1
BILYCHNIS
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Anno X. - Fasc. Vili
ROMA - AGOSTO 1921
Volume XVIII. 2
SOMMARIO
G. RENSI : Scetticismo, Idealismo e Fede p. 69
G. E. MEILLE: Il * cristiano » e la
« rivoluzione ». . ' ....... 79
D. PROVENZAL: L'audacia............90
Per la cultura dell'anima:
XXXX: L'esperienza religiosa della verità . . . . 92
C. WAGNER: Spirito d'iniziativa ....... 93
Note e commenti :
V. MA RUSSI: Lo stato delle diocesi nella Venezia Giulia . . . . ........ 95
Cronache':
Italia e Vaticano .......... 96
Rassegne :
G. COSTA: Arte e Religione ....... 101
Rivista delle riviste:
Riviste francesi. . . . . ...... 105
Recensioni :
Apologetica cristiana antica (r. e p. ) Il P. Giacinto Loyson (G. PIOLI) - Sionismo - Islam ■ La memoria Buddismo - Polemica teologica medievale - La crisi del pensiero moderno Lo stato liberale - Maine de Biran - Blondel . . . 115
Letture ed appunti . . ...... 126
. Bollettino bibliogràfico:
I. Novità Librarie, - II. Pubblicazioni pervenute alla Redazióne . . ' . . . ...... 129
2
BILYCHNIS rivista mensile di studi religiosi
............... « « < 4 FONDATA NEL 1912 > > > ►
CRITICA BIBLICA STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI o. PSICOLOGIA, PEDAGOGIA, FILOSOFIA RELIGIOSE MORALE - QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL'ESTERO ~ CRONACHE - RIVISTA DELLE RIVISTE BIBLIOGRAFIA REDAZIONE: Prof. LODOVICO PASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma. D. G. WhittinGHILL, Th. D., Redattore per l'Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
Corrispondenti e collaboratori sono pregati d’indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “ BILYCHNIS ” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gli articoli firmati vincolano unicamente l'opinione dei loro autori.
I manoscritti non si restituiscono.
I collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conoscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d’opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
Abbonamenti joel 1921
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i 12 fascicoli mensili di “BILYCHNIS”, di pag; 64 l’uno in-8° grande, illustrati, formanti 2 volumi di pag. 384 l’uno;
i 6 fascicoli bimestrali dei Quaderni di Bilychnis, eleganti volumetti in-8° piccolo di pag. 64 (o, se raggruppati, multipli di 64), illustrali, formanti un’insieme di 384 pagine annue.
Gii abbonati potranno inoltre ottenere a prezzo ridotto:
l'abbonamento cumulativo col “TESTIMONIO”, rivista mensile delle chiese battiste italiane;
il bel volume del CHIMINELLI, “7/ Padre nostro „ e il mondo moderno -, l’interessante opera da noi edita, La Chiesa e i nuoci tempi.
CONDIZIONI : IN ITALIA PER 1 ANNO | PER 6 MESI | ESTERO PER 1 ANNO
“ BILYCHNIS ” e i Quaderni . . . L. 16 — 9- 1 30 —
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AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
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Il TFSTIMONin RIVISTA MENSILE DELLE CHIE- 1 Ed 1 IMUDilU gE BATTISTE . ANNO XXXV1II.
Si pubblica in fascicoli di 36 pagine elegantemente fregiate ed illustrate - Pubblica articoli di propaganda e di informazione sul cristianesimo in genere e sul movimento battista in ¡specie - Rubriche speciali: Rubrica dello spirito, Vita ecclesiastica. La pagina dei piccoli. Si propone di fornire ai pastori argomenti per meditazioni e sermoni e di essere largo di notizie sulle chiese battiste d’Italia.
:: :: DIREZIONE: ARISTARCO PABULO - Via Cassiodoro. 1 - ROMA 33 AMMINISTRAZIONE: BENIAMINO FODERA ■ Via Crescenzio, 2 - ROMA 33.
Abbonamento per l’Italia, annuo L. 5 - Semestrale L. 3 Per l’Estero, L. 10 ->Un fascicolo separato L. 0,60
PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
CULTURA DELL’ANIMA
Borsari R. : Guardando il sole 2 —
Burt W. : Sermoni e allocuzioni :............... —
GRATRY A.: Le sorgenti, con I prefazione di G. Semeria 5,40’
Monod W.: L’Evangile du Royaume ................io—|
— Délivrances . . . .io — |
— Il régnera..........io —
— Il vit.............io —
— Silence et prière. . . io —
Vienot J. : Paroles françaises |
Eononcées a 1’ oratoire du
>uvre...........- . 3,50
■Wagner C.: L’ami . . . 12 —
— Justice . . . . . . 10 — Rivista Propheia (Unica annata 1914) 5 —
FILOSOFIA
BLONDEL M.: “L’Azione’;, Saggio di una critica delia vita e di una scienza della pratica (vol. I e II) .28 —
Della Seta U.: G. Mazzini pensatore ...... 15 —
Della Seta U. : Filosofia morale (Voi. I e II) . . 15 —
Ferretti G.: L'Alfabeto e i fanciulli . . . . . ... 2 — *
Losacco M.: Razionalismo e Intuizionismo . . . 1 ■—
Momigliano F. : Vita delio spi- i rito ed eroi dello spirito 8 —
Neal TH: Vico e l’immanenza |
1 —
— Giovanni Vailati . . . 1 —.
Papini G.: Il tragico quotidiani) ..................5,50 ;
— Chiudiamo le scuole 1 — '
— La Toscana e la filosofia
italiana ........ 1 — •
Rensi G.: Sic et non*(metafisica e poesia) . . . 3,50
Semprini G. : La morale mistica dell’Imitazione di Cristo
Tagliatatela E.: Giovanni Locke . educatore, (per la prima volta ; tradotto in italiano) . . 4 —
Tilgher A.: Filosofi antichi
io — 1
Tilgher A. : Voci del tempo (profili di letterati e filosofi contemporanei) . . . 8.50 :
GUERRA E ATTUALITÀ
Brauzzi U. : La questione 'sociale ......... x —
Kolpinska A.: I precursori della rivoluzione russa 6 — Murri R. : L'anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pratici) . . . . 1,25
MURRI R. : Guerra e religione, Voi. I. lì sangue e l’al tare 2 —
MURRI R. : Guerra e religione.
Voi. II. L’imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa •........ 2 — — Dalla democrazia cristiana al partito popolare ital. 5 —
Rosa E.: Visione cattolica della guerra ........ 25 —
Rubbiani F.: Il pensiero politico di Leonida Bissolati 8 —ZANOTTI-BIANCO e CAFFI A.: La pace di Versailles, note e documenti (con20 carte etnografiche è politiche) xò —
La Chiesa e 1 nuovi tempi 3,50
Raccolta di scritti originali di Giovanni Pioli - Romolo Murri -Giovanni E. Metile - Ugo Ianni - Mario Falchi - Mario Rossi -“ Qui Quondam „ - Antonino De Stefano - Alfredo Tagliatatela.
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione deli’Ass. Tip. Lib. Itai. I5-IV-20* 1.
4
H Gasa Editrice BILYCHN1S - Via Crescenzio 2 - Roma 33
Sui prezzi dèi presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione deli'Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20).
I Costa G.: Diocleziano . 3 — (Profili) Ediz. Fonnfggini.
' — Politica e religione nell’impero romano . . . . . 2 —Cumont F.: Le religioni orientali nel paganesimo romano ........ 6,50
Di Rubba.: La disfatta del cattolicismo . . . . . 7 —
Di Soragna A.: Profezie di Isaia, figlio di .Amos. 7,50 ! Docllingcr I. : Il papato dalle origini fino al 1870 . 30 — [Fasulo A.: Dalle indulgenze alla dieta di Worms . 0,50
1 Janni U.: Il dogma dell’Eucari-stia e la ragione cristiana 1,25
i Labanca B. : La riforma del sec. XVI ed il celibato chiesastico ........ 1 —
LOISY A.: La palxdes nations i 1,50
Macchierò V.: Zagreus • Studi ¡f sull’Orfismo ..... 16,50
PETTAZZONI R. : La religione primitiva in Sardegna j 6 —
' — La Religione di Zarathustra ....... 15 — j Salvatorelli L.: Introduzione bibliografica alla scienza delle Religioni. . . . . 5 —
—«La Bibbia »Introduzione, al- i l’Antico e Nuovo Testamento ... . .............20 —
LETTERATURA
Borsi G.: Novelle ... io—
Brauzzi U.: I Luciferi . 5 —
Bonavia C.: La tenda e la notte ......... 3,5°
Chini M. : F. Mlstral . . 2 —
Croce B.: La poesia di Dante >5.50 Della Seta U.: Morale, Diritto e Politica internazionale nella mente di G. Mazzini.
L5O
Dell'Isola M.: Etudes sur Montaigne ....... 2,50 F. Momigliano: Scintille del
Roveto di Stagliene . io — Gallarati Scotti.T.: La vita di
A. Fogazzaro... . . 12 — Jahier P.: Ragazzo . . 3,50 Lanzillo A.: Giorgio Sorel. 1 — Orvieto Laura.: Sono la tua serva e tu sei il mio’signore (Fiorenza Nightingale). 8,50 Papini G.: Esperienza futurista 3/50 Papini G. : Cento pagine di poesia ......... 5— Sheldon : Che farebbe Gesù ? 2 — Soffici A.: Scoperte e massacri (Scritti sull’arte) 5 — Vitanza C.: Spiriti e forme del divino nella poesia di M. Ra-pisardi (conferenze). 1,50
RELIGIONE E STORIA
Buonaiuti E.: S. Girolamo 2 —
Caracciolo I.: Bagliori di comuniSmo nella Riforma. La guerra dei contadini . 6 —
Carpente! J. £.: Il posto del Cristianesimo fra le religioni (Traduzióne di G. Conte - pre- ! fazione di M. Puglisi) 2 — ;
— Il significato di « Nazareno ■ ....... 1,50 Schurè E.: - I grandi iniziati
16,50
— Santuari ¿'Oriente . 12.50
TYRREL G. : Autobiografìa e Biografìa (per cura di M.
D. Petre) ...... 15 —;
CHIMINELLI P. : Gesù di Na- ' Tyrrel »G. : Lettera confiden- ! zareth 2* Ediz. ... 6— ziale ad un professore d’an—II Padrenostro e il mondo tropologia ...... 0,50
moderno ...... 3 — ; Vitanza C.: La leggenda del
— Bibliografia della Storia del-j « Descensus Christi ad inla Riforma religiosa in Italia | feros » 1,50
5 — j Wcnck F.: Spirito e spiriti
- La fortuna di Dante nella! nel Nuovo Testamento. 0,75 Cristianità Riformata. 10 —1 X. La Bibbia e la Critica. 2 —IX. Lettere di un prete ino dernista.............3, soli Nuovo Testamento (Edizione Fides ét Amor) . . 5 —
I Vangeli (Edizione Fides et Amor) . ... . . . . . i.SoLa Bibbia (Vers. Diodati Edizione 1919) ...... 3,50
Nuovo Testamento (edizione tascabile in pelle) . . 2,50Nuovo Testamento e Salmi ad uso dei vecchi.......2 —
I Salmi (Edizione Fides et Amor) ...... 1,80
Giobbe, tradotto da G. Luzzi
1.80Taglialatela E.: L’educazione nella Chiesa dei primi secoli 3/50Taylor G. B.: Il Battesimo 0,50VÀRIA
Almanacco dei ragazzi . 5,50-Bar Jona.: Ite missa est 5 — Cadetti A. : Con quali sentimenti son> tornato dalla guerra . .. . . . 1,50
Dei Vecchio G.: Effetti morali-dei terremoto in Calabria secondo F. M. Pagano . 2 —
Inni sacri (320), senza musica.
1.50Niccolinl E. : I contadini e la terra ......... 2,50Fanzini A. : 11 libro di lettura per le scuole popolari . 2 —
Pioli G.: Educhiamo i nostri-padroni ....... 2.50NOVITÀ
PAPINI G.
STORIA di CRISTO
680 pagine L. 17 —
5
Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33 ni — —- " ----------r—™.m> .1., ------f
ESTRATTI DELLA RIVISTA “ BILYCHNIS „
I Serie 1012-1018
Amendola Èva: Il pensiero re-Hgioso c filosofico di F. Dostoicv-*ky (con tavola fuori testo: ritratto del D. disegnato da I*. Pacchetto). 1917. p. 40 . Esaurito
"2. Bernardo (fra) da Quintavallc: ¡.'avvenire secondo l'insegnamento di Gesù. 1917, p. 13...... 0.80
Biondolillo Francesco: La religiosità di Toofllo Folengo (con nn disegno). 1912. p. 12 . 0.40
4. Biondolillo Francesco: Per la religiosità di F. Pctrdrca (con una tavola). 1913,-p. 9 ... 0.10
•5. Cappelletti Licurgo: Il conclave del 1774 c la Satira a Roma. 1918, P- 10........................ 0.50
•6. Cento Vincenzo: Colloquio con Renato Serra. 1918, p. Il 0,60
7. Chiapponi Alessandro: Contro l'identificazione della filosofia c della storia c pel diritti della critica. 1918, p. 12............ 0,60
-8.Corso Raffaele: Ultime vestiglà della lapidazione (con 2 disegni originali di P. Paschctto). 1917.
P- 11 ................... Esaurito
9. Corso Raffaele: I.o studio dei 1 riti nuziali. 1917. p. 9 ... 0,40
30. Corso Raffaele: Deus Pluvlus (saggio di mitologia popolare).
1918, p. 13 ............. 0.75 :
•I I. Costa Giovanni: La battaglia di Costantino a Ponto Milvio (con due tavole c due disegni). 1913. pagine ¡4 ........................ i.5o :
.12. Costa Giovanni: Critica c tradizione. Osservazioni sulla politica e sulla religione di Costantino.
1911. P- 23 ................. |,50
13. Costa Giovanni: Impero romano e cristianesimo (con due tav.), 1915, p. 49................... 2 —
14. Costa Giovanni: Il • Chrlstns • 'della ■ Cines •. 1.917, p. Il 0,30
15. Crespi Angelo: LI problema del-l'educazione (introduzione). 1912.
P- 11 ................... Esaurito
16. Crespi Angelo: L'evoluzione della religiosità nell’individuo. 1913.
>■ 14 ....................• 0,50
•17. .De Stefano Antonino: Lo origini del Frati Gaudenti. 1915, pa-1 gine 26 ...................... 1,50 |
a8. De Stefano Antonino: I Tede- ’ schi e l’eresia medievale in Italia.
1916, p. 17.................. | —I
19. De Stefano Antonino: Delle origini dei • poveri lombardi • c di alcuni gruppi valdesi. 1917, pagine 23 ................. 1 —
20. Fallot T-: Sulla soglia (considerazioni sull'af di là) (con una tavola f. t., disegno di P. Paschctto).
1916, p. 14 ............. 0,50
21. Fasulo Aristarco: Pel IV centenario della Riforma. 1917, pagine 1S ................. 0,50
22. Fasulo Aristarco: Brevi motivi d'una grande sinfonia (Della Provvidenza). 1918, p. 16 ... .. 0,50
23. Formichi Carlo: Cenni sulle più antiche religioni dell’india (con suggerimenti bibliografici). 1917, P- 15 ................. 1 —
24. Pomari F.: Inumazione e cremazione (con quattro tavole).
1912, p. 6 ............ Esaurito
25. Gabellili! M. A,: Olindo Guer-rini: l'uomo e l'artista. 191$, pagine 17 ................. 0,50
26. Gambaro Angelo: Crisi Contemporanea, 1912, p. 7 ....... 0,30
27. Ghignoni P. A.: Lettera a R. Murri (A proposito di Origliane-simo e guerra). 1916, pagine 9 1
Esaurito
28. Giretti Edoardo:- Perché sono per la guerra. 1915, pagine li ;
Esaurito ì
29. Giulio-Benso* Luisa: « La vita 0 un sogno . di Arturo Farinèlli. !
1917, p. 16 ............. 0,50 |
30- Giulio-Benso Luisa: Lnmennais e Mazzini (con una tavola f. t.: | ritratto del Lamonnals). 191$, | P- 40 ................,.. 1,50
31. Giulio-Benso Luisa: Il sentimento religioso nell’opera di Alfredo Orioni. 1918, p. 43 . 1,50
32. Lunzillo Agostino: Il soldato c l'eroe (Frammenti di psicologia! di guerra). 191$, p. 25 Esaurito:
33. Latte» Dante: Il filosofo dei ri-nascimento spirituale ebraico. 191$, p. 21............. 1,25
34. Lonzi Furio: I.’autocefalia della i Chiesa di Salone (con undici Illustrazioni). 1912, p. 16 ... 1 — |
•35. Lonzi Furio: Di alcune medaglie religiose del iv secolo (con una tavola e quattro disegni). 1913, P- 21 ................... 1,50
36. Leopold IL.: Le memorie apostoliche a- Roma e I recenti scavi di S. Sebastiano (con una tavola).
1916. p. 11. ..... Esaurito
37. Luzzl Giovanni: L'opera Speli-coriann. 1912. p. 7.......... 0,30
2S. Masini Enrico: La liberazione-di Gerusalemme. Salmo. 1917-P- 2 .................. 0,25
, 39. Melile Giovanni E.: Il cristiano nella vita pubblica. 1913, p. 31 in-32» ................. 0,25
। 10. Melile Giovanni c Ada: Gia-na volto. Scene valdesi in quattro atti. (Disegni e xilografie di P. A. Paschctto).,1918, p. 67 ... 2,50
41. Minocchi Salvatore: I miti babilonesi e le origini della gnosi, 1914, p. 43 ........... Esaurito
' 12. Momigliano Felice: Il giudaismo di ieri e di domani. 1916, pagi-" »0 16 ................. Esaurito
13. Mailer Alphons Victor: Ago-s,t{no Favaroni (71443) (generalo dell Ordine Agostiniano) e la teologia di Lutero. 1914, p. 17 0,50
44. Murri Romolo: L'individuo e la storia (A proposito di Cristianesimo e guerra). 1915, p. 12 . 0,50
45. Murri Romolo: La religione nell'insegnamento pubblico in Italia.
1915, p. 22 ............. 0,75
•16. Murri Romolo: La « Religione » di Alfredo Lolsy. 1918, pagine 16 Esaurite
47. Murri Romolo: Gl'Italiani e la libertà religiosa nel secolo xvti. 191$, p. 10 ............. 0,50
48. Mattinoli! Ferruccio: Il profilo intellettuale di Sant’Agostino 1917 P-8......................... 0.40
49. Nnzzarl R.: Le concezioni idealistiche de! male. 191$, pagine 16 .................... 1 —
50. Neal T.: Maine de Biran. 1914.
«tfP- 9 ..................... 0,50
51. Oràno Paolo: La rinascita dell'anima. 1912, p. 9.......... 0,50
52. Orano Paolo: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita ed un ritratto). 1915, P- 19 ........................ i 53. Orano Paolo : Gesù e la guerra.
1915. p. 11 .................. 0,60
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20).
6
iv Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33
Sui prezzi del prestente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20).
54. Orano Paolo, Il Pupa a Con? i 73. Qui Quondam: Carducci c il grosso. 1916, p. 12............ 0,75 Cristianesimo in un libro di G.
Papini. 1918, p. 11......... 0.50
55. Paolo Orano: La nuova cosclen- L
za religiosa in Italia. 1917, p. 19 Esaurito
56. Orr James: La Scienza e la Fedo Cristiana (secondo il punto di vista conoiliatorista). 1912, p. 25 0,25
57. Pascal Arturo: Antonio Caracciolo, Vescovo di Troyes. 1915, P. 39 ........................ 1 —
58. Pioli Giovanni: Marcel Hébert. (con ritratto ed un autografo).
1916, p. 23 ............... 1—1
59. Pioli Giovanni: Inghilterra di ieri, di oggi, di domani. Esperienze e previsioni (con sci tavole). 1917, p. 57 ........... 1.50 ]
60. Pioli Giovanni : La fedo c l’immortalità nel « Mors et vita » di ■ Alfredo Loisy (con ritratto dol ; Loisy). 1917, p. 22 .......... 0,60
61. Pioli Giovanni: Morale e religio- j ne nelle opere di Shakespeare (con 1 cinque tavole). 191$, p. 46 2 — !
62. Pioli Giovanni: 11 cattolicismo ’ tedesco c il < centro Cattolico ». I 1918, p. 21 ............. 1,25
63. Pioli Giovanni: Lo spirito della i Riforma e quello della Germania contemporanea. 1918, p. 11 0,50 I
6-1- Pons Silvio: La nuova crociata i dei bambini. 1914, p. 6 Esaurito
65. Pons Silvio: Saggi Pascaliani. I. i Il pensiero politico o sociale del i Pascal, II. Voltaire giudice dei « Pensieri del Pascal». III. Tre fedi | (Montaigne, Pascal, Alfred de Vi- i gny) (con due tavole fuòri tèsto).
1914, p. 30 ................. 1.50 i
66. Provcnzal Dino: Giuoco fatto. 1917, p. 12-.............. 0.40
67. Provcnzal Dino: L'anima teli- ' giosa di un eroe. 191$. p. 12 0,75 68. Puglisi Mario: il problema mo-I rale nelle religioni primitive. 1915, P. 36 ..............;......... i —
69. Puglisi Mario : Le fonti religioso | del problema del male. 1917, pa- j gino 97 .................. Esaurito
70. Puglisi Mario: Realtà c idealità , religiosa (a proposito di un nuovo | libro di A. Loisy). 191$. pagi- : no 13 ................... i — ;
71. Quadrotta Guglielmo: Religione, | Chiesa c Stato nel pensiero di An- ! tonio Salandra (con ritratto o una lettera di Antonio Salandra).
1916. p. 31 ............. 1 — j
72. Qui Quondam: Visione di Natale; Frammento (con otto di- ■ Segni di P. Paschetto). 1916, pagine 7 ................ Esaurito •
*74. Qui Quondam: La Carriola (La I bruette) Dalle Musardiscs di Ros- ’ tanfi (con duo disegni di Paolo I Paschetto). 1918. p. 5 ..... 0,40 j
75. Re-Bartlett: Il Cristianesimo e lo chiese. 191$, p. 10 Esaurito
76. Rendei Harris: I tre « Misteri » ! cristiani di Woodbrookc (Introduzione e note di àiario Róssi) ' (con un disegno di P. Paschetto). I 1914, p. 27, in-32* ........ 0,50 !
77. Rcnsi Giuseppe: La ragione e ! la guerra. 1917, p. 27.....: 0,75 j
7$. Rosazza Mario: Del metodo ! nello studio della storia delle re-1 ligioni. 1912. p. 7 ... Esaurito
79. Rosazza Mario: Lu religione dei nulla (Il Buddismo) (con sei di-1 segni). 1913 ------------ Esaurito
80. Rossi Mario: Verso il Conclave, I 1913, p. I ............... 0,25
SI. Rossi Mario: La chimica del Cristianesimo (conferenza religiosa). 1916, p. 9 ......... 0,50
$2. Rossi Mario: Esperienze reli-1 giose contemporanee, 191$, pa-1 ginc 13 ................. 0,50 I
$3. Rossi Mario: La « Cacciata della morte » a mezza quaresima in un . sinodo boemo del '300 (Note folk- : loriche). 191$, p. 8 ....... 0,50;
84. Rossi àiario: I sofismi sulla! guerra e la difesa della nostra latinità (Guerra di religione o guerra economica?). 1918, p. 17 0.50 |
85. Rostan C.: Lo stato delle anime ! dopo la morte secondo il libro XI dell'< Odissea». 1912, p. 8 Esaurito
$6. Rostan C.: Le idee religiose di Pindaro. 1914, p. 9 Esaurito ;
$7. Rosta» C.: L’oltretomba nel libro VI dell’» Eneide ». 1916. pagine 15 <................ .0,50 !
SS. Rubbiani Ferruccio: Mazzini c Gioberti. 1915. p. 15 .. Esaurito
89. Rubbiani Ferruccio: Un modernista del Risorgimento (Il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga).
1917, p. 23 ............. 0,60
90. Rutili Ernesto: Vitalità c Vita ! nel Cattolicismo (I e II). Cronache Cattoliche per gli anni 1912-1913 ............... Esaurito
91. Rutili Ernesto: Vitalità c Vite I nel Cattolicismo (III, IV, V). Cronache cattoliche per gli anni 1913 ' e 1911 (tre fascicoli di pagine com-plessi ve 52) ............. 1,50!
92. Rutili Ernesto: La soppressione-dei gesuiti nel 1773 noi versi inediti di uno di essi. 1914, pagine 6 ................... 0,40
9,3. Sacchlni Giovanni: Il Vitalismo-1914. p. 12 ............ 0,50
94. Sulatiollo Giosuè: Il misticismo di Caterina da Siena (con una tavola). 1912, p. 10 ..... .. 0.50
95. Salaticilo Giosuè: L’umanesimo di Catorbia da Siena. 1912.
P. 10..................... 0,50
96. Salvatorelli Luigi: La storia dol Cristianesimo Cd i suoi rapporti con la storia civile. 1913, 0« 10 ............ Esaurite
97. Scaduto Francesco: Indipendenza dello Stato e libertà della Chiesa. 1913, p. 25 in-32* 0,26
98. Taglialatola Alfredo: Fu il Pascoli poeta cristiano? (con ritratto-dei Pascoli e 4 disegni di P. Paschetto) 1912, p. li .. ... 0,75
99. Taglialatola Alfredo:'Il Sogno di Venerdì Santo e il sogno di-Pasqua (con 4 disegni originali di Paolo Paschetto). 1912. p. 8 0,25
100. Taglialatola Eduardo: Morale-u religione. 1916, p. 40 ... 1 —
101. Inguaiatela Eduardo : L’ inse-S»amento religioso secondo o-ierni pedagogisti italiani. 1916,.
p. 9 ................... 0,50
102. Taufani Livio: Il fino dell’educazione nella scuola dei gesuiti.
1918, p. 27 ............. 0.75
103. Tosate! Quinto: Giordano Bruno (con ritratto del Bruno: disegno di P. Paschetto). 1917, p. 19 ................... 1 —
104. Trivorio Camillo: La ragione e-laguerra 1917, p. 151 ..... 0,40
105. Tucci Paolo: La guerra nelle grandi parole di Gesù. 1916, P- 27 ................... 1 —
106. Tucci Paolo; Il Cristianesimo-e la storia (A proposito di Cristianesimo e guerra). 1917, pagina 9 ................. 0,50
107. Vitenza Calogero: Studi Com-modiànci.-I. Gli Anticristi e l'An-ticristo nel « Carmen apologeti-cum • di Commodiano. II. Commodiano Doceta? 1915, p. 15 0,75
10$. Vitenza Calogero: L’eresia di Dante. 1915. p. 13. Esaurito
109. Vitenza Calogero: Satana nella dottrina della redenzione. 1916, P- 19 ................... 1 —
110. Wiglcy Raffaele: I metodi della speranza (Psicologia religiosa). 1913, p. 14 ... Esaurito
111. Wiglcy Raffaele: L’autorità del Cristo (Psicologia religiosa)
1915, p. 39 .;........... 1 —
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Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33
v
II Serie 1919=1921 --• Fattori Agostino: Pensieri del->21. Nazzarl l’ora (Leggendo il Colloquio con I Renato Serra di Vincenzo Conto). .
1919. p. 13 ............ 0.60
llto). I 0.60 I
2. Di Rubba Domenico: La fede ! religiosa di Woodrow Wilson- 1 1919, p. 29 ................ 0,50 !
3. Fra Massco da Prato verde: Intermezzo sacramentalo (A prò- : posito di Unione delle Chiese Cri- ; stiano). J919, p. 17........ 0.75 !
4. Dell’Isola M- o Provonzal Dino: | C’è una spiegazione logica della , vita? 1919, pv12 ... .... .. 0.60 I
5. Blllia Michelangelo: Il vero ! uomo. 1919, p. 7............ 0,50 I
6. Rossi Mario: Religione o reli- I gioni in Italia secondo l’ultimo | censimento. 1919. p. 13 ... 0,50 ।
7. Cadorna Carla: I ritrovi spiri- ' tuali di Viterbo nel 1541. 1919, • P- ? ..................... 0,50
8. Masini Enrico: Epistola ai fratelli di buona volontà. 1919. pa- !
Rine 11 ................. 0.50 i
9. Marchi Giovanni: Il Confiteor | dei giovani. 1919, p. 8..... 0,50 |
10. Qui Quondam: Dopo-guerra nell clero. 1919, p.-14......... 0,60
11. 'Cucci Paolo: La guerra c la pace , nel pensiero di Lutero; 1919, I
P- '31 ................... 1,50 ;
12. Pavolini Paolo Emilio: Poesia I religiosa polacca. 1919. p. 8. 0,50 j
13. Pioli Giovanni: In memoria del I P. Pietro Gazkola. 1919. pa- I Rine 15 ................. 1.50;
14. Provenzal Dino: Ascensione' eroica. 1919. p. 14 ........ 0.80 •
15. Rcnsi Giuseppe: Metafisica e li- i rica. 1919, p. 15 ......... 1 —
16. Falchi Mario: C'è una spiega- ; zione logica della vita? 1919, ;
P. 8 ................... 0,40
17. Costa Giovanni: Giove ed Ercole (contributi allo studio della ■ religione romana nell’impero), con quattro tavolo. 1919, pa-1 Rino 27 ................. 2 —
18. (•••) Mancanze di garanzie nel-1 lo Schema c nel nuovo Codice di diritto canonico c saggio su le fonti. 1920. p. 52........... 3 —
19. , Della Seta Ugo: La visione; morale della vita in Leonardo da | Vinci. 1919, p. 31......... 2 —
20. Losca Giuseppe: Sensi o pensieri religiosi nella poesia di Arturo Graf (con due tavole). 1914-1919, p. 40 ............. 2 —
29. Momigliano F.: I momenti ed pensiero italiano (dalla Scolastica alla Rinascenza). 1920, p. 12 1,50
30. Thompson Fr.: Il veltro del ciclo (Versione di M. Praz); 1920, pagine 8 ............... 1.50
31. Tucci G.: A proposito dei rapporti fra Cristianesimo c Buddismo. 1920, p. 12........ 1,50
32. Mueller V. a.: G. Perez di valenza O. S. A. vescovo di Chrysopoli e la teologia di Lutero. 1920, pagine 15 .............. 1.50
33. Troubetzkoi E.: L’utopia bolscevica ed il movimento religioso in Russia. 1920, p. 15 .... 1,50
34. Momigliano F.: L'educazione re- . ligiosa di G. Mazzini. 1920. p. 10
1.50 ■
35. Formichi C.: La dottriua idea-listica dello • Upanishad >. 1920. pagine 16 ............... 2 —36. Corso Raffaele: Folklore Bi-blico. 1920. p. 16 .......... 2 —
37. Persi Guglielmo: La religione della terra. 1920, p. 11 .... 1,50
38. Arcavi Paolo: Rappresentazioni ed intuiti del divino in G. Pro-vinti. 1920, p. 14 (con 8 tavole) 2,50
39. Nazzari Rinaldo: L’esistenza di Dio e il problema del male. 1920, pagine 12................... 1,50
40. Giulio Benso Luisa: Sofia Blsl, Albini. 1920, p. 15 (con tav.). 1,50 |
Rinaldo: Intelletto e
ragione. 1919 . p. 15 ....... 1 —22. Ferretti Gino: Le fedi, le idee c la condotta. 1919, p. 50 ... 2 —
23. Cento Vincenzo: L’Essenza del Modernismo. 1920, p. 52 .. 3 —
2-1. Minocchi Salvatore: Un disinganno della scienza biblica? (Z papiri aramaici di Elefantina), 1920, p. 11 .............. 1 —
25. Corso Raffaele: La rinascita della superstizione nell ultima I guerra. 1920, p. 20 ......'.. 1,50 i
26. Colonna di Cesarò G. A.: Lai guerra europea dal punto di vista spirituale, 1920, p. 15 .... 1,50
27. Arcati P.: Atteggiamenti della' pittura religiosa di Eugenio Bur- I uand. 1920, p. 14 (con tavole) 1,50 :
28. Luzzl G.: A uno studente de) ; scc. xx è egli ancora possibile d’es-, sere cristiano? 1920, p. 12.. 1 —:
| 41. Sotcr: Giosuè Borsi e il Cardinale Mail). 1920, p. 15 (con tav.) 2 —
| 42. Tilgher Adriano: Il tempo c l’eternità. 1920, p. 10 .... 1,8q
43. Salvatorelli Luigi : Il pensiero del Cristianesimo antico intorno allo Stato, dagli Apologeti ad Ori-gene. 1920, p- 4 . . . . . 3,50
44. Renda Antonio: La teoria psicologica del valori. 1920. p. 4 3.50
45. Formichi-C.: Paul Deussen. 1920, P- 15.............. 3 —
46. Pugllsi M.: Misteri pagani e mistero cristiano. 1920, p. 19 . . 3,50
■17. De Savio F.’: Ernesto Haeckel. 1921, p. 14 .... . ...... 2,50
4$. Pioli G.: L’< Etica della Simpatia-nella « Teoria dei sentimenti mo» vali, di A damo Smtth.1920, p. 73 6 —
; 49. Grabhor C.: Un mistico e il suo amore. 192;, p. 8 ....... 1,50
50. Lattea D.: Cristianesimo ed
Ebraismo.. 1921, p. 14. . . . . 2,60
51 Rossi Mario: Che cosa è la Comunioni- 0 il Corpo di Cristo? (cori una tavola) 1921 p. 19 . . . 2 —
52. Oalderini Aristide: Sacerdozi o sacerdoti nell’Egitto degli Antonini. 1921, p. 14 ...... . 2 —
53. Rodio G.-Janni U.: Ebraismo.e Cristianesimo (Discussione). 1921, p. 12 .......... 1,50
51. Neal T.: Blondel e il problema religioso. 1921, p. 19 . . . . 2 —
55. Farinelli Arturo: Friedrich Spco. 1921, p. 15 ....... 1,50
56. Comba Ernesto: Ebraismo o Cristianesimo. 1921, p. 11 . . 1,25
57. Bersano Begey M.: La missione . spirituale di Napoleone secondo
A. Towianski, 1921,p. 11 . . 1,25
' 58. Levi Della Vida G.: Ebraismo c Cristianesimo, 1921, p. 8 . . 2 —
1 59. Lo Gatto Ettore: La Russia e il suo problema religioso, 1921, P- Il . . ; ........ 2,50
60. Macchierò V.: Monoteismo 0 Zoroastrismo, 1921, p. 14 ... 3 ;
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20).
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2. A. V. Müller, Una fonte ignota del sistema di Lutero (Il Beato Fidati da Cascia e la sua teologia).
3. A. Severino, Il sentimento religioso di F. Amiel.
4. R. Nazza ri, La dialettica di Proclo e il sopravvento della filosofia cristiana.
Da pubblicarsi entro il 1921 :
5. Q. Pioli, G. Tyrrell e il suo epistolario.
6. A. Tilgher, La visione greca della vita.
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I.' PROFILI.
IL GLI UOMINI. (I combattenti cristiani sono giovani normali - Amore per la vita -Affetti famigliar: Allegria - Amicizie - Intellettualità - Letteratura -Arte -Poesia della natura - Purezza).}
III. 1 COMBATTENTI. (Sensibilità, modestia, prestigio - Testimonianza'cristiana tra i compagni - Ore grigie e pac’e intcriore - Entusiasmo' - Coraggio - Nella mischia: onore, sensibilità, pietà - II problema tragico e le sue soluzioni - Patriottismo - Rinunziamento e consacrazione - Devozione alla patria e ideali civili -Fede nell’umanità e convinzioni cristiane).
IV. I CRISTIANI. (La Federazione Studenti - La Bibbia - La preghiera - L’A! di là -Sviluppo e approfondi mento della vita spirituale - L’Ànsia sociale - Fraternità interconfessionale - Religiosità moderna - Valore della vita presente - Concetto della felicità - Problemi del dopo guerra - Vette morali e spirituali).
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BILYCHNIS
rivista di sTvdi religiosi
E DITA DALLA FACOLTÀ • DE LLA • SCVOL A
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VOL. XVIII. 2
SCETTICISMO, IDEALISMO E FEDE
no dei principali motivi di avversione allo scetticismo è il ritenere che esso sia l’antitesi e la negazione della fede, fede religiosa non solo, ma fede d’ogni altra natura: morale, sociale. Il contrario è vero. E questo motivo d’avversione non può derivare che dall’ignoranza o dalla malafede con cui vengono confusi i due sensi della parola scetticismo, il volgare e il filosofico.
Per il linguaggio comune, scettico (parola che si prende soprattutto con un’ applicazione morale) significa il beffardo spregiatore ed irrisore di ogni buon sentimento, il désabusé che non crede nella generosità nè in alcun moto nobile dell'animo, e che sotto ognuno di questi scopre motivi perversi. In realtà; nell'accezione seria, filosofica e storica della parola, lo scetticismo è anzi l'effetto dell’appassionata comprensione di tutti i punti di vista e d'una valutazione dei loro argomenti così profonda e sentita da eliminare la possibilità d’esclusione dell’uno o dell’altro. Esso è quindi frutto della massima comprensione mentale, della massima conoscenza. È proprio di chi è definitivamente fuori dell'innocenza filosofica, la quale crede ancora (unicamente perchè non conosce o non sa valutare al loro giusto valore le ragioni contrarie, perchè, per dirla con lo Hume, non vede « le cose che da un lato solo » e non ha « nozione alcuna di argomenti opposti a) (i), che, nell’urto secolare di tutti gli argoménti, questa o quest’altra soluzione filosofica sia quella che ha per sè l’apodittica razionalità, che «trionfa», o «ha trionfato», o
(i) Ricerche sull’intelleito umano, trad. it., pag. 161.
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BILYCHNIS
è « prossima al trionfo ». È, lo scetticismo, così inteso, l’acme della filosofia (i). Esso è anche proprio di chi è intellettualmente sincero, e perciò diceva Nietzsche che gli scettici sono le sole figure onorevoli nel tre volte ambiguo mondo dei filosofi (2). Non si può quindi nemmeno asserire che lo scetticismo scaturisca inizialmente dalla affermazione della falsità di tutte le opinioni e le fedi, chè anzi esso in prima linea sorge dal riconoscimento della possibilità di tutte. « Sotto l’impero della logica — secondo la perfetta espressione di G. Ferrari — non si nega nulla, perchè si nega tutto; non si prova nulla, perchè si prova tutto » (3). Lo scetticismo sa che in filosofia è possibile convincersi che ogni tesi è sostenibile e giusta: basta accentuare dentro di sè, far predominare nella propria attenzione, l’uno o l’altro ordine di argomenti, che sono certo entrambi attendibili e ragionevoli, se no ragioni umane non li avrebbero sostenuti. È la tesi di Pascal che, purché se ne abbia il vivo desiderio, la voglia, la passione, si può credere quel che si vuole, scorgere checchessia come « vero » — donde viene che di argomenti puramente razionali ce n’è in ugual misura per tutto, che non esiste (sempre oltre il campo della stretta immediata esperienza fenomenica) un vero, qualcosa di obbiettivamente vero. È la tesi di Renouvier che ogni credenza è passione, tesi con cui egli opina di superare lo scetticismo e che invece lo fonda, perchè prova che tutto o niente è, dal punto di vista della mera razionalità o ragion pura, falso o vero, ma solo vediamo noi, diviene per noi, vera o falsa una idea a seconda del colorito che vi dànno i nostri bisogni o le nostre tendenze psichiche, il nostro temperamento spirituale, la nostra volontà profonda, la nostra passione. Tesi che la storia d’ogni religione conferma. Poiché il sentimento religioso comincia col formare le prime credenze, assurde, confuse, contrastanti coi fatti e con la logica. La ragione si irrobustisce, ne dimostra l'insostenibilità, le rovescia. Ma non per questo la religione è vinta. Quel medesimo sentimento religioso si adegua ai postulati di tale ragione più robusta, di tale logica superiore, foggia delle nuove costruzioni conformi ai dati di questa, crea, in luogo di quelle primitive credenze, le teologie. Accade spesso una nuova scossa, un nuovo rovesciamento (Copernico, Darwin). Si direbbe, questa volta, la religione definitivamente schiacciata. Ma non lo è affatto. Tosto il sentimento religioso incomincia la sua ricostruzione, in questa agevolmente incorporando i nuovi dati della ragione scientifica. Esempio luminoso del sentimento che soggioga a suo beneplacito la pretesa e cosiddetta ragion pura, che la colorisce e la plasma di sé, che diviene ragione. Di questo amalgamarsi del sentimento con la ragione, di questo suo asservirla a sé, di questo suo servirsi della ragione, per quanto tutta spiegata e in possesso de’ suoi mezzi più potenti, per le
(1) È press’a poco quello che equamente riconosceva Giusto Lipsio parlando degli scettici antichi: «Quid? nonne omnia aliorum scita tenere debuerunt et inquirere, si potuerunt repellere? res dicit. Nonne rationes varias, raras, subtiles in venire at tam receptas, claras, certas (ut videbatur) sententias eVertendas? » (Manuduc. ad Stole. Phtlos., Lib. II., Disp. IV).
(2) «Die Skeptiker, der einzige ehrenwurde Typus unter dem so zwei bis fünf-deutigen Volle der Philosophen » (Ecce Homo. Werke, voi. XI, p. 293).
(3) La Filosofia della Rivoluzione, voi. I., p. 215.
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SCETTICISMO, IDEALISMO E FEDE
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proprie costruzioni, sono veramente prova lampante le teologie e i sistemi religiósi, sempre risorgenti sopra ogni pensiero scientifico che sembra averli annichiliti, e innalzatesi precisamente coi materiali di esso. Ciò è, del resto, un aspetto del fatto generale dell'assoluta insignificanza della scienza per la nostra vita spirituale. Il « sapere », la « verità », la conoscenza pura, si ha solo (per ammissione anche degli scettici) in quello che ha in sè peso, numero e misura, nella matematica, nelle « questioni di fatto ». Ma ciò è precisamente quel che non importa affatto alla nostra vita spirituale, e davanti a cui essa continua a scorrere nel suo l'ito con perfetta indifferenza. È un’assoluta falsità, per quanto speciosa e ripetuta, che la scienza, che le grandi scoperte scientifiche, trasformino il mondo spirituale dell'uomo, creino una diversa atmosfera alla sua più profonda vita mentale. In realtà, esse non cagionano alla vita della coscienza umana che modificazioni del tutto superficiali; nè è da credere che ferrovie, telègrafo, aereoplani diversifichino radicalmente il tenore psichico (e forse nemmeno quello materiale) della nostra vita in confronto di quella dei romani o dei greci antichi. La scoperta di Copernico e quella di Colombo non hanno (come pure si sarebbe detto avrebbe dovuto accadere) tòlto di mezzo nè il Cristianesimo, nè Platone, nè Aristotele. La terra si raddoppiò, si mise a girare, si fermò il sole. Che mutamento immenso! Che catastrofe di concezioni secolari ! In realtà, nella vita spirituale tutto s’accomodò benissimo alle concezioni precedenti, tutto continuò a procedere sui binari consueti (1).
Ma mettiamo la cosa ih termini più precisi.
Nessuna necessità sospinge lo scetticismo a rimuoversi dalla posizione: « questi sono i fatti, non c’è spiegazione », in cui consiste la sua fondamentale tendenza. Nessuna necessità insita nella sua concezione e nel suo atteggiamento mentale costringe lo scettico a diventar credente. Lo scettico può benissimo — in perfetta coerenza coi suoi principi —- rimanere in istato di incredulità di fronte a tutte le fedi. Nulla nella sua dottrina lo obbliga a fare il passo di appropriarsi una di queste. Tale è anzi e rimane più di frequente la posizione dello scettico, e tale è la posizione che si crede, ma erroneamente, essere esclusivamente e per logica necessità sua propria.
(1) Della scienza si può dire in generale che essa « non viene incontro ai problemi fondamentali della vita. Non dà all’uomo nè aiuto pratico nè pace mentale in presenza alle questioni della morte, della disgrazia, delle profonde difficoltà morali, dei più pressanti problemi della vita sociale. La ragione di questo insuccesso è che, sebbene essa si muova con qualche sicurezza nell’area sua propria, la sua area è, relativamente parlando, la superficie della vita, e vi sono profondità sotto la superficie in cui le fonti della vita giacciono nascoste » (L. T. Hobhouse, Developmenl and Purpose, Londra, Macmillan, 1913, p. 106). E si può aggiungere (in contraddizione alla famosa tesi dei Buckle) che forse la scienza non serve a nulla per la condotta della vita, perchè non è mai creduta {saputa) in modo effettivamente operante. Vi si crede, ma con un sorriso Ad ogni sua fase, da Galeno ad oggi, la scienza ha « dimostrato » (sebbene in forma diversa e sempre riputando darne la dimostrazione veramente «scientifica») l’igiene e la sua necessità. Tutti « sanno »; ma è un sapere inefficace. Nessuno vi bada. Così nel campo dell’economia. Che cosa di più « dimostrato » del liberalismo e dell'assurdità del protezionismo? Ma anche qui tutti «sanno» e nessuno ci bada.
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BILYCHNIS
Erroneamente. Perche se nulla costringe, nulla anche logicamente impedisce che lo scettico faccia tale passo. Nessuna logica incompatibilità, insomma, v’è tra scetticismo e fede. Se non è detto che essi sempre si congiungano e che debbano congiungersi, nulla però impedisce che si congiungano.
Perciò l'errore di opporre la fede allo scetticismo e di combattere questo per amore ed in vista d'un incremento della fede. L’antitesi infatti non corre tra scetticismo e fede, ma precisamente tra sapere e fede. La fede (secondo Schopenhauer scultoriamente esprime questo concetto) « è fede per questo, che essa contiene ciò che non si può sapere » (i). E, per vero, dove c’è sapere non c’è fede; non si crede, si sa. Dove c’è fede non c’è sapere; si dice credo, dove non si può dire so. La conferma storica di questa antitesi tra sapere e fede e della conseguente congiungibilitàtra scetticismo e fede, la si ha nel fatto che nell’epoca moderna il primo sistematico (a parte, dunque, Montaigne) restauratore dello scetticismo fu un vescovo cattolico, P. D. Huet (2); la si ha in Pascal, in cui il più profondo anelito religioso che forse abbia mai palpitato in un cuore umano, si fonda sul materiale del pirronismo: la si ha nel Newman; la si ha nel Renouvier. Costruisce bensì quest’ultimo la sua bella e forte teoria della certezza fondata sulla credenza, ridotta a credenza (3), sospinto dall’ansia di uscire dal dubbio scettico, di cui egli misurava e sentiva tutta la potenza, e credendo con ciò di aver superato lo scetticismo. Ma è un’illusione. Tutti « i massimi problemi » (egli dice) finiscono in un'antitesi che la nostra ragione non può risolvere, perchè vi sono argomenti ugualmente forti per l’una e per l'altra alternativa: cosa o persona, determinismo o libertà, infinito o finito, sostanza o legge dei fenomeni, ecc. (4). Poiché gli argomenti razionali sono ugualmente forti per entrambe le alternative, noi siamo logicamente liberi di scegliere, e possiamo perciò, anzi dobbiamo scegliere, con atto di pura credenza, quella delle due alternative che meglio soddisfa i nostri bisogni spirituali più profondi. Ciò non è vincere lo scetticismo. Ciò è anzi riconoscere il caposaldo di questo, ossia l’impotenza della ragione. Renouvier è quindi interamente pascaliano. Come Pascal, non supera già lo scetticismo, ma anzi si serve di questo per fondarvi la credenza.
E persino un intellettualista come S. Tommaso ha riconosciuto l'antitesi esistente tra fede e sapere. Sebbene (egli dice) « credere sit cum assensione cogitare » (5), il « cogitare », l’operazione dell’intelletto, nella fede è una certa indagine mentale, sì, ma che non arriva al punto in cui si ha la « perfectionem intellectus per exacti-tudinem visionis » (6). Alla fede occorre che l'intelletto assentisca « non quia suffìcien(1) Ueber die Uni ver si làts Philosophie (Sàmtnll. Werke, ed. Griesebach, voi. IV., pag. 169).
(2) Per lo stesso Montaigne, del resto, come per gli altri scettici del principio dell’epoca moderna, Charron, Sanchez, La Mothe le Vayer, Foucher, Glanville e persino per Bayle, lo scetticismo ha la tendenza di servir a confermare la possibilità della fede.
(3 Traili de Psychologie rationelle, Deuxième Parlie.
(4 Les Dilemmes de la Métaphysique pure.
(5 Summa Theol. Seconda secundae, Ó. II. A. I.
(6 Ib.
15
SCETTICISMO, IDEALISMO E FEDE
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ter moveatur ab objecto proprio, sed per quamdam electionem voluntarie decli-nansin unampartem magis quam in aliam » (i), occorre che l’intelletto possa essere determinato « non per rationem, sed per voluntatem » (2). Perciò nelle cose che si vedono non ha luogo la fede (3), ed è impossibile « quod ab eodem idem sit scitum et crediti! m » (4).
Dove c’è sapere, non c’è fede; dove c’è fede, non c’è sapere. Perciò l’antitesi vera corre non già tra scetticismo e fede, ma tra fede e quella filosofia di cui (secondo la sua presunzione) è proprio il sapere, cioè il dogmatismo idealistico assoluto.
L’idealismo assoluto è quindi assai più incompatibile con la fede che non il positivismo rigoroso.
Questo infatti proclama di volersi limitare a constatare i fenomeni e la loro concatenazione, di riconoscere che la ragione umana non può ottenere un sapere che li oltrepassi, una spiegazione essenziale di essi. Ciò costituisce una posizione di neutralità rispetto alla fede; più, uno spazio concesso alla possibilità di questa. Persino dall’Ardigò si può ricavare che tale è la posizione del positivismo. Egli descrive talvolta l’atteggiamento positivista così: di fronte ad un fatto constatato (nell’esempio di Ardigò, l’elettricità), il positivista ne afferma l’esistenza, ma non si preoccupa di decidere se esso abbia un’origine naturale o soprannaturale. Dice: «che la legge stessa dell’elettricità sia posta per volere soprannaturale di Dio o sia un semplice risultato di fatti naturali, atti a determinarla, ciò pel mio caso attuale mi è affatto indifferente ». Soltanto, « fino a che non sia decisa sperimentalmente » tale questione, egli congettura che l’origine del fatto sia naturale; ma si guarda bene « dall'attribuire a questa semplice congettura lo stesso valore che all’affermazione determinata dalla diretta esperienza » (5). E quel profondo ed onesto pensatore che fu il Mill, nel suo alto, sereno ed imparziale dibattito sulla religione, concede la possibilità che, senza bisogno di ammettere l'anima-sostanza, si possa accettare che gli stati di coscienza che noi abbiamo in questa vita persistano 0 ricomincino altrove sotto altre condizioni (6), formulando così per primo quell'ipotesi su cui poi il fenomenista Renouvier, negatore ancor più radicale dell’anima-sostanza, si fondò per costrurre la credenza nell'immortalità personale, la più potente difesa ■dell’immortalità su di una base in fondo positivista, l’ipotesi cioè che delle serie future di stati di coscienza, sempre esistenti soltanto parallele a serie di eventi in un organismo (cioè individui futuri) possano riconnettersi mediante la memoria a serie di stati di coscienza passate (cioè a individui estinti) (7). E pur non trovando il
(1 Ib., Q. I., A. IV.
(2 Ib. Q. Il, A. I.
(3 *b. Q. I, A. IV.
(4 Q. I, A. V. Contro, naturalmente, Hegel, Die Vernunft inder Gesohichte, Emlettung tn die Philosophie der Weltgeschichte, ed. Lasson (Meiner, Lipsia, 1921, p. 23). E questa un’interessante ripubblicazione recentissima della Filosofia della Storia di Hegel fatta su manoscritti inediti di appunti delle sue lezioni.
(5) II Vero (Opere, voi. V, p. 20-22).
(6) Essais sur la Religion (trad.-frane., Parigi, 1884, p. 186).
(7) Traiti de Psychologie rationelle, P. III., specialm. Cap. XXIV.
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Mill prove apodittiche per la vita futura, conviene che niente v'è che impedisca di averne la speranza (i), e afferma che la posizione razionale circa il soprannaturale è quella dello scetticismo, cioè una attitudine che non è nè credenza in Dio nè ateismo (compresa in questo anche la dottrina che nega vi siano prove prò’ o contro). Anzi, e in gran parte per argomenti che ora si direbbero pragmatisti, il Mill conclude che tale « scetticismo razionalista » (con questa stessa espressione mettendo così in luce la confluenza che v’è tra scetticismo e positivismo e quella che può esservi tra scetticismo, positivismo e fede) considera possibile accogliere la speranza relativa al governo divino dell’universo e al destino dell'uomo dopo morte, « pui riconoscendo come verità certa che non c’è ragione per qualcosa di più che la speranza» (2); e aggiunge che lo «scettico razionalista » può benissimo credere che Cristo sia stato un uomo incaricato da Dio di una missione espressa per condurre l’umanità alla verità e alla virtù (3).
Tale la posizione riservata e vereconda del positivismo rispetto alla fede religiosa. — Ma l’idealismo invece sfrontatamente pretende che davanti alla mente dell’uomo il sapere che oltrepassi i fatti e la spiegazione essenziale di questi stiano squadernati, che la mente dell'uomo veda tutto, penetri e padroneggi l'universo da un capo all'altro, che questo Sia, nocciolo e corteccia, umile dinanzi a lei, e, più, sia e si plasmi secondo il suo cenno. Il suo atteggiamento è esattamente quello che S, Tommaso espone così: « Sunt quidam tantum de suo ingenio praesumentes, ut totam naturam divinam se reputent suo intellectu posse metiri, aestimantes scilicet totum esse verum quod eis videtur, et falsum quod eis non videtur » (4). Un atteggiamento, quindi, che la teologia, nemmeno razionalista, può tollerare, e a cui essa contrappone la necessità di credere cose non investigabili dalla ragione, e anche (per evitare lunghe indagini e possibili deviazioni , e per soccorrere la «de-bilitatem intellectus nostri ») di accettare per fede la soluzione di mólte questioni pure alla ragione accessibili (5).
Con questo, l'idealismo assoluto — non ostante l’untuoso linguaggio di colorito religioso e mistico che spesso usa per ingannare gli ingenui e la rugiadositàdei suoi frequenti « discorsi di religione » — è la più recisa antitesi della religione e della religiosità. E ciò non solo e non tanto per l'immanenza che di quella filosofia forma il caposaldo, e che fa del pensiero umano la realtà spirituale più alta che esista, cassando quindi risolutamente anche l’idea d’una possibile realtà spirituale divina; ma soprattutto per il suo razionalismo, che con la teoria dell’immanenza si concatena strettamente.
Poiché per l’idealismo assoluto non esiste realtà che non sia permeata, posta, creata dallo spirito umano, così, naturalmente, lo spirito umano, il nostro pensiero.
(1) Essais sur la Keligion, p. 196.
B f ' p- *34’
(3) Ib. p. 239.
(4) Conira Gent.'L. I, C. V.
(5) Ib. L. I, C. V; e Summa Theol II* II*, Q. Il, A. IV.
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SCETTICISMO, IDEALISMO E FEDE 75
penetra interamente e perfettamente tutte le cose. La realtà è tutta intera completamente trasparente al nostro pensiero. Non v’è punto, lato, angolo di essa che al nostro pensiero possa sottrarsi. Questo la domina integralmente e la traversa da parte a parte, chè se solo un atomo della realtà si sottraesse alla penetrazione del pensiero — cioè fosse e stesse fuori di questo — quell’atomo, secondo tale teoria, non sarebbe più realtà. Il nostro pensiero, adunque, conosce tutto, o, almeno, può tutto conoscere, tutto comprendere. Nulla c’è che possa rimanergli occulto, nulla c'è che possa essere per esso un mistero.
Con ciò l'idealismo assoluto è un conglomerato della teologia scolastica e del materialismo del secolo xvm.
Tiene della irriverente insolenza con cui la teologia scolastica pretende sciorinare in lungo e in largo tutto ciò che Dio è, pensa, vuole e fa, tutto ciò fissando in proposizioni di apoditticità geometrica, con la tranquilla padronale e invereconda sicurezza e precisione d’un antico mercante di schiave che le denuda dinanzi agli acquirenti e ne addita minuziosamente i pregi a lui ben noti. Irriverente insolenzà della teologia scolastica che fu sempre nel più gran dispetto alle anime genuinamente religiose, e alla quale giustamente va la taccia d’empietà, cui il Vico ricava dal suo concetto fondamentale che solo possiamo dire dì conoscere quello che è nostra fattura. « Hinc adeo impiae curiositatis notandi, qui Deum Ópt. Max. a priori probare student. Nam tantundem esset, quantum Dei Deum se tacere; et Deum negare, quem quaerunt » (i).
Tiene, l’idealismo assoluto, nel suo atteggiamento intimo e di fronte alla religiosità, del materialismo del secolo xvm, anzi, per quanto movente da postulati del tutto opposti, viene, da tale punto di vista, a combaciare esattamente con esso.
Questo, infatti, scorgeva dinanzi a sè il mondo assolutamente chiaro, vedeva * una sfolgorante e insolente luce meridiana splendere sopra ogni cosa » (2). La nostra ragione, era sovrana dominatrice di tale mondo. Tutto essa era capace di spiegare, tutto effettivamente spiegava. Di fronte alla lucida e sicura spiegazione che essa poteva dare di tutto, le vecchie chimere religiose non meritavano più che il riso di Voltaire.
Ma tale spirito del materialismo del secolo xvm è identico a quello dell’idealismo assoluto che predica la medesima translucidità del mondo per la nostra ragione. Ciò che in esso domina è nient’altro che quell’antica signoria assoluta della chiara, sicura, onnipotente ragione umana, dominatrice d’ogni rapporto, definitiva dissipatrice d’ogni arcano e d’ogni «superstizione», che l’enciclopedismo e il vol-terianesimo avevano proclamato.
Viceversa, lo scetticismo, pur potendo rimanere assolutamente areligioso, no» è affatto refrattario a fare di sè il fondamento della religiosità. Non esclude la credenza, purché venga tenuto presente che si tratta di credenza, di nostra personale
(1) De Anliq. Hai. Sap. C. III.
(2) Royce, Lo Spirilo della Filosofia moderna (Bari, 1910, voi. I, p. 97 e s.).
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credenza, non d’una verità apoditticamente dimostrata e dimostrabile e a cui si possa pretendere tutte le menti debbano inchinarsi in forza d’una siffatta presunta dimostrazione, per semplice arbitrio e allucinamento individuale tenuta come « infallibile », « evidente », « inconfutabile », tale che chi ha « occhi per vedere » e « cervello per pensare » non possa sottrarvisi (i). Anzi lo scetticismo ritiene che ogni nostro pensiero che vada oltre il puro e semplice dato fenomenico sia credenza, fede, e non dimostrazione valevole per tutti, non sapere, e che solo come credenza e fede si sorregga e abbia il suo valore, la sua giustificazione, la sua ragion d’essere, là sua efficienza. E poiché inoltre, se, secondo lo scetticismo, non si può dimostrare, non si può neanche negare (cioè dimostrare negativamente) così quello che lo scetticismo toglie da un lato alla credenza — ossia l’impossibilità della sua dimostrazione — glielo ridà dall’altro, sotto forma di impossibilità della sua negazione, di impossibilità di essere negata e confutata.
E come, quindi, lo scetticismo può confluire con la religione, così, se consideriamo la cosa dall’altro lato, vediamo che la religione tende a confluire con lo scetticismo.
Lo spirito religioso è quello che si esprime con le. celebri parole di Kant (il quale, come da esse e dal colorito di altre sue argomentazioni si induce, sarebbe stato certo esplicitamente scettico, se il pudore accademico non l’avesse trattenuto), con le parole: « Io ho dovuto sopprimere il sapere per sostituirvi la fede » (2); — parole che confermano l’antitesi, dianzi illustrata, tra sapere e fede, e lumeggiano l’indole intima del criticismo. Lo spirito religioso è quello il quale sente con S. Pàolo che « videmus nunc per speculum in enigmate » (3) e con YEcclesiaste finisce per accorgersi « quod omnium operum Dei nullam possit homo invenire rationem, eo-rum quae sunt sub sole: quanto plus laboraverit ad quaerendum, tanto minus in-yeniat: etiam si dixerit sapiens se nosse, non poterit reperire » (4). Lo spirito religioso è quello che con Y Imitazione sta in atteggiamento di freddezza e sfiducia verso il sapere, anche teologico, e dice: « Quiesce a nimio sciendi desiderio... quid prodest magna cavillati© de occultis et obscuris rebus?... quid curae nobis de ge-neribus et speciebus? » (5). Lo spirito religioso è quello in cui l’uomo, appunto perchè avverte che l’intima realtà del tutto gli è celata e impenetrabile,
... cada adorando
La sacra nebbia che lo avvolge intorno (6).
(r) Quirino, Cristo, Maometto, il Mikado, Napoleone, Lenin ed anche Vespasiano 1 cm miracoli sono attestati da uno storico assai più attendibile dei quattro evangelisti; cioè da Tacito (Hisi. IV 81) sono tutte fedi, che possono tutte produrre effetti ugualmente meravigliosi. Ogni fede è possibile, e può diventare verità. Tutto può diventar t tie vterilà 0 °Perar® eccellentemente come tale. Ma appunto l’esserne credute tante con v°uali *za e c.?n,?.x u€ua11 mirabili effetti, mostra al pensatore che nessuna possiede 1 assolutezza e il diritto all’universale validità che ognuna pretende.
z I a^a e^’z- dello Crii. d. R. Pura (trad. it., p. 28)
(3) I Cor., XIII, 12.
(4) Vili, 17.
(5) L. I, C. II, 2; C. ITI, 1, 2.
(6) Parini, Mezzogiorno, 976.
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SCETTICISMO, IDEALISMO E FEDE
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Lo spirito religioso è quello che parla così:
Matto è chi spera che nòstra ragióne...
State contenti, umana gente ai quia (i).E si noti che Dante, comandando di star contenti al quia, al che, al fatto, e non chiedere più in là, riconferma quella possibilità di convergenza tra positivismo e religione, che abbiamo dianzi chiarita; dice cioè: l'atteggiamento religioso è di attenersi al fatto e rassegnarsi a questo senza pretendere di spiegarlo e trascenderlo. Precisamente come questa convergenza di positivismo scettico e religione aveva anche, a suo modo, stabilita S. Tommaso. Il quale — mentre, anzitutto, contro la tesi fondamentale idealistico-asso-luta che l'errore teorico non esiste perchè la ragion pura non erra mai e quindi quando v’è errore questo non può essere che pratico o volontario, afferma la superiorità della teologia sulle scienze proprio perciò che queste « certitudem habent ex na-turalis lumine rationis humanae, quae potest errare » (2) — il quale, dico, sostiene che il nostro intelletto non può conoscere se non ciò che gli è dato nell'esperienza, per mezzo del senso, e appunto da questa affermazione positivistica, deduce, come Mach o Ardigò, l'impossibilità per noi d'una spiegazione delle cose: « unde impossibile est quod sit in nobis judicium intellectus perfectum cum ligamento sensus, per quem res sensibiles cognoscimus» (3).
Così lo spirito religioso. Ma l’idealismo assoluto invece — pel quale anche Dio, come tutto il resto, non potrebbe avere un’esistenza a sè indipendente, assoluta; pel quale anche l'esistenza di Dio, come di tutto; non potrebbe non dipendere dal pensiero dell’uomo; pel quale, se Dio esistesse, potrebbe esistere solo perchè da quello pensato; pel quale effettivamente il pensiero dell'uomo è il solo Dio; il quale anzi si può ben affermare che storicamente nasce mediante l'eliminazione, del concetto vero e proprio di Dio, come realtà sostanziale trascendente, e mediante la sostituzione ad esso dell’io (4) — l’idealismo assoluto possiede una schietta vena di « Monsieur Homais » e della sua perspicua e solida sicurezza schernitrice delle « superstizioni », nella sua convinzione che non esistano davanti al suo {sguardo
1) Purg., HI, 34 e 37.
2) Summa Theol., I, Q. I, A. V.
3) Ib. I, Q. LXXX, A. Vili.
4) Invincibilmente chiare sono le osservazioni con cui Hartmann dimostra l’incompatibilità di idealismo e religione « Wenn Gott ,nur eine Gruppe von Vorstellungen meines Bewussteins ohne transzendentale Realität ist, so kann ich kein religiöses Verhältnis zu ihm haben... Es ist unmöglich, dass das religiöse Verhältnis zu einem Gotte, der bloss meine Vorstellung ist, meinem sittlichen Lehen ein haltbares Fundament bieten Könne » (Das Grundproblem der Erkenntnistheorie, Lipsia, 1914, pag. 119, 120).
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« enigmi dell’universo », o meglio, per usare una frase del Simmel, nel suo pregiudizi» filisteo che tutti i problemi siano là per esser sciolti (z).
Quel lineamento caratteristico dello scetticismo che è il senso o la constatazione dell’impotenza della nostra ragione — dell’« orgogliosa » nostra ragione, si potrebbe dire se si volesse riecheggiare quello che è sempre stato il linguaggio degli uomini religiosi in argomento — ha sempre fornito al pensiero religioso e particolarmente cristiano, durante tutti i suoi secoli di vita, materia importantissima, e quasi prevalente, per i suoi più caldi e vibranti slanci di religiosità. Il motivo della fede è in sostanza tanto scettico che al suo estremo va a finire nel credo quia absur-dum. E con arguta verità il Nietzsche, sotto il titolo di scepsi cristiana, osserva che Pilato con la sua scettica domanda quid est veritas intese farsi advocatus Christi e stabilì come argomento d'attendibilità della dottrina di lui, come fondamento della croce, appunto l’impossibilità di conoscere (2).
Giuseppe Rensi.
(1) Der Konflikt der modernen Kultur, p. 47.
j (2), Menschliches Allzumenschliches, II. Vermischte Meinungen und Sprüche (Verke,
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IL “ CRISTIANO „ E LA “ RIVOLUZIONE „
ui viene esaminata una questione viva, che si pone oggi dinanzi alla coscienza di ogni «cristiano» e che da ogni «cristiano » dev’essere oggi risolta.
Lungamente, prima di scrivere, ho meditato guardandomi intorno e più ancora scrutando in me stesso. Dirò cose che faranno forse discutere, che faranno, spero, anche riflettere. Parlo in
tutta libertà, in tutta sincerità.
IL CRISTIANO E LA POLITICA
Che le chiese, che le istituzioni religiose di qualsiasi genere debbano rigorosamente astenersi dalla politica, mi pare esser questa la costante, unanime conclusione a cui si giunge allorquando si discute tale problema. Diamo dunque tale tesi come provata, dimostrata, ammessa per universale consenso. La neutralità, l'apoliticità delle chiese, è un assioma, è un domina. Quelle chiese che fanno della politica peccano di grave peccato. E lo scontano perdendo in potenzialità spirituale ciò che credono di aver guadagnato in potenza mondana. Roma insegni!
È tutt'altra cosa, invece, per V individuo cristiano.
Oggigiorno, per l'individuo cristiano, fare della politica, cioè prendere parte attiva alla vita pubblica, contribuire al governo del proprio comune, del proprio paese e del mondo, influire colla volontà, coll'attività aeché i destini della propria nazione e di tutti i popoli volgano in una determinata direzione, — quella che alla sua coscienza appare come più conforme alla volontà di Dio — tutto ciò è, pel cristiano, non solo un privilegio, non solo un diritto, ma è un precipuo dovere civico e quindi, poiché il Dovere è uno, un preciso dovere religioso.
La politica è quell’abbominevole cosa che conosciamo per la mancanza in essa di spirito cristiano e tale mancanza proviene dal fatto che i credenti, cioè coloro che posseggono per definizione (e quindi dovrebbero possedere!) lo spirito cristiano si sono della politica disinteressati, quando non se ne sono addirittura astenuti, abbandonandola nelle mani degli arrivisti e dei « profittisti » non cristiani, i quali esistono palesemente o si annidano in tutti i partiti. E ciò perchè, per un falso concetto del mondo e dei doveri dei seguaci di Cristo in questo mondo, i credenti hanno voluto essere soltanto dei membri di chiesa cristiani e non altresì dei cittadini cristiani.
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Ma di questo concetto quietistico ed assenteistico, secondo il quale il credente in Gesù deve pensare all’al di là più che all’al di qua, alla pace dopo la morte più che alla giustizia durante la vita; di questo concetto funesto secondo il quale il credente in Gesù è un pellegrino sperso in una valle dì lacrime, un esiliato in un mondo d’abbominio; di questo concetto le cui conseguenze dannose e per l'umanità e per la stessa religiosità sono incalcolabili ; di questo concetto, dico, non esistono più oggigiorno nella mentalità cristiana se non le ultime véstigia, le quasi impercettibili tracce.
Già da molti anni delle voci autorizzate, delle voci eloquenti, delle voci frementi di santa passione per la causa di Dio e dei fratelli hanno affermato il dovere pel cristiano, di vivere sulla terra come nella sua vera, per quanto temporanea, patria, di rinnovare la terra invece di disprezzarla, di spegnere l'incendio invece di fuggirlo, di aggredire il male invece di ritrarsi dinanzi ad esso, di trasformare insomma il nostro povero pianeta—terra di peccato e di obbrobrio, sulla quale si erge però la croce del Santo e del Giusto — in una provincia redenta del regno di Dio (i).
Questa trasformazione fondamentale della mentalità cristiana, diventata geocentrica e realistica da cielocentrica e sentimentalistica che era prima, ha portato in primo piano la politica, cioè la partecipazione diretta ai destini del mondo, ch'era sino allora stata relegata in ultimo piano, quando non era considerata come diabolica tentazione o come fonte di ogni sorta di guai (2).
In conseguenza di tale trasformazione di coscienza religiosa sono sorti in vari paesi notevoli movimenti di pensiero e d’azione; ne citiamo tre soli: le « Fraternità del Regno» nel Nord America, il «Cristianesimo sociale » ih Francia e in Svizzera, le « Fraternità domenicali » in Inghilterra. Ricordo qui di passata due dichiarazioni caratteristiche fatte nel Congresso nazionale di queste ultime tenutosi a Manchester nel 1912.
Disse colui che presiedeva la seduta inaugurale: « Non intendiamo fare della politica, ma protestiamo contro tutto ciò che è contrario quaggiù all’Evangelo d’amore. Le cose che si oppongono alle leggi del mio Salvatore non riguardano la politica, esse riguardano la mia religione ».
E così si espresse il signor Jeff subito dopo essere stato eletto a presidente nazionale: « Noi vogliamo trasformare un popolo cristiano di nome in un popolo di
fi) Con queste dichiarazioni noi sembriamo plaudire alla costituzione di un partito politico quale il P. P. I. Ciò invece non è. Il P. P. I. non è un partito formato da individui cristiani liberi, ma da membri di una chiesa dalla quale riceve gli ordini e per la quale lavora. Con tale mentalità e con simili scopi, il P. P. I. non è e non sarà mai un partito cristiano; resterà quello che è: un partito clericale.
(2) «Crediamo alla possibilità di fare della politica pulita. Pensiamo che i cristiani debbano occuparsene, ch’essi non debbano lasciare più óltre il Parlamento nelle mani dei “ bacati ” della nazione, ch’essi debbano fare della “ Città ” la loro cosa » {Lettera di un Combattente).
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IL « CRISTIANO » É LÀ « RIVOLUZIONE » 8l
Dio. Ci si obbietta che saremo trascinati nella politica, la quale politica divide e insudicia chi la tocca. Rispondo: se la politica è tanto sporca è questo un motivo di più per tentare di ripulirla, in quanto al pericolo delle divisioni fra noi, è certo che ognuno di noi appartiene ad uno speciale partito, ma dovremo noi sempre sacrificare i nostri principi religiosi al nostro partito? Edifichiamo un concetto nuovo dèlia politica, così nuovo che persino delle elezioni generali possano diventare un mezzo di grazia».
Se ciò era vero, in tesi generale, fino a ieri, ciò è tanto più vero oggi. Di fronte al fermento sociale, di fronte alla crisi di tutti i Governi e di tutti gli Stati, di fronte allo sconvolgimento di tutti i rapporti economici, di frontè alle agitazioni che sempre più si intensificano e del continuo si rinnovano, io affermo che ogni individuo — anche se religioso, anzi appunto perchè religioso — ha un atteggiamento politico da assumere, ha una posizione politica da prendere, ha un diritto politico da far valere, ha un dovere politico da compiere.
In tutti i paesi, la crisi non solo economica, ma morale e politica sta raggiungendo il suo apogeo. Il fermento sociale, al giorno d'oggi, indipendentemente da tutti i partiti, ha assunto dovunque tali forme e tali manifestazioni che — è inutile illudersi — lo si può ben chiamare la rivoluzione in marcia. Non è detto ancora se la rivoluzione scoppierà, o se si fermerà, o se devierà, o se si incanalerà; ma, io ripeto e nessuno lo può negare, come dal 1870 al 1914 la guerra era in marcia, oggi la rivoluzione è in marcia. Ebbene, di fronte alla rivoluzione in marcia, che contegno devono assumere gli individui cristiani, che cosa devono fare, ciascuno per proprio conto, i seguaci di Gesù Cristo?
PARERI IN CONTRASTO
La questione si discute da qualche tempo con fervore negli ambienti Cristian’ di tutti i paesi. Di tali discussioni passerò rapidamente in rassegna qualche esempio. Nel numero di maggio 1920 della Revue du Christianisme social si è svolto un interessante dibattito sopra varie questioni pratiche, due delle quali interessano da vicino l’argomento che stiamo trattando: devesi o no entrare e operare nel partito socialista (s’intende socialista massimalista)? Ci si deve o non ci si deve iscrivere nei sindacati?
Scrive il sig. Crozes: « Io credo che noi dobbiamo entrare individualmente nelle cooperative, nei sindacati e nel partito socialista. Una dispersione di forze per l’avvento di una società migliore non farebbe che ritardarne il sorgere. Se organizzassimo un movimento nostro non otterremmo grandi risultati pratici, poiché la nostra influenza si fa sentire solo su un piccolo numero di persone. Meglio penetrare nelle organizzazioni esistenti, per portarvi il nostro spirito, dimodoché esse attuino, nel caso in cui salgano al potere, il maggior numero di soluzioni cristiane. So che diversi fra di noi sono spaventati dall’idea di entrare in un ambiente ove si è a volte predicata la violenza. Possiamo noi fermarci a quell’argomento quando, durante lunghi anni, abbiamo ricorso allo stesso mezzo, cioè alla guerra, per fare
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trionfare una causa giusta? Io vedo bene quale lavoro faranno i cristiani in quelle organizzazioni. S'occuperanno delle questioni relative alla istruzione, all’educazione.. .j saranno moderatori che si sforzeranno di impedire che l’odio 0 il delitto macchino la realizzazione del gran sogno della fraternità e terran alta in ogni momento la fede dell’ideale e dell’amore ».
Scrive al contrario G. Marty: « È impossibile che dei cristiani possano collaborare anche accidentalmente con una persona che sia connessa con la Confederazione generale del lavoro 0 col Partito socialista ufficiale, finché tale persona non ci avrà espresso le sue vedute su questi due punti:
« 1° La questione patriottica. Un cristiano che non ami il suo paese non si concepisce, allo stesso modo che non si concepisce un cristiano che non ami sua madre, II Cristianesimo sociale non potrà dunque unirsi con dei membri del partito socialista che allorquando si saranno spiegati su questo punto.
« 2° ì metodi di violenza che predicano alcuni agitatori. Un cristiano, socialista 0 no, non può sopportare l’idea della guerra civile».
Replica al Marty, Elie Gonnelle, redattore capo della rivista : « Si può rispondervi che c'è un patriottismo selvaggio, esclusivo, pieno di odio, ostile ai nostri sogni di amicizia internazionale e incompatibile coll’internazionale del Regno di Dio che Gesù ha predicato e di cui la Società delle Nazioni è il primo esperimento pratico. In quanto alla violenza, prima di ripudiarne ogni dottrina i cristiani del partito socialista domanderanno a voi se ripudiate categoricamente tutte le forme di sfruttamento che affamano legalmente le moltitudini ed il silenzio complice e micidiale di tanti credenti e di tante chiese. Io non difendo i delitti di nessuno e soffro per i peccati di tutti; ma in tempo di guerra (sia essa internazionale 0 sociale) non si ha mai la scelta tra un bene assoluto e un male assoluto, ma sempre tra due mali, di cui bisogna preferire il minore. Ora da che parte mettersi oggi? Si può esitare... Però immagino che nella bilancia divina del giudicio, i delitti del capitalismo e della società borghese sopravanzeranno infinitamente quelli, tutti quelli delle povere rivoluzioni proletarie ».
La questione è stata portata in modo ancora più diretto nel Congresso delle Associazioni cristiane giovanili del Belgio tenutosi a Liegi nel maggio 1920. Spigolo dal resoconto del Congresso:
Il sig. Samuele Brogniez presenta la sua relazione sul tema II giovane cristiano davanti alla rivoluzione in marcia. Dobbiamo noi favorire la rivoluzione oppure opporci ad essa? E, se avvengono conflitti armati, il cristiano dovrà o no parteciparvi? Il relatore esita a pronunciarsi; egli pensa che il cristiano debba adottare il medesimo atteggiamento di partecipazione 0 di astensione di fronte al servizio militare e di fronte alla rivoluzione armata; ed egli inclina piuttosto per le soluzioni pacifiche in ambo i casi.
Segue una discussione vivacissima. Diversi combattenti dichiarano che sarebbero pronti a riprendere le armi contro il nemico esterno. Questi militari adunque
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ammettono la guerra, la violenza internazionale. La relazione non diee s'essi ammettono ugualmente la rivoluzione, , la (violenza sociale.
Un altro oratore afferma invece esplicitamente che, in caso di rivoluzione, non esiterebbe a prendere le armi contro la reazione armata.
Un altro, il sig. Delcourt, esclama: « Lo sforzo dei cristiani deve assicurare per ogni uomo il diritto ad un’esistenza normale. Allorquando si sono esauriti tutti gli altri mezzi, non bisogna aver paura della rivolta e del sangue, perchè oggi degli orfani e dei vecchi muoion di fame».
Altri oratori espongono un punto di vista diverso. Secondo uno di essi, il pastore Rey, la rivoluzione violenta non è necessaria nè inevitabile. Nei paesi democratici il popolo elegge i suoi rappresentanti; tocca ad essi di compiere, senza rivolta nè effusione di sangue, le trasformazioni sociali che s’impongono.
Un altro pastore, il Teissonnière, insiste sul dovere di attenuare gli odii di classe; di proclamare che la collaborazione del Capitale e del lavoro è indispensabile alla prosperità economica, di agire con tutte le forze per rinvigorire la solidarietà e la cooperazione dei lavoratóri intellettuali e manuali.
Il resocontista del Congresso di Liegi conclude: « Mi hanno colpito l’elevatezza e la dignità di questa discussione sopra un tema così appassionante, così ardente. Mi ha riempito di gioia il sentire ripetere da tutti che il giovane credente non deve mai dimenticare ch’egli è un cristiano; ch'egli può esercitare un'influenza immensa se, nelle situazioni più critiche, s’ispira all’attitudine del suo Maestro Gesù Cristo, nella ferma fiducia che un giorno l’amore debba trionfare su tutti gli antagonismi e su tutti gli odii ».
UNA SOLUZIONE CHE NON È UNA SOLUZIONE
Se ora, lasciando i francesi, i belgi e i loro rispettivi paesi, veniamo al paese nostro, alla situazione nostra, ai casi nostri, dobbiamo porci la domanda categorica: Di fronte alla rivoluzione in marcia quale atteggiamento pratico prenderà ciascuno di noi?
« Il giovane credente non deve mai dimenticare ch’egli è un cristiano »: questa conclusione del Congresso di Liegi sembra risolvere la questione. Essa mi fa pensare ad un'altra dichiarazione simile, del pastore francese Nick, ch'io riporto dal periodico La Luce del 22 maggio 1920:
« L'azione nostra del dopo-guerra dev'èssere innanzi tutto risolutamente cristiana. Cristo è la sola ragione di vivere, la sola luce che possa guidare l'uomo. Con quale spirito praticare l'attività cristiana? Con uno spirito di santa indipendenza, liberandosi dalla servitù del capitalismo per non accettare che la servitù del Cristo. Seguire la stella del Cristo, senza neppure chiedersi ove essa conduca ».
Parole simili, dico, sembrano risolvere la questione pratica che ci siamo posti. Di fronte alla rivoluzione in marcia noi cristiani seguiremo il Cristo, prenderemo l'atteggiamento del Cristo.
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È questa l’applicazione forse più emozionante e più tragica del sistema profondamente religioso, altamente morale, realisticamente pratico per cui essere cristiani significa vivere, sforzarsi di vivere cóme visse il Cristo, ponendosi in ogni! caso della vita la domanda: «Che farebbe Gesù?» e... rispondendo a tale domanda col pensiero, colle parole, coi fatti... ciascuno secondo la sua coscienza personale.
Se non che — guardando bene da vicino — la soluzione non appare affatto una soluzione.
Che farebbe Gesù? È la domanda che si sono posti certamente migliaia di giovani cristiani in numerosi paesi del mondo quando, per ciascuno di essi, è venuto il momento di risolvere individualmente il formidabile problema della guerra. Che farebbe Gesù? Combatterebbe o non combatterebbe? Adoprerebbe o non adopre] rebbe la violenza? Sparerebbe, ferirebbe, ucciderebbe?
Anche questo era un problema di coscienza personale, e ciascuno lo ha risolto coi lumi del proprio cuore, della propria ragione, della propria anima. In questi ultimi anni quasi tutti i giovani cristiani si sono chiesti: per quale scopo, per quale fine dovrei impiegare la violenza; per quali motivi, per quali idealità dovrei combattere? E sono apparse allora, nel campo degli Alleati, le idealità gloriose della difesa del focolare, della libertà del mondo, della giustizia resa al principio di nazionalità, di tutte le nazionalità, anche dei piccoli popoli, anche delle razze inferiori. E ogni giovane ha risolto individualmente il problema dèlia violenza internazionale, il problema della guerra; ha combattuto, lui cristiano; ha esposta la vita ed ha anche tolta la vita, lui cristiano...
Se non che la coscienza individuale, se parla sempre, in tutti, colla forza dell’imperativo categorico, parla spesse volte, nei vari individui, assai diversamente. La coscienza è fortemente influenzata dall'educazione, dall'ambiente, dalle circostanze di luogo e di tempo, dalle idee che circolano, dalle parole che si Sentono, dai libri che si studiano, dai giornali che si leggono; la coscienza va soggetta a mille pressioni diverse fra le quali ce ne sono anche d’interessate e di disoneste, la coscienza può esserejilluminata; può anche essere ottenebrata, inquinata, avvelenata, malata. Cosi si è verificato il caso che non solo i giovani cristiani d’Italia, di Francia, d’Inghilterra, ma anche i giovani cristiani d’Austria, d'Ungheria, di Germania — vittime di un colossale, inganno — hanno combattuto in buona fède, hanno lottato, a modo loro, per il focolare, per la libertà, per la giustizia, per l’ideale; hanno creduto anch'essi di seguire il Cristo. Non abbiamo nè motivi nè ragioni per dubitare della rettitudine personale e della buona fede, se non di tutti, della grande maggioranza d'infra essi.
Così stanno le cose; e tanto più si ha diritto di dirlo oggi, dopo certi trattati di pace dai quali i famosi ideali di fratellanza universale, e sopra tutto il principio di autonomia nazionale e di eguaglianza delle razze, escono così mostruosamente deformati da far dubitare per un momento, (ma per un momento soltanto) che tanti dolori, tanti lutti, tanto sangue sparso non abbiano davvero servito a nulla pel progresso dell'umanità verso le vette luminose della Giustizia tra i popoli.
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Non prolungo la digressione. Credo non sarà‘giudicata del tutto inutile quando si pensi che l'ho fatta per illustrare quanto più chiaramente mi fosse possibile il mio asserto: che là formola « seguire il Cristo » rappresenta, guardata dà vicino, òri criterio eminentemente contingente e subbiettivo, non fornisce cioè un criterio obbiettivo e assoluto che pòssa essere proposto come regola generale pratica nella condotta personale del credente.
Ne abbiamo la riprova se, di fronte alla rivoluzione in marcia, ci poniamo la . medesima domanda che tanti si sono posti di fronte alla guerra: Che farebbe Gesù?
Qui di nuovo, di fronte alla lotta tra classi e tra partiti come di fronte alla lotta tra popoli e tra nazioni, dobbiamo risolvere il problema della violenza. Non possiamo condannare senz'altro la rivoluzione perchè violènta come non abbiamo potuto condannare senz’altro la guerra perchè violenta. Dovremo dunque giudicare la rivoluzione come abbiamo giudicato la guerra: dovremo giudicarla a seconda dei motivi che la provocano, degli scopi a cui tende, degli ideali che cerca o che pretende servire. Dovremo dire per la rivoluzione, come abbiamo -detto per la guerra: la violenza è una cosa neutra, la forza non è, in sè, nè buona nè cattiva; diventa buona o cattiva a seconda dell'uso che se ne fa, a seconda del risultato buono o cattivo che, mediante la violènza, si vuole ottenere.
Nè si dica che, con tale ragionamento, si finisce per applicare il principio gesuitico: « II fine giustifica i mezzi ». Secondo la massima odiosa resta giustificato anche un mezzo cattivo se è buono il fine cui tende tal mezzo; la violenza invece, lo abbiamo detto, non è nè buona nè cattiva. Lì non sta dunque il difetto del metodo di cui discorriamo: il difetto sta invece nel suo insanabile subbici ti vismo. In conseguenza della sua applicazione, voi avrete di nuovo dei giovani che, in tutti i partiti, diranno, a seconda delle loro convinzioni o delle loro illusioni, dei loro concetti o dei loro preconcetti: « Io, perchè cristiano, sono favorevole alla rivoluzione; io, perchè cristiano, vi sono contrario ».
UNA DIGRESSIONE
Tra i due problemi: quello della guerra e quello della rivoluzione, posti di fronte alla coscienza personale, c’è però questa notevole differenza: che il primo, indipendentemente dai criteri dei singoli cittadini, è risolto in un dato senso dallo Stato: anche chi era contrario alla guerra, alla guerra ci è dovuto andare: se non ci andava era incarcerato o fucilato. (1) Nè si dica: avrebbe dovuto lasciarsi incarcerare o fucilare! Purtroppo, in molti casi — sia detto in tutta lealtà da chi scrive, a guisa di pubblica confessione della propria debolezza — purtroppo l'altezza e la bellezza delle convinzioni non conferiscono sempre la forza fisica e morale necessaria per mantenervisi fedeli ad ogni costo; purtroppo si è spesso indegni dei propri ideali; si è timidi, paurosi, vigliacchi. « Lo spirito è pronto, la carne è debole ».
(1) « I motivi di coscienza » sono stati ammessi per qualche tempo in Inghilterra come ragione sufficente per dispensare dal servizio di prima linea.
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BILYCHNIS
Una seconda ragione ancora spiega le inconseguenze e le incongruenze dei pacifisti combattenti: ci sono dei casi in cui, nella vita, occorre transigere con un dovere per fedeltà ad un dovere superiore; esiste una scala, una progressione nei doveri, ed essa va rispettata. Anche pel più sublime ideale non si ha sempre diritto di disporre liberamente della propria persona, allorquando dalla propria esistenza dipende l’avvenire e il benessere e resistenza di altri esseri, che non hanno chiesto di venire al mondo e di fronte' ai quali devonsi assumere tutte le responsabilità naturali.
E vi è una terza ragione ancora che giustifica, fino ad un certo punto almeno, il fatto o meglio il fenomeno morale di cui stiamo parlando; questa: che non sempre il sacrificio della propria persona, liberamente consentito, serve alla causa per la quale si sarebbe disposti a compierlo: un martirio ignorato è spesse volte un martirio inutile. Nè con questo voglio dire che l’eventuale martire debba preoccuparsi o no di sapere se il suo nome passerà ai posteri (se ha tali preoccupazioni è indegno di morire per un ideale); voglio dire soltanto che egli deve preoccuparsi di sapere se il sangue da lui versato, agitando altre coscienze, feconderà davvero il germe dell'idea oppure se questo sangue, non provocando alcun movimento di pensiero, non lascerà neppure il segno sulla terra arida, incapace di produrre, dov’è stato sparso.
Tutti questi motivi non mi sembrano privi di fondamento per giustificare coloro che, in occasione della guerra, sono venuti meno all'atteggiamento pacifista assoluto e intransigente. Ma quello che volevo dire è un'altra cosa: volevo dire che, di fronte alla rivoluzione, non esiste, come esisteva di fronte alla guerra, una soluzione di Stato imposta d'autorità a tutti i cittadini; perciò, di fronte alla rivoluzione, il problema: se la violenza sia da approvarsi o da disapprovarsi, può essere liberamente discusso e risolto. E che tale libertà esista non vi può esser dubbio quando si osservi... quanti e quali cristiani si dichiarano contràri alla rivoluzione!...
Ma riprendiamo il filo interrotto del nostro ragionamento.
CHE FARE?
Da quanto ho detto risulta che i giovani cristiani i quali si porranno la domanda: « Che farebbe Gesù di fronte alla rivoluzione? » potranno diventare — con perfetta onestà e rettitudine— dei rivoluzionari convinti, o degli altrettanto convinti antirivoluzionari, o degli sempre ugualmente convinti pacifisti ad oltranza. I rivoluzionari, abborrendo il più possibile dalla crudeltà e dal sangue, si varranno della violenza contro il così detto « ordine » (che non è altro, alla sua volta, se non violenza legalmente organizzata dalle classi che oggi sono al potere); se ne Varranno senza odio come c’è stato chi senza odio ha combattuta la guerra. Gli antirivoluzionari, abborrendo anch’essi il più possibile dalla crudeltà e dal sangue, sosterranno i difensori dell'« ordine », cioè opporranno alla violenza extralegale la violenza legale. I pacifisti, malgré toul, si asterranno in modo assoluto da ogni lotta, pronti ad es-
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ere, eventualmente, le prime vittime innocenti. Ma tutti quanti questi giovan i cristiani avranno il diritto di ritrovarsi fianco a fianco nelle chiese e nelle associazioni religiose, le quali, ripetiamolo, potranno sussistere come tali appunto in quanto resteranno rigorosamente apolitiche.
Tutto questo sarà frutto di una coscienziosa decisione personale; tutto questo sarà effetto di una scelta subbiettiva la quale non può vincolare che il singolo individuo il quale opta per l'uno o per l’altro di questo triplice atteggiamento.
Io sto cercando invece, come conclusione pratica delle mie rice,■che, se esista un criterio generale che, ispirandosi ai principi del cristianesimo, alle'parole e agli atteggiamenti del Cristo, possa essere proposto, nei travagliati tèmpi iircui viviamo, come regola positiva di condotta politica personale a tutti i credenti.
A me pare che questa regola esista; ma la troveremo considerando il problema della rivoluzione attraverso un problema più grande, attraverso il problema supremo della vita.
Si troverà cioè, almeno a me sembra, la regola politica positiva, da potersi proporre a chiunque, obbiettivamente, in nome del Cristo, se ci si pone la domanda: « Che cosa ha fatto Gesù, che farebbe oggi Gesù di fronte alla vita; in che modo vivrebbe Egli oggi la vita-, che cosa direbbe egli ai ricchi e ai poveri, ai rivoluzionari ed agli antirivoluzionari; come si comporterebbe nell’attuale spasmodico fermento sociale? ».
A questa domanda io rispondo — badino i lettori, si tratta di nuovo di un'opinione personale, ma ch’io vorrei fosse da loro presa in benevola considerazione — io rispondo dunque: Gesù farebbe oggi quello che ha sempre fatto: si lascerebbe ispirare dall'amore, predicherebbe l'amore, vivrebbe l'amore. Nella presente mischia sociale Egli sarebbe con tutti e non sarebbe con nessuno.
Gesù direbbe agli uni: Siete stati insaziabili nell’ingordigia di speculazioni senza limiti e senza freno; avete abusato della vostra potenza, del vostro sapere, della vostra ricchezza per tenere i vostri fratelli nell’oppressione, nell'ignoranza, nella miseria: tutte le concessioni economiche che a poco a poco avete fatte vi sono state ad una ad una strappate colle unghie e coi denti; finché avete potuto, siete stati malvagi e crudeli e sordi e ciechi; badate: chi semina vento raccoglie tempesta; l'ora dell’espiazione forse s'avvicina; mentre ne siete ancora in tempo ravvedetevi, pentitevi, compiete l’atto di fratellanza e di amore che, salvando gli altri, salverà anche voi. #
E agli altri Gesù direbbe: Voi avete fatto brillare dinanzi agli occhi del popolo un sogno di bellezza, di fraternità, e di giustizia così sublime e così meraviglioso che verso di esso si orientavano a poco a poco—come vèrso una Nuova Fede— le più belle anime di tutte le scuole, di tutti i partiti, di tutte le religioni; il vostro sole dell’avvenire potrebbe illuminare davvero le nuove vie per le quali s’incammina l’umanità nuova di domani. Per quale follia volete voi distruggere questo ideale, che altro non è se non quello pel quale sono vissuto Io il Cristo? Per quale abberrazione volete ora erigere la vostra libertà sull'oppressione dei vostri fratelli?
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Per quale mostruoso controsenso voi, che condannate tutte le dittature, affermate oggi la dittatura di una classe? Badate di non costruire anche voi sull'ingiustizia e sull'odio un edificio destinato ben presto a crollare; badate, facendo il danno altrui, di non fare in ultima analisi anche il danno vostro. Mentre ne siete ancora in tempo ravvedetevi, pentitevi, compiete l’atto di fratellanza e d'amore che, salvando gli altri, salverà anche voi.
Questo io credo Gesù direbbe, oggi. Senza rinunziare» come non ha mai rinunziato, alla propria indipendenza di pensiero, Gesù si adoprerebbe per far tacere l'odio, per smorzare i rancori, per riavvicinare gli uomini agli uomini, per renderli intelliggibili gli uni agli altri, per far sì che ognuno apprezzi le qualità e le intenzioni degli altri e riconosca i propri difetti, i propri torti.
Facendo questo Gesù godrebbe Egli di molta autorità, avrebbe Egli molto seguito?
Ahimè! La storia, io credo, si ripeterebbe. Gesù, oggi come allora, avrebbe probabilmente ben pochi seguaci veri e Gesù, oggi come allora, finirebbe coll'esser crocifisso: lo crocifiggerebbero i popolari, come i liberali democratici, come i socialisti; anzi, oggi come allora, i moderni Sacerdoti, i moderni Scribi e i moderni Farisei andrebbero una volta tanto, e per un giorno, d’accordo: per crocifiggere Gesù! *
Sto parlando in parabola; voglio dire le mie ultime parole libere da ogni velo.
Io sono fermamente convinto che alla nostra umanità e al nostro mondo occorrono oggi, con ogni urgenza e più di qualsiasi altra cosa, non dei rivoluzionari o degli antirivoluzionari o degli arivoluzionari, ma dei cristiani attivi, dei discepoli, dei seguaci di Cristo i quali, anche dinanzi ai pregiudizi, agli errori, alle follìe, conservino in fondo all'anima un'inesauribile riserva di ottimismo e di bontà; perchè, più che mai oggi, saranno i soli a veder chiaro nelle tenebre del divenire sociale coloro che getteranno l’àncora della loro esistenza sopra un'irremovibile volontà d’amore. Occorron oggi dei cristiani che, appunto in quanto tali, parlino ‘ed agiscano con indipendenza piena e cosciente; cittadini che — al disopra di tutte le idee e filosofiche e politiche e morali e religiose degli uomini — facciano valere le idee umane del Cristo, risolvano cioè come l’ha risolto Lui il problema della vita: mediante il rinunziamento completo e l’assoluta abnegazione. Occorrono oggi dei cristiani di fede, di cultura, di coraggio che, sollevandosi, in nogie della santa libertà dei figlioli di Dio, al di sopra di tutte le scuole, di tutte le chiese e di tutti i partiti, dicano — dovunque si trovino, in qualsiasi circolo, o gruppo, o lega, o sindacato di cui facciano parte — dicano: Bisogna vincere l’egoismo economico come qualsiasi altro egoismo, bisogna stendere la mano a tutti gli uomini come a fratelli, bisogna, ad ogni costo bisogna, per la salvezza di tutti, bisogna incominciare ad amarsi.
E questo lo si deve dire in tempo e fuor di tempo, lo si deve sussurrare nelle conventicole, in tutte le conventicole, fintantoché non se n’è buttati fuori; lo si deve gridare sui tetti, su tutti i tetti, finché non venga qualcuno a buttarvi di sotto.
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Al di sopra di tutte le follie dell’ora presente, una sola rimane grande e secondo Iddio: la follia dell’amore divino, la follia del darsi, dello spogliarsi per l’Umanità, la follia del dimenticare il proprio io per gettarsi a tu'tt’uomo fra i contendenti e proclamare i benefici della cooperazione, della collaborazione, tra le classi come tra i popoli, onde creare un mondo più puro, più degno e più bello.
È necessario parlare così ed agire così; è necessario essere veramente quello che si dice che Si dovrebbe essere; è necessario tradurre in atto le proprie convinzioni, vivere la propria fede.
È necessario rialzare il capo, rifiutarsi ad ogni concessione, risalire la corrente, volgere l’ala contro il vento, porsi in piena solitudine teorica e pratica, portarsi dietro il malessere e l’ingratitudine. Sapere questo, volere questo, rallegrarsi per questo: ecco l’atteggiamento rivoluzionario per eccellenza del cristiano.
E che importa se, ancora e sempre, si sarà misconosciuti, calunniati, bistrattati; che importa se si sarà malvisti da mólti e se si avranno pochi amici? Intanto io non dubito che, in seno alle chiese e alle associazioni religiose, gli uomini di questo stampo saranno rispettati ed amati, perchè in esse costituiranno appunto il fermento spirituale migliore: essi saranno largitori di vita.
E poi, io ve lo domando: manca forse qualche cosa quando si possiede il Cristo? Anche se dovessimo rinunziare all’immenso privilegio dell’umana simpatia facciamoci coraggio, amici: il mio appello di quest’oggi è l’eterno appello evangelico all'apostolato. Nel fermento sociale che ormai assorbe e trascina l’intera nostra esistenza — ma che, nè ora nè mai, potrà travolgerci — siamo giovani, siamo dei cavalieri di nobiltà e di purezza morale, siamo cuori frementi d'amore instancabile e virile, esempi profetici e vivaci di ciò che dev’essere in se stesso l'uomo che vuole trasformare il mondo: siamo, in una parola, cristiani.
E, benché la notte sia oscura, guardiamo alle stelle che non si sono mai del tutto spente nel cielo delle anime ed attingiamo nella nostra fede una speranza inestinguibile in quell’avvenire che — non lo dimentichiamo mai — non appartiene agli uomini, ma appartiene a Dio.
Giovanni Enrico Meille.
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L’AUDACIA
on so quanti, fra i miei antichi compagni d'università, se ne ricordino ancora, ma certo a quei tempi se ne fece un gran dire e un gran ridere.
C’era allora a Pisa uno spilungone di ventidue o ventitré anni, figlio unico d’una famiglia di parrucconi: i genitori lo tenevano nell’ovatta, lo sorvegliavano rigorosissimamente e lo chiamavano
« il bimbo ». Tutta Pisa, anzi, lo chiamava « il bimbo ».
Un pomeriggio, alcuni studentacci gli fecero un brutto tiro: se lo presero a braccetto e via di qua e di là, da un caffè all'altro, da una fiaschetteria all’altra, finché arrivarono le nove e allora te lo piantarono in mezzo al Lungarno. Il poveretto, che non era mai stato fuori la sera, non si raccapezzava più a trovar la via di casa e smarrì la strada: a Pisa! Quando, dopo molto girare, riuscì a trovare il portone, bussò due o tre vòlte. Gli fu aperto e accadde, tra lui e il severo genitore, una scena terribile. Ma il « bimbo » era animato da fieri propositi, perchè i compagni l’avevano messo su, e alle sgridate paterne rispose tranquillamente:
— Dite che alla mia età è vergogna farsi aspettare la sera? Ebbene, datemi la chiave e andatevene pure a letto.
— La chiave? — gridò il padre rabbrividendo. — La chiave di casa, signor mio, gliela darò, sì e no, quando lei avrà quarant’anni, moglie e figlioli e un barbone così. Ha capito?
— E allora — disse quel figlio sciagurato — va bene; io resto in casa la sera, ma da oggi in poi, fumo e bestemmio!
. .. ♦ ♦ ♦
Fumare e bestemmiare: ecco due atti di coraggio. Quanto al fumare, in questi tempi di caro-sigari, siamo d'accordo che ci vuole un bel fegato ad avvelenarsi eoi tabacco; ma il coraggio della bestemmia io lo capisco poco: Dio non paga il sabato e la domenica è così lontana!
Un vero atto di coraggio, invece, una prodezza veramente straordinaria, consiste nel dire le parolacce, ma grosse, eh? nel far le porcherie in pubblico, nel denudarsi, nel mettere in mostra disegni osceni.
Aprite un giornale: leggerete subito ch’è uscito un romanzo audacissimo, che le signore si presentarono al ballo tale con una scollatura audace, che la copertina di un volume di versi era audace anzi che no.
Ora, a qùel che ho sempre sentito dire, audace significa coraggioso, quasi temerario neU’affrontar lotte e pericoli. Se dunque chi le fa o le dice più sudice è un uomo audace, bisogna convenire ch’egli deve lottare contro terribili Divinità
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l’audacia
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imperanti, la Decenza, il Pudore, la Dignità; e poiché nessuno s’era mai accorto che queste divinità ai tempi nostri fossero padrone del campo, il fatto è degno di rilievo e assai confortante. '
Ma vedo qualcuno scuoter la testa: — Che c’entra? Si chiama audace, così, nell’uso, un autore che sa togliere il velo della metafora e dell’eufemismo, quando deve, raccontare dei fatti un po’... scabrosi!
Accettiamo pure questa definizione, non senza osservare che è strano chiamare scabrosi proprio quegli argomenti che un tempo si chiamavano, tutt’al contrario, lubrici, forse perchè oggi uno ci s’aggrappa, mentre prima si cercava, secondo il motto francese, di scivolarci sopra senz’appoggiarcisi. Ma, domando e dico, che bravura c’è a levare una metafora o a scortecciare un eufemismo? Che proprio il turpiloquio sia una virtù e davvero la gloria a Dante sia derivata dall’aver chiamata Taide con altro nome da quello di « donnina allegra » e lo sterco con la parola più aulènte e — direbbero i moderni coprofagi — più saporita? j
Con tutto ciò, io non nego il coraggio della sudiceria: esso esiste certamente, ma da parte di chi legge, non di chi scrive: degli spettatori e non degli esibitori, È facile, diciamo questo per analogia, combinare un dramma granguignolesco a tavolino, con la sigaretta in bocca, mentre dalla cucina viene un sapore appetitoso e il sole empie la stanza e i figlioletti giocano e cantano. Ma ci vuole una bella resistenza a star fermi, quando questo dramma, scritto con perfetta tranquillità di spirito, si svolge, raccapricciante e pauroso, davanti ai nostri occhi! .
Così, se uno scrive 0 racconta delle porcherie, non ha bisógno di superare una gran lotta, anche perchè, giusta il detto di Marziale, ciascuno tollera e qualche volta perfino ama la propria sporcizia: il difficile è vincer la ripugnanza per il sudiciume degli altri e chi ci riesce è—in lingua maialesca parlando — un grande uomo.
Ma il pubblico dei lettori (lasciatelo dire a chi, come me, legge assai,più di quanto non scriva) è stomacato da un pezzo di copertine con disegni da postribolo, di romanzi lerci, di novelle e commedie che sembrano usciti da cervelli di mandrilli in furore. Il pubblico vuole altro e per forza prende quel che gli date, giacché non ha altro; come ha dovuto adattarsi, nel dopoguerra, allo zucchero saccarinato e al vino gessato e al burro margarinato, perchè nelle botteghe non trovava di meglio, così si rassegna alla spazzatura letteraria perchè non c’è altro nella vetrina del libraio.
Chi avrà il coraggio (o 1’« audacia », se preferite) di mutare strada? Ai giovani che, insieme con l’amore dell’arte, hanno una perdonabile, anzi giusta, anzi nobile brama di gloria e fortuna, io dico: Lasciate le bagasce a casa loro, scrivete un libro puro, alto, sano, giocondo, vibrante di quella vita vera che non è, via, tutta occupata dallo strofinio di due sessi ed avrete applausi, gloria, benedizioni. Avanti! il momento è questo.
Dino Provenzal.
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PER.- LA-CVLTURA ^-DELL’ANIMA- a
L’ESPERIENZA RELIGIOSA DELLA VERITÀ
Dio di verità,
A Te confesso l’umile esperienza mia della verità...
Allorquando ho coscienza di dire la verità — tutta la verità a me nota e solo quella — allorquando sento ch’io sono nella verità al purtto d’essere una cosa sola con essa (e quanto quegl’istanti d’incarnazione sono radi e rapidi, purtroppo!) — allora l’anima mia vive, si apre, si sviluppa, trasale di allegrezza, si esalta, entra nell’irradiamento d’una luce così dolce, così pura, così bella ch’io la chiamo del nome tuo: divina, eterna!...
Allora, ciò che chiamasi la natura sembra partecipare alla mia esperienza e alla mia gioia e mi diventa intimo e dolce come la casa paterna: e l’Universo dove mi sentivo estraneo, solo, esiliato mi appare prossimo, vivo, bello... e in marcia verso non so quale prodigioso mondo superiore, verso quella sopranalura che il linguaggio creatore dei poeti, dei profeti e degli apostoli ha chiamato « il Regno di Dio », « la Terra nuova dove la Giustizia abita », < il Cielo », il quale non è soltanto un Al di là della morte, ma è altresì Al di là della vita: —una vita che spiega la vita, una felicità che giustifica la nostra fatica, un mistero ch'è la chiave della nostra scienza: il mistero ineffabile della libertà che mantiene, sino al giorno da Te fissato, il secreto di tutte le leggi, di tutte le grazie, di tutte le glorie!...
Nella misura in cui diciamo la verità.
noi — per un’infinita tua'grazia, o Dio — noi siamo dessa!
E, allorquando questa verità che abbiamo da assimilarci e poi da professare quaggiù, è fondamentale, e la serviamo e la proclamiamo intorno a noi — a qualunque costo, a costo di qualsiasi sacrificio, — allora tutto in noi si placa e si armonizza e tutto fuori di noi vibra all’u-nissono — dalla materia inanimata che assume colorazioni nuove sino ai fiori campestri meglio vestiti dei re, dalle verdi praterie sino alle vette nevose e al cielo azzurro; tutto vive, parla, canta, ogni cosa proclama la tua verità, dagli umili e puri nostri bambini sino ai cori delle stelle e degli angeli...
— Lodato sia Iddio che ha legata tanta gioia alla semplice probità!...
— Lodato sia Iddio che della fedeltà al vero ha fatto il principio, il centro e la fine della religione definitiva!...
— Lodato sia l'iddio di verità che ha posseduto un Figlio unico in questo mondo e che l’ha dato per tutti noi...
— E mille volte lodato sia quel Figlio unico della Verità d’essere venuto sino a noi, non per dire alcune verità come i filosofi e i dotti, non per incarnarne qualcheduna, come i profeti, gli eroi e i santi; ma per testimoniare, in faccia al cielo e in un mondo perduto: « lo sono la Verità».
Xxxx.
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PER LA CULTURA DELL’ANIMA
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SPIRITO D’INIZIATIVA
Che cos’è?
Anzitutto è un umóre intraprendente, che ama ciò ch’è nuovo e si sente spinto con passione verso l’ignoto. Poi è la facoltà di trovare risorse in se stessi; di assumere le responsabilità, d’affrontare i contfadittori, di sapere esser solo; di correr dei rischi e di portare nelle proprie imprese non solo il fuoco dell’ora prima, ma altresì la costanza e la lunga pazienza.
Lo spirito d’iniziativa è una ricchezza di prim’ordine. Può essere incoraggiato o scoraggiato dall’educazione, dal concetto che ci si fa della vita. Si possono educare i figlioli secondo due metodi essenzialmente diversi. Il primo consiste nel riprodurre un tipo d’uomo uniforme: si taglia la stoffa umana sopra determinati modelli.
Questo metodo è contraddistinto dall'immutabilità dei procedimenti e dall'uniformità dei risultati. I suoi prodotti sono caratterizzati da un'andatura ordinata e corretta; la docilità, la «malleabilità sono considerate come virtù essenziali; il buon figliolo, il bravo scolaro medio sono assai quotati; ma un talento straordinario non si manifesta che assai di rado. Il sistema è però costretto ad eliminare le individualità irriducibili al suo stampo; le teste di grana resistente sono considerate cattive teste; non esser come gli altri è un difetto, l'iniziativa è una mala pianta da estirpare. Così fiorisce la cultura delle pecore rassegnate; loro segno caratteristico è l’impotenza a capire, e quindi ad apprezzare ed a rispettare qualsiasi idea che non sia del loro ambiente. Ne risulta un’intolleranza a volte timida, a volte feroce, a volte insolente, ma sempre sciocca. Il timore d’esser il solo della propria specie si manifesta nel campo spirituale come in • quello materiale: non si oserebbe sopportare il pensiero di distinguersi dal vicino nè per le convinzioni personali nè pel taglio del vestito; piuttosto di non essere come tutti gli altri si affronterebbela tortura. Per una strana serie di deduzioni, si arriva a questo colmo: farsi montone per
non essere divorato dai lupi. Insomma sistema sotto certi aspetti brillante, ma colpito di sterilità.
Le folle educate con questo sistema presentano alla diagnosi alcuni segni speciali e allarmanti: esse chiedono sempre un uomo, cioè qualcuno che sappia vedere, volere, camminare da sè con energia e decisione. Ahimè! il sistema non possiede in sè di che produrre degli uomini: ei non crea che degli esemplari.
La cultura dell’iniziativa, nell’educazione e nello spirito pubblico, esige un metodo assai diverso; tale metodo è flessibile, comprensivo, rispettoso delle qualità individuali. Non che la disciplina o l’influenza tradizionali ne siano assenti; ma rivestono un’altra forma, meno esclusiva e meno ossessionante. L’educazione settaria, qualunque essa sia, è funesta per gli spiriti curiosi, indagatori, insofferente d’imposizioni; ogni individuo che pensa colla propria testa vi è sospetto di tradimento; tutto concorre a domarlo, a spegnerlo o a screditarlo; ei ne esce o annientato o ribelle.
Spesse volte quelle « cattive teste » sono appunto i caratteri eletti, di tempra rara. In essi è la stoffa delle guide, dei capi, dei dissodatori di terre nuove. Quanto è però diffìcile di tenere la giusta via di mezzo tra gli scogli di destra e quelli di sinistra!
Occorre ripeterlo? In ogni educazione vera, la parte tradizionale precede il resto: l'uomo nasce tributario del passato. Ma ei non deve pagare il suo baliatico e la sua preparazione giovanile a prezzo della sua dignità di uomo. Se il passato rispetta in noi l’avvenire, tutta la riconoscenza nostra gli è dovuta; ei non più la meriterebbe il giorno in cui abusasse della sua posizione di primo occupante per manomettere la nostra giovane testa e il nostro giovane cuore.
Il maggiore interesse storico è che le generazioni nuove sian vincolate alle precedenti da un rispetto completo che le aiuti a comprendersi reciprocamente. Un tale rispetto è benefico a patto soltanto di
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esser reciproco. Non appena il passato confisca il presente, esso annienta il meglio del proprio lavoro. Ogni generazione mantenuta in tutela morale diventa incapace di far fruttare i tesori del passato: essi decadono, nelle sue mani, al livello di capitali morti. La calamità inversa si produce là dove il passato viene escluso dall’educazione del presente: il senso figliale, questo cemento delle generazioni, si perde: è il regno dell’incoerenza, del capriccio; la sterilità nel disordine e nell’indisciplina.
Ci si rende conto per quale delicato dosaggio si ottengono i caratteri capaci di far progredire l’umanità e perchè un tal genere d’uomini è così raro. Il terrore delle vie ignote ce le fa temere per noi stessi e per quelli che amiamo.
Questo terrore è aumentato ancora dallo spettacolo delle iniziative di qualità assai dubbia. Molta gente scambia l’iniziativa colla rabbia di cambiar tutto senza avere di che sostituirlo, o di cominciare ogni cosa senza mai finirla; Bisogna evitare di lasciarsi disgustare delle belle cose dalle loro caricature.
Come una perla in un ammasso di orpelli, discerniamo lo spirito d’iniziativa dalle sue contraffazioni. Quello che deve ad ogni costo prevalere è la qualità. Ricordiamo la stor'a di Gedeone. Tutte le grandi cose si fanno allo stesso modo. Pochi caratteri temprati, poche anime illuminate e risolute compongono il manipolo raccolto
dei pionieri. Essi vanno, non avendo il più delle volte — secondo una virile e malinconica espressione — un luogo ove posare il capo; ma sanno che l'avvenire ha sempre dormito all'aria aperta.
Se l’umanità possiede i ripari che le occorrono essa li deve a coloro che preferiscono questo ideale ai comodi tranquilli delle case arredate.
Bello è il dormir sotto la tenda, mentre si cerca una patria per coloro che verranno dopo di noi; bello è lasciare che ci rugga attorno la bufera mentre che, faticosamente, si squadrano le pietre della città futura.
Una società è in buona salute solo se l’ideale d’una simile vita, coi suoi nobili rischi e le sue 'appassionanti incertezze, alberga -in un sufficiente numero di petti. Non c’è da temere che una società simile difetti dell’indispensabile stabilità. Se gli archi che tirano più lontano sono quelli che si son tesi più fortemente, i più arditi pionieri sono altresì le anime meglio nutrite di saggezza e di rispetto: più vigoroso è il loro slancio e più forte il loro punto di appoggio- Come si augura al proprio villaggio una fontana sempre fresca, alimentata alla fonte che non inaridisce l’estate, io auguro al mio paese una fonte di zampillante iniziativa, profonda nelle sue scaturigini, vivificante, creatrice nei suoi effetti.
C. Wagner.
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LO STATO DELLE DIOCESI NELLA VENEZIA GIULIA
A proposito del passo intrapreso, dal rappresentante jugoslavo presso il Vaticano Sig. Bakotic per ottenere dalla Santa Sede che territori appartenenti alle terre redente e già facenti parte di diocesi con la sede attualmente nella Jugoslavia continuino a sottostare alla vecchia giurisdizione ecclesiastica, senza riguardo ai subentrati cambiamenti politici, i nostri pubblicisti caddero in alcune inesattezze, sufficienti a dimostrare come sulle cose concernenti le nuove regioni italiane« specialmente nel riguardo religioso, siano male, anzi molto male informati. Essi nel dare la surriferita notizia e nel commentarla offrirono sullo stato delle diocesi della Venezia Giulia un quadro poco corrispondente alla realtà e molto cervellotico. La diocesi di Segna-Modrussa (cui apparteneva Fiume) e quella di Lubiana divengono delle arcidiocesi con dei metropoliti. Gorizia invece è un semplice vescovato, il cui titolare sarebbe stato nominato dopo la redenzione.
Un giornale scrive ancora: « La zona friulana e carsica furono lasciate alla Carinola e tolte a Gorizia per pressioni fatte dagli slavi, che consideravano terre car-nioline quelle ad oriente di Gorizia e del-l'Isonzo e- vollero fossero considerate tali dal governo austriaco » (i).
Far notare ogni inesattezza e correggere ogni errore è un compito che io non voglio di certo qui assumermi. Solo in poche, anzi pochissime parole voglio offrire un quadro esatto della circoscrizione ecclesiastica delia Venezia Giulia.
Il massimo dignitario ecclesiastico è il principe, arcivescovo di Gorizia, chiesa metropolitana, cui sono suffragane^ le diocesi di Trieste-Capodistria, di Parenzo-Pòla; di Veglia e di Lubiana.
L’arcidiocesi di Gorizia estende la sua giurisdizione sull’intero Friuli orientale,
(x) L'Idea Nazionale, 27 febbraio 1921.
sul rimanente territorio della già austriaca Provincia di Gorizia e Gradisca e su un revissimo tratto della Carniola. Oggi poi a Gorizia — che mantiene la giurisdizione su tutto il territorio proprio della sua arcidiocesi — è affidata l’amministrazone di quella parte della diocesi di Lubiana, che in seguito all’armistizio passò nelle nostri mani. L’attuale principe arcivescovo mons. Francesco Borgia Sedej, nominato ancora dall’Austria, è uno sloveno che il nostro governo non ebbe ancora la buona idea di sostituire.
Le diocesi di Triese-Capodistria e di Parenzo-Pola si presentano tali quali erano sotto il dominio austriaco. E oggi come vescovo a Trieste mons. Angelo Bartolomasi succeduto, per cura del regio Governo, allo sloveno mons. Andrea Karlin, mentre a Parenzo continua a reggere la diocesi mons. Trifone Pederzolli, nominato dall'imperatore d’Austria ed a lui già attaccatissimo.
La cittadina di Veglia, sede vescovile, resasi vacante per la morte recente di mons. Antonio Mahnic, slavo ad oltranza e valido sostenitore del glagolito (lingua vetero-slava) nei riti religiosi, fu con il trattate di Rapallo assegnata alla Jugoslavia.
Però gran parte della diocesi (le isole di Cherso, di Lussino e minori del Quar-naro) fu annessa all’Italia.
Su questa parte la Santa Sede fu sollecita ad estendere la giurisdizione dell’amministratore apostolico di Fiume, dimostrando ancora più palesamento l’intendimento di creare in breve a Fiume una nuova diocesi e liberare così la città italianissima dalla dipendenza ecclesiastica di Segna-Modrussa, sede vescovile croata e suffraganea dell’arcidiocesi di Zagabria.
Ecco .tratteggiato un esatto quadro dello stato delle diocesi nella Venezia Giulia. Vincenzo Marussi.
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ITALIA E VATICANO
Sommario: i- 0 prete o deputato! — 2. Separazione tra Chiesa e Stato e rappresentanza diplomatica possono sussistere? - 3. La decisione al popolo nella tesi conservatrice del sen. Raffini - 4. Come il papa interpreta il De Monarchia di Dante -5. La religione instrumentum Regni per gl’italiani? - 6. Il giudizio dei {cauti -7. I pericoli, della conciliazione per i conciliandi - 8. Il programma di politica religiosa dell'on. Bonomi - 9. L’eco dall'estero - io. Un giornale bene informato.
1. Non so se la notizia sia vera: so che ha un carattere di gravità tale da fornirci un ottimo spunto per enfiare nell'argomento di questa seconda cronaca sulle relazioni tra l'Italia e il Vaticano e non mi è facile lasciarmelo sfuggire. La Provincia Pavese, cioè, di giorni fa assicurava che il vescovo di Trieste avrebbe fatto sapere al deputato di Gorizia, prete, che era desiderio cella suprema autorità scolastica ch’egli si decidesse ad essere o prete o deputato! Dei commenti della Provincia faccio a meno, ritenendone però il succo: essere implicito, cioè, in questo non riconoscimento della facoltà in un sacerdote di essere rappresentante cella nazione un non riconoscimento della nazione stessa. In momenti in cui si parla tanto della famosa « conciliazione » questo fatto ha la sua innegabile gravità e dimostra quindi la giustezza del punto di vista di coloro i quali hanno consigliato di essere cauti nel prospettarne la soluzione imminente ed hanno raccomandato di non abbandonare per ora il sicuro porto della legge delle guarentigie.
Se in Francia, a malgrado della legge di separazione della Chiesa dallo Stato, vigente checché ne dica in contrario la Unità cattolica di Firenze (20 luglio), è permesso a dei preti di essere deputati ed in Italia non lo è, vuol dire evidente
mente che perchè un uguale trattamento sia usato anche da noi il Vaticano ha bisogno che l’Italia vada a Canossa e che più che un riconoscimento della propria individualità nazionale di fronte alla S. Sede ottenga un'identificazione degli interessi di questa con i suoi: se no, no! Ecco perchè noi siamo con i più cauti e con i più prudenti su questo terreno e vogliamo brevemente additarne ai lettori le conclusioni per loro istruzione.
2. In fin dei conti a questo pericolo pensava lo scrittore della Perseveranza in due ottimi articoli (2igiugno-9 luglio), nei quali, mettendo in guardia sul « facilonismo » di quanti vedevano la questione molto superficialmente, non solo considerava il lato della sovranità territoriale, sia pure minima, che la. S. Sede esigeva dall’Italia, ma, quel che è più, tutto il problema della separazione della Chiesa dallo Stato, oppugnata dal Vaticano, ma che invece si sarebbe dovuto affermare riordinando, completando e fissando quella legislazione ecclesiastica che la legge delle guarentigie ha lasciato in sospeso. A meno che, diceva giustamente la Perseveranza, la nuova fase che le relazioni fra Stato e Chiesa sembrano, additare con il fatto della ripresa delle relazioni tra Francia e
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Vaticano, non possa affermare il principio che la separazione tra i due enti può essere accettata anche quando essi vicendevolmente si riconoscano e siano rappresentati. Per queste ragionevoli diffidenze, nel frattempo, il giornale di Milano riteneva che per qanto non perfetta, la legge delle guarentigie fosse per lo Stato italiano l’unico presidio cui attenersi nei suoi rapporti col Papa, tanto più che volere o no la recente guerra ne aveva messo in evidenza la fondamentale solidità e la sapiente impostatura.
Come abbiamo veduto, ai giornal i clericali questo punto di vista ha sapor di forte agrume, tanto che i più ringhiosi, ai quali non-faremo l’onore della citazione, hanno abbaiato alla romantica luna liberaloide della conciliazione, chiedendo che l’Italia prima di parlare di relazioni col Vaticano, desse prova della veracità del suo sentimento portandosi a Canossa, coperta della cenere delle leggi di sistemazione ecclesiastica, promesse con le guarentigie, ' stretta ai fianchi dal cilizio di una reale- persecuzione contro gl’insultatori del Papa, pronta a inchinarsi nella polvere al suo supremo verdetto sulle forme che avrebbe dovuto assumere la sovranità pontificale. Noi non citeremo, ripeto, i giornalucoli che hanno assunto tale atteggiamento, ma non dimenticheremo che con minor livore, indubbiamente, e con maggior serietà d'intenti, ad una simile conclusione è pur giunto Crispolto Crispolti nella Vita Italiana prospettando le difficoltà di una soluzione che doveva essere lasciata, come aveva dichiarato lo stesso Vaticano, al senno di giustizia del popolo italiano.
♦ • •
3. Al qual senso poi aveva fatto appello anche lo stesso senatore Raffini nel suo divulgatissimo articolo della Nuova Antologia ove aveva pur sostenuto visibilmente le ragioni che facevano propendere per l’accettazione, ormai suffragata positivamente dalla guerra mondiale, di quelle garanzie che la legge delle guarentigie aveva dato alla S. Sede e all'Italia.
L’interessante articolo che metteva in evidenza tutta l'efficace garanzia che la legge stessa aveva concesso al papato nella recente guerra, garanzia che neppure i nemici erano riusciti a sfatare e che i loro progetti di restaurazione del potere temporale e le loro ironie non riuscivano a
smantellare, dimostrava l’impossibilità tecnica d’un potere temporale del Papa, sia pur minimo> e affermava che a ben considerare, la soluzione dantesca della dottrina dei due poteri supremi della Chiesa e dello' Stato era, a parte il maggior senso religioso dantesco, quella contenuta nella vastissima formula cavuriana.
• • •
4. Dimenticava però il sen. Ruffini che il Papa aveva già il trenta aprile affermato la sua interpretazione della dottrina dantesca quando, commemorando Dante, aveva dichiarato: « Quapropter, quamvis Im-, peratoris dignitatem ab ipso Deo profi-cisci existimet, haec tamen veritas, in-quit, non sic stride recipienda est, ut Romanus ' Princeps in aliquo Romano Pontifici non subiaceat; quam mortalis fe-licitas quodammodo ad immortalerà jeli-citatem ordinetur (de Mon. Ili, 16) »,
Alla qual messa in evidenza d’un pensiero dantesco che il- Ruffini col Solmi vuole dovuto all'omaggio della coscienza religiosa, alla superiorità dei valori spirituali, alla garanzia per la sua indipendenza. Benedetto XV dava invece un valore rea-, listico aggiungendo:
« Optima enim vero plenaque sapien-tìae ratio, quae quidetn si hodie sanate servetur, jrudus sane rebus publicis afferai prosperitatis uberrimos. ».
• • •
5. L’articolo del Ruffini ebbe un’eco larghissima tanto che il Journal des Debats se ne fece banditore presso i suoi lettori, concludendo, ciò è sintomatico ed interessante, in questo modo: « Ed è permesso di aggiungere che, lungi dal voler distruggere il Papato, il popolo italiano l’ama come una sua istituzione, ed ha avuto sempre l’idea di servirsene: idea che in lui è naturale e legittimo oltre ogni dire; Non bisogna mai dimenticarlo quando si pensa alla questione dei rapporti tra la S. Sede e l'Italia ».
Ora ciò è importante, non tanto per il come si vedonp all’estero le cose nostre — del che in relazione alla questione che esaminiamo sarà il caso di parlare più giù — ma per la verità affermata in 3ueste parole. Quel che il Mussolini aveva ¡fatti proclamato alla Camera facendo echeggiarne i giornali che si sbalordiscono della* forma delle questioni, senza valutarne la sostanza, non era che la identica cosa:
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il riconoscimento dell'universalità dell’idea incarnata dal Vaticano con un’esclusività, che Luigi Miranda nel Resto del Carlino (2 luglio) aveva a buon diritto negato, non era stato fatto se non con intenti assolutamente imperialisti. «Perchè — aveva detto il leader dei fascisti — lo sviluppo del cattolicismo nel mondo conduce fatalmente centinaia di milioni a Roma dove risiede la grande tradizione latina ». Insomma la religione fatta instrumentum regni, come vuole Videa Nazionale, che per quest’intento fa da eco rispettosa docile ed osannante alla Civiltà cattolica in qualsiasi questione, ne accoglierle approvazioni e con « licenza dei superiori » conduce le sue campagne oggi in pro dell’arte, domani in pro della fede che religiosamente parlando non sente e non ha.
• « •
6. Anche il Miranda nell’articolo accennato si collocava insomma tra i negatori della necessità di una soluzione, affermando sopratutto che la questione della sovranità papale era stata ormai risolta nel 1870 e che mezzo secolo di applicazione della legge delle guarentigie aveva dimostrato come il Papa potesse agire come personalità intemazionale, senza sovranità territoriale, avendo una personalità giuridica autonoma che sol per entrare in rapporto con l'Italia non si vuol dichiarare sufficiente mentre con gli altri Stati vale.
Invocare, secondo il Miranda, la finzione della sovranità territoriale del Vaticano o un quid simile non era che una fictio juris che era assurdo pretendere servisse di base per le nuove relazioni tra l’Italia e la S. Sede.
Prudenza e cautela suggeriva pure Mattia Moresco neìV Azione (26 giugno) affermando la necessità del separatismo e difendendo la legge delle guarentigie e facendo eco alla dotta conferenza che Guglielmo Quadrotta aveva tenuto il 7 giugno ali Università popolare di Genova, concludendo, come egli aveva già detto nel suo lavoro, pubblicato per i nostri tipi, ehe il moménto di regolare le relazioni fra Chiesa e Stato anche in Italia era pur giunto. Egli aveva aggiunto però che qualunque concessione fosse fatta al Vaticano « s’intendeva fatta esclusivamente per i suoi scopi spirituali, non per quelli politici, bnde lo Stato Italiano doveva nel fissare i limiti delle sue concessioni, salvaguardare i suoi interessi e garantirsi
che l’azione del Vaticano non gli fosse contraria sia in Oriente, sia in Europa, sia nei suoi stessi confini ».
7. Da un altro punto di vista invece assumeva un atteggiamento scettico Romolo Murri che nel Resto del Carlino (7 giugno) vedeva giustamente nell’accrescimento di valore pratico e di importanza politica della Chiesa cattolica dopo la guerra, un omaggio pavido alla sua unità che sembra interiore c non coatta, solo agli spiriti superficiali, pur ammettendo che, comunque ciò fosse, queste sue prerogative rappresentavano, in tanta anarchia e indisciplina, una forza. Onde il Murri concludeva che se non si trovava altrove l’unità e la disciplina ci si facesse pur clericali; si badasse però alle delusioni momentanee che spesso consigliano male: non era detto che in tanto mutar di còse e di spiriti anche le democrazie, giovani ancora, non sapessero o non potessero trovare la loro unità e l’omaggio che da parte della Chiesa e da quella dello Stato si faceva alla libertà in questo momento non fosse l’affermazione di un principio che andasse al di là delle passeggere evenienze e che si affermasse come reale conquista dello spirito.
Anche Massimo Rocca nel Risorgimento di Milano (14 luglio) assumeva un identico atteggiamento, sebbene non per le stesse ragioni. Secondo lui nè la Chiesa, nè lo Stato, avevano da trarre vantaggio dalla auspicata conciliazione, perchè se fossero stati superati i limiti entro cui attualmente si svolge la loro rispettiva autorità, probabilmente mal sarebbe capitato ed all’una ed all'altro. La Chiesa forse avrebbe diminuito il suo prestigio e resa difficile la sua posizione nell’interno dello Stato: questo non ricaverebbe maggior vantaggio della diminuita potenza della Chiesa di quello che forse non ne possa ricavare ora.
Persino l’eco della nostra ultima Thule orientale. Il Corriere di Zara (14 luglio), badava ad avvertire si stesse in guardia, non tanto per le cessioni della sovranità territoriale, alle quali argutamente osservava che l’Italia, in fondo, era abituata anche in proporzioni maggiori... sia a Jugoslavi, sia, più indirettamente, a Francia ed Inghilterra, ma al vantaggio che da questa cessióne «onorevole e dignitosa • ne potesse derivare.
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Più ampio, ma più idealistico era invece il sogno che sognava Mario Piccinato nel Paese del 7 luglio, auspicando al di là dei culti positivi, viventi nella libertà dei loro riti e nell’aperto o nel chiuso dei loro culti, uno Stato che insegnasse l’essenza delle religioni, «la divinità dell’universo, le spiritualità della vita, l'ardore della verità sino all’estremo sacrificio, la gioia del lavoro che è atto di creazione, il riconoscimento e la disciplina delle leggi di misura e di giustizia che sono la vita dell’universo. E, sopratutto, l’amore. L’amore per noi stessi, per l’umanità, per l’universo: poiché tutto è penetrato dal medesimo spirito d’amore... e peggio per quella religione Che chiama bestemmia il credere così ».
* » *
8. Intanto l'avvento al potere dell’onorevole Bonomi e la sua assunzione dei popolari al Ministero, sopratutto di un popolare proprio a quello dei culti dava luogo alle... fantasie più fantastiche, le quali nel Resto del Carlino (12 luglio) si riducevano molto praticamente all’interesse che il Vaticano prendeva per l'avvento dell’on. Bonomi in quanto egli si-era proposto di correggere il progetto della nominatività dei titoli che dava tanta noia alla S. Sede, la quale, nel caso dell'applicazione della legge nelle forme stabilite, si sarebbe trovata nella necessità di far emigrare i suoi capitali all’estero più di quel che non abbia fatto sin'ora.
Sintomatica invece era l’ampia notizia del programma di politica estera religiosa, che attribuiva all’on. Bonomi V Economista d'Italia (22 luglio), -il quale, attendendo la formazione di non so qual dottrina nazionale-statale da contrapporre all’ideologia massonico-liberaie, preconizzava dalla pepiniera di diplomatici che è il Vaticano, unico in tanta mischia mondiale, l’avvento dell’uomo fatale che avrebbe provocato in seno alla Lega delle Nazioni quel diritto delle genti europèe che avrebbe dovuto salvare l’aiuola europea dalla ferocia‘che da tanti secoli la dilania, come se il papato fosse un’istituzione del dopo-guerra e questa sua azione redentrice non avesse potuto svolgersi ormai nei per lo meno dodici secoli da quando, se non vita, à peso nella squilibrata bilancia dell’Europa strozzina!
Ma non priviamo il lettore dei capisaldi del programma, noto a\\‘Economista d’Ita
lia: lo riporteremo integralmente, chè ne vale la pena:
...consisterà sostanzialmente nei punti seguenti: x° abrogazione della legge delle guarentigie pontificie; 20 stipulazione di un trattato di pace odi amicizia fra il Regno d’Italia e lo Stato Pontificio, o Principato del Vaticano; perchè nessuno ha mai dubitato o dubita ancora che dopo il 1870 il Papa ha conservato il potere temporale c la sovranità in Vaticano e possiede da oltre 30 anni’, dopo la conquista intangibile di Roma, quel suo residuo territorio con animo di proprietario e di sovrano indipendente; 3® stipulazione di un concordato per la comunione dei servizi pubblici dello Stato Italiano; ; per la dóppia cittadinanza dei sudditi dello Stato Pontificio; per l’esercizio del diritto di legazione attiva e passiva che la Santa Sede conferirà al Governo d’Italia nei suoi rapporti col Vaticano e la conseguente nomina di un ambasciatore italiano in Vaticano e di un Nunzio apostolico presso la Corte italiana; 4® cordiale intesa fra l’Italia e la Santa Sede per prevenire l’ascensione del simbolo del « Gallus giganteus » sull’orizzonte del Vaticano e le mene francesi per la conquista dell'influenza internazionale della Santa Sede, o la tendenza dell’ambasciatore francese presso il Vaticano a ridurre al comune denominatore francese tutti gli affari' del cattolicismo; tendenza fino ad oggi invincibile, perchè manca all’Italia il diritto e la possibilità di nominare un ambasciatore in Vaticano che possa profilassarc e neutralizzare la politica francese, ricordando quotidianamente che 39 milioni di cattolici italiani valgono c pesano quanto i 38 milioni di cattolici francesi; 5® e finalmente una cordiale intesa fra l’Italia e il Vaticano per chiedere di concerto, energicamente, l’ammissione c l’ingresso dello Stato Pontificio, riconosciuto dall’Italia, nel Consiglio di amministrazione della • League of Nations» e a • fortiori » nel consiglio supremo della condenda associazione fra gli Stati cattolici, o lega di resistenza, fra gli Stati del continente europeo e della condenda Società generale degli Stati e dei popoli, per la riforma del Diritto delle genti, per la Dichiarazione dei Diritti dei popoli, per l’equo ri-partodclle materie prime, perla costituzione di servitù minerarie internazionali, per l’equo riparto del mondo colonizzabile fra i popoli affetti da iper demia, per la libertà dei mari, per il disarmo navale e terrestre, ecc. eco., ma sopratutto per l’allacciamento di ogni diritto degli Stati e di ogni arte diplomatica all’etica cristiana e quindi per l’estensione dell’amore del « prossimo » oltre i confini delle patrie, in guisa che possa abbracciare man mano l’amore del • vicino » e perfino l’amore del più « lontano», anche se di razza diversa, come è vecchia e costante utopia dei pacifisti clericali e laici...
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9. Abbiamo sopra connato ad un giudizio straniero, promettendo di esaminarne qualche lato.
La cosa non è difficile perchè i punti di vista più disparati si unificano: la lontananza fa sfumare i contorni e vedere le cose grosso modo, quando non impone una considerazione suggestiva con il peso dell’ossessione. L’elemento anedottico quindi predomina, la cronistoria si allunga e persino la storia vi mette lo zampino per maggior- edificazione culturale dei lettori ed i giudizi quindi o mancano o ’appaiono appena come tante bollicine d'olio a fior d’acqua. Già il Giornale d'Italia s’era fatto telegrafare da Berlino la notizia che la dimostrazione palmare dell’accordo Italo-Vaticano si sarebbe effettuata con la cerimonia della traslazione delle ceneri di Leone XIII al La-terano fatta in pompa magna, notizia che il giornale aveva commentato non favorevolmente, accennando, come già dicemmo altra vo^ta, ad andar cauti nel mutare le cose così bene ormai composte. Altri aveva immaginato Benedetto XV, non già al seguito del corteo funebre di Leone XIII, ma piuttosto benedicente la reliquia di quel soldato ignoto che anche l’Italia, come sempre ultima venuta, tra il poco senno e tra la molta rettorica dei suoi alleati, doveva consacrare alla venerazione dei posteri. Queste notizie à sensation sono raccolte dalla stampa estera (Cour-rier de Genève) mentre quella meno corriva fa la cronaca delle logomachie italiane (la Revue des Jeunes, la Gazette de Lausanne, Euzdak di Bilbao, Journal de Bruxelles, Action catholiquede Paris, ecc.), naturalmente colorandola secondo le proprie vedute di partito o insistendo sulle agitazioni fasciste-socialiste (Le Malin di Anversa), tirando l’acqua al proprio molino dell’ordine di cose stabilito o mettendo in guardiani propri lettori, che gli
italiani si umiliano col Vaticano non per i supremi interessi di questo, stiano bene attenti i lettori nostri!, ma per quelli propri (La Libertà di Friburgo)!! Altri prendono lo spunto dalla crisi ministeriale (The Observer di Londra) o fanno-la storia della questione romana (The Mor-ning Post di Londra, Nette Badische Lan-deszeitung di Mannheim, Morgenbladet) o intervistano qualche autorità per sentirne il giudizio (ì'Excelsior di Parigi ascolta quel che dice con molta finezza e con molta diplomazia Mgr. Duchesne, naturalmente non ricavandone nulla di positivo) o si mostrano bene informati perchè dichiarano che le trattative tra Italia e Vaticano sono ormai concluse e non si aspetta che il momento -buono per pubblicarle ( Vos-sische Zeitung) o Si fanno telegrafare le condizioni di pace... (Per il Sema^hore di Marsiglia, cessióne dei palazzi di cui ora il Papa à il godimento, abrogazione della legge delle guarentigie e... indennità Ser l’occupazione dell'antico territorio elio Stato della Chiesa [raccomando questa notizia ai lettori che si preoccupano delle condizioni disastrose del nostro bilancio!]).
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io. Il meglio informato però di tutti i giornali esteri è là Dacia di Bucarest che, se le mie . cognizioni di rumeno non mi vengono meno, aspetta la formazione di uno Stato autonomo sotto la sovranità del Vaticano, nel quale troverebbero posto la guardia del Vaticano, la polizia della zona assegnata, i delegati esteri accreditati presso il papa, occupando i quartieri compresi entro i confini della regione ceduta! Diciamo la verità, la precisione è in ragione inversa del quadrato della distanza, a meno che la dabbenaggine italiana non sia in ragione diretta del quadrato delle vicinanze! Che qualcuno di noi dovesse cambiar cittadinanza?
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ARTE E RELIGIONE
Una nuova illustrazione dell’Apocalisse. — Un editore di Monaco à pubblicato recentemente una illustrazione del-l'Apocalisse {Die Apokaly-bse des Johannes, dargestellt von Josef weiss ; geleitwort von Univ. prof. dr. Hugo Kehrer. Mün-chen, Hugo Schmidt, 1920, p. 81 [27 di testo e 27 tavole. Mk. 25]). fatta da Giuseppe Weiss e l’à lanciata come l’illustrazione che deve far riscontro a quella del Dürer ; il nostro tempo avrebbe in essa la raffigurazione del suo momento storico non diversamente da quella che il secolo xv ebbe in Dürer. Il Kehrer, poi, che à scritto una breve prefazione al testo dell’Apocalisse tradotto in tedesco, ed alle illustrazioni, à spiegato la posizione artistica del Weiss, asserendo che egli, non essendo impressionista, à tentato di rendere lo spirito dell'opera illustrata, sentendola e riprodu-cendola con quella religiosità che caratterizza il momento post-bellico attuale e che deve aprire un nuovo évo medio che sarà espresso da un nuovo stile.
E posso essere d’accordo col Kehrer, ma non posso invece essere d’accordo col Weiss i cui disegni non ci sembrano affatto rendere nè lo spirito dell’Apocalisse, nè il senso di religiosità attuale che potrebbe acquistare un colore apocalittico, è vero, dagli avvenimenti ai quali abbiamo assistito — rivoluzioni, fame, malattie, guerre, disfatte e via dicendo — ma che il Weiss non ci sembra aver sentito e tanto meno riprodotto.
Per dimostrare ai lettori il mio punto di vista avrei bisogno di presentar loro le illustrazioni del testo: senonchè non var
rebbe la pena, a mio modo di vedere, di occupare spazio e di sprecare forze per una critica di carattere negativo. Basterà ch’io faccia riflettere ai lettori come l’effetto apocalittico che il W. tenta raggiungere è dovuto a mezzi tecnici molto discutibili : 1® l’opposizione tra la luce e le tenebre; 2® il contorcimento delle figure. Ora come il primo non basta a rendere il senso terroristico che può (non dico, si badi, deve) eccitare in noi la lettura dell’Apocalisse, il secondo non è sufficiente ad esprimerci il sentimento delle persone viventi nel grande dramma. Un esempio: in 1, 17 l’Apocalisse à — cito la traduzione del Luzzi, invece che... tradurre dal tedesco: «Veduto che l’ebbi [il Cristo, raffigurato nei tratti apocalittici di 1, 13 segg.j caddi ai suoi piedi come morto ». Il Weiss illustra questa frase con un Cristo che più che avere un’espressione terroristica, à un’espressione grottesca e con un uomo che cade ai suoi piedi alzando una gamba e aggrappandosi con le mani ad uno scoglio in un contorcimento di dita che indicano tutto tranne il timore o, meglio, la paura, o, più ancora, la riverenza pavida. E così di seguito. Le locuste di 9, 3 non solo non sono le locuste apocalittiche nella figura — e il W. risponderà che egli non fa dell’impressionismo — ma non ànno — e ciò è più grave — se non un’espressione grottesca ed i malcapitati su cui si gettano si contorcono con una tale irragionevolezza di movimenti che non dànno affatto un’idea Burchessia di sofferenza o di terrore.
on parliamo degli angeli, la cui figura per creare^unjsenso di grandiosità dovrebbe
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essere o serena o cupa o consona al male prodotto dai flagelli che gettano dai loro calici sugli umani. Niente di tutto ciò. Anche nell’illustrazione di 16, 2 dove i sofferenti potrebbero in parte esser disegnati come sono, l’angelo à un atteggiamento ed un volto così inespressivo che l’effetto è completamente perduto.
E mi dispenso dal continuare.
In conclusione, questo del Weiss è un disgraziato tentativo di esprimere il senso apocalittico in una forma nuova che non risponde certamente alle sue stesse intenzioni e che dà all'opera, alla sua religiosità, al senso del divino e dell'umano che è in essa, proprio l’espressione che assolutamente non le si confà: il grottesco.
L’antica pittura cristiana da un punto nuovo di vista. — Tra i libri d’arte recentemente pervenutici quello che più degli altri si impone all’attenzione ed allo studio di quanti s’occupano di letteratura artistica è la ricerca di Hans Berstl sul problema dello spazio nella pittura cristiana antica (Das Raumproblem in der altchristlichen Malerei. Bd. 4 delle Forschungen z. Formgeschichte d. Kunst allei' Zeiten u. Völker. Leipzig, K. Schroe-der, 1920). Lo studio è eminentemente tecnico e non può quindi esser oggetto di largo esame in queste pagine. Per l’importanza però del suo tema bisognerà darne un chiaro cenno al lettore.
Il Berstl, adunque, che è discepolo dello Strzygowski, si noti, ritiene di doversi porre da un nuovo punto di vista per classificare le opere pittoriche rimasteci, da quello cioè del modo con cui i loro autori ànno risolto in esse il problema dello spazio. Vista cioè la pittura antica con occhi, moderni, ossia in relazione ad una prospettiva matematica che risolveva tutti i problemi ottici e chimici in relazione e quindi vedeva la luce e lo spazio secondo èssa, non si è potuto non conchiudere che qualsiasi altra soluzione del problema dello spazio non fosse falsa.
Occorre perciò, secondo il B., rettificare questo punto di vista ed esaminare con occhi più obbiettivamente diretti le opere pittoriche e classificarle secondo il modo con cui esse dimostrano di aver seguito una direttiva speciale nella, raffigurazione di fronte allo spazio. Ne seguono interessantissime conclusioni, quali quella Che deve ammettersi una doppia corrente di visuali ih questo problema: la prima che
deve ricondurci all’ellenismo, il cubismo; la seconda che invece dovrebbe farci risalire all’arte iranica, la stratificazione di piani con carattere decorativo e còn derivazione monumentale.
Come si vede l’importanza dei risultati cui giungerebbe il B. è veramente notevole ed egli tenderebbe provare la sua tesi .studiando in modo particolareggiato e ’profondo l’antica pittura cristiana, analizzandone tecnicamente le forme, ribattezzandone le scuole che ne determinarono l’espressione e risalendo alle origini loro greche od orientali e scartando le interpretazioni che ne dettero altri critici.
Il lavoro è illustrato da trentacinque tavole e, se anche possa sembrare affetto dai difetti della scuola del maestro, principale l'eccessivo assolutismo nell’affermazione delle tesi, è tale indubbiamente da dover richiamare l’attenzione degli studiosi per il modo con cui è condotto e per la coscienziosità con cui è esposto, unita ad una notevole dottrina. Per accertarne o respingerne le direttive occorre sopratutto discuterne le opinioni, e vagliarne i materiali con altri studi del genere.
Pittura religiosa boema, romantica. — Un breve lavoro senza pretese, è, invece, quello di P. F. Schmidt il quale in poche pagine vuol illustrare brevemente l’arte religiosa di Giuseppe Führich, pittore boemo vissuto nel xix secolo (1800-1876) (Joseph von Führich'$ religiöse Kunst, Berlin, Furche Verlag, 1920) ed appartenuto alla scuola romantica. Cattolico, il F. ha espresso la concezione neo cattolica del mondo nella pittura, la quale voleva riprodurre i soggetti cristiani non nel senso medioevale, trascendentale, ma, sommando razionalmente ogni asprezza, unire l’in-teriore con l’esteriore e nascondere nelle pieghe della bellezza lo spirito mistico e la profondità del Cristianesimo (p. xn) Una scelta di venti riproduzioni artistiche accompagna il breve testo. Esse ci dimostrano per l’appunto il F. quale ce 10 descrive l’A. tecnicamente quasi perfetto, spesso vivo e poetico-sentimentale, ma ben di rado profondo. Vi è nell'arte sua una freddezza d'espressione che l'impeccabilità del disegno rende più acuta.
Arte indiana. — Non solo per l’arte religiosa, ma pur pei- quella profana, sebbene Ja prima prevalga assolutamente
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nell’india, è caratteristico l’opuscolo di Abanindra Nath Tagore che A. Karpe-lès ha tradotto per l’Associazione francese degli Amici dell’oriente (Art et anatomie Hindous, Paris, Ed. Bossard, 1921) e che contiene con la riproduzione di 36 disegni una specie di lista delle rassomiglianze tecnico-letterarie che l’arte indica ha reso famigliari. Viste veramente cogli occhi... occidentali—il che col formulario del Berstl equivarrebbe a... falso — questi avvicinamenti non solo ci sembrano giochi infantili, ma spesso ci lasciano piùt-tosto indifferenti. L’opuscolo quindi potrà servire più che altro come una raccolta illustrata di similitudini orientali letterarie.
...Esso finisce con questa interessante affermazione che lasciamo meditare ai lettori: «L'artista deve rappresentare la divinità sotto l’aspetto giovanile, talvolta come un bambino, mai come un vecchio o un infermo ».
Arte russa. — Non ha invece nessuna relazione con l'arte religiosa — se non subordinatamente, come diremo or ora — l’importante pubblicazione di Costantino Umanskij sull’arte nuòva in Russia dal 1914 al 1919 (Neue Kunst in Russland 1914-1919» Potsdam, G. Kiepenhaner, 1920) la quale porta un notevole contributo alla conoscenza, starei per dire politica — e non quindi artistica — dell’arte russa del periodo bellico e bolscevico. Per questo sopratutto essa dà alcuni interessanti ragguagli sugli ordinamenti ammiri-« sfrativi, sulle maestranze artistiche, sui periodici artistici e su qualche opera uscita durante lo stesso periodo in Russia (segnalo p. es. un lavoro di J. Muratow sulla rinascenza italiana, in due volumi, uscito a Mosca nel 1918), mentre sulle espressioni artistiche può dare ben poco di più di quel che si sa: uno schizzo, a memoria dell’A., del monumento a Baku n in eretto a Mosca nel 1919 da Boris Koro-Ijow con la leggenda « lo spirito della distruzione è lo spirito creatore ». Il K. è è un Arcipenko non saprei ben dire se migliorato o peggiorato. Gl’intenti di sostrarre l’arte alle «deformazioni» intellettualistiche individuali e di darle una anima collettiva onde costituire l’arte proletaria, espressione della civiltà proletaria, sono già noti. Per ora però non pare che essa abbia prodotto nulla più di un anti-espressionismo per opposizione a
quello borghese, un eccletismo ristretto, un dilettantismo di cattiva lega.
L’importanza però del lavoro dell'U.. sta, oltre che nelle informazioni, come dicevo, politico-sociali sull’arte e sugli artisti nel regime massimalista, nelle sue notizie schematiche, ma notevoli, sull’arte russa moderna e sul discreto numero di illustrazioni che la corredano graficamente, in modo molto buono, dal lato artistico. L’a. per sua esplicita dichiarazione non ha voluto darci una storia della nuova arte russa in poche pagine, ma ci ha messo in grado, ciò non di meno, di seguirne in schizzi molto vigorosi le correnti che l’hanno informata e che l'hanno collegata all’arte più antica. Della quale, come sono riportati ad illustrazione alcuni esemplari di soggetto religioso del secolo xiv e xv, sono pure offerti alcuni di impressionisti russi che hanno un interesse non mediocre per noi; come alcune riproduzioni di opere del Rodin russo, il Konje-kow, accanto a qualche saggio di plastica popolare mi pare spieghino, sino ad un certo punto, Arcipenko, che non manca naturalmente. Sfogliando queste tavole nei riavvicinamenti cui accenno, mi vien fatto di ripensare alla teoria del Berstl, con cui ho cominciato queste note ed a provarne per così dire la verità attraverso l’arte russa, che, in fin dei conti, anche quando è profana, appare religiosa e che riflette il bizantinismo e l'oriente... Ma non è qui il luogo di esporre le idee che mi passano per il capo. Finisco concludendo che il lavoro dell'Umanskij è degno assolutamente di considerazione anche perchè, senza molta pretensione, ci offre e dati ed elementi e vedute non affatto disprezzabili.
Una scuola d’arte religiosa belga scomunicata. — Artisticamente mancata, checché he dica Louis Gillet in un’amorosa introduzióne, ci pare l’opera di Alberto Servaes, quale risulta dalle illustrazioni che dovrebbero decorare il bel testo di Gìrillo Verschaave su La passion de notre Seigneur Jesus- Christ (Bruxelles, G. Van Oest et C., 1920, pag. 88 e sette tavole). Senza essere un'opera eccezionale il testo del V. è realmente, nella sua semplicità e nella sua bellezza composta, un’ottima parafrasi poetica degli Evangeli per la Sarte che riguarda la passione del Cristo.
(a dire che le tavole del pittore belga siano, non dirò all’altezza di un’espressione
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qualsiasi sentita e profonda degli Evangeli, ma all'altezza di una qualunque manifestazione iconografica, è cosa che falsa completamente il vero. Per quanta buona volontà vi si voglia mettere non si riesce a vedere in quelle figure stecchite, contorte, legnose che vogliono rappresentare il Cristo, sopratutto, una forma qualsivoglia di arte. Ho detto legnose con intenzione perchè pare che nell'A. ci sia stata l'intenzione di rendere la primitiva arte barbarica nella sua purezza di incisione, per l’appunto, nel legno. Ma almeno le prove di quest’arte barbarica hanno il merito dell'ingenuità, hanno l’espressione di un sentimento vivo: in questa del Servaes non v’è nulla o quando vi è qualcosa è così manifestamente forzata che nessun impressionismo può renderci lo spirito della -raffigurazione così come lo si attenderebbe. Guardate il bacio di Giuda, in cui accanto alla faccia inespressiva, del Cristo sta la semi-faccia di Giuda in cui brilla l'occhio del tradimento con una miseria di mezzi che non rende affatto nè il trionfo del traditore (ammesso che questo siasi dovuto manifestare), nè la serenità o, se si vuole, erroneamente, lo stupore del tradito. La flagellazione poi è un errore che cade nel ridicolo. Forse potrebbe valer meglio l’Ecce Homo se la testa del Cristo non apparisse carica
turata nel disegno dei capelli assoluta-mente innaturali. Falsa è pure la croci-fissione in cui non si capisce se per vedere coloro che sono ai piedi della croce o per il naturale piegamento del capo del morto, il corpo assume una contorsione che nè rende lo spirito d.ella pena, nè, tanto meno, il sentimento del condannato. Non parliamo della deposizione, in cui la cannibalesca figura d’uno dei deposi-tori e lo spiegamento delle stecchite forme delle braccia, delle gambe e delle mani fa pensare ad uno spaventa passeri di rozza fattura anziché ad un’opera di dolore e di morte. E non continuiamo per non perdere tempo, rammaricandoci che per sì brutta esposizione di quadri l’editore abbia sprecato una sì bella edizione, ove la carta e i caratteri del testo offrono indubbiamente una più piacevole sensazione estetica che le tavole dal disegno secco, nella loro nudità legnosa inespressiva.
Per una volta tanto quindi siamo d’accordo con la Congregazione del S. U. che ha scomunicato tutta la scuola pittorica che fa capo a questa espressione ed ha ordinato di rimuovere gli esemplari che fossero stati adoperati nei templi (decreto del 30 marzo 1921) perchè « ab Ecclesiae sensu et decretis alienae ».
Giovanni Costa.
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Definizione della religione. — Ch. Hau-ter nella Rcv. d’Hist. a de Phil. Rclig. di Strasburgo (marzo-aprile) esamina le varie definizioni date finora della religione e le critica, concludendo che il problema dell’essenza della religione e quindi la sua definizione può essere risolto dalla logica storica, disciplina, — dice l’A. — « che non esiste, per così dire, ancora ». Egli fissa i capisaldi di questa logica che dovrebbe risolvere anche questo problema, nei seguenti punti: io. La conoscenza storica non dipende in alcun modo dalle subbiettività del ricercatore. 2°. La scienza storica suppone una facoltà particolare analoga a quella che ci fa conosceie i fenomeni della natura fisica. 3° Gome le altre scienze, la storia è l’applicazione di facoltà che si esercitano ogni giorno e nel mondo intiero. 40 Questa conoscenza storica fa parte d'una categoria più generale, per cui ogni idea richiede di essere completata. 50 Della religione non vediamo se non gli aspetti particolari, i quali evocano gli altri. 6° Non Sissiamo conseguire una nozione generale ella religione che prendendone in considerazione il suo carattere storico- 70 Una nozione storica si distingue dunque completamente da una nozione di scienze naturali. 8° La nozione stori .a colpisce una funzione della vita che è dietro i fenomeni: è dunque una nozione dinamica.
L’A. conclude: « È dunque un problema logico che si trova alla base della filosofia della religione ».
[Confessiamo che questa strada è un po’ lunghetta: se ne trovassimo un'altra 0, ancor meglio, se facessimo a meno di definizioni che non accontentano nessuno e che quando dicono qualche cosa non dicono perfettamente nulla?).
Cattolicismo e positivismo. — Un molto interessante articolo di George Goyau nella Revue des Jeunes del 25 aprile mette in evidenza i punti di contatto e di divergenza che ebbero Joseph de Maistre e August Corate, facendo rilevare la strana relazione in cui si posero questi due spiriti di fronte al problema sociale religioso, le cui basi, strano a dirsi, erano presso a poco uguali in ambedue. Corate non solo approva una notevole quantità di vedute particolari di de Maistre, e si riporta a lui in molte delle sue opere, ma lo chiama all’incirca suo precursore e maestro, in modo che questo atteggiamento non può non essere accolto come un omaggio larvato del positivismo al cattolicismo. Volendo organizzare la società da un punto di vista spirituale e religioso, Corate vedeva nei cattolici gli alleati naturali dei positivisti, in quanto che riteneva che il mondo avrebbe potuto distinguersi in due classi, dei credenti e non credenti in Dio e che i primi dovessero divenire cattolici, i secondi positivisti. Ora mentre da una parte Corate proclamava tanti principi e tante vedute di de Maistre precorritori della filosofia con cui l’umanità futura doveva essere regolata e voleva dimostrare che l'omaggio reso alla ragione da de Maistre nella sua opera sul Papa, in cuj anzi che a motivi razionalistici c sociologici avrebbe potuto riferirsi a motivi esclusivamente religiosi, era prova dell'eccellenza del positivismo, dall’altra più tardi Brunetière toglieva da Corate il principio che la morale aveva bisogno di una religione e che questa doveva essere sociale e soprannaturale per proclamare la superiorità del cattolicismo che corrispondeva a queste forme. Così si scambiavano i rapporti fra positivismo e cattolicismo!
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È vero che con questo atteggiamento razionalistico il Comte giudicava il de Mai-stre come « un pensatore estraneo alla Chiesa >, e forse non aveva torto, mentre il Goyau tenta di scagionarlo dall’accusa di razionalismo e di povertà di fondamento religioso nelle sue concezioni, asserendo ch’egli voleva affermare, contro la dichiarazione del xvm secolo, che il cristianesimo è assurdo, la necessità storica e sociale del cristianesimo asserendo che esso è d’accordo con tasta l'esperienza sociale, in quanto che la Chiesa, per divina che sia, ha le basi su p incipi e concezioni che sono richieste dai bisogni vitali di tutte le società umane.
[Cóme si vede, questo studio breve ma interessante del Goyau è molto importante, sebbene la concezione di chi lo segnala al pubblico sia tutt’altro che nelle linee di queste vedute, che gli sembrano assolutamente antiquate!]
La nuova Europa e il cattolicesimo* — Secondo R. Pinon nel Correspondant del 25 marzo, grandi speranze può concepire il cattolicismo per la sua diffusione ed affermazione nell'Europa attuale, in cui la guerra ha portato elementi di indisciplina e di disordine che solo il cattolicismo potrebbe frenare. Affermata la forma e l'unità della Chiesa cattolica, il Pinon fa una interessante indagine dello sviluppo e della attuazione del cattolicismo in tutte le nazioni sorte o risorte a nuova vita dopo la guerra. Contro la società delle nazioni, che è un aborto, egli vede ergersi la S. Sede, la quale, attorniata fra breve da tutti i rappresentanti degli Stati civili, deve apparire all'Europa nuova con un’autorità morale ed un’influenza rinnovellata. Egli trovaesa-SOrate le paure inglesi, americane, svedesi, i un decadimento della civiltà protestante contro una rifioritura cattolica. Indubbiamente contro l’internazionale rivoluzionaria, però, egli non vede per ricostruire l'Europa che l’internazionale cattolica con il suo serbatoio di forze sociali disciplinate e di giustizia internazionale.
La Chiesa nella nuova Romania. — Il principe Vladimiro Ghika nella Revue des Jeunes del 25 marzo esamina con molta parzialità francofila la posizione della Chiesa cattolica nella Romania ingrandita, ora che essa accoglie un notevole numero di sudditi cattolici. Decaduta miseramente la Chiesa ortodossa ufficiale, compromessa
anche dal germanesimo che fino alla guerra aveva fatto della Romania un suo feudo, il cattolicismo ha potuto prendere delle iniziative Che condurranno, secondo il Ghika, ad una sua sicura affermazione. Lo Stato dovrà separarsi dalla Chiesa, ossia rinunziare all’ortodossismo ufficiale, per omaggio ai nuovi sudditi. È vero che, come si è visto dalle manifestazioni contro il concordato, la strada non è priva di ostacoli, ma il G. vede facilitato il cammino se si eliminano gli elementi tedesco-magiari del clero e se si fanno affluire, naturalmente, le congregazioni sopratutto francesi che esercitano un’azione vivace e fattiva I
Il movimento religioso in Cuba. — Nelle Etudes del 20 maggio Giuseppe Boubée scrive a lungo sul movimento religioso nello Stato di Cuba, descrivendo minutamente la diffusione del cattolicismo e quella del protestantesimo, accanto all'estensione notevole che hanno preso anche là le forme superstiziose delle credenze popolari, lo Spiritismo, la magìa e sopratutto, tra i negri, la stregoneria, fondata sul cannibalismo, ricorrendo i negri per le loro pratiche superstiziose all’uccisione dei bianchi e sopratutto dei fanciulli. La separazione non violenta e passionale, ma semplice-mente imposta da principi teorici tra lo Stato e la Chiesa ha favorito la diffusione delle varie Chiese Cristiane, le quali hanno templi propri, (i Battisti oltre un Tempio, hanno anche un Cimitero speciale, «privilegio che dividono unicamente con i Cinesi ») e organi propri, ma non possono permettersi manifestazioni pubbliche (processioni) e debbono sottostare ad uno ame-ricanizzamento scolastico che vieta l'insegnamento delle lingue classiche. L’insegnamento pubblico, oltre a ciò, non permette l’istruzione religiosa, alla quale provvedono quindi i vari culti con i loro collegi. La legislazione è eminèntemente laica: matrimonio civile, quindi, con precedenza sul religioso, facoltativo, e divorzio. Costumi, come il’clima e la ricchezza generale del paese fanno prevedere, molto rilasciati, vita lussuriosa e dedita ai piacéri, stampa non delle migliori, superficialità di credenze anche nei cattolici e poca o nessuna consistenza di fede e di spiritualità veramente profonde.
La politica religiosa di Napoleóne. — hi un breve articolo della Revue des Jcunes del io maggio G. Lacourt-Gayet tratta
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schematicamente della politica religiosa di Napoleone mostrandocelo fin dal 1800 fermamente deciso a servirsi della religione, e naturalmente, in prima linea del catto-licismo, come mezzo di Governo e poco propenso a permettere che papi o preti gli attraversino la strada. Quando non poteva asservire l’autorità ecclesiastica alla sua politica di Stato o minacciava distruzioni o effettuava disinteressamenti che erano peggiori delle prime. Scriveva un giorno al cardinale Fesch: «Per il papa, io sono Carlomagno... Intendo dunque che egli regoli la sua politica con la mia su questo punto di vista, altrimenti ridurrò il papa a essere vescovo di Roma... non vi è davvero nulla di così irragionevole come la corte di Roma. » E a sua sorella Elisa scriveva: «Non esigete alcun giuramento dai preti: ciò non serve a nulla che a far sorgere delle difficoltà. Proseguite la vostra strada, .sopprimete i conventi... Non immischiatevi in nessun dogma. Impossessatevi dei monaci, questa è la principal cosa ». Un’altra volta fa la seguente dichiarazione: « Il Papa ha violato il concordato già da quattro anni. Quando, si vede i papi continuamente agitarsi e sconvolgere la cristianità per gli interessi temporali del piccolo Stato di R., ossia per una sovranità che equivale a un ducato, si deplora la condizione della società cattolica compromessa per così futili interessi ». Infatuato di essere il successore di Carlomagno, Napoleone che parla dei suoi'vescovi, dei suoi concili come dei suoi gendarmi, vorrebbe portare a Parigi la Sede del papato, ma per quanto riesca a far firmare a Pio VII il concordato di Fontai-nebleau che è una dedizione completa di Dio a Cesare, non può impedire che Pio VII si penta c si ribelli, ed allora minaccia di far saltare la testa di qualche prete di Fon-tainebleau. Ad onta di tutto ciò. Pio VII si adoperò nel 1817 per rendere meno amaro all'esiliato il soggiorno di S. Elena, riconoscendo che Savona e Fontainebleau non erano che degli errori dello spirito traviato dall’ambizione umana ed augurandosi che si alleviassero alquanto i dolori del vinto, su cui la famiglia richiamava la sua attenzione, e concludendo « che egli non poteva più ormai essere un pericolo per nessuno, onde desiderava non fosse neppure un rimorso per qualcuno ».
Lo spirito di rivolta nel giudaismo. — G. Satanit nel Mercure de Trance del 15 mar
zo pubblica il terzo dei suoi articoli sul problema giudaico, mettendo in luce lo spirito di rivolta del giudaismo che è una logica conseguenza del suo esclusivismo. Parrà un paradosso l’affermare che il popolo più conservatore del mondo sia il popolo più rivoluzionario, ma non sarà difficile accettarlo quando si pensi che gli E-brei sono gli eterni scontenti e inadattabili alia situazione sociale e politica del mondo che li serra nelle sue spire. Essi vorrebbero sostituire alla concezione ed alle condizioni degli altri le proprie e per far ciò non possono non essere Che degli eterni ribelli.
Il B. fa brevemente la storia di questo spirito di rivolta, attraverso il profetismo giudaico, attraverso l’intolleranza e l’esclusivismo dei profeti che non sono i precursori dell’Evangelo, ma i fondatori della legge. Uomini non, come si crede, miti e filantropi, ma feroci non di rado (si veda, per es.. Re 18.40 ove i preti di Baal vengono sgozzati fino all'ultimo per ordine di Elia), ebbero una concezione nazionale della religione e ñon universale: la si Credette tale solo perchè incorporatene le opere nella letteratura cristiana, se ne è ricavato l'universalismo. I loro poveri per' i quali chiedono il paradiso terrestre, materiale e morale, non sono i bisognosi, ma i servitori di Dio, i più, su per giù come oggi i proletari: sono là classe che deve imporsi. I malvagi e le nazioni avversarie sono quelli che ne ostacolano l’avvento, la borghesia: perciò sono malvagi e ne vogliono lo sterminio. Nel profetismo come nei Salmi non c’è nessun ideale nazionale di verità e di Siustizia, ma piuttosto un’affermazione i panisraelitismo, di pangiudaismo. Il popolo eletto (come il tedesco prima del 1914) deve aver al servizio gli altri, i gentili, Che con lui formeranno l’umanità unita religiosamente, sì, ma sotto lo scettro e nella concezione dei dominatori. L’utopia che essi così accarezzano è l’alimento sostanziale del loro spiritò di rivolta. Il messianismo quindi non è altro che questo per essi.
Del resto la storia dei giudei sotto l’impero romano non è che una conferma di questa tesi; essi hanno approfittato di ogni sconvolgimento sociale per affermarsi o se no per affrettare quella rivoluzione finale che dovrebbe dar loro la realizzazione dell’ideale messianico. La riforma fu da essi veduta sotto questo aspetto, solo come prodromo della fine del cristianesimo e trionfo finale delle loro credenze. La rivo-
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luzione inglese e quella francese ebbero la stessa sorte. Essi sono stati sempre dalla parte della rivoluzione con senso di praticità e di fanatismo al tempo stesso, che è divenuto ormai tradizionale nella razza. Il socialismo ha avuto ed ha in essi, appunto perciò, i suoi più convinti fautori. Giobbe e i profeti non sono che gli eterni scontenti dell'ordine stabilito. I cristiani possono rassegnarsi, i giudei si ribellano. Marx, Lassalle, Heine, Nordau sono i rappresentanti israelitici intellettuali di questo stato d'animo. Sotto formule diverse è insomma l’eterno sogno messianico dei profeti e dei salmisti che vuol avverarsi, è la loro voce che tuona per un « mondo di giustizia nel quale deve realizzarsi il sogno orgoglioso e impossibile d’Israele ».
Nazionalismo o assimilazione giudaica ? — Questo interessante studio di G. Ba-tault pubblicato nel Mercure de France e da noi segnalato largamente ai lettori termina nel fascicolo del 15 aprile in piscetn. Il B. cioè conclude che il problema giudaico s’impone all’umanità e deve esser risolto e che non può risolversi se non con il nazionalismo o con l’assimilazione degli Ebrei. Ora questa non è possibile per ragioni storiche già esperimentate fin’ora: ne segue che l’unica strada possibile è l’altra e quindi il sionismo. Se non che il sionismo come è concepito dai sionisti pratici odierni non è che un mezzo di ricatto con cui il pangiu-daismo vuol dominare l’Inghilterra la quale conta per mezzo di esso di fare i suoi interessi materiali in Oriente, e quindi se non si ritorna al sionismo onesto, le potenze avranno tutte le ragioni per perseguitarlo. [Ahimè! il problema giudaico non' è dunque per il B. che una misera questione di competizione tra Francia e Inghilterra in Oriente !]
Le memorie di Richèlieu. — Un interessante articolo di Luigi Battifol pubblicato nella Revue de Deux Mondes del 15 aprile ei ragguaglia sui risultati di uno studio fatto dall’A. sulle memorie di Richelieu, le quali, pur presentando alcuni elementi molto facilmente visibili di una dubbia paternità, sono state, ciò nondimeno, accettate come opera sua. Il Battifol è riuscito invece a stabilirne l’A. e il modo di redazione in maniera convincente. Si tratta cioè di una compilazione di testi e documenti messi insieme da un segretario di Richelieu, Char-pentier, e raccolti tra le carte che il grande
cardinale aveva riunite per scrivere una storia del suo periodo che ne mettesse in luce l’opera sua e gli avvenimenti ai quali aveva partecipato. Il corpus di tali documenti messo male insieme dallo Char-pentier avrebbe trovato un correttore e rifacitore in Harlay de Sancy vescovo di Saint Malo. Costui tagliando, rettificando, ricomponendo ha potuto fissare quello che è ora il testo definitivo delle presenti memorie. Le prove addotte dal Battifol sono importanti e le conseguenze della sua interessante ricerca che uscirà tra breve, in un volume documentato, sono notevoli. La storia del- regno di Luigi XIII va riveduta, l’opera e la figura del grande cardinale non diminuita, ma posta nella sua vera luce, il monarca cui egli fu devoto non più raffigurato come un fantoccio. Le false memorie mettevano in falsa luce i rapporti e la collaborazione tra i due: bisogna perciò dui documenti diretti ristabilirle come realmente furono e liberarci dall’incerto ohe esse ci presentavano quando le si investivano dell’autorità cui non avevano diritto.
—- Nel Correspondant del 25 luglio R. I.a-vollée si oppone a queste conclusioni del Battifol, attribuendo sì il lavoro di preparazione e selezione ai seeretari del Rione-lieu, Charpentier e Sancy, cui aggiunge Chorré, sicché si sarebbe formata un’edizione in due ms. ch’egli chiama A e B, che sarebbero stati utilizzati, riveduti e riordinati dal cardinale. Questi però dovè abbandonale l’opera da lui stesso giudicata di troppo lunga redazione. Arche il Lavollée cita prove cronologiche c documentarie delle sue tesi che conchiude così: « Insomma, le Memorie restano ciò che generalmente si è creduto che fossero, una "Storia del regno di Luigi XIII” composta su documenti contemporanei, per ordine, sotto la direzione e con la collaborazione parziale del grande uomo di Stato. Come tali „embia evidente che meritino ancora di conservare il titolo che sin dalla sua scoperta è stato loro dato e l’autorità che loro era stata riconosciuta » .
Il pensiero religioso di Giuseppe De Maistre. — G. Goyan nella seconda parte del < no studio su De Maistre, pubblicato nella Revue dea deux Mondes del primo aprile, segue la vita e il pensiero di De Maistre dal 1792 al 1821, dimostrando come dal J792 questo segna un nuovo orientamento in quanto che dopo l’invasione francese il De M. è costretto ad emigrare e sopra-
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tutto a Losanna è messo a contatto con fatti e uomini che sono in qualche modo i presupposti logici del suo sviluppo intellettuale di domani. I tragici avvenimenti della rivoluzione Io fanno oiù che mai riflettere al principio d’autorità e lo orientano con vivacità verso un’opposizione al protestantesimo, il quale gli appariva come 1 avversano mortale della sovranità e l’alleato naturale del giacobinismó. È interessante intanto notare come il contegno di Pio VII lo esasperi al punto che i gesuiti suoi amici sono costretti a calmarlo ed a spiegare il contegno del papa; egli l’aveva però chiamato • Pulcinella ». Finisce quindi per riconoscersi debitore ad essi anche di questa attitudine, egli che confessava già che a loro doveva di non essere stato un oratore della costituente! Il suo antiprotestantesimo si afferma sem-Sre più in considerazioni sullo stato della ermania, che gli sembra l’esempio tipico delle colpe protestanti verso il concetto di patria, verso la scienza e via dicendo; e qui cade naturalmente in assurdità che la storia ha ormai sfatato. Ciò non gli impedisce di serbar fede all’illuminismo, al quale ascriveva il merito di poter essere utile in paesi separati dalla Chiesa per mantenere il sentimento religioso, adattare lo spirito al dogma, sottrarlo all’azione deleteria della Riforma e via dicendo; e confessando che pur essendo cattolico doveva ad esso moltissimo. Nel frattempo annotava fra i suoi apppunti che il principio d’autorità è per una religione vera il primo carattere.
Passato in Russia lo stato delle condizioni religiose di quel paese lo fece rivolgere più che mai ad un rinvigorimento della religione cattolica. Nel 1797, si noti, aveva scritto, che ogni filosofo avrebbe dovuto finir con l’optare per una di queste due strade: o che si formasse una nuova religione o che il cristianesimo fosse rin-S'ovanito in qualche modo straordinario.
ropendendo per quest’ultima ipotesi, spera nell’avvicinamento della Russia al cat-tolicismo, pur convenendo che lo .spirito cristiano non era ancora in condizione di penetrare la materia asiatica. Procurando di allontanare dalla Russia il luteranismo e di avvicinare lo zarismo al cattolicismo russo medesimo, ostacolando le correnti scientifiche che sotto il nome di cristianesimo universale si appuntavano al trono d’Alessandro, egli finisce col divenire unde-sirable.
D’allora in poi, il suo libr.o sul Papa è più che mai nello spirito. La sua nuova posizione di ammissione dell'infallibilità pontificia incontra le critiche e quasi le scomuniche di Roma stessa, ma egli vi resiste trionfalmente con un’elasticità di pensiero e con una coltura che sono notevoli.
— Sullo stesso pensatore i lettori troveranno nella Revue des Jevnes del 25 marzo un articolo di F. A. Bianche che mette in evidenza sopratutto il suo pensiero sull’infallibilità pontificia, conce-Sita come effetto della sovranità politica apprima e poi in correlazione con le promesse divine.
Il cattolicismo di S. Agostino. — M. Jacquier nella Revv.eàes Jeunesàel 25 marzo e A. D’AlÀs nelle F.hides del 5 marzo, parlando dell'opera recente, della quale ci proponiamo di parlare anche noi fra breve, di P. Battitoi sul cattolicismo di S. Agostino, tendono a mettere in evidenza lo spirito di cattolicismo, di unione alla Chiesa che ha caratterizzata l’opera di S. Agostino in tutta la sua vita, ma sopratutto nelle sue lotte contro i donatisti e i pelagiani. Nella qual concezione egli non porterebbe solamente l’intellettualismo del teologo, ma pur un sentimento di commozione e di misticismo che dimostrerebbe l’anima dell'uomo che à vissuto la vita e l’à conosciuta tanto da filosofo quanto da pensatore.
Le confessioni di S. Agostino. — Nella Revue des Jeunes del io giugno P. Battitoi esamina qual fu realmente l’idea ispiratrice delle confessioni di S. Agostino, che egli col Monceaux pone come pubblicate alla fine del 397 o nel corso del 398. Che erse siano una difesa del vescovo di Ippona, che veniva così aspramente combattuto dai donatisti, che gli rinfacciavano la sua vita anteriore e facevano delle insinuazioni sulla sua conversione, non può essere sostenuto. La campagna donatista contro di lui è del 400 e si trascinò uno o due anni: poterono quindi le confessioni offrire esca ad essa, più che scudo. Non furono neppure, come vuole Possidio, un alto di umiltà ed un desiderio di preghiera dei suoi lettori per i misfatti commessi. Certo il successo che ebbero le confessioni che lo stesso Agostino ci segnala ripetutamente, potrebbe far pensare a questa idea motrice. Pel B. però si tratta di ben altro. Agostino compie con esse un atto di riconoscenza per l’opera
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di Dio, verso di lui, colpevole, e vuole che lo stesso possa essere per i suoi lettori. Lo dichiara egli stesso: Amore amoris lui jacio istud e non una volta sola. Dio non solo interviene con la grazia, pur senza intaccare il libero arbitrio del peccatore, ma è sempre presente al peccatore e continua ad esserlo anche quando è giustamente irritato contro di lui. Te nemo amitlit itisi qui dimitlit. Egli formula così compiuta-mente in esse quella dottrina della grazia che si estrinseca nella formula scultoria: Da quod iubes et iuhe quod vis che irriterà tanto Pelagio e che poi diverrà più rigorosa, ma non farà perciò meno delle com-fcssioni-un'opera di comprensione e di fiducia.
Alle origini dello scisma greco. — A proposito di alcuni recenti studi sulle origini dello scisma greco e sulle principali figure che lo resero celebre A. .d’Alès nelle Etu-des del 20 aprile ricostruisce la figura, e i rapporti corsi tra due dei principali personaggi di quél tempo, Costantino Psello e Michele Cerulario. Gli scritti rimastici e sopratutto la violenta requisitoria di Psello contro Cerulario, che avrebbe dovuto produrre la sua condanna e la sua definitiva rovina se egli non fosse morto a tempo e la successiva palinodia scritta quando sotto forma di elogio funebre occorreva santificare la memoria del defunto patriarca, a soli quattro anni di distanza, ci pongono Psello nella luce più sfavorevole. Sebbene egli riserbi al patriarcato di Costantinopoli — che sarebbe stato uno dei cinque patriarcati cari ai bizantini: Costantinopoli, Antiochia, Alessandria, Gerusalemme e Roma -—un posto d’onore ed applauda alla ribellione contro Roma, Psello non à subito alcuna influenza occidentale nell’atteggiamento assunto contro Cerulario. La misera e indegna figura da lui fatta con l’elevare iperbolicamente a quattro anni di distanza chi aveva abbattuto in maniera così violenta, si spiega con la forma perfettamente opposta dei due caratteri i quali per essere due vere forze non potevano se non essere in lotta tra loro oppure prendere il sopravvento l’una sull’altra. Quest’attitudine di spiriti, letterario l’uno (Psello), politico l'altro (Cerulario), ci viene suffragata da una lettera di Psello a Cerulario, in cui sono messe in evidenza le diversità dei due tipi e la fatalità del loro cozzo. Abbiamo in essa un documento sicuro di quel che era allora l’idea
bizantina e se non possiamo certo ammirarla q stimarla, dobbiamo esser grati a Psello di avercela svelata in tutta la sua sincerità.
S. Efrem e l’imnografia bizantina. — Negli Etudes dei 5-20 giugno A. D’Alès dà qualche breve ragguaglio su S. Efrem il Siriano, il nuovo dottore della Chiesa, secondo la proclamazione fattane dal pontéfice Benedetto XV il 5 Ottobre scorso. Messo in evidenza lo stato infelice dei testi attribuitigli e il progresso che su di essi à fatto da qualche tempo in qua la critica grazie alle cure di alcuni studiosi contemporanei, il D’Alès ricorda uno dei maggiori episodi della vita di S. Efrem, quello del suo incontro con S. Basilio, che egli à cantato in un lungo poemetto di cui l’articolista riporta una parte, tra le più interessanti. Di quest’incontro ci è rimasta pure una relazione poetica per opera di S. Gregorio di Nissa.
Ma quello che è meno noto è l’importanza che S. Efrem à avuto come padre dell’imnografia bizantina. Premesso che già nell’antichità la prosodia e la ritmica, basata su di essa.non era molto sentita popolarmente, ma vi si opponeva il principio àeW omofonia, ossia il ritorno regolare dell’accento delle parole, il d’Alès à fatto anche notare, sulla scorta di recenti studiosi, come nelle lingue semitiche il principio ritmico fosse poggiato su l’tso-sillabia o uguaglianza del numero delle sillabe, che del resto si trova anche applicato nella lirica pindarica: S. Efrem quindi in siriaco usò questo principio al quale il traduttore greco si uniformò nella versione dei suoi inni, unendovi il principio greco dell’omo tònia, nelle masse popolari. Così nacquero le g-randi melodie bizantine, i cui rappresentanti ci riconducono tutti alla Siria. In tal modo si può riconoscere a S. Efrem la gloria di esser stato l'ispiratore e il padre dell’imnografia bizantina.
La sinagoga dei liberti in Gerusalemme. —- L. H. Vincent nella Revue btblique del 1® aprile pubblica una nota sulla sinagoga lei liberti di Gerusalemme, della quale sarebbe stata scoperta l’iscrizione dedicatoria che dice: « Teodoto, figlio di Vetteno, sacerdote e archisinagogo, figlio d’archi-sinagogo, à costruito la sinagoga per la lettura della legge e per l’insegnamento dei comandamenti, come l'ospizio eie ca-
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mere e la suppellettile delle acque, per servire di ricovero a coloro che nell’estero ne avessero bisogno, quale l’avevano fondate i suoi padri, e gli anziani e Simonides ». Si tratterebbe della sinagoga dei liberti di cui è cenno in Atti 6, 9, costruita per la comunità romana della diaspora, compo.-sta dei giudei condotti in prigionia da Pompeo e rimessi in libertà dai loro discendenti. Distrutta naturalmente nel '70 essa sarebbe stata ricostruita o, se si vuol meglio, restaurata—poiché la distruzione di Gerusalemme per opera di Tito non fu certo cosi completa come ce lo vuol far credere Giuseppe Flavio — e precisamente tra il 105 ed il no da questo Teodoto. Altri ipotesi si potrebbero fare su questa iscrizione e furono fatte, poiché non è certo chi sia questo Vetteno o Vet-t(i)eno, non si sa nulla di Simonide, e si può spostare la data della ricostruzione e l'A. le prospetta.
Il “ Poverello ” di Port Royal. — — Anche Port Royal à avuto il suo poverello, se crediamo ad un interessante articolo che P. Renaudin à dedicato nel Correspondant del io aprile al Dott. Giovanni Hammon. il quale entrò nella rocca del giansenismo con una purità d’intenti e con un’assoluta rinuncia a tutti i suoi beni, che non solo ci dimostra in lui l’uomo convinto che confessa di aver raggiunto quanto aveva potuto sognare di meglio, ma il credente che da un tale atteggiamento si ripromette tutta la pace e tutto il bene spirituale che si possono conseguire. Disgraziatamente i bisogni del Cenobio, le vicissitudini sotto le quali dovè passare nei tempi calamitosi in cui visse, lo fuorviarono dalla via che egli si era prefisso di battere. T?ur volendo spogliarsi nello spirito così come materialmente si era spogliato di ogni cosa, non potè esimersi dal prestare il suo ufficio di medico e perfino di adattarsi a curare le religiose che .erano state segregate nel Cenobio nel momento in cui più acuta infieriva la persecuzione. Egli vi si prestò non solo fisicamente, ma moralmente ed ebbe suggerimenti, ispirazioni, quali non avrebbe forse neppur avuto l’uomo di chiesa meglio addestrato e sopratutto sotto la sorveglianza ed i rigori che si esercitavano intorno agli scomunicati. Sebbene disilluso da molte contrarietà incontrate nella sua vita faticosa, l’Hammon non perdette mai la gioia interiore. Egli che aveva scritto: « Non do
mandate a Dio nè ricchezza nè salute; egli à cura di voi e sa quel che vi occorre. Domandategli solo il regno dei Cieli. Dio è grande e se non gli si chiede qualche cosa di grande si offende» — fu veramente «un vero Severo di Cristo » e se non un santo «uno i quei cuori puri nei quali la santità meglio deve trovarsi ». Fu indubbiamente un umile, ma non un piccolo e per quanto volesse sfuggire le responsabilità, quando dovette accettarle non le respinse.
Nicola da Cusa. —* Luciano Roure dedica sotto il titolo « Una gloria della regione renana » negli Eludei del 20 maggio u. s. un breve articolo al celebre cardinale, ricavandone gli elementi dallo studio di E. Vansteenberghe, pubblicato nel 1920 (Paris, Champion - si veda anche lo studio di Paul Hasse, di cui dà un breve cenno A. Jundt nella Revue d'Hist. et de Ph. Rei. di Strasburgo (I-87)), non tanto per mettere in luce l’attività religiosa, quanto quella spirituale. Il da Cusa di fatti non accettava il sistema tolemaico, non ammetteva l’assoluta sfericità terrestre, accettava l’identità di formazione materiale del sole e della terra. Egli precede Leonardo nella divinazione dell’igrometro e si presenta come l’unico matematico e geometra di genio del secolo. Anti scolastico, tende verso Alberto il grande e Raimondo Lullo e insegna che la verità ci è inaccessibile e per accettarla non vi è altro mezzo che l’intuizione intellettuale. Unica scienza essendo il sapere di non sapere, con la docta ignoraniia ritiene che possa avvicinarsi a Dio, poiché l’istruzione mistica unisce ciò che la ragione separa e permette con il simbolismo matematico di rendersi conto della divinità. In queste concezioni particolari indubbiamente l'ortodossia è messa da parte, poiché, sebbene non metta in contestazione la verità della fede, ne tenta una sintesi che è piuttosto ardita e che altri à già riprovata, forse anche perchè Giordano Bruno à fatto appello a lui. Uomo non perfettamente limpido nelle espressioni, N. di Cusa fu apprezzato da Leonardo, Copernico, Cheplero e fu il precursore evidentemente di Leibniz, che riuscì indubbiamente meglio di lui nella sintesi tentata del pensiero che precedette le conquiste moderne.
La « religione moderna» di H.G. Wells.— Nel Christianisme 'Social dell’aprile u. s. N. Soulier dà alcuni ragguagli e fa obbie-
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zioni sulla «religione moderna » che H. G. Wells vorrebbe presentare come un tentativo di rinnovazione spirituale che potrà essere se non accolto certo meglio compreso nei paesi protestanti di quello che è in quelli latini. Naturalmente io scrittore inglese non si propone lui stesso come fondatore del nuovo culto, ma ne vuol essere semplicemente l’interprete, vuol essere l’eco di uno stato d'animo religioso che i con tempora nei non riescono ad esprimere. La sua teologia è del resto semplicissima: un Dio personale (una specie di Redentore) e una quasi concezione di un regno di Dio o, se si vuol meglio, d’un governo teocratico dell’universo. Un Dio personale, e, quel che è più, limitato, finito, quindi umano, sintesi delle forze viventi, potenza spirituale, energia volitiva dell’umanità che egli guida e comanda. Questo Dio agisce per mezzo dei suoi credenti, non à quindi attività propria e domina e governa il mondo per la salute di questo, quindi per redimerlo e tutti gli uomini collaborano con lui a quest’opera. Da ciò sorge la forma teocratica del governo dell’universo, che non è però, come si vede, la forma tradizionale, ma bensì una concezione che un teologo protestante può ammettere poiché egli «si sforza di mettere l’anima direttamente in rapporto con Dio ». Così si avrebbe una specie di « Regno di Dio» e una «politica» divina (sii venia verbo}, ma non si avrebbe mai una Chiesa: il progresso religioso sarebbe così assicurato, ma sarebbe escluso quello ecclesiastico. Secondo il Soulier, Wells avrebbe dato corpo all’aforisma di Eraclito: « I mortali vivono della vita degli dei e gli dei della vita dei mortali » servendosi del pra-Smatismo e deH'evoluzionc creatrice. In-ubbiamente in questa concezione vi è del buono, spiritualmente parlando, vi è un grande scampo per coloro i quali abbandonano le Chiese, vi è una possibilità di stimolo per lo spirito religioso, vi è una libertà che nessuna formula teologica inceppa; ma si può domandai si sino a qual punto questo spirito religioso possa sussistere, svilupparsi, vivere fuoii del Cristianesimo e dell’Evangelo. Così l'A. dell’articolo, il quale for.. ula le sue obbiezioni alla « religione moderna » in questi tre capisaldi: i® non ha basi storiche; 2<> non può giustificarsi dinanzi alla ragione; 3° ci offre una teoria della teocrazia, ma non costituisce una Chiesa e senza Chiesa non vi è possibilità di un'educazione
d'anime. Il Soulier conclude, dopo aver svolto queste obbiezioni: « Riconosciamo a Wells il merito di aver espresso eloquentemente il sogno di un’anima assetata di bellezza, ma noi attribuiamo al solo messaggio del Cristo il valore eterno d’un messaggio liberatore: “ Le parole che io vi dico sono spirito e vita (Giov. VI, 63) ».
La “ conversione ” di La Fontaine. — Un articolo pieno di spirito e di arguzie del Mercure de Franco del i° luglio, dovuto a G. Izambard, prende occasione dal terzo centenario della nascita di La Fontaine per ragguagliarci sulla famosa «conversione» che secondo documenti ineccepibili non sarebbe stata altro che una triste montatura, e peggio, una grave opera di coercizione sullo spirito indebolito di un vecchio. In una società in cui il sovrano era il rappresentante tipico di una decadenza morale e religiosa addirittura fuori misura; in cui, secondo quel che scrive il vescovo di Rodez, nella sua sola diocesi vi erano settemila preti ubbriaconi o impudichi, «che salivano ogni giorno sull’altare senza alcuna vocazione >; in cui un re poteva dichiarare delle carmelitane «sapevo bene che erano birbanti, intriganti, mettimale, mentitrici... ma non sapevo che fossero avvelenatrici »; in cui l'arcivescovo di Parigi, morto a settantanni, pochi mesi dopo La Fontaine, durante una spedizione amorosa, non trovava chi ne volesse dire l'orazione funebre e su cui circolava l’epigramma « a Paris comme à Rouen il fait tout ce qu’il dèi end »; in una società tale, il cui colorito generale si conosce me-glioancorache questo speciale di Francia, si trovava necessario mandare al vecchio scrittore, che era stato si un libertino, ma che in fin dei conti sarebbe morto come tutti in quel momento, nelle forme imposte dalla religione del tempo, e che aveva unicamente sulla coscienza, dal punto di vista letterario, i Conles, un abatino fresco fresco laureato e arrivista, perchè gli strappasse una regolare abiura ed una sconfessione dei suoi Contes « infami ». Lo stesso inviato à trascritto la pietosa storia di questa conversione in due edizioni che fanno pietà non solo per il fatto, ma pur per la non bella figura che vi fa lo scrittore medesimo. La professione fu letta dinanzi ai membri dell'Accademia, in rappresentanza, al letto del moribondo, il quale poi si rimise. La fine de La Fontaine è poi più oscura che mai in quanto che sembro-
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rebbe che fosse colto da una follia mistica e che usasse perfino il cilicio, se pur questa storiella possa ritenersi autentica e degna di fede!
Rousseau profeta religioso. — Vittorio Giraud nella Revue des deux mondes del 15 maggio mette in bella luce la posizione assunta da G. G. Rousseau di fronte all’ir-religiorità del secolo xvm e ne dimostra l’importanza per le origini morali del Romanticismo. Lavori recenti permettono di dimostrare come la psicologia di Rousseau, fin'ora male interpretata, ei sveli più che un razionalista, un impulsivo, in cui l’elemento volitivo era minimo, l’elemento spontaneo, notevole, anche per l’influenza calvinistica che agiva su lui e che lo spingeva ad avvalorare l’autorità della coscienza individuale. Accanto a questo elemento agisce in lui anche quello del contatto con gli enciclopedisti, da cui egli trae molte delle sue critiche anti cristiane. Solamente egli protesta contro i « filosofi » ossia gli enciclopedisti, perchè il loro abuso di razionalismo li indispone, egli che vede come la verità più che dimostrarsi si veda o piuttosto si senta. Certo Rousseau è vago nell’espressione e indeciso nell’affermazione religiosa, ma anche con ciò, e forse in grazia di ciò, egli à prodotto sui contemporanei un’influenza che, nettamente contraria a quella degli enciclopedisti, iniziò e diffuse uno spirito religioso che impugnò le opere stesse degli avversari. Egli esprime, in fin dei conti, il pensiero profondo della Riforma, iniziando il vero protestantesimo liberale, che Bossuet stesso aveva vaticinato, asserendo che a questa forma di credenza conduceva per l’appunto il principio del libero esame; affermare quindi come fa Rousseau che ogni coscienza à il diritto di « non ammettere altro interprete della Bibbia che sè stesso > equivale a mettere in rilievo il principio intimo, la legge d’evoluzione, la ragion d’essere storica della Riforma. Così si stabilisce una data storica nella storia generale del protestantesimo, quella dell’opera religiosa di Rousseau, il cui influsso pare si estenda più di quel che non si creda non solo sui grandi pensatori tedeschi, ma pur sulle conversioni popolari della Germania, della Francia, della Svizzera in prò del protestantesimo liberale. Forse, come sempre avviene, la sua reazione religiosa ha giovato dapprima al cattolicismo, ma ciò non to
glie che al R. spetti il merito d’aver fatto sentire la bellezza profonda della fede religiosa.
Carlo Spitteler. — Nella /ùwuer Afon-diale del i° aprile M. Wolff mette in luce l’opera non conosciuta fin’ora abbastanza del poeta svizzero Carlo Spitteler premiato quest'anno col premio Noebel, facendone rilevare gli elementi essenziali idealistici e pessimistici ad un tempo. Delle sue poesie sono sopratutto caratteristiche il Prometeo e Epimeteo e la Primavera Olimpica. Nel primo accanto ad un Prometeo tormentato e dolorante quale solo l’anima moderna può concepirlo, abbiamo Epimeteo suo fratello che si piega alle offerte divine per ottenere un’illusoria potenza e non riceve che onta e rimorsi senza salvare il regno della divinità, tanto che questa deve ricorrere allo sdegnoso Prometeo per impedirne lo sfacelo. Ma Prometeo rifiuta preferendo la solitudine dell’uomo superiore che consola l’uomo delle sciocchezze e delle cattiverie umane. La Primavera Olimpica è un poema invece di carattere religioso e simbolico e tende a mostrare l’avvento di una nuova generazione divina, sotto le spoglie di un Ercole fratello spirituale di Prometeo, ma sacrificantesi per l’umanità con un coraggio fatto di fierezza e di moderazione che costituisce una forma caratteristica di una figura quasi simile a quella di Prometeo, ma più umana, in quanto fa ritenere che ad essa siano legate nella soppressione che egli ottiene dal male, gli elementi fondamentali della ragione della vita: la religione dell'amicizia, la percezione chiara dell’universale e molteplice bellezza del mondo. Altre opere ancora esamina brevemente il Wolff fino al romanzo recente dello Sp. Imago, molto interessante e notevole. Un’opera di psicologia infantile di lui sono i suoi primi ricordi che si pubblicano in questi giorni.
L’ « affaire » di Marienthal. — Abbiamo S’à informato i nostri lettori sull’ormai moso caso di Marienthal in Alsazia, ove un convento di Carmelitani, scomunicato a Roma per la sua resistenza all’autorità episcopale, venne sciolto mediante l’intervento di un missus domimene, già incaricato di visite, ispezioni e rigori speciali.
Ora nel Mercuri de Franco del 15 maggio J. Dieterleu svela alcuni interessanti dietro scena di questo « affaire » il quale
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non sarebbe altro , in ultima analisi, che un fattaccio nazionalistico. Basato cioè sulle facili e tiadizionali contestazioni di autorità tra conventi che tendono a dipendere direttamente da Roma e vescovi che tendono a estendere su di essi la loro potenza — basterebbe ricordare Teresa di Avila e le lotte da lei sostenute per le fondazioni religiose che essa propugnava e le autorità episcopali osteggiavano — questo conflitto s’impernierebbe, in fin dei conti, sul nazionalismo francese delle monadi'- esul razionammo tedesco degli uffici episcopali di Strasburgo, che influenzarono Roma a mandare come « commissario straordinario • a Marienthal un ungherese con l’ordine di far man bassa sul convento, in tutti i sensi. Perchè ciò che è veramente caratteristico in questo « affaire » più che la cosa in sè, è l’attitudine imperatoria e medioevale che assume questo incaricato speciale di Roma, il quale non si limita solo a... tentar gli esorcismi sulle monache ribelli, quando le vede decise ad affermare la loro autonomia, e fa aprire porte e finestre perchè... il diavolo se ne vada (sic/), ma si preoccupa anche dei tesori che racchiude il convènto e mette gli occhi su calici e ostensori e critica le comodità materiali della cucina, e minaccia e... non si occupa di altro, pur di affermare il suo antifrancesismo. Il padre Zadock Szabò — così si chiama l’inviato papale —- è insomma una figura veramente straordinaria in questo straordinario « affare » di Marienthal in cui la religionee l'idealità non entra no che per provocare la politica e la volgarità le più ripugnanti.
Articoli notevoli. — Nella Revue des Etudes Ristoriques del luglio-ottobre 1920: le missioni religiose sotto la restaurazione di G. Vauthier (Sulle iniziative della restaurazione, sopratutto religiosa, le quali furono sotto Carlo X specialmente, piuttosto turbolente)
Nella Connaissance (gennaio 1921): Un gentiluomo protestante del xvn sec. di R. de la Tour du Villard (Gabriele de Rouel d’Au-barne, barone di Fontarèches, vissuto sotto Luigi XIV, secondo un giornale inedito. Detta un programma d’impiego del tempo per suo figlio, tipico per una ingenuità ri
gorista e puritanismo protestante. Vi si trova pure una lettera di Bossuet al fratello dello stesso, relativa agli scrupoli di coscienza di un gentiluomo calvinista, di cui Bossuet si era fatto l'intermediario presso il re, per trasmettere al primo una memoria del destinatario su alcune questioni teologiche).
Profanazioni teologiche (Politica divina?!) — Gli esegeti, gli interpreti che si abbandonano alle più strane, alle più folli elucubrazioni per spiegare a sè stessi ed ai credenti nel loro verbo il pensiero sulle cose di fede, hanno delle espressioni non di rado blasfematone quando vogliono spiegare il pensiero di Dio o. rendersi conto di quello che per loro sarebbe il pensiero divino. A proposito della «religione moderna» di H. G. Wells abbiamo visto sopra N. Sòu-lier parlare di una « politica di Dio » chiarendo così il suo pensiero: « La politica di Dio? che quest’associazione di nomi non vi confonda! Dio governa, egli ha adunque la sua politica ». Ugualmente il p. Lacor-daire, in un discorso inedito, pubblicato per la prima volta dalla Renue des Jeunes (io maggio) dice: «Vi presenterò un caso di politica generale, di politica 'divina; la politica la più grande, la più elevata, la politica dell’unità ». Così anche Dio è divenuto per questa miserabile schiatta di serpi, un politicante! vedrete che un giorno leggeremo che qualche teologo avrà trovato traccie di un accordo di Dio col Diavolo per il governo del mondo, a maggior gloria dell’uomo, come un Giolitti qualunque, che si accordi con un non meno qualunque Bombacci. £ vero che i teologi batteranno le mani, essi che riconoscono a Dio, bontà loro, delle concezioni ardite e grandiose... La qual sortita non è un’invenzione: nel suddetto discorso del P. Izacordaire si legge questo brano testuale: « Ma qui Dio si è mostrato sempre grande e ardito, come in tutte le sue concezioni ». Ingomma il P. Lacordaire tratta Iddio come un principiante qualunque e gli riconosce delle buone qualità di intellettuale recensendo le opere sue. Ah! non era no, uno scherzo la parodia della dedica della Nave: A Dio O. M. con deferente amicizia!
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APOLOGETICA CRISTIANA ANTICA
Apolitico, cioè risposta, si chiama uno scritto greco dell’antica chiesa orientale, nel quale un certo Macario, comunemente, ma erroneamente identificato con il noto vescovo di' Magnesia, confutale obiezioni di un filosofo pagano contro la veracità storica e dottrinale di molti passi del Nuovo Testamento. Di questa opera poco o nulla si sapeva fino al 1867, quando lo studioso francese C. Blondel ne scoprì un esemplare manoscritto nella biblioteca nazionale di Atene, ivi portato dall’Epiro. L’edizione a stampa vide la luce nel 1876 a Parigi; finora essa è unica, e ormai rarissima; quindi viene opportuna la traduzione inglese di quel testo greco elaborata da T. Crafer, noto cultore di studi patristici (The Apocriticus of Macarius Maqnes. Londra, Macmillan, 1919; pp. xxx-169; prezzo 7 s. 6 d.). Egli ha pero abbreviato le risposte prolisse sunteggiandole; ma non le obiezioni che sono brevi e importanti come documento storico del pensiero pagano di fronte al cristianesimo. Nelle pagine d’introduzione il C. espone la questione circa l’origine dell’opera; e reca un pregevole contributo per l’approssimativa determinazione del suo autore.
Questi compose l’opera in cinque libri, corrispondenti ai cinque giorni successivi né* quali, per finzione letteraria, pone la sua disputa pubblica con l’oppositore pagano. Ma sventuratamente il ms. di Atene è mutilato: ha il terzo libro intero, buona parte del secóndo e del quarto, e non ha nulla del primo e del quinto. L’autore portava il nóme di Macario; e poiché grecamente significa « beato », qualche studioso ha pensato che questo bel nome
sia stato preso dallo scrittore fittiziamente per celare la sua persona. Comunemente, invece, si crede sia il noto Macario vescovo di Magnesia, che in un concilio del 403 accusò di origenismo Eraclide di Efeso. Ma siccome in questo scritto di esegesi neotestamentaria si scorgono tracce della scuola di Origene, non è. molto verisimile che ne sia autore il predetto vescovo, palesatosi antiorigenista nel concilio del 403. Inoltre, se l’opera fosse stata scritta a Magnesia ossia nell’Asia Minore, non vi si dovrebbe menzionare l’Etiopia come paese situato a sud-ovest. Del resto, la determinazione dell’autore è connessa con l’identificazione dello scrittore pagano da cui questi trasse le obiezioni confutate. Secondo A- Harnack le obiezioni sarebbero desunte da un compendio popolare della famosa opera in cinque libri — andata perduta — di Porfirio, celebre filosofo neo-platonico del terzo secolo. Il supposto compendio sarebbe stato in voga nell’Asia Minore e altrove nel quinto secolo; e in quell’epoca si dovrebbe collocare il Macario autore dell’Apocritico. Il Crafer, invece, accetta e illustra l’ipotesi presentata dal Duchesne in una monografia pubblicata nel 1877. Il D. ravvisa l’oppositore di Macario nel noto personaggio Jerocle; il quale avanti d’essere governatore della Bitinia nel 304-,. spadroneggiò a Paimira, nella Siria; e prima di assalire i cristiani con la spada durante la persecuzione dioclezianea da lui stesso istigata, li aggredì con uno scritto — intitolato « Fi-lalete », —non arrivato fino a noi. Appunto da questo « amatore della verità » Macario avrebbe preso le obiezioni; ed è probabile
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che questi abbia conosciuto personalmente Jerocle. Al Crafer pare dunque più fondata questa ipotesi, secondo la quale l’autore delÌ’Apocritico si chiamava Macario ma non era vescovo bensì, probabilmente, prete: vissuto forse all’inizio del quarto secolo, e originario di Magnesia: dopo di avere visitato Roma .sarebbe andato nella Siria, e ivi avrebbe scritto l’opera sua per confutare le accuse sparse da Jerocle contro la fed“ cristiana. Se non che Jerocle era esso pure un seguace della dottrina filosofica di Porfirio: quindi le sue obiezioni, tramandateci da Macario, acquistano notevole importanza storica, in quanto rispecchiano il pensiero anticristiano del grande filosofo neoplatonico: giova riferirne qualcuna.
• il critico pagano circa il racconto della crocefissione osserva notevoli divergenze nei quattro evangeli; tanto che, egli dice, si ha l’impressione trattarsi della morte non di uno ma di più uomini: se gli evangelisti non seppero trovarsi concordi nella narrazione di un fatto così momentoso. bisogna supporre che ne inventarono le circostanze, e dire che ancor meno conobbero il resto della vita di Gesù. Macario risponde che letteralmente nel quadruplice racconto vi sono discrepanze, ma che Ìueste non sfigurano sostanzialmente il atto stesso: al momento della morte di Gesù accaddero fatti che turbarono la mente di ognuno: e da tale perturbazione nacque la lieve confusione della memoria che’ si nota negli evangelisti. Aggiunge che certe cose dovettero apprenderle dai Giudei accusatori e dai Romani condannatori di Gesù, gli uni e gli altri «gente barbara » e ignara delle squisite esigenze della mentalità ellenica. Inoltre, gli evangelisti non erano uomini letterati; e posero mente non alla forma, ma alla verità insegnata nel fatto narrato.
Intorno al racconto della resurrezione di Gesù i! critico domanda perchè il Risorto non apparve nè a Pilato, nè al gran Sacerdote, nè a Erode, nè a molte persone, simultaneamente, che fossero degne
di fede; come per esempio nel Senato romano. Se, invece che a delle donne e a pochi uomini rozzi, Gesù fosse comparso a personaggi autorevoli, crederebbero tutti e senza soffrire l’accusa di mendacio. Macario risponde varie cose, tra le quali questa: Gesù apparve, non a personaggi autorevoli, ma a delle donne e a poveri uomini, perchè non dovesse sembrare sorta e divulgata con umano prestigio la fede nella sua resurrezione da morte.
Il filosofo pagano ha qualche cosa a dire altresì circa il contegno di Gesù dinanzi ai suoi accusatori, e davanti alla morte in croce. « Perchè mai non disse egli cosa alcuna degna di un sapiente, perchè non pronunciò egli una parola divina dinanzi ài Pontefice e al cospetto del Governatore? Avrebbe potuto illuminare e far migliore il suo giudice, nonché ogni altro personaggio presente. Invece di lasciarsi percuotere, sputacchiare e cingere di spine avrebbe dovuto imitare Apollonio che, dopo di avere parlato con' fierezza all’imperatore Domiziano, scomparve dalla regia corte e indi a poco fu veduto nella città già chiamata Dicaearchia e ora Puteoli (Pozzuoli) ». Macario replica lungamente, dicendo che Gesù doveva compiere le profezie, e accettare la morte senza contrastarvi con prodigi: la sua divinità rifulse ancor più nella sua umiltà. Quanto alle favolose gesta di Apollonio, le passa sotto silenzio forse perchè egli pure vi prestava fede.
Da questi e da molti altri esempi caratteristici che potremmo addurre, appare che le accuse mosse da quel filosofo antico contro la veracità storica e dottrinale del Nuovo Testamento sono, in gran parte, quelle stesse che udiamo tuttodì: se non valsero, in tanti secoli, a spegnere la luce divina del Cristo e de’ suoi Apostoli, possiamo temerle anche meno dell’apologeta Macario: dal quale poi possiamo imparare che per difendere i vangeli non è necessario il feticismo teologico della lettera inspirata.
r. e. p.
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RECENSIONI
IL PADRE GIACINTO LOYSON w
Che San Tommaso d'Aquino abbia, o no, pronunziato, alla vista di Bonaventura intento a serivere la vita di Francesco d’Assisi, le paróle: « Lasciamo che un santo •scriva la vita di un altro santo », è certo che una simile impressione si distacca dalla lettura della biografia di Giacinto Loyson — del periodo di 42 anni da lui trascorso nella Chiesa Cattolica — scritta da Alberto Houtin. La vita di un eroico servo della verità non poteva trovare biografo più degno, più spassionato, più equo, più capace di comprenderne tutti gli aspetti per esprimerli con maggiore fedeltà, •che lo storico del « Modernismo Cattolico » e della « Crisi del Clero », della « Questione biblica » e d'un « Prete ammogliato », autore di venti opere il cui oggetto e il cui motto sembra essere sempre questo: « Dio non ha bisogno delle nostre menzogne, delle nostre reticenze, dei nostri pietosi veli, per giustificare la sua opera nelle anime, per realizzare i suoi fini spirituali nel Mondo ».
Tutti i lettori di Bilychnis conoscono, suppongo, nelle grandi linee la figura dell'illustre Carmelitano, oratore di Notre Dame, poi profugo dal suo ordine alla vigilia del giorno in cui il Concilio Vaticano doveva suonare i rintocchi funebri dell’influènza della Chiesa Romana sull’Europa moderna, e poi per 43 anni ancora «sacerdote solitario della Chiesa degli Uomini e dei Mondi », come egli amava firmarsi. Ma nessuno —- osiam dire, neppure lo stesso protagonista di sì grande vita il ■quale si sentiva impotente ad esprimere il dramma e la visione di lui vissuta, e protestava fino all’ultimo: « Io terminerò la mia vita in un’adorazione silenziosa » — avrebbe potuto descriverei con maggiore potenza e con più vivo senso di realtà viva, che l’Houtin in questa biografia, severa come una storia e affascinante come un romanzo, l’avanzarsi sorretto dalla fede e dall’amore di un giovane, ardente
(x) Le Pire Hyacinthe dans l'Eglise Romaine X827-1869, Paris, Binile Nourry. 62, Rué des £co!e$, 1920. Prix 9 frases.
sedotto dall’identificazione del proprio ideale di bontà è di verità con quello che il Cristianesimo e il Cattolicismo .gli offrivano e il sacerdozio e il Convento gli promettevano di realizzare; lo slancio con cui si consacrò al « culto della Verità, al disopra di tutto ciò che è interesse, rispetto umano, convenzione nel mondo e nella Chiesa »• la ingenua fede con cui si lusingò di potere sui pulpiti della Francia, su quello di S. Luigi • de' Francesi in Roma, e in fine su quello eccelso di « Notre Dame », celebrare il connubio della fede e della scienza, della coscienza e del l’autorità, e «morire cattolico penitente e insieme liberale impeni-, tente »; le disilluzioni dell’anima mistica e generosa che soffre ■ la grande e crudele prova della sua fede » al vedere « tante miserie nella Chiesa di Dio che aveva sognato sì pura e sì perfetta »; e il prepotente risveglio dei sensi che reclamavano —- dopo una lunga «pratica fedele ed entusiastica del celibato ■ che lo aveva condotto « a uno stato falso e malsano », e dopo il riconoscimento che «la vita del seminario è falsa poiché tutto il suo misticismo è legato intimamente al celibato, non meno che il culto del Santo Sacramento e quello della Vergine » — una soddisfazione non disgiunta dall'amore integrale; cd il «provvidenziale » incontro con colei che fu l'angelo della sua vita e che da lui convertita al suo cattolicismo, le aveva detto un giorno « con penetrazione femminile »: «Sento che io un giorno sarò cattolica, ma voi non sarete più là per ricevermi nella Chiesa» ed infatti «la cerimonia del 14 luglio 1868, più che quella dell’ingresso della sig. Meriman nella Chiesa Romana, doveva essere quello della adesione definitiva di Padre Giacinto al liberalismo religioso »: la penitente aveva convertito il suo direttore; e la trasformazione della grande amicizia di fratello a sorella in amore per la « donna straordinaria entrata all’improvviso nella mia vita... a salvarmi per miracolo dal celibato degli eunuchi da una parte, dall’amore degl’impuri dall’altra... », per mezzo di « un amore regale
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e sacerdotale, quello del vero matrimonio dei preti »; e il progredire, senza scatti ma pur senza interruzioni, del movimento di liberazione del suo spirito a proporzione che le denunzie contro di lui, gl’intrighi intorno a lui, i richiami dei suoi superiori regolari, un invito dèi Papa stesso. Pio IX, «ad audiendum verbum » a Roma, gli fanno presentire prossimo il momento in cui tra la sua coscienza e il Ro-manesimo egli dovrà decidersi pur con l’anima sanguinante e il cuore straziato; e in fine la grande crisi del suo spirito: uno di quegli spettacoli a cui, se ad altri mai, vanno applicate le parole di Platone: • Il combattimento è bello, e la speranza è grande »; di quegli spettacoli « che allietano lo sguardo degli Dei, spettatori della lotta dell'uomo forte contro gli eventi ».
Ecco come il «dénouement »dellagrande tragedia ci si presenta nelle pagine drammatiche dell'Houtin:
« ...Il 13 settembre il Padre Giacinto si recò ad annunziare all’Arcivescovo di Parigi che egli era deciso di rispondere al suo generale con una lettera pubblica, e ad abbandonare il Carmelo...
Il 19» giorno di domenica, il Padre celebrò la messa, secondo il suo solito, nella piccola cappella del convento, l’ultima che egli abbia detto in comunione col papa... La sera egli si ritirò presso la signora Me-riman, che gli aveva offerto un asilo per trascorrervi in pace quelle ore, le più solenni della sua vita.
« Io non dimenticherò giammai — scrisse egli pòi — quella magnifica notte d’autunno, in cui, nella solitudine e nel silenzio, io contemplai, dalle alture di Passy, la grande città che io aveva evangelizzato, che io avevo tanto amato e da cui ero stato riamato, ma in cui tante nobili e care anime non mi avrebbero più compreso. Un panorama magnifico si svolgeva ai miei piedi... Tanta luce vi era in quella bella notte! Ma in faccia a quello spettacolo di pace io sentivo il terrore dell’atto che dovevo compiere l’indomani e che era ancora in mio potere di evitare... E tuttavia la pace non era solo nel firmamento, essa era nel mio cuore. E io dormii fino al mattino« Il 20 settembre 1869 io compivo l'atto decisivo, facendo partire per Roma la lettera che indirizzai al R. P. Generale dei Carmelitani scalzi ».
Il mattino del 20, il pastore Edmond de Pressensé si recò a prendere da lui il
testo della lettera, che doveva comunicare* al Journal des. Débals ed al Tentps. La mano del Padre tremava nell’atto di consegnarla. « Io compio — disse egli — la più insigne delle follie, pei- i prudenti del mondo e della Chiesa ».
«Sì — rispose il pastore — ma Colui che ve la domanda ne ha compiuta una più grande ancora ».
« È vero — replicò il Padre: e s’avvicinò' a lui e l’abbracciò...
L’indomani il P. Giacinto ritornò al convento di cui era superiore, a prendere il suo ultimo commiato dai religiosi. «Io li ringraziai — egli disse — dell'affetto che mi avevan sempre dimostrato: dissi loro che motivi di coscienza Soltanto mi obbligavano a separarmi da loro, e che abbandonandoli, io lasciavo loro la pace. Io donai loro la mia benedizione. Èssi piangevano, ed io ero talmente commosso-che provavo difficoltà a parlare.
Era il mio stesso passato, il passato della mia anima, che io seppellivo, assistendo in qualche modo ai miei funerali; ed io potevo applicare a me stesso in un senso nuovo i versi di Corneille: «La metà della mia vita ha messo l’altra nella tomba »,
Dalla lettera di dimissioni del Loyson, documento storico non solo di un’ànima ma di tutta una crisi del clero, che-con essa veniva come inaugurata, togliamo alcuni frammenti che sembrano nulla aver perso della loro attualità:
« L’ora presente è solenne. La Chiesa traversa una delle crisi più violenti, più oscure, più decisive della sua esistenza quaggiù— Non è in questo momento che un predicatore del Vangelo... possa consentire a tacere... I Santi non han mai taciuto. Io non sono uno di essi, ma pure so di appartenere alla loro razza..., e mia costante ambizione è sempre stata di porre i miei passi, le mie lacrime, e se occorresse il mio sangue, sulle orme da loro tracciate.
«Io levo* dunque... una protesta di cristiano e di prete contro dottrine e pratiche a cui si dà il nome di romane, mache non sono cristiane...; contro il divorzio altrettanto empio che insensato che si vorrebbe compiere tra la Chiesa nostra madre nell’eternità, e la società del secolo xix di cui siamo figli nel tempo, e verso la quale abbiamo anche doveri esentiamo tenerezze. Io protesto contro questa opposizione radicale e più spaventevole ancora, alla natura umana, attaccata e spinta alla rivolta, da falsi dottori, nelle sue aspirazioni
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più indistruttibili e sante. Protesto sopra tutto contro la deformazione sacrilega del Vangèlo stesso del Figlio di Dio, il cui spirito e la cui lettera insieme, sono calpestate dal fariseismo della nuova legge... Appello al vostro tribunale, o Signore Gesù, alla cui presenza scrivo queste linee... e a cui piedi le firmo. Ho fiducia che se gli uomini le condannano sulla terra, voi le approvate nel Cielo. Ciò mi basta per vivere e per morire ».
Il biografo, pago di far vivere innanzi al lettore la figura dominante del Loyson c d’intorno a lui quelle non meno vive, benché più complicate e miste di ombre e di chiaroscuri, di Pio IX e del generale dei Carmelitani, dell’arcivescovo Darboy e dell’Isoard, del Montalembert, di Dupan-loup, di George Sand, e di altri — in due appendici sono anche raccolte lettere provocate dalla sua lettera di protesta — si astiene dal «sospingere » i suoi personaggi verso alcuna tesi o contributo: pago di farii parlare e dare testimonianza di se stessi.
Dopo la figura del protagonista e di M.me Meriman, una delle più simpatiche appare quella di Mons. Darboy, arcivescovo di Parigi, che «non solo comprende ma condivide » le idee del Loyson, ma: «ciò conduce al rogo del Savonarola, ed io non mi sento di montarvi »; che l’incoraggia, lo sostiene, lo difende, gli vieta più volte di discendere dalla sua cattedra; sotto il cui .scetticismo un po’ beffardo il P. Giacinto crede pur di sentire « una grande fede e una nobile devozione alla causa di Dio e della Chiesa »; per ricredersi quando, dopo aver letto la lettera del Generale dei Carmelitani, l’Arcive-scovo gli fa risuonare alle orecchie le parole di «scetticismo che mi riempirono l’animo di amarezza e di dubbi »:
« La vita pone tutte le questioni, ma non ne risolve alcuna. Il vostro sbaglio è di credere che l’uomo abbia qualche cosa da fare in questa vita. La sapienza consiste nel non far nulla e nel resistere »: e che all’annunzio della sua determinazione di protestare, e uscire dall'Ordine, gli dice con un sorriso: « Ed io vi combatterò ». Ah l’amarezza di quel sorriso di un arcivescovo!...
La morte in questi giorni di Paolo Loyson, l’unico figlio di Giacinto e di M.me Meriman, il noto drammaturgo, il grande e provato amico dell’Italia — noto ài nostro pubblico colto più del suo stesso
gran padre — aggiunge interesse e attualità a quest’altra opera buona di Alberto Houtin.
Giovanni Pioti.
SIONISMO
Jastrow Morris, Zionism and thè Future of Palestine. The Fallacies and Dangers of Politicai Zionism. New York, Macmillan, 1919.
È un’opera, male impostati ¿sorpassata, d’un avversario che nè i temili nè le fortune, nè la bellezza o la necessità di questo movimento di rinascita nazionale e spirituale, hanno rimosso dal suo scetticismo e dalla sua negazione. È un’opera che vede soltanto alcuni dei lati non agevoli del risorgimento ebraico; o per meglio dire è un’opera intesa ad attaccare quello che si è convenuto chiamare Sionismo politico. Poiché l’autore rispetta il Sionismo religioso e messianico, avvolto nelle rosse nebbie della « fine dei giorni »; capisce il Sionismo economico il quale offre una colonia o una casa di rifugio agli Ebrei attratti per qualsivoglia ragione - verso la Terra Santa, ma ritiene pericoloso alla pace della felice minoranza ebraica che vuol vivere indisturbata nell’Europa occidentale il Sionismo politico. Questa differenziazione della nostalgia e della necessità ebraica in tre aspetti che, secondo l'autore, non combaciano, è un errore fondamentale. Il Sionismo è moto in cui sboccano tutti i fiumi della vita ebraica, ognuno colle sue acque: od è come una carovana di gente mossa dal desiderio d’una meta medesima, che, per arrivare, credono necessario adoperare vari mezzi di locomozione.
L’autore nega l’esistenza d’una nazione ebraica e di aspirazioni nazionali ebraiche perfino nel tempo in cui gli Ebrei ricostituivano il loro secondo Stato, dopo Ciro. Ma poiché la realtà della storia è diversa dal suo preconcetto anti-nazionalc, egli è costretto a riconoscere nelle folle ebree del Ritorno e in quelle che vivevano al tempo di Gesù l’esistenza di aspirazioni nazionalistiche. Le quali — e qui sta il punto — non spogliano mai un certo contenuto spirituale, che possiamo chiamare o religioso o mistico o culturale, ma che anima d’uno spirito superiore anche il Sionismo politico. La rottura fra nazionalità e religione fu compiuta dal Cristianesimo• di Paolo. E il Jastrow lo riconosce allorché afferma che gli Ebrei non potevano riget-
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tare le dottrine religiose di Gesù, che recavano in sè lo spirito medesimo dei Profeti, ma rigettavano ciò che l’atteggiamento assunto da Gesù implicava: la negazione della nostalgia sionistica, per dirlo con termine moderno. L'esclusivismo degli Stati, organizzati sopra una base di unione fra Chiesa e Stato, e da cui gli Ebrèi eran tenuti lontani, radicò in loro, come logica necessità, le aspirazioni a Sion. < Quell’es-« sere sociale e politico che è l’uomo non « può vivere senza una terra. La speranza i sionistica divenne per gli Ebrei l'unica « fortezza a cui potessero guardare nella « tempesta che imperversava su di loro; « il raggio di luce che illuminava l’oscurità « delle loro vite ». Ora per i nove decimi dei popolo ebraico queste tenebre e queste tempeste sono un fenomeno quotidiano ed eterno.
Dichiarare quindi incongruente il Sionismo politico perchè C’è stata un giorno una Rivoluzione francese vuol dire ignorare la storia esterna ed interna degli Ebrei per tutto il secolo xix e per le aurore cruente del secolo xx. Non si tratta sol-tanto, per gli Ebrei, di ottenere una certa emancipazione individuale; ma di salvare sopralutto la compagine spirituale e collettiva dell’Ebraismo. Di fronte al pericolo di disgregazione del corpo e dell’anima israelitica, i progressi economici, scientifici, diplomatici di singoli ebrei occidentali sono fiori di cimitero. E a questa disgregazione sostanziale conduce appunto quel Giudaismo riformalo a cui l’autore innalza i suoi inni. Come mai il Sionismo, nella sua forma attiva anziché mistica e messianica, è sorto appunto in quest’èra di emancipazione individuale e di riforma reli-Siosa? Appunto perchè il problema ebraico problema collettivo e spirituale e perchè gli Ebrei vogliono conservare la loro vita collettiva e spirituale. C’è un’autocoscienza ebraica indistruttibile. Il Jastrow non la nega. Nega però l’esistenza di una nazione ebraica, e perfino di una nazionalità ebraica. « Nazionalità » significa la comune discendenza etnica di un popolo: « nazione » rappresenta una entità politica che può essere composta anche di varie nazionalità. Gli Ebrei cessarono di essere nazione colla caduta della loro indipendenza: cessarono di essere nazionalità quando abbandonarono la loro terra. Sono discussioni teoriche infeconde. La nazionalità è anche un fatto interno ed è in ogni modo costituita da tanti fattori che non è qui il caso
di registrare.Gli Ebrei — almeno la loro maggioranza — sentono questo legame nazionale, anche se il loro sentimento è antiscientifico. In ogni modo il Sionismo può vivere per altre necessità e altre aspirazioni oltre a quelle che derivano dalla curious self-deception, come l’A. chiama il sentimento nazionalista dei sionisti politici. Diciamo che è tutto romanticismo. Era romanticismo anche il Risorgimento italiano. In ogni poesia c’è un po’ di romanticismo.
Il Jastrow cade in un altro errore veramente ingiustificabile, quando afferma che la nazione ebrea in Palestina non dette alcun contributo importante alla civiltà. Ma i contributi che i popoli danno al progresso non sono soltanto scientifici o militari o politici. C’è un altro dono che si può fare agli uomini ed è quello spirituale. Ed esso venne di Palestina. In ogni modo è eccessivo affermare che gli Ebrei non siano capaci di dar filosofi, poeti, musici, letterati se non in esilio. L’opera del Jastrow è l’opera d’un ricercatore di vecchi sofismi: d’un ebreo ormai sommerso nel crogiuolo dei popoli. Il auo valore poi — dinanzi alla cronaca politica — è quello d’un’opera che gli avvenimenti hanno ricoperto di polvere. Nessun alito di poesia arde nelle sue pagine. I morti dei secoli, i martiri di progrom, i sognatori del ri-nascimento spirituale e della libertà di tutte le genti non capiranno mai l’uomo ebreo d’America che si oppone al loro incrollabile ed eterno sogno.
Dante La r tes.
ISLAM
I. Goldziher, Le dogme et la loi de l’IsIam. Histoire du développement dogmatique et juridique de la religión musulmane. Trad. de Félix Arin. Paris, P. Geuthncr, 1920. 8° gr., viii-317 pp.’Fr. 25.
Uscendo in veste francese, questo libro del sommo tra gli Islamisti contemporanei, che già da undici anni si trova, nell’originale tedesco, nella biblioteca di ogni studioso di cose musulmane si diffonderà più largamente tra il pubblico italiano, con vantaggio non lieve della conoscenza dell’IsIam e degli studi storico-religiosi in generale. Il Goldziher, piuttosto che dare un’esposizione sistematica e minuta delle istituzioni religiose musulmane, ha voluto, com’egli stesso avverte (p. 2), «mettere in luce i fattori che hanno contribuito alla
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lormazione storica » dell’IsIam e assegnare a questo il posto che gli compete nella storia complessiva della religiosità umana. Nè alcuno poteva farlo con maggiore competenza di lui, che è stato il rinnovatore degli studi della religione musulmana, avendo per primo rintracciato nel corpo stabilizzato delle dottrine canoniche il filo del loro svolgimento storico e sceverato, con genialità pari all’erudizione, da un lato i motivi interni di quello svolgimento, dall’altro Fin flusso di elementi estranei (Giudaismo, Cristianesimo, Buddismo, filosofia greca, ecc.) che lo provocarono e lo favorirono.
Il risultato di oltre treni’anni di ricerche, in massima parte personali, è esposto dal G. in forma chiara e intelligibile anche ai Stofani, mentre l'opera è fonte preziosa i notizie e impulso fecondo a nuovi studi anche per gli specialisti. La traduzione è accurata, e le piccole mende che possono riscontrar visi (alcune delle quali ho indicate nella Rivista di Cultura) non «ono tali da alterarne ii pregio.
G. Levi Della Vida.
LA MEMORIA
Eugène d’Eichtal, Du rôle de la mémoire dans nos conceptions mélapyhisiques, esthétiques, passionnelles, actives. Paris, Alcan, 1920.
L’opera che recentemente ha scritto il D’Eichtal « Du rôle de la mémoire » è una rielaborazione di alcuni motivi della filosofia bergsoniana (della quale ripete, in fondo, la. posizione), che non porta un nuovo contributo alla storia del pensiero. Come già il Bergson in «Matière et mémoire» il D’E.. afferma che la natura ed i suoi fenomeni (la materia) è, una continuità senza interruzioni, sulla quale la memoriali) agisce «par des prises successives ■ sostituendo alla uniforme continuità od all’omogeneo la diversità, onde sorgono le nozioni di oggetti, d’individui, di esseri distrutti (la coscienza).
La differenza, però, che passa fra l’uno e l’altro è che per il Bergson lo spirito è memoria in quanto condensa le percezioni e però limita e circoscrive nella « continuité mouvante » della realtà che diviene una serie di imagini le quali, staccandosi dalla realtà concreta e viva, non sono che puro
(l) Il concetto della memoria nel D'E. come nel Bergson è metafisico.
ricordo, mentre per il D’Eichtal la cono- ' scenza è memoria, perchè la trasmissione del contatto degli oggetti percepiti dai sensi al centro di percezione cosciente non è istantanea e quindi trascorre un intervallo di tempo onde noi non viviamo coscientemente del presente ma de! passato (Un laps de temps séparé toujours en fait le contact de la péripherie avec l’objet de l’impression cérébrale). Differenza non trascurabile chè nel Bergson è manifesta l’esigenza di risolvere il dualismo, poiché se la memoria si stacca dalla materia, v’è un punto di coincidenza (identità astratta) che costituisce la loro relazione ed è la percezione, coincidenza che il Bergson affermerà più energicamente per risolvere il dualismo sostenendo che «La formation du souvenir n’est jamais postérieure à celle de la perception: elle est contemporaine »; mentre pel d’Eichtal non v’è, propriamente, un punto di inserzione dello spirito nella materia, poiché lo spirito (memoria) non ha nessun punto di contatto immediato (identità) con quella, onde il dualismo si manifesta più vivo ed irrisolubile. Per ii D’E. (come per il Bergson) l’importanza della memòria sta nel suo ufficio pratico (caractère utilitaire)
• in quanto per mezzo di essa noi discriminiamo la realtà e circoscriviamo in essa il nostro corpo (le moi) e gli altri corpi (non-moi), cioè veniamo costituendo la realtà distinta e però pensàbile nella quale viviamo ed agiamo.
Il concetto dello spirito come memoria (natura) sorge, com’è evidente, dalla posizione dualistica per la quale vien presupposta la realtà — che non può essere se non una continuità indistinta perchè esterna all’atto discriminante del pensiero, e non è che apparentemente in movimento perchè esterna al vivo atto dello spirito — a! soggetto pensante, onde lo spirito non riesce a possederla attualmente od a risolverla in sé stésso (nel qual caso la realtà non sarebbe più un quid esterno al pensiero, ma la sua viva creatura), ma non può che limitare e circoscrivere in essa, dall’esterno, dei momenti i quali non corrispondono alla realtà continua e concreta, nella sua pienezza, cioè alla realtà presente. La difficoltà inerente alla filosofia bergsoniana, il dualismo metafisico fra materia e memoria, si ripete nel caso del D’Eichtal. Il valore di questo libretto sta nel fatto ch’esso mostra quali siano le conseguenze alle quali porta la
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posizione dualistica della filosofia bergso-niana. Il soggetto per il D’Eichtal (come Ser il Bergson) si risolve in un complesso i imagini — le quali non possono costituire una unità viva, dato che la memoria (lo spirito, la coscienza) non è concepita come concreta attività spirituale, la quale risolve in sè ogni materia, nella sua viva autoctisi, ma come copia, imagine, frantumazione della realtà — dalle quali non può sorgere nè per composizione, nè per relazioni, nè per aggregazione quello che il D’EicI tal crede dipoterne derivare: la vita concreta dello spirito. Ciò che si ottiene non è che un simulacro di vita, che si crede di far scaturire per un mero collegamento estrinseco — aggregazione — di imagini inerti (passive). Che questa genesi non sia possibile e che dato questo punto di partenza non si possa più conquistare il concetto dello spirito come atto, ne sono prova tutte le applicazioni che il D’E. fa dei suo concetto della memoria dalla quale dipendono tutti i processi dello spirito.
Sia nel determinare la genesi delle forme dello spazio e del tempo, le quali sorgono per collegamento estrinseco di momenti o parti (i) (e qui, in luogo di dimostrarlo, , presuppone, com’è ovvio, quello che vor-rebbe spiegare col suo concetto); sia nel considerare il fenomeno artistico ove non riesce ad intendere il carattere dell'arte come creazione spirituale, onde riduce l’opera d’arte ad una mera armonia esteriore o meccanica di parti, le quali generano in noi un sentimento di benessere fisico (teoria edonistica) sia nelle analisi della passione e del linguaggio, il naturalismo domina in tutto il saggio che non riesce a raggiungere il concetto dell’attività spirituale, ed invano cerea di ricostituire la realtà concreta e viva con frammenti astratti e relazioni estrinseche di momenti. Onde, dicevamo, il valore di questo libretto sta nel fatto ch’osso mostra per l'appunto che se non si raggiunge il concetto dello spirito come atto puro e non si risolve la materia nel vivo dinamismo
(i) Le forme dello spazio e dèi tempo non possono sorgere da una mera aggregazione estrinseca di momenti o parli, ma sono generate dall’attività originaria dello spirito il quale è spazio in quanto è attività spazializzante e tempo in quanto e temporalità in atti, processo unificativo c distintivo.
del pensiero, non si potrà comprèndere nè penetrare, nel loro intimo e concreto valore, nessun problema dello spirito.
Francesco Giulio.
BUDDISMO
G. de Lorenzo. Morale buddista. Bologna, Zanichelli, 1920, in-i® picc., p. 62.
Il 18 ottobre 1915, nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, si spense Karl Eugen Neumann. Metà della vita egli consacrò allo studio intenso e indefesso del Canone buddistico in lingua pali (la lingua in cui il Buddha stesso predicò), che conserva la dottrina primitiva e genuina del Maestro. Il Neumann ha il merito grandissimo di aver resa accessibile la parte essenziale di quell’enorme corpus mediante numerose e fedeli traduzioni, raccolte in una dozzina di grossi volumi. Alla memoria dell’amico e maestro carissimo ha dedicato Giuseppe de Lorenzo la traduzione italiana, derivata appunto dalla tedesca, del XXXI sutta del Dighanik&yo (la «collezione delle prediche lunghe »), « pei- esporre i tratti fondamentali della morale laica buddista ed indicarne, in un capitolo di conclusione, da un lato le somiglianze e le differenze con la religione cristiana, e dall’altro l'analogia con le concezioni di alcuni grandi pensatori occidentali, specialmente italiani come Lucrezio e Giordano Bruno ». Questi paralleli, prediletti al de Lorenzo, costituiranno, per la maggior parte dei lettori, l’attrattiva principale del volumetto che reca pure, a mo’ d’introduzione, una commossa biografia del Neumann e un breve esame della sua opera, davvero gigantesca, di traduttore.
P. E. P.
POLEMICA TEOLOGICA MEDIEVALE
M. Bierbaum. Bettelorden u. Weltgeisllich-keil an der Universität Paris. Münster, Aschendorff, 1920, p. 406, Mk. 22.
Buon contributo alla storia letteraria delle lotte teologiche all’università di Parigi contro l’invadenza dei nuovi ordini mendicanti (francescani, domenicani) nel campo pastorale ed universitario. Il loro ideale d i povertà e le loro pretese all’esenzione dalla podestà episcopale nella cura delle anime eccitò
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nei difensori della tradizione teologica rappresentata dall’università di Parigi una fiera lotta. La vivace polemica che si dibattè anche alla corte papale ad Avignone, ed in cui erano coinvolti importanti problemi etici e canonici (essenza, mezzi della perfezione cristiana e rapporti dei mendicanti con il diritto parrocchiale) in cui troviamo i nomi di Tommaso d’Aquino, di Bonaventura, del Pecham da una parte e del celebre Guglielmo di S. Amour dall’altra, merita di venir studiata a fondo, e chiarita In tanti aspetti fino ad ora oscuri. In essa si riflette fra l’altro la crisi economica e politica della società feudale ed ecclesiastica in Francia verso la metà del secolo xm.
La monografia del Bierbaum completa in molte parti le ricerche del Denifle, del-l’Erhle, del Mandonnet, del Seppelt. Apporta nuova luce con la pubblicazione di un ampio trattato del frate minore Bertrando di Bayonne e di tre piccoli scritti dei due oppositori dei mendicanti Gerardo di Abbeville e di Nicola di Lisieux, tutti inediti. L’A. fa precedere l’inedito dalla pubblicazione parziale, criticamente corretta, del trattato di G. di S. Amore contro i mendicanti del 1255 che apre la polemica • De periculis novissimorum temporum ex scripturis sumptus » (il pericolo di professare la povertà evangelica). Il lavoro archivistico fu compiuto a Parigi, Epinal, Bruxelles, Monaco di Baviera, Roma (Vaticano) e fu ricco di risultati. Il libro è diviso in due parti: testi, ricerche.
Importante sopratutto la pubblicazione del trattato « manus quae centra onnipo-tentem tenditur » che era intieramente scomparso e che l’A. rivendica a Bertrando di Bayonne (1266-7) francescano, in un’ampia ricercha nella seconda parte del libro. Il trattato sarebbe probabilmente il risultato della disputa tenuta in Anagni nell’ottobre del 1256 fra Bernardo e Guglielmo di S. Amore. Vi difende tre tesi: i©la perfezione delio stato di intiera povertà • in proprio et communi »; 2® la liceità dell’elemosina senza il lavoro manuale; 3® il diritto ad una pubblica è generale attività nella predicazione, sul fondamento dell’onnipotenza papale. Lo scritto «RepliCa-tiones » nell’edizione di Quaracchi delle •opere di Bonaventura è falsamente attribuito a Bertrando di Bayonne ; esso è in realtà uno scritto del partito del clero secolare. Interessante un breve excursus finale sull’attitudine dei frati minori di fronte all’istituto degli oblati fino al concilio di Trento. M. Rossi.
LA CRISI DEL PENSIERO MODERNO
A. Chiappelli, La crisi del pensiero moderno. Città di Castello. Il Solco 1921.
«Se l’assoluto è perpetua vita in sè che perpètuamente si irradia e si apre in nuovi amori, allora veramente anche la natura si risolve nello spirito, come la storia è il campo dove opera lo spirito umano: perchè la natura è storia eterna di Dio, sua creatura perenne e continua, e perciò non più veramente esterna a noi ma per via di questo divino tramite' in certo modo interiore a noi, ancorché rimanga sempre, per l’impossibilità di comprenderla tutta in un solo atto, come avviene alla coscienza assoluta, un infinito mistero. Cosi il mondo per razionale necessità appare a noi quasi un sistema di attinenze unificate in un principio che aduna ciò che è disperso nello spazio e transitorio nel tempo; e poiché è fuori dell’uno e dell’altro, li ricomprende nella sua universalità ».
II.lettore il quale voglia rendersi conto del pensiero filosofico e dello stile di A. Chiappelli ne ha un saggio in questi brèvi periodi che sono nella introduzione (pagina xx) agli scritti raccolti nell'ultimo suo volume: La crisi nel pensiero moderno.
L’assoluto è vita in sè, distinto dunque dal mondo, ma che si apre e si irradia in nuovi amori. Queste metafore pongono insieme e velano il più alto e crucciante problema filosofico: il problema che lo stesso senatore Chiappelli tocca ed osserva da varie parti senza decidersi mai ad affrontarlo in pieno. Sono, questi dell'assoluto, amori di sè o di altro da sè? Si compie il loro ciclo nell'assoluto stesso, il quale non si intende come potrebbe amare esseri finiti, imperfetti, lottanti col male e spesso vittime del male? Sappiamo lè risposte della filosofìa antica e medioevale a queste domande. Ma, dopo Kant e Goethe, esse non soddisfano più. Ad altra risposta accenna il Chiappelli quando scrive che la natura si risolve nello spirito; che essa è interiore a noi, per via del divino tramite dell’assoluto.
E parrebbe dunque che questo assoluto fosse anche questo interiore a noi. Ma l’interiorità è un concetto o una immagine metaforica? Questa natura rimane per noi, benché risolta nello spirito, un infinito, cioè assoluto, mistero. Un principio unifica il sistema di attinenze che è il mondo e ricomprende il tempo e lo spazio nella sua
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universalità. Sta bene; ma ecco che poi è détto che l'unificazione avviene proprio perchè quel principio unificatore è fuori dell’uno e dell’altro! Di queste crucciarti antinomie è pieno il volume, come pieni sono tutti gli scritti del Sen. Chiapponi La sola vera unificazione, che egli ci offre è la unilateralità e versatilità del suo spirito: in essi la razionale necessità è a volte dominata e spezzata dà esigenze pratiche, a fondo mistico e da espressioni estetiche, come quei «sempre nuovi amori • dell'assoluto.
E chiameremmo questa del Chiappelli filosofìa crepuscolare, blanda cu natrice di anime quasi sognanti, che il materialismo volgare disgusta ma là ferrea logica del pensiero spaventa; luce incerta in cui il materialismo muore e lo spiritualismo si colora capricciosamente nel pulviscolo della sensualità che empie ancora l’aria non tersa.
• Quando siamo pervenuti al segno in cui al disotto della varietà delle forme fenomeniche riappare la luce della vita e della ragione, allora si intende come la pluralità sia non già una illusione ma una condizione essenziale della vita, se anche la verità, la finalità, la sostanza, sia nell'unità del principio vitale. (Ma quale differenza fra la vita, di cui è condizione essenziale la molteplicità, e il principio vitale, del quale è definizione l’unità?) Si intende che quanto ci divide e ci contrappone gli uni agli altri è il tempo e lo spazio (ma il tempo e lo spazio, che ci contrappongono gli uni agli altri sono fuori di noi e della nostra realtà?) che il corpo è l’obbiettivazione e l’espressione della vita razionale in quelle forme empiriche (forme; e dunque interiori a noi, poste da noi ?) onde se nella vita umana solo la coscienza individuale è egoistica, vigila sempre ed è come inscritto in noi un principio divino di unificazione e di amore; lo spirito superiore al tempo e allo spazio, che per entro la cerchia della nostra coscienza fa balenare nell’individuo universale e nel con-tigente -ed effimero ¡’ideale e l'eterno (Pag- 147)Segnalando gli scritti del Chiappelli, non si può non avvertire il lettore di questa vaporosità concettuale del suo pensiero filosofico; rimanendo inteso che chi non vi cerchi solo un punto fermo e una direttiva sicura nello svolgimento dèi pensiero filosofico, vi troverà espresse con ricco calore, con vasta cultura e con viva efficacia artistica le migliori tendenze ed aspirazioni
della coscienza contemporanea, assetata di chiarezza e di interiorità, sebbene spesso-inetta ad imporsi l’ascesi intellettuale necessaria per raggiungere questi beni.
M.
LO STATO LIBERALE
Luigi Miranda. Lo Stalo liberale. Bologna, Cappelli, 1921, 8®, pp. 70.
Con questo titolo il dottor Luigi Miranda Subblica una raccolta di articoli apparsi i recente in varii giornali. Dalle innumerevoli raccolte di articoli che vedono la luce composte in volume, questa del Miranda differisce profondamente per la unità e la coerenza che le dà un concetto fondamentale, che la pervade da Cima a fondo. E questo concetto è quello dello-Stato liberale, cioè dello Stato inteso come mediazione dialettica nella quale e per la Squale soltanto trovano il loro superamento l’interessi particolaristici delle classi e egl’indiyidui in conflitto. Lo Stato liberale così inteso è la sostanza etica di un popolo, la sua vivente coscienza morale, un valore assoluto al di là del quale non ve n’ha alcuno più alto. In questa concezione che, attraverso il Bovio ed i due Spaventa, si ricollega alla filosofia giuri-dico-politica di Hegel, lo Stato non ha al di sopra di sè un’autorità dalla quale egli prenda in prestito il valor suo: è esso il valore etico assoluto. Concezione, dunque, rigorqsameftte laica dello Stato, alla quale il Miranda si appella per respingere ogni tentativo di subordinare lo Stato alla Chiesa o anche, semplicemente, di coordinarli cpme potenze di uguale valore. Il libro del Miranda viene, dunque, in buon punto nel presente momento, nel quale,. E er miserabili calcoli di opportunismo par-imentare, numerosi uomini politici di parte cosiddetta liberale non dubiterebbero di rinnegare vilmente le tradizioni rigorosamente laiche dello Stato italiano E er trascinarlo riluttante ai piedi della hiesa, allo scopo di ottenerne l’appoggio contro le minacce, rivoluzionarie del proletariato. Esso è un vigoroso appello alle migliori tradizioni del nostro Risorgimento. Sostenuto da una solida cultura filosofica e da un profondo sapere giuridico, scritto con lucido vigore dialettico, il libriccino-del Miranda merita, ed avrà certamente, la più ampia fortuna.
Adriano Tilgher.
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RECENSIONI
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MAINE DE BIRAN
Oeuvres de Maine de Biran par P. Tis-sbrand. T. I. « Le premier Journal ». Paris, Alcan 1920.
Sono scritti che risalgano a! 1794 e anche prima, per la più parte osservazioni e rilievi fatti leggendo Locke. Bonnet e Condillac. Non v’è ancora la teoria caratteristica della psicologia biraniana sullo sforzo muscolare e sulla costituzione della personalità e individualità umana. Ma spesso s’incontrano obiezioni assai giuste e interessanti alle tendenze meccanicistiche della psicologia bonnettiana e condillacchiana. E quelle obiezioni annunziano parecchie delle attitudini che avrebbe poi assunto de Biran come psicologo e come metafisico.
Il problema che preoccupa de Biran ne’ suoi primi saggi filosofici, è quello del destino umano e del bene sommo per l’uomo, il problema della libertà e della felicità. E la sua tendenza volontaristica e indeterministica si afferma fin d’allora. La sua filosofia pone a base la contigenza e là insufficienza incurabile della ragione umana di fronte al problema totale e* la sua impotenza irrimediabile per dare a quel problema una soluzione integrale. Quindi la necessità di ricorrere a una forma di misticismo che si annunzia anche in questi primi saggi ma solo negli ultimi troverà la sua espressione definitiva.
T. N.
BLONDEL
Stefanini, L’Azione. Saggio critico sulla filosofia di M. Blondel. Milano, Al-brighi Segati e C., 1915.
Questo saggio è uscito nel 1915 ma sebbene di data un po’ antica, la recente traduzione del libro di Blondel gli ridona una certa attualità. Nella prima parte si dà un sunto dell’/13iowe e siccome questo sunto è fatto servendosi spesso delle parole dell’Autore, ci pare abbastanza fedele. Nella seconda parte si critica la dottrina blondelliana da un punto di vista particolarmente intellettualistico. Come si può, osserva il critico, celebrare la virtù dell’azione prescindendo dall’intelletto da cui l’azione deve essere illuminata e diretta? Non mancano a questo proposito alcune osservazioni abbastanza giuste e opportune: ma in generale anche la parte sana della critica di Stefanini è guastata da un modo di esposizione confusionario e impreciso. Nè poi è giusto il tentativo ch’egli fa, di completa demolizione delle dottrine blondelliane. Blondel non fa la parte debita al giuoco delle idee sulla formazione del volere e deli’operare umano. Ma la sua teoria non è completamente sbagliata, come pretenderebbe Stefanini. È piuttosto incompleta che errata. Per completarla ci vorrebbe una criteriologia che a Blondel manca. Ma anche con questo difetto, il libro di Blondel conserverà sempre pregi altissimi di profonda analisi psicologica e d’ispirazione morale nobilissima. T. N.
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lettvjle
rtftEDAPPVNTI
Sotto il titolo : Il Testamento letterario di Giacomo Leopardi, la bella rivista letteraria La Ronda à pubblicato un estrat to letterario dello Zibaldone diviso in' questi capitoli :
I. Poesia e natura - II. Sistema di restaurazione della lingua antica italiana (ondato sul concetto dell’eleganza -III. Precetti di stile - IV. Autori - V. Intorno alle letterature moderne, e particolarmente alla francese - VI. L'antico e il moderno.
Il volume è munito di una breve introduzione esplicativa, dell’indice dei sommari, nonché di uno dei migliori e meno divulgati ritratti di Leopardi. I titoli delle varie parti, i sommari, ecc., sono opera della Ronda e gioveranno, oltre che a giustificare i criteri prettamente filologici di questa scelta, a facilitarne l’intelligenza, mettendo in rilievo l’organicità profonda, concettuale e storica, delle idee letterarie di Giacomo Leopardi, ignote al gran pubblico e rimaste fino ad oggi sepolte in quell’unica e impraticissima edizione dello Zibaldone ormai divenuta per di più quasi introvabile e costosissima.
Mentre, considerando che questa è la prima raccolta ragionata e sistematica che si tenti di una delle materie più àrdenti dello Zibaldone, crediamo ch’essa sarà salutata con compiacenza da quanti hanno a cuore le sorti e il buon nome delle nostre lettere, e sotto questo punto di vista esortiamo i nostri lettori a procurarsela, facciamo loro osservare che per quel che riguarda il problema religioso ed
il Cristianesimo, sul quale in questa raccolta vi sono pure riportati alcuni pensieri, il Leopardi non aveva vedute che valgano la pena di soffermarcisi. La sua concezione del paganesimo e dell’antichità, alle quali contrapponeva il cristianesimo e la modernità, erano idilliche ed ottimistiche in modo che questi vi scapitavano non solo per la contrapposizione, ma pure per l'intenzione dell’A. che era disposto a vederli pessimisticamente. Ciò non toglie che alcuni suoi pensieri o parte di pensieri, ora ripubblicati, non facciano sentire le unghie del leone.
Sulle Università cattoliche in Italia à già nel numero di novembre richiamata l’attenzione degli studiosi e dei politici La Fionda. Nei numero che uscirà tra giorni essa ritorna sull’argomento facendo riflettere che il ministro Croce, in tutt’altre faccende affaccendato, non à dato alcuna risposta alle domande al.-lora rivoltegli e sottoponendo a chi di ragione la seguente notizia :
• I.' *• Agenzia Argo ” dice che il Papa ha già completamente approvato il programma degli studi e l’ordinamento amministrativo della istituenda Università cattolica di Milano. L'ordine degli studi sarebbe quasi in tutto simile a quello dell’università di Lovanio. Nell'intento della Santa Sede (’Università di Milano dovrebbe essere esempio e stimolo perchè ne sorgano altre. Si starebbero già prendendo disposizioni per una Università a Napoli. L’Università Gregoriana di Roma subirebbe qualche modificazione nel programma
69
LETTURE ED APPUNTI 127
.didattico per metterlo in relazione col piano generale degli studi approvato da Benedetto XV ».
La Fionda si domanda dopo di ciò:
« Ripetiamo: non abbiamo nulla da aggiungere a quanto abbiamo già scritto commentando lo straordinario “ fatto nuovo ” che si vuole inaugurare nella vita degli studi italiani. Solo abbiamo da aggiungere che il nostro commento va, per cosi dire, “moltiplicato" nella misura del moltiplicarsi del fenomeno.
« Il Ministro Croce ha l'esatto ed elementare' dovere di comunicare al Paese la situazione nuovissima, di comunicare anche il suo parere intorno ad essa.
«.Ci permettiamo di domandare:
• Saranno “ pareggiate ” le istituende libere Università? E, come tali, si potranno aver luogo sessioni ufficiali di esami? Oppure, potranno solo accogliere le iscrizioni degli studenti, con validità dei corsi unicamente ai termini della frequenza, salvo l’obbligo degli esami presso le Università Statali?
«Sarebbe, questo, certo, un modo di dare, intanto, tempo al tempo...
•> Attendendo una sua risposta, vogliamo risparmiare quei più gravi commenti che una qualsiasi mancanza di rispetto per la tradizione del pensiero italiano non potrebbe non provocare.
• Diremo solo che la sua attuale posizione, di fronte al Parlamento ed al Paese, comporta la astensione esplicita da ogni qualunque manifestazione fattiva la quale pregiudichi la situazione delle cose, quale dovrà essere affrontata e risoluta, non più o meno clandestinamente, ma in aperta e solenne discussione dal Parlamento Italiano ».
Noi non vogliamo bandire, come un qualunque giornale a corto di argomenti, un referendum su quest’interessante oggetto : se i lettori però ci facessero conoscere il loro avviso forse potremmo ricavare per un prossimo numero una nota di carattere oggettivo, fondata su opinioni più o meno autorevoli.
La Società Amici dell’Arte Cristiana si è fatta promotrice di una esposizione nazionale d’arte sacra che avrà luogo in Milano, sede della Società, e verrà tenuta nel chiostro delle Grazie, dove vivono ancora nelle loro opere le grandi figure di Leonardo e di Bramante.
La Mostra si inaugurerà in settembre e resterà aperta fino al 30 di ottobre.
Nella Mostra si accoglieranno opere di architettura, di scoltura, di pittura e di tutte le arti minori applicate alla liturgia
(paramenti, arredamenti d’altare, oreficeria sacra). Saranno ammesse le diverse tendenze/ purché veramente sane espressioni d’arte.
In tutte le opere, dato il carattere speciale della Mostra, dovrà apparire un forte contenuto spirituale, un concetto di elevazione dal materialismo dominante alle grandi verità della fede.
La Giuria di accettazione sarà la Giuria permanente della Società.
Fanno parte della presidenza dell’esposizione Fon. marchese Crispolto Crispolti, presidente, il cav. ing. Cecilie Arpesani, vice presidente, e il cav. don Luigi Biotti, segretario generale.
Sulla Dalmazia patria di S. Girolamo notiamo con rincrescimento nella buona Rivista di studi orientali Hessarione (anno XXIV, fase. 1-4) uno sconclusionato articolo di tal prof. Giuseppe Genti lizza che veramente non aveva alcun titolo per essere pubblicato, tanto più dopo che era venuta alla luce la nota della C‘t-v\Uà Cattolica da noi già riassunta, la quale metteva a posto le elucubrazioni più o meno fantastiche del rev. Buliched avviava la soluzione del problema della patria di S. Girolamo, certamente Dalmata, su vie molto positive e sicure.
A titolo d’incoraggiamento sebbene vi si notino molte lacune, facciamo conoscere ai lettori la pubblicazione del 4O-5® numero (aprile-maggio) del Bollettino bibliografico delle pubblicazioni italiane • Biblion » che viene edito dall’ufficio omonimo per la ricerca bibliografica. Se la Casa Editrice Sersisterà nella sua impresa noi avremo nalmente anche per l’Italia, oltre i bollettini delle Associazioni editoriali più o meno esclusivisti, un vero e proprio Bollettino generale mensile delle pubblicazioni italiane, come lo ànno tutte le maggiori nazioni. No’n appena riscontreremo che il Bollettino della Biblion può adoperarsi-senza scrupoli ce ne serviremo anche noi. che dobbiamo, solo per l’Italia, racimolare qua e là le notizie bibliografiche che pubblichiamo. Osserviamo però che per cominciare la Biblion poteva esimersi dai rendere così ricco di indici il suo Bollettino: ciò le sarebbe costata meno fatica e le avrebbe concesso di essere più sollecita nella pubblicazione. In ogni modo auguri. (Roma 21, Banco S. Spinto: Direzione — Via Napoleone 111,7©: Amministrazione).
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BI LYCHNIS
II neo-istituito Istituto per l'Europa orientale, promosso da un Comitato presieduto dal senatore Francesco Ruflini e di cui fanno parte G. Gentile, N. Festa, G. Prezzolini, ecc., e che à per segretario il nostro chiaro collaboratore Ettore Lo Gatto, à pubblicato il 1® fascicolo della rivista mensile che intende divulgare sotto il titolo Europa Orientale: oltre gli atti dell'istituto, il notiziario, il programma, esso contiene alcuni interessanti articoli su Dante nella letteratura serbo-croata (A. Cronia), sugli st udi bizantini in Ital ia (G. Cammelli), ecc. Auguri alla nuova impresa (Roma, Piazza del Foro Traiano, n. 30).
Il 13 marzo 1921 si è fondato in Roma un altro Istituto per la conoscenza del-l’Oriente, sopratutto musulmano, l'istituto per l’Oriente, organo del quale è la
nuova rivista Oriente Moderno, che si She di rispondere al suo compito nte tre sezioni, una politico-storica, una culturale ed una economica.
Il Consiglio dell'Istituto, presieduto dal nostro egregio collaboratore on. Giovanni Colonna di Cesarò, è composto di Giorgio Levi della Vida, altro dei nostri esimi collaboratori, dei comm. Cancani, Conti -Rossini e Giannini ed ha per direttore scientifico il prof. Alfonso Rallino e per segretario il prof. Michelangelo Guidi. Nei due fascicoli già apparsi, tra molte notizie di indole politico-economica, notiamo un articolo del comm. Carlo Conti-Rossini sulle lingue e le letterature semitiche dell’Abissinia.
Auguri anche a questa nuova opera (Roma: Via Milano, 33).
Per ragioni indipendenti dalla nostra volontà dobbiamo rimandare al prossimo fascicolo la riproduzione dei lavori premiati nel concorso artistico dantesco bandito oa «Bilychnis».
O Secondo la pròmessa da noi fatta nel fascicolo precedente, abbiamo spedito entro settembre a tutti gli abbonati non morosi i Quaderni n. 3 e n. 4.
O Sono in preparazione i Quaderni n. 5 e n. 6:
G. Pioli : Giorgio Tyrrell nel suo epistolario-A. Tilgher: La visione greca della vita.
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fi il primo volumetto di una nuova collezione « Problemi moderni », che i dott. Kokyliusky e Vidoni dirigeranno e che si promette di esaminare ed esporre i più importanti moderni sociologici da un punto di vista positivo. Questo del V." molto chiaro e molto spregiudicato esamina il problema della prostituzione dal lato medico-sociologico e ne de-
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BILYCHNIS
termica le forme e le persone sotto cui si presenta quésta piaga che ha pure una funzione sociale. Una introduzione del Morselli lo presenta ai lettori, prospettando il problema dal lato antroposociologico in forma combattiva, ed avendo riguardo sopratutto al momento presente.
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In 127 capitoletti brevi, aforistici, scritti in uno stile un po’ridondante, quasi orientalizzante. l'Autrice commenta novellisticamente questa sua conclusione della favola, o morale che dir si voglia: • Ogni uomo si stanca della donna amata quando le sta troppo a lungo vicino ». E indubbiamente di questo libercolo non si può dir male. Senza discuterne la tesi — nonesl hic locus — in esso vi a una forte spiritualità, poiché l’eroina che ragiona cosi per evitare di perdere l'amore di cui non può fare a meno sparisce ed ¿ritrovata sol quando é vecchia ed • una luce eterna » rischiara ancora il suo «sguardo sbiadito ». È vero che siccome il racconto è • poetico il vento le ha portato le grida ed i sospiri dell'amato e — egoisticamente! — si è sentita felice!! Attendiamo l’A. ad altre prove che permetteranno un giudizio sicuro sull’opera sua : questo breve saggio è notevole, ma, personalmente e certamente a torto, a me fa l’impressione di non essere originale.
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F. Landogna, Giuseppe Mazzini e il pensiero giansenistico. Bologna, Zanichelli, 1921, p. xvi-ioz. L. 6.50.
C. Pascal, La sorèlla di Giacomo Leopardi. Milano, F.lli Tre ves, 1921, p. 70. L. 3.
Nessuno che abbia il culto per la poesia del nostro maggior lirico moderno potrà esimersi dal leggere questo aureo volumetto in cui quel molteplice spirito e quell’infaticabile uomo che è Carlo Pascal ha abbozzato un profilo di Paolina Leopardi, quale le Sue letture ed i ricordi che si hanno di lei ce la dipingono e quale certo ce la confermeranno quelle inedite che dovranno esser tra breve pubblicate. La figura di questa donna, colta e d’ingegno, buona pittrice, profonda osservatrice e fine conoscitrice dell’animo umano, di questa donna che fu sorella in tutto l’ideale significato delia parola, che visse della vita, dei dolori, della storia dei fratello e vi ebbe il culto non ha che da guadagnare sé la si conosce più intimamente. Il P. la eleva a tipo di felice femminilità contro la volgarità donnesca imperante e può farlo. In una'rivista di studi religiosi a ’me' piace citare questa sua spregiudicata sortita a proposito dell’elezione del papa: «fino a tanto che alcuni vecchi combinino fra di loro di darci uno di essi per padrone, cosa di cui faressimo a meno tanto volentieri » (p. 22).
De Castelnau, L* Institute catholique de Paris et la formalion d'une ¿lite intellectuelle et sociale. Poitiers, Texier, 1920, p. 16.
F. Heiler, Das Geheimnis des Gebets, München, Chr. Kaiser, 1921, p. 20. Mk. 2,50.
H. Barth, Das Problem des Ursprungs in der platonischen Philosophie, München, Chr. Kaiser p. 21. Mk. 3,20.
W. Baur, In den Tagen des Antichristen. Düsseldorf, Brüderboten Verlag, 1921, p. x8.
W. Baur, Die religiös politische Endentwickelung der Kulturvoll. Düsseldorf, Brüderboten Verlag, '92X, p. 15G. Ilzig, Evangelische Religion. Leipzig. X921, fase. x-2.
A. Broiler io e L. Gandaglia, II duello infernale. Milano, A. Tacchini, p. 32.
' M. Alaj mo, Le correzioni agli « Sposi Promessi-e il realismo del Manzoni. Palermo, Sandron, 1921, p.' X2o, L. 6.
.ROCCO POLESE, gerente responsabile.
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Istituto per la propaganda della cultura italiana
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L’Istituto si propone di
intensificare in Italia e di far nota all'estero la vita intellettuale italiana;
favorire il sorgere o lo svilupparsi di librerie, biblioteche, scuole librario e d’arti grafiche ;
promuovere traduzioni delle opero più rappresentative del pensiero italiano;
istituire premi e borse di studio per scrittori. librai, artieri del libro;
diffondere largamente nel mondo le sue pubblicazioni, tradotto in?, più lingue, attuando con massi A«ora/ntenfali un vastissimo piano, che, approvato da una commissione di' eminenti personalità nominata dal Ministro dell'interno, avrebbe dovuto essere svolto sotto gli auspici del cessato Sottosegretariato per la propaganda all* Estero.
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RASSEGNA MODERNA
Pubblicazione mensile di politica e cultura diretta da V. GUGINO j
Si pubblica in fascicoli di 120' pagine in-8®. Abbonamento agli 8 numeri del 1921: L. 35 ; Estero Frs. 40 ; Un numero separato L. 5 ; Estero Frs. 6.
Direzione ed Amministrazione: Via Principe Granateli!, n. 18 - PALERMO.
Questa giovane rivista siciliana è la pubblicazione di alta cultura, che meglio inter preta in Italia i bisogni spirituali del nostro periodo.
Fondata con questo programma, tende ad abbracciare tutte le differenti manifestazioni dell’attività sociale ed intellettuale per riportarle a quell’unità fondamentale della vita, all’infuori della quale non può esservi comprensione vera delle esigenze e delle aspirazioni di un’epoca.
Contro la sofìstica della più gran parte del pensiero contemporaneo, essa propugna la revisione fondamentale dei valori e dei problemi sociali, non scompagnandola mai da una obiettiva considerazione della realtà vivente.
Profondità e vivacità originale del pensiero sono i requisiti ai quali essa maggiormente tiene, cosi negli scritti come nelle rassegne e nelle numerose recensioni, insieme all’assoluta indipendenza da ogni partito e da ogni particolare preoccupazione.
La Rassegna Moderna ha pubblicato nei suoi primi fascicoli scritti di :
Antonio Aliotta - Gen. L. Bencivegna - Gino Borgatta - G. A. Cesareo - Alessandro Chiappelli - N. Massimo Fovee - Vincenzo Gugino - Nicola Moscar-DELLI - S. NaIDP.NOFF - PAOLO NALLI - ENRICO PARESCE - CARLO PASCAL - ADOLFO Ravà - Giorgio Rossi - Luigi Tonelli - Guido Villa.
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“RIVISTA DI ROMA,,
Diretta da ALBERTO LOMBROSO
ROMA (30) — 26, Via XX Settembre
ANNO XXV - 1921
La Rivista ha larga diffusione in Italia ed è circondata da grande e viva simpatia al di là delle Alpi e dell’Oceano e dà ampia garanzia di far conoscere dentro e inori i confini del nostro pensiero, la nostra arte, la nortra industria e il nostro commercio che riprendono la loro vita più ohe mai fiorenti e fervidi di fattive attività.
PRINCIPALI COLLABORATORI
Gabriele D’Annunzio; Generale Bencivenga; Prof. P. E. Pa volisi; Senatori Mazzoni; Chiappelli, Del Lungo, Benedetto Croce, Generale Caviglia; Umberto Angeli; Colonnello Mara vigna; Prof. Ettore Levi; Renato Simoni; Roberto Bracco; Matilde Serao; Prof. Fr. Egiei; Paul Arbelet, eco.
Bedaltore-Capo Corrado Pavolini
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Si pubblica il /° e il 15 dì ogni mese
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RIVISTA DI MII AMA quindicinale liberista di poliR1V1Q1A 1Z1 miLAlW T1CA E LETTERE — ANNO IV Collaboratori politici ordinari:
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