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Anno 114 - N. 5
3 febbraio 1978 - L. 200
Spedizione in abbonamento postale
1“ Gruppo bis/70
BIBLIOTECA VALDESE
10066 TOHRB PEI LICE
ddk valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE ~
Messaggio della Tavola Valdese al Sinodo Rioplatense ’78
Il Signore vigila sulla sua parola
per mandarla ad effetto
Ai « fedeli fratelli in Cristo che
sono nel Rio de la Piata, grazia
a voi e pace da Dio nostro Padre » (Colossesi 1: 2).
È con gioia che ci rivolgiamo a
voi tutti nella comunione che deriva dalla vocazione che abbiamo
ricevuta dal vivente Signore Gesù Cristo.
In questi ultimi mesi il Signore ci ha concesso una grande benedizione dandoci la possibilità
di frequenti incontri. Noi ricordiamo, con un sentimento di riconoscenza a Dio, la presenza del
Moderador della Mesa Vaidense
Past. Wilfrido Artus al nostro Si;
nodo ed il messaggio che egli ci
ha recato. Durante le sedute della Tavola, subito dopo Tasserablea sinodale, abbiamo avuto
l’opportunità di avere tra di noi
oltre al Moderador anche il Past.
Ricardo Ribeiro, di ritorno da S.
Andrews ove aveva partecipato
alTincontro deH'Alleanza Riformata Mondiale anche in rappresentanza della Chiesa valdese
nell'area italiana. Abbiamo potuto insieme prendere visione dei
progetti che la Mesa Vaidense ha
predisposto sia per la costruzione del « Centro Vaidense rionlatense » (Casa Valdese), sia
per il rilancio della casa editrice
« La Aurora » come pure il programma del « Centro Emmanuel ».
La responsabilità che avete assunto per la realizzazione di questi progetti è per noi tutti un segno della vostra chiara volontà
di rimanere saldi nel vostro impegno di testimonianza e di servizio anche nei tempi difficili che
tutti attraversiamo. Noi siamo
solidali con queste vostre iniziative e faremo tutto il nostro possibile per sostenerle.
È giunto tra di voi in questi
mesi il past. Samuele Giambar
resi per compiere un ministero
pastorale in una delle vostre comunità. Fra qualche mese sarà
tra di voi un altro pastore: il collega Bruno Rostagno al quale
voi intendete affidare per alcuni
mesi una missione particolare al
Centro Emmanuel.
La Chiesa valdese nell’area italiana cerca in tal modo di esprimere quella solidarietà che negli
ultimi tempi ci era stato dato di
comunicarvi soltanto con messaggi.
Sappiamo che la Mesa Vaidense sta studiando la possibilità per
la realizzazione del viaggio del
pastore Nestor Rostan e signora
in Italia. Riprendiamo così una
buona e valida tradizione che già
nel passato ha dato ottimi frutti
Questo numero
é dedicato,
in modo particolare, ai nostri fratelli della Chiesa Valdese del Rio de la Piata, in occasione della loro. Sessione
Sinodale che si aprirà nei
prossimi giorni.
Nell’interno (pagg. 4-5) puhblichiamo parte degli interventi tenuti in un ampio dibattito nel corso di un’assemblea di chiesa a Torino che
ha affrontato il significato e
le prospettive delle nostre
opere.
per la mutua conoscenza dei nostri diversi campi di lavoro e per
rafforzare i legami tra le due
aree della Chiesa Valdese.
La Chiesa Valdese nell’area italiana già da qualche tempo ha
all’opera in una comunità del
Piemonte un vostro candidato in
teologia il quale sta maturando
la sua vocazione pastorale e ne
siamo lieti.
Nel momento in cui state per
iniziare la sessione sinodale nell’area rioplatense noi siamo uniti
a voi nella certezza della fede
che il Signore « vigila sulla Sua
parola per mandarla ad effetto »
(Geremia 1: 12).
Voi sapete molto bene come in
questo momento noi stiamo attraversando, nel nostro paese, un
tempo carico di minacce e di disorientamento; anche alTinterno
stesso della nostra Chiesa non
mancano le tensioni. Certo abbiamo bisogno che si ripeta per noi
tutti il miracolo invocato dal
profeta Eliseo per il suo servitore, nel momento in cui egli a
Dothan non poteva vedere altro
che la^iotenza minacciosa del re
di Siria: « O Eterno, ti prego,
aprigli gli occhi affinché vegga »
Voi ricordate il racconto bibli
co (2 Re Cap. 6°) e come fu data
al servitore del profeta la possibilità di vedere per un momento
un’altra realtà, quella della potenza liberatrice di Dio.
Questa fede certa sulTintervento di Dio nella storia degli uomini noi insieme da Lui invochiamo mentre ci rendiamo disponibili per divenire suoi strumenti
secondo quanto egli stesso ci indicherà.
È nella serenità che proviene
dalla fede e nella allegrezza della
speranza che noi continueremo,
in questo tempo difficile, a rispondere alla vocazione ricevuta,
ben sapendo che il Signore « vigila sulla parola per mandarla ad
effetto ».
Benedica Iddio i lavori della
14“ assemblea sinodale rioplatense concedendo a voi tutti discernimento e prontezza per rispondere alle indicazioni del vivente
Signore della Chiesa.
Possa la nostra comune vocazione essere una vocazione creativa tale da anticipare in qualche
modo nel tempo presente il
« nuovo di Dio » nella storia.
Per la Tavola Valdese
Il Moderatore
Aldo Sbaffi
Il nostro Sinodo ha rivolto, nell’agosto dello scorso anno, un messaggio di solidarietà fraterna ai fratelli valdesi del Rio de la Piata. Riprendiamo qui sotto, quel testo pienamente attuale. Nella foto: un
momento dell'ultima sessione sinodale europea a Torre Pellice: il
Moderatore rivolge il saluto delle chiese ai neo-consacrati al ministero
pastorale.
Messaggio alle
del Rio de la Piata
(lari fratelli,
la sessione italiana del Sinodo
valdese ha ricevuto con gioia il
vostro saluto e il vostro incoraggiamento ed è lieta di annoverare tra i suoi membri il moderador della Mesa Vaidense, pastor
INTESE CON LO STATO
Trattative a tempo debito
Confronto aperto fra le posizioni delle « minoranze » ebraica e valdese riguardo alla stipulazione delle intese con lo Stato
Ho letto con interesse su « La
Comunità », periodico ebraico
torinese di dicembre 1977, una
breve nota di Silvio Ortona sulle intese. Ancorché l’autore tratti del problema dei rapporti tra
Stato ed Ebraismo e dei suoi
tempi e sviluppi eventuali, coinvolge però anche le trattative in
corso per l’intesa tra la Repubblica italiana e la Tavola Valdese.
Premesso che le intese sono
lo strumento per attuare il principio costituzionale dell’eguale
libertà di tutte le confessioni religiose in Italia, paese «naturalmente permeato di cattolicesimo », Ortona avverte che l’Ebraismo, affrontando questo problema, deve evitare il rischio
della « strumentalizzazione » da
parte di forze clericali cattoliche. Dopo aver notato che dai
rapporti di quantità (maggioranza e minoranze) discendono
problemi qualitativamente diversi, come avverrebbe anche nel
campo delle trattative tra Stato
e confessioni tra loro quantitativamente diverse, Ortona ritiene
che si debba tener conto della
presenza delle tre principali matrici della cultura italiana (cattolica, laica, marxista), ed in
conseguenza stima « assurdo voler risolvere il problema delle
intese con i culti minoritari prima di aver ridefinite le posizioni concordatarie tra lo Stato e
la Chiesa cattolica ». Su questo
fondamento egli pensa che non
si possano evitare i sopraindicati rischi di clericalizzazione « soltanto con l’abilità della negoziazione » mentre li si eviterebbero « predendo francamente e
apertamente atto della realtà » ;
cioè del rapporto tra maggioranza e minoranze.
Tale conclusione non concernerebbe però solo la posizione
delle comunità israelitiche nel
prospettarsi il momento operativo per l’intesa. Ortona chiama
in causa anche noi, suggerendo
che « il ragionamento può valere anche ad esempio per la Chiesa valdese » ; ed il ragionamento
sarebbe quello di « seguire con
attenzione le trattative in corso
tra io Stato e la Chiesa cattolica, ma rinviare la stipulazione
dell’intesa ».
Tale suggerimento non penso
possa essere raccolto, perché il
ragionamento svolto da Ortona,
che per un verso risulta valido,
manca di alcuni elementi analitici la cui assenza lo priva di
fondamento nelle sue conclusioni. Anzitutto occorre considerare che l’espressione « culti minoritari » o « minoranze religiose » è un concetto che nella dialettica pluralistica della Costituzione italiana è privo di contenuto, perché tutto all’opposto
esistono varie confessioni religiose diverse Luna dall’altra, e
non può più parlarsi di un coacervo anonimo ed indistinto di
« culti acattolici », o « ammessi », o « minoritari », come avveniva al tempo della politica e
della legislazione ecclesiastica
fascista.
Secondariamente — ed Ortona lo riconosce per l’Ebraismo
— Tattendere per trattare l’intesa, anche sino a dopo la definizione del nuovo concordato,
si può giustificare molto più in
funzione dell’incidenza che sul
problema esercita il fatto che
l’Ebraismo italiano non ha anco
ra elaborato suoi nuovi statuti
autonomi in riferimento al secondo comma dell’articolo 8 della Costituzione, che non per via
deH’infiuenza sviluppata dalla
realtà del rapporto maggioranza-minoranze.
Per non trovarsi impreparati
di fronte agli eventi, i valdesi
si sono posti in grado di affrontare il non facile momento della trattativa per l’intesa attraverso una preparazione di anni,
per cui si può affermare che
oggidì non esistono per essi non
solo problemi interni da risolvere in modo prioritario di fronte
all’intesa perché con essa collegati e tali da indurre a ritardarne la trattativa, né problemi
esterni che necessitino ancora di
un tempo intermedio per essere
risolti.
Una tale differenza metodologica può essere determinata in
parte dalle diversità intrinseche
di fondo esistenti tra ecclesiologia valdese e concezione derivantene circa la posizione da assumere in seno alla società civile ed il concetto stesso di Ebraismo che non si connota soltanto
in un dato fideista, ma si integra anche di fattori etnici e
culturali propri, che nel loro
insieme caratterizzano appunto
Tessere ebreo e le stesse comunità ebraiche.
Ma l’aspetto più interessante
tra le differenze che qualificano
i due gruppi di matrice culturale distinta, di fronte al problema
operativo delle intese, sta certamente nel modo come ciascuno
di essi intende vivere la sua pre(continua a pag.
Giorgio Peyrot
Wilfrido Artus, la cui visita, attesa e desiderata, ci riempie di
gioia. Il messaggio dì fraternità
che egli ci ha portato, e che sottolinea ancora una volta l’unità
delle nostre chiese nella fede comune e nella vocazione, è stato
ascoltato dalla sessione sinodale
con attenzione e viva partecipazione.
Considerando la difficile situazione in cui si svolge la vostra
opera di testimonianza all’Evangelo, desideriamo esprimervi la
nostra fraterna solidarietà. È
questo il sentimento reale di tutta la sessione sinodale. E perché,
appunto, non si tratti soltanto di
un messaggio, votato volentieri
dalla nostra sessione sinodale,
ma che rischia poi di essere dimenticato, noi vogliamo inviarvi
anche dei messaggeri, che condividano la vostra vocazione in questo tempo e il vostro servizio. Ci
rallegriamo che la Tavola valdese abbia messo a vostra disposizione un pastore per una delle
vostre chiese e chiediamo che
faccia ogni sforzo per inviare nei
prossimi anni altri pastori per
collaborare al lavoro di preparazione teologica organizzato al
centro Emmanuel.
Inoltre chiediamo alle Chiese
valdesi in Italia di ricordare la
vostra opera nella preghiera, nell'informazione, nella solidarietà
e in modo particolare di dedicare la domenica 19 febbraio 1978,
giorno di apertura della sessione
rioplatense del nostro Sinodo, all’intercessione per voi tutti e all’informazione sulla vita delle
chiese valdesi rioplatensi.
In questa sessione del Sinodo
abbiamo affrontato il problema
dei rapporti con lo Staio a causa
delle trattative in corso circa le
intese previste dalla Costituzione della Repubblica italiana. Abbiamo preso coscienza dell’atto
32/SR/77 e vi siamo grati per la
chiarezza della posizione assunta
dalla vostra sessione sinodale.
Tale presa di posizione ci conforta nelle nostre decisioni e siamo
lieti di constatare ancora una
volta come di riferimento comune all'art. 5 della Disciplina Valdese sia per noi tutti confessione
della fede comune ed espressione dell’unità delle nostre chiese.
Chiediamo al Signore di fortificare nella fede e nell’obbediem
za all’Evangelo le chiese valdesi
dei due rami e vi inviamo il nostro saluto fraterno.
Il S’nodo valdese
sessione italiana
2
3 febbraio 1978
NAPOLI
• Nella succinta ma esauriente
lettera {« Il Vincolo ») alle comunità valdesi di Napoli e Caivano,
di fine anno, il Pastore Carco ha
invitato iMifi i credenti a meditare sulla educazione cristiana in
vista della fede, sui ministeri, la
ponciliàrìtà, il culto e la liturgia, secondo le linee di studio
proposte nell'ultimo Sinodo; ar^hienti che andranno, certo, discussi però nella ricerca comune
ip' quanto richiederanno uno
sforzo fraterno non facile, specie
per chi è rimasto « muto » per
tanti anni.
• Le varie attività procedono
abbastanza bene; la « riflessione
comunitaria », la domenica prima del culto, la Scuola Domenicale, il Catechismo, durante il
quale viene studiata la fede cristiana evangelica in un rapporto
con la chiesa primitiva. Nell’t/nione Femminile si stanno prendendo in esame la posizione della donna nel nuovo Diritto di famiglia e la realtà della preghiera. Sono continuati i collettivi
teologici: su Bonhoeffer (Pastore
Paolo Ricca), su G. Van Rad (studenti: Bernardini e Garrone) e
su Bultmann (Past. Corsani).
• Ricordiamo pure la edificante visita fraterna dairAmerica
(domenica 11 dicembre s.a.) di
alcuni amici della chiesa Valdese
che ci hanno confortati e spronati nella fede rievocando la testimonianza fedele delle prime diaspore cristiane: il Rev. Clifford
Clark con la moglie e figlie e
Mr Smith con la moglie, accompagnati e presentati come interpreti del Past. Roberto Lillard.
• La Comunità si è rallegrata,
infine, per il brillante risultato
ottenuto dalla giovane sorella
Lucia Rinaldi laureatasi il 22 dicembre u.s. con 110 e lode presso la Facoltà di Magistero di Salerno. La tesi discussa verteva su
« La religione di Piero Jahier e
il suo socialismo umanitario ».
Nel corso della serata sarà presentato il
libro di scritti di Giovanni Miegge ;
Dalla riscoperta di Dio all'impegno nella
società, edito daila Claudiana.
NEW YORK
TORINO
CENTRO EVANGELICO DI CULTURA
Via Pie V, n. 15 - TORINO
Giovedì 9 febbraio ore 21
« Il dissenso in URSS a 60 anni dalla
rivoluzione »
prof. CESARE G. DE MiCHELIS
Giovedì 23 febbraio - ore 21
e Giovanni Miegge: Bilancio teologico
di una generazione »
prof. FRANCO BOLGIANI
pastore GIORGIO TOURN
prof. ROBERTO JOUVENAL
Abbiamo avuto il piacere di avere con noi, la domenica 18 dicembre u.s. il pastore Emidio
Campi da Ginevra, Segretario
Generale della Federazione Studenti accompagnato dalla Sig.ra
Past. Sitta Campi e dai loro bambini Daniel e Semaja. Siamo riconoscenti al Past. Campi per il
suo edificante messaggio di Natale ed alla Sig.ra Campi per i
saluti e le notizie della Comunità
di Ginevra. Con un gruppo di amici rincontro si è prolungato
per una buona parte della giornata in un’atmosfera di famiglia.
I sigg. Campi hanno poi proseguito per Valdese per passare il
Natale con gli amici di quella
Comunità.
Siamo pure riconoscenti al pastore Charles Arbuthnot Segretario della Waldensian Aid Society per avere sostituito al culto il
pastore forzatamente assente
nelle domeniche 4 e 12 dicembre.
Per coloro che vi hanno partecipato è rimasto vivo il ricordo
della gita a Valdese organizzata
l’estate scorsa dal nostro solerte
Sig. Felix Canal.
La gioia dell’incontro è stata
ben descritta nelle parole del pastore di Valdese Dr. Paul Felkner
che scrisse: « Avevamo atteso la
vostra visita con gioia ma l’esperienza fatta ha sorpassato di
molto ogni aspettativa ».
Particolarmente solenne il culto nelle due lingue inglese e francese dove per la prima volta le
nostre due comunità valdesi hanno avuto l’occasione di fraternizzare.
Indimenticabile il pic-nic del
15 agosto sui prati della Chiesa,
interessante la visita al Museo
ma soprattutto siamo rimasti afferrati dalla recita del dramma
Valdese From this day Forward,
un capolavoro presentato da artisti di professione nel grande
anfiteatro all’aperto, dove alla
storia delle persecuzioni passate
s’innesta la storia della emigrazione, l’arrivo dei primi pionieri
e la fondazione di Valdese.
Se fosse attuabile, una gita simile meriterebbe di essere organizzata dalle Valli. Perché no?
Nel corso dell’anno 1977 sono
deceduti i seguenti fratelli e sorelle nel Signore: Charbonnier
Etienne, Ravadera, Torre Pellice;
Albert Blanc, Chiotti; Jean Coisson. Serre, Angrogna; Evelina
■ IMPRECISIONI
DEL NOTIZIARIO
Caro Direttore,
Paul Tournier, nel suo libro Uomo,
Potere e Violenza (ed. Claudiana) in
mezzo a tante interessanti e importanti
considerazioni, pone anehe questa domanda : « Perché si mette cosi spesso
una sfumatura di disprezzo ncUa parola scrupoloso? ».
Penso che per noi, italiani, la risposta non sia difficile. Scrupoloso vuol dire « pignolo ». Cioè scocciatore, e basta. Questo è un atteggiamento chiaro e
mi sta bene.
Ma ci sono situazioni che non capisco. Il notiziario che ci viene dato nella seconda metà del culto evangelico
termina sempre con l’indicazione dell’indirizzo della Federazione : Via Firenze 38 - 00184 Roma. Magari poco
prima ti dice che per avere il bollettino « Culto Evangelico » basta scrivere
« via Firenze 38, Roma » (in questo
caso il numero di avviamento postale
non è necessario). Se invece parla del
Comitato per i Lebbrosi, l’indirizzo è
più semplice: solo Bordighera. Non
occorre né la provincia anche se la provincia è Imperia, né il numero di c.a.p.
Per il Centro Ecumenico di Agape poi
la cosa è un po’ diversa. Si deve indirizzare Prali Torino. Cosi dicono. Penso che Prali sia un sobborgo di Torino. 0 no?
Secondo le norme che dovrebbero
aiutare il... disservizio postale a uscire
dal tunnel c’è quella che il c.a.p. è
necessario e l’indicazione della provincia per le città non capoluogo è consigliabile.
Certo che, avendo fantasia, in uno
stesso annuncio si possono trovare quattro soluzioni diverse, come nel caso nostro.
Qualunquismo? Che brutta parola.
Diciamo libertà!
il tuo Pignolo
PROTESTANTESIMO IN TV
DOMENICA 5 FEBBRAIO
Comunichiamo che. per motivi tecnici di programmazione
della RAI insorti all’ultimo momento, la rubrica « Protestantesimo » non andrà in onda lunedì 6 febbraio alle ore 22,45 come previsto bensì ancora domenica 5 febbraio dopo il TG della notte. Il nuovo orarlo annunciato verrà attuato con la tra- smissione successiva: lunedi 20 febbraio aUe ore 22,45.
Robers, Castioni, Prarostino; Ernestina Forneron-Coisson, Prarostino; Josué Tron, Massello;
Charles Poet, Perrero; Henry Menusan, Traverse, Perrero; Robert
Bertin, Passel, Angrogna.
Ai congiunti di questi nostri
cari amici scomparsi esprimiamo la nostra simpatia cristiana,
la loro dipartenza lascia un vuoto sensibile nella nostra comunità.
A. Janavel
FIRENZE
L' unità dei cristiani
Presa di posizione
del Consiglio della
Chiesa Valdese
Anche quest’anno dal 18 gennaio al 25 arriva puntualmente
la « Settirnana di preghiera per
l’unità dei cristiani ». Arriva in
un momento di grave crisi della
nostra società; arriva in un momento di tensioni che rasentano rotture drammatiche, mentre
si aggrava la crisi economica e
aumenta il numero dei disoccupati.
Arriva in un momento nel quale, in Italia, la confusione tra sacro e profano è portata al massimo dal partito che si definisce
«cristiano»; mentre il Vaticano cerca di conservare — se non
di accrescere — i privilegi che
si è assicurato col Concordato.
In questo clima cosìi gravido
di incognite, si vuol presentare
la « Settimana di preghiera »
come una rossa atmosfera che
distrae l’attenzione dei credenti
dalla gravità della situazione.
In questi anni di « ecumenismo cattolico » non si è fatto
nessun passo per liberare il discorso di fede dalle manovre di
potere. Mentre il Vaticano continua ad agire come « stato sovrano », con tutti gli strumenti
della diplomazia e della finanza;
mentre esercita il suo controllo
sul paes^, mediante l’equivoco di
un partito cattolico, il ripetersi
delle « settimane di preghiera »
perde ogni significato di serio
confronto. Pregare per l’unità,
quando non si ha alcuna intenzione di rimuoverne gli ostacoli,
diventa un «nominare il nome
dell’Eterno invano ».
Questo insieme di considerazioni ha indotto il Consiglio della Chiesa Valdese di Firenze a
rifiutare la partecipazione ufficiale alle iniziative che sono prese in occasione della « Settimana
di preghiera ». Il confronto con le
chiese cattoliche può essere fatto durante l’intero corso dell’anno, con tutta serietà, senza trionfalismi, nella coscienza della
gravità del momento e, soprattutto, in un contesto che tolga
ogni equivoco e che renda chiaro il fatto che si tratta di un
confronto di fede, dinanzi al Signore e non di una qualsiasi adesione dei protestanti alla politica vaticana e democristiana.
Protesta dei pastori
Il gruppo dei pastori evangelici fiorentini che mensilmente si
riuniscono per discutere fraternamente i problemi della testimonianza nella nostra città, si
sono riuniti lunedi, 9 gennaio
per discutere sulle iniziative prese dalla Commissione Ecumenica
della diocesi cattolica di Firenze.
Una cosa ha turbato in particolare, cioè l’iniziativa di porre a
metà della settimana di preghiera la commemorazione del medico luterano Stenone, divenuto
poi vescovo cattolico. I pastori
hanno ritenuto necessario comunicare alla stampa cittadina la
seguente protesta:
« I Pastori delle Chiese Evangeliche di Firenze e della Chiesa Ortodossa italiana, riuniti in
consiglio il giorno 9 gennaio '78,
vista la decisione della Chiesa
cattolica fiorentina («La Nazione» 6.1.1978) di dedicare una serata durante la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
alla celebrazione del vescovo Stenone, ex luterano convertito al
cattolicesimo, esprime il proprio
disappunto per un atto che ha
tutti i caratteri anti-ecumenici,
proprio nel momento in cui si
presuppone di chiedere sinceramente al Signore una ben diversa unità dèi cristiani ».
Con un occhio alla TV
e un orecchio alla radio
Venerdì 20 gennaio: sul secondo
canale TV danno « Il sesto giorno »
di Primo Levi. Un gruppo di scienziati, gustosa parodia di molti ’’baroni” della cultura, discutono sul
progetto del nuovo animale-uomo,
commissionato loro da un superiore
potere, a cui accennano spesso, con
quel misto di dispetto e di paura
tipico di un gruppo di schiavi.
Mentre si accapigliano sull’opportunità di costruirlo sul modello del
ragno o del serpente, giunge la notizia che « quelli di lassù » hanno
già creato l’uomo, senza aspettare il
parere degli esperti.
E’ indubbiamente un testo interessante, vivace, ricco di spunti e
di riferimenti antichi ed attuali,
dal titolo preso dalla Genesi alle
caricature dei tecnici e degli scienziati del nostro tempo. Ma il quadro che ne risulta è squallido. La
creazione ha l’assurda e gelida organizzazione di un lager, e per i
tecnici, chiusi ognuno nella sua
specialità, il mondo e gli esseri viventi si irrigidiscono in numeri e
diagrammi. Forse l’unico spiraglio
che consente qualche speranza è il
fatto che, al di là deH’egoistica presunzione degli esperti, qualcuno,
più alto e più potente, porta avanti
la creazione a modo suo.
Ma questa visione fiduciosa non
sembra condivisa dall’autore:
« quelli di lassù » fanno pensare ad
un fato cieco o capriccioso piutto
sto che al Dio della Bibbia. In tutto
questo c’è tuttavia un aspetto fortemente positivo: la dignità dell’uomo è rivendicata proprio attraverso
la spietata rappresentazione dì quel
che può essere l’universo quando
non sia illuminato dall’Agape. Ri
troviamo anche qui il rifiuto dì
un’umanità fatta di torturatori e
di schiavi che animava trent’anni
fa « Se questo è un uomo ».
Domenica 22 gennaio : Radio uno
trasmette il culto evangelico. Anche qui ai parla dei primi capitoli
della Genesi e il tono non è certo
quello di un facile ottimismo. Contro la diffusa presunzione di un’anima costituzionalmente immortale e
divina, si insiste sull’appartenenza
di Adamo alla terra da cui è stato
tratto, creatura fra le altre creature, si accenna alle nostre responsabilità ecologiche e alle catastrofiche
previsioni sul futuro del mondo.
Eppure, anche là dove non è espressa esplicitamente, la gioiosa certezza dell’amore di Dio anima ogni
parola.
In qualche modo per me le due
trasmissioni sono state complementari; il doloroso richiamo dell’una,
la serena fiducia dell’altra mi hanno aiutata nel tentativo di vivere
coerentemente la mia fede, giorno
dopo giorno.
Marcella Gay
TRIBUNA LIBERA
Sospetti... e fatti
Ho letto nel numero del 28 ottobre
’77 de La Luce l’articolo riportato in
terza pagina, intitolato « Fede e... dollari ».
Le persone, che a motivo del servizio pubblico che rendono, diventano
personaggi, sono inevitabilmente oggetto di interessamento della natura
più varia. In qualche caso si tratta di
interessi seriamente nmtivati, in qualche altro di sfoghi pretestuosi, che
vengono scaricati sul personaggio per
il semplice fatto che egli è un bersaglio, che fa risonanza. Evidentemente
non tutti hanno la preoccupazione di
scegliere tra il nobile e l’ignobile.
Come personaggio, Tevangelista Billy Graham non fa eccezione a questa
regola. Ma mi ha sorpreso constatare
che un giornale serio come La Luce
abbia voluto aprire le sue colonne ad
un articolo, che, per aperta ammissione di chi lo ha scritto, è incentrato su
« un sospetto ». Un sospetto sulla cui
nobiltà non c’è da avere dubbi, visto
che, sempre per aperta ammissione
dell’autore dell’articolo, si tratta di
un sospetto suscitato ed alimentato in
lui da un « maligno giornalista » del
Giorno.
Confido che questo caso di inquinamento dal Giorno alla Luce (ironia dei
nomi!) sia solo un caso sporadico, e da
questa mia fiducia prendo motivo per
portare un contributo di chiarezza in
questa oscura faccenda di bustarelle,
che sarebbero passate dai pingui depositi della Casa Bianca a quelli non
meno pingui dì Billy Graham.
Si tratta di aiutare i lettori de La
Luce ad avere su questo fatto delle
informazioni, che siano qualcosa di
meglio dei sospetti e delle malignità.
In data 29 giugno 1977 il sig. W.
Smith, vicepresidente della Billy Graham Assocìation, mi inviò un documento, che, nel caso ne avessi ravvisata l’utilità, avrebbe potuto essere noto.
Con la pubblicazione dell’articolo in
questione, il caso si è purtroppo verificato. Ho deciso perciò di rendere
noto questo documento nel contesto di
questa presentazione.
« La storia apparsa su alcuni giornali a proposito del Fondo per VEvangelizzazione del Mondo e per VEducazione Cristiana è un volgare inganno.
Primo. Il Fondo non è del tutto un
segreto. Innumerevoli sono infatti le
organizzazioni evangeliche per le quali la partecipazione azionaria e i rendiconti dei doni di questo Fondo non
erano un segreto. Fin dall’inizio della
sua esistenza il Fondo è stato registrato presso VI.R.S. (International Reveniw Service =■ Ufficio delle Tasse) e
il SÚO rapporto n. 990 è di pubblico
dominio. Si tratta di una organizzazione senza scopo di lucro, avente scopi
di soccorso sociale, religioso ed educativo. Alcuni tra i più stimati uomini
di affari d’America sono responsabili
del controllo della sua attività (...).
Secondo. Il Fondo è stato creato nel
1970 con questo triplice scopo:
1) Di fornire borse di studio, di
aiutare altre organizzazioni cristiane in
bisogno finanziario, e di intervenire
nel finanziamento di Congressi sull’Evangelizzazione tenuti in tutto il
mondo.
2) Di costruire un centro di studio a livello universitario per lo Studio
e la Comunicazione della Bibbia. La
costruzione di questo centro avrà inizio
in questo autunno nell’area del Wheaton College. Abbiamo di già 200 studenti che si sono iscritti, e che stanno
studiando per ottenere la laurea anche
prima che l’edificio sia finito.
3) Di costruire un centro di addestramento per laici che sarà costruito
nella parte occidentale del Nord Carolina, dopo che il Centro di Wheaton
sarà ultimato.
(.....)
Se è vero che oggi ci sono un po’
dappertutto Chiese Protestanti, cosiddette storiche, i cui grafici relativi
al numero dei membri di chiesa, a
quello di coloro che si consacrano al
ministerio e alla entità delle offerte sono in costante diminuzione, è altresi
vero che il protestantesimo non è tutto qui.
L’ottica dello scrittore dell’articolo
del 28 ottobre è stata tutta falsata proprio da questa dimenticanza o ignoranza.
L’entità del Fondo per l’Evangelizzazione del Mondo e per l’Educazione
Cristiana lo ha indotto perciò a fare
ipotesi e calcoli (sbagliati) sulla capacità contributiva delle « vedove americane », mentre invece avrebbe dovuto
sapere che negli Stati Uniti d’America
ci sono almeno 40 milioni di credenti
evangelici biblici, che si riconoscono
nella posizione teologica e nell’attività
evangelistica di Billy Graham e che
sono interessati alla realizzazione di
progetti del tipo di quelli menzionati
nella dichiarazione qui sopra pubblicata.
Concludo, ricordando che questo tipo di credenti evangelici non esiste
soltanto negli Stati Uniti, ma è numeroso ed attivo in Sud America, come
in Asia, come in Africa, come anche
nella secolarizzata Europa, anche se è
vero che non tutti hanno la stessa capacità contributiva di coloro che vivono negli Stati Uniti d’America.
Past. Elio Milazzo
Presidente dell’Alleanza
Evangelica Italiana
Culto radio
Ogni domenica sul programma nazionale alle 7,40.
La predicazione, durante il
mese di febbraio, sarà tenuta
dal pastore valdese Gino Conte.
3
3 febbraio 1978
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ANCORA UN CONTRIBUTO SUL TEMA DELLE PAGINE CENTRALI
Crisi: se colpisce le opere
non lascia da parte la chiesa
Nei mutare della coscienza sociale e politica muta anche la visione delle opere della chiesa - Il passaggio da ’’chiesa di trincea” a ’’chiesa di diaspora” merita una attenta valutazione
Vi è una tesi, che si sta facendo strada nel nostro piccolo
mondo valdese; è la tesi della
equivalenza della crisi attraversata dalla chiesa con la crisi attraversata dalle opere. È una tesi apparentemente molto laica,
anche se sostenuta da pastori,
perché rivendica alla testimonianza dei «inostri laici » un posto di combattimento di primo
piano e non dimentica il sacrifì
perplessi di fronte al pessimo
servizio postale, ma non credo
che potremmo pensare ad una
confessionalizzazione di questo
servizio, come àncora di salvezza.
La coscienza sociale e politica
attuale è segnata da una responsabilizzazione, che ci avvolge a
tutti i livelli: scuola ed assistenza ne sono oggi investite come
non mai. Non possiamo oppor
Palermo: il centro ev.
"La Noce”. Un rapporto
di massa anche in diaspora.
zio di molti pionieri e di molti
collaboratori non di rado sommersi dall’anonimato. È una tesi, che dimostra una umiltà teologica, sempre utile contro il
baco deU’intellettualismo. È una
tesi che, trovando i responsabili di^spn lontano passato nei
menibri direttivi delle Tavole
Valdesi, mette i cuori in pace;
si citano le conseguenze deleterie della chiusura delle scuole
elementari valdesi in un grave
momento di crisi economica: finalmente si pensa di avere identificato la fonte della nostra decadenza culturale e spirituale
come popolo valdese minacciato da un ritualismo conformista. Ritengo che questa equivalenza vada meditata e corretta.
Meditata, perché esistono sempre delle corrispondenze fra
quello che crediamo e facciamo.
Ma non si può fare di questa
tesi la spiegazione di tutti i mali e la ragione di un immobilismo, che rischia di diventare
motivo di gravi equivoci.
Esiste una crisi della chiesa.
Certo. Ma la crisi di una chiesa
evangelica è sempre e ovunque
una crisi di fede. Non è una cri
si di struttura, perché la struttura (se s’intendono i ministeri
dei pastori e degli anziani) è cos:i fragile e così, incorporata con
le assemblee (termine equivalente a chiese) da potere, nelle
sue carenze e nelle sue imperfezioni, essere una delle tante cause di destabilizzazione spirituale.
La tesi, cara a tanti amici luterani, che il ministero pastorale
è l’occhio della comunità, può
essere consolante e gratificante per i pastori, ma non è
accettata da chi sa di non potere, costituzionalmente, delegare
nessuno nel campo dei suoi rapporti di comunione con Dio.
La crisi della fede della chiesa vive sui confini sempre mobili fra fede e incredulità, e si
rivela nella testimonianza vissuta tra il coraggio della speranza
cristiana, che trasforma la realtà
dell’oggi nel Regno di Dio, che
viene (come dice un nostro linguaggio già un po’ logorato), e
la stanchezza permeata di sfiducia e di fatalismo rinunciatario.
Esiste una crisi delle opere.
Ma questa crisi deve servirci a
distinguere fra opera ed opera
e a guardare in faccia le trasformazioni, che si stanno sviluppando nella nostra società odierna. Sulla distinzione fra le opere, si potrà ragionare a lungo
insieme.
Ma siamo costretti a guardare
in faccia una realtà complessa
fatta di fenomeni culturali socior
logici è politici e fatta àfichè di
costi economici. Siamo tutti
ci a questo fenomeno, che ha
già determinato in moltissimi
paesi una evoluzione irreversibile. Né ci possiamo consolare
riempiendo il nostro turcasso
di tutte le recriminazioni e di
tutte le carenze dei servizi pubblici, per i quali siamo chiamati
in causa come cittadini. Guardare in faccia questa realtà non
significa abdicare alla nostra responsabilità di evangelici, come
se ogni modifica o critica nel
campo assistenziale o scolastico
delle nostre opere fosse una cessione alla pressione clericale
cattolica o « laica » e una flessione preannunciatrice di disastri irreparabili.
Ci siamo, per molti anni, attestati su un fronte, che era definito dalla duplice motivazione
di surroga o di stimolo. Ma quel
fronte potrebbe essere accerchiato e le nostre linee Maginot
potrebbero essere travolte. Porse è tempo di riflettere alla nostra strategia. È giusto che sorgano fra noi delle ipotesi di lavoro, che tengano conto e delle
modifiche extraecclesiastiche da
un lato e di nuovi aspetti della
continuazione della nostra responsabilità e identità in nuove
situazioni dall’altro. Una situazione, nella quale la nostra chiesa sia costretta ad essere più
chiaramente « chiesa di diaspora » e meno <( chiesa di trincea »,
va valutata in tutto il suo peso.
Roma: Facoltà valdese di
Teologia; la sala di consultazione aperta al pubblico.
Mi sembra che alcune ipotesi,
ventilate nelle altre pagine trovino una valida giustificazione.
Non è certo facile trovare la
strategia giusta per i tempi e per
i luoghi giusti. Non posso tuttavia non pensare che, se i Valdesi assediati alla Balziglia, avessero rivolte tutte le loro energie
verso la conquista di qualche
cannone di Catinai per rivoltarne il tiro contro gli altri cannoni, che sarebbero comunque rimasti in mano ai loro nemici,
avrebbero soltanto fatto un errore militare, che non avrebbe
potuto essere ascritto alla forza
o alla debolezza della loro fede
evangelica, ma che avrebbe potuto essere letale alla loro sopravvivenza fìsica e storica.
La crisi delle opere assistenziali e scolastiche, entro o fuori
delle mura ecclesiastiche, è una
crisi inevitabile, perché la loro
speraìnza risiede nel senso vocazionale di chi vi lavora, i: cioè
un elemento, che non può essere registrato in mòdo immobile,
ma va curato e vissuto dalle nostre comunità in modo vigilan
te. Vi saranno ombre, ma le ombre non potranno impedirci di
vedere le luci, che troveranno la
loro forza non in fattori strutturali, che non potranno restare quelli che furono, ma in fattori interiori e personali, fatti
di amore e di sacrifizio e di visione anticipatrice.
Falliremo il nostro compito
come evangelici nella misura in
cui non avremo suscitato vocazioni di servizio verso i malati,
gli anziani e verso le nuove generazioni di fanciulli e di giovani.
Questa vocazione di comunità
di diaspora, come crogiuolo di
vocazioni, non è qualunq.uismo
rinunciatario, né miopia di fronte a blocchi confessionali o partitici, negatori di spazi di libertà di movimento. La situazione
attuale non è statica, ma in pieno movimento. Dare la priorità
a questa semina di speranza e
fiducia nelle vocazioni al servizio può essere uno dei modi più
vivi di collaborare al travaglio
degli uomini del nostro tempo.
C. 'G.
Un popolo
viene ucciso:
gli indios
brasiliani
Il gesuita brasiliano, padre
Egydio Schwade, membro della
commissione della conferenza
episcopale brasiliana per la protezione degli indios, ha dichiarato recentemente, durante una
sua tournée europea, che lo stato brasiliano ha gravissime responsabilità nella sistematica
distruzione delle possibilità di
vita degli indios.
Esiste una protezione legale
per i circa 185.000 indios che vivono in Brasile (80% circa vivono in apposite riserve), ma queste garanzie legislative si ridurrebbero a pure e semplici affermazioni di principio costantemente contraddette dai fatti.
Per il governo brasiliano lo
sviluppo economico gode di assoluta priorità e gli indios non
devono in nessun caso essere di
impedimento a tale sviluppo.
Così si costruiscono strade di
ogni tipo attraverso i loro territori; latifondisti che dimostrino un interesse alla colonizzazione di un qualche territorio
ottengono senza difficoltà dichiarazioni menzognere da cui risulta che nella zona non vive alcun indio. Secondo Schwade la
maggior parte dei funzionari
addetti all’organizzazione per la
protezione degli indios sarebbe
corrotta e si presterebbe senza
scrupoli a queste manovre intese a privare la popolazione india
di tutti i suoi territori.
Lo scopo evidente del governo
è quello di costringere gli indios
ad integrarsi nella popolazione
bianca, il che equivale anche
per i grossi latifondisti, a trovare manodopera a prezzi convenienti e senza alcuna pretesa.
Il gesuita ha inoltre dichiara
echt dal monda cristiani^
a cura di BRUNO BELLION
to di aver constatato di persona che alcune tribù sono rassegnate a questo loro destino e si
è completamente arrestata la
natalità. Le tribù muoiono per
mancanza di discendenza. Questa però non è una causa, ma
un effetto. La vera causa è la
mancanza di sicurezza e la sistematica distruzione del loro
ambiente da parte dei bianchi.
Segnalazioni — Libri — Recensioni
Donne immigrate
Verso una teologia
del Terzo Mondo
Dal 17 al 23 dicembre si è tenuta ad Accra (Ghana) la Conferenza Pan-Africana di teologia del
terzo mondo. Vi hanno partecipato circa 90 teologi protestanti,
cattolici e ortodossi provenienti
dalle chiese africane, asiatiche,
latino-americane, dai Caraibi e
dal Pacifico; era pure rappresentata la comunità negra degli Stati Uniti.
Il momento centrale della Conferenza è costituito dalla elaborazione dì uno schema di documento in cui vengono fissate le linee
di una teologia africana. « Crediamo che la teologia africana
deve essere considerata nel contesto della vita e della cultura
africane, inserita negli sforzi
creativi dei popoli africani per
costruire un avvenire nuovo, diverso dal passato coloniale e dal
presente neo-coloniale » — hanno affermato i teologi convenuti
ad Accra.
Le caratteristiche di questo
sforzo teologico andranno in tre
direzioni: una teologia contestuale cioè inserita nel contesto della
vita e della cultura africane; una
teologia della liberazione di from
te al razzismo, allo sfruttamento
economico e aH’oppressione da
parte di istituzioni nazionali e
multinazionali; una teologia antisessista, che tiene, conto del ruolo insostituibile delle donne nella
chiesa.
È il titolo di un’antologia (1)
che raccoglie una serie di testimonianze di donne marocchine,
algerine, portoghesi e sahariane
che vivono oggi in Francia, in
Belgio e in Svizzera.
È un libro autentico, realizzato da operatrici sociali e da
giornaliste, sulla spinta di una
indicazione del CEC.
Nel 1975, infatti, il Comitato
delle Chiese presso i lavoratori
immigrati (CETMI-Gineyra) ha
nominato una commissione incaricata di studiare le condizioni di vita delle donne immigrate.
L’antologia di testimonianze è
dunque il risultato concreto del
lavoro di questa commissione.
Leggendola, si avvertono i
problemi della vita quotidiana,
dall’educazione dei figli alla ricerca di un lavoro ; dal razzismo
alla nostalgia per il paese di origine... tutti motivi che si intrecciano nella situazione specifica
degli immigrati.
Bisogna dire però che anche
nella situazione « migratoria »,
la donna è più alienata, sfruttata ed oppressa dell’uomo. Ai
motivi tradizionali che fanno di
un immigrato un « diverso », si
aggiunge, per la donna, il ruolo
specifico di « madre » che vive il
dramma di educare dei figli in
una cultura e in un ambiente che
non sono e non saranno mai i
suoi.
E questo dramma, così come
si coglie dalle testimonianze, è
vissuto dalla donna in prima
persona.
Dalle interviste raccolte emergono donne tristi, ma mai rassegnate; donne che non hanno
l’abitudine di parlare, non solo,
ma che non sanno più parlare
né esprimersi a causa del loro
« trapianto » in terra straniera.
Per questo le testimonianze
sono frammentarie ; ma dalle
brevi e spesso rozze frasi, si avverte la drammaticità della situazione, le difficoltà, le aspirazioni, i progetti di questo « quarto mondo ».
Certo, il libro non pretende
di offrire una soluzione europea
al problema dell’emigrazione (2),
lo scopo è un altro : far parlare
chi non parla mai, e diffondere
cosi un’informazione che in genere non ha spazio nella produzione letteraria borghese.
Vorrei concludere lasciando
parlare due protagoniste;
« Credevo che la FYancia fosse meravigliosa. Ho lasciato l’Algeria contenta... Arrivata in
Francia con 4 figli, ora sono 9,
abbiamo alloggiato in bidonville per 4 anni: due stanze malsane, per 11 persone... Quando
pioveva i letti erano tutti bagnati. Il gabinetto era fuori, e
per prendere acqua si andava
nel cortile: 2 rubinetti con una
vasca, per tutto il quartiere. Non
c’erano servizi di trasporto e i
taxi si rifiutavano di portarci
fino al quartiere. Io mi vergognavo di abitare là...».
E ancora: «Venuta dal Marocco, con mio marito e 5 figli,
ho abitato 2 anni in una cantina. I miei bambini erano sovente ammalati; quando credevo di
aver trovato due camere dove
star meglio, la proprietaria
avrebbe accettato di affittarmele se invece dì avere 5 figli, avessi avuto 5 cani... ».
Sono testimonianze che documentano una realtà che si può
toccare con mano anche da noi:
basta guardarsi attorno, a Pinerolo, a Torino e in tante altre
'one industriali del Nord.
Maura Bertin Sappé
(1) « Des femmes immigrées parlent »: esce nel maggio 1977 in Francia e in Svizzera in coedizione « L’Harlattan » (Parigi) e « Cetim » (Ginevra).
Lo si potrà trovare in Italia nei prossimi mesi di quest’anno.
(2) Nella linea della documentazione
del (ÌEC sul problema dell’emigrazione,
ma con un respiro più politico-statistico, ben s’inserisce il dossier « Migration », n. 21/1977 a cura del Segretariato Emigrazione, dipartimento « Giustizia e Sisrvizio », sulla responsabilità
dei « cristiani » di frónte ai cosiddetti
« lavoratori ospiti ».________________
Nel prottimo numero apparirà il
4° articolo sui : ministeri, tema proposto all'attenzione delle Chiese.
4
Testimonianza evangelica
e assistenza pubblica
di Giorgio
TOURN
Le opere sono l’espressione di ciò che le comunità vivono e pensano - Uno schizzo storico degli istituti - Che cosa sarebbe l'evangelismo italiano senza le sue strutture assistenziali?
1. LE NÒSTRE OPERE
E LA loro storia
Ogni opera diaconale, come ogni
comunità cristiana, ha una storia
istituzionale e vocazionale. Ogni
istituto ha avuto le sue vicende,
crisi e riprese, ha attraversato momenti felici e depressioni. Avere
una storia non è per i nostri istituti un disonore, è naturale. Parlare di storia significa parlare di
cambiamento. La situazione in cui
si vive è sempre in cambiamento,
le cose non sono più oggi quello
che erano anni fa. Questo significa
che l’impegno in campo diaconale
richiede una riflessione costante,
un adeguamento alle situazioni, un
ripensamento. Non si può pensare
di dare a questo settore una sistemazione deflnitiva, si possono dare soltanto risposte parziali, provvisorie. Il problema resta aperto
e non perché ci sia cattiva volontà
da parte delle persone impegnate
in questo settore, disordine nelle
idee, mancanza di impegno, ma
perché la storia cammina e adeguarsi alle situazioni rappresenta
sempre una fatica.
Ha però una storia anche la testimonianza evangelica che in queste nostre opere è stata data attraverso il tempo. Cambia la testimonianza degli istituti perché essi sono situati nel quadro della vita e
della testimonianza della chiesa,
servono alla testimonianza della
chiesa, ne sono un elemento caratteristico e la testimonianza della
comunità cristiana cambia attraverso il tempo. Un elemento è indubbiamente costante nella testimonianza delle opere evangeliche:
il pensiero della carità, della diaconia, del servizio per il prossimo.
Il termine « assistenza » è improprio, esprime in modo inadeguato
il pensiero della carità evangelica,
che è stata alla base dell’azione di
tanti fratelli che hanno lavorato
nelle nostre opere. Gli istituti non
sono gestiti dalla comunità cristia
na per fare soldi, per spirito di affermazione, per prestigio ma per
esprimere il suo messaggio di solidarietà e di servizio.
Le nostre opere hanno alle spalle un secolo di vita, hanno accompagnato il cammino delle comunità evangeliche sin dalla prima ora.
2. BREVE STORIA
DEGLI ISTITUTI
a) Aiutare i nostri.
Gli istituti sorgono nell’ambito
delle comunità evangeliche dagli
anni 1830 al 1890. Sorgono nel quadro della teologia del Risveglio e
ne sono diretta espressione; questa considerazione vale non solo
per l’evangelismo italiano ma per
tutto il protestantesimo del XIX
secolo. Questo significa che la matrice spirituale che dà origine alle
nostre opere è quella di una pietà
viva, personalizzata che sottolinea
l’aspetto della dedizione e dell’impegnò. Le opere di assistenza non
sono che una espressione della vita religiosa di quelle generazioni
e vanno affiancate all’opera missionaria, all’istruzione, all’evangelizzazione. Non si debbono però vedere come fenomeno originale ma
come espressione moderna, per il
tempo, della carità assistenza della chiesa. L’assistenza effettuata
nei secoli precedenti dai diaconi
con i fondi della comunità, una
sorta di carità istituzionale, diventa nel XIX secolo impegno di gruppo (di società missionarie, amici
di questo o quell’istituto ecc.) nella forma non più di un sussidio ma
di una casa che accolga il bisognoso di assistenza.
Lo scopo primario di queste opere non è l’assistenza ma la salvaguardia della fede evangelica dei
malati e bisognosi, ricoverati in
istituti cattolici.
b) Un ambiente qualificato.
assistenziale e medico. Data la loro struttura relativamente modesta
e romogeneità del loro personale
a Torino, a Genova, a Milano gli
Ospedali finiscono per essere eli:
niche di buon livello senza il carattere selettivo e classista della
clinica privata. È grosso modo il
periodo che va dall’inizio del secolo alla seconda guerra mondiale.
In queste opere la struttura portante dal punto di vista direttivo è
dato dalle diaconesse con una presenza non di rado di eccellente livello e sempre con un impegno di
dedizione eccezionale. Il personale
era molto spesso reclutato fra le
ragazze delle Valli a cui veniva così offerta l’occasione di una emigrazione cittadina meno rischiosa
del lavoro casalingo ed un ambiente « nostro ».
3. STORIA DI UNA
TESTIMONIANZA
c) Sulla frontiera.
Questo periodo si è chiuso nel.
secondo dopo-guerra con la crisi
determinata dall’espansione della
assistenza, l’entrata in funzione del
Sistema mutualistico, i tentativi di
riforma sanitaria, la speculazione.
Oggi la malattia non è più soltanto caso personale, è un’industria in
attesa di diventare un servizio sociale che manterrà comunque il
suo carattere industriale con necessità di programmazione, di grossi investimenti, di qualificazione di
personale, di perenne aggiornamento. In questo periodo i nostri istituti sono entrati in crisi e sono tuttora alla ricerca di una loro nuova
identità. Lo sono tutti e non sì tratta di una mancanza di idee, di coraggio, di uomini, si tratta, è bene
ripeterlo, di una situazione normale in quanto si tratta di dare una
risposta valida alla domanda : quale
è il ruolo della nostra presenza,
che cosa abbiamo da dire e da fare
come evangelici nel campo dell’assistenza?
Anche la testimonianza ha una
sua storia, abbiamo detto; quale è
questa storia per quanto riguarda
le opere di assistenza? Il primo periodo si Caratterizza come una
esperienza confessionale. Volontà
di custodire, i fratelli bisognosi nell’ambito della comunità assommata ad una volontà di diaconia verso i bisognosi. In questo momento
le opere non hanno valore di testimonianza. È una struttura di conservazione, di tutela, un luogo di
servizio ma visto aH’interno del
mondo evangelico.
Nel secondo periodo gli ospedali
e le opere assistenziali in genere
diventano co'rqe i biglietti da visita deH’ambìente evangelico.
L’Ospedale Evangelico o semplicemente « l’evangelico » è la realtà
di un servizio efficiente e serio.
Certo non è la chiesa, la professione di fede esplicita, ma è uno degli elementi della realtà evangelica
cos’i come l’avverte l’ambiente
esterno. Si tratta di un ambiente
che assomma tecnica moderna, lavoro serio e spiritualità evangelica
fatta di rispetto e disciplina.
Il passaggio al terzo periodo,
l’attuale, è un momento di ricerca.
Nell’industria della malattia le
nostre opere sono strette da due
lati : diventare industrie efficienti,
cliniche per benestanti (un affare
e non un servizio) o cessare la loro attività in considerazione del
fatto che sono ormai venute meno
le condizioiii che le avevano originate (se non del tutto almeno in
larga misura). Le comunità, l’opinione pubblica della base evangelica se cos’i possiamo definirla, non
accetta però il dilemma e rimane
legata sentimentalmente alle « sue
opere ». Perché?
Non si tratta di un puro riflesso
difensivo, la paura di uscire dal
proprio guscio; c’è la volontà di
restare in qualche modo se stessi,
di mantenere una propria fisionomia.
C’è però di più: la collocazione
delle opere nel mondo evangelico
fa si che esse siano parte integrante del suo discorso. Proseguano la
loro attività, si privatizzino, si pubblicizzino, o vengano chiuse questo
non può ormai avvenire unicamente per motivi tecnici ma soltanto
vocazionali. Ad ogni soluzione nel
campo delle opere corrisponde infatti una visione della presenza cristiana nell’Italia di oggi. Le opere
sono infatti sentite oggi nella pan
te più viva della chiesa come una
presenza, alla stregua della TV,
della Facoltà di Teologia, della
Claudiana ; sono parte integrante
del discorso che la comunità evangelica sta facendo alla nazione, uno
dei banchi di prova su cui si gioca
un determinato tipo di comunità.
Privato delle sue strutture assistenziali l’evangelismo non sarebbe più
quello che è, verrebbe a mancare
il difficile terreno di prova su cui
si verifica il discorso evangelico e
la sua incidenza nel sociale.
La crisi delle istituzioni assistenziali deriva perciò dal fatto che esse sono sulla frontiera dell’evangelismo e perciò risultano le più
esposte. Sono la situazione in cui
appare più significativo dare una
nostra risposta ai problemi della
convivenza sociale in Italia, fra
una gestione cattolica di tipo caritativo abbinato al dominio, una gestione pubblica dominata dalla lottizzazione del potere rivestita di
demagogia ed il privato selvaggio.
Realizzare un discorso alternativo
di rinnovamento per un modo di
gestire la salute pubblica nella dimensione di un servizio è l’ipotesi
della comunità evangelica nel suo
complesso ma essa viene attuata
oggi nelle strutture assistenziali.
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La nostra strada oggi conduce
su un ponte che ha due arcate: la prima è quella che
unisce la comunità alle sue
opere; la seconda collega invece le
opere allo Stato, alla Regione e comunque alla organizzazione del territorio: e qui il cammino si divide
offrendo alcune alternative.
La legge ci concede infatti l’esercizio di un potere di scelta, sia per
quanto riguarda la collocazione
dei nostri istituti nella realtà territoriale, sia per la conseguente
individuazione del ruolo che gli
istituti medesimi devono assumere
nei confronti delle strutture operative pubbliche.
Ritengo che una scelta sia già stata fatta, o quanto meno delineata,
nella direzione del servizio pubblico
delle nostre istituzioni in Piemonte.
Questo vuol dire che per talune opere, come l’Ospedale Evangelico
Valdese di Torino, la tendenza è
quella di accentuare l'elemento pubblicistico secondo un’ottica di infegrazione funzionale con i presidi
delle unità socio-sanitarie locali: ma
vuole anche dire che — cosi facendo — si raggiunge in breve quella
frontiera cui si riferisce Tourn nel
suo articolo, al di là della quale non
rimane altro che la « statalizzazione » totale e cioè, in pratica, la rinuncia da parte della chiesa al mantenimento delle istituzioni. Poiché
quest’ultima soluzione, così radicale, non sembra accettabile da parte
della nostra comunità, sorge inevitabilmente un conflitto fra due esigenze diverse. Sul piano concreto il
problema è quello di conciliare la
autonomia istituzionale ecclesiastica deU’Ente, con tutti i relativi poteri gestionali, con quella vocazione
pubblica che è stata più volte affermata e che si traduce in un rapporto di complementarietà operativa
fra questi servizi ospedalieri e la
rete nosocomiale del territorio.
La comunità, le opere e
Per un processo quasi naturale
in ambiente protestante, anche nelle istituzioni di assistenza si produce un servizio qualificato che
produce a sua volta migliori prestazioni. Accade così, che le opere
evangeliche, in particolare gli ospedali, si trovino ad essere in posizione di avanguardia nel mondo
Come è noto, il progetto di
legge della riforma sanitaria che è ora all’esame del
Parlamento affida alle Regioni il compito di programmare e
gestire i presidi territoriali secondo
circoscrizioni che tengono conto dei
bacini di utenza e della molteplicità
degli interventi. Per rimanere nel
campo strettamente sanitario, tali
interventi sono preordinati a coprire un vasto arco di prestazioni che
vanno dal settore preventivo a quello riabilitativo passando attraverso
tutte le fasi diagnostiche e terapeutiche tradizionali.
Se la collocazione avviene secondo un criterio di semplice sussidiarietà rispetto alle strutture pubbliche, il ruolo dell’istituto non può essere che subalterno nei confronti di
queste ultime, con tutte le prevedibili conseguenze per la qualificazione dei servizi, l’inquadramentp del
personale, la gestione economico-finanziaria. Se, al contrario, essa avviene su di un piano paritetico, l’inserimento conduce l’ospedale ad esercitare un ruolo primario nel contesto delle strutture locali, analogamente a quanto avviene per un qualsiasi ospedale di zona per acuti che
rappresenta — nel disegno programmatico del legislatore — uno degli
insostituibili cardini dell’unità sanitaria territoriale.
La Commissione amministratrice
dell’Ospedale Evangelico Valdese di
Torino si è da tempo orientata su
quest’ultima soluzione, che viene
ora sottoposta all’esame della assemblea per raccoglierne le necessarie e definitive indicazioni. A questo proposito appare abbastanza significativo Torientamento che sembra potersi trarre dai lavori delTultimo Sinodo, il quale non soltanto
ha ribadito il concetto dell’inserimento ospedaliero nella rete pubblica, ma ha altresì precisato che tale
inserimento dovrà assumere un carattere permanente anziché temporaneo.
L’affermazione, è ovvio, ha valore
come linea di principio, essendo
dal lato pratico irrilevante una distinzione odierna dei due criteri.
Hanno invece notevoli riflessi concreti alcuni problemi di fondo che
nascono dall’integrazione e che riguardano, in primo luogo, i rapporti fra i centri decisionali delle due
strutture, quella territoriale pubblica e quella ecclesiastica istituzionale. Se la salvaguardia delTautono
Esiste una via intermecJia tra una totale "stataliz:
re e l’esigenza di un’autonomia ecclesiastica dej
mia giuridica dell’Ospedale Evangelico Valdese comporta necessariamente il permanere in carica dell’organo gestionale tipico dell’Ente (nella specie, la Commissione amministrativa che è espressione della comunità e ad essa soltanto risponde
del proprio mandato), la compenetrazione dei servizi operativi con le
strutture dell’unità locale farà sorgere subito il problema di un coordinamento dei ruoli essendo tali
strutture — come è noto — dotate
a loro volta di organi rappresentativi.
Una soluzione soddisfacente
non sarà facile da trovare,
anche perché l’evoluzione
continua della domanda di
prestazioni imporrà adeguamenti
periodici dei servizi e darà quindi ai
rapporti con l’unità locale un carattere prevalentemente dinamico. Ma
al di là di possibili formulazioni
giuridiche, deve essere ben chiaro
sin da oggi che se la scelta pubblicistica delTospedale non verrà intesa come un modo per rendere attuale la nostra testimonianza e concreto il nostro servizio cristiano, anche
le necessarie limitazioni delTautonomia operativa — che tale scelta
comporta — difficilmente potranno
essere accettate e, quel che è peggio, potranno diventare veicoli di
una conflittualità potenziale, fuorviante e pericolosa.
Altri problemi, non meno impegnativi, sorgeranno poi per ciò che
concerne l’inquadramento del personale.
Il rinnovo del contratto nazionale
degli operatori ospedalieri, attualmente in corso, e il già ricordato
progetto di riforma sanitaria lasciano intravedere un nuovo assetto della medicina pubblica anche per
quanto si riferisce al regime di lavoro. I dipendenti ospedalieri, medici e non medici, verranno assimi
lati agli altri lavoratori dei presiti
socio-sanitari del territorio in ui
contesto normativo e contrattuali
unico, in cui troveranno spazio isti
tuti qualificanti come la professic
nalità, la polivalenza e la mobiliti
dei quadri. Da tempo sono allo stu
dio i sistemi per consentire al perso
naie di Enti come l’O.E.V. la parte
cipazione ai ruoli regionali su bas
paritetiche; a questo riguardo esi
ste già una norma che prevede i
riconoscimento dei titoli di carrier:
e dell’anzianità per il personale d
quegli Enti ecclesiastici civilmenti
riconosciuti i cui ordinamenti sian<
equiparabili a quelli dell’unità so
ciò - sanitaria locale. Questo dime
stra la volontà del legislatore d
concedere ai nostri dipendenti 1(
stesso spazio e le stesse garanzie
professionali previste per il pubbli
co impiego.
Rimane infine da valutare
delicato aspetto finanzia
deU’operazione. Sarà opp
tuno ricordare, in proposi
che due sono i criteri con i quali
Regione può coprire le spese di
stione del nostro Qspedale: que
della retta e quello del finanziam«
to cosiddetto « a corpo ». Anche
in pratica i risultati non varia
molto, la differenza fra i due meci
nismi è importante in quanto co
volge una scelta che è soprattul
una affermazione di principio. Il
sterna della retta, che ha trovE
qualche consenso all’interno de
comunità, accentua l’elemento c
ferenziale tra l’Qspedale Evangeli
e le strutture pubbliche opera:
nella zona, in quanto fa sì che 1
spedale stesso « venda » alla Reg
ne le sue prestazioni, analiticamei
considerate in forza di un rappoi
contrattuale tradizionalmente pri
tistico. Col finanziamento a cor]
invece, la corresponsione di u
quota del fondo sanitario regioni
5
jleU’ambito delle chiese valdesi e
gtodiste opera un numero consi¡revole di centri di carattere scale, culturale o assistenziale: dalbihlioteca Leger di Pomaretto
le forse pochi conoscono, alle
mole di Palermo, da Agape all’Oledale valdese di Torino. A una
ima prudenziale risulterebbero
1 iniziative sociali, culturali, assienziali che possono definirsi valisi, 7 metodiste e 5 gestite conuntamente da valdesi e metodii. Ad esse vanno aggiunte 5 opeinterdenominazionali (esempio:
grande ospedale di Napoli, in
metodisti e valdesi collaboracon varie altre chiese).
La cifra è piuttosto elevata, se
insiamo che nell’integrazione vaimetodista le chiese (contandole
[tte, dalla prima che è Chivasso
n’ultima che è Torino ) sono cir130 (90 valdesi e 40 metodiste):
feò significa che ogni due chiese
Scali c’è una iniziativa socio-cullirale, piccola talvolta, ma talvolta anche grande. (Quindi il fenomeno è di dimensioni tali da carattetezare specificamente la fisiono^ delle nostre chiese in Italia,
pche nelle altre denominazioni
angeliche è infatti presente Tinistiva sociale, culturale e assistenale, ma con un rilievo statistico
inore.
Affrontando il problema delle
)pere » affrontiamo dunque un
•oblema che per le nostre chiese
Ì'di enorme rilevanza. Viviamo ogin un dilemma, soprattutto per
gli enti assistenziali e ospedalieri,
tía una possibilità di sviluppare
Scienza, diventare enti puramente privati oppure diventare un serigzio pubblico puro e semplice e
di accettare l’eutanasia voloniria nelle braccia dello Stato, della società italiana.
tTourn osserva che la base delle
^ese evangeliche non accetta queào dilemma per gli ospedali : o cliprivata o cessione allo Stato ;
Iter quale motivo? Perché la base
delle chiese evangeliche ha Timgressione che rinunciare a queste
tesponsabilità significherebbe per(fere qualcosa della nostra fisionospecifica. Effettivamente, tutte
le delibere prese dal sinodo in materia di opere sociali e ospedaliere
®primono l’idea che la chiesa non
#bba abdicare alle sue responsai^ità in questo campo: e sono permaso che queste delibere sinodali
'biano alle loro spalle un ampio
Ic^nsenso dei membri della chiesa
ese.
Risanare le nostre opere
per una partecipazione democratica
Le opere, segno dì testimonianza, soffrono oggi di una crisi di identità
Le opere sono dunque « un elemento qualificante dell’insieme della nostra testimonianza del paese >).
Possiamo decidere di tenerle aperte, di chiuderle, di riqualificarle,
ma lo faremo sempre per motivi
vocazionali, perché in realtà ogni
decisione nel campo delle opere
culturali, sociali e assistenziali corrisponde a una certa visione della
nostra responsabilità come credenti davanti agli italiani singoli e davanti al popolo italiano nel suo insieme.
Tuttavia pare chiaro che le nostre opere (non solo quelle sociali
ma anche quelle culturali, che sono importantissime) soffrono oggi
di una crisi di identità.
11 primo esempio sono le Valli
valdesi: nelle Valli valdesi noi assistiamo a questo fatto: la nostra
predicazione è molto qualificata
ma ha difficoltà ad instaurare un
rapporto di massa ; questo è un
modo gentile per dire che noi predichiamo ma la gente né viene né
ascolta e tanto meno mette in pratica.
Come secondo esempio, noi rn
troviamo l’opera sociale, culturale,
assistenziale e ospedaliera anche
fuori dalle Valli valdesi in situazioni che la chiesa dopo lungo dibattito, ha riconosciuto come situazione di avanguardia: le grandi
« opere » hanno caratterizzato ed
espresso la « risposta » valdese e
metodista aU’Italia del dopoguerra.
Prendiamo Agape. Agape (pensandoci 30 anni dopo), nasce come risposta alTItalia divisa di Alcide
De Gasperi. Pensiamo a Riesi: non
c’è dubbio che questa grossa « opera sociale » è una parabola, è una
risposta all’Italia dello « sviluppo »
e del « benessere » ed è una risposta, mi pare, a livello di predicazione e di azione adeguata. Nella
stessa epoca l’ospedale di Napoli e
le scuole di Palermo nascono come risposta all’emarginazione del
Mezzogiorno che allora era come
mascherata dalla Cassa del Mezzo
lo Stato
di Franco
RAMELLA
zsione'
JEntì?
delle nostre ope
ijDterviene a coprire l’attività deltfEnte valutata nel suo complesso e
srioè, in altre parole, a porre l’Ente
i-taedesimo in grado di svolgere il
i-Suo specifico compito di presidio
àterritoriale, esattamente come aci.tede per qualsiasi struttura pubblii-te. Ed è quindi per una questione
;■ li coerenza che la commissione amininistrativa dell’Ospedale, posta dii-ianzi al quesito preciso, ha optato
h suo tempo per quest’ultima solujione.
* Tutto ciò premesso, dobbiamo ora
“chiederci qual è la posizione del nostro interlocutore naturale, la Re'"ione, di fronte ad un orientamento
';^e quello che ho cercato di rias'feere nei suoi elementi essenziali.
Del resto, questo spirito di collaborazione non sembra limitato alTOspedale di Torino; anche se l’argomento esula da questo tema
non posso non accennare ad alcune interessanti prospettive che
coinvolgono le nostre opere assistenziali. La Regione sta mettendo
s
econdo la legge, le complesse
relazioni fra un ospedale come il nostro e l’unità territoriale di base trovano infatti
j * loro sede in una convenzione refonale in cui vengono precisati diI itti e doveri di ciascuna delle parti.
qui l’importanza di conoscere il
tensiero della « controparte » in
j pianto, come è ovvio, nessun con. tatto può essere concluso se en^tambi i contraenti non sono d’acjtBrdo sui contenuti precisi della lo. *0 pattuizione.
- .Non ho molti dati a mia disposijfone: tutto quello che so risale a
- intatti informali e personali che
3 *0 avuto con esponenti della Rejfone, fra cui lo stesso Presiden
V della Giunta, con il quale ho da
sfolti anni cordiali ed amichevoli
inerti. Le notizie sono senz’altro
»raggianti, ed evidenziano la piedisponibilità degli organi regio’ a stipulare con la nostra Comuà accordi improntati ad uno spilo di collaborazione realmente coltivo ma rispettoso, nel contemdella nostra peculiare ed insostiile matrice.
a punto, in questo periodo, il suo
« progetto anziani » secondo una organizzazione molto articolata che
va dai reparti ospedalieri veri e propri (divisioni mediche per le malattie ad alto rischio invalidante) al
« day hospital » ed alle varie forme
di comunità abitative, integrate da
servizi di assistenza domiciliare.
Orbene, dovendo individuare in Piemonte alcune zone sperimentali per
la realizzazione delle strutture di
base del progetto, l’Assessorato regionale ha scelto, fra le altre aree,
anche quella delle nostre valli, e ciò
non soltanto per l’alta percentuale
di anziani che vi risiedono ma anche perché i Comuni della zona sono quasi tutti dotati di servizi assistenziali che possono senz’altro definirsi di avanguardia. Credo che
non sia estranea alla decisione regionale la disponibilità ad un dialogo socialmente avanzato, da parte
delle popolazioni evangeliche valligiane; un dialogo che lo stesso Presidente della Giunta ha detto di ritenere possibile in base ai contatti
ed agli incontri avvenuti sino ad
oggi.
Franco Ramella
giorno, grande impresa demagogica e democristiana che nascondeva il disordine e l’abbandono. Andate a Napoli-Ponticelli e ve ne
renderete conto. Andate a vedere
a Palermo il quartiere che c’è intorno a La Noce e avrete la stessa sensazione: di fronte a una situazione socialmente intollerabile
— eppure tollerata — qualche pioniere evangelico sostenuto da un
pugno di credenti ha saputo costruire un intervento sociale organico, limpido nei suoi fini, efficace: ha instaurato un rapporto di
massa, anche in diaspora.
Ma c’è un altro fenomeno, che
mi pare ancora più significativo:
nella chiesa valdese è accaduto che
la nostra assistenza alle persone
anziane negli ultimi 10 anni si è
fortemente allargata e rinnovata:
senzia programmatori e senza pionieri, è andata così;, il Gignoro in
un modo. San Giovanni in un altro, Vittoria in un altro ancora.
Questo aumento di numero e questo salto di qualità delTassistenza
ai vecchi, è avvenuto proprio in
un’Italia che trascura freddamente i vecchi.
Per varie vie si è formato un insieme di opere che toccano quasi
tutti gli aspetti della società italiana.
Quale significato può avere una
nostra presenza in questa realtà e
quale è questa realtà? Vorrei sostenere una tesi che è pienamente
aperta al dibattito: mi pare che
nell’Italia di oggi, noi assistiamo a
un confronto di due posizioni molto diverse per quanto riguarda la
cultura^ l’assistenza e altre cose.
Una la chiamerei alla buona lo
« statalismo marxista » e l’altra la
chiamerei «l’integralismo cattolico
del ghetto e della rivincita». Mi
pare che sia indubbio che le forze
marxiste (che personalmente ritengo serie e stimo) coltivino in sé un
singolare culto dello stato. Singolare, perché nèU’ordine del pesiere marxiano, lo stato è oggetto di
una critica penetrante, come strumento d’una classe: perciò dopo
un grosso mutamento sociale si
doveva procedere alla graduale
estinzione dello Stato. Nella pratica; non è stato così, ma in fondo
non è stato cos'¡ neanche nella teoria. I partiti marxisti, (i socialisti,
i comunisti e molti extra-parlamentari) hanno stranamente un’altissima valutazione del livello statale :
« stato » è scritto spesso con la
maiuscola. Non tocca a me di spiegare perché è accaduto questo fatto, ma posso constatarlo anche se
debbo riconoscere che esso è corretto, in Italia, da una grande fiducia nel decentramento e nella
partecipazione popolare.
Di fronte a questo statalismo
c’è il cattolicesimo che 30 anni fa
aveva un integralismo di maggioranza, mentre adesso che ha perso
il 12 maggio, fa l’integralismo di
minoranza, fa la lottizzazione socio-spirituale: chiede che gli si paghino le sue scuole e poi anche il
suo insegnamento religioso nella
scuola e poi anche i suoi istituti
ecc. ecc. ecc. La tesi che vorrei proporre è che tra l’attuale statalismo
marxista che non mi lascia soddisfatto e « l’integralismo cattolico
del ghetto e della rivincita », deve
poter esistere una terza via democratica e pluralista e noi forse possiamo contribuire alla ricerca di
questa terza via.
Certo le condizioni sono molto
difficili perché il paese è in crisi,
il paese non ha denaro, non ha
uomini, non ha tutto sommato aggregazioni convincenti. Da una parte c’è una spinta, a mio avviso valida, verso una pianificazione della nostra società; dall’altra ci sono contraddizioni molto forti: ricordo solo che cosa significano nel
mondo italiano le baronie universitarie, cosa significa la corporazione dei medici, e quanto pesa
l’industria chimica coi suoi interessi.
Nel paese così, come è oggi il
problema mi sembra non è se nazionalizzare o non nazionalizzare,
il problema è diverso; noi abbiamo già ih Italia un grosso settore
nazionalizzato che è il primo che
dovrà essere risanato. Quindi il problema, a parer mio, a lunghezza di
generazione, non è di espandere il
settore pubblico, ma di risanarlo
e di farne un settore trainante, cosa che non è.
Il problema del nostro paese è
in realtà la partecipazione democratica che è tutta da fare. Di fronte alla possibile trasformazione dèmocratica del paese perché non riqualificare le nostre opere affinché
possano contribuire alla ricerca di
una soluzione che non sia né statalista né integralista ma che comporti elementi di partecipazione
molto più forti? L’Italia in cui ci
troviamo è quella che è, non Tabbiamo inventata noi, un’Italia in
cui è possibile il compromesso storico ma è più probabile la stipula
di un nuovo Concordato. In questo
tipo specifico di Italia in cui ci
troviamo vediamo còme stanno le
cose; è chiaro che davanti al nuovo « integralismo di ghetto » saremo molto chiari: le scuole private
non le paga lo Stato: il famoso
emendamento che un liberale impose alla costituente nel ’47, va difeso: qui si tratta di chiedere il rispetto del patto costituzionale.
Riguardo ad altri punti, penso ai
Convitti e agli Ospedali, a parer
mio noi dobbiamo puntare su due
cose : programmazione e partecipazioine. Queste sono le due cose di
cui ha bisogno il paese oggi.
È chiaro che ih questa prospettiva noi non possiamo decidere né
di chiudere unilateralmente le nostre opere, né decidere di tenerle
aperte tutte, e per sempre. La questione è un’altra; l’insieme delle
nostre opere, proprio perché fa un
tutt’uno con la nostra testimonianza di chiesa ed è profondamente
radicato nella vita nazionale, va
trasformato gradualmente e tempestivamente. Alcune delle nostre
opere passeranno allo stato o al
comune (le scuole materne delle
Valli sono tutte passate ai comuni
nel giro degli ultimi anni): altre
passeranno allo stato soltanto tra
20 o 30 anni e altre non passeranno mai allo stato col nostrò consenso ; non accetteremo mai che la
Facoltà teologica venga statalizza
ta, ritengo neanche la Claudiana,
ritengo neanche diverse altre cose.
Ma vogliamo scegliere via via che
la nostra coscienza evangelica matura in dialettica con la realtà del
nostro paese.
A questo punto è da collocare il
nostro dibattito interno : non se
tenere aperto o chiudere, ma da
una parte come fare della programmazione e della partecipazione, dall’altra come dimensionare l’insieme delle nostre opere culturali, sociali e assistenziali. Qui evidentemente ci sono dei grossi rischi; c’è
il rischio di arrivare troppo presto
e c’è il rischio di arrivare troppo
tardi.
Facciamo un esempio del « troppo presto » : circa 65 anni fa, con
la legge Credaro fu stabilita l’istruzione elementare in tutta Italia e
alle Valli furono chiuse le scuole
valdesi. La cosa di per sé era giusta e normale, però dobbiamo notare che, dopo la chiusura delle
scuolette elementari valdesi si è
avuto incontestabilmente alle Valli
un calo di livello culturale da cui
non ci siamo ancora riavuti.
Sul versante opposto, una difensiva estrema è negativa. Ritengo
anzi che quelli tra di noi che sono
fautori di una statalizzazione delle
opere abbiano un grosso merito
che va loro riconosciuto; cioè hanno, se bene li interpreto, la volontà
di non subire, come chiesa, il processo di democratizzazione dello
Stato e di riforma della società,
ma anzi di parteciparvi senza riserve. Ora credo che con quella
che Lutero chiamava « la gloriosa
libertà del figlio di Dio », noi dobbiamo ammettere che sul piano
delle opere sociali, culturali e assistenziali, noi abbiamo avuto ritardi e riserve, così come abbiamo
mancato di coraggio nel dialogo
con le forze sindacali, culturali e
politiche. E cos', è accaduto che
di Giorgio
BOUCHARD
noi abbiamo fatto liha serià amministrazione del nostro patrimonio
di opere, abbiamo dato spazio ad
alcune novità, ma per esempio una
chiesa come la nostra che ha 48 iniziative di vario tipo non ha una
iniziativa per i drogati. Berlinguer
nella sua lettera a Bettazzi dice alla chiesa cattolica : buttatevi sui
settori di avanguardia e lasciate allo Stato quelli di retroguardia, Questo giudizio è da valutare.
Noi come chiesa, non diamo abbastanza spazio all’inventiva, il caso dei drogati è classico perché è
un fenomeno che è destinato a durare ed espandersi. Quando in Svezia al potere c’erano i socialisti, il
primo ministro Palme andò in chiesa una domenica a chiedere ai credenti un aiuto nel settore della
droga. Abbiamo bisogno che venga uno come lui a chiedere oppure
possiamo pensarci da soli? In questo settore direi che tutte le possibilità, tùtte le sperimentazioni sono
aperte.
Mi sono attardato molto sul significato delle nostre opere, poco
sull’aspetto della testimonianza; su
questo punto mi sembra che tutto
è da cercare nel confronto e nel
dibattito aperto tra di noi. Mi sembra che a livello di testimonianza
le nostre opere -non siano come
qualche fratello pensa, dei pulpiti.
Personalmente ritengo che oggi i
pulpiti siano altri ; innanzitutto
quelli della chiesa, poi la radio, la
televisione, molti dibattiti, le radio
libere e tante altre cose. Ritengo
però che le nostre opere siano una
verifica offerta a tutti del discorso
di fede che facciamo; avere le opere significa potersi presentare a
chi ci incontra non solo a livello
ideologico e culturale ma anche a
livello sperimentale-organizzativo.
Le nostre opere sono o possono essere dei segni per il tempo. Come
possono esserlo? Da una parte, mi
sembra, si tratta di migliorare i livelli etici già buoni ma non ottimali : l’atmosfera che si respira
nelle nostre opere è buona, ma in
qualche caso deve essere migliorata; in secondo luogo per la libertà
evangelica che deve contraddistinguerci, dobbiamo dimostrare disponibilità alle sperimentazioni e alle eventuali richieste di lavori di
avanguardia e anche lavori rischiosi; noi possiamo rischiare, possiamo perdere.
In terzo luogo mi sembra c’è
un certo stile di rapporti umani
che in parte è da inventare: siamo
ancora legati ai rapporti umani seri ma rigidi deH’800 protestante;
siamo vittoriani, compresi quelli
di noi che sono di sinistra. >
Infine le opere ci offrono la possibilità di dimostrare che anche a
livello organizzato può esserci una
presenza cristiana che non è confessionale; ad esempio nelle intese noi non chiediamo che nei nostri ospedali ci sia il cappellano
pagato, come iq tutti gli ospedali
italiani: chiediamo anzi che, almeno per la responsabilità che ne va
alla Tavola Valdese, non ci sia alcun cappellano perché abbiamo un
concetto della cura d’anime diverso da quello accettato in Italia. La
cura d’anime in ospedale dev’essere libera e gratuita. Questo può
parer strano, in un paese in cui
molti sacerdoti per fare una scelta
anticostantiniana abbandonano le
parrocchie e... vanno a insegnare
religione a pagamento nelle scuole
dello stato. In un’Italia in cui questo succede e nessuno trova niente
da ridire, ci sono modestamente
alcuni ospedali senza cappellano
pagato. Questo intendo per «presenza cristiana non confessionale ».
Può essere una testimonianza significativa in un’Italia che col nuovo Concordato si avvia ad essere
nuovamente compenetrata di valori confessionali verniciati di democrazia.
Mi domando se accanto alla predicazione esplicita che noi rivolgiamo dal pulpito, dalla radio, dalla TV, l’insieme delle nostre opere
sociali non abbia da rendere questa specifica testimonianza: che si
può essere servizio pubblico senza
essere statalisti, che si può essere
credenti senza essere integralisti,
che è possibile di avere dei centri
di aggregazione che non siano dei
centri di potere.
Su questa scommessa, vai la pena di lavorare nei prossimi anni.
6
3 febbraio 1978
cronaca delle valli
ALLE VALLI OGGI
La «Valaddo» nella L’anno della neve
Il servizio buca delle lettere
c e
ma non
serve...
Il Consultorio familiare programmato dalla Comunità Montana Val Penice ha aperto recentemente una delle tre sedi in cui
intende operare: quella di Torre
Pellice.
L’istituzione di questo servizio
è indubbiamente una cosa positiva, al di là delle riserve che si
possono avere, e che sono state
espresse nei dibattiti pubblici,
sull’ orientamento del servizio
stesso. La verifica si potrà fare
dopo un periodo di lavoro sufficientemente ampio.
Vorrei però attirare l’attenzione su un aspetto importante di
questo servizio che, appena iniziato, nella sede consultoriale di
Torre Pellice, già evidenzia delle
contraddizioni che rischiano di
annullare il « servizio » che questa struttura intende rendere alla popolazione della valle. Non
credo che l’inghippo che voglio
qui raccontare possa essere attribuito alla responsabilità della
Comunità Montana. Credo però
che chi ha la responsabilità del
Consultorio debba avvertire i
possibili utenti delle difficoltà
cui vanno incontro.
Una donna prende appuntamento con l’assistente sociale
per una visita ginecologica. Si
fìssa l’appuntamento, il medico
visita la paziente e le prescrìve
una serie di analisi. Col foglio
medico intestato « Comunità
Montana - Servizio consultoriale » la signora va dal suo medico
della mutua perché le prescriva
le analisi .suddette. Il medico della mutua, con aria insofferente,
quasi offeso, rifiuta di riconoscere la validità del foglio rilasciato
dalla C.M., in altri termini il medico non riconosce questo servizio perché — dice — non vi é alcuna convenzione con la mutua.
Cosi, se la signora X desidera
una visita ginecologica deve rivolgersi all’INAM di Pinerolo dove potrà avere la visita ginecologica di un medico della mutua.
Il problema che si pone è duplice: l’uno concerne il rapporto
Comunità Montana-medici che
operano in valle e le mutue; il secondo il rapporto Comunità Montana-popolazione utente dei servizi.
•.^ Per quanto concerne il primo
problema ci si deve chiedere: come mai alcuni medici non riconoscono il servizio consultoriale?
Hanno ragione oppure abusano
del lóro potere di medici? E se è
un loro diritto è a motivo della
mancanza di una convenzione
della Comunità Montana con la
mutua o per altri motivi? Quali?
Inoltre: vi è stato un dialogo tra
Comunità Montana e medici della valle per cercare un accordo
su questo problema, oppure ciascuno va per la sua strada ignorandosi a vicenda?
Un ultimo interrogativo: quale
"danno” comporta per i medici
che operano in valle l’istituzione
dei servizi della Comunità Montana? E viceversa: quale intoppo
rappresentano i medici (alcuni)
per l’erogazione gratuita dei servizi della Comunità Montana?
La seconda questione invece
concerne un problema proprio
alla Comunità Montana: l’informazione e la partecipazione della
gente alle iniziative programmate. L’esempio riportato sopra ne
è un segno: chi infatti si trova
in quelle condizioni cosa fa? Ovvero va da un ginecologo privato
spendendo fior di quattrini in
barba alla gratuità dei servizi,
oppure scende a Pinerolo. Comunque scelga potrà dire: ma a
cosa serve che la Comunità Montana istituisca in loco il servizio
consultoriale se poi alla fine dei
conti non lo si riconosce? Lo sa
la gente di chi è la colpa? Lo sa
la gente il perché di queste assurde e costose contraddizioni?
Non sarebbe male che la Comunità Montana ed i medici della
valle chiarissero questa assurda
situazione che è a danno della
popolazione. Ermanno Genre
I « Sunaires Usitans » danno
spettacoli in varie località delle
nostre valli ottenendo un grande successo, segno di un interesse mai spento per il patois
e le tradizioni locali, la cultura
valligiana fa parlare di sé e anche la Comunità Montana Chisone e Oermanasca ha voluto
dare il suo contributo a queste
iniziative abbonando tutte le
scuole che si trovano sul territorio alla rivista «La Valaddo».
Ottima cosa, dirà qualcuno,
« La Valaddo » si propone proprio di mantenere in vita il patrimonio culturale dialettale e
di riscoprirne la validità. In
realtà, nella seduta del Consiglio, che aveva approvato la decisione, vi erano stati dissensi
ed era anche stata espressa la
proposta di offrire alle scuole in
alternativa il volume della Claudiana « Leggende delle Valli vaidesi ». L’abbonamento a richiesta sembrava quindi la soluzione migliore e infatti all’inizio
dell’anno scolastico ogni scuola
era stata invitata a comunicare
alla Comunità Montana se aveva o no intenzione di ricevere
« La Valaddo ».
Negli ultimi giorni, invece, anche gli insegnanti che non avevano richiesto l’abbonamento si
sono visti recapitare due numeri della rivista (trimestrale,
L. 2.000 annue) ai quali seguiranno probabilmente gli altri
due.
Ci si domanda;
Perché si deve abbonare d’ufficio una scuola dopo avere, a
quanto pare, accolto l’ipotesi
dell’abbonamento a richiesta?
II fatto di ricevere anche senza entusiasmo « La Valaddo »
preclude ogni possibilità di ave
re il libro della Claudiana nella
biblioteca scolastica?
Perché, se la Comunità Montana vuole rivalutare la cultura
locale, non si dà piuttosto un
appoggio anche minimo alle ricerche condotte in classe da
molti insegnanti sulle usanze
tradizionali e sul «patois», magari pubblicando in forma poco
dispendiosa i lavori degli alunni?
Tra tutte le iniziative che si
possono prendere in questo
campo, quella di finanziare una
rivista in perdita non sembra
davvero la più felice.
Liliana Viglielmo
Sabato 28 un’altra abbondante
nevicata ha investito tutto Varco alpino proprio quando le
strade cominciavano nuovamente ad essere percorribili. E’ stata, tuttavia, una
parentesi più
breve della precedente che era
durata circa 150
ore. Domeriica e
tornato a brillare il sole sulle valli innevate. Nella foto di S. Giacon la borgata Rounc tra Pian Prà e Rorà, coperta dalla
neve di questi giorni.
ANGROGNA
La visita di Cadier
Discussa a Pradeltorno la questione palestinese
Riunione dei Concistori
del Primo Distretto
L’incontro già annunciato per la domenica 5 febbraio, è riniandàto alla domenica 36 febbraio. Il programma dettagliato verrà
indicato nella Circolare alle Chiese (Bollettcine).
La C.E.D.
La comunità valdese di Angrogna ha avuto il piacere di avere
come ospite, per un pomeriggio,
il 28 gennaio, il pastore Cadier.
Egli si è dapprima intrattenuto
con i catecumeni, poi, in serata,
si è recato a Pradeltorno per il
culto del sabato sera. Raggiunta
abbastanza facilmente in automobile l’entrata del villaggio, sotto una fine nevicata che velava il
paesaggio, ha poi dovuto raggiungere la chiesa. C'erano circa
due metri di neve, una stretta pista, non molto agevole, conduceva lassù, ma i due pastori, il sig.
Platone, pastore locale, ed il past.
Cadier, coraggiosamente l’hanno
affrontata e, superate le difficoltà di marcia, sono arrivati nel caratteristico tempio posto sulla
roccia. Alla presenza di un discreto numero di persone, visto
il maltempo é le difficoltà di spostamento, egli ha presentato e
commentato una interessantissima serie di diapositive su Israele, dove si è reeato già diverse
volte.
La magnifiche fotografie mo
stravano in successione vedute
dei luoghi della storia sacra, vedute dello stato di Israele attuale
con le nuove città, i kibbutzim,
le coltivazioni intensive, ma anche gli accampamenti dei palestinesi.
È sorta allora la discussione
sul problema ebreo-palestinese e
sulla estrema difficoltà delle parti di potersi mettere d’accordo,
considerandosi entrambe nel giusto, eredi della promessa, gli
Ebrei come discendenti di Isacco, i Palestinesi quali discendenti
di Ismaele.
Alla richiesta di che cosa si poteva fare da Pradeltorno per aiutare questa situazione il pastore
Cadier ha detto di pregare, molto e con fede, per la giustizia e
la conciliazione fra i popoli e di
cercare di essere obiettivi, non,
lasciandosi. fuorviare dalla, propaganda dell’una p dell’aJiia
parte.
Dopo una fervida preghiera del
past. Platone ed il canto di un
inno in francese la riunione si è
sciolta.
RICORDANDO EDMONDO MALAN
E’ morto uno scienziato
amico e maestro
Il 12 gennaio scorso moriva nell’ospedale metodista di Houston (Texas) il prof. Edmondo
Malan: il giorno 10 era stato operato al cuore
dal prof. Michael De Bakey per la sostituzione
della valvola aortica.
Edmondo Malan, figlio del prof. Arnaldo che
ancora molti di noi ricordano come illustre otorinolaringoiatra, era nato a Torino nel 1910 dove ha compiuto gli studi di medicina, ha latto
parte per una trentina d’anni della «équipe»
del prof. Achille Dogliotti: dal 1959 al 1964 insegnò alla Facoltà di Medicina dell’Università
di Genova: nel 1964 venne chiamato a Milano
quale direttore dell’Istituto di Patologia Chirurgica e in seguito direttore della II Clinica
Chirurgica dell’Università di Milano e come direttore della Scuola di Chirurgia Vascolare dove ha creato una « équipe » di ricercatori e
tecnici di fama internazionale. Fu uomo di
grande prestigio scientifico e di qualità morali
e lunane eccezionali. Come han detto i giornali
è una perdita immensa per la medicina internazionale e come tale sarà ricordato.
Io, invece, lo voglio ricordare qui come amico estremamente sensibile e generoso: ben lo
sanno quanti sono stati da lui curati e, perché
provenienti dalle Valli, hanno ricevuto cure
particolarmente piene di sollecitudine. Fedelissimo amico del Collegio, attaccato alla sua
terra d’origine dove passava i pochi giorni di
vacanza che la grande attività gli consentiva,
rimarrà nel cuore di tutti quelli che l’han conosciuto e gli han voluto bene. Alla moglie, alla figlia e ai congiunti tutti l’espressione di solidale simpatia e di affettuoso rimpianto.
Enrico Gardiol
% ♦ *
Sui quotidiani e specialmente sul « Corriere
della Sera », si possono leggere, ogni tanto,
lunghe liste di necrologi dedicati ad una sola
persona. Si constata che, generalmente, si tratta di personaggi rappresentanti le grandi industrie, le multinazionali, l’alta finanza inter
continentale,^ le Banche misteriose con sedi all’estero e via dicendo; affari più o meno puliti e
denaro... denaro... denaro!
Dal 26 gennaio u. s. ecco un miracolo: è apparsa sul « Corriere della Sera » e su altri quotidiani una necrologia diversa che si è ripetuta
per ben 4 giorni con un totale di più di 250
partecipazioni! Erano inserzioni di (dentri Universitari, Ospedalieri, Cliniche di varie città e
cittadine d’Italia con i loro docenti, professori,
assistenti, allievi, ex-allievi, collaboratori, exmalati, amici. Testimoniavano commossi la riconoscenza e l’ammirazione per un uomo di
alta professionalità accompagnata da una grande coscienza morale; un uomo al quale il denaro non interessava, un uomo che si chiamava
Edmondo Malan, « l’idraulico delle arterie »
come si faceva chiamare con bonarietà e tanta
umiltà: « sturo le arterie come gli idraulici
sturano i tubi otturati » soleva dire ridendo!
Giunto a Milano da Genova, indefesso lavoratore, aveva creato un Centro di Chirurgia
vascolare molto quotato in tutta Europa.
Egli non è più con noi; si è « staccato » dal
suo « compito » terreno quotidiano diventato un po’ faticoso; si è « staccato » conscio
della « soglia » che doveva varcare...
Ci piace riportare dal « Corriere della Sera »
(28-l-’78) il richiamo di un ex-allieVo, che unisce due nomi di maestri a lui cari e che riassume il pensiero di quanti rimpiangono il maestro ed amico:
« Grazie, prof. Carlo Foà, maestro scompar« so, per avermi guidato al
« Prof. Edmondo Malan
« per un perfezionamento che iniziai dal suo
« sguardo, dalla sua parola, dal suo sorriso in« cancellabile.
« L’angiologia, la moderna flebologia hanno
« scritto il suo nome nella storia della Medi« cina che è vita e continuità ».
un ex-allievo riconoscente
Era notte; alcune stelle brillavano ed una pallida luna illuminava una parte dei monti sovrastanti e la valle ricoperta dalla
spessa coltre di neve.
In fila indiana i partecipanti ritornavano alle loro dimore; nel
biancore e nella fresca aria dei
mille metri di altitudine si ripensava alle luminose, solari immagini della lontana Palestina, così
vicina però nella fede per lo stesso Dio.
E. B.
CONSIGLIO Di CIRCOLO
DI ViLLAR PEROSA
Meno burocrazia
e più partecipazione
Mercoledì 24 gennaio si è tenuta la prima riunione del Consiglio di Circolo di Villar Perosa.
All’ordine del giorno reiezione
del Presidente e della Giunta
(per le componenti genitori e
insegnanti).
Sono cos'i risultati eletti; presidente Remo Laggiard, genitore; vice-presidente Adriano Longo, genitore; giunta Franco Roccione, genitore; Paolo Ferro, insegnante. Il consiglio in vista
dell’impegnativo lavoro che lo
attende e per non creare discontinuità con il lavoro precedente
ha deciso di avere, oltre alle
riunioni ordinarie (di cui la seconda già fissata per venerdì 3
febbraio) altre riunioni non ufficiali per dar modo di avere
il maggior numero di contributi sui vari temi che si presentano.
La giunta fa suo l’impegno di
snellire le pratiche burocratiche
per lasciare il massimo spazio
al dibattito puntando contemporaneamente su un collegamento stretto con genitori, insegnanti e forze sociali interessate ai problemi della scuola.
Ritenendo che questo collegamento sia utile anche a molti
dei nostri lettori provvederemo
a darne tempestiva informazione.
A. L.
Sbaglian tutti
meno il papa
In uno scambio di lettere, apparso
in prima pagina sull’ultimo n. dell’Eco
del Chisone, tra il past. Nisbet e il
sacerdote F. Trombotto sulla questione dell’infallibilità del papa, in un passaggio della lettera, così si chiede don
Trombotto: «. E i fratelli riformati?
Sono disposti a riconoscere che Pietro
ebbe un ruolo preminente tra gli apostoli al tempo di Gesù e nella Chiesa
post-papale? A riconoscere la legittimità del ministero papale^ almeno come
vero vescovo per la chiesa di Roma e
almeno al. servizio della comunità cattolica romana nel mondo? A riesaminare tutta la questione senza i tradizionali pregiudizi polemici? ».
7
3 febbraio 1978
CRONACA DELLE VALLI
Una superscuola protestante
(confessante e pilota)
Quale la funzione
dei nostri Istituti d’istruzione?
£ bene che le nostre comunità
riflettano di nuovo sulla funzione dei nostri Istituti, e bene ha
latto la comunità di Pomaretto
a riaprire la questione a proposito della Scuola Latina. Se intervengo nel dibattito, è quasi
per motivi personali. Ho un ottimo ricordo di quell’istituzione. Fu il mio primo « rifugio »
italiano, quando avevo appena
14 anni. Tra i miei compagni di
allora, qualcuno è diventato pastore. Donde venivano? I più
dai monti. Riclaretto, Maniglia,
Massello, Rodoretto, Frali. Figli di agricoltori o di operai delle miniere, trovavano a Pomaretto non solo la scuola, ma anche il convitto, una vera seconda famiglia. I nostri docenti lasciarono un’impronta indelebile.
Romanticismo? Nostalgia dei
tempi andati? Forse, ma ripensando a quei tempi lontani e
confrontandoli col presente, mi
accorgo che la funzione di allora potrebbe ancora essere valida oggi. Allora, nel lontano 1923,
essa era duplice, di assistenza
sociale per chi non poteva pagarsi gli studi, e di formazione
cristiana, evangelica, per tutti.
Il dilemma posto dall’assemblea di chiesa di Pomaretto del
19 novembre 1977 mi è parso a
prima vista pertinente, ma ridurlo all’alternativa: scuola di
avanguardia o scuola confessionale (cf. Eco-Luce del 2 dicembre 1977), mi sembra troppo
sbrigativo. Giunge ora la reazione del Comitato della Scuola Latina, ma l’avere corretto l’aggettivo confessionale in confessante „
(cf. Eco-Luce del 23 dicembre
1977), se centra il nodo del problema, però non risolve. A tutt’oggi, le posizioni emerse in Sinodo e sui nostri giornali a proposito dei nostri Istituti d’istruzione si potrebbero sintetizzare
in questi quattro differenti giudizi di.-valor e: r,-.
1) surroga alle scuole statali, cioè un vivacchiare nell’attesa dell’inevitabile morte;
2) ripiegamento su se stessi,
cioè un infecondo compiacersi
delle « gloriose » tradizioni del
passato ;
3) alternativa di avanguardia, cioè una scuola pilota, esemplare, con tutti i requisiti di
tempo pieno e di perfezionismo
degli strumenti didattici;
4) scuola confessante, cioè
PINEROLO
Il Centro Ecumenico di Agape
organizza a Pinerolo (Via dei
Mille, 1) un Seminario Teologico sul tema:
La teologia
protestante
nel XX secolo
L’argomento sarà introdotto
da due presentazioni dei professori Bruno Corsani e Sergio
Rostagno, della Facoltà Valdese di teologia, che parleranno rispettivamente su Rudolf Bultmann, venerd\ 3 febbraio, e Karl
Barth, sabato 4 febbraio.
Gli incontri inizieranno alle
ore 20,30.
una scuola serva anch’essa del
Signore.
In quale di queste quattro situazioni si trovano oggi i nostri
Istituti d’istruzione? Ognuno risponderà secondo i propri convincimenti. A mio modo di vedere, le due prime situazioni non
possono essere che di squalifica, velata o aperta che sia, e
perciò postulano come male minore l’abolizione pura e semplice. La terza situazione richiama
un po’ quella dei nostri Istituti
ospitalieri: se abbiamo 1 soldi
necessari, è debito di serietà, ma
anche di carità, apprestare ed
offrire il prodotto più efficiente.
Resta la quarta situazione, che
ci impegna tutti come credenti.
Se scuola pilota e scuola confessante si fondessero insieme,
avremmo una superscuola, una
specie di « collège » protestante,
tipo Chambon-sur-Lignon. Ma
può — o deve — la nostra chiesa spingersi su questa strada?
Se è giusto quanto osserva il
pastore Renato Coisson (cf.
Eco-Luce del 6 gennaio 1978), la
testimonianza del credente è valida tanto nelle istituzioni dello
stato che in quelle della chiesa;
ma se la chiesa reputa opportuno avere le sue scuole come ha
i suoi istituti ospitalieri, allora
il problema che le si pone è soprattutto quello degli uomini e
delle donne che ne formano il
corpo docente. Una scuola che
voglia essere confessante deve
considerare i suoi docenti come
la chiesa considera i suoi diaconi, anziani e pastori. Se no, a
che pro’ l’Apostolo avrebbe incluso tra i doni quello d’inségnamento (Rom. 12: 7), e tra i
ministeri quello dei dottori
(I Cor. 12: 28)? Tornano alla
memoria i nomi dei Longo, Falchi, dalla, Coisson, Vinay ecc.
che indubbiamente intesero l’insegnare come vocazione, non come semplice impiego. Identificando impegno professionale e
professione di fede.
Giovanni Gönnet
Primo circuito
ATTIVITÀ’ FEMMINILE
Domenica 12 marzo alle ore
14,30 presso la Casa Valdese di
Luserna San Giovanni, avrà luogo un incontro di tutte le Unioni
e i Gruppi di attività femminile
della Val Pellice.
La dott. proc. Luciana Ribet ci
intratterrà su un argomento interessante e attuale con « Alcune
considerazioni sulla posizione
giuridica della donna nel nuovo
diritto di famiglia ».
^ La partecipazione è aperta a
tutte le persone delle Comunità
interessate all’argomento.
Se il numero dei partecipanti
sarà sufficiente verrà organipato
un pullman da Bobbio Pellice a
S. (Giovanni e ritorno.
Coloro che desiderano assistere anche al culto (ore 10,30)
avranno a disposizione, per consumare il pranzo al sacco, la sala Albarin dove l’Unione femminile locale preparerà una minestra calda.
Le prenotazioni sia per il piatto caldo sia per il pullman devono essere date alla signora Maria
Tamietti (tei. 932061), Via Gay 21,
Torre Pellice, non oltre il 9 mar
La Società di Studi Valdesi e la Parrocchia cattolica di Torre
Pellice vi invitano a partecipare all'incontro sul tema :
La conciliarità nel quadro
di una Ricerca ecumenica
Domenica 5 febbraio 1978, ore 15
Introdurranno l'argomento :
— EMILIANOS TIMIADIS, vescovo greco-ortodosso
— MICHELE PELLEGRINO, vescovo cattolico
— GINO CONTE, pastore valdese
Seguirà un libero dibattito.
TORRE PELLiCE ^
sala delle Scuole Cotnunali -I Viale della Rimembranza
Visita
del Moderatore
11 Past. Aldo Sbaffi,
delle Valli nel periodo
Mercoledì 15 Febbraio
Giovedì 16 Febbraio
Venerdì 17 Febbraio
Sabato 18 Febbraio
Domenica 19 Febbraio
Lunedì 20 Febbraio
Martedì 21 Febbraio
Mercoledì 22 Febbraio
Moderatore della nostra Chiesa visiterà le Chiese
del 17 Febbraio, secondo questo programma:
— ore 9,30 Incontro pastorale 1 Circuito
— ore 20,30 Riunione di quartiere a S. Giov.
— ore 10 Culto aH'Asilo Valdese di S, Giov.
— ore 15,30 Culto alla Casa delle Diaconesse
ore 20 partecipazione al falò di Villar P.
— mattino celebrai. XVII Febbraio a S. Secondo
— sera celebrazione XVII Febbraio a Pinerolo
-— pomeriggio a Torre Pellice ( catech-isrhi )
— celebrazione XVII Febbraio a Rorà
— ore 9 Culto al Collegio di Torre Pellice
— ore 10 Incontro pastorale II Circuito
— ore 14/30 Incontro pastorale. III Circuito
— ore 20 Riunione di quartiere a .Perrero
— ore 18,45 Culto Ospedale di Pomaretto
— ore 20 Riunione di quartiere a Pomaretto
— ore 10 Culto al Rifugio « Carlo Alberto »
— ore 20 Riunione quartierale a Bobbio P.
ANGROGNA
• Le prenotazioni per il pranzo del XVII febbraio si raccolgono presso gli anziani e il pastore. Le iscrizioni si chiuderanno il 14/2 per conoscere l’esatto
numero dei partecipanti. Costo
L. 3.000.
• Aspettiamo sino al 10 febbraio le iscrizioni per il viaggio
comunitario a Roma che si svolgerà dal 3 al 6 marzo: costo
L. 40.000. Prenotazioni presso il
pastore.
• Dalla prossima settimana
verrà distribuito il « Bollettone »
in tutte le nostre famiglie contenente il programma delle attività sino a Pasqua.
SAN SECONDO
• Preghiamo i quartieri di Miradolo e di Rivoira(Prese di
prendere nota delle riunioni
quartierali che avranno luogo
come segue : Miradlplo,, .,.la. riunione avrà luogo in via Colombini martedì 7 febbraio. Sarà
presieduta dai giovani della Pra
del Torno e sarà unica per tutto
il quartiere (non sarà preceduta da visite pastorali). La riunione alla Rivoira avrà luogo
mercoledì 8 febbraio, e non al
venerd-) come al solito. Sarà
preceduta da visite pastorali.
• Vi preghiamo di prenotarvi
per il pranzo del 17 febbraio. Il
prezzo è quello dell’anno passato (L. 3.500 per gli adulti, 2.000
per i bambini).
POMARETTO
17 Febbraio 1978.
Pomaretto si appresta a ricordare il 17 Febbraio nel modo
consueto. Avremo con noi il pastore Giorgio Bouchard, vicemoderatore della Chiesa valdese. Quest’anno le bande musicali
saranno due : ritorna la banda
musicale di Inverso Pinasca.
Per il pranzo è nuovamente incaricato « Olivero » che ringraziamo sin d’ora. Il prezzo è il
seguente : L. 5.500 caduno ; per i
bambini al disotto degli anni 12:
L. 3-000. I biglietti sono in vendita: presso la cartoleria Menusan Gardiol - Pomaretto; Bleynat Enrico commestibili Ghigasso; Pastre Beux Frida - Pomaretto; Giaier Elio Profumeria Perosa Arg.na e presso i
membri del comitato.
Anche quest’anno verrà effettuata la solita colletta per i festeggiamenti da parte degli anziani o da incaricati: detta colletta serve per offrire il pranzo
agli invitati: bande musicali, delegati svizzeri ecc. Invitiamo la
comunità tutta a contribuire.
per il Comitato:
Luigi Marchetti
• Martedì 7 febbraio alle ore
21 la FGEI si riunisce presso le
ex scuole di Pomaretto.
Martedì 31/1 si sono svolti i funerali di Tron Alina Maria ved.
Pons di anni 87 deceduta all’Asilo
di San Germano Chisone. Ai parenti, particolarmente àlla famiglia del pastore Teofilo Pons,
giunga la nostra solidarietà cristiana.
TORRE PELLICE
• Ringraziamo i giovani della
Pra del Torno che hanno presieduto le riunioni dei Chabriols e
deirinversò.
Il ciclo di riunioni della prossima settimana sarà a cura della
Società di Studi Valdesi, eccetto
ai Siinound rhercolédì 8 dove andrà il pastore.
• Mercoledì e sabato scorso ha
avuto luogo rincontro dei catecumeni del 4” corso e dei loro
genitori jjer uno scambio di idee
sul -problema della istruzione catechetica e della confermazione;
molte proposte ed osservazioni
utili sono state fatte di cui la nostra comunità dovrà tenere conto nel prossimo futuro. Resta
però sempre aperto e non chiaro
il problema della confermazione
e del suo significato.
Il pranzo del XVII febbraio
si terrà. — come di consueto — nella Foresteria Valdese
e le prenotazioni sì raccolgono presso il negozio del signor
Aldo Pellegrin in Piazza della
Libertà.
• L’assemblea di chiesa del 12
prossimo è una assemblea di studio essenzialmente consacrato al
tema « educazione alla fede ».
• Ringraziamo il pastore Gérard Cadier per la sua conversazione sul problema di Israele lunedì sera. Peccato che ad accoglierlo vi fosse un così misero
gruppo di persone.
Come si entra
nel “mondo
dei vinti,,
Una lucida riflessione sulla neve di questi giorni del «Giornale di Pinerolo e Valli ».
« Per una volta sembra che la
gente della montagna sia al centro dell’attenzione. Ma non è
così,. Ciò che interessa è mettere in rilievo l’azione dei soccorsi, le difficoltà che si sono
affrontate, quanto sono brave
(o cattive) le ’’autorità preposte”.
Dei problemi della gente si
parla solo per far vedere come
gli altri li hanno affrontati, i
discorsi di circostanza. Invece
il montanaro affronta il problema della strada che tutti gli inverni si blocca, con la decisione
di andarsene a vivere a fondo
valle. Decisione dura da prendere perché significa accettare una
sconfitta, entrare in un mondo
diverso, ma che è l’unica che
sembra possibile per sopravvivere. Cos’i in montagna restano
i più vecchi, quelli che non possono più cambiare, e restano
colla paura che la strada un
giorno si blocchi e il medico
non possa più salire. Restano
con là speranza che un giorno
si decida che i mezzi sgombraneve entrino in funzione tempestivamente, che si costruiscano i
paravalanghe, e che non si debba più leggere sui giornali le
’’eroiche” imprese dei soccorritori. Ma a volte la speranza diventa rassegnazione, e si entra"
cosi nei "mondo dei vinti” ».*
VILLAR PEROSA
• Martedì 24 gennaio ha avuto luogo il funerale del fratello
Travers Clemente Enrico, deceduto alla fraz. Gamba (Inverso
Pinasca) all’età di 80 anni. Alla
moglie ed ai familiari rinnoviamo la fraterna solidarietà della
comunità e, nostra nella certezza della risurrezione in Gesù
Cristo.
• Un caldo benvenuto a Ombretta, terzogenita di Travers
Vittorio e di Beux Vanda (Gamba): alla neonata, ai gàiilori ed
alle sorelle Fau^rio di ogni benedizione nel Signore.
Asilo per Vecchi
di San Germano
Doni per Uampliamento pervenuti
fino al 15 gennaio 1978:
Bertin Lilina L. 10.000; Savro Gottardi 20.000; N.N., Trossieri 50.000;
Revel 20.000; Pascal Armando e Delfina 10.000; Mimi Tron in memoria
di Lina Rostagno 10.000; famiglia Davide Sibille 10.000; RIV-SKF 1 milione; Unione Femminile di Bergamo 200
mila; Scuola Domenicale S. Secondo
250.000.
Bouchard Aldo e Fiorina in memoria del figlio 5.000; Long Silvio e Alina per l’arrivo del nipotino Stefano
10.000; Massimo e Laura Oviglia in
memoria del papà 20.000; Romano
Alfredo in memoria della moglie 10
mila; Mader Esther 542.500; Dino e
Yvette Grassi 20.000; Renato Edmea
Grassi 20.000; N.N. 40.000; Avv. Piero Ricchiardi 50.000; Reynaud Francesco 30.000.
Gino Paschetto 10.000; Fanny e
Umberto Robert 10.000; Erminia Forneron ved. Romano 2.000; N.N. Mendrisio 100.000; Gruppo di Catecumeni di Pomaretto in occasione della giornata passata airAsilo 13.000; Paolina
Tron Bleynat in memoria di Tin
50.000; Chiesa di Como 15.000; Chiesa di Pomaretto 215.000; Tron Alma
ved. Pascal 3.000; Poet Elvira ved.
Genre 10.000.
Jahier Vitale ed Ida 10.000; Rostagno Gustavo.5.000; Rostagno Arturo in
memoria di Irma 5.000; Tron Lina
5.000; Chiesa di Perrero 135.750; Ghigou Alberto 50.000; Ghigou Henri
10.000; Pascal Edmondo 10.000 Ribet Adolfo in memoria della madre
10.000; Tron Enrico 10.000; Malacridi Lilia 4.000; Clol Alberto e Giovanna 40.000; Tron Enrico 5.000; Unione
Femminile Venezia 30.000.
Conto corrente postale 2/4804 intestato a Asilo Valdese per Vecchi - San
Germano Chisone.
Doni per l’Asilo
di Luserna S. Giovanni
Doni « Pro Deficit » pervenuti nel mese di dicembre 1977 :
Mourglia Gualtiero e Enrichetta L.
30.000; Albarin Adriana 4.000; Albarin Toselli Alda 4.000; Belliom Irene
14.000; Roman Giorgio e Claudia 48
mila; Grill Domenico e Paolina 24
mila; Odetto Ivonne (ospite Asilo) 50
mila; Culasso Egidio e famiglia 16.()00;
Ines Malanot-Riva 10.000.
Mirabile Renato e Elena L. 4.000;
Buffa Edvy 6.000; Fraschia Lidia e
Gonin Marco 25.000; Bonino Emma,
Odin 15.000; Mario e Silvia Armand
Hugon, in mem. della mamma 50.000;
Gaydou Laura e Guido 6.000; Monnet
Silvia e Flora 10.000; Elsa Garibbo-Bertalot (Imperia) 20.000; Bianca e Rino
Hugon, in mem. della zia Anna Roman 30.000.
Torchio Domenica ved. Brigato (To)
100.000; Vola Aldo e Luciana, in
mem. di Vanna Calvetti'Beux (T.P.)
50.000; Reynaud Lea (osp. Asilo) 10
mila; Gaydou Clelia 10.000; Travers
Giuliana 4.000; Pons Elena 14.000;
Lapisa Giulio e Giovanna 5.000; Rivoira Alessandro e Giovanna 4.000;
Bellora Alberto 10.000.
Grazie!
« UEterno è il mio pastore nulla mi mancherà ». (Sai. 23: 1).
I familiari del compianto
Alessio Marchetti
nelPimpossibilità di farlo personalmente, commossi, ringraziano il personale
medico e paramedico dell’ospedale di
Pomaretto, il dott. Buzzi ed il personale del rep. pensionati deU’osp. Civile
di Pinerolo, le sig.re Long e Ayassot,
il past. Coisson e tutti coloro che con
scritti, parole o partecipazione hanno
preso parte al loro dolore.
Pomaretto, 12 gennaio 1978.
Velia Falchi, Ada Falchi ved. Varese, Lea Falchi ricordano commosse e
riconoscenti il Prof.
Edmondo Malan
che con tanta bontà, disinteresse, serenità ed alta competeùzB cnrò ed operò il loro caro padre e zio Flió Falchi.
(J-enova - Torre Pellice, gennaio ’78.
8
8
3 febbraio 197Ö
ENERGIA NUCLEARE
Mi compro un reattore
...per farmi la bomba
Trattative
A differenza del 1946, oggi molti dati
non sono più segreti
tecnici suM’energia nucleare
L’energia nucleare, a differenza di tutte le altre fonti di energia, non può essere dissociata
dalle sue applicazioni militari.
Il primo reattore nucleare viene costruito da Fermi negli Usa
nel 1940. Il 16 luglio 1945 gli Usa
fanno esplodere in un deserto
del Nuovo Messico la prima
bomba atomica ; nel mese di
agosto quella stessa bomba viene sganciata su Hiroshima e Nagasaki (200.000 morti). L’unica
motivazione della bomba su Nagasaki era di sperimentare gli
effetti delle bombe al plutonio,
dato che quella su Hiroshima era all’uranio. Nel 1949 esplode la
prima bomba dell’Urss; nel 1952
gli Usa, e nel 1953 l’Urss, mettono a punto la bomba H. Successivamente Gran Bretagna e
Francia si uniscono al ’club’ delle potenze nucleari. Poco prima
del 1960 le prime centrali nucleari degne di questo nome cominciano a produrre regolarmente: la loro diffusione negli
anni successivi crea il mito dell’atomo pacifico, appena intaccato dall’esplosione della bomba
cinese (1964). Ma nel 1974 l’India fa esplodere la sua prima
bomba ottenuta grazie all’atomo pacifico, cioè all’acquisto di
tecnologia per produrre energia nucleare.
Dal punto di vista delle conoscenze tecniche e scientifiche, la
situazione attuale è infatti profondamente diversa dal 1946. Oggi molti dati tecnici non sono
più segreti, ma alla portata di
qualsiasi paese semi-industrializzato: ciò significa che un paese può praticamente realizzare
la maggior parte degli impianti
anche prima di avere accesso alla carica nucleare propriamente detta (cioè l’uranio 235 o il
plutonio 239), e quindi può diventare in poco tempo capace
di far esplodere una bomba di
media potenza.
Finora questo uranio o questo plutonio erano accessibili
solo a pochi paesi (Usa, Urss,
Francia, Gran Bretagna, Cina).
Ma grazie allo sviluppo della
energia nucleare civile degli anni ’70 è divenuta possibile la
proliferazione del plutonio. Infatti il plutonio estratto annualmente, con gli impianti di ritrattamento, da un reattore di
1000 MW (cioè della potenza
delle centrali che si costruiranno nel nostro paese) consente
di fabbricare almeno 30 bombe
del tipo di quella di Hiroshima
(per ima bomba ci vogliono 7
kg. di plutonio). La vendita dei
reattori e dei laboratori di ritrattamento permette quindi ai
paesi acquirenti di dotarsi di
queste bombe: nel 1963 il Canada consegnava all’India un
reattore di ricerca ad acqua pesante, di potenza rilevante, capace di produrre 5 kg. di plutonio all’anno. Il Pakistan ne or
Comitato di Redazione : Bruno Bellion, Giuliana Gandolfo Pascal, Marcella Gay, Ermanno Genre, Giuseppe Platone, Paolo Ricca, Fulvio Rocco, Sergio Rostagno, Roberto SbafR,
Liliana Viglielmo.
Direttore: FRANCO GIAMPICCOLI
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intestato a : Roberto Peyrot - Corso
Monealieri, 70 - 10133 Torino.
Reg. Tribunale di Pinerolo N. 175,
8 luglio 1960.
Cooperativa Tipografica Subalpina
Torre Pellice (Torino)
dinava successivamente, sempre
al Canada, un altro destinato
inizialmente ad alimentare di elettricità Karachi. L’India faceva esplodere la sua prima bomba nel maggio del 1974, presentando l’esplosione come l’inizio
di grandi lavori di terrazzamento: ma nessuno si fece ingannare e il Canada interruppe qualsiasi consegna nucleare all’India.
Nel 1974, 21 paesi del mondo, fra
cui l’Italia, già possedevano reattori capaeì di produrre plutonio
in quantità accettabili; fra essi
7 hanno già delle bombe; fra i
rimanenti, 3 (Argentina, Pakistan, Spagna) non hanno firmato il trattato di non proliferazione (e bisogna ricordare che tale trattato può sempre essere
rescisso, senza contare le difficoltà che incontrano gli 80 controllori deH’AIEA - Agenzia Internazionale Energia Atomica nel
farlo rispettare). Alla fine del
1976, un totale di 173 reattori,
in 19 paesi, potevano produrre
16.000 kg. di plutonio all’anno: e
circa il 3% di questa capacità
nucleare si trovava in paesi privi di armi nucleari. Anche se in
seguito all’esplosione indiana,
fra i paesi esportatori di tecnologia nucleare sono aumentate
le riunioni e gli accordi per impedire la proliferazione delle
bombe — nel 1976 a questo ’club’
ha aderito anche l’Italia — due
paesi in particolare si sono dimostrati insensibili alla gravità
del problema: la Francia e la
Germania occidentale. In particolare, nel giugno del 1975, la
Germania ha concluso con il
Brasile un colossale contratto
per la consegna di 8 centrali,
un impianto di arricchimento e
uno di ritrattamento. Il Brasile
non ha firmato il trattato di
non proliferazione perché vuole
avere la bomba; e secondo un
rapporto americano la Germania intende servirsi di questo
accordo per costruire le armi atomiche che le sono proibite sul
proprio territorio.
A questa diffusione di potenziale atomico bisogna aggiungere anche la diffusione dei sistemi di lancio, resi possibili dalla
nuova tecnologia del missile
emise, che ne fa un’arma di trasporto di testate nucleari molto
preciso e molto economico, quindi, alla portata di numerosi
paesi.
(Da Gioventù Evangelica
48 - dicembre 1977).
n.
(segue da pag. 1)
senza nell’ambito della società
civile che lo ospita come portatore di fede e di cultura diversi
da quelli che « naturalmente permeano » la società italiana. E
qui desidero precisare che accetto l’espressione di Ortona solo nel senso che « naturalmente »
sia usato nel senso di « ovviamente », e non si intenda con
quell’avverbio rifarsi ad un dato
costitutivo primario posto come
fatto irreversibile.
Proprio perché l’Italia è un
paese in cui oggi, più per fattori
politici che culturali, le posizioni cattoliche sono in ogni dove
dominanti, non è proprio il caso
di lasciarsi strumentàlizzare in
occasione delle intese. Perciò è
necessario a mio avviso trattare la questione secondo gli schemi originali e propri dell’interlocutore, che si pone di fronte allo
Stato. Se si attendesse la stipula del nuovo concordato prima
di iniziare le trattative per le intese vi sarebbero molte probabilità di andare a rimorchio del
nuovo concordato, ottenendo al
massimo un’intesa a sbiadito decalco dell’infiuenza esercitata dalla maggioranza. In tal caso invero le differenze qualitative che
insorgono dalle diversità quantitative, su cui giustamente Ortona ha posto l’accento, rimarrebbero più facilmente compresse
se non del tutto schiacciate dal
dettato orientativo di un atto
maggiore già definito e pronto
ad espandere nel paese, minoranze comprese, tutta la sua infiuenza.
Operando diversamente, secondo la linea seguita dai valde
si e metodisti, v’è quanto meno
la possibilità, senza correre rischi di essere strumentalizzati a
priori, di operare la trattativa
fuori da ogni pressione aliena.
Così, operando si possono affrontare i vari problemi unicamente in rapporto alla situazione autentica nella quale si colgono nell’ambiente confessionale considerato.
Ed infine v’è anche la possibilità di rendere al paese una
precisa testimonianza in ordine
al fatto non indifferente che la
trattativa cosi condotta possa
concludersi in un’intesa che si
presenti come un modo nuovo e
diverso di regolare nel merito i
rapporti tra Stato e Chiese. E
ciò potrebbe anche costituire un
assai valido precedente.
Secondo questo orientamento
— che chiamerei di anticipazione in contrapposto all’orientamento tempista suggerito da
Ortona — v’è un solo rischio cui
si è esposti; ed è quello che
la trattativa per l’intesa possa
servire in mano aliena come lubrificante in sede politica per
condurre avanti l’altra maggiore
trattativa per la revisione del
Concordato. Ma ad evitare tale
rischio — a mio avviso — ricorrono due garanzie. La prima è
la fondamentale diversità dei
contenuti tra intesa valdese e
concordato cattolico ed il diverso modo con cui vengono impostati e risolti soprattutto i
problemi similari. La seconda è
data, contrariamente a quanto
sembra paventare Ortona proprio dall’abilità dei negoziatori;
posto che per « abilità » si intenda capacità ed accortezza e
non italiesca furberia.
Í
LA SETTIMANA INTERNAZIONALE
Il Corno cTAfrica visto dagli USA
ic È un problema che, di settimana in settimana sembra aggravarsi e che accresce in noi la
preoccupazione e l’angoscia.
Sul « Journal de Genève » del
24.1.’78, Jasmine Audemars presenta il problema nei termini seguenti.
« Inquieti per la piega presa
dal conflitto somalo-etiopico nella regione dell’Ogaden, gli USA e
quattro paesi europei (Germania
Federale, Inghilterra, Italia e
Francia) hanno tenuto una riunione speciale domenica 22 c. a
Washington. Raccomandando che
l’opposizione armata, che rischia
di esplodere fra Mogadiscio (Somalia) e Addis Abeba (Etiopia),
venga ricomposta con l’avvio di
negoziati, i diplomatici presenti
nella capitale americana hanno
espresso la loro preoccupazione
sulla possibilità che il conflitto
tenda ad allargarsi, al punto di
coinvolgere addirittura le due
massime potenza, cioè l’URSS e
FUSA.
E per questo che i cinque paesi occidentali non hanno accolto
la richiesta somala di forniture
di armi, dirette a controbilanciare l’aiuto militare sovietico alla
Etiopia. Sembra accertato infatti che, da alcune settimane,
l’URSS abbia stabilito un ponte
aereo che la collega ad Addis Abeba, e si parla di forniture sovietiche, attraverso quel ponte, che
già arriverebbero a quasi un miliardo di dollari. A sentire la Somalia, tali forniture massicce
preluderebbero ad una vasta offensiva dell’Etiopia, nel tentativo
di recuperare, con l’aiuto dei Sovietici e dei Cubani, una parte
dei territori dell’Ogaden ’’liberato” (per così dire) da Mogadiscio.
In un primo tempo, gli Occidentali non avevano preso molto
sul serio i timori della Somalia.
Gli strateghi americani, che studiavano il traffico sovietico, ritenevano che Mosca si dedicasse
semplicemente a degli "esercir
e che gli aerei russi, in realtà,
volassero vuoti. A loro parere, il
Kremlino voleva soprattutto rassicurare i suoi alleati e impressionare i suoi avversari.
Ma, col crescere graduale della
tensione nella regione (disordini
a Gibuti, espulsione dall’Etiopia
dell’addetto militare, poi addirittura dell’ambasciatore della Germania Federale), gli Occidentali
si sono visti obbligati a studiare
più seriamente il problema delle
intenzioni di Mosca nel Corno
d’Africa. Chi può escludere che
l’URSS non intenda soltanto impiantarsi in Etiopia (dove essa
ha già preso il posto degli USA)
per controbilanciare l’influenza
americana in Egitto e in Arabia
Saudita, ma voglia addirittura riprendere con la forza le sue antiche posizioni in Somalia, sulle
coste dell’Oceano Indiano? E se,
più semplicemente, l’URSS volesse tastare il polso agli USA,
per misurare la loro volontà di
resistenza contro la spinta russa nel Corno d’Africa?
A dire il vero, le tergiversazioni americane in quella regione
del mondo, costituiscono una
tentazione quasi irresistibile per
Mosca. Dopo essersene andata
dall’Etiopia a causa della situazione quasi anarchica ivi regnan
te, Washington si è rifiutata, fino
ad oggi, di riprendere le posizioni abbandonate da Mosca in Somalia, rinunciando così, per ora,
a ristabilire una specie di equilibrio nella regione. Peggio ancora: trincerandosi in un’ondeggiante neutralità, gli USA hanno
permesso che si creasse un ’’vuoto” in una zona in ebollizione,
vuoto che sembra fatto apposta
per provocare tutte le ambizioni
e tutti i timori. A tal punto che
Washington, ora, deve sorvegliare i propri alleati mediorientali
e frenarne gli ardori. Infatti l’Iran, che aspira a uno statuto di
potenza nella regione, ha fatto
sapere che, in caso d’offensiva etiopica contro la Somalia, il suo
esercito interverrebbe. L’Arabia
Saudita, ’’amica” e tuttavia rivale di Teheran, ha preso posizione
in modo analogo.
a cura di Tullio Viola
Oggi l’amministrazione Carter
sembra essersi resa conto che
non le sarà possibile sfuggire alle responsabilità inerenti ad una
grande potenza. Né le sarebbe
possibile senza correre enormi rischi, sottrarsi al conflitto soma■ Io-etiopico e alle sue conseguenze. Washington si propone dunque un’operazione molto delicata: da una parte tutelare gl’interessi in una zona nevralgica del
mondo, senza lasciarsi coinvolgere direttamente; d’altra parte
circoscrivere la sovietizzàzione
dell’Etiopia, ’’rinchiudere” Mosca
in casa del suo alleato, toglierle
ogni possibilità d’estendere la
sua zona d’influenza nel Corno
d’Africa.
Durante la sua campagna elettorale, Jimmy Carter non si stancava di ripetere che gli USA si
erano comportati in modo penoso e deficitario nell’Angola. Tocca ora a lui di dimostrare di saper far meglio del suo predecessore ».
Salta il referendum
Celebreremo il cinquantenario dei Patti Lateranensi?
Due avvenimenti — la crisi governativa in atto e la declaratoria di inammissibilità del referendum abrogativo della legge
27.5.1929, n. 810 (Esecuzione del
Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma fra la Santa Sede
e l'Italia, TU febbraio 1929) —• relegano in un futuro non prossimo la possibilità di veder regolati i rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano in modo
diverso da quello sanzionato con
i Patti lateranensi.
Per la crisi governativa, infatti,
la bozza di revisione del Concordato, predisposta dall’apposita
commissione Concila, non potrà
essere portata alla discussione
delle Camere che in data successiva a quella già prevista. Non
che il testo di tale bozza possa
dirsi, dal nostro punto di vista,
soddisfacente: la nota critica della Tavola valdese (pubblicata nel
n. 1 della collana « Dossier » della Claudiana e commentata negli
articoli del pastore Giorgio Bouchard su questo giornale) ha analiticamente sottolineato i punti
del nostro dissenso. Tuttavia, la
discussione in sede parlamentare
avrebbe consentito di verificare
la precisa volontà politica dei
vari partiti al riguardo e, forse,
di eliminare dalla bozza alcune
pesanti ipoteche poste dal Concordato, e nel testo della bozza
ancora presenti.
Quanto alla decisione della
Corte costituzionale, che ha dichiarato inammissibile il referendum \ essa elimina dalla scena
l’ipotesi delTabrogaz'ione del Concordato. La decisione era abbastanza prevedibile (anche se non
è ancora nota la motivazione della sentenza), tenuto conto della
stessa esistenza, nel testo costituzionale, dell’art. 7, della normativa prevista dall’art. 138 in tema
di revisione della Costituzione, e
del disposto del secondo comma
dell’art. 75 che elenca le leggi per
le quali non è ammesso il referendum. Se da un lato, la dichiarata inammissibilità del referendum può rendere più facile l'avvio alla revisione, dall’altro, invece ne rallenta i tempi. Viene meno, cioè quella sollecitazione ad
attuare rapidamente una riforma, che si sta rivelando già in at
to per alcuni dei referendum dichiarati ammissibili: per essi, infatti, i partiti stanno ricercando
un accordo che, attraverso tempestive modifiche alle leggi investite, possa evitare il ricorso finale al referendum. La situazione
è, quindi, di nuovo in posizione
di stallo: la più gradita certamente a certi settori politici.
Di questo passo, è facile prevedere che tra un anno — nonostante la seconda guerra mondiale, la Resistenza, l’avvento della Repubblica, il Concilio Vaticano II e tante altre non trascurabili vicende — ci ritroveremo a
celebrare il cinquantenario dei
Patti lateranensi.
Aldo Ribet
^ La formula per il referendum era
cosi articolata : Volete voi l’abrogazione dell’art. 1 della legge 27.5.1929,
n. 810, che dispone « l’esecuzione del
Trattato, dei quattro allegati annessi e
del Concordato, sottoscritti a Roma fra
la S. Sede e l’Italia, l’il febbraio
1929», limitatamente al contenuto degli articoli 1, 10, 17 e 23 deH’allegato
Trattato e all’intero contenuto dell’allegato Concordato?