1
LA BUONA NOVELLA
GIORNALE DELLA EVANGELIZZAZIONE ITALIANA
Srituciido la verilti
Ki t». IV. 1
Per Torixo — Un Anno L. ». — A domicilio L
Sei mesi • S. — .
Tre mesi • — »
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Per Francia e Svizzera franco a destinazione, e per l’Inghilterra /ranco aJ confine lire » *0
per un anno, e lire S per sei mesi.
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Si distribuisce ogni Venerdì. — Per cadun Numero centesimi 10. — Per caduna linea d’inserzione centesimi 20. \ ^,
Coiidizioili il’%HMneÌM7Ìniii> 1 Le Associazioui si ricevono: in Tohino airrniKio ilei fcilorn»le,\iiilf del Re, nuV.ìiÌ»
VOUUI.eiOni U .«MHiOCmziOlie : _ ^ cn|.p*-ll« Vuldc.c, mu.a.li S. Cl.iar». ’
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franco al Direttole della Bi on* Novella e non allrinienti.
AH'eslero, »1 se{jucnliindirlzzi: Liinuba, dai sigK. .Nissiielt e C. librai, v
¡'ii-iui dallalilireriaC. Meyrucis. rue Tronclicl,'ì;NiiieSj dal sig. Pevrut-Tit
dai sim. Denis cl Putii l’ierre lilirai, ruc Neuve, I8j Ginevra, dal sig. E
Losanna, dal sig. Delafontaine liliraio.
u 1 Borners-iitre.1t;
Tinel libraio; LiKoe;
K. Heroud libraio
Sommario.
Appendice: CeuDÌ storici della Kifuriiia in Italia uel setolo XVI. — Esame istorico-critico sul viaggio
di S. Pietro a Roma. — Unesempio di commercio lucrativo. — Notizie: Torino -- Valli
Valdesi - Ciamberì - Spagna.
ES.\ME ISTORICO CRITICO
SUL VIAGGIO DI S. PIETRO A ROMA.
VII.
(Vedi i 6 numeri antecedenlij.
L’ottavo testimonio da esaminare 6 Tertulliano, A. D. 192. [De Prcescript., c. 36).
Ei scrive: » Vieni dunque lu, che sei impa« ziente, ad esercitare più a profitto la tua cu
< riosità nell’opera della tua salvezza. Volgi
€ uno sguardo alle Chiese apostoliche, nelle
« quali le vere cattedre degli apostoli ancora
« presiedono sulle loro stazioni, e dove si re« citano al presente le loro proprie lettere, profe ferendo la voce e rappresentando la presenza
« di ciascun di loro. Ti è più vicina l’Acaia?
« tu hai Corinto. Se tu non stai lontano dalla
« Macedonia, tu hai Filippi o i Tessalonicesi.
« Se tu puoi andare nell’Asia, tu hai Efeso ;
« ma se tu sei piuttosto vicino all’Italia, ecco
APPENDICE
CENNI STORICI
DELLA RIFORMA IN ITALIA
NEL SECOLO XVI.
XXII.
Le anzidette divergenze dommatiche, portando la scissura e lo scandalo in mezzo a’ convertiti, alienando gli animi più o meno disposti
ad abbracciare le nuove dottrine, dando maggior
forza ed animo a’difensori del papato ed in certo
qual modo giustificando la non curanza de’ più
per le cose religiose, cadute in un fatale discredito, arrecavano alla Riforma grandissimo nocumento. Gli Ariani, gli Anaballisti e i seguaci di
di Socino, attaccando alcune fra le principali
credenze evangeliche, erano considerati come
lanti disertori e nemici della Riforma. Nè questa
poteva contare gran fatto su tutte le persone che
davanle segni evidenti di simpatia; perocché non
tutte erano concordi e unite d’animo e di pensiero , da formare un corpo omogeneo e cora
« tu hai Roma, donde per noi pure (cioè nel« l’AITrica) l’autorità è propinqua. Felice Chiesa!
« per la quale gli apostoli del nostro Signore
« versavano con la lor vita ;,utta la dottrina loro;
« ove san Pietro ha sofferlo la stessa morte del
« suo Maestro, e san Paolo ha ricevuto la co« rona del martirio al pari di Giovanni lìatlista;
« ed in cui l’apostolo Giovanni fu esigliato da
« Efeso a Patino dopo cho illeso si levò dall’olio
« fiammeggiante ». — (Quam felix Ecclenia,
cui totam doctrinam apantoli cummiwjuine mio
profuderunt? Ibi Pelnu panniuni dominiae
adpqiiatur: ubi Paulm Joannisexilu coronalur;
ubi apostoluH Joannes (posteaquam in oleum
igneum demersus nihil passus fM) in imulam
relegatumj.
E evidente che Tertulliano passi con un salto
subitaneo dalle individuali chiese che in particolare aveva nominate, alle chiese prese nel
loro complesso, come la Chiesa Universale di
Cristo. Se non fosse cos^, egli sarebbe tanto
manifestatamento incorretto, che quel che dice
non polrebbe essere di niun istorico valore ;
poiché nessuno può immaginaro che san Giovanni fosse gettato nell’olio bollente a lìmna,
0 che da quella città venisse esigliato a Palmo.
Ireneo, Clemente d’Alessandria, Origène, Crisostomo e tutti gli antichi scrittori sono d'accordo che san Giovanni fosse esigliato da Efeso,
e ritornato poi a quella città vi mori. Quindi b
patto, un vero partito, e meritare il nome di
persone evangeliche. Non pochi Italiani, comechè vedessero di buon occhio quel movimento
religioso, erano assai lontani dal volerne seguire le dottrine: deplorando la corruzione della
Corte di Roma e di tutti gli ordini della Chiesa
cattolica, speravano che il clero, allarmato dal
pericolo d’uno scisma, si fosse indotto a correggere di per se stesso gli abusi ; per costoro dunque la Riforma era soltanto un mezzo, uno strumento e non un fine. Allri, propugnatori delle
mezze misure, desideravano che la Riforma,
conservando le principali forme del culto dominante, si limitasse a purgarlo delle piij riprovevoli superstizioni e mantenesse intatta la gerarchia e sopralutto il papato, che parea loro
indispensabile per conservare l’unità della Chiesa
cattolica. V’erano infine di quelli (ed erano i più)
che, sebbene convinti delle verità evangeliche
nel senso che erano predicate dai riformatori,
non osavano confessarle pubblicamente, nè staccarsi dalla Chiesa cattolica, sia per tepidezza
d'animo, sia per tema di soggiacere a’ pericoli
della persecuzione, e sia per poca fiducia nel
certo che Tertulliano ha passalo per una transizione subitanea dal discorrere delle chiese locali iu particolare alla Chiesa in complesso,
nella quale gli apostoli versavano la lor vita c
dottrina. Le parole non provano che san Pietro
mori a Homa più cho nou provano aver san
Giovanni ed altri degli apostoli lavoralo o sofferto in ({uella città. Xon piiHsiumu accellarfvita lenlimunianza senza l'ulira, e riyetlnvdn
quexta dobbiamo per tiecennità riyeUart ancora
quella. Ma assumendo che Tertulliano avesse
voluto intendere ciò che dilTatti ò la sola cosa
che avrebbe potuto inlciidore senza palesemente
storcere i fatti istorici (il che per certo renderebbe l’intera sua testimonianza di nessun valore), cioè che voleva dire la Chiesa in generalo
in cui Pietro aveva solTerto similmente al suo
Maestro, e come Gio. Battista e Gio. apostolo,
tutto è chiaro ed intelligibile.
Tertulliano dichiara in un altro luogo, che
Clemente di Roma fu ordinalo da son Pietro ;
tuttoché non dica ove quoll ordiiiaziono fu effettuata. È ben conosciuta l’assolnia incertezza
cho v’ha circa l’ordinazione dei primi vescovi
della Chiesa romana per motivo della singolare
discrepanza che si trova tra le vario autorità
che no parlano. È un caos di confusione, specialmenlo per quanto riguarda san Clemente,
come Girolamo testifica; Clemens .... quartuK
pagi Petrum Roma episcopun; siqnidmx secun
buon successo, credendo pur troppo che la Chiesa
dominante fosse stabilita sopra basi incrollabili.
Di questo numero erano alcuni personaggi
alto locali nella gerarchia ecclesiastica, parecchi
uomini dotti, ornamento delle scienze, lettere ed
arti italiane, e non pochi frati addetti a varii
ordini religiosi. Se tutti costoro avessero coronato la loro simpatia per la Riforma con un atto
di completa adesione, le file della schiera evangelica si sarebbero considerevolmente ingrossate. Ma i più, dopo essere rimasti gran pezza
titubanti ed incerti fra il si ed il no, fra la
convinzione e l’abitudine, fra la ragione e i
pregiudizi, finirono col darsi in braccio ad una
miserevole inconseguenza, rimanendosi in una
religione, cui non legavali più nessuna o poca
fede, e rinunziando ad una causa perla quale
sentivano convincimento ed affetto.
11 tipo di siffatti uomini inconseguenti lo troviamo nel carattere di Marco Antonio Flaminio,
insigne filosofo, oratore e poeta di quei tempi;
e di lui ragionando, crediamo, per ciò che riguarda ii nostro argomento, abbozzare l’immagine di tutti.
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dus Limis fuit, tertius Anacktus tametsi plerique Latinorum secundum pont Petrum apoHtolum putmt fuisse Clcmentem. ¡Catnl. Script.
Eccles., c. to). Ancora; Et Clemem, tir apo.stolicus, qui post Petrum romanam Ecclesiam
rexit, scribit ad Corinthios. (In fsai., c. 52).
Ireneo dice che Lino e Cleto erano vescovi prima di Clemente. Agostino e Oliato dicono, e
si trova pure nelle Costituzioni Apostoliche e
nel Catalogo de’ Pontefici romani, cho Clemente
fu vescovo sollanto dopo Lino. Eusebio è d’accordo con Ireneo. Ruffino vide la discrepanza
Ira le diverse narrazioni degli antecedenti scrittori, e inventò una teoria aifin di riconciliarle,
immaginando che Lino e ('leto fossero stati
vescovi di Roma durante la vita di san Pietro,
mentre costui stava esercitando l’uffizio apostolico, e che all’incontro Clemente avesse preso
il governo dopo la morte di san Pietro! La Cronaca di Damasco mantiene la teoria di Ruffino,
come ancora il venerabile Beda, Rabbanus,
Haymo ed altri ÌRiffinus, l’rcef. in san. Clementis Kecognit. e Cnteler. ed. Petrum apost.,
tomo I, 492 0 387). Ma Epifanio ha un’altra
fantasia: cioè, che Clemente, ordinato da san
Pietro al posto episcopale, lo cedette a Lino per
amor della pace, pacis causa, cessisse Lino; e
cho Cleto succedette a Lino , e Clemente riassunse 1’epi.scopato dopo Cleto ! (Epiph.vmcs ,
Hceres, XXVII, n® 6).
Dopo tante contradittorie teslimonianze, e
una discrepanza si manifesta, non siamo noi
giustificati nel conchiudere che ne’ primi secoli
della Chiesa non esistesse niuna certa tradizione
intorno a questo soggetto? e cho di fatto non
ve n’è punto testimonianza autentica ? Si può
vedere l’incertezza delle prove di certi fatti di
quei tempi nella diificoltii (per citarne un solo
esempio) di stabilire chi fu l’autore dell’epistola
di Barnaba. Clemente d’Alessandria quattro
volte l’attribuisce a quell’apostolo. Origène segue precisamente il suo Maestro, e Girolamo
ed Eusebio sono del medesimo parere. (Hefele,
Patrum .ipostoHcorum Opera. Edit. Ili, p. XII,
.Marco Antonio Flaminio nell’età giovanile
coltivò sopra ogni allra cosa la letteratura, specialmenle greca e latina, e ne fanno testimonianza i suoi pregevoli poemi. Il che reselo accetto e caro al colto e magnifico pontefice LeoneX,
che lo colmò di favori e di doni. Anche il cardinale Alessandro Farnese, nipote di Paolo HI e
protettore di dotli, e i cardinali Rodolfo Pio,
Giudascanio Sforza, Benedetto Accetto furono a
lui splendidi mecenati, li suo bell’ingegno, la
sua rinomanza letteraria, congiunti a non comune bontà d’animo e cortesia, gli fniltarono in
pari tempo l’amicizia dei prelati Caraffa, Contarini, Giberti, Polo e Sadoleto, e di quanli avean
fama in Italia d’uomini dotti. E fu in questo periodo della sua vita che Marcantonio Flaminio
scrisse la maggior parte de’suoi poetici componimenli, e parafrasò in latino la metafisica d’Aristotile, di cui fece dedica al pontefice Paolo 111.
Nell’età matura Marcantonio Flaminio si dedicò alle sacre carte, facendo della Bibbia la sua
principale occupazione e trattando, iie’ suoi poetici estri, argomenti religiosi. Verso quel tempo
compose la parafrasi sui Salmi, in versi e in
XIII). E nullameno la Critica moderna non esita
di pronunziarli in errore, c di affermare che
queU’epistola fosse scritta dopo la destruzione
di Gerusalemme (Hefele, ut supra, p. XIII).
Quindi è quasi assolutamente certo che l’asserzione di Tertulliano riguardo all’ordinazione di
Clemente per le mani di san Pietro non stia su
miglior base che le parole di Ireneo e Clemente
d’.\lessandria circa gli allri fatti di cui abbiamo
parlato. Ireneo è molto più forte che Tertulliano, asserendo ciò che benissimo si sa essere
erroneo, e.basando le sue parole sull’elà di nostro Signore sopra testimonianza apostolica!
Clemente anche parla senza alcun dubbio o esitazione riguardo aU’aulore dcH’epistola detta di
Barnaba.
In somma non si può far a meno di credere
che Tertulliano, come molli allri, abbia parlato
senza riflessione, o che le sue opere sono state
falsificate. Possiamo però rivolgerci alla supposizione che Clemente fosse ordinato da san
Pietro nell'Oriente; poiché sappiamo per certo
ch’ei lavorava con san Paolo in Filippi [FU.,
IV, 3).
Il nono testimonio che adducono è Origène.
(A. D. 230).
Ma in verità questi non dice in tutti i suoi
scritti neppur una sillaba in quanto all’asserzione che san Pietro morisse a Roma. Eusebio,
in vero (lib. Ili, c. 1), racconta cho Origène
aveva dello certe cose circa gli apostoli ; ma,
come Valesio osserva, è impossibile di distinguere tra ciò che Eusebio dà come le parole
d’Origène, e ciò che racconta come la comune
voce nel suo tempo- In ogni caso è semplicemente una supposizione. Ecco le parole d’Eusebio: « Vi è qualche ragione per pensare,
« loixE, chc san Pietro andò a Ponto e (Jalatia
« e Bitinia; a Cappadocia pure e all’Asia mi« nore, nell’epoca che predicava il Vangelo ai
« Giudei della Dispersione; e che poscia andò
« a Roma, ove fu crocifisso col capo alla terra;
« il che era la maniera in cui egli stesso cre
< deva di dover morire. Qual bisogno v'ha che
prosa , e tenne amichevole corrispondenza con
Valdez, Pietro Martire, Carnesecchi, la duchessa
di Ferrara, la duchessa di Savoia, ed altre persone che parieggiavano per la Uiforma.
Il terzo periodo della sua vita si estende dal
tempo in cui la Corte di Roma adottò misure decisive per la soppressione della Kiforma in Italia,
sino all’anno 1550, nel quale Flaminio dichiarò,
come tanti altri, non potersi distaccare formalmente dalla Chiesa cattolica; imperocché il destino crudele di quanti avevano tentato un piano
di riforma in questa penisola spaventavalo orrendamente. Ciò non di meno il suo animo inclinava al Vangelo, e scrivendo e parlandone
dava segni non dubbii, sicché taluni s’auguravano ch’egli un di o l’allro si sarebbe fatto animo
ed avrebbe dato il gran passo. Se ne avvidero
gli amici, che aveva ben molti e sinceri nel sacro collegio, e ansiosi com’erano di conservarlo
dalla loro, non si stancavano d'onorario, tirandolo spesso a discorsi e controversie. L'articolo
della presenza reale di Gesù Cristo neH’Eucaristia, fu quello forse che più imbarazzava la sua
divota mente ; ed una lettera che indirizzò sul
« diciamo dove Paolo viaggiava quando evan« gelizzava da Gerusalemme ad Illyria, e che
« finalmente doveva soffrir martirio a Roma
«. nel regno di Nerone? Queste coso sono ben
« narrato da Origène ». Forse Eusebio avrà voluto dire l’intero racconto concernente gliapostoUToma, .\ndrea, Giovanni o Pietro, oppure
avrà voluto intendere solo quella parte che riferisce a Paolo, come narrala da Origène. Ma
è certo che queste cose non sono da trovarsi
negli scritti di Origène. Eusebio fa cenno di
alcuni de’ lavori degli apostoli, o cita Origène
come autorità o per il tutto o per una parte
della narrazione, non si può decidere quale; e
in ogni caso una mera voce non è base sufficiente per stabilire qualunquesiasi fatto.
Si può nominare per il decimo testimonio
Eusebio stesso ,'A. D. 325) come uno che ordinariamente producono a lor prò.
Le sue parole sono un poco tediose. Il capitolo che le contiene è intitolato così; Ilepitou
xa-za Poariv Kv)cuY|j.aToç IIcTfou AtocttoXou (Concernente la predicazione 0 proclamazione dell'apostolo Pietro). Ora era esistente ne’ primi secoli
dolla Chiesa un documento intitolato ; La predicazione 0 proclamazione di Pietro; e può
darsi che Eusebio si riferisca a quello, credendo
cho fosse stalo portato a Roma; o è possibile
che Eusebio abbia creduto erroneamente che
ciò significava Pietro aver predicato a Roma.
Ecco le sue parole: « Non molto dopo, nello
« stesso regno di Claudio, la benigna e grazio« sissinia provvidenza del cielo dirige contro
« Roma, come contro questa peste d’umanità
« (Simone Mago) quel grande e zelante apostolo,
« il quale per cagione della sua abilità era guida
e agli altri ; ed egli, come un prode capitano
« nel servizio del suo Creatore, anzi come uno
« armato d’armi celesti, riuscì a trasportare
i fuori daH’Oriente agli abitanti dell’Occident
« quel prezioso carico di vila spirituale, ad una
« volta luce e parola di salute, promulgando
« tra lora la sua gioiosa proclamazione (to Kt,<L fu-j’u.a) del regno celeste; e la divina parola,
proposito a Pieiro Carnesecchi, mostra ad evidenza ch’egli, che che dicasi in contrario, non
s* allontanò dalla Chiesa cattolica. Uno scrittore
contemporaneo riferisce che il cardinal Polo
tenea Flaminio in gran suggezione, proibendogli
persino, como avea fallo con molli allri, di esternare in pubblico i suoi sentimenti.
Grandissimo fu il danno arrecato alla Riforma
dal consiglio di quel porporato. Riconosceva o
almeno protestava di riconoscere la giustificazione per la fede, e di conserva con quelli che
stavangli a fi.inco, fra’ quali era Flaminio, avea
cercato ogni via d’imprimere questa dottrina
evangelica nella mente di molti. Con tutto ciò,
ncH’infuriari' della persecuzione, usava di tutta
l’iniluenza del grado e della sua riputazione per
indurre i suoi dotti amici a tenersi contenti di
conoscere in segreto la verilà, a non brigarsi
gran fatto degli errori ed abusi della Chiesa, e
a confidare nel buon üio, che a suo tempo li
avrebbe distrutti. — Dottrina assai dileltosa e
comoda per chi vorrebbe possedere il Cristo
senza la croce ! — Polo non esitò di asserire che
si potea benissimo promuovere la pura dottrina
3
« essendo in questa forma dimorata tra i Ro« mani, il potere del Mago fu repulso anzi di« strutto rapidamente quanto l’uomo stesso »
(lib. TI, 24). Ora se Eusebio intendeva dire che
lo stesso Pietro andò a Roma nel secondo anno
di Claudio, allora Eusebio era ingannato, il
che si vede dalla confessione di diversi scrittori
cattolici romani, per esempio Valesio, Baluze,
Cellier, i Padri Dominicani, ecc. Dagli Atti degli Apostoli s’impara per certo che Pietro non
sarebbe potuto lasciar la Giudea sino all’ultimo
anno di Agrippa, il quale morì nel qìutrto anno
di Claudio. I Padri Dominicani nella loro Bibliothèque Sacrée dichiarano confidentemente
che « ciò che è della più gran certezza, ,è che
« Pietro non andò a Koma fino al regno di \e« rone ». Eusebio dice ancora nella sua Cronaca,
che Pietro « venne a Roma ove predicava il
« Vangelo, e fu vescovo di quella città perven« ticinque anni ». La Cronaca di Eusebio fu
quasi iuteramente rescritta da Girolamo, la cui
« traduzione » o piuttosto « cambiamento »
(Tillemont), è tutto ciò che rimane per noi diessa.
Ed « ognuno confessa che vi sono moltissimi
« errori in quello scritto che abbiamo in oggidì
« per la Cronaca d’Eusebio da Gerolamo » come
dice Tillemont; e Baronio lo chiama « un labe« rinto d’errori ». Il secolo in cui viveva Gerolamo era pieno di falsificazioni; e il tentativo
di protare la visita di san Pietro a Roma con
la traduzione biella Cronaca d’Eusebio, detta di
Girolamo, è ragionevole quanto sarebbe fare
appello alle Bolle e Decretali de’ papi, nelle
quali il tero è sempre l’eccezione, e regola la
falsità. Il greco di Easebio' nou contiene una
parola di tutto ciò, e non v’ha dubbio che sia
deUtutto una interpolazione.
Nel prossimo numero esamineremo più testimoni sullo stesso soggetto. F.
UN ESEMPIO 01 COMMERCIO LnCRATIYO
Il Crétien Belge toglie dal giornale di un agente della Società evangelica belgica un fatto che
in segreto, fosse pur con dissimulazione, e ciò
bastare aH’adempimento de’ doveri in materia di
fede. Se alcuni evangelici, più ardenti degli altri,
ardivano o minacciavano d’oltrepassare (luesti
confini, li facea tosto avvertire per mezzo de’
suoi agenti, onde avessero prudenza, aspettassero il tempo opportuno, nè scoprissero che a
grado a grado i loro sentimenti. Se il Cardinal
Polo era in ciò di buona o mala fede, sallo Dio.
Tutte le opere, sia in prosa che in versi, in
cui Flaminio parla di cose sacre, dimostrano
quanto assiduo e profondo dovesse essere il suo
studio sulle sacre scritlure e singolarmente sul
Vangelo, sui Salmi e sui volumi de’ santi padri,
massime di sani’Agostino; il suo linguaggio è decisamente quello d’un’anima educata alla pura
fede evangelica. E nemmeno negli ultimi suoi
scritti è vestigio, ombra o parola d’altra espiazione di peccati oltre a quella che deriva dalla
fede ne’ meriti di Cristo. Quantunque il poeta
parli a quando a quando della sua prossima
line, e ritenga non essere al mondo alcun fedele
esente da umane debolezze, pure non esce mai
in espressioni che mostrino esser lui punto an
prova, se pur v'è bisogno ancora di prove, che
la religione di Gesù Cristo nelle mani della clerocrazia è un negozio di speculazione e di borsa.
Ecco l’aneddoto;
«......Io credo poter aiTermare che alcuni cuori sono stati predisposti dal Signore a
ricevere la buona semente, ch’ella a quest’ora
cominciò a germogliare in essi. In proposito citerò specialmente un certo X...... il quale interviene alle nostre predicazioni da alcuni mesi, e
che, salvo il caso di assoluta necessità, non manca
in nessuna occasione di ricevere delle istruzioni.
Egli mi diceva che da molto tempo era convinto
di parecchi errori della Chiesa romana; e infatti
da cinque anni più non la frequentava , non assisteva ad alcuna delle sue cerimonie. Un fatto
sopratutto aveva, secondo lui, privato la Chiesa
romana d’ogni diritto al titolo di Chiesa di Cristo. Eccolo:
« Le di lui condizioni temporali erano allora
più favorevoli di quelle d’oggidì, pure doveva
lottare contro l’avversità; il perchò, avea concertato colla moglie sua di far celebrare sei messe
in onore della madre di Dio, allo scopo d’ottenere la benedizione del cielo. Ciò stabilito, va
dal sagrista della chiesa parrocchiale e chiedegli se il curato volesse celebrare una messa per
lui, sei giorni di seguito. « Non si può: le vostre
messe si diranno in sei settimane, ogni martedì
mattina», risponde il sagrista. Egli accetta, e
paga i dodici franchi voluti per le sei messe. Si
reca dunque alla chiesa il seguente martedì, onde
assistere egli stesso (secondo Tuso in simili casi)
alla messa che doveva celebrarsi a prò suo. Appena entrato, vedo un conoscente che al pari di
lui aveva poca abitudine di andare in chiesa di
sì buon’ora; gli si avvicina e gli mostra sorpresa.
<i Oh! risponde questi, siccome faCcio dire una
messa ad onore della Santa Vergine, cosi desidero assistervi ». — «Sì, ma, dice X...... cotesta messa è per me; io l’ho pagata ». — « Può
essere, soggiunge l’altro; pur so che l'ho pagata
anch’io, co’ miei soldi ». Il dialogo è udito da
un terzo, che si accosta loro all’uscire della chiesa , e domanda se davvero hanno ambedue pagato la suddetta messa. Rispondono pel sì: « Ed
anch'io, esclama egli allora, supponeva che fosse
celebrata per me, giacché ne consegnai il prezzo
gosciato dal timore d’andare, dopo morte, a quel
luogo d’espiazione che chiamano purgatorio.
La stima in cui Flaminio era universalmente
tenuto, e l’affezione che i;li portavano i suoi
amici, non si conobbe appieno cho dopo la sua
morte (1550). Pochi uomini dotli sono stati si
generalmente compianti come ii P'Iaminio. Le
molte lettere e poesie scritte in quella occasione,
fanno chiara testimonianza de’molti animi cui
la sua perdita contristava. « Mori il Flaminio,
scriveva il .Manuzio, e mori con esso la gentilezza, la bontà, la gloria de’ buoni ».E il Paleario, dopo aver detto quanto grande fu la sua
commozione al doloroso annunzio, aggiunge:
« che quella mente degna dcH’immortalità, si
sia cosi di subito estinta ».
E, veramente, chiunque prende tra le mani
le opere di Flaminio, non può non amarlo. Si
vede in esse congiunta a rara eleganza e singolare leggiadria una dolcezza d’animo che seduce
e rapisce. Sembran dettate, non dall’ingegno ma
dal cuore, e dal cuore il più sensibile e più tenero che fosse mai.
Lasciò 22 carmi sacri, e parecchie altre poe
al sagrista, prima di portarmi alla chiesa ». Eccoli dunque tutti e tre ingannati ! E ad aggravare il fatto, l’ultimo sopraggiunto fa l'osservazione altresì ch’era appunto 1 ora in cui la
messa vien detta per tutti i fedeli; messa cui il
prete è obbligato d’ufficio, e per la quale, m conseguenza, è pagato dal governo.
« Ciò era di troppo pel nostro amico X......
chc, benché fosse affatto mondano, tuttavia non
avea l’abitudine d’ingannare, ma teneva per regola di rendere ad ognuno il suo. Si decise di
andar a parlare dell’accaduto al curato, o Signor
curato, gli disse, questa mattina avete voi detto
la messa per me? » — Il curato : « Si, certo ; il
sagrista mi consegnò i vostri dodici franchi ».
— « Ma A..... e B..... l’hanno pagata anch’essi,
ripigliò X...... e quindi pensano che sia stata
detta per loro ». — Il curato: « Io l’ho detta per
voi ». — X.....: « Ma questa messa non è poi
detta ogni settimana per tutti i fedeli? ».— Il
curato; « Ciò non riguarda i laici ; noi facciamo
altrettante messe quante sono possibili per noi ;
e quelle che non possiamo dire noi stessi, le facciam celebrare ne’ conventi, e per questo diamo
del danaro. Se si facesse altrimenti, di che vivrebbero i Padri? » — X.....: « Voi potete dire
le mie messe o no ; ma riceveste le mio ultime
lire ».
a Egli udi parlare delle nostre predicazioni, e
disse a se stesso: « È mestieri che viida a vedere
se ciò è del medesimo genere ». Venne, e tosto
fu convinto della verità. Un giorno s’accosta a
me, dicendomi; « Se la vostra religione è realmente quella che predicate, io desidero essere
de’ vostri ». Io gli feci una succinta esposizione
della nostra dottrina, secondo la capacità della
sua intelligenza: gli diedi altresi un Nuovo Testamento, affinché potesse esaminare tutti i giorni le Scritture per vedere se le cose erano tali
quali venivano a lui insegnate. Gli raccomandai
la preghiera e lo sollecitai ad assistere alle istruzioni particolari, che sono in realtà fedelmente
da lui seguite, e, di più, m’accorgo che la conoscenza del vero già produce consolanti effetti
sul di lui cuore ».
Torino. — Un documento buono ad essere
ricordato. — L'intiero obblio in cui da parecchi
sia profane, un'apologia deH’opera d’Aonio Paleario sopra i benefizi della morte di Crislo, una
parafrasi de’Salmi con bellissimi commenti, una
breve esposizione in prosa di tutti i Salmi, la
parafrasi Ialina della metafisica d’.\ristotile e
moltissime letlere pubblicate in diverse raccolte.
Di esse alcune riguardano argomenti letterarii,
altre trattano di pietà e di religione; ma quanta
ad eleganza e purità «li lingua, tutte pregevoli.
E queste opere furono messe all’indice dei
libri proibiti, l’rima di fare un tal passo e condannar le opere d’un uomo già suo amico e
grandemente amato da lui, Paolo IV (un lempo
cadiuale Caraffa), tenne un concistoro segreto,
dove furono presenti sei inquisitori, i quali condannarono non solo i libri, ma eziandio il cadavere dell’autore alle fiamme.
{continua.)
4
superiori militari pare sia caduto l’ordine emanato dal ministero della guerra in data 18 luglio
1854, all’effetto di dispensare dalla Messa i militari acattolici, e l’ostinazione con cui si persiste
a costringere le molte volte quei giovani a partecipare ad un culto che ripugna alla loro coscienza, ed altre volte a non lasciarli intervenire,
quando la cosa sarebbe fattibile , al culto della
propria credenza, c’induce a ristampare ad uso
cosi degli uni che degli altri siffatto ordine, di
cui possiamo guarantire l’autenticità;
Nota N® 91. Torino, addi 18 luglio 1854.
Sifjiior Generale,
Questo ministero ha determinato]
lo. Che i militari acattolici siano dispensati dall’intervenire alla messa nei giorni festivi, èd a quelle altre pratiche religiose cui
assistono le truppe a cui appartengono;
2®. Che però essi debbano intervenire
alle parate e riviste anche quando in tali
occasioni abbia luogo una funzione del culto
cattolico;
3®. Che finalmente nei luoghi dove sia
attivato l’esercizio di un culto acattolico, i
Comandanti de’ Corpi procurino di lasciare
ai militari che appartengono allo stesso culto,
il tempo necessario all’adempimento delle
loro pratiche religiose, per quanto il servizio Io permetta.
Il Ministro
A. La Marmora.
— Vessazioni per l'Evangelo. — Il seguente brano di una lettera stataci gentilmente
partecipata valga a dare una giusta idea delle
vessazioni cui soggiacciono, sovratutto nelle campagne, coloro che avendo conosciuto l’Evangelo,
intendono di conformarvi le loro credenze;
« Poiché tu mi domandi della mia famiglia e
del paesetto, io ti risponderò in poche parole.
Dopo un mese incirca di soggiorno qui, vedendo
ch’io non andava nè a messa nè a confessione,
mi ci vollero costringere, e non potendolo, mi
pubblicarono per tutto il paese come un protestante giunto qui per sconvolgere la santa religione, come uno che avea il demonio in corpo;
cosicché tutto quanto io dicevo, non ero io, ma
satana che lo diceva in me. La mia povera madre piangeva per le vie, lamentandosi con tutti
coloro che incontrava di avere un figlio protestante, indemoniato e dannato per l’eternità. Mio
fratello non mi volendo più in casa per non essere sotto al medesimo tetto con uu indemoniato,
ho dovuto cercarmi una stanza nei paese, ma
non mi è riuscito di trovarla. Le donne più furibonde degli altri spingono pubblicamente il popolo a lapidarmi o a farmi perire sotto il bastone.
Oltre a ciò mi hanno derubato tutti i miei libri
senza ch’io sappia a chi domandarne conto. Da
qualche giorno a questa parte ho per soprappiù
visite continue di preti, senza parlare di altre.
Ma grazie sieno rese all’iddio nostro per Gesù
Cristo, egli mi concede di parlare con franchezza
ed ardire, sebbene io sia, senza i miei libri un
uomo disarmato; ma il Signore G. C. mi sostiene.
La scorsa domenica sono andato^^dal *** in "**, a
tre miglia di qui, per farmi imprestare un Nuovo
Testamento, affine di fortificarmi con tale lettura,
chè mi sento giùe distrutto, senza forza. Caro ***,
ti prego di scrivere tu stesso ai nostri fra
telli di ***'' e di ***“*, dicendo loro che io non lo
posso, tanto e tale è lo spionaggio che mi circonda e non mi permette aè di scrivere lettere,
nè di riceverne, nè anche di conversare con qualche forestiere.... »
Valli Valdesi. — Progetti di emigrazione. —
Nostra corrisp. (..... 19 marzo.) a La V. Tavola,
incaricata nella riunione delli 15 feb. p. p. di tentare ove meglio si potrebbe stabilire una colonia
di Valdesi, avendo fatto sentire che era in grado
di dare alcuni desiderati ragguagli, a dispetto del
cattivo tempo, una calca si faceva nell’ampia
scuola di Slinta Margherita, sotto la presidenza
del sig. Malan. Giunto il Moderatore e spiegato
un monte di lettere, di circolari e di programmi
si fece a dire che dietro il voto della precedente
assemblea, ei s’era fatto un dovere di prendere
informazioni sulle due Americhe, sull’Africa e
sulla Sardegna. In quanto al primo punto , alla
repubblica Argentina, ei dà ragguagli poco rassicuranti e crede non sia convenevole per noi.
Gli Stati Uniti poi presentano vantaggi evidenti,
ma, per soli individui, per speculatori. Ei narra
d’un tale che comprò 80giornate di terreno, ne fece arare e seminare 60, e che il primo raccolto bastò
non solo per pagare l’intiero terreno, il lavoro e le
sementi, ma che ancora diede 600 lire di guadagno. Questo a molti faceva invero venir l’acquolina in bocca. Ma l'andarvi è cosa seria. Il viaggio costa molto e chi ha quattrini in tasca nou
pensa ad emigrare. Passando allora alla Sardegna ei parla d’una Società, di banchieri piemontesi la quale, a parer suo, presenta maggiori guarentigie. Immensa è l’estensione da coltivare, feracissimo il suolo non che di facile coltura. Il
viaggio poco lungo e sempre iu patria. Ei consiglierebbe agli emigranti la Sardegna. Inoltre fa
cenno di una Società ia via di formazione, la
quale mira a far coltivare le immense sodaglie
che ancor si trovano nel nostro Piemonte ; ma
siccome tale Società è tuttora in cerca dei milioni necessari e che i Nostri fratelli non hanno
di che sfamarsi presentemente ei non si dilunga.
Avrebbe ancora molto da dire su di Sétif ma si
fa tardi, epperciò egli fa punto...,
« Il presidente lo ringrazia a nome dell’assemblea e viste le circostanze critiche e le direzioni del
Signore, ei crede sia necessario di nominare una
Commissione per prendere qualche misura se
tuttavia bastano all’assemblea tali schiarimenti.
Il sig. Morel prenda la parola per presentare alrcune obiezioni al progetto della Sardegna. Ei
non ci vede guarentigie migliori di quelle della
Confederazione Argentina, specialmente per Vaidesi stante il fanatismo del clero. Egli sceglierebbe sempre ancora quest’ultimo punto. Ei domanda se la colonia di Savoini sul Paranna non
prospera e presenta l’immenso vantaggio per chi
non ha mezzi, quello cioè del viaggio pagato. Il
Moderatore risponde ad alcune obiezioni e termina col lasciar libera la scelta. Il Presidente
insiste per la nomina d'un Comitato di esecuzione. — Il sig. Rollier, ponendosi al posto d’un
emigrante, dice che, se fosse ricco, sceglierebbe
forse l'America del N. o quella del S., ma che
se ben intende il movimento attuale, si cerca
non già di fare speculazioni;, ma di vivere. Ei
dunque sarebbe per la Sardegna. Non paventa
i Sardi, ma il clima gli è micidiale. Raccomanda
la prudenza, e conchiude col sostenere la proposizione del Presidente di nominare una Commissione per tutelare gli interessi degli emigranti
e delle Valli in generale, alla quale ognuno si
possa dirigere. — Il sig. Blanc vuole che la Tavola sia la Commissione. — Il Moderatore dice
che ia Tavola non può ricevere un'altra missione
da un’assemblea particolare e per un'opera particolare. Egli insiste per una Commissinne indipendente. Il Presidente acconsente, e si passa
alla nomina del Comitato composto dei signori;
Ma/an B., pastore ; Canton, pastore; Jiore/, pastore; Boìlier, professore; Appia, professore;
Blanc Antonio, sindaco di Torre e Olivet G. Bartolomeo. — Dopo una fervida preghiera del sig.
Geymonat si scioglieva l’adunanza. — Uu passo
immenso si è fatto, e si spera che si verrà ad
intendere di quale importanza sia una tale quistione , affinchè il prossimo Sinodo la prenda
seriamente in considerazione.
Gradisca, ecc.
G. B. 0.
ClAMBERi. — La Corte d’Appello di Ciamberì
ha cassato la sentenza del tribunale colla quale
veniva ordinata la chiusura del pensionato delle
Dame del Sacro Cuore.
Spagna [Barcellona). — Incarceramento per
cagione di religione.— Leggesi nel Siècle quanto
segue; « Nella mattina del 22 (febbraio)'il signor
F. Ruet, ministro protestante (*) e cittadino spagnuolo, venne arrestato e condotto al corpo di
guardia de! palazzo del capitano generale. Al dopo pranzo il sig. Ruet scrisse al generale Zapatero una lettera di cui vi trascrivo alcuni passi :
« Durante alcuni giorni una turba di fanatici,
« spinti da mano ignota, giunse fino a minacciare
« la mia vita ; la calunnia è finalmente riuscita
« a privarmi della libertà. Io perdono a questi
< uomini traviati dalla intolleranza.....Ma come
« cittadino spagnuolo , io vengo a richiamare
« dalla vostra giustizia la protezione delle leggi
c del mio paese. Io ignoro di qual delitto sia ac« casato. Sono le mie opinioni e le mie religiose
» credenze che si perseguita ? Io non le ho mai
« nascoste e non le rinnegherei neanche #ppiè
« del patibolo. La mia religione è quella del Crit sto, quella che l'intolleranza cattolica chiama
« eretica e protestante. Si, signor capitano genetc rale, io sono protestante. Il tempio delle mie
« credenze è il mio cuore ; Iddio solo può leg« gervi, e solo Egli sarà mio giudice supremo.
« Io domando o ad essere riposto in libertà o
« ad essere tratto davanti ad un tribunale, ove
« almeno mi sarà dato di sapere di che mi si ac« cusi, e di vedere a faccia a faccia coloro che
« si sono fatti i miei nemici ed i miei accusatori ».
— Dopo letta questa lettera, soggiunge il Siècle,
il capitano generale si affrettò a far chiamare il
sig. Ruet, e dopo averlo con somma benivolenza
ascoltato, immantinente lo fece ricondurre al suo
domicilio. Ad onore della Spagna dei di nostri,
convien dire che la stampa di Barcellona e la
gran maggioranza di quella della capitale hanno
preso partito per la libertà di coscienza contro
l’intolleranza ».
(•) Il giornalista francese ovvero il di lui corrispondente ha
sbagliato chiamando sig. Kuet minUiro proiestante. 11 sig.
Ruet è un giovane artista che tratto dall'amor deU’arte in Italia, virinvennel’Evangelo, divenne membro della ChicsaValdese
in Torino, e tornato da qualche mese in Ispagna sua patria,
vi si adopra, da quanto appare, con molto zelo e non senza
successo alla diffusione della verità che ha conosciuta.
(Red.).
GroMMo Uoiaentco gerente.