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Anno 114 - N. 43
27 ottobre 1978 - L. 200
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1° Gruppo bis/70
BIBLìCTzCA V^r
10066 tome PeÌlTce
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
ANALISI DEL PRIMO DISCORSO UFFICIALE DI GIOVANNI PAOLO II
Il programma papale
La chiara spinta verso l’esecuzione delle decisioni conciliari
nel quadro della tradizionale struttura gerarchica cattolica
« Quello che ora sappiamo è
che il Concilio si porrà in modo
nuovo come compito alla Chiesa. I papi italiani hanno ininterrottamente accompagnato l’età
della Controriforma, ma ora
l’età della Controriforma è finita. Per questo, dalla più crocifissa delle terre cattoliche, ci viene il papa della speranza ». Questa frase conclusiva dell’articolo
di Baget Bozzo (dal titolo significativo: « Questa volta ha vinto il Concilio »), apparso su La
Repubblica del 17.10, può essere
presa come sintesi delle valutazioni (e speranze) espresse dalla
maggior parte dei commenti apparsi sui nostri quotidiani a seguito dell’elezione del nuovo papa. Sembra in effetti che l’elezione di Karol Wojtyla non possa essere considerata un secondo tentativo (dopo l’elezione di
Giovanni Paolo I) di aggirare la
tensione di fondo presente nel
collegio cardinalizio. Essa si configura invece come un prevalere
deH’ala conciliare sull’ala più
conservatrice pur con la rinuncia ad un papa italiano e con la
garanzia data dall'intransigenza e dalla forza del cattolicesimo polacco.
Che Giovanni Paolo II si collochi nella linea di una coerente
applicazione del Concilio Vaticano II emerge già dalla sua
biografia, fino a ieri sconosciuta
ai più, dalla parte attiva da lui
svolta non solo al tempo del
Concilio, ma anche in seguito,
come figura preminente del Sinodo dei Vescovi, membro — tra
i più votati dai colleghi — del
consiglio permanente del Sinodo stesso. Ma ancor più risulta
dalla prima parte del discorso
programmatico che egli ha pronunciato il giorno dopo reiezione.
La collegialità,
centro di interesse
Questa prima parte del discorso — che pare sia stato scritto
intéramente dal nuovo papa e
che comunque appare estremamente calibrato — si presenta
come una serie concentrica di
cerchi che dalla periferia raggiunge gradatamente ciò che
sembra essere il centro di interesse di papa Wojtyla per ciò
che concerne il suo programma.
Si parte dal cerchio più ampio
e generico di una riaffermazione
del programma di Giovanni
Paolo I, per poi specificare la
« permanente importanza del
Concilio Vaticano II » e il « compito primario » di attuarne norme e orientamenti. Dall’insieme
del Concilio, l’attenzione viene
poi diretta in particolare su una
delle linee che lo compongono,
quella che riguarda la dottrina
della chiesa contenuta nella Costituzione dogmatica Lumen
Gentium di cui vengono richiamati brevemente i principi fondamentali. Il cerchio successivo
mette in primo piano uno di
questi principi, raccomandato in
particolare, e cioè il « vincolo
collegiale che intimamente associa i Vescovi al Successore di
Pietro e tra tutti loro ». Ed infine, all’interno di tale collegialità, viene menzionato il Sinodo
dei Vescovi, istituito dalla « grande mente di Paolo VI », organismo che ha già dato « qualificati e preziosi frutti ».
Se questa raffigurazione inter
preta rettamente il discorso del
nuovo papa, è allora il Sinodo
dei Vescovi il sasso lanciato, attorno a cui si muovono i cerchi
concentrici di un’acqua cattolica non più stagnante? È soprattutto in questa direzione che dovremo attenderci le novità a cui
si allude quando si parla non
solo di « esecuzione » del Concilio ma anche di « rendere esplicito... ciò che in esso è implicito »?
Credo non sia azzardato — in
base almeno alle prime impressioni — rispondere affermativamente a queste domande. Ma
chi fosse indotto da questi accenni — peraltro ancora piuttosto generali — ad aspettarsi
chissà quali rivolgimenti nella
struttura della Chiesa cattolica,
farà bene a non trascurare la
seconda parte del discorso.
Fedeltà alla missione
e sottomissione
gerarchica
Anche la seconda parte può
essere rappresentata con l’immagine dei cerchi concentrici;
ma mentre nella prima si convergeva dalla periferia verso il
centro della probabile parte innovativa del programma, nella
seconda parte una serie di onde
dal centro si ripercuotono fino
all’estrema periferia. E il movimento non è più dato dall’interesse per la parte innovativa del
programma, bensì dal suo ancoraggio tradizionale. Al centro
infatti non sta più il collegio
Papa Wojtyla ha
rimesso in primo
piano
il Vaticano IL
Nella foto
l’apertura
del Concilio
VII ottobre 1962
dei Vescovi e il suo organo, il
Sinodo (realtà che in questa
parte seconda non sono più nemmeno menzionate), ma compare
il papato. Di qui, per gradi successivi si passa alla gerarchia,
ai fedeli, ai « fratelli delle altre
Chiese e confessioni cristiane »,
fino ad arrivare alla estrema P&;
riferia, è cioè « tutti 'gii uòmini
che, come figli dell’unico Dio onnipotente, sono nostri fratelli da
amare e da servire ».
L’onda che si ripercuote dal
centro all’estrema periferia è
quella della « fedeltà globale alla missione che abbiamo ricevuto ». Tale fedeltà significa via
via cose diverse: per il papa
stesso significa conservare intatto il depòsito della fede e
cioè le consegne ricevute da Cristo; significa poi « adesione convinta al Magistero di Pietro spe
cialmente nel campo dottrinale »
(un invito che mi pare diretto
al cerchio successivo e cioè all’episcopato, anche se non è
esplicitamente menzionato), « rispetto per le norme liturgiche
che esclude sia gli arbitri di incontrollate innovazioni, sia gli
ostinati rigetti di ciò che è stato
legittimamente previsto e introdotto nei sacri riti » (Lefebvre?)
e « culto della grande disciplina
della Chiesa »; significa inoltre
— evidentemente per il clero
« corrispondenza gioiosa alle esigenze della vocazione sacerdotale e religiosa» (celibato dei preti?); per i fedeli — questi esplicitamente menzionati — significa senza molti giri di parole
Franco Giampiccoli
{continua a pag. 4)
OSPEDALI: UNA QUESTIONE SERIA MA ANCHE DRAMMATIZZATA
SoiYerenza e insofferenza
Durante le ultime settimane,
stampa e televisione hanno dato
notevole spazio alle notizie riguardanti lo sciopero del personale ospedaliero paramedico.
Questo sciopero, per ora limitato ad alcune Regioni, ma che
minaccia di estendersi, suscita
gravi preoccupazioni nella popolazione che, sentendosi colpita in
uno dei suoi primari diritti, si
chiede perché si è giunti a questo punto di rottura e, soprattutto, come sarà possibile uscirne.
Su questo scottante problema
abbiamo voluto ascoltare l’opinione di un medico evangelico;
il dott. Daniele Rochat, per lunghi anni medico ospedaliero, ha
risposto ad alcune nostre domande.
— Quali sono le motivazioni di
questo sciopero?
— La motivazione ultima che
ha fatto scattare la molla degli
scioperi è stata la protesta di
una parte del personale paramedico (infermieri, tecnici, addetti
ai servizi) contro i contenuti del
contratto nazionale per il personale ospedaliero, rinnovato con
gravissimo ritardo il 5 ottobre
U.S.; protesta e delusione per gli
aspetti tanto normativi che economici del contratto stesso, mettendo sotto accusa non solo il
Governò, ma anche la stessa
confederazione sindacale ospedaliera, colpevole di avere ceduto
troppo passivamente alle pressioni della controparte e senza
una esauriente consultazione della base sindacale.
La protesta ospedaliera, a livello regionale, ha ottenuto una
rapida soddisfazione nel Veneto
dove, appena due giorni dopo la
firma del contratto, è stato ottenuto un aumento stipendiale sotto forma di « indennità per istruzione professionale ». Sulla scia
di quanto avvenuto nel Veneto
un movimento autonomo rivendicativo ha preso rapidamente
spazio e forza e gli scioperi si
sono moltiplicati, sfuggendo alla
disciplina e al controllo sindacale.
Ho parlato di motivazione
« ultima » degli attuali scioperi.
Se infatti vi è una percentuale di
ospedalieri interessati solo a miglioramenti economici, c’è anche,
nella maggior parte di essi, una
accumulata carica di insofferenza e di delusicme per il ruolo di
« sottoproletari » nella lunga scala gerarchica ospedaliera. Il nuovo contratto è nettamente regressivo rispetto al precedente e
nessun incentivo od incoraggiamento è rimasto per sopportare
un lavoro mal pagato, mal considerato e svolto molto spesso in
condizioni ambientali penose.
— Non ritiene che questa vertenza, comunque giudicabile,
coinvolga e danneggi ingiustamente i ricoverati?
E’ induibbio che i meno colpevoli sono gli ammalati e che sono proprio loro a subire i disagi
di questi scioperi. Ma c’è anche
chi è interessato a drammatizzare. Nei vari scioperi cui ho
partecipato come ospedaliero,
l’assistenza indispensabile non è
mai mancata; limite, questo a
mio parere invEilìcabile, all'efficacia di uno sciopero in ospedale, a differenza di quelli messi in
atto in altri servizi pubblici. Disagi degli ammalati sì, certamente e timori angosciosi di poter
mancare della assistenza. Ma
quante carenze in tanti ospedali
anche in fase « tranquilla », carenze così facilmente rilevate
dalla particolare sensibilità delrammalato!
Il vero problema, a mio parere, è che una efficiente assistenza, rm rapporto di fiducia tra
personale e degente, una serenità di rapporti e di responsabilizzazione tra tutto il personale di
.assistenza debbono essere opera
di ogni giorno, seguendo un'etica professionale che non dovrebbe essere messa in crisi sotto il
Intervista a cura
di Dino Ciesch
(continua a pag. 4)
cosa crede
la chiesa
valdese?
Crede in un solo Dio, Padre e
creatore di tutti gli uomini e di
tutte le cose.
In Gesù Cristo, suo Figlio,
morto e risuscitato per liberare
gli uomini dal peccato e dalla
morte.
Nello Spirito Santo, che è la
potenza di Dio operante in quelli che credono in Lui.
Crede che l’autorità della Chiesa non stia nel magistero infallibile del papa, ma nel vivente
Signore, che va adorato « in
(spirito e verità », cioè secondo
la guida dello Spirito Santo ed
in conformità alla Parola di Dio.
Non rende culto né a Maria
né ai Santi né agli angeli, perché Gesù ha detto: « Adora il Signore Iddio tuo e a Lui solo
rendi il tuo culto ». Non crede
che esistano il purgatorio e il
limbo, non celebra messe di suffragio e non venera reliquie.
La Chiesa sono quelli che confessano Gesù Cristo come il vivente Signore del mondo e si
impegnano ad essere testimoni
della sua resurrezione. La Chiesa ha dunque un valore strumentale. Non vale perché esiste,
perché è grande e potente, ma
se e in quanto è strumento di
servizio nelle mani del Signore
per la salvezza, la liberazione
degli uomini.
La Chiesa non è un’istituzione,
non ha struttura gerarchica, non
ha né basi né vertici. Uno solo
è il suo vertice: Gesù Cristo, capo, maestro, Signore. E tutti i
credenti sono fratelli gli uni degli altri, senza distinzione fra
clero e laici. Poiché con la sua
morte in croce Gesù Cristo ha
compiuto il definitivo e irripetibile sacrificio, la Chiesa non ha
bisogno di una classe di sacerdoti.
Certo, la Chiesa ha delle strutture, dei responsabili. Ma questi sono continuamente sottoposti al controllo della comunità
sul loro operato.
Missione della Chiesa è l’annuncio della salvezza. Essa non
si ottiene con le buone opere,
ma per la grazia di Dio ricevuta
nella fede. Essa non va intesa
essenzialmente come una sicurezza per l’aldilà, dopo la morte, ma come il dono che Dio ci
fa di vivere qui ed ora non secondo gli schemi e la mentalità
correnti, ma secondo la Sua Parola.
La Chiesa Valdese si sente
perciò impegnata a collaborare
con tutti i movimenti e le forze
che militano in favore degli uomini, per il loro riscatto da ogni
forma di oppressione e di schiavitù.
Rifiutiamo ogni forma di privilegio.
Ci sentiamo impegnati ad opporci allo sfruttamento e alle
prepotenze dell’uomo sull’uomo,
a livello di singoli, di popoli, di
chiese e di società.
Lottare per ogni forma di libertà umana non esaurisce certo la nostra vocazione cristiana,
ma riteniamo sia l’unica indicazione oggi comprensibile che
possiamo dare dell’opera di Cristo, il quale, liberando gli uomini dal peccato, li ha resi fratelli
gli uni degli altri.
(A cura della Chiesa Valdese di Taranto e Brindisi; v(y
lantino distribuito a Brindisi durante una giornata di
evangelizzazione - vedi servizio a p. 2).
2
27 ottobre 1978
CONNESSA ALL’ASSEMBLEA DEL 14<> CIRCUITO
A Brindisi una giornata
di evangelizzazione
Domenica 8 ottobre si è svolta a Brindisi, airindomani della
assemblea del XIV circuito delle
cWese valdesi e metodiste, una
giornata di evangelizzazione, alla quale hanno preso parte fratelli di tutte le nostre chiese della Puglia, intervenuti più o meno numerosi, con le macchine
o addirittura noleggiando un
pullman (Cerignola - Corato).
Molto forte la presenza dei giovani.
Per tre ore, la mattina, siamo
stati tutti in piazza; banco di
esposizione (e -vendita) dì libri
della Claudiana, nonché di Bibbie e Nuovi Testamenti; pannelli appesi agli alberi, con versetti
biblici centrati sul problema della libertà, con notizie storiche e
dottrinali sulla chiesa valdese.
Abbiamo distribuito circa 400
copie dell’evangelo di Giovanni,
parecchie copie de « La Luce »,
migliaia di volantini, sui quali
era presentata la fede della nostra chiesa. Si trattava degli
stessi volantini preparati e distribuiti a Taranto, nella primavera dell’anno scorso, in occasione di analoga manifestazione.
Dai bambini fino agli anziani, tutti hanno gioiosamente collaborato a questa esperienza di
contatto diretto con la gente,
che per noi valdesi e metodisti
rappresenta al tempo stesso,
forse, un lontano ricordo e una
assoluta novità.
Abbiamo avuto diverse possibilità di colloquio (e anche di
scontro) con persone di varie
estrazione e mentalità, dai cattolici più conservatori ai mormoni. Questo è stato l’aspetto
più interessante della manifestazione, anche se sarebbe ingenuo
pensare che ne debba nascere
automaticamente un ingrossa
mento delle nostre fila.
Lasciata la piazza, l’azione si
è spostata all’intemo della chiesa dove, dopo il pranzo in comune e la Santa cena, alle ore
17 il programma si è concluso
— presenti quasi tutti i nostri e
pochissini estranei — con una
conferenza su « L’impegno del
credente al servizio della libertà», tenuta dal past. S.^ Ricciardi. Questi, precisato che parlare di impegno « del credente »
non significa affermare che « la
chiesa » può nascondersi dietro
le iniziative dei singoli per paura di compromettere il suo prestigio, ha abbozzato un quadro
della situazione in cui il nostro
servizio va reso; situazione pesantemente condizionata dal cattolicesimo, il quale, con manifestazioni tipo l’ostensione della
sindone e i conclavi sapientemente orchestrati, gioca abilmente e con successo a ricuperare il consenso intorno ad un
sistema che esso stesso ha creato e mantiene, coi risvolti sociopolitici che tutti abbiamo modo
di conoscere.
Come si pone la chiesa di
fronte a questa situazione, quale
testimone della libertà? E qui è
venuta semplicemente l’analisi
dei deliberati dei Sinodi valdesi
degli ultimi 20 anni su problemi
quali ; la responsabilità della
chiesa anche a livello locale di
fronte a una società in crisi; il
nostro rapporto col cattolicesimo ufficiale e quello del dissenso; il problema della libertà religiosa (da considerarsi solo un
aspetto della libertà senza aggettivi); la nostra impostazione
del rapporto chiesa-stato; l’obiezione di coscienza ; i problemi
della famiglia (divorzio, aborto, ecc.).
Questo per evitare di presentarsi agli estranei sulla base di
teorie o di ideali, ma di decisioni precise e ufficiali ; e anche per
ricordare alla .chiesa che la sua
massima assemblea deliberante,
il Sinodo, non si occupa solo di
amministrazione e di regolamenti.
Alle 19, ciascuno ha ripreso la
via di casa, lasciando i pochi fratelli di Brindisi nella gioia per
una giornata diversa e nella confortante consapevolezza di non
essere soli. Assunta Menna
Con una preghiera di intercessione per la giornata di evangelizzazione che si sarebbe svolta
il giorno dopo, si è conclusa a
Brindisi il 7 ottobre l’Assemblea
del circuito che ha visto la partecipazione di una quindicina di
delegati tra cui, per la prima
volta, dei rappresentanti battisti.
L’assemblea si è soffermata in
particolare sul problema della
diaspora, raccomandando alle
singole chiese la solidarietà con
i fratelli isolati. Sul problema
dell’aborto l’Assemblea ha fatto
proprio il documento sinodale
e ha invitato le chiese ad adoperarsi nelle diverse situazioni
affinché la legge non sia bloccata da ostacoli speciosi e perché
le donne siano messe in condizione di servirsi di consultori a
gestione pubblica. Un invito alle
chiese è stato anche rivolto per
la diffusione deH’Eco-Luce, riconosciuto come strumento di formazione e informazione per i
singoli e le chiese.
L’elezione dei membri del Consiglio dì circuito ha chiamato a
questo servizio O. Lupi, sovrintendente, E. Nigro, P. Carri e
A. Menna.
INCONTRO A WALDENSBERG
Discendenti dei Valdesi
PROTESTANTESIMO IN TV
Sono state scelte come introduzione a « Il problema di Dio »,
trasmesso a Protestantesimo lunedi 16 ottobre, due letture che riporterò solo parzialmente. Una è
stata tratta dalle « Ultime lettere
da Stalingrado », l’altra da « Lettere ai condannati a morte della
Resistenza italiana ». Nella prima
un soldato tedesco, figlio di pastore, trovatosi coinvolto con il suo
reparto nella spaventosa battaglia
di Stalingrado, confida al padre
con grande amarezza una sua ultima riflessione: «...Porre il problema dell’esistenza di Dio a Stalingrado, significa negarlo... Ho
cercato Dio in ogni fossa, in ogni
angolo, in ogni mio camerata... No,
tori non hanno potuto ascoltare
qualche intervista in più fatta ai
ragazzi, ciò avrebbe permesso loro
di farsi un’idea più ampia sugli
interrogativi del gruppo e soprattutto sul modo di esprimerli comunitariamente.
I ragazzi credenti e non credenti hanno comunque espresso con
chiarezza di essere stati bene insieme e di aver potuto dibattere con
franchezza, hanno inoltre con altrettanta franchezza detto che ad
alcune domande non hanno saputo dare risposte. Il campo ha poi
affrontato il problema « Rapporto
tra impegno politico e fede ».
II discorso su Dio sembra non
acquistare concretezza quando non
Dio esiste ?
padre, non c’è nessun Dio ». Invece il partigiano valdese Renato
Peyrot, poco prima di morire, scrive alla sorella : c< ... Ho pregato a
lungo Dio e gli ho detto con convinzione : la tua volontà sia fatta
in terra come in cielo ».
Ecco dunque due risposte diverse allo stesso interrogativo sul problema dell’esistenza di Dio, che è
al tempo stesso antico e attuale in
quanto anche oggi ci viene riproposto e con nuovi interrogativi.
Anche ad un campo estivo al
centro ecumenico di Agape quest’anno un gruppo di circa sessanta ragazzi tra i 13 ed i 16 anni ha
proposto spontaneamente questo
tema. Questo gruppo, che era composto da ragazzi credenti evangelici e cattolici e da non credenti,
ha vissuto un’esperienza singolare :
ad esempio il campo non è stato
diretto culturalmente in maniera
autoritaria, inoltre essi si sono
espressi e interrogati reciprocamente e sono stati aiutati nella ricerca da studiosi in teologia poco
più anziani di loro.
E’ stato ricordato giustamente
che questa esperienza di Agape ha
conciliato per questi ragazzi sia
l’esigenza di approfondire questo
tema che l’esigenza di impegnarsi
seriamente in una metodologia di
ricerca culturale.
Purtroppo, forse per la breve durata della trasmissione, i telespetta
si pensa a un Dio in Gesù Cristo,
a un Dio che ha incontrato l’uomo,
e quindi quando non si pensa a un
Dio nella nostra storia. Per questo motivo il pastore Eugenio Rivoir dovendo rispondere alla domanda « Dìo c’è? oppure Dìo non
c’è? » ha ricordato in primo luogo
una lettura di Amos cap. 8: 11, in
cui il profeta ci mette in guardia
e dice che quando tra gli uomini
si parla di Dio non sempre Dio
viene presentato; in secondo luogo
ha ricordato che per una risposta
concreta a questa domanda dobbiamo riferirci al contesto storico
in cui viene fatta. A questo punto vengono ricordate le risposte
diverse date dai due soldati nelle
lettere sopra menzionate e si rammenta che sono entrambi di fronte
alla morte, ma mentre il partigiano sembra trovare un senso in Dio
per la propria morte, l’altro sottintende amaramente che la chiesa
non ha saputo rispondere concretamento al contesto storico e si è
espressa soltanto «. nelle pie parole
dei preti e dei pastori, nel suono
delle campane e nel profumo dell’incenso ».
Concludendo, il pastore Eugenio
Rivoir ha insistito che non si può
parlare in astratto di questo problema e che al di fuori deU’impegno e di chiare risposte non si può
parlare di Dio.
Carla Negri Adamo
I discendenti dei Valdesi che
tra il 1686 e il 1687 e poi nel 1699
erano stati costretti dalla persecuzione a lasciare le Valli e avevano trovato rifugio in Germania — nel Baden, nel Württemberg, neirAssia-Nassau e altrove — ogni anno organizzano un
incontro in uno dei villaggi di
antica tradizione valdese.
Quest’anno rincontro è avvenuto a Waldensberg, un villaggio di circa 400 abitanti, oggi un
quartiere di Wächtersbach, Waldensberg è uno dei luoghi ove
trovarono rifugio nel 1699 gli
esuli provenienti dal Pragelato.
Durante l'ultima guerra (nel
1945) il villaggio è stato quasi
completamente distrutto nei combattimenti tra tedeschi ed americani; una gran parte dei documenti del passato andarono bruciati, è rimasto però indenne il
più antico registro di chiesa con
le date dei battesimi, matrimoni
e funerali comprendente gli anni
1699-1732.
Qual è l'origine del nome del
villaggio di Waldensberg?. Si
narra, che il conte I^erdinando
Massimiliano von Isenburg, signore di Wächtersbach, ben disposto ad accogliere i profughi
valdesi, vedeffidoh giungere dalle
pendici della montagna, avrebbe
escUwfnato: « Ecco i miei Valdesi! ». Di qui il nome di Waldensberg; una volta Valdensberg:
montagna- dei Valdesi.
L’incontro di
Waldensberg
Invitati a partecipare alla festa annuale dei Valdesi, siamo
giunti, mio marito ed io, a Waldensberg. Alla stazione ci accoglie il pastore locale Grefe; non
era difficile riconoscere la sua
automobile, poiché ben in vista
v’era una croce ugonotta.
Entrando nel villaggio, nei
pressi della Chiesa, scorgiamo
subito gruppi di giovani ed intere famiglie in attesa di accoglie
re i molti ospiti che giungeranno in numerosi pullman dalle
più diverse parrocchie di origine
valdese. Già al momento dei saluti si può notare quanti nomi valdesi siano ancora rimasti;
testirnonianza ancora oggi della
presenza valdese in Germania.
Due grandi stendardi con lo
stemma valdese,' dipinto a mano, sono collocati vicino al tempio, mossi dal vento della sera.
Siamo proprio in un villaggio
valdese! Le due strade che fiancheggiano la chiesa portano questi nomi: Bonnet-strasse e Arnaud-Strasse.
Ad un lato del tempio, sulla
strada principale, è ben in vista
un masso di pietra con una targa commemoxajiva; questa è
riscrizione (in lingua tedesca):
« Il 26 agosto 1699, gli esuli
valdesi per motivi di fede, provenienti dai villaggi francesi di
Mentoules e di Usseaux, qui
vennero accolti dal conte Ferdinando Massimiliano e fondarono la colonia di Waldensberg ».
Al di sotto di questa iscrizione si
trova il motto valdese: « Lux
lucet in tenebris ». Si dice che i
valdesi, quando giunsero a Waldensberg — dopo tante sofferenze — avessero come motto
« Post tenebras, lux ».
L'incontro ufficiale ha inizio,
la sera, nel tempio; sembra proprio di trovarci in un antico
tempio delle valli, sia per la semplicità del luogo, come pure per
il grande stemma valdese dipinto sul muro.
In una nicchia, su una parete,
si trova questa iscrizione:
« 1699, fondata
1945, bruciata
1949, ricostruita
SOLI DEO GLORIA »
Il programma è stato semplice:
messaggi, canto, esposizione storica, diapositive delle valli.
Al culto della domenica mattina, ha predicato il vescovo della chiesa evangelica di Kurhessen- Waldeck, dr. Jung. La chiesa è gremita ed è con gioia che
Giovani della comunità di Waldensberg in costume valdese
davanti alla lapide commemorativa
si notano una quarantina di costumi valdesi. Sotto le candide
cuffie ci sembra di riconoscere
volti caratteristici delle nostre
valli. Il culto termina con la
Santa Cena.
Nel primo pomeriggio ci spostiamo a Wächtersbach, dove in
un centro per congressi si riuniscono i circa 400 valdesi ed ospiti. Autorità locali e delle chiese
tedesche, danno il loro messaggio e segue una conferenza del
pastore dott. Theo Kiefner sul
tema: « Il pastore Jean Romand un brano di storia valdese ».
Tra i presenti vi è pure la vivace
e sempre sorridente diaconessa,
suor Magdalene, una discendente del pastore Jean Romand.
Radici storiche
Riprendendo la via del ritorno, viene spontaneo alla mente
il ricordo di quei valdesi che nel
lontano 1699 percorsero quelle
terre, quali esuli per motivi di
fedeltà al Signore.
Ora vi è tra i loro discendenti
un vivo desiderio di riappropriarsi della propria radice storica; e questo nonostante essi
siano oggi ben inseriti nella società tedesca, caratterizzata dal
benessere e daH’ordine.
Il significato e la portata di
questa ricerca delle proprie radici storiche, in vista di una presa di coscienza della propria
identità, è stato appunto uno dei
temi svolti nel messaggio del
Moderatore.
Secondo quanto ci dice il pastore Grefe, il vivere collegati
aH’antica storia valdese è divenuto per questi credenti, un ele
mento importante, che si riflette pure nella vita della comunità.
Espressione della vitalità della
chiesa di Waldensberg è stata
anche l’organizzazione di questo
incontro. Tutti si sono resi disponibili e non possiamo fare a
meno di sottolineare il servizio
gioioso del pastore Grefe e della
sua famiglia, come pure quello
del pastore dr. Eiss, segretario
molto impegnato del Deutschen
Waldenservereinigung. Siamo
stati lieti di poter incontrare
anche il pastore Schofer, il quale sebbene in convalescenza dopo una grave malattia ha voluto partecipare all’incontro.
Florence Brentel Sbaffl
FELONICA PO
Dopo la centrale termo-elettrica già funzionante da anni a
Ostiglia, se ne sta costruendo
una anche nel comune di Sermide. Qualche felonichese vi na
trovato lavoro come manovale
o come specializzato. Purtroppo
questo lavoro non comporta soltanto occupazione e guadagno,
ma anche vittime che il progresso, per una ragione o per l’altra,
sembra chiedere di continuo.
Così è accaduto che il giovane ventiquattrenne Claudio Fioravanti giovedì; 12 ottobre sia deceduto in seguito a gravissimo
incidente sul lavoro, prima ancora di giungere all’ospedale di
Ferrara.
I funerali hanno avuto luogo
a Felonica sabato 14 ottobre.
Una folla immensa vi ha preso
parte profondamente commossa e molto attenta al messaggio
del Vangelo proclamato nella
nostra chiesa.
Rinnoviamo a Dio la preghiera che i genitori e la sorella,di
Claudio, con tutti i parenti e gli
amici, possano combattere coraggiosamente in questi tragici
momenti il buon combattimento della fede contro l’angoscia e
la disperazione, sorretti dalla
speranza in Dio Salvatore.
tV Hanno collaborato a questo
numerò: Bruno Bellion,
Bruno Costabel, Ivana Costabel, Dino Gardiol, Teofilo
Pons, Aldo Rostain, Alberto
Taccia.
3
27 ottobre 1978
LETTERE DALL’INDIA
La speranza cristiana è un movimento
di resistenza contro ii fataiismo
La difficoltà di esprimere una testimonianza che sia al tempo stesso ancorata al messaggio biblico e aderente alla varietà delle situazioni del mondo di oggi - Crisi non inutili
Bangalore, 16 agosto.
La prima settimana di lavoro
della commissione « Fede e Costituzione » è stata interamente
dedicata al tema della speranza
, (« render conto della speranza
che è in noi »), introdotto da
quattro relazioni e discusso in
10 gruppi di studio. A Bangalore, tra parentesi, s’è lavorato
molto. Chi s’immagina le conferenze ecumeniche come una
mezza vacanza all’insegna del
cosiddetto « turismo ecclesiastico », si sbaglia.
Sulla speranza, la Commissione ha prodotto un documento
più che soddisfacente come impostazione, come tono e come
contenuto, che è stato approvato all’unanimità e che le chiese
senza dubbio apprezzeranno. Il
testo definitivo, dopo gli ultimi
ritocchi redazionali, sarà loro
trasmesso entro il prossimo mese di novembre.
Laboriosa stesura
La stesura di questo documento, che è uno dei frutti maggiori dell’intero incontro di Bangalore, è stata molto laboriosa
e non priva di suspense: parve
infatti ad un certo momento
che il tentativo di redigere un
documento comune sulla speranza dovesse fallire. Le difficoltà dell’impresa erano grandi; si trattava di predisporre un
testo che dicesse l’essenziale dal
punto di vista della fede cristiana senza cadere nel convenzionale o nel banale; che fosse ad
un tempo biblico, così da imporsi come evangelicamente fondato, ed ecumenico, così, da consentire a tutti i cristiani di riconoscervisi ; che fosse abbastanza concreto e specifico da incidere nel vivo delle situazioni diversissime in cui oggi i cristiani vivono ed operano, ma anche
abbastanza universale da raccogliere il consenso di tutte le
chiese e — possibilmente — dell’umanità nel suo insieme. Il
tentativo, alla fine, è riuscito
(dopo che due bozze precedenti
del documento erano state bocciate dall’assemblea), e c’è chi,
come l’ortodosso russo Borovoj, ha parlato di «miracolo».
Il valore del documento è duplice : da un lato esso dimostra
che cristiani tra loro confessionalmente divisi possono già fare un discorso comune e, quel
che più conta, abbastanza solido e incisivo, su uno dei temi
centrali della fede cristiana; dall’altro esso attesta che la teologia ecumenica non ha perso (come qualcuno teme) la sua ispirazione biblica e s’è rivelata —
almeno in questo caso — sostanzialmente fedele al messaggio
delle Scripture.
Le novità del testo
Le novità maggiori del testo
mi paiono due: la prima è il
carattere decisamente « contestuale» (come si dice oggi) di
tutto il discorso. La speranza
cristiana è confessata nella sua
fisionomia propria e inconfondibile essendo fondata sulla risurrezione di Gesù, e nello stesso tempo è trattata « contestualmente » alle altre speranze, religiose e laiche, che percorrono
l’umanità contemporanea. S’è
fatto un grande sforzo per evitare discorsi fuori del tempo e
della storia. Ma quest’ultima è
estremamente diversificata e in
questa grande diversità di situazioni la speranza cristiana non
può che configurarsi ed esprimersi in modi diversi. La speranza è unica ma i modi di viverla sono tanti. Un discorso
ecumenico sulla speranza deve
essere non solo unitario ma anche differenziato: solo un’unià
multiforme e diversificata è vera unità. In questo quadro s’è
fatta sentire ripetutamente e
con forza da parte dei rappre
sentanti del Terzo Mondo l’esigenza di « autenticità » ( come la
chiamano in Africa ) o di « indigenizzazione » ( come dicono in
Asia): l’esigenza cioè di un cristianesimo fedele alla testimonianza apostolica ma radicato
nell’esperienza culturale locale,
e quindi de-occidentalizzato.
La seconda novità (relativa
per alcuni ma assoluta per altri) è costituita dall’ultimo capitolo del documento in cui, dopo aver detto che « la speranza
cristiana è un movimento di resistenza contro ii fataiismo », si
dichiara che vivere nella speranza significa saper « correre dei
rischi », e questi rischi vengono
elencati: il rischio della lotta,
dell’uso del potere, dell’autocritica, del dialogo, della collaborazione con altri diversi da noi,
della creazione di nuove forme
di comunità tra uomini e donne, e infine del martirio. Molto
bello il penultimo paragrafo sul
rischio del vituperio (quello di
cui parla Gesù nell’ultima Beatitudine). Eccolo; «Vivere nella
speranza è rischiare il dileggio.
Per la maggioranza dei nostri
contemporanei la nostra speranza è vana; nella migliore delle
ipotesi la considerano irrilevante, nella peggiore la giudicano
dannosa. Vivere nella speranza
significa continuare, malgrado
tutto, a testimoniare del potere
salvifico di Gesù Cristo, sia che
siamo ignorati sia che siamo attaccati. Siccome evangelizzare è
non solo la nostra missione ma
anche il nostro privilegio e la
nostra gioia, possiamo correre
il rischio di àpparire ridicoli».
Aggiungerò che malgrado la
ripetuta esortazione a vivere la
speranza cristiana come un ’’invito a correre dei rischi”, e quindi a viverla nella storia, non si
può dire che nel documento l’interesse per le « piccole speranze » storiche (come le ha chiamate il teologo tedesco Schlink)
esaurisca o appiattisca la « grande speranza » del Regno. Benché vissuta nella storia, la speranza cristiana la trascende, perché ha in Dio la sua sorgente e
il suo compimento. Il documento di Bangalore lo afferma con
forza.
Ma il documento finale, per
quanto pregevole, riflette solo
in piccola parte la ricchezza del
dibattito sulla speranza svoltosi nelle assemblee plenarie e, più
ancora, nei gruppi. È impossibile, nel quadro ristretto di una
« lettera », render conto di tutto il materiale prodotto. Basti
pensare che ciascuno dei 10
gruppi ha presentato un rapporto particolare sul tema affidatogli: 6 gruppi hanno parlato
della speranza come si configura nelle varie parti del mondo
(Africa, Asia, Europa Orientale,
America Latina, Nord America,
Europa Occidentale); altri tre
gruppi hanno trattato della speranza in rapporto alla questione « fede e scienza », « uomini e
donne », « vita ultraterrena » ; il
10» gruppo infine, composto in
prevalenza da giovani, ha presentato un documento (uno dei
migliori, tra l’altro), che contiene il punto di vista della giovp,ne generazione di credenti sul
tema della speranza.
La speranza non è più
moneta corrente
Non potendo riferire su tutto
e desiderando d’altra parte dare
un’idea del lavoro svolto, mi soffermerò, a titolo di esempio, su
un pensiero e su un fatto.
Il pensiero, fra i tanti che hanno circolato in quei giorni, è stato offerto dal prof. Lochman
dell’Università di Basilea. Egli
ha giustamente fatto rilevare
che oggi la speranza non è più
moneta corrente come lo era 10
o 15 anni fa. Ci sono dei contemporanei che oggi mettono in
questione non solo questa o
quella speranza particolare ma
la speranza stessa come atteggiamento umano legittimo. C’è
oggi chi contesta che sia utile,
per l’uomo, sperare. Lochman
ha citato, al riguardo, gli ultimi
scritti (postumi) del filosofo cecoslovacco V. Gardavsky che negli Anni Sessanta fu uno dei
protagonisti del dialogo tra marxisti e cristiani. La sua opera
famosa Dìo non è interamente
morto offriva un’interpretazione
originale e positiva del messaggio biblico dal punto di vista
marxista. Per Gardavsky, il patriarca Giacobbe era il modello
di uomo che sta alle radici della
civiltà tecnocratica Qccidentale
nella sua versione sia capitalista che marxista. Le conseguenze disgregatrici di questa civiltà
sono sempre più evidenti. È necessario — dice Gardavsky —
fare una critica dell’eredità di
Prometeo, che contiene due elementi: il fuoco (la tecnologia)
e la « speranza cieca ». Questi
due elementi, combinandosi, portano al disastro. Perciò, la conversione di cui abbiamo bisogno
per salvare noi, le nostre società e il nostro pianeta, è una con
r.«
• Tilico
testo integrale del documento sulla speranza sarà pubblicato nel n. 46 del 17 novembre. DI questo testo, che occuperà due pagine, intendiamo fare un estratto per metterlo a disposizione delle chiese per uno studio più approfondito da parte di gruppi ecumenici, giovanili, femminili, corsi per catecumeni, riunioni quartierali, ecc.
Le prenotazioni per questo inserto vanno comunicate
per telefono alla redazione (011/655.278) entro lunedì 20 novembre. Ordine minimo 20 copie. Prezzo per copia L. 30.
di un’umanità coraggiosa tesa a
valicare tutte le frontiere storiche, culturali e religiose, alla ricerca di possibilità nuove e più
ricche — un modello di speranza dinamica. Le opere postume
di Gardavsky, scritte dieci anni
più tardi, rivelano una prospettiva completamente diversa. Ora
la figura-chiave della Bibbia non
è più Giacobbe ma il profeta
Geremia, l’uomo di dolore gettato in prigione, l’outsider isolato sia politicamente che religiosamente, Ger«ma è agli anti podi non solo di Giacobbe ma
anche di Prometeo, il prototipo
versione dalla « speranza cieca »
e dalla speranza tout court. La
liberazione dalla speranza è la
condizione preliminare i>er la
sopravvivenza umana. Gardavsky si dichiara a favore di una
« non-speranza creativa », non
nel senso di una nostalgia o disperazione alla moda ma nel
senso di uno stile di vita paziente e modesto, privo di aggressività e di illusioni.
È difficile dire fino a che punto questa concezione di Gardavsky- -esprima uno stato d’animo
realmente diffuso nella nostra
generazione ; certo però è un
pimto di vista degno di molta
attenzione. Può insegnare qualcosa anche ai cristiani, ad esempio che sperare non significa
sentirsi euforici oppure coltivare im ottimismo spensierato, significa piuttosto essere doppiamente lucidi e responsabili. Sperare non significa scommettere
sul futuro ma costruirlo con pazienza; andare avanti, ma non
a occhi chiusi; procedere senza
paura ma misurando i passi.
Una piccola crisi
Il fatto che, sempre a titolo di
esempio, vorrei riferire è la piccola crisi avvenuta quando fu
presentato in assemblea plenaria il 'documento sulla « speranza in Nord America » preparato
da un apposito gruppo. Pur rilevando vari « segni di speranza » nelle chiese nordamericane,
il documento conteneva una severa requisitoria contro gli USA
e invitava i cristiani a «prendere coscienza delle implicazioni
distruttive proprie del sistema
politico ed economico e dell’azione di governo degli Stati Uniti ». Il documento ha sollevate
un vespaio ed è stato giudicato
inaccettabile da una parte (minoritaria ma combattiva) della
assemblea, guidata dal teologo
tedesco occidentale Pannenberg.
La tensione è salita fino al limite della rottura. È stato il momento più critico di tutto rincontro, quando le tensioni politiche, presenti ma latenti nella
assemblea, sono, per così, dire,
esplose. Il documento, che formulava giudizi drastici, taglienti e, qua e là, un po’ sommari,
non è « passato » come documento della Commissione e sarà trasmesso al Consiglio Nazionale delle Chiese in USA come espressione privata di un
gruppo di cristiani.
L’episodio è istruttivo perché
da un lato rivela la fragilità di
certi consensi ecumenici quando passano al vaglio di un giudizio politico e dall’altro conferma l’utilità del confronto e anche dello « scontro » tra fratelli,
se da esso non nasce qualche
mediocre compromesso diplomatico ma una posizione più
critica, e quindi più vera, da
parte di ciascuno.
(4 - continua)
Paolo Ricca
Notizie dail'ltalia evangeiica
a cura di Alberto Ribet
Villa Betania
di Napoli
Negli ultimi' anni deH’ultima
guerra i problemi sociali a Napoli erano impressionanti: conscio della nastra responsabilità
sociale come fevangelici, il Pastore Achille Deodato della Chiesa
Valdese di Via dei Cirqbri, coll’appoggio di alcuni cappellani
americani, aprì, nella sacrestia
della Chiesa, un ambulatorio
medico. Questa esperienza non
solo fu di notevole aiuto per innumeri sofferenti, ma portò il
nostro pastore a rendersi conto
della necessità di fare qualcosa
di positivo per risolvere il grave
problema sanitario della • città.
(Ci aiu'a infatti a comprendere
la gravità del problema a quei
tempi il pensare che oggi ancora, negli ospedali di Napoli i ricoverati superano del 20% i posti letto e sono sistemati quindi
nei corridoi, nei disimpegni e dovunque può essere posto un letto. La mortalità infantile a Napoli og^ ancora supera il 39%
dei nati).
Sorse così nella mente del pastore Deodato l’idea della creazione di un ospedale evangelico
nella città. Si mise alla raccolta
del fondi interessando soprattutto gli evangelici dell’Esercito
Americano ed in questo ebbe un
notevole aiuto da alcuni di quei
cappellani.
Partito da Napoli il Pastore
Deodato, l’iniziativa non fu lasciata cadere ed un comitato interecclesiastico continuò a raccogliere fondi, sia nelle Chiese
Evangeliche Italiane che in alcune altre Chiese e comitati del
mondo evangelico.
Fu costruito uno stabile al Vomero, ma una offerta americana
consigliò di ritardare di qualche
anno l’apertura delPospedale e
di creare un altro edificio in una
zona popolare meglio confacentesi colle finalità dell’opera. Si
costruì così un ospedale moderno in una delle zone più popolari della città e, dieci anni fa,
fu inaugurato a Ponticelli di Napoli « Villa Betania ». Da allora
circa due milioni di persone hanno usufruito dei servizi di questo Ospedale Evangelico; centinaia di migliaia sono state le visite ambulatoriali, oltre 15.000
gli interventi chirurgici e oltre 18.000 i bambini nati a Villa Betania.
Fra i progetti più interessanti
di questa istituzione vi è la costituzione di un « ospedale diurno » per le persone anziane; un
ospedale cioè i cui ricoverati
vengono al mattino per le cure
necessarie e se ne ritornano a
casa ogni sera per aver così la
possibilità di non essere completamente avulsi dalla vita familiare pur avendo tutte le cure che
l’età esige. Accanto ai vari reparti medici è caratteristica dell’Istituto « l’ora del Vangelo »,
gestita da tutte le Chiese Evangeliche della città e che tende a
esprimere, non solo nell’ospedale, ma nel quartiere, una viva
testimonianza evangelica.
L’Ospedale è diretto da un Comitato autonomo formato dai
rappresentanti di tutte le Chiese
Evangeliche della città (ne fanno parte il Pastore Carcò e il
vice presidente Bruno Decker);
esso però è posto sotto il patrocinio della Chiesa Valdese e fa
parte del Comitato come rappresentante della Tavola Valdese il
pastore Ricciardi che, come pastore di Napoli, è stato per molti anni interessato alla vita ed allo sviluppo di « Villa Betania ».
Direttore sanitario ed elemento
fondamentale per la vita delOspedale è il dott. Santi della
Chiesa Metodista di Portici.
Indubbiamente l’Ospedale "Villa Betania” di Napoli è una delle
opere più interessanti della collaborazione fra le varie Chiese
all’opera in Napoli ed in Italia.
Esso si afferma nella sua opera
interdenominazionale come un
notevole servizio reso in piena dignità ai sofferenti di Napoli nell’attuazione di quell’insegnamento di amore e di fratellanza che l’Evangelo a tutti rivolge.
Assemblee di Dio
Nel mese di Giugno nelle Chiese delle Assemblee di Dio sono
stati celebrati 93 battesimi di cui
55 in città del nord d’Italia. Il
fenomeno delle Chiese Pentecostali non è più caratteristico del
sud d’Italia.
— A Bologna il capannone di
una ex officina, situata nel centro
della città, è stato trasformato
in chiesa Evangelica.
Chiesa dei Fratelli
Il periodico « Voce dell’Evangelo » dà la notizia che a Genova i « soliti ignoti » hanno tentato di incendiare la tenda « La
Parola » in cui si svolgeva una
campagna evangelistica. Il tentativo è fallito perché la tenda
è costruita con materiale ininfiammabile. Però un danno di
900.000 Tire è stato inferto alla
roulotte in cui dormivano due
persone della équipe che lavora
nella tenda. Mentre deprechiamo
questi atti di violenza anche contro i predicatori dell’Evangelo
rinnoviamo l’espressione della
nostra solidarietà alla Chiesa dei
Fratelli per la sua opera di evangelizzazione.
4
27 ottobre 1978
Che cosa pensiamo
del nudismo?
UNA RIFLESSIONE BIBLICA SgffgjfBnZa
Anche da noi il nudo estivo e balneare si diffonde. Non
più confinato ai recinti chiusi delle colonie nudiste, sfidando
la repressione sporadica di carabinieri e pretori, il nudo parziale o totale, femminile e maschile, si affaccia sulle spiagge
più isolate e meno frequentate. Se nel corso di qualche recente soggiorno marino abbiamo avuto occasione di constatare personalmente questo fenomeno, che reazione abbiamo
provato? Indifferenza? Indignazione? Invidia? Curiosità? Approvazione? Le reazioni possono esspre diverse^ e non intendiamo qui analizzarle. Ci sembra però che a ciascuno possa
utilmente dire qualcosa la riflessione biblica che su questo
argomento abbiamo letto su « La Vie protestante ».
L’etnologia ci insegna che il
senso del pudore è ben lontano
dall’essere sentito in modo universale: esso varia nelle sue manifestazioni da una civiltà all’altra, né si può dire che esista dappertutto e sempre; ciò non significa che sia privo di importanza.
Stando a quanto dice la Scrittura
mi sembra che al riguardo si impongano in particolare due domande:
a) perché il racconto della
Genesi- (2: 23, 3: 7-21) lega la
nudità allo stato di iimocenza e
l’essere vestiti alla situazione dell’uomo ribelle alla sua vocazione?
La sessualità, contrariamente a
quanto sovente si pensa, non è
certo di per se stessa sospetta;
piuttosto essa è un dono prezioso,
l’uso del quale implica un’intimità ed un rapporto interpersonale che il vestito ha il preciso compito di proteggere e di segnalare;
d’altra parte, come chiarisce una
nota della TOB (traduzione ecumenica della Bibbia), « le parole
nudità e vergogna esprimono soprattutto nella Bibbia 4a debolezza, la mancanza di protezione, la
sconfitta... ».
b) Non ci si potrebbe allora
attendere che l’Evangelo di un
mondo riconciliato comporti una
soppressione dell’esigenza del pu
dore come abolisce il dissenso tra
l’uomo e Dio? Lo si potrebbe
pensare, sentendo l’apostolo Paolo parlare della libertà gloriosa dei
figliuoli di Dio e rompere quindi con la morale di ciò che è permesso e di ciò che è proibito per
procedere secondo lo Spirito.
ET" sorprendente però che lo
stesso apostolo aggiunga subito
che per il credente non tutto è
utile, né costruttivo, né conveniente. Innanzitutto perché la libertà non deve servire da pretesto per un nuovo asservimento
agli idoli. In secondo luogo perché i deboli non possono comprendere la libertà dei forti. Infine perché l’Evangelo non deve essere confuso con un qualsiasi movimento libertario poiché esso è
portatore di una liberazione più
radicale, che il Nuovo Testamento esprime in termini di morte e
di resurrezione, e sovente con
l’immagine dello spogliarsi dell’essere vecchio e del rivestirsi di
un essere nuovo. ìs/^a giammai
questo essere nuovo potrà autorizzare il credente a ritenersi già nel
Regno dei cieli al punto di trascurare le posizioni di questo
mondo che, per relative ch’esse
siano, favoriscono la promozione
di taluni valori.
Se esiste una situazione in cui
si può realizzare il superamento
di ogni disagio, questa è nel dono
reciproco dei corpi che implica il
matrimonio, così come è detto in
I Cor. 7: 4.
Da questi testi si può allora dedurre una condanna del nudismo
odierno? A mio giudizio, il problema richiede una certa prudenza se si vuole rispettare da un lato quello che realmente intendono dire i testi biblici e dall’altro
i motivi che sono in gioco in un
fenomeno contemporaneo.
Se giudico bene, il movimento
nudista, che è nato una cinquantina di anni or sono, rappresenta
in primo luogo una reazione ad
una civiltà che impedisce all’umanità di stabilire un rapporto normale con la natura. Per molti
comporta anche la contestazione
di un puritanesimo che non è necessariamente evangelico e che si
ricollega piuttosto ad uno spiritualismo ascetico che le epistole
del Nuovo Testamento — e I Corinzi 7: 4 in particolare — denunziano. In breve, come avviene per il nudo in arte, può essere
che il nudismo, per molti dei suoi
adepti, non implichi altro che il
desiderio di meglio « vivere il proprio corpo » senza alcuna pornolatria incompatibile con la vita
intima della coppia. Assimilarli
in blocco agli « impudichi » dei
quali è detto in Apoc. 21: 8 sarebbe aberrante e ci si può chiedere d’altronde se il primo errore non sia quello di tradurre in
impudico il termine « pornoi »
che definisce una immoralità apparentata con la prostituzione che,
fra l’altro, a quell’epoca, era sovente strettamente collegata al
culto delle divinità pagane.
e insofferenza
(segue da pag. 1)
peso di difficoltà economiche o
di degradazione di rapporti di
lavoro. iPer il credente l’amore
verso il suo prossimo ammalato
è un 'gesto di testimonianza cristiana; va dato atto che questa
testimonianza è spesso riscontrata e riconosciuta nei nostri
ospedali evangelici, al di sopra
di possibili carenze materiali o
organizzative.
— Come ritiene che si possa
uscire da questa situazione contingente e risolvere i problemi
di fondo che l’hanno determinata?
Come era facilmente prevedibile il governo ha dovuto in parte cedere, anche perché i sindacati ospedalieri, per non essere
scavalcati, hanno finito per appoggiare le richieste degli autonomi per un miglioramento economico, concesso ora sotto la
forma di una « indennità mensile ner corsi di aggiornamento
professionale e di qualificazione ». Si discute tuttora chi dovrà finanziare l’ulteriore spesa,
se le Regioni o il Governo. Deciderà Andreotti; i soldi evidentemente ci sono, dato che il governo non ritiene ancora il caso
di farseli dare dagli evasori fiscali.
Ciò sarà sufficiente probabilmente per far cessare gli scioperi, anche se gli autonomi non
sembrano soddisfatti di una soluzione della vertenza solo strettamente economica. Poiché i problemi di fondo rimarranno. Né
basterà a risolverli la prossima
approvazione della Riforma Sanitaria, ormai edulcorata ed arretrata rispetto aH’esigenza di
un ruolo della medicina visto
come problema della salute sociale e prevenzione della malattia. Il che implicherebbe necessariamente una radicale trasformazione anche della preparazione di tutto il personale ospedaliero e del 'SUO ruolo nell’ambito
di lavoro.
RADIO E TELEVISIONE
Protestanti sotto luci diverse
EMIL: UNA SERIE
RIUSCITA
È recentemente stata trasmessa in televisione fra i programmi per i bambini, a cadenza settimanale, una serie di telefilms
di produzione tedesco-svedese,
intitolata complessivamente «Emil », e tratta dal libro « Emil di
Lonnemberga » della nota scrittrice svedese Astrid Lindgren.
La serie non ha una trama vera e propria, ma presenta semplici episodi della vita quotidiana in una fattoria svedese al
principio del secolo, incentrati
tutti sui malanni che combina
Emil, il bambino protagonista.
Detto brevemente, può sembrare un’imitazione del classico
« discolo », una specie di brutta
copia di Tom Sawyer, secondo
ima tradizione che discende fino al Pierino delle barzellette.
Ma non è cosi. Emil non è il discolo stereotipato, ma un per
Ancora difficoltà
in Sud-Africa
Solo ora giunge notizia che il
governo del Sudafrica ha sequestrato il numero di maggio della
rivista « Kairòs », rivista ufficiale
del Consiglio Ecumenico sudafricano. La rivista criticava l’ufficio di censura del governo sudafricano e dedicava un articolo
ai due responsabili dell’Istituto
cristiano che sono stati sospesi
dall’incarico ed espulsi dal paese. L’altro giornale ecclesiastico
« The Voice » di cui erano state
vietate le pubblicazioni ha invece potuto riprendere il suo lavoro di informazione. Certamente in un clima di timore di fronte alla censura sempre attenta
e vigile.
sonaggio umano e convincente:
il bambino che combina malanni non per stupidità o per dispetto, ma per sbadataggine, per
« non averci pensato », come si
giustifica spesso, perché la realtà è per lui una continua scoperta che lo assorbe sempre
troppo, tanto da impedirgli di
pensare alle conseguenze di ogni
suo atto. I motivi, cioè, per cui
molti bambini veri vengono accusati di combinare solo guai.
Se il protagonista è convincente, altrettanto lo sono i personaggi secondari e l’ambiente.
Non conosco il libro e non so
perciò se i telefilms gli siano fedeli, ma se lo sono, non mi sembra azzardato pensare che la
simpatia e la cura con cui vengono descritti siano il frutto di
personali ricordi d’infanzia dell’autrice, oggi più che settantenne. L’affetto e la simpatia, d’altronde, non velano di rosa la
descrizione, che anzi è molto
realistica. La campagna non è
un posto da Arcadia, com’è presentata ai bambini dalla maggioranza dei programmi, ma una
« vera » campagna di settantaottanta anni fa, nel bene e nel
male. Il lavoro dei campi non
è una specie di giardinaggio, ma
un lavoro faticoso che costa sudore e mal di schiena; la casa
di Emil è graziosa, ma il gabinetto è nel cortile e la servetta
dorme in cucina in un letto
provvisorio; gli animali sono visti nella loro natura di animali,
e non considerati antropomorficamente.
E nel bene e nel male è visto
l’ambiente del paese, nella sua
unità e bonarietà ma anche nei
pettegolezzi creati da una certa
ristrettezza di mentalità e di vedute, con la sincerità degli studi biblici nelle famiglie ma anche con il moralismo formale
della lega della Temperanza, che
non esita a invitare a pentirsi e
ravvedersi il bambino che si è
ubriacato incidentalmente con
frutta fermentata.
E la stessa simpatia ma lo
stesso realismo sono usati per
descrivere gli adulti che gravitano intorno a Efnil; dal bonario uomo di fatica che lo capisce più di tutti, alla servetta ben
decisa a sposarlo (e i suoi rapporti con i corteggiatori sono
visti senza morbosità ma anche
senza tabù), dalla vecchia « Tata Marta», non cattiva ma pettegola e criticona, ai genitori: la
madre ruvida e combattiva, il
padre brontolone e taccagno; la
sua, però, non è l’avarizia di un
Paperon de’ Paperoni, ma la taccagneria di chi conosce bene
quanto tutto costi in lavoro e
fatica. Tutti gli adulti commettono degli errori, e anche delle
ingiustizie fra Emil e la sorellina, (nonostante ciò, Emil è ben
lontano dall’essere un personaggio patetico tipo « Incompreso ») ; sono cioè delle persone
normali con pregi e difetti, non
gli oracoli di saggezza o i mostri di malvagità dei telefilms
americani; esattamente come i
genitori dei bambini spettatori,
o come le persone che incontrano quotidianamente, e a cui li
possono paragonare.
È questo, a mio parere, un tipo di programma che può essere educativo per i bambini: analizzando la realtà senza esagerazioni né sentimentalismi, ma
anche senza cinismo o amarezza, li aiuta a comprendere il
mondo che li circonda.
Un giudizio positivo, quindi,
su « Emil », peccato solo che telefilms di questo tipo non siano
più numerosi nei programmi
per bambini; e di riflesso un
giudizio positivo sul libro da
cui la serie è stata tratta.
Roberta Colonna Romano
”LA GOVERNANTE”
DI V. BRANCATI
Sabato sera 14 ottobre la TV
ha trasmesso « La governante »
di Vitaliano Brancati. È una delle poche occasioni in cui troviamo un protestante nel testo
di un autore italiano.
A parte la solita ignoranza
della nostra realtà spicciola (la
governante calvinista che alle 8
di mattina sta andando al culto
e poi decide di rimandare a mezzogiorno, come se noi avessimo
una serie di messe, e cosii via)
mi pare che nell’opera teatrale,
molto ben recitata, fra l’altro, ci
siano alcune battute interessanti, per esempio quando la governante dice : « Se io fossi cattolica, lo sarei sul serio e andrei a
messa », o quando deve spiegare, come è successo parecchie
volte anche a me con i miei colleghi, che anche i protestanti
credono in Gesù Cristo.
Ma nell’insieme mi pare che
si ricalchi il solito schema: la
protestante, che pareva una santa, in realtà era un’omosessuale
ipocrita che finisce con l’impiccarsi ossessionata dai rimorsi.
Cioè la visione che molti dei
cattolici italiani hanno della Riforma sembra essere questa: un
cupo rigorismo morale che non
salva dal peccato, anzi lo esaspera, e poi porta ad un fanatismo spietato, ignaro di perdono e di misericordia.
Mi pare che di fronte a questa realtà, anziché perder tempo in una sterile indignazione,
ci dovremmo domandare se siamo in qualche modo corresponsabili di questa opinione diffusa, e soprattutto che cosa possiamo e dobbiamo fare per dimostrare che la Riforma è anche qualche cosa di più.
Marcella Gay
Il programma
papale
(segue da pag. 1)
« obbedienza, ai sacri Pastori che
lo Spirito Santo ha posto a pascere la Chiesa ». Al di là di questi cerchi ecclesiali, l’onda della
missione si ripercuote ancora,
anche se non si esprime in termini di giurisdizione bensì in
termini di ricerca dell’unità dei
cristiani e di contributo alla pace, allo sviluppo e alla giustizia
internazionale.
Si tratta in altre parole dello
schema classico cattolico che dal
centro della Chiesa si estende fino all’estrema periferia, uno
schema che Paolo VI, riconosciuto maestro di Papa Wojtyla, aveva particolarmente sviluppato
nella sua enciclica « Ecclesiam
suam », uno schema in cui il bel
termine evangelico di f fedeltà »
che nel Nuovo Testamento designa la vocazione dei credenti
nei confronti del loro Signore,
viene ad esprimere in pratica
una esigenza di sottomissione gerarchica costitutiva dell’essenza
stessa non solo della missione
della Chiesa ma in fondo — pur
con un reale rispetto per l’autonomia degli « affari temporali »
— di tutta la sfera dell’esistente.
È quindi soltanto in questo
contesto di pacata ma ferma
conservazione istituzionale che
ci si può attendere qualche innovazione sul piano della collegialità dei vescovi, dell’autonomia degli episcopati nazionali
(che probabilmente stanno ancora a cuore ad un ex-cardinale
polacco!) e dello sviluppo del
Sinodo di Roma.
« Tutto tuo »
Della terza parte del discorso
programmatico — a mio giudizio la più frammentaria, che
contiene tra l’altro un accenno
particolare al Libano e un saluto particolare alla Polonia —
vorrei menzionare un elemento
che non Va sopravvalutato ma
che non può neppure essere taciuto: l’accenno alla particolare
devozione mariana del nuovo
papa. «Totus tuus », tutto tuo,
riferito a Maria, è il motto che
Karol Wojtyla ha assunto al momento della sua ordinazione episcopale e che ora ribadisce con
forza dal soglio pontificio. Tutto tuo: riferito non al Cristo —
di cui peraltro il papa si dice vicario — ma riferito alla figura
di Maria, senza che in questo sia
riconosciuta la benché minima
contraddizione, l’ombra di una
alternativa. Tutto tuo: questa
espressione di dedizione — come abbiamo appreso dalla duplice invocazione nel primo saluto del papa dalla loggia di San
Pietro — è collegata alla « fiducia »: di fronte al temibile compito del pontificato, l’accettazione di Giovanni Paolo II ha avuto come movente l’ubbidienza
verso il Signore, ma come spinta appassionata « la fiducia verso la Madonna santissima ».
« Ecco: — commenta Angelo
Narducci sull’Avventre del 17.10
— a noi sembra che iniziare un
pontificato con il nome di Maria sulle labbra e sul cuore, che
rivolgersi, parlando ai fedeli, a
Maria mediatrice e madre, sia
lanciare un grande ponte fra Dio
e gli uomini, lungo il quale tutti si possono incamminare verso la strada della salvezza ». A
noi protestanti sembra invece
sia lanciare un grande ponte dall’uomo a se stesso, alla sua immagine ideale. Se salvezza vi sarà per tutti — e lo speriamo con
tutto il cuore — sarà unicamente per la misericordia di Dio
che ci raggiunge malgrado ponti di questo genere lanciati dagli uomini.
In conclusione, e sulla base dei
primi dati, una prima impressione sul nuovo pontefice è quella di un papa moderno, che si
propone di dare alla Chiesa cattolica un assetto in sintonia con
l’aggiornamento conciliare e consono alle esigenze del tempo attuale; ma che intende attuare il
suo programma all’interno di
una illuminata ma ferma struttura di conservazione cattolica.
Quanto alla sua pietà mariana,
non baseremo certo la nostra
valutazione su questo solo fatto; ma con buona pace di Baget
Bozzo, diremo che, se non altro
per questo aspetto, l’età della
Controriforma continua.
Franco Giampiccoli
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27 ottobre 1978
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Ragioni di consenso e di dissenso in chiusura della più prestigiosa manifestazione artistica italiana
Ripensando alla
Biennale di Venezia
In contesti stimolanti: pittura, scultura, fotografia, architettura. Reclamistici estremismi. Variamente interpretato il tema « dalla natura all'arte e dall’arte alla natura »
Dopo oltre cento giornate di ininterrotta
affluenza ai Giardini di Castello, alle Zattere, al museo Correr di piazza S. Marco,
da parte del pubblico proveniente da ogni
parte del mondo, la tanto chiacchierata
Biennale di Venezia, in questi giorni, ha
chiuso i battenti.
Pensare ad un bilancio, nel bene e nel
male, dei fatti che hanno gravitato sulla
gigantesca manifestazione, è cosa quanto
mai naturale; ma a tale operazione, in definitiva, inventariale, mi vedo costretto a rinunciare dato che, in coscienza, non credo
nelle statistiche sui fatti d’arte, imprecise e
fallaci, perché dipendenti dalle opinioni,
mai sicure, dell’uomo. Tuttavia mi pare di
dire abbastanza, se dichiaro, per quanto mi
risulta, che i consensi alla Mostra sono stati ridottissimi, rispetto alla' spropositata valanga delle condanne esplicite o sottilmente dubitative, sull’utilità di una iniziativa,
benemerita e gloriosa finché si vuole, ma
che, allo stato dei fatti, risulta manovrata,
surrettiziamente, dal mercato e, a detta di
studiosi credibili, in mortuario declino. Con
tale disastroso giudizio io non concordo.
La Biennale veneziana ha sempre sofferto
della spinta, interessata, delle Gallerie d’arte e, fin dal suo nascere, mai è sfuggita alle più aspre polemiche, a sostegno delle opposte tendenze estetiche, con le quali si
identificavano i contendenti.
Un’impresa culturale
estremamente positiva
Poteva l’edizione 1978 rimanere, miracolosamente, immune dalle controversie?
Costata rnolta fatica ai suoi curatori, e oltre un miliardo e mezzo allo Stato, si è
prestata alle più ovvie ironie e alle salottiere spiritosaggini dei « benpensanti » ;
ma, a dispetto delle forzature irresponsabili di taluni artisti e critici « superstars », rimane sempre un’impresa culturale estremamente positiva, forse perché ha sempre
lasciato ampi spiragli alla « poesia » delle
arti per loro natura contrarie agli equivoci
della falsa cultura.
Specie nella sezione storica, le opere di
gran classe c’erano, e come!, anche se non
inedite o se il contesto, in cui apparivano,
non ubbidiva ai logici rigori della storia.
Al cospetto delle stranezze provocatorie
di Antonio Paradiso, ideatore della stazione taurina di monta (toro vero e mucca
falsa), che si incontrava, passato il « Muro » di Mauro Staccioli, eretto nel bel
mezzo del viale principale; o degli imbuti
giganti — un prodotto di disutile lattoneria — sparsi a terra o infilati l’uno dentro
l’altro, in verticale, fino a sfiorare le punte
delle alte piante dello stesso viale, che l’autore Conenna ha intitolato « Megacono »,
le limpide bellezze, che in numero cospicuo, si vedevano negli spazi espositivi del
padiglione centrale, acquistavano il « classico » meritato rilievo delle cose destinate
a durare.
Se il settore in cui si potevano ammirare i celebri « Punto e cerchio» di Kandinsky, « Triangolo flessibile » di Malevic,
« Oggi e domani » di Balla... non era quello giusto, rimaneva il fatto che, a tutti, veniva data la possibilità di vedere, o rivedere, delle opere fondamentali per la comprensione dell’arte d’oggi. Tra queste: i
dipinti di Mondrian, Picasso, Braque, Duchanp, Ernst, Fautrier, Magritte, De Chirico, Pollock, del prefuturista Boccioni con
«Rissa in Galleria» del 1910... assieme
alle sculture di Brancusi e Giacometti.
Valutazione positiva
solo per r« antiquariato
contemporaneo » ?
Da quanto detto finora, si potrebbe concludere che io pensi bene solo del cosiddetto « antiquariato contemporaneo », plebiscitariamente accettato, da anni, dalla
critica internazionale; ma chi mi conosce
sa che, da sempre, io sono un assertore
dell’inedito e dell’indispensabile nuovo nel
grande campo delle arti. Se mi batto per
il kro inarrestabile divenire, non sono disposto a cedere alle strambe scorciatoie
pubblicitarie. Le volgarità gratuite mi offendono, più che disgustarmi. Ho reputato oltraggio al buon gusto, ad esempio,
l’esibizione di una scultura, in poliestere,
riproducente una ragazza al naturale, in
piedi, su uno stuoino, nella sua repellente
nudità da museo delle cere, presentata dall’artista italo-americano John De Andrea.
Ma è chiaro che non a tutti i giovani
espositori avrei potuto contestare banalità,
del tipo anzidetto, o la preoccupante facilità con cui, molti di loro, galoppano verso il nulla della tela vergine o delle dilaganti monocromie.
A tanto pensavo trovandomi in una vastissima sala della sezione italiana: delle
quattro pareti, una era occupata (si fa per
dire) dall’opera di Mochetti « Quadrifoglio » (un collage di pochi centimetri quadrati); mentre una seconda parete portava
la scritta « L’arte è una piccola cosa », a
gessetto da lavagna, di Giuseppe Chiari;
spoglie di tutto le due restanti pareti. Il
compito custode, a cui chiesi che cosa era
tenuto a custodire, visto che di opere trafugabili non se ne vedevano nella sua sala, mi rispose, cautamente scherzevole, in
lessico veneziano: « Mi son pagà perché la
gente no scriva parolasse ».
Le proposte delle correnti
estetiche contemporanee
Sarebbe tuttavia imperdonabile reticenza ignorare le molte proposte delle correnti estetiche contemporanee: dalla vecchia
arte « pop » al concettualismo, dall’arte
povera al « body art »... Moltissimi i nomi
di prestigio, stranieri e italiani, comprimari responsabili degli indirizzi ultimi delTar
Leonardo Mosso:
Struttura mobile
a giunto elastico
Riccardo Cordero:
« Natura 16 »
te d’oggi, anche se, quasi sempre, mi sia
apparsa ingiustificata la loro presenza in
una mostra a tema, ambiguamente generi■ctf’finché si vuole, ma non tale da essere,
con bella faccia tosta, ignorato sistematicamente. Che fatica, da parte dei commissari, fare entrare le opere predilette —
nate nell’arco del sessantennio 1910-1970
in una Mostra, che aveva, come motivo
conduttore, il tema « dalla natura all’arte,
dall’arte alla natura » !
Costretto dunque a trascurare e nomi
e situazioni, che mi hanno reso pensoso
delle sorti dell’umanità, assai lontana dalle
sorgenti, a cui, da millenni ha bevuto, citerò di volata la sezione « Natura come
immagine » ordinata da Luigi Cariuccio
tesa, forse, a bilanciare i diffusi estremismi,
ormai di rigore ovunque, riproponendo i
dipinti e le sculture di una diecina d’artisti dalla visione « moderata », ma estromessa, da anni, dalle grandi mostre come
quelle di Kassel o di Parigi e della stessa
Biennale.
Veloce sarà pure l’accenno alle partecipazioni (nei loro 27 padiglioni), degli stranieri in genere più controllati e rispettosi
del tema generale. I rapporti « natura arte »
e perfino arte-scienza, sono stati considerati con impegno e hanno il loro perfetto
rappresentante nell’inglese Mark Boyle,
che ci ha incantato con le sue complesse
rilevazioni di muri, selciati, rocce, sabbia...
Per quanto riguarda il linguaggio del
corpo (« body art ») l’austriaco Arnulf
Rainer, con i suoi ossessivi interventi sulle
immagini fotografate, si è confermato il
caposcuola, indiscusso, della predetta tendenza artistica. Le peregrine « originalità »
a sfondo reclamistico, non sono mancate
neanche nei padiglioni stranieri: rivedo
le dieci pecore vive, con la lana del dorso
macchiata di blù, che lo scultore Kadishman ha portato da Israele, e i pesci mal
seccati dell’olandese Giezen. Esempio
quanto mai curioso, di puntigliosa osservanza del tema, quello arcaizzante e geórgico dello scultore Lanu, che riproduceva,
con impasti di materie vegetali, scene di
vita nella foresta finlandese.
Tre retrospettive
Delle retrospettive, accolte nel salone
centrale del Museo Correr, non c’è che da
dire bene, risultando i tre artisti, prematuramente scomparsi, accomunati dal procedere sicuri verso la resa dell’immagine con
filtri diversi: angoscioso e struggente quello della Kelly, strettamente realistico ma,
ad un tempo, magico quello di Gnoli,
drammaticamente vitalistico quello di Cintoli.
Nei vecchi Magazzini del sale, alle Zattere, sul canale della Giudecca si potevano vedere le più belle mostre della Biennale: « L’immagine provocata » e « Utopia e
crisi dell’antinatura. Intenzioni architettoniche in Italia».
Della prima dirò, che i quindici invitati
rappresentavano le situazioni maggiormente differenziate, quelle rispettose delle realtà
naturali, quelle gravate di ermetiche simbologie e quelle infine, che tradivano l’invidiabile ascendenza pittorica. Tre nomi,
Avigdor, Plessi e Lia Rondelli, per le tre
situazioni predette!
Una mostra esemplare
sull’architettura
Senza la pretesa di apparire una rassegna esauriente, per* le risposte ai numerosi
perché, che l’argomento comporta, la mostra sull’architettura Tho trovata esemplare, a cominciare dalla geniale utilizzazione degli spazi espositivi; si camminava
sui grezzi tavolati, fissati ai comuni ponteggi metallici, da cantiere edilizio, che dividevano,in tre piani perfettamente praticabili, gli antichi depositi del sale. Ma soprattutto si restava ammirati dell’equilibrata chiarezza nella presentazione dei progetti, che « storicamente » partendo dalla
concezione visionaria del futurismo, arrivava fino alle estreme posizioni radicaleggianti dei nuovi architetti, avversi a qualsivoglia modello preesistente di costruzione.
Peccato che il catalogo generale sì sia
limitato a riportare solo i nomi degli architetti invitati e non sia rimasta traccia,
su di esso, del folto materiale esposto: per
esempio degli studi preparatori per i progetti più vari dell’amico Carlo Mollino,
(che non figura neanche quale invitato) eccellentissimo « costruttore », ma spericolato aviatore, che mai mi convinse a fare
« un giretto su Torino » sul suo apparecchio privato, o degli elaborati per la sistemazione di « Monte Olivete » (di Leonardo Ricci, l’architetto di Agape in Val Germanasca) l’altra bella opera sociale, fondata e diretta da Tullio Vinay, nella zona
meno folcloristica della Sicilia, Riesi, mio
paese natale.
Filippo Scroppo
Le opere rappresentate in questa pagina, esposte alla Mostra di Torre Pellice,
sono di artisti che esponevano contemporaneamente alla Biennale.
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27 ottobre 1978
cronaca delle valli
COLLOQUIO PASTORALE A VALLECROSIA
Costruire un catechismo
Utile confronto di posizioni nelTimpegno comune di rendere partecipi
del messaggio biblico le nuove generazioni in vista di un impegno
responsabile nel mondo di oggi
Dal 15 al 18 ottobre ha avuto
luogo a Vallecrosia, presso la
Casa Valdese per la Gioventù, il
Colloquio pastorale del I Distretto. Questo appuntamento
autunnale era stato deciso nel
precedente Colloquio pastorale
di Vallecrosia, tenuto in aprile,
dove si era affrontato il problema dell’insegnamento catechetico ai giovani del III e del IV
anno di catechismo. In quella
circostanza ogni partecipante
aveva ricevuto un argomento
teologico su cui elaborare una
scheda per una lezione di catechismo, secondo lo schema didattico che era stato scelto e discusso dall’assemblea. In aprile,
prima di congedarci, ci si era
dato appuntamento ad ottobre
per presentare e discutere insieme le schede preparate durante
l’estate. Purtroppo i pastori ed
i laici puntuali all’appuntamento sono stati pochissimi. Adesso
che il quarto d’ora valdese è trascorso da lungo tempo, possia-.
mo affei-mare che la partecipazione dei fratelli che si erano
iinpegnati avvenire fin dal mese
di aprile è stata molto scarsa. Quasi tutti gli assenti sono
stati trattenuti da seri motivi di
lavoro, e noi non abbiamo nessuna intenzione di giudicare i
nostri fratelli che non hanno
partecipato all’incontro pur essendosi impegnati di fronte alla
assemblea di aprile. Ci rendiamo perfettamente conto che è
sempre molto diificile programmare il proprio lavoro in maniera tale che tutto fili liscio secondo i nostri piani; ma in questa circostanza lo sconvolgimento dei programmi dei pastori e
dei laici che sono stati impossibilitati a venire deve essere stato apocalittico, se sei mesi di
tempo non sono stati sufficienti
per permettere loro di inserire
nel programma delle attività io
appuntamento di Vallecrosia.
Certamente il periodo scelto
per questo nostro incontro non
è stato fra i più favorevoli; in
autunno iniziano le attività ed è
necessario che il pastore ne coordini l’avvio. Ma è veramente cosi difficile programmare, con
uno spazio di tempo di sei mesi, la propria partecipazione ad
un incontro pastorale dove, insieme ad altri colleghi, si cerca
di approfondire il problema del
catechismo, e cioè dell’educazione in vista della fede? Si parla
rnolto di crisi dei metodi tradizionali adoperati per insegnare
catechismo ai ragazzi, molti ni
noi sentono l’inadeguatezza della propria linea pedagogica, didattica e teologica, ma non sembra essere una buona risposta il
disinteresse che di fatto molti
di noi dimostrano verso l’iniziativa di affrontare questi problemi in maniera comunitaria. Vogliamo sperare che non si tratti
soltanto di disinteresse, forse
molti sono scoraggiati dalle difficoltà che un argomento così
urgente ed attuale pone a chi voglia affrontarlo con coscienza;
a questi fratelli che si sentono
sopraffatti dalle difficoltà che
quotidianamente si incontrano
nel rapporto con le generazioni
più giovani, desideriamo ricordare che questi incontri possono essere anche un momento di
l’ANPi Val Penice
sarà presente a Boves
Sabato 11 novembre a Boves
si terrà una cerimonia in memoria delle vittime trucidate dai
nazifascisti nel ’44 alla quale
parteciperà il Presidente della
Repubblica Sandro Pertini. In
tale occasione l’ANPI della Val
Penice organizza un pullman
che partirà da Torre Pellice. Le
iscrizioni si ricevono, fino all’8
novembre, presso i sigg. Flavio
Sartirana, Leger Renato, Aldo
Pellegrin. Tutti i partigiani, familiari e simpatizzanti sono invitati a partecipare.
reciproco conforto e arricchimento spirituale, teologico e culturale, un momento di verifica e
di edificazione. Incontrarsi attorno ad tm progetto comune di
testimonianza, condividere, anche soltanto per brevissimo tempo, incertezze, speranze o delusioni può aiutarci nel nostro lavoro personale nella comunità,
quando, per varie ragioni si è
troppo spesso costretti a lavorare in solitudine. La solitudine
del predicatore e del catechista
non sempre è una buona consigliera, e raramente permette di
sviluppare in maniera equilibrata e serena la propria creatività.
Nel confronto con gli altri riusciamo a vedere con più chiarezza in noi stessi ed impariamo
a ridimensionare le nostre posizioni e a riconoscere i nostri limiti ed errori. Incontrarsi e lavorare insieme non è la soluzione di tutti i nostri problemi o
la ris’posta a tutti i nostri interrogativi, ma può certamente essere di grande aiuto in questo
tempo di crisi e di incertezze.
Se desideriamo rendere un
buon servizio all’Evangelo e alle comunità dobbiamo porci seriamente il problema del catechismo e dell’educazione in vista della fede. Crediamo che i
nostri incontri pastorali possano costituire un valido strumento di lavoro, ma la loro riuscita
dipende molto dall’impegno di
ognuno di noi. Qccorre quindi
dare la precedenza ai Colloqui
pastorali nei nostri programmi
di lavoro, anche se ciò dovesse
crearci delle difficoltà nelle nostre attività.
Anche se eravamo pochi, a
Vallecrosia abbiamo lavorato
molto ed il tempo trascorso insieme non è stato certamente
sprecato. Sono state preserilSife
e discusse le schede sui vari argomenti teologici che dovevano
essere preparate secondo lo schema seguente: a) riferimenti biblici con breve analisi; i>) il problema oggi; c) brevi documenti
significativi; d) bibliografia; e) la
nostra risposta oggi. Le schede
sviluppate secondo questo schema dovrebbero essere adoperate per la formazione di un catechismo a schedario; purtroppo soltanto due di noi hanno seguito lo schema suggerito, gli
altri hanno preferito affrontare
l’argomento loro assegnato adoperando altri schemi; ciò ha impedito una concreta verifica dello schema che era stato suggerito. Si è molto discusso sui problemi che si incontrano nel presentare ai ragazzi argomenti
quali la creazione, la giustizia,
lo Spirito Santo, la sofferenza e
la realtà delle varie confessioni
cristiane. I presenti hanno deciso di rilanciare l’iniziativa di
queste “retraites” presso i colleghi, affinché il dibattito si arricchisca di ulteriori contributi e
si possano porre le basi per uno
studio comunitario dei nostri
problemi pastorali presso i giovani.
Antonio Adamo
Vallecrosia: la Casa Valdese per la Gioventù non è solo un centro di
vacanze ma luogo di studio e confronto fra esperienze diverse.
UNA SCADENZA RAVVICINATA
Che cosa si intende
per conciliarità ?
Il tema della « Conciliarità »
è stato proposto daH’ultimo Sinodo all’attenzione di tutte le
chiese affinché esse esprimano
una valutazione e le loro considerazioni entro la metà di dicembre. Il testo base sull’argomento è costituito dal dossier
n. 3 della Claudiana « Il futuro
delTecumenismo: un concilio di
tutte le Chiese? » che presenta i
documenti del colloquio teologico di Sofia {3-8 ottobre 1977) opportunamente commentati da
INCONTRO A VILLAR PEROSA
Il nuovo modo
amministrare le Regioni
Ribadita la difficoltà di amministrare autonomamente quando i fondi
rimangono nelle mani dello Stato
Per sentire che cosa pensano
gli amministratori locali del modo con cui la giunta regionale
piemontese ha affrontato e risolto o meno i problemi di governo, due assessori regionali del
PCI, Fiorini e Baiardi, sono venuti a Villar Perosa in un incontro organizzato dal comitato di
zona. La domanda posta all’inizio del dibattito dal consigliere
regionale Bontempi era interessante; Come mai un’amministrazione regionale di sinistra, che
ha conquistato il potere in un
modo così insperato nel ’75, viene ora criticata e messa sotto
inchiesta dai suoi stessi sostenitori, malgrado abbia svolto un
lavoro di qualità decisamente superiore alla precedente giunta
calleriana? Problema, questo,
particolarmente sentito dai comunisti, i quali, uscendo dalla
situazione di opposizione sistematica per avvicinarsi ai centri
di governo (Regione, Provincia,
Comune di Torino) e forse anche
per aver troppo largheggiato in
compromessi con la DC sul piano nazionale, hanno percepito il
disagio dell’elettorato fedele che
fino ad allora li aveva seguiti.
I partecipanti alla riunione di
Villar non hanno dato una risposta di tipo politico a questo
interrogativo: si sono limitati all’aspetto amministrativo, con critiche benevole e prudenti. Infatti come sempre succede in casi
simili, {ise organizzi tu non vengo
io) erano presenti quasi esclu.“'vamente amministratori di sinistra e i due soli possibili oppositori non hanno aperto bocca.
Alle domande dei sindaci e dei
consiglieri hanno risposto i due
assessori: Fiorini (diventato famoso alcuni anni fa per la legge bocciata dal governo che limitava i fondi alle scuole private) a proposito dell’edilizia scolastica e in particolare sulla
scuola media di Perosa e Baiardi
(assessore ’’alle frane” e vicepresidente della giunta) sulla politica di decentramento attuata
dalla Regione e sulle non eccessive possibilità di intervento.
Moke critiche rivolte alla Regione, ha ricordato Baiardi, dovrebbero essere rivolte allo Stato
che ha pur sempre la gestione
dell’80% dei finanziamenti.
La mancanza di tempo e l’intenzione dei presenti di toccare
soltanto argomenti pratici non
hanno permesso di sviluppare
altri temi che sarebbero stati
molto stimolanti: uno di questi
a cui Bontempi ha accennato
soltanto di sfuggita, è il rapporto con il cattolicesimo, che da
solo meriterebbe un altro convegno. Magari anche per ricordare
agli uomini politici che in Piemonte non esiste soltanto la
chiesa cattolica.
L. V.
A proposito di un
“intervento umano”
Caro direttore,
Sull’Eco delle Valli del 13 ottobre scorso il senatore Tullio
Vinay puntualizza le ragioni del
suo intervento a proposito délla^
« mucca raccomandata » a cui
avevo accennato in una crònaca
da Bobbio Pellice qualche tempo prima.
Sono contento che il senatore
Vinay abbia precisato che il suo
è stato un « intervento umano ».
Devo dire che nelle mie considerazioni la sua persona e il suo
intervento non erano affatto
chiamati in causa: semmai la
critica andava esattamente nella
direzione opposta. (Credo che
avrei reagito molto negativamente se Vinay, pur essendo informato di questo caso, non
avesse fatto il possibile per aiutare chi era nel bisogno!) Ma il
problema è un altro: continuo a
non accettare come normale che
certi interventi a favore della
gente di montagna siano possibili soltanto se un senatore si
muove. Credo che dovrebbero
poter essere decisi dagli organi
di governo periferici (Comunità
Montane, Provincia, Regione).
A suo tempo si raccontava
una storiella per rendere chiaro
il tipo di aiuto che si deve fornire a chi è nel bisogno: all’uomo affamato non basta offrire
un pesce, è necessario insegnargli a pescare perché possa sfamarsi ogni volta che ha fame.
Così, credo che se il senatore Vinay è convinto della bontà del
suo intervento (come lo sono
anch’io), dovrebbe portare avanti il discorso finché sarà possibile non dover ricorrere più a lui
o a qualche altro parlamentare
(che al momento necessario potrebbe anche essere fuori Roma)
per ottenere quell’aiuto che appunto fa sì che « gli uomini contino più dei numeri. Anche di
quelli della contabilità statale ».
Il fatto che il mio intervento
non sia stato firmato sta in questo: ritenevo che fosse una « cronaca », ma forse era meglio se
scrivevo sotto il mio nom.e. Non
si sarebbe pensato che volevo
nascondermi!
Cordialmente
Bruno Beujon
Gino Conte e Paolo Ricca. La
scadenza, per l’invio alla Tavola Valdese di prese di posizione,
a livello comunitario, su questo
tema, è vicina. Tale documento,
sarà quindi oggetto di esposizione e scambio d’idee nelle prossime riunioni quartierali nonché
nelle assemblee ecclesiastiche;
queste ultime sono infatti la sede più idonea per esprimere un
parere rappresentativo su questo argomento di carattere ecumenico.
Di seguito riportiamo un brano di Paolo Ricca tratto dal
« Dossier » n. 3 sulla Conciliarità
(pp. 45-46).
«Conciliarità» è il termine corrente, un po’ sbrigativo (e un po’
astratto) usato per designare
quello che più propriamente si
deve chiamare « comunione conciliare ».
Di questo infatti si tratta: concepire e realizzare l’unità cristiana come comunione tra le chiese. Non dunque una comunione
in una chiesa particolare o in
rapporto ad essa; ma una comunione tra chiese. Neppure una
.fusione di chiese: unire le chiese
non significa fonderle o amalgamarle ma metterle in comunione tra loro istituendo vincoli
reali e permanenti di fraternità,
solidarietà (anche critica), impegno comune (anche se differenziato). Questa comunione è detta « conciliare » perché si realizza in forme e momenti di vita comune (come un concilio o
un sinodo), in cui le diverse chiese si incontrano, si confrontano
e fissano le linee della loro
azione e testimonianza. Va da sé
che oggi un programma di questo genere è ancora irrealizzabile: ogni chiesa è molto gelosa
della propria autonomia e le divergenze esistenti tra loro nel
modo di intendere e vivere la
comune vocazione cristiana sono
molto grandi. La comunione conciliare è, per ora, « una visione »,
un modo di vedere e di sperare
il futuro dell’unità cristiana. Così ne ha parlato il Colloquio dì
Salamanca, organizzato nel 1973
dal Dipartimento « Fede e Costituzione » del CEC, che ci ha dato la seguente definizione, diventata ormai classica, della conciliarità: « La visione che dovremmo avere della chiesa una dovrebbe essere quella di una comunione (o comunità) conciliare di chiese locali che sono esse
stesse veramente unite ». Una visione, dunque, ma non un sogno:
la visione di una mèta da raggiungere e di un cammino da
percorrere. La comunione conciliare non si crea da un giorno
all’altro: la si costruisce lentamente, viììcendo molte resistenze, rimuovendo con pazienza
ostacoli reali, adottando progressivamente una prassi conciliare,
che le chiese han sempre praticato, in una forma o nell’altra,
al loro interno, ma assai poco
all'esterno, nei rapporti con le
altre chiese.
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27 ottobre 1978
CRONACA DELLE VALLI
TORRE PELLICE
È atteso,, mentre ne diamo notizia, presso la nostra Foresteria un gruppo di 30 pastori evangelici del Baden-Württemberg, reduci da un lungo giro,
attraverso le comunità valdesi,
in Italia.
La comitiva, guidata dal prof.
Paolo Ricca, non si fermerà
molto, qui alle valli, ma è previsto comunque un intenso programma. Lo scopo infatti è
quello di conoscere più da vicino la realtà del protestantesimo
locale; oltre alle visite al Museo, al Collegio e vari luoghi storici il gruppo dei pastori incontrerà i colleghi italiani giovedì,
25 sera nel corso di una cena
fraterna.
Anche questa è una preziosa
occasione di confronto fra diverse esperienze e situazioni.
PRAMOLLO
PINEROLO
Il gruppo dei catecumeni del
IV anno, domenica 22, ha visitato i luoghi storici della Valle di
Angrogna.
Al mattino dopo aver preso
parte al culto il gruppo ha avuto uno scambio d’idee, con il
pastore locale, sulla realtà sociale e religiosa della valle. Dopo il pranzo al sacco, consumato nei locali comunitari del Presbiterio, il pastore M. Ayassot
ha percorso con i catecumeni le
principali «tappe» storiche di
Angrogna. È stata una lezione
dal vivo del resto già esperimentata negli anni scorsi che ha dato visibilmente buoni risultati.
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Il 9 ottobre è nata Ombretta,
primogenita di Renato e Nella
Travers; alla piccola ed ' ai genitori giungano i migliori auguri
della comunità affinché il Signore sia sempre presente nella loro vita.
• Domenica 22 ottobre, al termine del culto, ha avuto luogo
l’assemblea di Chiesa nel corso
della quale è stata presentata alla comunità la relazione sui lavori dello scorso Sinodo.
• Da poco si sono ultimati i
lavori per rifare il tetto della ex
casa parrocchiale di Ruata per
il quale le spese effettive hanno
superato il preventivo; a questo
proposito si ringraziano tutte le
famiglie di amici e membri di
chiesa che hanno contribuito con
le loro offerte e coloro che ancora vorranno aiutarci.
Sono stati nominati quali revisori dei conti i fratelli Jahier
Mario e Long Armando.
• L’inizio di tutte le attività,
scuola domenicale, catechismo
e corale, è fissato per la domenica 5 novembre. Siamo grati a
Marina Beux che ha accettato di
fare la monitrice alla scuola domenicale, sostituendo Carla Long
che in questo momento è ricoverata in un ospedale di Lione e
alla quale inviamo un caro pensiero e l’augurio di ritornare presto in mezzo a noi.
• Il 29 ottobre, domenica della Riforma, avrà luogo il culto
con S. Cena.
• Tutta la comunità ringrazia
di cuore il pastore Arnaldo Genre e signora che hanno accettato
di continuare ancora per un anno la loro attività in mezzo a
noi. Esprimiamo loro la nostra
gratitudine certi che il Signore
continuerà a sostenerli.
BOBBIO PELLICE
Il 7 ottobre, circondati da molti amici e parenti, hanno dichiarato la loro volontà di vivere il
loro matrimonio in maniera cristiana Pierino Garnier (Villar
Pellice e Simonetta Michelin Salomon (Perlà). La comunità rinnova a questi giovani sposi, che
si stabiliscono a Villar, i suoi migliori auguri ringraziando Simonetta per la sua collaborazione
come monitrice della scuola domenicale.
• Il 10 ottobre è deceduta, all’età di 86 anni, Giuditta Bouchard (Via Sibaud). Era sordomuta e la sua è stata una vita
difficile, ma il Signore ci annuncia nelTEvangelo che anche per
queste creature l’amore non conosce limiti.
• Il 23 ottobre è deceduta, all’età di 74 anni. Maria Negrin in
Mondon (Costa). Con lei scompare una bella figura di credente,
umile e sempre pronta al servizio. Dopo la morte del figlio, due
anni fa, la sua fibra non aveva
retto e dopo molte sofferenze si
è spenta serenamente. Alla famiglia rinnoviamo l’espressione
della nostra simpatia, nella certezza che i morti in Cristo risusciteranno.
Vandalismo
in Alta
Val Chisone
Una incursione vandalica ha
danneggiato la borgata dea a
Roure nell’alta Val Chisone. I
teppisti, approfittando del silenzio e del totale abbandono della zona, dopo aver distrutto l’interno della piccola cappella Cattolica, hanno devastato molte
« baite » — oggi in parziale stato di abbandono — asportando
oggetti d’uso familiare.
Personalia
La redazione dell’Eco-Luce e^rime
la propria affettuosa solidarietà al collega Ermanno Genre e alla sua famiglia per Timprovvisa scomparsa del
papà, nella comune fede in Colui che
giorno per giorno porta per noi il
nostro peso, egli ch’è Tlddio della nostra salvezza.
VILLAR PEROSA
• Giovedì pomeriggio alle Chenevières si sono svolti i funerali
del fratello William Genre, deceduto all’età di 74 anni. Alla
moglie, ai figlioli e a tutti i parenti rinnoviamo la nostra solidarietà cristiana.
• La sorella Giaiero Iris ha
presentato al battesimo Buccino Stefania di cui ha ottenuto
l’affldamento familiare. Lo Spirito del Signore accompagni
questa bambina e aiuti, la madrina e il padrino a mantenere
fede alle promesse fatte.
• Un fraterno augurio per una
esistenza in comune benedetta
dal Signore accompagni Poet
Milena e Barai Danilo sposatisi
a Frali con rito civile.
Corali
Domenica 29 ottobre ’78
alle ore 15 nei locali della
Chiesa Valdese di Pinerolo
è convocata l’Assemblea
delle Corali alla quale sono caldamente invitati i
coralisti e quanti nelle comunità si interessano di
attività musicali.
Verrà formulato e discusso il progranima delle attività 1978-79.
Il comitato esecutivo
PERRERO
• Il culto della domenica 15 ottobi’e a Ferrerò è stato presieduto dal pastore emerito Lamy
Coisson. La comunità lo ringrazia per il suo convincente messaggio di fede.
• Il calendario completo delle
riunioni di novembre sarà pubblicato sul prossimo numero del
giornale.
SEGNALAZIONI
I tipografi della Coop. Tipografica
Subalpina si stringono con affetto attorno al redattore deU’Bco-Luce Ermanno Genre e ai suoi familiari in
6 , quest’ora di lutto.
Una svolta
nella storia valdese
Si tratta di un volumetto che, nelToriginale, scritto negli ultimi anni
del secolo scorso dal Pastore W. Melile, esiste ancora in poche vecchie biblioteche Valdesi.
E’ stato riportato alla luce e tradotto a cura del movimento di Testimonianza Evangelica Valdese e pubblicato dalla Claudiana.
Dopo la rivoluzione francese e Napoleone, la fede nelle Valli si era alquanto assopita : si moltiplicavano i
culti alla Dea Ragione, imperava il
formalismo e molti credenti Valdesi
erano in attesa di un risveglio della
loro Chiesa.
Risveglio che già era operante in
Francia e in IsvizZfera.
La storia inizia con la visita alle
Valli Valdesi del Pastore Svizzero
Felix Neff ampiamente conosciuto
per il suo zelo al di là e al di qua
delle Alpi. Egli compie un giro di
prediche a San Giovanni, San Germano e Torre Pellice. Trasfonde nel suo
uditorio il grande zelo che lo anima e
il suo messaggio è particolarmente recepito a San Giovanni, dove si fanno
confronti tra la sua e la predicazione
del settantenne Mondon, più filosofo,
che Pastore.
Mondon non accetta l’impostazione,
che alcuni parrocchiani più ferventi,
vogliono dare alla loro vita spirituale
e più volte li fa oggetto di denunzie
infami e provoca contro di loro lo
sdegno dei « benpensanti », che non
vogliono novità e grane con le Autorità.
Nasce così il Risveglio anche nelle
Valli, ostacolato da mille incomprensioni reciproche, violenze e cattiverie. Ma in mezzo a tutte le debolezze
umane, la fede si ravviva e sboccia
a nuova vita.
Del Risveglio si conosce poco e se
ne parla spesso a sproposito: questo
libro può essere di aiuto a comprendere i momenti particolari di una Chiesa, che, addormentata dal mondo, perde di vista l’unica cosa importante.
Solo con il ritorno al puro Evangelo
e al reciproco rispetto, si riescono a
superare momenti difficili.
È un libro da leggere e meditare
per molte analogie coi tempi presenti. Si tratta comunque, di un documento storico, in quanto ogni lettera
o articolo di giornale è stato desunto
dall’archivio della Tavola.
Il testo francese è stato tradotto in
un italiano scorrevole, senza pretese
letterarie.
Lo si consiglia a tutti : tratta di
un periodo poco conosciuto della nostra storia Valdese e spesso maltrattato, fonte, è vero, di numerosi contrasti, ma che ha preparato la Chiesa all’opera di Evangelizzazione, messa in
atto dopo l’emancipazione de] 1848.
A. R.
FERRERÒ
Domenica 12 novembre
CONVEGNO EGEI
« I credenti di fronte aUa
crisi della militanza».
Inizio ore 10.30 con il
culto presso il locale Tempio valdese.
Pranzo al sacco.
Pomeriggio : dibattito.
AGAPE
’it^iLLiAM Meille, Il Risveglio del
1825 nelle Valli Valdesi, pag. 103,
Editrice Claudiana, L. 2.500.
Comunicato FGEI
La FGEI-Valli organizza per
domenica 12 novembre, a Ferrerò, un Convegno regionale sul
tema: « I credenti di fronte alla
crisi della militanza ». Con questo Convegno, ci si propone, partendo dalle premesse della « linea
FGEI », di valutare quanto è' stato fatto dalla FGEI in questi ultimi anni, di interrogarci sulla
crisi che investe il mondo giovanile, e di chiederci qual è la nostra responsabilità di credenti nella situazione attuale.
Il Convegno avrà inizio la mattina, alle ore 10,30 con la partecipazione al culto insieme alla comunità di Ferrerò. Dopo il culto,
vi sarà la relazione introduttiva,
quindi il pranzo al sacco. Il pomeriggio sarà dedicato alle discussioni a gruppi e all’assemblea generale. Il Convegno si concluderà
alle ore 19.
Tutti i gruppi e membri FGEI,
unioni e gruppi giovanili, nonché
tutte le persone interessate sono
invitati a partecipare.
li Coordinamento FGEI-Valli
LUSERNA
SAN GIOVANNI
Un’altra occasione perduta per
la maggior parte dei membri
della Comunità è stata l’Assemblea di Chiesa del 14 ottobre.
Richiesta dall’Assemblea precedente di primavera, aveva ,o
scopo di un riesame generale
della vita della Comunità e di
un confronto sui vari settori di
attività, sui programmi svolti e
da svolgere, sulle diverse impostazioni di lavoro. L’informazione reciproca e un utile scambio
di idee ha avuto ugualmente luogo tra i pochi partecipanti, senza un costruttivo dibattito.
Rimane aperto l’interrogativo
sul perché la maggior parte della gente, che pure ha osservazioni, critiche, proposte sulle cose che si fanno e non si fanno
nella Chiesa, non usi le strutture appositamente costituite per
un fraterno dibattito, in un quadro di partecipazione diretta da
parte di tutti alla conduzione
della vita della Comunità.
• Una simpatica giornata per
« stare insieme », un ulteriore
motivo per ringraziare il Signore, un’occasione per poterci meglio conoscere; sono i tre punti
che il pastore Adamo ha espresso nella sua breve introduzione
che ha dato il via, domenica
scorsa, alla Festa del Raccolto.
Tre punti che rispecchiano la
realtà di questa tradizione che
ogni anno in autunno si rinnova
nel ringraziamento e nella gioia
della comunione fraterna.
Il successo è stato più che mai
positivo ed ha largamente compensato la fatica degli organizzatori e dei donatori, dai vari
addetti alla vendita dei prodotti,
alle sorelle del Cucito, all’infaticabile équipe del buffet e dell’ottima cena che ha avuto luogo la
sera ed alla quale ha partecipato
una ottantina di membri della
comunità.
• Ricordiamo che la Società di
Cucito « ‘Le Printemps » si riunirà giovedì 26 c.m. alle 14,30 e che
le sedute avranno in seguito luogo il secondo ed il quarto giovedì del mese.
• Domenica 15 ottobre sono
ricominciati i culti mensili con
riflessione comunitaria al termine del culto.
Gli interventi sono stati numerosi e puntuali e hanno costituito un utile contributo all’approfondimento e alla miglior
comprensione del testo biblico
della « parabola delle zizzanie »
introdotto dalla predicazione.
Con una breve meditazione biblica, tenuta da una ragazza inglese, si è aperta, lunedi 23 ad
Agape, la X Assemblea Generale
del Consiglio Ecumenico Giovanile Europeo (C.E.G.E.). Presenti 80 delegati provenienti da tutti i Paesi dell’Est (salvo Bulgaria e Jugoslavia) e dell’Ovest;
l’Assemblea ha posto al centro
dei lavori il tema teologico della
speranza ( « Rendere ragione della speranza che è in voi » secondo la I Pietro 3: 15) che verrà
introdotto da una relazione del
prof. Paolo Ricca prevista per
mercoledì 25. Nel corso dell’Assemblea (i delegati si sono divisi in commissioni di lavoro su
temi diversi: culto, razzismo, antimilitarismo, ecc.) i partecipanti visiteranno le valli e incontreranno responsabili ecclesiastici
per conoscere più da vicino la
realtà del valdismo italiano.
ANGROGNA
• Venerdì 20 abbiamo accompagnato all’ultimo riposo, ascoltando l’annuncio della risurrezione, Alina Cesarina ved. Revel
mancata all’età di 90 anni. La
comunità esprime ai familiari la
propria simpatia cristiana.
• Nel corso del culto di domenica 22 c.m., con l’intervento del
pastore Lorenzo Rivoira, \è stato presentato al Signore e alla
comunità, raccolta nel tempio
del capoluogo, il piccolo Oscar
Platone. Esprimiamo l’augurio
che egli possa crescere, con l’aiuto di tutta la comunità, nella conoscenza della verità evangelica.
• Martedì, 24 c.m. nel tempio
valdese del Capoluogo, una folla
commossa ha partecipato ai funerali di Silvio Rivoira deceduto,
dopo breve sofferenza, presso
l’ospedale Civile di Pinerolo, all’età di 51 anni.
Ai fratelli e a tutti i parenti,
dolorosamente colpiti da questa
rapida e prematura morte, rivolgiamo i sensi della nostra solidarietà in Cristo.
CHIESA DEL SERRE
Domenica 29 - ore 14R0
Pomeriggio con i bambini
e i catecumeni.
Per l’occasione è allestito
un BAZAR, con dolci e
piccola lotteria.
Vi aspettiamo!
POMARETTO
Ritornando sul tema del Bazar che si terrà Domenica prossima 29 ottobre a Pomaretto, si
comunica che il provento del
Bazar, come quello della cena,
saranno destinati alla sistemazione dei locali a pian terreno
delle ex scuole di Pomaretto.
• Sabato, 28 ottobre il concistoro è convocato presso la sala
Lombardinì di Perosa Argentina, alle ore 20.30.
• Domenica 29, ultima domenica
del mese si avrà il culto al Clot
di Inverso Pinasca.
S. GERMANO
L’assemblea di chiesa che ha
avuto luogo a S. Germano il 22
ottobre ha riconfermato per un
altro settennio il pastore Giovanni Conte.
AVVISI ECONOMICI
TRASLOCHI e trasporti per qualsiasi destinazione, preventivi a richiesta: Sala Giulio, via Belfiore, 85
Nichelini, til. (011) 62.70.463.
RINGRAZIAMENTO
« Giustificati per fede abbiamo
pace con Dio per mezzo di Gesù
Cristo nostro Signore »
(Rom. 5: 1)
I familiari di
William Genre
di anni 74
addolorati ma fiduciosi nei doni della
grazia di Dio ringraziano tutti coloro
che hanno manifestato la loro simpatia cristiana e in particolare il pastore
Pons e Signora. ,
Chenevières di Inverso Pinasca
19 ottobre 1978
8
8
27 ottobre 1978
VIAGGIO NELLA GERMANIA FEDERALE
I '
Tutto come prima?
A pochi mesi dalle elezioni per il parlamento europeo, la situazione
tedesca appare stabile; ma non mancano segni di inquietudine
VIETNAM
Sofferenze
senza fine
Blocco di forze
Gli elettori dell’Assia (circa
quattro milioni e mezzo di persone) hanno confermato la loro
fiducia nell’attuale amministrazione socialdemocratico-liberale,
lasciando all’Unione cristianodemocratica (C.D.U.) la semplice maggioranza relativa nel
Parlamento regionale. Il partito
di Köhl, che già nel 1974 si era
trovato vicinissimo al «potere»
nell’Assia, non è riuscito, malgrado una .campagna elettorale
impeccabile, a superare il «muro » del 50%.
Non sono pochi in Germania
a ritenere che, in questa come
in altre Diete, i democristiani
abbiano già sfruttato al massimo la loro « base elettorale »,
per cui solo clamorosi ed improbabili errori della coalizione
governativa potrebbero aumentarne allo stato attuale i suffragi. Per ovviare a questa oggettiva condizione di stallo, c’è già
chi propone di estendere la
C.S.Ü. (Unione cristiano-democratica, operante nella Baviera)
su tutto il territorio nazionale,
e, reciprocamente, allargare la'
presenza della C.D.U. anche in
territorio bavarese. Due partiti
fratelli, quindi, che Si presenterebbero autonomamente e su
contenuti propri alla scadenza
elettorale, pronti tuttavia a formare. insieme coalizioni di governo in un momento successivo. Ipotesi suggestiva (anche se
indubbiamente rischiosa per le
rivalità interne cui potrebbe dar
luogo), ma che appunto ben fotografa l’attuale blocco del quadro politico. Lo scontato successo del «falco» Strauss (circa il 60% dei voti a Monaco e
dintorni) sembra del resto confermare questa tendenza.
La ’’tenuta” liberale
Molti davano per spacciato
l’P.D.P., ma queste previsioni
sono state smentite; il Partito
' Liberale infatti ha mantenuto ed
anzi leggermente incrementato i
voti delle precedenti elezioni. Il
risultato positivo sembra comunque più ascrivibile al forte
prestigio dei suoi leaders che ad
una salda e coerente linea politica. Come già in Gran Bretagna, infatti, l’alleanza in chiave
anticonservatrice di forze liberali e socialiste, benché opportuna e proficua in sede parlamentare, ha sconcertato e sovente deluso i fautori della classica « autonomia liberale », i
quali ravvisano in questo «nuovo corso » una semplice e strumentale funzione di «puntello
esterno » a schieramenti d’altra
matrice politica. Non si può
quindi escludere che l’F.D.P.,
raccogliendo le indicazioni della
base e del movimento giovanile
(gli Jung Demokraten) tolga in
futuro l’appoggio a Schmidt. Una
Comitato di Redazione: Sergio
Aquilante, Dino Ciesch, Marco Davite, Niso De Michelis, Giuliana
Gandolfo Pascal, Marcella Gay,
Ermanno Genre, Giuseppe Platone,
Ornella Sbaffi, Liliana Viglielmo.
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Reg. Tribunale di Pinerolo N. 175,
8 luglio 1960.
Cooperativa Tipografica Subalpina
Torre Pellice (Torino)
scelta in tal senso, sia pure pagante sotto il profilo elettorale,
getterebbe tuttavia il Paese in
tm ballottaggio sino all’ultimo
voto fra socialdemocratici e democristiani, accentuando il bipolarismo già esistente. Una
grave responsabilità, dunque,
che gli organi di partito, benché favorevoli in linea di-principio, esitano ad assumersi.
Gli altri
Si tratta delle forze politiche
minori, cui, non raggiimgendo il
5% dei voti, è stato negato l’accesso ai Parlamenti regionali. In
questo minuscolo arco di esclusi troviamo il Partito Comunista tedesco (D.K.P.), due liste
d’orientamento ecologico, e Democrazia Nazionale (N.D.P.).
I comunisti, pur avendo assunto in qualche caso posizioni
nettamente antisovietiche (per
esempio la denuncia dell’imperialismo russo in Cecoslovacchia) e pur ricevendo una diffusa solidarietà giovanile per le
numerose discriminazioni cui
vengono sottoposti (interdizione
dagli incarichi statali, schedature e cosi, via), non sono riusciti
a farsi portavoce di quella forte
opposizione (anche non-marxista) cui aspiravano. Gli ecologi
pagano invece con la mancata
vittoria il prezzo di logoranti polemiche interne che hanno frenato il promettente slancio iniziale del nrovimento. Quanto
alla Destra, nostalgica e talora
violenta, dopo l’affermazione
elettorale del 1969 continua a
perdere irrimediabilmente terreno, specialmente a favore dei
Cristiano-sociali.
Europa o Germania?
Situazione politica stabile,
dunque, almeno in apparenza,
quando mancano ormai pochi
mesi ad eleggere il Parlamento
d’Europa. Gli organi di stampa
e le stesse fonti, governative riscontrano tuttavia con una certa inquietudine la notevole
«freddezza» mostrata dai tedeschi per questo appimtamento.
Una prima analisi rivela la diffusa preoccupazione di «perdere benessere » in favore di Paesi economicamente più deboli;
l’Italia, per esempio.
Il mancato entusiasmo per la
unificazione sembra comunque
nascondere altre radici, di carattere politico. Risale al mese
di agosto la proposta, avanzata
a titolo personale da un esponente socialdemocratico berlinese, di far uscire la R.P.T. dalla
N.A.T.O., allo scopo di avviare
trattative con la B.D.T. in vista
di una riunificazione tedesca. In
Parlamento nessuna forza politica, come prevedibile, ha raccolto questo spunto, ma l’eco,
spesso favorevole suscitato dall’iniziativa, rivela forse l’interesse, tuttora prioritario fra i tedeschi occidentali, per una ««integrazione » fra le due Germanie. In altre parole, si vuole
credere alla possibilità d’una
« Germania franca », autonoma
fra i blocchi d’influenza americano e sovietico ; se è questo
l’obiettivo che, sia pure a lungo
termine, s’intende raggiungere,
il trovarsi allora confederati,
cioè vincolati, ad altri Paesi dell’Europa occidentale, non ne potrebbe che ritardare e forse definitivamente impedire l’attuazione.
Un disagio quindi, di cui né
la cauta Ost-politik di Schmidt,
né l’anticomunismo militante di
Strauss sanno cogliere adeguatamente le implicazioni. Un
«campo aperto», lasciato forse
a nuovi «movimenti d’opinione»
piuttosto che al tradizionale
« controllo » dei Partiti.
Ikirico Benedetto
Se pensiamo a quanto il popolo del Vietnam ha dovuto soffrire, ci domandiamo — come
dinnanzi alle nostre malattie o
alla nostra morte — perché?
Appena avrò tempo scriverò,
come promesso, una serie di articoli sui problemi per i quali
l’opinionè pubblica è inquieta
per difetto di informaziòné diretta. Ora mi urge informare gli
amici de La Luce dell’ultima tragedia, quella delle alluvioni eccezionali che lo hanno colpito.
Trascrivo semplicemente le informazioni dell’Ambasciata del
Vietnam a Roma ed autentico,
per quelli che hanno fiducia nella mia onestà, ogni informazione che, del resto, con più tempo
potrei altrimenti documentare.
« Dal 20/8 al 15/9/1978 l’acqua
del Fiume Mekong e dei suoi affluenti è straboccata, provocando l’alluvione in alcune vaste
regioni, comprendenti 9 Province del Sud Viet Nam. Attualmente il livello dell’acqua non si è
ancora abbassato; non si esclude la possibilità che l’inondazione possa durare tutto il mese di
ottobre. Questa è una grave
inondazione che ha causato numerosi e gravi danni poiché è
avvenuta 20-30 giorni prima del
solito: cioè quando il riso della
stagione estate-autunno non era
ancora stato raccolto ed una
metà dei terreni a riso non era
ancora stata seminata.
I danni causati dall’inondazione sono pesantissimi: secondo i
dati ancora provvisori le vittime umane sono 74, il numero
della popolazione che ha subito
danni si aggira su 2,1 milioni di
persone tra le quali 1.150.000
hanno bisogno di aiuti urgenti.
Gli ettari delle risaie colpite dall’inondazione e dagli insetti sono circa 775.000, tra i quali 364
mila ettari inondati, 61.500 ettari non ancora seminati e che
ora non è più. possibile seminare, 350.000 ettari non colpiti dall’inondazione ma distrutti com
r
LA SETTIMANA INTERNAZIONALE
a cura di Tullio
ViolaJ
Una profezia di Toistoi
Si sono commemorati in
tutto il mondo, e con grande
onore , i 150 anni dalla nascita
del celebre scrittore e pensatore
russo (n. a lasnaia Poliana il 9
settemlrre 1828, m. ad Astapovo
il 20.11.1910). In particolare, nella settimana dal 9 al 15 c., si è
tenuto a Parigi un colloquio intemazionale dal titolo: « Attualità di Toistoi ».
Su « Le Monde » del 15-16 c.,
Gabriel Matzneff coglie l’occasione per riportare, con ampio
commento, la parte saliente della lettera che Toistoi scrisse al
giovane zar Alessandro III, subito dopo l’assassinio del padre
Alessandro II compiuto da terroristi a Pietroburgo (oggi Leningrado) il 31.3.1881.
« Questi giovani (scrive Toistoi) sono pieni di odio verso
l’ordine sociale esistente, ed hanno in vista un ordine nuovo, non
so quale; col fuoco, con la devastazione e con l’assassinio, essi
distruggono le strutture della società attualmente esistenti. In
nome della ragion di Stato e del
bene del popolo, si vorrebbe
sterminarli. Ma la pena di morte
non serve a nulla contro i rivoluzionari. Per combatterli, occorte opporre a loro un altro
ideale, più elevato del loro. Se
voi, Sire, non concedete la grazia agli assassini di vostro padre, il male partorirà il male e,
al posto di^ tre o quattro individui che voi avrete soppresso, ne
nasceranno altri trenta o quaranta. Io invece sono certo che
un vostro provvedimento di grazia produrrebbe una diffusione,
in Russia, del bene e dell’amore
con la forza d’un torrente... ».
Alessandro II era stato un
buon zar, contrariamente a tan
ti altri: era stato lui, tra l’altro,
ad abolire la servitù della gleba(legge del febbraio-marzo 1861).
Il suo diretto discendente Nicola
II (1868-1918) fu invece quello
che mandò al macello non sappiamo quanti milioni di sudditi
nella prima guerra mondiale, e
ciò indubbiamente più per stupidità che per cattiveria.
G. Matzneff è una nobilissima
e ben nota personalità di credente, di confessione ortodossa, e
politicamente anarchico. Nel
commento alla lettera riportata,
egli scrive:
« Quelli che fanno l’elogio della pena di morte e che si augurano che i governi reprimano con
ferocia l’attività dei "terroristi”,
dovrebbero leggere questa lettera (...) », che è profetica perché
« essa si applica esattamente all’Europa Occidentale del 1978.
Se gli uomini politici tedeschi,
italiani o francesi se ne nutrissero, ne ricaverebbero un grande
beneficio. (...) Così come i malvagi sono sempre dei disgraziati, allo stesso modo i sostenitori dei metodi punitivi sono sempre degli uomini che hanno
paura.
Perché la nostra società non
sa rispondere alla violenza in altro modo che con la violenza, e
la nostra giustizia non sa opporre alla rivolta nient’altro che la
repressione dello Stato? Per questo: che la nostra società manca
di fede nei valori che essa pretende di difendere.
All’ordine fondato sulla paura,
è necessario sostituire l’armonia
fondata sulla fiducia; alla vendetta, la misericordia; alla schiavitù della legge, la legge della libertà. (...)
Come Toistoi (prosegue G.
Matzneff), noi non possiamo che
essere sconvolti dall’audacia e
dall’inaudita bellezza dell’invito
dell’apostolo Giacomo », contenuto nei due passi: Giac. 2: 12-13
e 4: 12 (la « legge di libertà » e
« la misericordia che trionfa del
giudicio »):
« Il vangelo è una bomba (egli
dice) che la mediocrità della gente di Chiesa cerca, con perseveranza, di disinnescare. Ecco una
osservazione che, leggendo le opere dei teologi e ascoltando i
sermoni domenicali, ogni cristiano attento ha spesso occasione
di fare. Tuttavia nessun cristiano si è .mai indignato con tanta
passione, quanto Toistoi, d’una
tale vanificazione del cristianesimo. Specialmente per quanto
riguarda il perdono delle offese
e la non-resistenza al male. Nessun cristiano ha messo in evidenza, con altrettanta chiarezza, la
radicale novità dell’insegnamento di Gesù ».
Noi non concordiamo in tutto
con le idee dell’articolista. Se
Alessandro III avesse usato clemenza verso gli assassini di suo
padre, invece di accondiscendere a quella restaurazione feroce
dei privilegi nobiliari, che condusse la Russia, sotto Nicola II,
alla rivoluzione del 1905 e poi
alla seconda guerra mondiale, è
possibile, anzi molto probabile
che tante sventure sarebbero state risparmiate al suo popolo. E
che una politica generosa e democratica (altro che pena di
morte!) sia sempre una sorgente
di pace, è una verità di cui siamo convintissimi. Ma non condividiamo l’interpretazione integralista dei citati passi di Giacomo, nel senso espresso sia
dall’articolista, che dallo stesso
Toistoi.
pletamente dagli insetti. La perdita totale della produzione del
riso, calcolata provvisoriamente, sarebbe di 1,2/1,5 milioni di
tonnellate; più di 200.000 case
sommerse dall’acqua e circa
15.800 case portate via dalla corrente dell’acqua. 168.000 suini e
50.000 buoi e bufali morti. Inoltre molto macchinario agricolo
ed altri mezzi di produzione sono stati gravemente danneggiati in quanto il livello dell’acqua
è aumentato rapidamente e non
si è avuta la possibilità di evacuarli in tempo. Parecchie scuole, ospedali ed ambulatori sono
stati seriamente danneggiati.
Secondo le ultime notizie giunteci in questi giorni, di recente
anche nel Nord Viet Nam la
pioggia torrenziale ha provocato inondazioni in vaste zone.
Subito dopo l’inondazione, il
popolo ed il Governo del Viet
Nam hanno applicato le misure
necessarie per riprendere rapidamente la produzione e sistemare la vita della popolazione
nelle regioni inondate ed hanno
già ottenuto alcuni risultati nel
superamento delle conseguenze
dell’inondazione. Tuttavia, poiché i danni provocati dall’alluvione sono enormi e gravissimi,
il Governo della Repubblica Socialista del Viet Nam è costretto a chiedere aiuti urgenti a tutti gli amici nel mondo.
Le necessità, secondo l’ordine
di priorità, sono:
— Alimentari ( riso, granoturco,
farina di grano, zucchero, carne e pesce conservati, olio
alimentare);
— Garze in cotone, tele Qlòna,
medicine, strumenti chirurgici, laminati ondulati per uso edilizio;
— Semi di riso a breve termine,
senti di vari tipi di verdura e
fagioli, concimi chimici e
prodotti chimici anti-inseti;
— Macchinario agricolo.
Il Popolo ed il Governo del
Viet Nam esprimono i sinceri
ringraziamenti al Comitato Italia-Viet Nam per le sue continue
attività, attività che hanno dato
un notevole contributo allo sviluppo dei buoni rapporti tra i
popoli dei due Paesi. Speriamo
vivamente che il Comitato Italia-Viet Nam, con i suoi sentimenti di solidarietà ed amicizia
fraterna verso il popolo vietnamita potrà trovare le forme di
organizzazione e di mobilitazione più efficaci per raccogliere
aiuti urgenti alle vittime delle
regioni Sud-vietnamite colpite
dall’inondazione ».
E termino con un appello.
Se c’è in noi un senso umano,
qualche legame col Cristo sofferente, qualche preoccupazione
per il nostro pianeta che deve
essere salvato... Intervenite con
gli aiuti necessari. Si potrebbe
pensare a materiali, ma questi
richiedono tempo e spesa per la
spedizione. È meglio contribuire
finanziariamente. La via più semplice è mandare le offerte al
FONDO DI SOLIDARIETÀ’ de
LA LUCE specificando la motivazione.
Occorre far presto perché la
tragedia non divenga irreparabile.
Grazie.
Tullio Vinay
Pubblichamo questo appello di
Tullio Vinay, consapevoli del fatto che da parte di alcuni si reagirà chiedendo: perché un aiuto
per le inondazioni del Vietnam
e non per quelle dell’India o per
il terremoto dell’Iran? Ci sembra che l’amore per il prossimo
debba necessariamente concretizzarsi, senza alcuna esclusione,
nell’amore per qualcuno, in un
impegno tenace ad appassionato
quale quello che Tullio Vinay ci
testimonia. Guai se invece l’esigenza imparziale di un amore
per tutti diventa un amore per
nessuno! Per parte nostra continueremo a sostenere come EcoLuce gli appelli lanciati dal Consiglio Ecumenico delle Chiese e
quelli che, come questo, nascono
nell’ambito delle nostre chiese.