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DELLE WII VALDESI
BIBLIOTECA VALDESE
1006Ô TORRE PEIL ICE
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 110 - Nmn. 36
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TORRE PELLICE — 14 Settembre 1973
.Amm.: Via Cavour, 1 bis - 10066 Torre PeUice - c.c.p. 2/33094
Il Consiglio ecumenico delle Chiese ha 25 anni
11 riformatore ginevrino Caivino avrebbe mai pensato e
sperato che quattrocento anni più tardi cristiani venuti
dalia maggior parte delle Chiese del rdondo si raccoglierebbero sotto il pulpito dal quale era solito predicare più
volte la settimana, nella cattedrale Saint-Pierre di Ginevra?
Eppure, la domenica 26 agosto erano oltre un migliaio riuniti là per cantare, come lui, la gloria di Dio e per confessare il proprio impegno al servizio della Sua causa. Era il
culto solenne, ritrasmesso in Eurovisione, con il quale si
celebrava il 25° anniversario della fondazione del Consiglio ecumenico delle Chiese. Ai delegati del Comitato centrale del CEC, riuniti dal 22 al 29 agosto per la sessione annuale, si erano uniti molti cristiani di Ginevra e d'altrove,
e a un uditorio attento, che la cattedrale stentava a contenere, la predicazione della Parola di Dio è stata rivolta dal
pastore Philip Potter, il segretario generale del CEC.
Leggere a pag. 2 e 5 una serie di
servizi sui lavoti del Comitato centrale del CEC.
Nella sua predicazione, nel culto commemorativo, il
pastore Potter ha richiamato a vivere l’Oggi di Dio,
che viene a giudicare il nostro oggi.
m MARGINE A UN CONVEGNO CATTOLICO
ivangelo e diritto
Il 10 settembre s'è aperto a Milano
presso l'Università cattolica il secondo
congresso internazionale di diritto canonico. Si tratta di un avvenimento di
rilievo sia per il numero (circa 300)
s il valore dei partecipanti (i migliori
competenti in materia, non solo tra i
canonisti ma tra i teologi ) sia per il
momento delicato in cui ha luogo:
da un lato la cosiddetta « contestazione ecclesiale », con la sua forte componente anti-istituzionale e anti-giuriclica, non accenna a diminuire né d'intensità né di qualità; d'altro lato si sono moltiplicate negli ultimi tempi le
prese di posizioni critiche del pontefice e della curia romana contro i cattolici dissidenti.
Ma anche nei settori del cattolicesimo non dissidente di orientamento
progressista si sono manifestati e affermati, specialmente dopo il Concilio, nuovi punti di vista sul ruolo del
diritto e della legge nella vita della
chiesa. Vi sono oggi dei cattolici disposti a riconoscere che l'unico diritto veramente canonico, cioè normativo, nella chiesa è l'Evangelo, e lottano
perché questa concezione trovi ascolto
tra i membri della gerarchia.
In proposito non si deve dimenticare che il progetto curiale di una nuova
«legge fondamentale» ( lex fundamentalis) della chiesa cattolica — di
chiara ispirazione e concezione conservatrice — ha dovuto di recente essere accantonato a motivo della opposizione incontrata : anche se il progetto è stato solo accantonato e non
abbandonato, resta significativo il fatto che le forze di opposizione siano
riuscite a bloccarlo, almeno provvisoriamente. Anche se si trattasse di
una vittoria solo momentanea, sarebbe ugualmente importante: essa rivela che un numero imprecisato ma comunque cospicuo di cattolici tende,
nella vita della chiesa, a dare il primato agli aspetti carismatici su quelli
istituzionali, ai rapporti fraterni su
quelli gerarchici, alla « legge della libertà » (Giacomo 1 : 25) sulla legge
dell'ubbidienza.
Com'è noto Paolo VI ha istituito già
da qualche anno una commissione per
la riforma del diritto canonico, presieduta dal cardinale Pericle Felici. Si prevede che non si tratterà di una riforma, cioè di una profonda revisione,
ma di uno svecchiamento e aggiornamento. Riformare il diritto canonico
significherebbe non solo rifondere totalmente le singole leggi ma ripensa
re alla radice il senso e il ruolo del
diritto nella vita della chiesa.
Al riguardo non si può dimenticare
che Lutero, quando bruciò con un rogo pubblico la bolla papale che, condannava certe sue dottrine, diede alle
fiamme anche altri libri tra cui il codice di diritto canonico. Narra lo storico Bainton che il 10 dicembre 1520
Melantone diramò un invito a studenti e docenti dell'Llniversità per una
riunione alle dieci del mattino alla
porta di Elster, dove, come rappresaglia per i roghi dei libri di Lutero
avvenuti in vari luoghi, si sarebbero
date alle fiamme le costituzioni papali,
il codice canonico ed opere di teologia scolastica. Lutero gettò tre le fiamme anche la bolla papale. E giustificò
in questi termini i
bruciato i miei libi
Il codice canonico
.uo atto : « Hanno
, 9 io brucio i loro,
stato incluso, per
ché fa del papa un d^o in terra. Finora
ho solo scherzato ccm questa faccenda
del papa. Tutte le mie proposizioni
condannate dall'Anti isto sono cristiane. Ben di rado i papa ha vinto
un avversario con lo .Scrittura o la
ragione ».
In sostanza, dando ..ille fiamme il
codice di diritto canoi co, Lutero affermava che nella chie a cristiana non
ci può essere altra legge fondamentale, canonica, che quella costituita dall'Evangelo. Ci auguriamo che questo
punto di vista trovi rriolti sostenitori
anche al congresso di Bologna.
Paolo Ricca
Ginevra (soepi) - Nella sua predicazione il pastore Potter, ricordando che
il tema comune a tutte le letture bibliche scelte per quest’occasione era
1’« Oggi », ha mostrato che, pur riconoscenti per un passato ricco di esperienze e di azioni comuni, si tratta in primo luogo di vivere l’Oggi di Gesù Cristo, il quale « viene a giudicare e a mettere in questione il nostro "oggi", il
tempo nel quale viviamo ». Infatti se il
fondamento della nostra esistenza e
della nostra comune vocazione a essere partners di Gesù Cristo è nella sua
Parola e nella sua opera, spetta a noi
prendere « profondamente sul serio
questo messaggio e il compito che ne
deriva: renderlo vero "oggi" ».
Per questo occorre scoprire che la
volontà di Dio « è di liberare ogni uomo, qualunque siano i suoi legami, affinché conosca una pienezza di vita,
per sé e per gli altri ». Il compito dei
« partners di Cristo » si situa nella storia e ha un carattere universale; ma è
anche una responsabilità pubblica e
politica, poiché riguarda il suo Regno.
« La vita nella sua totalità, l'umanità
nel suo insieme, ecco i limiti del nostro
impegno ecumenico, ecco l’Oggi di Gesù Cristo ».
Perciò il Consiglio ecumenico e le sue
Chiese devono preoccuparsi, ovunque,
della povertà, deH’oppressione, dell’accecamento, della disperazione. Ma ciò
sarà possibile soltanto « se siamo pronti a vedere i nostri "oggi” spirituali,
morali, ecclesiastici e politici trasformati affinché diventino l’Oggi di Dio ».
« Ecco quel che Gesù vi chiede: accettate che Dio vi liberi, per diventare
suoi strumenti, e liberate i vostri fratelli gli uomini e questo mondo che
egli ha creato concludeva il pastore
Potter. ' ...... “
Questo culto commemorativo, ritrasmesso in Eurovisione (n.d.r.: non in
Italia, però!), in occasione dei 25 anni
del CEC recava il segno evidente e voluto della diversità e della continuità
del movimento ecumenico. Con le letture bibliche fatte da cristiani dei diversi continenti, si è voluto indicare
che le Chiese formano una comunità
mondiale. Le preghiere liturgiche che
riprendevano le grandi affermazioni
delle Assemblee mondiali che il CEC ha
convocato dopo la sua costituzione, ad
Amsterdam, nel 1948, e la presenza dei
due ex segretari generali, i pastori
Willelm Visser ’t Hooft e Eugene Carson Blake, e di numerosi delegati che
III
Un manifesto cristiano uscito clandestinamente dalla Corea del Sud
Proclamare liberamente la verità
è il solo modo di annunciare il Regno
di Dio
Nell’ottobre 1972, in vista di elezioni che si sono rivelate
una farsa tragica, assicurando un menzognero successo plebiscitario al regime al potere, il presidente sudcoreano Park
Chung Hee aveva preso una serie di misure radicali — fra
le quali la sospensione della Costituzione, lo scioglimento
dell’Assemblea nazionale e la riorganizzazione del governo
per assicurarsi un dominio senza restrizioni —, portando
il suo paese a un terrorismo poliziesco di Stato, a una sorveglianza totalitaria finora ineguagliati, anche nell’ultimo
periodo del pur corrotto regime di Syngman Rhee; non se
n’erano avuti esempi che nella brutalità del periodo coloniale giapponese, precedente la seconda guerra mondiale.
Iriizialmente la reazione dei cristiani a questo trattamento di ’rianimazione’ d’ottobre è stata un silenzio sospettoso.
L’ostinato rifiuto opposto dai dirigenti cristiani alle autorità che facevano pressione su loro affinché si pronunciassero pubblicamente a favore delle decisioni governative è
stato interpretato come un loro giudizio negativo contro il
governo.
Tuttavia, risulta ora che si va manifestando fra un numero crescente di cristiani coreani una forma più attiva di
resistenza: ne è esempio e dimostrazione un documento
uscito clandestinamente dalla Corea e riprodotto dalla rivista “Christianity and Crisis" di New York; ne pubblichiamo
qui appresso il testo, com’è riportato, in larghi stralci, dal
soepi.
Il docunrento acquista un’attualità particolare nel momento in cui sta per aprirsi (18 settembre) l’annua sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite: varie nazioni, soprattutto asiatiche, intendono riproporvi il problema
della permanenza di forze delle Nazioni Unite (in larga misura statunitensi) nella Corea del Sud e richiedere il loro
ritiro, mentre gli USA, la Corea del Sud e una ventina di
altre nazioni si preparano a opporvisi; all’Assemblea sarà
proposta pure l’ammissione simultanea delle due Coree alle Nazioni Unite: una misura caldeggiata dal presidente
sudcoreano e nella quale i nordcoreani vedono una manovra di boicottaggio nei confronti dei colloqui per la riconciliazione e la riunificazione che, patrocinati quasi un anno
fa dalla Croce Rossa Internazionale, si sono però trascinati
fiaccamente, senza risultati consistenti.
In questo contesto, questa voce cristiana va ascoltata:
non ci è dato sapere di quale base, e quanto ampia, sia
l’espressione, ma non si può non avvertire il fondamento
evangelico, il vigore cristiano di questa parola; e quanto è
detto, con brevi accenni, al punto 6 mostra chiaramente
che non si tratta di una parola di parte, se mai di una parola utopica: ai nonconformisti, comunque, ai veramente
non allineati, che tuttavia non per questo perdono la passione di cercare e dire la verità, il nostro fraterno rispetto.
1. - Il regime attuale della Corea ha
distrutto l’autorità fondata sulla legge
c sulla persuasione sostituendole quella
della forza bruta e della paura. La nostra comunità è caduta sotto la legge
della giungla in cui « il debole è divorato dal più forte ».
Soltanto Dio è al di sopra della legge. Il potere è stato creato da Dio e
affidato ai governanti perché la giustizia e la pace fossero mantenute nella
società umana. Chiunque si pone al di
sopra della legge e viola il suo mandato di giustizia, si ribella a Dio. Nella
tradizione orientale, è parimenti considerata come buona norma quella che
promana dal governante grazie alla
persuasione morale. Un uomo può conquistare un popolo con la spada, ma
non potrà mai governarlo con questo
mezzo.
2. - Il regime attuale ha soppresso la
libertà di coscienza e la libertà di credenza. Né esiste più libertà di parola
né di silenzio. I servizi religiosi, le riunioni di preghiera, il contenuto delle
predicazioni e delle preghiere e, sopratutto, l’insegnamento biblico sono co
G. C.
stantemente sorvegliati e ingiustamente ostacolati.
La Chiesa cristiana e le altre comunità religiose hanno il dovere di difendere la coscienza delle persone, perché
la distruzione della coscienza è un’opera demoniaca. La lotta della Chiesa di
Corea per difendere la libertà di credenza è uno degli aspetti della libertà
di coscienza di tutto il popolo.
3. - Il regime attuale in Corea, nella
sua volontà di dominare il popolo, utilizza sistematicamente l’inganno e ma(continua a pag. 8)
avevano già partecipato all’Assemblea
di Amsterdam, sottolineavano la continuità del movimento ecumenico attraverso un periodo caratterizzato non
solo da un continuo aumento del numero delle Chiese membri del CEC ma
anche da accordi di fondo su questioni di fede, da un desiderio sincero di
valutare le ragioni di quanto ancora
divide, dalla volontà di partecipare all’opera di Dio lottando contro l’ingiustizia e contro le cause della povertà.
Molte chiese cristiane, in tutto il
mondo, hanno celebrato il 25° anniversario, anche valendosi della medesima
liturgia, creando così un legame invisibile fra i continenti e le confessioni.
La nota caratteristica di queste giornate è stato fappello a manifestare
senza timore la fede in Dio, la fiducia
nel suo Spirito che rinnova le Chiese.
Come diceva il salmista, « Oggi conoscerete la Sua potenza, se siete pronti
ad ascoltare la Sua voce ».
Il Consiglio
della CEVAA
riunito a Torre Pellice
La mattina di martedì 11 settembre,
alle 8, la sala della Foresteria Valdese
di Torre Pellice offriva un quadro singolare: una cerchia multirazziale di
una trentina di persone circondava il
tavolo di pietra dal quale il pastore
Giorgio Tourn predicava l’Evangelo e
invitava a partecipare alla Cena del
Signore.
Con questo culto, insieme ad alcuni
fratelli valdesi, i membri del Consiglio
della Comunità Evangelica di Azione
Apostolica (CEVAA) hanno voluto iniziare la loro sessione annuale, per la
quale quest’anno avevano scelto come
sede Torre Pellice, e il quadro accogliente della Foresteria. Oltre al gruppo di segreteria e traduzione simultanea (la CEVAA è quasi totalmente
francofona, ma i rappresentanti della
Chiesa evangelica del Lesotho e della
Chiesa unita dello Zambia sono anglofoni), una ventina di cristiani sono convenuti a Torre Pellice dall’Africa, dal
Madagascar, dal Pacifico e dall’Europa
in rappresentanza di varie Chiese
evangeliche operanti nei seguenti paesi: Camerún, Dahomey, Francia, Gabon, Germania, Italia (ricordiamo che
il pastore Franco Davite rappresenta
la Chiesa Valdese nel Consiglio della
CEVAA), Lesotho, Nuova Caledonia,
Polinesia francese. Svizzera, Togo,
Zambia.
Riferiremo prossimamente sui risultati di questa settimana (11-19 settembre) di lavori e sui riflessi che potranno e dovranno avere sulla vita della
Chiesa Valdese. A pagina 3 i lettori
troveranno, intanto, con una serie di
dati comparati relativi alle varie Chiese costituenti la famiglia della CEVAA,
un’intervista con il segretario teologico della CEVAA, il pastore togolese
Seth Nomenyo.
I temi essenziali affrontati sono stati
quelli di Bangkok, la grande conferenza missionaria del gennaio scorso, di
cui abbiamo ripetutamente parlato; il
segretario generale della CEVAA, il pastore Victor Rakotoarimanana, simpaticamente noto a varie nostre chiese dopo la sua visita della scorsa primavera, ha presentato il rapporto d’insieme, mentre ogni Chiesa ha riferito
sulla propria vita e i propri problemi.
Ovviamente anche le questioni organizzative e finanziarie occuperanno
una parte della settimana. Domenica
è stata predisposta una ’dispersione’
degli ospiti in varie chiese nelle Valli
e a Torino, secondo questa tabella di
marcia:
Bobbio Pellice: past. Jacques Maury, presidente della Chiesa Riformata di Francia.
Torre PeUice: past. Harry Henry, Chiesa protestante metodista del Dahomey e Togo;
past. René Blane, presidente della Chiesa
evangelica luterana di Francia; past. Samuel Nang Essono, moderatore della Chiesa evangelica del Gahon.
Angrogrut: past. Georges Morier-Genoud, segretario generale del Dipartimento missionario delle Chiese protestanti della
Svizzera romanda.
Rorà: past. Daniel Curtet, Chiesa evangelica
del Vaud.
San Giovanni: past. Seth Nomenyo, Chiesa
evangelica del Togo, segretario teologico
della CEVAA.
(continua a pag. 3)
2
pag. 2
A TTUAUTÀ EOUMEMICHE
N. 36 — 14 settembre 1973
A TORRE PELLICE IL 23 E IL 24 AGOSTO, DUE GIORNATE
DI STUDIO E DIBATTITO ORGANIZZATE DALLA EGEI
Protestanti itaiiaiH e dissenso cattolico
Le sfide dei 25 anni del CEC
(segue da pag. 5)
Nel corso degli ultimi dieci
Queste due giornate di incontro tra
protestanti italiani e dissenso cattolico
hanno visto raccolte nell’aula sinodale
della Casa Valdese circa una settantina di persone.
Giorgio Girardet ha aperto la prima
riunione con la sua relazione: un’analisi storica del dissenso.
La contestazione cattolica, nata ufficialmente nel 1967 con l’occupazione
della Università Cattolica di Milano, si
vide ben presto affibbiato il termine di
Dissenso che più volte, invano, rifiutò.
Oggi questo termine indica i Gruppi,
le Associazioni e le Riviste per i quali
è qualificante il nome di Cattolici e di
Cristiani, ma per i quali non è qualificante l’obbedienza all’autorità. Il dissenso vede quindi il suo sviluppo nel
tempo della contestazione giovanile negli anni 1968-1969. Sono anni in cui i
gruppi spontanei sorgono numerosissimi; l’Italia intera ne pullula. I più famosi sono II Vandalino (Torino), Il Lorenteggio (Milano), L’Isolotto (Firenze), Resurrezione (Firenze).
Ripetutamente si cerca un contatto
tra questi gruppi, ma un vero e proprio punto di arrivo si raggiunge solo
al Convegno di Roma nel 1972. Il convegno di Roma ribadisce la scelta di
classe come tema fondamentale, provocando una selezione fra i gruppi, separando così quelli più specificatamente liturgisti, ma ancora di più stabilisce che questa posizione deve portare ad avversare l’istituzione. Negli
ultimi due anni la situazione si è notevolmente maturata. Con la formazione
del Movimento 7 novembre si è dato
maggior peso ai contatti tra singoli
credenti.
Quali sono le componenti del dissenso? Esiste una prima matrice sorta dalla borghesia cattolica illuminata, aperta alle speranze del Concilio. Le riviste
(Il Gallo, Il Tetto, Testimonianze) hanno contribuito alla sua formazione e,
soprattutto, ad una sua presa di coscienza ecclesiale.
La seconda matrice è costituita dai
preti che rappresentano un ceto di
struttura medioevale. Spesso essi assumono una posizione di leaders nelle comunità. I preti sono presenti, oltre che
nelle comunità e nei gruppi, anche nel
Movimento 7 novembre, sorto il 25
aprile 1972, che accoglie singoli credenti « dissenzienti ». Dal quadro del
dissenso sono completamente assenti
le suore.
Una terza matrice è quella formata
dal cattolicesimo popolare, quello degli operai immigrati, dei preti di formazione o estrazione operaia come R.
Borgetto. È proprio da questo tipo di
cattolicesimo popolare che sono partiti
gruppi come L’Isolotto di Firenze o come quello di Conversano presso Bari.
Svariate sono le tematiche affrontate dal Dissenso: Il Vietnam, l’obiezione
di coscienza, il problema della violenza
e della non violenza, la chiesa dei poveri, il problema della lettura biblica
sfociato nel catechismo dell’Isolotto.
F. Gentiloni ha espresso la richiesta
di aiuto che il Dissenso cattolico fa al
protestantesimo italiano, un aiuto che
si dovrebbe manifestare nei seguenti
punti: a) lettura della Scrittura, b) impegno politico, c) che cosa significa essere comunità.
La lettura biblica, ha affermato Gentiioni, rischia di essere infantile dopo
secoli di assenteismo, essenzialmente
per quattro motivi: 1) per la ricerca
degli appoggi alle teorie che si vogliono perseguire, 2) dando alla Scrittura
delle interpretazioni affrettatamente
politiche, 3) considerando la Bibbia conte un manuale che fornisce un’ideologia, 4) rischiando di eliminare la lettura scientifica della Bibbia. Il Dissenso
chiede quindi una lettura della Bibbia
critica, scientifica, ma insieme di fede,
fatta per i singoli cristiani e non soltanto per gli « addetti ai lavori ».
Che cosa significa essere comunità.
E un punto importante ed urgente da
risolvere. I gruppi del Dissenso sentono la necessità di essere Comunità,
evitando i rischi del « parrocchione »
ed anche del gruppetto isolato. Ecco
quindi alcune proposte pratiche: 1) conoscersi di più; 2) avere delle attività
in comune.
Paolo Ricca ha esposto gli interrogativi teologici ed ecclesiali del protestantesimo italiano al cattolicesimo del
dissenso. Gli interrogativi teologici sono raggruppabili intorno ai 3 Temi del
Dissenso: 1) liberazione, 2) scelta di
classe, 3) rapporto Parola-storia.
Il primo tema profondamente biblico è anche quello centrale. Prendendo
i testi del Movimento 1 novembre, P.
Ricca ha posto il seguente interrogativo: « Non pare ai cattolici del Dissenso che il contenuto evangelico dell’annunzio del rnessaggio di liberazione sia
posto meno in luce in confronto alle liberazioni storiche? ». Egli ha inoltre affermato la necessità di una maggior
presa di coscienza nei confronti di Dio
come liberatore.
L’analisi della seconda tematica ha
portato alla formulazione di questo interrogativo: « La scelta di classe può
valere come forma sostanziate dell’esistenza cristiana? ». Forse, ha sottolineato P. Ricca, sarebbe meglio dire
che la lotta di classe è il contesto in
cui alcuni cercano la forma sostanziale dell’esistenza cristiana.
La terza problematica indica come le
Scritture assumano un valore specifico
per le Comunità di base. Dall’analisi
della letteratura del Dissenso vengono
messi in rilievo i seguenti interrogativi:
1) 1 fratelli del dissenso non considerano deleterio avallare l’idea della
Parola cristallizzata nella Bibbia e vivente nella Storia? Si finisce con il sostituire la nostra parola a quella di Dio.
2) Fermo restando il rapporto dialettico tra Parola e Storia e il fatto
che nessuna lettura della Bibbia può
essere astratta, i fratelli del dissenso
ritengono che il valore normativo della
parola debba essere messo in questione e perché?
3) Non potrebbe essere meglio caldeggiata l’azione dello Spirito Santo?
— Premettendo che il Dissenso, mirando alla costruzione di una chiesa diversa intesa non come antitesi ma come liberazione di quella attuale, fa una
scelta corretta, l’analisi che i fratelli
del Dissenso hanno fatto dell’Istituzione della Chiesa Cattolico - Romana
(esauriente dal punto di vista politico
e sociale), è sufficiente o non è forse
carente sotto altri aspetti come ad
esempio quello teologico?
— Il movimento ha tenuto abbastanza conto della tematica della Riforma protestante del XVI secolo?
— È sufficiente considerare la Chiesa come umanità aperta al Cristo quando la Bibbia presenta la comunità aperta alla confessione del Cristo?
Alfredo Sonelli, partendo dall’esposizione di Gentiioni, e di Ricca, ha
compendiato gli interventi evidenziando i limiti del dissenso.
Riconosciuta Qregina come il luogo
teologico dei problemi della chiesa locale dopo il Concilio, ne ha tracciato alcuni limiti visibili nei rapporti con
il P.C.I., con le masse. Qregina corre
un grosso pericolo, come tutti i gruppi
di minoranza, il settarismo. Concludendo, l’obiettivo che si propone il Dissenso ^ cattolico non è la costruzione di
un’altra chiesa, ma di una chiesa altra.
Vi è una necessità impellente di recuperare i valori dello Spirito Santo, un
continuo invita a farsi nuovi come viene suggerito dalla Parola, non attraverso una ricerca intimistica, ma attraverso un’apertura verso la società.
Erika Tomassone
Una mozione dell XI sessione di formazione ecumenica organizzata dal SAE
Eucarestia, matrimonio e famiglia
Il Segretariato Attività Ecumeniche
(S.A.E.), associazione di laici cattolici
impegnati a favorire l’unità dei cristiani, ha promosso la sua XI sessione di
formazione ecumenica.
I partecipanti si sono incontrati a
Napoli per prendere in esame il tema
generale: Eucaristia e unità.
La trattazione
e stata suddivisa in
argomenti particolari ed affidata a nove gruppi di studio. Dal IV gruppo,
che ha studiato il problema particolare dell’Eucaristia in rapporto al matrimonio e alla famiglia, è emersa la
seguente mozione che l’assemblea generale ha poi fatta propria.
nnii Formazione Ecumenica tenutasi a Na
poli dal 29 luglio al 4 agosto 1973 sul tema EUCARISTIA E UNITA’, udita la reazione e le conclusioni del Gruppo di Studio « ¡Eucaristia, Matrimonio e FamiterconfessionalT^'^^^*^^ attenzione alla complessa situazione dei matrimoni in
prendono atto che resta tutt’ora irrisolto il problema della comunione
unica fra i coniugi di diversa confessione cristiana;
sono convinti che la comunione eucaristica tra coniugi, anticipando in
una prospettiva dinamica 1 unione di tutti i cristiani, dà pieno significato alla
portatrice, secondo le Scritture, deU’immagine di
Uio (Gen. 1. 27) e, quando interconfessionale, evidenza drammatica del frazionamento della cristianità; iiuziu
rilevano perciò con gioia la decisione presa dal Vescovo di Strasburgo
Mons. L A. Elchinger - in sede pastorale, ed in virtù della reciprocità insita
nella natura del dialogo ecumenico — di concedere alla parte cattolica facoltà
di partecipare alla Santa Cena protestante;
manifestano l’urgenza di chiedere ai responsabili delle chiese in Italia un
sollecito esame del medesimo problema, che anche da noi va facendosi sempre piu pressante. E questo in virtù di opportune soluzioni pastorali che pondolorose lacerazioni delle coscienze cristiane dei coniugi
alla sofferenza della fedeltà evangelica della coppia ed alla tormentata catechesi dei figli;
sentono di poter avanzare questa richiesta sia per l’apertura ecumenica
di tutte le chiese sia per la nuova realtà che la famiglia cristiana presenta alla
società ed alla Chiesa oggi, sia perché nella coppia interconfessionale ravvisano la chiamata dello Spirito Santo ad inserirsi nella compagine dell’attuale cristianità come elemento profetico della cristianità unita di domani.
Napoli, 4 agosto 1973.
rvn u —Ulti;, anni, il
SifliUo costruttivo nel
contlitto Est-Ovest grazie alla parteci
pazione attiva delle Chiese degli Stati
socialisti’ ma quel conflitto perdura
invece oppone il Nord al Sud,
invece’ ha una portata assai più grave
Non solo le storie delle due rfgfoni
differiscono, ma lo squilibrio fra le
vane culture e strutture sociali è mol
traTNnrT‘“f c relazioni
teriz^tl n ®*^te carat
terizzate, negli ultimi cinque secoli
dallo sfruttamento economico, dal dcs
razziatele 'h^ii!- • ‘^l^^riminazione
H ‘iall imposizione di una cultura, da parte del Nord, grazie a una
tecnologia e a un armamento superion. 11 rnovimento missionario dilagato
da Nord a Sud non ha affatto atteluato il carattere di queste relazioni
zion=Ììe®®!itn°”® Cpnsiglio internazionale delle missioni nel Consiglio
ecumenico e stato un atto di grande
saggezza politica, che ha fadlitato
questa partecipazione e ha permesso
relazioni tra le Chiese
del Nord e quelle del Sud. Le sue conseguenze non sono state però prese
abbastanza sul serio né dal Nord
aai bud. La nostra comune fede cristiana e 1 vincoli stretti esistenti fra
gh organismi missionari occidentali e
le Chiese del Sud hanno reso possibiavvicinamento, che non
sarebbe affatto normale in alcun organismo mondiale. D’altro lato, però le
possibilità di dialogo così create fanno SI che il conflitto tende a intensificarsi.
Risulta chiaro che le Chiese non si
sono ancora pienamente adattate alle
dimensioni mondiali del movimento
ecumenico. Inoltre si teme che i contlitti con cui siamo alle prese distruggano la nostra comunità fraterna anziché consolidarla.
Credo fermamente che ci è offerta
Ja possibilità, come mai finora, di apprezzare il valore universale della fede cnstiaria in tutta la sua diversità
di espressione, e di esserne arricchiti.
In questa prospettiva non possiamo
Ignorare le situazioni nelle quali il testo dell’Evangelo è proclamato e vissuto. Non vi è vero ffiovimento ecumenico se non siamo alle prese con le
aspre realtà che viviamo, alle quali le
Chiese partecipano e che manifestano
nelle loro divisioni di ordine confessionale e culturale. La sola via, per
noi, è entrare in questi conflitti per
superarli e uscirne, sapendo che siamo tutti soggetti allo stesso Signore
e alla stessa Parola e quindi ancfc gli
uni agli altri.
Il Consiglio ecumenico dovrebbe essere una comunità fraterna nella quale viviamo, sottomessi alla Parola di
Dio e alla sua azione in Cristo, con
coraggio e in preghiera, un confronto
che ci permetta di abbandonarci, di
correggerci e di rinnovarci reciprocamente e di procedere insieme e separatamente, nella gioia, sostenuti dalla
potenza del Cristo risorto.
Sul piano della comunicazione, il
fossato che separa ciò che avviene a
livello mondiale, regionale e nazionale da un lato, e a livello locale dall’altro, è ancora maggiore. L’ecumenismo
è considerato un affare straniero, eccentrico. In vari luoghi i gruppi di
vocazione ecumenica sono spesso considerati con sospetto, persino con ostilità.
Queste riflessioni sollecitano la domanda: quali sono i compiti che attendono il movimento e il Consiglio
ecumenico negli anni a venire? Desidero citare tre preoccupazioni di fondo: conciliarità e unità, teoria e pratica teologica, ¡1 CEC organo di comunicazione.
CONCILIARITA’ E UNITA’
L’anno scorso, nella Lettera alle
Chiese abbiamo affermato: « Dobbiamo imparare a considerare in modo
più approfondito, a tutti i livelli della
vita della Chiesa, la natura e lo scopo
del processo conciliare che ha caratterizzato la vita della Chiesa nel corso
dei secoli e nel quale cerchiamo di
impegnarci nuovamente ».
Non c’è che un'unica base di unità
e di conciliarità: Gesù Cristo che ha
riunito l’umanità divisa a prezzo della sua sofferenza e della sua morte vicarie. La nostra unità dipende da conte siamo uniti a Cristo. Una conciliarità e una crescita vera nell’unità possono attuarsi soltanto se rispondiamo
all’appello inequivoco a credere in
Cristo e se siamo disposti a lasciar morire le istituzioni e strutture storiche
tenaci (comprese quelle del CEC) che
ostacolino il disegno di Dio per il suo
popolo, affinché le nostre Chiese e i
nostri consigli ritrovino vita.
In questo processo dovremo essere
liberati dalla ricerca ad ogni costo di
un consenso e di una linea d’azione
comune. Ciò che importa non è l’unanimità, ma la comunicazione nella collaborazione e nel conflitto, con occasioni di correzione reciproca e di comunione.
Il maggiore servizio che le Chiese e
il movimento ecumenico possono rendere a un mondo diviso, sarebbe vivere una comunità fraterna credibile in
mezzo ai conflitti e alle diversità dei
nopoli e delle società di cui le Chiese
fanno parte. Una forma di conciliarità
veramente multiculturale, multilingue,
multiconfessionale potrebbe diventare
una grande fonte d’arricchimento, di
incoraggiamento e di conoscenza approfondita del disegno di Dio. Il pro
blema è se il CEC, come si è costituito e come funziona attualmente, favorisce effettivamente questo tipo di conciliarità e d’unità.
TEORIA E PRATICA TEOLOGICHE
Ho già attirato la vostra attenzione
sulle critiche formulate da varie Chiese, che deplorano la mancanza di riflessione teologica in seno al movimento ecumenico e in specie al CEC.
Sarebbe facile confutare queste accuse e rispondere citando il largo ventaglio di riflessione teologica in cui di
fatto il CEC s’impegna (Fede e Ordinamento, Missione, Dialogo, Chiesa e
Società, studi sulTHumanum, studi biblici, Simposio sulle teologie nere e
latino-americane di liberazione. Istituto ecumenico).
Ma se il valore normativo dei vecchi modi europei di fare teologia, scolastici, procedenti per deduzione, è
stato messo giustamente in discussione, non abbiamo trovato nuove formule di teoria e di pratica teologiche,
che ci permettano di tener conto della più ampia diversità degli schemi
culturali, linguistici, di pensiero, di
cui abbiamo preso coscienza, come pure della dinamica del processo azioneriflessione che la nostra fede cristiana
ci impone.
Non abbiamo ancora sviluppato una
sensibilità spirituale che ci permetta
d’identificare e apprezzare modelli di
riflessione teologica altri da quelli che
si rivestono di forme verbali e concettuali. E non ci siamo ancora occupati del fatto che i nostri sviluppi teologici sono carichi di presupposti ideologici. Il dialogo con gli adepti di credenze e ideologie del nostro tempo
può aiutarci a giungere a una nuova
comprensione di questi presupposti e
a una nuova purificazione della nostra
fede attraverso la testimonianza di altri uomini.
Forse stiamo imparando faticosamente che la teologia nasce da una
lotta accanita, nell’azione, contro le
realtà del peccato sotto tutte le sue
forme mutevoli e della grazia in tutta la varietà della sua ricchezza e della sua potenza. Ciò esige da noi una
spiritualità e un’umiltà che rischiano
assai di mancare sia alle nostre Chiese sia al CEC. La nostra preparazione
alla prossima Assemblea rivelerà ■ se
impariamo a far teologia in questo
modo.
PRIORITÀ’
ALLA COMUNICAZIONE
Il problema del movimento ecumenico, oggi, è quello della comunicazione, cioè riguarda il modo in cui il popolo di Dio partecipa al movimento
ecumenico nell’ascolto reciproco, condivide le conoscenze e le esperienze,
approfondisce le relazioni nell’interesse di una vita e di una testimonianza
conformi all’Evangelo nel mondo
odierno. Come imparano e come s’informano, la maggior parte dei membri delle nostre Chiese? Come superano atteggiamenti spirituali, pregiudizi,
posizioni superate? Come discernono
ciò che è nuovo e creativo e ciò che
non è altro che effimero ’dernier cri’?
Come si aprono all’idea di ricevere e
condividere la loro fede con i rappresentanti di culture diverse dalla loro?
Abbiamo pure scoperto che le difficoltà che incontriamo nel finanziare le
operazioni necessarie del CEC — è essenziale, se esso deve proseguire le
sue attività in modo adeguato e senza
sottoporre a una tensione eccessiva i
suoi collaboratori già sovraccarichi —
sono appunto imputabili all’assenza di
comunicazione soddisfacente fra le
Chiese, da una parte e fra le Chiese e
il CEC, dall’altra. Dobbiamo prestare
con urgenza viva attenzione ai mezzi
che permettano al CEC di diventare
un organo di comunicazione fra le
Chiese che cercano di rispondere alla
loro comune vocazione.
Visto nella prospettiva della storia
lunga e tumultuosa delle Chiese, un
periodo di 25 anni è assai breve. Possiamo permetterci di lanciare « du.i
hurrah » celebrando l’opera merai igliosa che Dio ha compiuto con il suo
Spirito Santo, in noi, sue creature fragili e recalcitranti. Siamo sicuramenie
sulla via dell’ecumenismo. Sono cerio
che nei due anni che ci separano dal
nostro viaggio a Giakarta, proceder.:mo in questa discussione in modo da
dare un impulso nuovo al movimento
ecumenico e all’opera del Consiglio
ecumenico.
Philip Potter
segretario generale del CLC
Le principali decisioni e raccomandazioni
votate in occasione della riunione di Ginevra
Circa il problema della violenza e
della nonviolenza, si tratta di una sfida lanciata a tutti i cristiani di « mostrarsi più saggi e più coraggiosi nel
tradurre il loro impegno verso Gesù
Cristo con un più specifico impegno —
sociale e politico — verso la giustizia
sociale e, in questa prospettiva, di trovare il loro posto di servitori del Signore, al fianco di seguaci di altre
ideologie preoccupati della libertà e
dell’affermazione dell’uomo ». Nel documento adottato dal c.c. il CEC invita Chiese e cristiani a « partecipare
più coraggiosamente all’azione nonviolenta mirante a sostenere gli oppressi ».
« Gesù Cristo libera e unisce »: questo il tema in vista della V" Assemblea
del CEC che avrà luogo a Giakarta, in
Indonesia, nel luglio 1975. Il programma comprenderà sia sessioni di lavoro che riunioni delle varie sezioni su
questioni attuali, quali la ricerca dell’uomo per la comunità, le lotte per
la liberazione e i problemi relativi allo sviluppo umano, la qualità della vita e il dilemma tecnologico. È stata
accolta la proposta di pubblicare un
opuscolo preparatorio in varie lingue,
che possa servire da studio e da guida
alle Chiese, prima e durante l’Assemblea.
Per quanto riguarda il bilancio per
il 1974, esso è stato approvato nella
cifra di un miliardo e quattrocento
milioni circa (in lire), e vale a dire
grosso modo corrispondente a un 10%
in più rispetto al 1973. Il rapporto del
Comitato delle finanze ha chiesto che
le Chiese-membro vengano informate
che sarà necessario un aumento minimo del 50% delle contribuzioni delle
Chiese stesse a partire dal 1976, se si
vogliono mantenere tutte le attività
del CEC.
Nella sua risoluzione sul Vicino
Oriente, il c.c. ha invitato tutte le Chiese-membro a impegnare i propri fedeli a « mobilitare tutti i loro sforzi e
a dar prova di immaginazione al fine
di trovare mezzi di impegno attivo suscettibili di cambiare una situazione
di disperazione in una situazione di
speranza per tutti i popoli che vivono
in quella regione ».
Il c.c. ha deciso che una documentazione più completa sugli investimenti
delle Chiese precederà l’approvazione
di principio dell’istituzione di investimenti aventi lo scopo di favorire lo
sviluppo dei paesi poveri. La decisione finale verrà comunque presa nel
corso della prossima riunione annua
del C.C., nell’agosto 1974.
Circa la questione dei disertori e
obiettori portoghesi (n.d.r.: si tratta
di decine di migliaia di giovani che,
già militari oppure di leva, rifiutano
il servizio alle armi in opposizione alla politica colonialista portoghese) il
CEC ha approvato un programma mì
servizio a favore dei profughi, prngrarnma che necessiterà di 60 miliori
di lire all’anno. Sulla base di una dichiarazione approvata ad Uppsala nc{
1968 il c. c. ricorda alle Chiese che esse devono dare tutto il loro appoggio
materiale e spirituale anche a coloro
che rifiutano di prender parte a guer
re alle quali la loro coscienza vieta di
partecipare. Inoltre il c. c. ha raccomandato che la CCAI (Commissione
delle Chiese per gli Affari Internazionali) studi, nel quadro del suddetto
programma, i rapporti del Portogallo
colla NATO e con la CEE.
Relativamente al Fondo di ricostruzione e di riconciliazione in Indocina '
il c. c. ricorda alle Chiese che, sul previsto impegno di 3 miliardi di lire, solo la metà scarsa è stata raggiunta
dalle Chiese stesse. È stato chiesto loro di impegnarsi maggiormente onde
non tardare troppo la messa in opera
di questo programma così importante
e necessario.
Quanto al Programma di lotta al
razzismo, il c. c., in vista della sua
scadenza e del suo rinnovo il prossimo anno, deciderà successivamente
sui modi di prosecuzione del Programma stesso e a tale scopo è stato chiesto al segretario generate Potter di
preparare un documento per i] prossimo Comitato Centrale, a Berlino. Intanto è stato compilato e distribuito
un secondo elenco di aziende che investono o che commerciano coi paesi
razzisti sudafricani. La lista comprende 342 società australiane, belghe, canadesi, francesi, neozelandesi, svedesi
e della Germania federale.
Sui rapporti colla Chiesa cattolica,
si ritiene vi sarà nei prossimi anni
una certa collaborazione specie nel
campo della società e dello sviluppo,
dell’educazione e della missione. Una
« collaborazione più fraterna » è pure
attesa fra le organizzazioni di soccorso e di servizio del CEC e della Chiesa cattolica.
Infine, è stato ratificato l’ingresso
nel CEC delle seguenti Chiese: Comunità « Lumière » (Zaire); Comunità
Mennonita (Zaire); Gereja Kristen Protestan Simalungen (Indonesia); Chiesa ortodossa giapponese.
^ Ricordiamo ai lettori che attualmente anche il « fondo di solidarietà » del nostro settimanale è parzialmente destinato al suddetto scopo. Le offerte vanno inviate al conto
corrente postale n. 2/39878, intestato a Roberto Peyrot. corso Moncalieri 70. Torino,
indicando la causale del versamento (aiuti per
l’Indocina o programma di lotta al razzismo).
3
f
14 settembre 1973 — N. 36
pag. 3
La C. E.V.A.A. in cifre
Camerún
Pop. 5.836.000
P.N.L. a testa L. 117.650
UNIONE DELLE CHIESE BATTISTE
15.000 Membri
41 pastori — 65 evangelisti
CHIESA EVANGELICA
142.000 Membri (100.000 donne)
100 pastori, 460 candidati, evangelisti
Questi due gruppi di chiese, dopo periodi travagliati
durante le due guerre mondiali e ia rivolta dei Bamileke, sono ora in piena espansione e consolidamento.
Dahonrisv Pop. 2.708.000
udnomey p l a testa l. 59.150
CHIESA PROTESTANTE METODISTA
48.000 Membri
15 pastori
L’Azione Apostolica Comune prosegue una opera di
evangelizzazione nella regione abitata dai Fan. Problema: come integrare i nuovi convertiti nelle vecchie comunità.
Fi-anria Pop. 50.775.000
rrdiiuid pfjL. a testa L. 2.028.000
CHIESA DELLA CONFESSIONE DI AUGUSTA
DI ALSAZIA E LORENA
240.000 Membri
240 pastori
CHIESA RIFORMATA
320.000 Membri
600 pastori
CHIESA EVANGELICA LUTERANA
50.000 Membri
64 pastori
CHIESA RIFORMATA DI ALSAZIA E LORENA
50.000 Membri
69 pastori
CHIESE RIFORMATE EVANGELICHE
INDIPENDENTI
11.000 Membri
25 pastori
Queste chiese sono le eredi dirette della Società delle
Missioni di Parigi. Il loro sforzo porta verso un cambiamento di mentalità delle comunità: abbandonare
vecchi concetti dell'opera missionaria, e capirne l’importanza sul piano mondiale.
fíahnn 4^9.000
p N.l. a testa L. 260.700
CHIESA EVANGELICA
40.000 Membri (2/3 donne)
21 pastori, 13 candidati e evangelisti
Travagliata da una scissione dolorosa ancora in atto, questa chiesa è messa pure a dura prova dalla
continua emigrazione dei contadini verso le città.
Il-olia Pop- 53.667.000
P.N.L. a testa L. 1.153.000
CHIESA EVANGELICA VALDESE
26.000 Membri
88 pastori
La C.E.V.A.A. è generalmente poco conosciuta fuori
delle Valli.
Pop. 923.000
P.N.L. a testa L. 59.790
Lesotho
CHIESA EVANGELICA
65.000 Membri
44 pastori, 296 evangelisti
Una vecchia chiesa, però ancora piena di vitalità
poiché deve rifiutare nuove ammissioni alla scuola
pastorale dove ci sono già 22 studenti, per mancanza di locali.
Madagascar
Pop. 7.310.000
P.N.L. a testa L. 86.460
CHIESA DI GESÙ’ CRISTO
120.000 Membri
400 pastori, 300 evangelisti-catechisti
Questa Chiesa, unita da pochi anni, vive ora questa
unità nel concreto, risolvendo a poco a poco i problemi da essa creati, e cerca di realizzare la sua identità
e indipendenza nei confronti dello stato.
Pop. 130.000
P.N.L. a testa L. 238.700
Nuova Caledonia
CHIESA EVANGELICA
18.000 Membri
50 pastori
In primo piano fra le preoccupazioni di questa chiesa
ci sono: l’aggiornamento dei pastori, Talcoolismo, il
matrimonio e altri problemi sociali.
Pop. 109.000
P.N.L. a testa L. 1.238.250
Polinesia Frane.
CHIESA EVANGELICA
75.000 Membri
48 pastori
Lo sforzo principale tende alla migliore preparazione
di pastori. Le relazioni colla Chiesa Cattolica sono
piuttosto difficili.
CwÌ77ai>o Pop. 6.280.000
svizzera pj^L a testa L. 2.175.000
DIPARTIMENTO MISSIONARIO DELI.E CHIESE
PROTESTANTI DELLA SVIZZERA ROMANDA
7 Chiese fanno parte di questo dipartimento che sostiene assieme alla CEVAA numerose altre opere, come le Chiese Presbiteriane del Mozambico, dell’Africa del Sud, del Ruanda, in India ecc., sparse in tutti
i continenti del mondo.
Tqqq Pop. 1.956.000
P.N.L. a tes:a L. 91.780
CHIESA EVANGELICA
60.000 Membri
49 pastori, 20 candidati
Questa chiesa è impegnata in un gru ' de sforzo per
l’evangelizzazione del Nord del paese, la valorizzazione del ministero delle donne nel campn sociale, e l’approfondimento della vita spirituale dei pastori.
Zambia
Pop. 4.136.0U0
P.N.L. a testa L. 1.074.500
CHIESA UNITA
50.000 Membri
75 pastori
Da quando l’unione della chiesa è stesa realizzata, essa prosegue il cammino in amichevois collaborazione
col governo (il presidente K. Kaunda è membro della Chiesa Unita). Essa tende gradualm, iste a una completa autonomia finanziaria.
NOTE
1. Le cifre sulla popolazione (Pop.) e il prodotto nazionale lordo (P.N.L.) a testa, sono tratte dal
« World Bank Atlas » del 1972.
2. Tutte le somme in denaro sono in Lire italiane.
3. Le indicazioni sulle singole chiese soiic molto incomplete per mancanza di spazio. L’Ei >-Luce ha
cominciato a pubblicare notizie più complete (p. e.
sullo Zambia, il Madagascar e la Polinesia) e intende continuare a farlo nei prossimi mesi.
CONTRIBUZIONI DELLE CHIESE PREVISTE PER IL 1973
Lire
Chiese Francesi
Chiese Svizzere
Chiese del Camerún
Chiesa Metodista, Dahomey
Chiesa Evangelica, Gabon
Chiesa Evangelica, Lesotho
Chiesa di Cristo, Madagascar
226.002.140
253.929.580
1.560.000
910.000
260.000
312.000
1.430.000
Chiesa Evangelica, Polinesia
Chiesa Evangelica, Nuova Caledonia
Chiesa Evangelica, Togo
Chiesa Unita, Zambia
Chiesa Valdese, Italia
E.A.G.W.M., Germania
Varie
Lire
10.725.000
1.787.500
1.040.000
538.200
3.250.000
44.330.000
2.808.000
TOTALE: Lire 548.882.420
Milioni
52
TABELLA I — ANALISI DELLE SPESE DELLA C.E.V.A.A. PER IL 1973 — Totale 549.900.000
Spese concernenti i 225 europei mandati ad aiutare le singole chiese.
j Sussidi alle chiese e spese della C.E.V.A.A. (amministrazione, ecc.).
~ ^ A.A.C. = Azione Apostolica gestita direttamente dalla C.E.V.A.A.
45,5
39
32,5
26
19,5
13
6,5
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O
Un’intervista con il pastore Seth Nomenyo, del Togo,
segretario teologico della CEVAA
La riflessione teologica
nei vivo deii'impegno missionario
Come i nostri lettori sanno, è in corso di svolgimento, a Torre Pellice,
la riunione annuale del Consiglio direttivo della CEVAA (Commissione evangelica di azione apostolica). Per oltre una settimana, i responsabili delle chiese africane, del Madagascar, del Pacifico e d'Europa,
impegnate in questo lavoro missionario comune, si riuniscono nel quadro della Foresteria Valdese per fare il punto sulla situazione e per
fissare i piani di lavoro per l’avvenire. Ricordiamo che il rappresentante della nostra chiesa in questo Consiglio è il pastore Franco Davite. L’Eco-Luce darà senza dubbio un’ampia informazione sui lavori
del Consiglio della CEVAA. Non abbiamo tuttavia voluto perdere l’occasione di chiedere al pastore Seik Nomenyo, segretario teologico
della CEVAA, di parlarci un po’ del suo lavoro specifico e così essenziale in seno a questo organismo, così come di esprimere il suo parere
circa l’avvenire auspicabile della collaborazione tra le varie Chiese ed
una brevissima impressione sulla conferenza di Bangkok alla quale
egli ha partecipato e di cui avete già avuto notizia sulle nostre pagine.
Ecco le domanda che il pastore Giovanni Conte ha posto al nostro
gradito ospite e le risposte che ne ha ricevuto.
^ Può dirci in che cosa consiste esattamente il suo lavoro di segretario
teologico della CEVAA?
Nell’articolo 6 dello statuto della nostra organizzazione gli scopi di quest’ultima sono così definiti: essa deve
« condurre una riflessione continua sul
significato delLEvangelo e sulla missione della Chiesa, stabilire una politica generale di azione apostolica ed
assicurare una unità d'azione ». Per
poter assolvere questo compito la Comunità ha ritenuto opportuno di nominare un responsabile a pieno tempo, in grado di vegliare su questo
aspetto primordiale dell’esistenza della CEVAA. Il mio lavoro non consiste
però nel riflettere per conto mio al posto delle chiese ma nel provocare e stimolare questa riflessione in seno alle
chiese. A causa della forte disseminazione delle chiese-membro della CEVAA e della mia residenza abituale in
Africa mi è impossibile di avere dei
contatti personali continui con ciascuna di esse. Ecco perché il Consiglio
della CEVAA ha nominato, per ognuna di queste chiese, dei corrispondenti che avrebbero dovuto permettermi
di seguire e di coordinare meglio la
riflessione teologica svolta a questo riguardo sul piano locale. Dico avrebbero, perché in realtà, trattandosi di persone già sovraccariche di lavoro, il loro contributo è stato meno ricco di
quanto sperato. Ecco perché il Consiglio della CEVAA esaminerà quest’anno la possibilità di nominare degli animatori della riflessione teologica che
possano lavorare a pieno tempo in
ognuna delle nostre chiese.
ciò avviene la CEVAA diventa l’espressione effettiva di una nuova visione
missionaria per le chiese interessate.
^ Cos'è che l’ha maggiormente colpito in occasione della sua partecipazione alla Conferenza di Bangkok
che si è appunto occupata dei problemi della missione e dell’evangelizzazione della Chiesa cristiana?
In una conferenza come quella di
Bangkok, dove convergono delegati
tanto numerosi e tanto diversi per
cultura, confessione, razza, venendo da
paesi tanto diversi per situazione e
per problemi ambientali, è giustificato
il timore che non si riesca a trovare
un « linguaggio comune ». Ciò che mi
ha colpito, invece, è che nei vari gruppi di studio biblico la Parola di Dio
giungeva a noi in modo tale da parlare ad ognuna delle nostre situazioni
precise e da darci il sentimento di
una convergenza impedendo alla nostra diversità di farci perdere di vista
la missione comune che il Signore mette dinanzi a noi. La stessa cosa è avvenuta nei vari gruppi di lavoro sugli
svariati sottotemi della conferenza. La
comunione profonda dataci dalla Parola di Dio ci permetteva di affrontare
veramente in comune i problemi dibattuti e di elaborare una risposta comune ben al di là di qualsiasi documento sapientemente concordato e stilato e concretamente collegata alle situazioni precise che stanno dinanzi alle nostre chiese.
Questa mi pare essere stata l’esperienza più positiva che ho fatto nel
corso di quell’incontro.
%
13,2
0,3 3,9
10,8
12,9
4,9
7,1
6,2 10,3
1,8
5,9 2,1 8,3 6,8 5,5
I
^ In questi giorni, uno dei gruppi di
lavoro del Consiglio sulle “nuove
strutture dell’opera missionaria’’ ha
riflettuto sulla necessità di stabilire
dei "rapporti adulti” tra le chiesemembro della Comunità. In che modo pensa che ciò potrà essere realizzato?
Si tratta di stabilire delle relazioni
basate sulla più completa reciprocità.
Per dei secoli le chiese d’Europa hanno dato, mandato uomini e così via.
Si tratta ora per loro di scoprire la
possibilità nuova di ricevere dalle chiese del Terzo mondo. Quanto alle chiese d’oltre mare, tanto abituate a ricevere, esse devono realizzare che sono
ora chiamate anche a dare.
A livello di lavoro missionario ciò
significa che si tratta di fare opera comune. La CEVAA comincia a dar corpo a questa aspirazione. Essa infatti
chiama le chiese a studiare i problemi posti dalla loro missione, a prendere le decisioni che si impongono, a
pianificare il lavoro, ad assumere la
propria responsabilità ed a finanziare
l’opera insieme, dando loro uno strumento per realizzare questo programma. Tuttavia — e me ne sono reso personalmente conto facendo un’esperienza in questo senso nel quadro della
Chiesa Evangelica del Togo — tutto
ciò rimane un pio desiderio finché le
comunità locali, la base per dirla con
un termine corrente, non accetta di
compiere questa riflessione e di iniziare questo cammino comune. Quando
Il Consiglio
della CEVAA
riunito a Torre Pellice
(segue da pag. 1)
Pinerolo: past. Doyce Musunsa, segretario generale della Chiesa unita dello Zambia.
S. Germano: past. Samuel Raapoto, presidente della Chiesa evangelica della Polinesia
franeese.
Pomaretto: past. Joseph Ramanbasoa, presidente della Chiesa di Gesù Cristo nel Madagascar.
Perrero: past. Christian Schmidt, presidente
del Consiglio sinodale della Chiesa riformata d’Alsazia e Lorena.
Frali: Past. E. Y. Awume, segretario sinodale della Chiesa evangelica del Togo.
Torino: past. Eugène Hotz, Chiesa riformata
evangelica di Neuchâtel, presidente della
CEVAA; past. Victor Rakotoarimanana,
Chiesa di Gesù Cristo nel Madagascar, segretario generale della CEVAA.
Ci rallegriamo vivamente per questa
larga presa di contatto e perché il
Consiglio della CEVAA ha tenuto ad
averla. Un collegamento profondo _ è
pure creato dal fatto che è stato chiesto al pastore Giorgio Toum di guidare gli studi biblici con i quali ogni
mattina, dalle 8 alle 9, si apre la giornata di lavori: la profezia di Amos viene così riascoltata e meditata comunitariamente.
In attesa di maggiori particolari,
grazie ai fratelli venuti fra noi, e un
augurio molto vivo per il lavoro di
queste dense giornate e per la vita delle Chiese nelle quali presto ritorneranno e che ci hanno fatto sentire più vicine.
Ungheria: una cappella
alla memoria di M. L. King
(soepi) La Chiesa battista d’Ungheria
ha dedicato a Szeged una cappella alla
memoria di Martin Luther King, premio Nobel per la pace. In quest’occasione ha ricevuto un telegramma del
padre del leader americano assassinato, anch’egli pastore battista, e una lettera della vedova, signora Coretta King.
Il culto inaugurale è stato presieduto
dal presidente della Chiesa battista di
Ungheria, past. Janos Laczkovszki,
mentre la predicazione è stata tenuta
dal past. Sandor Palotay, vicepresidente del Consiglio ecumenico delle Chiese
in Ungheria.
4
pag.
LA CHIESA E LA SUA MISSIONE NF.T, MONDO
N. 36 — 14 settembre 1973
Lettera introduttiva
Un tentativo modesto
per raggiungere il cuore
di chi ha il potere
13 aprile 1972
Sono stufo di incontrare ogni giorno
la sofferenza, stufo di rivolgermi all’autorità senza ottenere alcun risultato.
Ma non voglio abbandonare la lotta.
Proverò un metodo nuovo colla speranza che porterà frutti migliori che delle
semplici parole. Durante i prossimi sei
mesi proverò io stesso di vivere con 5
Rand (circa 3.800 lire) al mese. Questa
è la somma con cui si suppone che un
vecchio pensionato africano possa vivere (un bianco nelle stesse condizioni
riceve 41 Rand, circa 30.750 lire). Ogni
mese manderò al Ministro una lettera
aperta spiegandogli cosa uno sente vivendo in quelle condizioni.
Prego Dio perché in questo modo
molto modesto io possa raggiungere il
cuore di coloro che hanno l'autorità e
questi possano rimediare a quella che è
certamente una situazione che sfida le
nostre coscienze cristiane.
V lettera
Alla fame
in un paese ricco
15 maggio 1972
Dopo aver spiegato in che cosa
consistono le razioni di cibo che
può avere con le 123 lire giornaliere a sua disposizione (R. 0,16 e
mezzo), e cioè 4 cucchiai di farina di mais, 3 cucchiaini da té di
minestra, 8 di latte ecc., il Russell continua:
Realizzo che può sembrare assurdo
che scriva a voi. Ministro di gabinetto,
a proposito di cucchiaini di minestra
e di cucchiai di farina di mais, ma, disgraziatamente, la verità è che le vite
di migliaia (milioni) di persone in questo nostro ricco paese sono basate su
tali minime quantità, e anche meno.
Per di più siete voi. Signor Ministro,
Fuomo responsabile di quelle vite.
Cominciando questi sei mesi a 5 R.
al mese, desidero sottolineare la differenza fondamentale che esiste, tra me
e un residente di Dimbaza che vive con
la stessa somma. Le differenze psicologiche sono fondamentali. Ho cominciato l’esperimento con una meta, un proposito, e qualche speranza, e soprattutto sapendo che il mio cammino non
è soltanto assunto volontariamente, ma
è temporaneo. Se fossi disperato, so
che ho degli amici che verrebbero subito a provvedere alle mie necessità.
Ma per i residenti di Dimbaza le loro
condizioni sono quelle normali di vita,
senza proposito o speranza di uscirne,
e senza certezza di essere aiutati da altri.
Ho l’intenzione di invitare altri bianchi Sud Africani ad unirsi a me, anche
soltanto per una settimana o due... Domanderò loro di scrivere le loro esperienze e fare qualche commento, come
piacerà loro.
Ho ancora speranza, perché credo
che abbiamo in comune certe credenze
cristiane. Forse non giungerò al vostro
cuore, ma Dio può farlo. Prego ogni
giorno per voi, e anche per me, perché
ho altrettanto bisogno di Lui.
2“ lettera
L’apartheid in manata sniccinla
L’inganno
dei Bantustans
15 giugno 1972
Mentre scrivo questa lettera bevo un
bicchiere di acqua calda, che sostituisce il té per coloro che avete ridotto a
questa povertà sterilizzata. Dicono che
l’acqua calda aiuta a calmare la fame.
Ho scoperto che sono pronto a consumare voracemente, d’un colpo, le razioni che ricevo, senza esserne soddisfatto. Quanto capisco meglio, adesso,
perché i residenti di Dimbaza spesso
finiscano le loro razioni molto prima
del giorno in cui devono riceverne delle altre. Confesso che mi è capitato di
fare lo stesso.
Alle volte mi sento molle e stanco,
svogliato e senza gusto per la vita. Che
coloro che biasimano i poveri « perché
non hanno iniziativa, sono pigri, e non
si preoccupano di aiutarsi da sé », si
fermino un po’ a riflettere. Gli effetti
snervanti di questa dieta mi rendono
pigro e senza desiderio di preoccuparmi del mio stato. Ho provato di pregare per ricevere forza. Anche durante la
preghiera il mio pensiero era rivolto
al cibo, il desiderio concentrato su un
cibo sufficiente.
Ma non è di cibo soltanto che ho bisogno. Fa freddo oggi. (Era allora l’inverno nell'Africa del Sud. N.d.t.). Ho
addosso due magliette, due maglioni,
la camicia e la giacca. Mi è difficile capire come i residenti di Dimbaza ce la
facciano, particolarmente quando si rifiuta di dar loro regolarmente razioni
di petrolio o qualche altro combustibile.
Siete voi. Signor Ministro, e i vostri
collaboratori che agite cosi verso i poveri di questa terra, prendendoli e costringendoli a risiedere nei « Bantustan
Resettlement Townships » (le nuove città residenziali per i Bantu). Il vostro
vice ha detto in Parlamento che « questa gente è stata portata via dalle cave
di ghiaia, di sotto agli alberi e da un
La politica di segregazione delle razze, la famosa Apartheid — praticata dal governo della Repubblica dell’Africa del Sud, mirante alla separazione
più completa possibile delle razze, salvaguardando
però gli interessi dei bianchi, e nei limiti in cui la
mano d’opera africana è necessaria alla vita economica del paese — viene praticata su tre piani.
Sul piano politico con l’esclusione degli africani da
tutti gli organi direttivi del governo, eccetto nelle
riserve indigene; sul piano economico con la discriminazione nell’impiego, per cui i neri vengono
esclusi sistematicamente a partire da un certo livello; e sul piano sociale, delimitando rigorosamente
nelle città i quartieri residenziali per le due razze, e
dividendo le terre in zone riservate esclusivamente
agli uni o agli altri.
È in queste zone riservate agli africani, chiamate nel Sud Africa ’’Bantustan”, che, secondo la teoria alla base dell’Apartheid, deve verificarsi lo sviluppo di una cultura e civiltà africana, distinta da
quella occidentale, importata dai bianchi. Una certa autonomia è stata concessa alle autorità locali,
seppure sempre sotto la diretta sorveglianza del governo centrale.
Da alcuni anni le autorità sudafricane hanno
cercato di risolvere il problema dei bassifondi sorti
alla periferia di tutte le grandi città, dove prosperano fra gli africani la malavita, la prostituzione e il
commercio illecito dei liquori. A questo provvede
una legge che predispone la creazione di ’’Resettlement townships”, centri di risistemazione urbana
nella zona bianca o in una delle riserve africane:
cioè la creazione di centri urbani dove tutti gli africani, la cui presenza nelle città o comunque nelle
zone destinate ai bianchi non è giustificata, vengono
forzatamente trasferiti, alloggiati e aiutati con sus
sidi e razioni alimentari, almeno finché abbiano trovato modo di provvedere per sé e la famiglia con i
propri mezzi. Alle persone anziane viene concessa
una pensione di 5 Rand. Il Rand, l’unità monetaria
del Sud Africa, suddivisa in centesimi, valeva nel
1972 circa 750 lire.
Dimbaza, uno di questi centri per la sistemazione
degli^ africani, si trova nei sobborghi di King William’s Town, nella riserva africana del Ciskei.
La ’’International Review of Mission” del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Dipartimento per la
Evangelizzazione e la Missione) ha pubblicato nel
suo ultimo numero ( Voi. LXII, n. 247, luglio 1973)
un documento molto interessante, che illustra in
modo concreto e impressionante la situazione degli
africani trasferiti in quel centro, creato circa sei
anni fa. Un pastore bianco della Chiesa Anglicana,
il rev. David Russell, dopo avere cercato invano di
far presente alle autorità della Repubblica e in particolare al ministro incaricato degli affari indigeni,
le condizioni ingiuste e deplorevoli nonché le sofferenze dei residenti di Dimbaza, decise nell’aprile
1972 di provare un nuovo metodo. S’impegnò a vivere per 6 mesi con 5 Rand al mese (circa 3.800
Lire) e di inviare ogni mese una lettera aperta al
ministro, dicendogli come procedeva il suo esperimento.
La serie completa di queste lettere è stata pubblicata quasi integralmente dalla Rivista, e ne offriamo qui alcuni stralci più significativi, affinché
possiamo renderci conto di quello che è l’Apartheid
in moneta spicciola”. Nella traduzione abbiamo
usato la 2“ persona plurale, per essere più fedeli al
testo, poiché l’Inglese non usa il ”tu” e il ’’Lei”.
Roberto Coisson
6“ lettera
Gesù piange
sulla nostra città
Un pastore anglicano sudafricano vive per 6 mesi con 5 Rand (circa 3.800 Lire)
mensili, la pensione che il governo versa agli anziani nelle riserve « bantù », e
scrive al ministro per gli affari indigeni e ai colleghi delle chiese riformate per
descrivere via via quel che prova e sollecitare il loro intervento.
pò dappertutto ». Sì, ho aiutato una famiglia che era prima alloggiata in una
cava vicino a Queenstown, ma creare
l’impressione che la maggioranza di
queste persone sia stata così « salvata », è un grosso inganno.
Lo so che c’è miseria non soltanto a
Dimbaza; c’è miseria là donde i suoi
residenti sono venuti. Però il fatto che
essi siano stati costretti dalla legge dei
bianchi e dalle circostanze in cui si
trovavano, a diventare dei rifugiati nella loro propria terra, non muta le razioni in vigore a Dimbaza in un atto
di generosità.
La verità è certamente questa. Signor
Ministro, che voi siete deciso a spostare gli africani nei « Bantustan » al minor costo possibile, anche se ciò significa ridurli a sussistere a mala pena.
Non è questa una violenza subdola e
insidiosa? Iddio abbia misericordia
verso di voi. Signor Ministro. Forse
non sapete quel che fate.
3" lettera
Dio, nel suo amore,
non vi dia pace...
15 luglio 1972
A proposito di un vecchio pensionato che è stato minacciato di
un processo penale per non aver
pagato l'affitto della sua casa a
Dimbaza, ("Intention to institute
criminal procedure in respect of
non-payment of rent"), dove risiede perché obbligato così dalla
legge, il pastore Russell scrive al
ministro.
Come altri a Dimbaza egli è molestato e minacciato perché non paga l’affitto di R. 2,80 al mese per la sua casa.
Come può mai un pensionato pagare,
quando la media delle pensioni sociali
concesse agli africani è circa R. 5 al
mese?
Più in là prosegue:
I cinque rand coi quali ho vissuto
questi ultimi 3 mesi, mi lasciano in migliori condizioni che la maggior parte
dei residenti di Dimbaza. Ciò nondimeno mi sento stanco... È un pò come se
scontassi una pena in prigione: conto
regolarmente i giorni. La mia vita è
concentrata sullo stomaco... i miei amici osservano il cambiamento.
Che Dio, nel suo amore, non vi conceda pace di spirito, fintanto che non
abbiate liberato i poveri dall’essere costretti a pagare un affitto, e che non
abbiate assicurato a chi lavora una rimunerazione giusta e sufficiente.
Aspetto con speranza la vostra risposta.
4* lettera
Chi porta i pesi,
i bianchi o i neri?
15 agosto 1972
È come se fossi diventato vecchio
prima del tempo. L’altra mattina mi
sentivo troppo debole per riordinare
le coperte del mio letto, perciò decisi
di aspettare a dopo aver mangiato
qualcosa, che mi desse un pò di energia.
È così quando si vive con 5 Rand al
mese. La maggior parte della gente di
Dimbaza ne ha meno ancora. È questo
Forribille fatto che mi eccita e mi spinge a continuare. Si dice che perdo il
mio tempo scrivendovi; che non risponderete alle mie suppliche. Sarà poi
vero?
L’autore delle lettere fa poi allusione al fatto che certe dichiarazioni ministeriali sembravano
indicare che il governo centrale
avesse l'intenzione di trasferire
le responsabilità amministrative
e finanziarie per il funzionamento dei villaggi di risistemazione
creati nei Bantustan, dal governo
centrale ai governi locali, come
per esempio a quello del Ciskei
dove si trova Dimbaza. Cita la
parola di un ministro che avrebbe dichiarato che questa soluzione avrebbe alleggerito il peso che
grava sulla popolazione bianca.
Il Russell commenta:
Per quanto mi risulta, i neri del Ciskei non hanno mai chiesto la creazione
di queste nuove agglomerazioni — né
sono mai stati consultati a questo riguardo. Si dice volentieri da queste
parti: « Dimbaza iyakhataza» — Dimbaza è un peso gravoso... Chi dunque
ne porterà il peso finanziario? Il governo bianco desidera rinnegare « i suoi
figli illegittimi »: i centri di risistemazione?
Dopo aver ricordato quanto i
Bantustan sono poveri e sottosviluppati perché non hanno i fondi necessari per uno sviluppo
normale il Russell esclama:
Che sgomento quindi sentire gente
in autorità parlare di alleviare il peso
dalle spalle dei bianchi, quando « le
pietre stesse » gridano perché venga
alleviato il peso paralizzante che grava
su quelle dei neri di questa terra. È
cosa conosciuta che i bianchi del Sud
Africa godono pienamente di uno dei
livelli di vita più alti nel mondo, e si
sa perché.
Se ho detto qualche cosa che possa
irritarvi, vorrei domandarvi di capire e
riconoscere che la mia breve esperienza
di vita con 5 R. al mese ha acutizzato
e messo a fuoco la mia consapevolezza
di quanto sia iniquo che dei bianchi,
che si dicono cristiani, accettino che vi
sia una tale miseria, e mantengano rigidamente la discriminazione che ne
perpetua l’esistenza.
Io vi prego. Signor Ministro, di dichiarare pubblicamente che non si creeranno più dei centri di risistemazione
urbani vicino a queste povere città
(nelle riserve indigene n.d.t.)-, che invece si provvedano le case necessarie vicino alle grandi città (nel territorio riservato ai bianchi, n.d.t.), dove ci sono
possibilità di lavoro; che venga nominata una commissione per stabilire
quali fondi sarebbero necessari per
creare posti di lavoro rimunerativo per
coloro che già sono stati sistemati in
centri simili a Dimbaza.
Se credete che abbia esagerato, posso dire soltanto questo: provate di vi
vere con 5 R. al mese in mezzo a gente che vive nelle stesse condizioni e anche peggio, e comincerete a scoprire
che ho detto quello che è la realtà per
quelli di Dimbaza e altri posti peggiori.
5° lettera
Come i cani,
anzi peggio
15 settembre 1972
Ho vissuto con 5 R. al mese, durante
qupti ultimi 5 mesi, e li ho trovati lunghi e tetri. Ho subito una tensione che
non credo di poter sostenere molto più
a lungo.
Ultimamente la stampa ha assicurato
che sono stati fatti dei miglioramenti
nei centri di risistemazione. Certo ci
sono stati, e il contrario sarebbe assolutamente intollerabile e tremendo. Però è tristemente evidente che tanti di
questi « miglioramenti », di cui si parla,
sono cose che avrebbero dovuto esistere già 5 anni fa (quando furono istituiti i centri, n.d.t.), scuole, acqua potabile, pavimenti in cemento, un nuovo ambulatorio, un altro campo per il rugby,
il telefono.
Tutte queste cose sono ben accette,
eppure il fatto che si possa vantarsi di
avere provveduto a questi servizi essenziali, significa senz’altro confessare che
abbiamo nel Sud Africa due norme di
vita ben distinte (una per i bianchi e
l'altra per i neri, n.d.t.)...
Quando alcuni bianchi si unirono a
me per provare di vivere con le razioni rnensili date ai neri a Dimbaza, ricevetti una lettera da una giovane signora che, aspettando un bambino, non
poteva certo provare personalmente
questa dieta severa. Invece volle provare un esperimento con un cane che le è
particolarmente caro. Normalmente
essa spende mensilmente 8 R. per nutrirlo, ma per 30 giorni lo razionò in
modo da spendere 2,50 R. Questo è il risultato secondo la sua descrizione:
« Posso soltanto dire che il mio bell’animale sembra ora negletto, più magro, e la sua ricerca continua nella pattumiera, mentre mi guarda miseramente come per chiedere, mi ricorda costantemente la vostra fame e quella di
migliaia di famiglie africane ».
Qualcuno si scandalizzerà forse che
si faccia un simile esperimento con un
cane. La terribile verità è che noi
biarichi stiamo facendo un esperimento
simile^ su degli esseri umani, le cui necessità non possono certo es.sere paragonate a quelle dei cani.
Vi ho scritto spesso supplicando che
vengano aumentati i sussidi, le pensioni e le rimunerazioni, ma non avete
fatto nulla nei riguardi di queste questioni cruciali. Ho insistito perché le
persone che avevano ricevuto un piccolo sussidio in denaro, non venissero
private delle razioni in natura. Ma avete indurito il vostro cuore come il Faraone.
Perciò credo che non ci sarebbe gran
che da guadagnare scrivendovi di nuovo. Io scriverò invece la mia sesta e
ultima lettera ai pastori delle Chiese
Riformate Qlandesi (del Sud Africa),
miei colleghi nell’opera di guarigione
di Cristo.
14 ottobre 1972
Ai Pastori
delle Chiese Riformate Olandesi
Cari colleghi nel ministero di Cristo,
« Quando Gesù si fu avvicinato, vedendo la città pianse su di lei » (Luca
19: 41). Credo che Gesù piange su questa terra quando vede Dimbaza, quando vede degli uomini soffrire a causa
di una crudele discriminazione, quando
vede noi bianchi far di Mammona il
nostro Dio, mantenendo i nostri privilegi e godendone alle spese dei neri.
Questi ultimi mesi ho scritto all’On.
M. C. Botha, Ministro per l’Amministrazione e lo Sviluppo dei Bantu, a proposito delle sofferenze e degli stenti di
coloro che si trovano nei Centri di Risistemazione Urbana, simili a Dimbaza.
Ho cercato di attirare la sua attenzione
sulla evidente insufficenza delle rimunerazioni, sussidi, pensioni e razioni.
Disgraziatamente, come il Ricco della
narabola egli ha ignorato il povero
Lazzaro alla porta: come il Levita e il
Prete è passato oltre.
Scrivo a voi, ora, sperando che dove
non sono riuscito, voi possiate riuscire. La ragione per cui scrivo specialmente a voi, pastori delle Chiese Riforniate Olandesi, non è perché credo
che i pastori delle altre chiese abbiano
« visto la luce » meglio di voi. Al contrario, sono profondamente convinto
che partecipiamo tutti alla colpa delle
nostre tragiche condizioni. Mi indirizzo a voi perché credo che voi siete in
una posizione unica, per cui avete la
possibilità di influenzare coloro che
hanno il potere di cambiare la situazione per renderla più conforme alla
morale cristiana. (La maggioranza dei
ministri e altre persone in autorità nei
Sud Africa sono membri delle Chiese
Riforniate Olandesi. N.d.t.). Sembra
che Dio abbia posto questa tremenda
responsabilità nelle vostre mani. Io
posso essere semplicemente ignorato,
non così voi. Credo profondamente che
se voi in particolare proclamaste la verità evangelica apertamente e senza ti
more a coloro che sono in autorità, agi
reste come una leva potente per il bene
del paese.
Voglio che sia ben chiaro che non
considero di essere una voce solitari.'che grida nel deserto. È proprio perdi',
so di non essere solo, che la mia spe
ranza è grandemente fortificata. Hr
avuto il privilegio in questi ultimi mt
si di incontrare e aver contatti con al
cuni pastori delle vostre chiese. Sono
convinto che lo Spirito Santo sta por
tando molti ad affrontare le ingiustizie
che permeano tutta la struttura der- ■
nostra società. Credo che molti, accettando la sfida di Cristo, in un modo
nuovo, trovano così il coraggio di pai lare apertamente, anche se ciò significa essere insultati e rifiutati.
Il tempo è scaduto. Dobbiamo salva
re i nostri fratelli bianchi che cieca
mente affermano che tutto va bene, c
cercano di nascondere le ingiustizie
dietro un paravento di cambiamenti
simbolici, per mezzo di provvedimenti
che coprono con un sottile strato di
carta le screpolature dell’ineguaglianza.
Dio ci mette in guardia contro coloro
che « curano alla leggera la piaga del
mio popolo; dicono: Pace, pace, mentre pace non v’è » (Geremia 6: 14).
Dopo aver esaminato di nuovo i
vari problemi menzionati nelle
sue lettere al ministro, e sottolineando il fatto che il caso di
Dimbaza non è isolato, ma tipico di situazioni esistenti un po'
ovunque nel paese, perché inerenti alla struttura sociale e nolitica presente, il Russell conclude:
Noi cristiani bianchi del Sud Africa
dobbiamo esaminarci colla pietra di
paragone delle esigenze del Vangelo,
per quanto concerne l’uso che facciamo del nostro denaro, dei nostri beni
e del potere. La discriminazione basata
sul colore è un abuso di potere, e l’abuso di potere è una forma di violenza.
Se noi che abbiamo il potere non facciamo nulla per cambiare le strutture
sociali che opprimono, diventiamo colpevoli di violenza e non dovremmo stupirci se le vittime rispondono per legittima difesa. Per di più saremmo corresponsabili per averli provocati. Il popolo africano non vuole dipendere dalla
nostra « carità ». Vuole lavoro e salari
giusti; vuole ciò a cui ha diritto.
Credo che voi, pastori delle Chiese
Riforrnate Qlandesi, come già detto,
siete in una posizione unica per promuovere un cambiamento secondo la
volontà di Dio, in questa terra. Soltanto allora non ci saranno più dei Dimbaza. Sorio convinto che Dio vi chiama
ad un ministero profetico in mezzo al
popolo che ha il potere in mano, nel
nostro paese. Che il Dio Qnnipotente
vi dia forza e la Sua Parola.
Domani sarò libero di vivere di nuovo norrnalmente, dopo aver vissuto per
sei mesi con 5 R. mensili. Mi sento fragile e spremuto. Desidero grandemente e ho bisogno di un cambiamento totale, come un uomo appena liberato
dalla prigione. Per la maggioranza dei
nostri fratelli in Cristo, però, non c’è
liberazione. Per troppi la situazione è
intollerabile, umiliante, senza fine.
Possiamo noi abbandonarli? Cristo
non ce lo permette. Nella misura in cui
lo metteremo al primo posto nella nostra vita giornaliera, e rinunceremo al
nostro proprio interesse, in quella misura staremo lavorando per lui, portando la sua salvezza e la sua guarigione, in cerca di giustizia, e correggendo l’oppressione (Isaia 1: 17), affinché la volontà di Dio sia fatta in terra.
5
14 settembre 1973 — N. 36
pag.
Il Comitato centrale del CEC riunito a Ginevra in occasione
del 25° anniversario dell’organismo ecumenico
La sessione annuale del Comitato Centrale del Consiglio ecumenico delle Chiese si è riunita, quest'anno, in occasione della celebrazione
del 25“ anniversario del CEC. La sessione si è tenuta a Ginevra, dal 22 al 29 agosto. Si tratta sempre di un momento importante, ma
quest anno, data la ricorrenza, il bilancio dell'attività e il punto sulla situazione e sulle prospettive hanno avuto un rilievo particolare: si
e cioè guardato non a un anno soltanto, ma a tutto un quarto di secolo, durante il quale il movimento ecumenico raccolto nel
CEC ha compiuto molta strada, fra aspetti positivi e altri meno. Riportiamo in questa pagina, in larghi stralci, le relazioni presentate al
Cornitato Centrale dal presidente del CEC, l'indiano M.M. Thomas, e dal segretario generale del CEC, il metodista antillano Ph. Potter ; a
pagina 2 riportiamo pure, in sunto, le principali decisioni prese dal Comitato Centrale. Ci proponiamo di riferire ulteriormente su altre
due relazioni, comunque: quella di L. Vischer, del dipartimento teologico, e quella dei past. J. Lav/ton e D. Gill su violenza e non violenza.
M.M. THOMAS, PRESIDENTE DEL COMITATO CENTRALE:
La diversità geografica e confessionale del CEC è qui impersonata
dall’arcivescovo Victorin (USA), dal vescovo ortodosso Giustino
(URSS), dal prof. Russel Chandran (Chiesa unita dell’India) e dal
vescovo metodista Roy Nichols (USA).
Prendere sul serio i nostri impegni
Quali impegni, quali doveri hanno
accettato, le Chiese, diventando memjari del CEC? La definizione di queste
implicazioni è importante e dev’essere
adeguatamente discussa, tanto più che
i doveri che competono alle Chiese
come membri della comunità rappresentata dal Consiglio rimangono marginali rispetto alla vita delle Chiese, se
non del tutto esterni...
Di fatto, a Utrecht l’arcivescovo
Sarkissian ha posto lo stesso problema in termini diversi, quando ha parlato della necessità di integrare la comunità del Consiglio e la sua visione
ecumenica nella vita e nella testimonianza di ciascuna delle Chiese membri, pur rispettando il suo contesto
locale, e di evitare così di dar l’impressione che l’ecumenismo sia qualcosa che avviene al di fuori delle Chie
Alcunì volti del Comitato centrale: in alto, da
destra, il pastore liberiano Roland Payne e
il pastore malgascio Victor Rakotoarimanana^
segretario generale della CEVAA, che a primavera ha compiuto una visita in varie chiese
valdesi del Nord Italia. In basso la giovane
malese Lini Soo Kong, una dei 16 rappresentanti giovanili: nelle assemblee ecclesiastiche
viene sollecitata la partecipazione giovanile.
se, che si attua altrove e non qui. Le
Chiese che hanno aderito alla comunità del Consiglio dovrebbero quindi
essere animate dal vivo desiderio di
esprimere concretamente quest’adesione aprendosi alle altre Chiese, attravciso il dialogo e l’azione ecumenica
nel contesto nel quale vivono, si tratti
di una collettività locale o umana, nazionale o continentale. Oggi vi è troppo « ecumenismo a buon mercato, praticato a distanza ». Se si scorrono i
rapporti delle diverse Assemblee e soprattutto i messaggi che hanno rivolto alle Chiese, si è colpiti nel vedere
con quale costanza vi si insiste sulla
necessità di vivere concretamente la
comunità ecumenica e d’impegnarsi al
suo servizio, nel contesto locale; non
penso solo al senso geografico del termine, ma anche alla nozione di zona
umana.
A questo punto affronterò il problema delle due crisi teologiche, di diversa origine, con le quali la nostra
comunità è messa oggi a confronto. La
prima è sorta dal processo d’integrazione, in seno al Consiglio ecumenico,
di questi tre movimenti: Fede e Ordinamento, Cristianesimo pratico. Missione.
UNITA’ - MISSIONE GIUSTIZIA SOCIALE:
UN UNICO COMPITO
Nel 1961, a Nuova Delhi, l’integrazione strutturale di questi tre settori tradizionalmente distinti era compiuta.
Ma con la loro integrazione a livello
spirituale e teologico è cominciata la
vera rivoluzione che caratterizzerà il
movimento ecumenico negli anni ’60.
L’interpenetrazione di queste tre correnti è divenuta tale che oggi è impossibile trattare isolatamente dell’unità
della Chiesa, della missione nel mondo
e della lotta per la giustizia sociale e
per la comunità mondiale.
Indubbiamente assistiamo oggi a un
irrigidimento su tre fronti: da parte
dei difensori risoluti del movimento
classico di Fede e Ordinamento, che
mettono in dubbio il suo rapporto con
l’unità dell’umanità; da parte degli
evangelici conservatori, preoccupati
per Ì’integrazione delle nozioni di liberazione sociale e di umanizzazione
nell’Evangelo della salvezza in Cristo,
che esigono che ci si preoccupi di accrescere il numero dei credenti senza
preoccuparsi dell’unità delle Chiese né
della loro maturità; e da parte dei
teologi cristiani a servizio della liberazione dei popoli, i quali si oppongono a che si situi l’etica socialé nel contesto dell’Evangelo del perdono davanti alla Croce e del Regno escatolo
gico, e rifiutano che si accordi alla
Chiesa qualsiasi priorità.
La situazione esige, mi pare, che ci
sforziamo seriamente di definire una
teologia della comunità ecumenica, capace di dimostrare che integrando
queste tre dimensioni, non modifichiamo il corso iniziale del nostro cammino, ma anzi gli diamo la sua vera portata.
Quanto alla relazione fra l’etica della liberazione e la comunione in Cristo dell’oppressore e dell’oppresso,
ignoro se io stesso, come altri membri del Comitato centrale originari del
Terzo Mondo, apparteniamo a rigore
al gruppo degli oppressori o a quello
degli oppressi. Per certi aspetti sono
un oppressore, per altri un oppresso.
Perciò questa classificazione, secondo
me, è troppo semplicistica. La verità
è che siamo tutti più o meno estranei ai poveri e agli oppressi e che
uniamo i nostri sforzi per vincere
quest’alienazione con la nostra solidarietà verso di loro, in Cristo. Quello
che mi preoccupa molto maggiormente, è il fatto che si distinguano in modo così rigido i vari campi dell’esperienza, considerando la politica della
liberazione unicamente nell’ordine della necessità e relegando l’ordine di
Cristo in un regno situato ’aldilà’ di
questo campo e del tutto ’aldifuori’
di esso, per ora.
Ma il perdono divino, che permette
all’oppressore e all’oppresso di ravvedersi e di entrare nella ' comunione di
perdono e di fiducia reciproci, dovrebbe poter portare dalTaldilà un elemento nuovo, capace di interrompere il
regno della necessità, almeno fino a
un certo punto. Di fatto, nel momento in cui il CEC ha adottato l’imperativo cristiano della trasformazione
delle strutture di potere vigenti in seno alle società e fra loro (e anche
in seno alle Chiese e fra loro, è stato
detto a Bangkok) a favore dei poveri,
degli oppressi e dei più sfavoriti, questo problema della comunione in Cristo, aH’interno stesso di queste costrizioni della politica di forza, è diventato decisivo.
Se gli uni e gli altri si riconoscono
« impegnati in una lotta corpo a corpo in mezzo a un’unica tragedia » e
sono pronti a rispondere insieme, nel
ravvedimento, all’offerta del perdono
divino e della comunione in Cristo,
« ciò basta a rompere la terribile logica del potere umano — l’ingranaggio
dell’ingiustizia, della vendetta e della
nuova ingiustizia — e a trasformarlo,
malgrado tutto, imprimendo agli avvenimenti un orientamento nuovo.
Non che in un mondo di decisioni collettive, nel quale l’impersonalità della
violenza delle strutture è spesso sanzionata dalla religione, la politica di
forza possa mai essere interamente
eliminata dalla lotta per instaurare
una comunità sociale più giusta; ma
è possibile attenuarne e persino escluderne la violenza, e ciò dipende, fra
l’altro, da come la Chiesa adempirà al
suo ministero di profezia e di riconciliazione.
ESPERIENZA UNICA
SOTTO FORME DIVERSE
La seconda crisi teologica che dobbiamo affrontare come comunità di
Chiese è legata alla diversità degli
ambienti culturali e ideologici nei
quali si svolge la vita di questa comunità. E quindi improbabile che possiamo accordarci su ciò che costituisce le caratteristiche diverse della comunità cristiana. Il nostro accordo è
stato unanime, è chiaro, sul fatto che
confessiamo il Signor Gesù Cristo; ma
quando parliamo di lui, non intendiamo tutti la stessa cosa.
Riguardo alla teologia nera, la Conferenza di Bangkok ha riconosciuto la
difficoltà di rendere universali teologie
nate dal contesto della vita. Essa ha
dichiarato: « Una teologia Specifica
implica la riflessione sull’esperienza
della comunità cristiana in un dato
luogo; tiene quindi necessariamente
conto del contesto, corrisponde alla
realtà, è una teologia viva che non si
presta facilmente ad essere universalizzata, perché si rivolge a uomini che
evolvono in una situazione particolare ».
La riunione di Fede e Qrdinamento,
a Lovanio nel 1971, si è occupata di
questi problemi nelle sue discussioni
sull’unità e la pluralità, sulla Chiesa
locale e la Chiesa universale, ma anche — con maggiore audacia— lanciando un programma di riflessione sul tenore del messaggio dell’Evangelo, allo scopo di metterci in grado di rendere ragione in modo coerente della
« speranza che è in noi ». Il pastore
Lukas Vischer, chiedendo l’autorizzazione di lanciare questo programma,
era cosciente del fatto che viviamo'
« in un’epoca in cui si deve accentuare la diversità di forme che la fede
può assumere » e che forse esclude la
possibilità di una confessione di fede
unanime. Ma « la questione della verità nella Chiesa » non può essere editata, dev’essere chiarita; è pure necessario sapere «qual è la relazione fra
la nostra unica speranza e le varie
forme in cui si esprime ».
È ovviamente necessario che in questo sforzo teniamo pienamente conto
del pensiero teologico asiatico, africano e latino-americano, che cerca modi per confessare la fede conformi ai
mezzi espressivi locali. Lo studio sulla salvezza oggi ha suscitato numerosi commenti sul messaggio dell’Evangelo; le confessioni di fede isolate e
il loro significato per la comunità
mondiale, messi in evidenza dagli studi suH’avvenire dell’uomo in un mondo tecnologico e sul dialogo con gli
adepti di altre religioni e ideologie,
come pure le prospettive teologiche
nate dall’impegno attivo nei campi
della giustizia, del servizio, dell’istruzione e della comunicazione, hanno
un’importanza fondamentale in questo
sforzo per rendere ragione in modo
attuale e comprensibile della speranza che è in noi.
Qualunque sia il risultato, la nostra
comunità ne sarà rafforzata, grazie a
una comprensione più profonda della
verità unica della quale aspiriamo a
vivere, tutti insieme e ciascuno individualmente.
M. M. Thomas
presidente
del Comitato Centrale
PH. POTTER, SEGRETARIO GENERALE DEL CEC:
Le Sfide che i mutamenti
degii uitiii 2S anni liannn lanciate al
e in pariiGOlare al Cnnsiglin
Chiese ortodoss
cane ne fanno 'p
ni dei Pentecost
pendenti vi hai
dal 1961 si sonc
fra l’Est e TQve
La crescita de! Consiglio ecumenico,
nel corso degli ; »imi 25 anni, è stata
davvero straordi laria. La comunità è
passata da 147 > liiese in 48 paesi, all’origine, alle af lali 263 Chiese in oltre 90 paesi. L maggior parte delle
protestanti e anglite e negli ultimi ane delle Chiese indi>) aderito. A partire
abbassate le barriere
grazie alla presenza
delle Chiese oi.cdosse accanto alle
Chiese protestan! i degli Stati socialisti; e quelle che clxiamiamo le giovani
Chiese d’Africa, d’Asia, d’America latina e del mondo C Ile isole del Pacifico e delle Antille s lO diventate membri a titolo indipen! ente.
Il secondo Conciric Vaticano della
Chiesa cattolica ro»a: a ha messo ufficialmente fine all’att jgiamento di riserva di questa gran. Chiesa nei confronti delle altre Cb. se. La creazione
del gruppo misto d; lavoro, nel 1965,
e le numerose attiv
sono state svolte co:
eie quelle della Co
per la società, lo s\
(SQDEPAX), hanno
tere veramente uni
mento ecumenico ( •
del papa Paolo VI a
co,, nel 1969, è stato
. che in seguito
iuntamente, spe»missione mista
appo e la pace
ostrato il caratrsale del moviierno. La visita
Centro ecumenijn segno vivo di
questa nuova relazif .ie che si manifesta in quasi tutti i paesi.
Contemporaneamente si è potuto assistere a un ampliamento del carattere e della portata de! movimento ecumenico. Dalla Conferenza di Edinburgo (1910) airinaugurazione del Consiglio ecumenico (1948) il movimento
ecumenico stava nell’opera profetica
di alcune persone ispirate che avevano come visione la line dell’isolamento delle Chiese barricate dietro secoli
di sospetti, di rivalità e d’ostilità, e la
loro riunione in una comunità fraterna di correzione reciproca, di rinnovamento e di testimonianza comuni. Da
Amsterdam 1948 a Upsala 1968 il Consiglio ecumenico si è trovato al centro della scena avente come quadro la
rapida crescita dovuta all’aggiungersi
di nuove Chiese. Durante questo periodo le iniziative venivano in forte
misura dal CEC e le Assemblee, come
la Conferenza ’Chiesa e Società’ tenuta a Ginevra nel 1969, segnarono i momenti salienti di questo progresso.
Da allora siamo entrati in una nuova fase che vede il movimento ecumenico diffondersi sempre più, ovunque.
La costituzione delle Conferenze regionali dell’Asia, dell’Africa, dell’Europa, del Pacifico e prossimamente quella delle Antille, come pure il senso più
vivo, da parte dei Consigli cristiani,
degli obiettivi che perseguono — una
tendenza messa in evidenza in un colloquio tenuto a Ginevra nel 1971 —,
ecco altrettanti esempi di questa evoluzione.
Ancor più importante, la visione più
netta del concetto « ecumenico »: esso
infatti non designa solo l’avvicinamento e la comunità delle Chiese, ma, in
modo più conforme alla Bibbia, « l’insieme della terra abitata » da uomini
e donne in lotta per diventare ciò che
erano destinati a essere nel disegno
di Dio. Il movimento ecumenico si
presenta quindi come qualunque luogo
nel quale dei cristiani e altre persone
cercano in un modo o nell’altro di
operare per l’unità dell’umanità. Le
Chiese partecipano a questo movimento nella convinzione che Voikoumene
appartiene al Signore e che egli ci
chiama a discernere ciò che egli fa,
fra le sue creature e nella sua creazione, sulla base e nella prospettiva
di ciò che ha compiuto in Cristo, centro del movimento ecumenico.
Nulla di ciò che è umano è estraneo
al movimento ecumenico, perché in
Cristo Dio ha assunto la nostra umanità e l’ha riscattata, chiamandoci a
essere i suoi strumenti e a partecipare alla sua opera di liberazione di
ogni uomo e di ogni cosa, nella speranza della manifestazione finale del
suo Regno. Il movimento ecumenico è
quindi il terreno di prova della nostra
fede. Il CEC e le Chiese membri devono esaminarsi e vedere se reggono
a questo test della fede.
Mi propongo ora di esaminare le sfide che i mutamenti degli ultimi 25 anni hanno lanciato al movimento ecumenico in generale e al CEC in particolare.
LE CHIESE
HANNO PERSO SLANCIO?
Il primo problema è sapere se la
crescita del movimento ecumenico e
del Consiglio non si è accompagnata
a un cedimento dell’impegno delle
Chiese. Da un lato, la crescita del
Consiglio ha avuto come conseguenza
l’allargamento delle rappresenze nelle
assemblee e nei comitati, come pure
fra i membri del personale. Molti uomini di chiesa americani affermano,
non senza nostalgia, che non si sentono più così impegnati nell’opera del
CEC...
Nell’Europa occidentale, le Chiese
fanno presente la loro impressione che
Dopo una pausa dei lavori. Philip Potter, segretario generale, invita i delegati a riprendere i loro posti.
il CEC non s’interessi più di loro. È
vero che nel corso deali ultimi anni,
comunque dopo la Conferenza di Chiesa e Società nel 1966, ekso ha cominciato a nreoccuparsi delle Chiese d’Asia, d’Africa e d’America latina. Questa preoccupazione, che traspare dall’accentuazione dei nroblemi dello sviluppo, della lotta contro il razzismo
e nelle dichiarazioni contro l’impegno
politico e militare occidentale nel Vietnam. ad esempio, ha avuto come ripercussione, secondo i critici, un allentamento dell’interesse ner la vita e
l’unità della Chiesa e per la riflessione teologica rigorosa.
Tuttavia il CEC ha svolto studi assai interessanti sulla Chiesa e in particolare sulla sua struttura missionaria e istituzionale, studi che hanno
un’importanza attuale per l’Europa.
muvinientn eenmenien
Più recentemente la nostra Commissione Fede e Qrdinamento ha dato un
forte impulso alla Concordia di Leuenberg fra Luterani e Riformati.
Quanto all’assenza apparente di lavori teologici rigorosi, oggi non si può
più trattare i grandi problemi che si
pongono alla Chiesa e al mondo secondo i modi del pensiero classico, cartesiano e dichiararlo decisivo per le
Chiese di tutto il mondo. Lottiamo in
seno al movimento ecumenico per trovare forme d’espressione delTEvangelo che siano valide ovunque. Spero che
negli anni a venire sforzi maggiori saranno compiuti da ogni parte per un
impegno attivo nella discussione ecumenica.
Negli ultimi anni, i dirigenti delle
Chiese ortodosse si sono pure preoccupati per l’apparente mancanza d’insistenza sullo scopo dell’unità della
Chiesa, per l’ossessione dei problemi
politici e sociali, come pure per la perdita di spiritualità e di profondità liturgica, nella vita e nell’opera del
CEC. Malgrado una partecipazione più
attiva e costruttiva dei teologi ortodossi al CEC, vive critiche sono rivolte a un organismo a predominanza
protestante e occidentale incapace di
prendere sul serio la tradizione e la
testimonianza ortodosse. Credo sia venuto il tempo di mettere in piena luce
questi problemi, affrontandoli senza
timori, onestamente, nella franchezza
con cui possiamo ora rivolgerci gli
uni agli altri.
Conviene completare il quadro presentando l’atteggiamento della Chiesa cattolica romana ufficiale nei confronti del CEC. Nell’ultima riunione
del Gruppo misto di lavoro, in maggio,
parecchie critiche formulate dalle
Chiese ortodosse e protestanti sono
state enunciate pure dai nostri amici
cattolici e avanzate come ragioni che
spiegavano una certa reticenza nei
confronti del CEC. Un fatto imbarazzante da parte di una Chiesa dalla lunga tradizione occidentale e romana per
di più. Tuttavia la riunione non si è
chiusa su questa nota negativa. Si è
convenuto di compiere uno sforzo risoluto, nel periodo che ci sta davanti,
per occuparci della missione di Dio in
un mondo provato da una crisi di fede e di come le Chiese rispondono a
questa missione.
Dopo quella riunione, la Congregazione per la dottrina della fede ha pubblicato una « Dichiarazione ’Mysterium Ecclesiae’ sulla dottrina cattolica concernente la Chiesa per proteggerla contro errori odierni », la quale
colpisce evidentemente alcuni teologi
cattolici attivi nel movimento ecumenico. Personalmente, deploro la pubblicazione di questa dichiarazione, che
pare aver lo scopo di limitare la ricerca di nuovi modi di comprendere e di
esprimere la fede e la vita della Chiesa, nel clima posteriore al Vaticano II
e in un mondo in rapido mutamento.
Dovremo ora esaminare in qual misura
e in qual modo possiamo proseguire
insieme discussioni teologiche bilaterali o multilaterali.
TENSIONI FRA NORD E SUD
Anche più seria è la tensione che si
manifesta in misura crescente fra i
paesi e le Chiese del Nord (Europa
dell’Est e dell’Ovest e America del
Nord) e quelli del Sud (Terzo Mondo).
Quando si costituì il CEC, il mondo
era in preda al conflitto Est-Ovest. Se
il CEC si è sforzato, allora, di parlare
e di agire in senso conciliatore, il suo
punto di vista rifletteva quello delle
Chiese occidentali allora dominanti.
(continua a pag. 2)
6
pag. 6
N. 36 — 14 settembre 1973
ECHI SINODALI
ANCORA SULLA TEMATICA DIACONALE
La Claudiana :
una sfida alle comunità L’SSSistsnZS
Quanti si aspettavano un dibattito
approfondito e vivace sull’opera svolta dalla nostra Casa Editrice Claudiana sono rimasti in buona parte delusi.
Se è rallegrante notare, da una parte
il superamento di sterili polemiche’
dall’altra però vien da chiedersi se non
si sia per caso « rinunciato » ad andare a fondo a questo tema che costituisce uno degli elementi essenziali
della nostra presenza in Italia, Il futuro ci aiuterà a chiarire questo problema che resta aperto. Non credo infatti che gli o.d.g. votati quest’anno
dal smodo siano « passati » con la dovuta chiarezza e responsabilità da parte di tutti i votanti. Temo che buona
parte degli inviti contenuti nei 3 o.d.g.
resteranno carta e difficilmente troveranno uno sbocco pratico (mi riferisco soprattutto alle comunità, e sono
il 50%, che non hanno ancora un deposito libri, dopo tutti gli inviti di
questi anni; così pure l’esortazione alla collaborazione finanziaria, rivolta a
comunità che non riescono neppure a
pagare i loro operai). Qualcuno dirà
che questo pessimismo è eccessivo e
probabilmente anche fuori luogo; commentare con queste note degli o.d.g.
positivi ed invitanti può anche essere
un « cattivo servizio » fatto alla Claudiana. Credo però che occorra anche
essere estremamente realisti. E questo realismo emerge dalla situazione
attuale delle comunità a cui questi inviti sono rivolti.
Nella sua relazione la Comm. d’esame ha scritto: « Che la Claudiana debba rappresentare per la chiesa uno
strumento valido come non mai per
l’opera di evangelizzazione e di testimcmianza nel nostro ambiente e fuori di esso, dovrebbe essere un dato acquisito; invece ci pare che le comunità
non abbiano recepito, se non in minima proporzione, l’idea che oggi il libro abbia perso il suo carattere di
elite, e si riveli sempre più come uno
strumento indispensabile e insostituibile ».
Questo mi pare essere il punto di
tondo attorno a cui dovrebbe concentrarsi la nostra riflessione perché gli
o.d.g. votati ricevano il loro senso.
Quanti hanno avuto la possibilità di
partecipare alle giornate della Federazione, svoltesi prima del sinodo, e che
hanno visto una qualificata rappresentanza del « cattolicesimo del dissen*’. accorti quale sia la
possibilità di testimonianza, di informazione e di solidarietà che la Claudiana può offrire a questi fratelli in
ricerca. Il lavoro della Claudiana in
questo settore, come in quello più vasto della cultura italiana laica ed anche cattolica, oltre a quella parte tutt’altro che trascurabile rappresentata
dalle correnti antimilitariste e politicarnente impegnate a sinistra, è ormai
riconosciuto ed apprezzato. E questo
dato di fatto, va detto, è dovuto alla
intelligenza con cui la Claudiana ha
saputo inserirsi in questo spazio ieri
vuoto ed oggi bene occupato.
Se da una parte dunque uno spazio
vuoto è stato colmato, dall'altra il
vuoto è ancora da colmare: quello delle nostre comunità. Talvolta si ha anzi l’impressione che il vuoto aumenti,
proprio in un momento in cui la nostra Casa Editrice ha sfornato tutta
una serie di collane che dovrebbero
suscitare l’interesse e l’appetito dei
membri di chiesa. È un po’ come un
tavolo ben ricoperto, con dei piatti
invitanti, piccanti, che è lì in attesa dei
commensali...
Nel terzo o.d.g. si dice esplicitamente che la Claudiana è uno « strumento
di predicazione e di servizio tanto
quanto le chiese stesse ».
Queste parole non sono state scritte
in senso polemico nei confronti delle
comunità. Non si è voluto dire: le comunità ormai non sanno più combinare nulla di positivo, quindi ci affidiamo alla Claudiana perché si occupi lei
della predicazione e del servizio. E
non si voleva neppure dire che « quantitativamente » la Claudiana rende più
testimonianza delle comunità nel loro
insieme. Quale significato potrebbe
mai avere la nostra Casa Editrice, che
non esiste per guadagnare soldi, se ciò
che pubblica non fosse, almeno in parte, l’espressione del pensiero e della
riflessione di credenti impegnati nella
vita della chiesa? Quale aiuto potrebbe recare a quanti nelle comunità sono alla ricerca di una preparazione
sempre più aggiornata dei problemi
che oggi si pongono con maggior urgenza?
Piuttosto, mi sembra, dire che nelle
nostre comunità la Claudiana rappresenta uno strumento di servizio e di
testimonianza tanto quanto le comunità stesse, equivale a riconoscere la
nostra incapacità a saper usare e far
fruttare i libri che ci sono offerti, così
come non sappiamo farlo per quanto
riguarda la predicazione. Come il pulpito domenicale, la Claudiana rischia
(e in parte il rìschio è ormai realtà)
di essere un pulpito non ascoltato; e
questo soprattutto in mezzo alle nostre comunità. Non basta che la Claudiana si preoccupi di fornire del materiale di studio e di meditazione, di
informazione e di ricerca se poi tutto
ciò non avviene nelle comunità. Sarebbe un investimento fasullo. È come un
padre che investa i suoi guadagni perché il figlio continui la sua professione, fornendogli l’attrezzatura necessaria e all’ultimo momento scopre che il
figlio ha scelto un altro mestiere.
Ho cercato di chiarire che l’o.d.g.
non è polemico: vorrei però che le comunità lo capissero in senso polemico, cioè nel senso di una sfida. Una
sfida che significhi l’aver avvertito il
problema. Una sfida contro la disinformazione, la sottocultura che dilaga
nelle nostre famiglie. Una sfida che sia
anche di stimolo e di sollecito alla
Claudiana, che sappia indicare interessi e prospettive per il futuro. E
questa sfida va raccolta!
Ermanno Genre
non può piu essere vista
come opera di carità?
Gli ordini dei giorno votati
Il Sinodo,
nel constatare i forti impegni finanziari nonché il notevole carico
delle spese generali della Libreria
Editrice Claudiana, conseguenti al
notevole sviluppo editoriale,
ricordando anche quanto già
deciso dal Sinodo 1970 (A.S. 13),
invita le chiese a collaborare
anche finanziariamente, essendo la
Claudiana strumento di predicazione e di servizio tanto quanto le comunità stesse.
Il Sinodo,
nel riconfermare che la Librerìa
editrice Claudiana rappresenta imo
strumento valido per l’opera di
evangelizzazione e testimonianza,
invita le chiese che ancora non
lo hanno fatto, a istituire « depositi » di libri presso le proprie sedi,
allo scopo di farli conoscere e diffonderli il più ampiamente possibile, anche segnalandoli nelle circolari di chiesa e formando gruppi di
studio, di lettura e di diffusione;
auspica la collaborazione di
fratelli che, in qualità di agenti volontari locali, sensibilizzino librai e
singole persone sulla nostra editoria.
Il Sinodo,
convinto della necessità di fornire alla Libreria editrice Claudiana
strumenti idonei allo sviluppo della sua missione,
invita la Tavola ad adoperarsi
per assicurare alla Casa editrice i
locali da essa occupati nello stabile
di Torino in Via Pio V come dotazione in piena responsabilità.
Elezioni
Tavola Valdese
Past. Aldo Sbaffi, Moderatore;
Past. Enrico Corsani, Vicemoderatore; Past. Giorgio Bouchard,
Gino Conte, Alberto Ribet, Dott.
Marcotullio Fiorio, Prof. Marcella Gay, membri.
Consiglio della Facoltà Valdese
di Teologia
I due membri di nomina sinodale sono stati riconfermati: Pastore Paolo Ricca, Prof. Franco
Dupré.
C.I.O.V.
II membro della C.I.O.V. il cui
mandato quinquennale scadeva
quest’anno è stato riconfermato:
Aw. Marco Gay. La scarsità di
votanti ha impedito di nominare,
fra i membri onorari della CIOV,
due persone che si occupassero
particolarmente del ramo di attività degli istituti per anziani,
come richiesto dal Sinodo: i due
designati non hanno ottenuto il
quorum sufficiente di voti; la
questione è rinviata aH’anno
prossimo.
Comitato del Collegio Valdese
e della Scuola Latina
Dott. Guido Ribet, Sigg. Ruth
Tourn, Franco Sappè, Guido Baret, Enrica Malan, Past. Giovanni Conte, Dott. Sergio Gay.
Commissione d'esame
sull'operato della Tavola
e del Consiglio della Facoltà
di Teologia
Past. Franco Sommani e Franco Giampiccoli, Prof. Emilio Nifi
ti, Dott. Carlo Pons.
Commissione d'esame
sull'operato della C.I.O.V.
Past. Teofilo Pons e Ermanno
Genre, Dott. Danielle Giampiccoli e Giovanni Mathieu.
La prossima sessione sinodale si aprirà, a Dio piacendo,
domenica 25 agosto 1974 a Torre
Pellice: predicatore designato il
Past. Edoardo Aime, supplente il
Past. Edoardo Micol.
Caro direttore,
mi scuso per aver usato nel resoconto sulla diakonia, nel numero scorso,
un’espressione imprecisa, che ha malauguratamente offeso una degnissima
persona: quando dicevo che l’assistenza non può più esser vista come opera di carità.
Qui non si usava la parola carità nel
suo senso biblico e teologico. Per evitare ogni equivoco, potrei dire che il
fondamento di ogni azione assistenziale, sia individuale, sia sociale, resta
per noi la carità, pel senso di’agape.
2 Cor 5: 14 non è monopolio del Cottolengo.
La carità bene intesa tratta il prossimo come fratello alla pari, in quanto si preoccupa di stabilirlo o di ristabilirlo nella sua dignità di figlio di
Dio, muovendo dal riconoscimento di
quella libertà e di quel diritto insiti
nel concetto stesso di creatura; per
cui basilare resta sempre anche Romani 8. In altri termini la carità è un
concetto diverso da quello della manifestazione soggettiva di altruismo.
L’altro lo si aiuta veramente se gli si
dà modo di esser se stesso, di esser
cioè anche minimamente responsabile
in prima persona. Quel che non tende
a questo è discutibile nella sua impostazione. Insomma ; il problema della
carità diventa da problema soggettivo
un problema oggettivo. Se si vuole,
non si tratta tanto di misurare la forza del mio amore, toa di misurare la
dignità e la libertàLdell’altro; essi diventano metro per ime. La carica teologica e spirituale della parola carità,
nel senso tramandato, viene trasferita
dall’azione altruistica soggettiva alla
situazione oggettiva di chi viene aiutato. E questo modo di procedere è
una attualizzazione, della teoria riformata che nega valore alle opere salvifiche. Infatti si concepisce la propria
intenzionalità direttamente sul prossimo. Se l’assistenza è anche ’culto’, il
luogo di manifestazione di questo culto è l’assistito, non la operazione che
avviene nella coscienza di chi cura.
Per questo il personale può vedersi in
una luce anche più critica, più ’professionale’ per così dire (come di fatto
è accaduto), senza che per questo debba esser accusato di perdere l’intenzionalità nella .sua dimensione spirituale.
Servire Cristo nel prossimo è l’esatto parallelo della giustificazione per
fede. Questa ci vieta di pensare di poter descrivere lo specifico cristiano come manifestazione del credente; lo specifico cristiano è fuori di noi (secondo la nota formula dei Riformatori),
in Cristo. Questo dinamizza la nostra
fede; non si vive questo rapporto che
mediante la parola e sempre di corsa,
per usare un’immagine paolina, che
per molti è letteralmente una realtà quotidiana! Non possediamo la
nostra identità cristiana che in riferimento a Cristo, e ciò vale per il credente nel suo essere come nel suo agire. Il riferimento a Cristo nella fede,
dovrebbe avere il suo esatto parallelo,
la sua coerente rappresentazione, la
sua corrispondenza pratica nell’agape.
Ma l’agape non è traduzione pratica di
uno stato di fede, ma ricerca di un
oggettivo riferimento a Cristo nel prossimo. Servire Cristo nel prossimo non
è dunque una frase retorica, per dar
coraggio a chi ha bisogno di appelli
mistici. Servire Cristo nel prossimo
vuol dire esattamente che la motivazione del servizio si trova, fuori di
noi, e pur tuttavia nell’umanità.
Esser spinti dall’amore di Cristo significa usare l’immagine di Cristo, cioè
l’umanità nuova come norma e riferimento. Noi non confondiamo troppo
facilmente Cristo e il prossimo, perché la vera umanità di Cristo, come
non significa la nostra perfezione, cosi non significa la idealizzazione del
prossimo concreto. Il rapporto di Cristo e del prossimo è manifestato coerentemente dalla libertà e dalla responsabilità, se non mi sbaglio; per
cui di nuovo diciamo che servire l’altro significa dargli delle possibilità di
essere solo un po’ più libero, un po’
più degno, un po’ più responsabile, un
po’ più creatura. E glielo si manifesta
certamente anche con la più quotidiana assistenza personale.
Se si muove dal legame tra carità
e diritto, per cui la carità è servizio
per la dignità dell’altro, occorre tutelare questa concezione negli interventi assistenziali pratici, senza compromesso con le forme di emarginazione
ed alienazione prodotte dalla società.
Per questo non basta più considerare
il singolo intervento nelle sue motivazioni soggettive, per quanto rispettabili esse siano sotto tutti gli aspetti,
senza considerare anche i più vasti
rapporti sociali nel cui quadro il singolo intervento, più o meno polemicamente o pacificamente, si inserisce.
Questo discorso è solo un caso speciale del discorso generale dei rapporti tra carità e diritto, la cui opposizione è entrata talmente a far parte del
nostro modo di pensare, che vi si ri
corre tuttora, e sempre male. Contrapporre carità e diritto va bene, quando
il diritto, come sovente avviene, diventa prevaricazione. Il diritto può benissirno mutarsi nel suo contrario, come già sapevano i latini. Il richiamo
alla carità diventa allora doveroso, necessario. Ma non si può rimanere a
questo stato di cose (mi pare che il
cattolicesimo ci sia rimasto, ma questo sarebbe un lungo discorso). Più
conforme alla linea riformata, e in
ogni caso più biblico, mi sembra, partire da un rapporto positivo tra amore e diritto. L’amore vede nel prossimo il soggetto di diritto, fondato sulla figliolanza davanti a Dio. Questa
concezione della carità quindi non è
nuova, ma oggi forse deve esser riaffermata.
Anche quando il diritto diventa prevaricazione, la carità non si limiterà
a promuovere un’azione lenitrice e riparatrice, che s’iscriva esemplarmente contro l’abuso, ma mirerà alla creazione di un diritto nuovo.
Per me rimane ancora del tutto aperto il problema pratico di sapere in
che misura debba esser difesa la proprietà di istituti ed ospedali, a tutela
di un contributo specificamente cristiano alla società. Probabilmente qui non
si possono prendere posizioni assolute, anche perché la società, in astratto, non esiste; come sappiamo il mondo non è neutrale. Quel che è sicuro,
invece, è che nessun istituto può vivere senza valutare il contesto sociale
in cui opera, cioè lo specifico cristiano ad ogni modo non è afferrabile in
circolo chiuso, allo stesso modo che,
come protestanti, contestiamo che si
possa afferrare la personalità cristiana
e realizzarla.
Il fatto che noi come cristiani vogliamo sempre fare di più e meglio
dando alle nostre opere profonde motivazioni che rimangono nell’ambito
del soggettivo, penso sia non un passo
verso la perfezione, ma uno stare al
di qua di quanto ci viene richiesto. E
proprio questo sedicente ’di più’ può
farci passare accanto, senza vederli, ai
grossi mali della società e dell’umanità, la cui soluzione è soltanto razionale, finché non venga la perfezione,
cioè il regno di Dio.
È probabile che lo scorso sinodo abbia riproposto all’attenzione della chiesa due rnodi di lavorare, o meglio due
prospettive di lavoro, servite da due
teologie diverse. In tutti i campi si
ritrova la stessa alternativa, più o meno sfumata: porre al centro la coscienza, e parallelamente l’istituto come
segno di testimonianza e persino luogo di una autentica predicazione; oppure cercare nella società, dove valdesi e non valdesi si trovano gomito a
gomito, un inserimento della fede testimoniante. Questa seconda linea, centrando l’attenzione sul ’fuori di noi’
non può che esser seguita con interesse. Grato per l’ospitalità,
Sergio Rostagno
Finanze: la punta dell’iceberg
sta discretamente; e il reste?
Il capitolo « finanze » ha occupato
anche quest’anno, in Sinodo, un’assemblea attenta, relativamente serena:
nuovamente, infatti, il rendiconto annuo della Cassa culto si chiude in pareggio, e anche se le chiese non sono
ancora giunte a sostenere interamente
le spese per il personale — è tuttavia
uno scopo che devono continuare a
prefiggersi e che è chiaramente raggiungibile, se ciascuno porta la sua
parte di responsabilità —, tuttavia di
anno in anno aumenta l’importo delle loro offerte e anche la gradualità
con cui le versano alla cassa centrale:
uno sforzo particolare hanno fatto e
una menzione particolare meritano, in
questo quadro, le chiese del I Distretto. Naturalmente, resta il fatto che
con la svalutazione della lira e l’aumento del costo della vita, l’aumento delle
offerte è sostanzialmente neutralizzato e il loro importo effettivo resta all’incirca stazionario.
Questa situazione ha inciso sulla
procedura adottata da alcuni anni: la
Tavola predispone entro marzo un
preventivo di spesa, che sottopone alle chiese e alle conferenze distrettuali,
e in base agli impegni presi localmente e distrettualmente, il Sinodo vota
il preventivo definitivo. E chiaro, però,
che un preventivo approntato in marzo risulta oggi sfasato nei fatti, in
seguito aU’inflazione. Tuttavia, su invito della Commissione d’esame, il
Sinodo non ha voluto infirmare il principio sano che si esprime nella procedura sopra accennata e non ha voluto
cambiare il preventivo di spesa, pur
rendendosi conto che sarebbe stato
necessario. E stato quindi votato questo ordine del giorno:
Il Sinodo,
constatando che la richiesta di
aumento del 10% fatta alle chiese
per la cassa culto risulta inadeguata, specie se si tien conto del continuo, notevole aumento del costo
della vita;
rispettando quanto deliberato
con A.S. 1971 art. 64, con particolare
riferimento agli impegni di contribuzione,
dà fiducia alla capacità delle
singole chiese di valutare responsabilmente questa situazione e di regolarsi di conseguenza rivedendo
l’ammontare delle quote già fissate.
Considerando le sperequazioni di
fatto esistenti fra le situazioni economiche delle famiglie pastorali, il Sinodo ha votato, non senza riserve e
resistenze, un ordine del giorno che
cerca di ovviare al problema aperto,
aprendone però altri:
Il Sinodo invita la Tavola a studiare le modalità di un’adeguata
indennità di famiglia per quei dipendenti il cui bilancio non sia integrato da altri redditi.
Come non era, di fatto, mai avvenuto nei Sinodi passati, quest’anno si è
cominciato a parlare più ampiamente
e più a fondo di tutta la questione pa
trimoniale, rispetto alla quale il rendiconto annuo relativo alla Cassa culto è stato paragonato alla sola parte
emergente di un iceberg: il gi'ossc
sta sott’acqua. In effetti, in questo dopoguerra il patrimonio immobiliare
della Chiesa Valdese (chiese, opere.
Tavola) si è fortemente accresciuto, e
non è certo che esso sia saldamente
tenuto in mano, o anche semplicemente conosciuto con esattezza dall’aiTiministrazione centrale che ne deve rispondere al Sinodo. Il Segretario amministrativo Roberto Comba, rifacendosi anche a riflessioni della Commissione desame, ha dato al Sinodo una
serie di indicazioni (poi riprese in un
incontro con i cassieri dei Concistori,
alla fine della settimana sinodale); la
questione è anche seguita con cura
dalla Commissione finanziaria, un organo consultivo "interno" nominato
dalla Tavola e che quest’anno ha fornito egregi servizi. In attesa che la
questione si chiarisca e maturi, e a
questo scopo, il Sinodo ha votato quest’ordine del giorno:
Il Sinodo invita le Commissioni
Distrettuali e le Conferenze Distrettuali a esaminare la situazione patrimoniale di ciascuna comunità ai
fini di una amministrazione che risponda alle necessità reali della
predicazione e della testimonianza
della chiesa per riferire alla Tavola.
Infine, non si può affrontare la questione finanziaria senza dire un « grazie » di tutto cuore a quanti — e sono
molti, e generosi — ci sostengono,
spesso da lungo tempo:
Il Sinodo rivolge un pensiero riconoscente a quanti. Chiese sorelle.
Comitati e Amici, hanno generosamente contribuito con solidarietà e
fiducia per la nostra Chiesa c le
sue Opere.
I nostri istituti
di istruzione secondaria
L’opera dei nostri istituti d’istruzione secondaria non era quest’anno fra
i temi oggetto di dibattito; seguendo
le notazioni della Commissione d’esame, il Sinodo ha preso atto con stima
e gratitudine dell’impegno di lavoro
degli insegnanti e dei membri del Comitato; quest’ultimo ha condotto a
termine la ristrutturazione edile, con
la nuova ala, e s’impegnerà ora nella
rivalutazione degli stipendi degli insegnanti.
Il Sinodo,
preso atto dell’impegno e dell’efficienza con cui il Comitato del Collegio e della Scuola Latina ha svolto il suo lavoro,
lo ringrazia..
Il Sinodo esprime la propria riconoscenza al corpo insegnante del
Collegio e della Scuola Latina per
il fedele servizio svolto nell’insegnamento in queste scuole.
7
14 settembre 1973 — N. 36
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
pag. 7
Notizie da ivrea e diaspora
Nei mesi estivi, la comunità è stata
provata dalla dipartenza di alcuni
suoi membri.
Non rivedremo più a Drusacco e all’alpeggio di Nara la cara Mencolina
Ghindo, sempre attiva, sempre lieta di
ricevere la visita del pastore e di altri fratelli in fede. Il Signore l’ha richiamata a Sé dopo un periodo di sofferenza presso l’ospedale delle Molinette a ’Torino. Una folla numerosa di
parenti ed amici ne hanno accompagnato la salma al cimitero di Drusacco, domenica 12 luglio.
Il 26 giugno è stata deposta nel cimitero di Chiaverano la salma di
Baine Francesca ved. Gianotti, di anni 82. In questi ultimi anni era stata
più volte provata dalla malattia ed era
stata accolta in casa dal figlio, dove è
deceduta.
Il 25 luglio è stata accompagnata al
cimitero di Ivrea la salma di Pierina
Arca, madre dell’anziano di chiesa An
ECHI SINODALI
Rivalutare la Diaspora
Nell’anno del Centenario Valdese, rilanciare una
« mentalità di diaspora » ricordando come il Valdismo primitivo fosse un movimento di diffusione e
non di concentrazione
Da alcuni anni, specie in alcuni setìori della nostra Chiesa, si è andata
sviluppando una riflessione sulla diaspora, forse rimasta finora allo stato
teorico più che giungere a molti impegni pratici, ma comunque viva e atiItale. Se ne è parlato anche in alcune
Conferenze Distrettuali (IV e V), a fine primavera e ampi riflessi si ritrovano nel rapporto della Tavola al Sinodo. La Commissione d’esame ha fatto
di questo uno dei punti centrali del
suo rapporto, del quale riportiamo vari stralci:
mento tale da suggerirci proprio questo movimento di diffusione e non di
concentrazione.
« In infinite forme si dovrà produrre
il passaggio dalla mentalità di “dispersione” (senso negativo di una accettazione passiva di una situazione difficile
da sopportare, in attesa di tempi migliori) a quella di “diffusione” (aspetto
positivo di accettazione attiva di una
situazione in cui inserirsi con gioia e
disponibilità) ».
« Per “diaspora” oggi si intende di
solito quei fratelli e quei gruppi di credenti che vivono in località in cui non
ce chiesa costituita; le prospettive variano a seconda delle situazioni: mentre per gli isolati non si vede per il momento altra possibilità se non di intensificare visite e contatti perché essi non
perdano la visione comunitaria della
fede, per i “gruppi” si prospettano soluzioni che sollecitano una rivalutazione della loro presenza. Nel campo di
lavoro è andata precisandosi nel tempo una struttura centralizzata secondo
la quale la chiesa costituita rappresenta il perno attorno al quale ruotano i
gruppi dispersi, i quali quasi come lol'O appendici ricevono o meno importanza e pienezza di chiesa nella misura in cui stabiliscono o meno un collegamento con questa. Una rivalutazione
dei gruppi di diaspora presuppone una
disponibilità a capire maggiormente
resistenza della chiesa là dove uomini
e donne sono chiamati alla fede e la
\ ivono nel contesto comunitario e citladino, più che riferirsi a strutture regolamentate.
« Se per lungo tempo si è pensato
nei confronti della diaspora un lavoro
di mantenimento di singoli nella fede,
lavoro nel quale era impegnato essenzialmente il pastore più che la comunità, occorre decisamente passare ad
una comprensione dinamica dei gruppi di diaspora in funzione missionaria
propria nelle più disparate zone, paesi
e villaggi — "punte avanzate”, è stato
detto, della missione della Chiesa. Questo va tenuto presente anche dalla Tavola quando pensa alla sistemazione
del campo di lavoro, in termini di potenziamento dell’opera in Italia.
« Tra le preoccupazioni più immediate che la diaspora stessa reclama, oltre ad una conoscenza più precisa delle situazioni, è un’azione intensa e attenta di preparazione biblica; è significativo che siano i fratelli in diaspora,
di solito attenti alla situazione ambientale e sociale in cui vivono, a fare questa richiesta, per essere aiutati a diventare essi stessi gruppi di testimonianza e di predicazione.
« Le stesse chiese di grande e media
città, specialmente, sono sempre più
in movimento verso una loro stessa
configurazione di diaspora nella città;
anche se sovente stentano a rendersene
conto. Mentre le amministrazioni civili delle città si orientano sempre più
verso un decentramento (Consigli di
quartiere), la nostra Chiesa stenta a
rendersi conto di quanto sia anacronistica la mentalità dei locali-cattedrali
situati in quelli che una volta erano i
punti chiave della vita cittadina, ma
che ora sono diventati altrettante periferie sia in senso geografico che di
realtà di vita.
. « È probabile che la nostra Chiesa
debba recuperare al più presto una
"mentalità di diaspora’’ che per cause
varie sembra essersi perduta nel tempo, e che si descrive nell’ideale di raggiungere una certa stabilità numerica,
un certo numero di attività ecclesiastiche, una certa solidità di struttura, che
consenta il diritto al posto pastorale.
« Questo discorso, come ipotesi di lavoro, ci pare interessante da portare
avanti, anche in riferimento all’anno
del Centenario: ci pare infatti che il
Valdismo primitivo avesse un orienta
La discussione sinodale, che e stata
abbastanza ampia, non ha portato molto avanti le cose, che del resto vanno
portate avanti soprattutto nella concretezza delle situazioni locali. Tuttavia alcune decisioni sono state prese, e
il problema e lungi dall'essere chiuso,
anzi, si comincia solo ora a prenderne
coscienza a livello di tutte le chiese.
Il Sinodo
ravvisa nella problematica della diaspora una prospettiva missionaria della chiesa a partire dalla
dispersione evangelica;
invita le Commissioni distrettuali a sviluppare una ricerca approfondita e una serie di sperimentazioni a livello distrettuale, con
eventuale concentrazione di iniziative in zone che offrano particolari
prospettive di lavoro, tenendo presente al tempo stesso gli sviluppi
dell’integrazione con la Chiesa melodista.
Chiede che ne sia data ampia relazione al Sinodo entro il 1975.
A tal fine il Sinodo decide la nomina di una Commissione di lavoro composta da un membro nominato da ogni Commissione distrettuale e da un coordinatore nominato dalla Tavola.
II Sinodo
dà mandato alla Commissione
dei Regolamenti di studiare le modalità di deputazione diretta in Sinodo e nelle Conferenze distrettuali dei « centri di evangelizzazione »
e raggruppamenti di diaspora, e di
predisporre le opportune modifiche
al regolamento sinodale di zona.
Il Sinodo,
tenuto conto dell’esigenza espressa da varie comunità che si organizzino dei corsi biblici per corrispondenza sufficientemente articolati e destinati agli ambienti esterni, agli evangelici disseminati e in
generale ai laici impegnati.
dà incarico ai delegati valdesi
alla prossima Assemblea della Federazione delle Chiese evangeliche
in Italia di sollecitarne l’attuazione.
iiiiiiiiiiiniiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Personalia
Gisella Aime, insegnante al Collegio
Valdese, ha conseguito a pieni voti la
laurea presso la Facoltà di lettere dell’Università di Torino. Lo apprendiamo con ritardo, ma anche in ritardo
ci rallegriamo vivamente con lei, con
i nostri migliori auguri per il suo insegnamento.
Alla redazione di questo numero
hanno collaborato Lamy Coisson,
Roberto Coisson, Giovanni Conte,
Bruno Corsani, Roberto Peyrot,
Sergio Roslagno, Ermanno Rostan.
ISCRIZIONI PER L’ANNO ACCADEMICO 1973-1974
gelo Arca, deceduta in una casa di riposo a Viverone. Il servizio funebre si
è svolto in chiesa dinanzi ad una numerosa assemblea. Dopo la morte del
suo marito, la nosria sorella era stata molto provata dalla malattia; ma
aveva accettato con serenità quel carico e lo ha portato con fede fino al
decesso improvviso « nell’ora che non
sapete ».
FACOLTA’ VALDESE DI TEOLOGIA
Le iscrizioni all’anno accademico che
comincerà alla fine di ottobre si ricevono durante tutto il mese di settembre. Diamo le norme per l’iscrizione
alle varie categorie:
stessi documenti come sopra, salvo il certificato medico.
Infine, il 22 giugno è stato presieduto il funerale di Penna Guido, non
membro della nostra comunità. Era
deceduto a Torino, ma per volontà del
figlio residente ad Alice Superiore, il
rito funebre evangelico è stato celebrato in quest’ultima località.
Rievochiamo queste persone, alcune
molto note, altre meno e lo facciamo
con fiducia nel Signore il quale « ha
distrutto la morte » annunziandoci TEvangelo della vita e della speranza cristiana.
a) per il corso di Licenza in teologia: è il corso di quattro anni, frequenza obbligatoria, normalmente richiesto
per esercitare il pastorato. La domanda, scritta e motivata, dev’essere indirizzata al Consiglio di Facoltà Aia
Pietro Cossa 42, Roma) e corredata dei
seguenti documenti:
— certificato di nascita;
— diploma o certificato di maturità
classica o altro titolo superiore giudicato equipollente dal Consiglio;
— attestato fornito dal Concistoro o
Consiglio della chiesa di cui il candidato fa parte, dal quale risultino
i caratteri morali e spirituali del
medesimo e la sua iscrizione da almeno due anni a una comunità
evangelica;
— un certificato medico comprovante
sana costituzione fisica;
— due fotografie formato tessera.
c) per i corsi per corrispondenza,
per laici (breve corso biennale, di circa 20 lezioni all’anno):
— domanda scritta;
— certificato di licenza di scuola media superiore o inferiore;
— certificato di appartenenza a una
chiesa evangelica.
d) per i corsi per collahoratori
laici, con esercitazioni pratiche: essendo questi corsi destinati ai fratelli e
alle sorelle delle chiese di Roma e
dintorni, gli interessati sono pregati di
prendere contatto direttamente con la
Facoltà. Per corsi analoghi in altre località, rivolgersi ai pastori.
quali questo anno di studi potrebbe
venire poi conteggiato come valido ove
decidessero di seguire il corso completo in vista del ministero. Se qualcuno
iscrivendosi al I anno di università
pensa di poter dedicare alcuni mesi alla riflessione teologica, oppure essendosi laureato ha un periodo libero prima di inserirsi in un’attività lavorativa, o di prestare servizio militare, lo
invitiamo a riflettere a questa possibilità. Per maggiori informazioni, anche per quanto riguarda problemi economici e borse di studio, rivolgersi alla segreteria della Facoltà o prendere
contatto con uno dei docenti.
La Facoltà
Nuovi numeri telefonici
b) per il corso da studente esterno
(corso di livello universitario, che però non abilita al ministero pastorale.
Non è richiesta la frequenza e lo studente è esonerato, a sua richiesta, dalle esercitazioni pratiche):
Il Consiglio ha deciso, inoltre, di offrire una possibilità di studio a quei
giovani che, non avendo per il momento l’intenzione di dedicarsi al ministero pastorale né di seguire il corso completo di studi teologici, abbiano la possibilità di dedicare un anno allo studio per l’arricchimento della loro esperienza spirituale e per una più efficace
collaborazione nella chiesa. È un invito che si rivolge ai giovani qualificati
per gli studi di cui al punto « a », e ai
Ultimamente sono cambiati quasi tutti i
numeri telefonici degli abitanti nel centro residenziale valdese di Piazza Cavour, a Roma.
Pensiamo far cosa grata ai lettori pubblicando i nuovi numeri, perché ciascuno possa fare
la correzione sull’Annuario Evangelico.
Comba Roberto 360.4776; Corsani Bruno
360.1040; Facoltà di Teologia 360.4504;
Libreria di cultura religiosa 360.5493; Nuovi Tempi 360.4998; Ribet Alberto 360.4868;
Ribet Giovanni 360.4787; Sbaffi Aldo
360.4926; Soggin Alberto 38.25.27; Subilia
Vittorio 28.25.44; Vinay Valdo 360.1140.
Cronaca delle Valli
autonomìe NELLE E DELLE VALLI VALDESI
Convaiun antiquissima iasigna
Pomaretto
Mi spiace di non aver assistito all’ultima seduta della Società di Studi Vaidesi, di cui rifei isce TEco-Luce del 7
settembre, poichc non sapevo che vi si
sarebbe parlato Ielle forme di autonomie nelle Valà Valdesi di ieri e di
oggi. A quanto h eapito da quanto ho
letto e da quannj mi è stato riferito
non si è sufficieenemente parlato delVautonomia delle \àlli Valdesi. Qui c’è
da fare, almeno u;i ragionamenti, un
salto che non si uol fare, o verso cui
c’è una gran retice,iza. Quanta di questa reticenza è politica, quanta è religiosa?
Lo stemma valdese, che si trova ancora accanto alle co e : unioazioni che riguardano la S.S.V., i definito Convallium antiquissima insigna, cioè insegna delle Valli considerate come
un insieme, secondo il vecchio criterio che univa coi ;n mti quanto e più
che con i fondi delle ; :;ìli, fiume e strada recente (v. la cart ru nel dizionario
di T. Pons), criterio c ¡ le si è progressivamente abbandonai; soprattutto a
partire dal principio ,cl secolo scorso
e a cui si sta tornane^ con ravvicinarsi della fine di quest secolo. C’è un
problema di unità dede Valli Valdesi,
e di originalità. Dice ; i relazione della
seduta, che Qsvaldo ( oYsson ha scritto
per VEco-Luce, che » u situazione sta
radicalmente cambiariJo dal primitivo
tipo di società agricoio-patriarcale che
giustificava il tipo ai autonomia Valdese », ed elenca i mutamenti emersi
con l’esposizione dei tre oratori ed il
successivo dibattito. A me pare che la
novità su cui si deve richiamare di più
l’attenzione sia il passaggio dalla società religiosa alla società civile. Non entro in un dibattito storico. L’unità rimane.
Con l’unità rimane l’esigenza della
democrazia, in una società civile quanto in una società religiosa. L’affrancamento, contrastato nel passato dai signori feudali e dallo Stato con i Savoia
o con r« amor di patria » italiano, è
contrastato oggi con altri appelli, con
la burocrazia e con le segreterie dei
partiti, che intervengono nelle scelte
dei membri dei consigli delle Comu
nità Montane. L’intervento di queste
forze ha motivi che debbono essere
valutati. Ma resta che la democrazia
sarà più efficace se ci saranno elezioni
di primo grado, cioè fatte dal popolo e
non dai consigli comunali.
Con le Comunità Montane che stanno nascendo, tre per le Valli Valdesi,
non sono rispettati né il criterio dell’unità né l’esigenza di una democrazia con elezioni dirette, di primo grado.
Entro il 20 settembre i consigli comunali interessati debbono eleggere i loro
rappresentanti nei consigli delle Comunità. Nei trenta giorni successivi debbono essere elette presidenza e giunta.
E siamo arrivati alla fase degli statuti.
Gli addetti ai lavori terranno conto di
queste considerazioni in vista di quello
che magari potrebbe configurarsi provvisoriamente come un comprensorio
delle Valli Valdesi? Se c’è la volontà
quali possono essere gli impedimenti?
Si è riunita domenica 9 settembre,
dalle ore 15 alle 18, l’assemblea di
chiesa sulla utilizzazione dei locali da
parte di gruppi non ecclesiastici. Dopo
varie prese di posizione e numerose
raccomandazioni sulle modalità delle
concessioni, la linea fin qui seguita dal
concistoro, detta ’aperta’, è stata approvata a scrutinio segreto con 27 voti favorevoli e 5 contrari.
SCUOLA LATINA
L’inaugurazione dell’anno scolastico avrà
luogo domenica 30 settembre alle ore 15
nel teatro del Convitto. Gli alunni e le loro
famiglie sono cordialmente invitati.
La Direzione
Convegno pratico
per monitori
Cappella valdese di Perosa Argentina
Gustavo Malan
San Germano
Chisone
Rorà
Durante l’estate il cullo domenicale è stato
presieduto dai seguenti collaboratori che ringraziamo di cuore: il fratello Sasso di Arenzano,i 1 prof. E. Tron di Genova, i pastori
G. Tourn, Gustavo Bouchard. G. Rogo, ABoga, A. Comba e il prof. G. Gönnet, Marocco.
È stata battezzata la bimba Simone Grill di
Edoardo e di Clotilde Periolalo.
Sono stati uniti in matrimonio : Giuseppe
Trombetto, Pinerolo, con Vanda Mourglia e
Franco Tourn con Vilma Rivoira.
Ha avuto luogo il funerale di Oscar Mourglia, Cà da Mount, di anni 66; quello di
Ida Malan in Benecchio. Barbos, di anni 66
e quello di Giacomo Attilio Rivoira. Seilourà,
di anni 65 presieduto dal past. sig. Ricca.
Facciamo nostre le parole della Scrittura:
« Rallegratevi con quelli che sono allegri,
piangete con quelli che piangono » (Romani 12: 15).
A nome e da parte di Paimira Tourn vedova di Giacomo Attilio Rivoira ringraziamo
cordialmente il Pastore sig. Gustavo Bouchard
il quale ha presieduto il rito funebre con l’annunzio della speranza e tutte le persone vicine e lontane che hanno preso parte al suo
dolore, l’hanno aiutata e confortata, le hanno
dimostrato tanta simpatia in occasione della
dipartita del suo amato marito.
Da qualche tempo non avevamo più
dato notizie della nostra comunità e
dobbiamo purtroppo iniziare ricordando il nostro fratello Alberto Bleynat
che ci ha lasciato, dopo una lunga e
penosa malattia, in età avanzata. Pensiamo con affetto ai familiari che lo
hanno curato e seguito con dedizione.
Il Signore, che « non si stanca » di
tenderci la sua mano che salva, renda
la nostra fede vivente e vigile affinché,
sia che viviamo, sia che moriamo, tutto avvenga sempre per Lui.
— Una parola di riconoscenza al pastore Alberto Ribet ed al sig. Aldo Varese per i loro apprezzati messaggi rivolti alla comunità nel corso dei culti
del 19 agosto e 9 settembre.
— La riunione all’aperto di Pra
Pounsoun, favorita dal bel tempo, ha
permesso al numerosi partecipanti di
ascoltare, dopo il culto, il resoconto
delle prime impressioni sui lavori del
Sinodo. Ringraziamo quanti hanno permesso questo incontro occupandosi di
tutti gli aspetti pratici (sistemazione
dello spiazzo prescelto ecc.).
— Nel corso della settimana dal 10
al 16 settembre il pastore Conte ha
partecipato a titqlo informativo all’importante riunione del Consiglio
della CEVAA, tenutasi quest’anno a
Torre Pellice. Da tale riunione scaturiranno le linee di azione missionaria
di questo organismo al quale, com’è
noto, la Chiesa Valdese è strettamente
legata.
Giovanni Conte
Sabato 29 settembre
Ore 15 : Esame minuto per minuto della
scuola domenicale : Che fare? Problema del
canto, della preghiera, deUa spiegazione, della
disposizione, ruolo del monitore, ecc.
Ore 19 : Cena offerta dalla scuola domenicale di Pomaretto
Ore 20,30: Idee per la cosidetta festa delFalbero. Portare delle proposte attuabili!
Pensarci prima! (Vedi per es. Rivista della
S.D., n. 1 1973-74, copertina marrone).
Domenica 30 settembre
Ore 15: Con la partecipazione del past. T.
Soggin, segretario generale delle S.D.: Il programma 1973-1974.
Impegnatevi a partecipare a questo convegno indispensabile per svolgere coscientemente il compito di monitore!
Il convegno è organizzato specialmente per
i monitori di Perrero e Pomaretto. I monitori
delle chiese circonvicine saranno accolti con
gioia se si uniranno a noi.
La famiglia Pons-Bertin ringrazia
quanti hanno preso parte al suo grande dolore per la dipartita della cara
mamma e sorella
Lora Bertin ved. Pons
Un ringraziamento particolare al
Dott. De Bettini che per lunghi anni
l’ebbe in cura, al Pastore Coisson, alla famiglia Malan, ai vicini di casa
che con fiori e scritti vollero dimostrare la loro simpatia, al personale
Rep. Medicina dell’Ospedale Cottolengo di Pinerolo.
Torre Pellice, 14 settembre 1973.
CASA DE FERNEN
(ISTITUTO ARTIGIANELLI VALDESI)
ISCRIZIONI
Sono aperte per giovani operai e studenti fra gli anni 18 e 28. In casi
speciali possono essere accettati elementi più giovani.
POSTI 35
Riapertura in settembre - L. 60.000 mensili - Dep. L. 30.000
Tel. 652287 - Via Petrarca, 44 - TORINO
8
pag. 8
I NOSTRI GIORNI
N. 36 — 14 settembre 1973
Un manifesto cristiano uscito clandestinamente
dalla Corea del Sud
Proclamare liberamente la verità
e il solo moda di annunciare il Regno di Di
La preparazione militare Austria e Italia scrivono insieme la loro storia
(segue da pag. 1)
nipola l’informazione, pratica la propaganda a oltranza e il lavaggio dei
cervelli. I mass media sono diventati lo
strumento della propaganda governativa e diffondono mezze-verità e menzogne senza fondamento.
In quanto cristiani dobbiamo lottare
contro ogni sistema fondato sull’inganno e sulla falsificazione, perché siamo
dei testimoni della verità; dire la verità dev’essere la nostra vita. Proclamare liberamente la verità è l’unico modo
per annunciare il Regno di Dio per la
liberazione dell’uomo.
4. - Il regime odierno si serve spietatamente di tutti i mezzi capaci di sopprimere e distruggere qualsiasi opposizione politica, qualsiasi critica intellettuale e perfino persone innocenti. A tale scopo l’Agenzia centrale coreana d’informazione e altre reti di sorveglianza
non esitano a usare i metodi crudeli e
spietati della Gestapo o di Stalin. Indiscriminatamente il corpo e lo spirito
delle persone sono continuamente sottoposti alla minaccia e all’intimidazione; in numero crescente, gli arrestati
scompaiono...
5. - Il regime attuale è responsabile
di un sistema economico nel quale i
poveri sono sfruttati dai ricchi. Il popolo, in particolare gli operai delle città e i contadini nelle campagne soffrono di forme estreme di sfruttamento e
d’ingiustizia socio-economica. Il preteso sviluppo economico della Corea è
in realtà la cospirazione antipopolare
di alcuni potenti dirigenti e si rivela
come una maledizione per l’ambiente
in cui vive la nostra popolazione.
Noi cristiani dobbiamo lottare contro questo sistema disumanizzante e
ingiusto perché siamo i testimoni della
venuta del Regno di Dio nel quale il
povero sarà arricchito e la pace e la
giustizia regneranno.
6. - I regimi del Nord e del Sud usano i colloqui sulla riunificazione come
un’arma in cui svolgere il loro gioco di
potenza gli uni contro gli altri, sul piano interno come a livello internazionale, il che vuol dire tradire l’aspirazione dei Coreani alla riunificazione
della loro patria.
Siamo convinti che ogni azione per
l’unificazione della Corea dev’essere basata su una riconciliazione autentica,
in vista di ima comunità nazionale anch’essa autentica. Siamo coscienti che
le profonde ferite lasciate dalla recente suerra di Corea e le differenze ideologiche e di sistema politico ed economico dovranno essere superate.
Non potrà esservi reale riunificazione fino a quando non avremo rinunciato all’amarezza dei nostri ricordi di
guerra, alla nostra opposizione ai sistemi politici, economici e sociali che
differiscono dai nostri e alla situazione
oppressiva attuale.
Raccomandiamo perciò vivamente
quanto segue:
1) al popolo coreano: sopprimere
ogni specie di riconoscimento a leggi,
ordini, politiche e altri procedimenti
dittatoriali elaborati a partire dal VI
ottobre 1972; istituire varie forme di
solidarietà nel popolo per lottare in
favore della restaurazione della democrazia nella Corea del Sud.
1) ai cristiani di Corea: per prepararci alla lotta suddetta, noi cristiani,
dobbiamo rinnovare le nostre chiese
approfondendo la nostra riflessione
teologica, prendendo posizione nettamente, solidali con i poveri e con gli
appressi, affermando in modo appropriato rEvangelo del Regno di Dio e
pregando per il nostro paese; e dobbiamo essere pronti al martirio, se necessario, come lo furono i nostri padri.
3) alle Chiese del mondo: anzitutto, abbiamo bisogno delle vostre preghiere e della vostra solidarietà; vi
chiediamo di esprimere il vincolo che
ci unisce con i vostri atti d’incoraggiamento e con il vostro appoggio.
della Cina
L’agenzia « Nuova Cina, in una corrispond^enza da Pekino, ha riferito che
le guardie di frontiera del Sinkiang (la
provincia nord occidentale che confina
con la Russia) e truppe della Mongolia
Interna hanno intensificato l’addestramento, e ciò viene messo in rapporto
con il passo del comunicato del congresso del partito comunista con il quale popolo e esercito sono stati esortati
a intensificare la preparazione, nell’eventualità di guerre di aggressione o
di una guerra mondiale imperialistica,
e, in particolare, per esser pronti a
fronteggiare attacchi di sorpresa del
« socialimperialismo », cioè dell’URSS.
I reparti deH’esercito, afferma l’agenzia, manifestano la determinazione di
serrare i ranghi intorno al comitato
centrale del partito, guidato dal presidente Mao, il quale ha insegnato che il
partito deve comandare il cannone, e
che mai deve avvenire il contrario.
L’esercito, conclude l’agenzia, tiene
conto deH’insegnamento di Lin Piao (il
defunto Ministro della difesa, che il X
congresso ha espulso « post mortem »
dal partito) per rendersi conto di quello che non si deve fare.
Il punto di vista del dirimpettaio
^ Si è tenuto a Strasburgo il primo congresso europeo (quasi 800 partecipanti)
delle Società di immunologia nazionali e del
gruppo di studi suH’immunologia dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa; partecipavano pure, da parte italiana, due membri del reparto di anatomia umana e di microbiologia della Facoltà di medicina dell’Università di Torino e un gruppo di ricercatori
dell’Università di Bologna. Al termine è stato
annunziato che le ricerche sull’immunologia
hanno fatto in questi anni grandi progressi,
importantissimi per le ricerche sui tumori,
per i trapianti di virus e vaccini : si è giunti
a una comprensione più completa della struttura degli anticorpi e a una maggiore precisione nel definire il ruolo della cooperazione
cellulare.
I Secondo fonti non ufficiali, la polizia politica sovietica (KGB) avrebbe sequestrato un libro di Alexandr Solgenitsin sulla storia dei campi di concentramento dell’URSS
dal 1918 al 1956. Il libro, a quanto riferisce TA/rsa, sarebbe intitolato « Arcipelago
GULAP » : questa sigla, all’epoca di Stalin,
indicava l’ente che amministrava i campi. La
polizia sarebbe venuta a conoscenza dell’esi
stenza del libro e del luogo dove era custodito
da una donna di nome Jelizaveta Veronianskaia, la quale, dopo la rivelazione, si sarebbe
tolta la vita.
H 11 sottosegretario americano alla difesa
William Clements, in un’intervista al
« Washington Starnews », ha reso noto che
gli Stati Uniti stanno attualmente mettendo a
punto un nuovo tipo di razzi nucleari non
rientranti negli accordi sulla limitazione degli armamenti strategici conclusi con l’Unione
Sovietica. Si tratta di una nuova serie di razzi detti « razzi di crociera », per opposizione
ai razzi balistici, che possono essere lanciati
da aerei, navi o basi terrestri sino ad una distanza di circa 1600 km. Questi razzi sarebbero molto più manovrabili dei razzi balistici
e potrebbero volare sia ad alta che a bassa
quota, a velocità supersonica o subsonica.
H II Consiglio municipale di Fort-Lamy,
capitale del Ciad, ha deciso di cambiare
nome alla città che d’ora in avanti si chiamerà Ndjemena. Si provvederà anche a cambiare
i nomi delle strade di Ndjemena, lasciando
solo l’Avenue du generai De Gaulle e la Place Felix Eboué.
Un libro di storia di stile inconsueto è apparso recentemente in Austria,
presso le edizioni Jugend und "Volk di
Vienna, e in Italia, presso l’editore
Cappelli di Bologna; autori, Silvio Furlani e Adam Wandriszka. Pubblicato
per iniziativa della Commissione nazionale austriaca per l’UNESCO, si
stacca dalle vie battute solitamente
dagli autori di manuali. Anziché stendere una cronologia di battaglie, riassumere biografie di uomini illustri o
analizzare gli effetti delle forze economiche che si affrontano, L’Austria e
Vitalia — questo è il titolo dell’opera
— cerca di dare una visione obiettiva
dei rapporti tra le due nazioni.
Lo spirito con il quale è stata realizzata questa pubblicazione è quello
che anima il programma per la revisione dei manuali scolastici, avviato
da tempo dall’UNESCO e di recente
caratterizzato da incontri nel corso
dei quali storici poiacci e tedesco-occidentali si sono trovati d’accordo nel
cercare di eliminare nei manuali scolastici dei due paesi gli stereotipi e
pregiudizi secolari che avvelenano il
cervello degli alunni. Ma l’opera che
presentiamo va oltre, su questa via.
Due storici eminenti, l’uno italiano,
l’altro austriaco, hanno redatto a turno i vari capitoli: senza eludere alcuna questione controversa, essi passano in rivista i rapporti reciproci fra
i due popoli, ponendo l’accento su
quello che li ha riuniti o, più frequentemente, divisi.
L’opera dei due autori è caratterizzata dalla preoccupazione di essere
obiettivi. Così Adam Wandruszka, professore di storia all’Università di Vienna, trattando dell’influenza della cultura italiana in Austria, fa notare che
nel XVI secolo gli Asburgo parlavano
italiano in famiglia, e riconosce che il
saccheggio di Piubega, da parte degli
Austriaci, all’inizio del XVIII secolo
non era certo fatto per attenuare la
ostilità che i Mantovani nutrivano nei
loro confronti. Da parte sua Silvio Furlani, bibliotecario della Camera dei deputati italiana, non esita a definire
« bestiale » la rivincita dei suoi compatrioti sulle truppe napoleoniche.
Ciò che maggiormente risulta da
questo libro, realizzato grazie alla collaborazione delle Commissioni nazionali austriaca e italiana per l’UNESCO, è quanto i due popoli hanno sofferto per il fatto di essere semplici pedine sullo scacchiere politico europeo.
Così, quando l’Italia non era ancora.
secondo l’espressione di Metternich,
altro che « un’espressione geografica »,
Napoleone non ha esitato a offrire all’Imperatore d’Austria la Repubblica
di Venezia, la Dalmazia e l’Istria, un
mercato che quest’ultimo si è affrettato ad accettare. Così pure, dopo la
prima guerra mondiale, quando l’immenso impero asburgico era stato ridotto a una repubblica senza accesso
al mare, Mussolini, che si era fatto
campione dell’indipendenza austriaca,
si era ritirato e aveva lasciato che si
compiesse l’Anschluss con la Germania nazista, per assicurare l’Asse Roma-Berlino, un atteggiamento che gli
valse il telegramma di Hitler: « Duce,
non lo dimenticherò mai ».
Non ci sono eroi, in questo libro: né
gli Austriaci, né gli Italiani, né gli Spagnoli e i Francesi che fecero dell’Italia un’arena per le loro lotte dinastiche, né gli Inglesi, che, come nota Silvio Furlani, sovvenzionarono le operazioni austriache esigendo alti interessi; e neppure Andreas Hofer, il martire sud-tirolese: gli avvenimenti che
portarono alla sua esecuzione sono
analizzati con molta obiettività.
Appunto, l’ultimo capitolo del libro
affronta la situazione delle popolazioni di lingua tedesca dell’Alto Adige e
studia gli sforzi dei due governi per
regolare la questione. Gli errori di partenza, gli insuccessi, i progressi fatti
sulla via della comprensione sono esaminati, i sospetti sono analizzati, le
pretese avanzate sono spiegate, senza
con ciò eludere i giudizi di valore.
Si è detto spesso che Italiani e Austriaci vivono voltandosi la schiena;
questo libro ha l’ambizione di metterli gli uni di fronte agli altri.
Antony Brock
(Informations UNESCO)
Uno studio statistico
deii'OiL suii'abuso
di bevande aieooiiebe
I danni economici provocati dal triste
fenomeno - Allarme per l'uso sempre
più diffuso di barbiturici e siimolant:
UNA
PROTESTA
EROICA
Aumentano
le riserve monetarie
dei Paesi
in via di sviluppo
Il volume delle riserve monetarie dei Paesi
in fase di sviluppo, e in particolare di quelli
dell’America Latina, è aumentato più velocemente che in altre regioni del mondo durante la prima metà di quest’anno. Ne ha dato
notizia il Fondo Monetario intemazionale. Il
fenomeno costituisce soprattutto il riflesso di
un aumento dei prezzi delle derrate per
l’esportazione. Nell’insieme i Paesi in fase
di sviluppo hanno aumentato il totale delle
loro riserve dell’11% dalla fine del 1972 e del
27% dalla fine del primo semestre dello scorso anno. Al termine dello scorso mese di giugno, tali riserve ammontavano a 32 miliardi
di diritti speciali di prelievo.
Durante i primi sei mesi del 1973, il volume delle riserve dei Paesi industriali è aumentato solamente del 4%, passando da 95 a
99,2 miliardi di diritti speciali di prelievo.
L’America latina ha avuto l’incremento maggiore: il 17% durante il primo semestre di
quest’anno e circa il 52% fra la metà del 1972
e la metà di quest’anno. Segue il Medio Oriente (con incrementi, rispettivamente, del 13 e
del 31%), e quindi l’Asia 12 e 21%).
Per quanto riguarda le esportazioni dei Paesi in fase di sviluppo, esse hanno segnato un
incremento di circa il 17% nel primo trimestre del 1973, passando da 66 miliardi e mezzo di dollari al termine del marzo 1972 a 78
miliardi di dollari alla fine del marzo di quest’anno (termini annuali).
L’aumento delle esportazioni dei Paesi industriali nel primo trimestre di quest’anno
(sempre in termini annuali) è stato del 25%
rispetto a quelle del primo trimestre dello
scorso anno.
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Coop. Tip. Subalpina - Torre Pellice (Torino)
« Mai voci tanto forti, tanto eroiche, erano giunte
da Mosca. ^
Sfidando le minacce e le rappresaglie della KGB (= Polizia di Stato),
due uomini, due russi fra i più illustri,
si sono rivolti “all’Occidente”. Per lanciare un avvertimento, un messaggio
di pericolo, un appello.
Il fisico Andrea Sakharov, “padre"
della bomba H sovietica, ha concesso
un’ intervista al giornalista francese
Edouard Dillon. Con precisione di
scienziato egli apre un immenso dibattito sulle condizioni in cui la distensione e la collaborazione economica
fra Oriente ed Occidente, possono, O
NO , liberare gli uomini.
Alessandro Solgenizin, il più grande
scrittore sovietico vivente, premio Nobel della letteratura, riceveva, nello
stesso momento nei dintorni di Mosca,
Frank Crepeau corrispondente della
agenzia americana “Associated Press’’,
e Alain Jacob di “Le Monde", col proposito di rispondere per iscritto e a
viva voce alle loro domande.
“L’informazione internazionale, le
idee, i fatti, le proteste filtrano malgrado tutto", dice Solgenizin. “I regimi
dell’Est hanno una paura mortale dell’opinione pubblica occidentale”. Questo è l’appello. (...)
Essi pongono un problema che nessuno potrà più dimenticare, in ogni
rapporto Est-Ovest.
La stampa mondiale dà larga diffusione ai due documenti. Lo stesso Partito Comunista Italiano ha autorizzato
la pubblicazione, sull’“Unità", di alcuni frammenti. Quanto al Partito Comunista Francese, n’è venuta la dichiarazione ( testuale da parte del segretario generale Georges Marcháis) di non
ritenere interessante ciò che può dire
o fare una "opposizione limitata a un
centinaio di persone”. Il giorno dopo,
il Marcháis ha aggiunto: "I detentori
del potere, in Francia, dònno vita ad
un’ingiustificabile campagna antisovietica, solo per ragioni di classe".
Negli stessi giorni, in una piccola
sala alla periferia di Mosca, due noti
“dissidenti" amici di Sakharov, lo storico Piotr Yakir di 48 anni, e l’economista Victor Krassin di 44 anni, venivano processati a porte chiuse e cominciavano le loro “confessioni" (...).
Solgenizin ha parole dure per Yakir e Krassin: “Essi si sono comportati (ha detto) senza fermezza d’animo”.
Ma Yakir, già più d’un anno fa, aveva
avvertito David Bonavia, corrispondente del "Times" a Mosca: “Se mi picchieranno, io dirò tutto quello che
vorranno farmi dire. Ma voi saprete
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
che non sarò veramente io a parlare
con la mia bocca”.
Il processo di Yakir e Krassin ne
preannuncia degli altri. Si tratta di far
tacere o di squalificare. Ma la minaccia non è stata sufficiente a intimidire
Sakharov e Solgenizin, i quali giocano
il tutto per il tutto ». Sono infatti in
corso altre loro dichiarazioni.
(Da « L’Espresso » del 3-9.9.’73).
Anche noi riteniamo il fatto, non
certo una sorpresa ma il segno dello
aggravarsi d’un lontano, orribile malessere sotterraneo, di fondamentale
importanza per Favvenire politico di
tutto il mondo, e ciò per un periodo
di tempo che sarà molto lungo: inizio
d’un’evoluzione storica non più reversibile, esso sembra richiamare certe
dolorose storie non tanto dell’epoca
stalinista, quanto piuttosto di quella
zarista. È impossibile infatti scacciare
il ricordo, che oggi riaffiora, di certe
persecuzioni anteriori alla rivoluzione
del 1917: Solgenizin come il grande
Tolstoj, che visse molti anni della sua
vita esiliato in patria.
Già Se n’è avuta un’eco nel CEC
(= Consiglio Ecumenico delle Chiese),
alla vigilia della chiusura della sessione del Comitato Centrale (Ginevra,
28.8.’73), quando il past. Roger Mehl,
delegato francese, « ha riassunto l’opinione di molti con la seguente interrogazione: “Con che diritto possiamo
noi denunciare la violenza nel SudAfrica, nel Medio Oriente, nell’Irlanda e
negli USA, se siamo costretti a tacere
su ciò che accade nei paesi socialisti
dell’Est?’’».
(Da « Le Monde » del 30.8.’73).
CERTE PRIGIONI...
« Sono celle carcerarie sotto il
livello del terreno, con sbarre di ferro al soffitto invece che alle pareti. I
soffitti sono così bassi che i prigionieri
non hanno spazio per stare in piedi e
così molti perdono l’uso delle gambe.
Le guardie camminano sui telai di ferro sopra le gabbie dei prigionieri. Pei
mancanza di spazio, in ogni cella due
dei cinque detenuti stanno sdraiati sul
pavimento di cemento e gli altri tre
nella parte più bassa addossati l’uno
all’altro, come sardine inscatolate, nel
caldo torrido. Secchi di calce viva e
bastoni sono sempre tenuti a portata
di mano sulle intelaiature di ferro in
cima alla cella perché le guardie le
usino a volontà ».
Non è la descrizione del carcere Mamertino di neroniana memoria, e nep
pure di qualche cella carceraria babilonese dell’epoca
deH’esilio degli ebrei dell’A.T. Ê semplicemente la descrizione delle famose « gabbie di tigre » nel Sud-Vietnam, di cui gli americani sono, com’è ben noto, diretti responsabili. (La descrizione è tolta dal
libro: « Vietnam: le ferite aperte » a cura di Livia Rokach, Edit. Marsilio. Essa
si trova riportata su « L’Espresso-oolore » del 19.8.’73). Se n’è parlato più volte anche su questo settimanale (v. ad
es. l’art. « Due altre drammatiche denunce », nel n. 26 del 20.6.’73, p. 6).
LA COSTITUZIONE ITALIANA:
UN ESEMPIO
-A- La fabbrica d’orologi LIP di Besançon (1300 operai), già catturata, attraverso acquisto di azioni, dalla società svizzera Ebauches, poi smantellata
parzialmente e ridotta a condizioni
fallimentari, venne nel giugno u. s. occupata dagli operai. Successivamente
questi si misero a gestire l’officina, a
fabbricare orologi e a venderli per conto loro.
Violento conflitto col governo francese, occupazione della fabbrica da
parte della polizia, ecc.: il caso è grave, non se ne vede ancora la soluzione.
.1. J. Servan-Schreiber (su ’L’Express’
del 20-26.8.’73) afferma che « la soluzione possa trovarsi nella Costituzione
della Repubblica Italiana. Vi sono al
nostro fianco (egli dice), in tutta Italia, circa 50 officine che, in meno di
due anni, sono passate per una crisi
di tipo LIP, con occupazione e successiva autogestione dei salariati, crisi
provocata da carenza dei proprietari o
dei dirigenti: mai la soluzione della
crisi ha implicato l’occupazione da
parte della polizia. I sindacati e gli
operai s’appoggiavano pubblicamente
su due passi essenziali della Costituzione e. cioè fi
a) “Qgni proprietà privata deve
servire a una funzione pubblica". La
parola “pubblica” ha, nel contesto, il
significato di “sociale”, o "generale”,
e non di “statale”.
b) “Il lavoro è, per ogni cittadino, sia un dovere che un diritto".
Evidentemente è consacrato il “diritto
al lavoro" ».
Siamo anche noi convinti della bontà della nostra Costituzione. Ma qui
non crediamo che lo S. Schreiber veda giusto: qui si tratta di rapporto di
forze classe operaia-Stato, e questo
rapporto è molto diverso in Italia che
in Francia.
Uno studio statistico recentemente pubbli
cato dall’Organizzazione internazionale dei
lavoro (OIL) rivela che l’alcoolismo — flagello che tocca attualmente circa il 20 per
cento della manod’opera di alcuni Paesi ■—
sarà probabilmente superato ben presto dall’abuso sempre più frequente di barbiturici
e di stimolanti.
Le perdite nella produzione provocate da
lavoratori alcoolizzati, assenti in media ventiventicinque giorni per anno e più soggetti ai
pericoli di incidenti gravi, sono considerevoli
riferisce lo studio dovuto al sindacalista canadese, Joseph Morris. Nel Canadá, per esempio,
si calcola che un alcoolizzato costi in media
il 25 per cento del suo salario quotidiano all’impresa che lo impiega e che per la Nazione
il costo per giornata di lavoro sia di circa un
milione di dollari. Negli Stati Uniti, aggiunge
il rapporto, le imprese subiscono, per due milioni di alcoolizzati, perdite valutate a circo
sette miliardi di dollari per anno, vale a dire
il doppio di quanto costano le ore di lavoro
perdute daH’insieme dei lavoratori statunitensi in seguito a scioperi.
Per quanto concerne i tranquillanti, il loro
impiego diventa sempre più preoccupante sottolinea il rapporto dell’OIL, Quasi sconosciuti
venti anni fa, attualmente il loro impiego fra
i lavoratori si va estendendo di giorno in giorno, La produzione e l’importazione di barbiturici nel Canadá è attualmente di 500 milioni
di dosi l’anno; negli Stati Uniti 500 milioni
di dollari sono stati spesi nel 1971 per 1 acquisto di sedativi; in Francia, infine, sono state
vendute, nel 1971, tre milioni di dosili rapporto, nel riferire le conclusioni di un
gruppo di esperti americani, ricorda che (anche se queste sostanze non provocano grandi
danni all’uomo sul piano fisico e psicologico)
il danno per l’insieme della società può essere
rilevante. Soprattutto quando vi è assuefazione ai bàrbiturici, il lavoratore può essere tanto
pericoloso quanto un impianto difettoso.
L’autore dello studio insiste pertanto sul
ruolo importante che i sindacati possono svolgere per porre fine a questo abuso inconsiderato di barbiturici e sull’importanza dei centri
di trattamento e di riabilitazione, che dovrebbero trovarsi sui posti stessi di lavoro, senza
dimenticare infine la necessità di studiare a
fondo le cause del male, la natura del lavmro
e le sue eonseguenze sulla psiche dei lavoratori.
t L’articolista cita a senso : questo evidentemente corrisponde agli art. 42 e 4.
Lago bollente sotterraneo
scoperto neil’URSS
Un grande lago sotterraneo di acqua bollente è stato scoperto di recente dagli scienziati
sovietici che studiano, ora, la possibilità di
sfruttarne Penergia per alimentare una centrale termoelettrica.
Il lago — riferisce la « Selskaia Zhizn »
(« Vita Agricola ») — è situato a milleduecento metri di profondità in una zona vulcanica
della penisola di Kamciatka, a oltre dodicimila
chilometri di distanza da Mosca. La temperatura delPacqua è di 253 gradi centigradi, la
più calda mai registrata nelPURSS in un bacino sotterraneo. Con le acque del lago gli
scienziati calcolano che si potrebbe alimentare per decenni una centrale elettrica della
potenza di settantacinquemila kilowatt.