1
■uro
2/5 Sig
FEYROT Arturo
Via C. Gabella 22/5
16122 GENOVA
DELLE VALLI VALDESI
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 107 - Num.
Una copia Lire 70
21
ABBOWAMENTI > ^
I L. 3.500 per Testerò
Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70
Cambio di indirizzo Lire 5U
TORRE PELLICE - 22 Maggio 1970
Amm. : Via Cavour 1 - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
Tempo di Penfecosfe
Nella Chiesa, Signore,
lune è cosi vecchio!
« Ma dove sei, Spirito Santo, qui sulla terra? Dicono che la tua chiesa è ripiena di te! E tuttavia quanto riposo,
quanta quiete in essa! Come di uno
che è quasi morto... Nella tua chiesa,
Signore, tutto è così vecchio! Il vecchio s’impone in essa molto, molto più
che il nuovo! Da noi "innovatore" ha
lo stesso suono che "eretico". Appena
una novità vorrebbe spuntare in mezzo a noi, subito si levano delle voci:
Prudenza! Stiamo all’antico! Si è sempre fatto così! Perché cambiare? Nella tua chiesa che ti chiede, in preghiera, di far tutte le cose nuove, la novità
incontra sempre la massima diffidenza
e il più grande disappunto... Spirito del
Signore, tu che ami ciò che è nuovo,
quando rinnoverai il volto della tua
chiesa? Quando ci indicherai tutto ciò
che di vecchio in essa può e deve scomparire, affinché il suo volto appaia nuovo, giovane e bello? Se tu vuoi, davanti
al tuo soffio tempestoso, il vecchio
scompare e tutto diventa nuovo. Se tu
vuoi, ecco che già sento in lontananza
a migliaia le voci di uomini increduli
che gridano commossi, con fede ammirata: “Ciò che è vecchio è passato
— gridate: tutto è diventato nuovo! "».
Questa « Preghiera di Pentecoste per
le angustie del tempo », scritta nel 1931
da un giovane teologo cattolico austriaco (che venne allora sospeso dall’insegnamento ad opera della pontificia Congregazione per gli Studi), può essere
ripetuta tale e quale nel nostro tempo,
da tutte le chiese. Non che, da allora a
oggi, non si sian viste cose nuove in
seno alla cristianità. Anzi, se ne son
viste molte. Quanti cambiamenti, in
questi ultimi decenni! Pensiamo a quel
che è successo nella Chiesa cattolica
dopo il Concilio: a tutti i livelli ci sono
state innovazioni più o meno profonde,
modifiche più o meno radicali. E non
si tratta solo di cambiamenti esteriori:
in molti casi sono mutati gli animi, i
pensieri, i giudizi. Anche nel mondo
protestante le novità non mancano: ve
ne sono in tutti campi, da quello teologico a quello liturgico, da quello morale a quello istituzionale. Perciò, se è vero che gli ambienti di chiesa restano,
si direbbe, istintivamente conservatori
e sono più disposti a mantenere il vecchio che ad instaurare il nuovo, è anche vero che molti mutamenti sono avvenuti e stanno avvenendo nella Chiesa
del nostro secolo e che in essa, accanto a un reale immobilismo, c’è anche
un reale movimento, accanto a molte
cose vecchie, ci sono anche diverse cose
nuove.
Si può dire che, nell’insieme, il volto
della Chiesa sta cambiando. Ma sta
cambiando il suo cuore? E questa la
domanda che bisogna porre, perché
nella Bibbia non è tanto il volto della
Chiesa che importa quanto il suo cuore. Stando all’insegnamento biblico,
quel che come Chiesa dobbiam chiedere a Dio non è un volto nuovo ma un
cuore nuovo.
Potrebbe darsi che la maggior parte
delle « cose nuove » in corso nella cristianità odierna concorrano a dare alla
Chiesa un volto nuovo (il volto indica il
rapporto con gli uomini) più che un
cuore nuovo (il cuore indica il rapporto con Dio). Così, il programma cattolico dell’« aggiornamento », lanciato da
Giovanni darà certamente un
volto nuovo alla Chiesa romana, ma è
difficile che possa darle un cuore nuovo. Parimenti, il programma ecumenico della « conversione al mondo » (com’è stata chiamata) può dare un volto
nuovo alla cristianità dei prossimi decenni, ma non può darle un cuore nuovo. Un cuore nuovo lo dà soltanto Dio,
lo crea solo lo Spirito Santo. Per questo la preghiera di Pentecoste che invochi lo Spirito capace — lui .solo — di
far nuovi i cuori è tanto necessaria.
È indi.spensabile che una Chiesa antiquata si aggiorni c che una Chiesa introversa si « converta » al mondo. Qccorrc lavorare perché questo avvenga.
Ma bisogna evitare di darsi un volto
nuovo e conservare un cuore vecchio
— « di pietra » (Ezechiele 36: 26). Bisogna anche evitare di confondere, identificandoli, il volto col cuore, l’aggiornamento col ravvedimento, la conversione al mondo con la conversione a
Dio, lo Spirito del tempo con lo Spirito
Santo.
Nella tua Chiesa, Signore, tutto resterà vecchio, malgrado le apparenze di
novità, finché Tu non le darai un cuore
nuovo.
Paolo Ricca
Vivere il presente di Dio
L Assemblea delta Federazione
Luterana Mondiale in Brasile
Paolo scrive ai credenti di Colosso
« Dio ci ha trasportati nel Regno del
suo amato figliuolo ». Questo non riguarda il futuro ma il pre.sente. Il futuro sarà maggiore: Dio lo farà. Questa sua azione già lo garantisce. Il Regno, il « nuovo mondo dell’agape », è
totalmente diverso da quello cui siamo abituati. E cosa nuova che ci è
data oggi. Qggi può essere scoperto e,
in un certo qual modo, vissuto. Non ha
congiunzione col nostro passato. Ci
apre invece il futuro. Lo si avverte
quando il Cristo si avvicina e si fa
sentire. Non è da noi determinato né
preparato. Ci è dato. Ci è dato di viverlo, come fanciulli, cioè come chi
sempre scopre la novità della vita, e liberi perché il passato è annullato ed il
futuro non fa più paura. L’agape caccia via la paura di ieri e di domani.
Tutto ciò è offerto come possibilità di
vita oggi, quest’oggi di Dio.
Purtroppo nella realtà quotidiana siamo condizionati dal passato non solo
come uomini avviliti da errori e dal peccato, ma anche come popoli. Tutto è
determinato dalle esperienze del passato che ci tengono prigionieri. Ogni
tentativo di rinnovamento ne è bloccato o, almeno, influenzato. Non siamo
capaci di nulla di veramente nuovo perché viviamo nell’idolatria dei fatti e
delle e.sperienze. Si guarda al futuro
partendo dal passato, sia che lo ammiriamo o che lo detestiamo. La vita
a Riesi è fortemente illustrativa al riguardo. E il passato che rende difficili le riforme necessarie al presente.
Qui proprio ci si rende conto che il
passato rappresenta una vera tragedia
per i popoli. Però si può esser veramente rivoluzionari, cioè portatori di
situazioni del tutto nuove, se si rimane vincolati alle esperienze del passato?
Son queste esperienze che determinano le azioni dell’oggi. Ed allora si può
dare al nostro mondo che è vecchio,
vecchio, un nuovo respiro di vita? L’esempio più comune è quello della violenza. E da sempre che gli uomini hanno cercato con essa di mutare le situazioni, aver pace, libertà, prosperità...
ed oggi ancora non si trova altra via
che la violenza! Ma con ciò si metton
nuovi anelli alla già multimillenaria
catena della storia per legarci sempre
di più. Non se ne esce. Guerra produce
guerra, violenza produce violenza e siamo sempre allo stesso punto. Perché
almeno non provar altra via? Perché le
esperienze ce lo vietano, e non abbiamo il coraggio di azzardare un altro
metodo. Tutti i più logici ragionamenti
al riguardo, personalmente, non mi
convincono. Non se ne esce. Un mutamento vero, una vera rivoluzione la si
avrà solo se saremo capaci di cominciare da zero, tutto di nuovo, in una
via che ci parrà assolutamente assurda, quella dei fanciulli che scoprono
la vita.
Per noi credenti almeno due cose dovrebbero esser chiare. La prima, che il
passato è annullato sulla croce e che
perciò esso non conta più per noi non
solo come individui ma neppure conta nella storia del mondo: il passato
del mondo è inabissato dall’azione di
Cristo. La seconda, che colla resurrezione sorge un mondo nuovo la cui
realtà — agape •— ci è offerta oggi ed è
garanzia del futuro, per quanto questo
Convocate
le Conferenze Distrettnali
I DISTRETTO
La Conferenza Distrettuale è convocata per i giorni 27 e 28 maggio a Villar Perosa. La Conferenza avrà inizio
alle ore 17 del 27. Il culto presieduto
dal pastore Cipriano Tourn avrà inizio
alle ore 21. Tutti i membri della comunità di Villar Perosa sono vivamente
invitati a parteciparvi.
La Commissione prega tutti i delegati delle Chiese di essere presenti alla
apertura dei lavori della Conferenza.
La Commissione Distrettuale
II DISTRETTO
La Conferenza del 2° Distretto è convocata a Ivrea lunedì 1° giugno alle
ore 21, presso la Chiesa Valdese in
Stradale Torino 217, e avrà inizio con
un culto presieduto dal Pastore Paolo
Ricca. I lavori proseguiranno nel giorno seguente.
I Pastori sono pregati di inviare le
relazioni annue al Capo distretto Roberto Nisbet - Via Roma 14 - 18038 Sanremo.
I delegati debbono annunziare il loro
arrivo con il massimo anticipo possibile, precisare l’ora, al Pastore Ermanno Rostan - Stradale Torino 272 - 10015
Ivrea.
La Commissione Distrettuale
sia nascosto nelle mani di Dio, dalle
quali si dischiuderà la nuova creazione,
la speranza della quale è tanto più
grande quanto più siamo andati, oggi,
a fondo nel concetto dell’agape. Perciò
tra un passato che non conta più ed un
futuro che ci è ancora nascosto, si tratta di offrontarc, coipe uomini nuovi, il
presente come ci è 4^to e di viverlo.
Il presente è quello che Dio ci dà per
compiere le opere che Egli stesso ci
« prepara ». Ce le mette dinanzi nelle
necessità degli uomini che ci circondano e del mondo che geme attendendo
la redenzione. Siamo nel « mondo » del
Risorto ed è lui la guida e lo stratega,
anche se non è sempre facile intuire, e
tanto meno comprendere, le ragioni dei
suoi richiami. Non abbiamo perciò una
nostra strategia né una nostra programmazione. E rida pure di questo chi vuol
rider di noi come se « fossimo pieni
di vin dolce ». \'i è un tempo vuoto,
quello degli uoniini, dove si annaspa
per emergere da.lle situazioni vane o
gravi, ma nel quale il passato si ripete
senza fine e siamo sempre nella categoria crudele delia storia. Tempo vuoto, che è « routine », anche se ci sembra alle volte eroico o avventuroso.
Vuoto perché non produce nulla. Non
apporta il nuov". In esso siamo noi e
tutti. Ma vi è un tempo di Dio, pieno,
vero, gravido di eventi. Esso a volte irrompe nella vita. E il tempo del miracolo. cioè della sua azione che muta
ogni cosa e pori:; alla nuova creazione.
È il tempo che vicne dalla resurrezione
di Cristo e che perciò proprio annulla
il valore falso Jel tempo di Pilato e di
Caiafa e di quanii oggi agiscono come
loro. È questo tempo, questo oggi di
Dio, che occoi rc captare perché è esso
solo che dà senso alla nostra esistenza
e ci tira fuori dal nostro girare a vuoto
nella storia degli nomini. Perdere questo presente significa rimanere prigionieri del passato irTun vano anelito verso un futuro nuovo. Perdere questo
tempo significa non partecipare alla
rivoluzione vera. Se oggi comprendiamo che non si può essere cristiani senz’essere di « sinistra », è altrettanto vero che non si può essere veramente di
« sinistra » senza aver scoperto l’agape
di Dio che agisce nel presente.
Ci troviamo in mezzo a chi fa grandi
programmazioni per il futuro partendo
dalle esperienze acquisite e chi vive
senza senso il presente nella routine
delle faccende o delle vanità quotidiane: gli uni e gli altri, anche se ben
differenti per dignità umana, vivon legati al passato e per questo anche impediti di accedere alle cose nuove, poiché sono sempre nel mondo di prima
della Resurrezione. Spesso, ci troviamo in mezzo a persone che cercano di
distruggere, come qui a Riesi, con la
loro azione sotterranea, quel po’ che
facciamo, o, come altrove, frapponendo
sempre nuovi ostacoli alla nostra fatica, ma comunque e sempre, v’è forse
altra via che quella di dare, e darci,
secondo quanto giornalmente ci è richiesto? Che resta se non vivere il giorno di Dio? Certo Mosè, dopo tanti segni, anche se in mezzo ad un popolo
dal « collo duro », non poteva ormai
più dubitare della misericordia di Dio,
pure nella sua inquietudine cercava di
conoscere quel che gli era riservato,
finché il Signore gli disse una parola
tremendamente significativa anche per
noi « La mia presenza andrà teco ed io
ti darò riposo » (Esodo 33: 14). Riposo
qui non è inoperosità, ma liberazione
dal passato (il peccato suo e del popolo) e dalle ansietà del futuro, per vivere quel che ogni giorno il Signore stesso
offre alla sua obbedienza. Egli, difatti,
prenderà su di sé il compito di guidarlo nella lunga marcia attraverso il deserto e poi, dopo di lui, di condurre il
popolo nella terra promessa.
Ogni giorno dinanzi a Lui. Ogni giorno in ascolto. Ogni giorno il confronto
con la sua Parola. Ogni giorno attraverso questa l’immersione nel « nuovo
mondo » per compiere le opere che ci
son date. A volte il cielo è sereno, ben
più spesso ci è chiesta una battaglia
serrata contro le forze nascoste che,
maliose o no, son sempre protese ad
interessi raramente puliti. Ma sia nel
rapporto disteso come nel contrasto,
proprio perché il mondo cui siamo
chiamati è quello della resurrezione,
cioè nuovo, l’oggi di Dio ci chiede di
vivere senza prevenzioni e senza chiusure, verso gli uomini i quali non sono
classificabili e così pure non lo sono
i loro naturali raggruppamenti. Si tratta di non voler sapere altro se non
quello che via via il Signore oi suggerisce con la sua Parola e con i segni
della sua presenza; ed esser tesi ad intendere Luna e gli altri per obbedire:
ciò è ben più necessario delle nostre
programmazioni o delle nostre ben studiate teorie. Mentre sorge il mattino
ed ancora ci rigiriamo tormentati nel
nostro letto, già il Signore ha preparato, nella sua grazia, le opere che vuol
compiere. Se, poi, ci accoglie nella sua
comunione, allora anche si sa che cosa
si ha da dire o da fare. Poi, il futuro,
che è nelle Sue mani, ci offrirà altre
occasioni di servizio, e la marcia continuerà. Ma l’oggi ci basta, come a ciascun giorno il proprio affanno, senza
aggiungervi quello di ieri o quello di
domani.
Le lotte di ieri non dicono che cosa
vuol dire oggi esser testimoni del « nuovo mondo ». Ripeterle non ha senso Significa: vivere fuori del tempo. Qggi
chi ode la sua voce non induri il suo
cuore. Qggi è il « tempo accettevole ».
Oggi ci vien dato il pane quotidiano e
con esso la vocazione.
Viver del pa.ssato è essere vecchi
nello spirito... Non possiamo neppure
vivere de! futuro. Questo può esser
solo in qualche modo avvertito nel’obbedienza dell’oggi per essere allora sì
rivoluzionari, cioè pronti a mutare tutto, ma al solo patto che non sia il passato e le sue esperienze a determinarci, ma la Parola fatta carne in Cristo.
Vivere non obbedendo oggi a quel che
lo Spirito dice attendendo soltanto i
mutamenti teorizzati è ancora viver
fuori dal tempo, non meno di quanto
si cerca di far rivivere il passato.
Evocando il passato o teorizzando il
futuro, ci si sente più forti. Il presente
solo è meschino. Ma qui anche v’è la
misura di quel che siamo. Non son forse le piccole cose a nostra statura, non
lo è l’obbedienza concreta in atti minuscoli e non mitizzati dalla gente? Qggi si può esser fedeli in poca cosa, ma
è proprio questa poca cosa che può
chiarirci la mente e prepararci a quel
domani che forse offrirà cose maggiori alla nostra fatica. Può anche avvenire che di nuovo il domani sia fatto di
poca cosa, però se siamo strumenti
nelle mani del Risorto non è importante quel che noi scegliamo ma quel
che Lui vuol compiere attraverso noi.
Comunque è sempre nel presente che
Dio ci chiama ed è al presente suo che
occorre dire di sì con tutta la nostra
persona.
Tullio Vinay
Anche dei vescovi
avanzano riserve
La protesta contro la convocazione delVAsseinblea generale luterana in Brasile si va ampliando. Ricordiamo il voto espresso in tal
senso dalla recente Conferenza metodista
d Italia; «Nuovi Tempi» ha pubblicato interventi negativi di H. Gollivitzer, di M. Niemóller. del gruppo berlinese « Azione sinodo
critico »; ora il bollettino stampa luterano documenta altre reazioni luterane.
Weesp, Olanda (Iwf) — La Chiesa
luterana in Qlanda invierà o no i suoi
due delegati all’Assemblea generale
della Federazione luterana mondiale
(FLM), in Brasile? Lo dovrà decidere
il Sinodo di tale Chiesa, che si terrà
dall’ll al 13 maggio, è stato annunciato nel quartier generale ecclesiastico.
« Si è sernpre più inquieti circa la
situazione in Brasile » scrive il dr.
C. H. Lindijer, direttore dell’organo
ecclesiastico “Weekblad”. «I quotidiani portano sempre nuove informazioni quanto a mancanza di libertà e a
torture ».
Particolarmente spiacevole, secondo
lui, è stato il fatto che il dr. Karl
Gottschald, presidente della Chiesa
evangelica di confessione luterana in
Brasile, la Chiesa ospitante, abbia voluto smentire le notizie relative a tali
torture.
La decisione è stata posta all’ordine
del giorno dell’assemblea generale e sinodale della Chiesa — la quale conta
55.000 membri — che si terrà in maggio, affinché si stabilisca se, « date
queste circostanze », « si giustifichi »
che la Chiesa olandese sia rappresentata alla quinta Assemblea generale
della FLM, a Porto Aiegre, in Brasile.
Contemporaneamente, nella Germania occidentale il vescovo di Amburgo
Hans-Qtto Woelber, presidente della
Chiesa evangelica luterana unita, ha
definito l’Assemblea un fatto estiemamente arrischiato « sulla base della
estrema incertezza del luteranesimo
locale ». Da parte sua il vescovo di Lubecca Heinrich Meyer ha chiesto che
si giunga a « una decisione rispettabile
e ragionevole » che annulli l’Assemblea
in seguito alle forti tensioni socio-politiche che regnano diffusamente in
Brasile.
:miiiiitiiim iiaiiMmiiiiimiiiiimiiiiiiii
31 maggio; si chiudono i conti
Il 31 maggio si avvicina. Come
sappiamo, e volentieri dimentichiamo, è questo il giorno nel quale la nostra amministrazione centrale chiude il suo bilancio annuo:
entrate, uscite, e queste ultime sono sempre superiori alle prime.
Perché?
Perché noi tutti, membri di
chiesa, come ci vantiamo di chiamarci, non conosciamo le regole
economiche della fede. L'idea di
chiesa si unisce istintivamente in
noi a quella di elemosina; e quella
di elemosina alla falsa esegesi di
Luca 11: 41: «Quello che è per
voi superfluo, datelo in elemosina ». Pochi seguono l’esempio della vedova, che pure tutti conosciamo; ma nemmeno giungiamo a
dare nei nostri bilanci privati un
posto decente alle contribuzioni
ecclesiastiche: quello che ci avanza, dopo aver provveduto a tutto
il resto, forse ci ricordiamo di darlo alla chiesa, la quale ci deve anche ringraziare. D’altronde, respinto come fondamentalista il criterio della decima, dove troviamo
nelle Scritture una norma in materia? Se appena facciamo un po’
d’attenzione, ne troviamo. Nel cap.
35 dell’Esodo, al vers. 5, possiamo
leggere: « chiunque ha un cuore
volenteroso recherà un’offerta all’Eterno »; e più sotto, al vers. 21:
« E tutti quelli che il loro cuore
spingeva e tutti quelli che il loro
spirito rendea volenterosi vennero
a portare l’offerta all’Eterno per
l’opera della tenda di convegno ».
Già, perché allora il Signore voleva che fosse eretto un edificio
tangibile, « un santuario perché io
abiti in mezzo a loro ». Così dovevano essere abituati i primi adora
tori dell’Iddio vivente a conoscere
il grande fatto nuovo della sua presenza in mezzo a loro. Oggi la presenza di Dio in mezzo a noi si attua per mezzo del suo Figlio Gesù
Cristo, e il nostro tempio è da millenovecento anni il suo corpo. Ma
questo corpo deve continuamente
rendersi noto agli uomini che ancora lo ignorano: la testimonianza
è il primo, anzi l’unico dovere della Chiesa. Ma la Chiesa vme, qui
ed ora, in un mondo nel quale le
necessità dell’esistenza fisica devono essere ancora ottenute col mezzo del denaro. Il Signore che si è
incarnato vuole che anche la sua
Chiesa accetti questo mezzo; ma
la sua grazia sempre presente lo
tramuta in mezzo di grazia: l’offerta di poco denaro diventa il segno dell’offerta razionale di cui
parla l’apostolo Paolo in Rom. 12:
1. Perciò « tutti quelli che il loro
spirito rende volenterosi » danno
il loro denaro non come un’elemosina, ma come un’offerta che li
rappresenta davanti a Dio. E la
Scrittura ci indica pure il modo
migliore per compiere l’offerta: in
1 Cor. 16: 2 leggiamo infatti: « Ogni primo giorno della settimana
ciascun di voi metta da parte quello che potrà, secondo la prosperità concessagli... ». Metta da parte, cioè consacri al Signore; ogni
primo giorno della settimana, cioè
ogni domenica, nell’adunanza comune che è segno del regno che
viene.
Anche nella vile necessità del denaro è quindi questione di fede.
Se le nostre offerte sono scarse,
che segno sarà?
L. DE Nicola
2
r ig ^
N. 21 — 22 maggio 1970
PREDICAZIONE DI PENTECOSTE
il
Un Difensore che attacca
Chiesa decapitata
fi
Se chietliaiiio a una persona qualsiasi che cosa significa a spirito », la
risposta sarà quasi certamente che
lo spirito è qualcosa di astratto, di
invisibile. Ma se pensiamo che lo
spirito abbia questo significato, ca
piremo ben poco del discorso di Ge
sù; per Gesù infatti lo spirito non è
astratto, ma esattamente l’opposto
è la realtà della vita nuova, la pre
sen2^ di Dio, la sua azione nella no
stra esistenza. Nel brano che abbia
mo letto, lo Spirito è chiamato <c di
fensore », cioè è presentato come
una persona che sta al nostro fianco, estremamente vicina e concreta,
da cui dipende la nostra salvezza.
Nella lettura avevamo rispettato
la traduzione e detto: Consolatore;
ma questa traduzione non dà pienamente l’idea di quale sia 1 azione
dello Spirito; la parola greca « paraclèto » indica colui che prende posizione per noi, che interviene a nostra difesa, l’avvocato. Lo Spirito
non si limita ad alleviare il nostro
dolore, ma combatte una battaglia
per noi; la sua opera consiste nel
farci uscire da una situazione difficile, anzi disperata.
Ma per comprendere quest’opera
non abbiamo che da pensare a tutto quello che l’Evangelo ci dice di
Gesù. Perché Gesù è in realtà il primo li difensore »; egli è colui che
ha combattuto per noi la battaglia
decisiva, affrontando alla radice il
male del mondo.
Dobbiamo però fare attenzione a
una cosa : Gesù non è il difensore
che il mondo si aspetta. Gesù ha incontrato molte persone nella sua
opera terrena; ma in questi incontri
si comporta in modo sconcertante :
egli non difende, attacca. Entra in
polemica con i capi religiosi, dimostrando che le loro regole e il loro
insegnamento sono privi di vita;
chiede ai suoi discepoli di rompere
con il loro ambiente ; cc Chi ama padre o madre più di me non è degno
di me »; esige da coloro che lo seguono che rinuncino a difendersi, a
mettersi in salvo : « amate i vostri
nemici; chi vuol salvare la sua vita
la per(lerà ». Gesù non corrisponde
alle nostre attese; è un avvocato che
per prima cosa convince i suoi difesi a dichiararsi colpevoli!
La verità è che noi non possiamo
sapere che cosa può salvarci, se non
dopo aver accettato l’opera di Gesù. È vero: egli ci attacca a fondo,
ci toglie tutte le sicurezze, abbatte
tutte le nostre illusioni; ma lo fa
j>er metterci davanti all essenziale.
Se non comprendiamo che l’amore
di Dio è l’unica cosa necessaria e
non accettiamo che questo amore
dia il senso alla nostra vita, siamo
perduti, anche se riusciamo a mettere in salvo l’onore e tutti gli altri
beni della vita. Gesù è il nostro difensore, perché ci dà di vivere in
modo autentico, ci fa vivere nella libertà, nell’amore; il centro della
nostra vita non siamo più noi, ma è
lui, non più la nostra volontà, ma
la sua: « Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti ».
A questo punto potremmo pensare che quanto si è detto valga per
le persone che Gesù ha incontrato,
prima di morire sulla croce.
COMITATO COLLEGIO VALDESE
Ascoltiamo la Parola dì Dìo leggendo neH'Evangelo di Giovanni, cap. 14,
vv. 15-21 :
« Se voi mi amate, osserverete i miei
comandamenti. E io pregherò il Padre,
ed Egli vi darà un altro Consonsolatore, perché stia con voi in perpetuo,
lo Spirito della verità, che il mondo
non può ricevere, perché non lo vede
e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi. Non
vi lascerò orfani; tornerò a voi. Ancora un po' e il mondo non mi vedrà
più; ma voi mi vedrete, perché io vivo
e voi vivrete. In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio, e voi
in me e io in voi. Chi ha i miei comandamenti e li os.serva. quello mi
ama: e chi mi ama sarà amato dal
Padre mio, e io Vamerò e mi manifesterò a lui ».
Ma Gesù ci dice: quest’opera non
avrà mai fine. « Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Difensore ». Lo Spirito non fa che continuare l’opera di Gesù. Per mezzo
dello Spirito, le parole di Gesù ci
raggiungono, ci mettono sotto accusa e ci liberano. Lo Spirito ci fa
comprendere che Gesù non è morto,
ma è vivente.
Vi è però un’ombra, in questo annuncio luminoso: « Il mondo .— dice Gesù ■— non può ricevere lo Spirito ». Sono parole die ci mettono
in guardia: non dobbiamo pensare
die tutto sia già risolto, e che la vita di Cristo sia già in tutti gli uomini. Al contrario, sta accadendo qualche cosa di estremamente grave: il
mondo si difende da Cristo, non accetta di perdere le proprie sicurezze, vuole continuare a salvarsi. Ma
salvarsi, nel mondo, lo sappiamo
bene, vuol dire far perire l’altro; il
mondo non riesce e non riuscirà
mai a salvarsi tutto insieme. Questa
è la tragica realtà che stiamo vivendo. Anche se il buon senso ci dice
che in questa piccola terra dovremmo riuscire a vivere tutti d’accordo,
la realtà ci dimostra il contrario. Il
mondo che rifiuta Cristo, che vede
nel suo amore una minaccia ai propri interessi, che cerc^ in tutti i modi di renderlo innocuo, di asservire
la sua chiesa, non può conoscere la
vita, può soltanto tentare di sfuggire alla morte, per qxialche tempo.
Per questo, avere lo Spirito non
significa essere in una jxosizione comoda; significa vivere una legge diversa da quella che il mondo accetta. Ma il Signore ci dice che questa
vita diversa è possibile : questa è la
potenza dello Spirito. Amen.
Bruno Rostagno
(Predicazione radiotrasmessa la Domenica di
Pentecoste ).
Le proCunde trasformazioni determinate dalla mobilità delle'
nostre chiese ripropone l'annosa questione dell’autonomia
Nel Sinodo 1969 è emersa ancora
una volta la questione delle chiese autonome. Il caso in questione era la situazione della chiesa di Rodoretto,
che, non avendo più le condizioni previste dai Regolamenti, in applicazione
dei medesimi e con un’eventuale decisione sinodale, perderebbe la sua autonomia. Infatti la stragrande maggioranza dei Rodorini è scesa dalle sue
montagne, un alto numero abita a
Marsiglia, molti a Pomaretto, Perosa,
Torino. Un pastore si è opposto alla
cancellazione deH’autonomia di Rodoretto ed ha parlato in termini solenni
di « chiesa decapitata ». Di rimbalzo,
e quasi a titolo di « compenso » verso
le molte comunità autonome o non autonome, il Sinodo con Tari. 21 demandava alla Commissione per la Costituzione lo studio del problema delle autonomie e parlava addirittura di estendere il diritto di autonomia a chiese
raccolte in « presbiteri autonomi ».
Che cosa perderebbe la comunità di
Rodoretto? perderebbe la qualifica di
comunità valida ai fini generali di
un'opera efficiente nella sua testimonianza, il diritto all’elezione del suo
pastore, il diritto ad amministrare i
suoi beni. Chi perde tali diritti è stato
definito da un pastore ben noto « chiesa decapitata »!
Dinanzi a tale situazione ed a simili
definizioni è lecito domandare: fino a
quando le chiese valdesi, sorte dalla
evangelizzazione, dovranno nel nome
di una malintesa intestazione alla Tavola Valdese dei beni ricevuti e desti
IL PREZZO DELLA VITA
Il discorso sui controllo delle nascite si riuela sempre più inseparabile da quello generale
sulla realtà psicosessuale del matrimonia e da una valutazione globale della sessualità umana
[' possibile, oggi, parlare
di pedagogia protestante?
Una conferenza, a Torte Pellice, nel
quadro di una visita alle Valli del
«Comitato di Berna»
.Al)l)iaiiio il piacere (li comunicare che saranno graditi ospiti alle Valli alcuni delegati
del henemerito Comitato di Berna, ente che
ha sem|>re genero-samente aiutato i nostri istituti di Istruzione secondaria.
La delegazione guidata da un fedele amico
della Chiesa Valdese, il Pastore Emilio Blaser,
si fermerà a Torre nei giorni 29, 30 e 31 mag
gio p. V. e potrà cosi visitare le Valli e prendere contatto con le nostre principali istituzioni.
La sera del sabato 30 maggio alle ore 21 il
Pastore Luigi Dufour, direttore del Collegio
Protestante <( La Châtaigneraie » nel Cantone di Vaud, terrà una pubblica conferenza
neir.Aula Sinodale : a È possibile, oggi, parlare di pedagogia protestante? ». Dato finteresse del tema affrontato e la chiara fama delToralore il Comitato fa un caldo invito a
tutti coloro che ne avranno la possibilità di
essere presenti alla conferenza.
Il discorso sul controllo delle nascite, che in questi ultimi anni è andato
acquistando anche in Italia un certo
rilievo attraverso numerose pubblicazioni (ne citiamo in calce alcune fra le
più recenti e significative) e attraverso
la stampa periodica, si rivela sempre
più inestricabilmente connesso con un
discorso generale sulla realtà psicosessuale del matrimonio e con una valutazione globale della sessualità umana.
A prima vista si potrebbe pensare che,
data la situazione italiana, l’allargamento del discorso, di cui la regolazione delle nascite viene a costituire
un capitolo, risponda qui da noi unicamente ad esigenze tattiche: si sa bene a quali accorgimenti siano costretti
a ricorrere coloro che in Italia vogliano diffondere una sia pur generica informazione sui mezzi contraccettivi,
anche se la situazione pare si vada
lentamente sbloccando. Ma le pubblicazioni, di autori stranieri, citate più
avanti smentiscono che si possa trattare di tattica: il fatto è invece che,
da qualunque punto di vista si affronti
il problema del controllo delle nascite,
si è costretti a fare i conti (specialmente in Italia) con tutto un substrato enormemente complesso di concezioni, costumi, divieti, credenze, condizionamenti socio-culturali, psicologici,
religiosi, per cui è la necessità intima
del discorso che impone un orizzonte
di lavoro molto più vasto e un inquadramento di fondo al problema della
pianificazione familiare.
Se sfogliamo i volumi in questione,
abbiamo una conferma a questo fatto,
anche se nelle impostazioni di fondo
essi registrano, oltre che convergenze,
significative divergenze.
* * *
Equilibrio coniugale e regolazione
delle nascite, a cura di autori diversi
di lingua francese, è un volume di impostazione cattolica, studiato in vista
dell’organizzazione di corsi di formazione matrimoniale. Esso quindi, malgrado il titolo apparentemente limitativo, si occupa di argomenti come i seguenti: sviluppo affettivo dall’infanzia
all’età adulta, fisiologia femminile, frigidità femminile, equilibrio coniugale
e morale sessuale, il sacramento del
matrimonio ecc. In questa vasta gamma di argomenti, i capitoli sui mezzi
anticoncezionali, sui comportamenti
contraccettivi, sulla sociologia della regolazione delle nascite e sulTefficacia
della contraccezione costituiscono una
parte, e, diciamolo subito, non certo
la più valida, di tutto il lavoro. Nel
complesso, mentre la concezione di
fondo della sessualità umana nel cattolicesimo va sempre più orientandosi
verso una rivalutazione integrale dell’amore della coppia, sia pure con abbondanti frange di sacramentalismo,
si ha poi l’impressione di uno sforzo
immane per giustificare il rientro dalla finestra di ciò che si è cacciato dalla porta, cioè l’antico (ma non tanto)
moralismo, responsabile di tante tragedie coniugali, che decanta « la virtù
soprannaturale della castità » ponendole come alternativa nientemeno che
il bravo « metodo della curva termica », e screditando altri sistemi più efficaci e comprensibili alla gran massa
della popolazione femminile del proletariato e sottoproletariato. La mancanza di realismo che rasenta il dispregio della realtà, e di una realtà che riguarda soprattutto gli umili, i miseri.
gli ignoranti, è forse ciò che maggiormente indispone in questo come in altri libri del genere, e ne invalida anche quel che di positivo può trovarsi
in alcune pagine.
* * *
Sesso e moralità, com’è noto, costituisce il testo del Rapporto presentato
da una Commissione di esperti al Consiglio Britannico delle Chiese nell’ottobre 1966. Anche qui vengono trattate, sia pur in forrmi concisa, le multiformi situazioni sessuali in cui l’individuo è coinvolto dall’adolescenza alla
maturità, tenendo conto di un certo
« dialogo » con le opinioni correnti più
diffuse in materia eli sessualità, ed esaminando gli aspetti biologici e relazionali dell’amore umano, in un contesto
molto vasto in cui il problema della
regolazione delle nascite occupa uno
spazio assai ristretto, ed è naturalmente valutato in termini di piena responsabilità e libertà personale. Il contenuto del Rapporto anglicano è senz’altro positivo e l’unica cosa che si potrebbe contestargli è una preoccupazione vagamente catechistica che affiora qua e là e si riflette specialmente
nel penultimo capitolo, quasi un'intervista a domande e risposte, che dà la
impressione di voler entrare in una casistica la quale sembra togliere un po’
di quella libertà di fondo ampiamente
illustrata nei capitoli precedenti.
* * *
Non per amore di parte, ma interamente positivo ci è sembrato invece
il volumetto Amore o erotismo?^ di Ulrich Beer, uscito ultimamente in traduzione italiana nella Piccola Collana
Moderna della Claudiana. Qui l’autore
tratta, in dieci brevi ed incisivi capitoli, temi come la sessualità umana, la
castità, i matrimoni precoci, la gioia
d’amare, la fedeltà ecc., in contrapposto alla loro deformazione o al loro
contrario, e dedica alcuni capitoli alla
pianificazione familiare. Gli argomenti
portati in favore di una vera, autenticamente umana regolazione delle nascite (e, sottolinea l’Autore, « per essere umano il metodo scelto deve essere
efficace»!) non hanno bisogno di essere qui riferiti, poiché penso che nei nostri ambienti non occorra fare opera
di persuasione in questo senso. Vorrei
piuttosto accennare a! fatto che 1^,
fesa della sessualità umana che 1 Autore imposta nel primo capitolo, estremamente avvincente ed acut(o, parte
da una critica a due posizioni apparentemente opposte ma sostanzialrnente identiche: il puritanesimci e la r"'0luzione sessuale. Si tratta di due fenomeni che, secondo l’Autore, sono uno
il rovescio delTaltro, lo stesso fenomeno con segno opposto. Essi hanno per
ideale o un’umanità asessuata o una
sessualità inumana, ma lo sforzo per
la costruzione di un’autentica sessualità umana esula dai loro interessi: invece « il compito di ogni uorno... è di
umanizzare la propria sessualità, di integrarla nella sua personalità, di adattarvisi e di adattarla a sé ». Con questa premessa,? è chiaro che anche la
fecondità biologica non può essere
considerata un valore sacrosanto per
definizione (concezione che poi clenuncerebbe un puro materialismo biologico), ma « una funzione tra le altre, data da Dio, certo, ma avente un valore
limitato, poiché, come ogni funzione
fisica, dipende dal senso umano dell’amore e della vita, dal quale trae il
proprio particolare significato ». Di qui
una totale ed estrema libertà nella
scelta dei mezzi tecnici, che non contempla altre limitazioni se non quelle
suggerite da motivi di efficacia.
* * *
Solo nel volumetto del Beer emerge
la preoccupazione per le masse dei poveri abbandonate a se stesse e in preda ai drammi determinati dalla sovranatalità. E qui ci scotta tra le mani il
libro di M. L. Zardini De Marchi, Inumane vite, un documento impressionante e incontestabile che fa comprendere a noi, diciamolo pure, borghesi,
intenti a leggerci a tavolino i trattati
sull’amor coniugale, che cosa significa,
in termini di prezzo umano e carnale,
il problema del controllo delle nascite.
Anche in questo volume, che vuol essere un nudo documentario di interviste tenute da un’assistente sociale con
popolane delle borgate romane, troviamo la conferma a quanto dicevamo
più sopra, che cioè il discorso sulla regolazione delle nascite è solo un dettaglio in un discorso di costume enormemente più ampio; ne troviamo la
conferma in negativo, in quanto attraverso le narrazioni scarne di questi
aborti atroci, accumulati in numerci
incredibile, e di questi accoppiamenti
squallidi e disperati, emerge e balza
in primo piano tutta una tragica realtà sessuale disumanizzata; dice l’Autrice: « quella realtà fin dall’inizio si è
imposta alla mia attenzione per la sua
carica drammatica; col tempo essa finì
per apparirmi come la causa principale delle tragedie sociali di cui ero quotidianamente testimone ». Di fronte a
questo campionario umano « caratterizzato da desolazione, disperazione e
morbosità » (e non già, come si sarebbe portati a credere, da una maggior
sanità e semplicità e da una minor nevrotizzazione), la figura dell’assistente
domiciliare, che, affrontando rischi di
vario tipo, va ad offrire gratuitamente
a queste donne disperate un mezzo
concreto e semplice per evitare nuovi
aborti e nuovi drammi, compie un gesto ben significativo che condanna tutti noi, teorici autosufficienti nella nostra ormai abbastanza chiara informazione e disponibilità in materia di controllo delle nascite.
E se si obietta che andare fra il sottoproletariato portando mezzi contracettivi è cosa troppo prosaica e misera, basta sfogliare queste pagine per
rendersi conto delle infinite occasioni
d’incontro in cui l’Autrice è riu.scita a
stabilire rapporti di profonda confidenza e amicizia che le hanno permesso non solo di raccogliere quelle brucianti confessioni, ma anche di sboccare i condizionamenti profondi che
incatenano l’umanità di queste donne
disperate.
Rita Gay
Equilibrio coniugale e regqlazimte delle uuscite. Paideia Editrice, Brescia,
1969; pp. 317, L. 2.000.
Sesso e moralità. Rapporto presentato
al Consiglio Britannico delle Chiese.
Paideia Editrice, Brescia, 1968; pp.
119, L. 1.000.
Ulrich Bf-lr: Amore o erotismo? Editrice Claudiana, Torino, 1970; pp.
118, L. 700.
Maria Luisa Zardini Dn Marchi: Inumane vite. Sugar editore, Milano,
1969; pp. 218, L. 1..S00.
nati alla loro testimonianza in Italia,
continuare ad essere acefale, senza testa? È lecito domandarsi se la decapitazione della maggioranza delle nostre
comunità non sia già avvenuta, visto
che le comunità autonome sono poche
nell’Italia peninsulare ed insulare,
mentre una tendenza accentratrice e
burocratica intenderebbe contestare la
responsabilità dei consigli di chiesa
verso le loro « basi territoriali » e distruggerne le motivazioni di fondo. Se
l’autonomia è così importante da giudicare « decapitata » una chiesa, che
non l’ha, che cosa dobbiamo dire delle
altre? Dobbiamo perlomeno dire che
hanno la resistenza del famoso eroe
leggendario, che continuava a guerreggiare dopo che il capo gli era stato
mozzato.
Non crediamo che la nostra chiesa
si possa più adattare ad una situazione del genere. O la situazione giuridica
di alcune comunità è un’anomalia, o è
un’anomalia la concentrazione di potere della 'Tavola sui beni, che le sono
stati affidati per l’opera delle varie comunità. O si ritiene che sia un male
per tutti la responsabilità dei consigli
e delle assemblee sul piano di tutta la
loro vita spirituale e amministrativa,
ed allora bisogna avere il coraggio di
abolirla. O si ritiene che sia un bene e
bisogna allora farne la maggiore estensione possibile. Certamente sono pos
sibili molte situazioni « miste », nelle
quali va precisato il rapporto fra comunità e Tavola Valdese per il miglior
bene di tutta la chiesa, ma non è qu.sta una ragione perché i Concistor i
declinino le loro responsabilità su tutti i campi, che concernono la loro esi
stenza. O si ritiene che tutte debbano
essere « decapitate » o che tutte debbano essere rifornite di una testa, cioè
di consigli ed assemblee regolarmente
deliberanti nella zona di loro competenza. Altrimenti è perfettamente ipocrita versare lacrime di coccodrillo su
una comunità, soltanto perché i suoi
membri sono andati altrove.
Carlo Gay
ficm
E
PESEl
Il vescovo... lilantropo
Antonio D'Erchìa è stalo nominato por.GÌ
mesi fa vescovo di Conversano, cittadina di
18 mila anime in provincia di Bari.
Già distintosi per aver rimosso dai loro incarichi — con autorità iiltraintegralista — ben
dodici parroci durante la sua carriera di anuninislratore apostolico, ha recentemente sostenuto, in occasione di un dibattito sulla fame
nel Terzo Mondo, che non bisognava preoccuparsi troppo deH'infanzia di colore sotloalimentata dato che — ha detto testualmente ■—
« i bambini negri vanno tutti nel limbo ».
(dal n. 19 de L'Espresso)
Contro la fame
degli altri
Pubblicliianio un nuovo elenco di
sottoscrittori. Come si rileverà, la
« scalata » al nuovo milione da inviare al Centre FarnUial del Gabon
procede piuttosto a rilento e preghiamo fraternamente tutti coloro
che sono interessati alla nostra iniziativa di fare un ulteriore sforzo
che ci consenta di provvedere alTinoltro della suddetta somma al
più jtresfo jiossibile.
Vi ricordiamo di inviare le sottoscrizioni al conto corr. postale numero 2/89878 intestato a Roberto
Pevrot, e..so Monealieri 70, 10188
Torino. Grazie.
Da Udine: P. Grillo L. 1.000.
Da Angrogna: li. M. F. C. 1.000.
Da Campobusso: P. Corho 2.000.
Da l’omareUo: Sabrina, Federica. Ro.ssella
.^.COO; G. Laetsch 5.000.
Da Mentoulles: P. Clapier 1.000.
Da Lnvadina (TV): T. Vaini 1.000.
Da Torre Pellice: M. e K. Beili 10.000.
Da S. Germano Chitone: N. N. 7° versam.
mento con simpatia 5.000.
Da Venezia: D. Ispodamia 2.500; G. Ispodainìa 2.500; fain. Viti 1.000; fam. Zecebin
3.000.
Da Torino: M. Sacco 1.000: D. A. A. 1.000.
Da Condove: F. Miletto 2.000.
Da Lucca: R. Cerchiai 2.000.
Dn Bergamo: Un lettore 50.000.
Totale L. 96.000; prec. 608.737; in cassa
L. 704.737.
Istituti Ospitaiieri Vaidesi
Doni in memoria dell’Avv.
Gay:
Cesare
Prof. Tcofilo Pons. Torre Pellice L. 10.000:
N. Jourdan. Torre Pellice 10.000.
3
22 maggio 1970 — N. 21
pag. 3
Riuniti a Beirut, nel Libano, in Conferenza mondiale «spontanea», 400 cristiani di 37 naziorn
Il dramma di oltre 2 milioni
di rifugiati palestinesi
Durante tre giorni fitti, dal 7 al 10 maggio, circa quattrocento cristiani provenienti da trentasette nazioni si
sono riuniti a Beirut, nel Libano, per esaminare il problema palestinese. Erano presenti a titolo personale, invitati da un comitato promotore costituito ( airéquipe di
«Témoignage chrétien» (TC), settimanale cattolico fran
I lavori, preparati accuratamente da stiani del mondo intero sono con
Parigi e a Beirut, si
cese, e dalla CIMADE, organizzazione ecumenica assistenziale operante fra l’altro tra i rifugiati palestinesi in Giordania. L’orizzonte era dei più « ecumenici » sia geograficamente (con prevalenza di europei occidentali e di arabi
mediorientali) sia confessionalmente (con prevalenza di
cattolici e di ortodossi); 18 italiani, di cui 3 protestanti.
un segretariato a Parigi e a
sono aperti la sera del 7 con questa preghiera pronunciata dall’ortodosso monsignor Zialdé: « Signore, eccoci riuniti
da ogni parte del mondo. Apri le nostre menti alla verità e i nostri cuori
a'ramore. Siamo qui riuniti come credenti, perché sappiamo che al di là delle
lotte politiche la vera lotta è spirituale.
Tu che fosti rifugiato su questa terra
di Palestina, tu che fosti l’uomo di tutti
i dolori, dacci di difendere le vittime
senza odiare i carnefici. Ricordaci che
la vera Gerusalemme è la città dell’amore e che ne sono cittadini i poveri
e gli oppressi. Guidaci verso il giorno
nel quale tutti i figli d’Àbramo saranno
riuniti per una riconciliazione universale ». Sul podio incombeva il simbolo
della Conferenza, inquadrato dalle bandiere libanese e palestinese. Ed ecco fin
dal principio Pambiguità che ha planato su quest'incontro di cristiani sotto il patronato (discreto) del Libano e
quello (irruente) delle organizzazioni di
liberazione palestinesi; né si è trattato
di un condizionamento non previsto,
che anzi era deliberatamente voluto dagli organizzatori della Conferenza i quali l'hanno voluta « impegnata », cioè di
parte, tanto è vero che non c’era alcun
rappresentante di uno dei partners del
dramma palestinese: gli israeliani; la
questione era insomma regolata in partenza.
A togliere ogni dubbio, i discorsi della prima serata sono subito stati una
requisitoria anti-israeliana. Più pacato,
il presidente della Repubblica libane.se,
Charles Hélou, un cristiano maronita,
ha fatto l'apologià della situazione di
’’pace confessionale” e razziale del Libano (qualcuno l’ha definito la Svizzera
del Medioriente), ha lamentato l’aggressività israeliana e il suo "farisaismo”
facendo ricadere su Israele tutta la
responsabilità dei 300.000 profughi palestinesi viventi su suolo libanese e dell’intensilicaía attività irredentistica di
questi ultimi: «Situato alla cerniera
di tre continenti, terreno d'incontro
delle grandi correnti di questo secolo
e di quelli passati, luogo di nascita delle religioni monoteiste di portata universale, l’Oriente arabo vuole e può,
oggi come sempre, dare un contributo
di primo piano alla civiltà ». Più irruente, con foga tribunizia, Georges Montaron, direttore di TC, ha dichiarato:
« Siarno venuti qui anzitutto per ascoltare i Palestinesi. Siamo poi venuti ad
ascoltare i cristiani del vicino Oriente
che hanno molte cose da dire e che
meritano di essere ascoltati dall’Occidente. Siamo venuti qui per leggere gli
avvenimenti palestinesi alla luce dell’Evangelo. Siamo venuti qui, infine, per
proclamare solennemente la nostra solidarietà totale con il popolo palestinese »; rifiutando il sionismo, che tra l’altro non ha affatto assicurato il sicuro
Il ponte Allenby. sul Giordano.
rifugio promesso, e denunciando le
pressioni sioniste che si sarebbero esercitate per evitare che la Conferenza si
riunisse, G. Montaron ha respinto la
tentazione di isolare il problema palestinese dall’insieme dei problemi arabi
e quella di ignorare le somiglianze e i
paralleli fra la lotta del popolo palestinese e quella dei popoli del Terzo Mondo contro l'imperialismo colonialista; e
concludeva: « La liceale di Gaza che
resiste all’occupante israeliano, il commerciante di Naplusa che sciopera, il
leoncello che fa l’adulto mostrano al
mondo che l’anima della Palestina non
è morta. 1 Palestinesi non hanno bisogno della nostra pietà. Non hanno bisogno delle nostre elemosine. Il tempo
della mendicità è finito per loro. Non
aspettano più dal buon Samaritano latte in polvere. Vogliono che egli testimoni in loro favore. Ai nostri fratelli
Palestinesi, nella Palestina occupata,
che stasera si volgono a nord con speranza, diciamo: non disperate, i cri
La prima ’’giornata” è stata interamente dedicata all’informazione sul
problema palestinese attuale, sulla sua
genesi storica lontana e vicina, sulla
situazione odierna, sulle prospettive future. Informazione del tutto unilaterale, ma di prima mano, spesso da diretti
interessati: rappresentanti delle organizzazioni per la liberazione della Palestina, ma anche cristiani arabi o occidentali che hanno vissuto e studiato il
dramma. A differenza di quanto era
avvenuto, ad esempio, nel Kirchentag
tedesco della scorsa estate, non vi erano israeliani che potessero parlare,
precisare, rettificare secondo un’ottica
diversa. Ma malgrado l’unilateralità deliberata (anche se non riconosciuta), si
è sempre trattato di informazioni e di
documentazioni utili a situare meglio
il problema, dato che indubbiamente
rinformazione di cui godiamo al riguardo in Occidente è abbastanza filtrata
e parligiana.
In questa sede non mi è possibile
nemmeno cercare di riassumere tutta la
massa di informazioni che ci sono state
fornite al mattino sotto forma di relazioni, nel pomeriggio come interventi
personali. Mi permetto di rimandare
quanti fo.ssero interes.sati (e dovrebbero esserlo tutti) all’ampia Scheda sulla Palestina pubblicata sul n. 4 di « Gioventù Evangelica », uscito ultimamente: vi si possono trovare, ottimamente
condensate, la documentazione e la tesi
di fondo che han dominato la Conferenza di Beirut. Non è possibile prendere coscienza delle dimensioni del problema palestinese .senza conoscere anche queste informazioni e questa tesi:
la quale è che il .sionismo è in fondo
l’ultima avventura coloniale o neo-coloniale, manovrata dall’imperialismo del
capitale occidentale, che ha inteso innestare a poco a poco una testa di ponte in una zona strategicamente ed economicamente fondamentale: testa di
ponte tanto meglio mimetizzata, in
quanto si tratta di uno Stato nazionale
iiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimi iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Contro Israele
per la Palestina
La commissione giuridica della Conferenza
mondiale dei cristiani per la Palestina, riunita a Beirut dal 7 al 10 maggio 1970:
1. Constata una volta ancora Lillegalità
evidente della creazione d'Israele, Stato di fatto fondato sulla violenza come sulla violazione
del Diritto internazionale pubblico e del Diritto interno in tutto i suoi aspetti, consacrando cosi un fatto coloniale sul piano del Diritto
delle genti.
2. Constata che il governo d'Israele riposa
su un'ideologia politico-religiosa, razzista, discriminatoria, espansionista e che assoggetta
gli autoctoni a un'apartheid sistematica legalmente consacrata dalle sue giurisdizioni.
3. Afferma che la coscienza cristiana non
potrebbe ammettere questa grave ingiustizia e
questo pregiudizio indubbio al Diritto come
alla morale e chiede il sostegno alla lotta
legittima di resistenza e di rivoluzione del popolo palestinese.
4. Dai documenti e dalle relazioni presentate alla Conferenza, rileva che vi sono prove
patenti del fatto che le autorità israeliane
hanno perpetrato crimini di guerra e contro
1 umanità, fra cui ; torture, deportazioni, espropriazioni di proj)rietà private, pene collettive,
distruzioni di villaggi e massacri di popolazioni, saccheggi senza ri.spetto per le ])ersone
private, i beni, l'onore, le convinzioni religiose, in violazione delle disposizioni della
quarta Convenzione ili Ginevra e del Regolamento dell ,Aja relativo alla protezii»ne delle
Jiopolazioni civili,
-a. Condanna con energia particolare l'uso
del napalm e di altre armi vietale,
6. Ricorda che tutte queste gravi deroghe
sono già state rilevate e condannate da tutte
le istanze internazionali che ne hanno avuto
conoscenza, in particolare le Nazioni Unite c
la Commi.ssione dei Diritti dell'uomo,
7. Considerata la situazione predetta, in
questo contesto storico e giuridico, pensa che
tali azioni costituiscono una patente aggressione, una minaccia alla pace del mondo e
ledono la concezione cristiana della regola del
Diritto.
8. Esprime quindi il voto, preoccupata
di impedire 1'aggravarsi del conflitto e di facilitarne la .soluzione, che tutti i Comitati nazionali sorti dalla Conferenza procedano a un
e.same minuzioso, preludio a un'effettiva e.secuzione, di una proposta palestinese relativa
alla creazione di uno Stato palestinese democratico, che riconosca la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e che proceda da
una libera autodeterininaziont legale.
9. Apprezza vivamente l'esempio di fraternità umana dato dal Libano a tutti gli uomini di buona volontà e considera che qualsiasi
attacco al Libano nella sua sovranità, nella sua
integrità, nella sua missione araba e umana,
rappresenterebbe una perdita per l'umanità.
nuovo, almeno inizialmente progressista, e soprattutto aureolato da tutto
l’orrore per il recente passato antisemita; ma Vescalation della violenza e
della repressione antiaraba, con lo sradicamento forzato di oltre due milioni
di palestinesi, mostra il vero volto di
questa conquista coloniale.
Questa la tesi, che viene riaffermata
anche nei documenti conclusivi pubblicati in questa pagina. Non mi sento in
grado di discutere a fondo questa tesi.
Bisognerebbe avere una conoscenza approfondita della storia, anzitutto: una
storia che si potrà fare seriamente solo
quando molti documenti d’archivio saranno venuti alla luce; e della situazione: una situazione che un fugace contatto può certo far sentire nella sua
drammaticità e nelle sue dimensioni,
ma che solo a una ricerca ben più paziente e approfondita può dischiudersi
nei suoi contorni e nelle sue linee reali.
Speravo che le tesi in contrasto fossero discusse, a Beirut; in realtà non è
stata discussa n.’mmeno la tesi dominante, è stata soltanto affermata, martellata, ma in nn>do troppo passionale,
acritico, in biamo e nero, per essere
davvero convincente, malgrado il terribile peso umano della massa degli sradicati (ma pos.^o chiedere come mai
non si sono tro\ati cristiani pronti a
levarsi per il diritto aH’autodeterminazione e alla .erra degli Estoni, dei
Lettoni, dei Lituani deportati a centinaia di migliaia ver sovietizzare forzatamente i paesi bri’ tici, e gli esempi si potrebbero moltipi icare?).
Le conversazi ni private, gli interventi mi hanno lascato il fondato sospetto
che quel che più interessava a molti,
al di là del dra .ima umano dei campi
dei rifugiati, er.t in lotta rivoluzionaria.
Sono rimasto ¡.’rofondamente colpito,
una sera che er \ amo in gruppo in visita airUniversuH araba (di obbedienza
egiziana, accogl essenzialmente giovani della correli'c di Al Fath, nazionalista e politicani.'v. e moderata); un giovane spagnolo, appoggiato da altri, diceva ai giovani arabi che sostenevano
la loro lotta di liberazione nazionale:
« Ma voi, impegnale la lotta di classe
nei vostri paesi? Non potete pretendere
che ci tocchi la vostra liberazione nazionale in sé, quel che conta è la lotta
rivoluzionaria in Palestina come nel
Maghreb, nel Kuwait come nell’America
latina ». E accanto a me un giovane
arabo mu.sulmano mi chiedeva sconcertato: « Ma siete tutti comunisti? Noi ci
appoggiamo all’Oriente perché l’Occidente ci respinge, ma una volta liberato il nostro paese, non intendiamo
diventare comunisti e atei, io credo nel
mio Dio ». Non voglio forzare la scena,
ma è abbastanza significativa della confusione delle idee e delle posizioni.
>V * *
La seconda giornata è stata dedicata
a « La fede cristiana e il problema palestinese ». Secondo gli stessi relatori
le questioni relative a tale tema si pongono « a partire dal dossier che abbiamo aperto ed esaminato nella prima
giornata. I rapporti e i dibattiti che seguiranno tenteranno dunque di rileggere con lo sguardo della fede i dati della
storia e della congiuntura che situano
oggi i. problema palestinese ». Si è dunque partiti dal principio che la Parola
di Dio rischiava di falsare (o effettivamente falsava) la visione effettiva delle
cose e che occorreva partire prima dal
dato storico e sociologico: questo è la
verità, ha vera con.sistenza e realtà, la
Parola ne dà l’interpretazione. Nel timore delle mistificazioni religio.se della storia (che ci sono state, anche a proposito di Israele, da parte di coloro che
nella costituzione dello Stato sionista
hanno identificato massicciamente questa o quella profezia), ci si è esposti al
rischio altrettanto gi-ave di avvicinarsi
alla Bibbia alla luce della storia, un rischio che si è rivelato tutt’altro che
irreale.
Mi sarebbe più facile presentare le
tesi delle relazioni e dei dibattiti di questa seconda giornata, se la Commissione teologica avesse elaborato e presentato, a chiusura dei lavori, un suo documento, ma sintomaticamente essa non
è stata in grado di farlo. In ogni caso
le relazioni (tutte di cristiani mediorientali, quasi tutti arabi) e gli interventi __almeno quando prendevano sul
serio le questioni teologiche e il riferimento biblico — hanno messo m discussione in una prospettiva cristiana
il legame fra fede e popolo, fra fede e
suolo (Gerusalemme ne è la quintessenza), c il messianismo sionista. Tutte critiche giustificate se Israele fos.se e volesse essere... chiesa! Ma appunto Israele non è la chiesa, vive nell’economia
dell’Antico Patto, per lui la promessa
è legata a una terra, il suolo è parte integrante della sua fede. La chiesa ha
imparato che può e deve vivere nella dispersione, non più legata a una terra e
a una stirpe, sa che l’ora è venuta, in
Gesù Cristo, in cui né sul Garizim né a
Gerusalemme è più necessario adorare,
perché i veri adoratori adorano il Padre in spirito e in verità (Giovan
ni 4: 20 ss.); non così Israele, il quale
anche nella dispersione millenaria ha
conservato questo riferimento di fede
e di speranza alla terra promessa. Possiamo e dobbiamo pregare perché
Israele comprenda, testimoniare anche
ad esso della nostra fede, ma non certo
imporgli questa nostra fede, o giudicarlo in base ad essa, senza tener conto
della sua, la quale del resto nel .suo realismo rappresenta anche oggi una radice vitale anche per la fede cristiana.
Alla vigilia della Conferenza di Beirut, cui guardava con qualche speranza
e molta inquietudine, Roger Mebl scriveva su « Réforme », giustamente, mi
pare: « 1 nostri fratelli cristiani dei
paesi arabi non hanno cessato di ripeterci, all’Assemblea di Vppsala, che con
la venuta di Cristo la promessa di Dio
era passata dal popolo d’Israele alla
Chiesa. E incontestabile, sebbene la persistenza di un popolo ebraico abbia anch’essa un significato teologico. Ma è
incontestabile per la tede cristiana. Imporre agli ebrei evidenze cristiane, vuol
dire fare quel che si faceva ancora nel
XVI secolo: trascinare a forza gli ebrei,
di tanto in tanto, al culto cristiano ».
Nel chiarire questo la Conferenza
ha avuto una sua utilità, che sarebbe stata maggiore se il suo discorso
non fosse stato così unilateralmente
« impegnato ». Mentre infatti si rifiutava, in prospettiva cristiana, la giustificazione teologica del messianismo sionista, ecco far capolino un nuovo messianismo, secolarizzato questa volta: quello dei popoli in lotta di liberazione! La
grande internazionale messianica dei
poveri e dei diseredati, di cui la Resistenza palestinese rappresenterebbe
una delle manifestazioni di punta. Un
grande « esodo » secolarizzato, su scala
universale. Ma allora la teologia cristiana, proprio mentre denuncia le ambiguità di quella ebraica, si ritrova al
iii!iiiiiiiiiiiiiiMiiiii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiim
I Appello (di Beirut |
le prese con le proprie ambiguità e confusioni. Ed ecco perché una parola cristiana limpida, autorevole, anche a Beirut è mancata. Ecco perché non vi è
stata affatto la pretesa « unanimità »
nell’approvazione dei documenti finali,
che non sono stati messi in votazione,
bensì « in applauso », senza controprova, e che il sottoscritto come diversi altri non ha potuto sottoscrivere: non
già perché non sentissimo, e in modo
nuovo, la serietà drammatica del problema palestinese, ma perché a una simile visione in bianco e nero non ci
sentivamo di associarci. Ed ecco perché, temo, non solo l’eco di questa
Conferenza e di questi documenti sarà
povera di autorità, in Occidente, ma
produrrà un ulteriore irrigidimento di
Israele, anziché condurlo a seria riflessione. È difficile, infatti, dialogare,
quando li chiedono di sparire.
Resta l'esigenza imperiosa di una
perseverante ricerca di migliore informazione, di un’instancabile riflessione
biblica su questo punto nevralgico di
particolare delicatezza umana e teologica. Restano i due milioni di rifugiati
palestinesi e la loro e.si.stenza intollerabile. Resta la spirale di violenza in cui
Israele pare sempre più invischiato insieme ai suoi avversari.
E poi? Beirut ci ha fatto avvertire in
modo lacerante il dramma in atto. Non
mi pare che ci abbia indicato la via
evangelica per affrontarlo, ci ha lasciato alla nostra babele umana, sicura di
sé o disorientata. Solo cronologicamente eravamo nel tempo della Pentecoste,
ce ne mancava la gioia e la speranza,
l’umiltà e l’ardire, la limpidezza, la potenza. L’eco lontana dei combattimenti
nell’Arquf, a sud, rispondeva alla tristezza che mi rodeva, lasciando la luminosa costa libanese.
Gino Conte
Ai cristiani di tutto il mondo, la
Conferenza mondiale dei cristiani
per la Palestina, comprendente 400
anglicani, cattolici, ortodossi e protestanti provenienti da "il nazioni,
arricchiti dall’esperienza vitale e dall’impegno dei cristiani arabi, rivolge
un messaggio fraterno.
■k * *
Solidali con il popolo palestinese
nella sua lotta per il proprio diritto
a una vita libera e indipendente,
condannando tutte le forme esplicite o occulte di antisemitismo, ci
leviamo con altrettanto vigore contro le molteplici manifestazioni del
razzismo antiarabo. Vi invitiamo a
combattere tali atteggiamenti e tutte le giustificazioni politiche o religiose che se ne potrebbero dare, atteggiamenti e giustificazioni contrari
all’esigenza evangelica: là dove l’uomo è disprezzato, Gesù Cristo è oltraggiato.
■k k k
Affermando che l’Evangelo ci rivela un messia il cui regno non è
di questo mondo, pur manifestandosi in questo mondo, rifiutiamo la
manipolazione dei testi biblici a fini
di potenza politica. Essendo contrari
allo spirito del cristianesimo, l'interpretazione politica sionista di questi
testi ci sembra inaccettabile da parte cristiana, com’è inaccettabile per
gli ebrei fedeli all’interpretazione
spirituale dell'Antico Testamento.
Essa porta infatti a legittimare in
base alla Sacra Scrittura le gravi
ingiustizie subite dal popolo palestinese e dagli altri popoli arabi, di
fronte alle quali la coscienza umana
non può non insorgere. In tal modo
lo Stato sionista, come ogni sistema
politico-religioso poggiante o meno
su di una fede vivente, si oppone
alla dignità e alla libertà dell'uomo.
Perciò noi cristiani riuniti a Beirut vi invitiamo tutti a partecipare
alla costruzione di una Città umana, laica e democratica, rispettosa
di tutte le convinzioni.
k k k
Noi cristiani riuniti a Beirut riconosciamo che molti paesi non-arabi
e le grandi potenze hanno una responsabilità assai pesante nell'ingiustizia commessa contro il popolo palestinese e gli altri popoli arabi. Contestiamo radicalmente che i problemi del Medio Oriente possano essere
risolti con il semplice equilibrio delle forze, con il solo intervento delle
grandi potenze o coti qualsiasi politica nazionale o internazionale, che
sarebbero in contraddizione con i diritti del popolo palestinese e soprattutto con il suo diritto essenziale al
ritorno nel proprio paese e all'autodeterminazione.
Dichiariamo che compete anzitutto al popolo palestinese avanzare
soluzioni politiche le quali permetteranno la coesistenza di uomini di
appartenenze etniche, di convinzioni
religiose e di ideologie diverse in una
Palestina libera e democratica, in
seno al mondo arabo.
Consideriamo che V evacuazione
dei territori occupati è una prima
tappa indispensabile alla preparazione della pace. Ci pare che un'altra tappa verso la pace non potrà
essere raggiunta che con la sparizione delle strutture sioniste.
Protestiamo pure contro i massacri, la tortura, la distruzione di villaggi e di case, la spoliazione di terre e tutte le misure arbitrarie contro la collettività e contro gli individui, contro la violazione dei diritti
dei civili in tempo di guerra, ecc.
k k k
Protestando contro tutte le forme
di sfruttamento dell'uomo da parte
dell'uomo, non separiamo la lotta
dei Palestinesi da quella dei poveri
e degli oppressi che, nel mondo, lottano per la loro liberazione e il loro
sviluppo. Chiamiamo tutti i nostri
fratelli, a schierarsi, in un rinnovamento interiore, dalla parte di coloro che combattono perché venga riconosciuta la loro dignità umana.
L'istituzione di nuove strutture sociali e politiche, sia nazionali sia internazionali, esige l'eliminazione dei
sistemi attuali di oppressione e di
violenza.
k k k
In quanto cristiani, ubbidiamo al
giudizio di Dio e condotti dalla sua
grazia misericordiosa, ci impepiamo
e vi invitiamo, fratelli cristiani di
tutto il mondo, a farvi una informazione migliore sui paesi arabi e
a sostenere il popolo palestinese nella sua resistenza e nella sua lotta,
che costituiscono una delle espressioni più significative della lotta per
l'uomo e per la libertà.
Beirut, 10 maggio 1970
La Conferenza Mondiale
dei cristiani per la Palestina
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4
pag. 4
L'activité du "Comité Watlon
pour l'instructioe aux tfaliees
N. 21 — 22 maggio 1970
NELLE VALLI VALDESI
II
Le feste di canto delle Corali
Le Comité était né! Rapportons quelques
mots prononcés par le Pasteur J. Arnal à une
réunion des députés des églises Wallonnes à
Zwolle en 1936: a à peine né, le Comité caressa de vastes projets; il semble avoir voulu
s'approprier le mot fameux: «Je suis le Comité, et rien des Vaudois ne m’est étranger »;
on lui re2)rocha de se fixer un programme
qui reflétait plus de Jeunesse et d'ambition
que de sagesse. Pourtant quelques membres
du Comité avaient déjà les cheveux blancs,
tous avaient cette ambition que donne l’optimisme de la foi; quant à la sagesse, leur administration démontra qu’ils n’en étaient pas
dépourvus ».
Nous avons vu auparavant que plusieurs
difficultés étaient données par les moyens de
contact entre les bienfaitexirs et les bénéficiés.
Longtemps le Pasteur Michel Léger (petit-fils
d’Antoine) membre de la Commission des
Pasteurs de Genève, avait été l’intermédiaire;
mais les Vaudois, alors comme aujourd'hui,
ne sont pas toujours faciles à traiter, et bien
des désaccords surgirent. Le Comité, Organe
Officiel, décide donc de correspondre uniquement avec les Synodes et la Table Vaudoise.
Aussi là, malheureusement, les membres du
Comité reçurent maintes douches froides, pas
seulement par des Pasteurs isolés, mais par
la Table même et souvent par ses Modérateurs!
Maintenant que les persécutions violentes
étaient finies, maintenant que des aides commençaient à affluer vers ces pauvres populations affligées, maintenant qu’un jour plus
serein semblait surgir sur ces montagnes et
éclairer d’une lumière nouvelle ces Vallées
encore bouleversées, la situation aux Vallées
devenait de plus en plus mauvaise : la misère
portait le désordre. Les paroisses qui pouvaient payer leurs Pasteurs avançaient des
exigeances extrêmes; de jeunes pasteurs consacrés, malgré les mauvaises notes des écoles
dont ils étaient sortis, offraient leur service
au rabais et étaient acceptés par des paroisses
pauvres qui auraient eu nécessité d’hommes
spécialement droits et honnêtes. On vit des
intrigants solliciter et provoquer des vocations sans se soucier des règlements de la
Table. Un modérateur tâchait de favoriser,
d’un despotisme hautain et autoritaire, un
de ses neveux qui, étudiant en théologie,
avait été invité à se retirer de la Faculté de
Bâle pour son comportement indiscipliné et
athée. Toutes les Vallées furent malheureusement siège, pendant ces années, d’un état
d incertitude, même de violence dans une campagne subtile où la menace et la promesse,
l’intimidation et l’intrigue, se donnèrent libre
cours.
Ce désordre ecclésiastique, qui affligeait si
tristement les Vallées, aurait découragé bien
des personnes bienveillantes. Heureusement
pour nous, le Comité Wallon avait à sa tête
non seulement des hommes énergiques, mais
des personnes de grande foi chrétienne, qui
se rendaient compte que la cause principale
de tout ce désarroi était le triste héritage des
souffrances, des luttes et surtout des humiliations subies par le passé. En plus une évidence nouvelle leur apparut : avant tout les
Vaudois avaient besoin d’un aide matériel
et immédiat, sagement et honnêtement distribué dans toutes les Vallées. Leur classe dirigeante : Pasteurs, maîtres d’école, agriculteurs
sérieux et commerçants honnêtes, devaient être
aidés selon leur nécessité, mais tous et avant
tout, quand ces premiers buts auraient été
rejoints, nécessitaient d’une saine culture générale et surtout d’une profonde éducation.
Telle était la conviction que le vaillant
Sieur Châtelain, pasteur d'Amsterdam et correspondant entre les Vallées et le Comité, avait
pu expliquer et éclaircir à tous ses collègues.
Jean Jalla nous précise: «Tout en contribuant à relever les salaires des pasteurs, des
régents et des veuves de ces ouvriers de l’Eglise, les Commissaires Wallons pourvûrent à
augmenter le nombre des écoles de quartier
pour obvier à l’ignorance, compagne de la
misère. En 1740 on comptait 32 de ces ’’petites écoles” dont la moitié au Val Luserne,
7 au Val Pérouse et 9 au Val S. Martin.
Portées plus tard au nombre de 38, elles
reçurent, au XIX“ siècle, une nouvelle et
énergique impulsion grâce à l'Ambassadeur
de Prusse Waldbourg-Truchsess et au Général
Beckwith ».
Que toutes ces actions fussent aidées par
la bénédiction divine est démontré par le fait
que cette même bénédiction fit surgir parmi
les Vaudois un homme, qui, malgré les défauts
que chacun de nous porte en abondance, eut
des qualités qui, en cette occasion, se démontrèrent providentielles : ce fut le Modérateur
Rodolphe Peyran. « Il convient de relever
que. si le Modérateur Châtelain n’eut pas
toujours à faire avec des correspondants éclairés, fermes en même temps que généreux et
dévoués à l'intérêt général, il trouva dans ce
Pasteur du Pomaret, plusieurs fois Modérateur de la Table, toutes ces qualités. Une confiance et une estime réciproque donnèrent
aux rapports un caractère de particulière cordialité » — note le Pasteur Arnal. Ceci fut
évidemment à tout avantage de cette oeuvre
de charité.
Sur ces bases et devant ces grandes difficultés, accrues par une correspondance acide
et agressive des contestaleurs dénoncés, le Comité applique les conséquences pratiques d’une
condamnation théorique : l’envoi du subside
annuel sera suspendu, tant que l'ordre ne sera
pas rétabli. La décision était sévère; Peyran
aurait pu créer de sérieuses difficultés à ses
adversaires; il n’en fit rien. En plus, sur les
pressantes insistances de ce noble caractère
le comité revint sur sa décision touchant le
subside annuel. En plus l’on passa une éponge
sur les inciviles incartades du jeune pasteur
extrémiste, et on lui permit de desservir l’église de Massel qu'il s'engagea h soigner honnêtement.
Donc : instruction et éducation^ voilà les
deux bases sur lesquelles les églises Wallonnes
décidèrent à l’unanimité d’insister. Mais elles
actuèrent leur programme d’une façon orga
nique, en suivant l'ancien adage latin: « Prinium vivre, deinde philosophari ». Et voici
le programme et Tordre des secours: Pauvres-. aux paroisses les plus déshéritées on
accorda les allocations les plus grandes. Pasteurs : « les Pasteurs, et c’est à nos yeux un
titre de gloire, sont aussi des pauvres; il faut
les soutenir matériellement et intellectuellement »; on commença à allouer un supplément aux pasteurs des 5 églises plus nécessiteuses : Angrogne, Rora, Ville-Sèche, ManeilleMassel, Rodoret-Praly. Retraite : malheureusement à cette époque, bien rarement les pasteurs arrivaient à l’âge de retraite; aux rares
survivants le Comité assura un premier secours. Veuves: envers elles l'Eglise Vaudoise
commettait un tort des plus indignes; à une
époque où l’activité des femmes de pasteurs
était seconde seulement à celle de leurs maris,
à leur veuvage ces « pasteurs sans traitement »
ne pouvaient rien attendre de leurs Eglises
auxquelles elles aussi avaient dédié leurs travaux et leurs misères; le Comité pourvoira
une pension réparatrice.
D’autres secours furent considérés et finalement on aborda le grand problème désiré :
régents, étudiants et « mesures pour favoriser
le recrutement du corps pastoral ». Les vocations pour pasteurs et régents étâient de plus
en plus rares et les Eglises vacantes se multipliaient. Il était encore possible de trouver
des jeunes gens, nourris de principes évangéliques dans leurs familles patriarcales; il
était aussi et encore possible, grâce à la générosité des églises suisses, allemandes, hollandaises ou anglaises, de procurer des bourses
pour ces jeunes candidats. Mais c’est alors
que commençaient les problèmes les plus graves. Ces jeunes inexperts se trouvaient soudain transplantés de leurs montagnes sauvages et de leurs champs paisibles dans un monde pour eux nouveau, plein d'intérêts et d’attractives certes utiles pour leur développement
intellectuel, mais auxquelles ils n’étaient absolument pas préparés, malgré la sérieuse éducation familiale et les recommandations et
encouragements de leurs régents et pasteurs;
voilà pourquoi tant de ces jeunes se perdaient
dès les premières années de leurs études à
l’étranger; certes ils n’étaient pas abandonnés
à eux-mêmes, mais, malgré les soins et le
contrôle de leurs professeurs, le dépaysement
était trop fort et la déroute facile. Seuls des
esprits plus mûrs, plus convaincus, plus éduqués pouvaient surmonter ces formes d’éloignement souvent angoissantes. En plus il était
difficile de juger la capacité des jeunes dans
leurs 12-13 ans et leur prédisposition à s’acheminer dans une voie coûteuse d’études vers
lesquelles ils n'étaient peut-être pas disposés.
U était donc nécessaire de pourvoir chex eux,
dans leurs Vallées, à cette préparation aux
études supérieures; s’ils pouvaient rejoindre
sur place et près de leurs familles un titre
moyen, leurs décisions pour l’avenir auraient
été facilitées en les dirigeant vers des études
plus adaptées; leur séjour à l’étranger serait
par cela même abrégé et conclu à un âge plus
mûr. Le seul moyen de réaliser ce beau projet
était donc de créer une Ecole moyenne aux
Vallées: « une Ecole Latine ».
Et finalement, en 1769, le Comité créa à
la Tour cette fameuse Ecole Latine. Mais les
populations qui ont beaucoup souffert sont
plus lentes à reconnaître des bienfaits et surtout à en comprendre toute la portée et la
bénédiction. Laissons encore la parole à un
de ces bienfaiteurs étonnés : « La création de
cette école ne rencontra pas un accueil très
compréhensif. Les élèves sont rares, le Recteur au dessous de sa tâche. Au bout de quelques temps on la transporte au Pomaret. L’insuccès persiste. L’école revient à la Tour. Le
comité persévère dans son effort... enfin le
succès se dessine, il vient, l’Ecole Latine
finalement fleurit ». Et elle fleurit effectivement et brillamment pendant une soixantaine
d’années, jusque en 1827 quand un autre
grand bienfaiteur des Vaudois, le révérend
Docteur S. V. Gilly, pasteur et chanoine à
la Cathédrale de Durham ,vint étudiér la possibilité d’un développement à un degré supérieur de l’Instruction Vaudoise avec l’institution d’un « Collège » de type Anglais.
Mais trop de bienfaits sont lents à être assimilés par un peuple encore si peu préparé;
il en est submergé, n’en comprend pas toute
la portée, il en est confus. Même la très Vénérable Table Vaudoise apparut incapable de
comprendre et surtout de coordonner ces dons
qui tombaient comme des bénédictions du
ciel sur ces pauvres Vallées; et elle faillit,
avec ses doutes, ses alternatives, et surtout
avec son manque de confiance, compromettre
toute l'oeuvre destinée au relèvement de l’Israël des Alpes. Ils serait trop long de suivre
toutes les alternatives et les demi-termes employés alors et qui faillirent mettre en grave
antagonisme deux oeuvres aussi méritoires
que le Collège et TEcole Latine. En effet, le
31 Juin 1836 le Comité Wallon prenait la
résolution suivante; « L’Ecole Latine, fondée
dans les Vallées du Piémont en 1769 par le
Comité de Hollande, est supprimée à dater
du l.er Janvier 1837 ».
Un second article ajoutait : « Si Messieurs
les Officiers de la Vénérable Table jugent à
propos d’établir à la place une école intermédiaire entre Tinslruclion primaire et celle
donnée à l'Ecole Anglaise (le Collège), le Comité assignera annuellement pour cet objet,
sur le tableau des subsides, une somme de
mille francs ».
L’Ecole Latine continua et, grâce à Dieu,
continue encore aujourd'hui, et cela, il faut
l'avouer à contre-coeur, malgré le comportement de plusieurs responsables qui certes ne
furent pas, en celte occasion, à la hauteur
de la situation. (
Aujourd'hui que de nouveaux contrastes
surgissent à propos de l’instruction et de l'éducation, il est inipressionant de constater à
quel point les choses se répètent, et combien
il serait utile de reprendre en considération
les exemples du passé et d'en déduire d'utiles
conséquences.
Enrico Peyrot
A Villar Pellice
Domenica 10 maggio ha avuto luogo
la festa di canto della Val Pellice nel
tempio di Villar Pellice, affollato da un
vasto pubblico accorso nonostante il
tempo 'pessimo. Vi hanno partecipato
le corali di Rorà, Angrogna, S. Giovanni, Torre e Villar.
Gli inni d’insieme, già collaudati ad
Aosta, sono stati cantati con forza e
compattezza. Gli inni individuali, eseguiti a turno, sono stati tratti tutti,
meno uno, dal nuovo innario, contribuendo così validamente ad introdurre le musiche nuove nel repertorio delle corali e delle comunità.
La Corale di Rorà, riapparsa alla festa di canto sotto la direzione del
M° Albarin, ha cantato l’inno n. 34 della
raccolta francese, Angrogna il n. 23 del
nuovo innario, S. Giovanni il n. 104,
Torre il n. 87, Villar il n. 212. Nello stesso ordine sono stati eseguiti, nella seconda parte, il n. 20 del vecchio innario, « Il Cristo è vincitor », di Bach, il
n. 257 del nuovo innario, « Dieu très
saint » di Bach e « Cantiamo un inno
di giubilo » di Hopkins.
Durante l’intervallo tra la prima e la
seconda parte, il M“ Corsani ha brevemente esposto pregi e critiche del
nuovo innario. Tra l’altro, ha fatto osservare come gli inni eseguiti dimostrassero la varietà delle fonti cui hanno attinto i compilatori: filone calvinista, tradizione luterana, salterio scozzese, complainte valdese, inni del Risveglio. 11 Criterio informatore delle
scelte operato non è stato dunque
Tadozione di un periodo storico con
l’esclusione preconcetta di un altro, bensì, per la musica, una rigorosa scelta
di ordine estetico e per il testo, una
linea teologica il più possibile aderente
all'Evangelo e quindi scevra da inflessioni sentimentali.
Il M° Corsani ha inoltre ammesso che
l’aver introdotto molti inni tratti dalla raccolta francese ha creato in comunità di altre denominazioni delle difficoltà che per noi sono facilmente superabili. A questo proposito suggerisce
l’idea di cantare, ad esempio nel corso
di riunioni quartierali, inni tratti dalla
raccolta francese e di ripeterli nella
versione italiana, con il duplice scopo
di rispolverare vecchi inni abbandonati
e nello stesso tempo di imparare quelli
nuovi. Un esempio di questi canti
« comparati » Tabbiamo avuto nel corso
della stessa manifestazione con l’inno
d’insieme n. 8 della raccolta francese
e l’inno n. 257 cantato dalla Corale di
S. Giovanni.
Concludiamo osservando che le nostre feste di canto sembrano dimostrare di anno in anno maggiore impegno
e serietà da parte delle corali, il che
ci permette di sperare in una più profonda presa di coscienza della loro responsabilità collettiva di testimonianza.
C. C. G.
A Pomaretto
La manifestazione si è svolta come
previsto, nella atmosfera festosa di
queste circostanze ed ha lasciato in
tutti un senso di soddisfazione.
Risposero aH’appello le Corali di Pomaretto, San Germano, Villar Perosa,
San Secondo, Torino e Prarostino.
Ogni Corale apparve costituita da un
numero considerevole di elementi quasicché le Corali non dovessero risentire della difficoltà di mobilitazione
che travaglia tutte le altre attività ecclesiastiche.
Dopo un cordiale benvenuto da parte del Pastore della Chiesa di Pomaretto ed una efficace meditazione del
Presidente Pastore Aime sul « Nuovo
Cantico » che i credenti devono imparare ad innalzare a Dio, ebbe inizio lo
svolgimento del programma consueto
consistente nel canto alternato di inni
di insieme e di canti delle singole Corali e ne diamo in breve l’elenco:
Canto d’insieme: Innario nuovo n. 223.
Prarostino: Inno 253 del vecchio innario.
S. Secondo: Inno 181 racc. francese.
Villar Perosa: « Gloria a te gloria » su
melodia di Sibelius (vedi inno 102).
Canto d’insieme: « Psaumes et Cantiques N. 8 ».
Torino: Inno 151 vecchio Innario.
S. Germano: Canone « Gloria a Dio ».
Pomaretto: Inno 296 nuovo Innario.
Canto d’insieme: « Psaumes et Cantiques N. 34 ».
Segue a questo punto un discorso
del Pastore Ed. Alme che approfitta
della circostanza opportuna per spiegare i criteri e le necessità che hanno
presieduto alla formazione del nuovo
Innario il quale, se anche, oltre che
con dei consensi, è stalo accolto con
inevitabili critiche, è stalo preparato
con un intento di servizio e di fedeltà
ed ha costato una mole di lavoro enorme e dei sacrifizi durati molti anni.
Prosegue quindi il programma con:
Canto d’insieme: Innario nuovo n. 223.
Prarostino: « Natale dei tempi antichi ».
San Secondo: « Risvegliati... » Corale
da una Cantata di Bach.
Villar Perosa: « Pars messager dans ta
rude carrière». Innario del 1901:
canto di saluto per la partenza dei
missionari.
Canto d’insieme: Innario nuovo n. 230.
Torino: « Lode al Signor » di Silcher
(Vecchia ediz. Cento Canti).
San Germano: « Il est né le divin enfant » (Canti popolari francesi).
Pomaretto: « Tout joyeux ».
Dopo una breve preghiera, la manifestazione è terminata e ci avviamo a
cantare qualche inno sotto le finestre
deirOspodale e poi al ricevimento aristocratico che la Chiesa di Pomaretto
ci ha preparato.
E portiamo un senso di rimpianto
nel cuore. Ci si separa mal volentieri
da tanti cari fratelli, giovani ed anziani, nel cui cuore arde la medesima
fiamma nostra di desiderio di servizio
e di lode del Signore... Un nostro Amico, non valdese e che per la prima volta assisteva ad una simile manifestazione ci diceva: « Ma sapete che è veramente straordinario e meraviglioso
quel che ho udito, da noi non si usano
queste cose ed io non avrei mai creduto di poter udire dei canti così belli
e grandiosi ».
Torniamo a casa riconoscenti a
quanti si sono adoperati per questa
« Festa » e per tutti al presidente della
Commissione del Canto Sacro pastore
Aime, nonché anche alla Chiesa di Pomaretto ed al suo pastore. Ma ci sorgono anche nell’animo una quantità
di domande:
Come mai, posson qui lavorare fianco a fianco in piena armonia, vecchi,
giovani e giovanissimi insieme, senza
nessuna di quelle difficoltà che altrove
sembrano dividere le diverse generazioni?
Il Tempio di Pomaretto era gremito, anche se i veri uditori erano relativamente pochi: abbiamo visto lo
spettacolo di tutti gli anni, di sempre;
come mai questa attività della Chiesa
sembra non accorgersi della crisi che
ne travaglia tutti gli altri settori, anzi; avverte sì, che le difficoltà si fanno
sempre più grandi, ma resiste, riesce
a resistere e a dare la medesima produzione di sempre?
E poiché non abbiamo ancora dimenticato le recenti, benedette esperienze della corsa ad Aosta e della testimonianza data lassù, perché, ci domandiamo, non approfittiamo maggiormente di questo magnifico strumento di servizio del Signore che la
Chiesa ha nelle sue mani per rendere
più aggressiva e conquistatrice la nostra parola di testimonianza?
Perché anche qui, nelle nostre care
'Valli, non è data una importanza molto più grande a queste manifestazioni
periodiche per modo che i templi anche più grandi non possano più bastare a contenere il pubblico accorso e si
debba ricorrere ad altri locali più
grandi ancora?
La valentia delle Corali ed il loro
spirito di sacrificio meriterebbero, ci
sembra, d’essere aiutati a fruttare di
più!
E cos’è, infine, che mantiene vive e
robuste queste attività della Chiesa?
Non sarà forse proprio il fine che si
propongono, di lodare il Signore? Perché, forse, e la Scrittura lo mostra, il
fine più grande, in tutta la vita, in tutto il mondo e in tutto l’universo, è la
lode di Dio!
Enrico Geymet
Dalle Comunità
Luserna S. Giov.
La domenica 10 maggio abbiamo avuto il
culto dedicato alla famiglia, al quale hanno
preso parte una sessantina di bambini delle
varie scuole domenicali della parrocchia. Il
culto, presieduto dal past. Bogo, è stato, per
una parte della liturgia, svolto dai bambini
stessi, sotto la guida dei loro monitori; essi
hanno fatto la lettura della Bibbia, le preghiere e cantato due inni. Si è notato l’impegno,
l’attenzione e la gioia di questi bambini di
partecipare al culto con i loro genitori.
Domenica di Pentecoste, il Concistoro, invitato dai monitori, ha assistito nella sala
delle attività al presbiterio, al riparo finale del
programma svolto durante Tanno, ed ha potuto rendersi conto, attraverso le risposte dei
bamibini, ai loro quaderni e all’esposizione dei
loro disegni, di tutto il lavoro che i monitori
hanno fatto e di quanto grande è stato il
profitto che i bambini ne hanno tratto.
Vogliamo qui dire una parola di plauso a
quei giovani che con tanto amore hanno dedicato all’istruzione religiosa dei bambini buona parte del loro tempo, non solo della domenica mattina, ma anche partecipando alle
lezioni per la preparazione dei monitori, il
sabato pomeriggio.
Un caldo ringraziamento alla famiglia Ricca di Brieberasio che ospita la scuola domenicale della diaspora, con una dozzina di bambini, nella propria casa. Questa scuola domenicale, l’ultima sorta nella periferia della nostra parrocchia, è curata dal diacono Dino
Bellion ed ha dato ottimi risultati. Y. A.
poteva semi-automalizzare alcuni esami di
routine. Abbiamo aperto una sottoscrizione
ormai da più mesi e la chiudiamo oggi, avendo raggiunto la somma necessaria. Se sarà il
caso e se avremo i fondi potremo continuare
ad integrare questo sistema tecnico portandolo
sino ad una automazione completa.
Gli addetti al Laboratorio e TAinministrazìone ringraziano coloro che ci hanno consentito l’acquisto dì questo apparecchio :
Baret Federico, Pomaretto L. 500; Bosco
Ester 8.000; Chambon Ida 5.000; Daviero Giulia 1.500; Dema Francesco 5.000; Direzione e
Maestranze RIV-SKF in occasione 17 Febbraio 80.000; Gaidou Rosa 5.000; Legger Ser
gio 10.000; Marin Marina, letto n. 12, 2.000;
Marchina Matilde 10.000; Mauro Diega 4.000:
Migliore Maria 4.000; N. N. 1.000; N.N.,
Ospedale Pomaretto 1.900; N. N., Ospedale
Pomaretto 2.300; N. N., Pomaretto 1.000:
N. N., Pomaretto 2.650; Personale Ospedale
Pomaretto 35.000; Prandini Giovanni 1.000;
Ragazzi Scuola Domenicale, Prali (rinunzia
Pacco Natale, Colletta Albero) 22.600; Rione
Giovanni, i familiari 1.000; Sirtoli Angelo
800; Tron Maddalena 1.000; Unione Giovanile Prali (in memoria di Barus Giovannino)
60.000; Varese Prof. Dario 8.000.
Totale L. 273.250.
Rorà
Pinerolo
Domenica 10 maggio, alcuni membri della
nostra comunità si sono recati alla Foresteria
dì Torre Pellice per una riunione conviviale,
seguila dalla meditazione di un testo biblico.
Subito dopo hanno visitato il rifugio « Carlo
Alberto », offrendo ai fratelli ivi ricoverati un
modesto segno della loro simpatia.
Nel corso del culto di Pentecoste sono stati
ammessi per professione di fede, quali membri
comunicanti, i seguenti catecumeni : Renato
Bouchard. Franca Castellucci, Mara Druetta,
Letizia Fornerone, Guido Genre, Marina Martinat, Nadia Menusan, Liliana Pellenc, Anna
Pons. Carla Romano, Marco Vola.
Pomaretto
L’Ospedale
La Direttrice dell’Ospedale Signora Helga
De Bernardini ha dato le dimissioni per motivi familiari. Tutti coloro che lavorano nel1 ospedale e per l’Ospedale gli sono riconoscenti per il grande lavoro svolto dalla riapertura
delTOspedalc sino ad oggi. La Signora De Bernardini era venuta in Italia per rispondere alTinvito della CIOV che era in gravi diflicoltà
per la ricerca dì una Direttrice per l’Ospedale :
ella ha dovuto sobbaroar.si tra la difficoltà linguistica e i numerosi problemi da risolvere un
intenso lavoro rendendo possibile, con la collaborazione del personale, Torganizzazione dell’Ospedale portandolo ad una efficienza senza
la quale gli sforzi della Amministrazione sarebbero stati vani. La signora De Bernardini,
ora felice madre di famiglia, segue comunque
sempre il lavoro dell’Ospedale : noi la consideriamo sempre come ancora facente parte del
gruppo di servizio.
A .sostituirla è venuta la Signorina Angela
Chambon di Perosa, che ha rassegnato le dimissioni da un granile ospedale dì Roma, dove
svolgeva un apprezzato servizio di Capo-Sala.
Tutti gli siamo riconoscenti per questa decisione : da oltre tre mesi ella ha preso servìzio,
da tutti molto apprezzato.
Il laboratorio dotato ormai di tutta Tattrezzatura, acquistata con contributo di 2/3 da
parte del Ministero della Sanità, mancava ancora di un apparecchio mediante il quale si
La Corale diretta dal sig. G. Albarin ha
preso parte ai raduni corali di Aosta e di Villar Pellice : ringraziamo dell’accoglienza fattale e delle parole d’incoraggiamento e di augurio rivoltele dal Pastore sig. E. Aiirie.
Ringraziamo pure dì quanto è stato fallo,
ad Agape, per i catecumeni confermati (cinque) e per le mamme (quindici) in occasione dei convegni rispettivi dai quali e le une e
gli altri sono ritornati contenti e riconoscenti.
Grazie dell'invito a ricambiare la visita che
i membri delle Chiese della Riviera ligure occidentale con il loro Pastore sig. R. Nisbet ci
hanno fatto alcune domeniche fa.
Al culto di domenica 10 corrente è stata ricordata la « mamma », la famiglia cristiana
con la partecipazione della Corale che sotto la
direzione del sig. Albarin ha cantalo alcuni Inni e dei catecumeni e degli alunni della Scuola domenicale con canti, recite e distribuzione
alle mamme di fiori e di una lettera-messaggio
augurale.
Giorni fa ha avuto luogo a Luserna San
Giovanni la sepoltura dei nostro fratello Giovanni Tourn (Jeanin) dei Verney: rinnoviamo ai congiunti la nostra simpatìa cristiana.
Torre Pellice
Croce Rossa Italiana
Il nostro sotlocomilato dispone di 2 borse
di studio per Infermiere Professionali : il corso si effettua alla Scuola « Edoardo e Virginia
Agnelli » in Roma. Si richietlono: licenza scuola media. 18 anni compiuti, cittadinanza italiana. . Le domande devono e.sser indirizzale
alla Presidente Sotlocomitalo C.R.I. dì Torre
Pellice: Sig.ra Ade Gardiol Theiler, Viale
Trento, 12 - Torre Pellice.
RINGRAZIAMENTO
Il nipotino Luciano Rostaiinol, riconoscente ringrazia il Dott. Pellìzzaro,
il Prof. Gambetta e il Dott. Gianni
Peyrot, la signora lidia Avondet, il
Pastore sig. Rogo e tutti coloro che
hanno preso parte al suo dolore per
la dipartita del caro nonno
Paolo Rostagnol
Luserna S. Giovanni, 22 maggio 1970.
5
22 maggio 1970 — N. 21
pag. 5
Spigolature di storia valdese
I Valdesi a Roma, il 20 settembre 1870
Convegno di Viering
Un giuppo di evangelici canauesani e valdostani ridette sul
problema del denaro
A guisa di preambolo, alcune date.
La Francia dichiara la guerra alla
Prussia il 17 luglio 1870. Il 1« settembre dello stesso anno quasi cento mila
uomini dell’esercito francese sono
chiusi con l'imperatore a Sedan; capito' 'ione di Napoleone III; proclamaila repubblica (la «terza»).
La situazione italiana è assai delicata, perché Napoleone III aveva chiesto, in nome dell’antica alleanza, l'intervento militare italiano con l’invio
di un corpo di spedizione contro la
Prussia.
Vittorio Emanuele II era incerto e
l’opinione pubblica divisa, perché Napoleone III significava la difesa del
potere temporale del papa. Caduto
l’impero francese, partite le truppe
francesi da Roma, il re d’Italia e il governo tentarono trattative con Pio IX
per una occupazione pacifica della "cittci eterna". Tutto fallì e, com’è noto,
Raffaele Cadorna varcò il confine pontificio la notte del 12 settembre 1870,
e, dopo un ultimo inutile tentativo di
pace, la mattina del 20 settembre iniziò l’attacco alle mura con la famosa
breccia di Porta Pia, attraverso la quale i bersaglieri entrarono in Roma, dopo che, alle ore 10, il papa aveva fatto
alzare la bandiera bianca.
/ DUE ECHI
Quale fu l’atteggiamento dei valdesi
e degli evangelici in questa circostanza?
Come già abbiamo avuto occasione
di osservare nel nostro opuscolo del
XVII febbraio a proposito del concilio
vaticano I, l’atteggiamento dei valdesi residenti nelle Valli Valdesi è alquanto diverso da quello dei valdesi
del cosidetto campo di evangelizzazione e degli evangelici in genere: è più
distaccato, se non proprio indifferente.
Non sembrano esser contagiati dalla
febbre romana. Roma capitale! Non
sentiamo vibrare nessun entusiasmo
particolare, e L’Echo des Vatlées durante tutto il mese di settembre dà
maggior rilievo alla catastrofe francese nella guerra contro la Prussia che
non alle vicende (non brillanti in verità) che portano alla liberazione di
Roma.
L’aspetto militare della Quistione romana ha un particolare rilievo e solo
a metà novembre L’Echo riferisce con
una certa ampiezz.a sulle trattative in
corso per assicurare « al papa il libero esercizio del suo potere spirituale »;
anche in questa circostanza per altro
non entra nel merito e si limita ad
un’ampia e circostanziata informazione. Poi tutto rientra nella normalità;
brevi notizie inserite nel notiziario settimanale della Chronique politique.
Diverso è l’atteggiamento dell’Eco
della Veritcì, il quale vive più appassionatamente questo periodo storico,
di cui riferisce gli sviluppi nella « cronaca », mentre affronta i molteplici temi sul piano politico - religioso - giut idico.
Sul piano politico, nel n. 46 (17 settembre 1870), si giustifica l’intervento
italiano contro coloro che accusano il
governo di non essersi limitato all’uso
di « mezzi morali », facendo invece intervenire l’esercito. Forse che sono
« mezzi morali » le mitragliatrici che i
« divoli figli del Belgio » hanno donato
al papa?
POLITICA E RELIGIONI
Riconoscenza a Dio, speranza, gioia
sono i temi che vibrano nell’articolo
del 24 settembre, firmato A. M. (Augusto Melile?) perché « sarebbe uno
sbaglio il considerar la presa di Roma
e la caduta del potere temporale come
un semplice fatto strategico o politico;
è prima di tutto un fatto morale e religioso che avrà un’influenza grandissima sulla intiera umanità ».
Secondo A. M. la liberazione di Roma doveva costituire « un esperimento
di somma importanza per tutte le nazioni cattoliche...; la quistione che si
agita fra la Chiesa cattolica e la civiltà moderila è entrata in una nuova fase, nella quale è impossibile che non
si avvicini alla soluzione; ...le relazioni
di qualsiasi natura che .si stabiliranno
fra il governo italiano ed il papato
possederanno una forza d’iniziativa e
di esempio che .si farà sentire ben al
di là della cerchia della nostra patria ».
Non si può negare che i nostri vecchi pastori valdesi non impostassero il
problema nei termini esatti, anche se
le loro speranze dovevano presto esser
deluse. Da una parte infatti sarebbe
purtroppo mancata la « forza d'iniziativa », mentre la controparte si sarebbe arroccata nel più retrivo conservatorismo. L’Eco della Verità si fa banditore della posizione radicale del Vinci e nutre la speranza che proprio a
Roma venga proclamata la separazione completa tra Chiesa c Stato, ad
esempio e monito dell’Europa tutta.
Perciò anche il significato del plebiscito del 2 ottobre 1870 va oltre i limiti di una pura interpretazione nazionale: una nuova provincia, una nuova capitale; secondo A. M. esso significa la condanna definitiva del potere
temporale da parte del popolo romano.
Sono quindi comprensibili lo sdegno
c l’amarezza dell’Eco della Verità di
fronte alle discussioni che sembrano
preludere ad una larvata forma di sopravvivenza di una sovranità papale
col riconoscimento della « dignità, inviolabilità e tutte le prerogative di sovrano » al pontefice.
Uguale riconoscimento avranno « il
moderatore della Chiesa Valdese e il
gran rabbino »? Interrogativo scherzoso ovviamente; ma il nostro pastore
valdese, che ha fiducia nel Vangelo e
nella sua figlia, la democrazia (oh!
grande innocenza dei pastori antichi!)
è convinto che l’iniquità delle Guarentige non prevarrà!
A. M. e Bart. Pons ribadiscono in
articoli vivaci, nello scorcio dell’autunno 1870, la posizione di principio:
separazione assoluta dei poteri, nessuna legge speciale. In modo particolare
denunziano le ventilate « franchigie
territoriali »; sono ossessionati dal terrore di veder rinascere, sotto nuova
veste, uno Stato papale. « Si vede purtroppo che l’Italia vuol perseverare
negli antichi suoi errori, e si ostina a
tenersi il papa ed il papato, mentre
dovrebbe esser riconoscente a chi li
sbarazzasse di entrambi ».
PRESCINDIAMO DALLA FORMA
Fatte le debite riserve sulla vivacità
della polemica, dobbiamo riconoscere
che le riserve che i Nostri prospettano
per quanto concerne, per esempio, il
reato di « oltraggio alla religione dello
Stato » sono straordinariamente attuali, ancora cento anni dopo! Inoltre i
« privilegi omeopatici » che gli vengono promessi o concessi non spingeranno mai il pontefice a riconoscere il nudo ordine di cose; è e rimane una soluzione equivoca.
Ma il problema è, indubbiamente,
più grave. Queste trattative, queste
leggi hanno di mira, a quanto si dice,
« di provvedere eziandio all’interesse
religioso. E chi ha mai dato al Governo la missione di provvedervi?... Certo, in fondo a tutte queste manifestazioni, in fondo al cuore umano c’è un
sentito bisogno religioso e per conseguenza vi sono degli interessi. Ma il
Governo non è chiamato a definirli ed
a farsene maestro; non è chiamato a
provvedervi ».
Vi sono indubbiamente delle difficoltà oggettive che non si possono ignorare. « Il nuovo Stato si trova di fronte ad una potente gerarchia la cui sfera d'azione è identica in Italia alla sfera dello Stato, poiché essa novera come suoi tutti i sudditi dello Stato, meno una impercettibile minoranza... »,
con « leggi, giurisdizioni e istituzioni
che urtano ad ogni pie' sospinto le istituzioni, le leggi, le giurisdizioni dello
Stato ».
Cento anni dopo, alcune cose sono
cambiate, anche se la minoranza è ancora quasi « impercettibile »; una cosa
però non è cambiata: la rivendicazione al diritto di un’azione tutelatrice di
quel ben noto e non meglio identificato religioso che viene sempre formulata dalle competenti autorità ecclesiastiche romane. E l’aspra denunzia dei
pericoli a cui potrebbe andare incontro il giovane Stato unitario, qualora
si acconciasse a riconoscere una « istituzione sovrana » accanto alla sua, non
sembra del tutto pi iva di un certo acume! Gli sviluppi della recente crisi di
Governo, con relativi pesanti interventi vaticani, sembrano autorizzarci a riconoscere negli scrittori dell’Eco della
Verità doti di profetica virtù:
« La quistione rimane dunque intiera e la soluzione è di là da venire »,
perché bisogna veramente esser forniti di una ingenuità «preadamitica»
per credere che si possa parlare in Italia « di due sfere affatto diverse e distinte » nelle qual: eserciterebbero la
loro podestà senza contrasti « il Capo
supremo della Chu sa e il Capo supremo dello Stato ».
(segue)
Gino Costabei.
Giovedì 7 maggio, giorno deU'Astensione,
ha avuto luogo Formai tradizionale convegno
dei fratelli e delle sorelle della Val d’Aosta e
di Ivrea, (a cui si aggiungono talvolta i fratelli del Canavese, Biella, Santhià, Chivasso e
Torino), a Viering, località della bassa Valle
di Ao.sta ove la presenza evangelica data dagli
ultimi anni del secolo scorso e ove furono fiorenti un tempo le scuole valdesi.
Giovedì il tempo non era molto favorevole
alle gite (sulla bassa Valle e sul Canavese cadeva una forte pioggia che, certo, ha un po’
nuociuto all’incontro)... eppure un centinaio di
persone si ritrovarono presso il locale di culto
di Viering, ove alle ore 10,30 il Pastore Rostan. di Ivrea, ha presieduto il culto. La meditazione bìblica è stata centrata sul testo:
« Poiché quante sono le promesse di Dio, tutte hanno in Cristo il loro “sì”; perciò pure
per mezzo di Lui si pronunzia l’Amen alla
gloria di Dio, in grazia del nostro ministero »
(2 Cor. 1: 20). Spiegato il significato etimologico della parola « amen » : ( È cosi - è vero è certo - si) il Pastore Rostan illustra poi
come questa parola è passata dal culto ebraico
a quello cristiano. Non si tratta, evidentemente, di una parola formale, rituale... essa ha
anzi un profondo significato spirituale che
può essere ravvisato nella idea di « verità » e
di « fermezza ». La Parola di Dio è verità. La
chiesa non si nutre di parole umane, sempre
fallaci, non si fonda su chi parla più forte,
sui miti antichi o moderni ma sulla Parola
di Dio. La verità, di cui vive la chiesa, è Cristo. Perciò, giustamente. Paolo dice che Cristo è l’Amen, il « sì » di Dio agli uomini. Ma
la Parola di Dìo, pronunziata definitivamente in Cristo, non è solo vera ma anche ferma,
stabile (« I cieli e la terra passeranno ma le
mie parole non passeranno » (Matt. 24 : 35).
La stabilità oggettiva della Parola di Dio si
applica soggettivamente anche a noi. I credenti non sono più delle fragili creature sballottate qua e là da ogni vento di dottrina » Efesini 4 ; 14) (e delle dottrine che sballottano gli
LETTERA DA NAPOLI
Panoramica
5° Distretto
Caro direttore,
mi avevi chiesto, all’inizio dell’anno
ecclesiastico, una « panoramica » sulle
Comunità valdesi del 5° Distretto; ed io
avevo promesso di fartela avere entro
Natale, e di farla poi seguire da brevi
cronache dei fatti salienti che si sarebbero successivamente verificati. Le cronache, infatti, ti sono giunte di tanto in
tanto. Quel che è mancato è stata ;'nvece la « panoramica », che solo adesso
butto giù rapidamente: meglio tardi
che mai. Ma la ragione fondamentale
di questo ritardo non va forse ravvisata solamente nella pigrizia o nella dimenticanza del sottoscritto (anche se
con questo non mi sto facendo degli
alibi), quanto piuttosto nel fatto che
abbiamo talmente l’impressione di non
fare nulla di rilevante, che ci sembra
errato rubare, con rendiconti su quel
che è semplicemente un dovere compiuto (e spesso compiuto male), lo spazio che può essere dedicato ad argom.enti o a notizie di maggiore interesse
e vivacità. Ho usato il plurale, nell’ultima frase, in quanto il pensiero che ho
espresso è probabilmente condiviso da
molti dei collcghi all’opera nel Distretto, e certamente dagli altri due membri della Commissione.
* * *
Veniamo dunque alla situazione. Il
Distretto comprende l’Abruzzo, il Molise, la Puglia e la Campania, con una
piccoila punta in Basilicata (Bernalda,
piccolo gruppo visitato dal pastore di
Taranto). Un’area dunque abbastanza
vasta di per sé, con comunicazioni .solo
recentissimamente facilitate dal cornpletamento dell’autostrada Napoli-Bari,
ma nel complesso difficili a causa non
solo degli Appennini che ci dividono
materialmente in due versanti, ma anche del clima, che d’inverno isola molto
spesso soprattutto i paesini abruzzesi.
In quest’area, una dis.seminazione di
chiese non molto grandi (una sola, quella di Napoli via Cimbri, è tanto consistente da essere autonoma), spesso anzi piccole, di gruppi, di nuclei familiari,
di isolati. Una diaspora, dunque, nelle
città non meno che nelle campagne e
nei piccoli centri. Nelle campagne si è
in pochi, nelle città si è centrifugati,
lontani gli uni dagli altri, bloccati dagli
ingorghi del traffico non meno che dagli
orari di lavoro. Si può da questo comprendere come sia necessariamente
« itinerante » il lavoro dei dieci pastori
che sono all’opera nel Distretto. Ma
questo dato, umanamento negativo, può
anche essere valutato come una possibilità offertaci dal Signore di essere di
fatto sale disperso nella massa, lievito
sbriciolato nella pasta. Sappiamo però
vivere questa situazione di fatto come
una vocazione e non subirla come una
mortificazione?
Le attività interne delle Chiese e dei
gruppi non si discostano se non in dettaglio da quelle che tradizionalmente
conosciamo. Viviamo tutti il nostro travaglio e la nostra speranza, continuamente alla ricerca di una coerenza vera
con la nostra fede, nel desiderio di una
testimonianza il più concreta possibile,
spesso anche attardandoci inutilmente
in questioni che non sono di fede: voglio con questo dire che non siamo
esenti dalla debolezza di considerare
spesso l’Evangelo più come una conso
lazione e una medicina per i nostri malanni, che come un^' molla che ci spinga ad una vita di ubbidienza.
* *
L’aspetto più saliente della nostra
testimonianza è co lituito dalle varie
Opere sociali fiorite nel Distretto. Asilo
infantile ad Orsara, Asilo infantile a
Taranto (aperto da poco, ha avuto un
avvio promettentissimo ed è guidato
con criteri di vera pedagogia evangelica
da un gruppo di servizio). Atelier di cucito e ricamo a Corato, Laboratorio di
maglieria a Cerignola (inaugurati il 1°
maggio u. s. i nuovi locali, che sono
solo parte di un più ampio complesso).
Non è il caso di rispolverare ormai note discussioni sul valore delle Opere di
questo tipo, se siano paternalistiche o
se concorrano al mantenimento dello
status quo, o se non siano invece un
.segno di rottura nei confronti dell’ambiente e dei rapporti di lavoro così come sono vissuti nel mondo. Vorrei solo dire che cerchiamo, per quanto possibile, di dare un sapore evangelico a
questi servizi, nel senso che ci sforziamo di venire incontro a necessità
reali della popolazione del luogo, e nello stesso tempo ci forniamo di un’occa.sione per testimoniare di Cristo. Del
resto, il problema delle Opere ce lo siamo lungamente dibattuto, in questi
ultimi tempi, in sede di Conferenze distrettuali o di incontri appositamente
convocati. Ultimo in ordine di tempo, il
Convegno dello scorso 19 marzo, a Bari, in cui abbiamo lungamente meditato, dopo una relazione circostanziata
e qualificata, sulla situazione nella quale operiamo e sull’orientamento che la
nostra opera deve avere. Vorrei dire infine che è in corso attualmente un processo di collegamento non delle opere
con le Comunità (cosa della cui opportunità non abbiamo mai dubitato), ma
delle opere fra loro, in modo che per
quanto possibile si sorreggano Luna
con l’altra e servano Luna all’altra.
In appendice a quanto sopra, vorrei
ancora segnalare le speranze dei fratelli di S. Giovanni Lipioni di poter
concretare presto in qualche modo il
loro desiderio di servire la popolazione
sempre più ridotta per l’emigrazione
cui ila costringe una situazione sempre più triste e difficilmente rimediabile nell’economia del Mezzogiorno italiano. Su interessamento della Tavola,
è stata inoltrata al Consiglio Ecumenico la richiesta di interessamento e di
tecnici che vengano a dare i foro consigli e il loro apporto. Ed infine l’attività della Chiesa del Vomere (valdese
e metodista, come dirò più avanti), che
appoggia fortemente il lavoro di una
scuola serale organizzata a Ponticelli
dal Centro sociale « Casa Mia », collabora col doposcuola elementare tenuto
a Ponticelli dalla Chiesa di via dei Cim
,4 FIRENZE
Pensione evangelica per
studentesse o comitive
LTstituto Evangelico Femminile di Firenze
offre pensione per studentesse anno 1970-71
oppure per comitive durante l’estate. Prezzi
modici. Scrivere: Via Silvio Pellico, 2.
bri,, e tiene un doposcuola per studenti
delie medie in Napoli. Senza dimenticare l’Ospedale Evangelico di Ponticelli, del quale le due Comunità napoletane sono responsabili insieme con tutte
le altre Chiese evangeliche della città.
Da queste parti non v’è molto « cattolicesimo del dissenso » (mi scuso per
la definizione sbrigativa): quindi si afferrano le occasioni che si riesce ad afferrare per un dialogo, direi piuttosto
per una testimonianza, con conferenze,
tavole rotonde e dibattiti in vari ambienti e a diversi livelli.
* * *
Quanto ai rapporti con le altre denominazioni, segnalerei la Federazione
apulo-lucana, l’adesione alla FGEI dei
gruppi giovanili, ed infine la situazione
particolare nella quale si trova da poco
più di un anno la Comunità del Vomero.
Il fatto è che la Chiesa metodista ha
dovuto abbandonare i locali di cui disponeva, i quali minacciavano (e minacciano) di crollare. Si è colta l’occasione — dato anche il fatto che la
maggior parte di quei fratelli abitano
al 'Vomero — per cominciare un lavoro
comune. Lunghe discussioni dei Consigli e delle Assemblee delle due Chiese e
separatamente e in comune. Infine la
decisione di lanciarsi nella difficile avventura. Si tengono insieme i culti (i
due pastori concordano il piano della
predicazione, nella quale si avvicendano), le riunioni quartierali (che hanno
sostituito lo studio biblico tradizionale
e che sono anch’esse degli studi biblici,
col vantaggio di raccogliere più persone: i pastori se ne occupano con la collaborazione dei predicatori laici), i corsi di catechismo e la suola domenicale.
La cura d’anime non si è riusciti ancora
a integrarla al 100%, ma non si possono fare tutti i passi in una volta. Certo,
la .situazione comporta diversi problemi, soprattutto organizzativi, in quanto
la Comunità continua a dover rispondere a due organismi diversi, ma questo
non ci preoccupa affatto: sono problemi sui quali dobbiamo solo perdere un
po’ di tempo, ed è tutto. Principalmente badiamo al sodo: che è quello di riscoprire insieme la presenza e la realtà
del nostro comune Signore vivente, e
di lasciarci guidare da Lui. L’integrazione non risolve e non sostituisce l’evangelizzazione, ma è pur vero che se
comune è la nostra vocazione di testimoni può esser conveniente viverla insieme, quando, come nel caso in questione, non si può parlare di diversa impostazione teologica. E va anche detto
che se ci siamo potuti prendere degli
impegni di sei-vizio nel campo scolastico, come accennavo prima, questo è
anche grazie al fatto che, in due, abbiamo un po’ di forza in più.
Hr * *
Qui mi pare di poter concludere la
serie delle notizie essenziali, senza naturalmente avere la pretesa di aver dello tutto di tutti: mi sono sforzato di
essere obbiettivo e, pur brevemente,
esauriente. Chiedo a tutti i fratelli alil’opera nel Distretto di voler eventualmente precisare o correggere quanto
io ho potuto lasciare in ombra o travisare. Con tante grazie per l’ospitalità.
Salvatore Ricciardi
uomini qua e là ce ne sono molte anche oggi!); i credenti sono, invece, resi fermi dalla
parola di Dio, da Cristo. Pur vivendo nel
mondo, in mezzo ai suoi problemi, alle sue
tensioni, alle sue contraddizioni e perversioni,
i credenti rimangono fermi, vigilanti, si sentono vincolati a qualche cosa (meglio dire a
Qualcuno) che non vacilla e non passa : Dio,
Gesù Cristo, l’Evangelo. I credenti non temono, perciò, i rivolgimenti umani, non si lasciano prendere dall’ansia né dalla paura...
rimangono pieni di fiducia e di speranza perché sanno che le promesse di Dio hanno in
Cristo il loro « sì », in Cristo che ha vinto
il peccato e la morte, che è risorto e che siede alla destra di Dio quale Signore e Salvatore. È Cristo che porta avanti il mondo, che
lo sostiene e Io salva.
Al termine del culto, U Pastore Peyrot di
Aosta porge il saluto a tutti i presenti e annunzia che la colletta, come negli anni passati. andrà a favore dei lavori di riparazione
e sistemazione dello stabile di Viering onde
questo possa divenire un luogo di incontro
(non solo in occasione dell’Ascensione ma
periodicamente) per le scuole domenicali, i
giovani, le famiglie e le comunità che gravitano sul corso della Dora Baltea, da Courmayeur
a Chivasso.
Alle 14 ci si ritrova nuovamente nel locale
di culto per un dibattito sul tema del « denaro » alla luce della Parala di Dio. L’argomento è introdotto da tre brevi relazioni fatte
rispettivamente da tre giovani di Aosta: i
beni nella prospettiva dell’Antico Testamento
(Franca Peloso-Monaya), i beni nella prospettiva del Nuovo Testamento (Siena Marconi), i beni nella vita del cristiano oggi (Wanda Monaya).
La discussione si svolge, per circa un paio
d’ore, su alcuni punti fondamentali. I beni
appartengono a Dìo che li affida all’uomo quale segno della Sua bontà; l’uomo è, quindi,
solo amministratore di questi beni (può usarne per sé, per la sua famiglia, ma non egoisticamente e con cupidigia). I beni possono diventare (e di fatto diventano) una tremenda tentazione, cioè quando l’uomo perde di vista le
giuste finalità per cui Dìo ha affidalo a lui
la gestione dei beni. I beni vengono allora
pervertiti e diventano una potenza demoniaca;
da qui il disordine, le ingiustizie, le lotte, le
guerre, le rivoluzioni... Bisogna che l’uomo
torni al messaggio della rivelazione biblica se
vuole sfuggire ai disastri a cui lo porta inevitabilmente e tragicamente una concezione pervertita e pagana della proprietà. E stato fatto
notare anche che l’uso del denaro e dei beni
materiali in genere non è che un aspetto della
vita cristiana. Se siamo « nati di nuovo », anche il problema del denaro verrà visto sotto
una luce nuova.
Ci si lascia dicendo « arrivederci » all'ann.) prossimo, se Dio vuole, non prima di aver
gustato una tazza di thè generosamente offerta dalla piccola comunità di Viering, che
ringraziamo per la sua fraterna ospitalità.
Giovanni Peyrot
Cristiani e SciiwarzenbaGii
Lettera dell'àCELIS al presidente
della Federazione Protestante
Svizzera
ÌSelVapprossimarsi del 7 giugno,, VACELIS
(Associazione delle Chiese Evangeliche di Lingua Italiana della Svizzera) ha scritto al presidente della Federazione protestante delle chiese svizzere, postar A. Lavanchy, la seguente
lettera ;
Signor presidente,
poco tempo fa ho avuto l’onore di inviarLe
un esemplare del nostro documento sulle condizioni dei lavoratori stagionali (« Lo stagionale »).
Da questo e da altri documenti sullo stesso
problema appare chiaro che la sorte degli
stagionali, obbligati a vivere senza famiglia
in baracche sovente prive di conforto, è veramente oggi una delle più infelici.
Poiché si avvicina il giorno della votazione
popolare sulla iniziativa contro la sovrappopolazione straniera, vorremmo attirare una volta
di più l attenzione dei cristiani di questo paese
sul fatto seguente : se l'iniziativa passa, le
statuto degli stagionali, a colpo sicuro uno dei
piu ingiusti, resta consegnato nella costituzione
federale.
D'altra parte ci sembra che tutta la macchina delViniziativa sì conclude in un gigantesco inganno, di cui il popolo svìzzero stesso
sarà, per finire, la vera vittima. Attraverso un
(( transfert » ben noto, tutta l’aggressività accumulata negli anni dello sviluppo economico
si trova diretta contro lo straniero. Una volta
cacciato questo straniero, il popolo sì risveglierà per trovarsi faccia a faccia con i veri
problemi, ma in più avrà commesso un’ingiustizia di prim’ordine, ben contraria ai suoi
interessi.
Detto questo, siamo con voi nella preghiera,
sperando che il popolo svizzero sappia superare questa prova.
Riceva, signor presidente, l’assicurazione dei
nostri sentimenti rispettosi.
S. Rostacno
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6
pag. 6
N. 21 — 22 maggio 197&
La Chiesa nel mondo
a cura di Roberto Peyrot
I pentecostali negri:
i dimenticati della storia
Incontri di Chiese
per l'noiene
Nairobi, Kenya (soepi) — I partecipanti ad una conferenza sui negoziati
d’unione fra Chiese hanno appreso nei
giorni scorsi a Limuru, in Kenya, che
cinque unioni sono state realizzate in
questi ultimi tre anni e che una sesta
avverrà quanto prima.
Sei vescovi, 43 ecclesiastici e parecchi laici provenienti da trenta paesi
hanno preso parte alla riunione, in
rappresentanza di sette chiese unite e
di 23 comitati che, attualmente, stanno consultandosi per l’unione.
Dopo 40 anni di preparazione, le sette chiese in trattativa nell’India del
Nord hanno recentemente votato in
favore dell’unione. La stessa cosa è
avvenuta per la Chiesa unita della Giamaica. Analoghe discussioni hanno
portato a risultati positivi in Madagascar ed in Belgio, mentre negli Stati
Uniti si è vista l’unione della Chiesa
metodica e della Chiesa evangelica unita dei Fratelli. Dopo otto anni di lavoro, la conferenza per l’unione delle
Chiese negli Stati Uniti ha adottato un
progetto provvisorio di unione che
chiederà due anni di studi alle Chiese.
Durante la conferenza di Limuru si
è rilevato che sono stati fatti parecchi
progressi dalla prima conferenza del
genere, tenutasi in Svizzera nel 1967.
Le conversazioni fra confessioni diverse hanno assai guadagnato in forza,
andando al di là di un semplice studio
delle forme attuali delle strutture delle varie Chiese al fine di discemere le
forme necessarie per la salvezza dell’uomo, forme che potevano apparire
del tutto nuove in relazione alì’una o
all’altra tradizione.
I partecipanti harmo espresso la loro
piena consapevolezza della necessità
— da parte delle Chiese impegnate iri
un processo di unione — a non isolarsi
ed a riflettere sui propri problemi alla
luce delle realistiche esperienze realizzate in occasione di altre analoghe
trattative.
A questo riguardo, è stato chiesto alla Commissione Fede e Costituzione di
impegnarsi attivamente al servizio delle varie trattative fra le Chiese. I partecipanti hanno anche chiesto che si
trovino dei mezzi efficaci allo scopo di
far partecipare i cristiani « medi » alla
ricerca sull’unione fra le Chiese.
Infine, è stata ricordata la volontà
delle famiglie confessionali mondiali
(luterana, riformata, metodista e anglicana) di favorire l’unione di Chiese
e di portare un aiuto finanziario a quei
loro membri che appartengono ormai
ad una Chiesa unita. Le conversazioni
bilaterali fra le varie famiglie confessionali hanno certamente contribuito
a questo atteggiamento positivo.
Da parte loro, i partecipanti congolesi hanno sottolineato la necessità di
ricercare l’unità e di esprimerla in termini proprii alla loro cultura e non
mediante forme portate loro dall’estero dalle Società missionarie.
Lingua ufficiale della conferenza è
stata quella francese, la qual cosa ha
posto in evidenza il fatto che l’Africa
francofona sta giocando un ruolo assai importante in queste trattative di
RICERCA D’UNITA’
IN POLONIA
Ginevra (soepi) - Due Chiese protestanti
polacche, la Chiesa evangelica della Confessione di Augusta (luterana) e la Chiesa riformata evangelica hanno deciso di istituire fra
loro la comunione dei sacramenti e lo scambio
di pulpiti. Esse si sforzano pure di giungere a
una unità visibile, collaborando fra l’altro nei
settori della formazione pastorale, dell’edueazione religiosa dei bambini, delle pubblicazioni e del lavoro sociale.
IL CEC INVIA AIUTI MEDICI
AL VIETNAM
Ginevra (soepi) - La Divisione di Aiuto e di
Servizio delle Chiese e di Assistenza ai rifugiati (DESEAR) del CEC ha deciso di consacrare 25.000 dollari {circa 16 milioni di lire)
aU’acc(uisto e al trasporto di attrezzature e di
NOVITÀ’:
Giorgio Peyrot - Sergio Rostagno
- Ai.fredo SoNELi.i - Valdo Vinay Giorgio Spini - Sergio Bianconi
La posizione
delle Chiese
evangeliche
di fronte allo Stato
Documenti preparatori, Relazioni
e documento finale dell'incontro
promosso dal « Servizio studi »
della Federazione delle chiese
evangeliche in Italia (Agape, 19-30
Agosto 1969)
8“, pp. 144, L. 1.200
EDITRICE CLAUDIANA
Via S. Pio V, 18 bis
10125 Torino
conto corr. postale n. 2/21641
materiale sanitari destinati alle vittime della
guerra nel Vietnam del sud.
Tale dono rientra nel quadro di uno sforzo
coordinato dall’Associazione medica franco-vietnamita. I soccorsi, giunti per aereo a Phnompehn {prima del colpo di stato cambogiano^
n.d.r.), sono stati consegnati al Governo rivoluzionario provvisorio del Vietnam del sud.
Una delegazione condotta dal past. André Lew
della CIMADE, l’agenzia interconfessionale
francese di soccorso, li accompagnava. Altri
organismi, quali la CIMADE e la « Società
degli Amici » (Quaccheri) della Gran Bretagna e del Canada, partecipavano a quest’azione assistenziale. Questi doni sono destinati a
tutte le vittime della guerra, appartengano
all’una o all’altra delle parti in campo.
Nel corso del 1970 la DESEAR spera di
raccogliere 500.000 dollari {oltre 300 milioni
di lire) per proseguire l’azione di soccorso al
Vietnam; 300.000 dollari saranno versati al
Servizio cristiano in Asia, programma sostenuto dalla Conferenza cristiana dell’Asia orientale; 100.000 dollari saranno stanziati per vari doni tramite la Croce Rossa nordvietnamita
e il Governo rivoluzionario provvisorio sudvietnamita; 50.000 dollari andranno al Servizio cristiano nel Vietnam, progetto sostenuto
dalle Chiese americane, e si spera di poter
devolvere la stessa somma a organizzazioni assistenziali vietnamite.
Ginevra (soepi). - La comunità negra
degli Stati Uniti ha dato due importanti contributi alla Chiesa universale:
i canti « spirituals » e la spiritualità
pentecostale. Dai suoi umili inizi in
una parrocchia negra di Los Angeles
in California nel 1906, il pentecostismo
si è espanso nel mondo intero, vera
esplosione di cristianesimo spontaneo.
Oggi, il numero dei suoi aderenti va
dai 25 ai 35 milioni.
In occasione di un recente viaggio in
USA, il teologo svizzero J. Hollenweger
segretario per l’evangelizzazione al
CEC, nel cercare di risalire alle origini
del pentecostalismo negro, ha appreso
che la teologia era trasmessa oralmente, come io era stata la tradizione biblica prima che fosse messa per iscritto. I missionari pentecostali sono andati fin nelle Antilie ed in Africa. Il loro
impegno sociale e politico e la loro ricerca di una identità negra sono mal
conosciuti sia dai pentecostali bianchi
che dagli altri cristiani americani.
Questa situazione è tanto più sorprendente in quanto il pentecostismo ha iniziato coH’essere un movimento in cui i
negri ed i bianchi erano completamente integrati fra loro, tant’è che un testimone deH’epoca ebbe a dire: « A Los
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
L’OMBRA DI STALIN
La riabilitazione del celebre dittatore sembra procedere nell’URSS
per gradi lenti ma sicuri. Recentemente è stato proiettato, in una sala cinematografica del viale Kalinin a Mosca,
un film del produttore Wouri Ozerov,
in cui sono ricostruite le vicende dell’ultima parte della seconda guerra
mondiale. Stalin, interpretato dall’attore georgiano Boutoukhi Zakariadze,
« vi appare in sei riprese, per un totale di venti minuti, al momento delle
grandi decisioni destinate a mutare il
corso della guerra: vi appare come il
grande organizzatore della vittoria.
Le prime immagini, che si vedono di
lui, lo mostrano nel suo ufficio del
Kremlino, vestito d’una lunga tunica a
collo rialzato, da maresciallo, senza
decorazioni, coi capelli bianchi, fumando la pipa con aria maliziosa, preparando il piano di battaglia insieme col
maresciallo Joukov e coi generali Antonov e Vassilevski.
Si sprigiona dal personaggio un’impressione di forza tranquilla, chiaroveggente, quasi paterna. Quando gli si
fa sapere che i tedeschi sarebbero
pronti ad uno scambio di suo figlio
Yakov, prigioniero, col maresciallo von
Paulus catturato a Stalingrado, egli,
dopo un istante d’emozione, risponde:
“Io non restituirò un soldato in cambio di un feldmaresciallo” (...) Appare
anche il figlio di Stalin, in un campo
di concentramento, che si rifiuta di
scrivere al padre per chiedergli di accettare il contratto, e ciò malgrado gli
scongiuri del generale Vlassov, passato dalla parte dei tedeschi.
Si rivede poi il “padre dei popoli”
che ordina ai propri generali di riprendere Kiev nell’anniversario della Rivoluzione, ed ancora alla cotiferenza di
Teheran con Roosevelt e Churchill.
Stalin scende dall’aereo insieme con
Molotov. (...)
Queste diverse apparizioni danno,
dell’antico dittatore, un’immagine simpatica e rassicurante (è il meno che si
possa dire). Certo altri particolari, soprattutto l'evidente paura d’un maresciallo al quale si chiede di telefonare
al Kremlino, delineano forse meglio il
personaggio, ma non occorreva forse
una mano di ferro per far trionfare la
controffensiva dell’esercito sovietico? »
« Le Monde » del 14.5.’70, dal quale
sono prese queste notizie, così commenta:
« Venti minuti. Mai, negli ultimi 15
anni, si era visto Stalin per così lungo
tempo sugli schermi sovietici! (...) V’è
dunque un partito preso di far vivere
Stalin, di umanizzarlo, d’imporne le
immagini alle folle. Come diceva un
cittadino sovietico, dopo aver visto
questa reincarnazione sullo schermo
gigante: “Il problema della riabilitazione è superato. Qggi siamo in una
nuova era: quella della piena glorificazione” ».
L’ORIENTE È ROSSO
« Krusciov disse una volta che costruire armi nucleari e missili costava
tanto che, se i cinesi avessero voluto
farlo da soli, non avrebbero avuto altri soldi con cui farsi i calzoni. Nel
1963, l’allora ministro degli Esteri Chen
Yi raccontando questa storia ad un
gruppo di giornalisti giapponesi, dichiarò che la Cina si sarebbe costruita
le armi nucleari ed i missili con o senza calzoni. Così è stato: la prima bomba atomica nel ’64, il primo missile teguidato nel ’61, la prima bomba ad
idrogeno nel '67, ed ora il primo satellite. I cinesi sono rimasti senza calzoni? L’URSS lo sperava ed era questo
il senso della posizione di Krusciov,
che contava così d’imporre, con la concessione degli aiuti sovietici, il con
trollo sull’establishment militare di
Pechino. Era questa anche l'interpretazione corrente degli americani, secondo cui la Cina, investendo nella ricerca e nello sviluppo delle armi nucleari e dei missili, non faceva altro
che perseguire i suoi piani aggressivi
ed espansionistici, condannando così
la sua popolazione alla fame ed al sottosviluppo.
Commentando la prima esplosione
nucleare, Johson disse: “È una grande
tragedia per il popolo cinese, perché
non fa altro che perpetuare la sua miseria”. Eppure le ricostruzioni fatte in
Occidente dell’economia cinese indicano che, a parte gli alti e bassi dovuti
a fattori marginali, la sua capacità di
recupero è notevole e che la tendenza
alla crescita è costante. Non solo, ma
economisti come Jack Cray dell’Università di Glasgow sostengono (v. i
"Quaderni Piacentini” dell’aprile 1970)
le scelte dell’economia cinese, fondata
sull’imp'.ego intensivo della forza-lavoro invece che sul più moderno metodo
dell’impiego intensivo di capitali, sono
state scelte sane e sagge dal punto di
vista di una corretta strategia dello
sviluppo.
Se ciò è vero, è inutile continuare a
pensare che i cinesi si stiano facendo
un arsenale atomico ed affrontino lo
spazio a costo del calzoni, cioè mantenendosi in una situazione d’instabilità
economica che potrebbe portare al tracollo, come i commentatori sovietici
sulle “Izvestia”, anche il giorno dopo
il lancio, continuano a suggerire. Allo
stesso modo è assurdo continuare a
pensare che i progressi nucleari e missilistici cinesi siano dovuti alV'americano” professor Tsien Hsue-shen, che
sarebbe andato in Cina nel 1955 portandosi dietro le formule imparate nelle Università della California e del MIT
(= Istituto di Tecnologia del Massachusels). A monte d’un’impresa come
quella del lancio del satellite non ci sotto delle formule, ma piuttosto tutta
un’organizzazione ed una tecnologia
della cui sofisticazione vari settori dell’industria cinese avevano dati esempi
(sintesi dell’insulina, progettazione di
difese radar, ecc.) e sui cui progressi
avevano recentemente testimoniato
scienziati di livello internazionale come l’inglese Kurt Mendelssohn ».
(Da un articolo di Tiziano Terzani
su « L’Astrolabio » del 10.5.’70).
Angeles, la segregazione razziale è stata lavata nel sangue di Gesù ».
Un altro pioniere del movimento, il
pastore anglicano A Boddy vedeva in
esso « qualcosa di straordinario » dato
che i pastori bianchi del Sud « desideravano ardentemente incontrare dei
negri a Los Angeles; di rimanere nella
loro comunità e di ricevere dalle loro
preghiere ed intercessioni le benedizioni dello Spirito ».
Come spiegare allora la segregazione
razziale quasi totale in seno all’odierna
comunità pentecostale? Hollenweger ritiene che si tratta del risultato delle
violente critiche elevate dalle Chiese
storiche contro il movimento pentecostale, cui esse rimproverano la troppo
modesta origine negra. « Sarebbe perciò ingiusto — egli conclude — di imputare ai pentecostali bianchi Tintera
responsabilità di questo atteggiamento.
Non hanno fatto che adattarsi alle norme del protestantesimo americano dell'epoca ».
Diverse sono le chiese pentecostali
negre. Una di esse, la « Chiesa di Dio
in Cristo » è cosciente di essere la più
importante chiesa pentecostale degli
Stati Uniti, anche se una chiesa bianca,
e cioè « Le assemblee di Dio », pretende anch’essa a detto titolo. In effetti, i
membri della chiesa di Dio in Cristo
sono il doppio delle Assemblee di Dio.
Un’altra chiesa, la « Chiesa del Dio
vivente » — afferma che la maggior
parte dei personaggi biblici — e lo stesso Gesù — appartenevano alla razza
colorata. Durante una lunga discussione con Hollenweger, i dirigenti di quêta Chiesa hanno detto fra l’altro: Poiché Gesù è un discendente di Davide e
di Abramo (che erano uomini di colore)
anch’Egli appartiene alla razza di colore. Ma nello stesso tempo, siccome
non ha padre terrestre. Egli appartiene
a tutti gli uomini, a tutta la razza
umana ».
A proposito delTimpegno sociale, il
vescovo D. Washington, della Chiesa di
Dio in Cristo, depreca che l’orizzonte
di tanti cristiani sia strettamente limitato alla Chiesa nel senso stretto del
termine. E precisa: « Invece di glorificare Cristo, facciamo propaganda per
i nostri stabili e per le nostre organizzazioni ecclesiastiche ». « Che lo si voglia o no — conclude il vescovo negro — la chiesa, sia essa tempio od
istituzione, non ha che una debole attrazione sui peccatori. Eppure Gesù
Cristo, quando viene presentato in una
giusta prospettiva, esercita un’attrazione estremamente potente sugli uomini ».
I pentecostali negri sono stati assai
colpiti dall assassinio di M. L. King e
parecchi di loro cercano di mandare
avanti la sua opera mediante la costruzione di centri di formazione professionale non esclusivamente riservata
ai cristiani e di alloggi con affitti moderati; altri vedono nell’impegno politico
e sociale — come le manifestazioni
pubbliche e gli scioperi — dei doni
dello Spirito Santo.
Questa prospettiva potrebbe in definitiva incitarli a riconoscere l’azione
dello Spirito nelle chiese non pentecostali. Se d’altra parte le chiese storiche prendono coscienza del contributodei pentecostali negri alla Chiesa universale, esse comprenderanno forse il
valore di una comunione ecumenica
con questi figli dimenticati della Chiesa.
ADELFIA
CENTRO GIOVANILE EVANGELICO
97010 Scoglitti di Vittoria (RG)
PROGRAMMA ESTIVO
1. - Campo Cadetti - 1-11 luglio 1970. Tornar
(c L’etica protestante » Responsabile : Paolo Ribet. Età: 13-17 anni. Pre?/.or
L. 9.000 -|- 1.000 di iscrizione.
2. - Campo politico - 13-25 luglio ’70. Tema:
« Nuovi termini per la questione meridionale » Responsabili : Sergio Ribet Marco Rostan. Prezzo: L. 12.000 -f- 1.000
di iscrizione.
3. - Campo teologico - 27 luglio - 8 agosto ’70.
Tema: «La vocazione cristiana, oggi».
Responsabile : Samuele Giambarrvsi.
Prezzo: L. 12.00 -1-1.000 di iscrizione.
4. - Colonia dei bambini di Riesi - 10 ago.=to
10 settembre. Responsabile. Doti. Carla
Zilocchi. Spese a carico della comunità
di Bergamo.
Iscrizioni e informazioni presso il Direttoredi Adelfia : Samuele Giambarresi - Via Cantarella, 6 - 95125 Catania - Tel. 095/22.40.25.
Gli ebrei che vogliono esein
Il 24 aprile il professore Elio Toaff. rabbino capo della Comunità Israelitica di Roma,
ha convocato i giornalisti della stampa per
dar notizia di una lettera, a lui pervenuta, firmata da un gruppo di ebrei delVUnione Sovietica. La lettera, che e indirizzata al segretario
generale deWONU Tliant, era stata consegnata
nelle mani del rabbino Toaff, dopo essere
giunta clandestinamente da Mosca.
In tale documento, di cui Toaff ha esibito
Voriginale, viene denunciato il rifiuto {mai
motivato dalle autorità sovietiche in contrasto
con la dichiarazione universale dei diritti delrUomo) di permettere agli Ebrei che ne facciano richiesta, di emigrare dalVURSS in
Israele.
Il professore Toaff ha colto l'occasione per
illustrare il grave stato di discriminazione in
cui vivono pili di tre milioni di ebrei nelVUnione Sovietica, ed ha sottolineato il serio pericolo personale cui si sono esposti i firmatari della lettera in questione, i quali hanno
anche indicato il loro indirizzo.
Il messaggio fa seguito alle numerose iniziative che. ormai sempre più di frequente,
manifestano il grado di esasperazione della
popolazione ebraica sovietica.
Questa la lettera inviata a Thant:
fc Noi, Ebrei residenti nella Russia Sovietica, ci appelliamo a Lei con una petizione
per aiutarci ad andare a vivere permanentemente in Israele. La nostra intenzione di
andare in Israele è basata solamente sul desiderio di vivere tra la nostra gente, insieme
iiJitiiiiiiiiiiiiititiiiiiiiiiiiiiiiiimmiiimiiimmiiiiiiiMiiiiiiiimmmtiiiii'iiiimiiif ..un..... ...
.................................................................
A Ivrea, domenica 24 maggio
Dedicazione del nuovo tempio
La data del 24 maggio sarà una data
speciale nella storia della nostra comunità. Dopo anni di attesa, e naturalmente di discussioni, il nuovo tempio
valdese di Ivrea esiste e sta per essere
inaugurato.
Il termine « inaugurazione » è improprio tanto per la forma quanto nel suo
contenuto. Preferiamo dire semplicemente che il nuovo tempio sarà « dedicato » al servizio di Dio c degli uomini, nella speranza che quel « servizio » si manifesti oggi e negli anni che
verranno con atti di fedeltà, di ubbidienza e di gratitudine.
Il programma della giornata comprende due incontri essenziali;
Alle ore 10,30 il culto presieduto dal
moderatore della chiesa valdese, past.
Neri Giampiccoli.
Alle ore 15; una riunione per l’ascolto di brevi messaggi di amici e delegati
di altre comunità. Parleranno il pastore
dr. Hermann Noltensmeier, delegato
della società Gustavo Adolfo per la Germania Occidentale, il past. Mario Sbaffi, presidente della Federazione delle
Chiese evangeliche in Italia, il nostro
fratello Angelo Arca a nome del Comitato locale prò tempio, il pastore
Roberto Nisbet per il II Distretto ecclesiastico ed alcune altre persone.
La Corale della chiesa valdese di Torre Pellice parteciperà al culto del mattino ed alla riunione del pomeriggio.
Saranno certamente con noi molti
amici e fratelli in fede di altre comunità, oltre ai gruppi della Diaspora. Nel
salone sottostante e nelle sale TUnione femminile organizzerà il bazar e un
servizio ristoro.
La comunità tutta si sente impegnata, in uno spirito di preghiera e di collaborazione, affinché la giornata del 24
maggio sia benedetta dal Signore e possa essere segnata da una chiara, gioiosa
fraternità cristiana. Ermanno Rostan
Direttore responsabile: Gino Conte
ai nostri parenti e familiari. Tutta la nostra
esperienza di vita tra un popolo straniero dimostra che nessun’altra cultura e nessun’altra
via nazionale può prendere il posto della nostra cultura ebraica e della nostra naturale
vita nazionale ebraica e non esiste nessuna
terra straniera che possiamo chiamare nostra. La nostra Patria non è nella terra dove
per caso siamo nati, la nostra Patria è li
dov’è nata la nostra gente, è la terra di Àbramo, di Isacco e di Giacobbe, la terra da cui
è sorto il popolo ebraico, ed è soltanto questa
terra, la culla della storia e della cuìtura
ebraica, che possiamo chiamare la nostra.
Perciò non c’è nessun motivo di trattenerci
forzatamente, noi Ebrei che desideriamo ritornare nella nostra Patria.
tc I nostri molti anni di esperienza nel presentare petizioni per la partenza per Israele
dimostra una completa mancanza di comprensione per le nostre volontà nazionali da parte
degli organi responsabili per l’emissione di
visti per emigrare.
« Tutti gli Ebrei che hanno firmato questa
lettera hanno sottomesso domande di emigrazione secondo le regole stabilite dall’OVIR
(Ufficio dei visti e delle registrazioni del Ministero degli Interni), molti di noi vi hanno
fatto appello varie volte.
« Ciononostante, tutte le domande per emigrare terminano con lo stesso risultato, un
rifiuto verbale, senza spiegazioni.
« Gli altri principi, riconosciuti dalla direzione Sovietica, dichiarati nello Statuto Generale per i Diritti dell’Uomo e del Patto sulTAbolizione di tutte le forme di Discriminazione Razziali e che fanno anche parte di
dichiarazioni individuali dei dirigenti sovietici, ci danno una speranza che non esistano
ostacoli di principio contro il nostro rimpatrio.
Noi speriamo che gli altri principi ed il
prestigio dclTONU permetteranno la soluzione
del problema per il nostro rimpatrio in
Israele ».
(« Settegiorni », 3-5-1970)
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