1
LA BUONA NOVELLA
GIORNALE DEI,LA EVANGELIZZAZIONE
-vxAATOSufWxy^
Andato per tutto il mondo c predicate l’Evangelo
(la Buona Novella) ad ogni creatura.
Matteo xvi, 15
VUKZZO DI ASSOt’lAZIONli J LE ASSOCIAZIONI SI UICEVONO
Per il Regno [franco a destinazione] 3 00 v In Firenze, da Leopoldo PìncìU, via Tomabuoni
. «. ) al DcpiMÌto di libri religiosi.
Ter la Svizzera e Francia, id........... ,, 4 20 ^
‘ In LivauNO, via San Francesco, idem.
Per r Inghilterra, id................... „ 5 50 ' in Torino, via Principe Tommaso dietro ilTera
Por la Germania Id..... 9i\m „ 6 50 J pio Valdese.
Non sì ricevono aasocla5||(S\^J^ l Nello l'RoTlKClE, per mc^zo Ai /mncn-òolli ro
^ S siaZi, che dovranno essere inviati fi-anco in F»
un anno. Tomabuoni al Deposito libri religiosi.
Airestero, a'seBentiParigi, dalla libreria C. Meymoia, me Rivoli;
Ginevra, dal IjOi^lrtl'libraio ; Inghilterra, dal signor G. F. Mullor,
General Mcrcliant^^icaSaihall Btrcet. E. 0.
SOMMABIO
Come si conosce che un cristiano è figlio di Dio. — Lutero, V. — Il generale Beckwith. ' ,«»
COME SI CONOSCE
CHE UN
CRISTIANO È FIGLIO DI DIO
« Quel medesimo spirito rende testimonianza
allo spirito nostro, che noi siamo tìgliuoli
di Dio » Kom. viii. 10.
Nella Scrittura, la ¡irova di esser figli di Dio, non va disgiunta
dal sentimento del perdono. Dio sia eternamente benedetto, io so in
chi ho credulo, e su chi faccio riposare tutta la mia fiducia e le mie
speranze di Balvazione. Sono a.S8Ìciirato che Dio ha perdonato i miei
peccati : sono assicurato del pari che sono un figlio di Dio e che non
apiKirtengo piiì a Satana. Per .^ajwrlo non ho bisogno che considerare la condotta dì Dio a mio riguardo; poiché jwr attiarmi a Lui,
non solamente ha perdonato i mici peccati, ma li ha distrutti: Ji ha
2
gettati nel proibntlo del mare, di modo die, cercandoli non si troverebbero pili. Ai suoi occhi io sono netto, come se non ne avessi mai
commessi, puro, come puro è Gesù Cristo.
Vediamo i segni ai quali si riconosce un figlio di Dio, c per i
quali ognuno può assicurarsi della propria adozione.
Io sono un figlio di Dio, suo amico, membro della sua alleanza,
imperocché per sempre mi sono separato dai suoi nemici. Non sono
più venduto al peccato: non ho più con lui segrete intelligenze, ma
piuttosto le tt'iigo per nemiche, e voglio combatterle continuamente
con la grazia e la forza di Gesù Cristo. Ogni giorno, ogni ora,
in questo stesso momento, son pronto a rinnovare la alleanza chc
ho latta con Dio, e riconoscermi come un suo, e a non conservale
volontariamente nel mio cuore, alcuna delle cose, che so essergli
contrarie.
10 sono un figlio di Dio ; Gesù Cristo è il mio Maestro, c sono sottomesso alla sua piena disciplina e grazia. Poiché, sebbene il peccato
mi assalga sempre e con violenza, lo Spirito di Dio, e la Parola che.
è piatita fa in me, resistono alla carne, e ne crocifiggono le opere: di
modo chc rimango vincitore ed anche più chc nncitore per Colui
che ci ha amali (Rom. vni. 37). Non è egli scritto; “ ilpeccato non
vi signoreggerà, conciosiacosacJtè non siate sotto la legge, ma sotto
la*grazia? ” (Rom. vi, 14), e ancora: “ Coloro che son di Gì'isto hanno
crocifissa la carile con gli affetti,>.e con le concupiscenze?” (Gal.
V, 24 ). I timidi forse obietteranno, che spesso hanno ottenuto silìiili umilianti sconfitto. Ma chc si tranquillizzino e si facciano coraggio, pensando che il dolore e il disgusto del peccato son già una
vittoria su quello.
11 segno il più certo che io sono figlio di Dio, è che io ho ricevuto
Cristo per la fedo. Io l’ho ricevuto come il mio unico Sacrificatore c
mediatore, come colui che solo ha potuto distruggere il peccato e
riconciliarmi con Dio; così io non voglio andare a Dio che per Lui,
(i non esser debitore della mia salvazione che a Lui. È il Re nel
quale ho fiducia: il Profeta, il Dottore dal quale a.spetto la hice;
e gli domando di manifestarmi in tutta la sua volontà. Ora ò scritto;
“ A tutti coloro che l’han7io ricevuto, i quali credono nel suo nome,
egli ha data questa ragione, di esser fatti figliuoli di Dio" (Giov.
I. l‘2). Ho dunque il segno più certo della mia adozione, poiché ho
fatto di[)cnderc unicamente da lui la santificazione e la felicità dell’anima min. 11 demonio stesso non saprebbe togliermi una tal sicurezza
3
Io sono nn figlio di Dio: in Lui ho trovato il perdono e la vita. Io
credo troppo debolmente ancora, è vero, al nome del Figlio di Dio,
ma vi credo con sinceritii. Io so chc la fede che ci salva non ha bisogno di essere una fede fe.<3tevole, posto che sia reale: nè di esser
trionfante, posto che sia umile e supplichevole. “ lo ho faìne e sete,
di giustizia: ” e nei miei bisogni io mi dirigo a Gesù che mi
dice: “ colui che viene a Me non avrà mai fame. ” I;a salvazione
mi è dunque promessa nelle parole della Scrittura. “ Beati coloro
che sono affamati ed assetati di giustizia, perciocché saraìino
saziati, ” ( Matth. v, 6 ) ; “ Chiunque invocherà il nome del
Signore sarà salvato ” ( Joele ir. 32 ). Poichiì dunque il Signore
mi chiama beato, sono un figlio di Dio, ho il perdono dei miei peccati, nou perirò mai.
Io sono un figlio di Dio, poiché sono venuto a Cristo, e questo è
un segno certo che suo Padre mi ha dato a Lui, e che non mi perderà, poiché dicer“ Tutto quello che il Padre mi dà verrà a me;
e questa è la volontà del Padre che mi ha mandato, che io non
jìerda ìiiente di tutto ciò che egli mi ha dato ” (Giov. vi, 37. 39).
Il Padre mi ha dato al Figlio, e il Figlio di Dio, mio Paswre, avrà
cura di me. Non mi lascerà mai rapire dalle sue mani: ancor meno
mi respingerà, poichò io sono venuto a Lui, e desidero venirvi sempre più; Non ha egli stesso detto: “ ed io non caccerò Jxuyri colui
che viene a me? ” ( Giov. vi. 37 ). Io sono venuto a Cristo : io gli
sono stato dato dal Padre, io sono la ricompensa e il frutto del suo
lavoro: egli non può dunque perdermi; questa parola è chiara e mi
vi attengo. D’altronde il suo amore, e la sua fedeltà, il suo carattere,
la sua opera tutta intiera, gli permetterebbero di lasciarmi perire,
anche quando l’amore e la volontà di suo Padre non lo si^ngessero
a salvarmi ?
Io sono un figlio di Dio: io sono nato da Dio, e sento in me una
nuova vita spirituale. Imperocché come il neonato grida per ottenere
un nutrimento del quale sente l’imperioso bisogno, la mia anima
assetata da Cristo, della sua perfetta santità, dei doni del suo Spirito,
sospira continuamente dietro qnel celeste nutrimento, che può far
crescere in me il nuovo uomo. Sebbene debole e piccolo che io sia,
son dunque figlio di Dio, sono nato da Dio, sento in me una vita che
non viene da me. Un uomo morto e inuonvertito non sente, o poco
almeno, la sua miseria spiiituale, e non ha nè fame nè sete di .santificazione. Un uomo sotto la legge, cerca acquietare il grido della
sua coscienza con ogni .sorta di tnicrc e pratiche; si lusinga di sod-
4
disfarò a Dio per mezzo di alcuni buoni sentimenti c alcune Uione
risoluzioni, invece di riguardare n Cristo come nn figlio nudo ed affamato, che non domanda che rivestirsi della sua giustizia e saziarsi
delle sue grazie. Per me invece di ostinarmi a volermi salvare con
le mie proprie forze sto in riposo, non avendo altro desiderio che
fondare tutta la mia sicurezza sull’amore espiatorio, pienamente ba.stante, del mio Salvatore, e di trovare nelle sue grazie una sorgente
sempre più ricca di gioie e consolazioni.
Io sono un figlio di Dio, imperocché do tutta la mia gloria a Dio:
riconosco c confesso dal fondo del cuore che Lui solo crea in me
tutto il l)ene che vi si trova, mentre che io dispero della mia saviezza, delle mie forze e della mia volontà. Sento costantemente la
mia imix)tenza: sento che non ho in me stesso, niun buon pensiero,
niun santo desiderio: sono pure meno capace di una parola utile, o
di una lodevole azione. Quando dunque scuopro in me un buon
sentimento, quando mi è concesso tradurlo in parole e azioni, è a
Dio, che me lo ha inspirato, chc ne riportò la gloria, ò a Lui scio
chc nc l'cndo grazie : e temo di non farlo completamente.
Io soni il figlio e il ben amato figlio di Dio, imperocché io ho parte
ai suoi gastighi, alle sue riprensioni: e la Scrittura ci dice: “ Il Signore gastiga chi egli ama, e flagella ognifigliuolo che egli gradisce: "
(Ebr. XII, 6). Per la di Lui grazia io sopporto volentieri li esterni castighi, per mezzo dei quali mi si fa conoscere come un padre, mentre chc li av\Trtimenti e le reprensioni che dirige alla mia anima,
quardo pecco, o quando sono tentato da qualche cattivo pensiero,
m’insegnano che il suo Spirito agisce in me per santificarmi. Io sono
il tempio nel quale egli insegna, avverte, e riprende. I suoi rimproveri non*\ìono un effetto della sua collera, ma della sua grazia,
quand’anche soffro, e la mia carne si ribella. E più volentieri mi lascerò riprendere, più ascolterò i suoi avvertimenti, e sarò attento a
lasciarmi guidare dal suo occhio in tutte le mie azioni, più io proverò che egli e i^er la mia anima il Consolatore, e possederò un vivo
sentimento della mia adozione.
Io sono il figlio e l’erede di Dio, liberato da ogni condanna, “ imperocché non cammino secondo la carne ma secondo lo .spirito : ”
nella speranza della mia gloriosa eredità, mi purifico di più in più,
di tutto quello che è carnale, e desidero divenire di gioi’no in giorno
e di ora in ora, più puro e più perfetto in ogni buona opera. Quando
Satana mi dice: Come potrai tu essere un figlio di Dio, mentre
sono in te toante sozzure, e che l’immagine di Dio è ancora imper-
5
professori Ja lui presi Ji mira per il cnnsegwinieTifo ilei puoi disegni- <( Si
« gnori miei, Jisso loro, l'autorità Kcclesiastica ed io, piamo di parere csr.rr
« giunto il momento, in eui conviene che vi dipartiate per un teiapo dalle vo« stre classi e vi rechiate in Toscana; se questo parere sari pure il vostro,
« andrete a stabilirvi a Firenze, dove spenderete più danaro che pot/ete nllo
« scopo d'imparare il più cho vi sarà fattibile in fatto d’italiano..... e poi,
« vedremo! » — Fu accettata la proposta, e coloro ai quali era stata fatta,
in numero di quattro (a questi ne tennero poi dietro degli altri), recaronsi
a Firenze, dove, mediante un lavoro ostinato di oltre sette mesi s'impossessarono abbastanza della lingua, da porsi in grado d'insegnarla, alla loro
volta, con qualche frutto, ai loro correligionari. E questo appunto si era
proposto il Generale; per cui, appena ebbero fatto ritorno alle \'alli, egli,
senza porre tempo in mezzo, chiama, n spese proprie, nel capo luogo, i
maschi tutti delle scuole parrocchiali, e, presentandogli ai professori, diventati i suoi ausiliari in quest’opera: « Signori, disse ».questi ultimi, il
« servigio che l'amministrazione della Chiesa ed io ci aspettiamo ora da
« voi, si 6 chc, durante i tre mesi chc seguiranno, voi partecipiate ai nostri
« ottimi maestri qui ritenuti il più che potrete di quanto, in fatto di lingua
« Italiana, acquistaste voi stessi, mediante la vostra dimora in Toscana ».
E così fu fatto; e principiando da quel giorno, da mattina a sera, per lo
spazio di tre mesi, ad altro non si attese che a lezioni di lingua Italiana,
date e ricevuta con tale un buon volere, che scorso quel tempo, potò l'insegnamento di tal lingua, nelle scuole primarie, ritenersi come assicurato.
Era stata posta con questa semplice misura la base di una trasformazione
profonda neH'esistenza e nell’avvenire della Chiesa Valdese, l’ostacolo chc,
non è molto, ergevasi gigante, a render impossibile l’opera di evangelizzazione della medesima in Italia, era quasi scomparso. Per altra parte le
libertà sancite collo statuto del 1847 si erano abbastanza consolidate perchè
una tal opera stimata chimerica alcuni anni addietro, ora si presentasse
con prospettive assai diverse. Il Generale, e con lui la Tavola, in allora
presieduta dal dottore Revel, attualmente professore in Firenze, se ne stavano aH’erta, corcando di scoprire, negli avvenimenti che succedevano,
il sogno venuto dall’alto, di cui abbisognavano per porsi risolutamente
aU'opcra. Scorse in questa aspettazione la maggior parte del 1850. Finalmente un dopo pranzo del mese di ottobre, il Generale si presenta nuovamente al Collegio, ed andando dritto ad uno dei professori, stati precedentemente mandati in Toscana « Mio caro M...., egli disse, senz’altro
preambolo, Revel ed io siamo di parere che lasciate lì la vostra classe, per
recarvi a Torino, a darvi principio all'opera che tutti sentiamo dover essere
omai la grande preoccupazione della Chiesa Valdese. Se voi accetterete io
pure vi verrò, ed Iddio ci mostrerà la via cho dovrem battere ». A questo
invito si collogano i primordi della Evangelizzazione della Chiesa Valdese
6
nella capitalo di'l regno. Soninianionto penosi cd apparentemente infruttuosi
furono questi principii. Per circa ü mesi dai 4 ai 5 uditori italiani fu quanto
venne fatto all’Evangclista di raccogliere intorno al suo pulpito. Ma il Generale gli stava accanto aiutandolo coi suoi consigli, sorreggendolo e facongli travvcdere giorni più lieti iu un non lontano avvenire. La sua fede non
l'ingannava punto. Su quel terreno così arido cominciarono alcuni germogli
a spuntare; cd il 10 novembre 1851 avea luogo una prima ammessionc
nella chiosa di alcuni Italiani convcrtiti, fra i quali l’avvocato Bonaventura
Slazzarella. Nel mattino di questo stesso giorno il Generale ■— col concorso
deiramministrazione della Chiesa Yaldcso, degli ambasciatori d’Inghilterra
e di Prussia, di parecchi altri distinti personaggi ed alla presenza di un
¡lubblico numeroso — posava la pietra angolare del tempio magnifico, attualmente uno degli ornamenti della nostra città, tempio del quale egli
stesso avea abbozzato la pianta, chc concorse grandemente la sua liberalità
ad innalzare o di cui sorvegliò tutti i lavori dal collocamento della prima
pietra fino alla consacrazione del medesimo chc avvenne verso il Natale
del 1853. Fu questo uno dei più bei giorni della vita del nostro caro Generalo. Ciò ch’egli aveva traveduto da lontano e contemplato coll’occhio
della fede si era, or ora, pienamente verificato. Una splendida testimonianza
ora stata resa aH’Evangolo, in seno alla capitale stessa dogli Stati Sardi cd
al cospetto di«n'cletta adunanza; chi potrebbe prevedere quanto un tale
avvenimento, comunque semplicissimo in sè stesso, si trarrebbe dietro di
conseguenze per l’avvenire religioso della Penisola?
Questo fu come il punto culminante della carriera riformatrice del Generale. Non già chc d’allora in poi egli siasi restato dairincoraggiare, e
colla parola o coH’opera i conati coi quali, altri si adoprarono a mandare
innanzi ciò ch’egli avea così gloriosamente incominciato. Ben all’opposto ;
egli non pago dei mezzi fin qui posti in opera, ricorse anche alla penna ; c
parto dei suoi lavori, in questo genere, sono due pubblicazioni, ambedue
pregevolissime, e da più tempo, intieramente esaurite, intitolate, la prima :
fìeg%ila jidci, e nella quale viene, con molta dottrina e dialettica stringente,
stabilita quale sia la vera Regola della Fede; e la seconda; Flora Apocali/ptica, compendio fatto con molto senno ed accuratezza, dall’opera classica
deWElliolt sull’argomento così arduo dell’Apocalisse. Tuttavia egli non
può negarsi che l’antica operositù, grado grado, sia andata scemando, a
segno di far supporre a taluni (che pur troppo ne traevano argomento di
gaudio) chc si fossero rilassati quei vincoli che, per tanti anni, aveano esistito, così potenti, tra la Chiesa Valdese e l’illustro suo benefattore. Ora
cotesti s’ingannavano a partito. L’antico affetto rimaneva intatto, sotto
questa apparente freddezza ; e si avvicinava il giorno in cui qualunque
dubbio, in proposito, sarebbe diventato impossibile.
Una grave malattia ]>osü a ?ran repentaglio, nel finire dol 1S55, la vit,”»
7
fcttíimcnte liflcltuta nella tua anima? “ lo f;li lispmulo,” Oliittiò! lo
uento, lo confesso, c me ne umilio davanti a Dio: ma io ilcsitlero fare
la sua volontà e lasciarmi lavare e purificare nei sangue di Cristo.
Quando contemplo la santità del Signore, io sento quanto sono lungi
dal rassomigliarlo, anclie imperfettamente. Ma la mia giustificazione, la mia si^cranza e la mia consolazione non riposano su quello
che può avervi di buono in me. Se riguardo all’opera della santificazione chc segue nel mio interno, è jK'r assicurarmi die la giazia
chc mi ha giustificato non vi dimora sterile. Dio che mi ha liberato
dalla schiavitù del peccato, i)cr credermi capace di odiarlo, mi ha
liberato puro dalla condanna che vi è inerente. Appunto i>erchè la
. mia santificazione è ancora imperfetta, che io non riguardo a lei per
la mia salvazione, ma che stogliendo i mici o<ichi da me, li fisso su
Cristo chc è la mia giustizia jiresso del Tadrc. È per (juesto che mi
tongo a Lui con la medesima forza che se l’opera della grazia non
fosse ancora cominciata in mo e non testimoniasse che io dimoro veramente iu Lui. È i>er Gesù che io sono salvato c pienamente riconciliato con Dio: è ai piedi della sua croce che cerco un refugio
contro le accuse del nemico. E lavato uel sangue del Salvatore, di
tutte le macchie e di tutte le sozzure, io ho parte all’amoi e di Dio per
causa di colui che mi ha redento. Rivestito della giustizia di Gesù,
sono davanti a Dio superiore alli angeli, imperocché Egli vede in
me il suo figlio stesso. E chi comprenderà mai tutta la estensione
<leH’amorc che il Padre porta al Figlio, e a causa di Lui, a tutti
quelli chc il figlio si è acquistati sulla croce?
LUTERO
(V. N. 5, 6, 7 e IS)
Lutero aU'UiiiveiRità di Vittcmborg.a. — Lavori c buon resultato. — ViapRÌ a
Roma. — II dottore in teologia. — Lutero e il Risorgimento. — Studi biblici. —
I mistici. — La giustificazione per la fode.
IV
L\itero obbedì all’ordine del suo supcriore. Senza minimamente
sosiHìttare la parte che occupava nel suo ntiovo posto, dette il suo
corso di filosofia meglio chc gli fu possibile, ma con utia certa repugnaTiza. Nel 1.509 scrisse al suo amico Braun : “ Eccomi a Vittemberga per volontà di Dio. Sto bene: li studi filosofici sono per me
nua sj)ina; avrei desiderato cangiarli in teologia, ma iu quelli di una
<col(igìa che scrutina tutto. Ma Dio, è Dio, l’uomo ben spesso s’iii-
8
gauna, anzi sempre ai inganna. Il Signore ù il nostro Dio, e ci condanna sinceramente per tuthi rcternità. ”
Il Professore deirUnivorsità vive parcamente, modestamente: la
celebrità alla quale ascoso, non portò quasi cambiamento alcuno alla
semplicità della sua vita.
Nel 1509, 8 Marzo, ebbe il grado di Baccelliere Biblico-, questo
titolo gli dette diritto di fare dei corsi di esegesi ( spiegazione, interpetrazione della Bibbia). La vivacità della sua parola, le feconde e
giudiziose applicazioni che faceva sulla Parola di Dio attirarono molti
uditori. Pu il primo baccelliere che spiegasse la Bibbia attenendosi
ai testi originali. La scolastica aveva immiserito li studi teologici.
Si faceva poco conto della dottrina di S. Paolo, e si innalzavano alle
stello le sottigliezze di S. Tommaso d’Aquino, e di Pietro Lombardo,
il famoso “ Maestro delle Sentenze ”.
Lutero fece altrimenti. Pose la Bibbia in pieno campo, e mostro
che la Parola di Dio, doveva essere al di sopra della parola deU’uomo.
Uno dei più sapienti suoi colleghi, il D. Pollioh di Mellerstadt, medico, dottore in teologìa, lo incoraggiava: “ lascia tutti quei dottori,
gli diceva, non dar retta a quello che dice la Chiesa, ma a quello
che c detto nella Scrittura. “ E rivolgendosi ad un suo amico gli diceva; ,, Questo frate, confonderà tutti i nostri dottori: diffonderà una
nuova dottrina, riformerà la Chiesa di Eoma, imperocché si appoggia ai profeti, alli Apostoli, alla parola di Gesù Cristo
Lutero non abbastanza forte nell’ebraico e nel greco, ora obbligato di studiare la Scrittura con l’aiuto dei Santi Padri, che gli offrivano belle e buone direzioni, ma che però non gli impedivano di
esclamare; “ La Scrittura deve essere la sola dominatrice e giudico
supremo; ” ed in questo concetto scendevano pure tutti coloro che assistevano alle suo lezioni.
Li studi biblici, unica condizione per il vero sviluppo della teologia cristiana, avevano avuto un possente impulso dai lavori di
licuclino, e d’Erasmo, illustri cajii del Eisorgimento Alemanno. Il
l>rimo profondo conoscitore della lingua ebraica, e reso famoso per
i suoi lavori sull’antico Testamento, e implicato nelle famoso dispute
con i Domenicani oscurantisti di Colonia, i quali, eccitati dal fanatico inquisitore lloogstraten, facevano alla scienza e al suo avanzamento una guerra accanita (1), ma furono messi in ridicolo nelle famose lettere di uomini oscm'i. Il secondo, una delle migliori teste
del Risorgimento, ma non potè divenire come Lutero, un eroe della
Riforma, per i suoi timori, jier le sue adulazioni ai grandi; non pertanto tutte lo suo o|)ero uìostrano cognizioni evangeliche positivo, c
fn- di gran soccorso a Lutero pui suoi bei lavori sul Nuovo Testamento.
(1) Anche lii Facoltà teologic;i di Parigi, lamcntiiva al rarlumonto lo Ktuilio del
greco eil ebraico, diceva «n frate mendicante : ci Si 'è inventata nna nuova lingua
elio bì chiama greca: guani ianioceue, è la madre «li tutte le eresie: veggo fra le mani
di molli uu libro in questa lingua, <’he chìiuiiano N. Testumcnio: è un libro pieno di
siiinc 0 serpenti. Quanto allii lin;;ua ebraica, è coifo. cUc tutti hulIIì che la imiialano. divengono ebrei.
9
Staupitz, uiviò Martino a Koma ()uul delegato deìli Agostiiuani
di Allemagua i>er aftiiri umministrativi dcH’ordinc (1510). La occasiono di vedere la città eterna, la capitalo del cattolicismo, la
santa città verso la quale erano rivolti tutti i peubieri della di lui
infanzia, fu gradita a Lutero. Non dimentichiamo clic egli è pcmpre figlio obbediente della santa sede, e cho lo sue idee evangeliche
non avevano ancora bandito dalla sua mente le monacali illusioni.
11 viaggio di Roma doveva potentemente contribuire a guarirlo
da queste illusioni; veduto da vicino il paese, c la sua religione,
Roma e i suoi preti, ritornandoli alla mente dico: “ Povero matto
chc io era; correva a tutte le chiese, a tutti i cimiteri, a tutte le
capix;llc, devotamente credendo tutte le storio che mi ei raccontavano. Ilo detto almeno dieci messe, di.si)iacente chc i mici genitori
vivessero, im[K5roccliò io avrei potuto con (juesto, e con le mie preghiere e buone o¡)cre, salvarli dallo iiene dol purgatorio. ”
Il Papa che regnava in quel tempo ora il belligero Giulio II: non
si occupava chc di politica e non immaginava chc batlaglie; i cardinali, erano tanti astuti diplomati, dotti mondani che non apprezzavano chc l’iatone, e Cicerone; leggere la Bibbia sartibbe stati) uu
guastare le loro orecchie abituate alla latinità classica. I loro costumi, le loro conversazioni da tutte le parti mostravano quale c
quanta era la corruzione che attorno a loro esisteva.
Nel suo viaggio Lutero fu scandalizzato, della ignoranza dei
preti, della loro vita dis.soluta, della ricchezza dei conventi. Vide
un frate del suo ordine cho in Venerdì mangiava la carne: esortatolo dolcemente a non trasgredire il precetto della Chiesa, ne ebbe
minacce della vita. Giunto a Roma alloggiò nel convento del suo
ordine presso la Porta del Popolo. Arrivato, ci racconta, alla santa
città, mi gettai in ginocchio, deposi il bastone da jiellcgrino, e inalzando lo mani al cielo dissi; “ Ti saluto, o Santa Koma, resti santa
dal sangue dei martiri e di tanti apostoli. ” Vedremo in seguito,
come la Santa Roma, Egli la chiamem la moderna Babilonia, il
luogo delle abominazioni.
Lutero stesso ci narra il suo schiomo a Roma, sentiamolo,“ lo
ora a Roma da jioco tempo, e vi aveva detto part'cchie messe: ne ho
vedute dir molte, ma non posso [wnsarci senza fremere. Fra le altre
infamie, raccontate a tavola da quei della corte papale, li intesi
vantarsi ridendo del modo con il quale si diceva la messa a Roma, e
più di un prete proferire sul pane e sul vino questo parole: Sei pane
c pano resterai, sei vino e vino resterai. Io era un giovane frate zelante, pietoso, e questi discorsi mi attristavano. Che cosa doveva
pensare? E che! diceva fra me, qui a Roma, nella santa città, e jx'rmesso ñire in pubblico tali discorsi! E che sarebb’egli so tutti, papa,
e cardinali dicessero tali mesSb! Ed io, che ne ho ascoltate tante
qual povero ingannato non sarei io! Non posso senza un profondo disgusto, rammentarmi la indecente prestezza con la quale i preti italiani recitavano il loro oilizio. Mostravano pivittosto fare una ciucchcrìa chc un atto grave c .serio, lo non era ancora all’Evangclio cd
10
il prete che accanto a me diceva la messa, aveva già finito, c mi diceva .spicciati, spicciati!
“ Quali magnificenze non ho io viste a Roma! Il papa tirato da cavalli riccamente bardati, lui che si chiama servo dei servi di Cristo;
il santo sacramento è portato innanzi a lui su di un cavallo bianco,
e nella comunione gli si presenta l’ostia in cima ad una lunga pertica per for risaltare la sua dignità. Vorrei che quelli che vogliono
farsi preti fossero stati a Roma onde conoscessero quello che si fa in
(¡nella città. Ilo sentito dire a molti della corte; è impossibile continuar così più a lungo; bisogna finirla. E il Papa diceva: Se non vogliani noi esser religiosi nou impediamo almeno li altri di esserlo: e
tutti asserivano: se esiste un inferno, Roma vi è fabbricata sopra,
Roma è stata la città santa, ma ora è divenutn la più orribile la più
infame. Chi è stato a Roma sa disgraziatamente che i mali sono
maggiori di quello cho si avrebbe potuto immaginare. ”
Dopo alcune settimane tornò a Vittemberga: molte illusioni
erano cadute, ma non tutte.
Riprese le sue lezioni e studi teologici sulla Parola di Dio, e
lo suo investigazioni si portavano su Ò. Girolamo, S. Agostino, S.
Bernardo; non sdegnava, nè metteva a parto li uomini della o(>jx)siaione clericale, Vicleffo e Giovanni IIus, nò i celebri dottori della
università di Parigi, Pietro Ailly, Clemanges, Gerson, nè i mistici
Wesel, Wessel, e Taalero. Si approfondiva nelle verità evangeliche,
e spandeva la luce chc ue emanava su tutti quelli chc accorrevano
ad ascoltarlo.
Gelosi i partitanti della scolastica dei frutti della nuova teologia,
mossero accuse contro Lutero all’Elettore, e alle autorità della Università e gridavano che introduceva innovazioni nell’insegnaraento,
e si allontanava dalle tradizioni della scuola. Si rispose, chc fino a
chc Lutero si atteneva alla Santa Scrittura, non poteva farglisi verun rimprovero.
li’Elettoro Federigo il Savio, uomo pio illuminato e grande amatore della Bibbia, si affezionò a Lutero, nc a]iprezzava il talento e lo
zelo. Senza attivamente mescolarsi nel movimento della Riforma,
nou vinc(jlava la libertà, c approvava tutti i cangiamenti conformi
alla parola di Dio. Lutero lo amava, ma non si curava dirgli la
verità nè su lui nò su la sua corte.
Li autori clic efficacemente contribuirono a consolidare Lutero
nelle suo convinzioni chc formano i principi fondamentali della Riforma, furono S. Agostino e Taulero, e l’anonimo autore del libro
„ La Teologia Alcmamui. „
S. Agostino il più gran genio teologico della Chiesa Latina, si era
convertito dopo una gioventù dissipata. La sua conversione improvvisa come quella di S. Paolo, divide'la sua vita in due ei>oche diametralmente opposte, che formano i due j)oli della sua teologia; il
|)occato e la grazia. 11 Vescovo d’Ippona si fa questa domanda; Che
debbo fare jier esser salvo? San Paolo e la di lui pro|>ria esperienza
gli rispondnno Tuumimi: ,, Gettarsi in braccio al Dio Salvatore, a
11
(Jesù Crint(). Per .sulvaie, Dio è tutto, Tnomo nulla: e questa consfgiicnza è ap]K)ggiata a tutto il Nuovo Testamento: Calvino, Lutero,
0 tutto il inotestautisnio oi todosso la accettarono. Pelagio, l’avversario di Agostino tenne altra teologia, clic ò [»enetrata nella Chiesa
Komana, sebbene essa lo neghi.
Come ¡S. Agostino, il ))roiessorc di Vittemberga, per vendicare la
cristiana umiltà contro l’orgoglio delia iiroi>ria giustizia, e per dare
gloria a Dio, accettò completamente la conso ante dottrina della
grazia, non no temè i jiericoli, c la difese con ammirabile costanza
per tutta la sua vita.
Giovanni Taulero, morto nel 13()1 a Sti'asburgo, il favorito mistico
di Lutero, fu dopo Agostino la stella polare che condusse il Eiforniatore nel mare niagnum della Teologia Mistica Alemanna, nella
quale si distinguevano per i lavori pubblicati, iSuzo, Gerson, Kempis,
(iroote, Euysbroek, Eckardt, e che giustamente si annoverano fra
1 riformatori avanti la Eiforma. Taulero aveva abbandonata la sci'lastica per cercare una teologia j)iù intima, c con i suoi trattati pratici, e sopratuttt) con lo suo fervorose predicazioni si eia acquistato
grande iuiluenza fra il poiwlo.
In una lettera scritta da Martino nel L510 a Spalatino, cancelliere
doirElettore, tii l'elogio di Taulero, e mostra la protenda influenza
che i di lui scritti procurarono nella niente dello studioso ]irofessore
di Vittemberga. Diceva: “ Se vuoi avere il ])iacere di studiare nella
,, lingua alemanna una teologia degna dei primi tempi della Chiesa,
„ leggi i Sermoni di Giovanni Taulero. Nò in latino, nò in ale„ manno, non ho mai trovata una teologia così sana, e conforme
„ all’Bvangelo. Io vi ho ricavato le più pure e sincere verità teolo„ gichc che in tutti i libri delli Bcolastici. ”
La via chc il pio Domenicano si era proposta di tracciare e seguire
era: imitare Gesù Cristo, camminare dietro a lui, contribuire alla
.salvazione delle anime, e confessare a Dio: egli era meravigliato dal
sentimento della presenza di Dio nelle suo creature.” Tutta la diife„ rcnzjv delle creature, diceva Taulero, consiste in questo, chc elleno
„ non hanno tutte, in egual grado, la coscienza, della loro divinità.
„ Dio ò presente nella pietra, nel legno, ma essi non lo .sanno. Se il
„ legno sapesse chc Dio ò vicino a lui, come lo sanno li angeli, sji„ rebbe felice come l’angiolo. È questa la ragione per la quale l’uomo
„ ò più felice del legno, perche confessa DÌo. ”
Nelle oj>ere di Taulero, Martino vi trovava ardito proposizioni :
contro la tirannia della santa sede vi leggeva: Siamo irritati contro
la scomunica del papa, pensando a tutte quelle anime chc muoiono
senza consolazione cristiana; ma bisogna piuttosto seguire la ]>arola
di Cristo e dei suoi ajwst^oli che le bolle dei J>api, con i loro fulmini
spesso «cagliati per mondane passioni. Ma queste parole, nel tenifio
clic rendevano ardito Lutero, o s[>avcntavano pur anche, e non fermavano la sua attenzione.
La Teoloijia Altmannn, opeia attribuita a un sapiente e pio sacerdote di Fraucofortc, fu la terza guida di Lutero nei suoi studi
12
teologici. “ Dopo la Bibbia e Sant’Agostiiio, ci dice, non ho letto
un libro nel quale io abbia appreso tanto, su Dio, Ci isto, l’uomo e
tutte le cose. Cho prezioso libro! Ringrazio Dio di potere leggere
nella lingua alemanna sì belle parole sul giudieio di Dio. Che Egli
voglia spargerlo per tutta la terra, e si v'cdrà che i teologi alemimni
sono i migliori.
E invero quel libro tenta ricondurre il cristianesimo dal macclunale esercizio delle pratiche esterne, al santuario della coscienza, c
alla vitii^libera e intima del cuore. La sua religione c tutta esperienza. È, impiegando una moderna espressione, l’individualismo
cristiano nolla sua maggioro espressione, non parlando solamente
di nn Cristo fuori di noi, ma di un Cristo con noi. 1 nostri lettori
no giudichino da jwr sò stessi leggendone i seguenti juissi :
“ Quale la perfetta cognizione di Dio ? 11 conoscerlo, sentirlo,
gustarlo, nel fondo dell’anima. Tutte le maraviglie della divina misericordia non mi salvano finche sono esteriormente a me: non
posso rallegrarmene chc sentendole nel mio cuore.
11 peccato 0 la salvazione, Adamo e Cristo, la caduta e la redenzione, formano la continua storia dell’umanità.
“ La ¡Scrittura e la nostra coscienza ci dicono chc il ¡seccato non
ò altra cosa cho l’allontanamento delle creature dalla inalterabile
sorgente di ogni bene, la ricerca deirimperfetto in luogo del perfetto, del me, deU’io, in luogo del Salvatore. Dio si c fatto uomo in
Gesù Cristo perchè l’uomo ritorni a Dio dal quale si ò staccato. Per
ctmverlirmi è necessario chc Dio venga a dimorare in mo, e allontani
dal mio cuore tutto quello che è contrario alla sua volontà e alla
sua parola. L’uomo deve unirsi di più in jàù con Dio. Una sola via
conduce a questa unione, Cristo. Per seguir Cristo bisogna abbandonar tutto, c restargli fedele nelle più grandi afHizioni, le quali sono
nelle sue mani mezzi per attirarci a lui. Il vecchio nomo non è cho
egoismo e disobbedienza, l’uomo nuovo che ha rivestito Cristo, ò
obbedienza e carità. Colui che è nato di nuovo e fratello di Cristo
e tiglio di Dio. Nou è cho la fede vivente in Cristo, che può operare
la conversione. La fede è infinitamente più potente che tutte le
oj)cro di penitenza imposte al di fuoii. Per conoscere veramente
Cristo, bisogna vivere della sua vita. II Cristianesimo è in ultima
analisi una vita in Cristo ”.
Tutto queste ideo si svilupparono nella mento di Lutero poichò
corrispondevano ai più intimi bisogni del suo cuore.
Stau))itz e i frati dell’ordine proposero a Lutero di prendere il
grado di dottore in Teologia: il di lui animo vi repugnava: })er
condurvelo bisognò rammentarli il giui-amento di obbedienza chc
aveva prestatct entrando in conveuto. Aderì: l’Elettore supplì alla
sposa occorrente, e il 18 Ottobre 1512 ricevè il grado di licenziato
in Teologia, il giorno dopo quello di Dottoro, da Carlostadio, il
(}uulo aveva già assaporato lo idee della riforma e nc fu uno dei più
validi sostegni. La cerimonia fu solenne e il giuramento prestato da
Lutero di difoudcie la religione di Cristo per il bene c la salvazione
13
delli uomini, si iiiiprcsec sì pvotbndamciilc nella sua coscienza, chc
noti gli uscì mai dalla mento, lo tnanleniic e vi restò sempre fedele,
e non camminò mai nella via dell’egoi.smo c della menzogna. “ Sa])piamo, scriveva nel ló-ll al cancelliere elettorale Ikiick, chc _ò |a
causa di Dio: ò lui che ci ha fatti sorgere, chc ci hn condotti iin
ijuì, saprà far trionfare la .sua causa. Già prima della lotta col pajni,
riteneva come un santo dovere chc mi imponeva il dottorato, servire la cristianità cou la Santa Scrittura, di combattere le false dottrine 0 difendere il puro Evangelo.
“ Coloro che incominciano un’opera senza vocazione, non possono riuscirvi: assomigliiino ai gamberi; Maio, D."" ilaitino, sono
stato chiamato al dottorato senza averlo ambito, ma per pura obbedieuza. Fui obbligato ad accettare il titolo di dottore in teologia, a pi estar giuramento alla cara e Santa Bibbia, a prometterò
d’insegnarla cou fedeltà e purezza.
*• Io ho ricevuto il titolo di dottoro o predicatore, e sono incaricato di vegliare aiìinchò nessuno sia sedotto: debbo un giorno
renderne conto al giudizio universale. Sono odiato da tutti, dal
pajia 0 dairimperatore o da tutti i loro partitanti. Spesso il diavolo
mi attacca domandandomi; Ferohò hai jtai'Iato conti'o i conventi?
vi ora pace, tu l’hai turbata! chi te lo ha ordinato? 1).^ Lutero,
tu non fai quello cho Dio ti ha ordinato, la causa non è tua, apjiartiene a Dio, ed è contro il tuo volere che sici stato legato da
un giuramento! ”
A fronte di tali formali e veridiche dichiarazioni, cho cosa si
devo pensare di coloro cho qualificano Lutero di eretico, imprudeuto, spergiuro, sottiirio ambizioso? Il confutarlo sarebb(' inutile
perdita di tempo, e il Riformatore forte nella sua santa vocazione
non retrocederà davanti ad alcuna potenza, si terrà unito fino alla
morto ai due principi fondamentali della Riforma , la giustificazione per la fede, e la suprema autorità della l’arola di Dio.
IL GENERALE BECKWJTIl
Torino, scl.icmhrc 1862
Carissimo signor Direttore
Jjiisoiatc, clic dopo avervi, molto inipcrfottarucntc abbozzato, in una
piiiiia lettera, ciò che, a prò dcH'istruzione, coi-i secondaria chc elementare,
couipiò, in seno alla Chiesa Valdese, l’uomo provvidenziale di cui ossa rimjiiangc tutt’ora la perdita, io — prescindendo da quanto egli fecc ancora,
cosi per il ri,stauro di parecchie chiese c prc^bitcrii, chc per il miglioramento degli ospedali, per il sollievo dei poveri, e la prospera riuscita di
14
qualsiasi iiu presa clic niiras.sc ad uno scopo di pubblica utilità -— mi faccia
a ragguagliarvi, alquanto iu disteso, della parte tutt’altro chc secondaria,
da lui avuta, iioiropera di cvaiigclizssazionc cui, fin dai piinii albori delle
nostre libertà, noi ci sentimmo prepotentemeute chiamati.
Per uissuuo meno che non per lui sopraggiunse inaspettata una tale
opera. Da molto tempo il suo sguardo indagatore l’avea travveduta; ed in
cima ai suoi pensieri fuvvi, fin dal principio, quello di preparare la Chiesa
nostra a farvi fronte, nel miglior modo possibile. Più di dicci anni prima
che scoppias.sero gli avvenimenti del 1847, i suoi discorsi, ucH’intimita,
erano pieni di parole che li presentivano ed in certa guisa li profetizzavano.
(Juando nel 1837, so nou erro, la città di Torino deliberò la costruzione a
jiropric spese di un cimitero per gli Evaugelici; « Ah, Ah, esclamò il Generale nell’udire siffatta notizia, si fa posto ai morti, ottima cosa! ciò vuol
dire chc tosto si farà posto anche ai vivi! » E non s’ingannava. S’avvici
nava infatti il momento iu cui, al pari dei morti avrebbero i vivi il loro
posto, altamcute riconosciuto, nella, capitale del regno Sardo, cd in cui egli
stesso — l'uomo di cui la benefica operosità aveva la torbida polizia di
quei tempi a tal segno insospettita, che venti volte era stala iu procinto di
spiccare contro di lui un ordine di sfratto, — non solo potrebbe proseguire
iu pace l’iutrapresa carriera, ma dal Monarca stesso avrebbe conferita la
croce dei Ss. Maurizio e Lazzaro « in attestato, stava scritto nel relativo
« dijiloma, dell'alta ammirazione da cui S. M. si sentiva compresa verso
« un jjcrsonaggio d’animo cotanto generoso che la sua persona e le sue so« stanze consacrava a sollievo dei miseri, a conforto degli infermi, a pro« movimento della istruzione elementare, con tanto nobile zelo e con tanta
« altezza di sentimento, che nello spandere le sue beneficenze, non guarda
li alla differenza di culti, ma al solo bisogno ch’ei prova di recare ajuto alla
« languente umanità ». — 11 diploma del quale ho trascritto il brano principale, porta la data dei 15 dicembre 1848. Fin daH'ottobre dello stesso
anno, il Generale si era accinto ad una impresa, la quale assai più di quanto
si era voluto rimeritare con questa distinzione, avrebbe fatto provare all’Italia i benefici eflFetti della sua caritatevole e cristiana operosità.
1 Valdesi, come ognun sa, comunque Italiani di origine e per geografica
posizione, da oltre due secoli — in seguito a circostanze chc non è quivi il
luogo di ricordare, ma anzitutto por effetto della dura oppressione cui soggiacevano 0 che li costituiva forestieri in seno alla patria stessa — erano
stati costretti a dipartirsi, grado grado, dalla nazionale favella e sostituirla
col Francese, Grande ostacolo (ognuno di leggeri lo comprende) al compimento della gran missione che stava per venir loro affidata! ma che il Generale , colla solita sua energia, si accinse a rimuovere. Un dopo pranzo,
all’ora iu cui gli scolai-i escou dalla classo, egli si presenta al Collegio, c
con quel tuono risoluto chc gli era i)roprio,’ indiriizaudoi.i a quelli fra i
15
o no
... ')Ua ...
Jol nostro l)Uon Cìoiicialc Ora ciò clic Jiiranto quelle lunghe c cupe settimane, egli maniicptasse di tenera pollccitudinc per la Chiesa di cui era
stato costante benefattore non può concepirsi, se non da coloro chc ebbero
benigno privilegio di esserne i testimoni cotidiani. Fin nel delirio, di essa
unicamente egli mostra quasi costantemente preoccupato; e secondo chc,
nel suo vaneggiare, egli la contemplava trionfante o schiacciata sotto il
poso di una lotta troppo ardua per essa, le sue parole esprimevano la più
lieta speranza, o la più dolorosa angoscia. Nelle Valli dove non si era nini
sentito, come in quella occasione, quale insigne benefattore stesse per venirci tolto, si pregava per lui.
E quando Iddio porgendo ascolto a quelle preghiere l’ebbe restituito ni
no.'’-tro affetto, eoncertaronsi, tra di loro quanti sapevano scrivere, pastori,
maestri, gli anziani delle gregge, le gregge stesso, uomini e donne, e per
fino i bambini delle scuole, per offrire al Generale un’.<-l/i)!/»)!, portando,
airesterno, lo suo iniziali stupendamente ricamate in oro, e capendo nel
l'interno, sotto milleforme e con mille caratteri diversi, l’espressione di un
medesimo sentimento: di vivo affetto per la di lui persona, e di profonda
gratitudine a Dio chc co l'aveva conservato. La risposta che fece il Generalo a quest’offerta ò quanto mai si possa dire di commovente. « Io prego,
<t diceva egli terminando, pel bene dell’intiera popolazione Valdese, e pongo
« in calce di questo mio scritto una firma che non verrà da esser dimenti« cata, io ne sono certo, molto tempo dopo che colui che la porta, sarà
li stato deposto nel suo sepolcro ».
Confacendosi meno chc mai, il clima d’Italia, alla sua salute rimasta
gravemente offesa da questa malattia, il Generale, dopo circa tre settimane,
spese a prendere commiato dai suoi amici delle Valli, si determinò a valicare nuovamente lo Alpi. Accompagnato dalla giovane sua sposa — Valdese essa pure, e di cui il tenero affetto e la devozione senza pari, sparsero
negli ultimi suoi anni tale una dolcezza, che scrivendo di essa agli amici,
era solito chiamarla; « la mia benedizione di moglie » — egli si recò primieramente a Parigi e dopo due anni a Calais, da dove non fece ritorno
alle Valli che nella primavera del 1861.
Quando a quel!epoca, fu visto tornare, pallido, affranto, non mono di
niente che di corpo, ognuno, con somma tristizia, disse tra sè e sè, chc il
Padre non facca ritorno in seno della famiglia che per morirvi. Ma sia
effetto dol cambiamento d’aria, sia per il conforto ch’ei provò nel trovarsi
nuovamente in mezzo a quel popolo che avea sempre tanto amato e che
alla sua volta non lasciava scorrere occasiono di manifestargli la gioia e la
gratitudine di cui si sentiva compreso per il suo ritorno — a capo di poche
settimane verificossi in tutto il suo essere, un cambiamento tale, chc infiltrossi nuovamente nei cuori la speranza di conservarlo, per più anni ancora.
Ingannevole speranza, però' Fino dalla prima sera del li<()2 un catarro
16
ostinato cui tenne Jictro una generale proFtvn^.iono Ji fovjo; accompagnata
da sonnolenza ognor più profonda, diedero a divedere in tutti il timore che
fo.SRo qucH'esistenza tanto preziosa assai vicina al suo termine. Egli pure
così opinava; per cui ai modici chc lo curarono (e con quale sollecitudine,
ognuno può Supporlo!) egli rivolse più volte la preghiera di non tormentarlo inutilmente, essendo giunta per lui l’ora di lasciare questo mondo per
andarsene al Padre. La di lui morte che avvenne il 10 luglio fu quella del
cristiano chc tutta la sua fiducia ha riposta in Gesù Cristo. La notizia di
sì luttuoso avvenimento quantunque preveduta, venne ovunque nelle Valli
accolta, con rammarico misto a profondo stupore. A'i sono di quelle vite di
cui stentiamo a persuaderci chc possano venirci tolte ! Durante un’intiera
giornata la sala dove vennero lo venerate sue spoglie esposte agli sguardi del
pubblico, non cessò daU'cssere piena zeppa di gente, che tacita e commossa
recavasi a contemplare una volta ancora le amate sembianze di chi per
tanti anni gli era apparso come un mandato da Dio per beneficarla. Il
giorno dcH’esequie era tale la folla che molto prima dell’ora stabilita,
avea invaso il cimitero di Torre, che stentò il funebre convoglio a giungere
fino alla fossa, dove venne il corpo disceso, e dove ei riposa fino all’ora solenne iu cui quel Signore ch’cgli ha cosi fedelmente serrilo, e nella di
cui grazia egli unicamente confidava, lo risusciterà insieme a quanti sperarono nel suo avvenimento. A presiedere alla funebre cerimonia era stato
invitato il sig. Professore Giovanni Kével che all’onorato incarico adempiè
con quella solenne semplicità e schiettezza, proprio dol suo carattere c del
Generale, quando ci scriveva, così sommamente gradito.
La Tavola Valdese, nel trasmettere alle Chiese la notizia dì sì infausto
avvenimento, invitava tutti a testimoniare a mezzo di un lutto rigoroso di
15 giorni, come sentissero che « un’Monto forte cnduio era in Israele; » cd il
15 di agosto, nella festa chc da gran parte della popolazione Valdese vuole
celebrarsi, ogni anno, in sui monti, il toma che da quasi tutti gli oratori
venne svolto più o n)eno diffusamente, al cospetto delle migliaia di persone
ivi raccolte, fu quello della perdita umanamente irrimediabile che nella,
persona del generale Beckwith era toccata alla Chiesa Valdese, o deH’obbligo imposto a ciascun membro di es.sa di proseguire, in quel modo migliore che gli verrebbe dato, a seconda della sua condizione, l’opera santa
e gloriosa iniziata da un tant’uomo.
Gradite sig. Direttore ecc.
LEoroLBO Tinelli gerente
t'[liE\ZE - Tipoirraiia CLAUDIANA, ilircttii iln RnfTatlc Tioinlictta.