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Roma, 6 Marzo 1909
Si pubblica ogni Sabato
ANNO II - N. 10
LA LUCE
Propugna gFinteressi sociali, morali e religiosi in Italia
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ABBONAMENTI
Italia : Anno L. 3,00 — Semestre L. 1,50
Estero : » » 5,00 — « « 3,00
Un numero separato Cent. 5
I manoscritti non si restituiscono
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Direttore e Amministratore : B. Celli, Via Magenta 18, Roma
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J2a @Bie$a Valdese secondo il i^adrc Marioli
Colloquio deU’Ex gesuita col Sorani del « Nuovo G-iornale » di Firenze
Il simpatico Nuovo Oiornale di Firenze pubblicava, il 26 febbraio, il seguente articolo, che ci facciamo lecito di riprodurre a parola :
...Una stanza qualunque con un canapè ingombro
di giornali tra cui spicca la fascetta gialla del Nuovo,
con molti libri allineati in scaffaletti semplici lungo
le pareti, con accanto alla finestra un tavolino minuscolo su cui molte lettere restano spiegazzate, una
stanza qualunque; ma quando vi entra Giorgio BartoH,
Pex-gesuita, l’ex redattore della Civiltà Cat.oliea,
m’accorgo subito che egli non è, no, un uomo comune.
11 volto dai lineamenti recisi, dagli occhi vivacissimi
pieni di decisione, la persona eretta e ancor giovanile
nelle mosse ardenti rivelano una vita di combattitore,
rivelano l’uomo che ha laxo|»tOj^vviaggiato,.predicato
con nn solo scopo in tutti gli anni e in tutti i paesi :
quello d’essere se medesimo ; l’uomo che finalmente
si è liberato dall’ingombro degli altri uomini che
l’opprimevano e crede'oggi d’essere giunto alle rive
della sua vera religione e di incominciare da oggi
la sua vera missione.
Giorgio Bartoli mi Concede il permesso di riferire
ai lettori del Nuovo Giornale alcune delle belle cose
ch’egli ebbe a dirmi. IL Nuovo Giornale gli piace .per
le idee democratiche, che son difese nelle sue colonne
e per l’interesse con cui esso si occupa di tutti i problemi della vita religiosa. Egli me ne parla con vero
amore, sul punto d’aprirsi con me intorno a quella che
è stata la tragedia della sua vita intellettuale prima
che egli si decidesse ad abbandonare la compagnia
di Gesù sul punto di continuare a Firenze e a Roma
quella serie di conferenze sulla religione che ha intrapresa già da qualche tempo e che certamente desterà,
intorno a questa non ultima o minor vittima della
reazione di Pio X contro il modernismo, non comuni
odi ed amori. Quel che il Bartoli vuole intraprendere
è un vero e proprio apostolato, con la parola come
con gli scritti. Il suo volume sulla Religione degli
italiani, una satira mordace, una requisitoria arguta
e violenta contro i costumi clericali, ha aperto la
campagna che sarà tenacemente e ardentemente condotta.
— Quel che intendo di fare ? —mi dice l’ex padre, Bartoli. — Predicare, predicare il Vangelo. Lo predicherò
nelle sale, nei tempi, degli evangelici, nelle piazze se occorre, ma lo predicherò'^sempre e il meglio che posso.
Per questo sono nato, per questo fihe solamente rinunciai da g ovane ad ogni speranza terrena, per consacrarmi a Gesù e al Vangèlo. Io sono convinto che il
mondo moderno ha bisogno, oggi più che mai, di
verità, chiara, netta, intera; ed ho l'intenzione di essere ora e sempre il predicatore della verità. Confido
che Dio sarà con me e mi aiuterà nell’impresa difficile.
— E che risponderà Ella alla Chiesa ufficiale che le
contesta il diritto di predicare e le dice che « nessuno
l’ha mandato »?
— Le risponderò che Gesù non diede solo ai suoi
apostoli il mandato di p^redicare il suo messaggio,
ma lo diede a tutti i suol seguaci fra i quali sono
anch’io benché la chiesa di Pio X non voglia
riconoscermi per tale. Gesù ha fondata una fratellanza;
non ha istituito una burocrazia. Questa è d’origine
umana, non divina. Io appartengo alla prima e rigetto
semplicemente la seconda.
— Ma dunque, è vero. Ella non è più cattolico !
— Cattolico alla stregua di Roma non lo sono certamente più. Cattolico romano significa uno che ritiene
il papato una istituzione ' spirituale e di origine
divina: io invece lo considero il frutto di una vera e
propria evoluzione umana, prodottasi lungo il corso
dei secoli per ragioni storiche e coll’ aiuto dei tre
Concilidi Firenze, di Trento e del Vaticatfo. Per me
il Papato è una usurpazione contro l’autorità dei
vescovi e la volontà del rimanente popolo cristiano...
Sì ha continuato Giorgio Bartoli e riferisco esattamente le sue parole—la Chiesa di Romanen è tutta
la Chiesa ma una parte. Quando questa parte pretende di essere tutto il cristianismo e di governarlo
dispot-icamente io-grido : Alto l*à ! Voi non avete questo
diritto! Gesù ha fondato una democrazia, non ha
stabilito un impero assoluto, una tirannia. Del resto,
gli evangelici hanno maggiori diritti a chiamarsi cattolici che non i cattolici romani. Secondo la frase di
Vincenzo di Lerino scrittore del secolo sesto: • nella
chiesa cattolica si deve curare sopra ogni cosa di professare quella fede che fu creduta da per tutto, sempre e da tutti, imperocché questo propriamente importa l’essere e la ragione di cattolico. > A questa
stregua, quindi, i veri cattolici sono gli Evangelici e i
cattolici romani sono eretici e scismatici perchè professano, contro il resto dei cristiani, dogmi e credenze
che non furono credute da per tutto, sempre e da
tutti. Fra questi dogmi uno dei principali è la supremazia spirituale del papato; Il criterio di Vincenzo
di Lerino, accettato, da tutta l’antichità cristiana, è il
mio programma. Io distingu.o nel cristianesimo tre
forme : la forma cattolica secondo il Vangelo, l’individualista, la politico-cesarea. La prima forma è quella
che corrisponde alla nozione del cristianesimo primitivo, la seconda è il protestantesimo eccessivo ed
estremista, la terza s’identifica col clericalismo....
— Ma in Italia crederanno, diranno ancora i capi
della chiesa ufficiale e la comune dei nostri compatrlotti, oh’ Ella non sia altro che un protestante....
— Mi chiamino pure come vogliono. Non mi interessa
nulla del mondo e non ho paura del nome di protestante. Ma le prometto che sarà mio special compito
in avvenire il far comprendere ai nostri compatriotti
la verità delle tre forme di cristianesimo di cui le
parlo...
— E quale atteggiamento vuol Ella assumere di
fronte ai clericali ?
— Un atteggiamento semplicissimo. Essi mi ignorano?
Ed io ignorerò loro! D’altra parte io non faccio questione di persone ; ma di idee. Io mi sono ribellato al
sistema inumano, tirannico, non alle persone le quali incarnano e difendono quel sistema senza nemmen sapere
a volte fino a qual punto esso violi la libertà umana...
— E quali sarebbero, dunque, i suoi ideali religiosi ?
— Un franco ritorno alla semplicità, alla libertà del
cristianesimo primitivo nel quale io vedo la salute del
mondo moderno e la fortuna della futura democrazia.
Gli no mini hanno fabbricato in nome di Dio cento mila
catene religiose: spezziamole e ritorniamo alla libertà
antica. Badi bene: dico libertà, non licenza perchè
il vero cristianesimo significa osservanza delle leggi
di Dio. Quelli che sognano una riforma religiosa, la
quale non sarebbe che una distruzione dei dogmi
individuali e sociali dell’uomo, sono degli illusi, degli
ipocriti e nulla più..
— Ella non è « modernista » ?
— Non lo sono e non lo fui mai. Anzi sotto questo
rispetto mi schiero dalla parte dei cattolici più intransigenti. Il modernismo è un simbolo-fideismo che
praticamente distrugge il cristianesimo. In fondo in
fondo, esso è un ateismo larvato. Non si può essere cristiani senza accettare la trascendenza di Dio
nel cosmo, che i modernisti negano ad ogni piè sospinto. Io rigetto la filosofia, la teologia, l’esegesi
del modernismo....
Non volevo discutere col Bartoli; mi premeva di
conoscer direttamente le sue idee, i suoi propositi.
i‘ Gli- *0 ì'ri dibàttiti
sul modernismo, una domanda che mi premeva di
fargli : T ^ ’
— E’ vero Ch’Ella è passato alia Chièsa Valdese ?
— E’ verissimo ! Io tengo la Chiesa Valdese in
Italia per quella che più da vicino si accosta alla
forma della Chiesa primitiva e ho fatto, perciò, adesione a lei. Nè creda che io mi sia risoluto a questo passo
alla leggera. Prima di aderire alla Chiesa Valdese ho
studiato i suoi simboli di fede, ho voluto veder di
persona i suoi sistemi e i suoi metodi di governo e
conoscere i più dei suoi pastori. Dopo questo esame
sereno, spassionato e coscienzioso, mi sono convinto
che la Chiesa Evangelica Valdese rappresenta in Italia
il cristianesimo primitivo. E’ una Chiesa dove vive e
vibra la fede genuina, dove dominano la santità eia
libertà della vita. Di più la Chiesa Valdese è la vera
chiesa nazionale italiana edera già antica di parecchi
secoli quando Martino Lutero iniziò in Germania la
sua riforma. Noi Italiani, quindi, come in tante altre
cose, anche in questo abbiamo il primato, che cioè
presso di noi si vide assai per tempo la necessità di
far ritorno alla semplicità e alla libertà, del cristianesimo primitivo.....
Sapevo ormai quel che più desideravo di sapere e
interruppi il pugnace parlatore che mostra ancor nell’aspetto i segni della lunga educazione della Compagnia cui appartenne, per chiedergli qualche suo parere
intorno alla odierna lotta elettorale e al centro cattolico, questo famoso centro cattolico italiano che è
l’incubo o la speranza di tutti.
— Un partito cattolico? Oh ! ma è inevitabile allo
stato attuale delle cose. Lo avremo. Volente o nolente,
il papato avrà i suoi candidati e i suoi eletti. E' il
partito della mondanità quello che in Vaticano otterrà
il sopravvento ! Allora la lotta religiosa sarà anche
essa inevitabile! 11 Nuovo Giornale ha detto benissimo,
l’altro giorno. Se il Vaticano non avesse voluto i deputati cattolici, avrebbe dovuto sciogliere implacabilmente l’Unione elettorale cattolica. Ma il Vaticano e
il Papa non han potuto e non possono rinunziare ai
loro desideri temporali, a quei desideri consacrati
come diritti nei Concilii, in tutti i Concilii, per esempio
anche in quello del 1866, quando centinaia e centinaia
di vescovi riuniti a Roma dichiararono essere il potere
temporale, necessario per la S. Sede! E non sa che
nella Biblioteca Vaticana esistono un centinaio divolumi racchiudenti 1 pareri dei vescovi di tutto l’orbe
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LA LUCE
cattolico intorno sempre alla necessità del potere
temporale ? Il papa non può fare a meno del potere
temporale... ed avrà il suo bravo partito alla Camera,
inevitabilmente, malgrado le menzogne e le finzioni,
accettando i fatti compiuti per poterli meglio rendere
inutili...
Dalla veemenza e dall’accento di convinzione con
cui l’ex padre Bartoli mi parlava, scorgevo che le lotte
del mondo, che il mondo stesso lo interessano tuttavia,
in un certo senso... Il transfuga dalla Chiesa Cattolica
sente ancora che il mondo cattolico è il suo campo
di lotta e di lavoro.
— Oh ! lo lavoro molto — mi ha detto il gesuita
di ieri, serio e grave di esperienze e di conoscimenti
lontani — stan per essere pubblicati tre nuovi libri
miei, in varie lingue. In uno mi occupo del Cristianesimo e delle Chiese Cristiane, in un altro studio il
Cristianesimo primitivo, nel terzo raccoglierò alcuno
mie novelle orientali. Preparo poi anche un libro
d’argomento dantesco : alcune letture su Dante Alighieri e avrei tanto, tanto da pubblicare; per esempio
i miei studi di critica biblica che son qui già pronti
per la stampa.... eccoli....
E Giorgio Bartoli mi mostrava un pacco di cartelle
vergate dalla sua scrittura fine, elegante, nervosa.
Egli era sulla soglia della sua stanza, in piedi, un po’
fremente... hJon aveva più tempo. Era atteso per la
sera in una sala evangelica dove doveva parlare del
teosofismo, cioè... contro il teosofismo. E pareva un
uomo che stesse per uscire alla battaglia.
Aldo Sorani.
Il colloquio è stato benevolmente riprodotto in parte dal
Resto del Carlino di Bologna.
(iV. d. D.).
e in italiano. E così G. D. Turino, passò qaattr’anni
nella popolosa e pittoresca città dei Sultani.
Scoppiata la famosa guerra di Crimea (1853-54)
il giovane predicatore dell’Evangelo, richiesto a Napoleone III il brevetto di cappellano italo-francese,
partiva per il campo, con T animo bollente dal desiderio di portare la parola del conforto cristiano
ai feriti ; e là, su le terre della Crimea desolate
da la pestilenza, egli potè compiere atti nobilissimi
di abnegazione, vegliando per lunghi giorni e per
lunghe notti al capezzale dei morenti, e pagando il
fio... del suo eroismo con le cosidette « febbri d’ospedale » terribili, micidiali, eli’ egli contrasse, ma
che riesci a superare, conservandone tuttavia le
tracce — una mano un po’ rattratta — per tutta
la vita. Per più giorni in punto di morte, non si
rimise compiutamente se non dopo un lungo periodo
di convalescenza ; passato il quaU, gli fu necessario
rimpatriare.
G. D. Turino
Era nato aLuserna S. Giovanni, nelle Valli Vaidesi, il 22 giugno 1824, da madre pia, che allevò
i figlioli nel timor di Dio, lieta d’aver trovato specie
nel terzogenito (Giovanni Davide) un terreno adatto
alla semenza divina.
Entrato, quando non aveva ancor dieci anni, nel
collegio di Torre Pellice, piovanni Davide Turino
vi percorse lodevolmente tutte le classi ; e poi si
trasferì a Losanna in Isvizzera, per attendere agli
studi di filosofia e di teologia. A Losanna rimase
otto anni, avendo a maestri, tra gli altri, i celeberrimi Alessandro Vinet e Carlo Secrétan ; ch’egli
soleva sempre ricordare con ammirazione e con affetto riconoscente.
Tornò alle sue care Valli, ma vi fece breve dimora. Firenze, col suo bel cielo e con la sua jbella
lingua, r attirava ; e noi lo ritroviamo a Firenze,
ove studia con amore la lingua di Dante. A qne’
tempi non c’era libertà religiosa.
Due giovani amici, G. D. Turino e P. Geymonat,
tenevano, nascostamente, adunanze di culto iu case
private, mutando di continuo luogo, a deludere la
sospettosa vigilanza delle autorità granducali ; e le
persone desiderose di udir l’annunzio dell’Evangelo
venivano introdotte ad una ad una, nottetempo, per
una porticina segreta, dopo ch’era stato loro chiesto
la parola d’ordine convenuta. La prudenza allora
non era mai troppa ; sicché si ponevano ai vicini
canti delle strade dei giovani con l’incarico di far
da sentinella e di dar avviso, mediante un fischio,
se pattuglie di militi o birri s’avvicinassero. Quando
si udiva il fischio ammonitore, i lumi si spegnevano
e si stava quatti quatti fino a che il pericolo sembrasse passato.
Il Turino cambiava spesso di domicilio : e con
questa astuzia riesci a evitar la sorte che toccò
invece al suo collega ed amico Geymonat ; il quale
— com’è noto — fu catturato, e, dopo alcuni giorni
di carcere, mandato al confine coi gendarmi a fianco.
Addestratosi sufficientemente nella lingua italiana,
il Turino lasciò la città dei colli e dei fiori, e —
fatto ritorno alle Valli Valdesi — ottenne la consacrazione al S. Ministerio ; quindi accettò il posto
che gli veniva offerto di cappellano presso la legazione dei Paesi Bassi a Costantinopoli. A quell’ambasciatore, bapone van Zuylen, premeva d’aver un
pastore che fosse in grado di predicare in francese
Il Pastore G. D. Turino
Lo si mandò a Nizza — che in quel tempo era
città italiana — e quivi trascorse vari anni collaboratore di Leone Pilatte. Ed a Nizza il Turino fece la conoscenza di Colei che gli fu poi
compagn.1 devota e valente per quasi mezzo secolo,
assecondandolo sempre e con tutta l’anima nella
cura pastorale; di Colei che ora gli sopravvive a piangerne la dipartita.
Le peregrinazioni in lontani paesi non avevano
scemato nell’animo di Giovanni D, Turino l’affetto
per le sue care Valli native ; onde nessuna meraviglia che — quando gli fu offerto il posto di Pastore nell’alpestre parecchia valdese di Massello coronata di alti monti — l’accettasse con entusiasmo,
condneendo lassù, a quella vita di disagi e di sacrifizi,
la giovine sposa. Da Massello, nel 1860, scese a
Prarostino ; ma ci stette poco, e nell’anno seguente
lasciò le quiete vallate silenziose ove aveva tanto
lavorato, per affrontare fatiche anche maggiori nella
capitale della Lombardia, che aveva finalmente scosso
per sempre il giogo dell’ Austria, ed apriva le sue
porte anche ai banditori dell’Evangelo. Come gli aveva detto il presidente del Comitato, G. P. Revel,
egli era Tnomo più idoneo per l’opera più ardua e
più battagliera dell’evangelizzazione ; egli era l’nomo
che occorreva in quella città vivace e ardimentosa.
Eccolo dunque a Milano ; ove subito si dà attorno
per trovare una sala da trasformare in cappella ;
eccolo affaccendato a raccogliersi d’intorno i primi
uditori ; eccolo intento a predicare e a parlare « a
tempo e fuor di tempo » come 1’ Apostolo voleva.
Quale sia stato il suo ministerio in Milano, dicano
quei molti che ne fruirono per ventitré anni, compensandolo d’affetto sincero e riconoscente.
Nei primi anni specialmente della sua dimora nella
metropoli lombarda, non gli bastava l’ingente lavoro a cui s’era sobbarcato ; ma, pungendolo incessantemente il desiderio di abbracciare un più vasto
campo d’evangelizzazione, si recava fuori, a Pavia,
a Como e nei villaggi ridenti che ingemmano le
rive del più bel lago del mondo. Più volte in pericolo di morte, per il fanatismo delle popolazioni
tuttora ignoranti e aizzate da chi avrebbe dovuto
predicare la tolleranza e l’amore, scampò sempre in
grazia della sua arditezza e della protezione divina.
A Milano stessa, fuori le mura, assisteva un giorno
alla focosa predica d’un frate, che sproloquiava ad
aria aperta. Il frate fanatico lo ravvisò in mezzo
alla folla, e, mostrandolo a dito, si dié a gridare :
« Dàlli all’eretico ! dàlli all’eretico ! » Fn una pioggia
di pugni e di seggiolate, l’una delle quali, sarebbe
probabilmente riescita fatale al Turino, se una donna
evangelica con lestezza non ne avesse deviato il colpo.
Un’altra volta, da S. Fedele d’Intelvi, dove aveva
predicato, era sceso ad Argegno; ed ivi passeggiava
in su e in giù lungo la riva del lago, attendendo
la partenza del battello che lo doveva riportare a
Como ; quando a un tratto, cominciò una valanga di
enormi sassi che, dal monte, anime generose facevano
rotolar giù a schiacciare il predicatore dell’Evangelo,
l’eretico odiato. Per grazia di Dio, nessuno di que’
massi lo colpì. Si seppe dipoi che alcuni poveri ignoranti, tra cui il sagrestano, erano stati prezzolati
dal prete, a tentare il meritorio crimine. Fu istruito
un processo, i rei comparirono al banco degli accusati ; ma il Turino non si costituì parte civile, e
diede ad ognuno il più ampio perdono.
Tutte le chiese evangeliche valdesi della Lombardia
e del Veneto, sorte in quel giro di tempo, furono da
lui fondate, furono da lui coltivate, finché esse non
ebbero un evangelista proprio.
Intanto la Chiesa di Milano cresceva e si moltiplicava, cosi da rendere troppo angusta la sala, là
fuori di mano, di Piazza della Rosa, Un desiderio
vivissimo agitava in cuore il Turino : lasciar quella
sala ormai disadatta, e acquistare o tirar su da le fondamenta un tempio vero e proprio.
Molte volte il Turino era andato a coilettar per
l’opera d’evangelizzazione oltre le Alpi e la Manica,
in Olanda cioè e nella Gran Brettagna ; ma nel 1879
un più lungo viaggio egli intrapprendeva, poiché il
Comitato lo mandava fin negli Stati Uniti d’America,
ad attendere al medesimo faticoso ufficio. Negli Stati
Uniti per appunto, dopo aver fatto buona questua
pei bisogni generali, assenziente il Comitato, prolungava il suo soggiorno e riesciva a raggranellar
dollaro per dollaro Ìa somma necessaria a comprare
e a riadattare 1’ antichissima chiesa di S. Giovanni
in Conca, che sorgeva nel centro della città, a poca
distanza dal duomo, e che il Comune, voleva in parte
demolire per ampliar la strada e convertirla in piazzetta ; chè fin d’allora l’industre Milano sventrava,
come si suol dire, a tutto potere. Ma il vetusto
tempio era monumento nazionale, e conveniva conservarne intatta la facciata, che è davvero un gioiello
d’arte medievale di stile purissimo. Si poteva ottenere lo stabile a prezzo ragionevole, a patto tuttavia di redintegrare pietra per pietra la facciata a
quindici metri più indietro del luogo ove splendeva
nella sua schietta bellezza. E così si concluse, allorché il Turino, dopo tredici mesi di permanenza
in America, fu tornato con la somma occorrente per
l’acquisto e per i lavori convenuti.
Nel 1881 il tempio di S. Giovanni in Conca era
solennemente dedicato al culto cristiano evangelico.
Già da alcuni anni il signor Turino aveva seco
un collaboratore in persona del giovane pastore Paolo
Longo, che dipoi gli aveva a succedere e che al
presente dirige la nostra congregazione torinese di
lingua italiana ; sicché al laboriosissimo evangelizzatore riesciva ormai più facile l’assentarsi per
qualche tempo da Milano, e il darsi col suo ardente
entusiasmo a un’opera di propaganda sui generis,
che — se non erriamo — fu concezione originale
del Tarino stesso : intendiamo alludere all’opera del
« carro biblico » com’è stata chiamata, o della « carrozza biblica », come preferiremmo chiamarla noi,
perchè il veicolo di cui si tratta somigliava senza
dubbio assai più a una carrozza che a un carro 1
Con la sua carrossa biblica il Tarino se n’ andava
di città in città, di borgo in borgo; si fermava su
le piazze, nei mercati, nelle fiere ; apriva banco, vi
disponeva i suoi libri— Bibbie, Nuovi Testamenti,
volumetti contenenti un solo vangelo o il libro degli Atti Apostolici 0 un epistola, volumetti che con
termine non nostro, orribile e che sa di trattoria
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LA LUCE
lontano un miglio, taluno chiama porzioni della S.
Scrittura — e li, bel bello, vendeva e parlava, parlava
e vendeva, evangelizzando il Cristo. Quanti aneddoti comici oppure patetici e commoventi non raccontava egli di quei tempi avventurosi ! e quanto
stentava a capire coloro che credono di avvilirsi o
per lo meno di abbassarsi facendo opera di colportore, cioè di venditore ambulante di Sacre Scritture ! Egli acciuffava volentieri ogni occasione favorevole, che gli desse modo di far conoscere la
soave e santa Parola di Dio e di predicare la salvezza che proviene da Gesù Cristo, il figliol di Dio.
Nel 1884 non è più a Milano, ma a Genova; e
a Genova regge la chiesa, coadiuvato da più giovani
cooperatori, per una diecina d’anni, cioè fino al ’94
così all’incirca. Egli era settantenne, quando gli fu
affidata, come a riposarlo, la chiesa della vicina Sampierdarena ; ma Giovanni Davide Turino non era
uomo da riposarsi. A Sampierdarena lavorò, lavorò
alacremente con amore, con un amore profondo e
veramente commovente che gli veniva ricambiato
senza lesinature. Ne siam certi, a Sampierdarena si
sono sparse molte lacrime per la morte del nostro
venerando Fratello.
Quando, per ubbidire a legge inesorabile, egli dovette ritirarsi dal servizio effettivo, fu un colpo e
un gran dolore per lui, che si sentiva palpitare in
petto un cuore d’apostolo e nelle vene la forza d’un
giovanotto. Mai potè rassegnarsi al dolce far niente,
cosi detto ; e seguitò a visitare i suoi cari Sampierdarenesi, a esortarli, a consolarli, prendendo sempre
per sè una parte grandissima delle loro gioie e soprattutto dei loro dolori. Predicava ogni domenica
mattina in quella chiesa e nel pomeriggio teneva
una piccola radunanza presso questa o presso quella
famiglia, facendo cosi due gite nello stesso giorno ;
e dispensava vangeli e trattatelli in tram, per le
vie, dovunque, accompagnandoli sempre e per tutti
con una parola calda e convincente.
A Natale scorso, se ne tornava a casa tutto raggiante, mostrando con compiacenza commossa ai Congiunti un nuovo regalo artistico che i suoi cari e
fedeli amici di Sampierdarena gli avevano offerto.
La ^sua .fibra era così robusta, che pareva dovesse resistere salda e vigorosa per molti anni ancora. Ma non fa cosi ! Il 31 gennaio egli fu là, a
Sampierdarena, e vi predicò come di consueto. Ma
pochi giorni dopo, un malessere lo colse e s’ andò
aggravando, travagliandolo ; tanto che il 19 il nostro
Diletto entrava nel suo riposo, addormentandosi placido nel Signore ch’era tutta la sua speranza.
Egli aveva ottantaquattr’anni e mezzo.
Uua delle sue ultime parole fu questa : « Son
pronto a vivere, e sono pronto a morire ; confido
nel mio Signore Gesù ».
(Bingrasiamo di cuore la gentil persona della
famiglia, che ci ha favorito tutti guesti dati sul
nostro venerando collega ; dati che noi abbiam
fedelmente seguiti fan dopo l altro, e non di rado
a lettera).
/ funerali del Signor Turino
Ci scrivono da Genova :
La tiiste cerimonia del seppellimento del compianto pastore Davide Turino si compiè domenica nel
dopo pranzo appositamente per dar agio ai suoi numerosi amici di Sampierdarena di potervi assistere.
La salma, per ordine del Municipio, era già stata
trasportata a Staglieno nelle prime ore del mattino;
ma i funerali ebbero luogo alle ore 15, nella Cappella Mortuaria del nostro Cimitero Protestante.
Un fitto stuolo di parenti ed amici si trovava radunato nella Sala, raccolto mestamente intorno al
feretro ricoperto da innumerevoli corone, e tutte
quelle fisionomie dolorose esprimevano apertamente
tutto il rimpianto e la tristezza che incombevano
nel cuore di coloro che tanto l’amavano e che egli
tanto aveva amati.
Più di duecento persone erano raccolte attorno alla
bara del loro buon amico, e coi membri delle Chiese
di Genova e di Sampierdarena largamente rappresentate si confondevano molte persone a noi sconosciute; persone che egli aveva beneficate segretamente col suo aiuto materiale e morale, persone
che non appartenevano a nessuna delle nostre Chiese,
ma che avevano saputo la ferale notizia della morte
del loro benefattore ed erano accorse con dolorosa
sollecitudine per rendere l'estremo loro tributo di
affetto a colui che li aveva lasciati per sempre.
Dopo una preghiera di apertura, prese la parola
il signor Maranda (sostituto del pastore Rostan assente in Inghilterra) e brevemente accennò alla improvvisa morte del signor Turino ed alla sua vita
lunga ed attiva; cedendo quindi il posto al signor
Balmas, pastore di Sampiedarena. Egli, meglio di
ogni altro, poteva parlare dell’opera indefessa dell’estinto fino ai suoi ultimi momenti di vitalità e
di forza, e meglio d’ogni altro sapeva di quanto
amore’ e riconoscenza era stato oggetto il signor
Turino, il quale a Sampierdarena, più che altrove,
aveva sparso in questi ultimi anni i tesori della sua
benevolenza e della sua carità cristiana.
Ed il signor Balmas ci disse tutte queste cose con
parola calda ed affettuosa accennando ad aneddoti
caratteristici che dipingevano fedelmente la figura
buona del venerato Pastore.
Presero quindi successivamente la parola il comm.
A. Bert, amico di giovinezza del signor Turino, ed
il signor Comba, pastore della Chiesa Svizzera, ed
entrambi narrarono della vita di lui così ricca di
aneddoti interessanti e di opere utili all’umanità.
Poi la bara venne trasportata alla tomba; il signor Maranda disse un’ultima preghiera, e tutti
quegli amici che l’avevano accompagnato resero il
loro ultimo tributo di amore e di lagrime a colui
che certo già godeva la pace e la gioia suprema.
Egli è morto, ma ha lasciato dietro di sè una
ricca messe di opere imperiture ed il ricordo di lui
non verrà mai meno nei cuori che l’hanno amato.
Liborio Coppola
Nacque a Messina il 2 gennaio 1829 da Antonio
Coppola e da Maddalena Arifò ; e fin da T infanzia
dimostrò grande attaccamento allo studio. A ventidue anni era architetto. Dipoi fu tra i giovani siciliani che ottennero una borsa di studio presso la
scuola d’ Applicazione di Ponti e Strade a Napoli ;
e da quella egli usciva primo alunno ingegnere,
come primo era risultato agli esami d’ammissione
alla scuola stessa. Onde fu, nel luglio 1859, inviato
dal Governo napoletano a visitare i lavori di carenaggio di Malta, per riferire su di essi.
Subentrato il governo italiano a quello borbonico,
il Coppola nel 1861 fu inviato in Sicilia per gli
studi delle ferrovie sicnle, e in Sicilia rimase fino alr anno 1877, raggiungendo il grado di Direttore
delle Costruzioni in Caltanissetta, progettando e attuando gran parte delle opere che ane’ oggi si ammirano per l’elevatezza della concezione e per la
difficoltà dell’effettuazione.
Passato in qnell’anno al Commissariato Tecnico
in Avellino, con l’nfficio di soprintendente alla costruzione delle strade ferrate concesse all’industria
privata, ebbe modo di studiare un tracciato relativo
alla linea Isernia-Sulmona; tracciato che fu poi in
buona parte adottato da la Società per le strade
ferrate meridionali.
Nel 1879 dirigeva gli studi e la costruzione delle
strade ferrate Maceratesi; e, dopo aver compite opere che fanno fede del suo grande valore tecnico,
passava — nel 1887 — al servizio generale del
Gènio Civile quale ingegnere capo, prima a Campobasso, poi a Forlì; ove — nel 1893 — chiese il
collocamento a riposo per aver raggiunto i 40 anni
di servizio.
Nella sua lunga e varia carriera, egli fu amato
dai funzionari tutti che lo ebbero a capo, come un
padre è amato dai figli; sicché la sua dipartita da
questo mondo ha suscitato in quanti ebbero la fortuna di conoscerlo un po’ da vicino un sentimento
di verace dolore.
Ritiratosi a vita privata a Roma, si dedicò a lavori della sua professione ; ma ben presto egli rivolse la sua attività tecnica specialmente all’opera
cristiana evangelica, per la quale progettò e costruì
templi e cappelle, a Revere, a S. Lucia, a Schiavi
d’Abbruzzo, a Torino, a Felonica Po, ad Aosta, a
La Salle, a Como, e forse altrove ; non tralasciando
per questo di tener dietro alle quistioni tecniche
più attraenti, nè di portar ovunque e sempre la sua
parola antorerole.
Come scrittore d’articoli, rivelatori d’ una vasta
coltura, egli era noto anche ai Lettori della Luce.
Nell’interesse della capitale, il cav. Liborio Coppola si occupò pure in questi ultimi anni della Strada
Ferrata tra Roma e il mare.
Cultore esimio di letteratura, egli lascia parecchie poesie, di soggetto diverso, ma inspirate tutte
da un profondo sentimento cristiano, nel quale la
sua anima eletta trovava conforto e vita. Come saggio,
ci piace riprodurre in questo medesimo numero l’ode
intitolata Le mie care morte ; da la quale traspare
squisito affetto e fede incrollabile.
Studiosissimo dell’Alighieri, egli sapeva a memorie da un capo all’altro tutta la Divina Commedia,
e su di essa compilò una Chiave dantesca, la quale
meriterebbe di essere pubblicata.
Mite e dolce d’animo, Liborio Coppola non mancava di ardimento ; e, a’ suoi bei tempi, infiammatodall’amor del loco natio, aveva fatto il suo dovere
di patriotta congiurando. Cosi fu fregiato dalla medaglia commemorativa 1848 per la liberazione della
Sicilia.
Per alcuni anni — dal 1863 — consigliar comunale nella sua nativa Messina; quando, nel 67, la
sua diletta Isola fu turbata dagli orrori del colera,
egli — che conosceva personalmente Giuseppe Garibaldi, gli scrisse la lettera che più sotto trascriveremo, insieme, con la risposta dell’Eroe.
Questa, nei suoi tratti principali, la vita di quel
cittadino, di quell’alto impiegato, di quell’anima
buona che fu il cav. Liborio Coppola. Di lui, come
cristiano e come membro del Comitato d' evangelizzazione, scriverà qualcuno assai più di noi competente.
« L’integrità della vita », ecco la somma caratteristica di quell’uomo da bene !
Che lo si studi nella vita pubblica come in quella
privata, che lo si consideri nei suoi studi, nei suoi
lavori, nei suoi ideali politici come in quelli religiosi, la nota dominante che vibra e si ripercuote
tutto a lungo è ; * Liborio Coppola fu un uomo integro nelle sue vie ».
Allorquando, giunto alla metà circa del corso della
sua vita, la sua coscienza si trovò alle prese col
problema religioso non segui il comodo ma poco
degno procedere di tanti, scartandolo senz’altro, ma
si pose risolutamente di fronte ad esso e lo volle
onestamente risolvere.
Una predicazione evangelica, udita più di quarant’anni or sono, gli aveva fatto intravedere, quel
che fino allora non era stato ben chiaro alla sua
mente, cioè che all’infuori della forma romana del
Cristianesimo, ve n’era un’altra molto più conforme
a quella primitiva, alla apostolica, perèhè spoglia
delle scorie dello scolasticismo e delle superstizioni
medioevali : la forma evangelica.
A questo momento critico per l’anima sua, Liborio Coppola non tentennò, l’integrità che informò
tutta la sua vita si affermò in una maturata e ferma
decisione di abbandonare lo spurio pel genuino, di
schierarsi risolutamente per l’Evangelo !
Cosa ciò implicasse quarant’anni fa, in un paese
educato aU’intolleranza ed al fanatismo religioso,
ognuno di leggieri lo può comprendere. Liborio Coppola non gettò nel piattello della bilancia, a danno
della pace e della felicità deU’anima sua, gl’interessi mondani, a non nuotare contro corrente, a stare
nominalmente colla maggioranza ! L’integrità del suo
nobile cuore non gli permetteva finzioni di sorta,
4
4
LA LUCE
non gli concedeva di gabellarsi o di lasciarsi credere per nn divoto di Roma papale, qnando egli
sentiva d’essersi emancipato dalle pastoie di dommi
e riti a cui non poteva più dar fede e di avere parte
ormai alla gloriosa libertà dei figli di Dio, per essere stato affrancato da Cristo Gesù.
Liborio Coppola s’uni apertamente alla Chiesa
Evangelica Valdese, di cui divenne e dimorò membro
influente ed onorato, fino al momento in coi spogliato l’uman velo, l’anima sua eletta è stata raccolta nei tabernacoli eterni a godere la comunione
dei Santi.
L’ingegnere Coppola, nei riguardi del suo ufficio
e del posto da lui occupato nella società, avrebbe
potuto limitare la sua adesione alla Chiesa Evangelica ad nn fatto privato e personale, pago di dare
soddisfazione ai propri sentimenti religiosi ed ai
propri bisogni spirituali.
Non conobbe tale egoismo morale.
Abbracciato che ebbe 1’ Evangelo, senti che esso
ormai dominava ed orientava la sua vita, la quale ne
doveva essere tutta compenetrata.
Come ai tempi apostolici, la sua casa divenne un
santuai-io, ed a Caltanissetta, ad Avellino, a Campobasso e altrove, dovunque il suo ufficio lo conduceva, gli aderenti e gli amici del Vangelo si radunavano nella Chiesa che era nella sua ospitale dimora.
Meritamente il Sinodo della Chiesa Valdese nel
1895 lo eleggeva a membro laico del Comitato d’Evangelizzazione.
Chi meglio di lui poteva rappresentare in seno
aU’Amministrazione queU’elemento cosi essenziale,
cosi importante, quell’elemento che in fondo è la
ragion d’essere delle Chiese, cioè il laicato ?
Per quanto le forze glielo concessero, egli rimase
apprezzato e onorato consigliere di detta Amministrazione, ma avendo espresso, per la tarda età, il
desiderio di ritirarsi, il Sinodo dello scorso anno 1908,
con votazione plebiscitaria lo proclamava membro
onorario del Comitato.
Il ricordo dei servigi resi all’opera d’evangelizzazione dall’ing. Coppola, quale consulente tecnico,
restano scolpiti in quei graziosi oratori, in qnelle
belle chiesuole, in quei templi dalle linee artisticamente severe che egli disegnò con tanta maestria.
Fin che potè tenere in mano la squadra ed il
lapis, egli lavorò indefessamente e con tale precisione e minutezza di dettagli da non lasciare mai
supporre che chi disegnava e calcolava a quel modo
era un ottantenne !
La lucidità della sua mente, ed il calore del suo
sentire, che non vennero mai meno, i lettori de
La Luce e di altri periodici evangelici hanno avuto
ripetutamente agio di apprezzarli, leggendo quegli
articoli suoi così castigati nella forma quanto ricchi
nella sostanza.
La Parola di Dio e la Divina Commedia furono
i suoi libri prediletti, che egli studiò a lungo e prò.
fondamento tanto da diventarne autorevole conoscitore.
Ed al tramonto della sua bella esistenza, i ricordi delle bibliche letture inrradiarono di calda luce
le ore sue estreme.
Liborio Coppola s’ è addormentato nel bacio del
Signore; il suo corso era compiuto, aveva serbata
a fede. La corona di giustizia cinge la sua fronte.
Il nome di Liborio Coppola potrà essere invocato
autorevolmente per rispondere con una vita materiata di fede e d’integrità di condotta a coloro che
ancora s’affannano oggi a ribiascicare la vieta sentenza : il genio latino è pagano e quindi non attecchibile daH’evangelismo.
Liborio Coppola, italiano, fu un sincero fervente
evangelico, che ha onorato con la fedele sua testimonianza la Chiesa Valdese, cui si gloriò di appartenere.
Antupo muston
SPRMI1N1 Pastore André-Viollier. — Volume
UUlllIlUill di 180 pagine. — Prezzo di favore L. i,20.
— Dirigere con Cartolina-Vaglia aila Tradnttrioe: Carmen Silva, 9 Via Rusconi — Como.
Cav. Ing. Liborio Coppola
mìe care morte !
Ho mia madre nel cielo... era sì buona !
Mi amava tanto e oh ! quanto io pur Vamax>a !
La sua voce nell’alma ancor mi suona :
Del Signor mi parlava !
Ho una sorella in cielo... un fior reciso
Sul suo tenero stelo ! Ella morìa
Quando la patria, scosso il giogo inviso,
Di libertà gioia.
Ho tre bambine in cielo... ancor lo schianto
Provo che le strappò dal fianco mio !
Oh beate angiolette, il vostro canto
Rende ora gloria a Dio !
Ho una sposa nel cielo... immenso amore
Ci unì che spento non sarà giammai :
Riviverà nel grembo del Signore,
Del granSole ai bei rai.
O care, pur tra voi la mente mia
Si estolle al cielo, e con ardente in petto.
Di rivedervi l’anima desia
Santo, divino affetto !
Verrà quel giorno, ed io sarò con voi
Di questa schiavitù sciolto dai lacci :
Oh, quanta gioia si farà per noi,
Oh, quai celesti abbracci !
E inneggeremo insieme, e i nostri cari.
Rimasti addietro tra dolori e affanni,
Aspetteremo, infin che anch’essi al pari
Di noi sciorranno i vanni.
O Padre Santo, fa’ che dove io sono
Vengano meco quei che Tu mi hai dati :
Manda sovr’essi di Tua grazia il dono.
La fede dei beati !
Liborio Coppola
Campobasso, 28 Marzo 1891.
Altri particolari sai funtírale di L. Coppola
Tra le altre persone degne di nota, intervennero,
il senatore Cavasola, l’ing. capo del Genio Civile di
Roma cav. Pullini, l’ing. cav. Uffreduzzi, l’ing cav.
Mongini, l’ing. Barducci, l’ing. Turin...
Molte corone assai belle.
Molte lettere e molti telegrammi di condoglianza,
che riproduciamo in parte.
Lettera delia Società degli Ingegneri e Architetti
Italiani :
Roma, li 25 febbraio 1909.
Distintissima Famiglia Coppola
ROMA.
Con l’animo profondamente addolorato compio il
mesto dovere di porgere, a nome del Consiglio Direttivo e mio, le espressioni sentite di vivissime condoglianze per la morte del benemerito collega, comm. ingegnere Liborio Coppola.
La sua perdita è un grave lutto non solo per la
famiglia, ma anche per gli amici ed estimatori di
lui, e questa Società che ebbe l’onore di averlo ice
i suoi membri più autorevoli, si associa al dolore della
desolata famiglia.
Il rimpianto di tutti coloro che ebbero l’invidiabile fortuna di conoscerlo ed apprezzarne le preclari
virtù dell’ingegno e dell’animo ed il pensiero che egli
rivive tuttora nelle sue più importanti opere di cui
ha lasciato sì larga traccia, valgano a lenire il dolore
immenso della sua dipartita.
Con i sensi del più profondo e devoto ossequio
Il Consigliere Segr. Il Presidente
Ing. Enrico Attanasio Luigi Luiggi.
Telegrammi :
a) Funzionari Genio Civile Campobasso che ebbero
fortuna avere loro capo illustre ingegnere scienziato
Coppola dividono oggi dolore famiglia.
b) « Dall’Ing. Capo di Potenza cav. Pedone ».— Accogliete fraterne condoglianze perdita venerando uomo
cittadino benemerito grandezza pari somma modestia.
c) « Dall’ing. Capa Genio Civile di Avellino cav.
Giancola ». — Addoloratissimi impreveduta perdita
impareggiabile amico ed esemplare genitore condividiamo immenso dolore.
d) « Dairing. Capussela di Catanzaro ». — Famiglia
Capussela addolorata p ardita illustre cav. Coppola onore e gloria del Genio Civile italiano esprimendo sentite
condoglianze piange con voi tutti sommo uomo che
resta ai vivi imperituro ricordo sue rare virtù.
Carteggio Qoppola-Qaribaldi
Illustre Generale,
L’ignoranza di queste popolazioni cagionata da secolari governi di dispotismo, ed anche forse una cattiva strategica di partito, persuasero loro, fin dalla
prima invasione del morbo asiatico, che il Borbone
era quello che disseminava il cholera, unito in satanico complotto cogli altri despoti della terra.
Il movimento della rigenerazione italiana, di cui
Voi, o Garibaldi, siete tanta parte, assai lentamente
ha finora dissipato le tenebre dell’ignoranza, nonché
quei principi! d’immoralità che pur troppo sono passati nelle abitudini della plebe; e le cattive amministrazioni che più immediatamente fanno avvertire sulle
masse i loro dolorosi e materiali effetti, hanno fatto
sì che questo popolo, confondendo le idee, crede anche
il Governo Nazionale capace dell’eccesso da lui attribuito al Borbone.
Questo funesto errore turba l’intelligenza, centuplica il male per sé stesso terribile, ed è causa di odii
e di delitti di sangue.
Voi, Generale, che siete meritamente adorato dai
popoli dell’Italia meridionale qual loro liberatore, non
potreste dire una parola per illuminare la Sicilia e
specialmente questa città ?... Mi è accaduto di convincere qualcheduno della plebe, col solo argomento che
Garibaldi, il padre del popolo, non avrebbe mancato
di gridare e di protestare in nome dell’umanità, so
realmente il cholera fosse arte di Governo.
Perdonatemi se vi rattristo colla schifezza di quest’altra nostra piaga, ma è incredibile quanto questa
funesta aberrazione dèlie masse, scoraggi ed affligga!
buoni, ed abbrutisca e renda cattivo questo popolo,
cui forse una Vostra parola potrebbe anche in questa
parte redimere.
Catania, 23 luglio 1867.
Vostro Devotissimo
LIBORIO COPPOLA
Vinci, 30 luglio 1867.
Mio Caro Coppola,
Sono ben addolorato della situazione infelice in cui
si trova cotesto carissimo popolo di Catania.
Come non dubitate, io amo il popolo della Sicilia,
con affetto di figlio, di fratello, e son superbo del
convincimento ch’esso non può temere inganno da
parte mia.
Dite alle afflitte nostre popolazioni, che il cholera è
flagello indipendente dalla volontà umana, e che non
è dato a nessuna creatura di spargerlo e propagarlo.
Il popolo può bensì diminuire gli effetti funesti colle
precauzioni seguenti : !■ Non riunioni di qualunque
specie, e perciò chiuder teatri, chiese, o qualunque
altro recinto di agglomerazioni popolari. — 2- Per lo
stesso principio, non molti individui nella stessa
stanza; e quindi le autorità locali ed i cittadini agiati,
potranno, mettendo delle abitazioni aerate alla disposizione del povero, beneficare molto l’igiene pubblica.
— 3' La maggior pulitezza possibile nelle piazze, strade,
case e soprattutto nel proprio individuo. — 4- Aver fiducia negli uomini della scienza, sui loro consigli e
prescrizioni.
Io non dubito che i medici del paese avranno già
consigliato coteste mie osservazioni, come pure i disinfettanti e la pulizia interna degl’individui.
Un caro saluto al nostro Blscari e a tutti gli
amici del
Vostro
G. GARIBALDI.
RINgRAZIAME N TO
I Congiunti del Cav. Ing. L. Coppola ci pregano di cordialmente ringraziare tutte le care persone che
hanno dimostrato 1 o r o simpatia
nella dolorosissima circostanza.
5
LA LUCE
Querrá e pace
L’idea di pace universale è il contrapposto di
guerra sanguinaria : gli estremi si toccano, ma la
verità sta nel mezzo. Nella vita dell’umanità la
guerra, ossia la lotta, è necessaria, ma non deve
essere sanguinaria : ecco la verità.
La vita è essenzialmente moto, lotta per il raggiungimento dell’unità umana, della perfezione morale, religiosa e civile di tutti i popoli.
Guai a quel popolo che stagna nella quiete infingarda. La quiete sociale è morte.
Che cosa è la pace ? — essa non è che la festa
di una coscienza che ha raggiunto il proprio fine.
E’ molto difficile che anche Tindividuo possa dire
in un dato momento ; io ho compiuta tutta la mia
evoluzione, ho toccata tutta la perfezione proporzionata alla mia capacità ; in ogni modo possiamo ammettere che l’individuo raggiunga qualche volta la propria perfezione : allora è conquistata la pace.
L'individuo che ha la pace interiore è un eroe invincibile, è uno di quei pochi che utilmente possono
dedicarsi alla causa comune.
Ora potete voi, amici, illudervi che Tumanità intera possegga la pace e non abbia più bisogno di
lottare per il suo addivenire?
Tra i popoli civili le nazioni invidiano le nazioni ;
tra i selvaggi le tribù muovono insidie alle tribù,
le famiglie odiano le famiglie; gli individui mangiano
gli individui... E vorreste imporre la pace a simile
gente ?
Siamo ancora infinitamente lungi dal riconoscere
certi principii naturali : gli uomini sono ancora stranieri agli uomini : il dislivello morale, intellettuale,
religioso e civile tra le varie razze è spaventevole,
e vorreste illudervi che domani sia la festa della
pace ?
Eh! via! non è onesto ingannarci così... Conviene livellare l’umanità prima di avere la pace
E’ necessario abbassare le cime troppo emergenti, e riempire gli abissi -troppo profondi se vo
gliamo far la strada per il passaggio trionfale della
pace, ossia per l’ultimazione del perfezionamento uni
versale.
Dobbiamo ben fissare nella nostra mente questa
verità ìnatematica; la pacé non è che il corollario
deU’nltima perfezione raggiunta dall’ individuo, dalla
famiglia, dalla tribù, dalla nazione, dalla razza, dall’umanità intera.
Se è cosi, ognun vede come di guerra è necessario parlare più che di pace.
Se vorremo imporre la pace quando di pace gli uo
mini non sono ancora capaci, noi non faremo che un lavoro inutile, anzi fatale. Una certa pace viene anche
agli nomini cattivi dediti al vizio e all errore, perchè
in essi si è assopita la coscienza, vale a dire, è cessata
la lotta intima tra il bene ed il male : e questo è il
gravissimo pericolo a cui può condurre l’esagerato
sentimentalismo pacifista.
Certo per ottenere una simile pace immorale basterebbe che i miliardi che annualmente si spendono
negli armamenti venissero impiegati per costruire
degli insormontabili muraglioni fra popolo e popolo
— fra tribù e tribù per modo che i più barbari
non potessero nè danneggiare, nè corrompere ipiù
civili. Allora ci sarebbe la pace artificiale. Ha fatto
cosi la Cina fino da tempo immemorabile. Nessuno
però invidia la vecchia pace del decrepito celeste
impero.
Anche la Chiesa cattolica romana per la pace e
per la sua unità ha sempre soppressi gli nomini liberi, gli eretici — li ha impiccati, abbruciati, sepolti nelle segrete dell’Inquisizione - con ciò ha
ottenuto una certa pace, ch’è il dogma medioevale,
ch’è l’infallibilità di un uomo, ch’è la fossilizzazione
della mentalità umana.
Senza dubbio la pace è un assurdo finché gli nomini non si saranno completamente evoluti. U
vuole la guerra — è un dovere e un diritto la
guerra. Solo la guerra può condurci alla pace vera
e onorata.
Però intendiamoci bene : qual sorta di guerra è
indispensabile aH’umauo addivenire ? I! problema è
di difficile soluzione : però quando biondeggiano le
messi sappiamo con certezza che è vicina l’estate.
Domani tutto il mondo civile inneggierà al disarmo.
La messe biondeggia, dunque è vicino il tempo in
cui dai metodi di guerra necessari per l’umano incivilimento sarà escluso totalmente quello dell armata mano.
L’umanità diviene ognora più mansueta ed abborre sempre più dalla violenza; e noi tutti siamo
avvisati di prepararci a delle guerre non sanguinarie.
Quali guerre ?
Se vogliamo veramente lavorare per la pace universale imponiamo a noi stessi con ferma volontà
come nostro codice di vita sociale la morale dell’E vangelo, il quale ci comanda di fare agli altri
come vorremmo fosse fatto a noi. Ma finché gli uomini si crederanno galantuomini semplicemente perchè non avranno trasgredito il codice civile, la
guerra delle armi esisterà sempre : perchè ci vuole
la guerra brutale là dove è venuta meno la lotta
individuale per l’acquisto della perfezione umana.
Dio sninge innanzi Tumanità inesorabilmente e
crea la necessità della guerra. 0 gli individui Combattono la buona guerra spirituale ■< colla non parte
cipazione al male conosciuto, coll’assimilazione dei
migliori elementi di bene e col fare agli altri come
si vuole fatto a se stessi » : oppure essi subiranno
la guerra brutale della violenza e delle armi.
Cari fratelli, non vi illudete : la guerra è necessaria : 0 la facciamo noi contro il nostro egoismo, o
altri porteranno la violenza contro di noi. E’ la lotta
per la vita — legge fisica imprescindibile.
Ma si consoli ogni anima che crede in Dio : abbiano fiducia tutti coloro che conoscono Cristo. Dio
che ci chiama a sè per una via misteriosa di lotta
e di dolore che è la vita, ci ha dato anche un Malva
vatore ed un Maestro nel suo figlio Gesù che i
profeti han salutato : il Principe della pace.
Quella pace, che sarà il premio finale a tutta
l’umanità, è già a disposizione di ogni individuo di
buona volontà. Siamo buoni, siamo fedeli. Dio vincerà per noi.
Vincerà per noi quel Dio che dalla barbarie dei
secoli antichi ci ha liberati e oi ha condotti a vedere l’alba della pace universale.
Rvtuvo ^ingapcli.
La Dottrina Cristiana spiegata al Popolo
Ulfime cartucce?
Lo Zanzi non ha recato le prove dell’aceusa di ratto
da lui sostenuta contro la Chiesa Valdese. Ai Lettori
la cura di trarne la conclusione più edificante.
»
• *
Ringraziamo di cuore il ben noto e valoroso pubblicista H. Draussin, che nell’organo magno della
stampa francese, il Temps, ci ha purgati della taccia
di rapitori,
* •
Notiamo infine con piacere che il Protestant e La
Vie Nomelle (la quale ora è diretta dall’egregio collega
Draussin) hanno riprodotto più volentieri quei brani
del nostro giornale che vittoriosamente riducevano al
nulla la maligna e interessata calunnia clericale.
17 FEBBRAIO
L’annua festa dell’emancipazione valdese fu degnamente e lietamente celebrata in moltissimi luoghi. Ad
Angrogna, a Bobbio Pellice, a Lu.serna S. Giovanni, a
Pomaretto, a Prarostino, a S. Germano Chisone, a Torrepellicè, a Villasecca, e certo in ogni altra chiesa
delle nostre care Valli ; a Pinérolo e in tant’altre città
della Penisola.
Anche Ì Valdesi residenti a Marsiglia ed a Parigi
l’hanno celebrata, e l’ottuagenario past. G. Appia dà
conto di quest'ultima festa nell’A^càò des Vallées.
Altri jcbiarimenti juH’Incaroaziooc.
D. _ Voi avete già risposto alle obiezioni contro
le due nature e l'unica persona del Cristo, fugando
gli equivoci ed i malintesi da cui quelle obiezioni
movevano. Dite ora : quante Volontà s'incontrano in
Gesù ?
— Due volontà: la umana e la divina.
j)_ __ E' cosa importante il riconoscere questo
fatto ?
R, — Importantissima, perchè le due volontà sono
una conseguenza necessaria- delle due nature che in
Cristo s’incontrano. Infatti; che sarebbe mai una natura umana senza volontà umana? Un semplice nonsenso. Ed una natura divina senza volontà divina?
Un altro pretto non senso. Perciò il negare le due volontà porta con sè la negazione delle due nature. Supponiamo che, nel mistero di Gesù, voi riconosciate una
sola volontà, e questa umana. In tal caso, negando la
volontà divina voi avrete fatto esulare ogni azione della
natura divina in Gesù, uon potendovi essere un’azione
della natura divina senza la volontà divina; e cosi Gesù
Cristo resterà un semplice uomo e nulla più. Viceversa,
supponiamo che voi riconosciate in Gesù una sola volontà ed essa divina. In tal caso, negando voi la volontà umana di Gesù, questi non sarà più un uomo reale
e completo. La umanità sua diventerà una semplice apparenza; e quindi tutto ciò che egli ha compiuto come
uomo — compreso il sacrificio di croce — sarà un’apparenza... .
p.____ Esponete ora un' obiezione che il pensiero
eterodosso muove contro la dottrina delle due volontà incontrantisi nella misteriosa individualità
del Cristo.
R. — Dicono ; La dualità delle volontà implica uno
sdoppiamento dell’io. Ora, i libri di patologia mentale
ci mostrano che quando in un uomo si verifica tale
sdoppiamento dell’io egli è malato, e cotesta malattia
segna una degradazione dell’essere morale. Quindi — conchiude il pensiero eterodosso — per affermare la santità di Cristo, cioè la sua perfetta salute morale, dobbiamo credere all’unità perfetta del suo io, e perciò all’unità della sua volontà.
D. — Su che si fonda questa obiezione ?
R. — Sopra un falso supposto. Essa pensa, suppone e
crede che il domma - ortodosso (confessato dall’antica
Chiesa Cattolica e ritenuto dalle Chiese Evangeliche
ortodosse che non intendono fare scisma dalla Chiesa
ecumenica) affermi che le due volontà si trovino nell’io di Gesù come proprietà intriseche ed essenziali di
esso. Ora ciò è falso, falsissimo... I Credo della Chiesa
ecumenica, affermando le due volontà, non hanno mai
affermata, anzi hanno positivamente esclusa, la sciocchezza, la puerilità « la melensaggine di un unico io
che possieda essenzialmente due volontà, una umana e
l’altra divina; per la stessa ragione per cui non hanno
mai affermata, anzi hanno positivamente esclusa, la
sciocchezza, la puerilità e la melensaggine di un io possedente due nature, uua divina e l’altra umana. E’ cosa deplorevole, scandalosa e dannanda che uomini onesti, e
peraltro dottissimi, abbiano inteso così alla rovescia i
Credo della Chiesa ecumenica non letti nei testi, nè
alla luce dell’antica tradizione, ma appresi per sentito
dire dai teologastri medievali di certe basse scuole.
Ben sappiamo che nel grossolano equivoco caddero uomini anche sommi. Ma siccome l’equivoco è patente e
__ ripetiamo la parola — veramente scandaloso, essi
non sono che maggiormente colpevoli, e degni di più
aspra censura per aver aggredito il domma ortodosso
senza conoscerlo, anzi confondendolo con una caricatura di esso...
Dunque; le due volontà non si trovano essenzialmente neU’ib di Gesù. Questo è umano, e perciò non
possiede essenzialmente che la volontà umana.
D. _ Chi dunque possiede la volontà divina ?
R. — Eh ! la possiede \'io divino, cioè Dio, soltanto
Dio, e nessuno altro che Dio.
D. — Ma, allora, perchè il domma ortodosso parla
di duè volontà nel Cristo ?
R. — Ecco ; Non è mai lecito di confondere il tutto
con una delle sue parti, il composto con uno degli
elementi che lo compongono, il complesso con uno dei
fattori che lo determinano. Perciò non bisogna confondere Gesù Cristo con l’fo di Gesù. Gesù Cristo possente individualità e pienezza di vita, è il tutto; l’io di
Gesù è una parte di questo tutto. Gesù Cristo, possente individualità e pienezza di vita, ò la risultante
di più fattori; l’io di Gesù è uno di questi fattori. Orsi
6
LA LUCE
che cosa insegna il domma ortodosso? Questo: chele
due volontà — divina ed umana — cooperano alla risultante,trovano ci(è, all’opera nella radice della
individualitii possente del Cristo; ma non insegna punto
nè poco che esse si trovino in uno dei fattori di quella
possente individualità, cioè nell’io di Gesù come sue
prò prie tà c ssenzia 1 i.
D. — Approfondite ora e lumeggiate il domma delle
due volontà.
— Vedemmo in altro capitolo che il Verbo di
Dio, immanente in tutta la creazione. Io è al grado supremo in Gesù. Il Verbo, forza viva che procede dal
Padre in maniera ineffabile, informa di sè Vio di Gesù,
e diventa perciò il principio supremo (o persona) di
Gesù, al quale principio supremo tutto il resto —
compreso Vio di Gesù — rimane subordinato non meccanicamente, ma volontariamente. Orbene, che tosa implica quest’azione di Dio esercitantesi su Gesù? Implica che la volontà di Dio agisce misteriosamente sulla
volontà di Gesù, e che questa è subordinata in tutto
a quella. Le due volontà — essenzialmente — rimangono esteriori l’nna all’altra : la volontà divina è essenziale aH'm di Dio, e la volontà umana è essenziale
air/o di Gesù. Ma, sebbene essenzialmente distinte, le
due volontà sono congiunte nel senso che Tana agisce
sull altra e l’altra si subordina all’una in maniera perfetta. Se nel Vangelo v’ è alcuna cosa chiara per eccellenza è proprio questa : « il mio cibo è che io faccia
la volontà di colui che mi ha mandato ». Ecco le due
volontà, non già esistenti in un unico io, ma armonicamente cooperanti in maniera perfetta; ed è dalla perfetta cooperazione di queste due volontà — distinte,
ma non disgiunte — che scaturisce l’individualità possente e la pienezza di vita del Cristo.
D* — A tale stregua, non si può egli parlare di
due volontà in qualunque creatura pia e santa ?
E. — In qualunque uomo, la santità ha alla radice
1 azione della volontà divina sulla volontà umana e la subordinazione di questa a quella. Ma soltanto Gesù è il
Santo ; e perciò solo in Gesù l’azione della volontà divina non trova ostacolo di sorta nella volontà umana.
Soltanto di Gesù può dunque dirsi che alla base della
sua individualità possente e della sua pienezza di vita
c’è la cooperazione summo modo, cioè perfetta, della
volontà divina e della volontà umana.
D. — Non si potrebbe in un qualche senso dire,
senza errore che le due volontà le quali si trovano
in due io distinti, ma armònicamente cooperanti alla
radice dell’individualità del Cristo, si trovino anche
nell’io di Gesù ?
R. — Si può dirlo, non nel senso di proprietà essensenziali dell’w di Gesù, il che — siccome abbiamo veduto
— sarebbe assurdo ed è estraneo al domma; ma nel senso
morale, in quanto che è Vio di Gesù che percepisc3 la volontà di Dio operante in lui e la riconosce per quella
volontà perfetta con la quale la volontà di lui, nomò
perfettamente Santo, deve trovarsi in accordo perfetto
ed in collaborazione piena ed intera.
Tale il luminoso domma delle due volontà contenuto
nella Scrittura e confessato nei Credo della Chiesa eco.
1D€D1C8>> ^ y
BACCOGLIMENTO
Ma chiunqne ode queste parole, e
non le mette ad effetto, sarà assomi• gliato ad un uomo pazzo il quale ha
edificata la sua casa sopra la rena.
{Matt. 7, 26)
Gesù ci domanda : « Perchè non fate ciò che io
vi dico ? » Tentiamo di farlo, ecco la risposta ; lo
sforzo metodico per realizzare il suo pensiero ne
lumeggerà via via il significato. Tentiamo di vivere
santamente, fraternamente e notiamo le conseguenze
di codesta inaudita innovazione. Una delle prime,
preziosa ed inattesa, sarà di aprirci gli occhi snl
carattere della nostra pietà troppo spesso ragionevole e comoda senza nulla di cumnne con la pazzia
dell’amore evangelico. Appena noi faremo sul serio,
il nostro cuore comprenderà le parole di pentimento
e di rinnnsia, che erano sempre snl labbro di Cristo,
ahimè, prive di valore per noi... Se il Cristianesimo
europeo offre, a certi punti di vista, i sintomi di
un insanabile decadimento, se esso è odiato da tecnte
migliaia d’uomini, come una potenza cieca e sorda,
se viene disprezzato, talvolta in nome di un ideale
superiore a quello che esso incarna, ciò avviene
perchè il cristianesimo occidentale fu artefice di un
domma anziché d’una morale adeguata alla realtà.
(W. Monod nella Revm Chrétienne). e. r.
Salice piangente
Non aveva che sei auni e mezzo la cara bimba .ffosella Fiorinto di Sulle ; ma già possedeva « là sola
cosa necessaria » ; e, dipartendosi da questo mondo di
dolore, ripetè l’nLtimo inno che la Maestra le àveva
insegnato, inno che esprime fede e gioia in Gesù salvatore. Ell’era un soave frutto delle scuole evangeliche !
Al funerale la semenza della parola di Dio fp largamente sparsa. 0. Bertinat
*
* *
A Favaie è morto Andrea Cereghino, in età di 59
anni, dopo aver reso buona testimonianza alla propria
fede evangelica. « La sua morte fu calma. Cristo abitava nel suo cuore per mezzo della fede ». j
Al seppellimento il giovane pastore signor Luigi
Marauda, venuto appositamente da Genova, pi'oferi
ottimi discorsi innanzi a 150 Favalesi, nel tempietto
e sul camposanto. Stefano Cereghino.
Kdta penisola e nelle Jsole
I
Ijuserxia San Giovanni.
(T. Q.) — La festa tradizionale Valdese fu celebrata
anche quest’anno con grande solennità. Vi fu alje 10
ant. nel vasto tempio la festa degli alunni delle spnole
arrivati in bel corteo colle loro bandiere. Parlarono
prima il venerando prof. Rivoir ottantaquattrenne ed
il pastore ; poscia parlarono gli alunni... recitando dialoghetti e poesie ; e finalmente fu a tutti distribuito
l’opuscolo pubblicato dalla Società di Storia Valdese
pel quarto centenario della nascita di Calvino.
Segui a mezzogiorno nella bella aula della Casa: Valdese (« Sala Albarin ») il pranzo tradizionale coll’intervento di moltissimi commensali e coi brindisi del
pastore, del prof. Rivoir e dei sigg. Davide Reyel e
G. D. Cougu.
La sera in quella sala stessa, davanti a 500 uditori
plaudenti, l’Unione Cristiana dei Giovani diede una
rappresentazione intramezzata da scelti pezzi di mùsica
suonati dalla fanfara municipale. La serata fu cosi apprezzata, che a richiesta generale si è lipetutail 27
febbraio.
Torrepellice.
Molte conferenze : — del prof. G. dalla, nostro col
laboratore, su le c Leggende del Pinerolese » ; del prof
Falchi, preside di quel Liceo e nostro collaboratore,
sur un argomento d’astronomia (Leggasi il suo bel
discorso nella « Rivista Cristiana » di febbraio) ^
Comm. Past. C. A. Tron sul « Modernismo
« Abramo Lincoln » e su 1’ « Anticlericalismo
Verzuolo.
Il benemerito nostro correligionario Ing. Burgo
stato insignito della croce di Cavaliere.
Congratulazioni !
F ornar etto.
Il Past, Cav. uff. G. Weitzecker va ri
salute. Dio ne ne sia ringraziato !
Napoli.
(T. O.J — Nelle sere del 10 e del 17 febbraio lo
scienziato Americano sig. Franck A. Perret (partito da
New-York prima del disastro di Messina da lui ¡preveduto, per venirlo a studiare), diede nella nostra sala
del Vomere un’interessantissima e dotta conferenza su
quel disastro stesso, illustrata da proiezioni luminose.
Il 10 la conferenza fu data in italiano; ed il 17 fu
fatta in inglese davanti ad una folla di forestieri fra
cui il vice console degli Stati Uniti, il quale presentò
l’oratore all’assemblea.
— Abbiamo ricevuto il « Rendiconto morale e finanziario 1908 » della Società di M. S.. — Pare che le
cose vadan bene.
del
su
in
A-bbonameati pagati:
Per mancanza di spazio, si rimandano ai prossimi
numeri.
Il [pIstlMBsiniD di Cristo
Sconto del 20 per cento oltre le 100 copie. Spese postali in più. Per ordinazioni rivolgersi a Antonio Rostan, Via Nazionale 107, Roma. Affrettare le richieste.
Autorevole giudizio del prof. B. Babanca : « Ho
letto nella Rivista Cristiana il vostro programma etl’angelico, cioè Jl Cristianesimo di Cristo. Me ne congratulo sinceramente. In esso sono pagine di mirabile
verità storica, di straordinaria efficacia morale e bpirituale, di grandezza e bellezza religiosa indicibili»
OLTRE LE flLRI E I flflRI
Svizzera
C. Ticino — (Diil giornale « Beruer Volkszcitung »
N. 12 Berna (10 febbraio 1909).
Il 29 Giugno dell’anno scorso fu fondato a Locamo
un Orfanotrofio Evangelico, il cui comitato di direzione venne cosi composto dei : Presidente M. Urban,
negoziante a Milano ; vice presidente R. Brtinnimam,
architetto a Locamo ; segretario F. de Benoit, capitano
d’ammin. a Losanna ; cassiere F. Meyer industriale a
Milano ; consiglieri : A. Reber, presidente della comunità protestante, e Dr. C. Morel med. a Locamo ; direttore Alb. Zamperini pastore.
Quest’ opera colma una vera lacuna in quanto che
era da lungo tempo un vero bisogno per le comunità
e famiglie protestanti svizzere di lingua italiana dei
Cantoni Ticino e Grigioni, e di quelle ancor più numerose italiane dimoranti in Svizzera. Questa istituzione è destinata ad essere un luogo d’educazione per
i bambini di ogni ceto, ma secondo lo statuto specialmente per gli orfani ed i derelitti, senza un valido
appoggio nel mondo. Sono accettati dopo i 6 anni di
età e rilasciati solo quando saranno in grado di
guadagnarsi onorevolmente la vita. Quest’opera avrà
in seguito vari rami di benefica attività, così ha preso
il nome generico òiIstituto Evangelico Locamo. Il fondamento educativo è la parola di Dio in un regime amorevole e veramente famigliare. Il sig. Zamperini
conosce bene il paese, essendo stato pastore di lingua
italiana nel Cantón Ticino per 7 anni, e lui stesso essendo figlio di un’opera di questa natura, ebbe sempre
una vocazione speciale pei bambini. E’ un vero padre
degli orfani e come pastore della Chiesa Wesleyana
d’Italia, fu direttore dell’Orfanotrofio d’Intra, possiede
un’esperienza di lunghi anni come educatore e gode la
piena fiducia di molti amici a Zurigo, Berna, Losanna,
Ginevra, Basilea, Milano ed altrove. Si deve specialmente allo spirito di sacrificio ed all'attività indefessa
di quest’uomo che la giovane intrapresa fiorisce e che,
in poco più di mezz’ anno ha già fatta tanta strada
alla piena sodisfazione e buon incoraggiamento del
Comitato Promotore e di tutti gli amici. Da diverse
parti ed in buon numero considerevoli somme sono
venute spontanee, senza bisogno fin’ ora di alcuna
colletta, il che ha dato di andare avanti e di guardare
all’avvenire senza molta preoccupazione. Il signor Zamperini vien validamente coadiuvato nel suo lavoro dalla
sua brava moglie e dalla figlia maggiore. Provvisoriamente venne affittata una casa, con ampio e splendido
giardino, in una magnifica e sana posizione a circa 200
metri sopra il Lago Maggiore ove solo 16 bambini godono del lieto soggiorno, non potendovene stare di più.
Al piano terreno dell’edificio si trovano la scuola, ed
un’ampia sala da pranzo, la cucina ed il retrocucina.
Al primo piano il domicilio della famiglia Zamperini,
ed al secondo piano un dormitorio per i bambini, e
un altro per le bambine, i lavatoi, ed una camera per la
maestra.
Le varie comunità, gli amici, tutori o parenti, pagano all’Istituto per ogni bambino uua pensione annua
di L. 480, cioè L- 40 al mese, comprendente tutto :
vitto, alloggio, biancheria, vestiario, spese scolastiche
ecc. Però vien dato molto posto alla beneficenza, e
specie al principio tra numerose domande avendo data
la preferenza agli orfani, vari sono stati accettati gratuitamente ed altri a mezza retta ed anche a meno,
ma cosi sarà fatto anche in avvenire.
Data la ristrettezza della sede provvisoria, non
fu fatto molto per far conoscere la nuova opera, ma
pure le richieste d’ammissione aumentano tutti i giorni
e la necessità di una casa più grande s’impone imperiosa e se proprio non si potrà trovare, converrà fabbricarla. Ecco il grave problema che sta dinanzi al
Concitato e che per l’avvenire dell’opera dovrà essere
risoluto al più presto.
Del danaro ricevuto a tntt’oggi c’è ancora un avanzo
alla Banca ma è ben poca cosa di fronte al grande bisogno, però l’Onnipossente che fin dal principio ha accordato a quest’opera la sua benedizione co.si evidente
non mancherà di guidarla e provvederla anche per
l’avvenire in ogni cosa.
Tali opere di carità quantunque abbiano spesso da
combattere con difficoltà finanziarie e di varia natura
debbono però prosperare, poiché il Signore ha detto :
Tutte le volte che avete fatto qualche cosa ad uno
di « questi minimi miei fratelli, l’avete fatto a me
(S. Matteo 25, 34-40).
7
LA LUCE
Purché noi agiamo sempre fedelmente, sinceramente
con amore e disinteresse nulla può mancare nemmeno
all’Istituto Evangelico in Locamo.
F. d. B.
(Traduttore M. F. S.)
Francia
Parigi — Pel .3 marzo si annunzia un’altra lezione
apologetica del prof. Allier sul tema ; Possiamo noi
dominare i sentimenti f
— Adunanze di preghiera per apparecchiare il Risveglio, nel tempio di Rue Roquépine.
— Il 27 febbraio, doveva aver luogo in una pubblica
sala un contradditorio sul tema : « Senza cristianesimo
non c’è democrazia ».
La Havre — Adunanze di risveglio a cui presiede
il pastore Roux.
Epinettes — Il pastore de Levallois-Perret ha dato
3 conferenze sui temi : « È ancora necessaria la religione ? — Chi è Gesù Cristo ? — Che cos’ è un vero
cristiano? ».
Molti uditori e profonda impressione.
Ganges — Anche quivi benedette radunanze d’evangelizzazione e di risveglio. I nostri fratelli di Francia
hanno dello zelo !
Valenza — E’ morto l’ottantaduenne Conrad G.
Hebmann, fedele evangelizzatore del Chiablese.
Besançon — La società dei Liberi Pensatori ha inflitta una censura al deputato Beauquier, perch’egli ha
assistito al matrimonio religioso di sua nipote.
Evviva la libertà di pensiero !
Spagna
Durante la Quaresima, a Madrid, la società di Attività cristiana si farà promotrice di una settimana
missionaria, con adunanze lutt’i giorni.
Germania
La società Gustavo Adolfo ha speso nella sola Germania, dal 18.32 in qua, 47 milioni e mezzo di marchi
per venir in aiuto a 5669 nuove parrocchie (evangeliche) e per costruire 2426 templi.
Stati Uniti
Si è celebrato il centenario di Abramo Lincoln, il
cristiano emancipatore degli schiavi e fautore della
grandezza di quella potente nazione.
Brasile
Si sta costruendo un nuovo tempio evangelico a Pelotas
India
Dal 20 al 25 novembre venturo si adunerà in Agra
(India) un Congresso Universale di Attività cristiana.
ECHI DELLE MISSIONI
Con piacere pubblichiamo questo scritto inedito del
rimpianto sig. Turino, quantunque si riferisca a fatti
un po’ remoti ormai:
c Sarebbe da desiderarsi che tutti i membri delle
nostre Chiese della missione come delle Valli Valdesi,
potessero leggere l’ultimo numero del giornale delle
missioni del Comitato di Parigi, tanto interessante e
edificante. Esso contiene il quadro del Giubileo della
missione presso i Bassutos, nell’Africa del sud, celebrato verso la fine di luglio a Morija, capoluogo della
missione. Uno dei delegati del Comitato scrive che
durante i giorni del giubileo, il Signore versò sopra
loro tante benedizioni che non potevano bastarvi. Quanto
abbiamo veduto e udito riempie i cuori nostri di gratitudine e di ammirazione. Pensando alla pochezza del
protestantismo francese abbiamo sdamato :
« Io son piccolo appo tutta la benignità che tu hai
usata verso me » — 5000 persone erano riunite sul
pendio d’un prato circondato d alberi, presso alla Chiesa.
Fra essi il Governatore Inglese, le autorità dei Bassutos, i delegati di tutte le chiese e denominazioni
Evangeliche. Il tempo era bello e la pioggia che cadde
due giorni dopo fu una grande benedizione.
Mi sembra che un sunto del discorso del pastore
Bianqui, delegato del Comitato, che alcuni anni or sono
visitò il Sinodo e le Valli Valdesi, paese dei suoi padri,
può dare una idea di quella gran festa.
€ Voi residente, e rappresentante del Governo Inglese, voi capi Bassutos, voi Pastori e membri delle
Chiese, e voi delegati delle Chiese sorelle, sia la benedizione di Dio sopra voi tutti, e sopra quanto si
farà e si dirà in questi giorni di festa. In nome del
Comitato di Parigi io ringrazio anzitutto il rappresentante di Sua Maestà Britannica. Dal tempo che il
Bassutoland, nel 1884 è stato ammesso sotto la protezione del governo Britannico, i residenti suoi hanno
sempre mantenuto l’ordine e la pace nel paese, e favoritone lo sviluppo. E voi, signor Presidente ci avete
dato varie prove che l’opera nostra e i nostri operai
possono sempre fare assegoamento sopra la vostra
amicizia. Particolarmente gli sforzi che abbiamo fatti
per l’educazione dei giovani Bassutos sono stati riconosciuti con generose sovvenzioni, che sono per noi
una ricompensa e un incoraggiamento. Nulla^sarà mai
più fecondo per lo sviluppo intellettuale, morale e
sociale delle razze indigene che la stretta e coraggiosa
collaborazione tra ramministrazioue politica e le missioni religiose.
A voi pare, o gran capi Letzié, e a tutti i capi
Bassutos, voglio esprimere pabblicamente la nostra
gratitudine. Son trascorsi 75 anui dacché 3 nostri missionari arrivarono in questo paese, e il re Moshesh li
accolse con premura, concedendo loro questo terreno
a Morija, per stabilirvisi, e cominciare a incivilire il
suo popolo, insegnandogli il Vangelo. Re Moshesh fu
sempre amico dei missionari, accolse i loro consigli,
e potè vedere la sua piccola tribù divenir grande di
numero e di potenza. Voi avete seguito ‘1 esempio fdi
Moshesh, e sotto la vostra direzione e la tutela del
governo Britannico la nazione dei Bassutos andrà
sempre più prosperando, colla benedizione di Dio. Ma
perciò, lasciate che io vi rivolga una seria parola.
Vogliate rinunziare a quelle usanze pagane di cui
Moshesh avea già riconosciuta la vanità ; date il buon
esempio al vostro popolo ricevendo nel vostro cuore
la religione di Gesù Cristo. Questa è la religione che
nel mondo intiero, fa la grandezza delle nazioni le più
forti, come assicura la dignità e la felicità degli individui. — In quanto a noi, che voi chiamate padri
vostri, noi saremo fedeli al patto che ci unisce a questo
paese dal giorno che Moshesh disse ai nostri 3 primi
missionari : « Dimorate in mezzo a noi, voi ci ammaestrerete, ecco il paese trovasi in voatra balia ». Da
quel giorno noi fummo chiamati a fondare varie missioni ma non dimentichiamo che la missione del Lessato è la nostra figlia primogenita, e possiamo assicurarvi che noi vi amiamo, e che il nostro amore non
verrà mai meno. Ma siccome un tìglio divenuto maggiorenne, mentre continua ad amare i genitori cerca
di provvedere da sè ai propri bisogni e a quelli della
sua propria famiglia; cosi voi, Cristiani Bassutos, coi
vostri pastori, pur rimanendo fedeli «i vostri padri
spirituali, dovrete far ogni sforzo per procurare alle
vostre chiese i mezzi che sono loro necessari. E non
bastai La vostra lingua, come sapete, è conosciuta da
molti popoli dell’Africa del Sud, e -lo spirito di Dio
v’induce a mandar degli Evangelisti e dei Maestri a
quelle tribù per far loro conoscere le grandi cose che
il Signore ha fatto per voi. Cosi operando sarete gli
strumenti coi quali Dio compirà la conversione di tutto
il popolo, e voi coopererete efficacemente alla conversione dell’Africa meridionale. 0. D. T. »
«
« *
All’Unione Cristiana parigina. Ed. Favre ha parlato
del suo tema prediletto : « Il missionario Coillard ».
eroine valdesi
Nuova Serie
XI.
U moglie di flllppo morglia.
Episodio deUa caduta di Guardia Piemontese.
Guardia Piemontese ! Chi da Napoli s’avvia verso la
Sicilia per la ferrovia che costeggia il Mediterraneo,
giunto a metà strada (260 chilometri da Napoli), sente
proferir quel nome che ad ogni conoscitore della Storia
Valdese accelera i palpiti del cuore ed evoca tragiche
memorie.
Quivi ergesi a picco sulla riva del mare una città
antica tuttor murata, cui si giunge in men d’un’oraper
un erto sentiero il quale ben ricompensa chi lo percorre dell’ aspra fatica col panorama incantevole che si
offre sempre più grandioso ed imponente all estatico
viandante come più s’avvicina alla mèta.
Eccoci a Guardia; varchiam la vecchia porta della
città e subito incontriamo una popolazione diversa da
quella dei comuni calabri circostanti; son dei discendenti dei Piemontesi ivi emigrati sei secoli fa, ed il
pittoresco costume delle donne, come il dialetto che
molti degli abitanti usantra loro, rivelan to§to al conoscitore l’origine di questa gente.
Eran Valdesi i loro padri, qui emigrati dalle Valli
Piemontesi troppe zeppe già di perseguitati per la fede
evangelica, nel 1300; e pacificamente lavorando per due
secoli e mezzo han trasformato una regione deserta in
un giardino, fondandovi città prospere come San Sisto
presso a Montalto, e Guardia presso a Fuscaldo. Un’iscri
zione incisa sopra una rovina di Guardia, colla data
1507, ricorda ancora il tempio che vi avevano eretto
i Valdesi; nel quale, all’ombra della tolleranza tacita
dei Signori di Fuscaldo lor feudatari, essi per tanto
tempo tennero le lor riunioni religiose presiedute dai
Barba, i quali dalle Valli facean loro lunghe periodiche
visite. Tutto andò bene fino al 1560; col pacifico lavoro
i Valdesi di Calabria avean arricchito i lor Signori ed
erano diventati una colonia prospera e considerata.
Ma quando, animati dalle nuove che giungevano della
potente Riforma che dava ai Valdesi cotanti cospicui
alleati, vollero anche in Calabria affacciar il loro naturai diritto a celebrare il loro culto pubblicamente e
non più solo in privati convegni, ed a tale scopo ebbero fatto venire da Ginevra il valoroso giovine pastore Giov. Luigi Pascale; l’Inquisizione se ne immischiò senza ritardo, e arrestato a Fuscaldo l’eroico pastore valdese, lo fece morir sul rogo a Roma, e quindi
si applicò a far sparire dalla Calabria il culto valdese.
Dal novembre 1560 al maggio 1561 tentò invano
l’inquisitore Malviario persuadere gli abitanti di San
Sisto e di Guardia di fare adesione alla Chiesa Romana; allora chiesta la cooperazione del marchese di
Bnccianigo, Viceré di Calabria, bandi una crociata, la
quale, sotto gli ordini di Muzio Caracciolo, incendiò ben
presto San Sisto, privo di mezzi di difesa, e si pose
ad inseguire i Valdesi fuggiti nei baschi su per le montagne.
A Guardia eran restati parecchi Valdesi fidenti nelle
lor mura per respingere il nemico. Ma il marchese Spinelli di Fuscaldo, Signore del luogo, temendo che quel
suo feudo, se preso d’assalto dai Crociati, venisse saccheggiato ed incendiato, provvide ad evitar tal danno
a se stesso col far entrare i Crociati in Guardia mediante un infame tradimento. Finse dover spedire a
San Marco una cinquantina di delinquenti; ed essendo
inoltrato il giorno, chiese di farli pernottare nel Castello di Guardia; ed i suoi vassalli di Guardia, ignari
del tranello, glielo concessero.
I supposti delinquenti erano dei soldati ed entrarono
in Guardia scortati da 50 altri giovani appartenenti
al marchese, tutti armati sotto alle vesti. Venuta la
notte quei cento uomini sbucarono dalle carceri e facilmente s’impadronirono della città avvisandone lo Spinelli con un segnale convenuto. Sorta 1 alba, arrivavano a Guardia il Viceré con buon nerbo di Crociati
ed il commissario Pausa. Cosi cadde Guardia in mano al
nemico, il 3 giugno 1561. Promise il Vice re allo Spinelli che ove a lui riuscisse a far tornare in città gli abitanti che n’erano fuggiti, non- si sarebbe fatto il sacco
e l’incendio del paese; onde il marchese mandò ai fuggiaschi invito a tornare, con promessa giurata di perdono generale, e gl’incanti, fidenti nella parola di chi
per l’addietro era stato lor sicuro amico, se ne vennero a Guardia. Eran circa 300 uomini e 100 donne.
Aimè! appena giunti vennero legati e trascinati cosi
a Montalto ove due giorni dopo vennero uccisi come
pecore da macello. (De Boni : L’Inquisizione e i Calabro
Valdesi, 102, 103).
Intanto, in Guardia, i Crociati appena entrati s’eran
dati a ricercar per le case quei Valdesi che vi fossero nascosti e parecchi ne trovarono che essi massacrarono senza pietà. Qui avvenne l’episodio in cui apparisce la nostra eroina. Ecco come lo narrava Scipione Lentolo, scrivendo la sua Historia delle Valli
Valdesi alla fine di quell’anno stesso, sulla deposizione
di alcuni Valdesi di Calabria scampati all’eccidio e rifugiatisi pressò ai lor correligionari di Piemonte. {Historia, pag. 237).
« In un celialo o cantina, i soldati trovarono Filippo
Morglia colla moglie, che per la paura s’erano ivi ritirati;
laonde, lanciandosi i soldati addosso di colui come lupi
arrabbiati per ucciderlo, e la moglie coprendo col
suo corpo il marito, quelli gli ammazzarono tutti e
due, e posta la testa di Filippo su la punta d’una lancia,
la portavano a quel modo per la terra ».
Fu l’amore per lo sposo che spinse quella donna a
tentare di fargli baluardo col suo corpo e salvargli la
vita sacrificando la propria ? Fu l’amore per la sua fede
che le fe’ preferir la morte ad una vita comprata coll’abiura? Ambo questi sentimenti la mossero al sublime
atto e la fecero rivelarsi cosi grande; giacché l’amor
terreno qnand’è accoppiato all’amor divino può rendere
un’anima capace di eroiche virtù; esso fece della moglie di Filippo Morglia una vera eroina.
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ANTICANIZIE-MIGONE i prefiimata che agi.sce sul capelli e W barba in modo da ndoaare ad essi 11 loro ('olore primitivo, sènza macchiare nè la “^ncheria, nè la pelle. I)! facile applicazione. Basta una bottiglia per ottenere un effetto soi-pii'ndcntc. Cosía L. 4 la battlglla. più cen- W/fiRla P®*, P/™» postale. 8 bottiglie per L. g e 3 per L. Il franche di porto e m imballo. pirli per ^ l’»ft’aacaiioBe. 3 vasetti franchi di
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