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SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI
VENERDÌ 14 GENNAIO 1994
ANNO 2 - NUMERO 2
ANCORA UNA RIVOLUZIONE?
LAMPI
SUL MESSICO
MARCO JOURDAN
KAROLA STOBÂUS
Da due nostri collaboratori
che erano in Messico nel momento della rivolta zapatista
riceviamo le seguenti informazioni
Le notizie che circolano in
Messico sono accuratamente controllate. Il governo
pubblica messaggi rassicuranti, minimizzando le dimensioni della rivolta, che attribuisce ad alcune centinaia
di estremisti della tribù Lacandones, gelosi delle proprie
tradizioni e della propria autonomia. Viene anche accreditata, sempre da parte governativa, l’ipotesi di una rivolta
fomentata da rifugiati guatemaltechi, particolarmente numerosi nello stato messicano
del Chiapas.
Alcuni giornali Usa che
hanno edizioni in Centro
America, come il «Miami
Herald», avanzano l’ipotesi
di una influenza cubana o di
«Sendero Luminoso», ma qui
nessuno ci crede. In Guatemala le notizie circolano più
liberamente. Secondo il quotidiano progressista «Siglo
Veintiuno», la rivolta è legata
alle miserabili condizioni di
vita alle quali sono costrette
le popolazioni indigene.
I ribelli, che si sono attribuiti il nome di «Ejercito zapatista de liberación nacional» (Ezln) si ispirano alla rivolta di Emiliano Zapata,
scoppiata intorno al 1910, ma
nei loro comunicati non evidenziano altri riferimenti
ideologici. Contrariamente a
quanto sostiene la stampa ufficiale messicana, essi sembrano appartenere alla popolazione india Tzeltal, che già
nel 1910 aveva sostenuto la
rivolta di Zapata e che da allora si contraddistingue per
un forte impegno civile.
Negli ultimi vent’anni gli
Tzeltal hanno avuto dal governo lotti di terre da coltivare nella selva Lacandona,
senza però ottenere gli aiuti
promessi per le opere di diboscamento necessarie all’impianto di nuove colture. Inoltre hanno dovuto e devono
tuttora difendersi dalla ostilità
dei Lacandones, che sono gli
originari abitanti di quelle foreste dalle quali traggono il
«chiclé» (la gomma da masticare) e il mogano e quindi
non gradiscono intrusioni di
sorta.
Varie associazioni o sindacati, come la «Asociaron latinoamericana para los derechos humanos» (Aldhu) e il
«Frente obrero campesino»
sostengono la tesi di una rivolta non premeditata, ma legata alle precarie condizioni
di vita. Leader indigeni e
campesinos ritengono che situazioni analoghe potrebbero
ripetersi in molti altri paesi
del Centro America perché,
dicono, oltre cinquanta milioni di indigeni vivono emarginati e, in alcuni casi, addirittura schiavizzati in territori
che nel passato possedevano
e dei quali reclamano oggi la
proprietà.
Il premio Nobel Rigoberta
Menchù ha respinto decisamente l’accusa di un coinvolgimento di rifugiati guatemaltechi e ha espresso il timore
di un allargamento della rivolta anche fra i Maya del
Guatemala. Pur comprendendo la disperazione dalla quale
è scaturita la rivolta, ha disapprovato con forza il ricorso alla violenza perché controproducente a livello politico e causa di un ulteriore isolamento dei movimenti a favore delle popolazioni indie.
Da viaggiatori provenienti
dal Chiapas e incontrati ieri
(7 gennaio, ndr.) a Flores,
nella confinante provincia
guatemalteca del Peten, abbiamo avuto conferma delle
notizie di stampa: l’esercito
messicano è intervenuto con
grande determinazione. L’aviazione ha bombardato numerosi villaggi dove sospettava la presenza di ribelli. Le
truppe hanno occupato città
come San Cristobai, Las Casas, Las Margaritas, da dove i
ribelli si sono ritirati e la popolazione civile è fuggita.
Cadaveri di ribelli e civili
giacciono per le strade e gli
animali ne fanno scempio.
Difficile dire quanto potrà
durare la rivolta, forse non a
lungo perché i più importanti
leader politici e sindacali ne
hanno preso le distanze.
La vocazione cristiana ha sempre una dimensione comunitaria
Scoprire i compagni del nostro cammino
____________MASSIMO AQUILANTE_____________
«Che fai tu qui, Elia? Egli rispose: Sono stato mosso da una gran gelosia per
rEterno, l’Iddio degli eserciti...»
(IRe 19, 13-14)
Mi piace iniziare questa breve meditazione con una parola molto
asciutta: le nostre comunità stanno vivendo un periodo di mortale ripiegamento su se stesse. Al di là delle eccezioni
che certamente ci sono, il quadro generale mi appare contraddistinto da linee introverse. Insomma, sembra che per molti
versi e in larga misura le nostre comunità
stiano facendo un po’ come fece a suo
tempo Elia il quale, a causa della dura
reazione della regina Izebel nei suoi confronti, «si levò e se ne andò per salvarsi
la vita (...) si inoltrò nel deserto (...) andò
a sedersi sotto una ginestra ed espresse il
desiderio di morire» (I Re 19, 3 s.).
Abbiamo vissuto la nostra vocazione
in modo forte. Abbiamo sostenuto per
esempio che Tessere «gelosi» e «zelanti»
di Dio significa esserlo anche di questa
nostra umanità, della nostra sqcietà, dello stato, e addirittura della struttura del
mondo. Abbiamo sostenuto che l’impegno è ciò che dà senso alla nostra vita e
ci salva dall’andazzo generale e che esso
è anzitutto responsabilità individuale.
Abbiamo sostenuto che Dio si manifesta,
viene, perché il mondo con tutte le sue
tristezze sia trasformato. Ma poi si è
aperta la fase in cui abbiamo cominciato
a pensare che alla fine questa vocazione
«ci mette nei guai». E se per due volte risuona la domanda di Dio a Elia, per due
volte deve esserci la nostra risposta: una
sola non basta.
La vocazione non è un processo lineare, ma si muove tra due blocchi di domande e risposte. In mezzo ci sono il nostro peccato e la nostra salvezza. E successo qualcosa alTestemo: Izebel ci minaccia. 1 meccanismi di ingiustizia, violenza, odio presenti nella nostra realtà ci
piegano fino a terra. Ma è successo anche qualcosa alTintemo: la nostra vocazione è entrata in crisi per l’asprezza del
conflitto. Come Elia, ci accasciamo sotto
una ginestra. Manca l’occupazione, e
quando c’è è precaria; siamo stanchi;
dobbiamo pensare alla famiglia... Dove
sta scritto che la vocazione deve essere
talmente totalizzante da interferire e determinare ogni aspetto della nostra esistenza? Certo, non voglio negare il mio
zelo e la mia gelosia per la causa
dell’Eterno; ma lui deve anche capire
che i problemi e le difficoltà sono tanti e
che forse è giunto il momento di comin
ciare ad essere gelosi e zelanti anche per
se stessi!
Ma questo è il momento in cui Dio
chiede di nuovo: Che ci stai a fare qui?
Esplode in noi un interrogativo sconvolgente, perché ci siamo dimenticati di essere «ricercati» non solo dalla regina
Izebel, ma anche e soprattutto da Dio!
Due volte Dio domanda; due volte, come
Elia, dobbiamo rispondere. Il dialogo tra
Dio e Elia non è drammatico ma sereno;
non manca anzi di una certa venatura
umoristica. Mentre Elia carica di tinte
tragiche il suo dramma (esattamente come facciamo anche noi), Dio gli ricorda
che ben settemila persone lo stanno
aspettando. Elia ha pensato di essere rimasto solo, si è preso fin troppo sul serio
e ha sbagliato i calcoli. E, come Elia,
quante volte anche noi facciamo altrettanto!.
Ci sono dunque anche le altre persone,
chiamate da Dio esattamente come noi, e
che lui ci permette di incontrare e con le
quali possiamo camminare. È da ricordarsene in questo anno appena iniziato,
con le nubi tristi e minacciose che incombono sulla nostra realtà: Dio ha un
progetto di salvezza per noi e per gli altri. Non lo portiamo avanti da soli: sul
nostro cammino incontriamo un numero
infinito di compagni e compagne.
Valdesi
No all'invito
di «celebrare»
in San Pietro
Un fermo no è venuto dal
moderatore della Tavola valdese, Gianni Rostan, al cortese invito di Pierre Duprey,
segretario del «Pontificium
consilium ad christianorum
unitatem fovendam», di partecipare nella Basilica di San
Pietro, domenica 23 gennaio,
alla «celebrazione» della Settimana di preghiera per T
unità dei cristiani.
Giovanni Paolo II ha indetto per «domenica 23 gennaio
una speciale giornata di preghiera (per la pace nei paesi
dell’ex Jugoslavia) per implorare la pace. Celebrerò in
quel giorno, qui a Roma, la
Santa Eucarestia» e ha invitato «tutta la Chiesa a unirsi
a me, facendo precedere questo momento di profonda orazione comunitaria da una
giornata di digiuno».
Il moderatore Rostan, rispondendo alla lettera di invito, osserva che la «situazione
dei paesi dell’ex Jugoslavia,
che purtroppo si somma ad
altre situazioni pure critiche
e dolorose in altre parti del
mondo, è certamente oggetto
di preghiera da parte delle
chiese evangeliche metodiste
e valdesi già da tempo» tuttavia «una nostra partecipazione alla celebrazione in San
Pietro, indetta dal papa Giovanni Paolo 11 è invece esclusa, in quanto proprio il papato, indipendentemente dalle
intenzioni del papa, è segno
di contraddizione e pietra di
inciampo nel quadro delle relazioni ecumeniche».
«Sono certo invece - conclude il moderatore - che vi
saranno, come altre volte nel
passato, molte occasioni di
incontro fraterno fra parrocchie cattoliche e chiese protestanti. Questo è il livello di
incontro ecumenico attualmente possibile, e nello stes.so
tempo un segno di speranza
per il futuro».
Delle Chiese
Protestanti a Siena
pagina 3
’ A o
Della Parola
Incontrare Gesù
di Nazaret
pagina 6
Il «Direttorio
ecumenico»
pagina 10
2
PAG. 2 RIFORMA
VENERDÌ 14 GENNAIO 1994
Sono un piccola minoranza ma giocano un ruolo importante nel processo di pace
La difficoltà di essere cristiani in Palestina
i dimenticati della Galilea
ALAIN MEYER*
Come si può essere arabi
e non musulmani, israeliani e non ebrei, cristiani e
palestinesi allo stesso tempo? In questa equazione è
presente tutta la dijficoltà di
essere chiese in Israele. I cristiani palestinesi vivono
dolorosamente la loro situazione di uomini e di donne di
seconda classe in uno stato
che non fa molto caso della
loro condizione.
Quando nel 1947 l’Onu decide la spartizione della Palestina e ne attribuisce una parte (fra cui Gerusalemme) agli
ebrei, questa decisione viene
accolta con sollievo. Il popolo eletto, martirizzato dall’
olocausto, ritrova finalmente
la propria terra, quella che
Dio aveva promesso a suo
tempo ad Abramo e a Mosè.
A quel tempo si è voluto
ignorare che uomini e donne
abitavano già questa terra e
che questa non era vergine di
ogni occupante; certo, c’erano arabi musulmani, che avevano fatto di Gerusalemme
una città santa e un luogo di
pellegrinaggio: c’erano anche
arabi cristiani che risiedevano nei luoghi santi. Queste
comunità cristiane in Israele
e nei territori occupati vengono oggi talmente ignorate che
è difficile raccogliere qualche informazione sul loro
conto.
La storia di queste comunità cristiane nella terra di Israele comincia con la vita e
gli atti di Gesù di Nazareth:
la prima comunità cristiana si
è concentrata intorno a Gerusalemme. Malgrado le inimicizie dell’inizio, sembra che
la coabitazione delle differenti religioni a Gerusalemme e nella Palestina si sia
svolta abbastanza bene, prima con i giudei, o con ciò
che ne rimaneva dopo la distruzione del Tempio nel 70
e la dispersione, quindi con i
musulmani, dopo le conquiste dell’Islam alla fine del
VII secolo. Le cose cominciano a guastarsi con le crociate, che apriranno un lungo
periodo di lotte e di conflitti
che dura tuttora; se le questioni sollevate dalla presenza di musulmani in Israele
non sono per nulla risolte,
quelle poste dalla presenza
cristiana rimangono anch’esse in sospeso.
Chi sono dunque questi cristiani? La Palestina offre il
triste spettacolo di una cristianità divisa: tutte le comunità deirOriente e dell’Occidente si sovrappongono,
ognuna con il proprio colore,
il proprio rito, la propria tradizione la propria lingua e il
proprio patrimonio culturale.
E a Natale che le divisioni
appaiono di più: la nascita di
Cristo viene festeggiata tre
volte: il 25 dicembre i cattolici e i protestanti festeggiano a
Betlemme; il 6 gennaio tocca
agli ortodossi; il 19 gennaio
agli armeni. Eppure questi
cristiani divisi rappresentano
una piccola minoranza: sono
appena 150.000, per la maggior parte di lingua araba; per
il 60% sono cattolici, di cui
metà di rito latino. Gli altri
sono melkiti (greci-cattolici),
maroniti, siriani, armeni, copti e caldei; anche una piccola
comunità cristiana di lingua
ebraica sopravvive in Israele.
Gli ortodossi rappresentano il
35% dei cristiani; sul loro patriarcato sventola la bandiera
greca. Gli anglicani e i prote
Greco-ortodossi festeggiano il Natale nella chiesa San Giorgio a Gerusalemme
stanti formano un piccolo
gruppo (il 3%), anch’esso diviso: vi si trovano luterani,
battisti e presbiteriani di origine scozzese (...).
Nel sottolineare la profonda unità dei palestinesi, siano
essi musulmani o cristiani,
mons. Kafiti, vescovo arabo
e anglicano di Gerusalemme,
propone una bozza di soluzione: «Ognuno deve avere il
diritto di vivere qui, in sieurezza e nel rispetto dei propri diritti». D’altra parte ricorda con vigore che gli arabi devono avere gli stessi diritti degli ebrei; rivolgendosi
a questi ultimi, afferma:
«Dovete capire che la pace
non è un pericolo per Israele
bensì l’unica via possibile».
Oggi più che mai le chiese
in Israele si preoccupano della sorte dei più poveri; è nel
campo della diaconia che esse sono più attive. Nella zona
di Ramallah, ad esempio, un
orfanotrofio accoglie 120
bambine e ragazze dai 3 ai 16
anni: le loro famiglie sono
state divise, le loro case distrutte, l’esproprio dichiarato.
Queste rappresaglie avvengono perché dei padri, dei fra
telli, sono in carcere per aver
osato lanciare sassi durante
r Intifada, la rivoluzione delle pietre; un tetto, una scuola,
canti, danza, e molto affetto
per ridare gusto alla vita a
queste ragazze disperate. In
Cisgiordania l’Ymca (Unione
cristiana dei giovani) elabora
un programma per adolescenti dai 13 ai 18 anni, vittime dell’Intifada: sono feriti,
a volte anche handicappati a
vita. Le conseguenze psicologiche sono enormi e il programma stabilito si muove su
due assi: dare agli adolescenti il sostegno psicologico di
cui hanno bisogno e dar loro
un orientamento professionale. Terzo esempio: l’unione cristiana palestinese di
donne, che lavora nei campi
profughi: essa gestisce giardini d’infanzia e assicura la
formazione tecnica delle
donne (segretariato, informatica, economia domestica,
cucito).
Ciò che pesa di più sulle
chiese palestinesi è il sentimento di essere poco conosciute, o addirittura ignorate:
sono invece un fattore importante della vita palestinese e
giocano un ruolo nel processo
di pace. Mons. Michel Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme, spiega la posizione
delle chiese dopo gli accordi
tra l’Olp e Israele: «Abbiamo
sempre predicato il dialogo e
la nonviolenza: da due anni,
questo dialogo esiste e comincia a portare frutti; malgrado le numerose critiche,
ben comprensibili, credo che
la pace si imporrà a tutti». E
ricorda che ebrei e palestinesi
sono stati educati, da settant’anni, a odiarsi e a uccidere: «Rimane da fare uno sforzo per rieducarli alla pace».
Sabbah definisce così il
ruolo delle chiese: «Contrariamente a quello che taluni
vorrebbero far credere, i cristiani palestinesi non rappresentano un’entità a parte: sono parte integrante del popolo palestinese e, in quanto tali, si impegnano in tutte le
azioni politiche che possono
portare alla giustizia e alla
pace. Per lealtà nei confronti
del loro popolo e per fedeltà
all’Evangelo».
(’”) Da Messager Evangélique (n. 49 del5.12.93/ßis)
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Si svolgerà a Lillehammer, in Norvegia, dal 26 al 31 luglio
Il IX congresso dei battisti europei
Nel prossimo luglio, dal 26
al 31, si teiTà a Lillehammer,
in Norvegia a circa 200 km a
nord di Oslo, il IX congresso
della Federazione battista europea (Ebf).
La Federazione battista europea, fondata nel 1950, è la
comunione dei battisti dell’Europa e del Medio Oriente;
negli ultimi anni molte nuove
Unioni battiste, soprattutto dei
paesi dell’Est, si sono collegate alla Federazione che oggi
costituisce una comunione
multicolore di battisti provenienti da paesi con tradizioni
e culture diverse.
Il prossimo congresso sarebbe in realtà l’undicesimo,
perché prima della fondazione della Ebf si ebbero due altri incontri battisti a livello
continentale, nel 1908 a Berlino, tre anni dopo la costituzione dell’Alleanza mondiale
battista, e nel 1913 a Stoccolma. Poi le vicende politiche
ed ecomomiche dell’Europa
(le due guerre mondiali, l’avvento del comunismo e l’instaurazione dei regimi fascisti, la crisi economica degli
anni Trenta) non permisero di
organizzare altre assise di pari importanza.
Solo dopo la seconda guerra mondiale, riallacciati i legami fra le diverse Unioni
battiste, si decise di tenere
ogni cinque-sei anni un congresso per i battisti del continente. Il primo incontro si ebbe a Copenaghen nel 1952, e
particolarmente interessante
fu il congresso di Amsterdam
del 1964, dove la predicazione al culto domenicale fu affidata a Martin Luther King.
Il congresso di Lillehammer avrà come tema le parole
tratte da Giosuè 24, 15: «Insieme serviremo il Signore».
Ogni sera vi sarà una meditazione, tenuta da pastori diversi: Peter H. Barber (Scozia), Theo Angelov (Bulgaria), Birgit Carlsson (Svezia),
segretaria generale dell’Ebf,
Denton Lotz (Usa), segretario
generale dell'Alleanza mondiale battista, lan Coffey (Inghilterra) e Gerd Rudzio
(Germania).
Vi saranno incontri di vario
genere, per uomini, donne,
bambini, pastori e famiglie;
seminari, laboratori, drammi
e mimi, tavole rotonde e filmati. Ampio spazio sarà dato
alla musica, con cori e gruppi
musicali di varia provenienza
tra cui una corale internazionale di bambini.
Le quote di iscrizione sono:
giovani: (15-18 anni) da 15 a
40 marchi tedeschi (dm); singoli: da 20 a 110 dm; famiglie: da 40 a 180 dm.
Sono disponibili delle facilitazioni a prezzi ragionevoli
per singoli, coppie o famiglie.
Informazioni e moduli di
iscrizione sono disponibili
presso gli uffici dell’Ucebi.
Le iscrizioni per partecipare
al Congresso sono già aperte.
Mondo Cristiano
Francia: reazioni protestanti
alla modifica della legge Falloux
PARIGI — Dopo il voto del Senato di modifica della legge
Falloux, il dipartimento Educazione della Federazione protestante di Francia ha reso noto il seguente comunicato: «Il Senato, nella logica del suo voto del 2 luglio 1992 che abrogava
alcuni articoli della legge Falloux, ha appena approvato la partecipazione degli enti locali alle spese immobiliari degli stabili
scolastici privati fino a un limite del 50% e del 100% per quelli pubblici. Il Dipartimento educazione della Federazione protestante di Francia si preoccupa delle conseguenze finanziarie
per gli stabili pubblici di insegnamento che accolgono l’80%
degli alunni. Al Dipartimento educazione preme ricordare l’attaccamento dei protestanti alla laicità, fonte di rispetto delle
diverse componenti religiose e culturali del nostro paese e fonte di equità e di giustizia».
Salvador: appello alla
Federazione luterana mondiale
SAN SALVADOR — Su richiesta del vescovo luterano
Medardo Gomez, una tavola rotonda ha riunito membri del
Sinodo luterano in Salvador, dell’ufficio della Federazione luterana mondiale, del Consiglio ecumenico e di altre organizzazioni. Data la violenza quotidiana, che rischia di destabilizzare la campagna elettorale, i partecipanti a quella riunione
hanno chiesto alla Federazione luterana mondiale di inviare
osservatori per sorvegliare le elezioni previste per il prossimo
marzo. Tra i problemi da risolvere rimane la difficoltà di reintegrare nella vita sociale gli ex combattenti, soldati e guerriglieri. L’accordo di pace aveva promesso di dar loro un po’ di
terra ma finora nulla è avvenuto. Circa 40.000 ex soldati e
10.000 ex guerriglieri sono senza lavoro. Progetti per il 199596 sono stati presentati alla Federazione luterana mondiale per
un importo di circa 879.000 dollari. Essi riguardano, tra l’altro, il lavoro pastorale, l’educazione, i media e la difesa dei
diritti umani.
Svezia: proteste delle chiese
contro la violazione dei santuari
UPPSALA — Lo scorso 24 novembre, alle 8,30, durante il
culto celebrato da un pastore nella cappella del chiostro di Alsike, vicino a Uppsaìa, una quindicina di poliziotti ha circondato il chiostro. Dopo aver sfondato quattro porte e saccheggiato
diverse stanze, hanno arrestato una trentina di rifugiati che erano stati accolti nel santuario, sotto la protezione dell’arcivesco.
Nove di loro sono stati rispediti nel Bangladesh e incarcerati
subito dopo il loro arrivo. Fra i rifugiati vi erano dodici bambini e sei donne, di cui due erano state violentate nel loro paese
di origine. L’arcivescovo e molte altre organizzazioni, fra cui
la polizia nazionale, hanno denunciato la violenza usata durante quest’azione. La direzione della polizia nazionale aveva promesso di non attaccare locali ecclesiastici, promessa confermata dall’arcivescovo Gunnar Weman pochi giorni dopo. Le chiese continuano i loro sforzi per trovare con le autorità una soluzione per alcuni migliaia di profughi, accolti presso privati o
nelle chiese, affinché tali azioni non abbiano a ripetersi. Nella
sola Norvegia, oltre 600 albanesi del Kosovo sono stati accolti
nelle chiese dopo essere stati respinti dalla Svezia.
Svizzera romancia: lancio
della «Scuola della Parola»
LOSANNA — Il prossimo 23 gennaio verrà lanciata a Losanna la «Scuola della Parola», secondo il metodo sperimentato
a Milano dal cardinale Martini. Nel 1990, giovani milanesi erano andati a trovare il loro arcivescovo per chiedergli di aiutarli
a meditare testi biblici. Da allora, durante regolari incontri, il
cardinale Martini dà delle piste di approccio ai testi biblici,
conciliando esegesi scientifica e lettura pastorale della Bibbia.
Dopo la celebrazione inaugurale del 23 gennaio, nella cattedrale di Losanna, gruppi verranno organizzati in varie località.
Una trentina di cappellani cattolici e protestanti sono pronti a
lanciarsi nell’avventura, dopo un viaggio effettuato l’11 marzo
scorso a Milano da una sessantina di giovani romandi.
Ruanda: marcia per la pace
e la riconciliazione
RIGALI — Dal 1990 il Ruanda è nuovamente vittima di
una guerra civile tra etnie (Hutu/Tutsi). Centinaia di migliaia
di rifugiati e di persone dislocate vivono in campi profughi. Il
4 agosto 1993 un accordo di pace è stato firmato a Arusha in
Tanzania. Ma per via delle continue lotte di potere tra i partiti, l'applicazione dell’accordo è stato rinviato. La violenza e
le uccisioni continuano. 11 pericolo di un colpo di stato militare è imminente, così com’è successo di recente nel vicino Burundi. Di fronte a questa drammatica situazione, per la prima
volta cristiani cattolici e protestanti hanno deciso di impegnarsi ecumenicamente per fare dell’anno 1994 un «anno
di pace» in Ruanda. La prima manifestazione, una marcia per
la pace e la riconciliazione, si è svolta il 1° gennaio nella capitale Kigali e in altre località. La marcia è stata preceduta da
una veglia di digiuno e di preghiera di pentimento. La marcia
è stata organizzata dalle Commissioni “Giustizia e pace” delle
rispettive chiese.
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venerdì 14 GENNAIO 1994
Vita
Il moderatore, Gianni Rostan, visita la Chiesa valdese
Le attività dei protestanti senesi
ANTOmO CAPANNOLI
Domenica 12 dicembre abbiamo avuto la gioia di
ricevere la visita del moderatore, Gianni Rostan, che ha
partecipato al culto nel corso
del quale fra l’altro la sorella
Gabriella Rustici ha chiesto,
mediante la sua confessione
di fede in Gesù Cristo, di far
parte della Chiesa valdese come membro comunicante. Ha
accompagnato la cerimonia di
ammissione il nostro piccolo
coro afro-europeo con canti in
dialetto camerunese, in inglese e italiano.
La prima parte del culto è
stata presieduta dal nostro pastore, Giovanna Pons, che ha
dato il benvenuto al moderatore e ha predicato sul testo di
Genesi 21, 8-21. Per la prima
volta, da quando è stata costituita nel giugno scorso, la nostra chiesa ha ricevuto la visita di un moderatore. Rostan
ha presieduto la celebrazione
della Cena del Signore e in
seguito ha espresso la propria
gioia di trovarsi a Siena in
una giornata così particolare
per la nostra comunità viva e
animata.
Il moderatore ci ha poi parlato dei suoi primi mesi di attività, dei suoi viaggi in Italia
e all’estero nel corso dei quali
ha visitato molte comunità e
opere per rendersi conto personalmente dei problemi esistenti; si è poi soffermato sulla situazione finanziaria della
chiesa e ha illustrato alla comunità come funzioneranno
la scelta dell’otto per mille e
la deducibilità delle erogazioni liberali a favore della Chiesa valdese.
Rostan ha quindi trasmesso
alla comunità i suoi più fervidi auguri per un nuovo anno
ricco di benedizioni e salutandoci ha invocato l’aiuto di
La facciata ristrutturata della chiesa valdese di Siena
Dio per il lavoro che si svolge
a Siena, nella speranza che
sempre nuovi operai si aggiungano alla messe del Signore.
Dopo il culto ci siamo riuniti nella casa comunitaria,
che è ancora in restauro, per
un pasto frugale preparato
dalla comunità; abbiamo così
avuto uno scambio fraterno e
cordiale, in cui il moderatore
ha potuto conoscere personalmente molti membri della comunità e intrattenersi con loro
sulla realtà protestante senese.
Prima di ripartire Gianni
Rostan ha avuto anche un breve incontro con alcuni mem
bri del Consiglio di chiesa per
discutere la possibilità di ristrutturazione degli interni
della casa comunitaria, in particolare l’annoso problema
dell’alloggio pastorale; si è
interessato delle attività esistenti, manifestando molto interesse per il gruppo di giovani africani che condividono
con noi la vita comunitaria
nella comune fede evangelica
in Gesù Cristo. La giornata si
è conclusa nella riconoscenza
di quanto insieme si è vissuto
e nella speranza di continuare
a condividere con fedeltà il
nostro cammino verso il Regno che viene.
Metodisti di Milano
Il nuovo
tempio ha
vent'anni
Gli evangelici milanesi si
sono dati appuntamento l’il
e il 12 dicembre scorsi per festeggiare e riflettere sulla presenza metodista a Milano, in
occasione del 20“ anniversario dell’inaugurazione del
tempio di via Porro Lambertenghi. Si è voluto iniziare
rii dicembre con la conferenza di Giorgio Spini sul tema: «Il protestantesimo di
fronte alle rivoluzioni del nostro tempo», organizzata in
collaborazione con il Centro
culturale protestante.
Domenica 12 ha avuto luogo il culto, con predicazione
e celebrazione della Santa
Cena, presieduto dagli attuali
pastori di via Porro Lambertenghi (Carrari, Berlendis e
Schooler) e dal pastore Valdo
Benecchi, quale ex conduttore della comunità metodista.
La corale della comunità e il
complesso di ottoni «Milano
Brass», diretti dal maestro
lannarone, hanno allietato e
vivacizzato il tutto rendendo
molto piacevole questo nostro
incontro.
Il pomeriggio, dopo un’
agape fraterna, ci siamo ritrovati per ascoltare il presidente deirOpcemi, pastore
Claudio H. Martelli, sul tema: «La situazione dei paesi
dell’ex Jugoslavia e il sostegno delle chiese». Musica e
canti del gruppo «Trieste
nuova testimonianza» hanno
concluso le due intense giornate milanesi.
Le due giornate hanno visto
una folta partecipazione di
metodisti e di evangelici milanesi. Gli organizzatori ringraziano tutti coloro che hanno contribuito all’ incontro.
(Altri articoli a pag. 7
epag. 10)
PAG. 3 RIFORMA
La Chiesa metodista di Firenze ospita da una decina di anni una comunità cinese
La fede è comune, la lingua è diversa
_______GINO CONTE____
Da quasi 10 anni la Chiesa metodista di Firenze
ospita nei suoi locali la comunità evangelica cinese: per
tre ore, in media, in via dei
Benci, la domenica pomeriggio diverse decine di evangelici cinesi della città e dintorni hanno un incontro che è,
come spesso in questi casi, al
tempo stesso culto, scuola
domenicale (un bel nugolo di
bambini, curati per alcuni
mesi in passato dal past. Dorothea Müller, aiutata da una
piccola interprete), studio biblico, momento comunitario.
Finora però l’ospitalità si
era davvero limitata a questo.
Ancor più che per altri nuclei
etnici, quello cinese è di solito particolarmente chiuso in
sé, sia per evidenti motivi di
lingua, sia perché si tratta di
nuclei forti e molto compatti,
e forse tenuti anche un po’ a
parte dai loro responsabili.
Ma certamente il diaframma
più resistente è quello lingui
Hai fatto
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l’abbonaitiento
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stico. Sarà superato dalla
nuova generazione?
Pur con difficoltà, e forse
non tutti, molti figli di queste
famiglie cinesi studiano da
noi. Ci sono esempi a Pisa,
di integrazione nella comunità valdese locale: tanto che
una sorella cinese è membro
di quel Consiglio di chiesa e
un giovane cinese è fra i più
attivi responsabili della Fgei
toscana. Senza il minimo intento fagocitante, chissà che
un giorno una maggiore integrazione non diventi possibile anche a Firenze; un giorno
lontano, in ogni caso. Tuttavia, intanto, era possibile fare qualcosa di più che convivere come coutenti di locali
ecclesiastici. Ed ecco che si è
pensato di avere tutti insieme
il culto dell’ultima domenica
dell’anno: l’invito è stato accolto con calore dalla comunità cinese, è stato esteso anche alla Chiesa valdese, che
10 ha accettato volentieri,
chiudendo per una domenica
11 tempio di via Micheli.
Il culto era stato preparato
in gruppo dai responsabili:
insieme si sono scelti i testi
biblici, alcuni inni che avessero almeno la melodia comune, ci si è accordati sullo
svolgimento della Cena del
Signore, sull’usanza cinese
degli uomini raccolti sul lato
destro e delle donne sul lato
sinistro della chiesa. Una sorella cinese, venuta apposta
da Pisa con alcuni altri, ha
fatto da traduttrice; agli inni
«comuni» si sono alternati
inni cinesi e nostrani; i messaggi del predicatore cinese e
di quello italiano sono stati
tradotti (un po’ faticosamente, a dire il vero, e questo
aspetto andrà maggiormente
curato in futuro). Per la Cena
del Signore ci siamo raccolti
in grande cerchio, lungo le
pareti della grande sala.
Ci ha senz’altro colpito
profondamente, oltre die il
numero di questi fratelli e sorelle, un centinaio, il loro raccoglimento, il vigore del loro
canto, la vena in parte pentecostale della loro adorazione,
della loro spiritualità; e non
ultimo il fatto che quando noi
fiorentini ci siamo disposti a
tornarcene a casa, loro sono
rimasti ai loro posti («per il
nostro culto domenicale»,
penso volessero dire il culto
consueto, inclusivo della
scuola domenicale, dello studio biblico, del ricercato momento di comunione prima di
riprendere l’operosa, pesante
settimana).
Data la difficoltà di comunicare non è stato possibile
intendere chiaramente il carattere denominazionale di
questa comunità. Di certo
certi caratteri confessionali
protestanti, nelle loro diversificazioni, non hanno per loro molto senso, come è spesso per le «giovani» chiese.
Ai tratta comunque di evangelici, con radicamento biblico profondo, fervidi; è possibile che abbiano origini
evangeliche diverse, dato che
durante la «rivoluzione culturale» quella che poi sarà
bollata come «la banda dei
quattro» aveva forzato l’accorpamento di chiese e movimenti evangelici: ogni dittatura vuole avere di fronte a
sé un numero di responsabili
il più ristretto possibile. Questo spiegherebbe la venatura
pentecostale che abbiamo avvertito, anche se non si tratta
di una chiesa pentecostale,
bensì molto vicina al nostro
modo di vivere il culto.
Ci auguriamo che questo
momento di comunione possa ripetersi e approfondirsi. E
ci rendiamo conto della necessità di gettare ponti sul
fossato linguistico. Aiutare
qualcuno di loro a familiarizzarsi con l’italiano? E, poiché questa situazione si ripropone di certo in molte altre località italiane, è del tutto irrealistico pensare che
qualcuno di noi, anche fra gli
studenti in teologia, si impegni nello studio di una lingua
che, oltre ad essere quella di
un subcontinente, di una delle più grandi tribù del «villaggio globale» che sempre
più saremo, è anche la lingua
di una componente non piccola del mondo evangelico
italiano?
NATALE A TORINO
IL CULTO
E L'ASCOLTO
CARLO GAY
Siamo nel tempio valdese
di Torino. Il pastore più
anziano conduce il culto,
con predicazione; il secondo presiede la Santa Cena,
circondato da anziani e diaconi. L’assemblea è particolarmente vasta e articolata:
famiglie interconfessionali,
riformati e luterani, battisti,
ghanesi, congolesi, nigeriani, figli delle missioni europee ormai membri responsabili di chiese africane autonome. I valdesi, dal 1945,
si distinguono fra gli immigrati da Abruzzo, Molise,
Sicilia, Calabria e quelli
provenienti dalle valli vaidesi. Inoltre ci sono americani, polacchi, norvegesi,
svizzeri. Insomma, siamo
una comunità europea con
frange africane e americane.
A Torino come a Milano,
Roma, Firenze, Venezia,
Palermo. Siamo le chiese
rappresentate dalTAssemhlea di Budapest (marzo
1992); e qui, come altrove,
si vivono i due momenti:
predicazione dell’Evangelo,
retta amministrazione dei
sacramenti.
Ma in questo giorno la
corale evangelica ci rallegra
con i corali luterani, con i
recitativi, con accompagnamento di organo, flauti,
oboe, archi, ecc. Un vero
concerto o un vero culto?
Come viviamo questo apporto musicale? Certamente
in modo corale: è un «mondo» protestante, che celebra
la gloria di Dio e vive questa celebrazione come un
popolo, consapevole del ministero di ascolto, presenza,
canto vissuto vocazionalmente e universalmente, assemblea di uomini peccatori
e salvati, uomini «santi» e
non popolo che segue i santi; un popolo di pellegrini in
attesa del Regno.
Il pastore legge e commenta: «La luce risplende
nelle tenebre, ma le tenebre
non l’hanno ricevuta» (Giovanni 1, 15). Emergono in
modo marcato l’annunzio e
l’accusa. Chiara è la spaccatura; la luce del Figlio di
Dio, nella sua dimensione
universale, unico nella sua
grandiosità, in una visione
che ricorda il Messia di
Händel. Il pastore non predica il bambinello nella luce
romantica, inoffensiva, suasiva, ma il Signore della
storia, e non solo dei cieli
falsati della festa gioiosa
con molti o pochi regali.
Ma le tenebre... i suoi...
non l’hanno ricevuta; il pastore insiste sul rifiuto, sulla
negazione dell’Europa «cristiana» rappresentata dalla
Bosnia, da una contraddizione più 0 meno palese fra
le feste e il lunedì, il culto e
la prassi, la celebrazione e il
rinnegamento, il tradimento, il rifiuto fatto di compromessi, di accomodamenti, a
motivo dei quali non diventa mai, neanche oggi, inattuale il monito di Giovanni
Battista: «Razza di vipere,
chi vi ha insegnato a fuggir
dall’ira a venire?» (Matteo
3, 7). Le tenebre sembrano
trionfare, il sole sembra
scomparire fra le nubi che
tornano.
Il culto continua con.il
suo ritmo liturgico; la Santa
Cena è partecipata da quasi
tutti i presenti: segno di perdono, di riconciliazione, comunione. Si apre il grande
portone: si salutano gli amici e anche gli sconosciuti, i
lontani e i vicini. Sarà dimenticato il culto, il sermone sarà sommerso dal «concerto»? Ricominceremo la
nostra giornata, quella vera,
vissuta nei fatti, ricordi, nelle contraddizioni, nella sofferenza?
Ma i saluti sono sostituiti
da uno scambio di pareri.
La gente parla e sente la
necessità di commentare.
Due cinquantenni ricordano il loro arrivo a Torino
dalla Puglia: a Natale il
tempio era così pieno da
occupare i marciapiedi. Era
il 1970? Fu veramente così? Altri ricordano l’arrivo
da Riesi, altri dalla Francia
o dall’Uruguay; ma tutti
sentono l’esigenza di commentare il culto appena terminato.
Alcuni si fermano a
un’esclamazione: quant’era
bello! Una signora anziana,
imparentata con dei missionari, circondata da un nugolo di nipotini, lamenta che
pur essendo interessante, il
culto non era come quello
della sua infanzia, troppo
scandito dalla musica. Ma è
il sermone che ha fatto pensare. Alcuni commentano: il
pastore ha troppo insistito
sulle tenebre, sarebbe stato
meglio insistere sulla luce:
l’Europa sarebbe stata meno triste. Il marito, che ha
accompagnato la moglie
valdese, sarebbe stato meglio impressionato.
Con il «Felice Natale» o
con il «Merry Christmas» si
riparte verso casa, dove
amici e parenti attendono. Il
culto è stato motivo di meditazione: un culto di adulti.
Molti giovani, salvo eccezioni, non sono venuti. E la
domanda, non pronunziata
ma avvertita, è ancora una
volta: come trasmetteremo
ai nostri nipoti TEvangelo
della luce, senza dimenticare le tenebre e la realtà delle
tenebre?
Domanda di oggi, come
di ieri. Più tardi, dopo la rilettura del brano biblico,
molti si renderanno conto
che il predicatore, il giorno
di Natale, non si è fermato
solo alla spaccatura tra la
luce e le tenebre, ma ha accennato al mistero di quelli
che hanno ricevuto la luce.
Sono i «nati da Dio, i figlio
di Dio». La luce vince e le
tenebre scompaiono. Allora
finiscono i commenti e inizia l’autentico ascolto della
Parola di Dio.
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4
PAG. 4 RIFORMA
Vita Delle Chiese
venerdì 14 GENNAIO 1994
VE!
Le chiese valdesi e metodiste studiano la «proposta comune»
Un testo troppo «compromesso
»
ALBERTO TACCIA
J1 «Testo comune di studio
. e proposta per un indirizzo
pastorale dei matrimoni interconfessionali» sta facendo
la sua strada in molte comunità, raggruppamenti e associazioni particolarmente interessate ai problemi ecumenici e già si riscontrano le prime reazioni.
A molti il documento non è
piaciuto. Non è piaciuto a
molti cattolici, là dove si dice
che l’accordo dei nubendi
circa la forma della celebrazione deve essere accolto
«con gradimento» dalle rispettive comunità, oppure là
dove viene riconosciuto che
«la responsabilità dell’educazione cristiana dei figli è
sempre di entrambi i coniugi,
ad esclusione di ogni forma
di pressione da parte delle
chiese sulla coscienza dei co
niugi e da parte di ciascun
coniuge sulla coscienza dell
’altro, e le chiese si impegnano di rispettare di conseguenza le decisioni che i coniugi, nell’esercizio responsabile del loro diritto, prenderanno in ordine al battesimo e alla educazione religiosa dei figli».
Tali affermazioni impongono infatti, da parte cattolica, un ridimensionamento e
una diversa lettura e interpretazione dei famosi impegni
unilaterali di «fare quanto è
possibile» per battezzare e
educare cattolicamente tutta
la prole. Non è piaciuta inoltre la proposta di estendere il
riconoscimento di una celebrazione civile del matrimonio a tutte le diocesi italiane,
secondo la prassi adottata,
ormai da oltre 20 anni, nella
diocesi di Pinerolo.
Non è piaciuto inoltre a
La scuola domenicale della Chiesa battista di Rovigo
Esperienza dei battisti di Rovigo
Chiesa afro-italiana
Da circa due anni la Chiesa
battista di Rovigo si è arricchita di un gruppo di famiglie
nigeriane. Ciò ha significato
non solo crescita numerica
ma soprattutto crescita spirituale e scambio culturale. È
proprio durante il culto che si
manifesta, in una gioiosa varietà di espressioni, il contributo di ognuno: canti in italiano, in inglese e nei diletti
nigeriani, accompagnamento
musicale con chitarra, bongo
e tamburelli, danze e battimani. Tant’è che amiamo definirci ormai «chiesa afro-italiana». A causa di questa sua
composizione, la comunità è
diventata da qualche tempo
un esempio di integrazione
interrazziale ed è perciò punto di riferimento per i gruppi
che sul nostro territorio si occupano di problemi legati
all’immigrazione.
Recentemente la chiesa
stessa si è fatta promotrice di
una «festa dell’accoglienza»,
organizzando per il giorno 18
dicembre 1993 una cena fra
italiani ed extracomunitari.
Hanno partecipato all’incontro più di cento persone: italiani, nigeriani, marocchini,
polacchi, romeni, albanesi e
della Sierra Leone. Dopo il
convito, momento in cui si è
potuto gustare anche qualche
Firenze 20-22 maggio
Pentecoste 1994
Incontro degli evangelici
italiani
per informazionS scrivere àè
Pentecoste ’94
via dei Serragli 49
50124 Rrcnze
specialità gastronomica caratteristica di alcuni gruppi etnici, la scuola domenicale della
chiesa, anch’essa mista, ha
eseguito un piccolo programma di canti' e poesie natalizie
e i nigeriani hanno cantato
degli spiritual e condiviso alcune testimonianze di fede in
Cristo. Ma uno degli obiettivi
della serata era anche quello
di proporre la formazione di
un’associazione multietnica
per salvaguardare i diritti delle minoranze. I vari gruppi,
concordi, si sono dati appuntamento in gennaio per varare
l’associazione.
molti evangelici, che vedono
nell’impostazione generale
del documento «un cedimento» alla mentalità e al linguaggio cattolico, e quindi un
passo pericoloso verso un atteggiamento di infedeltà nei
confronti dei principi di una
rigorosa teologia riformata.
Dato che nessuna delle due
parti ha ritrovato nel documento la descrizione puntuale della propria posizione esso viene respinto, per gli uni
perché troppo protestante e
per gli altri perché troppo
cattolico. Conclusione: i matrimoni interconfessionali
continueranno a costituire
quegli psicodrammi irrisolvibili, nel conflitto inconciliabile tra l’amore per il coniuge e l’attaccamento ai principi della propria chiesa.
L’unico esito possibile sembra dunque essere quello finora registrato, cioè la sconfìtta degli uni e la vittoria degli altri. E ogni chiesa conterà gli scalpi delle proprie
vittorie per la gloria di Dio e
per la sofferenza, a volte
amarissima, della parte soccombente. E allora non stupiamoci se molte coppie miste finiscono, poco per volta,
per lasciare sia Luna che l’altra chiesa, stufe di sentirsi
scomunicati e colpevolizzati.
Le chiese trionfanti avranno
salvatcf^ loro principi teologici e giuridici ma avranno
perso tanti fratelli e sorelle,
colpevoli di non essere stati
capaci di vincere la loro battaglia matrimoniale.
Purtroppo però si tratta
spesso di battaglie in vista di
cerimonie (matrimonio e battesimo). Vinta o persa tale
battaglia raramente qualcuno
si interessa ancora della sorte
dei matrimoni monoconfessionali che, grazie al cielo,
non pongono problema alcuno né alle famiglie né ai pastori/parroci.
Tuttavia, paradossalmente,
le coppie interconfessionali,
specie quelle in cui purtroppo entrambi i coniugi «tengono» saldamente al modo di
vivere la propria fede (le più
avversate e temute dalle
chiese!), continuano a parlare di fede, di Bibbia, di Gesù
Cristo e di chiesa confrontandosi, scambiandosi pareri,
critiche, osservazioni, cercando insieme un terreno di
fede comune per loro e i loro
figli. Ecco un campo di cui
le chiese dovrebbero occuparsi con più umiltà e attenzione, magari (orrore!) lavorando in comune.
Napoli-via Foria
Natale è un
momento
di presa
di coscienza
Una chiesa gremita, un’atmosfera gioiosa, un’àgape
ben riuscita. Così ha voluto
vivere l’antivigilia di Natale
la Chiesa battista di via Foria
a Napoli.
La serata si è sviluppata
con canti, letture bibliche, riflessioni condotti a più voci,
in modo da accentuare il carattere di coralità della festa.
Bravi sono stati i bambini
della scuola domenicale che
hanno cantato alcuni cori, e
bravo il coro messo su per
l’occasione da Sante Cannito. Particolarmente apprezzata da tutti l’esecuzione di
«Go down Moses», il famoso «spiritual» che canta la
speranza della liberazione.
La versione eseguita aveva
un andamento quasi marziale
che sottolineava la forza della speranza, davanti alla quale gli ostacoli vengono travolti e rovesciati: le armate
del faraone nulla possono di
fronte all’incalzare del «braccio disteso» dell’Eterno,
dell’Iddio degli eserciti. Ottimi i bassi nella fusione corale delle voci; il pubblico è
stato coinvolto dalla potenza
evocativa del canto e non per
nulla ha domandato il bis,
continuando poi ognuno a
canticchiare tra sé il motivo
appena udito.
Accanto a questo, quale
necessario e ineliminabile
complemento, il racconto
della natività, seguendo la
versione di Matteo: è in mezzo a difficoltà di ogni genere
e contro ogni minaccia, dalle
convenzioni della società alla crudeltà di Erode, che nasce e prende corpo il «nuovo» di Dio e si sviluppa e
cresce. Il racconto antico si
rinnova nell’oggi con le tragedie che travolgono i popoli
e i drammi e le sofferenze individuali.
Non dunque un Natale
zuccheroso, fatto di mielose
nenie evasive, ma momento
di ripresa di coscienza
dell’azione di Dio, di colui
che «ha operato potentemente col suo braccio e ha disperso coloro che erano superbi nei pensieri del cuor
loro, ha tratto giù dai troni i
potenti, ha innalzato gli umili...» (Luca 1,51-52).
Perché dunque non essere
nella gioia e celebrare insieme, in una ritrovata comunione, una notizia così bella?
Affrontare il dibattito sul «Nuovo innario»
Discutiamo il
progetto nelle chiese
EMMANUELE PASCHETTO
F
inalmente si toma a parlare di musica e di canto
e soprattutto si cerca concretamente di rivitalizzare, nel
culto e nella vita delle chiese,
questo particolare strumento
di espressione della fede. Con
piacere ho letto dell’iniziativa
della Chiesa valdese di Torino di inserire brani di musica
«sacra» nel culto di Natale,
mentre articoli e lettere comparsi recentemente su Riforma testimoniano l’interesse
che l’argomento suscita.
Così ho apprezzato l’intervento chiaro ed equilibrato di
Emanuele Fiume del 3 dicembre, i cui suggerimenti finali (ovvi, ma non per questo
scontati) sembrano, a grandi
linee, esser presenti alla mente di chi lavora per il futuro
nuovo «Innario cristiano».
Questo almeno mi è parso di
capire dall’articolo che Miriam Strisciullo (31 dicembre) dedica al seminario di
innologia evangelica tenutosi
a Ecumene dal 26 al 28 ottobre ’93.
Debbo però dire in tutta
sincerità che quest’ultimo
pezzo mi ha lasciato un
profondo senso di inquietudine: ho scoperto per caso, poco più di un anno fa, resistenza del Gmme (ma che sigla da incubo! Fa il paio con
Grulateo! Forse da questa sigla nasce parte dell’inquietudine che ho provato nel leggere l’articolo) quando in
Assemblea generale battista
feci una proposta che riguardava il canto nelle chiese e
mi fu risposto con sufficienza da persona sempre bene
informata: «Ma di che ti impicci? Per queste cose c’è il
Grume».
Dunque l’articolo mi spiega che sono almeno tre anni
che il Gmme lavora: ci sono
degli gnomi instancabili che
raccolgono, propongono, selezionano, aggiungono, tagliano, promuovono e bocciano, risuscitano e cancellano
dall’esistenza. Ma di tutto
questo nelle chiese non se ne
sa niente. La mia inquietudine nasce dal timore di dover
assistere a qualcosa di già visto, venticinque anni fa,
quando apparve il nuovo Innario cristiano, che planò sulla testa dei membri di chiesa.
Defunsero inni cantati da
tre generazioni di evangelici
metodisti, il gruppo evangelico filippino, il messaggio dei bambini e il concerto
Il Natale degli evangelici di Bologna
Alcune attività particolari
si sono svolte nella comunità
metodista di Bologna in occasione del periodo natalizio.
Domenica 12 dicembre il
gruppo evangelico filippino
ha svolto la sua ormai consueta Christmas Fellowship
(alla quale hanno preso parte
molti «bolognesi») con canti
sia in lingua tagalog sia in inglese, agape fraterna, giochi
e scambi di regali. Il gmppo
è composto da trenta filippini, membri della Chiesa metodista, che oltre a partecipare assiduamente alle attività
della comunità si riunisce
settimanalmente per tenere
culti e studi biblici nella propria lingua.
Domenica 19 dicembre il
culto è stato tenuto dai bambini della scuola domenicale
e dai catecumeni. Quest’anno abbiamo voluto riflettere
sul Natale partendo dall’analisi della storia di Noè e della
sua genealogia, cercando di
sottolineare l’importanza del
messaggio di speranza e alleanza che viene dal racconto
dell’arca e cercando di ritrovare il legame che c’è tra la
comparsa dell’arcobaleno
dopo il diluvio e la nascita di
Gesù.
Nel corso del culto ci sono
stati anche momenti di lettura drammatizzata, centrati
sull’annunciazione e sulla visita dei pastori e dei magi al
Cristo appena nato. La partecipazione dei più piccoli è
stata intensa, sia sotto
l’aspetto pratico del disegno
e della costruzione del materiale, sia nella riflessione
teorica, che ha aiutato anche
noi monitori a comprendere
meglio le esperienze e i sentimenti dei bambini nei confronti del racconto biblico.
Anche il gruppo dei grandi
ha partecipato alla realizzazione pratica del lavoro, aiutando i più piccoli a creare le
scene e i movimenti recitativi, il loro contributo forte e
importante è stato quello
delle preghiere. È stato un
momento molto bello e sentito da tutta la comunità, un
momento che ci ha fatto
pensare, proprio grazie alla
qualità del messaggio che i
ragazzi sono riusciti a trasmettere. Dopo il culto, nei
locali della chiesa, si è tenuto un piccolo rinfresco, per
dare a tutti noi l’occasione di
stare insieme e di riflettere
in compagnia sull’esperienza
della giornata.
La sera del 19 si è svolto
un concerto natalizio. La prima parte ha visto l’esecuzione di brani organistici (maestro Jolando Scarpa); nella
seconda parte il coro Armònia, ormai per il terzo anno
tra noi per l’occasione festiva, ha eseguito «Gospel
Songs e Spirituals». Il coro è
diretto dal maestro Bruno
Bassi e ne fanno parte anche
membri della Chiesa metodista di Bologna.
italiani, melodie note in tutto
il mondo protestante furono
cancellate, nacquero ibridi
composti della melodia di un
vecchio inno con le parole di
un altro vecchio inno, si applicò la stessa melodia a tre,
quattro testi diversi, furono
ridotti di numero gli inni per
il Natale, per la Santa Cena,
scomparvero quelli per la
presentazione dei bambini e
per il battesimo dei credenti,
furono radiati gli inni per la
scuola domenicale.
Se lodevole fu l’introduzione di decine di inni della
Riforma, veramente assurda
fu l’eliminazione di tanti inni
del Risveglio. Si procedette
come è d’uso nei regimi dittatoriali: una parte della nostra storia non è in linea con
la tendenza attuale del partito? La cancelliamo dai libri.
Il risultato è che ci troviamo
con un innario sbilanciato
all’indietro, con un patrimonio innologico decimato e
che in gran parte non ci appartiene. Gli anziani (e se non
ci fossero loro nelle nostre
chiese?) quando si intona un
canto cincischiano con parole
che non sanno o vengono zittiti perché sbagliano melodia,
i giovani (quando sono presenti al culto) fanno scena
muta.
Chiedo accoratamente che
questa volta la base, il popolo, gli utenti, i beneficiari
vengano consultati! Si mandi
una circolare a tutte le chiese
in cui: ,
1) Si indichino gli inni
dell’Innario vecchio che sono
passati, musica e parole, nel
nuovo.
2) Si indichino gli inni che:
a) hanno conservato nell’Innario nuovo la vecchia melodia, b) hanno conservato
nell’Innario nuovo le vecchie
parole. Accanto al nuovo si
può ripristinare il vecchio inno: sarebbe un arricchimento
avere due melodie diverse per
lo stesso testo, idem per il viceversa, che del resto è già
presente in abbondanza nell’attuale innario.
3) Si chieda alle chiese di
elencare 100 inni dell’Innario
cristiano vecchio da salvare.
4) Si chieda alle chiese di
indicare altri inni che vorrebbero vedere inseriti.
Vorrei poi invitare la commissione a fare molta attenzione ai nuovi inni: non ceda
a facili mode, o ai gusti personali. Adesso sono in auge i
canti africani: se si attinge ad
essi si accolgano solo quelli
già «collaudati». Lo stesso
discorso delle mode e dei gusti personali vale per i canti
per i bambini, specie per
quelli apparsi sulla rivista
«La scuola domenicale».
Air amico Fiume vorrei dire che sono solo parzialmente
d’accordo sul musicare i Salmi. 150 sono davvero tanti e
molti non si prestano. Come
si fa a cantare il Salmo 119?
E tra il Salmo 14 e il 53 quale
scegliere? Cantare la Bibbia
mi sembra un po’ troppo; mi
accontenterei che fosse letta
più assiduamente e commentata più fedelmente.
Concludo ripetendo con
forza la richiesta che le chiese vengano informate passo
dopo passo di quello che avviene in questo settore così
delicato per la nostra testimonianza. Siamo lieti di sapere che esiste un cantiere e
che funziona, ma si tolga per favore - il cartello «Vietato l’accesso ai non addetti
ai lavori».
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Un momento deH’Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese (Canberra 1991)
(foto Luciano Deodato)
Intervista a Irene e Ken Lawson, animatori della «Rome Baptist Church»
Da cento nazioni per ricordare il Natale
_________ANNA MAFFEI________
La «Rome Baptist Church» è certamente una comunità unica nel panorama
evangelico in Italia. In che
consiste questa sua particolarità? Lo chiediamo al pastore, Ken Lawson, e a sua
moglie, Irene.
«La “Rome Baptist Church” è una chiesa internazionale. in questo credo sia davvero unica in Italia. Annovera infatti fra i suoi membri
persone provenienti da molti
paesi. Abbiamo contato ben
Colleferro
Andrea
Spini
GIANNI MUSELLA
La comunità di Colleferro
si è stretta intorno alla
famiglia Spini in dolore per la
perdita del congiunto Andrea.
Membro della nostra comunità, Andrea era stato colpito
da un attacco cardiaco mentre
si apprestava a raggiungere la
famiglia a Firenze per le feste
natalizie. Le cure mediche
prestate nell’ospedale di Colleferro sono state purtroppo
inutili. I familiari e i membri
della comunità hanno vegliato la salma nei locali della
chiesa trasformati in camera
ardente.
Nella chiesa gremita di fratelli e di autorità il pastore
Berutti, predicando sul versetto bibiico «Ecco l’agnello
di Dio...», ha inteso porre in
evidenza la trascendenza del
messaggio evangelico, mentre il pastore Paolo Ricca ci
ha condotti in preghiera.
A nome della Cgil, organizzazione per la quale lavorava Andrea, Aldo Amoretti
ne ha ricordato l’impegno
evangelico e sindacale, mentre il pastore Aurelio Sbaffi
ha portato il saluto della Tavola valdese ricordando il comune cammino nella fede.
Al fratello Giorgio Spini e
alla sua famiglia va il commosso saluto della nostra
chiesa.
cento nazionalità presenti
nella nostra chiesa in questi
ultimi otto anni, mentre i
paesi rappresentati attualmente ai culti domenicali, in
media, sono circa quaranta.
La particolarità sta anche in
questo, che i battisti costituiscono solamente il 10%
dell’intera comunità, per il
resto essa è formata da cattolici, presbiteriani. Chiesa di
Cristo, metodisti, pentecostali, anglicani, episcopali, con
una certa presenza anche di
musulmani, induisti e buddisti».
- Sappiamo che la chiesa
ha vissuto un periodo di
grande mobilitazione nel periodo natalizio appena trascorso. Come può una comunità così composita celebrare
insieme la nascita del Signore?
«Sin daU’inizio dell’autunno le tre comunità che formano insieme la “Rome Baptist
Church”, ossia la chiesa internazionale, la missione battista filippina e la comunità
cinese si sono incontrate per
pianificare le attività del periodo natalizio. Quest’anno
abbiamo deciso di eseguire
una “cantata” natalizia, mettendo insieme due corali,
quella della Chiesa battista
internazionale di Roma e
quella della Missione battista
filippina. Ne è risultata una
corale di circa sessanta elementi provenienti da ben nove paesi diversi. La cantata,
dal titolo “A Son, a Saviour”
(Un Figlio, un Salvatore), era
co-diretta da una sorella filippina e un fratello americano.
Anche i bambini hanno partecipato all’evento con un loro programma. Abbiamo dovuto pensare a due appuntamenti, il 16 e il 19 dicembre,
per consentire a tutti quelli
che lo desideravano di essere
presenti».
- Mettere insieme tante
persone, voci e culture così
diverse, davvero un’avventura! Com’è andata?
«Dopo una preparazione
durata più di due mesi fra le
due corali, che solo nelle ultime settimane hanno potuto
provare congiuntamente, il
nervosismo e un certo timore
nell’occasione delle manifestazioni era ben comprensibile. Entrambi i giorni la chiesa
era gremita: fra i presenti, siriani, libanesi, indiani e anche molti italiani presso i
quali alcuni della corale, filippini o di altre nazionalità,
lavorano come domestici. Il
risultato è stato eccellente.
Anche passanti e curiosi attirati dalla musica udibile dalla
prospiciente Piazza in Lucina
entravano nel locale e alcuni
di questi sono rimasti per
chiedere informazioni dando
a noi l’occasione di parlare di
Cristo. Condividere la buona
notizia di Gesù, non è poi
proprio questa la ragione
stessa del Natale?».
- Avete vissuto anche altri
momenti, come dire, di ecumenismo a tutto campo come
questo ?
«Due i momenti particolarmente significativi in una stagione d’avvento veramente
ricca e benedetta. Il primo, il
12 dicembre scorso, l’abbiamo chiamato il pasto sul marmo (“dinner on thè marlble”),
un pasto comunitario natalizio che ha sostituito il picnic
all’aperto, che non abbiamo
potuto tenere per mancanza
di spazio e per la stagione così piovosa. Più di trecento
persone si sono trattenute insieme intorno al generoso
buffet preparato dai membri
di chiesa, con cibi la cui fattura rifletteva tradizioni culinarie davvero di tutto il mondo. Il secondo, l’intera giornata del 16 dicembre. È cominciata con il consueto culto della chiesa internazionale
arricchito per l’occasione
dalla direttrice filippina del
coro, che ha cantato “The
Domenica 23 gennaio —
ZURIGO: Organizzato dal
Consiglio del IX circuito si
tiene un seminario di formazione alla predicazione che
sarà guidato dal pastore Aldo
Comba. L’incontro inizia con
un pasto in comune alle ore
12,30 mentre la conclusione è
prevista per le ore 17. Per
l’iscrizione rivolgersi alla segreteria della chiesa: Utlibergstrasse 54, 8045 Zurigo.
Tel: 01-4620411.
birthday of a King” (il compleanno di un re). Alle 12,30
si è poi svolto il culto della
Filipine Baptist Mission, durato come sempre circa due
ore. Immediatamente dopo la
comunità cinese ha cominciato a preparare la sala per il
nutrito programma comunitario pomeridiano che prevedeva tra le altre cose anche il
battesimo di un giovane cinese, William, di Hong Kong,
che ha chiesto di essere battezzato alla vigilia del suo ritorno in patria. Una recita, alcune testimonianze di credenti dell’ambasciata di
Taiwan e un pasto cinese
hanno concluso questa parte
della serata, in tempo per far
spazio alla serata conclusiva
della nostra corale cominciata poco dopo le 20».
- L’armonia nella diversità, nel canto come nella vita comunitaria, sembra aver
caratterizzato l’intero denso
periodo natalizio della vostra
comunità. Tutto questo in un
mondo sempre'più attaccato
ai particolarismi e inneggiante ai separatismi...
«Sì, anche nelle case abbiamo avuto vari incontri fra
gruppi diversi. La Rome Baptist Church vive la sua vocazione come una famiglia di
nazioni. Tutti, rossi, gialli,
neri, bianchi hanno celebrato
insieme la nascita del figlio di
Dio nel cuore di Roma, una
città davvero speciale. E stato
così veramente Natale!».
Per ì vostri acquisti,
per gli abbonamenti
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MILANO:
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Protestantesimo alla televisione
Culto in eurovisione
il mattino di Natale
MIRELLA ARGENTIERI BEIN
Il mattino di Natale Raidue
ha trasmesso in eurovisione un culto evangelico dalla
chiesa valdese di Palermo.
Penso che questo evento, rarissimo alla televisione italiana, sia stato atteso e preparato
con piacere misto a qualche
ansietà. Come non rendersi
conto, infatti, della difficoltà
di presentare il nostro modo
di essere chiesa - nel momento fondamentale della «comune radunanza» - a tante categorie di persone di varia cultura, mentalità, sensibilità religiosa?
La realizzazione è apparsa
molto curata e tuttavia la formula scelta non mi ha pienamente convinta. Aspetti significativi sono stati la conduzione della donna pastore,
la direzione del coro affidata
a un maestro nero, l’eterogeneità dell’assemblea dei partecipanti. Coraggiosa la denuncia operata contro la mafia e incisivo il sermone.
Nell’insieme si è però avuta l’impressione di un accumulo un po’ eccessivo sia di
forme espressive diverse, sia
di informazioni e messaggi.
Non ci è parsa poi felice la
scelta di interrompere la predicazione, sia pure con letture
bibliche, né l’inserimento di
filmati che non trovavano
spazio per essere presentati in
modo adeguato.
Riassumendo: ci sembra
che ne abbia sofferto l’organicità dell’insieme e che il telespettatore «esterno» non abbia avuto l’opportunità di farsi un’idea chiara delle connotazioni basilari di un culto
protestante. Queste impressioni, forse troppo personali,
sono ovviamente discutibili:
sarebbe interessante sentire
altri pareri e valutazioni di
ambienti diversi.
RONACH]
POMARETTO — Due lutti hanno recato dolore in due famiglie della nostra comunità. Martedì 4 gennaio ci siamo riuniti per ben due volte in chiesa per dare l’addio a Ernesto
Collet, deceduto nella sua abitazione all’età di 74 anni, e a
Amelia Léger, di Inverso Pinasca, deceduta presso l’Ospedale di Pomaretto all’età di 71 anni. Che lo Spirito del Signore aiuti i familiari a superare il loro dolore.
ANGROGNA — La prima settimana del nuovo anno è stata
caratterizzata nella nostra chiesa dai funerali di Mario Bertalot, di Elsa Buffa ved. Coisson e di Remo Gaydou che
da Briançon, dove viveva e lavorava, è stato riportato qui
tra le sue montagne. Siamo vicini con affetto a tutti i parenti
in lutto e ringraziamo vivamente i pastori Claudio Pasquet e
Vito Gardiol che, in assenza del past. Marchetti, hanno annunciato l’Evangelo della Resurrezione.
PRAROSTINO — La comunità esprime la sua cristiana simpatia alle famiglie di Alessandro Usseglio, Ernesto Pastore, Vera Odino, deceduti nelle scorse settimane.
CATANIA — Tra il 7 e il 13 gennaio Gaetano Ventimiglia e
Francesco Rapisarda, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Associazione culturale «Nuovi orizzonti» hanno percorso l’Italia tenendo incontri e seminari sul «Vangelo sociale» allo scopo di costituire cellule regionali e responsabili di zona dell’associazione, formatasi a Catania
nel novembre 1991, e per promuovere la partecipazione generale alla terza Conferenza nazionale indetta dal movimento per il 14 maggio prossimo a Catania, sul tema «Regno di
Dio e condizione umana». L’itinerario ha previsto conferenze organizzative a Taranto, Modena, Milano, Varese e
Torino.
TORINO — Il programma cittadino della settimana per l’unità
dei cristiani prevede per i primi due giorni una presenza in
ben 9 chiese della città (di cui una evangelica), con predicazioni a due o tre voci, compresi gli ortodossi. 11 terzo giorno
(giovedì 20 gennaio) è previsto un dibattito sul tema «Etica
e politica: quale ruolo delle chiese cristiane», con il pastore
Franco Giampiccoli e il dott. Mario Berardi.
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6
PAG. D RIFORMA
venerdì 14 GENNAIO 1994
CRISTOLOGIA -1
INCONTRARE
GESÙ DI NAZARET
DANIELE BOUCHARD
La cristologia, di cui si
parla tanto in questi mesi, altro non è che la discussione sulla persona di Gesù
Cristo quella discussione,
cioè, che costituisce la comunità cristiana. Ora, non ci può
essere discussione su una
persona senza incontro con
essa. Certamente io posso
parlare di una persona in sua
assenza, ma per farlo devo
averla incontrata in precedenza oppure devo avere la speranza, 0 il timore, di incontrarla in futuro.
Non ci può quindi essere
cristologia, che è discussione
sulla persona di Gesù Cristo,
al di fuori di un incontro con
lui. Questo incontro può essere in atto, o può essere passato, o ricercato, o paventato;
può essere un incontro sereno
o conflittuale, può essere più
o meno consapevole, più o
meno intenso, ma deve esistere.
Mi sembra pertanto che
una riflessione sui modi in
abbastanza preciso da darci
un’idea chiara di chi ci troviamo di fronte, insieme alla
certezza che si tratti di un
personaggio realmente vissuto nella Galilea della prima
metà del primo secolo dell’era che da lui ha preso il
nome.
Un confronto serio con Gesù di Nazaret è un’impresa
che richiede anni di lettura,
riflessione e passione. In questo breve spazio prenderemo
in esame un solo episodio, a
titolo di esempio. Si tratta
della cena a casa di Simone il
fariseo, nel corso della quale
un donna, pubblicamente conosciuta come peccatrice, unge con olio profumato i piedi
di Gesù (Luca 7, 36-50; il
rapporto di questo testo con
Marco 14, 39, Matteo 26, 613 e con Giov. 12, 1-8 è discusso; io seguo quegli esegeti che ritengono che si tratti
di episodi distinti). Avviciniamoci a questo momento
della vita di Gesù.
«Uno dei farisei lo invitò a pranzo da lui; ed egli, entrato
in casa del fariseo, si mise a tavola. Ed ecco, una donna che
era in quella città, una peccatrice, saputo che egli era a tavola in casa del fariseo, portò un vaso di alabastro pieno di
olio profumato; e, stando ai piedi di lui, di dietro, piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi; e li asciugava coi
capelli del suo capo; e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con Eolio. Il fariseo che lo aveva invitato, veduto ciò,
disse fra sé: Costui, se fosse profeta, saprebbe che donna è
questa che lo tocca; perché è una peccatrice. E Gesù, rispondendo, gli disse: Simone, ho qualcosa da dirti. Ed egli:
Maestro, di’ pure. Un creditore aveva due debitori; l’uno gli
doveva cinquecento denari e l’altro cinquanta. E poiché non
avevano di che pagare condonò il debito a tutti e due. Chi di
loro dunque lo amerà di più? Simone rispose: Ritengo sia
colui al quale ha condonato di più. Gesù gli disse: Hai giudicato rettamente. E, voltatosi verso la donna, disse a Simone: Vedi questa donna? Io sono entrato in casa tua, e tu non
mi hai dato dell’acqua per i piedi; ma lei mi ha rigato i piedi
di lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai
dato un bacio; ma lei, da quando sono entrato, non ha smesso di baciarmi i piedi. Tu non mi hai versato l’olio sul capo;
ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Perciò, io ti dico: I
suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato;
ma colui a cui poco è perdonato, poco ama. Poi disse alla
donna: I tuoi peccati sono perdonati. Quelli che erano a tavola con lui, cominciarono a dire in loro stessi: Chi è costui
che perdona anche i peccati? Ma egli disse alla donna: La
tua fede ti ha salvata; va’ in pace»
(Luca 7, 36-50)
cui incontriamo, o potremmo, o vorremmo incontrare
Gesù Cristo possa essere utile alla nostra elaborazione
cristologica.
L'incontro con Gesù
L9 incontro con Gesù Cristo può prendere forme
diverse, alcune delle quali sono peculiari alla sua persona.
La prima a dover essere presa
in considerazione è quella
dell’incontro con Gesù di Nazaret. Trattandosi di un personaggio vissuto in un’epoca
precedente alla nostra, rincontro personale diretto ci è
precluso, ma possiamo incontrarlo attraverso ciò che la
storia ci ha tramandato di lui.
Anche se gli episodi della sua
vita che siamo in grado di ricostruire con un buon grado
di precisione sono pochi, il
quadro d’insieme che l’esegesi moderna ci presenta è
Che genere di incontro ha
avuto con Gesù questa donna
di cui ci è stata tramandata la
fama ma non il nome? Innanzitutto notiamo che è lei a
prendere l’iniziativa di avvicinarsi a Gesù. Per farlo, e
per di più in modo premeditato (si è portata da casa
il flacone di olio), deve essersi fatta già in precedenza
un’idea di lui; come minimo
deve aver saputo che Gesù
non disdegnava la compagnia
dei pubblici peccatori (cfr.
Luca 5, 27-32), forse ha anche intuito che era portatore
di un messaggio di perdono.
Non appena si trova vicino
a Gesù la donna viene colta
da una forte emozione. Che
avrebbe profumato Gesù con
il .suo olio lo aveva deciso in
anticipo, ma non può aver
previsto di mettersi a piangere. Perché piange? Non lo
sappiamo. Ciò che è evidente
è che la vicinanza di Gesù la
colpisce profondamente (come del resto succedeva a tutti: ogni persona che ha incontrato Gesù ha reagito a modo
suo, ma nessuno è rimasto indifferente). Le carezze con i
capelli e i baci, che fossero
stati programmati o che siano
la reazione spontanea all’
emozione del momento, accrescono l’intensità e la sensualità della situazione. Il tutto accade intorno ai piedi di
Gesù, che è sdraiato sul fianco per mangiare, ma tenendo
conto della differenza tra gli
usi del tempo e i nostri dobbiamo immaginarci la scena
come se la donna avesse abbracciato Gesù e gli avesse
bagnato di lacrime la faccia,
asciugandola con i capelli e
riempiendola di baci.
La forza del perdono
Per quanto sia concentrata
sui piedi di Gesù la donna non può non rendersi conto di aver attirato l’attenzione
di tutta la sala, e che Gesù si
è messo a parlare di lei con il
padrone di casa. Più che confermare la sua reazione positiva al gesto di lei (già evidente per il fatto che non solo
non l’ha cacciata, ma non ha
nemmeno ritratto i piedi) le
parole che Gesù rivolge a Simone forniscono alla donna
una spiegazione del suo stesso comportamento: si tratta
di affettuosa riconoscenza
per il perdono di Dio, col
quale Gesù ha evidentemente
a che fare, che ne sia il portatore o semplicemente l’annunciatore. Che fosse in grado o meno di razionalizzarlo
già prima, la donna riconosce
nelle parole di Gesù la spiegazione autentica del proprio
comportamento. Quando si
sente dire «i tuoi peccati sono perdonati», riceve queste
parole come l’annuncio solenne di qualcosa che aveva
già intuito e non può che andarsene in pace, come Gesù
la invita a fare, riflettendo
sull’affermazione «la tua fede ti ha salvato», che non le
rimane del tutto chiara. Non
può pensare che una peccatrice come lei abbia una fede
capace di salvarla; forse intuisce che a salvarla è stata la
sua fiducia nel fatto che Gesù
l’avrebbe accolta.
Da cosa è stata salvata?
Dal peso del proprio peccato.
Di fronte a Dio, ma anche di
fronte a se stessa; essere stata
capace di amare Gesù le ha
reso evidente il fatto di essere
amata, da Gesù innanzitutto
ma, al di là del momento
contingente, da Dio stesso. E
anche di fronte agli altri: non
sappiamo come sia stata trattata di suoi concittadini dopo
questo episodio, ma certo
non possono aver continuato
come se nulla fosse accaduto.
Gesù ci mette in crisi
Benché sia considerata, a
ragione, la protagonista
di questo episodio, la donna
non è l’unica persona che ha
incontrato Gesù quel giorno.
Anche Simone aveva organizzato un incontro con Gesù
e l’ha avuto, sebbene diverso
da come se lo aspettava. Il
bravo fariseo vedeva probabilmente in Gesù un maestro
che avrebbe potuto insegnargli qualcosa di buono,
o forse addirittura un profeta,
e ci teneva ad averlo come
suo ospite.
Sul più bello però Simone
rimiJni» cr\iii'7'7ofr\ o il ciir\ r»rr»_
oui più Delio pero oimone
rimane spiazzato e il suo pro
getto va a monte. Non è la
donna che si introduce nella
sala senza essere stata invitata e si avvicina all’ospite
d’onore a guastare la festa,
non ci sarebbe voluto nulla a
cacciarla, è la reazione di Gesù che sconvolge il padrone
di casa. In un primo tempo
pensa che Gesù si inganni sul
conto della donna, e questo
mette in crisi la sua speranza
che si tratti di un profeta, ma
poi si rende conto che Gesù
non si inganna affatto. Ben
sapendo con chi ha a che fare, e indovinando i pensieri di
Simone, Gesù prende partito
per l’intrusa, contro il padrone di casa.
Quella di Gesù non è semplicemente una scelta di campo di fronte a un conflitto.
Gesù non attacca Simone soltanto per difendere la donna
ma coglie l’occasione fornitagli dalla peccatrice per mettere in crisi il pio fariseo. Per
mezzo della similitudine dei
due debitori gli mostra, anzi
lo spinge a riconoscere lui
stesso, non soltanto che anche una peccatrice può amare
Dio (ed essere amata da Dio),
ma soprattutto che la troppa
giustizia è d’impedimento
all’amore (verso i propri simili ma anche verso Dio).
Benché lui non usi queste parole, il concetto che Gesù comunica a Simone può essere
espresso capovolgendo la frase detta alla donna: la tua fede ti ha fregato.
Anche la vita di Simone è
cambiata da quel giorno: in
Gesù ha incontrato uno che,
in nome di Dio, ha giudicato
la sua vita, e la sua fede, e
l’ha chiamato a ravvedersi.
Simone ha dovuto decidere
se credere che quell’uomo
parlasse in nome di Dio o ritenere che bestemmiasse, ha
dovuto scegliere tra le due
strade che gli si aprivano davanti: quella della conversione al messaggio che aveva ricevuto e quella del complotto
per eliminarne il portatore.
Non sappiamo cosa abbia
scelto Simone, ma sappiamo
che entrambe le strade sono
state percorse da molte persone come lui.
Oltre alla donna e a Simone, quel giorno con Gesù c’erano altre persone. Non .sappiamo se fossero venute al
preciso scopo di incontrarlo,
né che cosa abbiano pensato
mentre davanti ai loro occhi
si svolgeva quella scena insolita. In ogni caso restano
per tutto il tempo nel ruolo di
spettatori. Ma questo non impedisce loro di fare un commento alla fine: «Chi è costui
che rimette anche i peccati?». Non hanno capito gran
che di quello che è accaduto,
ma hanno capito una cosa:
Gesù è una persona particolare. La loro vita non è cambiata quel giorno, ma sono tornati a casa con una domanda
in più. Ora hanno un dubbio,
un interrogativo, è nato in loro un interesse per la persona
di Gesù. Se vorranno, alla
prossima occasione potranno
avvicinarsi a lui e incontrarlo
personalmente.
Confrontarsi con Gesù
Noi quel giorno non c’eravamo, né avremo mai la
possibilità di incontrare Gesù
di Nazaret perché è ormai
morto da molti anni. Tutta
via, attraverso la mediazione
di questo e di tanti altri racconti, abbiamo ugualmente la
possibilità di confrontarci
con questo personaggio che
ha lasciato un segno così
profondo in chi l’ha incontrato. Possiamo, ad esempio,
provare a immaginarci nei
panni della peccatrice perdonata, oppure in quelli del fariseo messo in crisi, o almeno
in quelli dei commensali incuriositi (o in quelli di qualcuna delle tante altre persone
il cui incontro con Gesù ci è
stato tramandato dai Vangeli). Possiamo meditare sull’
insegnamento del maestro di
Nazaret e anche cercare di
metterlo in pratica. Possiamo
chiederci se parlava veramente in nome di Dio o se
era un impostore, o magari
un illuso in buona fede.
Tutto questo è interessante
e utile, anzi per un cristiano è
necessario, ma non basta. Per
incontrare la persona di Gesù
Cristo l’incontro con Gesù di
Nazaret è un ottimo punto di
partenza ma occorre andare
oltre. Perciò quest’articolo
non finisce qui ma continua
sui prossimi numeri.
Preghiera
Tu che sei amore, che con il tuo amore - è scritto - salvi la
nostra vita,
come puoi dire di amarmi se non mi hai mai toccato, se
non mi hai mai guardato negli occhi? Cosa puoi provare per
me? Compassione, simpatia, forse un’infatuazione passeggera. Ma Tamore, l’amore è carne, è tenerezza. Quando è
stato che ci siamo abbracciati?
E io, come posso amarti se non ho mai sentito il tuo odore,
se non ho mai sentito il calore del tuo corpo? Posso amare
una persona le cui lacrime non hanno mai provocato le mie,
che non ho mai visto ricambiare il mio sorriso? Che strano
amore quello in cui non ci si può accarezzare, in cui alT avvicinarsi dell’altro il cuore non sussulta, lo stomaco non si
contrae.
Ora comprendo le lacrime della donna che, di soppiatto,
era entrata in casa di Simone stringendo la boccetta di profumo: piangeva di gioia. Lei non lo sapeva ma, tra i baci e le
carezze, piangeva d’amore, d’amore per te.
Mi accorgo di avere le guance umide. Piango di rabbia?
Di disperazione? D’amore? O forse queste lacrime che mi
rigano la faccia non sono le mie ma le tue?
Non mi lasciare solo, ti prego, rèsta con me ancora per un
momento, un momento soltanto.
Amen
7
.994
Spedizione in abb. postaie/50
In caso di mancato recapito rispedire a;
Caseiia postaie 10066 - Torre Peiiice
L'Editore si impegna a corrispondere
il diritto di resa
Fondato nel 1848
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E arrivata la neve
Pochi problemi
molte speranze per il turismo
Foto di Lino Rostagno
Dopo settimane di vento in cui le perturbazioni sembravano aver dimenticato questa parte di Piemonte, le correnti
sono cambiate e la neve è arrivata, abbondante ma solo
sopra i mille metri; nelle borgate più alte i pochi abitanti
rimasti hanno dovuto fare i conti con la copiosa precipitazione, ma in fondo è così da sempre. Pochi problemi
comunque per la circolazione rispetto a quanto è accaduto
in altre zone della nostra regione. Per chi ama gli sport
invernali, dopo un periodo natalizio non proprio entusiasmante, si preannunziano settimane veramente «bianche».
^LD
VENERDÌ 14 GENNAIO 1994 ANNO 130 - N. 2 LIRE 1300
Le indagini sul numero
dei diplomati e laureati
nelle nostre valli lo indicano
più basso della media nazionale: come si concilia questo
dato con la tradizione valdese di maggiore cultura e
istruzione?
In questo periodo dell’
anno molte famiglie sono
impegnate a decidere se far
proseguire ai propri figli la
scuola e quale scuola scegliere; molti si chiedono se le
loro scelte saranno quelle
giuste. Alcuni decidono che è
meglio lasciare perdere la
scuola e buttarsi subito alla
ricerca di un’occupazione,
purché si portino soldi a casa.
Insomma si va a scuola
solo per assicurarsi un lavoro
e, se si ha un po’ di ambizio
PREISCRIZIONI
SCUOLA PERCHE
ELIO CANALE
ne, il migliore possibile. C’è
ancora qualcuno che spinge i
propri figli a lottare per il
lavoro migliore? Eppure si
può immaginare uno studio
teso solo alla formazione di
una persona cosciente di sé,
che dopo imparerà un
«mestiere» per procacciarsi
di che vivere. Non erano
diventati famosi anche da noi
quei contadini che studiavano all’università senza con
ciò voler abbandonare il loro
lavoro?
Attualmente il mondo del
lavoro mostra la tendenza ad
accogliere giovani sempre
più istruiti anche se non chiede specializzazioni ma una
preparazione di base che dia
flessibilità. Accoglie cioè
persone capaci di imparare
dopo l’assunzione e pronte a
reimparare anche nel futuro,
quando le esigenze aziendali
lo richiederanno. «Flessibilità», ecco la qualità principe.
Che cosa significa, in pratica? Che bisognerebbe conseguire un diploma il più
aperto possibile e che comunque si deve essere pronti
a studiare ancora per vari
anni.
Tutti col diploma, allora?
E se la scuola è distante? Si
può pretendere da tutti i
ragazzi di sostenere la fatica
degli spostamenti per proseguire gli studi in mega istituti
a valle, o forse è meglio che
la scuola si avvicini agli
utenti? I valdesi possono
ricordare che nel passato la
loro soluzione fu di portare
le scuole nelle valli per
permettere a tutti quanti di
frequentarle.
Regione Piemonte
Fumata nera
per la nuova
giunta
Seduta infruttuosa quella
del Consiglio regionale di
venerdì 7 gennaio. La Befana
non ha regalato ai piemontesi
la nuova giunta regionale. Da
tre mesi la Regione è senza
un governo e la situazione
non sembra sbloccarsi.
Due gli schieramenti in
campo. Da un lato la sinistra
(Pds, Rifondazione comunista, Verdi e metà degli ex
socialisti) con un programma
innovativo, dall’altra gli ex
della giunta Brizio dimissionaria (De, l’altra metà dei
socialisti, metà dei repubblicani, gli ex socialdemocratici,
i liberali, cioè i reduci del
pentapartito) con un programma che è il naturale proseguimento di quello precedente. Risultato del voto:
24 voti alla proposta di sinistra, 27 voti alla proposta del
«Brizio 2». Nessuno schieramento ha raggiunto la maggioranza prescritta di 31 voti.
Perciò il Consiglio sarà riconvocato tra 15 giorni e in
quell’occasione saranno necessari ancora 31 voti per fare
la giunta, ma alla seconda
votazione basterà solo un
voto in più.
Alcuni consiglieri si sono
astenuti (l’antiproibizionista
Cucco), altri non hanno partecipato al voto (l’ex repubblicano Franco Ferrara) mentre il leghisti Vaglio e
Bodrero, il leghista indipendente Rabellino e il missino
Majorino sono stati contrari
e hanno invocato le elezioni.
Altri consiglieri non hanno
votato perché attualmente inquisiti (Croso) o perché cacciati dal Consiglio per decreto del Capo dello stato
(Gissara del gruppo Pensionati).
È probabile che il 21 gennaio Brizio succederà a se
stesso, ma il suo sarà un governo a termine che dovrebbe
servire fino alle elezioni politiche ed europee.
Le vacanze dei valligiani si indirizzano verso mete esotiche: i Caraibi e le Maldive
Capodanno per trovare un posto al sole
_______FEDERICA TOUBN________
Crisi (psicologica?) dell’
ultimo 740 messa definitivamente da parte, ai viaggi
di fine anno non si rinuncia:
Caraibi, Tunisia, Hong Kong,
Maldive, persino Sud Africa
e Bangladesh, i pinerolesi
non si sono risparmiati nemmeno in fantasia. Partono
tutti: famiglie che hanno finalmente recuperato i figli
dalle scuole, giovani da soli
all’avventura (in treno, però,
e non oltre gli stretti confini
europei) e soprattutto coppie
di ogni età.
Ci sono, naturalmente, le
richieste classiche: settimane
bianche prenotate su tutto
l’arco alpino, soprattutto in
Trentino e in Francia, con un
costo di soggiorno dalle
400.000 lire in su; interessano sempre, almeno secondo
l’agenzia Ramognini di
Pinerolo, le capitali europee,
prime fra tutte Vienna e Parigi, mentre sono meno apprezzate rispetto all’anno
scorso Praga e Budapest.
I più richiesti, però, sono
senz’altro i viaggi a lungo
raggio, come testimonia an
Grande richiesta per i viaggi in iocalità ricercate
che l’agenzia Jacarè di Pinerolo; predilette le isole, alla
ricerca del caldo: oltre alle
classiche Canarie, le Mauritius e i Caraibi, e soprattutto
Santo Domingo e Cuba, che è
la meno cara (una settimana
può costare da 1 milione e
700.000 a 3 milioni). Per un
Capodanno un po’ diverso un
gruppo di 50 persone, organizzato sempre dall’agenzia
Ramognini, è invece volato in
Terra santa dal 26 dicembre
al 5 gennaio, per visitare la
Giordania e Israele.
La crisi, in generale, sem
bra non farsi sentire, almeno
per una fascia medio-alta che
può disporre tranquifiamente
di almeno un milione, ma che
comunque spende oculatamente, informandosi nei
minimi particolari su tutte le
opportunità.
«Ho l’impressione - dice
infatti Teresa Soldani, dell’
agenzia «La rosa dei venti» di
Lusema San Giovanni - che
la gente abbia scelto con
accuratezza, valutando bene
il rapporto tra prezzo e
possibilità offerte. Per esempio, contro 1 milione e
900.000 per 5 giorni a Vienna
con un posto in piedi per il
concerto di Capodanno, non
ho esitato a consigliare un
tour del Marocco di sette
giorni per solo un milione e
600.000».
Si cerca quindi di aggirare
le proibitive tariffe di Capodanno che affliggono le
maggiori città europee
(Londra è fra le più care)
puntando sulTAmerica, non
particolarmente costosa in
questa stagione (un volo
aereo per New York costa
sulle 800.000 lire e un albergo decente nella «grande
mela» si aggira sui 90 dollari)
o decidendo di investire su
posti lontani e meno conosciuti come la Thailandia, il
Senegai o le Maldive che
offrono, per una settimana a 3
milioni e 200.000 tutto compreso, un’isola isolata e un
corso di sub per appassionati.
Non sono infine mancati i
viaggi in paesi poveri come il
Camerún o il Bangladesh,
scelti da persone che, a volte
con 50 chili di extra bagaglio
a carico, hanno colto l’occasione delle feste per portare
aiuti nelle missioni locali.
Il 21 gennaio è una ricorrenza importante per i valdesi? Sì. Ma solo i più
ferrati in storia valdese si ricordano che
il 21 gennaio 1561, alla borgata del
Podio di Bobbio, in una assemblea popolare viene approvato il documento costitutivo della Chiesa valdese, il «Patto
dell’Unione». Con questo documento le
chiese valdesi diventano autonome da
Ginevra e comincia la respublica calvinista delle valli. I valdesi decidono di
opporsi al potere assoluto del sovrano, e
con un azione militare e giuridica iniziano ad affermare il diritto a riformare la
chiesa.
I valdesi nei mesi precedenti avevano
dovuto subire l’azione militare degli
uomini di Emanuele Filiberto e del
gesuita Antonio Possevino, avevano già
deciso di abbandonare la nonviolenza e
di resistere militarmente alla repressione
del duca di Savoia. AH’inizio di gennaio
dei 1561 i valdesi della vai Lucerna
hanno deciso di riprendere i contatti con
IL FILO DEI GIORNI
21 GENNAIO
OIORQIO QARDIOL
i valdesi della vai Pragelato (all’epoca
sudditi francesi) per stringere un accordo
comune.
Il 21 gennaio, appunto, delegazioni dei
valdesi si riunirono al Puy (Podio) di
Bobbio e «consentirono molto volentieri
et con tutto il cuore al Patto» che dice:
«Furono al fine di parere che: il popolo
Valdese et di quà et di là dei monti
farebbono tra loro perpetua et inviolabile confederatione, promettendo tutti con
la grada di Dio, la pura predicazione
dell’Evangelio et l’amministratione de i
Santi Sacramenti; di aiutarsi et soccorrersi scambievolmente gli uni gli altri; et
di riprendere ubbidienza ai superiori
loro, come la Parola di Dio comanda;che non sarebbe lecito a nessuna di tutte
le Valli, promettere, transigere ovvero
accordare cosa alcuna sopra il fatto
della religione senza il consetimento di
tutte le altre Valli».
Il giorno seguente tutti i valdesi armati
si recarono al tempio per udire la Parola
di Dio, anziché alla messa come era stato
loro ingiunto e, gettate fuori le immagini
che erano state collocate nel tempio, si
tenne la predica. Dopo l’assalto alla
chiesa i valdesi cominceranno ad assaltare militarmente le guarnigioni. Il duca
reagirà e il 14 febbraio si avrà l’inizio di
una guerra che durerà fino ad aprile.
II Patto sottoscritto il 21 gennaio fu
poi ratificato alla Comba del Villar il 2
febbraio, alla presenza di tutti i «conduttori e i principali» delle valli.
(Per approfondire leggere Giovanni
Jalla, «Storia della Riforma in Piemonte», Claudiana Editrice).
In Questo
Numero
Occupazione
L’occupazione è in crisi;
le risposte non sono
immediate né sicure. La
Comunità montana valli
Chisone e Germanasca è
impegnata su più fronti
per rilanciare opportunità
di lavoro utilizzando ciò
che il territorio offre.
Pagina II
Verso le elezioni
Verso le elezioni. Le
forze di progresso si confrontano nelle valli e a
Pinerolo per trovare le
aggregazioni e i candidati
dei collegi elettorali.
Prossimo appuhtamento
sabato 22 a Pinerolo.
Pagina II
Estimi catastali
Calano gli estimi catastali di molti Comuni delle
valli. Le amministrazioni
locali avevano fatto ricorso contro valori giudicati
troppo elevati e penalizzanti i cittadini. Ora si
pagherà di meno e sarà
possibile recuperare nella
prossima dichiarazione dei
redditi quanto pagato in
più nel 1993.
Pagina III
Teleriscaldamento
All’Ospedale valdese di
Pomaretto arriverà, il
prossimo anno, il teleriscaldamento: una tecnologìa che consentirà un
significativo risparmio
energetico. ' *
Pagina IV
Furti invernali
Maniglia, come molte
altre borgate, d’inverno è
quasi disabitata. Sì tratta
di zone molto suggestive;
accade però che anche
persone disoneste approfittino di questa tranquillità, magari rubando nelle
case. <
’ Pagina IV
8
PAG. Il
lì—lini
li
venerdì 14 GENNAIO 1994
ven:
Veduta invernale dalla Vaccera (Val d’Angrogna)
MOSTRA CARTOFOTOGRAFICA SU MASSELLO — È
aperta fino alla fine di febbraio, presso il Centro culturale
valdese di Torre Pellice, la mostra cartofotografica sul tema
«Natura e organizzazione sociale nelle cartoline e fotografie di Massello (1900-1950). L’esposizione, già presentata a
Massello dalla fine di luglio alla fine dell’ottobre scorso,
traccia la storia del paese nei primi 50 anni del secolo, fino
ai cambiamenti portati dallo spopolamento e dall’urbanesimo. La mostra è aperta nei giorni feriali dalle 9 alle 12 e
dalle 14 alle 17.
FONDO DI SOLIDARIETÀ PER IL PATRIMONIO BOVINO — Gli allevatori interessati al fondo di solidarietà
per il risanamento e il sostegno del patrimonio bovino, anno
1994, devono presentare entro il 31 marzo la domanda agli
uffici del Servizio agricoltura della Comunità montana vai
Pellice, corredata da una copia del foglio di risanamento vistato dal Servizio veterinario dell’Ussl 43. Inoltre, gli allevatori dovranno pagare, tramite un modulo di conto corrente postale, una quota di 10.000 lire per ogni capo che intendano assicurare. Gli uffici del Servizio agricoltura, in via
Caduti per la Libertà 6 a Torre Pellice, saranno aperti al
pubblico anche per ulteriori informazioni dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 17.
OSSERVAZIONI AL PIANO REGOLATORE DI PINE
ROLO — Scadono sabato 15 gennaio i termini per la presentazione di osservazioni al Piano regolatore generale comunale; l’ufficio Protocollo del Comune sarà aperto al pubblico dalle 8,30 alle 12,30 e dalle 14 alle 16.
CORSO DI GINNASTICA DEL CAI — Presso la palestra
del Collegio valdese, in via Pietro Valdo 1 a Torre Pellice,
ogni mercoledì dalle 20 alle 21 si terrà un corso di ginnastica, organizzato in collaborazione con il Cai Uget Valpellice. Per iscrizioni, rivolgersi alla sede in piazza Gianavello
30/1 ogni venerdì sera dalle 21 alle 22 o presso Gulliver, in
corso Gramsci 23, dalle 9 alle 12,30 e dalle 15,30 alle 19,
chiuso il lunedì.
FORZA, VENITE GENTE PER L’ADMO — Il gruppo
«Costruire cantando» di Pinasca presenterà Forza venite
gente, uno spettacolo di rock e blues ispirato alla vita di
San Francesco, lunedì 24 gennaio alle 21 al teatro Alfieri di
Torino. La serata è organizzata in collaborazione con l’Admo (Associazione donatori midollo osseo Rossano Bella
della Regione Piemonte) a sostegno del Registro nazionale
donatori di midollo osseo per combattere le leucemie; il ricavato sarà interamente devoluto a scopo di beneficenza.
La prevendita dei biglietti si effettua presso la biglietteria
del Teatro Alfieri, Maschio dischi in piazza Castello 51,
Rock & Folk dischi in via Viotti 8A a Torino, Magic Bus in
via Virginio 36 a Pinerolo, Admo «Rossano Bella» Regione
Piemonte a Villar Porosa.
PROFESSIONI LEGATE AL TURISMO — L’amministrazione provinciale di Torino ha predisposto i termini per la
presentazione delle domande di partecipazione alla prima
sessione del 1994 delle prove di esame per l’accertamento
dell’idoneità dei requisiti tecnico-professionali per le professioni di accompagnatore turistico, guida turistica, interprete turistico e direttore di agenzia di viaggio e turismo. Le
domande vanno redatte in bollo sui moduli in distribuzione
presso la Provincia o l’ufficio turistico di Pinerolo in via S.
Giuseppe (tei 0121-795589 e 794932) e inviate alla Provincia di Torino, settore Cultura, turismo e sport, via Maria
Vittoria 12, entro il 9 febbraio per gli accompagnatori, entro 1’ 11 marzo per le guide, 1’ 11 aprile per gli interpreti e il
13 maggio per i direttori di agenzia.
Mercoledì 19 gennaio 1994 - ore 21
Sala consiliare del municipio di
TORRE PELLICE
VERSO UISOLA CHE:S^CT
(minori: esperienze e proposte a confronto)
Intervengono:
Piercarlo Pazè
giudice minorile
Anita Tron
direttrice Comunità alloggio - via Angrogna Torre Pellice
Operatori USSL 42 e 43
Famiglie affidatane
modera: Marco Armand Hugon
organizza: L’ECO DELLE VALLI VaLDESI
Le valli Chisone e Germanasca cercano di far fronte alla crisi
Alla ricerca di nuovi progetti per
dare alternative alPoccupazione
PIERVALDO ROSTAN
Le Valli soffrono di una
caduta di occupazione
drammatica; interi settori industriali su cui si è retta per
decenni l’economia locale sono quasi ormai al capolinea;
occorre puntare su qualcosa di
nuovo. Il turismo può rappresentare un settore importante
per le nostre zone, ma perché
ciò accada occorre essere capaci di avanzare proposte appetibili e saper gestire il fenomeno in tutti i suoi aspetti. La
Comunità montana valli Chisone e Germanasca cerca di
attrezzarsi in tal senso.
Gli interventi sono previsti
su diverse linee operative e
saranno possibili grazie a considerevoli finanziamenti della
Comunità economica europea;
i progetti generalmente comprendono più bacini e cioè le
valli Susa, Chisone, Germanasca e Pellice con il corrispondente versante francese: sulla
base delle iniziative messe in
cantiere arriveranno alle Valli
diverse centinaia di milioni.
Il progetto forse più noto è
quello della valorizzazione turistica delle miniere, su cui gli
enti interessati si sono mossi
da più tempo e che attende di
passare a una fase più operativa; su altri settori si interverrà, ed è proprio di questi
che parliamo col presidente
della Comunità montana, Erminio Ribet.
«L’aspetto forse più interessante è quello di costruire una
rete di informazione videotel
ih grado di far entrare la nostra zona nel grande circuito
turistico. Attraverso una rete
sarà possibile conoscere tutte
le informazioni relative ad
esempio alla situazione delle
strade, della neve, delle disponibilità alberghiere nelle nostre vallate più altre informazioni turistiche tipo gli orari
dei musei, le caratteristiche di
determinati percorsi. L’interessante è che col videotel
sarà possibile avere queste
informazioni direttamente a
casa: questo sistema è già
molto diffuso in Francia dove
le utenze sono ormai milioni,
molto meno da noi e tuttavia è
su questa linea che ci si deve
orientare. In una prima fase si
creeranno una serie di nodi in
Italia, che tendenzialmente saranno le tre Comunità montane e gli uffici turistici».
- Gli uffici di informazione,
segnatamente l’Apt di Pinerolo, i privati, gli albergatori,
sono pronti a utilizzare tutte
le sue potenzialità questi sistemi?
«L’Apt ha una buona rete di
informazioni; certo il suo ruolo dovrà essere potenziato. Per
quanto riguarda gli operatori
devo dire che proprio come
Comunità montana abbiamo
puntato molto sulla formazione. Sono così stati organizzati
diversi corsi; a quello per operatori turistici ha partecipato
un centinaio di persone già
dentro il settore, ed è stata
un’ottima occasione di aggiornamento. In altri corsi si sono
formati accompagnatori naturalistici; tutto concorre a
creare professionalità sul turismo montano ed è estremamente importante che ciò accada visto che ormai sono diverse centinaia le persone che
in qualche modo lavorano, anche part rime, nel settore turistico nella nostra valle».
- Non correte il rischio di
veder transitare il grosso dei
turisti verso l’alta valle (Sestriere) senza averne ricadute
positive?
«Sta proprio alla nostra capacità l’organizzarci in modo
da offrire più in basso anche
delle attrattive puntando sull’ambiente e sulla cultura; cito
come esempi positivi il forte
di Fenestrelle, che l’anno
scorso ha richiamato grazie a
varie iniziative migliaia di visitatori, il centro di Pra Catinai e i nostri parchi, anch’essi
meta di moltissimi, in certi casi anche troppi, visitatori».
- Quello dell’informazione
videotel è uno dei progetti, ma
ve ne sono altri; ce li può illustrare?
«Sempre legata al turismo è
la pubblicizzazione di tutta
una serie di percorsi dell’area
intorno al Monviso; si prevede la pubblicazione di carte e
dépliant informativi in più lingue; anche qui si ipotizzano
veri e propri itinerari in grado
di trattenere in zona i turisti
per un certo periodo, non solo
per la gita di una giornata».
- Tutto questo si inserisce
in realtà in un progetto piu
ampio che è quello dello sviluppo transfrontaliero...
«Effettivamente è così; è
stato creato un gruppo di lavoro di tecnici ed esperti che
ha appena iniziato a incontrarsi per definire le linee di
questo progetto che qualcuno
erroneamente chiama del
traforo del Colle della Croce.
E ormai noto che ai francesi
non interessa il traforo ma un
discorso più vasto sull’area, in
modo da valorizzare tutte le
risorse. Quanto prima dovrebbero iniziare anche gli incontri fra amministratori. Ciò che
comunque è chiaro è che i
francesi ragionano, più che
sugli stati, sulle aree di interesse: ad esempio per loro il
bacino torinese è di estremo
interesse come potenziali
“clienti” e per questo puntano
molto sull’alta velocità. Se
noi, grazie anche ai progetti
Cee, sapremo attrezzarci e costruire nuove professionalità,
potremo davvero utilizzare un
patrimonio ambientale e culturale che ha pochi uguali in
Europa».
Verso le elezioni: Alleanza democratica presenta il programma
Dodici punti per il governo
Alleanza democratica (Ad)
di Pinerolo e di Piossasco
rompono gli indugi e presentano a Pinerolo il loro programma per il «polo progressista». L’associazione
«Ferruccio Patri» di Pinerolo
e il costituendo circolo di Ad
di Piossasco hanno deciso di
presentare pubblicamente a
Pinerolo il contributo della loro forza politica a un programma per «il governo nazionale» del polo progressista.
«Si tratta - ha spiegato
Massimo Rostagno - di un
documento “aperto”, di lavoro, che però ha un’ambizione: quella di far uscire la
sinistra e i progressisti dalle
secche di un dibattito di
schieramenti a quello di contenuto sui programmi concreti di governo»
Il programma è in 12 punti
di cui solo 9 presentati a Pinerolo («gli altri verranno
proposti alla Conferenza
programmatica regionale»):
1 - riforma federalista dello stato, basata sulle Regioni
e sul mantenimento dell’unità
nazionale;
2 - riforma elettorale degli
organi di rilevanza costituzionale (Parlamento, governo.
Regioni) e della rappresentanza sociale;
3 - accelerazione delle privatizzazioni;
4 - risanamento del debito
pubblico nella direzione del
governo Ciampi;
5 - riorganizzazione dei
tempi di lavoro, flessibilità,
lavori socialmente utili;
6 - riforma del fisco;
7 - governo del territorio
basato sul rispetto dell’ambiente e sullo sviluppo ecosostenibile;
8 - efficienza e responsabilità nella pubblica amministrazione;
9 - migliore qualità dell’insegnamento e innalzamento dell’obbligo a 16 anni;
10 - politica di solidarietà
11 - regole anti trust per il
sistema informativo (abrogazione legge Mammì);
12 - politica estera nel senso dell’Unione europea e
nuovi rapporti con i paesi del
Mediterraneo.
Adriano Andruetto, uno degli «osservatori» regionali di
Ad, nell’introdurre la riunione ha poi precisato la posizione del suo movimento in
merito alla partecipazione di
Rifondazione comunista al
polo progressista. «Per rispetto di Rifondazione noi
chiediamo che essa stia fuori
dal polo. Facciamo un alle
anza per il governo non per
rimanere all’opposizione».
Andruetto ha poi spiegato i
criteri di scelta dei canditati
nel collegio uninominale; non
persone inquisite, non persone esponenti del vecchio sistema politico, in ogni caso
ogni candidatura deve essere
approvata dal comitato del
polo del collegio.
Il ricco dibattito che ne è
seguito ha riguardato sia gli
aspetti programmatici che
politici della costruzione del
polo. Sono intervenuti esponenti della Rete, del Gruppo
per l’alternativa, dei Verdi,
di Rifondazione comunista,
del Pds, del Movimento socialista che hanno criticato
molti aspetti del programma
e hanno espresso la netta
contrarietà alla pregiudiziale
su Rifondazione comunista i
cui voti, come del resto quelli del «centro», sono indispensabili per l’affermazione del polo.
Alla fine ha preso corpo
una proposta: ritrovarsi tutti
insieme alle ore 17 di sabato
22 gennaio al Centro sociale
di San Lazzaro a Pinerolo,
per mettere insieme il programma e individuare già
qualche candidatura possibile
per il collegio.
Val Pellice
Nasce
l'alleanza
dei progressisti
Rappresentanti delle forze
politiche progressiste e delle
associazioni, insieme a singoli cittadini, si stanno riunendo
da alcune settimane anche in
vai Pellice in vista delle prossime elezioni politiche. Si va
verso un comitato per l’Alleanza progressista nel Pinerolese «forti dei comuni valori e delle esperienze amministrative unitarie maturate in
questi anni in vai Pellice».
Indispensabili sono, dicono
i progressisti della valle, «un
programma politico in grado
di affrontare questioni prioritarie quali l’occupazione, la
gestione del territorio, la salute, l’ambiente e lo sviluppo
socio-economico in modo radicalmente diverso dal passato»; una strategia che sappia
portare le forze progressiste
unite alle elezioni «con candidati proposti nei singoli collegi e che prestino attenzione ai
problemi locali».
Il documento redatto da
questo cartello di forze si sofferma poi sulla necessità di attivare una collaborazione fra
le diverse aree territoriali del
collegio e sulla importanza di
una massima trasparenza in
materia di finanziamento della
campagna elettorale.
Indiscrezioni
Candidati?
Cominciano già a circolare
i nomi di possibili candidati. 4
Per la Lega Nord il candidato
«naturale» dovrebbe essere
Dario Bocco, oggi consigliere provinciale, che nelle i
aspettative del partito dovrebbe partire in «pole position». Sul fronte progressista
potrebbe contrastargli il passo Rinaldo Bontempi, eurodeputato del Pds.
PEROSA ARGENTINA — Giovedì 13 gennaio
alle 20,30, nel salone del
Centro anziani, si tiene un
incontro sul tema La realtà
del lavoro nelle nostre
valli e le sue prospettive.
Introducono il dibattito
Franco Agliodo, Paola Cordiero e Adriano Tillino.
TORRE PELLICE —
Giovedì 13 gennaio alle
20,45 il Collettivo biblico
ecumenico si riunisce al
Centro d’incontro per la
lettura dell’Evangelo di
Marco.
BOBBIO PELLICE —
Inizia alle 16,30 di sabato
15 gennaio e prosegue la
domenica il convegno dei
gruppi giovanili e Egei
delle Valli. Per informazioni rivolgersi a Oriana
Soullier, tei. 0121-501425.
SAN SECONDO —
L’assemblea delle corali si
riunisce alle ore 15 di domenica 16 gennaio, presso i
locali della chiesa valdese.
PINEROLO — Durante
il culto del 16 gennaio si
terrà l’assemblea di
chiesa, con la discussione e
l’approvazione del preventivo di spesa per il 1994 e
l’elezione della Commissione d’esame/revisori.
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VENERDÌ 14 GENNAIO 1994
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PAG. Ili
Torre Pellice
La Pro Loco
verso il nuovo
direttivo
Con l’assemblea convocata
per il 27 gennaio presso la sala consiliare del Comune, la
Pro Loco di Torre Pellice andrà ad eleggere un nuovo
Consiglio di amministrazione.
Al termine del 1993, anno
in cui si compivano 80 anni di
presenza attiva del sodalizio,
la presidente Clara Sibille
Giampiccoli, eletta a quella
carica nel 1981 e da 23 anni
impegnata nell’associazione,
ha dichiarato di non volersi
più ricandidare. Analoga posizione ha espresso il vicepresidente Adriano Longo a causa
dei molteplici impegni e così
pure alcuni consiglieri che
non hanno fatto mancare il loro impegno per lunghi anni. E
quindi più che mai aperta la
possibilità di un ricambio,
necessario in quanto la Pro
Loco non opera solo come ente promotore in proprio o insieme ad altri di un certo numero di manifestazioni ma,
gestendo un ufficio di informazione e assistenza turistica svolge un ruolo, che nel
tempo dovrebbe accrescersi,
di vetrina e divulgazione delle
opportunità turistico-commerciali di tutta la vai Pellice.
L’invito a voler cogliere questa occasione di costituire in
una sede centrale un coordinamento organico fra le varie
iniziative, è rivolto quindi anche alle altre associazioni che
operano in zona.
Chi intende porre la propria
candidatura, lo può fare presso la sede di via Repubblica
3, al palazzo comunale di
Torre Pellice. Saranno disponibili a partire dal 18 gennaio, presso la sede, delle copie della relazione annua
1993 che verrà presentata e
discussa in assemblea.
Intervista a Silvio Vola, direttore amministrativo degli ospedali
Telerìscaldamento, un risparmio
per ^ospedale di Pomaretto
PIERVALDO ROSTAN
~F\opo l’accordo tra la
X-/ Ciov e l'Acea per il teleriscaldamento dell ’ospedale
valdese di Pomaretto abbiamo rivolto alcune domande al
direttore amministrativo degli ospedali di Torre e Pomaretto, Silvio Vola. Quali saranno i tempi per l’entrata in
funzione del teleriscaldamento?
«Secondo la convenzione
che abbiamo siglato con l’Acea il servizio dovrebbe partire all’inizio della stagione
invernale ’94-95. Attualmente, da parte dell’ospedale è in
corso la costruzione del locale che ospiterà gli scambiatori di calore, ai quali sarà
allacciato il circuito secondario di riscaldamento del’ospedale. La costruzione di
tale locale, insieme alla centrale elettrica, della cabina
Enel di trasformazione del’energia elettrica, dell’area
del gruppo elettrogeno e della centrale di distribuzione
dell’ossigeno terapeutico, fa
parte dei lavori del costruendo secondo lotto di
ampliamento dell’ospedale.
Da parte dell’Acea si sta definendo nei particolari la
centrale termica che servirà
anche il municipio e altre
utenze, e la rete di distribuzione».
- Quali saranno i costi per
l’ospedale?
«La convenzione ha durata
ventennale ed è basata su una
tariffa legata al costo del consumo di gas metano e al rimborso di capitale investito
dall’Acea. In sostanza andremo a sostenere costi simili
a quelli fin qui affrontati per
la gestione diretta della cen
Rivisti gli estimi catastali
Ci siamo sbagliati
i soldi indietro nel ^94
La Gazzetta ufficiale n.
306 del 31 dicembre pubblica le nuove tariffe dell’estimo che interessano anche alcuni Comuni delle valli vaidesi.
Il provvedimento è stato
assunto per correggere le palesi disparità di trattamento
di fabbricati dello .stesso valore commerciale, a cui la
mappa delle rendite catastali
in vigore dal ’92 ha assegnato estimi nettamente diversi;
oppure di fabbricati di valore
molto diverso accomunati
sotto la stessa rendita.
Contro questa diversità di
trattamento erano insorti alcuni Consigli comunali delle
Valli che avevano protestato
minacciando la dimissione
L'Eco Delle Valli Valdesi
Via Pio V, 15-10125 Torino
Tel. 011/655278
Via Repubblica, 6-10066
Torre Pellice (TO)
tel/fax 0121/932166
Sped. in abb. post./50
Pubblicazione unitaria con Riforma
non può essere venduto separatamente
fteg. Tribunale di Pinerolo n. 175/60
Resp. Franco Giampiccoli
Stampa: La Ghisleriana Mondovi
Una copia L. 1.300
dei sindaci. Grazie anche all’interessamento dell’amministrazione provinciale
che aveva dato il supporto
tecnico-politico per la richiesta dei Comuni, il governo
aveva deciso di accogliere
parzialmente le osservazioni
dei Comuni.
I Comuni delle Valli
interessati al provvedimento
sono; Bobbio Pellice, Inverso Rinasca, Lusernetta, Pinerolo, Pomaretto, Pramollo,
Prarostino, Roure, Salza di
Pinerolo, San Secondo di
Pinerolo, Villar Pellice, Villar Perosa. La revisione degli
estimi non è però generale e
in alcuni casi la modifica
riguarda solo una zona o una
categoria catastale.
Coloro che hanno pagato
le tasse in base ad un estimo
catastale che è stato modificato hanno la possibilità di
recuperare nella prossima dichiarazione dei redditi quanto pagato in più nel ’93;
mentre per il ’92 il ricupero
avverrà con la dichiarazione
del ’95 (e qui lo stato riconoscerà gli interessi del 6%).
Presso i Comuni delle Valli si possono ottenere informazioni dettagliate sui
nuovi estimi.
L’ingresso dell’Ospedale valdese di Pomaretto
trale termica. Con questa operazione l’ospedale, oltre a
non dover costruire in proprio
una nuova centrale, il che si
traduce in un minor investimento a breve termine, potrà
contare su sistemi di telecontrollo che l’Acea intende mettere in atto quale garanzia di
produzione e continuità di
erogazione del calore. In sostanza le nuove scelte consentiranno all’ospedale di
concentrare l’attenzione e le
risorse a disposizione a vantaggio dei servizi offerti sul
piano sanitario ai cittadini».
- Avete altri interventi in
programma ?
«L’accordo sul teleriscaldamento si inserisce nel quadro
di varie iniziative che l’ospedale di Pomaretto sta concretizzando. Recentemente sono
stati realizzati un nuovo parcheggio davanti al tempio ed
è stata tinteggiata la parte
esterna nella zona est. Altri
interventi sono ancora previsti parallelamente all’avanzare dei lavori di ampliamento,
e questo per poter continuare
a svolgere quel ruolo attivo e
positivo nella sanità verso i
cittadini anche nei prossimi
anni».
Il maestro Angelo Agazzani a Perosa
Il canto^ la tradizione
________PAOLA REVEL________
Da oltre 40 anni Angelo
Agazzani, grafico di
professione a Givoletto, vicino a Torino, impiega il proprio tempo libero girando per
paesi e borgate, raccogliendo
con passione e amore canzoni e memorie, storie musicali
e di vita da tutte quelle persone, spesso anziane, che hanno voluto confidargli e affidargli il proprio patrimonio.
Perché non tutto vada perduto, affinché la memoria musicale rimanga viva, Agazzani
ha scelto due strade.
Nel 1988 ha pubblicato il
primo volume, una raccolta
di circa 700 canti popolari registrati dalla viva voce dei
molti informatori di ogni vallata del Piemonte: «Conte e
cansson - documenti e memorie della cultura popolare
del vecchio Piemonte».
«Attraverso essi il popolo
tramanda usi e costumi ma
soprattutto comportamenti afferma Agazzani -; comportamenti fondamentali che
oggi, forse, farebbero sorridere, ma che allora erano
necessari per mantenere equilibri sociali e anche economici». Recentemente, un altro
piccolo monumento è stato
dedicato da Agazzani a chi
non si è mai stancato di cantare, con prodigiosa memoria, le tante canzoni testimoni
di una vita e ad un tempo un
affascinante poesia; Robert
Taglierò (detto «le diable»),
«La voce nella valle».
L’altra strada percorsa da
Agazzani è quella della riproposta; un coro, nato 40
anni fa, con un repertorio di
canzoni alpine, si presenta
oggi come un gruppo di studiosi del canto popolare piemontese, alla ricerca costante
delle proprie radici. Indubbiamente il canto è e rimane
qualcosa di vivo soltanto
quando viene tramandato ad
altri; è questo che fa il maestro Agazzani con «La camerata corale la grangia». Insieme hanno girato l’Italia e
l’Europa, vincendo numerosi
premi.
Con la stessa passione da
«archeologo» e con lo stesso
amore che nutre per la sua
terra, Agazzani ha voluto
rendere omaggio alla cultura
valdese. Con estrema correttezza si è sforzato di conoscere la nostra storia, ha cercato di penetrare nella cultura
del mondo valdese, anche dal
punto di vista musicale, e ha
inserito nel repertorio de La
grangia alcune «complaintes» e dei canti popolari in
lingua francese.
Anche di questo Agazzani
parlerà sabato 15 gennaio alle 17, nella sede della Comunità montana a Perosa Argentina.
Anche le valli valdesi sono interessate
In arrivo fondi Cee
per l'occupazione
La commissione per le politiche regionali della Cee ha
adottato il 21 dicembre il progetto della lista delle zone inseribili nell’obiettivo 2 (regioni e zone industriali in declino) ai Fondi strutturali comunitari per il periodo 19941996. Il commissario Bruce
Millan ha dichiarato: «La decisione presa oggi rappresenta
un importante passo avanti
per la messa in opera della
politica regionale della Comunità, facendo seguito alle
decisioni sulle regioni obiettivo 1 e sull’attribuzione a queste ultime di risorse finanziarie. La decisione di oggi è una
dimostrazione della solidarietà dell’Unione europea verso le sue regioni. Nel corso
dei prossimi tre anni più di 7
miliardi di Ecu saranno assicurati dai fondi strutturali come aiuto alle zone industriali
più duramente colpite. Questi
contribuiranno alla creazione
di nuovi posti di lavoro e alla
riconversione di queste zone».
La Commissione ha ricevuto delle proposte di zone per
l’obiettivo 2 di nove stati
membri (Irlanda, Grecia e
Portogallo sono interamente
coperti dall’obiettivo 1) e ha
proceduto a un attento esame
della situazione in ciascuna di
queste zone, tenendo conto in
particolare della necessità di
concentrarsi sulle zone più in
difficoltà. Questo esercizio di
concentrazione è stato molto
importante; le proposte degli
stati membri hanno oltrepassato di più di 26 milioni di
Ecu la linea direttiva del 15%
della popolazione totale
orientativamente indicata dai
regolamenti. La Commissione
ha dato la massima importanza a un approccio che assicuri
la trasparenza, l’obiettività e
l’equità, oltre alla necessità di
tener conto delle priorità degli
stati membri e delle situazioni
nazionali.
Il regolamento quadro
(Reg. 2080/93, articolo 9) indica il metodo di selezione
delle zone affette dal declino
industriale. Le prime zone
prese in considerazione sono
quelle che rispondono a tre
criteri di base: un tasso di disoccupazione superiore alla
media comunitaria; una percentuale di impiego industriale superiore alla media comunitaria; un declino di questa
categoria d’impiego. In più,
altri criteri sono indicati in
modo da permettere l’inclusione di zone colpite da problemi specifici come le comunità urbane caratterizzate da
un tasso di disoccupazione
che oltrepassa almeno del
50% la media comunitaria,
avendo registrato un declino
importante nell’impiego industriale; le zone toccate o minacciate da perdite sostanziali
di impiego nei settori industriali determinanti per il loro
sviluppo economico; le zone
(soprattutto zone urbane) sottoposte a gravi problemi di
riabilitazione di siti industriali
degradati.
Buone notizie dunque per il
Piemonte, e in particolare per
l’area torinese; oltre a parti
delle province di Novara e di
Alessandria, sono comprese
in questo obiettivo anche importanti parti della stessa eittà
di Torino. Rinaldo Bontempi,
parlamentare europeo pinerolese iscritto nelle liste del Pds,
commenta così il risultato ottenuto: «Possiamo essere soddisfatti, anche se non si è raggiunto l’obiettivo dei 7 milioni e mezzo di abitanti per
l’Italia, il che avrebbe significato per il Piemonte avere
dentro la classificazione l’intera città di Torino e zone
subprovinciali come Asti e
Vercelli, ma il fatto che si sia
passati dagli iniziali 3 milioni
agli attuali 6,3 milioni e soprattutto che quasi il 20% delle aree nazionali riguardi il
Piemonte, e per la prima volta
500 mila abitanti della città di
Torino, va valutato come un
importante riconoscimento
delle richieste avanzate».
Il miglior modo
per ricordare
Dario Storero
A distanza oramai di mesi
continuo a pensare al suicidio
di Dario Storero, così inatteso
e così drammatico proprio
perché si trattava di una persona tanto piena di vita e di
entusiasmo. Non intendo rievocare qui la sua figura; altri
l’hanno già degnamente ricordato, e poi diffido di questa nostra cultura italiana, cattolica ma anche laica, che
tende a mettere sugli altari le
persone che potrebbero esserci d’esempio, perché è molto
più facile e meno impegnativo venerarle come esseri eccezionali e proprio per questo
non sentirsi impegnati a seguirle.
Invece in questi mesi la prima angosciata domanda di
tutti noi: «Perché l’hai fatto?
Come hai potuto troncare tutto?» si è pian piano trasformata in un’altra: «Perché non
abbiamo saputo evitarlo? Come abbiamo potuto lasciarti
così solo e disperato?».
Oggi, come altri amici di
Dario, io mi riconosco colpevole perché, se si è sentito così stanco e deluso da sopprimersi, non abbiamo saputo
collaborare come avremmo
dovuto nella sua lotta per aiutare i più deboli.
L’ultima volta che mi telefonò fu per chiedermi se conoscevo nella vai Pellice
qualcuno disposto a lavorare
con lui e con altri responsabili delle valli Chisone e Germanasca per cercare insieme
uno sbocco alla drammatica
situazione di tanti rimasti
senza lavoro, non con sussidi
sterili e umilianti, ma puntando su strategie alternative, anche in vista di una collaborazione che, superando le barriere degli stati, facesse rivivere l’economia della fascia
alpina. Io seppi solo dargli un
elenco di nomi e di numeri di
telefono, senza trovare il tempo di interpellare direttamente queste persone, di spiegare
chi era e che cosa voleva.
Perciò oggi mi pare che il
modo più degno di ricordare
un caro amico sia per tutti noi
che l’abbiamo conosciuto
l’impegno a continuare insieme il suo lavoro, far sì che
egli non sia vissuto inutilmente.
Marcella Gay - Pinerolo
10
PAG. IV
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VENERDÌ 14 GENNAIO 1994
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Alimentazione e mangiare sano
La ciotola
d^argilla
VALERIA FUSETTI
Un cereale che trovo
particolarmente gustoso è il miglio: di facile digeribilità è consigliato per
chi soffre di anemia, di disfunzioni di fegato, della
milza e del pancreas. Ricco
di calcio, minerali e carboidrati complessi, risulta particolarmente utile per riequilibrare il metabolismo
degli zuccheri, rafforzare il
sistema immunitario e
quello digestivo. Date queste sue importanti qualità il
miglio può essere usato
nell’alimentazione dei
bambini in età scolare.
cucinare questo secondo
che ha il pregio, oltre ad
essere squisito, anche di
essere economico e con poche calorie.
Come cuocere ¡I miglio
Dopo aver lavato il cereale sotto l’acqua corrente
mettetelo in una pentola
con il doppio del suo volume d’acqua (gr. 300 di migho per 600 di acqua), portatelo a ebollizione, salate,
abbassate la fiamma coprite la pentola e lasciate cuocere a fuoco basso, mantenendo naturalmente il bollore.
Dopo 20 minuti spegnete, aggiungete 1 cucchiaio
d’olio d’oliva e girate per
bene. Lasciate riposare. In
frigorifero, tenuto in un recipiente ben chiuso, si può
mantenere per 4 o 5 giorni.
Quando avrete preparato il
miglio, potrete procedere a
Cipolle ripiene
Ingredienti; quattro grosse cipolle bianche, 100 gr.
di miglio, un pizzico di origano, un pizzico di peperoncino rosso in polvere
(facoltativo), 50 gr. di parmigiano grattugiato, 1 uovo, poco sale.
Tagliate in due le cipolle, svuotatele di una buona
parte del loro interno e
mettete a cuocere per 10
minuti a vapore. Scolatele
e unite la polpa cotta delle
cipolle al miglio che avrete
preparato seguendo l’indicazione precedente. Mescolate bene e poi aggiungete all’impasto l’uovo, il
parmigiano, l’origano e il
peperoncino. Prima di
riempire le cipolle ben scolate con questo impasto,
spolverate leggermente di
sale.
Mettete in una teglia da
forno leggermente oliata,
spolverate le cipolle di pan
grattato e mettete il tutto in
forno a 180° per circa 25
minuti, fino a quando comparirà sulle cipolle una crosticina dorata. Questo piatto può essere accompagnato con un’abbondante insalata scarola.
Bardonecchia: gara giovanile di zona
Successo di squadra
per lo Sci Club Frali
È stato un buon successo
complessivo quello ottenuto
dai giovani dello Sci Club di
Frali domenica scorsa a Pian
del Colle, sui monti di Bardonecchia, in una gara giovanile di zona; tanta neve
sulle piste e fuori, e farinosa,
ha fatto da contorno alle gare. Alla fine lo S.C. Frali si è
aggiudicato il trofeo per società «La scala» grazie a numerosi piazzamenti e vari
successi anche se, come dice
l’allenatore della squadra.
Cristiano Rostan, «dobbiamo
ancora allenarci parecchio
per arrivare al meglio della
forma».
Entrando nel concreto dei
risultati di questa importante
giornata, gli atleti di Frali si
sono distinti fra i ragazzi,
nella prova sulla distanza di
5 km, con Daniele Gente al
primo posto seguito da Demis Richard, Marco Gribaudo del Passet di Pragelato,
Paolo Nota del Passet, Eliseo
Pons (Frali) e Fabrizio Grill
(Frali).
Nella categoria ragazze sui
4 km della prova ha fatto
spicco il successosuccesso
delle pinerolesi: Serena Peyrot (Prah) 1°, Stefania Chili
(Passet) 2°, Stefania Bonansea (Passet) 3°, Francesca
Bonino (Frali) 4°, Giulia
Magnarini (Passet) 5°, Erika
Breuza (Frali), Elisa Godino
(Angrogna) 7°.
Ottimo il risultato che è
stato registrato anche nella
categoria cuccioli femminile
Furti e vandalismi nelle zone più alte di Maniglia
Quando la borgata è disabitata
MILENA MARTINAT
Sei, sette case, lo scrosciare lento di una fontana, i
recinti degli orti, in questi
giorni gli alberi carichi di neve, ma nessuna orma sui sentieri e nelle stradine della
borgata. Verso sera si accende il lampione della luce pubblica ma nessuna finestra si
illumina, nessun camino fuma. Tutto tace; solo il rumore
dell’acqua della fontana rompe i silenzio della borgata disabitata.
Questa può essere la descrizione di molte delle nostre borgate delle medie e alte
valli. Le finestre si illuminano raramente durante l’anno,
le porte sono quasi sempre
chiuse.
Dove sono gli abitanti?
Giovanni Miegge oggi non
potrebbe più scrivere: «È bello vedere due giovani sposi
che si recano ai campi insieme, con gli arnesi sulle spalle, e hanno nell’andatura calma un non so che di intimità;
vederli curvi, insieme, sul
solco battuto dal sole. Nelle
lunga giornata di lavoro, nei
compiti svariati, che s’incalzano sempre uguali e nuovi, c’è posto per tutti, dai
vecchi ai bambini: tre generazioni, talvolta quattro, collaborano insieme, animate da
un solo pensiero, come si riuniranno insieme alla mensa
familiare per godere dei frutti
del lavoro comune. Vi son
villaggi nei quali è quasi
un’offesa per i vicini, quando
ti allontani per poco di casa,
togliere la chiave dalla serratura; la vita del villaggio è
fondata sopra una base di stima e di fiducia reciproca che
in città sarebbe pericolosa».
Storie d’altri tempi, diranno
in molti. Forse. Ma alcuni sono ancora rimasti in queste
borgate; certo, l’età media diventa sempre più alta. È difficile essere solidali con il vicino di casa perché troppo spesso vi è un solo camino che fuma in inverno in tutta la borgata. Un focolare per riscaldare una sola persona, spesso
anziana, per la quale l’inverno è lungo, silenzioso e anche
un po’ triste. Ortiche e rovi
invadono gli orti e i cortili e
arrivano fin davanti agli usci.
Quale il futuro delle nostre
borgate? Quale solidarietà?
Come .si può lasciare la chiave nella toppa se ci si allontana per poco, come diceva
Miegge, se persone certamente non sensibili alla vita
di montagna distruggono anche quelle porte che sono state chiuse per l’invemo? Come
si può tenere viva la borgata
vivendo anche da solo e con
disagio se sai di non potere
essere padrone di ciò che è
tuo perché qualcuno distrugge e se ne appropria? Come si
può vivere tranquilli se anziani e soli, sapendo che qualcuno ha rubato nella casa del
tuo vicino che in inverno
scende nella media valle, e
temendo che domani o nella
notte possano venire a «visitare» te?
Quanti interrogativi che
Giovanni Miegge nel suo libro «Sotto il sole» non sognava neanche di porsi.
Interrogativi reali che i questi
giorni si pongono in modo
particolare gli abitanti delle
borgate di Maniglia. Molte
case in borgata Saretti di
Chiabrano sono state visitate
il 6 gennaio da qualcuno poco tenero di cuore che ha rubato e distrutto; certamente vi
è un po’ di paura fra coloro
che ancora fanno vivere le
nostre borgate. 1 residenti si
chiedono: «A chi dobbiamo
rivolgerci per poter vivere in
modo tranquillo nelle borgate
che furono dei nostri padri
senza l’incubo dei furti?».
su un percorso di 2 km; il
successo è andato infatti a
Valentina Richard di Frali,
seguita da Ketty Pascal, sempre di Frali, Luana Scalei
dell’Alta vai Susa e Stefania
Bonino di Frali.
Fra le allieve, sui 5 km,
dietro a due atlete del Festiona, Roberta Fornero e Erika
Giordana, si sono piazzate
Francesca Albarello del Passet e Antonella Ghiri dello
Sport club Angrogna.
Fra gli allievi, 5 km, nessun pinerolese sul podio; dietro Girodengo, Gerbotto e
Muriaudo, si sono piazzati
Daniele Breuza di Frali e
Alessandro Sappè e Patrick
Bonansea del Passet.
Elisa Rostan, nelle aspiranti júniores, 5 km, è stata
l’unica pinerolese fra le prime tre, dietro alla Della Mea
e la Beltrando; quinta e sesta
Chiara ed Elena Groppo del
Passet.
Nella categoria aspiranti
maschile (5 km) Patrick Peyrot, del Frali, si è classificato
secondo fra due portacolori
della Libertas Cuneo, Daniele Fantino e Gian Marco Matarozzo; quinto Stefano Felizia, ancora di Frali.
Nella categoria júniores il
successo è andato ad Andrea
Roggia del Passet, secondo
Marco Occelli dell’Esercito,
terzo Fabrizio Faggio della
vai Pesio; 8° Davide Coucourde di Angrogna. Nessun
pinerolese sul podio nelle categorie seniores e veterani.
Appuntamenti
14 gennaio, venerdì —
SAN GERMANO: Alle
20,45, presso la sala valdese
di via Scuole, si tiene un dibattito sul tema Scuola e cultura... Ma servono? Partecipano Giorgio Tourn, direttore
del Centro culturale valdese e
Franco Calvetti, direttore
didattico a Perosa Argentina;
introduce la serata Elio Canale, preside del Collegio.
15 gennaio, sabato —
TORRE PELLICE: Alle
16,30, presso la sala del Consiglio della Comunità montana vai Pellice, si svolgerà
un incontro sulla Toponomastica del Comune di Luserna San Giovanni; interverranno E. Bosio, O. Coisson,
F. falla.
15 gennaio, sabato BOBBIO PELLICE: alle
9,30 il Comune organizza un
pubblico confronto sulla questione delle centraline idroelettriche in montagna. Intervengono amministratori, produttori di energia, pescatori e
ambientalisti.
15 gennaio, sabato — PINEROLO: Dalle 15,30 alle
18, presso il padiglione adiacente r Auditorium comunale
«Medaglie d’oro della Resistenza» in corso Piave, si
svolge un convegno dal titolo
Le gambe della cultura. Intervengono Isa Demaria,
coordinatrice del centro rete
sistema bibliotecario di Pinerolo, Nadia Menusan, direttrice reggente della biblioteca
Alliaudi, Maurizio Ughetto,
preside della scuola media
San Lazzaro, Federico Vallillo, direttore della scuola teatro Il Cantiere.
16 gennaio, domenica —
TORRE PELLICE: Alle
Sport
PALLAMANO —Finalmente una bella partita dei ragazzi
del 3S Graphicart contro un esperto e potente Biella, nel campionato juniores maschile. I ragazzi di Goss, trascinati dal capitano Andrea Comoglio, con una buona progressione hanno preso il sopravvento sugli avversari grazie alle buone prestazioni di
Enrico Comoglio e Stefano Gamba. Controllata la partita fino
alla metà del secondo tempo con gli interventi di Pons in porta e
Mattassero, Bounous, Maurino in campo, negli ultimi dieci minuti il Biella, approfittando dello sbandamento dei ragazzi lusemesi, ha recuperato 7 punti riportandosi in parità per 32 a 32.
CALCIO — Il Pinerolo cade dopo oltre tre mesi di imbattibilità nel campionato nazionale dilettanti; il risultato di 1 a 0
subito a Rapallo domenica scorsa sta stretto tuttavia ai biancoblù, visto che i liguri hanno segnato su punizione e praticamente nell’unica occasione loro capitata. La rete è arrivata a un minuto dal termine del primo tempo e nel secondo i ragazzi di
Cavallo hanno cercato in tutti i modi di recuperare senza riuscirvi, complice un terreno al limite della praticabilità dopo le
piogge degli ultimi giorni. Raggiunti al quarto posto dalla Sarzanese i pinerolesi domenica affronteranno, al Barbieri, i capolista della Pro Vercelli.
VOLLEY — Giornata decisamente positiva per le squadre
di Pinerolo nei rispettivi campionati di pallavolo.
Nella B1 maschile l’Olimpus ha giocato sul velluto contro il
fanalino di coda Spezia vincendo per 3 a 0; analogo risultato
per le ragazze della B1 che hanno espugnato il parquet di
Cantò in tre set. Nella CI l’Antares ha superato alla grande il
Piossasco con un netto 3 a 0.
Nelle rispettive classifiche i ragazzi sono nel folto gruppo
delle quarte a 10 punti e sabato saranno impegnati a Codigoro;
le ragazze di Mina, quarte con 12 punti giocheranno al palasport di via dei Rochis con il Rapallo; l’Antares, nel gruppo
delle seconde con 12 punti, sarà impegnato a Novara.
Torneo amatoriale maschile «Storello»
Pallavolo Pinerolo - Volley La Torre 3-1; Svet - 3S Lusema
1-3; Riccio Bricherasio - Volley La Torre 3-0; Volley La Torre
- Riccio Bricherasio 1-3. Classifica; Dsa 11 Meridiano, Svet, 3S
Lusema punti 8; Pallavolo Pinerolo, Riccio Bricherasio punti
6; Club Chisola Volley punti 4; Volley La Torre punti 2.
Torneo amatoriale femminile «Baudrino»
Fabio Neruda A - A.S. Cercenasco 2-3; Barge Volley B - Fabio Nemda A 0-3. Classifica: Maxisconto Cavour punti 12; 3S
Nova Siria, Villafranca punti 10; A.S. Cercenasco, Fabio Neruda B punti 8; Fabio Neruda A punti 6; G.S. Porte punti 4; Barge Volley A, Barge Volley B punti 0.
TENNIS TAVOLO — Nella prima giornata di ritorno la
Valpellice in serie C ha vinto in casa con il T.t. Valle d’Aosta
per 5 a 2 con una buona prestazione di Davide Gay, Malano e
Rosso. La DI ha invece perso a Torino con la capolista Poste e
telegrafi per 5 a 1. Successo per la D femminile che si conferma al primo posto vincendo a Torino con il Lilly per 3 a 2 grazie a Bruscagin e Quarantelli.
15,30, nei locali dell’Esercito
della Salvezza in via Cavour,
si svolge un concerto di musica classica con la pianista
Laura Brunetta, la violista
Maria Vittoria Venturino e il
soprano Piera Favole che eseguono brani di Hsendel, Schumann, Schubert, Rocca, Debussy e Berlin.
20 gennaio, giovedì — PINEROLO: Alle 21, a cura
della Comunità cristiana di
base, viene proposta presso il
Centro sociale di via dei Rochis, la presentazione del libro La solitudine del samaritano di Giovanni Franzoni.
Sarà presente l’autore.
20 gennaio, giovedì —
TORRE PELLICE: In occasione della rassegna «Nascondigli», alle 21,30 presso il cinema Trento, Margotte teatro
presenta I persiani di Eschiìo; ingresso 13.000 lire.
Cinema
TORRE PELLICE: Il cinema Trento propone per giovedì
13 e venerdì 14 gennaio alle
21,15 Misterioso omicìdio a
Manhattan; sabato 15 alle 20 e
22,10, domenica 16 alle 16, 18,
20, 22,10 e lunedì 17 alle 21,15
Anni ’90 parte II.
BARGE: Il cinema Comunale propone per venerdì 14
gennaio alle 21 La prossima
volta il fuoco; sabato 15 alle 21
Giovanni Falcone; domenica
16 alle 15, 17, 19, 21 e da lunedì 17 a giovedì 20, alle 21, Il
Figlio della pantera rosa.
PINEROLO: La multisala
Italia propone per questa settimana nel cinema «2 cento» La
famiglia Addams; il cinema «5
cento» invece proietta Film
blu. Feriali 20,20 e 22,20; prefestivi 20,20 e 22,30 e domenica 14,20, 16,20, 18,20, 20,20 e
22,20.
Servizi
USSL 42
CHISONE - GERMANASCA
Guardia medica;
notturna, prefestiva, festiva;
Ospedale valdese, Pomaretto,
tei. 81154.
Guardia farmaceutica;
DOMENiCA 16 GENNAIO
Villar Perosa: Farmacia De
Paoli - Via Nazionale 29, tei.
51017
Ambulanze:
Croce verde, Perosa: tei. 81000
Croce verde. Porte : tei. 201454
USSL 43-VALPELLICE
Guardia medica:
notturna, prefestiva, festiva:
telefono 932433
Guardia farmaceutica:
DOMENICA 16 GENNAIO
Villar Pellice: Farmacia GayPiazza Jen/is, tei. 930705
Ambulanze;
CRI - Torre Pellice, tei. 91996
Croce Verde - Bricherasio, tei.
598790
USSL 44-PINEROLESE
Guardia medica:
notturna, prefestiva, festiva:
Ospedale civile, Pinerolo, tei.
2331
Ambulanza:
Croce Verde, Pinerolo, tei.
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VENERDÌ 14 GENNAIO 1994
PAG. 7 RIFORMA
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La nuova legge sull'obiezione di coscienza in forse per l'ostruzione democristiana
Il futuro del mondo affidato agli eserciti?
Quando «l’ispirazione cristiana» non regge il confronto con l’ispirazione delle
Forze armate. E quel che sta
succedendo in Senato, dove i
senatori della De stanno contribuendo all’affossamento
della legge sull’obiezione di
coscienza, approvata il 29
settembre alla Camera anche
con il voto dei loro colleghi
di partito. 1 tempi per varare
la normativa sono infatti
strettissimi, data la prossima
fine della legislatura, per cui
ogni richiesta di modifica rischia di vanificare il lungo e
travagliato iter di una legge
già approvata da entrambi i
rami del Parlamento nel ’92,
ma non promulgata dall’allora presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che si
rifiutò di firmarla.
E ora, sempre Cossiga ha
firmato cinque proposte di
modifica del testo in esame,
insieme al democristiano
Giuseppe Zamberletti, mentre ben altri 23 emendamenti
sono stati presentati da Antonio Cappuzzo, ex capo di
Stato maggiore e anch’egli
senatore dello scudo crociato.
Certamente più corposo l’ostacolo degli emendamenti
del Msi (425), ma questi erano nel conto. Non era invece
nel conto l’emendamento a
sorpresa del ministro della
Difesa, Fabio Fabbri, che ha
proposto ben sette commi di
modifica per evitare che il
servizio civile sia troppo facilitato a scapito di «una vera
Andiamo verso un mondo sempre più miiitarizzato?
e propria parità di trattamento tra chi sceglie l’obiezione
e chi presta il servizio militare». Ciò che comunque crea
sconcerto tra i sostenitori della legge è l’acquiescenza dei
membri scudocrociati alle
iniziative di qualcuno tra loro, tese a sabotare l’obiezione
di eoscienza.
Giuseppe Chiarante, eapogruppo del Pds al Senato, ha
giudicato «grave che davanti
alle manovre di forze ristrette
ci sia tanta insensibilità da
parte del partito dei cattolici», e insieme a Giglia Tede
sco Tatò e Chiara Ingrao
(Pds) e a Emilio Molinari
(Verdi), ha preso posizione
contro «l’ostruzionismo palese del Msi, ma anehe quello
occulto della De». Ostruzionismo si può fare infatti anche assentandosi ripetutamente dai lavori di eommissione. Fla inoltre chiesto e ottenuto che il Senato discuta
del provvedimento il 10 gennaio, all’apertura dei lavori
dopo la pausa festiva.
L’atteggiamento dei democristiani risulta «incomprensibile», ovviamente, a quei
settori del mondo cattolieo
ancora convinti dell’ispirazione cristiana dei politici
De. Di qui l’articolo di Luca
Liverani su «Avvenire» del
22 dicembre, che stigmatizza
il fatto che «lo scudo crociato
al Senato non brilla certo per
impegno a favore della normativa», nonché le parole di
Zamberletti che il 2 dicembre
sosteneva nella commissione
Difesa: «La legge sull’obiezionedi coscienza finisce per
finanziare surrettiziamente
l’associazionismo e le associazioni di volontariato».
Parole che, in un articolo
su «Avvenire» del 28 dicembre, mons. Giovanni Nervo
non esita a giudicare inconcepibili. «Comprendo questa
valutazione da parte delle gerarchie militari», scrive
mons. Nervo rivolgendosi
all’ex ministro della Protezione civile, «ma proprio non
la comprendo in Lei e nei
Suoi colleghi senatori che dicono di rifarsi a un’ispirazione cristiana». Dopo aver ricordato che le associazioni di
volontariato solitamente devono contribuire in proprio a
sostenere economicamente
gli obiettori e i servizi che
questi svolgono per l’utilità
di tutto il territorio, mons.
Nervo così conclude la sua
replica ai senatori De:
«Preoccupa pure che non avvertiate dove cammina la storia: il futuro del mondo non
può essere affidato agli eserciti». (adista)
Giorgio Spini parla ai metodisti milanesi sulle nuove responsabilità dei credenti
I protestanti e le rivoluzioni moderne
GIAN PAOLO RICCO
In occasione della «due
giorni» sulla presenza
metodista nella realtà milanese, legata al 20° anniversario del tempio di via Porro
Lambertenghi, sabato 11 dicembre il prof. Giorgio Spini
ha tenuto una conferenza sul
tema: «11 protestantesimo di
fronte alle rivoluzioni del
nostro tempo».
Spini, con l’indiscussa bravura e competenza di storico,
ci ha condotti sulle vie impervie della storia contemporanea facendoci riflettere sulle grandi trasformazioni del
nostro tempo e sul senso della nostra testimonianza in riferimento agli avvenimenti
di oggi. L’oratore è partito,
nella sua disamina, dal 1989,
anno che ha segnato non solo
la caduta del muro di Berlino, ma soprattutto il crollo di
tutto un mondo, quello comunista, e ha posto termine
alla guerra fredda. Ma, ha
continuato Spini, «non sarebbe una visione storica
corretta se noi dimenticassimo che negli anni precedenti
alla rivoluzione del 1989 si
era verificata in un certo
spazio di tempo la scomparsa dei fascismi o dei regimi
simili al fascismo (Grecia.
Portogallo, Spagna e alcune
dittature militari del Sud
America)».
La causa principale della
fine dei comuniSmi e dei fascismi è da rintracciare nel
non essere riusciti a coniugate la gestione globale dell’
economia con un buon tasso
di democrazia liberale: libere
elezioni, libertà di stampa, di
parola, uguaglianza fra uomini e donne, tolleranza fra
le razze e le religioni. Il no
II prof. Giorgio Spini
stro tempo, dunque, proprio
perché caratterizzato dal
crollo di questi due mondi e
dalla fine della guerra fredda,
segna una vera e propria
svolta, portando a compimento quel ciclo storico di
oltre 70 anni che era iniziato
con la prima guerra mondiale
«che fu l'inconcepibile peccato dell'Europa civile e il
grave peccato, anche, dei
paesi protestanti». Concluso
tale ciclo, ha affermato Spini, «stiamo assistendo, in
pratica, alla vittoria delle
democrazie liberali: è la vittoria di quei sistemi nati dal
pensiero protestante, dalle
rivoluzioni protestanti del
'600 inglese .soprattutto e da
lì in poi accettati dal resto
del mondo». Il nostro sistema
sinodale è l’esempio su cui si
è modellato il moderno Parlamento e il sistema della democrazia liberale.
Da tutto ciò il mondo protestante potrebbe ricavare
motivi di trionfalismo. In
realtà, di fronte al protestantesimo si aprono oggi delle
prospettive al tempo stesso
affascinanti e preoccupanti
(anche per il nostro piccolo
mondo protestante italiano).
Secondo Spini stiamo assistendo alla nascita di un protestantesimo dei poveri: fino
a ieri il protestantesimo si
identificava con i paesi di più
alta civiltà, di più alto benessere economico ma ora non è
più così: i sociologi che indagano sui fenomeni di tipo religioso ci dicono che nel
2030 l’area che fornirà il
maggior numero di protestanti sarà l’Africa.
Questo sarà sicuramente
una benedizione del Signore,
ma porrà anche tutta una serie di problemi di non facile
soluzione. Dovremo imparare infatti non solo a accogliere quelli che chiamiamo molto benevolmente (ma anche
genericamente) extracomunitari ma a coinvogerli effettivamente nelle nostre decisioni; non solo a riceverli nelle
nostre comunità e far loro
trovare la tavola già imbandita ma a chiamarli a prepararla insieme a noi.
Altro punto toccato dall’
oratore è quello del cattolicesimo che sta attraversando
una crisi molto profonda (vedi il calo notevolissimo delle
vocazioni al sacerdozio),
ignorata quasi completamente dalla nostra stampa quotidiana che tende, invece, a
presentarlo in fase di crescita. Basti un esempio: durante
l’ultimo viaggio negli Usa il
papa è stato accolto con molta freddezza dal pubblico
americano e dallo stesso presidente Clinton, contrariamente a quello che ci hanno
presentato i mass media del
nostro paese.
Spini ha anche affrontato
un altro argomento di grande
attualità e cioè la crisi che
stiamo vivendo a livello politico, crisi delle istituzioni,
dei partiti, ma soprattutto crisi morale e spirituale. Questo
nostro periodo fa venire in
mente l’allegra Inghilterra
del ’700, rievocata magistralmente da Spini, in cui la corruzione politica aveva raggiunto vertici impensabili.
Ebbene, chi riuscì a dire
qualcosa, a richiamare il popolo inglese a nuova vita? Fu
la predicazione di John Wesley e la nascita del movimento metodista, che riuscì a
imprimere un orientamento
nuovo alle coscienze e ad avviare un rinnovamento del
paese. Da non dimenticare
che l’organizzazione metodista è stata l’esempio sul quale si sono strutturati il sindacato e il partito dei lavoratori
inglesi.
Avviandosi alla conclusione, Spini ha sostenuto con
molta enfasi che di fronte a
questa crisi morale e spirituale che l’Italia sta attraversando noi evangelici dovremmo spendere la nostra
vocazione per chiamare i nostri concittadini a convertirsi
a Cristo, a cambiare mentalità, piuttosto che far risuonare la nostra voce nell’«agone
politico» come abbiamo fatto, anche giustamente, nel
passato (dalla Resistenza fino alle ultime elezioni politiche del 1992).
Per risollevare le sorti del
nostro paese non sarà certo
sufficiente una riforma elettorale e non basteranno ritocchi di ingegneria costituzionale. Spini ha chiuso il suo
discorso con questa esortazione: «Tutto possiamo permetterci, fuorché di non rispondere alla chiamata dei
segni dei tempi».
Pagare meno: dibattito sul problema fiscale
Il vero problema è
¡1 costo dello stato
ANDREA DE GIROLAMO
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Silvio Berlusconi propone
una riduzione delle tasse
fino a portarle al livello del
35% (circa) dall’attuale 47%.
Questa riduzione andrebbe effettuata gradualmente nella
misura dell’1% l’anno, cercando di eliminare gradualmente gli sprechi del pubblico
denaro.
C’è del buono in quanto ha
affermato. Bisogna, ora, riandare con la mente alla proposta del presidente degli Stati
Uniti Reagan, degli anni ’80,
di riduzione del carico fiscale. Esso fu effettuato, ma il
debito dello stato americano
aumentò a dismisura (e non
sembra possibile seguire
un’indicazione simile per
l’Italia). Anche Reagan era
partito da un’identica base,
quella del risparmio e dei tagli alla spesa.
La Bibbia (dobbiamo vedere anch’essa che cosa ci dice),
in materia di tasse sembra indicare una cifra ancora più
bassa, quella del 10%, la cosiddetta «decima». E anch’essa una percentuale fissa.
Vero è che Berlusconi parte
dall’assunto che molto denaro
pubblico sia sprecato il che,
se è giusto nel caso degli appalti per le opere pubbliche
(tanto che ha dato luogo al fenomeno delle tangenti) non è
altrettanto giusto per le spese
di personale.
Questo infatti è sottopagato
rispetto a tutti i colleghi francesi, tedeschi e olandesi (sono
quelli a cui bisogna far riferimento). Né ci si lasci ingannare dalle cifre ufficiali, il benessere degli impiegati nordeuropei è assieurato non solo
dalla qualità dei servizi, tanto
più elevata, ma anche da misure sociali come gli assegni
familiari elevatissimi o il
buon livello pensionistico. È
quindi tutto da verificare se si
possa - a parità di condizioni
con i nordeuropei e non continuando a mortificare i pubblici impiegati italiani - effettuare un congruo risparmio.
Ma la indeterminatezza, nonostante le apparenze, del discorso di Berlusconi risiede
anche nell’aver indicato, nella
misura del 35%, il traguardo
da raggiungere. Il termine
pereentuale infatti economicamente ha poco significato.
Questo è il punto: se infatti, in
preda alla crisi economica,
l’Italia avesse un prodotto interno lordo negativo, il rispar
mio non si tradurrebbe in una
diminuzione percentuale delle
imposte e delle tasse pagate
ma, per esempio, con una diminuzione del Pii del 2%,
l’ammontare percentuale della
tassazione aumenterebbe, passando dal 47 al 48% ! Viceversa, all’aumentare del Pii di
un 3%, con un risparmio
dell’ 1% delle spese, se la percentuale venisse ridotta del
4% si pagherebbero più tasse
(+ 2%) rispetto all’anno precedente.
Ecco dunque che il problema non è la percentuale, bensì
il valore assoluto, cioè quanto
costa questo stato. È questo
l’elemento di certezza che va
introdotto nel sistema. Il che
significa che in caso di aumento del Pii e quindi degli
introiti dello stato, gli introiti
eccedenti andrebbero restituiti
ai cittadini. Non è infatti possibile far pagare solo le tasse
in misura fissa per l’ammontare del costo dello stato giacché riva, per esempio, gioca
come variabile dipendente
all’aumentare o diminuire del
Pii. Si dovrebbe dunque inventare anche un meccanismo
equo di rimborso fiscale in
caso di eccedenza. Ciò porterebbe anche a invogliare gli
italiani a produrre di più per
pagare percentualmente meno
tasse. Ma la tentazione di
spremere la mucca è molto
forte.
Ora, né l’ipotesi di Berlusconi né l’atteggiamento realistico di Occhetto, che non
crede alla possibilità di diminuire le tasse, colgono a mio
avviso nel segno. La storia ci
rammenta che nella Germania
di Weimar nel 1925-30, l’indeterminatezza dell’ammontare del debito pubblico per le
costose «riparazioni» (i debiti
di guerra nei confronti delle
nazioni vincitrici), portò allo
sfascio economico. Non bisogna ripetere quell’errore, bisogna invece fissare l’inflazione per i prossimi dieci anni, restituendo ai cittadini le
cifre eccedenti quel fabbisogno e certezze agli investitori.
Dunque non un tetto fiscale
pereentuale (dal 47% al 35%),
ma fissazione anticipata del
costo dello stato. Questo però
va collegato alla distribuzione
del carico fiscale che, a norma
di Costituzione, dovrebbe essere proporzionato al reddito
prodotto - preoccupazione di
Occhetto ma non di Berluseoni (che non affronta il tema) consentito dal possesso degli
strumenti della produzione
del reddito.
Convegno a Torino il 18 febbraio
10 anni di Concordato
Si svolgerà a Torino il 18
febbraio (ore 9) un convegno
organizzato dal Comitato per
la laicità della scuola, «Carta
’89» e «Scuola e costituzione» sul tema: «Febbraio 1984febbraio 1994. Il neoconcordato ha 10 anni: un bilancio
laico». L’incontro, che si
terrà nella sala «Viglione»
del palazzo del Consiglio regionale, vedrà interventi e relazioni sul Concordato e la
vita italiana a cura di Mario
A. Manacorda (la scuola),
Piero Bellini (la famiglia^
Sergio Lariccia (i beni culturali). Un altro contributo sarà
quello di Marcello Vigli (comunità di base) sul tema:
«Quanto costa allo stato il finanziamento della chiesa»,
che aprirà il pomeriggio. Piatto forte di questa seconda
parte sarà la tavola rotonda su
«11 Concordato: bilancio e
prospettive di abrogazione»,
a cui partecipano Franco Bolgiani. Guido Fubini, Bianca
Guidetti Serra, Aldo Ribet e
Gustavo Zagrebelsky.
Per informazioni rivolgersi
alla segreteria dell’Istituto
studi storiei «G. Salvemini»,
tei. 011-835223 (dal lunedì al
venerdì, ore 16-19).
12
PAG. 8 RIFORMA
mm.
venerdì 14 GENNAIO 1994
Per una nuova qualità della vita in città
Spazi pubblici
a misura umana
GIORGIO ANEDDA
Apparenze nella città teatro è il titolo di un volume curato dall’architetto Paolo Antonio Martini* che raccoglie gli atti di una tavola rotonda tenutasi un anno fa a
Sesto Fiorentino per conto
della cooperativa Appennino
li sul tema: «La progettazione
degli spazi pubblici nell’ambito dell’insediamento residenziale».
Il principale motivo di interesse dell’opera è costituito
dalla facilità di approccio con
le problematiche relative alla
progettazione, non solo degli
spazi pubblici ma dell’intero
ambiente cittadino. Il linguaggio dei relatori, volutamente
privo di termini tecnici, risulta
facilmente comprensibile da
parte del profano. Il motivo
conduttore è che la città non
vince per qualità della vita ed
è vicina al collasso: i quartieri
periferici, nati in modo disordinato, premono sui centri storici soffocandoli; le risorse attivabili per porre rimedio a tale situazione sono scoraggiate
da una indeterminatezza progettuale e finanziaria.
Le soluzioni proposte dai
partecipanti all’incontro vertono sulla sicurezza, la salute,
l’economia, i trasporti, il fattore educazione-cultura-arte;
in sintesi, sulla qualità del
rapporto cittadino-ambiente
nella sua accezione più ampia.
Fra i contributi all'opera si segnalano quello di Ines Romitti, che denuncia lo scarso spazio dedicato alle aree verdi in
fase progettuale, di modo che
Sabato 15 gennaio — NAPOLI: Alle ore 17,30, nei locali
di via dei Cimbri, il Centro culturale «G. Caracciolo» organizza
una conferenza del past. Giorgio
Bouchard sul tema: «La responsabilità delle chiese nell’Europa
di oggi».
Sabato 22 gennaio — NAPOLI: Alle ore 17,30, nei locali
di via dei Cimbri, il Centro culturale «G. Caracciolo» organizza
una conferenza del dr. Giancarlo Rinaldi sul tema: «Lo studio
degli Atti degli Apostoli».
si accentua il distacco tra uomo urbanizzato e natura. Gilberto Corretti poi esprime la
necessità di precise valutazioni dei costi e dei benefici nelle
scelte di pianificazione urbanistica. Oggi che si è raggiunto un alto livello di saturazione dell’ambiente in termini di
traffico automobilistico, inquinamento, edificazione incontrollata, le amministrazioni
pubbliche devono prendere
coscienza che un territorio disordinato e mal gestito non è
solo invivibile e brutto a vedersi, ma comporta costi insostenibili in termini di interventi correttivi.
Paolo Antonio Martini giudica i quartieri periferici delle
città «agglomerati di edifici
che galleggiano in un deserto
di idee», generanti varie forme di degrado sociale, ed esprime quindi la necessità di
ripartire da zero ripristinando
il dialogo tra architettura e arte: lo spazio pubblico dovrà
essere «come un grande teatro», qualificato dalle attività
lavorative e sociali che vi si
svolgeranno; Mario Preti, presidente dell’Ordine degli architetti della provincia di Firenze, analizza i problemi di
gestione delle aree verdi, ora
risolti quasi esclusivamente
dalle amministrazioni cittadine. La sua idea, forse utopistica, è di affidare tale responsabilità ai cittadini, secondo norme e modalità ancora da definire, in modo che quelli che
oggi sono «spazi di nessuno»
divengano «spazi di tutti».
Peraltro per l’amministratore pubblico (il sindaco di Sesto, Carlo Melani), occorre
anche educare il cittadino a rispettare il patrimonio comune,
per quanto deficitario possa
essere. L’attuazione di qualsiasi piano edilizio non può
prescindere dal senso di partecipazione dei cittadini.
L’opera deve essere letta da
tutti coloro che percepiscono,
in modo più o meno evidente,
la desolazione delle periferie
cittadine; essa propone il dialogo dimenticato tra l’uomo e
l’ambiente in cui vive, fornendo innumerevoli motivi di riflessione.
(*) P. A. Martini (a cura di):
Apparenze nella città teatro.
Eìd. Progetto, £ 16.000.
Il racconto e il diario di Marek Edelman, scampato al massacro e divenuto medico
L'Insurrezione e la fine del ghetto di Varsavia
nella testimonianza di uno dei protagonisti
ELENA RAVAZZINI
Il volume di Marek Edelman e Hanna Krall* consta
di due parti: la prima è il rapporto pubblicato nel 1945, indirizzato da Marek Edelman
(unico superstite del ghetto
fuggito attraverso le fogne) al
suo partito, il Bund (movimento operaio ebraico) e dedicato alla memoria del suo
capo Abrasza Blum; è la storia della incredulità del ghetto
di fronte alla strategia di annientamento progressivo,
astutamente mascherato, ed è
altresì la storia della presa di
coscienza di poche decine di
migliaia di ebrei che non vollero subire passivamente la
morte come centinaia di migliaia fecero, dalle prime esecuzioni nella prigione (il 22
novembre del 1941) ai primi
combattimenti della resistenza del 18 gennaio 1943 e
all’insurrezione vera e propria, che il 10 maggio di
quell’anno vede la propria
drammatica conclusione.
Quello che appare sconcertante è la cecità con cui gli
ebrei del ghetto guardavano
allora agli eventi. Quanto più
avrebbero dovuto intuire la
realtà, tanto più erano «manovrati» in modo tale che
proprio quella realtà venisse
respinta da loro stessi. La sottigliezza delle trame da parte
dell’autorità nazista si stringe
sempre più attorno al ghetto
come fili di ragnatela quasi
impalpabili, quasi invisibili,
ma inesorabili: cosicché la
tensione venuta a crearsi tra
gli uni e gli altri rese sempre
più fragile l’ebreo che preferiva illudersi piuttosto che
vedere in faccia quanto avveniva.
Come non capire che quei
convogli carichi di ebrei «lavoratori» diretti a Treblinka e
mai seguiti da altrettanti carichi di rifornimenti, e che tornavano invariabilmente vuoti,
avevano condotto i deportati a
una morte certa? Eppure agli
episodi di «razzie» umane si
alternano nel ghetto promesse
di razioni straordinarie di pane e marmellata che, data la
fame che stringe la popolazione sempre più da vicino, sono
un miraggio: volontariamente
la gente accetta con il pane
anche l’ordine di salire sul
vagone piombato. Le azioni
violente e repentine, le uccisioni ingiustificate dei bambini che giocano si alternano
con promesse di lavoro e di
libertà.
Così viene accettata e subita una situazione sempre più
aberrante e la debilitazione fisica e morale del ghetto rende
più facile ai nazisti il loro
compito fino a ridurne da
380.000 a 40.000 gli abitanti.
Solo allora la realtà appare
chiara grazie all’azione dell’Organizzazione ebraica di
combattimento (Oec) e allora,
nel gennaio ’43, inizia la resistenza armata organizzata da
220 militanti, che avrà la sua
fine in aprile, quando gli ebrei
nascosti in mille recessi e forniti di armi attraverso i canali
più diversi subiranno la propria fine ma vendendo la vita
a caro prezzo, finché il silenzio assoluto calerà sul ghetto
ormai ridotto a cumuli di macerie maleodoranti per i corpi
arsi negli incendi.
La narrazione, nella sua sobrietà e secchezza di cronaca,
è quanto mai efficace e, come
dice la scrittrice polacca Zofia
Nalkowska, è «un documento
autentico sulla potenza dello
spirito, salvato dal più grande disastro che la storia dei
popoli abbia conosciuto».
La seconda parte del libro è
l’intervista che Hanna Krall
ha fatto nel 1977 non più al
militante, ma all’Edelman
cardiologo, quel medico che
quasi con distacco, con accenti non melodrammatici ma
scientifici, descrive la morte
«senza grazia» dei brutti neri
ebrei del ghetto che perivano
grigi in volto tra i loro grigi
stracci e che racconta di quando, ancora lontano dall’essere
medico, assisteva alla sistematica, quotidiana deporta
zione degli ebrei dal ghetto,
strappandone quanti più poteva dal cammino verso la morte. Quel cammino aveva inizio suir«Umschlagplatz» dove, in un ambulatorio, le allieve infermiere spezzavano le
gambe di quanti, riconosciuti
allora inabili al lavoro, sarebbero stati riportati a casa in
ambulanza e non avviati ai
vagoni di Treblinka.
Alla domanda: «Perché sei
diventato medico?», Edelman
risponde: «A guerra finita,
quando tutto il mondo festeggiava la vittoria (...) avevo incessantemente la sensazione
che qualcuno mi attendesse
per salvarlo (...) questo mi
spingeva da un paese all'altro ma là dove arrivavo nessuno mi aspettava, non avevo
nessuno da aiutare (...) sono
rientrato (...) ho dormito per
giorni e settimane (...) finalmente Ala (era già mia moglie) mi ha iscritto a medicina». La sua opera all’ospedale di Lodz è stata all’avanguardia nella chirurgia cardiologica e se Edelman ha tanto
parlato di morte ora dice: «Le
storie che racconto sui miei
malati sfociano infine nella
vita».
(*) Marek Edelman-Hanna'
Krall: Il ghetto di Varsavia.
Memoria e storia dell’insurre- )
zione. Roma, Città nuova, 1993
(led. 1985), pp 179, £ 17.000.
La rivista «Micromega» ospita anche un saggio sulla chiesa di fronte alla mafia
La Bibbia e lo scandalo della rivelazione
PAOLO T. ANGELERI
Sull’ultimo numero (5/93)
di Micromega si trovano
due saggi importanti: «Lo
scandalo della rivelazione»
(G. Steiner) e «Perché la chiesa ha taciuto» (N. Fasullo).
Nel primo l’autore si chiede
se la Scrittura possegga veramente una «plusvalenza» rispetto ad altri testi o sia piuttosto qualcosa di misurabile
con gli stessi strumenti ermeneutici applicabili «a qualsiasi artefatto semantico prodotto con mezzi naturali» (pp
136-137). Se è vero che il testo biblico postula la metànoia, il totale cambiamento
dell’uomo, è ugualmente vero
che ogni opera d’arte si propone lo stesso fine. Se si dice
volentieri che la Parola di Dio
ha «forza assiomatica, predittiva, come quella che distingue un sistema di leggi matematico o fisico-matematico
dal linguaggio naturale», non
si può comunque negare che
la storia della predicazione
dei due Testamenti sia «dimostrazione di un rinvio sine die
di qualsiasi adempimento
concreto». Né vale immaginare se non come assurdità
che l’archeologia un giorno
potrà dimostrarci l’origine soprannaturale dei testi rivelati.
Sono più sottili le tesi di
Vico e Heidegger: l’uomo sarebbe passato attraverso una
fase in cui parola e mondo,
segno semantico e logos si
trovavano in una concordanza
speciale destinata poi a scomparire. Nella Torah e nei Vangeli sarebbe riscontrabile «un
nucleo irriducibile di “alterità" significante, di ri-assicurazione trascendente» (p.
138). La tesi è suggestiva ma
per Steiner è infondata. Nella
La strage di Capaci
storia umana non esistono
tracce di una caduta o «chiusura della comprensione
umana alla rivelazione» (p.
139). «Se vi è “rivelazione",
dunque, essa deve stare
nell’occhio e nell’orecchio
del destinatario del testo». In
ogni caso «l’adozione acritica del rivelato e del mistero
dell’autorità implicati dalla
rivelazione rende ancora più
difficile, o forse persino impossibile, la conquista di quel
diritto più esigente: tacere a
proposito di Dio».
Nonostante questo l’autore
non è tranquillo: nonostante
tutto, avverte che «vi sono
passi nei due Testamenti» inconciliabili «con qualsivoglia
immagine razionale di crea
zione autoriale normale, di
concezione e composizione
come quella che cerchiamo di
afferrare persino nei più
grandi pensatori e poeti» (p.
140). E presente insomma
nella Bibbia un plusvalore: a
confronto con le sue pagine
«un’ermeneutica puramente
razionale» non regge. Ci si
trova bloccati «dalla cruda
luminosità dello “scandaloso"». E si potrebbe forse aggiungere che accanto a un
plusvalore oggettivo restano
comunque indispensabili le
orecchie per udire e gli occhi
per vedere (Apocalisse 2, 11).
Nel secondo saggio, che
non ha nessi apparenti con il
precedente ma le cui conclusioni sembrano recuperarne
alcuni aspetti di fondo, ci sii
occupa di mafia. L’autore
stigmatizza i colpevoli silenzi
della Chiesa cattolica in Sicilia: «solo negli anni ottanta M
mafia è diventata (...) un prò,-'
blema» (p. 160). E prima?!
Nulla: in nessun documento
essa «è stata condannata innome del Vangelo» e i cristiani «non hanno potuto .sapere
che tra mafia e cristianesimo
c ’è un ’incompatibilità a.s.soluta, assai più netta di quella
che corre fra cristianesimo e
marxismo: eppure questa è
stata sempre denunciata, l’alf
tra mai» (p. 161).
In apparenza, secondo l’autore, tutto è semplice, nella
chiesa si possono distinguere
due dimensioni, due facce: da
un lato, una realtà visibile e
mondana; dall’altro, «una venafresca e libera che la percorre nell’intimo: il Vange-I
lo» (p. 163). Ma a noi resta
ancora qualche perplessità:
se è la prima dimensione a
dominare incontrastata mentre l’altra, quella evangelica,
si scorge a fatica e solo quando ogni via mondana risulti
impraticabile, qual è la funzione di una chiesa senza
«alterità significante», sog-.giogata da scandalosi e torbidi silenzi, anziché dall’imperativo «scandalosamente luminoso e limpido» dell’evangelica «plusvalenza»?.
PROTESTANTESIMO
IN TV
Domenica 16 gennaio
ore 23,30 circa - Raidue
Roplica: lunedì 24 gennaio
ore 9 circa ■ Raidue
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------------—i Cultura —
Lo studio archeologico contribuisce a una possibile lettura del capitolo 21 degli Atti
Il muro del Tempio di Gerusalemme e
^atteggiamento di Luca verso i Romani
PAG. 9 RIFORMA
GIANCARLO RINALDI
La storia della prima prigionia romana di Paolo
inizia a Gerusalemme, presso
il recinto di quel tempio la
cui fastosa restaurazione aveva costituito uno dei principali vanti del re Erode il
Grande. Il capitolo 21 del libro degli Atti degli Apostoli
ci descrive l’episodio con
stringatezza ma anche con
proprietà: Paolo, reduce da
una lunga missione nella provincia d’Asia, si reca al tempio di Gerusalemme e colà
viene avvistato da alcuni giudei originari proprio di quei
territori nei quali aveva evangelizzato.
Un tumulto scoppia all’improvviso; questi giudei della
diaspora «misero le mani addosso» all’apostolo, incolpandolo di aver predicato
«contro il popolo, la Legge, il
Tempio» ma, ed ecco l’accusa più rilevante, facendo notare che aveva profanato il
tempio avendovi introdotto
un pagano di provenienza
asiana. Quest’ultima accusa
causa l’accorrere di una moltitudine la quale si accinge,
con decisione, addirittura ad
uccidere Paolo. A questo
punto Luca fa intervenire, secondo un suo schema ricorrente, un’autorità romana
(questa volta è Claudio Lisia,
tribuno della coorte preposta
al controllo dell’ordine nei
cortili del tempio) la quale
sottrae Paolo alla violenza
dei giudei per consegnarlo alla giustizia dei romani.
Noi ci domandiamo: perché
l’accusa di essersi accompagnato a un non ebreo nei cortili del tempio è quella che
sta per causare l’uccisione di
Paolo a furor di popolo? Una
conoscenza dell’architettura
del tempio stesso, qualche
pagina di Flavio Giuseppe e
due scoperte archeologiche
avvenute rispettivamente nel
1871 e nel 1935 rispondono a
pieno al nostro quesito e ci
fanno capire qualcosa sulla
«teologia politica» di Luca.
Il tempio erodiano era
strutturato in quattro atrii: il
primo e più vasto, quello dei
«gentili», era circondato da
portici e conteneva, al suo
centro, i veri e propri edifici
sacri nei quali erano ubicati,
l’uno dentro l’altro, i seguenti
cortili: quello delle donne
(detto così perché queste non
avrebbero potuto procedere
oltre), quello degli israeliti e
quello dei sacerdoti. Un particolare interessante ci viene
riferito nella Guerra giudaica
di Flavio Giuseppe: tra il primo e il secondo dei cortili
c’era una balaustra alta circa
1,3 metri che recava, a intervalli regolari, iscrizioni in
greco e in latino che ammonivano i non giudei a non oltrepassare il recinto stesso per
penetrare nel cortile delle
donne. In caso contrario, continua lo storico giudaico, gli
ebrei avrebbero potuto liberamente mettere a morte il trasgressore, anche se costui
fosse stato in possesso della
cittadinanza romana e dei privilegi a questa connessi'. Nel
1871, da scavi presso la zona
nord del tempio, venne fuori
una di queste iscrizioni greche di cui parla Flavio Giuseppe; si tratta di un blocco
di calcare alto 56 centimetri,
largo 86 e spesso 37, attualmente conservato al Museo
di Costantinopoli. Il testo è
chiaramente leggibile: «Nessuno straniero penetri al di là
della balaustra e della cinta
che circonda la zona del tempio; chi venisse preso sarà
causa a se stesso della morte
che ne seguirà». Successivamente, nel 1935, venne alla
luce un’altra di queste iscrizioni, sempre in greco, ridotta malamente dalle picconate
dei soldati al seguito dell’imperatore Tito.
Da un’altra opera^ di Flavio Giuseppe sappiamo che
lo stesso divieto di ingresso
era stato già precedentemente
decretato dal re Antioco III
(223-187 a.C.); la pena comminata ai trasgressori era tuttavia molto più blanda essendo di natura esclusivamente
pecuniaria. I romani, invece,
avevano voluto ingraziarsi
maggiormente il popolo e le
autorità giudaiche rinunciando ad intervenire in caso di
tali trasgressioni e, per ciò
stesso, riconoscendo al popolo giudaico il diritto di infliggere la pena di morte che,
com’è noto, nella provincia
della Giudea era riservata al
solo prefetto (o, successivamente, procuratore).
Se questo è il quadro giuridico nel quale dobbiamo ambientare l’episodio di Atti 21,
esso allora può fornirci un
particolare in più su una delle
tesi principali dell’autore di
questo libro biblico: la professione di fede cristiana è
pienamente compatibile con i
diritti e i doveri di un leale
suddito dell’impero romano.
Questa volta, infatti, l’autorità di Roma non si limita,
nella persona del tribuno del
tempio, a intervenire soltanto
per salvare Paolo dal linciaggio ma tale intervento, non
obbligatorio a norma di legge, si compie in una situazione difficile.
Dunque i testi epigrafici
provenienti da Gerusalemme
non soltanto ci aiutano a rispondere alla domanda dalla
quale siamo partiti (perché la
pena di morte?), ma illuminano anche un risvolto per così
dire «politico» della teologia
lucana, grata anche in questo
caso alla aequitas romana e
pervasa di spiriti irenistici nei
riguardi di un impero non ancora persecutore dei cristiani.
L’autore dell’Epistola agli
Efesini dal canto suo, nel
proclamare il superamento
della separazione tra giudei e
gentili, seppe abbinare alle
argomentazioni di ordine teologico anche un’immagine
che ci sembra desunta da
quel particolare architettonico del tempio di Gerusalemme di cui abbiamo parlato:
«Gesù... dei due popoli ne ha
fatto uno solo ed ha abbattuto
il muro di separazione con
l’abolire nella sua carne la
causa dell’inimicizia» (Efesini 2, 14).
1) Flavio Giuseppe, Guerra
giudaica 6, 125-126.
2) Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche 12, 145-146.
Toni sempre più esasperati nella comunicazione verbale odierna, politica ma non solo
Un contratto tra chi parla e chi ascolta
è Punica strada per usare la comunicazione
DAVIDE ROSSO
Messaggi televisivi, conferenze stampa, «memoriali» di uomini politici
importanti, pubblici atti di
accusa: questo ormai è il pane quotidiano del cittadino
che la mattina va a comprarsi
il giornale all’edicola o che
si pone di fronte alla televisione all’ora del telegiornale.
Mai come in questi ultimi
tempi siamo stati «bombardati» dal discorso pubblico (discorso di spiegazione, di
informazione, sotto forma di
argomentazione per la difesa,
0 per l’attacco...). Quotidianamente assistiamo, in televisione («Il rosso e il nero»,
«Milano, Italia») ma non solo, a una serie infinita di personalità che cercano di comunicarci la loro versione della
realtà di cui sono parte.
Il nostro senso comune sa
bene e dice spesso che una
comunicazione, perché possa
essere compiuta, ha bisogno
tli un elemento mittente e di
un elemento ricevente; si può
aggiungere che fra i due deve
instaurarsi un certo rapporto
di fiducia reciproca, che faccia sì che ciò che viene epresso da uno venga non solo capito, ma anche accettato
dall altro;solo a queste condizioni si può avere uno scambio di informazioni nella co
Tv e discorsi: non sempre si evita ia vioienza verbaie
municazione utile a entrambe
le parti.
Oggi però la mia impressione è che tutto questo non
sia più sempre vero, mi pare
che questo «contratto fiduciario» stia venendo meno.
In un momento in cui è in
cantiere (e non solo da noi in
Italia) una radicale ridefinizione dei contesti di riferimento e si mettono in discussione tutti o quasi i vecchi
contesti, il destinatario inevitabilmente diventa protagonista dell’atto comunicativo
(«la trasmissione la fate
voi!», dicono alcuni telepresentatori di talk-show o di
quiz) o perlomeno si sente
tale.
Il destinatario si sente quasi antagonista del mittente,
nel senso che tende a estremizzare il processo di interpretazione delle parole del
discorso, perché si è diffusa
in lui la cultura del sospetto.
Ogni lettore, in un certo modo, si sente un detective che
di fronte a un testo non può
fermarsi al significato appa
rente, deve arrivare alla verità che per qualche ragione
oscura il mittente ha voluto
nascondere pronunciando
quelle parole.
In questa cultura è al ricevente che spetta discemere il
vero dal falso nei discorsi;
essi quindi non sono più delle certezze ma dei rebus da
smontare e ricomporre, magari congiunti ad altri, per ottenere una nuova catena narrativa più simile alla realtà.
Quanto a quest’ultima, non è
detto poi che sia quella vera,
è quella che al lettore (o
spettatore) sembra più credibile. Ma il «puzzle» non finisce mai e il nostro lettore è
costretto a ricrearsi continuamente la propria realtà di riferimento, senza naturalmente avere mai la certezza che
sia quella definitiva. Si assiste così a un mondo in cui
tutti possono parlare di tutto,
ma nulla o quasi è certezza,
tutto è ricerca.
Questo potrebbe essere positivo, ma solo a condizione
che si reinstauri un sodalizio
fiduciario tra produttore e
destinatario del messaggio,
perché solo così si può usare
la comunicazione: altrimenti
ci troveremo solo in una
grande babele in cui ognuno
porta le proprie ragioni senza
mai incontrarsi con quelle
degli altri.
Un allestimento teatrale e un convegno
Vita e pensiero
di Simone Weil
In concomitanza con l’allestimento (in cartellone il 2728 gennaio a Torino) di Venezia salva, unico testo teatrale
della scrittrice e filosofa Simone Weil (di cui ricorre il
50° anniversario della morte)
è previsto, sempre a Torino,
anche un importante seminario di studi mentre altre iniziative analoghe stanno fiorendo in Italia, anche attraverso trasmissioni radiofoniche,
e soprattutto in Francia.
Simone Weil era nata nel
1909, a Parigi, da una famiglia della borghesia ebraica;
subito cultrice della filosofia,
a 22 anni già insegnava la materia nei licei ma altri suoi interessi erano la tragedia greca
e il sindacalismo. E così che
alcuni anni dopo abbandona
l’insegnamento per una vita di
fabbrica, alla Renault, che durerà poco più di un anno e ne
minerà il fisico. In seguito
parteciperà brevemente alla
guerra civile in Spagna (nelle
file degli anarchici), prendendo in odio ogni forma di oppressione dittatoriale, sia essa
fascista sia stalinista.
Fra il 1937 e il ’38 maturò,
fra Assisi e Solesmes (l’abbazia nota per la pratica esecutoria di canti gregoriani da
parte dei suoi monaci), quella
conversione religiosa al cristianesimo che sarà una svolta
che fa tuttora discutere, frenata peraltro dalla profonda diffidenza per l’organizzazione e
la struttura della Chiesa cattolica. Sfuggita per poco all’occupazione nazista a Parigi si
rifugia a Marsiglia, dove scriverà il suo testo teatrale.
La sua ricerca filosofica
della verità coincide in quest’ultimo periodo della vita
con l’idea dell’amore di Dio.
Sognando di battersi contro i
nazisti a fianco degli alleati,
raggiunge nel 1942 gli Stati
Uniti con i genitori, per poi
entrare nella Resistenza in Inghilterra. Le privazioni volontarie a cui si era sottoposta ne
avevano però debilitato il fisico: Simone Weil morirà il 24
agosto 1943 in un sanatorio
presso Londra.
Il pensiero della Weil, del
tutto asistematico, vede confluire diversi filoni di «misticismo», da quello laico e utopico di un marxismo idealista
e ansioso di andare oltre il
meccanicismo sociale alla visione religiosa e per certi versi gnostica di un cristianesimo
fondato sull’atto di abdicazione di Dio compiutosi con la
creazione.
In italiano si possono leggere fra i suoi scritti, tutti postumi, Attesa di Dio (Rusconi),
La condizione operaia (Mondadori), Sulla Germania totalitaria, pubblicato da Adelphi
come Venezia salva. Al convegno di Torino (per informazioni: Centro studi Tst, tei.
011-5169405) partecipano,
fra gli altri, gli studiosi di Simone Weil Giancarlo Gaeta,
Guglielmo Forni e Pier Cesare Bori, il regista Luca Ronconi, i francesisti Adriano
Marchetti e Lionello Sozzi, la
prof. Ninfa Bosco, docente di
Filosofia della religione, nonché André Devaux, curatore
delle opere della pensatrice
per le edizioni Gallimard.
Un libro sulle culture giovanili
Teen-ager, universo
tutto da scoprire
Il saggio più corposo del
primo volume (in realtà l’ultimo, ma pubblicato per primo)
della imponente Storia d'Europa Einaudi, a firma Gòran
Therborn («Modernità sociale
in Europa 1950-1992») fa un
esplicito riferimento al fatto
che le sole «culture» che attraversino il continente con
una certa unitarietà e con caratteri consimili siano espressione dei mondi giovanili.
Non era scontato trovare in illustri ambiti accademici tanta
attenzione e sensibilità.
Uno strumento, allora, per
imparare a orizzontarci un
minimo nella realtà culturale
giovanile, è un volume collettivo*, che da punti di vista diversi cerca di fare il punto sui
«teen-agers» del decennio in
cui viviamo. In realtà uno degli assunti di partenza del libro è che mai come oggi vi
sia una tendenza a essere un
po’ tutti teen-ager: concorrono a questa idea le tecniche
biomediche e eugenetiche, la
cosmesi e il mantenimento
del corpo, gli stili di vita e il
linguaggio.
Ma se si parla di linguaggi
occorre avere una bussola,
per capire dove tira il vento:
e allora, in alcune dense pagine, si scoprono la musica di
questi ultimi anni, il successo
sociale del «rap», la passione
per il fumetto impegnato alla
Dylan Dog, la vita di stadio,
il rapporto con le immagini, i
nuovi stili del far politica e le
forme dell’autorganizzazione. A questo proposito l'introduzione afferma che «lo
spartiacque degli anni Settanta» rappresenterebbe la
nascita delle culture giovanili
dopo la fine dell'egemonia
del politico.
Il libro, che si occupa essenzialmente del nostro paese, è uscito la scorsa primavera, e potrà essere rivisto produttivamente alla luce di alcune esperienze tuttora in
corso: dal Leoncavallo alle
autogestioni scolastiche. Un
mondo in continuo movimento, che non si può continuare
a marginaiizzare patemalisticamente, anche perché a volte
rappresenta l’antidoto, magari
disordinato^ all’omologazione
culturale. E particolarmente
rilevante, in questo senso, il
saggio di Massimo Canevacci
intitolato «La “Nona” in curva sud: egemonia ed entropia
delle subculture», che affronta fra l’altro la «costruzione
dell’identità» attraverso l’esasperazione violenta della propria diversità proprio nell’
ambiente dei tifosi.
(*) AaVv: Ragazzi senza
tempo. Immagini, musica, conflitti delle culture giovanili. Genova, Costa & Nolan, 1993, pp
281, £28.000.
14
PAG. 10 RIFORMA
VENERDÌ 14 GENNAIO 1994
Un'analisi protestante del «Direttorio ecumenico», la «magna charta» cattolica delle relazioni con le altre confessioni i
L'incontro dei credenti si realizza rispondendo allo Spirito Santo
ALFREDO SONELLI
Il «Direttorio per l’applicazione dei principi e delle
norme sull’ecumenismo»
pubblicato dal pontificio
Consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani, e approvato dal papa Giovanni
Paolo II, porta la data del 25
marzo 1993 ma è apparso
nella sua traduzione italiana
soltanto recentemente. È un
testo molto importante, perché sembra essere la magna
charta dell’ecumenismo cattolico. Chi si interessasse per
la prima volta dell’ecumenismo quale la Curia romana lo
pensa e vorrebbe fosse vissuto, basandosi su questo testo,
avrebbe l’impressione di una
incredibilmente grande apertura.
La decisa affermazione che
l’impegno ecumenico è essenziale alla vita della chiesa
trova la sua applicazione operativa anzitutto in un insieme
di direttive che creano strutture organizzative a vari livelli:
diocesano (nn. 41-45), regionale (Conferenze episcopali e
Sinodi delle chiese orientali
cattoliche - n. 46). Sono interessati anche gli ordini religiosi ai quali è affidato fra
l’altro il compito di «mantenere rapporti con monasteri o
comunità cenobitiche di altre
comunioni cristiane per scambio di ricchezze spirituali e
intellettuali ed esperienze di
vita apostolica» (n. 50).
Nel cap. 3 il Direttorio tratta ampiamente il tema «La
formazione all’ecumenismo
nella Chiesa cattolica» che
deve interessare la base delle
chiese locali (n. 58) in particolare nella catechesi che deve presentare «correttamente
e lealmente» l’insegnamento
delle altre «chiese e comunità
ecclesiali» e valorizzare «certi
elementi e beni, sorgenti di
vita spirituale» che si trovano
in esse e che «appartengono
all’unica chiesa di Cristo» (n.
63/a).
La formazione ecumenica
Grande attenzione merita
tutto il capitolo relativo a Formazione di coloro che operano nel ministero pastorale
(nn. 70-82). La formazione
dottrinale richiede una «dimensione ecumenica» a vari
livelli. È prevista anche la
formazione specializzata (nn.
87-90) che interessa sia le
università cattoliche, sia gli
istituti ecumenici specializzati. La formazione deve essere
permanente e «se lo si ritiene
possibile e opportuno, sarebbe bene qualche volta invitare
un ministro di un’altra chie.sa
a parlare della propria tradizione e anche di problemi pastorali, che spesso sono comuni a tutti» (n. 91/a).
Il capitolo 5 del Direttorio
tratta la collaborazione ecumenica, dialogo e testimonianza. Le prospettive di collaborazione con le altre
«chiese e comunità ecclesiali» sono molto ampie»: «Consigli di chiese e Consigli cristiani» (nn. 166-171), «Il dialogo ecumenico» (nn. 172182). A proposito dei dialoghi ecumenici, sia bilaterali,
sia multilaterali, la Chiesa
cattolica può condurli a tutti i
livelli, sia locale che «a livello di Chiesa universale. La
sua struttura, come comunione universale di fede e di vita
sacramentale, le consente di
presentare una posizione coerente e unita a ciascuno dei
suddetti livelli» (n. 173).
È previsto anche «Il lavoro
comune a riguardo della Bibbia (nn. 183-186). Tuttavia, richiede qualche prudenza». Per
«Settimana per l'unità 1993»: all'Università statale di Milano parlano il
il pastore luterano Sanse e l'arciprete ortodosso Waldman
past. Ricciardi, il cardinal Martini,
(Foto Zibecchi)
i cattolici, è utile che le edizioni delle Scritture delle quali si servono attirino l’attenzione «sui passi in cui è impegnata la dottrina della Chiesa»
(n. 186). Questo significa, forse, che i cattolici dovranno
leggere soltanto Bibbie annotate con imprimatur?
La collaborazione
ecumenica
La collaborazione ecumenica si può estendere anche alla
catechesi; essa «è per sua natura ecumenica: essa non deve mai significare una “riduzione” ad un minimum comune. La catechesi, per di più,
non consiste soltanto nell’insegnare la dottrina, ma nell’iniziazione a tutta la vita cristiana, facendo partecipare ai
sacramenti della Chiesa».
Perciò, dove si svolge collaborazione ecumenica nella catechesi bisogna «vigilare a
che la formazione dei cattolici
sia ben assicurata, nella Chiesa cattolica, in materia di dottrina e di vita cristiana» (n.
188). Quanta preoccupazione
ha questa «madre» per dei figli che non saprebbero guidarsi da soli!
Sul piano degli istituti di insegnamento superiore la collaborazione può diventare ampia: «Nel secondo e terzo ciclo delle facoltà e nei seminari, dopo che gli studenti hanno
ricevuto la formazione di base, si possono invitare docenti
di altre chiese e comunità ecclesiali a tenere conferenze
sulle posizioni dottrinali delle
chiese e comunità che essi
rappresentano»; ugualmente
«i docenti cattolici invitati, in
analoghe circostanze, a tenere
conferenze nei seminari e nelle scuole teologiche di altre
chiese, accetteranno di buon
grado le medesime condizioni» (n. 195).
E auspicata la collaborazione sul piano missionario, sul
fondamento del «battesimo» e
del «patrimonio di fede che ci
è comune», ma attenti! «I cattolici ben vorrebbero che tutti
coloro che sono chiamati alla
fede cristiana si unissero a loro in quella pienezza di comunione che, secondo la loro
fede, esiste nella Chiesa cattolica, e tuttavia riconoscono
che, secondo la Provvidenza
di Dio, alcuni passeranno tutta la loro vita cristiana in
chiese o comunità ecclesiali
che non assicurano tale pienezza di comunione» (n.
206). Queste affermazioni
non sono molto gentili, dal
punto di vista ecumenico, ma
derivano dal principio stesso
dell’ecumenismo cattolico di
cui parleremo nella critica generale al Direttorio.
Non abbiamo accennato alla Parte IV del Direttorio su
Comunione di vita e di atti
vità spirituale tra i battezzati
che tratta di battesimo, eucaristia, matrimoni misti: qui
siamo molto al di sotto di
quanto ci si potrebbe aspettare e anche il lettore più sprovveduto rimarrebbe molto perplesso circa r «ecumenicità»
del discorso. Il Direttorio non
apre vie nuove; tutto ciò di
cui tratta, avviene già nel quadro dei rapporti ecumenici fra
le chiese. Dopo il Concilio
Vaticano II i cattolici si sono
ben inseriti nel cammino ecumenico e i rapporti fra le varie confessioni cristiane si sono sviluppati a vari livelli, da
quello delle chiese locali ai
vari livelli settoriali, a quelli
degli studi teologici e negli
impegni sociali: le Assemblee
di Basilea e di Seoul su «pace, giustizia e salvaguardia
del creato» sono state soltanto
manifestazioni emblematiche.
Tutte le forme di collaborazione alle quali fa riferimento
il Direttorio sono in atto da
molti anni e hanno uno sviluppo molto promettente,
molto più ampio e vitale di
quanto il Direttorio supponga.
E vero anche che esistono
nella Chiesa cattolica (come
del resto nel mondo evangelico) opposizioni abbastanza
pesanti al confronto ecumenico. Perciò è necessario riconoscere al Direttorio una funzione di apertura che può
smuovere gli ambienti più refrattari all’ecumenismo.
La preoccupazione
discpii
iinare
Rimane il fatto che il Direttorio rivela la preoccupazione
di disciplinare l’espansione di
un movimento che sta camminando spontaneamente verso
mete finora sconosciute. C’è
soltanto da chiedersi se si
tratta di «disciplinare» o di
«frenare». Purtroppo in questi
ultimi anni si ha l’impressione che la gerarchia voglia frenare più che favorire. Il rilievo più grave che si deve fare
al Direttorio è il principio che
lo introduce e che ne è l’anima. 11 capitolo introduttivo è
un deciso richiamo ai «principi cattolici dell’ecumenismo»
enunciati dal Concilio Vaticano II già nella Costituzione
Lumen Gentium sulla chiesa e
poi, più direttamente, nel decreto Unitatis Redintegratio a
decreto suH’ecumenismo. II
Concilio è partito da una definizione di principio della
Chiesa di Cristo entro al quale ha inserito suoi dogmi ecclesiologici, cioè la verticalità
gerarchico-sacerdotale della
successione apostolica dell’
epi.scopato con al vertice il
papa. Questa chiesa di Cristo
non è un’idea platonica, ma
sussiste nella Chiesa cattolica
romana (Lumen Gentium, 8 Unitatis Redintegratio, 4).
L’apertura ecumenica del Vaticano II consiste nel fatto che
la Chiesa cattolica riconosce
che alcuni o anche molti doni
propri della chiesa si trovano
anche nelle altre chiese cri^
stiane; perciò la Chiesa cattolica ne ha la pienezza, mentre
le altre vi partecipano soltanto. Riferendosi ai testi del
Concilio, il Direttorio afferma
che «Tra gli elementi dai quali la stessa Chiesa è edificata
e vivificata, alcuni, anzi parecchi e di grande valore, possono trovarsi fuori dai confini
visibili della Chiesa cattolica»
(n. 61/b). Le affermazioni del
Vaticano II, riprese dal Direttorio, erano allora veramente
rivoluzionarie, segnavano veramente un rinnovamento radicale.
Tuttavia esse si ponevano
come inizio di un percorso
ecumenico e, per certi aspetti, erano già formule di compromesso, mentre già allora
molti teologi e laici della
Chiesa cattolica avevano una
sensibilità e una convinzione
ecumenica molto più avanzata. Questo trent’anni fa. In
questo tempo molte cose sono
cambiate. Il fenomeno «religioso» ha portato all’esplodere di vari «integralismi»: la
vecchia cristianità si è frantumata sotto le spinte di sincretismi, sotto l’influsso di altre
religioni forse più ancora della secolarizzazione. Per contro all’interno della cristianità
il movimento ecumenico ha
ridestato la coscienza della
chiesa come popolo di Dio,
relativizzando le strutture a
vantaggio del libero incontro
fra i credenti.
Questo non solo a livello di
prassi, mediante la più viva
consapevolezza delle responsabilità dei cristiani dinanzi ai
gravi problemi dell’umanità,
ma anche a livello di idee,
nella ricerca dell’autenticità
del messaggio evangelico. Si
diffonde la sensazione di un
nuovo grande «esodo», di un
cammino nella fede verso
nuove mete sotto la guida defe
lo Spirito. È deludente chè
dopo tanto sviluppo dei rapporti ecumenici la Curia romana insista su formule già
sorpassate, proprio quando
gran parte della cristianità riesamina se stessa e l’essenzi®.
lità del messaggio evangelico
in vista di una più chiara testR
monianza nel mondo.
Il Direttorio insiste ancorà
nel presentare il «mistero deh
la chiesa» e sembra non renJ
dersi contro di sovrapporre la
sua presunta pienezza gerarJ
chico-sacramentale alla libera
azione dello Spirito. Se la
Chiesa cattolica e anche le al^
tre chiese avessero il coraggio di un riesame delle mel
morie, sarebbero molto pià
caute nel glorificare se stesse;
Non è proprio sicuro che là
cristianità storica, speciali
mente quella occidentale,
possa presentarsi come «mh
stero di grazia» !
L'azione dello Spirito
Le chiese sono chiamate a
rendere testimonianza alTEi
vangelo che è veramente ecu*
menico, ma lascino perdere là
questione di pienezza e rifleW
tano maggiormente sulla mi*;
sericordia di Dio che suscita
ancora in mezzo a loro la spe-<
ranza di un nuovo soffio del
suo Spirito: la sua libera azio'
ne è il vero «Direttorio» per il
percorso ecumenico delle
chiese e dell’intera umanità.
Una conferenza del pastore Claudio H. Martelli a Milano
Il sostegno delle chiese alle
popolazioni dell'ex Jugoslavia
GIAN PAOLO RICCO
Il presidente dell’Opcemi,
pastore Claudio H. Martelli, nella ricorrenza del 20°
anniversario dell’inaugurazione del tempio di via Porro
Lambertenghi a Milano, ha
parlato il 12 dicembre sul tema «La situazione dei paesi
dell’ex Jugoslavia e il sostegno delle chiese», tratteggiando in modo schematico,
ma non per questo meno efficace, la situazione della regione, inquadrandola storicamente.
La tragedia di quei popoli
inizia con l’invasione turca
del XV secolo, che dominò
quei territori per oltre 400 anni congelando qualsiasi processo per la formazione di
stati nazionali, come avvenne
in altri paesi del resto
dell’Europa. Dopo il crollo
dell’impero ottomano sui
Balcani si concentrarono le
mire espansionistiche della
Russia e dell’Austria-Ungheria: la prima tendeva a tenere
uniti gli slavi intorno alla
Serbia; all’opposto l’Austria
e poi la Prussia si orientavano
per lo smembramento dei diversi territori per poterli dominare meglio e bloccare
qualsiasi tentativo di indipendenza. Queste due tendenze
si sono sempre scontrate fra
loro fino alla caduta dell’impero austro-ungarico.
Nel 1918 si forma il regno
dei serbi, dei croati e degli
sloveni e dopo vari contrasti
il re Alessandro (assassinato
poi nel 1934) proclama nel
1929 la «dittatura della monarchia» che dura fino alla
sua morte. La nuova Jugoslavia è divisa in 9 «banati» sen
za rispetto per le unità storiche ed etniche; segue un periodo confuso in cui si afferma, ancora una volta, l’egemonia serba. Nel 1939 il nuovo premier Zvetkovich accoglie nel governo 5 croati, ma
il problema delle nazionalità
non è risolto. A questo si aggiunge il problema religioso:
eterni conflitti fra i croati
(cattolici), i serbi (ortodossi)
e le popolazioni del CentroSud generalmente musulmane; tali conflitti etnico-religiosi si trascinano fino al termine del secondo conflitto
mondiale.
Nel 1944 Belgrado è liberata da truppe sovietiche e
bulgare, che si uniscono ai
partigiani di Tito; neH’aprile
del ’45 tutta la Jugoslavia è
libera e diventa Repubblica
socialista federativa. Il progetto di realizzare una via nazionale al socialismo, l’autogestione di una parte dell’economia e il non allineamento ai blocchi caratterizzavano l’esperimento del socialismo jugoslavo, che viene a
costituire così un punto di riferimento per diversi paesi
del Terzo Mondo. E tuttavia
il sistema dell’autogestione
non riuscì a realizzare un’
equa redistribuzione del reddito e ad attenuare le differenziazioni fra una Croazia
ricca e industrializzata, una
Serbia estesa ma agricola, un
Kossovo minerario e una
Dalmazia destinata al terziario turistico.
E proprio in queste vistose
discrepanze economiche tra
Nord e Sud, tra zone industrializzate e zone agricole,
tra regioni ad alto reddito e
regioni povere che, secondo
Martelli, va individuata 1|
causa principale della dis.
strosa situazione attuale. Tt
conflitti di natura economica
sono stati poi ammantati di
motivi religiosi e/o etnici. P(H
a tutto ciò si aggiunge il casd
della Bosnia, per la quale bisogna fare un discorso a parte: essa è una «regione-stato»
autonoma, ma non costituisce
un’etnia in quanto i bosniaci
sono un misto di croati e di
serbi ma di religione islami-“
ca. Se la Bosnia riuscisse Í
sopravvivere si dimostrereb|,
be che può esistere e svilupparsi uno stato multietnico e
multiculturale le cui componenti possono convivere in uri
modello federale e unitario^
insieme: si dimostrerebbe che
potrebbe vivere la Jugoslavia.
Ma il piano di pace per le terre dell’ex Jugoslavia, voluto
e imposto prima dalla Cee é
poi dall’Onu, secondo MaT^
telli, «è folle» perché asse^*
conda la divisione etnica e re^
ligiosa.
Martelli ha poi descritti
molto dettagliatamente le iniziative della Chiesa metodisi
di Trieste, per la raccolta e là
smistamento degli aiuti alle
popolazioni dell’ex Jugoslavia. Altri si stanno muovendo
nella stessa direzione e la co»
munità di Trie.ste si offre qua-'
le punto di coordinamenti^
per analoghe iniziative.
Nel corso del dibattito se^
güito alla conferenza è interi
venuta la sorella Grotta, dell^
Chiesa metodista di Omegna^
e altri che operano anche a ìli
vello cittadino, coinvolgendC
forze politiche e sindacali ®
che si sono recati più volti
con i fratelli triestini in quell*
terre tormentate dalla guerra.
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Pagina Dei Lettori
PAG. 1 1 RIFORMA
Coerenza
e libertà
Duecento pastori anglicani
sono in procinto di passare
alla Chiesa cattolica romana.
Per molti nella Chiesa d’Inghilterra sarà un’occasione di
rammarico e di tristezza; per
molti altri forse un sollievo.
Non sembra però che in questo evento abbiano giocato
un ruolo significativo né il
proselitismo, né la tentazione
dell’uniatismo né l’ecumenismo. Così è accaduto o sta
accadendo; la storia non può
che registrarlo.
Al di là dei fatti non possiamo non prendere atto della
coerenza dei partenti con il
modo di vivere ed esprimere
la propria fede cristiana. Non
possiamo non notare la libertà di scelta e di decisione
che li ha portati altrove. Forse coraggio e libertà sono
l’ultimo retaggio di un mondo che lasciano prima di passare alla comunione cum Perro e sub Petro .
Il nostro pensiero ritorna
rapidamente al XVI secolo
quando i riformatori si lamentavano di non trovare nel
mondo latino autorità civili
capaci di impegnarsi per la
riforma della Chiesa (era
troppo presto per parlare definitivamente di protestantesimo). Malgrado le simpatie
di molti vennero meno il coraggio e la libertà di decidersi e si lasciò mano libera
all’insediamento dell’Inquisizione.
Possiamo richiamarci ancora a un grande maestro del
Rinascimento, Giovanni Pico
della Mirandola. Le sue idee,
insieme a quelle di Marsilio
Ficino, infuocarono l’Europa
con le novità del Rinascimento, con il loro richiamo
alle fonti e con il ritorno a
Platone dopo la parentesi aristotelica. L’autonomia e la
dignità dell’uomo, fin troppo
libere per piacere a Calvino
ma ampiamente considerate
da Zwingli, trovarono un’eco
enorme nella storia; eco che
risuonò ancora nel 1975 a
L? intervento di Ruggero
Marchetti («Chiese o
sette?». Eco delle valli vaidesi del 31 dicembre) mi
spinge ad alcune considerazioni sulla crisi che le chiese
delle valli starebbero vivendo. In sostanza dice Marchetti: la scelta di Chanforan
non dovrebbe essere riconsiderata alla luce di una chiesa
che sta diventando sempre
più «emporio religioso»?
Mi pare che Marchetti corra il rischio di dare ossigeno
alla tesi di coloro che sognano ancora un ritorno al pauperismo di medievale memoria, come toccasana di crisi
più o meno cicliche che attraversano la Chiesa valdese.
Vi è poi il pensiero, rigorosamente storico e documentato, che afferma che il valdismo è finito a Chanforan.
Io sono tra coloro che suppongono che senza l’adesione alla Riforma queste valli
sarebbero oggi un parco o un
museo; per questo non posso
non vedere strettamente legati Chanforan e il tempio di
San Lorenzo, in cui ogni domenica si riunisce «l’assemblea dei santi nella quede si
insegna l’Evangelo nella sua
purezza e si amministrano
correttamente i sacramenti»,
per dirla con le parole della Confessione augustana
(1530).
DIBATTITO
CHIESE 0 SETTE?
Questo essere chiesa, che
ogni rivendica di esserlo pienamente, ripetendo le parole
del simbolo apostolico nella
coscienza di essere altrettanto chiesa come quella che si
ritrova poco distante; che sa
scrivere nella sua confessione di fede «delle chiese
riformate, cattoliche et apostoliche del Piemonte», nella
certezza di camminare nella
piena cattolicità apostolica,
questa è la grande eredità
riformata. Se abbiamo superato l’isolamento, grazie alla
buona diplomazia, dobbiamo
riconoscere che ancora oggi
noi godiamo di una credibilità internazionale dovuta
proprio al fatto di essere un
avamposto della presenza
protestante in un paese che
aveva stroncato ogni forma
di eresia, che aveva visto
partire le teste pensanti di
una Riforma mancata.
La struttura ecclesiologica,
che abbiamo ripreso da altri
e ci siamo dati, pastori, anziani, diaconi, le assemblee
locali e quelle sinodali hanno
permesso di sviluppare un
senso di governo e di partecipazione in un tempo in cui
queste valli non erano che riserve di caccia per i potenti
dell’epoca. Se oggi parliamo
di crisi dobbiamo solo farlo
per quanto riguarda il popolo-chiesa oppure il discorso
va altrettanto esteso al gruppo confessante? Le stesse
strutture sembrano incapaci
di gestire uno scollamento
tra pratica di fede evangelica
e costumi religiosi.
Forse in anni passati abbiamo guardato con molta
più attenzione alle forme
dell’esteriorità, abbiamo
guardato al paese, con prese
di posizione sulle grandi
questioni politiche e sociali;
questo giustissimo impegno
e testimonianza ha creato un
esercito sempre più fatto di
bravi generali e ottimi strateghi, ma senza un’armata che
segua i suoi ufficiali. Sono
state investite innumerevoli
energie nel campo della diaconia; una certa euforia ha
caratterizzato il dibattito
sull’otto per mille; oggi più
che mai va recuperato invece
il rapporto con le chiese locali, dove è bello sentirsi
protestanti come quando vediamo un culto televisivo o
leggiamo un giornale che
parla di noi.
I deputati alle Conferenze
distrettuali e al Sinodo possono (devono) richiedere una
maggiore attenzione su temi
meno esteriori e più legati
alla vita interna delle chiese
locali: non perché si voglia
un ripiegamento interno, ma
perché le chiese sono e rimangono, prima delle opere
(pur importantissime), dei
mezzi di informazione, dei
libri, il luogo in cui i credenti si ritrovano all’ascolto della Parola. Certo, dobbiamo
nuovamente imparare a cantare, pregare, dire qualche
volta che i sermoni vanno
preparati con maggior attenzione da parte dei pastori e
non all’ultimo momento perché ci sono mille altre cose
da fare.
Attendiamo con speranza
la prossima pubblicazione
del lezionario dei Fratelli
moravi, un modo, ci auguriamo, di avvicinarci alla lettura della Parola. Ma soprattutto non lasciamo soli i pastori
a risolvere i problemi.
Italo Pons - Roma
Helsinki, a proposito dei diritti umani. Tuttavia Pico della Mirandola si fece vestire
da domenicano per la sua sepoltura. Nel mondo latino
sembra che tutto, con il tempo, debba rientrare e normalizzarsi.
Rimane l’interrogativo sulla coerenza e sulla libertà.
Guardando ai cinquant’anni
che ci stanno davanti, abbiamo tutti i motivi di chiederci,
su base storica, quale sarà la
condizione di quei movimenti che abbiamo visto accendere il mondo latino con
grandi speranze di rinnovamento: la teologia della liberazione, il dissenso, le comunità di base, i preti che hanno
scelto il matrimonio e tutti
quelli che hanno voluto non
tener conto della «Humanae
vitae».
Loretta Zerbon - Roma
Riforma
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Riforma è il nuovo titolo della testata La Luce registrata dal Tribunale di Pinerolo con il n. 176
del 1' gennaio 1951, responsabile Franco Giampiccoli. Le modifiche sono state registrate
con ordinanza in data 5 marzo 1993.
Il numero 1 del 7 gennaio 1994 è stato consegnato per l’inoltro postale all’Ufficio CMC Nord,
via Reiss Romoli 44/11 di Torino mercoledì 5 gennaio 1994.
Grazie
dall'Uruguay
Care sorelle e cari fratelli;
l’estate è passata con le sue
vacanze e voi siete di nuovo
a casa o al lavoro; speriamo
che tutti voi abbiate avuto il
riposo necessario per ritrovare nuove forze. Anch’io sono
a casa dopo il mio bel giro in
Italia, un’esperienza formidabile: è arrivato il momento di
esprimere la mia gratitudine
a Dio per questo regalo e di
ringraziare tutti voi che in
una forma o nell’altra avete
contribuito a rendere possibile questo viaggio.
Penso all’ospitalità delle
famiglie che hanno aperto la
loro casa, alle Unioni femminili, dove ho sentito un’accoglienza personale e per il
messaggio che portavo. Insieme abbiamo vissuto momenti di vero incontro con
molta allegria; penso anche
ai pastori che hanno approfittato dell’occasione per farmi
conoscere le loro comunità,
che mi sono molto piaciute.
Il viaggio è stata anche una
maniera di dialogare sul Decennio: il concetto di solidarietà è stato ben presente nel
pensiero e nell’azione. La
mia partecipazione in diversi
incontri sul Decennio insieme a pastore e teologhe mi
ha permesso di verificare
l’interesse che le donne delle
chiese italiane hanno in questo senso. Tanto loro quanto
me siamo convinte del bisogno di incoraggiare cambiamenti e rinnovamento nei
Il clic
di prima pagina
Il volto dell'Indio guarda
lontano: al di là degli stereotipi che vogliono gli indigeni affascinati dalla
«magica» macchina fotografica, sembra che questi
indios centroamericani
ignorino l'interlocutore e
guardino ai monti, alle foreste, alle attività che erano abituati tradizionalmente a svolgere e che ora
sono in pericolo.
confronti della donna. Sono
tanti i graditi ricordi che conservo nella mia memoria.
Vorrei mantenermi in contât-,
to con tutti voi, ma devo anche ricordare lo sgradevole
incidente del furto, a Bari, in
cui ho perso il mio taccuino
di indirizzi: perciò, per comunicare, dovrete scrivermi
voi: io prometto di rispondere. Rimango in attesa di una
vostra comunicazione, in modo da non spezzare questo
bel rapporto che abbiamo iniziato.
Con affetto
Julia Campos Parise
Juan CabaI 2711/6
11600 Montevideo
Uruguay
La Repubblica
di Salò
Anch’io fui chiamato alle
armi giovane e anch’io ho il
nastrino con 4 stellette, una
delle quali conferitami per il
fronte russo, in cui imparai a
conoscere i nazifascisti e
un’altra invece a causa della
«Repubblichina di Salò», per
la lotta di Liberazione.
Per prima cosa contesto la
definizione di «guerra civile»
attribuita alla lotta che abbiamo sostenuto contro le truppe nazifasciste e i loro soci
ideologici che nella lotta avevano poco peso in quanto
non soldati ma criminali
sguinzagliati dai militari tedeschi principalmente contro
i civili.
G. Petti, nella lettera «I
giorni della guerra» {Riforma
del 31 dicembre), impiega tre
quarti del suo scritto a elencare misfatti compiuti da partigiani che non sto neppure a
smentire perché è la prima
volta che li sento e mi paiono
parti di fantasia: un fatto avvenne nel Bellunese, gli altri
in Lombardia, nel Veneto, in
Liguria e, il più vicino a noi,
a Vercelli in cui i partigiani
garibaldini avrebbero portato
ben 75 soldati repubblichini
all’ospedale psichiatrico e,
sempre secondo Petti, «orrendamente torturati» (in
quanto a tortura ha mai sentito parlare di «via Asti»?).
Io non sto a raccontare fatti
tragici che non si possono
controllare, ma invito a chiedere a persone anziane che
hanno vissuto, durante la
guerra, i fatti criminali che
commisero i fascisti pubblicamente e senza nessun ritegno. Molti sono i paesi che
furono bruciati e compietamente rasi al suolo dopo l’eccidio degli abitanti: uno per
tutti, Boves. Partigiani furono impiccati anche a Torre
Pellice e a Torino e a guerra
terminata; il 30 aprile 1945
12 miei compagni venivano
uccisi e poi orribilmente
martoriati in frazione Garino
nel Comune di Vinovo (To).
Altre cose tremende hanno
compiuto i fascisti nella nostra regione e nelle altre. E a
testimoniare di questi fatti ci
sono le lapidi con i nomi dei
giovani martiri e i parenti che
non possono dimenticare. Invito il sig. Petti a leggere il
«Diario di Leletta», e così
forse comincerà a cambiare
idea. Se vi fu qualche ritorsione da parte di qualche partigiano, ciò avvenne in conseguenza dei dolori e dei lutti
che la sbirraglia (per me non
soldati) della Rsi aveva loro
inferto in assenza di provocazione.
Noi ora cerchiamo di perdonare ma crediamo giusto
non dimenticare, anzi pensiamo sia nostro dovere ricordare sempre affinché fatti simili
non si verifichino mai più e
inoltre non possiamo sopportare le calunnie di persone
prevenute e ignoranti.
Lionello Gaydou
Moncalieri (To)
Appelli
sbagliati
Approvo totalmente quello
che scrive il sig. Giancarlo
Sabbadini, nella Pagina dei
lettori del 24 dicembre sotto
il titolo «Niente appelli». Anch’io sono rimasto molto deluso e amareggiato, tanto più
che sono anche membro della chiesa luterana. Trovo veramente strano che i vari firmatari apertamente facciano
appello a votare per il candidato sostenuto dai comunisti
perché l’altro candidato era
sostenuto dai fascisti, partito
che avrebbe fatto tanto male
all’Italia.
Possibile che i firmatari
non sappiano che cosa è successo nei paesi comunisti,
cosiddetti «progressisti»?
L’Albania, la Romania, la
Polonia, la Germania dell’
Est, la Russia stessa non hanno insegnato niente? Altro
che paesi con un governo
progressista. Dopo il crollo
del muro di Berlino si è visto
che questi paesi erano economicamente indietro di almeno 50 anni. E i milioni di vittime di Stalin e compagni solo per essersi opposti a detti
governi «progressisti», per
non parlare delle persecuzioni religiose?
Sia ben chiaro, non è che
io sia fascista e difenda il fascismo, sono contrario a tutte
le dittature; ma che si inviti a
votare per un candidato sostenuto da partiti comunisti
che a loro volta hanno distrutto i paesi che comandavano, questo veramente è
stato per me un duro colpo,
che mi fa molto riflettere. Visto che tutti e due i regimi,
sia quello fascista che quello
comunista negavano la libertà e hanno sulla loro coscienza molte vittime, penso
che sarebbe stato meglio non
scrivere niente e lasciare votare secondo la propria coscienza, come scrive il sig.
Sabbadini.
Leonardo Boeri - Sanremo
RINGRAZIAMENTO
«Il Signore è il mio pastore:
nulla mi mancherà»
Salmo 23, 1
La moglie e i familiari di
Ugo Bounous
riconoscenti per la grande dimostrazione di stima e di affetto
tributata al loro caro, ringraziano
di cuore tutti coloro che con presenza, fiori, scritti, parole di
conforto e opere di bene hanno
preso parte al loro grande dolore.
Un ringraziamento particolare
al dott. Maina, ai medici e personale dell'Ospedale valdese di Pomaretto, al pastore Tom Noffke,
al vicini di casa e agli amici.
Le gentili offerte pervenute saranno devolute all'Ospedale valdese di Pomaretto.
vaiar Perosa, 23 dicembre 1993
RINGRAZIAMENTO
«Venite a me, voi tutti
che siete travagliati ed aggravati,
e io vi darò riposo»
Matteo 11, 28
I familiari della cara
Marta Clot ved. Peyronel
riconoscenti, esprimono profonda gratitudine a tutte le persone
che hanno manifestato la loro sollderietà in questi tristi momenti.
Un ringraziamento particolare
al dott. Cavallero, al personale
dell'Ospedale valdese di Pomaretto, al prof. Claudio Tron e alla
dott.sa Taraselo.
Chiotti di Riclaretto,
29 dicembre 1993
RINGRAZIAMENTO
«Le tenebre stanno
passando e la vera luce
già risplende»
I Giov. 2, 8
I familiari di
Bruno dalla
di anni 67
esprimono sincera gratitudine a
chi con scritti o presenza ha partecipato al loro dolore.
Ringraziano inoltre I pastori
Bellion, Davite e GardioI; I medici
e il personale infermieristico dell'Ospedale valdese di Torre Pellice; i dottori Campra e Marinaro; il
personale infermieristico dell'UssI
43; l'Associazione alpini di Luserna San Giovanni; il signor Dino
D'Alessandro, la signora Ida Benech e tutti i vicini di casa.
Lusema San Giovanni,
12 gennaio 1994
16
PAG. 12 RIFORMA
venerdì 14 GENNAIO 1994 ^
Dopo il rinvio della data d'inizio del ritiro delle truppe israeliane da Gaza e Gerico
Deve ancora iniziare la fragile e difficile pace
tra i due popoli delPunica terra di Palestina
JEAN-JACQUES PEYRONEL
LJ anno 1993 si è chiuso
deludendo le attese e le
speranze nate il 13 settembre, a Washington, dopo la
firma della Dichiarazione di
principi riguardante Gaza e
Gerico. La data stabilita del
13 dicembre per l’inizio del
ritiro delle truppe israeliane
dai territori in questione non
è stata rispettata, così come
non è stato rispettato l’espediente del rinvio di dieci
giorni. Intanto le notizie
giunte in queste ultime settimane dal Cairo, da Parigi, da
Tunisi e da Gerusalemme
suonano come una drammatica conferma dell’estrema
difficoltà di far decollare il
processo di pace tra israeliani
e palestinesi dopo 45 anni di
odio, di violenze e di guerre.
Come già si poteva temere
all’indomani della storica
stretta di mano tra Rabin e
Arafat, stanno venendo puntualmente al pettine i nodi
sui quali l’accordo di Oslo
aveva sorvolato: la sicurezza
dei confini, la sovranità palestinese sui territori hberati, la
sorte degli insediamenti
israeliani in Cisgiordania e a
Gaza, il destino dei profughi
palestinesi (in particolare
quelli del 1948), senza parlare della delicatissima questione di Gerusalemme. In
queste condizioni, già si prevede che la data del 13 aprile
’94 per il ritiro definitivo
delle truppe israeliane non
verrà rispettata.
Ma è giusto affermare, come fanno alcuni osservatori,
che la scommessa della pace
è già stata persa? Nei loro discorsi a Washington, sia Rabin sia Arafat avevano affermato che è più difficile vincere la pace che la guerra,
proprio perché la pace si fa
con i nemici. Dopo l’euforia
dei primi giorni, però, gli
estremisti dei due campi hanno mantenuto purtroppo il loro impegno di far di tutto per
impedire la messa in atto della dichiarazione di principi e,
finora, sembrano esserci riusciti. A fame maggiormente
le spese è il leader dell’Olp,
Yasser Arafat, sempre più
isolato non solo aH’interno
dei territori occupati ma anche all’interno dell’organizzazione.
Molti dirigenti di prestigio,
come Haydar Abdel Sbafi,
ex capo della delegazione palestinese ai negoziati di Madrid e di Washington, e Hanan Ashrawi, ex portavoce
dei negoziatori palestinesi,
hanno ormai preso nettamente le distanze dal leader
palestinese, accusato senza
mezzi termini di aver tradito
la causa palestinese e di portare avanti una politica personale in modo autoritario e
antidemocratico.
Com’è noto, questa debolezza oggettiva del leader palestinese era stata una delle
cause principali dell’inatteso
accordo di settembre. Ma ora
alcuni giornali israeliani attribuiscono al primo ministro
israeliano Rabin l’intenzione
calcolata di giocare deliberatamente su questa crescente debolezza. «Itzhak
Rabin ha voluto trarre il massimo profitto tattico dall’attuale posizione di debolezza
di Yasser Arafat. Tutto ciò
era accuratamente pianificato» scriveva il noto quotidiano Haaretz, proprio il 13
dicembre scorso. E aggiungeva; «Contrariamente a Shi
Giovani palestinesi di Gerusalemme manifestano per ia pace: la pace diventerà reaità nei 1994?
mon Peres, il quale raccomandava di dare una mano a
Arafat per assicurare la sua
posizione e rafforzare il processo di pace, Itzhak Rabin
ha scelto deliberatamente
l’approccio opposto, in modo
da ottenere il massimo sulle
questioni legate alla sicurezza». Lo stesso Shimon Peres, nel suo recente libro intitolato «Le temps de la paix»,
(uscito in Francia a metà
dicembre), riconosce che
«tutto è cambiato quando
dietro il conflitto israelo-arabo si è profilata l’ombra del
fondamentalismo islamico» e
che quindi è ora di mettersi
d’accordo con una Olp molto
indebolita.
Ma proprio in questo libro
colui che viene riconosciuto
come l’artefice dell’accordo
di Oslo rivela il suo sogno,
che va ben al di là degli attuali negoziati con l’Olp:
quello di una nuova era di
pace e di cooperazione per
l’intero Medio Oriente e che
quindi include una soluzione
positiva dei rapporti con la
Giordania (parla nuovamente
di confederazione, un’idea
che sembra ormai condivisa
dallo stesso Arafat), e con la
Siria di Assad, il politico mediorientale che più è in grado
di condizionare l’evolversi
della situazione, forte del suo
assoluto controllo sul Libano
che gli viene riconosciuto sia
da Israele sia dagli Usa.
Non è un caso che proprio
nel momento in cui il processo di pace israelo-palestinese
stenta a decollare, il Segretario di stato americano, Warren Christopher, si sia incontrato più volte sia con Assad
sia con Hussein di Giordania.
11 che provoca in non pochi
dirigenti e intellettuali palestinesi reazioni di forte risentimento nei confronti di
Israele che, a loro parere, pur
di garantirsi la propria sicurezza, tenterebbe di giocare
la carta palestinese come
passaporto per ottenere la
cooperazione economica e
penetrare così sui mercati dei
paesi arabi confinanti.
Intanto, venerdì 17 dicem
bre ’93, il vicepresidente della Banca mondiale per il Medio Oriente e il Nord Africa,
Caio Koch-Weser, ha annunciato che i donatori (paesi e
istituzioni) si erano impegnati a versare nel 1994 570 milioni di dollari di aiuti alle
popolazioni palestinesi di Cisgiordania e Gaza. Tale somma è superiore all’importo
stabilito (2 miliardi di dollari
in cinque anni) durante la
conferenza dei paesi donatori
che si era svolta a Washington il 1° ottobre scorso. In un
primo tempo, parte di questi
fondi verranno investiti nella
ricostruzione delle infrastrutture di trasporto e di distribuzione di elettricità e di acqua,
in particolare nella striscia di
Gaza. Di fronte all’impasse
politica in cui sembra essersi
nuovamente arenato il processo di pace, questo intervento socio-economico per la
ricostruzione e lo sviluppo
dei territori occupati potrebbe dopo tutto essere di buon
auspicio per Tanno appena
iniziato.
Denuncia del Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite
In Turchia la tortura sistematica
è diventata un^abitudine
Il Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite ha accusato la Turchia di praticare
la tortura «sistematicamente». Controlli effettuati nel
paese, conversazioni con
centinaia di testimoni, funzionari statali, poliziotti e
membri di organizzazioni per
la difesa dei diritti umani lo
hanno dimostrato «senza ombra di dubbio». Questo ha affermato il presidente della
commissione di esperti, Joseph Voyame, il 19 novembre a Ginevra, durante l’undicesima seduta del comitato.
Nonostante alcune misure
prese dal governo turco niente è cambiato per quanto riguarda la pratica della tortura
in diverse località poste sotto
la giurisdizione del ministero
dell’Interno. Il rapporto che
contiene queste accuse verrà
inoltrato all’assemblea generale dell’Gnu.
11 comitato sottolinea nella
sua relazione che non si tratta
affatto di casi isolati ma che
ciò avviene «in modo massiccio, intenzionale, ed è diventato un’abitudine». Il governo turco naturalmente respinge le accuse, mar il comitato gli ha chiesto di attuare
un programma per la eliminazione della tortura e di
creare una commissione indipendente di avvocati, medici
ed esperti, ai quali sia garantito l’accesso alle carceri e ai
luoghi dove la polizia conduce gli interrogatori.
In particolare è stato chiesto che le persone interrogate
non siano bendate, che ogni
inquisito possa disporre di un
avvocato, e che questi possano accedere con facilità alle
prigioni. Secondo il rapporto
il governo turco avrebbe promesso di eliminare le cosiddette «bare», celle singole di
60 per 80 centimetri, senza
luce e con insufficiente aerazione, dove i prigionieri possono stare solo in piedi o in
ginocchio.
Durante la seduta, che è
durata due settimane, il comitato ha esaminato la situazione di diversi altri paesi
(Paraguay, Polonia, Ecuador,
Portogallo, Cipro, Egitto),
dai quali sono pervenute precise segnalazioni di gravi
violazioni dei diritti umani.
Secondo Bent Sòrensen,
esperto in questo particolare
settore, sono oltre 70 i paesi
nei quali la tortura è praticata
con il consenso dei rispettivi
governi. Finora solo 79 stati
hanno firmato la convenzione contro la tortura. E comunque in ogni parte del
mondo la polizia userebbe un
comportamento brutale nelle
inchieste e negli interrogatori. (Epd)
Da 4 anni, nel nord-est della Thailandia
Un monaco buddista J
lotta per la foresta «
YESHUA MOSER
Phra Prachak è nato in una
povera famiglia nel centro della Thailandia; come
molti giovani di questa regione non ha mai terminato le
scuole elementari; ha lavorato come operaio nella costruzione di strade. Dopo essere
scampato alla morte in una
rissa tra ubriachi, fece voto di
diventare monaco. Iniziò così
lo studio del dhamma (l’insegnamento buddista) come un
tradizionale i (monaco itinerante della foresta). Ha viaggiato a piedi per quindici anni
ed è stato testimone del crescente diboscamento delle foreste della Thailandia. Si è
dedicato ai metodi tradizionali di meditazione nella foresta, come insegnato dal
Buddha 500 anni fa, e allo
studio di kaya , l’essenza della realtà fisica.
Nel 1989 Phra Prachak arrivò a Dong Yai, una foresta
di 1.200 acri nel nord-est della Thailandia. Era preoccupato dal fatto che vedeva gli
abitanti del villaggio costretti
dalla povertà ad abbattere gli
alberi per fame legna da ardere. II taglio degli alberi illegale di questo tipo è costato alla Thailandia T80% delle sue foreste negli ultimi 20
anni. Gli abitanti del villaggio lo incoraggiarono a fermarsi lì e a fondare un monastero; accettò, ma a una condizione: che essi avrebbero
dovuto aiutarlo a proteggere
la foresta.
«Da Sapatburi fino ai confini con il Laos la foresta è
molto fragile - disse Phra
Prachak - non possiamo
aspettarci che i funzionari
governativi cambino la situazione perché ne traggono
profitto. Dunque è compito
dei monaci buddisti». Sentì
che era suo dovere proteggere la foresta di Dong Yai. Ma
come riuscire a spiegare ai
contadini l’importanza di
proteggere a foresta? Phra
Prachak decise di ordinare
gli alberi. Tradizionalmente i
tailandesi legano le tonache
gialle intorno agli alberi consacrati, per mostrar loro rispetto e per proteggerli. Quasi 2.000 persone presenziarono all’ordinazione durante la
quale le tonache gialle, donate da molti monasteri, furono legate intorno agli alberi più grossi. Per coinvolgere
tutti, Phra Prachak invitò i
contadini più anziani a tessere una corda bianca consacrata del tipo di quella che
tradizionalmente viene legata
ai polsi dei supplicanti come
una benedizione; i più giovani poi la passarono attorno
a tutta la foresta.
Durante l’ordinazione, Phra Prachak spiegò come la
foresta rende pulita l’aria e
l’acqua e di come la foresta
sia necessaria per la pratica
dei monaci. Raccontò come
il Buddha raggiunse l’illuminazione e trascorse molto
tempo nella foresta e come i
buddisti debbano compiere
azioni di generosità nei confronti degli altri, inclusi piante e animali. Chiese ai contadini di preservare Dong Yai
per preservare il buddismo.
L’ordinazione fu un successo: nessun albero venne
più abbattuto dai contadini.
Ma Phra Prachak andava
incontro a un conflitto con i
militari. Con una mossa che
intimidì molti tra i contadini,
l’ufficiale che comandava la
zona ordinò a tutti i suoi uffi
ciali di non aver più nessun
tipo di rapporto con Samnak
Son, il monastero di Phra
Prachak. Quando Phra Prachak si recò dalle autorità locali con un tale che i contadini avevano sorpreso mentre
tagliava un albero, non venne
preso alcun provvedimento.
Mentre il monaco stava celebrando nel suo tempio una
cerimonia, vennero sparati
colpi di mitragliatrice.
«Ci furono molte pallottole
e bombe sparate contro il posto in cui io mi trovavo raccontò Phra Prachak - senza le lettere dall’estero e la
solidarietà internazionale,
non sarei sopravvissuto fino
ad oggi». Degli alberi furono
tagliati in modo da cadere sul
suo tempio. Nel 1991, dopo
il colpo di stato dei militari
in Thailandia, Phra Prachak
fu arrestato per le sue proteste contro la distruzione di
alcuni villaggi da parte dei
militari. I soldati impiegarono dei trattori per scacciare i
contadini dalla loro terra, per
utilizzarla poi per piantare
eucalipti.
Phra Prachak è stato anche
picchiato e imprigionato per
aver guidato un gruppo ambientalista locale di 400 persone in un villaggio dove le
coltivazioni erano state tutte
distrutte dai militari. Quando
la cauzione fu pagata dai
suoi sostenitori, si nascose
per un certo periodo dopo essere stato minacciato di essere smonacato.
L’anno scorso, in un drammatico tentativo di privare
Phra Prachak dei suoi sostenitori, i militari tailandesi lo
hanno arrestato e hanno poi
distrutto il suo tempio e il
villaggio che sorgeva lì vicino. Adesso ha ricostruito il
suo tempio nello stesso posto, ma deve camminare per
sei chilometri ogni giorno
per fare la questua e ricevere
il cibo.
L’abate provinciale che
all’inizio aveva appoggiato
Phra Prachak ha ritirato il
suo aiuto per le pressioni ricevute. A livello provinciale
tutto ciò che riguarda la religione e le foreste è sotto il
controllo dei militari. «Vasti
interessi sono al di sopra dei
militari» sostiene Phra Prachak. Attualmente deve recarsi quattro volte il mese
davanti al tribunale per rispondere delle accuse di sovversione che gli sono state
mosse. Quando gli si chiede
che cosa farebbe nel caso
perdesse la sua causa, Phra
Prachak sorride e risponde:
«Questo riguarda il futuro, io
ho fatto una buona azione e
lascio il futuro a se stesso. Il
potere dei militari, al momento, è così forte che nel
paese nessuno pensa che si
possa fare qualcosa e perciò
tu devi fare qualcosa con la
tua mente».
Alcuni monaci hanno iniziato ad ordinare alberi in altre province. Phra Prachak
consiglia ai monaci attivisti
di insegnare prima il dhamma e poi «la giusta azione seguirà».
Alla domanda su come la
gente dovrebbe rispondere
alla deforestazione, risponde:
«Si deve far crescere la consapevolezza tra la gente
delTimportanza delle foreste.
La foresta è un fattore di
equilibrio, se perdiamo le foreste il mondo sarà squilibrato. Si deve imparare sulla nostra reale connessione con la
foresta».
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