulati del modernismo onesto, dimostrando come essi,
•non che allontanarsi dalla vera tradizione, là integrano, integrando il pensiero dei più acuti padri della
Chiesa. Epperò giustamente ripete quel che fu già
detto, che i più seri modernisti nell’Enciclica Pascendi non si riconosoonqe che non riguarda loro „.
Se per modernismo onesto e serio intende modernismo a base positiva, senza velleità intellettualistiche
nè razionalistiche, siam^-tjifpL^Bòi: Ropcoj se no, no,
assòIÙtàmóhtè’’2o 1 Dèlia 'fibtoìra’^bp’Monè’non abbiamo
fatto un segreto; per noi, i Modernisti si dividono in
due categorie distintissime. Ci sono poi dei Modernisti che sembrano partecipare alle due categorie insieme, dei Modernisti cioè non facilmente classificabili.
Cionondimeno restano le due ben definite classi accennate di sopra.
• •
Se ora dovessimo affrontare il capitolo dello stram. berie umane, non la finiremmo più.
Ecco il signor Fournier d’Albe. segretario della Società delle ricerche psichiche di Dublino, il quale ha
descritto, in una conferenza tenuta in Londra, la
sorte delle anime post mortem, con una disinvoltuia
da Giulio Verno. Secondo il Fournier, le anime per
30,000 anni scorrazzano attraverso l’atmosfera; poi,
trasformate per benino, salgono ad abitare gli spazi
eterei interplanetari !
*
• •
“ I cattolici credono che si possa andar salvi solamente per le buone opere P ’’ si domanda in una specie
di catechismo antiprotestantico che si va pubblicando
amenamente nel periodichetto mensile Fides. Risposta: «No, ma per la grazia di Dio e per tutte le cose
comandate da Gesù Cristo „.
Non occorrono commenti per chi conosca 1’ abbicci
dell’Evangelo I
«
A Londra, le suffragiste continuano a mettere ogni
cosa a soqquadro, con buona speranza ormai di riescita. Pare che il Governo abbia fatto promesse.
Ut
« «
Rifacciamoci la bocca con questa lettera del presidente Roosevelt. È da notare che il futuro presidente
Taft la pensa come Roosevelt,
“ Personalmente io sono dalla parto del suffragio
femminile, ma non ne sono però un entusiasta propugnatore, per il semplice fatto che non credo che
questa sia una cosa importante. Nessun miglioramento
è avvenuto negli Stati del West che hanno adottato
il suffragio femminile.
“ Io credo inoltre che se fosse dato alla donna il
diritto di voto la sua condizione sociale non ne sarebbe avvantaggiata. E nemmeno credo che dal suffragio femminile, se fosse accordato, scaturirebbero i
danni che si vogliono prevedere. È vero"^che l’uomo
2
LA LUCE
e la donna dovrebbero godere l’eguaglianza dei diritti;
ma l’eguaglianza dei diritti non implica l’eguaglianza
delle funzioni.
'• Io sono anche convinto, profondamente convinto,
che il vero campo dove deve esercitarsi l’azione della
donna è la famiglia.
“ La prerogativa più preziosa della donna è quella
di madre di famiglia. La casa deve essere il suo regno. Allevare i bambini è il principale, anzi 1’ unico
scopo della sua vita. Questa sua azione è più importante di qualunque altra dell’uomo. Vi sono naturalmente delle eccezioni, sia per l’azione dell’uomo come
per quella della donna. Ma la vita perfetta, la vita
più felice, più utile, quella che è più desiderabile
per l’umanità, è la vita di quell’uomo e di quella donna
che vivono insieme in comunanza di affetti e di doveri : l’uno guadagnando abbastanza per sostenere la
famiglia, l’altra sorvegliando il buon andamento della
casa ed educando i bambini „.
Variazioni roroani^tiche
In questa settimana i Cattolici romani
hanno celebrato il domma dell’Immacolata
Concezione.
A Roma, presso piazza di Spagna, sorge
un’alta e splendida colonna di candido marmo sormontata da una statua di Madonna
a ricordo della promulgazione del domma
avvenuta nell’anno 1854 ; e nella mastodontica cattedrale di S. Pietro una enorme
lapide con inscrizione latina attesta come
in quel massimo tempio del Romanesimo
Papa Pio IX, il di 8 dicembre 1854, solennemente proclamasse i/rbi et orbi il domma
suddetto uscito allora allora caldo di forno.
Nè questo dell’Immacolata aveva a rimanere il domma più giovine della Chiesa
Romana: l’onore della più fresca giovinezza spetta, come tutti sanno, al domma
dell’Infallibilità papale, definito sedici anni
appresso.
In avvenire, i vescovi adunati a concilio
non stabiliranno nuove dottrine ? Chi potrebbe assicurarci che cosi non abbia a
succedere ?
E come chiamare questo moltiplicar di
dottrine e di dommi, a diciannove secoli
dalla fonte genuina dei dommi e delle dottrine ?
Il Bpssuet scrisse intorno alle Variazioni del Protestantesimo. Con quanta maggior ragione si potrebbe scrivere intorno
alle Variazioni del Romanesimo 1
Si dice : I dommi furono stabiliti, definiti tardi ; ma esistevano anche prima
nella coscienza cattolica romana ; anche
prima e durante tutti i secoli dal Cristo
al 1854 o al 1870 erano ammessi e creduti dai fedeli : si trattava soltanto di
riconoscerli ufficialmente.
Orbene questa affermazione é falsissima.
Non è vero che, prima del 1854 e per
tutti i secoli, i fedeli accettassero il supposto fatto deU’Immacolata ; è vero anzi il
contrario, poiché da prima nessuno sognava
questa dottrina, e di poi — cioè quando
Pascasio Ratberto 1’ ebbe fantasticamente
escogitata — essa venne combattuta e
sostenuta, sostenuta e combattuta, fortemente, accanitamente, col fanatismo che
in religione spesso trascende : e chi la voleva e chi non la voleva. Tutt’un ordine
di monaci — l’ordine domenicano — la
respingeva; e con esso S. Tommaso d’Aquino, il maestro dell’Alighieri, il maestro
d’ogni « chercuto » (per usare la voce
dantesca) fin dei tempi punto remoti di
Leone XIII, fin dei nostri tempi !
Gira e rigira, il domma dell’Immacolata
— come quello dell’Infallibilità del resto —
è, innegabilmente, cosa nuova, e costituisce una delle molte variazioni romanistiche, degne d’esercitare la penna di un
Bossuet più coscienzioso.
S. Pietro fondatore dello Chiesa di Homo ?
Ohi non ha tuttora nell’orecchio l’eco delle pubbliche disputazioni avvenute in Italia trentacinque
0 quarant’anni or sono tra teologi romani da una
parte e pastori evangelici da l’altra su l'autorità in
materia di fede e su la venuta di 8. Pietro in
Roma ?
Che cosa sostenevano i pastori evangelici ? Che
S. Pietro non era mai venuto a Roma ; e che in
conseguenza S. Pietro non era mai stato vescovo di
Roma, e che in conseguenza non eran giustificabili
le pretese papali.
E che cosa sostenevano in contrario i teologi romani ? Che S. Pietro era venuto, e c’ era restato
venticinque lunghi anni ; e che in conseguenza S.
Pietro era il primo papa, e che in conseguenza il
Papa non erra dandosi per successore di lui e pér
capo della Chiesa.
Adesso (curiosissimo a dirsi) il dibattito continua,
ma non più specialmente tra Evangelici e Cattolici
romani, bensì piuttosto tra Cattolici romani e Cattolici romani !
Interpellate Padre Semeria. Domandategli : E’ venuto S. Pietro a Roma ? — Si, risponderà ; si. ma
per morirvi, l’anno 64, sotto Nerone. — Dunque Elia
non ammette l’episcopato romano di S. Pietro ; in
altri termini, non ammette che S. Pietro abbia dimorato durante i famosi 25 anni a Roma ? — Non
lo ammetto, risponderà Padre Semeria. — Secondo
Lei, Pietro non dev’essere dunque considerato come
fondatore della chiesa di Roma ? — No, risponderà
Padre Semeria. (Certo è (e nessuno ne dubita) che
la chiesa di Roma fu fondata non più tardi dell’anno 42.
Per fondarla, Pietro avrebbe dunque dovuto trovarsi
nella capitale dell’impero circa l’anno 42. Se ciò fosse
avvenuto, non sarebbe difficile di sostenere l’episcopato di 25 anni : ponendo la data della morte all’anno 67, dal 42 al 67 corrono infatti 25 anni giusti ;
ma ciò non è : non è possibile ammettere che Pietro
nel 42 venisse a Roma, non è possibile considerar
lui come fondatore della Chiesa romana.
Se P. Semeria ha dato nel segno, se, vogliam
dire, « la chiesa di Roma non fu fondata dall’ apostolo S. Pietro » resta cosi aperta « la via » — come
nota la rivista cattolica he Armonie della fede —
resta cosi aperta « la via a mille dubbi sulla legittimità e sulla autorità dei pontefici ».
Su quali argomenti si appoggia il Semeria à dimostrare la sua tesi ?
Sugli argomenti ségnenti da lungo tempo escogitati da noi cristiani evangelici:
1) Atti apostolici XII, 17 : « Andò in un altro
luogo ».Perchè questo termine vaghissimo dovrebbe
indicare per l’appunto Roma ? S. Luca, l’autore degli Atti, non dice dunque che Pietro sia andato a
Roma.
2) Al silenzio di Luca si aggiunge quello di Paolo.
Vedi Epistola ai Romani.
3) Il tono dell’epistola ai Romani, dal quale certo
risulta che S. Pietro non potè essere il fondatore
di quella chiesa.
4) Dopo ciò, che valore può avere la tradizione
cattolica ?
Secondo noi, 1’ argomentazione del Semeria, che
in fondo è quella degli Evangelici odierai, non fa
una grinza.
Tuttavia di questo parere non è il Padre Ilario
Rinieri della Compagnia di Gesù, che combatte a
viso aperto il Semeria nel recente libro San Pietro
in Roma e i prim' Papi secondo i più vetusti cata loghi della Chiesa Romana.
Ed esco come padre Rinieri combatte il Semeria.
1) Il primo argomento è negativo, egli dice; dal silenzio nulla si può ricavare. — E sta benissimo, diciamo noi. Non si ricava dunque neppure che, come i teologi romani hanno ripetuto a sazietà, 1’ « andò in un altro luogo » si debba riferire alla venata di Pietro a
Roma !
2) Il silenzio di S. Paolo non prova nulla del pari,
secondo il Rinieri. — Ma no, qualche cosa esso prova,
e cioè che, quando l’epistola ai Romani fu scritta, o
Pietro non era ancora giunto a Roma, o Pietro era
assente da Roma.
3) Sul tono dell’epistola ai Romani il nostro gesuita pare scivolare con molta disinvoltura. Si sa,
quanto più un argomento è grave, tanto più questi
signori lo trattano con olimpica freddezza.
Ma il tono dell’epistola è argomento assai decisivo : se fin dal 42 Pietro fosse stato vescovo della
chiesa romana, 1’ epistola ai Romani — non c’è chi
non debba ammetterlo — avrebbe tutt’altra intonazione.
4) Naturalmente il gesuita Rinieri dà importanza
capitale alla tradizione. La tradizione ecclesiastica
attesta la venuta di Pietro, attribuisce a lui (e a S.
Paolo) la fondazione della chiesa cristiana nella capitala dell’impero ; dunque...
Ma qui sta l’errore fondamentale del Rinieri. L’epistola ai Romani — domandiamo noi — non appartiene forse alla tradizione cristiana quanto almeno
gli scritti di Ireneo che viveva intorno la metà del
secolo secondo ? Se Ireneo mi dice... quel che preme
al Rinieri, mentre da l’epistola di S. Paolo risalta
il contrario, a che dobbiamo noi attenerci ? — La
risposta si presenta spontanea ad ogni spirito logico e sincero.
Ma è poi vero che la tradizione ecclesiastica faccia
di Pietro un fondatore della chiesa di Roma, nel senso
materialmente storico della parola ? un fondatore nel
senso che sarebbe stato lui a recare 1’ Evangelo
in Roma, quando — s’intende — 1’ Evangelo non
vi sarebbe ancora stato proclamato da nessuno, cioè
meU’anno 42 o giù di li, dopo esser uscito dalla
casa di Maria madre dell’evangelista Giovanni, per
andare ♦ in un altro luogo » ; cosicché — giunto
la Roma nel 42 e rimastovi fino al 67, nel quale
anno egli avrebbe sostenuto il martirio — l’apostolo
Pietro avrebbe trascorso nella capitale del mondo
venticinque anni per Tappante, venticinque anni di
episcopato ?
Noi non crediamo che sia vero.
Il padre Rinieri cita Ireneo. * Tra questi » egli
dice, cioè tra i Padri, « odasi almeno le parole di
uno ». E quest’««» è Ireneo che scrive * in pieno
secolo secondo ». E che cosa dice Ireneo ? Che la
chiesa di Roma « fu fondata e costituita dai due
gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo ».
Noi notiamo :
1) Ireneo non parla di Pietro solo, ma di Pietro
e di Paolo. Due papi, se mai, contemporaneamente 1
2) Ireneo attribuisce la fondazione della chiesa
romana a Pietro a quella guisa che Tattribuisce a
Paolo. Ora è impossibile che Ireneo ignorasse che
Paolo non era un materiale fondatore di quella chiesa ;
Paolo scrisse l’epistola ai Romani, quando la chiesa
di Roma era già costituita da anni ; e, quando
scrisse l’epistola ai Romani, a Roma egli non era
ancora stato. Applicata a Paolo la parola « fondatore »
non può dunque avere, nella mente di Ireneo, altro senso che il largo senso di fautore efficace di
quella congregazione cristiana. Ora, se tale è il significato della parola « fondatore » applicata a Paolo, non può essere diverso il suo significato quand’essa è da Ireneo applicata a Pietro. Questi fu
fondatore della chiesa di Roma come fu Paolo. Ma
Paolo (e ciò è innegabile) non fu a Roma che tardi,
per il martirio o quasi, non fu a Roma che sotto
Nerone : quindi altrettanto s’intenda — secondo Ift
3
LA LUCE
espressioni di Ireneo citate poco a proposito dal padre
Rinieri contro il padre Semeria — quindi altrettanto s’intenda dell’apostolo Pietro. Egli fu a Roma
come Paolo, tardi, « per morirvi » come direbbe il
Semeria, che — non lo dimentichiamo — toglie in
gran parte i suoi argomenti dagli Evangelici.
Tra i dne contendenti, che appartengono alla
stessa chiesa romana, chi ha ragione f
Evidentemente il Semeria.
Il gesuita Rinieri avrebbe torto, quand’anche avesse ragione...
Dato e non concesso infatti che (contrariamente
a quanto sosteniamo il Padre Semeria e noi) S.
Pietro sia venuto a Roma nel 42, e vi abbia predicato per primo l’Evangelo, meritando cosi il nome
di fondatore della chiesa di Roma, nel senso dato
a questo vocabolo, non già da Ireneo, ma dal gesuita padre Ilario Rinieri, non ne risulterebbe per
questo il primato della Chiesa romana. Prima di
fondar questa, S. Pietro aveva in ogni modo e senza
alcun dubbio fondata la chiesa di Gerusalemme. Se
mai la successione papistica non fosse un sogno, a
Gerusalemme converrebbe andar a cercare i successori di Pietro, del supposto primo papa !
Lettere di Natale, Cori
Lettere di Natale per fanciulli e per adulti. — Chi
le desidera gratis scriva a Miss. Radcliffe, Casa Carli
Boscombe (Inghilterra).
Chi vuol pagare (L. 3 il cento franche di porto)
scrìva alla Tipografia Claudiana, via dei Serragli 51,
Firenze.
Otto Cori inediti per Natale di A. Baci. — Cent. 40'
Sconti per oltre 10 copie. Chiedere alla Tipografia
Claudiana il Catalogo di fin d’anno, ove sono liste
dì libri a prezzi ridotti del 50 per cento.
Senza Cristo e con Cristo
,..E cosi riflettendo e fantasticando sul suo proprio
dolore egli aveva passato in rivista coirimaginazione
tutte le pene e tutti gli aftanni dell’umanità, finché
era giunto alla tomba di tutti gli afl'etti terreni, e
avea veduto il becchino rimescolar la terra umida
maledicendo alla sua fatica — Paolo guardò giù
nella fossa aperta e vide il cranio di Shakespeare
balzar fuori dal terriccio come già quello di Yorick,
e vide un filosofo che lo prendeva in mano e faceva una dotta conferenza intorno alla sua conformazione e alle cellule sparite.
Tutto ciò che l’anima di Shakespeare aveva veduto quasi in visione, e che solo in parte, aveva
saputo esprimere, era forse tutto sparito insieme
col cervello evaporato, e non restavan più di tanta
grandezza che le ossa di quel cranio vuoto ?
No ; no ! gridò con impeto, e si rivolse indietro, v
indignato di tanta degradazione della maestà dello
spirito,
E mentre distoglieva il suo pensiero dalla fossa
ove presto avrebbero dovuto condurre colui che egli
tanto amava, incontrò nel giardino dei morti Uno
i cui occhi erano simili allo spirito delle oscure foreste, e le cui labbra erano simili alle silenziose acque nella notte : e qneU’Uno, fissò a lungo il Suo
sguardo su Paolo, come se lo amasse, e gli disse :
« Io sono la Risurrezione e la Vita.»
Allora lo spirito di Paolo giubilò ed abbracciò
quella universale fede che vive e persiste e trionfa
attraverso tutte le pazzie, le superstizioni, le bestemmie e le crudeltà di tante credenze religiose 5
l’universale fede neU’immortalità del Cristo immacolato.
A quale altra conclusione poteva condurlo la logica del suo ragionamento ?
Egli aveva visto un’aspirazione nell’universo, una
lotta, uno sforzo per raggiungere in qualche modo
la perfezione infinita, e tornando indietro fino a
Shakespeare, il più possente artista che mai sia vissuto, era poi risalito fino a Cristo della cui assoluta santità tutto il mondo è convinto.
Se Shakespeare, l’artista, gli aveva mostrato la
via facendogli comprendere quanto assurdo e ridicolo fosse il credere che l’intelligenza, sia soggetta
alle leggi della decadenza e della morte,Cristo, la Luce
del mondo, aveva squarciato il velo rivelandogli lo
scopo deH’eterco evolversi deU’nmanità.
Il grande Perchè rivolto da Paolo pi ima all’Universo e poi a Shakespeare, veniva ora rivolto da
Lui a Cristo : e fa risposta che la sua ragione gli
diede fu la fede salvàtrice nell’opera di Lui. Non
per nulla Cristo aveva pronunziato il discorso del
monte ; non per nulla aveva rivelato la Paternità
di Dio e la fraternità degli uomini, e specialmente
non per nulla Egli aveva gridato dal Calvario :
* Tutto è compiuto ».
Questo approfondirsi della sua concezione del Cristo
quantunque non lo guidasse a nessun altare e non
gli desse una formula per esprimere la sua fede,
servi però a porre la calma nell’irrequieta anima
di Paolo, a raddolcire tutto il suo carattere, a fortificarne lo spirito per sopportare il peso dell’esistenza.
Egli era stato condotto faccia a faccia colla suprema tragedia della vita, la morte dei nostri più
cari, e non avendo alcun interesse mondano che
distogliesse i suoi pensieri dal meditare sulla piena
realtà della morte, aveva veduto la terribile distruggitrice tale quale veramente è, ed aveva riconosciuto che, senza Cristo, essa è intollerabile.
Perciò di giorno in giorno egli si avvicinava
sempre di più alla soavità del Cristo, solo rimedio di
cui abbisognasse il suo spirito turbolento.
{Dal romanso inglese The Priest)
R. C. G.
» _______________^^
Lo Zambesì e la
vecchia Livinàstone
Il cap. E. A. D'albertis, di Genova, ritornato poco
tempo fa, da un viaggio in Africa, descrive cosi il
fiume Zambesi;
« Questo fiume scorrendo con dolce pendenza nel suo
letto tra sponde basse e boscose, in aperta campagna
per miglia e miglia, giunto in piena forza ad un precipizio di circa 4G0 piedi d’altezza, che gli attraversa
come per insidia la via, vi si precipita in tutta la sua
larghezza con tutta la massa delle sue acque, per ritrovarsi rinserrato in una stretta gola, dalle pareti
verticali di basalto, una gola che lo tiene prigioniero
per circa quaranta miglia prima di ridonargli la libertà
di scorrere nuovamente per l’aperta campagna fino alla
foce.
Io vidi in America il gran Canon del Colorado, ma
là il fiume si è scavato per erosione il suo letto profondo fino alle rocce primitive, ai graniti, e colà
scorre oramai in un letto duro e consistente, ma qui
il fenomeno ha luogo fra rocce di durissimo basalto,
e sembra che la stretta fessura nella quale si precipita, si sia formata gradatamente, non per azione erosiva delle acque, ma per qualche convulsione subita.
nea del suolo. Spesi il 3® giorno in una gita al di
sopra dello Zambesi, sperando incontrarvi ippopotami
e coccodrilli, come affermavano all’albergo ; ma anche
questi, come sul Nilo, si ritirarono davanti alla civiltà
invadente a. colpi di carabina, e non ne vidi.
La gita sul fiume a monte della cascata è Della, interessante e attraente... Ebbi la fortuna di visitare la
località conosciuta come la vecchia Livingstone, ove
fiorisce un ramo della Società delle Missioni Evangeliche di Parigi. Capo di questa missione protestante
è il pastore Evangelico Valdese Luigi Jalla, Italiano^
appartenente alle missioni Evangeliche dell’Alto Zambesi. Egli ha per moglie una signora pure Italiana.
Merita davvero una parola d’elogio questa famiglia
di alti sentimenti patriottici, la quale tiene costantemente, in mancanza d’un fiag-staff (pertica per la bandiera) la bandiera nazionale sospesa ad un ramo di albero,
ricordando così ai visitatori l’Italfa, ed a loro la patria lontana. Mi piacque l’idea geniale, e ne fui lietamente commosso, tantoché, fatta tenere la bandiera
spiegata da dne indigeni, volli metterla nei miei ricordi fotografandola.
Erano con me altri turisti; a tutti gentilmente venne
dalla signora offerto il thè, non volendo, ella disse,
lasciar partire il primo Italiano che essa aveva veduto
in questi luoghi, senza usargli cortesia.
Mi duole non avere conosciuto personalmente il capo
della missione. Luigi Jalla, il quale fu, or sono 2 anni
in Italia e fece delle conferenze sullo Zimbesi a Torino e a Roma, in Inghilterra, in Francia, nella Svizzera, nel Belgio. Ma qiiod differtnr non aufertnr.
Nella stagione piovosa legna qui la malaria, Blak
water fever e un loro grazioso bambino ne era affetto.
Che le benedizioni del cielo piovano sul loro tetto ospitale e suH’cpera loro benefica, umanitaria. « In this
place I will give peace, said thè Lord ». (In questo luogo
darò la pace, dice il Signore).
Questo è il motto Biblico che campeggia sui muri
dell a loro linda e modesta casetta.
Lasciata la missione si traversò un villaggio ove
gl’indigeni erano occupati nell’intagliare rozze figure
di uomini, di animali, canoe, sedili, ed altro, nella tenera fibra del Baobab. Io acquistai da loro un’intera
« menagerie », una giraffa, un elefante, una gallina
faraona, un coccodrillo e un ippopotamo. La lavorazione di questi rozzi scultori in legno indica però un
certo criterio artistico. Quest’indigeni raramente si vedono oziosi. Feci buona raccolta di frutti chiamati
« Victoria Falls beans », e presi campioni di foglie e
frutti della palma « 0 phoenix reclinata », ben conosciuta dai nostri orticoltori etc.
Una gita a New Liviigsione, la nuova Livingstone
al di là del fiume ove risiede \'Administrodor, la
prima autorità della Nord Western Ehodesia,chiuse la
mia gita alle Victoria falls ».
Per estratto conforme G. D. Turino.
Delitti e pene
L’analogia del titolo non induca a credere che io
intenda fare il plagio 0 la recensione del libro famoso del Bebcaria. No, voglio soltanto esporre alla
buona alcune idee suggeritemi dalla lettura degli
articoli che il Corriere viene a lunghi intervalli
pubblicando intorno alle nostre case di pena.
Ci accade sovente di protestare indignati contro
certe assoluzioni scandalose per i delitti passionali,
specialmente quando si tratta di un uomo che ha
vendicato il suo « onore ». Il nostro senso di rettitudine, la nostra coscienza e fors’anche un po’ il
desiderio egoistico di sicurtà e l’istinto atavico della
vendetta, se non individuale sociale per lo meno,
reclamano che ogni delitto sia seguito dal castigo
adeguato.
Ma. questo castigo è desso sempre adeguato ? Non
è necessario avere una cultura giuridica molto estesa
per rispondere recisamente di no. Non si può pretendere, certo, che la giustizia umana sia perfetta
ed infallibile al pari di quella divina ; ma è lecito
pretendere che sia meno imperfetta e meno fallibile.
Lasciamo stare le troppo numerose condanne d’innocenti. Talune saranno fatalmente inevitabili ; per
le imperfezioni e il garbuglio di errori che imgombrano la mente umana e i nostri sistemi di procedura : quantunque sia spaventevole il pensare che
uno poss.i passare quasi tutta la vita in carcere e
anche morirvi, come pare sia il caso di quei cinque
condannati dalle assisi di Verona 25 anni fa, quando
è innocente. Io non comprendo come tali disgraziati
non divengano pazzi 0 non si ammazzino. Vero è
che ammazzarsi non possono neppure, perchè la
società pietosa vigila onde impedir loro di commettere l’estrema violenza. Essi devono scontare la pena
d’nn delitto che non hanno commesso e assaporarne,
centellinarne, per lunghi anni tutta l’amarezza. Oh !
la società è provvida quanto pietosa 1 Quando poi
viene riconosciuto il tremendo errore commesso, non
la riabilitazione solenne e il risarcimento che maggiore si possa, benché sempre di molto inadeguato
al torto ricevuto, si concede alle vittime, pei dolori
e pei danni patiti, ma una grazia sovrana ci vuole,
e questa indugia sovente a venire. Una grazia concessa a chi ha il diritto che venga espiato il torto
commesso a suo danno ! ! Che amara ironia ! E questo
perchè ? Per lo stupido presupposto, smentito ogni
giorno dai fatti, che la giustizia non si può ingannare.
Per evitare il ripetersi di tali ingiustizie, che sono
veri delitti sociali, non c’è che un mezzo : nell’incertezza, assolvere. In dubio, abstine.
4
Quelli sono gli errori. Vediamo ora quando la
pena è giustamente applicata : è essa sempre adeguata alla colpa e intesa alla redenzione del colpevole? Basta porre la domanda per risolverla negativamente. Sappiamo tutti come la vita del carcere
non migliori, non redima l’individuo, ma lo cor
rompa, lo abbrutisca e lo faccia doppiamente figlio
della geenna. A qne.sto concorrono la terribile promiscuità, gli esempi malvagi gli uni più degli altri,
spesso la brutalità del personale di custodia e soprattutto quella segregazione cellulare, la quale si
protrae spesso per molti anni e che è la quintessenza della crudeltà raffinata : castigo assai peggiore della morte, che distrugge lentamente, in ine
narrabili agonie, il corpo e la mente e l’anima.
Dalle segi-ete, il condannato esce cadavere, roso
dalla tisi, o rimbecillito o pazzo.
E quando per una colpa accidentale e anche lieve,
si appioppa una severa condanna, rovinando sovente
per tutta la vita un individuo e facendone fatalmente un recidivo, un delinquente di carriera, perchè
la società non permette a un condannato di redi
mersi, è forse cosa giusta ?
E quando si condanna a 30 anni o all’ergastolo,
sia pure un omicida ma che ha ucciso per cause
del tutto occasionali, in un momento di abberrazione passionale e di vera pazzia che gli ha tra
volto il cervello in una raffica di tempesta passeggera, e che in seguito, nel carcere, si è sempre
mostrato buono, docile, pentito del misfatto; e che
pensa alla sua famiglia a cui manda i pochi sudati
risparmi, senza speranza di rivederla mai più, benché egli, l’ergastolano, sia più galantuomo di tanti
che sono a piede libero... è forse giusto ? La con
danna, inappellabile, irriformabile, definitiva come
l’irrevocabile, come ciò che è eterno, non è forse
eccessiva ? Risponde essa allo scopo che dovrebbe
sempre essere quello di redimere il colpevole?
La società, invece, non si preoccupa mai della
redenzione, ma solo del castigo, allorquando la prima
colpevole è sovente la società stessa con le sue iniquità, le sue ingiustizie, le sue leggi o mal concepite 0 male applicate, i suoi tribunali, i suoi ambienti corrotti e corruttori
So che ci sono esseri disperatamente malvagi per
costituzione, per atavismo, i quali fanno il male pel
gusto di farlo. Quelli sono i più pericolosi e devono
essere segregati dalla società, messi nella impossibilità di nuocere e trattati meno come colpevoli
che come ammalati. Ma i rei d’ una colpa occasionale e diminuita forse da molte attenuanti, devono
essi scontarla per tutta o quasi per tutta la vita ?
Neanche il castigo divino è eterno, anzi Dio non
vuole la morte del peccatore ma che si converta e
viva.
Qualunque pena, se non ha un fine morale, è
brutale, inadeguata, ingiusta ; e finché la società,
con le sue leggi i suoi tribunali le sue carceri e
le sue forche, si limiterà a infliggere castighi senza
curarsi del fine e senza sentimento di umanità, essa
sarà una giustiziera sovente cieca e crudele e non
mai una potenza educatrice illuminata.
Enrico Bivoire
La scuola frazionale
A proposito di un progettato monumento nazionale a Dante in Roma, la Rassegna Nazionale del
16 Settembre ha un articolo che vogliamo segnalare
ai lettori di La Luce,
L'autore, Comandante G. Como di S. Stefano, si
dichiara apertamente contrario al proposto monumento e propugna invece l’idea di raccogliere bensì
le sottoscrizioni, ma di dedicare la somma aH’edncazione fisica e morale della gioventù in Roma per
servir di guida e di ammaestramento alle altre città.
Volete fare un monumento a Colombo ? — scriveva Pascoli ai suoi amici di Barga. — Fate una
scuola.
Cosi il Di S. Stefano, il quale si lagna che, in
Italia, mentre i ricchi fanno dei lasciti per tante
LA LUCE
opere buone, la scuola sia sistematicamente dimenticata. * Se esistessero invece le scuole nazionali per i fanciulli, in numero ed in qualità cosi
come tutti quelli che amano sinceramente la Patria
le sognano e ardentemente le desiderano, non v’ha
dubbio che moltissimo danaro che ora viene assorbito da ospedali, da ricoveri di mendicità, da cucine
gratuite, da sussidi, da manicomii, da prigioni, potrebbe essere risparmiato. »
Cosa umiliante : l’Italia dovrebbe prendere ad esempio il lontano Giappone e la stessa Bulgaria 1
poiché, « un sistema di educazione primaria, alméno
nelle sue grandi linee, unico, armonico, nazionale,
tale da dare il più largo affidamento che alla Patria,
fin dalla tenera età, la scuola prepari veri cittadini,
forti di corpo e di spirito, concordi, sereni, benevoli, disciplinati, non lo si può negare, non esiste.»
I principii che, secondo l’autore, dovrebbero informare la costituzione della scuola nazionale dovrebbero essere i seguenti :
1. Coscrizione applicata alla scuola. Sarà un mezzo
un po’ draconiano ; eppure c’è molta verità. Se
i bambini fossero costretti d’andare a scuola e fossero, fin da quella età, abituati alla virtù del sacrifizio, agli esercizi d’insieme, all’obbedienza intelligente ed immediata, alle più lodevoli emulazioni,
quello spirito si cambierebbe in amore per la propria scuola e, più tardi, per il proprio reggimento,
per la propria nave, per la propria officina ecc.
2. Istruzione militare obbligatoria. Ciò può non
piacere a tutti : ma quando la società fosse abbastanza evoluta che si potesse fare a meno di esercito e di armata, facile sarebbe mutare gli esercizi
militari in esercizi ginnastici.
3. Ispettorato scolastico, destinato a sorvegliare
ed a guidare con unità di criterii e praticità d’indirizzi tutte le scuole del regno. L’autore vorrebbe
che, fra gli ispettori, vi fossero alcuni ufficiali opportunamente scelti dall’esercito e dalla marina
per mantenere quella scambievole simpatia, quella
reciproca assistenza che penetrasse in tutto l'organismo sociale. So bene che, anche a questo, sorgerebbero molte opposizioni ; ma chi non vede che
sarebbe nn gran passo sulla via della nazione armata invece della leva o dei tre, cinque o più anni
di servizio militare ?
4. Educazione fisica. Dovrebbe essere curata principalmente secondo i criteri che da anni propugna
il Senatore Mosso e che il Garlanda lumeggia nel
suo libro La tersa Italia, cioè partendo dalla convinzione che l’educazione fisica non è soltanto necessaria per l’igiene, ma anzitutto costruttrice di
carattere. La ginnastica svedese dovrebbe praticarsi
regolarmente, cosi pure la gentile ed utilissima festa
degli alberi.
5. Assistenza scolastica. Non solamente la refezione scolastica, o l’aiuto che può prestare quello
ch’è stato chiamato : patronato scolastico : ma più
ancora l’assistenza igienica — della quale il popolo
nostro ha pur troppo tanto bisogno — e l'assistenza
medica.
Dov’è quel legislatore che abbia la saggezza di
prescrivere, e dopo, la forza di ottenere che nelle
scuole ogni settimana, tutti gli allievi prendano un
bagno ? E il nuoto ?— « Dopo aver provveduto
alla più scrupolosa igiene personale degli alunni, e
ad un pasto semplice, sano, sufficente, l’assistenza
scolastica dovrebbe provvedere alla necessaria, indispensabile vigilanza medica. »
6. Educazione morale. E su questo punto, noi
crediamo che la scuola nazionale avrebbe molto da
imparare dalla scuola evangelica, e questa dovrebbe
sempre più mettere in pratica i principii dell’Evangelo.
Queste sono alcune delle idee esposte nell’articolo
del Di S. Stefano, con poche nostre osservazioni.
Se ciò non si farà, come c’è grandemente da temere,
almeno le nostre scuole prendano quel tanto che,
in esso, vi è di meglio e di più pratico.
0. d. P.
La Religione Ufficiale
Convinto che a discutere con certi cattolici romani ci si perde il ranno ed il sapone, ripj-endo i
mìei ragionamenti intorno alla Religione Ufficiale,
incominciati nel N. 46 di questo nostro giornale.
Avevo scritto che nell’uomo vi è un senso critico, ossia la facoltà razionale per cui diviene possibile la constatazione dei fenomeni e delle leggi
naturali e quindi ii divenire della scienza. Siccome
nel fondo dell anima umana è vivo ed universalo
il fenomeno religioso, cosi la ragione ha voluto in
ogni tempo fare una scienza esterna e storica
anche di esso.
Ma la ragione umana ha il vizio del dommatismo, per cui finisce per aderire alle ultime sue
deduzioni speculative e pratiche a scapito della realtà
stessa dei fenomeni studiati. La storia ci dimostra
troppo bene la difficoltà del progresso nella scienza
in causa di questo vizio tanto generale.
Questo vizio di adorare il parto della ragione e
di dimenticare quasi la realà delle cose, non mai
studiate abbastanza, doveva naturalmente toccare l’inverosimile quando la ragione si sarebbe dedicata allo
studio del fenomeno religioso. La ragione umana
avrebbe fabbricati tanti dommi quanti gli apprezzamenti degli individui e delle razze circa il misterioso fenomeno religioso interiore. Ciò è avvenuto,
e basta osservare la molteplicità delle religioni esteriori ed ufficiali, a cui aderì e aderisce tuttora l’umanità per convincersene.
^ Eravamo precisamente giunti a questo punto nel1 ultimo articolo: La Beligi^ne Ufficiale, ed ora
proseguiamo a studiare le cause di questo dommatismo delle formule dottrinali e rituali della religione. Avvertendo che il nostro studio è positivo,
cioè fatto sull’umanità, quale essa si presenta allo
sguardo della ragione, non a quello della fede.
Beato chi possiede il dono della fede : ma noi che
abbiamo la fede dobbiamo usare della nostra ragione
per preparare alla fede i fratelli che non credono.
II.
La psiche umana avverti molto presto, per la sua
innata prerogativa religiosa, l’eterna ed assoluta
realtà della Vita a cui in progresso di tempo diede
il nome di Divinità,
Ma, come avviene al fanciullino che, vedendo la
propria immagine in uno specchio, crede trovarsi
davanti ad un altro fanciullo, anche l’umanità incominciò col credere di vedere nelle cose e nei fenomeni esteriori ciò che realmente si affermava solo
nella propria psiche interiore e l’assoluto, che sentiva colla massima certezza dentro di sè, lo adorò
al di fuori come una cosa materiale e completamente
distìnta da sè : questo è il primo domma religioso,
cui tenacemente aderì l’umanità per molti secoli
come pur troppo vi aderiscono tuttora i popoli selvaggi.
Tutta 1 evoluzione religiosa che si effettuò tra gli
uomini durante i secoli della storia, non fu quindi
che un continuo allargare e smateriare questa concretizzazione razionale primitiva del senso della Vita
assoluta affermata dalla psiche ; e si arrivò fino al
concetto trascendente della Divinità per ritornare
poscia gradatamente sulla via primitiva, non adorando
le cose e gli nomini quali altrettante divinità, bensì
col sentire intimamente una relazione viva tra l’anima e la V ita assoluta — Dio — come sempre
l’hanno sentita i profeti e i maggiori geni e che
Gesù Cristo evangelizzò con quella sua frase ; il
regno di Dio è dentro di voi I
^ Adunque nel primo stadio di coscienza religiosa
romanità pare adori ogni cosa dove essa vede del
moto, della forza, della luce, del grandioso, del terribile, del bello e dell’utile, e ciò lo si chiama la
religione dell’idolatria, o del feticismo.
L umanità con ciò affermava, come meglio poteva,
quello che la psiche intuiva e sentiva e l’idolatria
resta la prima parola che servi a esprimere esternamente il mistero sentito coll’anima, nel quale sapeva
5
LA LUCE
5
«ssere di fatto quelle doti che vedeva concretate
nell’aniverso, come a dire : la Vita assolata, la Divinità, chejintimamente sento, è moto, è forza, è luce,
è bellezza, è terribile.
*
Quando poi tra le moltitudini inevitabilmente sorsero individui, che per una facoltà psichica superiore sentirono più profondamente l’eterna Realtà e
seppero creare una parola più razionale, più conveniente a esprimere il mistero interiore dell’anima
propria e dell’altrui, ed organizzarono inoltre la vita
pratica individuale e comune conforme i nobilissimi
loro sentimenti : allora romanità abbandonò gradatamente il culto della natura e passò a idolatrare
quei grandi, a cui" era debitrice di un nuovo concetto di vita, 0 di nuovi piaceri arrecati dal loro
genio astistico, o guerriero.
E’ il culto degli eroi, che poscia segnò Tepoca dell’idolatria antropomorfa.
Invero neppure questa fu una formale idolatria;
ma fu semplicemente una parola nuova creata dal
senso critico, con cui l’umana psiche esternò ciò che di
nuovo senti e conobbe appartenere alla Vita assoluta, alla Divinità.
Perciò il culto degli eroi segnò un passo gigante
neirevoluzione religiosa umana.
Per esso l’umanità venne intanto ad ammettere
nella divinità le doti migliori che caraterizzano l’uomo,
l’autonomia, l’intelligenza, il sentimento, per cui la
Vita assolata, intuita confusamente, non era più una
forza impersonale, bruta e fatale, ma cosciente e
libera.
Inoltre con ciò gli uomini incominciarono a vedere la Vita assoluta, la Divinità, molto più vicina a
loro, perchè la riconoscevano almeno in alcuni uomini, nella sapienza, nella parola e nella vita loro.
Non importa se questi uomini per un momento venivano circunfusi dell’apoteosi, formando cosi un ritegno e un impedimento enorme al nuovo progresso
spirituale e alla libertà del senso critico : la conseguenza pratica verrà inevitabilmente, poiché non c’è
forza al di sopra della Forza assoluta che si afferma
nella psiche.
A suo tempo l’umanità saprà che in fondo in fondo
tutti gli uomini han la capacità di partecipare la
Vita assoluta, nascerà spontaneo il senso di un’anima
propria spirituale; tutti gli uomini diranno : siamo
figli di Dio e avverrà il regno di Dio in ogni
creatura.
Però il culto degli eroi, ossia questa idolatria antropomorfa, influì eminentemente a creare il dommatismo immobile ed inflessibile, il quale tenta di atrofizzare tanto il senso religioso, quanto il senso critico dell’umanità : e lo si comprende troppo facilmente.
Ad ogni idolo antropomorfo si attribuì una dottrina ed una vita — e di conseguenza ebbe dei proseliti, i più fedeli dei quali finivano per costituire
un sacerdozio col compito di iniziare le nuove generazioni nelle dottrine e nella vita attribuite all’idolo.
Ma redare successivamente a varie generazioni lo
spirito, la sapienza, la vita di un grande adorato è
cosa quasi impossibile da farsi per semplice orale
tradizione.
. Perciò, vedendo il pericolo di alterazione a cui
van necessariamente soggette la dottrina e la forma
di vita ereditate, il sacerdozio costituito studia il
modo di fissarle materialmente e trova la scrittura
e la gerarchia, quando aH'una e all’altra non abbia
già provveduto l’eroe stesso, rappresentato dalPidolo.
Cosi la parola scritta e la parola gerarchica addivengono la parola non di uno o più uomini, ma
di un idolo, di un dio e restano la legge immutabile e il pensiero infallibile e ufficiale di una casta,
di un popolo, di una razza, e servono come una casacca, come una bandiera a distinguerli dalle altre
caste, dagli altri popoli, dalle altre razze.
At>topo ]VIitigai<di
Sul Modernismo
Il modernismo — è mestieri ripeterlo — non è affatto una Filosofia come vorrebbe l’enciclica Pascendi
dominici gregis. Ciò che lega fra di loro, gli uomini
di questa scuola non è una metafisica religiosa, bensì
la comune costatazione d’un fatto.
Agli occhi degli storici della chiesa — vengano essi
da Roma, dà Cantorbery o da Ginevra — codesto fatto
appare l’evidenza stessa. Esso è cosi sicuro cosi par
tente, cosi irreducibile che i modernisti accusati severamente di rinnegarlo da una Chiesa amata — come
si ama la casa e la patria — sono costretti di appropriarsi la parola di Lutero a Worms ; « Non posso
altrimenti. » Il fatto eccolo qui :
La storia insegna che vi è il Cristo di Galilea e
quello di Roma. Il secondo fondò una Chiesa « eterna »
ordinò dodici vescovi, all’uno dei quali conferì un primato assoluto ; investendoli, essi ed i loro successori,
di poteri straordinari e magici da tramettersi mediante la celebrazione dei riti, tali da operare la salvezza del mondo. Egli ha siffattamente intrecciato la
causa sua — che è la causa divina — al destino della
Chiesa di Roma da reincarnarsi in essa senza posa, onde
sottomettersi a Roma è obbedire a Dio. Orbene : la
storia prova che quell’uomo di stàto — mistico — non
è mai esistito ; che Gesù di Galilea non ha nè i gesti,
nè il volto, nè i disegni di cotal gigantesco fantasma;
che questo è la creazione lenta e laboriosa del pensiero
cattolico traverso i secoli; v’ha di più; la storia può
fin precisare le tappe diverse di cosiffatto immane lavorio e nominare gli operai.
Cosi, i modernisti che sono anzitutto degli storici,
non solo oppongono un Cristo all’altro, ma fanno chiaramente vedere come questo ha prodotto quello.
Ecco la certezza che unisce i modernisti,' certezza
negativa ma certezza assoluta.
e. r.
j\lcune idee del Tyrrel
Non vi può essere conciliazione tra il Modernismo
e la Chiesa Romana. Questa si attiene fermamente alla
teologia del Medio Evo, dimenticando i progressi che
si sono fatti d’allora in poi, nell’ordine scientifico come
neirordine religioso. ' ' '
L’autorità dei Papi, e quella del suo clero, specialmente la sua pretesa infallibilità, è una intollerabile tirannìa, condannata da Cristo che ha detto; « Voi tutti
siete fratelli — Volete Ynnità, seguite adunque la regola antica ». « Unità nelle cose essenziali, libertà nelle
cose dubbie, carità in tutti ». Invece voi avete concentrato tutta la chiesa nel Papa, assolutismo che uccide
il cristianesimo, poiché uccide i cristiani pensanti, talché
il clero non sembra più preoccuparsi, se non di quanto
lo concerne direttamente. E il popolo divenuto indifferente trascura la chiesa, e dimentica che il Vangelo
è diretto, non tanto alla ragione, come al cuore ed alla
coscienza. Tyrrel dichiara avere abbandonato da giovane la Chiesa Anglicana per ragioni che oggi riconosce sema valore, e che la verità religiosa deve ricercarsi aUraverso fazione, e non attraverso la speculazione. Le accuse contro noi provano che la Chiesa
Romana non conosce nulla dei metodi storico-scientifici
e dei loro risultati. Il Clero Romano non ha fede nel
mondo, nè nell’umanità, e considera come maledetto da
Dio tutto ciò ch’esso crede essere fuori della Chiesa,
mentre bisogna riconoscere il bene dovunque si trova.
Le misure repressive possono aver per effetto di trasformare il Modernismo in qualche cosa di molto simile alla Riforma del secolo XVI. Si rammentino gli
avversari che noi siamo prima uomini e poi preti.
D. T.
Li Parala del Giorno
l’anno 1909. Traduzione delle Losungen dei Fratelli
Moravi. Ventunesima edizione italiana per cura della
sig.ra Hilda Padelletti-Zumpt. Prezzo centesimi 35 la
copia, franco di porto. Rivolgersi alla Tipografia la
Stella, Montalcino fProv. di Siena).
INNI SA.CRI
La seconda edizione di 5000 copie sarà pronta per
il 20 Dicembre p. v. — Legature in tela stile nuovo,
serie ed eleganti insieme. — Lire UNA la copia, franca
di porto in tutto il Regno. — Spedire ordinazioni alla
Libreria Claudiana, Via de’ Serragli 51, Firenze.
Galleria scientifico-religiosa
jindrea M^ria J^mpère (1775-1836)
E’ un grande fisico francese, di cui gli studi si estesero a tutti i rami dello scibile. Ernesto Naville
0 chiama uno dei migliori tipi del genio scientifico.
i6 sue scoperte sopra l’elettro-magnetismo che pre)ararono l’invenzione del telegrafo elettrico e che,
secondo il Littré, saranno il fondamento della sua
gloria più duratura, non sono che una parte dei
suoi lavori. La sua fede religiosa, ardente nella giovinezza, poi scossa durante alcnni anni, ridivenne
:’erma e serena all’epoca della sua maturità. « Noi
.’abbiamo sempre veduto, dice il Ste-Beuve nei suoi
Portraits littéraires, unire e conciliare senza sforzo,
in modo da colpire di stupore e di rispetto, la fede
e la scienza >.
Le grandi verità dell’ordine spirituale non erano
solo per lui degli oggetti di fede, ma di certezza scienlifica. « L’esistenza dell’anima e di Dio, diceva egli,
è una ipotesi, ma è una ipotesi dimostrata, altrettanto
certa quanto quelle di Copernico e di Newton. Ora
non c’è punto, in tutto ciò che non è di intuizione
immediata, maggiore certezza di quella che riposa
sull’evidenza di una ipotesi dimostrata » Osserva il
Naville : < Questo pensiero si comprende facilmente.
Un ordine particolare di fenomeni conferma una
¡eoria speciale ; tutti i fenomeni spirituali giustificano la tesi dell’ esistenza dell’ anima, e la scienza
nel suo insieme, che non è che la conoscenza progressiva dell’ ordine dell’ universo, testimonia in favore
dell’esistenza dell’ ordinatore sapremo. Laplace nei
suoi lavori si è limitato a seguire la corrente della
scienza stabilita dai suoi predecessori, Ampère risale
alla fonte, come avevano fatto Cartesio, Newton e Leibniz. Alla sua fede religiosa, egli univa un ardente
amore per le ricerche metafisiche, amore soddisfatto
e alimentato dai suoi rapporti di amicizia con Maine
de Biran. La tendenza religiosa e filosofica dei
suoi pensieri fn il principio direttivo dei suoi lavori
come della sua vita ».
Sono pure da leggersi il suo Journal e la sua
Correspondance, in cui dà prova di una pietà veramente commoventi. E. M.
Il conte Piero Guicciardini
(Episodi della sua vita, tratti dal discorso di G. A.
Zanini).
Pei moti politici del 1833, il Gran Duca volle elevare un po’ il livello dell’istruzione.
Chiamato a sè l’amico e compagno di stadi, il conte
Piero Guicciardini, lo consultò sul da farsi; « Senti,
« Piero, i tempi ingrossano, e il nostro popolo manca
« d’istruzione; vorresti incaricartene ? Ne hai le attitu«dini ». Il compito era arduissimo, ma la energica fibra
del conte, dopo un po’ di esitazione, assuntane I’incombenza, ne superò tutte le difficoltà e fatiche.
Se non che gli venne poi meno il repertorio dei racconti e pei temi di composizioni; per cui, un giorno
che a Pitti usciva da un colloquio col Gran Duca, in
una sala s’incontrò in queU’insigne letterato, il genovese abate Lambruscliini, fratello del cardinale segretario di Stato di Gregorio XVI; fermatolo, gli disse;
« Oh tu che te ne intendi, potresti indicarmi qualche
« buon libro di racconti morali pei miei allievi ? ».
L’abate si guardò bene attorno e, visto che ninno vi
era a portata, disse ; « Pigliati l’Evangelo » — e
scappò via 1 II conte, tornato a palazzo suo, che è
proprio attiguo a quello reale, cercò subito nella ricca
libreria, ma non vi trovò un Evangelo in italiano l
prese la Vulgata, leggi, leggi, più leggeva, sentiva il
bisogno crescente di leggerla; traducendo pei suoi allievi, gli veniva anche di dovervi riflettere. Qualofiu
reminiscenza del grande storico suo antenato e del Machiavelli, cominciarono a tenzonargli nella mente facendogli vedere nelle S. Scritture cose in contrastò con
gl’insegnamenti e le pratiche della Chiesa, il òKò Io
scosse in modo assai inquietante! « Oh! for.se sono io
a non ci capire, o siamo assai fuorviati ! ». — Di qnL
incominciò un segreto, profondo e incessante lavorio ia
qneU'anima che la Suprema Grazia preparava per quel
tanto importante servigio che doveva giovare nMl’at-
6
LA LUCE
tnale Eisveglio in Italia, e più assai lo sarebbe stato
se meglio assecondato di collaborazione.
Discendendo nn giorno dallo scalone, il conte vide
il portiere che leggeva in un librone, che subito nascose sotto il deschetto, appena udito scendere. Piccato dalla curiosità quale libro potesse essere da doversi nascondere, tanto fece e promise, che in fine il
portinaio lo presentò. Era una Bibbia in italiano non
seppi se fosse del Bruccioli, del Malermi o del Diodati.
«^Ma che ci comprendi tu a leggere cotesto libro
•« costi ?» — Portiere : « Qualche cosa, signor conte ».
« Ebbene, piglialo, e vieni su con me »; e si posero a
leggere insieme. Per parecchio tempo, ogni giorno il
conte chiamava su il custode, »i rinchiudevano, leggevano e disputavano; il che non è a dirsi quale strano
effetto faceva a palazzo !
CI SONO AVVEZZI !
C’era una buona, vecchia signora che aveva un cuore
pietoso. Un giorno, passando dinanzi alla botteguccia
d’una friggitora di pesciolini, essa sì fermò a guardare
nn momento e rimase addolorata : aveva notato che la
popolana prendeva da un canestro manate di pesciolini
ancora vivi, li infarinava alla lesta, e ancor guizzanti
li buttava nell’olio bollente della padella.
La buona signora restò scandalizzata ; e rivolgendosi
alla friggitora, vecchia ancor essa, le disse con una
certa energia :
— Ma non vedete che sono ancor vivi ? È una crudeltà cotesta!
— Signora, rispose sorridendo scioccamente la friggitora, son trentacinqne anni che faccio cosi, oramai,
sa, i pesciolini ci sono avvezzi.
E dicono che la buona signora si allontanò quasi
persuasa.
*
4! *
Una delle pietose illusioni colle quali noi Cristiani
Cerchiamo di mettere in pace il cuor nostro dinanzi
all’angoscioso spettacolo delle sofferenze dei poveri è
appunto questa: ci siamo immaginati, o ci siamo lasciati persuadere che, dopo tutto, i poveri sono ormai
abituati alla loro sorte, e che In fondo essi non ne desiderano e non ne saprebbero neanche comprendere una
migliore. Non mi dite che m’inganno ; ve ne darei le
prove. Un paio d’anni fa scrissi un articoluccio in un
giornale esponendovi la vita inesorabilmente tribolata
e depressa d’nna povera giovine operaia la quale faticando dalla mattina alla sera per tutti i giorni della
settimana, non guadagnava che ventidue so'di il giorno.
Sapete che mi accadde ? M’ebbi un rabbuffo coi fiocchi da un altro giornale in cui mi si accusò quasi di
esser un malefico eccitatore di cieche passioni, mi si
faceva sapere con lusso di particolari che quella disgraziata come molte sue compagne di sventura doveva
sentirsi al terzo cielo nelle condizioni in cui si trovava,
e si finiva coU’amonirmi solennemente che bisogna stare
attenti a non sciupare qua e là la propria simpatia riversandola in persone che non ne sentono e magari
non ne hanno alcun bisogno. I pesc'olini sono avvezzi
ad esser fritti ancor vivi, pensava il mio pedagogo.
Qualcosa di simile, di molto simile a quanto io vado
ora dicendo rilevava poche settimane or sono Wilfred
Monod salì’Avant-garde. Egli è rimasto, come me, scandalizzato ed affiitto per aver letto in qualche giornale
francese che gli operai sono assai più felici di quanto
vogliono riconoscerlo alcuni socialisti o cristiani sociali.
Gli operai, diceva quel giornale, non saprebbero neanche concepire una sorte migliore e più elevata di quella
nella quale ora si trovano ; e quand’ anche fosse loro
data dalle circostanze, non sarebbero in grado di apprezzarla. E’ sempre la medesima storia; vi dico che,
secondo certi cristiani, secondo molti cristiani, i pesciolini sono oramai avvezzi ad essere fritti vivi.
*
« in
Ebbene, malgrado tante e tali autorità, io che sono
più testardo della buona vecchia signora, io non sono
ancora persuaso; e son certo che molti pure sono i
cristiani che non sono persuasi ; e son certo ancora che
molti, moltissimi sono i pesciolini che non sono punto
persuasi, e che, anzi, se fossero interrogati, protesterebbero con tutte le loro forze. Ma già, i pesciolini non
sono interrogati ; o se, lo sono, vengono rinchiusi fra
le due corna d’nn dilemma ugualmente ripugnanti per
loro : si domanda loro, cioè, quel che domanda il famoso
pescatore :
— Pesciolini, pesciolini, volete esser voi fritti o bolliti?
— Ma noi non vogliamo essere nè fritti, nè bolliti,
rispondevano in coro i disgraziati.
— Pesciolini, pesciolini, ammoniva gravemente il
pescatore, voi uscite dalla questione.
La storiella è vecchia ma serve ancora ; ed ha avuto
una nuova conferma dal mutamento solo fittizio operatosi in questi ultimi anni nelle condizioni dei poveri.
— Volete voi, pare aver loro detto qualche gigantesco
pescatore, soffrire la miseria per insufficienza di salario
oppure per il rincaro dei viveri ?
— Ma noi, hanno osservato i poveri, non vorremmo soffrire punto la miseria ! — Ah voi uscite dalla quistione.
operai !
Ma io sconfino dall’argomento; mi affretto quindi a
concludere questa storiella di pesci, col dire : No, cristiani, non v’illudete ; non è vero che i poveri si siano
ormai cosi avvezzi alla sofferenza che essi non la sentano più ; no, ciò non è possibile, altrimenti ci sarebbe
da disperare dell’umanità come di quel malato che rimane insensibile sotto le iniezioni od il tocco di un
ferro infocato. No, il povero è uomo anch’esso, e come
tale aspira al benessere, alla felicità, alla vita ; il Signore
l’ha dotato di tale natura ; e il Signore veglierà e veglia à che il povero non sia defraudato in eterno della
parte che gli spetta nelle benedizioni divine sia celesti che terrene.
A noi cristiani il fare quanto possiamo per cooperare
a questo misericordioso e glorioso disegno divino.
Gius. Banchetti.
Il Binbiteo JbIIb nostre colonie
Stralciamo da un articolo che J. P. P. pubblica nelYEcho des Vallées della settimana scorsa, le notizie seguenti intorno alle feste giubilaci delle nostre colonie
valdesi del sud America.
Il 29 ottobre tutti quei pastori valdesi e il vicemoderatore sig. B. Léger si sono recati alla Colonia
svizzera ; ove il Presidente della Eepubblica dell’Urugnay con la Signora li ha cortesissimamente ricevuti,
offrendo loro il vermouth.
Il 30 ottobre una moltitudine si raccoglie su la pubblica piazza di La Paz. Sono fotografati gli 80 superstiti fondatori di Colonia. Il sig. L. Jourdan, presidente del Comitato pei festeggiamenti, dà il benvenuto
agli Amici venuti da fuori — da Montevideo e da l’Italia — e li ringrazia. Quindi parla il vicemoderatore
recando il saluto dei Valdesi d’Italia ed esprimendo
gratitudine, gioia, auguri per l’avvenire della Colonia ;
il quale avvenire dipenderà dal lavoro ordinato non
disgiunto dal sentimento che tutto vivifica, dal sentimento religioso. La Colonia ha da essere un faro dì
libertà e di verità per molte anime.
Dopo i discorsi, una colazione di 80 tovaglioli ; alla
quale prendono parte anche i 12 uffiziali del seguito
del Presidente della Eepubblica.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, un’altra radunanza su la medesima piazza pubblica. Si odono dì.
scorsi |in spagnolo detti dai signori Bounous, B. A. Pons,
E. Pons, Benx, Davit e Besson di Buenos Aires; la nota
della gratitudine predomina. Parla anche un giornalista
del Eosario, il quale chiama la nostra Colonia « il modello delle colonie »
Quella stessa sera il nuovo pastore D. Forneron eia
sua consorte, provenienti dall’Italia, giungevano stanchi, ma in buona salute.
La domenica, 1 dì novembre, culto numeroso nel
tempio di La Paz tutto adornato di fiori. Il pastore
Ugon parla su le parole apostoliche : « Siate riconoscenti ». Si succedono altri discorsi del sig. Léger e
del sig. Bounous, ispirati da lo stesso sentimento di
profonda riconoscenza.
Nel dopopranzo una più numerosa adunanza nel tempio di Colonia, anch’esso inghirlandato di fiori e di verzura. Discorsi sono proferiti dai sig. B. A. Pons, Beux,
Davit.
Il nuovo pastore, sig. Forneron, teStè arrivato in America, reca i saluti della Tavola Valdese, del Comitato
d’Evangelizzazione e della Chiesa di Torrepellice. Il
vìcemoderatore ricorda le benemerenze dei conduttori
spirituali della Colonia.
Infine, il 2 novembre, adunanza di 300 fanciulli e
di parecchie altre persone in un boschetto su le rive
del maestoso Eio de la Piata: un'allegia colazione, in
cui si divorano nudici pecore arrosto ; e poi un culto
di 3 ore e mezzo : discorsi dei sig. Benx, Davit, Besson,
Léger ; canto di vari inni; molte recitazioni dei giovani
dei fanciulli.
Tale, in sunto più che telegrafico, il resoconto della
bella festa giubilare; alla quale noi pure. Valdesi d’Italia, abbiam preso parte col cuore caldo d’affetto per
quei nostri fratelli, e di gratitudine perii Signore loro
e nostro.
IN SALA DI LKTTURA
Enrico Robdtti — Pericoli, mali e lotte della vita
— Eiflessioni e Consigli dedicati al Popolo Italiano.
— Ditta 6. B. Paravia e Comp.
Mi dicono che il sig. Eobutti sia un maestro ; quasi
l’avrei indovinato dall’intonazione generale del suo
scritto d’indole pedagogica e morale. Semplice è la
trama dell’opera: è una rapida rassegna dei principali
pericoli e mali che travagliano la patria e che insidiano specialmente la gioventù.
Ad ognuno di codesti mali è dedicato un capitolo in
cui alle riflessioni si disposano degli aneddoti, delle
citazioni appropriate o qualche poesia ; ed i capitoli
si seguono brevi, briosi, scritti in lingua piana, propria e spigliata. Nulla di pesante e indigesto in questo
volumetto ; ma è pur sempre un trattato di morale I
E allora? Lo leggeranno i giovani ai quali è più specialmente destinato ? Ne dubito ; la maggior parte di
essi si occupano più volentieri di politica o di sport...
Or bene, io vorrei dir loro ciò che trovo di nobile,
di quasi commovente nello sforzo dell’A. — anch’egli
giovane come me lo figuro — il quale, innamorato
della sua missione altamente educatrice, non è pago
dì trasfondere gli ideali ond’egli è pieno nei pochi scolari alpigiani che gli fanno corona, ma dal remoto
villaggio dove vive li vorrebbe irradiare — codesti
ideali — fino agli estremi confini d’Italia ; e, con quel
fine,non dubita rivolgersi al « popolo italiano » 1 La
visione è vasta, generosa, sconfinata come i sogni e le
aspirazioni della gioventù, come tale dovrebbe accendere i cuori di altri giovani. Essa visione illumina —
per me — il trattato più assai dell’arte con che l’A.
ha cercato di rallegrare l’aridità della materia, più
delle citazioni tolte in prestito a Mazzini, Giusti, Manzoni, Dante, Eousseau, Cavallotti, Heine, Belli ecc; più
delle stesse « raccomandazioni finali » intese ad avvalorare i capitoli precedenti e fra i quali sono specialmente 1 insciti — a parer mio — « Bische e Lotto »
« Tabacco e Fumo ».
Come s’indovina la nascosta vena dalla freschezza
perenne ond’è segnato il suo corso, cosi la fede cristiana informa ogni parte del libriccino. Ma l’A. ha
voluto consacrare una pagina (p. 114) a far manifesta
la potenza del Cristianesimo del Vangelo : cotesta pagina
mipare retorica e diluita Sarebbe riuscita più efficace
ove il Eobutti avesse messo l’accento sulla necessità
per il giovane dell’incontro con Cristo, sul valore unica
di siffatto incontro, per poter tradurre in atto tutti
gii ideali caldeggiati nell’opera.
Comprendo, del resto, benissimo la legittima soddisfazione dell’egregio A. nell’atto di deporre la penna
e di prender commiato dai suoi lettori dopo aver fatto
quel che meglio poteva per comunicare le sue idee e
far loro del bene. A me non rimane che augurargli numerosi — codesti lettori — dall’Alpi alla Sicilia; ma
sìan dessi dei facitori come appunto vuole con ragione
il Eobutti ; giacché solo quando le verità proclamate
nel trattato saranno vissute da molti nostri connazionali si potrà sperare prossima la redenzione morale
del popolo nostro.
e. r.
*
* *
Edmondo De Amicis nell’arte e nella vita — A.
M. Tirabassi. Eoma Ed. la € Flora Moderna. » L. 1.
È un discorso detto in Eoma nel marzo passato per
invito del Comitato dei Giardini Educativi.
La vivacità e la schiettezza di questo lavoro meritano lode : è una bella corona che non farà certo cattiva figura tra le tante depoMe alla memoria dì quel
Grande. Tuttavia ci sembra che l’Autore, nella foga,
del suo dire, si spìnga troppo innanzi nella via della
ammirazione.
Il troppo stroppia ! Questo opuscoletto non mancherà
però di esser caro al cuore di noi valdesi ; poiché esso
parla di uno che amava assai il nostro popolo, come
provano molte delle pagine ch’egli ci ha lasciate.
He
He H!
« La parola del giorno »
Vorremmo raccomandare ai lettori della Z«c« il caro
libriccino dei fratelli Moravi tradotto in italiano dalla
signora Padelletti Zumpt ; nè sapremmo come racco-
7
LA LUCE
mandarlo meglio che valendoci della prefazione che il
prof. Luzzi premetteva all’edizione dell’anno scorso.
« La Parola del Giorno, scriveva il prof. Luzzi, non
ha bisogno di molte frasi che la raccomandino al cuore
dei credenti d’Italia. Per lei non è l’uomo che parla,
ma è Dio che comunica il pensiero suo a quelli che
l’amano.
Questo libriccino che mira a render forte la fede, a
mantener vivo l’amore ed a render fervida la speranza
dei credenti in mezzo agli scoraggiamenti e alle delusioni della vita, è un tesoretto che i Fratelli Moravi
hanno da molto e molto tempo regalato alla cristianità;
e come tutto quello che viene da questi « apostoli »
de’ tempi nostri, è stato una vera benedizione per tutti
i paesi che a lui hanno fatto buon viso.
Questa, italiana, è la ventesima edizione che se ne
fa ; e se la si può fare, m’è amaro il doverlo dire, non
h per r incoraggiamento che al libriccino sia venuto
dalla maggior parte di coloro a cui con tutta la buona
grazia possibile ei s’è presentato, ma per la generosità
-dei Fratelli Moravi e per la istancabile perseveranza
della signora Hilda Padelletti Zampi, che di tenere
«d affettuose cure ha circondato tutte quante le edizioni
precedenti.
Or io bramerei che a questa nuova edizione noi tutti
facessimo simpatica e lieta accoglienza e che le assi■curassimo una larga diffusione nelle nostre Chiese,
nelle famiglie e fra tutta quanta la gioventù nostra.
La Parola che Dio ci dà « per il giorno », è una
■benedizione che scende sulla nostra attività quotidiana.
Chi ha dato a questa « parola » la disposizione che si
vede nel libriccino, non l’ha fatto senza chieder consiglio « da alto »; ed è per questo ch’io son certo ch’essa
è atta a recare all’ anima di chi la legge, quello per
cui ella sospira e che invano cercherebbe nel mondo.
Ogni giornata, nella nostra vita cristiana, è una battaglia; e una giornata cominciata senza Dio, è una
battaglia che fin dal’alba si può dir perduta. Le battaglie che abbiamo già pur troppo cosi perdute, valgano
almeno a trarci a miglior consiglio per l’avvenire. Teniamolo caro questo libriccino, che ha per ogni giorno
una ispirazione forte e santa ; cerchiamovela con regolarità e con fede questa ispirazione ; seguiamo con
umiltà gli impulsi di questa ispirazione; e quando il
sole tramonterà sopra un altro giorno del nostro pellegrinaggio ttjrrestre, noi sapremo per esperienza che
cosa sia il riposarci sul seno di Gesù con la piena coscienza che, « la vera grazia di Dio è quella nella quale
stiamo ».
La ventunesima edizione italiana, per il 1909, si vende a
L. 0,35 la copia presso la Tip. “ La Stella „ Montalcino
(Siena) àf. d. D.
EROINE VaLDESI
Nuova Seeie
IV
La bella 9ilasla
Un’eroina senza storia
Non è questa la prima fra le donne Valdesi del Piemonte mentovata dai documenti della nostra storia.
Appena appariscono, ai primi del secolo tredicesimo,
i Valdesi, nelle Vaili del Piemonte, cosi forti da esser
fatti seguo alla persecuzione, vediamo delle donne citate già nel 1232 su un elenco della popolazione d’Angrogna • ed al loro nome è prefisso il Na abbreviativo
di Domina-, cosicché son dette; Naletizia, Namaria,
Namatelda eco. Ma il primo nome intiero di donna Valdese del Piemonte che ritroviamo, è quello di Caterina
Cristina, mentovata in un elenco di Valdesi multati
nel 1297 dall’inqnisitore mantenuto a Perosa da Filippo
di Savoia.
Il primo rogo acceso contro i Valdesi del Piemonte
fu quello su cui peri nel 1312 una donna condannata
« per valdesia », di cui ci duole non ci sia pervenuto
il nome.
Da quel momento si van facendo sempre più frequenti e precisi i documenti riguardanti i Valdesi delle
Valli, e ci fan conoscere bene gFinquisitori che li han
perseguitati ed alcune delle loro vittime, fra le quali
troveremo la nostra eroina.
Una lettera di Papa Giovanni XXII all’inquisitore
di Marsiglia, datata da Avignone l’8 Luglio 1332 c’informa che l'inqnisitore Giov. Alberto Castellazzo, avvisato delle visite d‘un certo Barba Martino Pastre nella
▼alle di Laserna, vi si era recato recentemente a fare
un’inchiesta, e che i Valdesi d’Angrogna aveano ucciso
il curato del luogo che' li avea denunziati ed aveano
assediato l’inqnisitore stesso a Luserna costringendolo
a fuggirsene. Si vede che i valdesi sapevano insorgere
contro ai loro persecutori e questo ci aiuterà a comprendere la spietata guerra loro mossa d’allora in poi
dagli inquisitori.
Ventidue anni dopo, nel 1354, parte dal principe regnante il primo mandato d’arresto pervenutoci a danno
dei Valdesi di Val Luserna ; e in questo ordine è mentovata una donna che è la nostra eroina.
Il nuovo inquisitore infatti, Ruffino dei Gentili, comprendendo ch’ei doveva ricorrere all’autorità civile per non
restare anche lui sopraffatto dall’impavida popolazione
Valdese, s’intese col principe Giacomo d’Acaia ed ottenne da lui un ordine datato da Pinerolo, li 15 Giugno
1354, col quale era ingiunto ai vari signori della Valle
di Luserna di arrestare e consegnare all’inquisitore 15
Valdesi della Valle entro IO giorni e colla massima
segretezza, sotto pena di multa.
« Il magnifico signor Giacomo di Savoia, principe
d’Acaia, ad istanza di fra Ruffino dei Gentili inquisitore, ordina al nobile Balangero signore di Luserna e suo
nipote Hueto, fra IO giorni a datar da domani 16 Giugno (in modo che comincino ad eseguir quest’ ordine
la notte del martedì 17 Giugno e non prima sotto pena
di multa di 500 fiorini d’oro) di catturare personalmente
e tener sotto buona guardia Peironetto da Castellano
e Martino Rivet o uno dei suoi fratelli. Martino degl.
Armandi del Tagliaretto sospetti intorno alla lor fede •
e che il suddetto signor Balangero tenga la cosa segreta e non la comunichi che al solo detto Hueto dopo
ricevutone giuramento di non rivelarla. Ordina ai nobili Giacomo e Hueto figlio del fu Aquevaeto signor
di Luserna di arrestare oltre a Guglielmino Caffet, già
carcerato, Bartolomeo Giaosio e Falco veto figlio del fu
Giannone del Podio o suo padre o suo figlio, sospetti
della lor fede ».
« Ordina a Bencitino figlio di Bertolino signor di
Luserna di arrestare Petito e Paron, Giovanni e Girardo
Rivet di Luserna sospetti intorno alla lor fede ».
« Ordine a Guglielmo e Giovanni del fu Bonifacio
signore di Luserna d’arrestare Francesco Justino, Enrico Broeria d’ Angrogna e Enrico Oddonaro di Rorà
sospetti in quanto alla lor fede ».
« Ordine ad Antonio del fu Giannone de Sordello signore di Luserna di arrestare La bella Alasia, Pietro
Aghit e Francesco Favatier sospetti riguardo alla lor
fede ». V >
(Il testo latino del documento è stato pubblicato dal
prof. Rivoir nel Bulletin de la Societé (L Hist. Vaadoise, N® 7 pag. 38).
Chi era questa donna chiamata « la bella Alasia »,
mentovata in mezzo ai 15 Valdesi di cui è ordinato
l’arresto perchè« sospetti-intorno alla fede loro ? »Nissan documento finora è venuto a darci il benché minimo ragguaglio intorno ad essa. Dobbiamo dunque limitarci a cercar di farci per induzione un qualche concetto di lei.
Anzi tutto l’essere ella messa coll’Aghit e il Favatier fra i tre il cui arresto è affidato all’ Antonio di
Sordello, ci rivela che essa era di Bobbio Pellice, perchè a quella località appartenevano i due altri arrestandi e della medesima località avea la signoria il ramo
dei Sordello dei signori di Luserna.
Era dunque una semplice contadina di quel paesello
alpestre. Ma il qualificativo aggiunto al suo nome, « la
bella », c’ informa che spiccava fra le Valdesi della
Valle pel suo aspetto avvenente, a segno da essere
stata osservata ed ammirata particolarmente anche dai
cattolici della Vallata e battezzata con quel lusinghiero
appellativo.
Ma quel che più ce la fa conoscere ed apprezzare
come degna di ammirazione, è il vederla lei, una semplice donna ed eccezionalmente attraente, inclusa nella
lista di proscrizione dei maggiormente indiziati di fede
Valdese, fra tutta la popolazione di Val Luserna. Si
vede che essa non taceva, com’altra forse, le sue convinzióni ; e che, anziché anelare come tante vanitose al
plauso ed all’ omaggio che il mondo suol dare alla bellezza, mirava più in alto, a più eccelsa corona, a quella
cioè che il Signore promette a chi 1’ avrà confessato
davanti agli uomini.
La bella Alasia non ha storia, neanche sappiamo se
fu poi arrestata o se potè sfuggire ai persecutori, ma
ha un posto fra quelle eroiche donne Valdesi che nella
storia han lasciato qualche traccia della loro coraggiosa
professione della fede evangelica e della sua propagazione anche in faccia a minacciati guai !
Teofilo Gag.
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CoenoMum. Anno II E’ uscito il fascicolo 6 di Settembre — Ottobre 1908.
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* Ut
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Chauvie: — Firenze Tip. Claudiana, 1908, L. 0,20.
«
« *
Prove e Benedizioni, di O. Cerni. Firenze, Tip. Claudiana, 1907.
«
* «
Falco, racconto per ragazzi, di E. Giannini. — Firenze, Tip. Claudiana, 1908.
*
* *
Almanacco del Coenobium per il 1909, Presso gli
Editori del Coenobium, Lugano (Svizzera). L. 3.
*
* «
Collezione Avangnordia N. 1. — G. E. Melile — Cristianesimo sociale, — Firenze, Via Jacopo Peri 5,1909.
«
» «
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«
* •
I valori Morali di Ugo della Seta. — Casa Editrice
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« »
II Principe di Pace di W. J. Bryàn tradotto in italiano da C. M. F. Casa Editrice Metodista. Via Firenze 38 Roma, 1909 L. 0,20.
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idem, cm. 30 per 15. 4 versetti differenti, ciascuno................« 0,75
idem cm. 16 per 19, 2 versetti dif
renti, ciascuno.................... 0.50
idem, cm. 12 per 15, 2 versetti differenti, ciascuno.................« 0,40
idem, cm. 9 per 19, 2 versetti differenti, ciascuno................c 0.30
Testi colorati, cm. 30 per 44, 5 versetti
differenti, ciascuno....................0,50
idem, cm. 24 per 17, 8 versetti differenti, ciascuno................« 0.25
idem, cm, 20 per 25, 7 versetti differenti, ciascuno................« 0.25
III. Testi biblici francesi :
Dimen. cm. 17 per 12 — 10 var. cias. ♦ 0,20
« 18 per 12 — 2 . * 0,25
« 24 per 12 — 12 < . 0.40
« 26 per 15 — 6 * » 0.50
« 29 per 21 — 12 . . 0.60
« 33 per 24—10 . . 1.00
IV. Cartoline bibliche :
Italiane — 60 varietà ciascuna ■ . . « 0.05
Francesi — 60 varietà « . . . . « 0.15
V. Libri ed opuscoli :
Lettere di Natale 1908 per Fanciulli e
per Adulti ; le 100 copie...............3.00
Falco, racconto originale per bambini,
ciascuno.............................c 0.75
Prove e benedizioni, racconto pei giovani, ciascuno ..................« 1.00
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